Grice e Daniele – implicatura numismatica -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (San Clemente).
Filosofo. Grice: “Daniele is an interesting philosopher, if you are into numismatics,
his pet topic!” Figlio di Domenico e Vittoria De Angelis, studia a Napoli, dove
frequenta gli intellettuali della città. Entra in amicizia con vari studiosi
tra cui Genovesi, Cirillo, ed Egizio. Cura un'edizione delle opere di A.
Telesio, illustre filosofo cosentino, lavoro che gli procurò l'interesse di
intellettuali di giornali letterari dell'epoca, specialmente per l’epistola dedicatoria
e la vita del Telesio filosofo in purgato latino. Cura la pubblicazione le
“Opuscoli” di Mondo, che era stato il suo primo maestro, premettendovi una
dotta prefazione di tutte le veneri e la grazie pellegrine dell’idioma toscano,
che merita gli elogi di Zanotti. Pubblica le nuove “Orazioni” latine di Vico,
ch’erano state lette da quest’altissimo ingengno mentre filosofava
sull’eloquenze e la colloquenza alla Regia Univerista. Publicca la l’aureo
romanzo de Longo – que sembra dettato dall’amore, reso in volgare da Caro, con deliziosa
e spontanea gracia, faciendo un dono preziossimimo agli ananti della toscana
favella – corredandolo di una dotta prefazione escritta con ammirabile purita di
lingua. A San Clemente cura le proprietà della famiglia. Si dedica al studio
dell’antico e agli studi della classicità acquisendo documentazioni –
collezione epigrafica -- e creando una collezione di oggetti antichi legati al
territorio di San Clemente. Pubblica una critica ad alcuni studi sulle storia
di Caserta (“Crescenzo Espersi Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio
Simeoni, un ufficiale di artiglieria napoletano”). Il marchese Domenico
Caracciolo lo fa richiamare a Napoli dove entra nella segreteria di Stato.
Riordina la raccolta delle leggi e dei diplomi dell'imperatore Federico II. E nominato
"regio istoriografo", carica che era stata di Vico e di Assemani.
Alla carica era associato un sussidio economico. Pubblicò Le Forche Caudine
illustrate (Napoli), lavoro che gli permise di entrare all'Accademia della
Crusca. Ricoprì nella Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere, creata da
Ferdinando IV, la carica di censore per le memorie delle classi terza e quarta.
Riceve l'incarico di sistemare la biblioteca della Collezione Farnese, in
seguito confluita nella Biblioteca di Napoli. Divenne uno dei 15 soci
dell'Accademia Ercolanese, dove cura la pubblicazione degli studi su Ercolano e
Pompei. Suo malgrado anzi fu coinvolto, a causa della sua vicinanza con gli
intellettuali vicini alla repubblica, nei fatti che successero dopo la caduta
della Repubblica partenopea. Perse tutti gli incarichi e di conseguenza torna
agli amati studi. Pubblicò un saggio di numismatica, Monete antiche di Capua,
con la descrizione delle monete capuane di cui sei inedite. Sotto Bonaparte,
riottenne le sue cariche e l'anno dopo divenne segretario perpetuo dell’Accademia
di storia e di antichità e fu nominato direttore della Stamperia Reale. Fu
anche socio dell'accademia Cosentina, della Plautina di Napoli, e
dell'Accademia Etrusca di Cortona. Altre opere: “Antonii Thylesii Consentini
Opera” (Napoli); “Crescenzo Esperti Sacerdote Casertano al Signor Gennaro
Ignazio Simeoni” (Napoli) – una lettera sotto un falso nome in cui dimonstra la
vera origine di Caserta --; “Le Forche
Caudine illustrate” (Caserta) – dove stabilisce il vero luogo ove furono
piantati que’ gioghi sotto cui passarono le vite legion romane, provando con
compoisoa e ben adattata erudizioone, chef u la Valle d’Arpaia, contro
l’opinione di Cluvero, Olstenio, e di altri eruditi di chiaro nome --; “I
Regali Sepolcri del duomo di Palermo riconosciuti et illustrate” (Napoli) –
imprese anche ad illustrare le tombe de’ re di Sicilia. Rispende in questa la
purita della lingua, e la ‘erudizione piu estesa, che possa desiderarse tanto
nella patria storia degli antichi tempi,, quanto in quella del medio evo -- “Monete antiche di Capua” (Napoli) dove interpreta le antiche monete di Capua gia
pubblicate fino al numero di dodici, ne pubblica altre sei del tutto ignote agli
eruditi; e nel fine dell’opera tratta in un erudite discourse del culto di
Giove, di Diana, e di Ercole presso i Campani. Opera inedita: Ricerca storica,
diplomatica, e legalle sulla condizione feudale di Caserta; Vita e Legislazione
dell’Imperatore Federico II, “Codice Fridericiano” contenente tutta la
legislazione di Federico. Propurca l’onoro di iiverine region storiografico,
segretario perpetuo dell’accademia ercolanese e l’accademia della Crusca.– che
le merita membro della Crusca – Vita ed opuscoli di Camilo Pellegrino il
giovane; Topografia dell’antica Capua illustrate con antichi monumenti; Il
Museo Casertano. “Cronologia della famiglia Caracciolo di Francesco de Pietri”
(Napoli). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Danilele epigrafista e l’epigrafe probabilmente sua per la Reggia di
Caserta,La collezione epigrafica del Daniele a Caserta; Una pagina di storia
dell’Anfiteatro Campano, Francesco Daniele: un itinerario emblematico, in
classica a Napoli, La famiglia Daniele e i suoi due palazzi in San Clemente di
Caserta: note genealogiche ed araldiche, descrizione degli edifici superstiti e
ipotesi e proposte per la loro corretta attribuzione”; Daniele e lo studio del
mondo antico” -- Lettere di Francesco Daniele al principe di Torremuzza”; “Lettera
di Francesco Daniele a Giovanni Paolo Schultesius”, Lettere di Francesco
Daniele al dottor Giovanni Bianchi di Rimini” Pseudonym: ‘Crescenzo
Esperti’. Francesco Daniele. Keywords:
filosofia antica, roma antica, filosofia romana, l’antico in Roma antica,
l’antico, idea dell’antico, ercolano, pompei, collezione farnese, palazzo
Daniele, San Clemente, Caserta. Opera di Mondo, A. Telesio. “Regio
Istoriografo,” carica cheera state di Divo e di Assemani, Giove, Diana, Ercole,
Campania, le vinte legion legion romane, l’origine di Caserta, A. Telesio,
filosofo. Mondo, filosofo, opuscoli. Romanzo di Longo reso in volgare da Caro,
vita di Talesio, orazioni sull’eloquenza di Vico, valle d’Arpaia, gioghi, re di
Sicilia. Numismatica romana studio della monetazione romana Lingua Segui
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sinottico {{Coin image box 1 double}} La numismatica romana studia la
monetazione romana, cioè l'insieme delle monete emesse da Romae dal suo Impero
dalla prime emissioni di monete fuse, delle monete romano-campane sino alla
fine dell'Impero Romano. Articolazione della materia Modifica monetazione romana
repubblicana monetazione imperatoriale monetazione imperiale monetazione
provinciale La monetazione repubblicana comprende monete dalle prime emesse da
Roma a partire dal III secolo a.C. sino alla guerra civile che scoppia intorno
al 49 a.C. La monetazione imperatoriale comprende monete emesse nel
periodo delle guerre civili, dai vari generali in lotta in virtù dell'imperium
posseduto. Alcuni studiosi non accettano questa categoria ed includono queste
monete in quelle repubblicane. La monetazione imperiale romana comprende
monete emesse dalla nascita del principato fino alla fine dell'Impero
romano. La monetazione provinciale invece tratta di quelle monete che
sono state emesse da colonie ed alleati di Roma. Si tratta principalmente di
monete sussidiarie o di monete emesse dagli imperatori romani utilizzando tipi
che fossero meglio compresi da popolazioni di lingua greca. Spesso queste
monete sono indicate col termine di coloniali. Una volta erano anche chiamate
Greche imperiali. I punti più rilevanti nella monetazione romana sono
l'emissione del denario nel III secolo a.C., l'emissione dell'antoniniano verso
il 215 d.C. da parte di Caracallanonché lo studio del sesterzio vero e proprio
veicolo di propaganda dell'antichità. Sono anche fondamentali le riforme
monetarie di Augusto, Caracalla, Aureliano e Diocleziano. Classificazione
delle monete romane repubblicaneModifica Antonia 1; Syd. 742; Craw.
364/1b Pompeia 1; Syd. 461; Craw. 235/1a Per le monete repubblicane uno
dei riferimenti più usati è il testo di Ernest Babelon (Description historique
et chronologique des monnaies de la république romaine vulgairement appelées
monnaies consulaires) pubblicato in due volumi nel 1885-1886. Nel testo viene
utilizzata la suddivisione proposta da Eckhel: monete fuse monete
romano-campane monete anonime, senza cioè l'indicazione del magistrato
responsabile dell'emissione monete divise per gens. All'interno della gens le
monete sono catalogate in ordine cronologico. Le monete vengono quindi indicate
con l'indicazione delle gens ed un numero progressivo: ad es. Claudia 6, Pomponia
1. La Description di Babelon è stata ristampata. Altri lavori più moderni
sono quello di Sydenham e quello di Michael H. Crawford, che elencano le monete
in ordine cronologico. Il lavoro di Crawford è il più recente sulla
monetazione repubblicana. Nell'elenco delle monete il primo numero indica il
monetario mentre il secondo numero indica la singola moneta. Sydenham,
E.A.: Coinage of the Roman Republic Crawford, M. H.: Roman Republican Coinage.
Quest'ultimo lavoro è considerato il migliore attualmente esistente
Bisogna anche citare due studi particolari: Campana, Alberto: La
monetazione degli insorti durante la guerra sociale (91-87 a.C., l'unico studio
approfondito su questo tema, che riporta anche il corpus completo e lo studio
dei coni. Thurlow, B. - Vecchi I.: Italian Aes Grave and Italian Aes Rude,
Signatum, and the Aes Grave of Sicily, sulla monetazione fusa in Italia e
Sicilia. Classificazione delle monete romane imperiatorialiModifica Non
esistono pubblicazioni specifiche che classifichino le monete di questo
periodo. Si usano sia testi sulle monete repubblicane che testi sulle monete
imperiali. Alcuni dei testi sono già stati analizzati per le monete
repubblicane e sono: Babelon, E.: Monnaies de la République Romaine, che
usa la divisione per gens. Sydenham, E.A.: The Coinage of the Roman Republic,
che usa una suddivisione cronologica e si ferma grosso modo al 36 a.C.
Crawford, M. H.: Roman Republican Coinage, che arriva fino al ca. 30 a.C. Altri
testi, che riguardano anche la monetazione imperiale sono: Cohen H.
Déscription Historique..., un testo in otto volumi del 1880 che riguarda le
monete dell'Impero Romano e che il più usato per classificare le monete
imperiali R.I.C. Roman Imperial Coinage, vol. 1. (a cura di Harold Mattingly e Edward
A. Sydenham). Il primo volume di 9. A partire dal 29 a.C. Classificazione delle
monete romane imperialiModifica I testi di riferimento per la monetazione
imperiale sono i "Cohen" ed il RIC. Henry Cohen: Déscription
Historique des Monnaie frappées sous L'Empire Romain, comunemént appelées
Médailles Imperiales, un testo in otto volumi, tra il 1880 ed il 1982. Riguarda
le monete dell'Impero Romano e che il più usato per classificare le monete
imperiali. Ovviamente ormai molte delle informazioni contenute sono diventate
obsolete. Copre le monete emesse dal 49 a.C. fino al 476 d.C.Le monete sono
ordinate prima cronologicamente per Imperatore, poi per l'ordine alfabetico
della scritta al rovescio. Questo ordine, certamente poco scientifico, comunque
permette di identificare abbastanza rapidamente la moneta. È oggi disponibile
in rete. R.I.C. Roman Imperial Coinage, Nove volumi a cura di Mattingly e
Sydenham. Copre il periodo dal 29 a.C. al 395 ed è lo standard di riferimento
per le centinaia di libri e cataloghi di collezioni su questo periodo.
BibliografiaModifica GeneraliModifica Theodor Mommsen: Die Geschichte des
römische Münzwesen - Berlin 1860. Tr. fr.: Histoire de la monnaie romain. Paris
1865. (Ristampa Graz 1956. Ristampa Forni 1990) Andrew Burnett: Coinage in the
Roman World,London: Seaby, 1987. ISBN 0900652853 C.H.V. Sutherland, Roman
Coins 1974 ISBN 0-399-11239-1 Kenneth W. Harl: Coinage in the Roman EconomyISBN
0-8018-5291-9 IniziModifica Rudi Thomsen, Early Roman Coinage: a Study of the Chronology,
3 voll., Copenaghen, 1957-61. RepubblicaModifica Ernest Babelon, Description
historique et chronologique des monnaies de la République Romaine vulgairement
appelées monnaies consulaires, 2 voll., Paris, Rollin et Feuardent, 1885-86
(ristampato da Forni). Alberto Banti, Corpus Nummorum Romanorum. Monetazione
repubblicana, 9 voll., Firenze, Banti editore, 1980-82. Gian Guido Belloni, La
moneta romana. Società, politica, cultura, Firenze, NIS, 1993. Gian Guido
Belloni (a cura di), Le monete romane dell'età repubblicana. Catalogo delle
raccolte numismatiche, Milano, Comune di Milano, 1960. Michael H. Crawford,
Roman Republican Coinage, 2 voll., London, Cambridge University press, 1974.
Michael H. Crawford, Roman Republican Coin Hoards, London, Royal Numismatic
Society, 1969. E. A. Sydenham, The Coinage of the Roman Republic, New York 1952
(ristampato da Durst, 1995). ImperoModifica Alberto Banti, I grandi bronzi
imperiali, 9 voll., Firenze, Banti editore, 1983-87. Henry Cohen, Description
des Monnaies frappées sous l'Empire Romain, II ed. Paris, 1880-92 ed. digitale
H. Mattingly - E.A. Sydenham (et al.), Roman Imperial Coinage, Londra, 1936-84
Eupremio Montenegro, Monete imperiali romane, Con valutazione e grado di
rarità, Torino, Montenegro edizioni numismatiche, 1988. Herbert Allen Seaby,
Roman Silver Coins, Second edition, 4 voll., London, B.A. Seaby, 1967-71. David
R. Sear, Roman Coins and their Values, Millennium edition, 3 voll., London,
Spinx, 2000-05. Voci correlateModifica Categoria:Monetazione romana Monetazione
romana Monetazione fusa Monetazione romano-campana Monetazione romana
repubblicana Monetazione imperatoriale Monetazione imperiale Monetazione
provinciale Monetazione bizantina Monetazione italiana antica Collegamenti
esterniModifica Sito con le immagini delle monete repubblicane ed imperiali, su
wildwinds.com. Introduction to Roman Coins by The Museum of Antiquities on the
University of Saskatchewan, su usask.ca. Risorse numismatiche on line.
Università di Bologna, su numismatica.unibo.it. URL consultato il 14 aprile
2006 (archiviato dall' url originale il 7 maggio 2006). Rassegna degli
Strumenti Informatici per lo Studio dell'Antichità Classica: Fonti
numismatiche, su rassegna.unibo.it. Portale Antica Roma
Portale Numismatica Ultima modifica 2 anni fa di Messbot PAGINE CORRELATE
Numismatica studio della moneta e della sua storia Monetazione romana
repubblicana monetazione di Roma repubblicana Roman Imperial Coinage
catalogo britannico delle monete romane di età imperiale Wikipedia Il Daniele.
Keywords: implicatura numismatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Daniele” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690282405/in/photolist-2mN8ym7-2mLGod1-2mPV6V9-2mKGd6B-2mKNWFh-2mKAuZM-2mPHbXQ-2mJLMNt-E4u3XA-Bq5PrV-BYy4NX-nRMNgJ-npxWhK-nsMM3K-noAhH4-hJHSQv-hJJo1T-hJH1Be-hJGLZx-hJG5wa
Grice e Dati – ELEGANTIOLÆ – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Siena). Filosofo. Grice: “Dati is a good
one if you are into Ciceronian rhetoric as given a running commentary by an
unknown philosopher from Siena! – But mind, he also wrote, like Shropshire, on
the immortality of the soul!” Noto per il suo manuale di grammatica Elegantiolae.
Erasmo lo loda come uno dei maestri italiani di eloquenza. Nato da una agiata
famiglia senese, passò la maggior parte della sua vita a Siena. Studia con Filelfo.
Dopo aver insegnato per qualche tempo a Urbino, torna in patria e insegna
retorica. E nominato segretario di Siena. Altre opere: Elegantiolae. L'Isagogicus
libellus pro conficiendis epistolis et orationibus fu stampato per la prima
volta a Ferrara da Andrea Belfortis. Elegantiae minores; “Opusculum in
elegantiarum precepta cum Jodoci Clicthovei Neoportunensis et Jodoci Badii
Ascensii commentariis; “Ascensii in epistolarum compositionem compendium”;
“Sulpitii de epistolis componendis opusculum”; “Tabule in Augustino Datto
contentorum index”; “Francisci Nigri elegantie regularum elucidatio”; “Magistratum
Romanorum nominum declaratio”; “Ortographie regularum Ascensiana
traditio. De grecis dictionibus apex ex Tortellio depromptus.” “Augustini
Datii Senensis opera (Siena) – include diciassetteopusculi: I piu importanti
sono: “Oratium libri septem”, “Fragmenta senensium historiarium libris tribus;
“Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus” – ristampato
“Elegantiarum libellus”. Le Elegantiolae, ristampato ocon cari titoli, era
considerato "il manuale par excellence". Sirve da base per i “Rudimenta
grammatices” di Perotti. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, “Plumbinensis Historia”, Firenze, SismelEdizioni
del Galluzzo. Vedi Bandiera, “De laudibus eloquentiae A. Datii” – BOpSTr
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(jflV<3 VSTINI DttTI Senenfis Ifagogi? cus libellus in eloquftie
precepta/ab JPvnbrea b«= mini ctyriftof eri filium f eliciter
incipit/ 8 RebimugiambufeumaplcnfcKviiris i * *'
L *■> £?"
etiam bifertiflimis perfuafiitum be- v ' ,. .,.. t v t , „ v r ,
mum artem quepiam in bicebo non . ^*«,,. '<$•/ J nuliam abipifcu
y fi veteru fectatu vef 6 tigia/optia fibi quifcp feper ab imita
bum propofueriFTNecj^ eni qui biutius I.M» Ci= | ceronis lectione
veriatus fit,n5 m bicebo/et orna= ' T ■
t«s/et copiofus effe poterit. Na et fjorribiora cre= i
,•.»>>- brius cofectati l ipfi qucqp anbi ieiuni et inculti fi
ant neceffe eft. 4jLectitati igitur micfyi Ciceronis voJuminaCque
eloquenhe parentem appellaueri) - j pauca anotatioe bigna vifa fut.
iquibus fi vtemur 41 vulctanufermoneaipernati/abeloquetiamrroxi i s
i mius.accebemus/ v ((TPrimum preceptum l varietati/comutati^
onio^vtftubeamus/ t*Tl. d Seb cu ib i primis quirc| abmouebus
fiti quob rfyetor ille biligetittimus / et inlignis abmobu ora*
tor/fabius Quitilianus be oronis partibus bicere cofueuit.JMeq; eni leges
fut oratoru / quaba velu- . tiiniu.atihjKceflitdtecoltitute; ncc
roaaiignibus < L -v* GI-NEVIEVM ;vt i&cm bicebat)plebifl ve
fcitis.Tancta [vt ifta pre cepta.feb vti in ftatuis/picturis pozmatibus
ccte= rif^ita quocgin exornaba viri eloquetis oratione plurimum
feper roboris/ac vcnuftatis r;abuit va= rietas . &tc$Cquob bici ibfet)
tenenbu /cauenbucj — illub eft antc omniainears vlla bicebi (u fieri
po- teft) fTe vibeatur . Hec igitur lex prima fit comu«
tafionis/varietatiTaj/qua erubitoru aures nobiffi cile iubicet. ilHoc
iajtar iacto fubaireto /per* pauca beitfps fcritan C 7>vnorea amicc
fuauilhme) qae et fi ron femper^ vt plurimi m tamen l;is ra=
tionitus titi feruar.ba erunt t fcb iam nofiri ialti' tuti ita nafcetur
exorbium. (JBecunbum preceptum be fitu fuppofiti/ verbi etappctti i
oratione; ^Jplcrua; enim qui oratorie artis fforibussc
faleratis.vtaiuOveibisftufccntkotratnu vulgataci gramaticorum
confuetubinem bamna= tcsi quob in calce abiolute orationis locari
cofue= uitiib illi potms coaptantinicioi quob oir.ne tibi exemplo
erit manifeftms . £cis plena orationera conltaretribuspartitus.
qucbfuppofitun Cvte- orum ipforum vocabulis vtar)quob verbu/ quob
appcfitum vocant.Diciit igitur nramatici {5cipia afiicanus telcu A
l.aitf;£gin«ri, ciwticrie vcro L r h ■
1 r * l eloquii bemines couerfo potius vtuntur
orbine. Al-*— a liarttjacune lcipio africanus &eleuft.illi.'M/r.Ci
&*—*-** cero vtitur famuiariter.p4cntulo.no8 vero.'p«le^ ^
**f'**T tulo.M.T.Cicerofarmliarir vtitur. Quib? tf^'J*t-r me
exeplis patere arbitror appofitum prirnu 1 owr^V^ * > tione/fuppofitu
mebiul nouiflmuiverolocu ver^^ bu tenere.([Seb et u quibCpro graraaticor5
«•*. A; re)poft appofitu fitum eriti ib iitio oratioms poi^J^
L-_/ Scncr^^. ras.Ligurgus
conbibit fancttflimas legcs lacebc* *~i awu^yfc. monis. LacebemonisfanctillimasIecreB
ligursr..^*- <*, e ~3 aus conbibit.mulfag; cofimili ratione*
~pao„tfi^c , *~l'*-**~ 9 _ ■*! __. __ i !_____. *.l.*-«*«_i
\--> k igitur pieruncj
principioappomturi hppoiitutnf^/ mebiojline vei bum.vtanopagu folon. fclammuBf™
primu coftituit vbi granwtici bicut j fol5 primus , coltituitanopasum.
{[Ceterum biueriis orttmc * __ v feus i et iocis tollocabe fut partes pro
aunum iu*r7 " a ^ fW do j quob quibem folo vfu coparatur» __.» ^ a*A
*» (?Tertjum preceptum be abuerbioru fitu ♦ *_^r * — ^ |*r^
lam vero be abuerbiisC que funt veluti abiecjjftc*^»^*-
"" verb?rum)5id poteft pauW vbi uia lpci ~
A effeivfei bemu aptius congruere vifa tuerint«mos bo in
principioJmobo in finelmobo intenecta m< ter vti ucg.qua in re biligeti
vtenbuin eft conhho* Seb prope verfcum f requetius per venuftam
reb«= bunt oratione. vt fabius maximus ante alios for- titer atcj
animofe pugnauit.C.lehus fcipioe fami hanfume vtebatur.Qementiflimus
ceiar l?umiti= teHcjngfcebat . Nunc vero ab rehqua . {jQuartu
preceptum be prepofitionu/et integrarum pferumaj
orationuiteriectioet inter fubftatiuum et abiectiuum; PR8POfitiones
pcrpulcf;rc intcr fobftafiua at q abiectiua nomina interiiciutur.vt
feraci in agro ornatiflimo in loco.maximas ab res.fyanc ob cau*
fam. iuftis be caufis . aliacji l;uiufmobi complura* Ncc
prcpofitionea folum ( kb alia pretcrea eiufc» mobi nuncfumemus
eyempla.Maxima i rep. bi* ligentia. magna in parentes pietas.increbibilis
m omnes ciues obferuantw.fummain l;oftes hbera ([Quintu
preceptum be fmedecticne genis fiuora iter buos nominatiuos/et
ecotra. 7Ktq etiarn pulcf;crriinu i iter buos cafus / puta no
minatiuoe buos/ahquib cotmue pomtur. Vt om »ia reip.iura coftates miljtum
ammi.macma fces < i» f
■ m leratorum fyominum flagitiaf Bcouerfo etia
cofti tuta ac trafpolita oratio piurimu exornah Vtl?u
ius daritubo viri.fyuius qmrites auctoritate locif Ci
Sextupreceptubeabiectiuorufituf Venufte etiam pieruqj precebit
abiectiuum nome fubft4tiuum*Vttuabigmtas«optimavirtus»biui
»u igemuin.exquifitaboctrina*Magni ehirefert/ quo ioco quecg
bictio iita fit. quob teftatur Boeti - us in iis comontariis l quos
in ariftotelis librum cofcripfit.vbi et Ciceronis et virgilii ponit
exepla Boetii autem ipfius fyec verba fut ♦ Sfenim c£tum
ab copofitionem orationisfpectaf/maximum bif- f ert l quo
vcrba et nom \ na pr ebicationis fue orbi- ne proferantur* Multum
enim itereft in eo quob f* A * aitCicero^bb9ncteamctiamnaturapeperit-'vo>
.T^T^> i \ lutas exercuit/fortuna fcruauit ♦' ita bixiffe vt biz
J ; ctum eft/an lta ab Ijanc te amentjam peperit naf u +4 £ j
^ raiexercuitvoluntasiieruauitfortuna* jSicei'im>>' 4 *
» minor elt fetentie magnitubo. minuf^ in ealucet _^.^ v
ib quob fi fic coponatur emmet i et fefe vel nolen? ., -^* » • * *
tib«s i^ominum aunbus/aifqj patefacit « Rurius quoqi bicit
Virgduis pactqj iponere moremipo^ iuilfet feruaffe metrum li ita
bixifiet l moreq? im= ponere paciifeb elt bebilior fonus* nec eo
lctu ver fus ta preclare vt uhc compojitue oiceretur*
quod ibera non eft apub byalcticos . ljccBoetius . Nuc
aorciiqua; <J Septimu preceptu bc fitu ncgatiue
bictionisf Negatiua bictioapte i calceoratioms ponitur» Vt
preitanticrem te vibi nemi :em. Scipicne clario= re m
bellicis laubibus iuenies nemincm.Tua er= ga me beniuolentia.' tuo
in me aimo gratius e ni= cbil.gui tearoenti js amet.' fyabes
nemine* (jfpctauu preceptu be pouellcns ante pof= fefnonem
fitu/ S8D et polleffor ate poifeffione. Vt opti viri bi*
uitie. preftantis viri virtus.prubetifumi fyominis
confilium; dHonu prcceptu bc vlu gerunbiuorum
nominu pro gerunbus; CXVIQ vero pull?i-ms.'§ £i pro gerunbiis
que appellant vtamur gerubiuis nominibus. 7Kc trjs tu e
prifciani exempiu . Veni ca amabi virtutem/ vcni amabe virtutis caufa.gra
gerebi bella t geren= borum bellorum gratia.ab amplexaba virtute ma
gis.qi ab amplexabum virtute. Que vna preceps tio optima eft.crebraq?
cius apub.M.T.aLolqj c* loquetes viros tuit cbleruatio; {fPecimu
preceptu be congruentia nomi nis relatiui $kruq, cum
confequete/ l + *. '^m
\ * Nunc aatem mu!ta
confkiam. quc li biligeter ab uertens ^mb pavu ornatus ktino
cobucent elo= quio.Seb ib micfci imprjmis aniabuertenbu vibe
tur,'vtquom tna luerint^antccebesJ cofeques/ et eorum mebiu
relatiuu nomeifr fitib confequens/ vel l?ominis / vel rci cuiulpiam
propriu nome.' re latiuu cofequeti femper cogruat.ftlioquin no la*
tina oratio f it ( fcb a boctiUimorum fyominu confu etubine
longe ahena , frhas poteft cum aiterutro conuenire fi ncn con
cquatur propi ium ncmen. Qua rem facile exempla beclaratiet
prifcoru au= ctoritafes coplures.M.Cicero primo tufculanaru quefhonum.btubio
fapietie que pl ia bicitur , Et fexto be rep.contilia - cetuigj
fycmmu mre fcciati; que dujtates appellantur. Mq lteru i cx illis
lem= piternis ignibus/ que vcsfytera etfteliasnucus
ett.s.Saluftii quoq; llluo tritum cft, Eftiocus in carcere
quob tullianu appellatur/inuncrabilia h netufiis cobicibus ib genus
iucnias.Hcc ib e ara= maticeartis vitiumiquobquibam Ljnari
littcraru arbitrantur.Seb et nos ahquio exemplorum af fe
ramus predarum eft ciceroms opus(qui cato ma ior bicitur.nam
quob Cato maior bicitur /non ia= tinc profertur.Confiiniliter vrbis
vifcenbus con ilcr.bu eft i qui iut ciucs. pcrbiti vin cx
vrbibus pellenbi funt /que eft ciuitatum pernities ♦' fentina
Sebecoris.Plerunq* igitur relatiuum nomen cura eo concors eft quob fequitur/
CjVnbccimu preceptum be cogruentia in cafu ex trib^/eoru buoru que
proximius iugutur^ Illub quoqj fpectabum efttNam cum tria exiftant
qaorum vnum relatiuum lit nome;frequetihime coram buo in eiufbem cafus
exitu conuemut/ na (vt exempli caula bicam aliquib)Si quis l?unc fer
monem protulerit l liber in quo be virtutc agitur preclarus eft .'rectius
atqj ornatiusbicitur;in quo hbro be virtute agitur/predarus
eft.Concorfcant nantj eobem cafu ex tnbus buo llla que maion vi
cinitatc iuncta funti ahub lterum exemplum ^u^ iulcemobi fit* Qaias
mifif*i htteras ab mc locubc f jerunt.Sermoce queaubifas no
eftmeustQua exiftirras bemoftI;eIs orationem/cfcJ^ms elt. atq
Ijuius fermonis crebru muenii e potens apub ve- tercs vfum.M.T.officioru
pricnoi quorum au* tcm offinorum precepta trabutur / ea quancy p«
tincant ab finem bonoriu Virgihus Maro m ene ibc/ vrbcm quam ftatuo
veftra eluTerentius in i bna/poltl^ac quas faciet be integro comebi.s
fpec tanbc an exigenbe funt vobis prius.Ibem.popu* lo vt placcrcnt
quag f ecilfet fabulas* Ibem, quaa t
: r * * creois cffc \)islno funt vere nuptie.
$tcj eiufrao bi fermo plurimum exornat; (JDuobcc.mu preieplum
t e auxefi potxti* ucrum cum per; 3D c.ucxj oigmlfimu cft
annotatu. vt quom pofi= tiud€<auger^ velimus normnaivtnsper
prepofi f um aecebdt.Gcero m cpjftola ab cunonemkui z cai us eque
fisiet teriocunbus . Ibcm be oratore p r;m o.perboati quite frater
ilhviben folet.Tere. in eunucr;o. perpulc^ra irebo bona fyaub nof tns
fi miha.nam pergratum vaibegratum fignifrcatM in cratione Jepibe p
crfonat; (jTrebecimu preceptum be fuperJatmis cum
multo/longe/et §; PST fupcrlatiuis/inulto/ioge/et qj abuerbia pre
ponimus ibqj fepenumero pei pulcl;ru viberi fo^ let. Vt longe amatilfnnus
veftri.mulfo ommu foituanllmus-St acjo tibi q-maxias gratias
(JJDerimumquai tum preceptum be com* parati uis cum multo / aut
longc . GOMPAratmis vero vel multo vel fonge p poni Jblet. Vt
mfticia multo predarior eft ceteris vir tutibus.8t focrates loge aliis
pfyis fapientioi } (jDecimuquitu preceptu be quibufba noibus quc
agrecis prpfecta/bccfinatiorie mutant, ({ILLVD nequacp omifc;'imus,'q>
quom nomina quepiam funt profccta a grecis tertie fiex.onis d
obiiquos cafus fjabentia qui rectum bperanttf» tini oratores
rrequentifume calibus ac.uf tiuis il= lorum quibufbam immutatis fmgunt
ahamm be dinationum nomina et genus feruant . qualiafut poematum /
entfymematum / oelpijims / elepbans tus / ctlampaba^aue a plerifg? tertia
flettione pro f erutur poema/entfymema/beipbin/ elepfyas la- pas .
fyanc tu obleruationem biligenter manba me morie/ -.
(TDecimu fextu preceptu vteleganferoftebemus quippam nobis
eife/iocubu/ vtilc/ vell)Oneftu<et ettevaibgenus;
^JXuo aut volumus oftebere nobis aliquiD jocti bu/^oneftum/vtile
eftei batiuis cil verbo vtimur fum/es/elt fubltatiuoru/ quoru illa
abiectiua fut Mi(ne ab exeplis bilceba^quib aiiub iignif icat l?«e
res raicfy locunbitati eft JcJ bec res eft micfy iocu- bVlbemc$ l lpfe
micfyitue littete fuerut gaubio* quob elt ab gaubium vel gau&iu
micfyi attulerut. Predara vrbis ebificiaciuibusbecorifunt. Vitia
bsbecon ful viris Jibeft bebecus pariut viris . beq
ceteriscolimriiratione; ([Decimufeptun preceptu be af ricio
et af Fiaor» <l * \ *
' k. m «#"»
Vevbum aftido Jet pulcfyru eft/et late patet.nam afficio te
voluptate ibciit tibi voluptate affero. M i icio te fyonore lbeft facio
tibi Ijonoi em et te fycno ro.aff <cio te laubibus l&efi tc laubo.
affkio te pro bro lbelt vitupero te . afficio te comobis lbeit tibi
ccnioba facio.afficio cabauera fepuftura lbcft caba uera icpelio.T^if
icio inimicos miuria tbeft facio i iunam mimicis, 7\tq fimihter affiaor
bolore lbe boleo.af ficior gaubio ibeft gaubeo. aificior vere?
cubia ibelt verecunbor. Latiilimacj eftlmius ver= bi vlurpatio.Nec tum
lateat tc/af f icerc bifponere ficjmficare.Hinc eft plauti iflub/ viua
vos magis arficit.Neq} cnim fme optimis caufis ta l&ta / tao;
bilfula fit eius verbi fignif icatio. feb be i?oc latis; CjPrecepf um be
tum vel et «jeminatis . (jxviii > Non eit aute
ignoranbu cp i\ ouo/ aut plura buo* tusCquob perraro vfu velt)paritcr fe
l;abuennt.' vtri<$ tum bictiomm prepcnemus.Qoicb Iiqueat
exemplo.Par eftin.C. lelioboctrina/ ac virtus. qitacj dt eius viri
pvobitasitata quoc| ett eius fci= entia, tunc lf lenbibe / ac rccte
bixcrim . C. lcfius vir tum boitus e/t/ tum probus •Itibemcji magna
ineit.M.C.ieiiotum virtus/ tum etiam boctrina C« ivltus p..uMnu tu
iaute/tu reru icietia valet . \ OTub iterum exemplum»
tfyemiftocks tum con- filio polletin vrbams rebus/tui beliicss
negociis viribus atcg animi magnitubine f ioret . Stc eni ta* tum
oftebit in rebus vrbatiis effe cofiiium cjtj in beilicis magoif ubinem
animi <$ tum geminatum pofitu eft*Seb eanbem quoqj vim fyabet
.jeminata et coiuctiua Virgiliusi eneibe.MuItum xlle et ter tis
iactatus et alto. ibe profecto fignat.'eneas t tum pelagi /tum terrarum
labores perpeffus eft.7?vfri canus fuit figularis et vir et imper.ator l
lbem Qy> vult«africanus magnus extitit tum vir tuntfmpe i-ator ;
(J Preceptu be cu et tu ♦ (Jxix* Qi fi buo contra nequaty paria futi (eb
aheru mi= bus complechtur /alteru vero magisiita etficiens bum eft*
vt quob leuius exiftit locemue pnus/at= cj ei cum bictione
preponamus.quob aute graui- us valibmf$.'ib pofterius politum/ tu bictio
pre= cebat.Qoiob patefaciemus exemplis*G. ielius a- mat fcipionem
propterea <$ eu boctum cognouit fyominem/et fempzr virum optimum/ quob
po* Itremu vefyemSter ab amorem impellit. quare ita oratio eft
inftituenba«G.lelius amat lcipionem tu ob boctrina eius tu propter
virtute. ita virtus in fyac bemuoletia pius mometi fyabet. JPvtqj ibem
lta ubixerim.Gu oes. fortunati funj qui bene. viuwt» -I
*' tum perbeati qui omnia befetfit / et virtute iblaui
coplectuntur, Ijos na<$ pofteriores multo beatio= res elfe conltat.Si
quis fuperius mo aliatam pre* ccptiorem intellexerit.l;ec. M. Ciccro
lmpnmis i requeter vfurpat.£x quo iiiub.'cum cmnibus co fulenbum
eft/tum lllis qui armis politis ab lmpe ratoris fibem conf
ugiunt.Sigmficat enim fumc- tibus ab lmperatores/et lefe bebetibus multo
ma= gis confulenbum elle.$ttc| m catone maiorc nura ti fele aicbat
Iceuola.M. catonis cum ceteraru re= rum perfectam fapientiam/tum q> nug>
fuerit jlli feneaus gra uis . kb be f,flc re faiia/ (JVtquapia
laubari aut vituperari oporteat, xx lam vcro explicanbum clt qua ratione
quapiam perfonam/ autlaubari/ aut vituperan oporteati quob ab
bccorem iermoms pertineat .riam it trj= f anam polfe f icri coperimus ex
monumehs litte-'- rarum.li cnim velim oftenbere.M.catonem fjabe •
remagnamvirtutemicum verbofum/es/elti ita comobiflime f iet,Marcus cato
vir eft magna virtu te, M.cato vir eft magne virtutis.M.cato vir
cft magnua virtute»popuio pfyilofoptus fuit preftas igemo/vel
preftatis igemi.'vel preftanti ingenio. mulier eclara morib^/claroru
moru. 1 claris mori b^wregregiojaiibc egregie, iaufys egrcgia
laube Se* iliub prius magig poetaru eft. poftremu ve~
rofplenbibiffimum/et perpolitum,ffiriltoteUs clt fcietie copia
pbiioCoplug^exquifita boctrinai vir a ctrimo isenio ! Quob qu.beCvt
bifertfcus pri fcianus inquit )hcjmficatariftotele fcbentem fa-
cntie copiam* ac qui l?abeat esqaifitam ooctrmam cetcra cj confimiii
ratione. Cluob quibcm ttulus qelius confcntirc vibetur in noc, ac, bft
erura vjf fut befectio quebam ifeb ca ttifa / vforpat** ab elo
quentiffimis viris/ac darilhmis oratonbui. qut et vobis quocg vtenbum fit
; fTDc accufatiuis etablatmis participioru lo* cum tenentibus
infimtim verbi. <[xxi. flT& VI participioru cum accufatim calus
ie« pe tum ablatiuilocum tenet mfmitiui verbi. J?wt feluftianum
illub , nam et priufc* iopias colulfo* tt vbi coolulueris mature facto
opus elt.bt tere» tianu Mius gliceriumalioqueflamicam pamptjui lam
iam inquit muentum tibi curabo 1 ec abOujs* ^
tumtoumpamlpilum.Omnian5c|iUay colulto/;
factoinuentuiabbuctu^cofulcreyfactre/luemre/ aooucere befignat.
veru frequeter l?is ratiombus abltluoru cafibus vtutur l accuktiorum
perraro? 4jDe ijoc nomie opus cu variis cafibus. .xxiiv
%quomam*eMa»ne quo>eft©ou8 •«»»«**, i •
v metione iiteHigen&um elt / opus eft micfyi ^ac
re i fignif icare me egere Ijac re.feb ib variis caubus m cu folet
Nam etiam opus cft micfy tua opera/no- minabi cafu«'et tue opere/et tuam
operam/ et tua operaJeb ljoc poftrcmu ornatius eft 'z totum ora
torium.Cetens rationbus poete pctius / fyyftcris •grap^icj vtuntur ,tloa
autem queca precip imus vt cocrncfcamus a veteribus vfurpata eifoecg
vta* mur.quecam veroM cognofcamus lolum.i^am rpus eft miclpi l;anc
rcm/ nun§ oraior oicit i feb fcacre? (Jpe comutafione
abitctiui tt fubftantiuj' in vqcc geuere et calu. ijxxiiii*
O uib illub.^ncne puldjerrirr.u cTt .' vt quom fcuo ncrowa alterum
abiectiuum /alterii lubftatiuu co bem cafus cxitu proferri cebenf)vtfrpe
crcberri* mccfCquocarno tertia abiecfiui nominis voce que cli
neutra i vim iubitaf j'ui trafferamus/et fubftan tiuu iliub prius cafu
collccemus geitiuo.quob vt Irequts e ciubitis atqs bifertis vir;s. ita
quog erit excmplo manileitiuB. Mam quom muitam vir lu tem bicturus
fum i li «nultcm virtufis loco eius 9 taiionis pofuero / multo protukrim
vcouftius» «Multu pecunie eni fignificatmulta pccunia.pl u* mmi
&nm t f limmas vra»quife anmi tltt 1 ■
qiiis aimus.quib rei.'que res*quib caufe.' que cau fa.ftlia quocp
lta permulta.Seb amabuertenbum efl/q, fi genitiuus ille cafus fingularis
fuerit.'toti itera orationem fiogulariter exponere bebemus, Bi
pluralisipmraliter.Naqi (exempli caufa)mul tu pecunie ibcft multa pecunia
/ fingulari numero atconfcramultum pecuniarum figmfieat multas
pecuuias.Similis <* eft ct aliorum ratio. vt muls tum
roboris/fingularem^plurimum virium/plu rale quocj fabet fignif ication€ .
Et abuerbia quoc$ nonnulla eanbem vim retinenfc ♦ prefertim vero
buo l?ec/parum et fatis.Nam paru fepientie lbeft parua fapiifia.fatis
virium ibett fufficietes vires, 8t nifyil quog fiue nomen/ fiue abuerbium
ht . m canbem fepe obferuantiam eabit, Hec igitur ^ac^ Vt
gemioanbum eft epitl?eton fequentibus. ' fubftantiuis aut econtra» <£
xxiiii. Q.uonia aute figula fyc fere iueftigamusiib quo* a oignum
cognitione ctti vt cum buo meminen= nius nomina fubftantiua/ quorum
vtrio; ibem e* pitfyeton abicienbum efU vt abiectiuum ipfum pri
cipiocollocemus<et fequentibue fubftantiuis / vel
tumgeminatum/velbuplicatum^tpreponamus Bxempli vero caufa ef i
erantur» Giceroms verba. 3 $fricanus
figularis *t vir ct imperatori quob eft afrixanus ficujlaris vir z
figularis iperafor ♦.ppter magoa el boctoris auctoritatem/et vrbis/ eft
pro pter magnam auctorif ate ooctoris et propf er ma= gna
auctontafena vrbis^predarus/etrailesyet ci= uis iliuftns/tu vir/tu pfyus
optimus/tum pafrie foefefor/tum gubernatcr/iuftus/etrex/ etiubex»
Coniumliacj eobcnmobo fe fyabeot. Seb et fepe= numcro contra co&em
orbine vni fubftatiuo pre ; pcfito buo aoiectiua/aut plura
beferuiunt.8xcm= pia funt que nunc conftituam . Vir tum bonus fu
temperatus.imperator et callibus etfortis, iubex etiteger et foflers.
owamefa ciuifafis tum mulfa tum predara. alia fu ipfe coniecta. Non
nungj» ef buo lubftitiua ita fe r^bent vt alterum vim fuam
vbi$feruef actueaf ur/ alferum quafi qugbam ofc tineat abiectiui nommis
iocu/ ef eiusfugafur of= ficio.&uale eft illub Virgilianu primo eney,
mo lemqi et montes infuper altos impofuit. ac fi bicat molem
montuoiam impofuit ♦ Cauenbum eftne ab fyoneftate naturacj oilcebamus.'
ac ii bixerit ca uenbum ne a naturali Ijoneftate bifcebamus.
Scb tibi f)ec fatig finf/ (jpe extremis fupinis/pro
gerubiis accyfafjui eafus, xxv. -.^- iSzb m qotfi i;iftonam
texens biceborum fenem nectami lta quecg patefecerim vtlefemicfy
forte quabam obtulennt.Ceterum no ignoranbum effe vibetur ,vt ipfc
arbitror>xtrema fupina pleruncj ornate/ac peruenuite fignif icare
gerunbia accufa* tiui cafus ao bictione prepofita , Vt res biii
icilis crebitu ibeft ab crebenbum. miferabilis vifuibeft ab
vibenbum . iocunba aubitu ibeft ab aubienbum fuauis guftu ibeft ab
guftanbum .permulta fimili/ ac pari ratione fe fyabent/ - {£
De exafperatione orationis permutationem fuperlatiui cum abiectione
abuerbii fuperiafcjui ab mobum / vel in primis» {f.xxvi .
(fNec ib te amice lateatM quomfuerit fuperlas tiuum quobpiamburius/afperiufcj
et fuperiatiue fignificanbum fit l vt pro fuperlatiuo poutiuum
afferamus.' et ei aptum abuerbiuro fuperlatiuum apponamus.Nam
maxime memorabiie hciausi eft memorabiliffimufacinus»Maxime rarum
ge- nus fyoimieft ranflimu genus fyominum»Seb ab mobum/et in primis
/ poiitiuis abiucta vi fermc eabem retinet. Vt abmobu memorabile
facinusi vel inprimis rarum genus ^ominum i ^Txxvii . vt quepiam
mebiocritet «ut vetyementcr ia ubabimus/ < * I Jb
aute nequaqj filetio preterierim. Vt fi que qui virtutcro fyabeat v lim
mebiocriter faubare i bica (exempli caufe) perides virtute preftas
princeps erat atfyenisfvelmulta predara gelferat. Trjcmis ftocles
rebus geftisfloruit.Sin velim vefycmenttr ac plurimu iaubare abiiuam
gloria fiue faubem^z caufam laubatiois calu genitiuo coftituta
Perides (Vtibem exemplu aga)virtutis gloria preftans a= tfyenis
daruit.'tl)emiftodes geftarum rerum laube emicuit. £ict{. M .antoniuS
preffabat eloquentia mebiocriter huoatur ac fere exditer. L .
Craflus efoquetijgforia excelluit ve^emetiffime laubatur Seb tu pro
tui ingenii bcnitate oebucitof ([ xxvui. CLuotiens figularis et plurahs
numes rus connedutur* viciniori relpobebu i ibecj Ht jn
oiueriis generibus; QuotiesCquob ipfe quot| teftatur gramaticus fer
uius")Ggularis etpfuralis numerus ccnnectutur/ refponbemus
viciniori. Virgi.primo cnei,'r;ic il lius arma V>ic currus fuit.no
aute fuerut.Teren. in anbria J amatiu ire amoris reintegratio
e.xeno= pfyotis belitie mee fut.fyoftes eorucj exercitus pro
perabit.atcg ita frequlius obferuat*.ibe f it I biuer fis gencribj.na
fiue niafculinu" / fiuc f eininu e. vici no refpoDgmus. vt vir atcy
mlier optia ab me venit ■ >*? c£» ft
\ **1 * ft. ■: Intelligitur
naq? optimu effe viru et optima mut here que vemnt. Verum fi plurali numero
ve.'i= mus vtiteb mafculinu trifire nece fe eft. vt vit et mulier
leti properant.T^vlexaber et olipias clari es Ittterunt?
^TxxixToperepretium eft. Opereptetiu eftCquob peruenuftum
eJft)ficmif icat mo vtile efteimobo neceflanuimo locubu i mobo
laubabile.i^tq* \)is fignificationib^ ib nominis ve teres
vlurpant/ {J»xx.v.frui. Frui quapiam reieft fructu/ fme
vtilitate veJ vc^ luptatem percipere ex ea. vt cum bixerit quis
ocio fruor, {jxxxi^pre fe f erre. JPre f e f erre
ahquib eft verbis *ut ibiciif quibufba ib oftenbere/et quobamobo
confiteri/vt. M. cato pre fe f art gramatica.lelius pre le f ert
hberalitate fyz vuit oftenbere <$ i f fe fit iiberalis;
^Txxxii.Rat.one fyabere. tiaticncm babere eft refpectu fyabere.
feb(vt pla* nius xpona)fyabere rationem alicuius rei eft rem
conliberare. vt fyabeo ratione temporum loci per fonaru eftea ratione oia
coplecti / et conhberve/ {JjTxxiii .Complector anuno»
t Hanc r em animo mcnteej complectcr l ibeft tflat rem
conhbero et voluof (Jxxxiiii.In animo eff ♦. In animo eft /
lignihcat in animo IjabeQ.a aimus mictyeft/ibeftvolojj
^Jxxxv.CeKtum micfyi efti Certum eltmicf)i libelt beliberat»m ct
oecrefum/ v«I bejjberaui et becreui. {JxxxvuProfequor?
Profequor te fyonore ioeft te fconero» Profequbr te laube ibeft te laubo
• profequor te probro ibeff vifupero f e.profequor te amore ifceff amo
te/ ^lxxxvii.Benemereri; Eenemerltus [um be rep, ibeft
beneficium i illam confuli.benemereribearoicifl/eft cpnferrein arai
cos beneficia* «^sxxviu.eque» Eque pro ita.'ac pro vel/afc| pro vf vel
quafi orni tilfime ponutur.exemplum cft eque te laubo ac ci
ceronemj ^xxxix .Haub lecus ♦ Haub pro non/ fecu9 pro
aliter venufte in eabem oratione continue fe Ijabet vt feaub fecus fetio
atcj f u ibeft fentio ita ficut tu/ (l*h9* coparatioo Igcp
pofitiui* K 4 ■ I i MdnficJ et pulcljre
coparatiui prb pofitiuis ponu tur. Vtalexanber macebo corpus babebat
imbes cilliusiquobimbeciliufismficat.Satiriinlcele» vefyemetius
inuefyuntuWquob eft vefyemeter. {[xli ,Dar e rem vitio / vel laubi
. Do tibi fyanc rem vitio lbeft vitupero te be bac re. bo laubi
ibcft laubo.bo crimini ibelt crimmor; (jjdii.De fubiuctiuo loco
inbicatiui.'et illiua pro l)uius temporibus; Seb nec illub quibem negligenbu
elUfubiuctiuus mobus pro inbicauuoiz ujius tempora pro i?uius
temponbus interbu l?aub illepibe ponutur. vt ve Jim fepe pro volo.et
gercrem pro gerebam bilexe rim pro bilexi.feciuem pro feceram. fuerit
gratu pro gratum erit.feccris pro facies.Ib oim multo ornatiffimui
li cportunis locisagatur . quob vbi factitanbum fit. 7 peritorum aures
facile ceiebunt. Quaobrem exercitatio abfybeba e non mebiocris que
omniu magiftroru precepta fuperat.Quob fi quis nouerit grecas litterasiei
quob mobo explis cauimus non bif f icile perfuabetur ; (fxliii .
Partim l>ominu et eius abuerbii geminatione/ partim ^oruinu
venerant perfepe bicitur.Et.^v. gelio tefte eft ibem quob pars Ijominu
ibeft quib» Ijomincs^nampartiminfyocloco abuerbiunj
elt neqj indinatur cafus fine.St cum partim fyominu bici poteft
lbeft cunVquifcuiba fyomimbus et quafi cum quabam parte fyominu.Seb l?oc
tame cft fple bibiuskum in oratione iterum fuerit abbitum vt eft
illub.M, T.in epiftolis.nam qui iftinc veniut pirtim te fuperbum effe
bicunt/quob nicfyl refpo teas/partim cotumehcfuyqj malerefponbeas.
8t qui ciuitatibus perfunt partim nobiles funt/par^ tim
populares.quob elt aliqui nobilesfunt aliqui populares]>
^TxJiiii.Decimus quifc|; (f Xb ett optimum eognitu/ g» becimufquifcj}
eft vnus ex numero benario . ficut millefimufquifqs elt vnus ex
numero millenario.fyinc cft illub cefa ris in commentariis eognofcit no
becimuquec| ee reliquu militem fine vulncre.quo exeplo vti per=
pulcljru eft vt vix becimufquifc$ remafit fme vul
neremtaliconfjictuf ifxl v . Quotu fquifqj ; Q.uorufcquifqf
I;omo eft ibelt quot fyomines. Quotufquifcg rrnleB ibeft quot
milites; /Txlvi.PercJ cu pofitiuo* Per§ vna bictio bumtaxat
puleljerrime pottiuis abiucutur nominib^ vt percj> boctus
pr/ilofopfyus \t p per $ bonus
amicuS/ ^Jxlvii^lias geminatu locom tcnet mobo
abuerbii» Cuibillub.^nunquiblepibiffime vfurpamus/vt i oratione
eabem iterum alias vfurpatum /locu ops tmeat mobo abuerbii.Quale pffet fi
quis Dicat oes l^omines eobem ferme nati fut ingenio.alias qui* bem
ribet/alias vero lacrimatur. omes item riues alias boni alias mali.nuq»
eifbe fut monbuaf {fxlviiulnire caftra. M. Tfaitrjonius iuit
i caftra multifariam bicitur.' M.Tfatfyonius caftra petiuit ♦' in caftra
profecrus thik ab caftra cotulit . fe in caftra recepitife ao ca«
ftra perbuxit» 4jxftx7Vim'nti annos natus| Hic fyabet viginti
annos. quob veteru cofuetubine bicitur cotra pebagogam opinionem/aliiftg
ratio* nibus bicitur.J;ic vixefimu anu attigit.agit /bec^it
vicefimu anu etatis. vigiti anos natus eft.3? ^oc poftremu magis oratori
couemtf {Q ♦ £loquetia laborare ♦ Cicero laborat eloqugtia.
Cicero in eloquetia tera pus cofumit . tempus in eloquetia coterit.in
elo- quetia operam pomt.ba^eloquentie operam.etate in eloquetia
cdiumit. In ftubiu incubit eloquetie. '5
£t> alia oe&uc pro tuo iuUciof
{TIi«Habeo/teneo I?anc rem memoria. Habeo ^anc rem memoria non minus
vfit ate bici tur ♦' q> fyabeofiue teneo Ijancrem memorie.teneo
^ac re memoria /f;uius rei memoria fyabeo; fljii . Voluptatis me
capit obliuio . Obliuiff or voluptatis vel cuiufcun^ alterius rei»
vcluptatis me capit oMiuio.St ibem verbu cu ce- teris iunctu nommibus
fignificat biuerfa/cofimis h orbine ♦' vt capit me facietas ciuitatis
ibeft capit tne Jjoim obiu vel tebium; dJui.Contineo me
ruri/vel in vybe^ Virgilius incolit ciuitate l)cc perpulct)re
bicitut* cum teneo/ vel etiam cum cotineo verbo«vt virgj* tuxtfc
continet. Virgi.tenet fefe in vrbe; 41 liiii.Prefer et pre venufte
oftentaf aliquam rcm aliam anfeceifere. Si quis velit offefare
aliqua rem alia antecellere/ «t vltra illa valerc i venufte ib bicitur /
vei per ac* tufatim prepofita preter / vel cu pre ablatiuo prc=
polita. Vt cefar preter ceteros rebus bellicis polje bat» vel pre cetcns
pollebat; IjIvXelius efacili igenig vcl facilff mis moribus
natus. Lejios ftabs faciles mmsj ; vd f acilcm naf uram/
I ornatiusbicitur Jelius eftleui ingenio natus (
vel faciiimusnatusmoribus . Scipionatusefttrifti
ingenio.Stbereliquiscofimiiitcr; iTIvi. Valeo/polleo cu
ablatiuis. Valeo et polleo verba et fplenbiba fut.' et latiffime
patcnti x ablatiuo iuguntur.fyoc pacto, ; 7>vureliu& auguftinus
plurimuingenio valuit. ijypocrateai ingenii bonitate poUebat.Mitnbates
memoria cb ruit vel poUuit.M.cato in ciuitate plurimu aucto
ntate pollebat; (jlvii.Clareofpolfum. * Clareo et
poffum verba eabe ferme r atione fe ga* bent. cHgo apub bominum cefarem
multum (iue poffum fiue clareotomate et IplenbiOe bicitur^ a* pub
bominum ceferem plurimum mea ciaret au* ctoritas.fyortenfius rhultum
poteftin fenatu* or* ; natius/multum fyortenfii in fenatu poteit
aurtori tas .que potj{fimu jGgmficat eam opimonem que eftapub ijomines
be alicuius viri preftantia . que vulgo et trita cofuetubine reputatio
nuncupatur* (Jjyiii ♦ Sum batiuo iunctfi tyabere
fignificat.'et quobamo poffibere; Geterum ib perbelium eft.Sft rnidji
apub te fibea ibeft tu abfyibes micfyi fibem. quob eft accuratius
abuertenbum.nam plerumtj foiet fum es e verbil " batiuo
iuctu/ugnificare rjabere.' et quobammobo pollibere. Vt e micfyi
pecun/aiett cefari rnagna po teltas liue pietas^ilJub befignatme pecuniam
i^a= bere.fyoc rjabere cefare magna poteftate. Cuius cq. Ititutiois
crebra apub prifcos et bilertos viros ct« leruatio cit.
{Jlix.Recorbor fyanc rera.fyec res micbi in mentem venit. Ejo
recorbor r;ac rem potius § l)uius rei bicitur. Jst ibem bicitur ljuius
rei me fubit recorbatio.fyec res micr;i ln mentem venit lbeft micr;i
occurrit i vel mict)i fuccurrit/quobpoltteinum minus vfi=
tatebicitur? {T Ix.Prefto antecelio aliquabo cu accu? fatiuo
aliquanbo cum ablatiuo.' Prefto et anf ecelloCque venuftefonant
verba>li= quabo batiuo aliquabo acculatiuo perpulcfyre iun
guntur cum acceflione ablatiuoru eius rei cuius e preftatia. Vt ego
prefto tibi ingenii acumine.flo. preceilit petru acumine ingenii.equus
preltat afi= no velocitate curfus? flhi. De frequetatiuis
verbis loco primitiuorum/ £>cpe numero f requetatiua verba que
appellaf ur pnijuuuorw verboru a quibus traxerunt origine"
14 fignificatione retinet.prefertim fi prima illa
afpe* riora f uerit. vt coiecto pro conutio.mafo pro ma*
aeo.imperito proimpero . amplexor proample* ctor. ct alia itcm pcnc
inumcrabilia fi quabo etia verbi arpcritas vlla cotingat ,'quob
erubitorum iu bicio nunc berelinquimus? lJlKii.De et bis
mutant» Dc jttepofitio verbis abiccta pcrfepe cofraria mu<= tat
fignificationem vt prccor ct beprecor cotrana lut^ortor ct befyortor ,
Nonuno) lbcm bie eff icit vt fuabeo biffuabeo Quauis in iifoem vtfbto
no* nu^ auget perpotius cj vim coinutetj flixiii . Gx ct be
aplificat* Sx ct 6e vejjementer ampiiticat, Vt exoro .' quob ab ex
ct oro bebuctu fignif uat ipetro ? Tere.in a% gnatavtbetoro/vixc|ibexaro*
. iQxiiii.Suaoco perfuabeotfacio perficio, Sic et fuabco
fignificat oratoris off icium quob I benebico ,atc* perfuabco bencbixiffc
fignif icat quii cft oratoris f inis,ibeft impeteo atc$ obtineo ,
vnbe et crebro non folum fuabeo/ feb etiam perfuabeo£ beb i acio
etperficio explorata funt; {fixv.De abuerfatiua bictione*
Pfurimuetiam fermonem ac oratione exornat ab uerfatiua bictio quag?
ibicatiuo iucta, duob vbicj M.Cicero feruauit
aliiqs fcocfiffimi* feb I; uwe cx cmplum fit.Qua§ tc ante I;ac tiJigeba.'
nuc tame cbfmgnkrem vir^ufem veI;emiterabmiror. J\)a tha funt que
quobam fibi orbine luicem iugutur. quoru prius ac leuius e biligere i
pcftremum ab^ mkotlqixob ve!?en.es^ac precipuuiet eoru mebiu
ofcleruo quoi> cft vencror /et colo . cx quo obfer * uanfiam et
reuerentiam fignificat.Seb itcrum ali u5 exemplu quancp miclji fint omniu
amicoru io* cunbe iittreitue tame iocubiflime fuerut.Seb ct pro
Umen polt §uis raro collocamus. Vt qu*n§ micfji anfe ^ac carus eras,'feb
ct nuc pi ofecto a - riffimus^es; {jJxvuHonfolum y febetia*
verurnetia/ verumquoq?» 7Kb fjec jll* buo orationem pcruenufta
rebbut fibi inuiccm correfponfcentia.quoi n alteru eft non fo
lum/Cucnon mobo /fiue nontantu l alteru efeb- etiam/ vel veruetia/vel
loco etia pofito quoqj/ et aliquibusintenectis.quoru ommu exempla
fub= necta* fyec miciji res n^n folum grafa eft kb etiam
iocubatMtAntonjus non rrtobo ciceronis crat ini micus/vcruetiam Ijoftis
patne*M*Catoncn folu ingenio pollebatifeb etiam vurtute florcbat
pluri* mu ♦ftlexanber no foium reliqua vrbem iubegiti
is veruquo? ipf u romanii iperiu cogitabat attigere }
/Tlxvii.Tametcji. £t fic etiam tam et $ fibi correfponbe-f . vt tam
ca* ra micfy patria efMcj tibi iocuba vita ( ieb facile ttt
te boc mteUijes r (Jlxviii.cgoipfe pro erjomet?
Pro eoautem <$ ceteri exprimere cofueuere pros nominibu»
abbentes vclteveimet fyllabicasao* icctiones . Cicero potius lbem
eiiicitljoc piono* mine ipfe/ipfa/ipfum; quob illarum fcre abiecti*
onu locu optinet. Vt egoipfe magis q> egomet.tf Ieipfe 1 nosipfiivt
nucp lecus fenSbo U, {Jlxix.De mccum et mc cumf K\i* <ft
abiectio puldjra. Vt m?cum ipfe cogitafc fem.etfyoc vt mecum fit vna
bictio. Item me cum ipfeviccre.quombuefuntbictunes; {] Ixx. Vt
familiarinte couerlatione et (imiiw ornateexprimemns; Seb fi
tibibicebu «rt tu micfy familians es.'orna tius oicit* ego te vtor f
aiiianter ,Tu rnify amicus es .ego te amico vtor.Tu micty es magifter
iorna tius ego te vtor magiltro, 830 tecu f requeter ver
for.frequeT mify tecu e cofuetubo.que fepe couer= fatione fignif icat
Tecu magna amicitia ljabeo . ma gnamicfy tecu eft amicitia, 8t ita aiia
per murta. *v L Vtfit inicfyi cu
oib^ malis viris iimicitie.na recti= us bixcrimus iimicitic pluraii
numero/cp ficjfari. (Jjxxi .£3id)iJ cii cdparatiuis. Seb
neutra vox nid;il ac potiffimii in comparati = uis nominibus tu femim
rebbit oratione.tu ma= lcuiina. Vt nici;il cft J>oc fyomie melius/f
ere ibi | vt nulius jtjomo eit l;oc fyomine melior.Kityii l;ac
virgine eft formofius .' quaft nulla virgo fyec virgi ne e formoficr,£t i
ceteris aliquabo confimiliter; iflxxii,Munus pro officio/et coumiliter
partes; Munus pro officio ornatiffime bicitur , V t l?oc e nmici
munua ibdtamici officiu,Funa;or boni viri munere^ferme ibi cft facio boni
vin offjciu.Seb et partes plurali numero confimilem l;abet fcgnis
ficationem, vt mee partes lut lbeft officiu me vel perf inet ib
rae; (flxxiii»Caueo cum ablatiuo fignificaf pro uibeo»cu
accufatiuo vito ac f ugio . Caueo verbff etfi fepe fignifccat prouibeo.
vt tu eft lege perornate accuiatiuo iuctu pro vitol fugio vfurpant
eloquentes viri, vt turpis viri/ m genui cauent mores/ "% (J
Ixxiui , Memini cu accufatiuo/ fttqui et memini rectius ac vfitatius
iugitur accu fatiuo § gcuitiuo vt inenani plaiocis
fapiectiant» Virffi.inbuc.Stnumerosmemi fimeteverbai* ner«m . nec
miru f. in iis que funt potius folute orationis. Vir.ma.ois aff eram
teftimonium que" non folum poetam egregie erubitum* ieb et
rfceto hce artis vbic| obferuat.ffimu f mffe conftat. |TQv.Penitet
ibeft parum vioetur. Penitet me qmcquib f igmf icet notif umu" «f t
l feb et paru vibetur vfarpat auctores et t reftates boc= trina
vin» t ^ , , .. . {flxxvi, Vaco cum batiuo/attenbo cu
ablatiuo/ vacuumeffe. ( Scb ibem perfepe verbum vanis
coftructiombus cofitum/baub eabem retinet fignif icationis vrau
Vaco buic rei.'eft attenbo l?uic tei.vaco r,ac re.'eft W re fum vacuus I
et ornatilfimu eft, vt bom vin 4nt opera vt perturbatiombus vaceut ibeft
Iiberi et vacui fintr ; -• ■
iTlxxvii.Deaiabuertoetaiabuerfio. flmiabuerto ibeft fore
vibeo/et quobamobo mtel* Iicto Ht aiabuerto coftructu cu acculatiuo m
pre- sofita/ibemfibi vult <$ punio.Vt pleutippus ai= abuertit in
feruum platonis lbeft pumt platoms (cruum.cix quo aiabuerfio pumtione
quabam no nuq> l ^^ lii: p c x<i fa Q c ^ oa tiuo et
accufatie n cm 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 II II 1 M
II IIM|llll|lllljllll
4 6 7 3 10
i: 12 13 14 15 - ♦
mebiante ab. 7Ktc$ iterfi ref ero tibi l)ac rem ibfft narro
tibi fyac rem.feb refero ab fenatum/ refero ab popula Jtjac rem
ibeft pono f?anc rcm confultationem populi vel fenatus.Qui vfus verbi
eius apub fyyftoriaru fcriptores frequctiffime eft/
{JJxxix.Dare litteras tibi/vel ab te. Quib varii quoq? cafus /eibem
verbo fepe coniun= tii/nom magnam aclonge biuerfam vim f>abeV
Quale eft bo bibaculo ab cefarem litteras . Nam bantur bibaculo beferenti
/ vt cefari rebbatab que mittuntur littere.Sas igitur leQtt
CeIar.Bibaca= fus quibem velut tat Ilarius befert ♦ Na qui fert
Iras/confueuit tabellarius appellari ♦ Verum ne quib buius nunc ignores
bare lras fignifkat fcri= feerefeu mittere Jitteras/ <X
Jx*x. Vuas/binas/trinas/Iras/pro vna buabus t tribus ve epiftolis
bicim us/ Nec tef ugiat q> pro epiftola bicimus litteras plus
rali numero.Necobftatpoetarum cofuetubo ♦ £t pro vna epiftola bidmus vnas
litteras.Na ib no= me vnus.a.u -cu iis que pluralit' folu Iflectuntnr
plurale" quo<# retiet natura* Vt vne nuptie vne bi geivaa menia
.8tCvtabpropofitu rebea)pro bua bf epiltolis bicitnus ite binas littcras
ino aut buas IV. ) pro tribus cpiftolis ternas i
non autem trcs. pro quatuor quaternas . £t que beinceps funt rehqua
cofimili ratione proferentur; (JJxkk i . inf mitiua oratio pro
conc iunctiua peruenufte ponitur. Inf initiua oratio
pro coiunctiua pergjpulcfyra eft, V t volo te ab me Icribere.cupio
te atfyeuas proh* cilci . £t ib teretianu quib facere te in fyac re
velim ficmif icat eni quib velim quob tu in f;ac re facias.
velim ciues omes vnanimes efle ibclt q> vnanimes fint et
cocorbes.Seb fjoc tibi fit cocinnius vt nul= lum fit ambigui
iermonis bifcrimen, neq? eni om ninorcctum iit/fi quis oicatvoio te
me amare « g> uis pleruqi lb fuppofitionis lccum r;abcat l quob
1 i lmtiuum veibu mimebiatius precellent. vt puto
pyrrfyu romanos vmcere poffe ibilt crebo cp roma ni poffot
vincere pyrrfjum, kb ib pro viribus ca= ueat orator.St quob mobo
prcceptum eratbe co ■ iuctiua atcg mf initiua oratione precipue in
abfola tis verbis<vel vbi alteri calui i uerit abiecta
propo {itio feruanbum fit. vt vofo te amari a ine; {£
l.\xxn.£x vel £ pro a vel ab. Ex vel e propofitiones pro a vei ab/et fepe
et pers ©rnate ponutur. vt aubiui ex maionbj nris pro i maiqnb$
nris.accepi ex patre tuo vel e patre tuo* *
lllllllll cm 1 7 H
10 11 12 13 14 15
IZ Cluero ex te et a te.'quob eft te confulo/et te
intsr rogo.Quob abuerteiet vlui trabe* (£ixxxiii.De
pro/Ioco in et fecunbujm Pro ornate ponitur loco in et fecunbii .
Vt pro ro ftris .ibeft in roftris.pro tribunali ibelt in
tribuna h. et alia . pro viribus tuis ib eft fecunbum tuas
vires.pro tui ingenii bonitate.pro virili tua.et fi= milia/
__ (Jlxxxiiii ♦ Sub ia compofitione aut dam/aut biminute
fignificat/ Sub copofita aut clam aut biminute fignif icat vt
fubrnouit me permeno ibeftdam et occulte.fubi^ rafcor tibi quob eft
pauiulum irafcor» {Jlxxxv . Mor emgererc complacere / obfequifignificat.
Moremgerere perornatum verbum complacere fignificat/atqj obfequi vnbe
moriger a.um. quob a morofo quob bif Lcilem fignificat i et a
mojrato quob inftitutu fignificat plurimu biff ert? 42 Ixxxvi.Confequor
pro exprimoj Confequor pro exprimo pulcfyemmum eft.Non poflu ego
verbia cofequi ibeft exprimere . Iitferis cofequi ibeft per lras
explicare; {fjxxxvn.Metuo timeo multis cafi- bu3
coniunguntur/ •*> "V* Metuoettimeo
verba aliquanbo tnultis cafibus ab.unguntur ,Metuit Cicero a.p.dobio fibi
extre mu periculum,Tim«omicl?iabfternortem Ncn nun$ abfolute
ponutur folo batiuo liicta . vt me= tui papl?iIo- papfyili vite timeo ,
kb fyc eft poUus poeticus^fus/ {]Txxxviii.8uabo pro
fio/et efficior. Suabo pro fio et ef i icior ornatum vfitatumcp
eft, Vt dcero euafit eloqu€tiffimus.ftriftoteles eua* fit fumus
pf;ilofopr;uB , cefar vero euafit inciitua imperator.St bz ahis quogj
fimiliterf {J lxvxix.Fore futurum cffe. Fore f utura femper
l?abet fignificationem . et eft ibem <$ futurum ee.M.G. be eratore
tertiolibro loquensbe fyortenfio, Que quibem eortfioo omis bus
iftia laubibusi quas tuaorationecomplexup es excelletiore fore.
8tcraffusforebicisinquit/ ego vero effe iam mbico; {£xc Quib
Iter bimibiu z bimibiatu itereft Quib inter bimibium et inter bimibiatum
inter fit nofce perutile e.Cum enim bimibiatu fit quafi in partes
buas biuifumi nifiaiiquibbiuiuim fit/ bimibiatum non
poteftbici.&imibiu veroappella tur no q> ipfu biuifu fit/feb q ex
bimibiato pars al tera eft .Hd jgitur recte bixerit quis pco
fetentta/ \3
M.varronisCvtait.ft.gelius I noc.ae)bimibiulJ fcrum Iegi.bioiibiam
fabulam aubiui. feb bimibia tu libru i bimibiata fabula recte quis bixerit.
quia &imi:<iatumCex caufa)bigitum appellamus. feb al
terufram parte bimibiu.Quob eft accurate bilige^ tercg afpicietibum
. (jxci. Interfum et prefum quib bifferut; Plurimii aute
cobucit vcbis itelligcre que fut no= minu bif feretie/ac verborum
bilcrimma 8a quo- q res miru imobu oratione exornabat. Vt fi quis
nouent quib bifferut prefum/et ir terfum interfe verba.'puJcfjerrime
bicet.M.C.publicis negociis «on interf uit folum .'fcb pref uit . quoru
illub figni ficat comitem effe alicuius rei.fjoc vero buce>
^[xcii.Confiteor profiteor gratulor gaubio* Egonon folum
cofiteor/quob eft per vimifeb tti am profiteor quob qmbe eft fpote.St
apub Mar. Tulliu peifepe tibi gratulor.micfyi gaubeo. gau bemus
nobis* gratulamur aliis cj> abepti funtali qua bona/ ; -4jxcui*#vgo
ref ero fyabeo bebeo; Bt tibi ago gratia quob quibem eft
verbis.Refero gratias quob eft re et factis.Habeo gratiam quob efti
animo.Debeo gratia'vbialiqua obligationis vis ceroitur.Etite alias
opiniones Jjis fimries? -rf •
{Jxciiii«Hec res mi\)i cobucit.bono tc i;ac re. Optimu cft non ignorare
nominu bii i erentias vt ct vberior et ornatiot nra rebbatur oratio. l?cc
res micfji conbucit* elt lbcrn q> mic^i rcs fyec vtiiis eft St
quob ceten pleruqj bicunt/ bono tibi f>ac temi pulcfyrius bicitur ac
Iplebibius bono tc I>ac re* Vt miles nauali corona bonatus e!t«Sabinos
romani ciuitatebomuerut/quobeftciuesfecerunt ♦ quob ite bicut
labinos romani I ciuitate acceperuntf {£xcv* Prepofitio que iolet
abiungi nomini pulcfyrius vcrboabiungitur* Jnterbu vcro
prepofitio/que nominj ac cafui pre== ponitur l pulc^rius venuftiuicg
vcrbu preceltent in quibufba verbis ♦ Ooiale cTt Ii quis bicat co
ab Ul vt bicat potius abeo te. etloquor ab te/ potius afioquqr
te.Cebit bc vita.'becebit vita. ccbit ex Iju manisrebus' excebit rebus
fyumanis ♦ £t in aliis quibulbi cofimihter. ^Txcvi*Minus
abuerbium. Minus abuerbium quaq» fepc iiapii icat nonnu^ tame cu
pofitiuo iunctu cotrane fignifrcationis co paratiuu bemoftrat* Vt
Teretianu lllub p^ebria^ nemo fuitirinus incptus'pto prubentior.
etne^ aio elt tc minus formoius lbeft beformior 4 et fic be alus
coitmilibus; 2 o ^JxcviuQoiib inter becem annos./ et
becem annis intereft Quotiens multos aut bies autannos bicimus per
accufatiuuiitelligimusiuge teporis curriculu efife £ere cotinuu^Seb per
ablatiuu fignificatur anno- ru fiuebieruiteriectio/intermifiioi^ . Quare(
vt ait marcellus^optates rectms acculatio vtibebent fiquibem ab
fecuba fortuna attineat, In fereft jgi- tur ita li quis bixmtJbece anos i
re militari verfa tus (uia ltaibece annis bebi opera rebus bdlicis
; 4jxcviii»Corbi eft, Corbi l?cmo etia flexibiliteir corbi
l;ominu(vt pri fcianus Iquit, Dgificat iocubus fci.bo* ficut et
fru= gi.Seb iatiusUnca fetetia; Marcellus dpinatus e. Dicit eni
corbi eft ibeft animo febet* Nam fyec res mid^i corbi eft ibeft placet*
Teren.in abria ^n ti bi l?e nuptie fut corbi^M*Cicero be perfecto
ora= tore flumealiis verboru voiubihtas corbi eft . £t Lucilius
probe beclarat cu iquit.St quob tibi ma gnopere corbi eft* y micl?i
vefyemeter bifplicet^ {[xcix.De Tatifpei:. Tantifper qucb quafi eft
tambiu Qrnaf e poft febepofcitbum» quobfermeeftfconec ♦ Vtillub
Terentianum in ^eauto.Tantiiper meum bici te yolo.'bum
qucbtebignumefaqias. i 8gotantiIper magna voluptate afficior/ bu
apub te viuo? {jC.quib Iter Delecto et oblecto itercft. Tu
micl?i earus es.ego te amo.tu mil?i iocunbus es.ego te bclecto.feb
belecto ct oblecto non fimilis ter ffruuntur» Nam bicimus belect.it me
rjec res. feb oblecto me ac re. belectabat Socrate vite intes
gritas.Pitfyicus fefe virtute/ et loctnna obiecta= baUego me
oblecio ruri/ ^JGuFero banc re facuVmo* befte/moberate/equo
animo Fero fyacre pacietor feu patienti animo/fplebibiusr bicitur
.'ego f>ac ref acilepafior .et mobefte fero/z moberate/ct equo
almo.Ecotra fignificatia abuer bia grauiter/acerbe/egre/molefte/et
iiquoaimo. Ijec micfyi iocuba rcs e.fyec res placet micl;i,et que
molefta eft/bifplicet; <£C.ii.be Affero.et bolef micfji*
^ffero comunilTimu verbu ilet quo mulfis locig vti poffumus.Secuba
fortuna affert micf» vofup tate ibcft mc bclectat. Tsbuerfa f ortuna af f
ert mi= cf;i bolore ibeft bolet mitfyu Nabicimus z fyec res milji
bolet ibeft boleo fyac re.feb rebeo vnbe bigref fus fu. liftere tue
afferut micip abmiraeione lbeff eftitiut vt abmirer. affcrsteftioniu
ibeft teftifica= ris z ita bifperfa e z vaga fjuius verbi fignif
icatio/ lllllllll
cm 1 7 H
10 11 12
13 14 15 _Ciiibe perinbe cu afcg vel ac
poftpofita* Pennbe omatiffime poftuiat poit fe ac / vel atqj ct
totu fimul perinbeae vei atqp fyabet eabem vnn quam vt tanquam, vt
CamiJlus perinbeatcp oim fapietiffimus.et cfjerea perinbeac foret
eunuci^us et be l?ac re fatis r;ec bicta fint fyactenusf
{7Ciiii.be Coco» Coeo nonlolum abfofutum cft/ feb nonnuqj
per= uenufte cafu fyabet accufatiuu . Coeo focietate tecu Et ijinc
cft lilub» 7K* gelii in noc aube pitagora/ beqf cius conforte ♦
quobouifcg familie pecunieq? Ijabebat / in mebium babant i et coibatur
focietas infepatabilts, Sebeobem cicero pacto aiiquanbo eft eo
verbo vfust — CLCv^De Mille fyoim in finguiari numero NiHe
fyominum fingulari numcro fignificat mifc le fyomines.mille militu
interiit fyoc eft mille mi- lites interierunt» mille militu vulneratum
eft ib cft millc vuinerati funt milites.ibcg ornatu/vfita=
tumqj eft}L_-_- {JjCvi.be Primis» Primas fignificat
etia orbinem quob nome fcqui tur fecubus et tcrcius.et beinceps alia
eiufbem or binis nomma.tame multociens fignificat pricipa le . vt
fyic eft noftre ciuitatis vnus omniu primus li
\\\\\\\\\ cm 7 H
9 10 11 12 13 14 13 t per fe
fignif icat optimu.,feb ib poftrenjij in caro e vfuora torum*
(Juvii*De interbico* Interbico fibi I?ac re; et non fjanc rem»vt
int«-bi= co tibi aqua et igni*plinius fecunbus in epiftolis» caret
rcge iure'quibus aqua et igni iterbictu eft/ {1 GviihCXue noia
ornate fincopantur* Hunc vero ab reliqua neq; eni iuitus omiferim q
que nomina ab numeru fpectat in eoru plurahbs genitiuis lincopa
efficiunt«ibqj cum vfitatum eft/ tum ab exornabam pertinet oronem»vt
mille nu^ mum potius <$ mille numoru*mille benariu mil- le
aureum*et totmilia argentu . et ita be reliquia et in ijenitruis omnium
nom mu fecunbe beclmatj on>s frequenter eff iciunt*
IjGixyCitra cgtenariu ef poft vigemriugi minor numerus maiorem
eleganter precebit/mebiante coniunctionef Ssb prokm fcribentes /et
foluta orone in nomini fcus lolu numeru et mefura [ignificanhbus l
atqj in numeroru nominibus eam plerunq; feruarnus cofuetubinem et
citra cetenarrum numeru * ii qua bo poft vigenariu buo numeri comemoranbi
fut/ vt eoru minor precebat et maior fequatur ' vt i)ic e vnu et
virjinti annos natus»buos et tricjit^ anos . iz
viximus.tres et quabraginta anos nauigaui . qua tuor et
quiquagmta annoru confurrfi etatem, ieb vltra ccntenariu/et citra
vigenarium tritu ac vul garem Jeruamus morem et fermonem . 4jGuob
aute ficut buo be viginti nonnuqj» bicimus/ et buo be triginta.'ita et buobeuigefimo
> et buobetrigefi= n;o nunif citu eit, feb no quibem eft in
frequenti oratorum vlu/ 4$Cx. Inbies et inoiem . Quib
inbiss i none pulcfyerrimus fermo eV ac fig nificat per lingulos bies/et
quotibie i feb cu quo= bam incremento, vt tua inbies accrefcit
virtus.in= bies fyomines fapiunt.ftultorum fjominum mbies accrelcit
mfamiatfeb Qum bicitur inbiem eft termi nus beputatus/ {Mpxi
. Vt in ve* bis actione aut paff ione Iignificatib^ vanetati
ftubenbum. In vet bis tam actior.em q> paffione figmficatibus
confiberare bcbemus varias vocum lnflectioncs / atcjj exitus . et mcbo
fyns mo illis vti pro auriu iu bicio.vt fuere pro
fuerut.amaruntproamauerut vibere pro viberiit.norim pro
nouenm.triupfya= rantpro triupfyauerant.et be aliis quocj! eobemo,
3eb ne quib fiat cotra gramatice artis preceptioes fyac via prpwbcnbum
eit; -■ « '
,Xxii.oe Cluin. auin particula quomo increpet/ vel exortetur
i quom5 item confirmet et quomobo interroget iib fatis exploratum
eft . feb nos ea pulcfarrirne vti* mur.'cum bi cimus.'nonpoffu quin
gcftia.no pof fum quin boleam.no poffum quin abmirer. figni f icat
enim f ere me non pofle continere* g> non &> leam ,et ita be
cetens confimiliter. rftxiii.be Locus eft vel Multum aut
nicljil loci eft ljuic rei . Quib inWnone preelarum eft vfu.locus eft
l?uic rei.multum loci eft gaubio. plurimu loci eft trifc
quillitati.et terencianus bauus.nicfyl loci e fegni cie.'fignificant eni
fyec omniai vel oportere nos le tari/vel tranfqutflos effe* vel voluptatibus
afficii vel oo negligetes ac fegnes ee« et fic in i aliis fyu*
iulmobi<JOdiu.be Magnopere et fimmbus. NonnucJ verobuo nominaCfiue
prepofitione ab= bita/fiue non>nius abuerbii vim retinet.vt mag
nopere pro valbe. maximopere pro plurimu.m* iorem lmobupromaximcmiruinmobu
promi rabiliter.etjtem mirabu inmobum. ^Jpxv .be In primis et
fimilibus. Seb ablatiui cafus / fme cum comercio prepofitio nis
fiue (tne eo vim Ijabent abuerbii ♦ vt in primis fignificat zm precipue ac
prefertim.et ib^vi gr cci bicut)ibuerbiu ipfum(fi lta appellabu eft)
peror- nate nomimbufiugitur.vf in primis fapiens.ipri «ijs
erubitus.Seb nc a propolito bifgrebiar^pau* <is mterbu pro
paucu/multis pro multumt Veru J^ccaliojoco pportunius illo*
ijCxvLbe ©ent cu noie magiffratus fiuc iperii Ilic etiam rnobus optimus
eft+vt li quis bicturus dt qucmpia homine aliqucm ^abcrc
magiftratunj vcJ i?qnore/feu ipcriu vt ex noie l;onoris eiufmoi et
gero geris verbo pulcljerrima coftituat ordne. ^oc pactoi^ic eft rome
cSfuLrome cofulem gerit. ita cofimiliter imperatorem gerif . principem
ge* wt.pKetorem gerit et alia cofimiliter *ab ijofcc eni viros remm
cura et abminiftratio pertinet. ([ Cxviitbz intcrlcg«nbumyet
fimilibus. Vfitata et perpulcijra eft fermois oratio/vt geru^
bioruaccufatiuis prcpofita lterfignificct tempus imperfectuinbicatiui vcl
fubiunctiui mobi vel al terius ct bu par ticulam .vtinterabuianbu
^oftes offenbi.'J?oc eltbum ambulaKcm*interlcgcnbum vibebas t ibeft
bu legeres . £t fic pro varictate per * [onarum ita cxponenbum cft vti
mobo explicaui^ mus.fcSicferuius in buc.vir.Interagenbum ib rft bum
agis.l;onefta locutip fi bicamus intercenabu
>-!> G\ co ■r* KQ
■m ■^T ■c*>
CJ tfttM llllillll 7
H 9 10 1112 13 14 11 T
• \)oc fum locutus ib eft bum
cenare Ijoc locutus fu. 4jCxviii.De in pro erga vef cotra. In
pro erga ct c5tra pulcfyerrima e accufatio pree pofita. Vt meusinte
animus.mea mte beniuol.n tia.vbicj enim fignificat erga . luucnalis
muefyt in bomicianum .Ciccro ljabuit orationcm in Cati linam.ibi
eni contra fignificat. |£Gxix.Deappnme. ?7ypprime pro valbe
recte apponitur noibus.que? abmobum be imprimis fupenus bictum
eft.vt Virgi.apprime nobiha res.appnme vtilis.St ita beaiusfimilibus.
4j_QiKf Vt res apte coi ungitur abiectiuis polielliuis. Rec
nomen latum / bif i ufumc| eft. feb eo pulcijer rimcvtimur cum abiectiuis
poffefliuis nomini' biis/ et prefertim J?uiufmobi. vt cu bicitur res
bel Iica, res bomeftica.refpublica. res familiaris. re«
nwlitaris.Et be fimilibus paritct . 4Kxxi.De preftolor. Vt
aliq veluti fignanba mftituam preftolor vei" bum plerumcj poete
accufatiuo iungunt . Gicero connectit batiuo. Vt quem preftolariB.'*
preftoior iol?anni^___- :ii . J^vffentior ,tio .
Impartior .tio . 2V Multa funt verba quibus per eaoem
Cignif icantia et pafliua vtimur voce et actiua,et(vt omittam p e
nc innumerabilia; ciceio frequeter m r;is buobus mobo actiua mobo paffiua
voccm vFurpat. s£,enti or et affentioi vbicg eabem coftructicnis forma.
et impartior /et Ipartio.in ceteria autem ifc fii mult© unus.
dCxxiii . . Vfu venif ♦ Vfu venit ornatiff ime pro contingit
ponitur/ ([Cxxiui. V furpatio et vfurpare. Vfurpatio et
vturpare non lta intelligi bebentifis cut mrifcofuJti vtunfur. fe6 vfurpationem
orato? rcs f requetem vfum nominat/ et vfurpare in fre- quenti vfu
fyabere/ {jGxxv.Deficit cum accufatiuo. Hec res me befirit ib
eft beeft micr;i Ijec res» vi bc= f icit me bies. vita cpprimum mortales
beficit ♦ f ep beficio bac re magis poetarum eft. {jHCxxvi
Omnis pro omnes. Nunc aute ne ea que perutilia funty i ornatiffima
omittamus. intellicjenbu eft q> que nominatertie bcclinationiB ta
nominatiuu q> genitiuu fingulare" fyabet fimiies i prefertim Ji
gewtiuus pluralis in ium esiuerit ecru frequtter accufatiuus
pluralis in is terminari folet raro in es . vt grnnis pro
oes mortalis promortaks.manispromancs, fimifc terCvt ipe quog?
teftatur priftianus Ji es et is ternu nantiareperiuntur. vt f ortis et i
ortes / partiset partes/pontis et pontes . io rebquis rarius ib fit
que eft poetaru veniaf {TCTxxvn.De pofrnbie. CXucbam
abucrbia funt que epiftolis maxime con ctruut.ficut propebiem/
cjprimu/cito/cofeftim/ et poftribie. quob multi ignari htttram / et
gra< matice artis expartes exponut poft tres bies . ieb tuCnc
eobcm bucaris errore)crebe poftribie fignis fkare poftero
bie/eteopacto.M.C.accepitto alii crubitiffimi virij
4$Cx xx viii . P rimu /beinbe / prctcr *a£ ab /1)oc /poftrcmum
♦ fttfi quis multa referre velit.'pro prima rt ponai erimu vcl
primowtiuuj eni in vfu eft, profecute oeinbe/velfecunbo loco.protcrtia/
preterea. vel pro tcrtio loco.pro quartoCquob perraro accibit) ab
hoc vr prcterea vcl quarto loco.in calceipoltre mo/ vd poftrcmu/ vel
bemum.at igitur l?uiurce= mobi exemplu. tria fut que magna micin af
i erut voluctate.primuenicf optimuamicu nartuslu beibe aute cj>
finguiare tua crga mefepe tefohcans beiuoletia poftremu vero /q> tc
icolume mteliexir {JCxxix .be orbine fyaru coniu
n= ctionumeni/autem/vero» &ua in re ib quocg abuertenou
eft/g> fres inueni= nras coiuctiones recto atcp vfiiato orbine.que
funt eni/aute/et vero.feb tuipfe tyec oia ac multo plu= ra raule
cogncueris.^fi ciceronis Lriptai et in pri- mis eius epiftolas lect»tabis/
(£Cxxx.Mcmorie pro s ifum eft. Memone prohtu ficmat fcnptu eft.
multa enita= lia ornatiffime vfurpantur vanis cu fignificatus, vt
memorie trabere.mabare fcriptis.mabare litte* raru monumetis.quoru fermc
omniueabe vis eft feb manbare memorie aliub fibi vibetur velle/
{JCxxxi.Falht me bcc rcs. Fallo verbu tritu eft apub Cicerone. f
aliit mc r;ec rcs bicimus.fallit te fpes.quob e fruftratur et beci
p it ([ Cxxxi , Miflu f acerc . Miffu facere ib e bimitterc venuftu et
ornatu eft, nam miffam Ijanc rem f acio fignif icat bimitto xl= lam
rem/ (jXxxxiiii.Hc quibem» $bf;uc et in eabem oratione buc
f;ee particule/ne et quibem/pulcfyerrjme futifi quis f uerit ilhs
rec te vfus. nam cum ponuntur . ; femper aut aliquib bictum cit(
aut mentc ib concipitur ♦ vt ne aubmi
cT quibem.fignificat euiraQ exempli caufa) non folu non
vibi feb neqj ctiam aubiui . Item aliub exem- plum pfylofopijie ftubia
bemocritus n5 mobo n5 intermittit ;Ieb ne remittit quibem.reaiittere
na<| pfyiam cft remiffius pfyilofopfyari? i| Cxxxiiii.be
orbine pluriu fine coiunctioc Scb ea quoq? abljibeba biligetia elt
q> li quabo plu ra ponimus preferti finecopulatioeCqui
articuius eft et fi ibi vibeatur fignificare quob vefyemetius
fonat magis coilocetur i calce.vttua virtus lauba ba probaba
e.na probaba eft rnagis q> fit ai mbicio Magitratus
biligere/amare/colere oebemus.pro bau3miosvirosomnesf;omines
verentur./ ob* fer uat / abmiratur . quc turpia / obfcena i tetra ;
f cba fut.'ea fugere et afpernari bebemua. virtutis offi=
cju fuma laus efr.na l?abet officiu accelfione actio nis.
(JSeb i l?iis quoq? orbo quibe fpectanbus eft q> fi tria quoru
buo parte aliqua ugnificenti tercis um lit communius^ib prof ecto
plcrumoj bebet in f ine collocariinili fe fyabuerit qucbam generis
mo bo.tunc enim ecotra fit quob nunc liquibo ac pers
fpicuo patcf accre exemp{is«ac prioris quibe excm plu cft.oms
in abipifcenba virtute cura/opera/bi- iigentiaiponenba e. eft eni
cura confilium animi,' opera corporis i bihgentia
vtrumqjcomplectitur. ► 1 -*
cm l 3 9 10 11 12
13 14 15 T
IC Item inrepublica
plurimumi&uftrie/laboris/ te poris ponen&u eft,#smicos confilio I
viribus ©pe- ra abiuuare bebemue. /Cylterius nof a exemplafut l ion
lunt per fc rcs comobe ex^eten&e bjuicie/tjo norcs/voluptates .
comobum eni generislocum beiinct cuius fpecies funt multe.puta quas
mobo nuirerauimus./Atg item animalia queqjV fyoines
Ieones;equi/bcnu vibetur appetere . feb vUamc| resfele fyabeat.Ii multa
fint,' quobpluriseft/ bc= bet poni m finc.iam ab alia prccebamus;
{[Cxxxv.be Qanfquis ,' vtvt i vbiubi, Multocicns gcminatio in
quibulbam tam verbis infinitis q> abucrbiis tanti valet quati i&
nome fel' ct cuncg. vt quilquis pro quicuncg , quotquot prQ
quotcug. quatufquatus pro quantulcucj» qualif= qualis pro quaiifcuqj.
vtut pro vtcuqj, vbiubi pro vbicunq? . ct ib abucrte biligenter/
(f Cxxx vi . ^vcccbit. ^ccebit proabbitur/§ vfitatum cfttam pulcfyer=
rimum vibcri bcbet. vnbe et acceffio abbitioncm fignat. vf ab meas
miferias mictji acccbit bolor ib eft abbitur/ {[Cxxx viii .
Conf ibo , Cofibo non ficut quiba arbitraf ur( nefcio quo pac
to)ftruit J ,13 iugitur aiias catio ahas ablatio cafui
**n ' .
et in fyiis potiffimu verfatur que ab animum fper= tant. vt
confibotua virtute/ tuafyumanuatef tuo confilio.et lbem be aliis
fyuiufmobi/ (TCxxxviii.Crebo pro cornitto. Crebo quocg pro
comirto ornatiffimum eft. vt crc bo tibi confiLa mea. crebo tibi granbem
pecumam et fic be aliisr/ ^[Cxx.vix.C^rahbismaior vel
minornaftu 0ranbe abiectiuu nomen pvoh vel etati conuemt/
vel pecunie. pecunie exepla fupra pofuimus . leb l?ic grabior
neftorc vibetur ib § vibetur qi ncltore vincat etate et
atecebat.r;ic tit graoisnatu/ajrabife fimus natu.fignificat Iogeuu
fjonine / atcj atmo-- bu fene.St quia be natu facta meeioi^ maior
natu otnatifiie ficmif lcat feniore.' ficut mior natu ib eft
,be Parentfyefi. {J. iuniore/ Infuper^aubiHepiba fit interpofita
nonnuncp in oratione/atcpinteriecta parentljefis . vtbebifti ab
meCque mea eft fumma voluptas)fuam(fimas lits teras.omnes amicos(nifi
ialloOpJurimum abmi ror.fcire velim exte(ea nacg eftamicorum cofue-
tubo)quib nuperin caufa.M.Tfaitoniiegeris ♦ et iti bemum(repoftulante)
noftraram Jjuiufmobi oratione interpofitionibus alpergatrtus/
(TCxll.be Incrcbuit, * M II 1 1 1 M llll Illl cm
l 6 8 9
10 11 12 13
14 15 T 1 l*- 1 Hecres apub me
lerebuit/et fere %nif icat ab au res perueit^et rei noficia fignat/
CljCxlii. Vt nos nefcire quib feicemus» Nefcio t)ac re.ignoro/
preferif me ♦ f ugif me. la= tet me.fyuius rei nefcius fum.ignarus
fu.jpec res fcietiam meam f ugitf CjjCxiiii.Reliquu eft^pro
reff at. Hoc refiquu e i& eft reftaf /perpulcfyre / et magno
euornatu lbem fignificaf /exemplu eft.omnia tibi ctnatura et fortuna
tribuitreliquii eff t 'vt bene et iaubabmter viu?S/
(tCxJiiii. VuJgo ib e vbiql Rumor e vulgo/ibeft vbiql et
comunifer&icifur et ornatus fermo eftf {J^Cxlv.^vccipere
pro au&ire et cognofcere ^ccipere pro au&ire et cognofcere
peruenufte bi* titur.vtacccpirumoribus/quoruelcertusauctor
acccpi ljolm fama/ que certoauctore cotietur.acce pi nuciis it> e
nuciatioibus.quos nutios z qui mit ti affert.accepi litterisquas plerucj
abaicis accipi mus.et I aliis cofimilibus lodsf (ffjxlvuHike
Ijofce })*ke* Prono% articularib| bemoftratis cofucuerut ora tores
abbere ce a&jectione i iis cafib^ qui i f.bcfiuut tupljonie ca\vtl?iice
fyofce tafce pro jjis fycs feas/ mn V-'
CfCxlviibe tranftatione fyuius pi-epofitiomscum* cp*
prepofttio que preponi fofet / poftponitur ecum fi fi jnif icantia eabem
manet . et in quibufc bam juibem femper. que funt mecum tecu fecum
nobifcum vobilcum . in quibufbam qupqj non fe- per, vt qui cum/quo cumV
quibus cu/ te proptet ac etiam propter te lbem fignificant. et fic
quibus cum « t cun quibus • et in iis potiffimum ea pre* pofmonum
tnnflatio fit que wb enumeramus, ^XCxlviiuClam prepolitio potius cp
abuerbium» Clam plerumq? prepofitio eft.et nonnuncj abuer- bium*
(eboratores prepofitionem potius accipi* unt ;fiue iugatur ablatiuo vt
prifcianusfetiti i;ue accufatiuo/ quobopinatur bonatus* vtclamme
prcfectus eft ib dt me nelciente/ iJjCxlix.Cora et prepofitio et
abuerbium» Coram cum accetu in prima lillaba prepofttio eft et quib
fignif lcet nemo eft qui nclciat.cum accetu vero in vltima fillaba
abuerbium pulcfyerrimum eft fignif icasCvt ita bicam)prefentialiter. quo
fre- quentiflimeviriboctivtuntur.vtapubM . Gces ronem.cupio tecum
coram iocari ib eit prefentiali ter.etiam coram tecum
loquor* * ! ■ * * I 2* ^
Cl.Deabuerbusin.I.et.V.befinetib^. Multa abuerbia
in.I.exiftetia etiam I ipfis epifto lis pulefyerrima funt.feb i;ec
imprimis ruri vefpe ri/bomiybelli.Multaitem ino
fero/Icrio/conlul to/poftremo/falfo/merito.precario. Cetera
vero in eobem exitu beunentia ljaub in frequenti funt
vfu oratoru» i n v vero non multa funt biuicuius fignihcatio
manifefta eft.Ioterbiu/quob eft quafi infra mebii bid temcus.£t
noctu pto nocte.quob magis nome e. Vnbe biu noctucg bicimus;
(jXluNullus pro nom Hullus«li.um.n6nu§ pro non.prefertim fum
/es cft verbo abiuncto.vt nullus fum.ibefi interii.ref pu.nulla
eft ( quau non eft lbeft extmcta eft. Ibc| ornatiffimu f
uerit. ^7CIu\Preftofum.ib e affum vel appareo.
Preftomm/fignincataffum. et f ere appareo . et Dc ibem
abuerbiuj eiufbem verbi moois omnibus ac temponbus peruenufte
conuectitur i m eabem qua mobo pofuimus lignificatia . vt prefto
micfyi fuit feruus tuus vrbe ingrebienti / lb eft affuit.
([Cliii.Licet micfyi bono vito efleivel bonum viriun.
Licet micfyi bonu virum effe et licet micfy bono vi ro elfe
vtrumcj latine atcj vf ltate bicitur ♦ Seb 10 goftering magis
oratoriu eft* d^CuiiifPcirpetuu et Iperpetuu aouerbia?
Perpetuu et imperpetuum abuerbia pro eobe po s niitur ♦' et eis f
requeter vtimur* CjClv.Deuindo proobligo» Deuincio verbum cum
pulcfyerrimum e.tum pre cipue eplis congruit . fignif icat et beuincio
oblis go / et bevinctus obligatus / ficut et fepe obnos xius
♦ quobnonloiumtritomorefigmficatquoo notu eft.febetiam beuincturm
(fClvi • Collocare apub aliqui beneficiu. Collocare apub alique
benef irium eft alicui benefi cium facere, vt apub gratos viros
beneficium col iocafti* (IClvii.Gratificor» <5ratif
icor libi fyanc rem predare vfurpaf ur / prp gratumfacjo»
([Clviii.De "inbulgeo et ignofco. Jnbulgeo fane verbum eft
aptiffimum et fplenbis bi ornatus. quob et batiuo iungitur t et f erme
\i- gnificat bo operam, at(j ita reponitur ♦ vt fyie nis mio fomno
inbulget. ib eft nimis bormit mmio d bo inbulget / lb eft nimis comeoit .
be aliis con* fimili pacto. H Inbulgere quafi concebere eff verbum
luxurielam quanbam Mignans clemetia 1111(11111111 llll cra
1 6
8 9 10 11 12 13 14 15 13
tt in&uicjentem paretem appelfamus/ leniore er= ga Iiberos
mgenio.quare z ab ignofco piurimum biffert.eft enim ignofco parco.ibeit
bo venia.fme excufatum fcbeo.ignofco tibiifiquibCexepu cauz
faJabmifens lceleris . inbulgeo vero i vt multa a= cpre impune queas.
quorum verbgrum bifcrime i>il ^entifFime conliberabum eft/ i]CUx
Tantus quantus, ({Tantus.ta.tum.etquantuseobemobo fefyas bent
in 01 atione vt raro alterum abfgaltero pona tur. vt cor.cio l?ec tanta
eftiquata ante^ac vn§ fu it.tnbuis micl?i tantu quantum necagnofco /
nec poftulo.tdntum in te eft bocfrine quantum 1 boc= tilfimo fo 7
et effe viro; iI_Clx T a»a qualis? Taliff et qualis alterutru
creberrime ponitur* ra ro vtrucj. vt teie iolemus fentire bonu viru/et
fub Bitelligimuf quale biximus.z ecotra.orator eilfu ftris qualis
alter nuilus reperitur. veru l?ec be f)is htiBt ^LClxi. Vel pro
eciam, tVel pro etiam particula I multis locis rectiffime
congruit.vtfyambal fuit imperator velomnium primus.tua eximia
virtua vt tearoem velmaxie impeliit. ([CytVfrforj
» r Verfor verbfi ifl f requetiffio e vTtt veteru ac
oifer toiu foofni . perbif f nlaqj e eius verbi fignif icatia
ac beno variis poteftrationib? expoi.vt ego verfori
Iraru ftubio ib l bo opera lraru ftubio. virt us circa
bifficile verfatur ib e virtus i bifficiii cofiftit. ver*.
famur in tenebris ib eft f ere fumus ac viuimus et quafi
ftamus in tcnebris.etCquob eft exemplis fu perioribus beciaratum)
buos fibi plerumq? ac fre* qnetius cafus poltulat. nam aut
acculatiuo uingi* tur/precoata circai aut ablatiuo in precebete .
na cu acanatiuo* vt ante f unbu verlari.ab porta ver=
fabatur pcrraro bicta funt. fcb queabmobu cetens rebus oibus
{ ita buie f uma abfybenba e biiigetia,* ^QQUiii . 8niuer o Sinaute
♦ HonnuS oue particule ornatiOime coiunguntur, quarum eabem fit
vtriul* f ignificatio. vt enmero nam pro explenba fententia altera
bumtaxat Juffi cere poterat ♦ etfimiliter finautem cauia conplen*
be fentencie. eo in loco aute patticula nullam om* nino vim l?abet. 1m
eni per le iignif icat feb h/ trClxiiii.&ttoab. •
auoabypro quoufq;/et pro quabo/no minus or* nate ponnur^ latine.vt
volo in vrbe effe/ quoab tu rebeasa . ita in plenfc* locis conlimihter
accipi poteft. \ \ 1111(11111111 llll
cm <;■ 8
9 10 11 12 13 14 15 • < I
Clxv.Sufci pere. Sufcipere no folum(quob tritug vulgatufcg
vfus fyabeOfignificat quob eft fuper fe accipere et quo= bamobo
abbucere aliquibi feb etiam perornate po= fitum in epiftolis cemmenbatum
Ipabere. vt fu£ci= pit cicercnem cefar in fuis rebus abuerfis . que
vticj poftremaugnificatio/r/aub^quaqKfi quisin= fpiciat accuratius)a
priore illa afiena eft/ dQxvi.PoIitiuo abiucta negatio
cotrarii politiui pleruqj vim tenet. Optima quocj ratio eft vt pofitio
cuipiam abiun = cta negatio cotrarii poifiui virn ac
fignificationem twneat. feb non ita plene / tamen et accurate lilam
expleat.cuius rei exempla fubiciamus . r;ic vir eft J;aut improbus . fignif
lcat enim i ere fyuc lpomine prolum potius q> imprcbum effe jfyabenbum
. et pr;us ^aub igncbilis.r;iftrio non illepibus.miles co
inftrenuus.ciuis fjaub malus.Nam in iis/eo= rumc| fimilibus rectius atcjj
vlitatius bicitur qua bo vis laubis cuiufbam eit. feb quafi biminute/
et quafi btf raubate laubis/ {j[_Clx vii . Peto r;anc rem a
te . CLuob gramatici bicunt peto te r; ac rem /ornatius nec minus
latir. e bici queat * peto banc rem a te et ibplutimum ciceip m epiftoJis
cofueuit. 10 6 •o
10 11 12 13 14 15 \
^CkviiuConHdoY pro pereo. Conficior paffiua voce crebro vfitatu e
pro eo f e= re quoo e pereo.vt confectus fu ibeft columtus vt vir
lops ac mifer .'fame/fricjore/bolore coficitor. fic anis etate et ftubio
conficitur ,ac merore Jbbo? re/fenio cofectus.et be aliis fic per mulf
is? ^JOxix ftblatmi tu participioru tfl alioru peruenuftam rebbut
orationS ftblatiui cafus no participioru folu/veruecia om niu
alioru in orone percodne ponutur.prcfet tjm fi qua f uerit fignificatio
teporis » et be participiis quibe mariif eftu eft, vtregnante octauiano
cefaref parta eft vniuerfo orbi pax * quafi qua tempeftate regnabat
octauianus cefar ♦ et aliub bioniiio firas cufis tyranum
gerente/grauifuma inficilia bella fut gefta.ibeft jn quotepore
fyracufanoru bionifc? us tyranus erat* ([Beb eobe quocj rao alia
que bam fe babet nomitaa .maxime fi bignitatu ct 1)0* noru
extiterit. vtcornelio et galba cbilibus curili* bp acte fut in tfyeatro f
abule . Quiba abbut partid pium exiftenubus.IeO nos profybemus l quob
ab vcnuftate oratiois n5 pertiet abbi oportere . et iU fcipionc
conlule peni beuicti funt. Icipione impe- ratore euerfa eft numantia .
jpt reliqua eiufmobi panter. <
r MIMIM! cm V 8
9 10 11 1
13 14 15 3i (JCIxx.be geitiuis
cu pofieffiuis pronoibus Licetetia ta Ljramatice q> oratorie genitiuos
quo rumcuqt cafualm cu pcffeffiuis quocuq; cafu proJa tis coiugere.
qucb ct priftianus trabit . vf mea ca venit/rt celeroru amicorum.meuagrum
et mar ci anfonii populati funt.tuo amico ac fratris gra=
•iificare.tuu.r; imperatorem fectare et coriolanum p ncfter ac frains
amice. fua ille confibit et ciuiu pruoentia./C tqj lta figuratur
conftrucfio in omni* bus pdifeff:ui3.pinc terentianum illub meo
prefi bjoatq^ofp.ti^ (jCixx! . ^e nominatiuo poffeffiuo *
' •cu gemtiuo poffefibris. • Ibq? penitus mfpidenbu fit/quaboqj
etiam bifcre=. tioms leu abubancie cuiufbam caufa folet abbicu
genitiao poffefforis et nominatiuus pofieffiuus vt fuus eft.C.cefaris mcs
ib tlt eius et no alterius fuus ticiifilius fjeres teftamento conftitutus
eft. fuus( vt ipfe quocj pnftianus exponit>b bifcrctio ne eius
pertinet qui fecubum leges fuus non ciU ib eft fub poteftate patris legittimi
non eft . fuus autem pro vnius cuiufq? proprie accipitur, quob
ipfum apub viros eloquentiffimos freques eft/
daxxii.Quibbiftatbie quartoetbie.quatfa. ;.
f Qit quartaC vt nonius marcellus eciam teftis eft) et
bie quarto non ibem fignificant . feb mafculino genere preter itu tempus
befignatur f eminino f u* tutum . quob vef uftiffimi tamen aliter
protuleriit vt fic bit quarto pro eo e quob aliter nubiufqrtus
bicifur .'nubiuftertius.^et ltibe be aliis/ <JC1 xxi ii. Qm ib infere
inter tua ca et tui ca feci» Tua caufa fcci/et tui caufa feci ( ne pretei
veteru et boctorem cofuetubinem aliquib ef f iciamus ine ter fefe
fyaub mebiociiter bifcernutur . nam tui ca bicimus/fiquib eiabquem
fermonem vertimus preftiterimus. vt tui caufa a& antonii caftra prof
e ctus quob eft tuenbi tui gratia. kb tua caufai cum tuaQ vt ita
bixerim) contemplatione aliquib alteri preftiterimus vt tua ca»fratris
tui caufa egi/ ^JXHxxiiii ,be bif f erentia intcr gcnis tiuos
primitiui et pofieffiui . £t quia aliquib be lis que ab poffeffionem
fpectant locuti lumus i fyaub ab re f uer it bif f erentia illam
ptof erre in mebium .' que intcr genmuos priuKi= ui eft ct poffelliui. vt
mei tui fui noltri et veftri. qua tibem pulcfyerrime pnfcianus exponit .
vox na<$ eft eabem .at vis ipfa longe biuerfa.cu genitP uus
pnmitiui fimplicem fignificat poffeifionem. potfeffiui vero bupliccm» vt
mci amicus ibe meu3 ' r a 31 amicus
. feb mei filii amicus bupjicem poifefiione continet alteram meam in f
ilio • alteram filii i ami co. quo cc fubiecimus/ne cum ornafum
requiri= mus4 verboru vim icjncremus ipfam/atq? in erro rem quepiam
iguorater incibamus.feb nunc infti tutumprofequamur/
^[C|xi.v.inmentem venit. Hcc res mic*?i in mttem venitbicitur. et
cum ge= nitiuo l;uius rei mid?i m mttem venit. nec micfyi curc eft
an j:ro nommatiuo geriitiuus pofitus eft, vt uq; veto ncn iolum poete feb
etiam.M. ricero vfurpauit; fJClxxvi.be teporu c6mufatione
t Oratcr;s(f:cut et poete^perfepe prefentibus tepo ribus vtuntur
pro pretetitis . nonnucj et pro f u= turis. veru lb quioe muitorarius .
feD cotra fyaub crebro fit.nifi forte incp verbum/ quob fufuri te-
poris eft / preteriti foco vel prefentis accipiamus. Seb muita que fuper
fyiis bici polfut/in aliub quo 9 tempus ieruamus;
4j0xxvii.>3imilis genitiuo et plenus batiuo. Similis et
plenus nomina Cquorum prius batiuo iugitur4poftrerius etia
ablatiuo)oratores vt pluri mu/ac fere femper genitiuo iugunt.
vtfimilis'es !"■ uoru
maioru.bignitatis et of ficii es plenus» no» nuq» vero(feb
perraro)pr«feruntur cu fuperiori= bus cafibusj. ,
{JGxxviii. Vt fubiuctiuis impe= rdtiua verba iunguntur.
Sepenumero ctia maioris fignif icantie caufa vel ornatiffime imperatiuis
fubiuctiua verba iugutur quob Cicero fepe ef ficere folebat. quale e
iliuO cu = va vt vir fis. et aliojoco fcrxbens ab f ilium eff ict
etiaboravtexcellas/ ^jGxxix.CurriWcenatuWprabetur.
Decurritur fpaciu/cenatur rijombus l pranbetu* tultuWcoftmiljaq?
pulcf;errime bicuntur/ <£ixxx. Vt trafitiua verba abfokte
prof cruntur» fltqf vt abfoluta iterbu vcrba obliquis cafibus iun
gutuWita trafitiua quocp iicet nonunqua non folu pro gramaticoru more/feb
etia pro oratoru cofue tubie abfolute prof eratur .preferti vcro ili qua
fu* palfio cu actione ipfa figmf lcatur. qualia illa fat.
lugeoinbeo/metuo.que cum trafitiua funtinunc abfoluteproferutur;
CClxxxi.Dc terminatis m bunbus. due I bubus excut noia ; no ta
fimilitubine figni* ficatCquob pleng arbitratur) § abubatia
quabam *3 potius ac vefyemetius.vt gliabubus no ta
cjioriati fimilisiq» abunbe feie vefjementerqi ef feres.Qua
opinione eloquetiu ateji qSerubitifumoru fcominu vbicg teftimoniis
coprobata/tu quoqj firmiter ara pfectere.na(vtalios omitta)7?vulus gelius
auctor probatiffimuf ex fnla quotj boctiffimi appoftinaris
letabu5us bicitur^qui logo atcg sbubati errore efu et tu quocj eiftem
vtere nominibus/ 1 (^Clxsxn.De Fretus» Fretus.ta.ui.icerte
originis ablatlo iuctu pultfyer nmu eft.'et ugmficat fere confilu atej
munitu. vt vra fyuanitate f rcius . vra fapieuU J i:on mea vir tute
fretus/ ^Cl*xxiij»Certicrefacere* Certiore facere vfitate atcj frequenter
in epiftolis vfurpatur.na facio te be i$ac re certioremUb e tibi
figmfico l;ac re.et fepilfime velim me be tua vali* tubine facias
certiorem; ([CLxxxiiii.be Habeo. Habeo varia coftructione f
iguratu plurimu orna tus Ipet.vt bene fyec res fc l)et.'qucb e fere vt
ita bi ca\'ftat bene fyec res.et ita bene fyeo me . et cu par=
ticipiis bene me fyabes rebeo rure . et cotrariu ab* uerbiu fjmiliter ei
verbo iugitur ♦ quob eft maie; /plxxxv.be participiis f uturi
teporis ♦ Participia fepenumetQ i uturi temppris ornatiffi
- me vfurpantur . vt fcripturus fum ab fcipione lit=
teraa. quoo eft fere bebeo fcribere . etaliub.' tu ab ebes cras iturus
eslquafi ire bebes.cicero e atfyeas profecturus ib e bebet atfyenas
proficifci. plautua in ciprum traiecturus eft ( fere
eftnauigarebcbet in cipru.quob ibcirco ita expofuimus quoniam is
pi-opne nauigare / is tranfmittere t is folucre ei» locum fignificat vnbe
prof icifcimur is bemu tra= iicere biciturl g> eubem befignat qui rate
vebitur. vt cicero foluit atfjemsiet in afiam traiccitt(f/e= ru ab
propofitu rebeubum eft . illa igitur particis pia quc a verbis manant
palliuis et naffiue quoqj cxponi bebent. vt cuius infons animus
e/mulctaa bus non cft ib e mulctari et puniri non bebct . fon tes
accufanbi funt ib e accufari bebent.vir flagicio
fusefttrubebusincarccremibe coiicienbus jn vi cula . 8t alia reliqua
exponatur / vt fupra biximus* {JjMec tame negauerim qui eorunbem
participi oru alia quoqj ratio fit ♦ feb ea nos mobo profequi mur
iprefetiaru/que venuftius eloquiu rebbant/ ^fClxxx vi . be Repeto
♦ Qoiib repeto ^none perpulcfyre ponitur.fi quib ei accefferikneq;
batiuus foluscafus/feb etiam abla= tinus.vt jepeto fjanc rem memoria/
quobnon te neo memoria figaifieat. vt permulti extimat ♦ feb
*< H • podus meoria voluto^t
rcmifcor /et quafi oblmi oni trabitu rurlu lueftigo meoria»l;oc nos vii
vei bo ornatiffie poterimusiquonia ecbe z veteres eic quetiffimi f
requeter vfi iut* l;k illub be oratore ci- ceronis libro. cogitanti mkl)i
/ac memoria repete ti* et africanus a neuio accufatus / tnbuno
plebis <% ab antfyioctjo pccunia accepilfet / comcbiffimc to
verbo vfus* rnemoria (mquit) quintes repeto ^unc bie fyobiernu effe*'quo
Ijanibale penu iimitif tmu fyuic imperio vici in africa l et perpetua
pace vobis/ac victoriam peperi infeparabile» veiu cap= tus ingenti
voluptate longius in af rica verbis re* f erebis progrelfus furcuquaobrem
«b veltru initi- tutura ref erat k oratiof
^JXkxxvii*Promori;bieobireymorte oppe tereet fimilia,' pro viaere aute
vita agere/ be gere ctatetn / etfimilia ornatebicimus/ Optimu factii
fuerit l ne eifbe aut mobis oratio^ sis/aut verbis vtamur* eKquob inicio
bicimus) varia plurimu probat oratio* et ti veluti quibufba
fiofculis afpergitur ♦ vt pro morivbie obire /mor- t«m oppcterc/anima
expirare / vitabecebere]* ani ma efflare/ vita befugi^ rebus fyumaqis
excebere ex vita migrare/res beferere fyuanas i exii e be vi-
talnwtc? pbireiextremum claubere bie; interire
i i occibere cdfimiliacg* et iteru pro viuere
vitam age re begereetatem/ _
iii.Vtlu&oluou.Ticet viuo vita &icimus et coniimilia»
St(ne figillatim cucta coplectar)illu& fcoc loco ani
mabuertenbum iitiq ficut fepe bicimus lubo lubu pugno
pugnaiferuio feraitutemiboleoy&olore^et fimilia.' ita et
inter&u viuo vitamVviuo miferam feu felixe vitam, vt fi quis
bixerit qui expe&ita fu«= erint virtuteconfecuti, / ii
viuentbeatam/ etimor= talem vitam.et qui predaru certamen
certaucrit/ a mphffimis bonabitur muueribus . £t quob &e
va riis bicimus orationis mobis l i& ipfu be fingulis
partibus intelligebu lit , vt pro oro rogo/ precor obfecro/
pro quafi pene ferme.reliqua tuipe coiec U} <JClxxxix,Ib
genus, Ib genus pro eius generis C quo& fere fimile no-
men expnmiOpulcfyre et vfitate bicitur vt multa funt ib genus monftra. be
multis ib genus rebus locutus eft.'quob e fimilibus.et ita in alns^
{JClxc , Sx fcntencia , 8x fentencia quafi fecunbum votuntaf em et
prof= perc • vt gefta rcs eft cx fcntentia . quob eft prout
optabamus.et tibi i& vecit « fententiat et muftis
iuiocisconfirniliter; h 4jCxci.Inferre. Inferre
iiurii quali iniuria facere . manus iferre alicui eft alique pulfare,
impetu j quepia facere iit quepia cu ipctu et quafi vi aboriniet
jrruere} {[ Cxcii.Dare veniam* Dareveniam pulcfyerrimu
efticrnofcerectlicetia coneebere; 3°vt> 'nicio ctatis
Ijabui te amicu.amicicia micr;i tc cum eft a teneris annis/a paruulote
primis ctatis temporibue* a tenerisCvt greci bicut) vnguiculis
abincunabilisipfis.etijuiutmobi. {jQtuuei etaspuicfyerrime abolefccnciam
fignificat; {f Cxciii . F«.rire f ebus . Fcrire f ebus opfame
atcp optimis caufis ex feriali um cofuetubine fignificat f ebus coponere
vt per= fepe ictum fcu pcrcuffufcbus/eft conftitutum/ ct
compo fitum/ CjCxdiii . Hft micbi nomc fcipioni . £ft miclji
nomefcipioni.fcipioni cognome africa= no f uit.cui paojo troiano nome c
ct lic be reliquig batio cafu perulitate ac puldjerrime bicitur .
que eabe z aliis quoij mois bicutur.£ frequetius m6s fueeriores
apub eloquetiffimos et boctiffimos vi= rosioucnies/ {TCxcy «^iunt
t f ertur bicitur. i» Cum tritum vcrbu volumus ©ftenbere Aet
quob in ore populo e.' vtimur vel iperfonali fertur / vel perfonali
verbo aiunt Jet nonuncj biritur . et eis fi gulis/ vt preponimus.' etraro
ita.' feb interoii. q> exempla fcuiufmobi lut . nam firenesCvt
aiui)fur bi bwbemus aure tranf ire. et item na ita f ertur vt
nulcfc tuta ut fibes. item fyaub turpe e( vt biutur) tum ultuanbi be
grabu beiici,* 4jjCx cv i«Mebiam fuper noctem, _ onuq> ita
bicimus nocte luper mebiam vigilaui* rous quob e vltra mebia nocte vigilauinius.ibcj
z f taias ipfeteftatuWetquorubam vetcrumpro= fcut auctoritis;
<LGxcvii.Tenbo. Contra fermone tuu tebo lb e reiponbeo tibi. y
licut et tenbo cotra iter iib e tibi occurro feb fyc fyaub i
frequenti vfu oratorum inuenies; dCxcviii.ftAacte. Macte
/magis aucte .' et eft glorie et laubis fermo,' et plerucj ablatio
iiigitur.vt macte virtute elto.ib 9 et poete vfurpat/et fcriptores
fyiftoriara* etbe= mu oratores ipfi. qui lermo C vt multi
erubitilu= rai trabunt)a facris bebuctus elt; (TCxcix. 7Kb
expiicanbu locum tue genus gentile ac patnum effingimus. duoties
alicuius explicaturi fuaius/iiue genus/
i» !> * '
^_, -a-^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^m^^^^^^^m^ cm
6 a 9 10
li i n 13
14 15 »
< I fiue locu/getuWc patriu nome effingimue.
qucb quifecuBeffccerit/fortaffelatine locutus fit;febil lepibe
penitus/atc| Ibecore. vt qui fuent a firacu= fis oriubus/no be ciracufis bicebul
J? firacufanus no be atl;els<f? atfjemefis.et fic be aliis. atcj i
gc= nerifc^ /ac familiis nos no be cu abltio vtimur(vt muiti l feb
ibc nome effidmus ♦ vt no bc ftauris f$ luurus . r 6 ite be grecis fcb
grccus non bc catufis feb catulus.non be batis feb batus . Qua qmbe
a reib mento afferebu fitl quob pliniusipfeaiebat/ q>
beriuationes no fyabet firmas regulas . fcb exe= unt/tcrminaturc| vti
ipfis autonbus placet ♦ fic a tfyaurotfyauru/tfyaureu^ttfyaurinu bjcimus»
et quoe nos romanos bicimus^ bicut greci romeos» guos nos
cartfyaginefes ^iUi cartfyiboneos vocantt &qb in enfis/ valatq as /
fi ab loca pertinent fre= quetiores termina'.iones funt. vt albanenfis/
vero nenfis dufiuua .' taretinus /lacebcmonus .'eiracutas
nus^arpinas.iftlii quoc| funt eorube nominu exi tus.feb 11 frequetiori
vfu celebratur.quob ibe ct in quibufba aliis fit«que mq a generis noibj
fluxc- re neqj loci vllius.vt tcrecianus cremes/platoicuB
gigesifocraticus gorgias.queoia a propriis pro= fecta lunt/atcj origine
traxerc. feb que alia fyac bc re^ici pQiTuUtuipe coQitatione
coplectere/ (TCC.Conoi\ Conorrjanc rcm optimc ac peruenufte
oirimuB, prefertim fi bifficilior fit.'et arbua. quo pacto cice ro
fepe vtebatur. vt oe pcrfecto oratorci maguum opus ct arbuum brute
ccnamurf {[ CCi«{3tubco» Et ftubeo fi quib ftubiofius
effecturi fumus coiam accufatiuopulc^crrimc iuncjitur;
(JCCii. Defibero* Dcfibero vcrbu pulcfyerrime pofitfi e . na cu
befis beriu fit abfetiu reru perfepc bicimuf befibcro amo re tuu
quafi tu no mc amas.bcfibcro tua prubetis anWquafifis iiipies.et ltem bc
alns; ijCCiii . complector ♦ C5plcctor perbiff ufu e/atcj
ornatu verbu.prefer= ti vcro aiiquibus abiecus/ Jjac roe.vt te
amore/at q beiuof ecia coplector /pro te amo» cogitatione co
plecfcr .'qucb e cogito.z lb e aiificut facultatecofe quor/eft rei
ipfius; {JCCiiii Degerubjuiflf Illub ignoranbu non tltiq
gcrubiuuar mobus ab omni verbo fimili procratur / fi quanbo nobis
fo ret eo opus . vt cantanbo rumpitur anguia ib eft bum cantatur l
vt ait feruius * et alio in loco acti^ uc bictum eft* cantanbo tu illum
it> cit bum canis. / I * 5V
ib efficere atqj vfurpare oratores queunt/ (] CCv^be
quarto p retoriet quartu pretor Putat nonulli nicfjil itereifeiu quis
bixent quar - to pretor / ct quartum prefor / et (ic be aliis. feb
magna e certe bra/vt.M.varro teltis e.na quarto pretor locu figmficat/et
tres anteactos. quartum vero befignat tpus .Caue igitur biligenter ne
per= pera fjifce vtaris ronibj.ne ofuib eotra veteru/ at cp
eloquetiu roore/cofuetubinecj faciamus. quare terciu coful/ac
tertio cdlulno ibefignificatt {JCCvi.Kuri effe» £eb ne plura
iH f equar(na infinita pene «iu fmob precipi poflut)ib tene memoria
q? no irure effe/feb ruri ee bicimus.quob cu f eftus popeius
affirmat tum terecius cdprobat.aif ei ruri fe cotinebat/
Quaobrem u qua reliqua fut.'paucis ex^ e^.amus Nam cu pro
coficiebis epiJfoIis I)ee potiffimu at- ligerimus fi falutatioms
formuia/ ac regula ibu um nonaruqj obferuatione patef eceri .' iure
l;uic p aruo inftituto fine ac mobum ftatuerini/ 4/C
Cvii.Vale Salue» Vale igitur ac falue verba pro marci varronis
/et omnium boctiifimorum virorum (entencia ibem fignif
icare vibentur, Quibus nos alias in faluta= 60 aiias in execranbo
vtimur * ex quo terenciann < iliuc» 2. valeant qui inter nos bifdbiu volut
/ac cu= piunt mortuis quoqj et qui mortaliu vita beccffes runt^
quibus nullam fyuiufce Iucis optare lalu.e polfumus ,'nonuncj vale
bicimus. CE?t veterea quobam eifoe ibem verbu pro mori bicebat^quafi
nicfyil araplius viuentibus fibi cu mortuis futuru elfet t et imperpetuu
iam ab eoru afpectu bifcebes rent.Nam neg? valet llli nec| falui effe
polfunt ob eabem rem abbut nonulii bene f eliciteng abuerbta aut fi
qua alia funt euumobi fiemihcatie. Veruta= meninepiftolisipfisvaiein
finebicere cofueuis mus ab^ vlla abuerbii acceflione^ perinbe ac
ami* cis vite falute ac f eligitate exoptemuf .Quib igitur vale
fibi querat.' quo ve illo pacto vtebu fit nofcef Ct GGviii.bico tibi
lalute iubeo te faluere, Pro falute aute piemc| nos bicimus falutem
bico et fi quefalutare cupimus 4 batiuo cafu aptifume appofucnmus»
vt vaie et cefari bic falutem . T^lia quo(j erit faiutanbi ratio.vt iube
fcipioncm falue* re quob eft fcipionem faiuta . iSiam ille mobus vi
quabam befiberii cotinet . ct pro antiquoru more et confaetubine inf
initiuus mobus in alium tranf mutatur ♦ vt iubeo te faluerc ib eft lalue
. iubeo te gaubere_pro gaube; ^JCCw.Meo noie vel meis
vcrbis, ■ t {Tp ro mea ex paif e. Quob vero alii
ex mea parte bicuntl mulfo quibe ornatius bicitur vel meo noie vel meis
verbis/ (JCCx*Dc calebis/nonis/et ibibus» Quota aute
cuiuicuqj mefis biem velimus mtellr gereicalebis/nonis/ibibus ve
notamus.necj quib illi fibi velitinuc expiicare cofiliii eft.feb quo pac-
to bicamus figulorum mefium bies.' et quomofco ab eis nominatione
fufcipiat . cpobrem intelligebu elti primis/ primu cuiufqi mt fis biem/
calenbaru appellatione vocari . fecunbu quas nonarum bies
coftituitur . ef in aliis quibe mefibus feptima luce Marcio/Maio
lulio/Octobri.in aliis autem qui» ta/Ianuario/Februario/yvpnli lunio /
7\ugus fto/Septembri/nouebri/Decembri. J^tc| omne« ii bies qui
cdlenbas et nonas intercefferint*' nona- rum cognominatione cefentur .
vbi et numerum meminenmus /ac nonas ipfas.et ille ablatiuo con
ftruuntur.' fjee accufatiuo . Seb internumeranbu etprepoftero vtemur
orbine^et nonarum biem co numerabimus .' atnonisexactis/
proximosocio bies . ib quocjt in quolibet menfe ibuum umiitter cognominatione
fignincabimus* fcb pari rone tu orbis/tu anumerationis.reliquos veroeius
mefi» (quotquot fuperf ueriObies calebaru appeliatione
H * 4, > notabimus.que hxturiJacpYcximi
fut mefisi neeg orbinis/necp numeratiois roeimutate. 7>vt ib om
nc exeplo iiluftrabu iSitqf martius nobis exeplo. cuius curriculu vno ac
trigefimo bit coficitur .pri tna ltaqj bies halenbe erut mahi.fecunba
fexto no nas marcii.tercia quito nonas. quarta qnartono* nas .
quita ttrcio nonas . fe.\ta no bicitur fecunba nonasifeb pribie nonas.et
lta be lbibus at^ fcalcn lsfeptima bieg none erunt marcii . octaua
octa- uo ibus marcii .nona feptio ibus mattii becima fex to ibus
marcii.vnbecima quito lbus . ouobeum* quarto ibus. tribecima terno ibus .
quartabeciina pribie ibus quitabecima ibus erunt marcii.febecia
bccimo leptimo halenbas aprihs. quoniam is me fis proximum
fequitar.beamafepnma beamofrx to halenbas april.g. becima octaua
bccimcquinto halerbas/becima nona becimo quarto halebas. vi ccfuna
becimotertio kalcbas. vicefimapt ia buobe* cimo calenbas. vicefimaiecunba
vnbecimo calebas viceiimatertia becimo calenbas , vicefima quarta
nono calenbas vicefima quinta / octauo calenbas. Viceuma fexta feptimo
caienbas . Vicefima fepn= ma lexto cahnbas . Viceiima octaua quinto
ca« lenbas . Vicelima nona quarto calenbas . Trice frnia tertio
calebas. Tricefima prima et nouifiim/i i
/ K /* * « J pribie fcalebas aprilis.In
ceteris omibus eabefer 3 uaoa eit ratio bieru, Dieru autem numerus
f;aub fe lateatgui in propmtu eft cmnibus/ 4jCCsi ♦ P^ibie kaienbas
,'pribie, nonas,'pribie ibus. Pribie aute fcalenbas/pnbie
nonas/pribie ibus et «t fignificat quob vetuftiffimi bicebant
biepriftini pro abuei bio quob fignif icat bk priftino . et iic per
vetuitomore biecraf tini / et biequitiet biequinto umiliter pto abuerbio
, Veru nos prifcam nimis et Ipombiore vetuftate vbicf f ugere ac vifere
bebt mus, #vc bene et preclare cefar preciperc Folebat/ ta§ fcopulu
fic f ugienbu ee iaubitu /atq ifoles ver fcum; <L Pro genitis aate
ihenfiu rectius pof= felfiua nomina finxerimus. vt pto ijalebis
marcii fic uenuftxus bixerimus halebas martiaf z ita apri les/maias
/ lunias /iulias /ac quitiles auguffas feu fextiks/ieptembrias, et
itaianuarias/ fcbruarias g> autem m haknbis/nonis ibibuiq abiatiuo
cafu iugimus.' jbcm poifimus in accufatiuu tranfferre et ab
preponer e feb ib iignificst tempus fere biu= turnu, vt ab bccimu
kalenbas februarii bebiiti ab me litteras . ego vero ab ocfauu ibus
lanuarias ao te fcripferam^abet enim vim tejs»f»e*4^vel:;emen twem
fyocpofterjus; fc> J 4 1 Operis peroratio. Me «Sor
pl«» fcribamdpc micfy Etic imprefen* tiarum obtulerut ! quc anotatu
bigniora vila funt{ nuc« tibi multo plus ferfafe conbucent ; cj
eoru preceptioncs i quieafbemetepiftohsetoratiQm; bus tribuunt
partes.quorum penitus enpient.ua eb error .afa* ita fentienbui vti
littens ipbs ab te concinnc bilucibc^ perfcribamus .'ac noitram
len» tcntia afc» mente ^comobiffime apenamus . cj? cu bec bili S
cnter tenueiis < ck in£inito pene fcrum r« La numcro;alia qucbam no
mmus taaife vtt< ha,'feb multa grauiora (ubnectam.auaobremCvt
facis ) cupibiwme ftubia htteraru complectere at L ea
queinbiesaffequerisabcxeraUttommawo moba? IVale?
f/fluguftini bati fenenfis oratoris primaru liajjocjicus libellua
- octttioniB precepta finitf 4" oc Kt
e^a rAficm ^•S. "atriftcr
mM^urinxx^j^iit^Scnom^m ttyAnne* ie fUmati* ^d{' Llmulas
kriwor frpi » 1> *f 1 5t cm 1 8 10 11 12 13
14 1:* cm 1 7 8 9 10 11 12 13 14 15 ■^2 B 10 11 12 13
14 1: s J cm 1 6 8 9 10 11 12 13 14 15 /cm 1 6 7
8 9 10 11 12 13 14 _3 *Y cm 1
V 8 9 10 11 12 13 14 15 Grice: “Dati is into
‘elegance’ but he is also into ‘regulae’, which are a bit like my maxims – my
maxims can be exploited for ‘effect’ – and those are the types of rules that
Dati is interested. Sadly, his philosophy has been interpreted as that of a
mere linguist or grammarian prescribing on how to write letters! But he surely
was a pre-Griceian who is looking for ‘rational’ pragmatic reasons to the
effect of a most effective, yet ‘elegant,’ communication. Many examples can be
philosophical: ‘women are women’, ‘war is war’. ‘Women are women’ is not meant
as a substitutation for Parmenides’s law, x = x. Such an utterance would be,
“Every thing is identical with itself.” “War is war” is different in that ‘war’
is uncountable, and we can keep the singular ‘is’ of Parmenides’s law, x = x.
But why do we consider ‘War is war’ a tautology? Because it is the
exemplification of ‘x = x” – Now, some philosophers claim that ‘war is war’ –
or Parmenides law, for that matter, isn’t not a ‘patent tautology’, since it
needs to be formalized in the predicate calculus, and the predicate calculus is
not decidable, i.e. there is no algorithm for its interpretations which render
its formulae tautologous. Augustinus Datus. Augustinus Dathus. Agostino Dati. Keywords:
ELEGANTIOLÆ, retorica, grammatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dati” – The
Swimming Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51766418442/in/dateposted-public/
Grice e Delfino – la musica delle sfere -- l’ottava
sfera – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Padova). Filosofo. Grice: “Delfino is what we at Oxford would call a
‘philosophical mathematician,’ and in Italy, an astrologer – his specialty was
the ‘motum’ of the ‘ocatva sphaera’!” “But he also wrote on algorithms!”
Ensegna a Padova. Erudito dalle multiformi attività, fu attivo a Padova nel
filone dell'aristotelismo padovano rinascimentale: sicuramente studioso di
logica e matematica, ebbe chiara fama di matematico e di astronomo. Altre opere:
“De fluxu et refluxu aquae maris” (Venezia); “De holometri fabrica et usu in
instrumento geometrico, olim ab Abele Fullonio invento: Acc.); “Disputatio de
aestu maris et motu octava sphaera, Johann Niklaus Stupanus, Abel Foullon,
Padova, In Accademia Veneta Paulus Manutius. Dizionario biografico degli italiani. Musica
delle sfere Lingua Segui Modifica La musica o armonia delle sfere, detta anche
musica universale, è un antico concetto filosoficoche considerava l'universo
come un enorme sistema di proporzioni numeriche. I movimenti dei corpi
celesti(Sole, Luna e pianeti), ritenuti collocati su sfere ruotanti, avrebbero
prodotto una sorta di musica, udibile solo dall'orecchio dei veggenti,[1] e consistente
in formule armonico-matematiche. Incisione di Franchino Gaffurio
(Practica musice, 1496) che raffigura Apollo, le Muse, le sfere planetarie e i
rapporti musicali. La teoria della musica delle sfere ebbe origine
nell'antichità e continuò a essere seguita almeno fino al XVII secolo,
suscitando l'interesse di filosofi, musicologi e musicisti.
StoriaModifica La musica delle sfere incorpora il principio metafisicosecondo
il quale le relazioni matematiche esprimono non solo rapporti quantitativi, ma anche
qualità che si manifestano in numeri, forme e suoni, tutto connesso in un
enorme modello di proporzioni. AntichitàModifica Pitagora, per primo,
capì che l'altezza di una nota è proporzionale alla lunghezza della corda che
la produce, e che gli intervalli fra le frequenze sonore sono semplici rapporti
numerici.[2] Secondo Pitagora, il Sole, la Luna e i pianeti del sistema
solare, per effetto dei loro movimenti di rotazione e rivoluzione,[3]
produrrebbero un suono continuo, impercettibile dall'orecchio umano, formando
tutti insieme un'armonia. Di conseguenza, la qualità della vita sulla Terra
sarebbe influenzata da questi suoni celesti.[4] Nel mondo greco il cosmo
era paragonato a una scala musicale, nella quale i suoni più acuti erano
assegnati a Saturno e alle stelle fisse. Il Sole era indispensabile per la
realizzazione dell'armonia in quanto, secondo i greci, corrispondeva alla nota
centrale che congiunge due tetracordi.[5] Per Filolao, matematico e astronomo
pitagorico, il mondo è armonia e numero, e tutto è ordinato secondo proporzioni
che corrispondono ai tre intervalli fondamentali della musica: 2:1 (ottava),
3:2 (quinta) e 4:3 (quarta).[6] In seguito, Platone descrisse
l'astronomia e la musicacome studi gemellati per le percezioni sensoriali: astronomia
per gli occhi, musica per le orecchie, ma entrambe riguardanti proporzioni
numeriche. Egli, inoltre, appoggiò l'idea di una musica delle sfere nel dialogo
La Repubblica, nel quale descriveva un sistema di otto cerchi, ovvero orbite,
per i corpi celesti: stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Mercurio, Venere,
Sole e Luna, che si distinguono in base alle loro distanze, al colore, e alle
velocità di rivoluzione.[7] La visione di un universo strutturato in
cerchi concentrici, aventi come centro la Terra, era del resto comune a tutta
l'antichità: si trattava di sfere intese come ambiti di pertinenza, ognuna
delle quali contenente un pianeta che esse trascinavano con sé, muovendosi in
maniera circolare. Era questo loro movimento a generare il suono, come
affermava anche Cicerone: «Movimenti così grandiosi non potrebbero
svolgersi in silenzio, e la natura richiede che le due estremità risuonino, di
toni gravi l'una, acuti l'altra. Ecco perché l'orbita stellare suprema, la cui
rotazione è la più rapida, si muove con suono più acuto e concitato, mentre
questa sfera lunare, la più bassa, emette un suono estremamente grave; la Terra
infatti, nona, poiché resta immobile, rimane sempre fissa in un'unica sede,
racchiudendo in sé il centro dell'universo. Le otto orbite, poi, all'interno
delle quali due hanno la stessa velocità, producono sette suoni distinti da
intervalli, il cui numero è, possiamo dire, il nodo di tutte le cose;
imitandolo, gli uomini esperti di strumenti a corde e di canto si sono aperti
la via per ritornare qui, come gli altri che grazie all'eccellenza dei loro
ingegni, durante la loro esistenza terrena, hanno coltivato gli studi divini.
Le orecchie degli uomini, riempite di questo suono, diventarono sorde, né
infatti vi è in voi un altro senso più debole.» (Cicerone, Somnium
Scipionis, libro VI del De re publica, cap. 18) Più tardi i filosofi, fra i
quali Tolomeo, mantennero la stretta correlazione fra astronomia, ottica,
musica e astrologia.[8] Nel IX secolo, l'astronomo arabo al-Kindisviluppò le
idee di Tolomeo nel suo De Aspectibus, che associa anch'esso astronomia e
musica. MedioevoModifica Angelo musicante, affresco di Melozzo da
Forlì (1480), Musei Vaticani.[9] L'antica concezione cosmologica della musica
delle sfere passò nel Cristianesimo, dal quale venne ulteriormente meditata e
approfondita, costituendo la base di numerose raffigurazioni di angeli
musicanti, suddivisi in cori angelici gerarchicamente ordinati, identificati
con le orbite celesti di astri e pianeti:[10]nella musica delle sfere si udiva
cantare cioè il corodegli angeli, che accompagnava gli eventi principali che
avvenivano in Cielo, quali la Trinità, l'Ascensione, l'Incoronazione di
Maria.[10] Già Agostino d'Ippona, nel De Musica e nelle Confessioni,
vedeva nei suoni il riflesso di un'armonia primordiale dell'anima.[11] Furono
poi soprattutto Macrobio e Boezio a fare da tramite fra il pensiero pitagorico,
basato sul simbolismo dei numeri, e la nuova teologia cristiana. La Via Lattea,
intersecando lo Zodiaco, forniva per Macrobio il «latte», ossia il nutrimento
alle anime dimoranti nei cieli, in attesa di incarnarsi. Tutto l'universo è per
lui fondato su rapporti numerici, nei quali si riflette il progetto creativo di
Dio, esprimibili secondo accordi musicali basati sulla tetraktys
pitagorica.[12] Boezio, ponendo le basi del quadrivium scolastico, ossia
il complesso delle materie scientifiche che verranno insegnate nelle scholae
medievali (aritmetica, musica, geometria e astrologia), spiegava l'ordine del
cosmo secondo la rinuncia da parte dei quattro elementi agli aspetti
discordanti.[12] Egli introdusse inoltre nel De Institutione musicae una
distinzione fondamentale, destinata ad avere grande fortuna nel Medioevo, tra
musica mundana, propria delle sfere celesti, musica humana, quale si riflette
nell'interiorità umana, e musica instrumentalis, fatta dagli uomini a
imitazione di quelle.[11] Dante allude in più occasioni all'armonia delle
sfere, in particolare nel primo canto del Paradiso della Divina Commedia,[13]
quando si rivolge all'Amore che governa le Sfere dei Cieli, il cui movimento
rotatorio, reso eterno dal desiderio che esso accende in loro, desta la sua
attenzione («mi fece atteso»): «Quando la rota, che Tu sempiterni
desiderato, a sé mi fece atteso, con l'armonia che temperi e discerni, parvemi
tanto, allor, del cielo acceso de la fiamma del sol, che pioggia o fiume lago
non fece mai tanto disteso.» (Dante, Paradiso, I, 76-81) Dal Rinascimento
all'età modernaModifica L'armonica nascita del mondo rappresentata da un
organocosmico, in Musurgia Universalis di Athanasius Kircher (1650). Nel
Rinascimento, a fianco della teoria pitagorica si sviluppò la visione
magico-ermetica dell'armonia, espressa dalla concezione del monocordo di Robert
Fludd, nel quale le sfere dei quattro elementi, dei pianeti e degli angeli sono
disposte verticalmente sul monocordo, accordato dalla mano divina. Dio, dunque,
è architetto e musicista supremo del creato.[5] Un modello analogo era stato
delineato da Franchino Gaffurio, il quale aveva collocato i pianeti attorno a
un'ideale corda musicale, secondo una scala eseguita dalle nove Muse,
accompagnata dalle tre Grazie e diretta da Apollo.[5] Giovanni Keplero,
nel XVII secolo, influenzato dagli argomenti di Tolomeo, scrisse il libro Harmonices
Mundi, nel quale vengono descritte le consonanze fra percezioni ottiche, forme
geometriche, musica e armonie planetarie. Secondo Keplero, il punto d'incontro
fra geometria, cosmologia, astrologia e musica è rappresentato dalla musica
delle sfere.[14]Keplero, però, superò il modello statico delle sfere di
concezione copernicana in favore di un modello dinamico, trasformando le orbite
da circolari a ellittiche, che i pianeti percorrono a velocità variabili
(seconda legge di Keplero). Inoltre, Keplero attribuì a ogni pianeta non un
singolo suono, ma un intervallo di suoni, in cui la nota più grave
corrispondeva alla velocità minima che il pianeta teneva durante la rivoluzione
(in corrispondenza dell'afelio), e quella più acuta alla velocità massima,
raggiunta nel perielio.[5] Baruch Spinoza, nella sua Etica dimostrata
secondo il metodo geometrico, criticò con fermezza tale concetto filosofico,
indicandolo come idea priva di fondamento scientifico, frutto
dell'immaginazione umana: «[...] la follia degli umani è arrivata al punto di
credere che dell'armonia si diletti anche Dio; e nemmeno mancano filosofi
profondamente convinti che i movimenti dei corpi celesti producano
un'armonia».[15] Il Sole e i corpi celesti. L'immagine ritorna in
Goethe, che nel Faust apre il Prologo in Cielo con le parole dell'arcangelo
Raffaele, intento a contemplare la «melodica» armonia vigente tra il Sole e i
corpi celesti: (Tedesco) «Die Sonne tönt nach alter Weise in
Brudersphären Wettgesang, und ihre vorgeschriebne Reise vollendet sie mit
Donnergang.» (IT) «Intonando l'antica melodia, a gara con gli astri
fratelli, percorre il corso prescritto il Sole con passo di tuono.»
(Goethe, Faust, primi quattro versi del Prologo in Cielo[16]) Nel primo
Novecento, nell'ambito delle concezioni esoteriche elaborate dalla scuola
antroposofica, l'esoterista Rudolf Steiner sosteneva l'esigenza di recuperare
la capacità sovrasensibile, propria dei pitagorici e di epoche ancora più
remote dell'umanità, di percepire la musica delle sfere. Solo inconsciamente,
durante il sonno, l'uomo riuscirebbe ad attingere dal mondo astrale e
spirituale quell'armonia che gli consente di fornire un sostegno alla sua anima
razionale, e ricomporne gli aspetti dissonanti.[17] Tale armonia celeste
secondo Steiner, diffusa attraverso gli spazi cosmici per mezzo del cosiddetto
«etere-chimico», ha effetto principalmente sul ritmo della
respirazione.[18] «Il musicista compositore trasforma incoscientemente in
suoni fisici, il ritmo, le armonie e le melodie che, durante la notte, egli ha
percepito nel devachan, le quali sono rimaste impresse nel suo corpo eterico.
Questo è il misterioso rapporto tra la musica che risuona nel fisico e
l'ascolto della musica spirituale durante la notte. La musica fisica non è che
la copia della realtà spirituale. Come l'ombra sbiadita sta in confronto
all'uomo vivo, così la musica-ombra fisica sta alla vera musica-luce
spirituale.» (Rudolf Steiner, L'essenza della musica, conferenza di
Colonia del 3 dicembre 1906) Steiner si propose di ricreare nel microcosmo
umano l'armonia stellare attraverso l'arte da lui stesso fondata, denominata
euritmia, dell'equilibrio tra parole, gesti e movimenti.[19] NoteModifica
^ Hazrat Inayat Khan, Il misticismo del suono( PDF ), traduzione di Hasan Signora,
1931, p. 93. ^ Weiss, p. 3. ^ Plinio il Vecchio, pp. 277-278. ^ Houlding, p.
28. ^ a b c d a cura di Natacha Fabbri, L'armonia delle sfere, su
brunelleschi.imss.fi.it, Museo Galileo. URL consultato il 29 febbraio 2012. ^
Kahn, p. 26. ^ Davis, p. 252. ^ Smith, p. 2. ^ Affresco appartenente a un
gruppo di altri angeli musicanti dipinti a Roma da Melozzo nel 1480 nell'abside
della chiesa dei Santi Apostoli, successivamente trasferiti in forma di
frammenti nella Pinacoteca Vaticana nel 1711. ^ a b Atti. Classe di scienze
morali, lettere ed arti, volumi 147-148, pp. 316-318, Istituto Veneto di
Scienze, Lettere ed Arti, 1989. ^ a b Mario Pasi, Storia della musica, volume
1, pag. 380, Jaca Book, 1995. ^ a b Christiane L. Joost-Gaugier, Pitagora e il
suo influsso sul pensiero e sull'arte, pag. 140, Arkeios, 2008. ^ Dante e la
musica delle sfere. ^ Kepler & the Music of the Spheres, su
skyscript.co.uk. URL consultato il 29 febbraio 2012 (archiviato dall' url
originale il 12 maggio 2012). ^ Baruch Spinoza, Ethica ordine geometrico
demonstrata, 1677. ^ Trad. it. a cura di Patrizio Sanasi. ^ Tiziano Bellucci,
L'armonia delle sfere planetarie, lo zodiaco musicale e i colori, su
coscienzeinrete.net. ^ Stefano Centonze, Manuale di Arti Terapie, pag. 234, ed.
C. Virtuoso, 2011. ^ Articolo su Rudolf Steiner e l'euritmia, su
italiadonna.it. BibliografiaModifica Piero Weiss e Richard Taruskin, Music in
the Western World: a history in documents, Cengage Learning, 2008, ISBN
978-0-534-58599-0. Plinio il Vecchio, Storia Naturale, 77 a.C. (tradotto da
Harris Rackham, Harvard University Press, 1938, ISBN 06-7499-364-0) Deborah
Houlding, The Traditional Astrologer, Ascella, 2000, ISSN 1369-4826 (WC ·
ACNP). Henry Davis, The Republic, The Statesman of Plato, Nabu Press, 2010,
ISBN 978-1-146-97972-6. Marc Smith, Ptolemy's theory of visual perception: an
English translation of the Optics, American Philosophical Society, 2006, ISBN
978-0-87169-862-9. Charles Kahn, Pythagoras and the Pythagoreans, Hackett
Publishing Company, 2001, ISBN 978-0-87220-575-8. Voci correlateModifica
Armonia Harmonices Mundi De Institutione musica Gerarchia degli angeli Sfere
celesti Temperamento (musica) Altri progettiModifica Collabora a Wikimedia
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– aristotele – platone – padova naturalism – Firenze idealism – filosofia della
percezione – prospettiva -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Delfino” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51768078450/in/dateposted-public/
Delia
Deliminio
Grice e Delogu – semiotica romana –
implicatura sarda -- filosofia italiana – filosofia sarda -- Luigi Speranza (Nuoro). Filosofo. Grice: “We can call Delogu a Griceian;
at least he has written a little tract that he entitled ‘questioni di senso’ –
which is all that my philosophy is about!”
Si laurea a Sassari e, come
vincitore di una borsa di studio regionale di perfezionamento in Dottrina
dello Stato, ha collaborato all’attività didattica e di ricerca con Pigliaru.
È stato redattore del periodico del seminario di Dottrina dello Stato Il
Trasimaco, fondato e diretto da Pigliaru. Come vincitore di concorso ha
insegnato Filosofia e Storia nei licei. Ha preso servizio a Sassari in qualità
di ricercatore. Come vincitore di concorso ordinario, è prof. associato e
prof. ordinario di Filosofia morale
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di
Sassari. Cofonda i Quaderni sardi di filosofia e scienze umane. Fonda e diretto
i Quaderni sardi di filosofia letteratura e scienze umane. Fa parte del
comitato scientifico della rivista “Segni e comprensione” -- dell’Lecce.
È stato direttore del Centro studi fenomenologici a Sassari, fonda e diretto la
sezione sassarese della Società Filosofica Italiana. È stato direttore della
Scuola di specializzazione per la formazione degli insegnanti a Sassari. Gli è
stato conferito il Premio Sardegna-Cultura e il Premio Giuseppe Capograssi,
dalla giuria presieduta da Giovanni Conso, presidente dell’Accademia dei
Lincei. Organizza numerosi convegni, tenutisi in Sardegna, generalmente a
Sassari. Tra questi: Realtà impegno progetto in Pigliaru, Libertà e
liberazione; Etica e politica in Capograssi; Tuveri filosofo, Dettori filosofo,
Esperienza religiosa e cultura contemporanea, Le nuove frontiere della medicina
tra etica e scienza, Vasa filosofo, Nella scrittura di Satta,; Filosofia e
letteratura in Karol Wojtyla; Attualità di Noce; Scrittura e memoria della
Grande Guerra. Ha partecipato in qualità di relatore ai convegni su
Merleau-Ponty (Lecce), Mounier (centro E. Mounier Reggio Emilia), Sartre (Bari,
Università Roma TRE, La Sorbona di Parigi), Gramsci (Cagliari), Intellettuali e
società in Sardegna nell’Ottocento (Cagliari), Capograssi (Roma), Noce (Roma); Tuveri (Cagliari), SSatta,
(Trieste); su Corpo e psiche: l’invecchiamento (Chiavari), su I vissuti: tempo
e spazio (Chiavari); è stato relatore al Corso di formazione su Fenomenologia e
psico-patologia promosso dal Dipartimento di salute mentale di Massa
Carrara. Ha tenuto lezioni seminariali sul pensiero fenomenologico di Wojtyla
a Lublino; Capograssi, sul Diritto penale internazionale a Ginevra, sul
pensiero filosofico politico nella Sardegna dell’Ottocento a Zurigo. È
stato responsabile del gruppo di ricerca dell’Ateneo sassarese su L’etica nella
filosofia italiana e francese contemporanea, PRIN. Collabora alle riviste
Annuario filosofico, Rivista internazionale di Filosofia del diritto, Nouvelle
Revue théologique; al Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, alla
Enciclopedia Filosofica edita da Bompiani. Ha diretto il Master Mundis per la
Dirigenza Scolastica promosso da Sassari in collaborazione con la conferenza
nazionale dei Rettori. Premio "Sardegna-Cultura" Premio
"Giuseppe Capograssi”. Altre opere: “Insegnamento e implicamento
empiegamento della filosofia nella scuola secondaria, Tipografia editoriale
moderna, Sassari); “La critica di Merleau-Ponty alla concezione tomista
dell’uomo e della libertà in S. Tommaso nella storia del pensiero, Teoria e prassi in A. Pigliaru, Quaderni
sardi di filosofia e scienze umane, La Filosofia Cattolica in Italia, Quaderni
Sardi di filosofia e scienze Umane); “Pluralismo culturale ed educazione in
Colloquio interideologico,“ Orientamenti Pedagogici", La Filosofia
dell’educazione in A. Pigliaru; in Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane,
Se la corrente calda… Un itinerario filosofico: Péguy, Sorel, Mounier, Sartre,
Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, M. Ponty, Esistenzialismo,
Marxismo, Cristianesimo,, Editrice La Scuola, Brescia); Né rivolta né
rassegnazione: saggio Su Merleau-Ponty, Ets, Pisa); “Le corpori nell’esperienza
morale” Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, Non vi è terza (né altra
via) nell’ “Esprit” di Mounier, Quaderno Filosofico, “Temporalità e prassi” in
S. Weil, Progetto, Temporalità e prassi in
Sartre in Sartre, teoria scrittura impegno, V. Carofiglio e G. Semerari,
Ed. Dedalo, Bari, Una filosofia disarmata Merleau- Ponty in Esistenza impegno
progetto in Merleau-Ponty, G. Invitto, Guida, Napoli); “Storia e prassi” in La
ragione della democrazia, Ed. Dell'oleandro, Roma, Giuseppe Capograssi e la
cultura filosofico-giuridica in Sardegna, Quaderni sardi di filosofia e scienze
umane, Note per una fenomenologia della esperienza religiosa; in Chi è Dio.
Università Lateranense, Herder, Roma, Storia della cultura
filosofico-giuridica, Enciclopedia della Sardegna, La Filosofia etico-politica
di Dettori e la cultura sardo-piemontese tra Settecento e Ottocento, Quaderni
Sardi di Filosofia e Scienze Umane, Il nucleo di vita e di luce del Rousseau
capograssiano in Due convegni su Capograssi, F. Mercadante, Giuffè, Milano, Filosofia
e società in Sardegna tra Settecento e Ottocento in “La Sardegna e la
rivoluzione francese” M. Pinna, Editore, La Filosofia giuridica e
etico-politica negli intellettuali sardi della prima metà dell’Ottocento: Azuni,
D. FoisTola, G. Manno in Intellettuali e società in Sardegna tra Restaurazione
e Unità d’Italia, Editore, Le Radici fenomenologico-capograssiane di S. Satta
giurista-scrittore; in Salvatore Satta giurista-scrittore, U. Collu, Edizioni,
Nuoro); “Soggetto debole, etica forte: da S. Weil a E. Levinas; in Le Rivoluzioni
di S. Weil, G. Invitto, Capone Editore, Lecce, Pigliaru e Gramsci in Socialismo
e democrazia, Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico, Tracce
del postmoderno in Weil, in Moderno e postmoderno nella filosofia italiana
oggi, U. Collu, Consorzio per la pubblica lettura S. Satta, Nuoro, Società e
filosofia in Sardegna Tuveri, FrancoAngeli, Milano, Cultura barbaricina e
banditismo in Pigliaru e M.Pira in L’Europa delle diversità, FrancoAngeli,
Milano, Prospettive fenomenologiche nella cultura contemporanea; in Quaderni
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contemporanei in Giorgio Asproni e il suo ‘Diario Politico’, Cuec, Cagliari, Domenico Azuni, Elogio della pace, a cura di,
Assessorato Regionale alla Pubblica Istruzione, Cagliari, Multi-dimensionalità
della esistenza, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, D.A.
Azuni filosofo della pace, in Francia e Italia negli anni della rivoluzione,
Laterza, Bari); “La Preghiera in J.Sartre in Esperienza religiosa e cultura
contemporanea, a cura di, Diabasis, Reggio Emilia); Note su “Etica comunitaria”
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o il figlio del tuono, a cura di, Marinotti, Milano, Due Filosofi militanti:
Carlo Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri in Cattaneo e Garibaldi. Federalismo
e Mezzogiorno, A. Trova, G. Zichi, Carocci, Roma, Esperienza e pena in Satta in
Nella scrittura di Salvatore Satta, Magnum, Sassari, Note Introduttive alla
filosofia di Wojtyla, Orientamenti Sociali Sardi); Note sul cristianesimo di Pigliaru,
Orientamenti Sociali Sardi, Nov-Dic., Etica e santità in Simone Weil; in Etica
contemporanea e santità, Edizioni Rosminiane, Stresa); Legge morale e legge
civile in Natura umana, evoluzione ed etica. Annuario di Filosofia, Guerini e
Associati, Milano, V. Jankélévitch, Corso di filosofia morale, a cura di, Raffaello
Cortina, Milano); Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla, Urbaniana
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in Nouvelle Revue Theologique, Prefazione
all’analisi dell’esperienza comune in Giuseppe Capograssi, in La vita etica, F.
Mercadante, Bompiani Milano, La noia in Jankélévich, in In Dialogo con Vladimir
Jankélévich., Lisciani Petrini, Mimesis, Milano); La filosofia di Capograssi in
Esperienza e verità- Capograssi filosofo
oltre il nostro tempo, Il Mulino, Bologna, L’eredità di Capograssi nel pensiero
di Pigliaru, in Antonio Pigliaru. Saggi Capograssiani, a cura di, Edizioni
Spes, Roma, Ragione e mistero, in
Orientamenti Sociali Sardi, XV,. Il pensiero di Noce sul Magistero della
Chiesa, in Attualità del pensiero di Augusto Del Noce,, Cantagalli, Siena, Contro
lo scientismo. Una esperienza di vita, in Gesù Di Nazareth all’UniversitàAzzaro,
Libreria Editrice Vaticana, Roma,. Libertà di coscienza e religione, in Martha
C. Nussbaum, in Nel mondo della coscienza: verità, libertà, santità, Centro
Internazionale di Studi Rosminiani, Stresa, Individuo Stato e comunità in Pigliaru,
in Le radici del pensiero sociologico-giuridico, A. Febbrajo, Giuffré, Milano,.
La pace e la guerra nel pensiero di Cimbali e Vecchio docenti nell’Sassari in
Scrittura e memoria della Grande Guerra, A. Delogu e A.M. Morace, Pisa,
ETS, Questioni di senso- Breviario filosofico,
Donzelli, Roma,. La vita e il diritto nell’opera di Satta, Nuoro, Lezione di
commiato di Antonio Delogu, La Nuova Sardegna, 02 marzo, su
lanuovasardegna.gelocal. Remo BodeiAntonio Delogu, su youtube.com. Festival di
filosofia. Wikipedia Ricerca Sardegna e Corsica provincia romana Lingua
Segui Modifica Sardegna e Corsica Sardegna e Corsica Un pavimento a
mosaico proveniente da Nora (in alto a destra), le rovine romane di Aleria (in
basso a destra), le terme romane di Fordongianus (in basso a sinistra), e le
rovine dell'anfiteatro romano di Cagliari (in alto a sinistra). Informazioni
generali Nome ufficialeSardinia et Corsica CapoluogoCaralis Dipendente
daRepubblica romana, Impero romano Amministrazione Forma amministrativa Provinciaromana
GovernatoriGovernatori romani di Sardegna e Corsica Evoluzione storica
Inizio237 a.C. CausaPrima guerra punica Fine456 CausaInvasione dei Vandali
Preceduto daSucceduto da Domini cartaginesiRegno dei Vandali Cartografia
Corsica et Sardinia SPQR.png La provincia nell'anno 120 La Sardegna e Corsica
(in latino: Sardinia et Corsica) fu una provincia romana di età repubblicana e
imperiale. La Sardegna entrò nella sfera d'influenza romana dal 238 a.C. La
Corsica due anni più tardi ed entrambe vi rimasero fino all'invasione dei
Vandali del 456. Roma occupò la Sardegna nell'intervallo fra la prima e la
seconda guerra punica. Già nei primi anni del grande conflitto, precisamente
nel 259 a.C., il suo esercito aveva tentato la conquista dell'isola,
giungendovi dalla Corsica, ma il console Lucio Cornelio Scipione, dopo essersi
impadronito di Olbia, aveva dovuto ritirarsi. StatutoModifica Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Province romane e Lista
dei pretori di Sardegna e Corsica. La Sardegna (in greco Σαρδώ, Sardò) e la
Corsica(Κύρνος, Kýrnos),[1] furono annesse rispettivamente nel 238 e nel 237,
sottraendole alla dominazione punica. I buoni rapporti che intercorrevano tra
le popolazioni locali e i Cartaginesi, contrapposti ad un regime di conquista introdotto
dai Romani, determinarono una serie di rivolte (in Sardegna negli anni 236-231
a.C., 216 a.C., 187-177 a.C., 126 a.C. e 122 a.C.; in Corsica negli anni
234-231 a.C., 201 a.C., 172 a.C., 163 a.C., 111 a.C.) e un'incompleta
pacificazione in particolare delle tribù dell'interno, con continue azioni,
considerate brigantaggio dai Romani. L'intera provincia era governata da
un pretore(attestato a partire dal 227 a.C.), con capoluogo a Carales
(Cagliari), in Sardegna. Probabilmente l'intero territorio della Sardegna
fu considerato ager publicus populi Romani e sottoposto all'esazione di una
decima, a cui potevano aggiungersi altre requisizioni e si ritiene che ad un
regime simile sia stata sottoposta anche la Corsica. Di una certa importanza
era la produzione di grano della Sardegna mentre altre esportazioni erano
costituite dal sugheroe da prodotti della pastorizia e dalle saline. La
proprietà terriera mantenne in Sardegna il carattere di latifondo, già
impostato sotto la dominazione punica. La situazione della provincia
rimase marginale con una scarsa romanizzazione, soprattutto dovuta alla
presenza dei reparti militari, e con una forte permanenza della cultura locale.
Una prima consistente immigrazione si ebbe nel I secolo a.C. in seguito alle
proscrizioni delle guerre civili. Durante il periodo della guerra civile tra
Mario e Silla vi vennero dedotte in Corsica le colonie di Mariana (presso
Biguglia) e di Aleria. Dopo la morte di Silla, vi riparò Marco Emilio Lepido,
che in seguito, sconfitto dal governatore Gaio Valerio Triario, si spostò in
Spagna con alcuni seguaci. Durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo la
provincia fu abbandonata dai pompeiani, ma le diverse città accolsero
diversamente le truppe cesariane e furono di conseguenza punite o ricompensate.
Cesare fondò la colonia di Turris Libisonis (Porto Torres, sulla costa
settentrionale) e attribuì a Carales lo stato di municipio. Parallelamente, in
funzione del loro appoggio, a diversi influenti personaggi locali era stata
concessa la cittadinanza romana. La romanizzazione non si estese tuttavia mai
del tutto nell'interno delle due isole. Con la riforma augustea nel 27
a.C. la provincia divenne senatoria, ma nel 6 d.C., la necessità di mantenervi
un presidio armato contro il persistere del brigantaggio indusse lo stesso
Augusto a passarla a provincia imperiale. Fu amministrata sempre da un
praefectus Sardiniae a partire da Tiberio, e da Claudio al titolo principale di
praefectus Sardiniae fu aggiunto l'attributo procurator Augusti.[2][3][4] Passò
a varie riprese da senatoria, governata da un propretore, a imperiale, a
seconda delle necessità contingenti. La provincia fu occupata da alcuni
latifondi di proprietà imperiale e interessata dallo sfruttamento delle
minieree fu spesso utilizzata come luogo di confino (per esempio per
Seneca). Storia delle due isole romane Modifica
Il Mediterraneo occidentale nel 348 a.C. al tempo del secondo trattato tra Roma
e Cartagine. Frattanto gli Etruschi subiscono l'attacco dei Galli e di Roma
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Storia della Sardegna, Storia della Corsica e
Trattati Roma-Cartagine. Sembra che il primo serio interessamento di Roma alla
Corsica si ricavi da un testo di argomento insospettabile: è infatti in
Teofrasto, il botanico greco, che si legge di una spedizione romana in Corsica
finalizzata alla fondazione di una città. Le 25 navi della spedizione incorsero
però in un inatteso inconveniente, rovinandosi le vele con la selvaggia e
gigantesca vegetazione, i cui rami crescevano e si sporgevano dai golfi e dalle
insenature dell'isola sino a lacerarle irrimediabilmente; e, per completare il
disastro, la zattera che caricava 50 vele di ricambio affondò con tutto il
carico[5]. La spedizione sarebbe avvenuta intorno al IV secolo a.C., a questo
periodo infatti diversi studiosi, fra i quali il Pais[6], riferiscono il brano
del botanico. Fallita la prima spedizione, non era cessata l'attenzione
dell'Urbe per il mare e le due isole. Per questo interesse giunse anche, all'incirca
nel 348 a.C.[7], a stipulare due trattati con Cartagine, entrambi riguardanti
Sardegna e Corsica; ma se rispetto alla prima isola i passaggi dei trattati
sono ben chiari[8], i patti sulla seconda sono tutt'altro che nitidi, al punto
che Servio osserva che in foederibus cautum est ut Corsica esset medio inter
Romanos et Carthaginienses[9]. Anche Polibio, narrando dei trattati[10], non
menziona la Corsica e da questo silenzio, insieme al fatto che l'isola non
figurava nemmeno nelle descrizioni dei territori a controllo cartaginese, il
Pais ed altri dedussero che la facoltà di controllarla che tempo prima
Cartagine aveva pattuito con gli Etruschi, si fosse da questi trasmessa a
Roma[6]. Tuttavia lo stesso Pais ricorda, per converso, che Cartagine non aveva
mai rinunziato a mire sull'intero Mediterraneo, e che riponeva nella Corsica un
interesse specifico, giacché a partire dal 480 a.C.ne assoldava periodicamente
fidati mercenari; questa circostanza, unita ad una facile riflessione
sull'importanza strategica di un'isola a vista, anzi dirimpettaia delle rive
liguri, toscane e laziali, punto quindi di osservazione e di attacco, parrebbe
smentire l'ipotesi di un disinteressamento di Cartagine come causa del silenzio
dei trattati[6]. L'occupazioneModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Prima guerra punica. Dopo lo scoppio della prima
guerra punica nel 264 a.C., il console romano Lucio Cornelio Scipione nel 259
sbarcò in Corsica presso lo stagno di Diana[11], a circa 3 km da Aleria, e
assediò la città; sebbene l'invasore contasse sull'effetto sorpresa,
Aleriaresistette a lungo e dopo la capitolazione Scipione la fece saccheggiare
con ferocia, ciò che secondo Floroavrebbe diffuso lo sgomento fra le
popolazioni corse[12]. Prima di aver consolidato l'occupazione della Corsica,
Scipione passò in Sardegna dove secondo Giovanni Zonara i locali erano in
rivolta contro Roma in quanto sobillati dal generale cartaginese Annone[13].
Sulla rivolta non vi sono dubbi, ma sono state espresse perplessità a proposito
dell'asserita fomentazione cartaginese, ad esempio il Dyson definì l'asserzione
di Zonara a cryptic passage.[14]. A ogni buon conto, Scipione uccise Annone[15]
e ne organizzò il funerale[16]. Al suo rientro a Roma, il console celebrò il trionfo[17]
per la vittoria su Cartaginesi, Sardi e Corsi. Le Bocche di
Bonifacio che separano le due isole L'anno successivo, nel 258 a.C., Gaio
Sulpicio Patercolo sbarcò nella zona di Sulci in Sardegna, ma nei venti anni
che seguirono non sono riportate attività dell'esercito Romano in Sardegna. La
pace del 241 a.C.lasciò così l'isola sotto l'egemonia di Cartagine, anche
perché la suddivisione del Mediterraneo in sfere d'influenza aveva portato i
Cartaginesi, una volta persa la Sicilia, a spostare la propria attenzione verso
altre zone al di fuori della sfera d'influenza Romana. Ma in quello stesso
anno, seguendo l'esempio dei commilitoni d'Africa, i mercenari stanziati da
Cartagine in Sardegna si ribellarono e s'impadronirono del potere nell'isola,
compiendovi ogni sorta di efferatezze finché i Sardi, esasperati, insorsero e
li cacciarono dalla loro terra. L'orda dei sanguinari invasori si rifugiò
allora in Italia dove invitò i Romani a prendere possesso della Sardegna,
momentaneamente indifesa. L'invito fu accolto: Roma, cogliendo l'occasione dei
preparativi punici per la rioccupazione dell'isola, accusò Cartagine di
preparare l'invasione del Lazio e, nel 238 a.C., inviò le sue legioni in
Sardegna. Cartagine, che non era allora in condizioni di intraprendere una
nuova guerra contro Roma, subì il sopruso. Nel 236 a.C., il senato romano
dichiarò guerra ai Corsi[18] ed inviò una spedizione di conquista guidata da
Licinio Varo, non coerente con l'avvenuta occupazione dell'isola attestata in
alcuni storici romani[19]. Il comandante Varo, comunque, conscio dell'esiguità
della flotta assegnatagli, fece precedere l'attacco principale da un'operazione
decentrata meno impegnativa, onde fiaccare le difese corse, facendo sbarcare
sull'isola un corpo separato di spedizione al comando dell'ex console Marco
Claudio Clinea. Prima di questa operazione, Clinea aveva già compromesso la sua
reputazione presso i Romani, avendo osato andare in battaglia contro l'avviso
degli àuguri[20] e avendo pure commesso un sacrilegio consistente nell'avere (o
aver fatto) strangolare dei galli sacri; ansioso di riguadagnare prestigio,
egli mosse da solo contro il nemico e ne fu sconfitto.[21] I Focei lo
obbligarono a siglare un umiliante trattato presto sconfessato da Varo, che lo
ignorò o lo infranse, a seconda dei punti di osservazione, e attaccò quando gli
avversari, i quali dopo la firma del trattato non si attendevano un attacco e
avevano quindi smobilitato.[21]. Varo li vinse facilmente e conquistò territori
nella parte meridionale dell'isola; poi tornò a Roma dove chiese la
celebrazione del trionfo, che gli fu però negato. Quanto allo strangolatore di
galli, Clinea, Roma decise di lasciarlo in mano ai Corsi presumendo che lo
avrebbero ucciso per esser in qualche modo venuto meno (con l'attacco guidato
da Varo) al trattato sottoscritto, ma questi lo liberarono ed anzi lo
rinviarono a Roma indenne; il Senato tuttavia non cambiò idea e, dopo averlo
riportato in città, lo condannò a morte, inducendo Valerio Massimo a chiosare
che hic quidem Senatus animadversionem meruerat[21]. Le tribù
Nuragiche (XVII-II secolo a.C.). Le prime rivolteModifica Così come i Corsi,
anche le popolazioni sarde che se in precedenza avevano finito con l'accettare
la presenza dei Cartaginesi collaborando parzialmente con loro, ora non erano
affatto disposte a subire il dominio di questa nuova gente, anch'essa venuta
d'oltremare con le armi in pugno, ed intrapresero subito un'accanita resistenza
all'invasore nei modi di una ostinata e persistente guerriglia. Essi infatti
erano armati alla leggera: utilizzavano le pelli di muflonecome corazze
naturali, oltre ad un piccolo scudo ed una piccola spada.[1] Già nel 236
infatti, due anni dopo la conquista da parte romana del centro sardo-punico
della Sardegna, i Romani condussero varie operazioni militari contro i Sardi
che rifiutavano di sottomettersi. Nel 235, sobillati dai Cartaginesi che
"agivano segretamente", i Sardi si ribellarono, ma la rivolta fu
soffocata nel sangue da Manlio Torquato, che avrebbe celebrato il trionfo sui
Sardi il 10 marzo del 234. Nel 233 altre rivolte furono sanguinosamente
represse dal Console Carvilio Massimo, il cui trionfo sarebbe stato celebrato
il 1º aprile dello stesso anno. Nel 232fu il console Manio Pomponio a
sconfiggere i Sardi ed a ricevere gli onori del trionfo il 15 marzo. La
resistenza, però, era ben lungi dall'essere stata sedata ed anzi il clima si
fece rovente. Sempre nel 233 a.C. i consoli Marco Emilio Lepido e Publicio
Malleolo, di ritorno da una spedizione in Sardegna in cui avevano razziato dei
villaggi, furono costretti da una tempesta a prendere terra in Corsica; gli
abitanti li assalirono, massacrarono i soldati e li depredarono del bottino
sardo[13]. Il Senato di Roma inviò allora nell'isola il console Caio Papirio
Maso, il quale dopo una serie di buoni successi nelle zone costiere, si diede
ad inseguire i corsi (per Roma "i ribelli") sulle montagne. Qui i
padroni di casa ebbero facilmente la meglio, dovendo il romano fare i conti
anche con la scarsità di rifornimenti e perdendo uomini, oltre che per le
azioni militari, anche per la denutrizione delle sue truppe[22]. Papirio fu
costretto ad una resa e sottoscrisse un altro trattato i cui dettagli non sono
noti, ma che assicurò un buon periodo di pace.[13][23] In seguito Roma completò
l'occupazione della Corsica durante la prima guerra punica, dando l'avvio ad
una fase di dominazione che durò ininterrotta per circa sette secoli. Nel
231, data la grave situazione di pericolo, furono inviati addirittura due
eserciti consolari: uno contro i Corsi, comandato da Papirio Masone, e uno,
guidato da Marco Pomponio Matone, contro i Sardi. I consoli non ottennero il
trionfo, dati i risultati fallimentari conseguiti. E a poco valse a Papirio
Masone celebrare di sua iniziativa il trionfo, negatogli dal senato, sul monte
Albano anziché sul Campidoglio e con una corona di mirto anziché di
alloro. La provincia di Sardegna e CorsicaModifica Magnifying glass icon
mgx2.svg Lo stesso argomento
in dettaglio: Lista dei pretori di Sardegna e Corsica. Nel 226 e 225 si
verificò una recrudescenza dei moti, ma ormai Roma era fortemente intenzionata
ad assicurarsi il dominio del Mar Mediterraneo, e dunque il possesso della
Sardegna e della Corsica, che continuavano ad essere di decisiva importanza;
così, già dal 227, le due isole (perlomeno le parti controllate da Roma)
ottennero la forma giuridica ed il rango di Provincia - la seconda dopo la
Sicilia - e vi fu inviato il pretore Marco Valerio Levino (?) per
governarla[24]. Per domare gli ultimi focolai, stavolta fu inviato l'esperto
Console Gaio Atilio Regolo, con 2 legioni, ai primi di maggio del 225
a.C. La rivolta sarda di Ampsicora e gli anni della guerra
AnnibalicaModifica Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio:
Seconda guerra punica. Mappa della rivolta di Ampsicora in Sardegna (215
a.C.) Verso la fine del 216 a.C. giunse a Roma una lettera del propretore Aulo
Cornelio Mammula, il quale si lamentava del fatto che non erano stati
corrisposti gli stipendia ai suoi soldati di stanza nell'isola, e che vi erano
gravi carenze di approvvigionamenti di grano. Allo stesso fu risposto di dover
provvedere con i propri mezzi, poiché al momento non vi era alcuna possibilità
di soddisfare tali richieste.[25] In assoluto, la più importante rivolta
dei Sardi fu quella del 215 a.C., scoppiata all'indomani delle grandi vittorie
di Annibale in Italia. Livio sostiene che: «[...] l'animo dei Sardi era
stanco della lunga durata del dominio romano, spietato ed avido [...]; erano
stati oppressi da pesanti tributi e con ingiuste imposizioni di rifornimenti di
frumento.» (Livio, XXIII, 32.9.) Il nuovo pretore inviato nell'isola,
Quinto Mucio Scevola, si ammalò probabilmente di malaria dalla descrizione che
ne fece Tito Livio.[26] E quando si venne a sapere della sua malattia a Roma,
gli vennero inviati dei rinforzi (pari a 5.000 fanti e 400 cavalieri), posti
sotto il comando di Tito Manlio Torquato.[27] Un autorevole esponente
dell'aristocrazia terriera sardo-punica, quell'Amsicora (o Ampsicora) che Tito
Livio definì: «qui tum auctoritate atque opibus longe primis erat» (colui il
quale in quel tempo era largamente primo per autorità e per ricchezze), era
infatti riuscito non solo a mettere in campo un esercito sardo abbastanza
consistente, ma anche ad ottenere rinforzi militari da Cartagine, inviandovi
ambasciatori in segreto. Secondo alcune fonti insieme ad Amsicora a condurre la
rivolta si trovava pure Annone, un ricco cittadino punico di Tharros[28].
Cartagine sostenne la rivolta inviando una flotta forte di 15.000 armati, sotto
il comando di Asdrubale il Calvo.[28][29] Il piano di Amsicora era quello di
dare battaglia solo quando tutte le forze disponibili si fossero riunite. Per
continuare il reclutamento tra i sardi dell'interno, lasciò il comando al
figlio Iosto a Cornus con una parte dell'esercito. I rinforzi di Cartagine però
non arrivarono in tempo per colpa di una tempesta che dirottò le navi sulle
isole Baleari dove rimase per molto tempo per essere riparata;[30] e i Sardi
dell'interno indugiarono troppo prima di unirsi al suo gruppo. Iosto accettò
imprudentemente la battaglia offerta dal comandante Manlio Torquato. L'esercito
sardo fu sconfitto subendo la perdita di 3.000 soldati, 800 furono fatti
prigionieri[28]. Asdrubale il Calvo intanto raggiunse la Sardegna, sbarcò
a Tharros e respinse i Romani verso Caralis[31]. A loro si unì Amsicora con il
resto dell'esercito sardo. Lo scontro con i Romani avvenne nella piana del
Campidano meridionale, tra Decimomannu e Sestu[28]. Dopo una cruenta battaglia
la coalizione sardo-punica fu duramente sconfitta, morirono 12.000 tra Sardi e
Cartaginesi e 3.700 furono fatti prigionieri fra i quali Asdrubale il Calvo ed
Annone[28]. Iosto morì in battaglia. Amsicora affranto dal dolore per la morte
del figlio, non volendo finire nelle mani dei Romani si uccise[28]. Alla
fine dell'estate del 210 a.C., una flotta cartaginesedi 40 navi, comandata da
Amilcare apparve davanti alla città di Olbia, situata nella costa nordest della
Sardegna e la devastò;[32] poi quando apparve il pretore Manlio Vulsone con
l'esercito, il comandante cartaginese si affrettò ad allontanarsi fino a
raggiungere Caralis (Cagliari), che saccheggiò e da lì fece ritorno in Africa
con un ingente bottino.[33] Le rivolte del II secoloModifica Romania
e Barbaria Il II secolo a.C. fu, specialmente nella sua prima parte, un periodo
di importanti fermenti insurrezionali. Nel 181 a.C. ci fu una rivolta dei
Corsi, sedata nel sangue dal pretore Marco Pinario Posca, che ne uccise circa
2.000 e fece un certo numero di schiavi[34]. Nel 173 a.C. una nuova rivolta
fece intervenire Attilio Servato, pretore in Sardegna, che fu battuto e
costretto a ripararsi sull'altra isola[35]; Attilio chiese rinforzi a Roma,
questa inviò Caio Cicerio che, dopo aver fatto voto a Giunone Moneta di
erigerle un tempio in caso di successo, ottenne un nuovo sanguinoso successo,
con 7.000 corsi uccisi e 1.700 fatti schiavi[36]. Nel 163 a.C. a domare una
nuova rivolta fu invece Marcus Juventhius Thalna, delle cui gesta non è stato
tramandato. Oltre al silenzio letterario sulla spedizione, colpiscono due
aspetti anche più singolari del poco che ne è stato tramandato: il primo è che
dopo aver avuto notizia del successo il senato romano indisse delle preghiere
pubbliche, il secondo è che saputo a sua volta di quanto importante fosse stato
considerato il suo successo, Thalna ne trasse tanta emozione da addirittura
morirne[37]. Morto Thalna, la ribellione dovette riprendere immediatamente,
sostiene il Colonna[21], poiché Valerio Massimo, pur senza parlare di altre
rivolte, segnala che dalla Sardegna dovette allungarsi sull'isola corsa anche
Scipione Nasica a completare la pacificazione; circa la complessiva azione
romana di repressione delle insurrezioni, lo stesso Colonna suggerisce inoltre che
in nessun caso debba essersi trattato di successi pieni poiché, oltre che al
primo, a nessun altro condottiero fu poi più concesso il trionfo[21]. La
resistenza dei Sardi si protrasse ancora nel II secolo a.C. Per sedare la
ribellione dei Balari e degli Iliesi del 177/176 a.C., il Senato inviò il
console Tiberio Sempronio Gracco al comando di due legioni di 5.200 fanti
ciascuna, più 300 cavalieri, cui si associarono altri 1.200 fanti e 600
cavalieri fra alleati e Latini. In questa rivolta persero la vita 27.000 sardi
(12.000 nel 177 e 15.000 nel 176); in seguito alla sconfitta, a queste comunità
fu raddoppiato il gravame delle tasse, mentre Gracco ottenne il trionfo. Tito
Livio documenta l'iscrizione nel tempio della dea Mater Matuta, a Roma, dove i
vincitori esposero una lapide celebrativa che diceva:« Sotto il comando e gli
auspici del console Tiberio Sempronio Gracco, la legione e l'esercito del
popolo romano sottomisero la Sardegna. In questa provincia furono uccisi o
catturati più di 80.000 nemici. Condotte le cose nel modo più felice per lo
Stato romano, liberati gli amici, restaurate le rendite, egli riportò indietro
l'esercito sano e salvo e ricco di bottino; per la seconda volta entrò a Roma
trionfando. In ricordo di questi avvenimenti ha dedicato questa tavola a
Giove.» La Sardegna in epoca romana aveva appena 1/5 dei suoi abitanti attuali
(300.000 contro 1.600.000 attuali) e la Barbagia (più o meno la provincia di
Nuoro) poteva avere allora appena 55 000 abitanti (1/5 dei suoi attuali
280.000). Se l'epigrafe raccontava il vero, i Romani avevano ucciso la metà
degli abitanti, per di più tutti maschi e adulti[31]. Le rivolte dei
Sardi non si erano concluse, ma bisognò attendere gli anni 163 e 162 a.C. per
vederne di nuove (13-14 anni dopo lo sterminio compiuto da Sempronio
Gracco)[28]. Non si sa molto su queste rivolte poiché andarono perduti i testi
di Tito Livio successivi al 167. Si sa però da altre fonti che le sollevazioni
causate dall'eccessiva pressione fiscale dei pretori romani continuarono e gli
eserciti e i generali romani che si susseguirono nel compito di domare questa
terra utilizzarono sempre la stessa strategia: eliminare il maggior numero di
Sardi possibile. Tra le ultime rivolte di una qualche importanza vanno
citate quelle del 126 e del 122: quest'ultima permise a Lucio Aurelio di
celebrare l'8 dicembre il penultimo trionfo romano sui Sardi. L'onore però
dell'ultimo fu dato dal Senato al console Marco Cecilio Metello che nel 111
a.C., dopo 127 anni di lotta, sconfisse l'ultima resistenza dei Sardi uniti
(quelli delle coste e dell'interno)[38]. Da questo momento, i Sardi delle zone
costiere e delle pianure dell'Isola smisero di ribellarsi e col passare del
tempo si romanizzarono. Continuarono invece le ribellioni delle seguenti tribù dell'interno
che costrinsero le guarnigioni romane a estenuanti campagne militari.
Ilienses (siti tra il Marghine ed il Goceano) Balari (abitanti il Monteacuto e
parte della Gallurameridionale) Corsi (ubicati nella estremità settentrionale
della Sardegna) Olea - "Sardi Pelliti" o Aichilensens (così definiti
dall'erudito geografo Tolomeo, dal greco aix, aigòsovvero vestiti di pelli di
capra), abitanti la regione del Montiferru: arroccati nelle fortezze di sa
Pattada Cunzada (959 m) - Scano di Montiferro -, Badde Urbara (900 m) - Santu
Lussurgiu -, nei nuraghi di Leari (850 m), su Crastu de sa Chessa (745 m),
Funtana de Giannas (690 m) - Scano di Montiferro - , Silbanis e Monte Urtigu
(1050 m) - Santu Lussurgiu Celsitani, Nurritani, Cunusitani, Galillensi (odierna
Barbagia), Parati, Sossinati e Acconiti (nel Monte Albo e nei Monti Remule)
costituenti la cosiddette Civitates Barbariae, dimoranti nell'area chiamata
Barbària e probabilmente facenti parte dell'etnia degli Ilienses[39]. In queste
epoche, un gran numero di Sardi che erano stati fatti prigionieri furono
venduti come schiavi nei mercati di Roma, al punto che divenne proverbiale la
frase di Livio: "sardi venales" (sardi a basso costo). Mario
fondò in Corsica la città di Mariana (Colonia Mariana a Caio Mario deducta),
sita presso l'attuale comune di Lucciana verso la foce del Golo, nel 105 a.C.
Da questo momento iniziò la colonizzazione vera e propria e sull'isola
fiorirono ville rustiche e suburbane, villaggi e insediamenti di ogni tipo,
incluse le terme di Orezza e Guagno. Le Guerre Sociali Modifica Durante le guerre
civili romane la Sardegna fu dapprima spinta verso la fazione mariana dal suo
governatore Quinto Antonio e poco dopo indotta a schierarsi nel campo opposto
dal sopraggiungere del rappresentante di Silla. Nell'81 a.C. furono i legionari
di Silla a trovare in Corsica il luogo di pensionamento, stavolta presso
Aleria. Morto Silla, il pretore Caio Valerio Triario mantenne la Sardegna
fedele al partito senatorio capeggiato da Pompeo (l'isola pagò a quest'ultimo
un enorme tributo in acciaio per le armi del suo esercito nel 47 a.C.), finché
Carales (Cagliari) non si schierò con Cesare, imitata poco dopo da tutto il
resto dell'isola. Fu scacciato il luogotenente di Pompeo, Marco Cotta, e fu
accolto favorevolmente quello di Cesare, Quinto Valerio Orca. I pompeiani non
si diedero per vinti e iniziarono una serie di azioni guerresche intese alla
riconquista delle città costiere. Sulci si arrese mentre Carales resistette:
per questo motivo, Cesare punì la prima e premiò la seconda[40]. La situazione
si capovolse di nuovo nel 44 a.C., quando la Sardegna, assegnata ad Ottaviano,
fu invece occupata da Sesto Pompeo che la tenne come preziosa base per la sua
lotta contro i cesariani fino al 38 a.C., quando, tradito dal suo luogotenente,
fu definitivamente soppiantato da Ottaviano nel possesso dell'isola. Con
quella data finalmente ebbe termine per la Sardegna il periodo delle lotte
violente e dei bruschi sovvertimenti politici, con le loro funeste conseguenze
economiche, durato esattamente duecento anni. Nel 44 a.C. Diodoro Siculo
visitò la Corsica e notò che i còrsi osservavano tra loro regole di giustizia e
di umanità che valutò più evolute di quelle di altri popoli barbari; ne stimò
il numero in circa 30.000 e riferì che essi erano dediti alla pastorizia e che
marchiavano le greggi lasciate libere al pascolo. La tradizione della proprietà
comune delle terre comunali non fu eradicata del tutto se non nella seconda
metà del XIX secolo. I primi due secoli dell'ImperoModifica Busto
di Augusto, museo archeologico nazionale di Cagliari Il 13 gennaio del 27 a.C.
le province dell'Impero romano furono ripartite tra le province affidate
all'Imperatore Augusto, governate da legati di rango senatorio, e province
affidate al senato, tra cui la Sardegna e Corsica[41], governate da proconsoli
(proconsules) di rango senatorio . Anche nelle province senatorie l'Imperatore
aveva suoi rappresentanti di rango equestre detti procuratori
(procuratores) Presso Aleria e Mariana si approntarono basi secondarie
della flotta imperiale di Miseno. I marinai còrsi arruolati presso i porti
dell'isola furono tra i primi a ottenere la cittadinanza romana (sotto
Vespasiano, nel 75). Analogamente a quanto avveniva in altre province, i Romani
si guadagnarono il rispetto e la collaborazione dei capi locali (a cominciare
dai Venacini, tribù del Capo Corso), riconoscendo loro funzioni di governo
locale ed apportando ricchezza con la messa a profitto delle terre sfruttabili
in collina e lungo le coste. Nel 6 d.C. i Sardi si ribellarono, non solo
all'interno ma anche nelle pianure, e manifestarono il loro malcontento
unendosi ai pirati del Tirreno[41]. La violenza di questa rivolta costrinse
Augusto a rimuovere i senatori dal comando della Sardegna ed a prenderne lui
stesso il controllo diretto[41]. Fu inviato un distaccamento di legionari,
comandati da un prolegato (al posto del legato) di rango equestre[41] o da un
prefetto, a rinforzare la presenza militare sull'isola che prima era affidata
solo ad alcune coorti ausiliarie. La rivolta fu così violenta che alcuni
storici hanno ipotizzato che la Sardegna e la Corsica fossero state divise e
affidate a 2 governatori di pari grado indipendenti l'uno dall'altro; è infatti
attestata l'esistenza di un praefectus corsicae. Più accreditata è però
l'ipotesi che vuole che questo prefetto di Corsica fosse un subordinato del
governatore della Sardegna. Svetonio ci dice che Augusto visitò tutte le
province tranne la Sardegna e l'Africa poiché le condizioni del mare non glielo
permisero, mentre quando il mare non glielo impediva non c'era bisogno che
partisse: questo fa capire che la rivolta pur essendo violenta non durò molto.
Infatti nel 19 Tiberio sostituì il distaccamento di legionari con 4000 liberti
(o figli di liberti) ebrei. La situazione ritornò tranquilla e Claudio ridette
il comando al senato. Nerone mandò in esilio in Sardegna Aniceto, ex
precettore dell'imperatore ed ex prefetto della flotta di Miseno. Aniceto, su
istigazione di Nerone ne aveva ucciso la madre, Agrippina e qualche anno dopo,
per spianare la strada a Poppea "confessò" una relazione con Claudia
Ottavia moglie legittima di Nerone e fanciulla di specchiata virtù[41].
La Tavola di Esterzili risalente al 69, durante regno di Otone, e riportante
un decreto del Proconsole della Sardegna Lucio Elvio Agrippa atto a dirimere
una controversia tra i Gallilensi e i coloni Patulcenses Campani Probabilmente
per evitare fughe di notizie o ricatti Aniceto fu spedito in Sardegna dove
visse fra gli agi al sicuro anche da eventuali sicari
dell'imperatore.[42]Seneca, il tutore di Nerone, passò dieci anni in esilio in
Corsica a partire dal 41[41]. Nel 73 Vespasiano, tolse al senato il
controllo della Sardegna - forse di nuovo in fermento - e la affidò a un
procuratore[43]. L'imperatore Traiano tra il 115 e il 117ristrutturò e potenziò
il centro di Aquae Hypsitanaeche assunse in suo onore il nome di Forum
Traiani[43]. Il II secolo fu un momento di sviluppo e di prosperità anche
per la Sardegna: tutti gli abitanti, anche i barbaricini, si mostravano
contenti della politica romana (almeno secondo la storiografia ufficiale) e ben
presto tutta l'isola avrebbe parlato latino (la lingua dei Cartaginesi è
attestata fino al principato di Marco Aurelio). In questo periodo non ci furono
rivolte ed i Romani ebbero la possibilità di ricostruire e migliorare la rete
stradale punica spingendola anche all'interno, costruirono terme, anfiteatri,
ponti, acquedotti, colonie e monumenti. La ricchezza della Sardegna era dovuta
ad uno sfruttamento agricolo e minerario senza precedenti: l'isola infatti
esportava piombo, ferro, acciaio e argento grazie alle sue miniere, e grano per
250.000 persone. Ma nonostante tutto la Sardegna venne sempre considerata, e
non solo sotto i Romani, come una terra lontana e utile solo per isolare
prigionieri e nemici dell'impero. Tra le varie persone che giunsero in Sardegna
dal mare vi erano numerosi criminali, rivoluzionari ma anche tantissimi
cristiani tra cui anche i papi Callisto (174) e papa Ponziano (235) e il famoso
prete Ippolito[44]. I governatori, in questa fase, sembravano di fatto
dei coordinatori manageriali, con esperienza nel rifornimento e nel trasporto
del grano, più che uomini d'arme. Sappiamo ora con certezza che, nel 170, la
Sardegna era sotto il controllo senatoriale. Se Ippolito è preciso nella sua
terminologia, il governatore della provincia era chiamato procurator. Questi
governatori (procuratori) gestirono il territorio in modo pacifico fino al 211,
ma dopo, come del resto in tutto l'impero, riprese il malcontento della
popolazione, che costrinse i governatori a reprimere le rivolte con l'uso della
forza, nei casi più gravi. Gli ultimi tre secoli dell'Impero Modifica Nel
226 la situazione era cambiata rispetto a quella del secolo precedente; i
governatori erano quasi tutti militari ed alcuni, come Tizio Licinio Hierocle e
Publio Sallustio Sempronio, erano anche uomini con esperienze di guerra. Il
malcontento andò aumentando poiché le tasse erano alte, il latifondo si diffondeva
e gli agricoltori erano sempre più legati alla terra. Il fatto che nel 212
grazie a Caracalla i Sardi e i Corsi, come tutti gli abitanti dell'Impero,
avessero ottenuto la cittadinanza romana[44], passò in secondo piano poiché
questo onore era in concreto legato a tasse aggiuntive. Tra il 245 e il
248, durante il regno di Filippo l'Arabo, fu intrapresa la ristrutturazione e
risistemazione dell'impianto viario della provincia che cominciò con Publio
Elio Valente e continuò anche durante il breve regno di Emiliano[45].
Ricordiamo, inoltre, di numerosi martiri del periodo. San Simplicio, San
Gavino, San Saturnino, San Lussorio e Sant'Efisio in Sardegna[46] mentre Santa
Devota (martire attorno al 202, persecuzione di Settimio Severo, o al 304,
persecuzione di Diocleziano) è, assieme a santa Giulia, una delle prime sante
còrse di cui si sia avuta notizia. Secondo la leggenda, la nave che ne
trasportava il feretro verso l'Africa fu gettata da una tempesta sul litorale
monegasco. Per questo sarebbe divenuta la patrona del Principato di Monaco e
della famiglia Grimaldi. Santa Giulia (martire durante la persecuzione di
Deciodel 250, o quella di Diocleziano), è la patrona di Corsica e di Brescia,
città dove riposano le sue reliquie dopo che vi fu fatta trasportare da Ansa,
moglie del re longobardo Desiderio nel 762. Santa Giulia è patrona anche di
Livorno, dove le spoglie della santa avrebbero fatto tappa provenendo dalla
Corsica. A queste martiri se ne aggiunge un'intera schiera, tra i quali san
Parteo, che fu forse il primo vescovo di Corsica. Il primo vescovo còrso di cui
si abbia notizia certa è Catonus Corsicanus, che partecipò, così come il
vescovo di Caralis Quintinasio[45], al Concilio di Arlesindetto da Costantino I
nel 314. I domini dei Vandali attorno al 456, dopo la conquista di
Sardegna e Corsica. Nel 286 Diocleziano unì la provincia alla Dioecesis
Italiciana[47]. Dopo la divisione della diocesi attuata da Costantino, venne
compresa nell'Italia Suburbicaria. Sardegna e Corsica rimasero sotto Roma
per tutto il convulso IV secolo e i primi decenni del V (nell'impero romano
d'Occidente), fino a quando nel 456 i Vandali, di ritorno dalla penisola, dove
avevano saccheggiato Roma, en passant le conquistarono e le annessero al loro
regno. Ma vinsero solo sulle coste, poiché i Sardi dell'interno, ormai pratici,
immediatamente si ribellarono ai Vandali impedendo loro di entrare nella loro
zona. Aleria, in Corsica, fu saccheggiata e, abbandonata, finì in rovina, lo
stesso destino toccò ad Olbia. La parte romanizzata della Sardegna,
grazie ad un certo Goda, che era un governatore vandalo dell'isola di origine
gotica, dopo essersi ribellato al potere centrale nel 533 resistette per un
certo periodo ai Vandali assumendo il titolo di "Rex"[48].
Difesa ed esercitoModifica I Sardi entrarono anche a far parte dell'esercito
romano dando il loro modesto contributo ovunque vi fossero truppe; infatti, per
quanto riguarda i legionari, non essendo un'isola molto popolata, e dato che i
cittadini non avevano avuto la cittadinanza (ottenuta dopo la riforma di
Caracalla), il numero fu sempre bassissimo ed entra nelle statistiche solo
nell'epoca successiva ad Adriano. Per quanto riguarda gli ausiliari, i
Sardi fornirono (come isola Sardegna) 3 coorti, mentre come provincia (Sardegna
e Corsica) 6 coorti, 3 per ciascuna isola con un numero maggiore dei Sardi sui
Corsi. La "Cohors I Sardorum" era probabilmente stanziata a
Cagliari nei primi tre secoli d.C., mentre la "Cohors II Sardorum"
fondata al tempo di Adriano, era stanziata a Sur Djuab, a circa 100 km a sud di
Algeri. Il riscatto della Sardegna avvenne con la flotta; infatti i Sardi
erano la prima fonte di reclutamento occidentale della flotta di Miseno.
Considerando invece tutto l'impero, l'isola diventa la quarta fonte di reclutamento
della stessa flotta, battuta soltanto dalle province d'Egitto, d'Asia e della
Tracia che avevano una popolazione molto più grande. Geografia politica
ed economicaModifica Corsica Strabone, che scrisse durante il principato di
Augustoe Tiberio, descriveva la Corsica come un'isola scarsamente abitata, con
un territorio sassoso e per lo più impraticabile.[1] I suoi abitanti
risultavano ancora dei selvaggi che vivevano di rapine.[1] «Quando i
generali romani vi fanno incursioni e [...] prendono una gran parte della
popolazione, rendendola schiava, che poi la si trova a Roma, fa meraviglia per
quanto in loro vi sia di bestiale e selvaggio. E questi o non riescono a
sopravvivere, o se rimangono in vita, logorano talmente i loro proprietari per
la loro apatia, che questi si pentono [di averli acquistati], anche se li hanno
pagati poco.» (Strabone, Geografia, V, 2, 7.) Sardegna Strabone descrive
la Sardegna come un territorio roccioso e non ancora del tutto pacificato. Essa
possiede un territorio interno molto fertile di ogni prodotto, in particolare
di grano.[1] Purtuttavia, così come nei confronti delle popolazioni corse,
anche di quelle sarde le fonti romane (a differenza dei miti greci[49]) non
riportano generalmente una buona opinione. (LA) «A Poenis admixto
Afrorum genere Sardi non deducti in Sardiniam atque ibi constituti, sed
amandati et repudiati coloni.» (IT) «Dai Punici, mescolati con la
stirpe africana, sorsero i Sardi che non furono dei coloni liberamente recatisi
e stabilitisi in Sardegna, ma solo il rifiuto di cui ci si
sbarazza[50][51].» (Cicerone, Pro M. Scauro, 42) Il passaggio dei Romani
lasciò numerose tracce nella geografia della Sardegna per l'importante opera di
mappatura del territorio, del quale si ebbero le prime serie catalogazioni, ed
ovviamente nella toponomastica, di cui parte non è stata ancora soppiantata
nonostante il tempo trascorso. Le Bocche di Bonifacio, che separano la Sardegna
dalla Corsica, erano un tratto di mare molto temuto dai romani per via delle
correnti che potevano far affondare le loro navi ed erano dette Fretum
Gallicum. L'isola dell'Asinara, famosa per il carcere chiuso solo pochi anni
fa, era detta Herculis mentre le isole di San Pietroe di Sant'Antioco erano
dette rispettivamente Accipitrum la prima e Plumbaria la seconda; Capo Teulada,
la punta meridionale dell'isola era chiamata Chersonesum Promontorium mentre
Punta Falcone, l'opposto settentrionale di Capo Teulada, era detta Gorditanum
Promontorium; l'attuale fiume Tirso era chiamato Thyrsus. Le antiche
tribù còrse e le principali città e strade in epoca Romana. Maggiori centri
provinciali e tribù autoctoneModifica Corsica Prima Strabone[1] e poi, intorno
al 150, il geografoClaudio Tolomeo, nella sua opera cartografica, offrì una
descrizione piuttosto accurata della Corsica preromana, elencando: 8
fiumi principali, tra i quali il Govola-Golo e il Rhotamus-Tavignano; 32 centri
abitati e porti, tra i quali Blesino,[1]Centurinon (Centuri), Charax,[1]
Canelate (Punta di Cannelle), Clunion (Meria), Enicomiae,[1]
Marianon(Bonifacio), Portus Syracusanus (Porto Vecchio), Alista (Santa Lucia di
Porto Vecchio), Philonios(Favone), Mariana, Vapanes[1] e Aleria; 12 tribù
autoctone (in greco, latino e loro localizzazione): Kerouinoi (Cervini,
Balagna); Tarabenoi (Tarabeni, Cinarca); Titianoi (Titiani, Valinco); Belatonoi
(Belatoni, Sartenese); Ouanakinoi (Venacini, Capo Corso); Kilebensioi
(Cilebensi, Nebbio); Likninoi (Licinini, Niolo); Opinoi (Opini, Castagniccia,
Bozio); Simbroi (Sumbri, Venaco); Koumanesoi (Cumanesi, Fiumorbo); Soubasanoi
(Subasani, Carbini e Levie); Makrinoi (Macrini, Casinca). Sardegna Plinio ci
informa che "In essa (la Sardegna), i più celebri (sono): tra i popoli,
gli Iliei, i Balari e i Corsi"[52]; vengono inoltre menzionati più volte
altri popoli minori come i Parati, i Sossinati e gli Aconiti, che secondo gli
storici romani abitavano nelle caverne e depredavano i prodotti degli altri
Sardi che lavoravano la terra e che con le loro navi si spingevano fino alle
coste dell'Etruria per depredarla.[1] Tuttavia bisogna tener presente che
i luoghi abitati da questi popoli minori videro molti secoli prima dell'arrivo
dei Romani il fiorire della civiltà Nuragica, come in tutto il resto della
Sardegna, l'apparente arretratezza di tali popoli fu probabilmente dovuta alle
grosse perdite subite contro Cartaginesi e soprattutto contro i Romani, che
portarono alla relegazione di alcune popolazioni ribelli nei monti interni,
creando una divisione tra i Sardi abitatori di città e di villaggi nelle
pianure e nelle coste e i Sardi montanari che in gran parte si
"imbarbarirono" e si diedero al banditismo. Sempre i Romani,
nei secoli in cui dominarono la Sardegna, fondarono alcune nuove città come
Turris Libisonis (oggi Porto Torres) e fecero sviluppare molti centri abitati
soprattutto nelle coste, come Carales,[1]Olbia, Fanum Carisii (oggi Orosei),
Nora e Tharros, ma anche nell'interno, come Forum Traiani (oggi Fordongianus),
Forum Augusti (oggi Austis), Valentia (oggi Nuragus),Colonia Julia Uselis (oggi
Usellus), ed infine elevarono diverse città al rango di municipio.
BithiaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Bithia (sito archeologico). BonorvaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Bonorva. Il generale sabaudo Alberto La Marmora,
in esplorazione presso San Simeone di Bonorva, aveva identificato un forte
romano che era stato dimenticato per tutto questo tempo. Il Tetti indica in
realtà che si trattava di una fortificazione punica, che era stata occupata dai
romani. Nulla però dimostra una presenza militare in questo luogo per i primi
secoli dell'Impero romano. BosaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Bosa. L'anfiteatro romano di
Cagliari. Colonna nella Villa di Tigellio. CagliariModifica Magnifying
glass icon mgx2.svg Lo stesso
argomento in dettaglio: Storia di Cagliari. Cagliari (Carales o Karalis[1]) era
la città più importante della Sardegna. Il fatto che da qui partissero ben
quattro strade che attraversavano l'intera isola dal sud al nord, la
circostanza che il suo porto fosse un centro strategico importante per le rotte
commerciali del Mediterraneo occidentale (che oltretutto ospitava un
distaccamento della flotta di Miseno ed era il porto dal quale partiva il grano
per l'approvvigionamento di Roma) e che la sua popolazione fosse all'incirca di
20.000 abitanti, rendeva Carales una tra le più importanti città marittime
della zona occidentale dell'Impero romano. La zona abitata si sviluppava
sulla costa per circa 300 ettari, il centro di questa città era il foro, dove
sorgevano numerosi edifici come la curia municipale, l'archivio provinciale, la
sede del governatore, la basilica, il tempio di Giove Capitolino. La città fu
interessata da una serie di interventi edilizi di pubblica utilità come la
realizzazione di una complessa rete fognaria e la pavimentazione di strade e
piazze, la costruzione di un acquedotto (nel 140 d.C.) che molto probabilmente
prendeva l'acqua dalla sorgente di Villamassargia e, attraverso Siliqua,
Decimo, Assemini, Elmas, arrivava in città passando per il quartiere di
Stampace. Nel I secolo d.C. la città fu dotata di eleganti passeggiate
coperte da portici mentre nel II secolod.C. fu costruito l'anfiteatro, ancora
utilizzato per gli spettacoli al giorno d'oggi, semi-scavato nella roccia, che
poteva ospitare fino a 10.000 persone. Il titolo di municipium fu ottenuto solo
sul finire del I secolo a.C.; era un titolo importante perché le consentiva di
essere una città autonoma con cittadinanza romana. Per quanto riguarda le
differenze tra i vari quartieri, quelli signorili sorgevano nel territorio a
nord di Sant'Avendrace e nell'area di San Lucifero; al loro interno sorgevano
le terme, i templi, alcuni teatri e numerose ricche abitazioni; i quartieri
mercantili si trovavano nella zona della Marina e i quartieri popolari vicino
al porto, fra l'odierna via Roma e il Corso Vittorio Emanuele. Claudio
Claudiano, nel IV secolo, descrisse così la città di Caralis: «Caralis,
si distende in lunghezza ed insinua fra le onde un piccolo colle che frange i
venti opposti. Nel mezzo del mare si forma un porto ed in un ampio riparo ,
protetto da tutti i venti , si placano le acque lagunari» (Claudio
Claudiano, I,520) CalangianusModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Calangiani. Nell'attuale Calangianus è identificato
l'oppidum di Calangiani o Calonianus, citato nella Geographia del Fara. Oltre
alle diverse tracce di strada romana per Olbia e Tibula, sono state ritrovate rovine
dell'oppidum nei pressi di Monti Biancu e della località Santa Margherita, un
busto di Demetra a Monti di Deu ed un'anfora all'interno del nuraghe Agnu.
Inoltre, il toponimo deriverebbe dalla divinità Giano, il cui culto era molto
diffuso in Sardegna. CornusModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Cornus (Sardegna). FordongianusModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Fordongianus.
Fordongianus, Forum Traiani, si trova oggi in provincia di Oristano ed è
particolarmente importante per la sua posizione geografica che lo vede
incuneato tra i monti della Valle del Tirso, naturale via di penetrazione dalla
pianura all'entroterra e punto di contatto tra i due diversi mondi. Fin dalla
sua fondazione fu un centro rinomato per le sue terme, che sfruttavano una
fonte naturale di acqua calda e curativa. Qui si trova un'iscrizione che
testimonia come l'attività delle genti della Barbaria fosse ancora viva nel I
secolod.C. poiché furono queste a dedicare un'iscrizione ad un imperatore,
probabilmente Tiberio, rinvenuta nel Forum Traiani. Terme del Forum
Traiani Come già accennato in precedenza, tra le motivazioni originarie
dell'insediamento, si pone la presenza di una fonte d'acqua naturalmente calda
e curativa. Sfruttando la fonte sorse, proprio presso il fiume, un vasto
edificio termale (che costituisce oggi il nucleo dell'attuale area
archeologica) caratterizzato da una grande piscina, in origine coperta, in cui
giungono le acque calde temperate con un'aggiunta di acqua fredda. L'aspetto
curativo delle terme è sottolineato dal rinvenimento di due statue del dio Bes,
divinità legata ai culti salutiferi, e la loro importanza è messa in evidenza
dalla recente scoperta di un piccolo spazio sacro dedicato alle ninfe, divinità
delle acque. In un'area vicina all'attuale centro abitato è stato
rinvenuto l'anfiteatro, vicino alla necropoli tardo-antica sulla quale fu
edificata nell'XI secolo la chiesa di San Lussorio. Mamoiada Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Mamoiada. Mamoiada (o Mamujada) era
probabilmente uno stanziamento militare romano nell'isola, infatti diversi
studiosi moderni sono propensi a far derivare il suo nome da mansio manubiata
(stazione vigilata, sorvegliata). Altra prova a favore di questa ipotesi è il
nome del quartiere più antico della città "su Qastru" (dal lat.
castrum, campo fortificato, accampamento militare). Mamoiada in effetti
si trova in una zona centrale e quindi strategica della Barbagia, e
precisamente al centro della cerchia dei seguenti villaggi: Orgosolo, Fonni,
Gavoi, Lodine, Ollolai, Olzai, Sarule ed Orani, e dunque questa sua posizione
strategica non poteva non essere sfruttata dalle truppe romane nelle loro
azioni di sorveglianza e di repressione. MacomerModifica Magnifying glass
icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Macomer. Fondata tra il VI e il
V secolo a.C. dai Punici Macopsissa costituiva un importante centro per il
controllo del territorio. La sua importanza aumentò durante il periodo romano,
divenendo un importante snodo fra Calares e Turris Libisonis. Macomer era un
importante nodo della rete viaria creata dai Romani sull'Isola. Meana
SardoModifica Anche Meana Sardo, villaggio della Barbagia, era probabilmente un
presidio romano poiché il suo nome potrebbe derivare da mansio mediana
(stazione mediana o intermedia) di una tra le più importanti arterie stradali
romani nell'isola quella che da Carales porta a Olbia. Meana si trova
esattamente a metà strada di quel lungo tracciato ed anche a metà strada tra la
costa orientale e quella occidentale della Sardegna. MetallaModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Metalla.
NeapolisModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Neapolis (Sardegna). NoraModifica Rovine di Nora Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Nora (Italia). Il
preesistente abitato punico non ha condizionato in maniera particolare
l'assetto urbano di epoca romana. I Romani hanno effettuato infatti pesanti
interventi per la costruzione di strade, edifici e aree pubbliche come il
teatro e il foro, demolendo i precedenti edifici, in un piano di forte
rinnovamento urbanistico. I Romani modificarono a tal punto la città probabilmente
perché Nora fu la prima sede del governatore della provincia. Numerose
erano le ville e le case dei nobili e della plebe; degli edifici non rimane
molto poiché erano costruiti con zoccolo in pietra e l'elevato in mattoni
crudi. A differenza delle case e delle ville le strutture pubbliche erano
costruite col cemento e rivestite di laterizi o grossi blocchi di pietra. Le
più importanti opere della città erano: il teatro, costruito in età augustea, e
le terme a mare, edificate tra la fine del II e gli inizi del III secolo
d.C. NuoroModifica Sono scarne le notizie sulla città di Nuoro in epoca
romana. Secondo alcuni proprio all'inizio della dominazione romana la città fu
fondata con l'unione di vari gruppi nuragici, inizialmente legati contro il
nemico comunque, successivamente spinti all'unione dalla possibilità di
arricchirsi col commercio dei prodotti locali. Furono due i primi nuclei
cittadini, infatti i primi due gruppi si insediarono in parti diverse: un
gruppo si stanziò nel monte Ortobene, l'altro nel quartiere di Seuna, l'altro
nel quartiere di San Pietro. In seguito i due gruppi si riunirono dando origine
alla vera e propria città. Importante è anche il fatto che a Nuoro nella zona
più ricca dal punto di vista agricolo, oltre Badu e'Carros, ci fosse un
presidio militare. Questa zona infatti si chiama "Corte", e ricorda
molto la Coorte, che nel periodo romano era un gruppo di soldati. La
città ha avuto una grande importanza strategica poiché è situata proprio al
centro della Barbagia, i cui abitanti per secoli si ribellarono ai Romani prima
di essere romanizzati parzialmente. Nuoro sorge infatti lungo l'antico percorso
principale (asse nord-sud) della a Olbia-Karales per Mediterranea, nello snodo
con la via Transversae (la trasversale mediana) che attraversava la Sardegna
lungo un asse est-ovest (con quattro stazioni nodali negli incroci con le 4
principales: Cornus - Macopsissa - Nuoro - Dorgali/Orosei). La Trasversale
mediana era utilizzata anche per il trasporto del grano della valle del Tirso
verso la costa di Dorgali e Orosei, per l'imbarco del prodotto destinato al
porto di Ostia. Sempre a Nuoro terminava anche una strada vicinale per
l'odierna Benetutti. NureModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Nure (città). OlbiaModifica Busto di Nerone del
54/55-59 d.C. da Olbia, (museo archeologico nazionale di Cagliari). Olbia
occupò in età romana gli stessi spazi della città punica fino alle soglie
dell'età imperiale. Infatti non pare che durante la repubblica si siano
verificati sostanziali mutamenti nell'assetto urbanistico che continuò a
mantenere, intatto, il primitivo impianto ortogonale dei fondatori cartaginesi.
Successivamente la città si arricchì di opere pubbliche: vennero lastricate le
strade, si edificarono due impianti termali e un acquedotto, i cui resti sono
tuttora visibili a nord della città, e si rinnovarono alcune strutture
templari. Una concubina di Nerone di nome Atte fece erigere ad Olbia un
tempio a Cerere, e grazie all'imperatore ebbe latifondi nell'agro e fu anche
proprietaria di un'officina che fabbricava laterizi. Busto di
Traiano da Olbia, (museo archeologico nazionale di Cagliari) Il porto, in
contatto con i principali scali del Mediterraneo, fu di primaria importanza
nell'ambito della Sardegna settentrionale poiché da qui partivano per Roma
buona parte dei prodotti, soprattutto cerealicoli, del nord dell'isola che
confluivano nella città grazie a tre grandi strade. Per questo motivo nel 56
a.C., soggiornò nella città Quinto, fratello di Marco Tullio Cicerone, che
controllava i commerci per ordine di Pompeo. La necropoli, che si estese
uniformemente oltre la cinta urbana a occidente della città, restituì ricchi
corredi funerari. In particolare, nell'area della collina oggi occupata dalla
chiesa di San Simplicio (santo qui martirizzato, secondo la tradizione locale,
durante le persecuzioni di Diocleziano), l'utilizzo per le sepolture avvenne
fino a età medioevale e vi si rinvennero preziose oreficerie, sarcofagi
istoriati e iscrizioni. Intorno alla metà del V secolo Olbia fu
saccheggiata dai Vandali come dimostrano gli straordinari ritrovamenti avvenuti
nel 1999 nell'area del porto vecchio. Furono infatti ritrovati 24 relitti di
navi romane e medievali e da questo scavo è stato possibile accertare l'attacco
dei Vandali e il crollo della città anche se l'abitato non fu abbandonato e
rifiorì in età medievale. OschiriModifica Una mattonella o un mattone
trovata a Oschiri porta l'iscrizione COHR P S per "coh(o)r(tis)
p(rimae)" o "p(raetoriae) S(ardorum)", ma non è impossibile che
provenga da Nostra Signora di Castro poiché non è conosciuto bene il modo in
cui è stato scoperto questo mattone. Per il resto il luogo non ha nulla che
faccia pensare ad una presenza militare romana. OthocaModifica Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Santa Giusta (Italia).
Porto TorresModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Colonia Iulia Turris Libisonis. Mosaico dell'Orfeo
Presumibilmente il sostantivo con cui veniva identificata la città, in epoca
romana, era Turris Libysonis. Questo lo si deduce grazie a Plinio il Vecchio,
il quale, nella sua Naturalis Historia(nel I secolo d.C.) cita "Colonia
autem una que vocatur ad turrem libisonis", letteralmente; "mentre
v'è (in Sardegna) una sola colonia romana, presso la torre di libiso".
Tale scrittura fa pensare ad un riferimento artificiale, probabilmente una
torre nuragica (Nuraghe). È invece grazie all'anonimo Ravennate che si evince
lo status dell'insediamento, il quale sostiene; "Turris Librisonis colonia
Iulia", da che si nota l'aggettivo Iulia, dovuto verosimilmente a Giulio
Cesare, probabile fondatore della colonia, durante il viaggio di ritorno
dall'Africa o ad Ottaviano delegatore di un tale, Marco Lurio, che potrebbe
aver fondato la colonia intorno al 42\40 a.C. Statua romana da
Porto Torres Oltre a ciò l'importanza del centro, nell'isola, era notevole,
paragonabile solo a quella di Carales. L'importanza politica è deducibile dalla
"Passio Sanctorum Martyrum Gavini Proti et Jianuarii", nel quale si
esterna la presenza di una residenza del governatore della provincia romana,
tale Barbaro. L'importanza economica invece è palese dalle rovine
restanti, terme imponenti è una impressionante maglia urbana, il centro per
altro era in comunicazione diretta con Roma, tant'è vero che nella Ostia
antica, si trova un mosaico che riporta "Naviculari Turritani",
riconducibile ai commercianti di Turris. Infatti le esportazioni di cereali
erano notevoli, grazie alla grande pianura della Nurra, in diretta
comunicazione con la colonia mediante il "ponte romano" (costruzione
più imponente del suo genere nell'intera provincia), sovrastante il fiume Riu
Mannu, che tra le altre cose era utilizzato come via alternativa per i traffici
con l'interno dell'isola, si ipotizza la presenza di un porto fluviale, oltre a
quello marittimo. Ma oltre alle esportazioni cerealicole, erano massicce anche
quelle minerali, e salini, provenienti dai vicini siti. cosa particolare era la
presenza del culto di Iside. Altre prove storiche sono dovute a Cicerone
in una sua lettera la chiama "Collina" ma, visti i ritrovamenti
archeologici trovati, possiamo affermare con sicurezza che Turris Libisonis non
fu per Roma solo una collina. Non è un caso che la città continuò ad esistere
nei secoli successivi tenendo inalterata la sua importanza strategica al centro
del mediterraneo. Di importante interesse non architettonico non fu solo il
ponte romano e le terme fortemente mosaicate ma anche le strade: in alcuni
tratti l'attuale Strada statale 131 Carlo Felice risulta affiancata dalla
vecchia strada romana, che seguiva il medesimo percorso fra i due poli
dell'isola. Quartu Sant'ElenaModifica Il termine Quarto, ai tempi dei
romani, stava a indicare la distanza in miglia che separava l'antico
insediamento quartese da Cagliari. Infatti distava 4 miglia romane da Carales.
È stata da sempre una meta ambita, viste le possibilità che offriva, grazie ad
un'economia agricola stabile e fruttuosa integrata alla pesca e alla
caccia. SarcaposModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Sarcapos. Sassari Modifica
Nonostante la città di Sassari sia stata fondata in periodo Medioevale, il suo
territorio conserva ricche testimonianze d'epoca romana, a partire da opere
infrastrutturali di rilievo come i resti della strada che collegava Cagliari a
Porto Torres e le rovine dell'acquedotto romano che serviva la colonia romana
di Turris. L'area ricca di vegetazione e sorgenti, era un luogo amato dalle
famiglie patrizie della vicina colonia di Porto Torres, per cui oggi sono
presenti nel territorio le rovine di alcune residenze d'epoca romana, la più
famosa delle quali situata nei sotterranei della cattedrale di San Nicola,
molti edifici medioevali sono stati costruiti riutilizzando materiali
provenienti da abitazioni romane, le colonne presenti nel piazzale del
santuario di San Pietro di Silki, provengono da un tempio romano smantellato
che sorgeva nella zona. Sulci (Sant'Antioco)Modifica Magnifying glass
icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Sulki. Statua di Druso
minore da Sulci del I secolo d.C. Tharros In epoca romana Sulci continuò
a fiorire sino a diventare, a detta del geografo greco Strabone, la città più
florida della Sardegna romana insieme a Caralis[1]. Lo sfruttamento dei bacini
minerari dell'Iglesiente, dove pare sorgesse l'insediamento di Metalla[53], non
era infatti cessato, e con esso l'intenso traffico nel porto sulcitano: di qui
l'appellativo dell'antica Sulci "Insula plumbea". La città dovette
disporre di ingenti risorse finanziarie se all'epoca della guerra civile tra
Cesare e Pompeo (I sec. a.C.) poté pagare una multa di circa 10 milioni di
sesterzi inflittale da parte di Cesare, giunto nel frattempo nell'antipompeiana
Caralis. Sulci si riprese ben presto dallo smacco subito, forte anche
della floridezza del suo porto e dunque della sua economia, sino quando,
intorno al I sec. d.C., sotto Claudio, fu riabilitata sul piano politico e
elevata al rango di Municipium[54]. Secondo il Bellieni, la città tra
tarda Repubblica e prima fase imperiale doveva essere popolata da circa 10.000
persone, cifra effettivamente plausibile se si tiene conto della popolazione
media nei centri italiani di età augustea calcolata dal Beloch[55]. L'antico
centro romano sorgeva, come si può desumere facilmente ancora oggi prestando
attenzione alla disposizione degli assi viari maggiori e minori, nell'area
comprendente le attuali vie Garibaldi, XX Settembre, Mazzini, Eleonora
d'Arborea, Cavour, in località detta "Su Narboni". Qui, e
precisamente all'incrocio tra le attuali via XX Settembre e Eleonora d'Arborea
(presumibilmente nell'area dove sorgeva il foro, non ancora localizzato), si
trova un mausoleo noto come Sa Presonedda o Sa Tribuna databile al I sec. a.C.,
grosso modo coevo al ponte romano, situato in corrispondenza dell'istmo, e al
tempio d'Iside e Serapide le cui rovine non sono oggi più apprezzabili.
TharrosModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Tharros. TibulaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Tibula. UsellusModifica Usellus godette di grande splendore
soprattutto nel periodo romano. Fu nel II secolo a.C. che venne fondata
l'antica "Colonia Julia Uselis" il cui centro si trovava molto
probabilmente sopra al colle di Donigala (Santa Reparata) non lontano da quello
attuale. Venne fondata soprattutto come baluardo militare per contrastare
le continue incursioni dei mai domi barbaricini dell'interno dell'isola. Poté
usufruire dello splendore di Roma che la innalzò dapprima a municipium e poi la
elesse Colonia Julia Augusta sotto l'Imperatore Cesare Augusto, in onore della
propria figlia Giulia ed eleggendo nel contempo i propri abitanti a
"cives". Quinto Cicerone, fratello di Marco Tullio, vi fu
Pretore. Quest'ultimo stato giuridico è accertato nella Geografia di Tolomeo ed
in una preziosissima tavola di bronzo dell'anno 158 d.C., come si desume dal
nome dei consoli, contenente un decreto d'ospitalità e clientela, riguardante l'antica
Usellus. La città doveva estendersi per circa sette ettari ed i suoi
fertili terreni vennero assegnati ai veterani delle guerre. In questo periodo
Uselis sfruttando la sua favorevole posizione geografica subì un'importante
evoluzione economica e militare divenendo centro nevralgico di un'intensa
attività economica e crocevia dell'importante rete viaria che la metteva in
comunicazione a sud con Aquae Neapolitanae (terme di Sardara), a nord con Forum
Traiani e una terza via la univa a Neapolis, vicino alla costa
occidentale. Nel suo territorio sono ancora presenti due ponti romani, ci
cui uno in ottimo stato di conservazione, lunghi tratti dell'importante via di
comunicazione e resti delle imponenti mura che la cingevano. Risorse
economiche provincialiModifica Mosaici concernenti i
"Navicularii et negotiantes Karalitani" e i "Navicularii
Turritani" dal piazzale delle corporazioni di Ostia antica. Il
commercioModifica La Sardegna si integrò nel sistema economico e commerciale
dell'Impero soprattutto per quanto riguarda il commercio del grano, del sale,
del legname e dei metalli grazie ad ottimi porti quali Olbia, Tibula, Turris
Libisonis (Porto Torres), Cornus, Tharros, Sulci (Sant'Antioco) e
Carales. L'importanza di questi porti è testimoniata da due mosaici
trovati ad Ostia con la menzione dei "navicularii Turritani e
Calaritani", mercanti marittimi di Porto Torres e Cagliari. Soprattutto in
età imperiale la Sardegna divenne una tappa obbligatoria per i viaggi dalla
penisola all'Africa e alle Mauretanie. L'agricoltura Modifica L'agricoltura era
diffusa nell'isola soprattutto nelle aree pianeggianti e in particolar modo
nella pianura del Campidano nella parte meridionale della Sardegna. Il grano
era prodotto in quantità tali che solo quello che si esportava bastava a
sfamare 250.000 persone. Per questo motivo la Sardegna, durante la repubblica,
assunse il titolo di "granaio di Roma". Si dice che la quantità
di grano preso dai Romani dalla Sardegna non solo bastò per riempire tutti i granai
dell'Urbe, ma per contenerlo tutto se ne dovettero costruire di nuovi. La
coltivazione di cereali era sviluppata in particolar modo nella parte
settentrionale, mentre quella dell'ulivo e della vite era diffusa in tutta
l'isola. L'allevamentoModifica L'allevamento per esportazioni era
un'attività economica diffusa in tutta la Sardegna. Tra suini, bovini e ovini
(in particolare i mufloni[1]) solo i primi erano venduti in buone quantità al
resto dell'impero. Gli ovini erano importanti per la lana e i latticini che i sardi
pelliti dell'interno vendevano a Roma; infatti la pastorizia era una pratica
molto diffusa nella parte centrale della Sardegna. Sappiamo con certezza che i
popoli dell'interno, grazie a questa pratica, furono in grado di arricchirsi
trasformando la pastorizia da attività di sussistenza ad attività
d'esportazione. L'estrazione mineraria Modifica
(LA) «India ebore, argento Sardinia, Attica melle» (IT)
«L'India è famosa per l'avorio, la Sardegna per l'argento, l'Attica per il
miele.» (Archita) Importante era anche l'estrazione mineraria, diffusa in
tutta la Sardegna. Argento e piombo erano estratti nelle miniere
dell'Iglesiente in quantità tali da far scendere il costo di questi metalli in
tutto l'impero; veniva cavato anche il ferro e il rame, quest'ultimo dai
giacimenti nei pressi di Gadoni[53]. Per l'estrazione non erano usati solo
schiavi di guerra ma anche personaggi scomodi nel campo della politica o per la
religione da essi professata. La pietra e il granito erano invece
estratti nell'interno e lungo le coste. La pietra che gli isolani avevano
sempre utilizzato per la costruzione dei nuraghi e dei loro templi megalitici
era ora destinata ad arricchire gli edifici dei ricchi Romani. Ancora oggi,
sulle isole della Marmorata e lungo le spiagge di Santa Teresa di Gallura,
nella parte nord-orientale dell'isola, non è difficile imbattersi in blocchi
"tagliati" con regolarità oppure in frammenti di colonne, sfuggiti ai
numerosi carichi fatti dai Romani durante tutto il periodo della loro dominazione,
durato quasi settecento anni. Non era facile infatti imbarcare sulle navi da
carico i blocchi di pietra nei tratti di mare antistanti i promontori rocciosi.
Le correnti e le condizioni atmosferiche provocavano spesso dei naufragi o
costringevano i marinai a liberarsi dei pesanti carichi per evitare che le
imbarcazioni affondassero. Principali vie di comunicazione Modifica Le principali
città e strade della Sardegna in epoca Romana. Quando i Romani iniziarono la
conquista della Sardegna vi trovarono già una rete stradale punica; questa però
collegava tra loro solo alcuni centri costieri, tralasciando completamente la
parte interna; d'inverno era impraticabile a causa delle piogge e i Romani
furono quindi costretti a costruirne una nuova che si sovrapponeva a quella
precedente solo parzialmente. Antica strada romana Nora-Bithiae I
Romani costruirono 4 grandi arterie stradali: 2 lungo le coste e 2 interne. Le
viae principales erano le cosiddette strade antoniniane, tutte con direzione
nord-sud. Ricordandole in ordine da est a ovest: la litoranea occidentale (a
Tibulas-Karales), da Carales(Cagliari) a Turris Libisonis (Porto Torres); la
interna occidentale (a Turre-Karales); la interna orientale (a Olbia-Karales
per Mediterranea); la litoranea orientale (a Tibulas-Karales), da Carales a
Olbia.[56] A questa ossatura longitudinale si congiungevano sia le
"Viae Transversae" come la Cornus-Macopsissa-Nuoro-Orosei e molte
altre strade più modeste (vicinali) che collegavano i piccoli centri
dell'interno tra loro e con le più grandi città costiere. Questo sistema di
comunicazione era molto efficiente e creò le condizioni favorevoli alla
penetrazione culturale romana presso le popolazioni locali. La rete
stradale, inizialmente costruita per motivi militari, fu poi mantenuta e
continuamente restaurata per motivi economici; grazie a questa, infatti, i
Sardi dell'interno vendevano i loro prodotti ai commercianti romani che
provvedevano poi a spedirli nei più grandi porti del mediterraneo occidentale.
La rete stradale romana è stata talmente efficace e costruita in zone
strategiche che alcune strade sono utilizzate ancora oggi; ne è un esempio la
statale Carlo Felice. In epoca Antonina si perfezionarono le vie di
comunicazione interne della Corsica (strada Aleria-Aiacium e, sulla costa Est,
Aleria-Mantinum - poi Bastia - a Nord e Aleria-Marianum - poi Bonifacio - a
Sud): l'isola era pressoché completamente latinizzata, salvo qualche enclave
montana. Arte e architettura provincialeModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Arte provinciale romana. La
religioneModifica Il tempio di Antas, nei pressi di Fluminimaggiore I
Romani, come è noto, permettevano una certa libertà di culto[57]; questo
consentì alle popolazioni interne di continuare a praticare le loro religioni
preistoriche di ispirazione naturalistica, ed a quelle delle coste la religione
punica con tutti i suoi dei (Tanit, Demetra e Sid, ribattezzato Sardus Pater
dai Romani, venerato nel Tempio di Antas); ma col passare del tempo trovarono spazio
anche i culti di Giove e Giunone poi soppiantati dal Cristianesimo.
Sappiamo che alcune divinità, come un demone brutto ma benefico rappresentato
come il Dio Bes (divinità egiziana assimilata nel pantheon cartaginese),
vennero associate ad alcuni Dei Romani (in questo caso ad Esculapio, divinità
salutare romana). In età romana era diffuso a Carales, Sulci e Turris
Libisonis il Culto di Iside, costantemente associato ad una cospicua presenza
mercantile. Lingua e romanizzazioneModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Lingua paleosarda, Lingua sarda,
Lingua paleocorsa, Lingua corsa e Romanizzazione (storia). La Sardegna,
fortemente punicizzata, fu interessata da un processo di latinizzazione, ma le
zone interne restarono a lungo ostili ai nuovi dominatori, come d'altronde lo
furono in passato nei confronti dei cartaginesi. L'opera di romanizzazione,
affidata al latino, fu completata con l'introduzione delle divinità, dei
sacerdozi, e dei culti tipicamente romani. Le aree più intensamente romanizzate
furono quelle costiere dedite alla coltura dei cereali (Romània), mentre
nell'interno montuoso rimase fortemente radicata la cultura indigena
(Barbària). La lingua delle genti sarde, così, subì profonde trasformazioni con
l'introduzione del latino che, soprattutto nelle zone interne, penetrò
lentamente ma, alla fine, si radicò a tal punto che il sardo è quella cui più
aderisce; in particolare, si ritiene che nella zona centro-settentrionale la
variante parlatasia quella maggiormente affine per la pronuncia. Nonostante
questo, c'è da dire che il latino non si diffuse subito: è ancora presente
un'iscrizione risalente al regno di Marco Aurelio (fine II secolo) in punico e,
se questa era la situazione quando si scriveva, è possibile che nell'ambito
familiare la lingua dei Cartaginesi fosse ancora abbastanza diffusa.
Interessante è il fatto che, a volte, si trovino delle ceramiche riportanti il
nome del proprietario in latino scritto con caratteri punici. Sembra
accertato che la Corsica fu anch'essa romanizzata e colonizzata dai Romani
soprattutto per mezzo delle distribuzioni di terre a veterani provenienti
dall'Italia meridionale - o dai soldati provenienti dagli stessi strati sociali
ed etnici cui furono similmente assegnate terre soprattutto in Sicilia - il che
aiuterebbe a spiegare alcune affinità linguistiche riscontrabili ancor oggi tra
còrso meridionale e dialetti siculo-calabri. Secondo altre ipotesi, più
recenti, gli influssi linguistici potrebbero essere dovuti a migrazioni più
tarde, risalenti all'arrivo di profughi dall'Africa tra il VII e l'VIII secolo.
La stessa ondata migratoria sarebbe approdata anche in Sicilia e in
Calabria. NoteModifica ^ a b c d e f g h i j k l m n o Strabone,
Geografia, V, 2,7. ^ AE 1971, 123; AE 1973, 276 dell'epoca di Massimino Trace.
^ AE 1992, 891 di epoca Traianea o Adrianea; AE 1991, 908 forse di epoca
Antonina; AE 2001, 1112 sotto gli Imperatori Caracalla e Geta; AE2002, 637 al
tempo di Filippo l'Arabo. ^ AE 1971, 122. ^ Teofrasto, Hist. plant., V 8, 2. ^
a b c Ettore Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio
romano, Nardecchia editore, 1923 ^ Datazione approssimata secondo le cronologie
di Tito Livio e Diodoro Siculo ^ Ad esempio sull'espresso divieto imposto ai
Romani di fondare città in Sardegna ed in Africa ^ Servio, Ad Aen., IV 628 ^
Polibio, I 24, 7 ^ questo era l'antico porto della cittadina, citato da Tolomeo
^ Florus, Epist. Liv., 89 ^ a b c Giovanni Zonara, Epitome, libro VIII ^ S.L.
Dyson, Comparative Studies in the Archaeology of Colonialism, 1985; anche,
dello stesso autore, The Creation of the Roman Frontier, 1985 ^ Oros. IV 1:
hostibus se immiscuit ibique interfectus est. ^ Valerio Massimo, V 1, 2 - Sil.
Ital., VI 669 ^ 11 marzo 259 - Scipione eresse inoltre un tempio di
ringraziamento alla dea Tempestas, che Ovidio (Fasti, VI 193) celebra così: Te
quoque, Tempestas merita delubra fatemur / Cum paene est Corsis obruta classis
aquis ^ Fra le numerose fonti, Valerio Massimo, Tito Livio, Ammiano Marcellino
e poi Zonara. ^ Nei Fasti trionfali si registra il trionfo di Scipione come L.
CORNELIVS L.F. CN.N. SCIPIO COS. DE POENEIS ET SARDIN[IA], CORSICA V ID. MART.
AN. CDXCIV ^ Il risultato della battaglia non è noto ^ a b c d e Pierre Paul
Raoul Colonna de Cesari-Rocca, Histoire de la Corse, Boyle, 1890 ^ Valerio
Massimo, III, 65 ^ Anche in Plinio, Nat.Hist., libro XIV ^ Ettore Pais, p.70. ^
Livio, XXIII, 21.4-5. ^ Livio, XXIII, 34.11. ^ Livio, XXIII, 34.12-15. ^ a b c
d e f g Francesco Cesare Casùla, p.104. ^ Livio, XXIII, 32.7-12. ^ Livio,
XXIII, 34.17. ^ a b Francesco Cesare Casùla, p.107. ^ Livio, XXVII, 6.13. ^
Livio, XXVII, 6.14. ^ Tito Livio, XL 43 ^ Tito Livio, XLI 21 ^ Tito Livio, XLII
7 ^ Vaerio Massimo, IX 12 - Plinio, Nat.Hist., libro VII ^ Ettore Pais, p.73. ^
Raimondo Zucca, Le Civitates Barbariae e l'occupazione militare della Sardegna:
aspetti e confronti con l'Africa ^ Francesco Cesare Casùla, p.108. ^ a b c d e
f Ettore Pais, pp. 76-77. ^ cfr.Tacito, Annali, XIII, BUR, Milano, 1994. trad.:
B. Ceva. ^ a b Francesco Cesare Casula, p.116. ^ a b Ettore Pais, p.81. ^ a b
Attilio Mastino, Cronologia della Sardegna Romana ^ Francesco Cesare Casula,
p.119. ^ Ettore Pais, p.82. ^ Ettore Pais, p.86. ^ Mastino, Attilio (2005).
Storia della Sardegna antica, Il Maestrale, pp.15-16. ^ Mastino, Attilio
(2005). Storia della Sardegna antica, Il Maestrale, pp.82. ^ Attilio Mastino,
Natione Sardus: una mens, unus color, una vox, una natio ( PDF ), su
eprints.uniss.it, Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizioni
Romane. ^ Plinio, Naturalis Historia, III, 7, 85. ^ a b Francesco Cesare
Casùla, p.111. ^ cfr. per es. F.Cenerini, Sulci romana, in: Sant'Antioco,
annali 2008. ^ M.Zaccagnini, L'isola di Sant'Antioco: ricerche di geografia
umana, Fossataro, Cagliari 1972 (integraz. M.T.) ^ Iscrizione M Sardegna 8;
MELONI P., La Sardegna romana, Chiarella, Sassari, 1987, pp. 339-374. ^
Francesco Cesare Casùla, p.114. BibliografiaModifica Fonti primarie ( GRC )
Appiano di Alessandria, Historia Romana (Ῥωμαϊκά). (traduzione inglese). ( LA )
Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, vol. III.(testo latino
Wikisource-logo.svg e traduzione inglese Wikisource-logo.svg). ( LA ) Livio, Ab
Urbe condita libri. (testo latino Wikisource-logo.svg e versione inglese
Wikisource-logo.svg). ( GRC ) Polibio, Storie (Ἰστορίαι). (traduzione in
inglese qui e qui). ( GRC ) Strabone, Geografia. (traduzione inglese). Fonti
storiografiche moderne Francesco Cesare Casula La storia di SardegnaDelfino
Editore, Sassari, 1994. ISBN 88-7138-063-0 AA.VV., Storia dei Sardi e della
Sardegna, IV Vol., Milano, 1987-89. AA.VV., La Sardegna romana e altomedievale.
Storia e materiali. Sassari, Carlo Delfino Editore, 2017. AA.VV., Il tempo dei
Romani. La Sardegna dal III secolo a.C. al V secolo d.C., Nuoro, Ilisso Edizioni,
2021. Giovanni Lilliu, La civiltà dei Sardi, Torino, Edizioni ERI, 1967. Ettore
Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano Edizioni
Ilisso, Nuoro. Raimondo Carta Raspi, Storia della Sardegna, 1971-77, Milano.
Attilio Mastino, Storia della Sardegna antica, Il Maestrale, 2007. ISBN
8886109989. Piero Meloni, La Sardegna romana, Ed Chiarella, 1990. Antonio
Taramelli, La Sardegna romana, Istituto di studi romani, 1939.
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his review, “Segni e comprensione” is a rebus, in that a few letters are
missing. The idea is that the thing STILL SEGNA the proposition that this is
about signs and comprehension. Keywords: semiotica romana, “segno e
comprensione” s_gn_ e c_mp-rension-“ “segni e comprensioni” le corpori nella
perizia morale, etica comunitaria, etica universale, universalita,
universabilisabile -- -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Delogu” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51767166606/in/dateposted-public/
Grice e Demaria – organismi – implicatura
dinantorganica -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vezza d’Alba). Filosofo. Grice: “Demaria is what we
at Oxford would call a philosophical theologian! And a dynamically realist at
that!” Famoso per numerosi studi sulla tomistica. Frequenta il seminario
di Alba, entrò come aspirante presso i salesiani di Penango Monferrato (Asti).
Continua gli studi nel liceo di Valsalice (Torino). Studia a Roma. Insegna a
Torino e a Roma. Nel corso della sua carriera fu docente di: Storia delle
religioni, Missionologia, Filosofia dell’educazione, Teologia Fondamentale,
Teologia Dogmatica, Dottrina sociale della Chiesa, Sociologia
dell’Educazione. Negli anni cinquanta avviò una feconda condivisione
spirituale, teologica e filosofica con don Paolo Arnaboldi, fondatore del
Fraterno Aiuto Cristiano FAC con l'attivo incoraggiamento di San Giovanni
Calabria. Frequentò assiduamente le sedi del FAC sia a Vezza D'Alba sia a Roma.
Strutturò la sua metafisica realistico organico dinamica. Negli anni
sessanta fondò con Giacomino Costa il Movimento Ideoprassico Dinontorganico
M.I.D., oggi divenuto l'associazione Nuova Costruttività. Insieme con Paolo
Arnaboldi fecero opera di formazione e divulgazione del realismo organico
dinamico presso ambienti imprenditoriali collegati all'U.C.I.D.. Giacomino
Costa strutturò volutamente la grande e innovativa impresa dell'Interporto di
Rivalta Scrivia (il così detto "porto secco" di Genova) come
applicazione dell'"organico dinamico" differenziandola dalle imprese
tipicamente liberiste. Negli anni settanta fu il referente culturale
delle "Libere Acli" movimento dei lavoratori cattolici fuoriusciti
dalle Acli a seguito della "ipotesi socialista" che portò alla
"sconfessione di Paolo VI" e alla frattura del movimento. Continuò
nell'ambiente dei lavoratori cattolici con la formazione e la diffusione della
"ideoprassi" (modello di sviluppo) "organico dinamica", una
vera ideologia cristiana alternativa a quella liberal capitalista e a quella
marxista comunista. Tommaso Demaria tiene un seminario sul realismo
Dinamico a Verona presso il Centro Toniolo nel 1980. Negli anni ottanta fu
intensamente attivo nella formazione alla nuova cultura cristiana organico
dinamica a Torino, Verona, Vicenza, Roma con corsi, seminari e numerose
pubblicazioni. Tra tutti i corsi tenuti merita una specifica menzione per la
testimonianza documentale completa tramite registrazione video, presso il
Centro Toniolo di Verona su invito di don Gino Oliosi. Proseguì il lavoro
di san Tommaso d'Aquino e affermava l'incompletezza del tomismo, incapace di
cogliere l'organismo come categoria ontologica a sé stante. L'integrazione
della metafisica realista con l'organismo alla metafisica realistica integrale,
strumento di straordinaria importanza per la vita quotidiana. Lo studio
dell'organismo in quanto tale, in particolare nella sua dimensione di
"struttura organica funzionale", si rivelerà infatti importantissimo
per lo studio e lo sviluppo della società in generale ma in particolare per
quella prassi economica nota col nome di "Sistemi di Qualità" che fa
appunto dell'organicità il proprio fondamento. La possibilità di percepire l'organismo
in quanto tale entità diversa dall'organismo fisico, specifica Demaria, passa
attraverso la percezione dell'ente dinamico. Grande importanza assume
l'organicità nella gestione del sociale perché esso consente di definire con
precisione il bisogno di razionalità dell'umanità che supera le possibilità
dell'essenza della persona. Questa necessaria unità dell'agire della persona
nell'umanità che ne perpetua la presenza, in campo politico/ideoprassico egli
stesso la definisce come comunitarismo all'interno del suo testo "La
società alternativa". L'indagine sui dinamismi profondi della
società industriale e l'osservazione con metodo realistico oggettivo della
realtà storica globale nella sua consistenza ontologica portano Demaria a
sviluppare una metafisica per molti aspetti nuova ed originale. Aderisce
al tomismo e conferma la validità del realismo di Aquino per tutto ciò che è in
“rerum naturae” quindi per gli enti che esistono già in natura. Coglie la
necessità di innestare sul realismo tomista nuovi strumenti metafisici per
comprendere la realtà degli enti che non esistono in natura perché costruiti o
generati dall'uomo, le trasformazioni dell’essenza della persona operata dalla
liberà delle sue scelte, la natura profonda degli enti interumani (famiglia,
azienda, stato, …), l'interpretazione della realtà storica e il suo
indirizzamento. Il cambio d’epoca Individua un cambiamento d’epoca
con valore ontologico (che cambia l’essere, la forma della società) nella
rivoluzione industriale che con l’apporto della energia meccanica a
integrazione e sostituzione del lavoro umano dinamizza la società oltre una
soglia mai varcata prima nella storia. La società dinamizzata dalla rivoluzione
industriale giunge a una radicale trasformazione da “statico sacrale” a
“dinamico secolare”. Si tratta di una trasformazione qualitativa e non solo
quantitativa dei cambiamenti sociali che coinvolge l’”essere” della società. La
differenza fondamentale sta in questo: la società preindustriale (statico
sacrale) era dominata dalla natura e in questo modo ripeteva sempre sé stessa
nonostante i cambiamenti fenomenici (la vita di un romano non era così diversa
da quella di un medievale), la società industriale invece si è in larga parte
sganciata dal condizionamento della natura ed è obbligata a progettare e
costruire continuamente il proprio futuro…. Ma con quali criteri? È a questo
livello che interviene l’indagine metafisica della realtà storica il cui scopo
è proprio scoprire l’essenza profonda della realtà storica appunto. Il
realismo dinamico ontologico Riconosce nel tomismo e nella metafisica di San
Tommaso la validità nel contesto “statico sacrale” ma limiti nella
interpretazione della nuova realtà storica “dinamico secolare”. Osserva che
l’interpretazione data alla storia da Hegel prima e da Marx dopo, sono entrambe
errate e ne critica il fondamento soggettivista e la natura ateo
materialista. Integra quindi il tomismo tradizionale inaugurando la nuova
metafisica dinamica ontologica organica fondata sulla scoperta dell’ente
dinamico o anche ente di secondo grado. Dalla osservazione di ciò che
nasce di una relazione umana (entre uomo 1 e uomo 2) scopre che oltre agli
“enti di primo grado”, gli enti la cui
essenza già è (tutti quelli che già sono in natura – uomo 1 e uomo 2), esistono
altri “enti di secondo grado”, gli enti la cui essenza non è, ma si fa
attivisticamente nello spazio e nel tempo, e la cui nascita, vita e morte sono
costituite dalla esistenza di una relazione tra le persone (ad esempio il
concetto colletivo di ‘diada’ conversazionale, la famiglia, l’azienda sono enti
inter-umani. Una diada e un “ente dinamico” il cui comportamento è simile a
quello della monada – l’uomo, il soggeto,
un organism – ma la diada non e un ente fisico, ma costituito
dall’insieme di cose e di persone. Una diada e ugualmente animato da un
principio vitale, in cui le due parti (soggeto S1 e soggeto S2) e il tutto (la
diada) sono in reciproco equilibrio che ne genera e ne conserva la vitalità.
Quando viene meno questo reciproco equilibrio tra l’organismo di secondo grado
(la diada) tutto e le sue parti (le membra, gli organi, le cellule – uomo 1 e
uomo 2 – le monade) l’organismo perde la sua vitalità, si ammala e può arrivare
alla morte (e così avviene per la diada, la famiglia, l’azienda, la
comunità). Indaga osservando la realtà con metodo metafisico, realistico,
oggettivo sulle “regole”, sulla “razionalità”, o il razzionale, che sottende la
vita e la vitalità di un “ente dinamico” individuando cinque “trascendentali
dinamici” che sono le caratteristiche necessarie e sufficienti in un “ente
dinamico” per restare vivo e vitalmente operante. Sul fronte della
interpretazione della “storia” osserva che la sua complessità non può essere
indagata con un metodi analitico partendo dalla suddivisione del tutto della
diada nelle sue monade. Serve il metodo della “sintesi” e quindi dalla
sommatoria, aggregazione, integrazione dei singoli “enti dinamici” in realtà e
altri organismi via via più complessi e ampi, giunge al tutto che definisce
come “un ente universale dinamico concreto” senza il quale il singolo ente
dinamico non avrebbe né senso né valore metafisico. Del resto è abbastanza
intuitivo comprendere che nessun ente storico può esistere fuori dal contesto
che l’ha generato. Per esempio una semplice azienda di scarpe non può esistere
nel deserto separata da tutte le vie di comunicazione, dagli operai, dai
clienti, dalle fonti di energia eccetera. Raccoglie e coordina le sue
scoperte nella nuova metafisica realistico-dinamica che aggregata alla
metafisica eealistico-statica di Aquinocostituisce nell’insieme delle due
componenti, la statica e la dinamica, la metafisica realistico-integrale.
Con il nuovo strumento della metafisica realistico-integrale individua la
giusta forma della società che definisce organico dinamica – o “dinontorganica”
-- come vera alternativa alle due forme di società “false”, la capitalista e la
marxista di cui stende una dettagliata critica. Comprende che la nuova
società dinamica secolare avviatasi per l’effetto della rivoluzione industriale,
è costruita in vero dalla ideo-prassi, ossia dalla ideologia come prassi
razionalizzata. Una definizione corrente che sia avvicina al concetto di ideo-prassi
è modello di sviluppo, intendendo con questo la necessità di un cambio di
paradigma strutturale nella costruzione della società. Precisa meglio questa
terminologia chiarendo che il tipo di sviluppo riguarda il cambiamento di
essenza profonda di una società mentre invece il modello riguarda le
innumerevoli e forse infinite varianti all’interno del medesimo tipo che si
devono calare nei concreti ambiti temporali e geografici. Le
“ideoprassi”, cioè i tipi di società, riconosciute da Tommaso Demaria sono tre
(3): capitalista, marxista, “dinontorganica” e queste sono costruite secondo i
rispettivi modelli. Perciò all’interno della società di tipo capitalista avremo
molteplici modelli anche molto diversi tra loro dal punto di vista fenomenico
ma identici dal punto di vista dell’assoluto di riferimento (cioè del tipo), in
questo caso il denaro con la relativa competitività necessaria per
conquistarlo. Analogamente avviene per le altre due ideoprassi: la ideoprassi o
società di tipo marxista, con l’assoluto della dialettica oppresso/oppressore
(la vecchia lotta di classe) e la ideoprassi o società di tipo dinontorganico
con il proprio assoluto costruttivo radicato nella dialettica della sintesi in
funzione della vita. Nella società dinamica secolare, che è laica e
profana, la religione non è più accettata come fondamento. Così anche la persona
libera e sovrana che ha il suo posto nella società statico sacrale non può esistere
in quanto nella società dinamica secolare fin dalla nascita la persona umana
viene continuamente ri-manipolata dalla ideo-prassi corrente (capitalista o
marxista). La persona umana trova la sua giusta collocazione nella società se
riconosce la sua nuova natura di persona cellula, componente libera in un
organismo sociale più grande. Come persona cellula rimane sempre persona umana
libera ma al contempo svincolata dalle logiche servo/padrone, oppresso/oppressore
del marxismo. L’Economia e un tema ampiamente trattato dal Demaria che
individua tre tipi di economia: la capitalista, la marxista/comunista, la economia
dinontorganica. Dopo aver profondamente analizzato e criticato le prime
descrive in dettaglio i fondamenti della economia dinontorganica. Per brevità
riportiamo qui la differenza del concetto di impresa capitalista ed impresa dinontorganica.
L’impresa capitalista è un'attività economica professionalmente organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Si avvale di un
complesso di beni strumentali, il mezzo concreto (l’azienda): immobili, sedi,
attrezzature, impianti, personale, metodi, procedure, risorse. Si tratta di
“cose” e tra queste anche il personale/forza lavoro. Anima suprema dell’impresa
capitalista è il profitto e secondariamente la creatività imprenditoriale a
servizio del profitto. La socialità dell’impresa diviene un fatto ambientale ed
incidentale innegabile ma secondario. Quindi l’impresa (con la relativa
azienda) capitalista sè una “cosa” ridotta a capitale e lavoro. L’impresa
dinontorganica, la vera natura profonda dell’impresa, è organismo dinamico
economico di base dell’attuale società industriale o postindustriale. E’un vero
organismo dinamico, una realtà complessa, non fisica ma prodotta dall'uomo,
costituita dalla sintesi di cose e di persone autonome e cellule dell’organismo
impresa, animata da un proprio principio vitale e perciò capace di vivere ed
agire a titolo proprio. E’quindi impresa umanissima, affrancata dal
materialismo capitalista. Anima dell’impresa è la costruttività nel suo
triplice aspetto economico, sociale e “ideo-prassico”, che eleva la creatività
al di sopra del solo profitto e che soddisfa ad un tempo la le esigenze della società
globale e della impresa, quali il profitto, comunque necessario ma non
sufficiente. In ambito ecclesiologico le scoperte come da sua frequente
dichiarazione, si collocano nel solco del Magistero della Chiesa Romana
Cattolica. Cinque delle sue saggi, che contengono nell’insieme il corpo della
sua opera, portano impresso l’imprimatur che attesta l’assenza di errori in
ambito di fede e morale cattolica. La scoperta dell’“ente di secondo
grado” (ente generati dalle relazioni tra le persone) e della persona “cellula”
(individuo libero che riconosce di essere parte di un organismo più grande)
sono in analogia scaturite dalla riflessione sull’essere della Chiesa
(l’insieme dei cristiani) in comunione con il corpo mistico di Cristo. Il
cristiano con il battesimo cambia il suo essere e diviene uomo nuovo. Quindi la
persona umana (in questo caso il cristiano) è contemporaneamente “ente di primo
grado (“in rerum naturae”) che ente di secondo grado (ente dinamico) come
membro della Chiesa che costituisce il corpo mistico di Cristo. La Chiesa così
concepita è il primo ente dinamico sacro della storia. Mentre il primo ente
dinamico laico e profano dell’epoca dinamico secolare post rivoluzione
industriale è l’azienda industriale. Pur accogliendo nella sua
“metafisica realistica integrale” (la metafisica realistica “statica” più la
“dinamica”) il tomismo in toto, il suo pensiero genera dispute con i tomisti
classici del tempo che non riconoscono alla Chiesa (e nemmeno alla azienda
industriale ) la natura di “ente di secondo grado” ma unicamente la
caratteristica di “ente di relazione” che per Demaria è insufficiente per
interpretare la complessità della realtà storica industriale e la relativa
mobilitazione. La Dottrina Sociale della Chiesa e L’Ideoprassi
Dinontorganica Alla Dottrina Sociale Della Chiesa riconosce ogni validità. Ne
segnala tuttavia la incompletezza in quanto costituita da norme etiche e morali
rivolte principalmente alla persona libera e sovrana ed atte ad incidere sul
suo comportamento come singolo per migliorare in senso cristiano la società.
Rileva che la società non è più solo costruita dalle norme morali di persone
libere e sovrane ma anche e soprattutto dalla “ideoprassi” (ideologia come
prassi razionalizzata sintesi di persone e strutture) corrente, dal suo
dinamismo e dalle sue razionalità interne autocostruttive proprie della società
“dinamica secolare”. Pertanto per incidere sulla società contemporanea che è
“dinamica secolare”, laica e profana, serve una vera e propria nuova e completa
“ideoprassi”, certamente laica e profana ma compatibile con i valori cristiani
cardinali. All'interno di questa nuova “ideoprassi” Demaria vede inseriti tutti
gli insegnamenti della Dottrina Sociale Cristiana. Da soli e senza una propria
“ideoprassi” tali insegnamenti tendono a generare delle “para-ideologie” che
hanno effetti locali e temporanei. Per ottenere effetti di trasformazione
duraturi ed è necessario avviare azioni che contengano la giusta razionalità e
caratteristiche (i 5 trascendentali dinamici) capaci di innescare cicli
autocostruttivi. Altre opere: “Catechismo missionario” (Torino, SEI, La
Religione, Colle Don Bosco, Elledici); “Il fiume senza ritorno. Dramma
missionario, Colle Don Bosco, Elledici, La pedagogia come scienza dell'azione,
Salesianum, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale
(presentazione di Aldo Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Senso
cristiano della rivoluzione industriale, Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca.
Strumento ideologico e rapporto fede-politica nella civiltà industriale,
Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca. Presupposti dottrinali per la
pastorale e l'apostolato, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Cristianesimo
e realtà sociale, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Realismo
dinamico, Torino, Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze
Religiose, Il Decreto sull'apostolato dei laici: genesi storico-dottrinale,
testo latino e traduzione italiana, esposizione e commento, Torino, Leumann
Elle Di Ci, Catechismo del cristiano apostolo: la Salvezza cristiana, Torino,
Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze Religiose, Punti
orientativi ideologico-sociali (a cura del Movimento Ideologico Cristiano
Lavoratori), Bologna, Luigi Parma, Pensare e agire organico-dinamico, Milano,
Centro Studi Sociali); “Ontologia realistico-dinamica” (Bologna, Costruire); “Metafisica
della realtà storica. La realtà storica come ente dinamico” Bologna, Costruire,
La realtà storica come superorganismo dinamico: dinontorganismo e dinontorganicismo,
Bologna, Costruire, L'edizione Realismo dinamico, Bologna, Costruire, L'ideologia cristiana, Bologna, Costruire, Sintesi
sociale cristiana. Riflessioni sulla realtà sociale, Bologna, Costruire); “La
questione democristiana, Bologna, Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova
Presenza cristiana, Ideologia come prassi razionalizzata, Arbizzano, Il Segno, Per
una nuova cultura, Verona, Nuova Presenza cristiana, La società alternativa,
Verona, Nuova Presenza cristiana, Verso il duemila: per una mobilitazione
giovanile religiosa e ideologica, Verona, Nuova Presenza cristiana, Un tema
complesso sullo sfondo dell'ideologia come strumento ideologico, Verona, Nuova
Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre ideologie. Quarta serie, Roma,
Centro Nazareth, Scritti teologici inediti. Roma, Editrice LAS. Letteratura su
Tommaso Demaria Ugo Sciascia, Per una società nuova:inizio di una ricerca
partecipata., Bologna, L. Parma, Ugo Sciascia, Crescere insieme oltre
capitalismi e socialismi: rifondazione culturale dall'Italia, per l'Europa, al
mondo. Napoli, Edizioni Dehoniane, Mario Occhiena, Riscoperta della realtà: un
itinerario filosofico esistenziale,Torino, Gribaudi, Pizzetti Luigi, Culture a
confronto. Sussidio per l’educazione religiosa e civica nelle scuole medie
superiori, La voce del popolo edizioni, Brescia, Fontana, Stefano, Apertura a
“tutto” l’essere, in Nuove Prospettive, Palmisano, Nicola, Quanto resta della
notte?: analisi e sintesi del medioevo novecentesco all'alba del Duemila, Roma,
LAS, Giuseppe Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e
soggettività ecclesiale nel contesto del pensiero di Tommaso Demaria, Roma,
Libreria Ateneo Salesiano, Gruppo studio scienza cristiano-dinontorganica di
Vicenza, Realismo dinamico: il problema metafisico della realtà storica come
superorganismo dinamico cristiano / riduzione dell'opera di Tommaso Demaria,
Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Gruppo studio scienza
cristiano-dinontorganica di Vicenza,L'ideo-prassi dinontorganica: la costruzione
dinamica realistico-oggettiva della nuova realtà storica: revisione del saggio L'ideologia
Cristiana, Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Mauro Mantovani, Sulle vie del
tempo. Un confronto filosofico sulla storia e sulla libertà, Roma, Libreria Ateneo
Salesiano, Lorenzo Cretti, La quarta navigazione: realtà storica e metafisica
organico-dinamica, Associazione Nuova Costruttività -Tipografia Novastampa,
Verona, Donato Bagnardi, Costruttori di una Umanità Nuova. Globalizzazione e
metafisica, Bari, Edizioni Levante, Oliviero Riggi, L'ideoprassi cristiana per
una società alternativa; implicanze filosofiche, Roma, Università Pontificia
Salesiana, Giulio Pirovano, Roberto Roggero, Uniti nella diversità, UK, Lulu
Enterprise, Mauro Mantovani, Alberto Pessa e Oliviero Riggi, Oltre la crisi;
prospettive per un nuovo modello di sviluppo. Il contributo del pensiero
realistico dinamico (atti dell'omonimo convegno tenuto a Roma), Roma, Libreria
Ateneo Salesiano, Stefano Fontana, Filosofia per tutti: una breve storia del
pensiero da Socrate a Ratzingher, Verona, Fede & Cultura. Nuova Costruttività,
La Vita, su dinontorganico. Scritti
teologici inediti, Roma, Editrice LAS, Mario Gadili, San Giovanni Calabria:
biografia ufficiale, Cinisello Balsamo, San Paolo, Per la ri-educazione
all'amore cristiano nel campo economico-sociale: per una valida teoria della
pratica e una adeguata pratica della teoria; Genova: Crovetto, Atti del
convegno: Per la ri-educaziaone all'amore cristiano tra le aziende, tenustosi a
Rapallo e atti del convegno: Programmazione economico-sociale e amore
cristiano, tenutosi a Rapallo, Massaro, I problemi dell'economia ligure:
un'unica iniziativa ma buona. A Rivalta Scrivia la succursale del pletorico
porto di Genova., in LA STAMPA, C.G.N., Il ministro Andreotti inaugura il nuovo
complesso della Rivalta, in Sette Giorni a Tortona, LIBERE A. C.L.I., Sette
domande sulle A.C.L.I. e la svolta di Vallombrosa e sette risposte delle Libere
A.C.L.I., Milano, Centro Studi, Acli "federacliste", Per un impegno
ideologico Cristiano, Torino, ALC-FEDERACL, Tacconi, La persona e oltre: soggettività
personale e soggettività ecclesiale, LAS, Realismo dinamico, Bologna,
Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova Presenza cristiana, Confronto sinottico
delle tre ideologie. Roma, Centro Nazareth, La società alternativa, Verona,
Nuova Presenza Cristiana, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà
sociale (presentazione di Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Presupposti
dottrinali per la pastorale e l'apostolato., Velate di Varese, Edizioni Villa
Sorriso di Maria, Cristianesimo e realtà sociale., Velate di Varese, Edizioni
Villa Sorriso di Maria, Paolo Arnaboldi, Demaria e Morini, I consigli
pastorali, diocesani e parrocchiali alla luce di una pastorale
organico-dinamica, Velate di Varese, FAC-Villa Sorriso di Maria, Luigi Bogliolo
e Stefano Fontana, Prospettive del Realismo Integrale. Pensare il trascentente.
La questione metafisica dell'ente dinamico. Dialogo con Bogliolo. Apertura a
tutto l’essere in Nuove Prospettive, Realismo
dinamico Giacomino Costa Realismo Tomismo Neotomismo Comunitarismo, Vita, opere
e ragionata a cura dell'Associazione
Nuova Costruttività., su dinont-organico. Opere di Tommaso Demaria
L’opera fondamentale di T. Demaria è la Trilogia del Realismo Dinamico ,
si tratta di tre volumi in cui l’autore spiega in modo completo e preciso la
metafisica realistico dinamica. Se vuoi farti un’idea di quello che ha
scritto T. Demaria, di seguito trovi tutta la sua bibliografia, per
scaricare invece alcuni dei suoi testi devi andare sul nostro blog
Trilogia del Realismo Dinamico: Volume 1: Ontologia
realistico-dinamica = Collana Spid – Realismo dinamico vol.I, Ed. “Costruire”,
Bologna 1975, 278 pp. (di questo testo è stata redatta anche la traduzione in
lingua spagnola, vedi sezione 2.1 di questa bibliografia.) Volume 2: Metafisica
della realtà storica. La realtà storica come ente dinamico = Collana Spid –
Realismo dinamico vol.II, Ed. “Costruire”, Bologna 1975, 262 pp. Volume 3: La
realtà storica come Superorganismo Dinamico. Dinontorganismo e
Dinontorganicismo = Collana Spid – Realismo dinamico vol.III, Ed. “Costruire”,
Bologna 1975, 374 pp. Altri due volumi integrano la Collana Spid.
L’ideologia cristiana, Collana Spid – Ed. “Costruire”, Bologna 1975, 413 pp.
Sintesi sociale cristiana. Riflessioni sulla realtà sociale, Collana Spid – Ed.
“Costruire”, Bologna 1975, 447 pp. Gli altri scritti di T. Demaria non
aggiungono nulla di fondamentale rispetto ai volumi principali ma sono
importanti perchè ne esplicitano alcuni aspetti. La sequenza dei testi è in
ordine temporale. Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà
sociale, «Quaderni di Cultura e Formazione Sociale», a cura dell’Istituto di Scienze
Sociali del Pontificio Ateneo Salesiano, Torino 1958, 323 pp. Cristianesimo e
realtà sociale, Edizioni FAC – Villa Sorriso di Maria, Velate di Varese 1959,
170 pp. I Consigli Pastorali Diocesani e Parrocchiali alla luce di una
Pastorale organico-dinamica Arnaboldi, Paolo Maria – Demaria, Tommaso – Morini,
Bruno, edizioni FAC – Villa Sorriso di Maria, Velate di Varese 1970. “L’impegno
morale del cristiano” documento pastorale dell’episcopato italiano. Premessa
illustrativa dedicata agli operatori cristiani in campo sociale = Centro Fanin
– Collana La fonte, Vicenza 1973, 32 pp. Pensare e agire “organico-dinamico”,
Varese s.d, 79 pp. Punti orientativi ideologico-sociali = a cura del MICL, Ed.
Luigi Parma, Bologna 1974, 206 pp. La “questione democristiana”, Ed. “Costruire”,
Bologna 1975, 61 pp. Ideologia come prassi razionalizzata, Il Segno Ed. = NPC,
Verona 1980, 118 pp. Per una nuova cultura, NPC Ed.,Verona 1982, 140 pp. (di
questo testo è stata redatta anche la traduzione in lingua inglese, vedi
sezione 2.1 di questa bibliografia.) La società alternativa, NPC Ed., Verona
1982, 245 pp. Verso il Duemila. Per una mobilitazione giovanile religiosa e
ideologica, NPC Ed., Verona 1982, 106 pp. Un tema complesso sullo sfondo
dell’ideologia come strumento ideologico, NPC Ed., Verona 1984, 75 pp.
Strumento ideologico e rapporto fede-politica nella civiltà industriale =
Minidossier culturali per una nuova presenza cristiana I, Vicenza s.d., 24 pp.
Rivoluzione Industriale e Cristianesimo = Minidossier culturali per una nuova
presenza cristiana II, Vicenza s.d., 24 pp. Riflessioni spirituali. Tipografia
Unione, Vicenza 2008. (pubblicazione postume che raccoglie alcune riflessioni
spirituali di don Tommaso Demaria, ricavate da lettere inviate a suor G.A. di
cui era direttore spirituale.) Scritti Teologici Inediti a cura di M. Mantovani
e R. Roggero. Las – Roma 2017 Atti Convegni di Rapallo 1964, Per la
rieducazione all’amore cristiano tra le aziende. Ed. FAC Villa Sorriso, Velate
di Varese 1964. Atti Convegni di Rapallo 1966/67, Visioni chiave di questo
nostro mondo dinamico. Ed. FAC Villa Sorriso, Velate di Varese 1967. Atti
Convegni di Rapallo 1968/69, Il mondo di oggi come questione sociale. Ed.
FAC Villa Sorriso, Velate di Varese 1970. Atti Convegni di Rapallo 1970/71, Democrazia
nuova per una nuova società.Ed. FAC Villa Sorriso, Velate di Varese 1972.
Riportiamo anche i titoli di una serie di articoli sulla rivista quadrimestrale
veronese «Nuove Prospettive» (in ordine cronologico: 1988-1991) La
metafisica aristotelico-tomista come sistema metafisico realistico oggettivo;
sua crisi e suo rifiuto, in NP I (1988) 1, 2-10. Metafisica e metodo, in NP I
(1988) 2, 18-27. Metafisica realistica integrale, in NP I (1988) 3, 41-51.
Valore della dottrina sociale cristiana nell’attuale contesto storico dinamico
secolare, in NP II (1989) 1, 2-3. Integrazione della dottrina sociale cristiana
con l’ideoprassi organico-dinamica. Dottrina sociale cristiana e progetto
organico-dinamico di società, in NP II (1989) 1, 4-9. Sapienzialità, in NP II
(1989) 3, 67-78. La “nuova creatura”: un problema teologico-ecclesiologico
risolto solo a metà, in NP II (1989) 3, 90-92. I trascendentali, in NP III
(1990) 2, 36-42. Metafisica dell’azienda industriale, in NP III (1990) 3,
69-77. Dinontorganicità, in NP IV (1991) 1-2-3, 3-12. La famiglia oggi in una
visione organico-dinamica, in NP IV (1991) 1-2-3, 13-17. Articoli su altre
riviste o su miscellanee (in ordine cronologico) La pedagogia come
scienza dell’azione. Appunti per una epistemologia pedagogica, in Salesianum XI
(1949) 2, pp. 206-230. Sociologia positiva o positivo-razionale? A proposito di
una introduzione alla sociologia, in Salesianum XVII (1955) 3-4, pp. 522-529.
Per una Ecclesiologia organica, in AA.VV., De Ecclesia, PAS, Torino 1962, pp. 335-378.
Concezione religiosa dell’educazione, in Rivista di Pedagogia e Scienze
Religiose, I (1963) 1, pp. 17-37. Dio e la Religione, in AA.VV. De Deo,
PAS, Torino 1965, pp. 355-419. Il posto e il compito dei laici nella Chiesa, in
AA.VV. Per la rieducazione all’amore cristiano nel campo economico-sociale. Per
una valida teoria della pratica e una adeguata pratica della teoria = Raccolta
degli Atti dei Convegni di Rapallo per Industriali e Dirigenti del 27 Febbraio
– 1 Marzo 1964 e del 18-21 Febbraio 1965, Velate di Varese 1965, Prima parte
29-40. Dalla Sociologia cristiana normativa alla Sociologia cristiana
costruttiva, ibid., Parte seconda 23-38. Aspetti sociologici, religiosi e
morali della programmazione economico-sociale, ibid., 39-57. La formazione all’apostolato,
in AA.VV., Il Decreto sull’Apostolato dei Laici (Apostolicam actuositatem).
Genesi storico-dottrinale. Testo latino e traduzione italiana. Esposizione e
commento = Collana Magistero Conciliare LDC 4, Torino 1966, pp. 331-390. Le
leve segrete che dominano il mondo. I – Leve dinamiche per un mondo dinamico,
in AA.VV., Visioni chiave di questo nostro mondo dinamico. Per una valida
teoria della pratica e una adeguata pratica della teoria = Raccolta degli Atti
dei Convegni di Rapallo per Imprenditori e Dirigenti del 3-6 Marzo 1966 e del
2-5 Marzo 1967, Velate di Varese 1967, Parte prima 27-44. Le leve – non più
segrete – che dominano il mondo. II – Leve cristiane per un mondo cristiano,
ibid., 65-81. Vengono trattati, nelle relazioni 10 e 11, i trascendentali
dinamici (vedi punto B, 8) della religiosità, socialità, moralità, educatività
e missionarietà. Società e persona umana in un mondo dinamico. I - Mondo
dinamico e società, ibid., Parte seconda 33-50. Società e persona umana in un
mondo dinamico. II – Mondo dinamico e persona umana, ibid. 69-87. Fede e vita
spirituale, in Giornate di studio per predicatori di Esercizi Spirituali.
Approfondimenti teologico-pastorali, Roma – S.Cuore, 1-4 maggio 1968, fascicolo
8. Società in trasformazione e trasformazione dell’uomo I. Società nuova in un
mondo nuovo, in AAVV, Il mondo di oggi come questione sociale. Per una valida
teoria della pratica e una adeguata pratica della teoria = Raccolta degli Atti
dei Convegni di Rapallo per Imprenditori e Dirigenti del 7-10 Marzo 1968 e del
6-9 Marzo 1969, Velate di Varese 1970, Parte prima, 27-41. Società in
trasformazione e trasformazione dell’uomo II. Uomo nuovo in una società nuova,
ibid., 57-73. Mondo dinamico e questione sociale I. La questione sociale e le
sue vicende, ibid., Parte seconda, 33-50. Mondo dinamico e questione sociale
II. La questione sociale e la sua soluzione, ibid., 71-90. Democrazia e mondo
dinamico, in Democrazia nuova per una nuova società = Raccolta degli Atti dei
Convegni di Rapallo per Imprenditori e Dirigenti del 5-8 Marzo 1970 e del 4-7
Marzo 1971, Velate di Varese 1970, Parte prima, 57-90. Impresa e società,
ibid., Parte seconda, 53-86. Studio sul piano teologico essenziale, in
Arnaboldi Paolo Maria – Demaria Tommaso – Morini Bruno, I Consigli Pastorali
Diocesani e Parrocchiali alla luce di una Pastorale organico-dinamica, Edizioni
FAC – Villa Sorriso di Maria, Velate di Varese 1970, 9-75. Testi
ciclostilati a) Relazioni ai Corsi Mid di sviluppo Per
una autentica società giusta: una concreta nuova presenza cristiana = Atti del
corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, 26-30 dicembre 1977, Roma 1977
(testi dattiloscritti). - La famiglia oggi in
una visione organico-dinamica - La
scuola oggi in una visione organico-dinamica della società -
L’impresa organico-dinamica -
Sindacato organico-dinamico -
Stato e società - Ideologia
organico-dinamica ed Unione Europea Le tre ideologie. Confronto sinottico
= Atti del corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, 26-30 dicembre 1980,
Roma 1980 (testi dattiloscritti), 73 pp. -
L’Assoluto ideologico primario -
L’Assoluto ideologico derivato - La
religione - Uomo e società
- L’economia -
La politica - Etica a
matrice ideologica Le tre ideologie. Confronto sinottico. Seconda serie =
Atti del corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, 26-30 dicembre 1981
Roma 1981 (testi dattiloscritti), 46 pp. -
Stato e società - La democrazia
- La libertà -
La socialità - La
cultura - I valori -
Scienza e tecnica Confronto sinottico delle tre
ideologie. Terza serie = Atti del Corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth,
26-30 dicembre 1984, Roma 1984 (Quaderno poligrafato), 152 pp. -
Richiamo orientativo. La sapienza umano storica
ideoprassica - La scelta
energetica - Lo sviluppo -
Il futuro del pianeta Confronto sinottico
delle tre ideologie. Quarta serie = Atti del Corso di studio Mid di Roma –
Centro Nazareth, 26-30 dicembre 1985, Roma 1985 (Quaderno poligrafato), 136 pp.
- Guerra e pace -
Cultura come civiltà - La
civiltà dell’amore Confronto sinottico delle tre ideologie. I
trascendentali dinamici = Atti del Corso di studio Mid di Roma – Centro
Nazareth, 26-30 dicembre 1986, Roma 1986 (Quaderno poligrafato) 42 pp. AA.VV.,
EDUCazione e formazione oggi = Atti del Corso di studio Mid di Roma – Centro
Nazareth, 2-6 gennaio 1990, Roma 1990, 123 pp. b) Relazioni a Corsi di
esercizi o di studio promossi dal FAC La parrocchia (Corso Fac, 1970).
“Su questa pietra…” – Il nostro sacerdozio: donde veniamo? Chi siamo? Dove
andiamo? (Corso Fac – esercizi spirituali per sacerdoti, 1971). Chiesa e mondo
(Corso Fac, 1971). Fede – Speranza – Carità (Corso Fac, 1971) Rimessa a punto
teorico-pratica dei Consigli pastorali(Corso Fac 1972). La Chiesa locale (Corso
Fac 1972). I Consigli pastorali in se stessi e nella loro articolazione e
rapporti (Corso Fac 1972). La fede cristiana (Corso Fac 1973). Il problema
ecclesiologico e le anime (Corso Fac 1975). La Chiesa e la persona-cellula
(Corso Fac 1975). Costruire la Chiesa (Corso Fac 1975). La parrocchia nella
Chiesa universale (Corso Fac 1975). La Chiesa come anima del mondo (Corso Fac
1975). Parrocchia in trasformazione I. Dalla parrocchia statico-sacrale alla
parrocchia dinontorganica religiosa(Corso Fac 1978). Parrocchia in
trasformazione II. La parrocchia dinontorganica religiosa (Corso Fac 1978).
Conoscere la Chiesa = Corso Fac di Esercizi-Studio di tipo C, Roma – Centro
Nazareth, 27 agosto – 4 Settembre 1979. Come programmare la costruzione di una
parrocchia “Famiglia di Dio” oggi, in una visione ecclesiale profonda = Corso
Fac di Esercizi-Studio di tipo C, Roma – Centro Nazareth, 22-30 agosto 1980.
c) Altri testi ciclostilati Realismo dinamico, Istituto
Superiore di Scienze Religiose, Torino 1963 (Dispense), 75 pp. La Chiesa
cattolica in stato di missione (ciclostilato), 20 pp. Le tesi delle Libere ACLI
= a cura delle L.A.C.L.I. Italia Settentrionale, Milano 1971 (ciclostilato) Per
una nuova cultura religiosa e sociale = a cura di Nuova Presenza Cristiana –
Centro culturale “G. Toniolo”, Verona 1978, 64 pp. Il Marxismo = Quaderni di
Nuova Presenza Cristiana – Centro culturale “G. Toniolo”, Verona 1979, 24 pp. Tommaso
Demaria. Demaria. Keywords: organismo, organismi, super-organismo, Tuomela,
we-thinking, cooperation and authority -- Luigi Cipriani, communicazione e
cultura, dynontorganico – o dinontorganico -- dinamico ontico organico -- l’implicanza
di Speranza, implicanza, implicatura, implicazione. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Demaria” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51765923282/in/dateposted-public/
Grice e Demetrio – il culto di marte, la mascolinita,
ed il sentimento taciuto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “Demetrio and the semiotic
tacit’ – “Grice: “Demetrio philosophises, in a Grecian, way, on the ‘tacit’ –
literally, the unuttered --.” Grice: “While ‘tacit’ may implicate that the
vehicle is phonic, it need not be – any non-expression is a tacit act --.” “And
like me, Demetrio holds that there is a whole communication involving the
un-expressed, or tacit – or ‘suprressed’ as the scholastics preferred. Grice:
“I like Demetrio. You see, Demetrio is sa good one. – and he enriches the
Griceian vocabulary. I use ‘imply’ for implicatum and implicitum; but Demetrio,
due to the richness of the Italian language, can play with the ‘tac’ root. I
often refer to the implicit as the tacit – and the tacit is nothing but the
‘silent’ –Demetrio has this brilliant essay on the ‘sentiments’ wich are
‘taciuti’. A ‘sentimento’ is taciuto’ when it is tacit, implicit, not explicit
– his favourite scenario is a loving couple – the silence of love – he has also
played with the ‘senses’ of ‘silent,’ but it is the ‘tacit’ root that he
explores most and relates to my explicit/implicit, tacit/non-tacit
distinction!” – Le sue ricerche promuovono la scrittura di se stessi, sia per
lo sviluppo del pensiero interiore e auto-analitico, sia come pratica
filosofica. Insegna a Milano, è ora direttore scientifico del Centro Nazionale
Ricerche e studi autobiografici della Libera università dell'Autobiografia di
Anghiari e dei “Silenziosi”. Altre opere: “Educatori di professione. Pedagogia
e didattiche del cambiamento nei servizi extra-scolastici” (Scandicci, La Nuova
Italia, Tornare a crescere); “L'età adulta tra persistenze e cambiamenti” (Milano,
Guerini, La ricerca qualitativa in educazione” (Scandicci, La Nuova Italia); Apprendere
nelle organizzazioni. Proposte per la crescita cognitiva in età adulta, Roma,
NIS); “Immigrazione e pedagogia interculturale. Bambini, adulti, comunità nel
percorso di integrazione, Firenze, La Nuova Italia); “L'educazione nella vita
adulta. Per una teoria fenomenologica dei vissuti e delle origini, Roma, NIS,
Raccontarsi); “L'autobiografia come cura di sé, Milano, Cortina, Educazione
degli adulti: gli eventi e i simboli, Milano, C.U.E.M., Viaggio e racconti di
viaggio. Nell'esperienza di giovani e adulti, Milano, C.U.E.M.); “Bambini
stranieri a scuola. Accoglienza e didattica interculturale nella scuola
dell'infanzia e nella scuola elementare, Scandicci, La Nuova Italia, Agenda
interculturale. Quotidianità e immigrazione a scuola. Idee per chi inizia,
Roma, Meltemi, Il gioco della vita. Kit
autobiografico. Trenta proposte per il piacere di raccontarsi, Milano,
Guerini); Pedagogia della memoria. Per se stessi, con gli altri, Roma,
Meltemi); “Elogio dell'immaturità. Poetica dell'età irraggiungibile, Milano,
Cortina, Una nuova identità docente. Come eravamo, come siamo, Milano, Mursia);
“L'educazione interiore. Introduzione alla pedagogia introspettiva, Scandicci,
La Nuova Italia, Di che giardino sei? Conoscersi attraverso un simbolo” (Roma,
Meltemi); “Preparare e scrivere la tesi in Scienze dell'Educazione, Milano,
Sansoni); “Istituzioni di educazione degli adulti. Il metodo autobiografico” (Milano,
Guerini); “Istituzioni di educazione degli adulti” (Milano, Guerini); Album di
famiglia. Scrivere i ricordi di casa, Roma, Meltemi, Scritture erranti.
L'autobiografia come viaggio del se nel mondo, Roma, EDUP, Ricordare a scuola.
Fare memoria e didattica autobiografica, Roma, Laterza, Manuale di educazione
degli adulti, Roma, Laterza, Filosofia dell'educazione ed età adulta.
Simbologie, miti e immagini di sé, Torino, POMBA Liberia, L'età adulta. Teorie
dell'identità e pedagogie dello sviluppo, Roma, Carocci, Autoanalisi per non
pazienti. Inquietudine e scrittura di sé, Milano, Cortina); “Istituzioni di
educazione degli adulti. Saperi,
competenze e apprendimento permanente, Milano, Guerini, Didattica
interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi, Milano, Angeli, In età
adulta. Le mutevoli fisionomie, Milano, Guerini, Filosofia del camminare.
Esercizi di meditazione mediterranea, Milano, Cortina, La vita schiva. Il
sentimento e le virtù della timidezza” (Milano, Cortina, La scrittura clinica.
Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, Milano, Cortina, L'educazione
non è finita. Idee per difenderla, Milano, Cortina); “Ascetismo metropolitano.
L'inquieta religiosità dei non credenti, Milano, Ponte alle Grazie); “L'interiorità
maschile. Le solitudini degli uomini” (Milano, Cortina, La religiosità degli
increduli. Per incontrare i «gentili», Padova, Messaggero, Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di
una passione, Milano, Cortina, Senza figli. Una condizione umana, Milano,
Cortina,,Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la cura, Milano, Mimesis);
“Beati i misericordiosi. Perché troveranno misericordia, Torino, Lindau); “I
sensi del silenzio. Quando la scrittura si fa dimora, Milano, Mimesis, La
religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo, Milano,
Cortina, Silenzio, Padova, Messaggero, Green autobiography. La natura è un
racconto interiore, Anghiari, Booksalad, Ingratitudine. La memoria breve della
riconoscenza, Milano, Cortina, Scrivi, frate Francesco. Una guida per narrare
di sè, Padova, Messaggero, La vita si cerca dentro di sé. Lessico autobiografico,
Milano, Mimesis, Terra, Milano, Dialogos, Foliage. Vagabondare in autunno,
Milano, Cortina. Wikipedia Ricerca Marte (divinità) dio romano della
guerra e dei duelli Lingua Segui Modifica Marte (in latino: Mars[1]) è, nella
religione romana e italica[2], il dio della guerra e dei duelli e, secondo la
mitologia più arcaica, anche del tuono, della pioggia e della fertilità[3].
Simile alla divinità greca Ares, col tempo ne ha assorbito tutti gli attributi,
fino a venire completamente identificato con esso. Statua colossale
di Marte: "Pirro" nei Musei capitolini a Roma. Fine del I secolo d.C.
CultoModifica Venere e Marte, affresco romano da Pompei, 1 secolo d. C. È
una divinità sia etrusca[4] che italica (Mamers nei dialetti sabellici[5]);
nella religione romana (dove era considerato padre del primo re Romolo) era il
dio guerriero per eccellenza, in parte associato a fenomeni atmosferici come la
tempesta e il fulmine. Assieme a Quirino e Giove, faceva parte della cosiddetta
"Triade arcaica", che in seguito, su influsso della cultura etrusca,
sarà invece costituita da Giove, Giunone e Minerva. Più tardi, identificandolo
con il greco Ares, venne detto figlio di Giunone e Giove e inserito in un
contesto mitologico ellenizzato. Alcuni studiosi del passato (Wilhelm
Roscher, Hermann Usner, e soprattutto Alfred von Domaszewski) hanno parlato di
Marte anche nei termini di divinità "agraria", legata
all'agricoltura, soprattutto sulla scorta del testo di una preghiera rimastaci
nel De agri cultura di Catone, che lo invoca per proteggere i campi da ogni
tipo di sciagura e malattia. Secondo Georges Dumézil tuttavia il collegamento
fra Marte e l'ambito campestre non farebbe di lui una divinità legata alla
terra, in quanto il suo ruolo sarebbe esclusivamente di difensore armato dei
campi da mali umani e soprannaturali, senza diversificazione dalla sua natura
intrinsecamente guerresca. Il dio, inoltre, rappresentava la virtù e la
forza della natura e della gioventù, che nei tempi antichi era dedita alla pratica
militare. In questo senso era posto in relazione con l'antica pratica italica
del uer sacrum, la Primavera Sacra: in una situazione difficile, i cittadini
prendevano la decisione sacra di allontanare dal territorio la nuova
generazione, non appena fosse divenuta adulta. Giunto il momento, Marte
prendeva sotto la sua tutela i giovani espulsi, che formavano solo una banda, e
li proteggeva finché non avessero fondato una nuova comunità sedentaria
espellendo o sottomettendo altri occupanti; accadeva talvolta che gli animali
consacrati a Marte guidassero i sacrani e divenissero loro eponimi: un lupo
(hirpus) aveva guidato gli Irpini, un picchio (picus) i Piceni, mentre i
Mamertini derivavano il loro nome direttamente da quello del dio. Sempre a
Marte era dedicata la legio sacrata, cioè la legione Sannita, detta anche
linteata, poiché era bianca.[senza fonte] Marte, nella società romana,
assunse un ruolo molto più importante della sua controparte greca (Ares),
probabilmente perché considerato il padre del popolo romano e di tutti gli
Italici in generale: Marte, accoppiatosi con la vestale Rea Silvia generò
Romolo e Remo, che fondarono Roma.[6] Di conseguenza Marte era considerato il
padre del popolo romano e i romani si chiamavano tra loro Figli di Marte. I
suoi più importanti discendenti, oltre a Romolo e Remo, furono Pico e
Fauno. Marte comparve spesso sulla monetazione romana, sia repubblicana
che imperiale, con vari titoli: Marti conservatori (protettore), Marti patri
(padre), Mars ultor (vendicatore), Marti pacifero (portatore di pace), Marti
propugnatori (difensore), Mars victor (vincitore). Il mese di marzo, il
giorno di martedì, i nomi Marco, Marcello, Martino, il pianeta Marte, il popolo
dei Marsie il loro territorio Martia Antica (la contemporanea Marsica) devono a
lui il loro nome. Leggenda sulla nascita di MarteModifica Secondo il
mito, Giunone era invidiosa del fatto che Giove avesse concepito da solo
Minerva senza la sua partecipazione. Chiese quindi aiuto a Flora che le indicò
un fiore che cresceva nelle campagne in Etoliache permetteva di concepire al
solo contatto. Così diventò madre di Marte, che fece allevare da Priapo, il
quale gli insegnò l'arte della guerra. La leggenda è di tradizione tarda come
dimostra la discendenza di Minerva da Giove, che ricalca il mito greco. Flora,
al contrario, testimonia una tradizione più antica: l'equivalente norreno Thor
nasce dalla terra, Jǫrð e così le molte divinità elleniche.
NomiModifica Statua di Marte nudo in un affrescodi Pompei. Marte era venerato
con numerosi nomi dagli stessi latini, dagli Etruschi e da altri popoli
italici: Maris, nome Etrusco da cui deriva il nome del Dio Romano;[4]
Mars, nome Romano; Marmar; Marmor; Mamers, nome con cui era venerato dai popoli
italicidi stirpe osca[7]; Marpiter; Marspiter; Mavors. EpitetiModifica Diuum
deus: 'dio degli dei', nome con cui viene designato nel Carmen Saliare.
Gradivus: 'colui che va', con valore spesso di 'colui che va in battaglia', ma
può essere collegato anche al ver sacrum, quindi 'colui che guida, che va'.
Leucesios: epiteto del Carmen Saliare che significa 'lucente', 'dio della
luce', questo epiteto può essere anche legato alla sua caratteristica di dio
del tuono e del lampo. Silvanus: in Catone, nel libro De agri cultura, 83 Marte
viene soprannominato Silvanus in riferimento ai suoi aspetti legati alla natura
e collegandolo con Fauno. Ultor: epiteto tardo, dato da Augusto in onore della
vendetta per i cesaricidi (da ultor, -oris: vendicatore).
RappresentazioniModifica Gli antichi monumenti rappresentano il dio Marte in
maniera piuttosto uniforme; quasi sempre Marte è raffigurato con indosso
l'elmo, la lancia o la spada e lo scudo, raramente con uno scettro talvolta è
ritratto nudo, altre volte con l'armatura e spesso ha un mantello sulle spalle.
A volte è rappresentato con la barba ma, nella maggior parte dei casi, è
sbarbato. È raffigurato a piedi o su un carro trainato da due cavalli
imbizzarriti, ma ha sempre un aspetto combattivo. Gli antichi Sabini lo
adoravano sotto l'effigie di una lancia chiamata "Quiris" da cui si
racconta derivi il nome del dio Quirino, spesso identificato con Romolo.
Bisogna dire che il nome Quirinus, come il nome Quirites, deriva da *co-uiria,
cioè assemblea del popolo e indicava il popolo in quanto corpus di cittadini, da
distinguere con Populus (dal verbo populari = devastare), che indica il popolo
in armi. Il ruolo di Marte a RomaModifica Venere e Marte, affresco
romano da Pompei, 1 secolo d. C. A Roma Marte era onorato in modo particolare.
A partire dal regno di Numa Pompilio, venne istituito un consiglio di
sacerdoti, scelti tra i patrizi, chiamati Salii, chiamati a vigilare su dodici
scudi sacri, gli Ancilia, di cui si dice che uno sia caduto dal cielo. Questi
sacerdoti erano riconoscibili dal resto del popolo per la loro tunica purpurea.
I sacerdoti Salii, in realtà erano un'istituzione ben più antica di Numa
Pompilio, risalivano addirittura al re-dio Fauno, che li creò in onore di
Marte, costituendo così i primi culti iniziatici latini. Nella capitale
dell'impero, vi era anche una fontana consacrata al dio Marte e venerata dai
cittadini. L'imperatore Nerone, una volta, si bagnò in quella fontana, gesto
che fu interpretato dal popolo come un sacrilegio e che gli alienò la simpatia
popolare. A partire da quel giorno, l'imperatore iniziò ad avere problemi di
salute, secondo la gente dovuta alla vendetta del dio. Festività Modifica Era venerato fastosamente in marzo, il
primo mese dell'anno nel calendario romano, che segnava la ripresa delle
attività militari dopo l'inverno e che portava il suo nome, con le feriae
Martis, Equirria, agonium martiale, Quinquatrus e tubilustrum. Altre cerimonie
importanti avvenivano in febbraio e in ottobre. Gli Equirria si tenevano
il 27 febbraio e il 14 marzo. Erano giorni sacri con significato religioso e
militare; i romani vi mettevano molta enfasi per sostenere l'esercito e
rafforzare la morale pubblica. I sacerdoti tenevano riti di purificazione
dell'esercito. Si tenevano corse di cavalli nel Campo Marzio. Le feriae
Martis si tenevano dal 1º marzo al 24 marzo. Durante le feriae Martis i dodici
Salii Palatinipercorrevano la città in processione, portando ciascuno un
Ancile, uno dei dodici scudi sacri, e fermandosi ogni notte ad una stazione
diversa (mansio). Nel percorso i Salii eseguivano una danza con un ritmo di tre
tempi (tripudium) e cantavano l'antico e misterioso Carmen Saliare. Il 19 marzo
si teneva il Quinquatrus, durante il quale gli scudi venivano ripuliti. Il 23
marzo si teneva il Tubilustrium, dedicato alla purificazione delle trombe usate
dai Saliie alla preparazione delle armi dopo la pausa invernale. Il 24 marzo
gli ancilia venivano riposti nel sacrario della Regia. L'October Equus si
teneva alle idi di ottobre (15 ottobre). Si svolgeva una corsa di bighe e veniva
sacrificato a Marte il cavallo di destra del trio vincente tramite un colpo di
lancia del Flamine marziale. La coda veniva tagliata e il suo sangue sparso nel
cortile della Regia. C'era una battaglia tradizionale tra gli abitanti della
Suburra che volevano la coda per portarla alla Turris Mamilia e quelli della
Via Sacra che la volevano per la Regia. Il 19 ottobre si teneva
l'Armilustrium, dedicato alla purificazione delle armi e alla loro
conservazione per l'inverno. Ogni cinque anni si tenevano in Campo Marzio
le Suovetaurilia, dove davanti all'altare di Marte (Ara Martis) il censo veniva
accompagnato da un rito di purificazione tramite il sacrificio di un bue, un
maiale e una pecora. Luoghi di cultoModifica Marte e Venere, copia
settecentesca da I Modi di Marcantonio Raimondi Tra le popolazioni italiche, si
sa di un antico tempio dedicato al dio Marte a Suna,[8] antica città degli
Aborigeni, e di un oracolo del dio, nella città aborigena di Tiora.[9]
Animali e oggetti sacriModifica Lupo: si ricorda il nipote Fauno, il lupo per
eccellenza è la lupa che ha allattato Romolo e Remo[6] Picchio: il picchio è
l'uccello del tuono e della pioggia oracolare, ha nutrito Romolo e Remo insieme
alla lupa Cavallo: simbolo della guerra (si ricorda Nettuno e gli Equirria) Toro:
altro animale molto importante per il ver sacrum e per tutti i popoli italici
Hastae Martiae: sono le lance di Marte che si scuotevano in caso di gravi
pericoli, tenute nel sacrario della Regia Lapis manalis: la pietra della
pioggia, in quanto dio della pioggia OfferteModifica A Marte si offrivano come
vittime sacrificali vari tipi di animali: dei tori, dei maiali, delle pecore e,
più raramente, cavalli, galli, lupi e picchi verdi, molti dei quali gli erano
consacrati. Le matrone romane gli sacrificavano un gallo il primo giorno del
mese a lui dedicato che, fino al tempo di Gaio Giulio Cesare, era anche il
primo dell'anno. Identificazioni con dei celticiModifica Mars Alator:
Fusione con il dio celtico Alator Mars Albiorix, Mars Caturix o Mars Teutates:
Fusione con il dio celtico Toutatis Mars Barrex: Fusione con il dio celtico
Barrex, di cui si ha notizia solo da un'iscrizione a Carlisle Mars
Belatucadrus: Fusione con il dio celtico Belatu-Cadros. Questo epiteto è stato
trovato in cinque iscrizioni nell'area del Vallo di Adriano Mars Braciaca:
Fusione con il dio celtico Braciaca, trovato in un'iscrizione a Bakewell Mars
Camulos: Fusione con il dio della guerra celtico Camulo Mars Capriociegus:
Fusione con il dio celtico gallaico Capriociegus, trovato in due iscrizioni a
Pontevedra Mars Cocidius: Fusione con il dio celtico Cocidio Mars Condatis:
Fusione con il dio celtico Condatis Mars Lenus: Fusione con il dio celtico Leno
Mars Loucetius: Fusione con il dio celtico Leucezio Mars Mullo: Fusione con il
dio celtico Mullo Mars Nodens: Fusione con il dio celtico Nodens Mars Ocelus:
Fusione con il dio celtico Ocelus Mars Olloudius: Fusione con il dio celtico
Olloudio Mars Segomo: Fusione con il dio celtico Segomo Mars Visucius: Fusione
con il dio celtico Visucio Marte nell'arteModifica PitturaModifica Marte, di
Diego Velázquez (1640) Marte che spoglia Venere con amorino e cane, di Paolo
Veronese Marte e Venere sorpresi da Vulcano, di François Boucher (1754) Minerva
protegge la Pace da Marte, di Pieter Paul Rubens (1629-1630) Venere e Marte, di
Sandro Botticelli NoteModifica ^ MARTE su Treccani, enciclopedia ^ MARTE su
Treccani, enciclopedia ^ MARTE su Treccani, enciclopedia ^ a b Pallotino, pp.
29, 30; Hendrik Wagenvoort, "The Origin of the Ludi Saeculares," in
Studies in Roman Literature, Culture and Religion (Brill, 1956), p. 219 et
passim; John F. Hall III, "The Saeculum Novum of Augustus and its Etruscan
Antecedents," Aufstieg und Niedergang der römischen Welt II.16.3 (1986),
p. 2574. ^ MARTE su Treccani, enciclopedia ^ a b Strabone, Geografia, V 3.2. ^
Nota sul dio Mamerte (o Mamers), in Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità
romane, I 14.3. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, I 14.5.
BibliografiaModifica Andrea Carandini, La nascita di Roma, Torino, Einaudi,
1997, ISBN 88-06-14494-4. (L'archeologo Andrea Carandini dà la definitiva
rivalutazione del dio Marte). Renato Del Ponte, Dei e miti italici, Genova,
ECIG, 1985, ISBN 88-7545-805-7. Georges Dumézil, La religione romana arcaica,
Milano, Rizzoli, 1977, ISBN 88-17-86637-7. (Libro del grande storico delle
religioni, che per primo rivalutò Marte da feroce dio emulo di Ares a divinità
più originale e importante). James Hillman, Un terribile amore per la guerra,
Milano, Adelphi, 2005, ISBN 978-88-459-1954-1.(Un libro che dimostra come
questo dio sia presente nelle guerre contemporanee). Jacqueline Champeux, La
religione dei romani, Bologna, Il Mulino, 2002, ISBN 978-88-15-08464-4. Voci correlateModifica
Ares Divinità della guerra Flamine marziale Fauno Marte (astronomia) Mamerte
Pico (mitologia) Hachiman Altri progettiModifica Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Marte Collegamenti
esterniModifica Fano di Marmar [collegamento interrotto], su
latinae.altervista.org. Controllo di autoritàVIAF ( EN ) 101084029 · CERL
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HE ) 987007404451505171 (topic) ·WorldCat Identities ( EN ) lccn-no2017035806
Portale Antica Roma Portale Mitologia Ultima modifica 2 mesi
fa di 79.30.61.157 PAGINE CORRELATE Salii collegio sacerdotale romano per il
culto di Marte Mamuralia festività Triade arcaica Wikipedia Il contenuto
Duccio Demetrio. Demetrio. Keywords:il sentimento taciuto, maschile,
omossesuale, perseo, medusa, solitudine, filosofia del maschile, il maschile,
homo-socialite, lo sguardo maschile, virilita, virus, virtu, il concetto del
maschile nella roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Demetrio” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702036438/in/photolist-2mRKZNn-2mPTNKh-2mPAuFE-2mPr8cN-2mLJsam-2mLCVzx-2mKMsLp-2mGnP2f-jkWwCU-jkTG2r
Grice e Desideri – consenzienti – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I like
Desideri; he would be what we at Oxford call a ‘philosopher of perception,’ and
therefore his keywords have been aisthetsis, sensation, and the rest – he has
also played with some Latinate, like ‘imaggine dell’imagine’ and with
‘empathy.’ He endorses a Griceian sort of empathetic theory, as evidenced in
the idea of ‘comprehension,’ a latinate term for English ‘understanding.’ “He
has beautiful handwriting,’ while there is a hygienic interval between I and
thou, thou getest what I mean! That he is HOPELESS at philosophy.” Insegna a
Firenze. Cura Nietzsche, Kant, Benjamin, Kafka. Altre opere: “Il tempo e la
forma” (Roma, Editori riuniti); “Il fine del tempo” (Genova, Marietti); “La
scala della giustizia” (Bologna, Pendragon); “Il velo di Iside: coscienza,
messianismo e natura nel pensiero romantico” (Bologna, Pendragon); “L'ascolto
della coscienza” (Milano, Feltrinelli); “Aporia del sensibile” (Genova, Il
melangolo); “Il passaggio estetico” (Genova, Il melangolo); “Forme
dell'estetica: dall'esperienza del bello al problema dell'arte” – “L’esperienza
del bello” (Roma-Bari, Laterza); “L’
esperienza e la percezione riflessa: estetica e filosofia psicologia (Milano,
Raffaello Cortina); “La misura del sentire: per una ri-configurazione
dell'estetica” (Milano-Udine, Mimesis); “Origine dell'estetico: dall’emozione
al giudizio” (Roma, Carocci); “Percezione ed estetica” (Brescia,
Morcelliana). A Francesco e Nicola GABRIELE TURI
Il fascismo e il consenso degli intellettuali IL
MULINO Copyright © 1980 by Società editrice il Mulino,
Bologna. ©0680 Introduzione Quando,
circa dieci anni fa, ho iniziato le ricerche con- densate in questi saggi,
testimonianze e giudizi storiogra- fici erano unanimi nel riflettere la
nota negazione crociana dell’esistenza di una cultura fascista: un
giudizio che, come ho indicato nel testo, trova ancora oggi il suo
principale e: più autorevole sostenitore in Norberto Bobbio, ma che
ritorna anche in protagonisti della lotta antifascista e in studiosi di
altre « aree » politiche e culturali, come Giorgio Amendola e Alberto
Asor Rosa. I motivi del persistere di questa negazione, in chi pur si è
dedicato da tempo a inda- gare con severo impegno civile sulla « funzione
politica della cultura », richiederebbero una ricerca apposita, che
metterebbe probabilmente in luce, accanto alla fortuna del crocianesimo e
alla diffidenza verso l’intellettuale-funzio- nario di supposta matrice
fascista, o all’originaria riduttiva lettura di Gramsci ', una decisa
sottovalutazione, su un piano pit generale, del peso del « fenomeno »
fascista nella storia italiana. È forse quest’ultimo l’elemento che
continua a opporre maggiore resistenza alla corretta impostazione
di un’indagine su una stagione culturale che non si esauri nel
ventennio, ma proiettò le sue ombre anche sul periodo postfascista: con
un bilancio, si badi bene, che non può ridursi a distinguere « vera » e «
falsa » cultura, o a chie- dersi quali prodotti di « vera » cultura
promosse il fasci- smo. « Per affermare che il fascismo non aveva legami
con la “cultura” è necessario adoperare il termine in modo pu-
ramente valutativo, escludendo dal suo ambito tutto ciò che viene
giudicato dannoso, oppure minimizzare sistema: 1 Su alcuni di
questi temi un primo spunto di ricerca è stato fornito da ‘E. Galli della
Loggia, Ideologie, classi e costume, in AA.VV., L'Italia contemporanea
1945-1975, a cura di V. Castronovo, Torino, ‘Einaudi; 1976, pp.
379-434. Il fascismo e il consenso degli intellettuali
ticamente il numero di punti di contatto esistenti tra il regime
ed i mondi dell’arte e della letteratura, della filosofia e della
storiografia », ha opportunamente osservato Adrian Lyttelton ?; e la
notazione potrebbe essere estesa ad altre discipline, come quelle
giuridiche ed economiche, per con- siderare, accanto a ciò che di non
caduco fu prodotto nel campo dell’alta cultura — oltre che nel terreno
inesplorato della mentalità dei diversi strati sociali —, anche i «
pen- sieri che non furono pit pensati » *. Ma a una valutazione
complessiva di questa tematica è di ostacolo un giudizio simmetrico a
quello crociano, teso a mettere in dubbio l’esistenza di ur fascismo
italiano: in questo senso Renzo De Felice ha fatto veramente scuola
presso quanti hanno avallato la tesi propria del fascismo, di possedere
una ideo- logia non reazionaria, o hanno tratto spunto dalle doti
intel- lettuali di Bottai per presentarlo come « un fascista cri-
tico » ‘. Solo pochi studiosi hanno cominciato, in questi
ultimi anni, a presentare un diverso approccio al problema, te-
nendo presenti i nessi tra la cultura, l’ideologia e gli obiet- tivi
politici del fascismo °, e sfuggendo quindi al rischio di esaminare le
idee dei singoli intellettuali in modo separato dal contesto in cui
operarono °: rischio di un genere bio- 2 A. Lyttelton, La
conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Bari, Laterza, 1974,
p. 609. 3 A. Momigliano, Gli studi italiani di storia greca e
romana dal 1895 al 1939, in AA.VV., Cinquant'anni di vita intellettuale
italiana 1896- 1946, scritti in onore di Benedetto Croce per il suo
ottantesimo com- pleanno, a cura di C. Antoni e R. Mattioli, Napoli,
Edizioni scientifiche italiane, 1950, vol. I, p. 106. 4 Cfr.
E. Gentile, Le origini dell’ideologia fascista (1918-1925), Bari,
Laterza, 1975, e G.B. Guerri, Giuseppe Bottai, un fascista critico, pre
fazione di U. Alfassio Grimaldi, Milano, Feltrinelli, 1976. 5 Cosî
L. Mangoni, L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del
fascismo, Bari, Laterza, 1974; A. Montenegro, Politica estera e
organizzazione del consenso. Note sull’Istituto per gli studi di politica
internazionale 1933-1943, in «Studi storici», XIX (1978), pp. 777-817; M.
Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti
sulla cultura fascista, Torino, Einaudi, 1979. 6 Né più produttiva
appare una lettura solo apparentemente rove- sciata, come quella di un Cantimori
tutto politico che niente ci dice sul suo « mestiere » di storico: cfr.
M. Ciliberto, Intellettuali e fascismo. Saggio su Delio Cantimori, Bari,
De Donato, 1977, e le puntuali osser- 6
Introduzione grafico che — pur sempre utile e auspicabile — anche
nei suoi esempi migliori tende a « eroicizzare » alcune perso-
nalità anticipando spesso nel tempo gli esiti della loro ri- cerca
culturale e politica. Abbiamo quindi ritenuto neces- sario — ai fini di
una lettura « politica », per quanto pos- sibile, della cultura e degli
orientamenti dei suoi produttori nel ventennio — porre al centro
dell’indagine le istituzioni culturali del regime, di cui l’Enciclopedia
italiana è, per l’alta cultura, l’espressione pit significativa, in
quanto momenti di aggregazione degli intellettuali di cui il fasci-
smo voleva acquisire il consenso. Istituzioni culturali che non si
limitano a una « gestione » puramente esterna della cultura preesistente
”, ma producono anche contenuti nuovi, mettendo in circolazione modi di
pensare o temi di studio funzionali all’ideologia dominante. Con ciò non
vogliamo negare che il fascismo recuperi motivi già presenti
nell’Ita- lia liberale — come il nazionalismo o le tendenze corpo-
rative —, secondo l’« ideologia eclettica » del Pnf, prima «
organizzazione politica unificata » della borghesia ita- liana, pronta a
raccogliere ogni « prestito » capace di raf- forzarla *: motivi che
tuttavia la borghesia prefascista — a meno di non darle credito di una
coerenza e di una « preveggenza » che non ci pare abbia av uto nel
suo com- plesso ® — non era riuscita a connettere saldamente
insieme in quella sorta di koiné che nel periodo fascista, se pur
si avvale di apporti diversi, non è meno omogenea per gli obiettivi che
si pone e per la continua interscambiabilità tra cultura e ideologia. Un
«linguaggio » alla cui formula- vazioni di G. Santomassimo in «
Italia contemporanea », XXX (1978), n. 131, pp. 89-91. ? In
questo senso si esprime, oltre ad Asor Rosa (citato nel testo), A.L. de Castris,
Gramsci e il problema dell’egemonia negli anni trenta, in « Lavoro
critico », XIX (1980), in particolare p. 61 (il numero è dedicato a « Le
culture del fascismo »). 8 P. Togliatti, Lezioni sul fascismo,
prefazione di E. Ragionieri, Roma, Editori Riuniti, 1970, pp. 14-15,
19-58. 9 Su questo collegamento tra Italia liberale e fascismo
insiste S. La- naro, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura borghese in
Italia 1870-1925, Padova, Marsilio, 1979 (su cui cfr. gli interventi di
R. Romanelli, M.L. o Toniolo in «Quaderni storici », XV (1980), n. 43,
pp. 30-254). Il fascismo e il consenso degli
intellettuali zione contribuiscono, in misura e con capacità di
manovra insusitate, i cattolici. È appunto considerandone la parte-
cipazione massiccia alle istituzioni del regime — dove i col- laboratori
si confondono, soprattutto dopo il 1929, con i critici dell’idealismo e,
qualche volta, del fascismo stes- 80 —, che è possibile cogliere un
aspetto non secondario della « trasformazione della presenza cattolica in
Italia, non più caratterizzata, come nel prefascismo, da un
rapporto preminente col mondo contadino, ma profondamente inse-
rita a tutti i livelli nella moderna società industriale » !° con un
insieme di « scambi » culturali che, anche in una prospettiva di lungo
periodo, ha un peso ben maggiore della riflessione più propriamente
religiosa di quei gruppi élitari nei quali si è voluto cogliere il nucleo
della classe dirigente democristiana " Un'indagine
approfondita sulla politica culturale del regime ci pare preliminare
anche per valutare quelli che .abbiamo chiamato i « limiti del consenso
». Solo partendo dalla considerazione dell’esistenza di una vasta rete di
isti- tuzioni fasciste che producono e trasmettono cultura — contro
la quale si infrangono i sogni di una cultura « al di sopra della mischia
» propri di un Formiggini — è possi- bile impostare un discorso sulla
cultura « sommersa » du- rante il ventennio e sui suoi sbocchi nel 1945 —
e anche in questo caso, più che affidarci ai « lunghi viaggi » dei
«singoli, che rischiano di ridursi a personali esami di co- scienza senza
grande risonanza, abbiamo rivolto l’atten- zione ad altri centri di
aggregazione degli intellettuali e di diffusione della cultura, le case
editrici, pur senza essere stati in grado di fornite quei preziosi dati «
materiali » 10 M.G. Rossi, La Chiesa e le organizzazioni
religiose, in AA.VV., La Toscana nel regime fascista (1922-1939),
Firenze, Olschki, 1971, vol. I, p. 363. 1! Come ha fatto,
analizzando la Fuci e il Movimento laureati cat- tolici, R. Moro, La
formazione della classe dirigente cattolica (1929- 1937), Bologna, il
Mulino, 1979; contro una prima formulazione di questa tesi ha polemizzato
Pietro Scoppola che però, per esaltare l’im- pronta di rinnovamento
impressa da De Gasperi alla DC, ha ribaltato la sua tesi originaria
sostenendo il « sostanziale consenso al regime », senza incrinature, dei
cattolici (Le proposta politica di De Gasperi, Bologna, il Mulino, 1977,
p. 27). 8 Introduzione: dell’azienda
editoriale che sono stati pionieristicamente fatti oggetto di studio, per
un altro periodo, da Marino Beren- go !. Il mancato riferimento alla
forza condizionante delle istituzioni del regime è infatti all'origine
sia di facili asso- luzioni di una cultura che sarebbe passata indenne «
attra» verso $ il fascismo, sia di altrettanto gratuite reprimende
contro l’incapacità di rinnovamento delle forze di sinistra dopo il 1945.
Fra l’accusa al PCI di essersi fatto carico del- l’« ideologia della
ricostruzione » — per cui si sopravva-' luta il significato dell’«
inquietudine politica » de « Il Poli- tecnico » —, e la riproposizione
crociana di una cultura che, sotto il fascismo, « si era chiusa su se stessa,
rivendi- cando la propria “autonomia”: e da una tacita contratta:
zione col potere aveva ottenuto il permesso di vivere e di svilupparsi
nella sua (pseudo) separatezza » , vi è infatti uno iato profondo che non
permette di spiegare storica- mente gli indubitabili ritardi registrabili
dopo il 1945 nel rinnovamento culturale. Il processo di
affrancamento degli intellettuali dalla cultura del regime fu in realtà
assai complesso, anche quan- do passò attraverso la difesa dell'autonomia
della cultura. Vi può essere stata, da un lato, l’« indifferenza di
fronte alla politica » di molti intellettuali che è all’origine sia
di un loro acritico allineamento al fascismo *, sia di un arroc-
camento attorno alla tradizione accademica, che nelle Uni- versità trovò
alcuni spazi per mantenersi separata dalla militanza politica richiesta
dal fascismo, anche se col rischio di un progressivo inaridimento 5.
D'altro canto, in un 12 M. Berengo, Intellettuali e librai nella
Milano della Restaurazione, Torino, Einaudi, 1980. 13 Cosî R.
Luperini, Gli intellettuali di sinistra e l'ideologia della rico-
struzione nel dopoguerra, Roma, edizioni di « Ideologie », 1971, in
parti- colare pp. 34-35 e 56. 14 Ne ha parlato N. Tranfaglia,
Intellettuali e fascismo. Appunti per una storia da scrivere (1971), ora
in Id., Dallo stato liberale al regime fascista. Problemi e ricerche,
Milano, Feltrinelli, 1973, p. 123. 15 Cfr. G. Turi, Le istituzioni
culturali del regime fascista durante la seconda guerra mondiale, in «
Italia contemporanea », XXXII (1980), n. 138, pp. 16-23, e, con ottica
diversa, B. Bongiovanni - F. Levi, L’univer- sità di Torino durante il
fascismo. Le Facoltà umanistiche e il Politecnico, Torino, Giappichelli,
1976. Il fascismo e il consenso degli intellettuali
periodo in cui, dopo il 3 gennaio 1925 e la soppressione completa della
dialettica politica, il terreno culturale di- venne nel paese un
importante termine di confronto per verificare anche l’esistenza di
schieramenti tendenzialmente politici, la rivendicazione dell’autonomia
della cultura co- stituî negli intellettuali più consapevoli uno
strumento per segnare una rottura nei confronti del regime, in vista
della ricostituzione di un rapporto nuovo fra politica e cultura: fu
questo il senso della battaglia di Croce, di alcuni dei principali
collaboratori di Giulio Einaudi — in un primo luogo Leone Ginzburg —, e
di alcuni settori di ascendenza democratica, socialista e positivista —
per altro ancora da indagare in tutte le loro ramificazioni —, che
abbiamo esem- plificato nel gruppo raccolto attorno alla casa editrice
For- miggini. Non bisogna tuttavia dimenticare che la cultura
elabo- rata dagli intellettuali del fascismo impose un arretramento
del punto di partenza di una battaglia culturale — e poli- tica — che nel
campo degli « avversari » fu necessaria- mente sfumata, ma anche non
priva di oscillazioni, con- traddizioni e riflussi — tanto che poté
apparire anticon- formista la ripresa di motivi sostanzialmente non
antite- tici al fascismo, come nel caso del liberismo di Luigi
Einau- di —, e che perciò non può essere immediatamente classi-
ficata nella categoria dell’antifascismo. Se è quindi possi- bile
constatare « come tanta parte della “intelligenza” ita- liana sboccasse
[...] nell’Italia postfascista senza che le tra- sformazioni di
superficie corrispondessero a reali rinnova- menti di fondo » ', ciò è
addebitabile, più che a uno zdano- vismo che in realtà non conculcò
alcuna esistente « cultura rivoluzionaria » !”, al ben più drastico
condizionamento 16 E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo,
Roma, Editori Riu- niti, 1974, p. XVI. 17 Elementi
contraddittori si mescolano a interessanti suggerimenti di ricerca nella
testimonianza di Franco Fortini: « Quando si farà la storia dello
stalinismo italiano e si documenterà la repressione avvenuta fra 1944 e
1948 ai danni di una cultura rivoluzionaria non conformista che, incerta
e confusa, pur si veniva formando; e quando si chiarirà fino a qual punto
la debolezza intellettuale degli usciti dal fascismo, cioè di noi stessi,
abbia cospirato obiettivamente con talune debolezze morali e con
10 Introduzione operato da tempo dal fascismo: con il
risultato che il pro- cesso di rinnovamento degli intellettuali italiani
si presen- terà assai più lento delle trasformazioni politiche del
paese. Non ci sentiamo tuttavia in grado di dare giudizi definitivi
sulla controversa questione, anche in questo campo, rela- tiva alle
continuità o alle rotture nella storia d’Italia. Ci preme aver indicato
un approccio di ricerca che ci sembra fruttuoso, e auspicare che i
risultati raggiunti stimolino ulteriori indagini e riflessioni.
Primo a seguire e incoraggiare questa ricerca è stato Ernesto
Ragionieri, il cui ricordo è difficilmente cancella- bile in chi ne ha
conosciute e apprezzate le doti umane, intellettuali, politiche: a lui va
il mio principale debito di riconoscenza, nella speranza di essere
rimasto fedele, al- meno in parte, alla sua eccezionale lezione di rigore
scien- tifico. Fra quanti hanno letto interamente o in parte
il datti- loscritto, ‘aiutandomi con correzioni e suggerimenti,
ringra- zio in particolare Eugenio Garin, Giorgio Mori, Marco
Palla, Michele Ranchetti, Simonetta Soldani e Maurizio Torrini; e, con
loro, i numerosi studenti e amici che hanno discusso la tematica di
questa ricerca nei seminari tenuti presso l’Istituto di storia della
Facoltà di Lettere e Filo- sofia di Firenze. Né posso dimenticare chi,
regalandomi una stagione felice, ha reso più leggera la mia fatica.
Il lavoro non sarebbe stato possibile senza la preziosa
collaborazione del personale della Biblioteca nazionale di Firenze e di
quanti mi hanno facilitato la consultazione di fondi archivistici: il
prof. Vincenzo Cappelletti per l’Ar- chivio dell’Istituto
dell’Enciclopedia italiana; il dott. Er- nesto Milano e il signor Nunzio
Selmi per l'Archivio edito- riale Formiggini presso la Biblioteca estense
di Modena; la politica culturale stalinista, polemizzando contro
quest’ultima da destra e cioè da posizioni radical-liberali invece che da
posizioni marziste, allora sarà possibile farsi un’idea meno mitica di
certi tentativi, come quelli del neorealismo cinematografico, del “Politecnico”,
ecc.» (Verifica dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni
letterarie, Milano, Garzanti, 1974?, pp. 144-145). 11
.Il fascismo e il consenso degli intellettuali il personale
della Fondazione Luigi Einaudi; Giulio Einau- di, Corrado Vivanti e
l’archivista Giovanni Gava per. i documenti della casa editrice Einaudi;
la signora Lola Balbo che mi ha concesso la visione delle carte di
Felice Balbo da lei tanto amorevolmente custodite, e il prof. Nor-
berto Bobbio che ha messo a mia disposizione il suo archi- vio
personale. Non è stata invece possibile la consultazione
dell’Ar- chivio Giovanni Gentile, ancora in attesa di una sistema-
zione che permetta l’accesso agli studiosi. In questo volume si
riproducono, con alcune modi- fiche, i seguenti saggi: Il progetto
dell’Enciclopedia ita- liana: l’organizzazione del consenso fra gli
intellettuali, in « Studi storici », XIII (1972), pp. 93-152 (si limita
a riprodurre la tematica di questo articolo, senza nulla aggiun-
gere, la maggior parte — 6 capitoli su 7 — del volumetto di G. Lazzari,
L’Enciclopedia Treccani. Intellettuali e po- tere durante il fascismo,
Napoli, Liguori, 1977, tributario del mio saggio anche per le fonti);
Ideologia e cultura del fascismo nello specchio dell’Enciclopedia
italiana, in « Stu- di storici », XX (1979), pp. 157-211; l'introduzione
alla ristampa non integrale di A.F. Formiggini, Trent'anni dopo.
Storia della mia casa editrice, Modena, Ricardo Fran- co Levi editore,
1977, pp. V-XLIV. Il saggio I limiti del consenso: le origini della casa
editrice Einaudi è inedi- to: per questo ho potuto utilizzare il
contributo CNR n. 78.02685.09. 12 Ideologia e
cultura del fascismo: l’« Enciclopedia italiana » 1. Il 3
gennaio 1925 e la ricerca del consenso « Opere come
l’Ernciclopedia, cui [Gentile] dette co- si valido impulso, hanno nella
vita di un tempo un peso singolare. E innanzi ad esse, e alla loro
penetrazione pro- fonda, conviene chiedersi se, per avventura, taluni
giudizi correnti non debbano essere rivisti e corretti » !.
L’osser- vazione di Eugenio Garin, fatta per inciso in una
ricostru- zione generale della filosofia italiana del 900,
comportava una verifica dell'equazione crociana fascismo-anticultura e
cultura-antifascismo, e quindi quel più attento riesame delle vicende
culturali fra le due guerre, in stretto rapporto con l’obiettivo del
regime di organizzare il consenso degli intel- lettuali, che attende
ancora di essere compiuto sistematica- mente. Cosf non solo l’Enciclopedia
italiana — utilizzata da studiosi stranieri come fonte sulla « dottrina
filosofica del fascismo » ? o come espressione dell’orientamento
preva- lente nella cultura italiana del ventennio? —, ma anche
l’opera di Gentile teorico del « periodo di consolidamento » del fascismo
— come lo ha definito Lukàcs ‘ con espressione ben pir corretta della
generica formula di « filosofo del fascismo » —, sono rimaste avvolte in
un silenzio che è già per se stesso elemento di riflessione sui profondi condi-
zionamenti subiti a lungo dalla cultura italiana del secondo 1 E.
Garin, Cronache di filosofia italiana 1900-1943. Quindici anni dopo
1945-1960, Bari, Laterza, 19663, p. 408. 2 S.A. Efirov, La
filosofia borghese italiana del XX secolo, Firenze, Sansoni, 1970, pp.
38-39. 3 E.J. Hobsbawm, I/ contributo di Marx alla storiografia, in
AA.VV, Marx vivo. La presenza di Karl Marx nel pensiero contemporaneo,
Mi- lano, Mondadori, 1969, vol. I, pp. 376-377. 4 G. Lukàcs,
La distruzione della ragione, Tortino, Einaudi, 1959, p. 19.
13 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
dopoguerra, che negli anni venti e nel fascismo, e nel giu- dizio che ne
aveva dato Croce, hanno la loro origine 5. Il discorso sul pensiero
e l’opera di Gentile nel ven- tennio, condotto in prevalenza da suoi
allievi nel « Gior- nale critico della filosofia italiana » — con
particolare luci- dità da Ugo Spirito,che ha ricostruito le tappe del suo
di- stacco dal maestro come sviluppo degli stessi principi attua-
listi* —, è rimasto limitato a un recupero agiografico o a un
anacronistico rilancio, privo di prospettive storiografiche perché
astratto dall’analisi del fascismo, in cui Spirito ha voluto individuare,
con un giudizio che richiede di essere specificato — pensiamo in
particolare al peso che ebbe anche sul piano culturale il connubio
chiesa-regime —, « la ragione effettiva della crisi del neoidealismo
italiano » ?: tale, quindi, da non consentire quell’esame della «
perso- nalità di Gentile come promotore e organizzatore di alta
cultura sul piano nazionale » cui pur aveva richiamato il gentiliano
Bellezza ®. Le stesse Cronache di Garin, mosse dall’intento di
considerare « uomini e dottrine [...] come espressioni di un tempo e,
insieme, come forze che in un tempo agirono » ‘, e attente a non cadere
nella troppo sche- 5 Il primo studio moderno con intenti di
completezza è quello del- l'americano H. S. Harris, La filosofia sociale
di Giovanni Gentile, Roma, Armando, 1973 (ediz. originale 1960), condotto
però nella costante preoc- cupazione — come affermava l’autore nella
prefazione all’edizione origi- nale — di vedere «how far his “actual
idealism” can be disentangled from its Fascist connections », da cui
discende il giudizio sull’« oggetti- vità » dell’Enciclopedia italiana
(p. 266); per una confutazione della « critica a Gentile sulla linea
liberale » condotta da Harris cfr. U. Cerroni, La filosofia politica di
Giovanni Gentile, in « Società », XVII (1961), pp. 302-19. Per una ricostruzione
storica della figura di Gentile nel dopo- guerra e nel periodo fascista
sono di grande utilità gli accenni, non tanto incidentali, di R.
Colapietra, Beredetto Croce e la politica italiana, Bari- Santo Spirito,
Edizioni del centro librario, 1969-70, 2 voll., le osserva- zioni di A.
Lo Schiavo, La filosofia politica di Giovanni Gentile, Roma, Armando,
1971, cap. 8, e, pur con alcuni accenti apologetici, M. di Lalla, Vita di
Giovanni Gentile, Firenze, Sansoni, 1975. 6 U. Spirito, Giovanni
Gentile, Firenze, Sansoni, 1969, in particolare l'articolo qui raccolto
su Gentile nella prospettiva storica di oggi (1968). Di Spirito cfr.
anche Memorie di un incosciente, Milano, Rusconi, 1977. 7 U.
Spirito, Giovanni Gentile, cit., p. 251. 8 V. A. Bellezza, Rassegna
degli studi gentiliani più recenti, in « Gior- nale di metafisica », X
(1955), pp. 123-124. 9 E. Garin, Cronache, cit., p. XI.
14 L’Enciclopedia italiana matida antitesi
Gentile-fascismo e Croce-antifascismo, non colgono compiutamente la
funzione « mediatrice » degli intellettuali — lasciando spesso
indeterminato il « tempo » nel quale operarono, come ha notato Cantimori
auspican- doneluna specificazione: « la società, le classi, le
università, le istituzioni in generale, i partiti, le tradizioni
culturali locali oltre che quelle nazionali, ecc. » !" —, cosî che,
anche nel periodo da noi considerato, in cui quella funzione fu
particolarmente valorizzata dal fascismo, lasciano impreci- sati i condizionamenti
del potere politico e gli stessi « de- biti » culturali di alcuni
intellettuali. Per chiarire non solo l’utilizzazione ideologica di
di- verse correnti culturali da parte del regime in vista della
creazione de l consenso, ma anche in che misura e perché mutarono nel
ventennio i contenuti culturali di varie disci- pline, accolti o tenuti
ai margini o respinti dal fascismo — anche in questo campo l’Italia del
1945 non si troverà nelle stesse condizioni del periodo liberale —, lo
studio del- l’Enciclopedia italiana può essere particolarmente
fruttuo- so: per il momento in cui fu ideata e preparata (1925-29)
e realizzata (1929-37) — quello dello Stato totalitario —, l’autorità dei
suoi promotori — basti pensare a Gentile o a Volpe —, l’ampio ventaglio
di collaboratori qualificati e il carattere ufficiale che le fu impresso
fin dall’inizio, e in modo definitivo nel 1933, essa rappresenta lo
strumento forse più importante, accanto alla scuola, della politica
cul- turale del fascismo, e quindi un test assai significativo per
valutarne gli effetti di lungo periodo, non riducibili all’ideo- logia o
alla propaganda del regime, anche se con queste con- nessi. Ma solo
tenendo presenti gli obiettivi politici del go- verno mussoliniano dopo
il 3 gennaio 1925 e la decisa sconfitta, anche sul piano culturale, degli
avversari liberali e socialisti, è possibile spiegare come a Gentile fu
possibile dare avvio alla colossale impresa enciclopedica, e
l'ampiezza delle adesioni da lui raccolte anche da parte di intellettuali
non fascisti. Se ancora nel 1923, nell’articolo Forza e con- senso,
Mussolini poteva porre l'accento unicamente sul pri- 10 D.
Cantimori, Studi di storia, Torino, Einaudi, 1959, p. 760.
15 Il fascismo e il consenso degli intellettuali dopoguerra,
che negli anni venti e nel fascismo, e nel giu- dizio che ne aveva dato
Croce, hanno la loro origine *. Il discorso sul pensiero e l’opera
di Gentile nel ven- tennio, condotto in prevalenza da suoi allievi nel «
Gior- nale critico della filosofia italiana » — con particolare
luci- dità da Ugo Spirito, che ha ricostruito le tappe del suo di-
stacco dal maestro come sviluppo degli stessi principi attua- listif —, è
rimasto limitato a un recupero agiografico o a un anacronistico rilancio,
privo di prospettive storiografiche perché astratto dall’analisi del
fascismo, in cui Spirito ha voluto individuare, con un giudizio che
richiede di essere specificato — pensiamo in particolare al peso che
ebbe anche sul piano culturale il connubio chiesa-regime —, « la
ragione effettiva della crisi del neoidealismo italiano » ”: tale,
quindi, da non consentire quell’esame della « perso- nalità di Gentile
come promotore e organizzatore di alta cultura sul piano nazionale » cui
pur aveva richiamato il gentiliano Bellezza ®. Le stesse Cronache di
Garin, mosse dall’intento di considerare « uomini e dottrine [...]
come espressioni di un tempo e, insieme, come forze che in un tempo
agirono » ”, e attente a non cadere nella troppo sche- 5 Il primo
studio moderno con intenti di completezza è quello del- l’americano H. S.
Harris, La filosofia sociale di Giovanni Gentile, Roma, Armando, 1973
(ediz. originale 1960), condotto però nella costante preoc- cupazione —
come affermava l’autore nella prefazione all’edizione origi- nale — di
vedere «how far his “actual idealism” can be disentangled from its
Fascist connections », da cui discende il giudizio sull’« oggetti- vità »
dell’Exciclopedia italiana (p. 266); per una confutazione della « critica
a Gentile sulla linea liberale » condotta da Harris cfr. U. Cerroni, La
filosofia politica di Giovanni Gentile, in « Società », XVII (1961), pp.
302-19. Per una ricostruzione storica della figura di Gentile nel dopo-
guerra e nel periodo fascista sono di grande utilità gli accenni, non
tanto incidentali, di R. Colapietra, Beredetto Croce e la politica
italiana, Bari- Santo Spirito, Edizioni del centro librario, 1969-70, 2
voll., le osserva- zioni di A. Lo Schiavo, La filosofia politica di Giovanni
Gentile, Roma, Armando, 1971, cap. 8, e, pur con alcuni accenti
apologetici, M. di Lalla, Vita di Giovanni Gentile, Firenze, Sansoni,
1975. 6 U. Spirito, Giovanni Gentile, Firenze, Sansoni, 1969, in
particolare Particolo qui raccolto su Gentile nella prospettiva storica
di oggi (1968). Di Spirito cfr. anche Memorie di un incosciente, Milano,
Rusconi, 1977. 7 U. Spirito, Giovanni Gentile, cit., p. 251.
8 V.A. Bellezza, Rassegna degli studi gentiliani più recenti, in «
Gior- nale di metafisica », X (1955), pp. 123-124. 9 E.
Garin, Cronache, cit., p. XI. 14 L’Enciclopedia
italiana matida antitesi Gentile-fascismo e Croce-antifascismo,
non colgono compiutamente la funzione « mediatrice » degli intellettuali
— lasciando spesso indeterminato il « tempo » nel quale operarono, come
ha notato Cantimori auspican- done! una specificazione: « la società, le
classi, le università, le istituzioni in generale, i partiti, le
tradizioni culturali locali oltre che quelle nazionali, ecc. » !° —, cosî
che, anche nel periodo da noi considerato, in cui quella funzione
fu particolarmente valorizzata dal fascismo, lasciano impreci- sati
i condizionamenti del potere politico e gli stessi « de- biti » culturali
di alcuni intellettuali. Per chiarire non solo l’utilizzazione
ideologica di di- verse correnti culturali da parte del regime in vista
della creazione del consenso, ma anche in che misura e perché
mutarono nel ventennio i contenuti culturali di varie disci- pline,
accolti o tenuti ai margini o respinti dal fascismo — anche in questo
campo l’Italia del 1945 non si troverà nelle stesse condizioni del
periodo liberale —, lo studio del- l’Enciclopedia italiana può essere
particolarmente fruttuo- so: per il momento in cui fu ideata e preparata
(1925-29) e realizzata (1929-37) — quello dello Stato totalitario
—, l’autorità dei suoi promotori — basti pensare a Gentile o a
Volpe —, l’ampio ventaglio di collaboratori qualificati e il carattere
ufficiale che le fu impresso fin dall’inizio, e in modo definitivo nel
1933, essa rappresenta lo strumento forse più importante, accanto alla
scuola, della politica cul- turale del fascismo, e quindi un test assai
significativo per valutarne gli effetti di lungo periodo, non riducibili
all’ideo- logia o alla propaganda del regime, anche se con queste
con- nessi. Ma solo tenendo presenti gli obiettivi politici del go-
verno mussoliniano dopo il 3 gennaio 1925 e la decisa sconfitta, anche
sul piano culturale, degli avversari liberali e socialisti, è possibile spiegare
come a Gentile fu possibile dare avvio alla colossale impresa
enciclopedica, e l'ampiezza delle adesioni da lui raccolte anche da parte
di intellettuali non fascisti. Se ancora nel 1923, nell’articolo Forza e
con- senso, Mussolini poteva porre l'accento unicamente sul pri-
10 D. Cantimori, Studi di storia, Torino, Einaudi, 1959, p. 760.
15 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
mo termine — poiché « il consenso è mutevole core le formazioni
della sabbia in riva al mare. Non ci può essere sempre. Né mai può essere
totale » ! —, dopo il 3 gennaio si fece strada una linea politica più
articolata e di più lunga durata che, se affidava a Farinacci
l’esecuzione del momento della forza e della coercizione — mantenendolo
come neces- sario presupposto del consenso —, puntava, dopo la
scon- fitta delle forze politiche avversarie, ad acquisire
l'adesione, non solo passiva, di quegli intellettuali ormai senza
partito, o incerti, la cultura dei quali avrebbe potuto costituire,
in assenza di alternative politiche, un fronte di resistenza al
regime. Non è un caso che all’inizio del 1925 uno degli esponenti del
fascismo che più si impegneranno nel tenta- tivo di formare una nuova
classe dirigente, Giuseppe Bot- tai, dichiarasse su « Critica fascista »
che il Pnf doveva « rivedere la sua azione per conquistare il consenso »
"; e, se pure la crisi conseguente al delitto Matteotti aveva
visto le prime incrinature fra quegli intellettuali che non avevano
ancora preso le distanze dal fascismo in quanto vedevano nella
collaborazione di Gentile una garanzia non solo per le sorti della
riforma della scuola, ma anche per quelle del paese — basti pensare al «
pessimismo » che si fa strada in Omodeo ", o a quello che è stato
chiamato l’« Aventino pedagogico » di Giuseppe Lombardo Radice ! —, la
situa- zione si presentava favorevole al fascismo per il
disorienta- mento ideologico che permeava le file degli intellettuali
libe- rali e socialisti. Nel 1923, quando si apri fra questi intellet-
tuali un vasto dibattito sulla sconfitta dello Stato liberale e del
movimento operaio, mentre Gramsci accusava il sociali- smo di « non avere
avuto una ideologia, non averla diffusa i ll In B. Mussolini,
Scritti e discorsi, Milano, Hoepli, 1934, vol. III, p. 78. 12
G. Bottai, Arzo nuovo. Il partito e la sua funzione, in « Critica
fascista », III (1925), n. 1, p.1. 1 Cfr. ad esempio la lettera di
Omodeo a Gentile del 5 agosto 1924, in (5. Gentile - A. Omodeo,
Carteggio, a cura di S. Giannantoni, Firenze, Sansoni, 1974, p.
316. 4 Cfr. U. Margiotta, Giuseppe Lombardo Radice. Tra attualità
peda- sa ed irrisoluzione storica, Reggio Calabria, Edizioni parallelo,
1975, p. 323. 10 L'Enciclopedia italiana
tra le masse » , quasi con le stesse parole Gobetti affermava che
«i partiti d’opposizione non hanno alimentato alcuna grande ideologia, il
socialismo non ha trapiantato Marx in Italia », per cui « il trionfo
fascista si connette a queste con- dizioni di impreparazione » !, e Ugo Guido
Mondolfo so- steneva che « da una ripresa di idealismo il nostro
movi- mento non può che trarre nuova forza e nuovo impulso », o
cercava di dimostrare che poteva « essere morale e van- taggiosa [...]
quella che si chiama la collaborazione di classe » !”; più in generale,
la discussione sul marxismo che si svolse nel 1923-26 su « Critica
sociale », « Rivoluzione liberale » e « Quarto stato », rimase «
condizionata più che mai dall’idealismo dominante, e non poco ancora, da
quello più accentratamente soggettivistico, l’attualismo gen- tiliano »
!*. Cosi, se ancora nel marzo del 1925 « Il Mondo », dopo
aver negato l’esistenza di un « nesso tra le riforme genti- liane e le
ideologie fasciste », poteva registrare il falli- mento del fascismo nel
tentativo « di attrarre nella sua orbita uomini di studio e di dottrina,
di circondarsi della cosî detta classe intellettuale » !', nell’ottobre
dello stesso anno — dopo il Manifesto degli intellettuali fascisti del
21 aprile — Croce, pur osservando che il fascismo « non solo è
indifferente alla letteratura e alla cultura, ma intimamente ostile,
sentendo che dalla cultura e dal pensiero sono venuti i pericoli [...]
all'ordine sociale », era costretto a notare gli afaccendamenti inutili e
mal graditi di « un certo nu- mero » di intellettuali — e fra questi «
parecchi nostri ex- compagni di studi ed ex-amici » — che si erano messi
al servizio del fascismo in una situazione di « assoggettamento
15 A. Gramsci, Che fare? (1923), in Per la verità, Scritti 1913-1926,
a cura di R. Martinelli, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 269.
16 P. Gobetti, La mostra cultura politica (1923), in Scritti politici
a cura di P. Spriano, Torino, Einaudi, 1969, pp. 457, 459. 1?
U. G. Mondolfo, Una battaglia per il socialismo, a cura di E. Bassi,
Bologna, Tamari, 1971, pp. 177, 185. 1 C. Luporini, I/ meerxismo e
la cultura italiana del Novecento, in Storia d’Italia, vol. V, I
documenti, t. 2, Torino, Einaudi, 1973, p. 1604. 19 Il fascismo e
la cultura, in « Il Mondo », 6 marzo 1925 (anonimo). 17
Il fascismo e il consenso degli intellettuali a ferrea
disciplina » ?. A Croce sfuggiva tuttavia l'ampiezza e la qualità del
fenomeno, in quanto era e rimarrà con- vinto che tra fascismo e cultura
ci fosse un’opposizione in termini. Come partito medio, come
idealità che richiede esperienze e meditazione, senso storico e senso
delle cose complesse e com- plicate, e insomma finezza mentale e morale,
il liberalismo, è il partito della cultura; e liberale fu il nostro
Risorgimento, ne! quale cultura e amor di patria confluirono. Socialismo
e autorita- rismo, invece, in quanto partiti estremi, ritengono non poco
di astratto e di semplicistico, e perciò, come sono facilmente
ricevuti dagli animi e dalle menti giovanili, cosi presentano i segni
caratte- ristici della scarsa o unilaterale cultura 2!,
aveva osservato Croce in un articolo del 12 marzo 1925 che gli era valso
da parte di Gentile, teso a presentare il fascismo come « vero »
liberalismo, l’appellativo di « schiet- to fascista senza camicia nera »
2. Si era alla vigilia della rottura politica tra Croce e Gentile, e il «
partito della cultura » del primo era destinato a rimanere un
program- ma per il futuro: « le sue preoccupazioni sono tutte volte
al futuro », osservò Gobetti esaltandone l’antifascismo iden- tificato
con « la ribellione dell’europeo e dell’uomo di cul- tura », e
sottolineando « la differenza tra Gentile dogma- tico, autoritario,
dittatore di provinciale infallibilità e Croce politico, capace di
riflessione e di dubbio », detentore di « una chiara idea dello Stato,
che è forza soltanto in quanto è consenso » *. Ma, se giustamente veniva
colta in Croce la « separazione impossibile » tra politica e cultura *,
due ele- menti sfuggivano agli osservatori contemporanei: la
capacità dimostrata dal fascismo, e in particolare da Gentile,
proprio Di B. Croce, Pagine sparse, Bari, Laterza, 19602, vol. II,
pp. 498, 500- #" R. Croce, Liberalismo, in Cultura e vita
morale. Intermezzi pole- mici, Wari, Laterza, 19553, pp. 285-286.
22 (:. Gentile, Il liberalismo di B. Croce (21 marzo 1925), in Che
cosa è il fuvcismo, Discorsi e polemiche, Firenze, Vallecchi, 1925, p.
154. ' |. Gobetti, Croce oppositore (6 settembre 1925), in Scritti
politici, cli RUN 876, 878, 880-881. (tr. È. Garin, Benedetto
Croce o della « separazione impossibile » fra politica © cultura,
in Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, Edi- toni uniti, 1974, pp.
47-67. IK L'Enciclopedia italiana a
partire dal 1925, di combinare forza e consenso nel dar vita a
istituzioni tendenti a centralizzare e organizzare le più diverse energie
culturali, e la tendenza di molti intellet- tuali — che facilitò l’opera
di Gentile — a separare (a dif- ferenza di Croce) cultura e politica,
nell’illusione di poter continuare a coltivare la prima, anche
all’interno delle isti- tuzioni del regime, senza « contaminarla »
politicamente. Esemplare in questo senso appare la vicenda dell’Enci-
clopedia italiana: opera di intellettuali non alla opposi- zione, come
gli enciclopedisti francesi, ma ceto dirigente al governo, nata subito
sulla base di uno stretto rapporto di compenetrazione fra intellettuali e
potere politico, pur senza rompere immediatamente, secondo
l’impostazione gentiliana, con alcuni esponenti dello Stato liberale, la
suzm- ma culturale del fascismo riusci a convogliare verso un unico
fine — con la parziale eccezione dei cattolici, al tempo stesso
collaboratori e critici — anche intellettuali che non si riconoscevano
nel fascismo. Per questo è possibile indi- viduare nell’Enciclopedia,
oltre che nella riforma della scuola, un eccezionale strumento di
diffusione della « rico- struzione gentiliana della tradizione
intellettuale italiana », di « una storia della cultura italiana che è
stata capace di penetrare dovunque, che è presente nei luoghi più
impen- sati, presso gli avversari più acerbi, raggiungendo sottil-
mente una egemonia non esaurita » ®, capace di soprav- vivere al fascismo.
2. Il progetto di Martini e Formiggini La prima idea concreta * di
una grande enciclopedia 2 Cosî Garin nell’introduzione a G.
Gentile, Storia della filosofia italiana, Firenze, Sansoni, 1969, vol. I,
p. LI. 2% «L'idea era in tantissimi e si agitava da un trentennio
negli am- bienti editoriali italiani », ricorderà Formiggini nell’ottobre
1925 rispon- dendo all’ex ministro della P.I. Anile che gli aveva
attribuito la pater- nità del progetto (« L’Italia che scrive », VIII
(1925), n. 10, p. 198). Un accenno a un non lontano tentativo di Emilio
Treves, Domenico Demarsico e Pietto Barbèra, in A. F. Formiggini, La
ficozza filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo. Libro
edificante e sollazzevole, Roma, Formiggini, 1923, p. 182.
19 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
nazionale italiana fu concepita nell'immediato dopoguerra, in ambienti di
interventisti culturalmente estranei all’idea- lismo imperante: cominciò
a prospettarla nel 1919 ” Ferdi- nando Martini, coadiuvato dallo storico
Mario Menghini, l’appassionato curatore dell’edizione nazionale degli
Scritti mazziniani; ad essi si associerà alla fine del 1922, in un
estremo tentativo di attuare il progetto, l’editore Formig- gini, dal
1918 attivissimo nell’organizzazione e nella pro- paganda della cultura
italiana. Il progetto, riconosciuto pi tardi « punto di partenza
» per l’enciclopedia gentiliana, non fu « cosa modesta come tutto
ciò che si poteva concepire in quel tempo di smar- rimento politico »,
come cercherà di far credere Giovanni Treccani alludendo alla crisi della
democrazia liberale pre- cedente la marcia su Roma e all’incertezza dei
primi tempi del fascismo *: il momento in cui nacque e la
personalità del promotore ne testimoniano l’ampiezza delle
prospettive, anche se falli per essere rimasto su un piano
puramente editoriale, privo di un generale criterio informatore —
dal punto di vista culturale — ed esposto a quelle difficoltà
finanziarie e politiche che Treccani e il fascismo faranno superare a
Gentile. « Si tratta di dare all’Italia, che non l’ha, una
Enciclo- pedia nazionale come l’hanno la Francia, l'Inghilterra, la
Germania e persino la Spagna », scriveva Martini al fedele Alessandro Donati
il 16 giugno 1920, appena insediato il ministero di Giolitti, suo
principale obiettivo polemico assieme a Nitti e ai socialisti; «
facciamo, per consolarci, qualcosa che vada al di là dei giorni che
viviamo — tristis- simi giorni » ?. Dalla constatazione della inferiorità
italiana 2? Cfr. Biblioteca nazionale centrale di Firenze (d’ora
in avanti BNF), Fondo Martini, lettere di Menghini, e G. Treccani,
Enciclopedia italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, Milano,
Bestetti, 1939, p. 11. 28 Discorso in occasione della presentazione
al duce dell’ultimo volume dell’Enciclopedia italiana (d’ora in avanti
E.I.), 26 ottobre 1937, in G. Treccani, Enciclopedia italiana Treccani.
Idea esecuzione compimento, cit., p. 91. 2 F. Martini,
Lettere (1860-1928), Milano, Mondadori, 1934, p. 560. Su Martini cfr.,
per un parziale tentativo d’interpretazione, la prefazione di G. De Rosa
a F. Martini, Digrio 1914-1918, Milano, Mondadori, 1966. 20
L’Enciclopedia italiana nel campo dell’organizzazione della
cultura rispetto ai mag- giori paesi europei, scaturisce la necessità, e
la possibilità, di ovviarvi dopo la guerra vittoriosa. Necessità che non
è solo espressione dell’orgoglio per la forza politica recente-
mente acquistata dal paese, da tradursi nell’affermazione della cultura
italiana davanti al mondo; essa indica anche un’opera preliminare ancora
da compiere, indispensabile alla conservazione di quella forza:
combattere i contrasti interni costruendo, come strumento unificante di
egemonia, una cultura razionale. La fierezza per l’unità,
indipendenza e sicurezza finalmente conseguite, e la coscienza che
l’Ita- lia era arrivata, dopo secoli di asservimento, ad eguagliare
le grandi potenze europee, si unî nel dopoguerra al tenta- tivo della disgregata
classe dirigente liberale — timorosa di perdere le sue conquiste con
l'avanzata delle masse po- polari organizzate e d’ispirazione
neutralista, socialiste e cattoliche — di rafforzarsi egemonicamente; di
qui l’impor- tanza che la battaglia culturale, prescelta anche dalle
nuove forze antagoniste, rappresentò per la borghesia: l’insistenza
sul significato nazionale o italiano della cultura « tradi- zionale » —
esaltato dalla guerra — mirò a unificare e controllare, a difesa
dell’ordine costituito, gli intellettuali in gran parte già
individualmente politicizzati, spesso in senso conservatore, dal clima
bellico ®. Il programma di « rivolgimento spirituale » sotto il segno
dell’ordine e della disciplina gerarchica, su cui insistette il Gentile
di Guerra e fede, di Dopo la vittoria e dei Discorsi di religione,
e sostenuto da pi voci nelle pagine di « Politica » — programma critico
del giolittismo come « malattia » ita- liana —, fu in questo senso solo
la espressione pit artico- lata e coerente della borghesia reazionaria
che si ricono- scerà nel fascismo, definito « sforzo rivoluzionario »
da Gioacchino Volpe che lo contrapportà polemicamente a un'immagine
di comodo del socialismo: « muoveva dalla % Ci limitiamo a
segnalare E. Garin, Cronache, cit., cap. VIII, e, pet un quadro europeo,
H. Stuart Hughes, Coscienza e società. Storia delle idee in Europa dal
1890 al 1930, Torino, Einaudi, 1967, capp. IX-X. Per un settore
particolare cfr. M. Simonetti, Storici italiani e rivoluzionari in
Russia, in « Il movimento di liberazione in Italia », XX (1968), pp.
35-82. 21 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali accettazione della guerra, anzi dall’esaltazione di
quella guerra, e si alimentò di quelle energie morali, di quel
senso di disciplina, di quella capacità di iniziativa, di quel coraggio e
spirito combattivo che la guerra aveva educato nella gioventii italiana,
nella borghesia italiana. Accettava o accettò ben presto i valori
tradizionali della nazione italiana, cioè si nutri di sostanza italiana:
condizione neces- saria per poter far presa su di essa, per poter avere
la colla- borazione o anche solo la benevola neutralità delle forze
migliori del paese » *. L’idea di una grande Enciclopedia
nazionale, non sem- plice opera compilativa e divulgativa come le
enciclopedie « popolari » prebelliche *, rientra in questo programma
di rafforzamento della borghesia italiana, in linea con la ten:
denza degli Stati moderni a darsi, dopo crisi di crescita e di ricostruzione,
una rinnovata organizzazione culturale (si pensi, per fare un esempio
contemporaneo anche se rife- rito ad un’esperienza opposta a quella
italiana, alla Grande enciclopedia sovietica iniziata a Mosca nel 1926,
l’anno stesso in cui il dibattito sui caratteri della cultura
socialista vide prevalere i sostenitori della tesi della « cultura
prole- taria » *). La disponibilità di Martini a questo programma
31 G. Volpe, Storia del movimento fascista, Milano, Ispi, 1939, p.
210. 3 Come l’Enciclopedia popolare illustrata (1896-99, 4 voll.) e
la Grande enciclopedia popolare (1913-29, 22 voll.), entrambe di
Sonzogno. Se la Britannica fu l’enciclopedia da emulare, modello du
seguire per un’opera « nazionale » fu piuttosto il Touring Club Italiano
fondato nel 1894, giudicato dall’E. I. « nettamente nazionale per la sua
vasta pene- trazione in tutte le classi sociali » (44 vocerm): il suo
Atlante Internazio- nale, iniziato nel 1927, fu utilizzato dall’E. I. in
seguito ad apposito ac- cordo editoriale (cfr. anche R. Almagià, Una
grande opera italiana di cultura, in « Educazione fascista », XI (1933),
pp. 613-618). AIUT.C.I, si richiamarono Formiggini e Martini come modello
per la Fondazione Leo- nardo (cfr. « L’Italia che scrive », III (1920),
p. 33, e A.I°. Formiggini, op. cit., p. 120). Al carattere
«essenzialmente nazionale », del ‘T.C.I. accenna Gramsci, Quaderni del
carcere, edizione critica dell'Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana,
Torino, Einaudi, 1975, vol. II, p. 1055. 33 Sui caratteri generali
del dibattito sulla cultura svoltosi in U.R.S.S. prima del 1934 cfr.
l’introduzione di V. Strada a Rivoluzione e lettera tura. Il dibattito al
1° Congresso degli scrittori sovietici, Bari, Iuterza, 1967, in
particolare p. XLI. « La storia dimostra che ogni classe ha creato la sua
enciclopedia », aveva affermato Bogdanov nel 1918 proclamando la
necessità: di preparare una Enciclopedia operaia (cfr. S. Fitzpatrick,
Rivoluzione e cultura in Russia. Lunabarskij e il Commissariato del popolo
22 L’Enciclopedia italiana sarà testimoniata
nel 1925 dalla sua presenza nel consiglio direttivo dell’Istituto
Treccani che ne riprenderà l’idea, ma è rintracciabile anche in tutta la
sua attività di uomo politico e di cultura: auspice della impresa libica
cui attri- buiva « questo inapprezzabile rinnovamento nostro,
questa concordia di popolo di cui l’Italia non ha esempio nella sua
storia » *, nel 1914-15 la sua azione per l’intervento era stata
determinante * tanto da guadagnargli l'appellativo di « grande apostolo
di italianità », come lo chiamò Trec- cani in occasione della fondazione
del suo Istituto *. Nel corso della guerra aveva però saputo cogliere la
profonda spaccatura tra la classe dirigente liberale e le masse
popolati affette dalla « tabe del materialismo » — « il popolo
minuto non ha capito il perché della guerra: della patria sente più
poco, tormentato com’è dalle aspirazioni a migliori condi- zioni sociali
», annotava nel Diario il 7 ottobre 1918” —, che, a suo giudizio, nel
1919-20 Nitti e Giolitti non erano riusciti a colmare per debolezza verso
gli « elementi tor- bidi » socialisti *. Nel dopoguerra si ripresentava
il peri- colo che nel 1894, di fronte ai primi passi del movimento
operaio organizzato, aveva spinto l’ex ministro della Pub- blica
Istruzione a manifestare a Carducci i suoi dubbi sugli effetti del
laicismo liberale: per l’istruzione 1917-1921, Roma, Editori
Riuniti, 1976, pp. 121-122). L’E. I. giudica la Grande enciclopedia
sovietica condotta secondo un cri- terio « rigorosamente bolscevico », e
particolarmente curata nella. parte scientifica e tecnologica (alla voce
Enciclopedia). Nel 1929, nella prefa- zione al vol. I dell’E. I., Gentile
sottolineerà il « pregio delle vaste opere collettive, che danno disciplina
agl'ingegni e forma concreta e definita al pensiero di un popolo » (p.
XII). fr. il brano del discorso da 28 dicembre 1911 citato in B.
Croce, dhe d’Italia dal 1871 al 1915, Bari, Laterza, 1956!!, p.
357. 35 Cfr. F. Martini, Diario 1914-1918, cit., e G. B. Gifuni,
Lettere ine- dite di Martini a Salandra, in «L'’osservatore politico
letterario », XIII (1967), n. 12, pp. 7-33. G. Treccani, op.
cit., 37 Cfr. anche pp. XLVILI. Kirk del Diario, cit. Giustamente Isnenghi
giudica Martini, fra i protagonisti politici, «uno dei più franchi o meno
reticenti nel collezionare gli indizi di insubordinazione nel paese e di
messa in crisi del rapporto tradizionale d’autorità » (Il mito della
grande guerra da Marinetti a Malaparte, Bari, Laterza, 1970, p.
348). 38 Cfr. F. Martini, Lettere, cit., p. 569 (15 novembre
1920). 23 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali di ciò che il Quinet dice con grande efficacia di
parole e dimostra con grande autorità di esempi, che cioè le rivoluzioni
politiche, le quali non accompagnino un rinnovamento religioso, perdono
di vista l’origine loro e i primi intenti e finiscono a scatenare
ogni cattivo istinto delle plebi; di ciò io sono convinto da un
pezzo. Ma dopo il male che woî, tutti noi, caro Giosuè, abbiamo
fatto, siamo in grado di provvedere a’ rimedi? A chi predichiamo?
Noi, borghesia volteriana, siam noi che abbiam fatto i miscredenti,
intanto che il Papa custodiva i male credenti; ora alle plebi che
chiedono la poule au pot, perché non credono più al di lè, ritor- neremo
fuori a parlare di Dio, che ieri abbiamo negato? Non ci prestano fede...
abbiam voluto distruggere e non abbiamo saputo nulla edificare. La scuola
doveva, nelle chiacchiere de’ pedagoghi, sostituire la chiesa. Una bella
sostituzione! ” La sua estromissione dal parlamento dopo
quaranta- cinque anni — in seguito alle elezioni del 16 novembre
1919 —, e le agitazioni sociali culminate nell’occupazione delle
fabbriche, convinsero Martini dell’impotenza del me- 39 Citato da
F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari,
Laterza, 19653, pp. 286-287, da integrare però col discorso di Martini
alla Camera del 18 febbraio 1908, contro l’introduzione del-
l'insegnamento religioso nelle scuole elementari (« opporre una religione
di classe alla lotta di classe», come vorrebbe «una borghesia sgomen-
tata dalle minacce del proletariato », sarebbe come «trattenere coi fu-
scelli la corsa delle locomotive »: citato da S. Cilibrizzi, Storia parla
mentare politica e diplomatica d’Italia da Novara a Vittorio Veneto, vol.
III, Milano-Genova-Roma-Napoli, Società editrice Dante Alighieri, 1929,
p. 344). Ma sarebbe da studiare tutta la sua posizione sulla scuola, da
prima del 1892-93 quando fu ministro della P.I. nel primo gabinetto
Giolitti (su cui cfr. D. Bertoni Jovine, La scuola italiana dal 1870 ai
giorni nostri, Roma, Editori Riuniti, 19672, pp. 76-78), a quando nel
1920 dichiarò a Filippo Crispolti di essere favorevole all'esame di stato
per le scuole medie (Lettere, cit., p. 558). Né è da trascurare, nello
scrit- tore, l’aristocratica « toscanità » della prosa, guidata da un
provinciale buon senso, che si attirò i giudizi negativi di Croce (ora in
La letteratura della nuova Italia. Saggi critici, Bari, Laterza, 1929,
vol. III, pp. 317-334) e di Gobetti (ora in Scritti storici, letterari e
filosofici, a cura di P. Spriano, Torino, Einaudi, 1969, pp. 534-535), da
approfondire nel senso indicato da Asor Rosa (Scrittori e popolo. Il
populismo nella letteratura contem- poranea, Roma, Samonà e Savelli,
19714, p. 62) che ha incluso Martini fra i rappresentanti di una fase
«regionale », ma non per questo meno nazionale, del populismo; tenendo
tuttavia presente la vicinanza di Mar- tini ad Ojetti, il cui libro Mio
figlio ferroviere (Milano, Treves, 1922) fu giudicato dall’amico «la vera
storia d’Italia, dalle ultime fucilate dei combattenti alle prime
bastonate dei fascisti » (Lettere, cit., p. 582), e da Prezzolini « uno dei
segni precursori della reazione al disordine e alla debolezza dei governi
italiani parlamentari del dopoguerra » (La cultura italiana, Milano,
Corbaccio, 19302, p. 298). 24 L’Enciclopedia
italiana todo liberale a risolvere i problemi che il paese aveva
ere- ditato dalla guerra, e lo spinsero a seguire Salandra nel
cammino che lo portò nel ’24 ad aderire al fascismo “. Lo spirito
di riscossa nazionale da cui si senti animata la borghesia liberale
interventista nell’immediato dopo- guerra e, insieme, i pericoli
oggettivi per i suoi propositi e la sua stessa posizione, condizionarono
anche l’Ewciclopedia nazionale, nelle aspirazioni come nel fallimento.
Per il suo progetto in 24 volumi — quello di Treccani ne prevederà
all’inizio 32, diventati poi 36 — Martini ottenne il patro- cinio della
Società italiana per il progresso delle scienze (S.I.P.S.), la maggiore
organizzazione scientifica del paese che fino dal 1907 univa alla
diffidenza per il neoidealismo una decisa impronta « nazionale » ‘; ma
per quattro anni cercò invano di assicurargli un’adeguata copertura
finan- ziaria. Menghini — interventista e antigiolittiano *, non
nuovo ad imprese enciclopediche * —, che a Roma tenne i contatti con
Volterra, Bonfante e Almagià — membri del consiglio direttivo della
S.I.P.S. —, nel 1920 iniziò trat- tative con Bonaldo Stringher, direttore
della Banca d’Italia e amministratore della S.I.P.S. fin dalla fondazione
*. Nel % Cfr. F. Martini, Lettere, cit., per il 1919-24 (a p. 554
per le elezioni del 1919). Per la sua concordanza con Salandra nel
giudizio sul fascismo cfr. anche R. De Felice, Mussolini il fascista, I.
La conquista del potere La, Torino, Einaudi, 1966, p. 286, e G.B. Gifuni,
art. cit., pp. -29. ._ % Cfr. F. Martini, Leztere, cit., p. 560.
Sulla S.I.P.S. cfr. R. Almagià, La società italiana per il progetto delle
scienze, in « L’Italia che scrive », IV (1921), pp. 239-240, e il breve
cenno di L. Bulferetti, Gli studi di storia della scienza e della tecnica
in Italia, in Nuove questioni di storia contemporanea, Milano, Matzorati,
1968, vol. I, p. 652. 4 Il 23 ottobre 1919 scriveva a Martini: «Il
popolo, pur troppo, agisce male: ma come agir bene con l’esempio che ha
di tanti malgo- verni? Cosa debbono pensare le madri dei cinquecentomila
figli morti, quando sentono che la guerra si doveva evitare? »; cfr.
anche, contro Giolitti, la lettera del 23 settembre 1920. Sulle stesse
posizioni era Ales- sandro Donati, ad es. nelle lettere a Martini del 30
novembre 1919 e 12 giugno 1920 (BNF, Fondo Martini). 43 Aveva
diretto l’Enciclopedia contemporanea illustrata edita da Val- lardi,
Milano, 1911-17, 4 voll. (fra i collaboratori, Emilio Bodrero e Ro-
«berto Paribeni). . % Per l’elenco delle cariche sociali della
S.I.P.S. dal 1907 cfr. ad es. Atti della Società italiana per il
progresso delle scienze. Undicesima riu- nione - Trieste - settembre
1921, Roma, Società italiana per il progresso 25 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali ’21, attenuatesi le
difficoltà economiche dell’anno prece- dente, Stringher — che aveva
cointeressato anche Pogliani della Banca Italiana di Sconto, Fenoglio
della Commer- ciale e il finanziere Della Torre che controllava
un’im- ponente catena editoriale — promise il suo appoggio *; fu incaricato
della realizzazione l’editore Bemporad, mentre Menghini cominciò ad
interpellare gli eventuali direttori dell'impresa fra cui, sembra,
Gentile 4. Ma nell’autunno del ’22 le incertezze delle banche non erano
ancora vinte — anche dopo la presentazione da parte di Bemporad di
un progetto molto ridotto rispetto a quello originario —, per cui
Martini accettò il consiglio di Stringher di affidare la realizzazione
dell’enciclopedia a un gruppo editoriale da promuoversi attorno a un
editore « di prima grandezza ». La scelta cadde su Angelo Fortunato
Formiggini e sulla Fon- dazione Leonardo da lui creata: fu questa la via
per la quale l’idea passerà a Gentile. I propositi culturali
nazionali della Leonardo, analoghi a quelli di Martini che ne fu il primo
presidente, si affiancavano a quelli dei numerosi istituti di
propaganda culturale nati o nuovamente sviluppati nel dopoguerra,
ma con un'impronta originaria — prima dei condizionamenti
governativi e dell’intervento di Gentile — nettamente diversa dal deciso
accento politico e nazionalistico che fin dall’inizio aveva avuto, ad
esempio, la Dante Alighieri ‘ delle scienze, 1922. Nel 1920 si
profilò il pericolo di una concorrenza al progetto di Martini, da parte
di un editore di Bergamo, che sembra si fosse assicurata la
collaborazione di Gentile, Chiovenda, Paribeni (BNF, Fondo Martini,
lettere di Menghini, 25 giugno e 7 luglio 1920, e di Donati, 25 luglio
1920). 4 Per tutto l'andamento delle trattative cfr. le lettere di
Menghini a Martini (loc. cit.). Sulle compartecipazioni editoriali di
Pogliani, Fenoglio e Della Torre, utili notizie in V. Castronovo, La
stampa italiana dall'Unità al fascismo, Bari, Laterza, 1970, ad
indicem. 4 Menghini a Martini, 18 maggio 1921: «Passando per
Firenze non potrebbe interrogare il Cadorna? Io potrei incaricarmi del
Gentile: Mar- tini, Stringher, Volterra son già de’ nostri. Come fare per
Marconi, Luz- zatti, Ciamician e Murri? » (BNF, Fondo Martini). Su
Bemporad editore negli anni venti di « Critica sociale », cfr. A.
Gramsci, Quaderni del car- cere, cit., vol. I, p. 321, e l'intervento di
Piero Treves in La Toscana nel regime fascista (1922-1939), Firenze,
Olschki, 1971, vol. II, pp. 423-424. 4 Sulla funzione di « grande
milizia civile » svolta dalla Dante Ali- ghieri, fondata nel 1889 da
Ruggero Bonghi, cfr. P. Barbèra, La « Dante 26
L’Enciclopedia italiana l'opera di Formiggini si rivolgeva
soprattutto all’interno, in un tentativo di unificazione culturale che,
iniziato nel 1918, con la rivista bibliografica « L’Italia che scrive
», trovava in tutta la sua attività prebellica i motivi della sua
estraneità all’idealismo e, dal 1923, dell’avversione per la « setta
filosofica » gentiliana giudicata « tirannide dottri- nale » contraria
alla manifestazione delle diverse correnti culturali *
L’intento di sviluppare all’estero la conoscenza della cultura
italiana aveva portato. Formiggini ad un incontro con le prospettive
nazionalistiche degli organi statali pre- posti alla stampa e alla
propaganda * e, su queste basi, alla creazione dell’Istituto per la
propaganda della cultura ita- liana che, dopo aver ottenuto un sostegno
anche da parte degli industriali, fu inaugurato ufficialmente a Roma
nel marzo 1921 ed eretto in ente morale, col nome di Fon- dazione
Leonardo, nel novembre dello stesso anno, con Alighieri »,
relazione storica al XXV Congresso (Trieste-Trento, 1919), Roma, Società
nazionale Dante Alighieri, 1919, e Id., Quaderni di me- morie stampati ad
usum delphini, Firenze, Barbèra, 1921, pp. 208 e 461-487, dove è anche
una professione di fede di Barbèra, nel 1919 segre- tario del Consiglio
centrale della Dante (« non son socialista, perché credo la essenza di
tal dottrina contraria a natura e giustizia, e poiché essendo essa
necessariamente internazionale è contraria al principio di nazionalità
che è anch'esso legge di natura »: p. 220), conforme ai fini della Dante,
nata a rinnovare il « pensiero della Patria » negli emigrati e nel proleta-
riato che, « ansioso di migliorare le sue penose condizioni, sentî il
bisogno di organizzarsi per le rivendicazioni dei suoi diritti e di
allearsi al prole- tariato degli altri paesi con vincoli internazionali »
(P. Barbèra, La « Dante Alighieri », cit., p. 3). Nel 1890 e 1910 fu
consigliere della Società anche Martini (ibidem, p. 179). 4
A.F. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo, cit., p. 40. Sulla
figura e l’opera di Formiggini cfr. in questo volume, pp. 151-192. 4
Nel 1918 Formiggini ottenne per le Guide bibliografiche il patro- cinio
della Commissione per la propaganda del libro italiano all’estero,
presieduta dal nazionalista Gallenga Stuart («L'Italia che scrive», I
(1918), pp. 103-104), suscitando i dubbi di Gobetti sull’efficacia e l’impar-
zialità culturale dell’iniziativa (ora in Scritti politici, cit., pp. 21-23);
cfr. anche L. Tosi, Romeo A. Gallenga Stuart e la propaganda di
guerra all’estero (1917-1918), in « Storia contemporanea », II (1971),
pp. 519-542. Già nell’ottobre 1919 fu annunciata la costituzione
dell’Istituto per la propaganda della cultura italiana — poi inaugurato
nel ’21 — sotto la presidenza di Martini e Comandini (commissario per la
propaganda all’In- terno) e, fra i consiglieri, il direttore del
«Giornale d’Italia » Berga- “mini, Buonaiuti, Formiggini, Croce, Einaudi,
Prezzolini (« L’Italia che ‘scrive », II (1919), p. 126; cfr. anche il
frontespizio del n. 12). 27 Il fascismo e il consenso
degli intellettuali Martini presidente, Orso M. Corbino vice-presidente,
Gen- tile e Amedeo Giannini delegati rispettivamente del mini- stro
della Pubblica istruzione e di quello degli Esteri, Ro- berto .Almagià e
Giuseppe Chiovenda consiglieri, Formig- gini consigliere delegato alle
pubblicazioni. I nuovi accordi e le nuove compagnie si dimostrarono
subito pericolosi e condizionanti, tali da non permettere che l’ente
svolgesse quel compito di « equilibrata armonizzazione di correnti
opposte » che Formiggini sperava ereditasse dalla sua ri- vista. Il suo ideale
di imparzialità si rivelò un’arma a doppio taglio, permettendo in questa
fase che altri utilizzasse l’ini- ziativa per i propri fini. Già nel
luglio 1921 il consiglio direttivo della Leonardo, dicendosi convinto che
« la forza di espansione necessaria alla cultura italiana [...] non
possa derivare da artificiali argomenti di propaganda [...], ma
soltanto dal valore stesso della nostra cultura », affermava con
linguaggio trasparentemente gentiliano che « creare la cultura è la prima
condizione della sua propaganda; ma la cultura non esiste se non nello
spirito che l’alimenta accogliendola e sentendola »; considerava quindi
necessa- rio « organizzare un lavoro di propaganda interna diretto
a ravvivare negli animi il concetto di quanto nella cultura italiana fu
veramente originale e arrecò un contributo incontestabile al patrimonio
spirituale dell'umanità », e affidava questo compito a una serie di
conferenze tenute da Gentile, Croce, Vittorio Scialoia, Arturo Farinelli,
Vitto- rio Rossi, Corrado Ricci. Era un chiaro rifiuto del pro-
gramma culturale di Formiggini e della sua casa editrice. L’iniziativa di
quest’ultimo divenne « impersonale », cioè « nazionale », come egli
stesso dichiarò, e la Fondazione si propose, secondo le dichiarazioni di
Martini, di « propa- gare il pensiero nazionale fra i popoli civili e ciò
non con intenti imperialistici, ma unicamente col proposito di far
sapere chi siamo e che cosa facciamo ». Ma in breve tempo Gentile, forte
dell’appoggio governativo, riusci ad assu- mere il controllo della
Fondazione — dal giugno ’22 pre- sieduta da Ivanoe Bonomi —, separandola
progressiva- mente da « L'Italia che scrive », sull’esempio della quale
— e utilizzando molti dei suoi collaboratori — modellerà
28 L’Enciclopedia italiana più tardi il « Leonardo »
affidato nel ’25 a Prezzolini e poi a Russo. Il 21 febbraio 1923
l'assemblea sociale della Fon- dazione, manipolata da Gentile promotore
della « marcia sulla Leonardo » — stando alle accuse di Formiggini®
—, rovesciò il consiglio direttivo, che fu ristrutturato sotto la
presidenza del nuovo ministro della Pubblica istruzione del primo
gabinetto Mussolini 5. L’ente e il suo patrimonio saranno assorbiti nel
’25 dall’Istituto nazionale fascista di cultura”, mentre Formiggini
continuerà ne « L'Italia che scrive » a inseguire ingenuamente il suo
sogno di rispec- chiare, in una Italia in cui molte voci andavano ormai
spen- gendosi, tutte le correnti della cultura nazionale *, senza
comprendere come fosse ben diversa dall’opera di armoniz- zazione da lui
auspicata la « volontà esplicita del Governo di assumere la diretta
gestione di tutti gli organismi di propaganda nazionale » *.
La parabola della Leonardo segnò il destino dell’Enci- clopedia
nazionale progettata da Martini: proprio nella seduta del 21 ottobre 1922
che sanzionò — ad opera di Gentile — il definitivo distacco dell’Istituto
da « L’Italia che scrive », Formiggini comunicò al consiglio
direttivo della Leonardo di essere stato incaricato da « un gruppo
di amici che facevano capo a Ferdinando Martini », rima- sto presidente
onorario della Fondazione, di realizzare una Grande Enciclopedia Italica
per « sodisfare la lunga attesa della Nazione e dar vita ad un’opera che,
mercé una larga diffusione in Italia e nei centri culturali stranieri,
giovi gagliardamente al progresso intellettuale del nostro Paese
5 Cfr. «L'Italia che scrive », I (1918), pp. 103-104; II (1919),
p. 126; IV (1921), pp. 80-84, e n. 7, p. 148; V (1922), p. 15, p. 136 e
p. 231; A.F. Formiggini, op. cit., pp. 103-123, 139-165, 225-237.
51 Con Gentile presidente e A. Giannini vice-presidente, erano con-
siglieri R. Bottacchiari, G. Calabi, E. Codignola, E. Quirino Giglioli,
F. I Massuero, G. Lombardo Radice, V. Rossi (« Leonardo », I
(1925), n. l). 5 Cosî affermerà Formiggini, ancora in epoca
fascista (Venticinque anni dopo, Roma, Formiggini, 19332, p. 32; cfr.
anche Trent'anni dopo. Storia di una casa editrice, Amatrice, Formiggini,
1951, p. 88). 53 Ancora nel 1931, come attesta G. Salvemini,
Scritti sul fascismo, Milano, Feltrinelli, 1966, vol. II, p. 580.
% A.F. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo, cit., p.
267. 29 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali e al buon nome dell’Italia nel mondo ». Ritenendo
impos- sibile ricalcare le orme della Britannica, Formiggini
ridusse, come già aveva fatto Bemporad, il progetto originario di
Martini — 18 invece di 24 volumi —, e ne affidò la rea- lizzazione a un
costituendo consorzio editoriale librario (con la partecipazione anche
dei maggiori periodici italiani), sempre sotto il patrocinio della
Società italiana per il pro- gresso delle scienze. I redattori sarebbero
stati scelti fra i membri di quest’ultima, dell’Accademia dei Lincei e
della Leonardo, che avrebbero lavorato sotto la direzione non di un
filosofo o di uno scienziato, ma di un tecnico, un « bi- bliografo e
bibliotecario », per rendere la Grande Enciclo- pedia Italica, come
voleva Formiggini, « specchio completo e obiettivo dello stato presente
della nostra cultura », « opera espositiva e di coordinamento delle varie
dot- trine »: era respinto il consiglio di Croce — di non fare
opera eclettica, perché « una Enciclopedia deve avere un’a- nima sua, una
sua coerenza » 5 —, condiviso anche da Gentile * Ma la «
marcia sulla Leonardo » travolse Formiggini, che fu abbandonato da
Martini”; questi continuerà a col. tivare la speranza di attuare
l’enciclopedia, finché non con- fluî nell’iniziativa gentiliana *, mentre
Formiggini, abban- donato il vecchio progetto ”, riuscirà a dare inizio a
una nuova Enciclopedia delle Enciclopedie divisa per sog- 55
Ibidem, pp. 161, 179-212. 56 Nel 1925, all'annuncio dell’E.I.,
Formiggini scriverà che «il Gen- tile di oggi (l’ho detto) non è più
quello di ieri. Egli allora era in piena armonia con Croce, il quale
avrebbe voluto una enciclopedia, tutte le ‘pagine della quale
concorressero ad uno stesso fine concettuale » (« L'Italia che scrive »,
VIII (1925), p. 66). ST Il 26 febbraio 1923 Menghini scriveva a
Martini che «il trionfo «della tesi del Formiggini fu quello di Bemporad,
e che non si tratta pit di una enciclopedia scientifica, ma di una a base
Larousse », e conclu- deva: « appena potrò, vedrò il Gentile, a cui
narrerò tutto: e spero inte- ressare il Governo alla impresa » (BNF,
Fondo Martini). 58 F. Martini, Lettere, cit., pp. 599-600 (a
Formiggini, 13 novembre 1923). 59 Cfr. A.F. Formiggini, Programma
editoriale della collezione e L'Enciclopedia Italica, in «L'Italia che
scrive», VII (1924), p. 82, e VIII (1925), p. 12. 30
L’Enciclopedia italiana getti ®: ma quando ormai l’idea
della Enciclopedia italiana, ereditata da Gentile assieme alla Leonardo,
era stata rilan- ciata dall’Istituto Treccani. 3.
L'intervento di Treccani e Gentile Il progetto di Martini fu
realizzato fuori del ristretto ambito editoriale in cui era stato
confinato da Formiggini e con la forte impronta culturale di Gentile; ma
il rapido successo dell’iniziativa « privata » di Treccani e Gentile
fu reso possibile soprattutto dalla nuova realtà creata dal fa-
scismo, che favori una stretta compenetrazione tra interessi politici
industriali culturali, e fece sentire l’opera utile, anzi necessaria ©
alla cultura e alla forza dello Stato nel quadro di una più generale
riorganizzazione del potere: il carattere « nazionale » dell’enciclopedia
non si presentò più solo come aspirazione da raggiungere —
espressione di italianità frutto di tutte le forze intellettuali del
paese —, ma anche come conseguenza del « nuovo ordine » che si
autodefiniva « nazionale ». Fu alla fine del 1924 che Gentile, presidente
della Leonardo e, fino al giugno di quell’anno, ministro della Pubblica
istruzione, riprese e sviluppò il progetto di Martini, trovando un pronto
aiuto economico nel senatore Giovanni Treccani , la cui figura
% Cosî annunciata nel novembre ’25 ne «L'Italia che scrive» (p.
206): «È noto che avevo studiato il piano di una Grande Enciclopedia
Italica e che altri sta realizzando con grande abbondanza di mezzi quello
che era stato il mio proposito. Mi si rimproverava allora di voler dare
uno specchio fedele di tutte le correnti del pensiero degne di
considerazione senza asservire l’opera ad una particolare tendenza: oggi
ho la giusta soddisfazione di vedere che quel mio concetto è stato
pienamente accolto. Le mutate condizioni della vita culturale
italiana mi fanno però rime- ditare su quanto Benedetto Croce ebbe a
dirmi in proposito: egli affer- mava che una Enciclopedia deve
assolutamente avere un’anima sua pro- pria, ed io allora non vedevo quale
delle tendenze spirituali avrebbe potuto imporsi come perno di tutto lo
scibile: oggi mi apparisce ben chiaro e non dubbio quale debba essere il
nucleo ideale di una simile impresa ». 6l L’E.I. è
qualificata «necessaria » in tutti i discorsi di Treccani (Enciclopedia
Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit.). 6 « Entrato
io in Senato nel 1924, il sen. Gentile (al quale mi lega- vano rapporti di
cordialità per la parte da lui avuta come Ministro della 31
Il fascismo e il consenso degli intellettuali di
industriale-mecenate rappresenta il più ampio — e poli- ticamente nuovo —
intervento dei grandi gruppi economici nell’attività editoriale.
Nel 1898, alla morte di Alessandro Rossi — il prote- zionista
considerato precursore dell’ideologia corporativa, cui Treccani dedicherà
un significativo ritratto nell’Enciclo- pedia® —, era entrato nel
Lanificio Rossi di cui divenne presidente, e nel 1911 operò come
amministratore delegato il salvataggio del Cotonificio Valle Ticino, «
intorno al quale sorsero altre aziende tessili, tutte basate sui
principi, cari al Treccani, della divisione del lavoro e
dell’indipendenza della funzione industriale, a tutti gli effetti
giuridici ed economici, da quella commerciale, anche allo scopo di
mettere le maestranze al riparo dai disastri eventuali della speculazione
» “, ma soprattutto — come Treccani dichiarò nel settembre 1920 di fronte
allo « spettro della rivoluzione leninista » apparso con l'occupazione
delle fabbriche — allo scopo di raggiungere la « conciliazione sociale »
spo- liticizzando gli operai, cooptati nella direzione di aziende «
puramente industriali » — di tipo corporativistico —, private dei più
vasti poteri decisionali delle aziende « pura- mente commerciali » ©.
Presidente di numerose società tes- Pubblica Istruzione, — allora
si diceva cost — al recupero della Bibbia di Borso d’Este) mi segnalò
quel naufragato progetto, affinché io vedessi se avevo la possibilità di
attuarlo », ricorderà nel 1938 Treccani (ibidem, p. 11). Il progetto
prevedeva 32 volumi — diventati poi 36 — e un Dizio- nario biografico
degli Italiani (ibidem, p. 22); furono spesi circa 15 mi- lioni per i
soli collaboratori (ibidem, p. 92), e 100 per tutta l’opera di 25.000
copie (ibidem, p. 78). 63 Cfr. S. Lanaro, Nazionalismo e ideologia
del blocco corporativo-pro- tezionista in Italia, in «Ideologie», I
(1967), n. 2, pp. 36-93, e Id.,, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura
borghese in Italia 1870-1925, Padova, Marsilio, 1979, 44 indicem. Di
Rossi Treccani scriverà nell’E.I. che « considerava primo elemento di
potenza e di ricchezza nazionale il capitale uomo, preparato con
sentimenti cristiani alla collaborazione fra le classi sociali. Ebbe
vivissima la coscienza dei doveri degl’imprenditori verso i dipendenti e
considerò l’interesse dei proprietarî non disgiunto da quello degli
operai e da quello della nazione » (ad voce): dove, pur fatte le dovute
concessioni alla data di stesura della voce (1936), sono accennate le
origini nazionaliste e cattoliche del corporativismo. % Cfr.
l’anonima voce Treccani in E.I., e P. Rossi, Dall’Olona ai Ticino.
Centocinquant’anni di vita cotoniera, Varese, La tipografica Va- rese,
1954, p. 122. 6 In modo che «l’operaio industrializzato perderebbe
l’abito di far 32 L’Enciclopedia italiana
sili, chimico-meccaniche, agricole — dal 1919 membro fondatore
della società agricola italo-somala — ed editoriali, dopo il 1920
Treccani si prodigò in quell’opera di mece- natismo che, soprattutto con
l’acquisto e il dono allo Stato, nel ’23, della Bibbia di Borso d’Este,
gli valse nel ’24 la nomina a senatore *. Il mecenatismo di Treccani, e
di altri industriali o finanzieri quali Riccardo Gualino, non era,
come osservava Gramsci ”, disinteressato: le loro iniziative culturali
erano illuminate autoprotezioni che, dichiarando paternalisticamente di
favorire l’interesse generale na- zionale, aiutavano di fatto quello
delle classi dirigenti e l'ordine sociale costituito. A Enciclopedia
compiuta Trec- cani affermerà che si può contribuire al
progresso delle lettere, delle scienze e delle arti, anche senza essere
letterati, scienziati o artisti, proteggendo quelle e aiutando questi; e
spetta specialmente a coloro che, in un deter- minato momento, detengono
la ricchezza promuovere atti di gene rosità e di rischio, perché solo
facendo compiere al capitale un'alta del lavoro una funzione politica,
e questa eserciterebbe soltanto come cittadino e cioè all'infuori e al di
sopra di quella che sarebbe la lotta economica. Tanto all’infuori e al di
sopra, che un qualunque movente politico, in una eventuale lotta, non
sarebbe possibile concepire se non attraverso a un tentativo criminale di
sovvertimento sociale, o meglio a una aberrazione della coscienza
operaia, la quale vorrebbe allora precipi- tare nel baratro di una
eclissi storica la nazione e la società » (G. Trec- cani, Capitale e
lavoro, in « Risorgimento », I (1920), n. 26, pp. 9-11; cfr. anche Id.,
Il diritto nuovo, in ibidem, n. 28, pp. 11-12). La rivista « Risorgimento
», fondata nel ’20 da Treccani e diretta da G.G. Arriva- bene, e su cui
scrisse anche Corradini, è definita dall'E.I. «di spiriti nettamente
nazionali » (alla voce Treccani). 6 Per tutta la sua «attività
culturale e benefica » cfr. G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani.
Come e da chi è stata fatta, Milano, Be- stetti, 1948, pp. 13-18
(tutto il volume è concepito come difesa dalle accuse di fascismo rivolte
all’E.I. dopo la Liberazione). La nomina di Treccani a senatore, avvenuta
nella « infornata » del 18 settembre 1924 (cfr. E. Rossi, Padroni del
vapore e fascismo, Bari, Laterza, 1966, pp. 253, 264), era stata
raccomandata da Gentile a Mussolini appena il 15 settembre (Archivio
centrale dello Stato, Roma (d’ora in avanti ACS), Segreteria particolare
del Duce, Carteggio riservato, b. 1, sottofasc. 2). 6 Quaderni del
carcere, cit., vol. II, p. 1333. Accenni a Gualino — il fondatore della
Snia-Viscosa e vice-presidente della Fiat che finanziò nel ’27-°28 le
ricerche di Egidi e Chabod a Simancas — in AA.VV., lrn memoria di Pietro
Egidi, Pinerolo, Unitipografica pinerolese, 1931, pp. 15, 36, G. Volpe,
Storici e maestri, Firenze, Sansoni, 1967, p. 458, V. Castronovo, op.
cit., passim. 33 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali funzione sociale, esso può essere benedetto anziché
odiato. Gli industriali poi devono riconoscere che l’industria è
debitrice di tutto alla scienza: del suo fondamento, del suo progresso,
del suo divenire; e che la scienza, alimentando le applicazioni
pratiche — cioè in definitiva l’industria e l’agricoltura — è largitrice
di beni morali ed economici, che elevano la dignità del popolo e il
suo tenore di vita ®. Frutto del rafforzamento e della
concentrazione dell’in- dustria accelerati dalla guerra e dal fascismo ”,
l’impresa della Enciclopedia testimonia la stretta compenetrazione
dei gruppi di pressione economici — Treccani vi interessò anche il
segretario dell’Associazione cotoniera Giuseppe Riva, e per la
realizzazione dell’opera diverrà socio di Rizzoli, quindi di Tumminelli e
Treves”? — con interessi politici e culturali, affermatasi su larga scala
in Italia per la prima volta dopo la grande guerra, condizionando
in modo mediato l’editoria — divenuta, come la definî Val- lecchi,
« industria delle industrie »”" —, e immediato la stampa quotidiana
”. La libera iniziativa di Treccani poté cosî realizzare ciò che non era
riuscito alla Banca d’Italia di Stringher. Altrettanto
decisiva per la ripresa e l'ampliamento del vecchio progetto di Martini
fu la coerente opera di otga- nizzazione culturale promossa da Gentile,
che dopo l’espe- rienza bellica era venuto accentuando il valore politico
della 6 Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione
compimento, cit., p. 12. 9 Cfr. G. Mori, Per una storia
dell’industria italiana durante il fasci- smo (1971), ora in Il
capitalismo industriale in Italia. Processo d'indu- strializzazione e
storia d’Italia, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp. 219-249. L’E.I. fu
realizzata « con grande fede nella disciplina e produttività delle forze
intellettuali italiane nonché nella resistenza dell'economia nazio- nale
», affermò anche dopo la grande crisi Gentile (Tribolazioni di un
enciclopedista. Come si distribuisce l'immortalità, in «Il Corriere della
sera », 4 febbraio 1931, p. 3). ® Cfr. Enciclopedia Italiana
Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., pp. 15, 17, e U. Ojetti, I
taccuini. 1914-1943, Firenze, Sansoni, 1954, pp. 165 e 178-180, che alla
data 4 settembre ’25 parla anche di «trat- tative tra Fracchia e Treccani
su un nuovo giornale letterario », proba- bilmente « La fiera letterapp.
13-18 (tutto il volume è concepito come difesa dalle accuse di fascismo
rivolte all’E.I. dopo la Liberazione). La nomina di Treccani a senatore,
avvenuta nella « infornata » del 18 settembre 1924 (cfr. E. Rossi,
Padroni del vapore e fascismo, Bari, Laterza, 1966, pp. 253, 264), era
stata raccomandata da Gentile a Mussolini appena il 15 settembre
(Archivio centrale dello Stato, Roma (d’ora in avanti ACS), Segreteria
particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 1, sottofasc. 2). 6
Quaderni del carcere, cit., vol. II, p. 1333. Accenni a Gualino — il
fondatore della Snia-Viscosa e vice-presidente della Fiat che finanziò
nel ’27-°28 le ricerche di Egidi e Chabod a Simancas — in AA.VV.,
lrn memoria di Pietro Egidi, Pinerolo, Unitipografica pinerolese, 1931,
pp. 15, 36, G. Volpe, Storici e maestri, Firenze, Sansoni, 1967, p. 458,
V. Castronovo, op. cit., passim. 33 Il fascismo
e il consenso degli intellettuali funzione sociale, esso può
essere benedetto anziché odiato. Gli industriali poi devono
riconoscere che l’industria è debitrice di tutto alla scienza: del suo
fondamento, del suo progresso, del suo divenire; e che la scienza,
alimentando le applicazioni pratiche — cioè in definitiva l’industria e
l’agricoltura — è largitrice di beni morali ed economici, che elevano la
dignità del popolo e il suo tenore di vita ®. Frutto del
rafforzamento e della concentrazione dell’in- dustria accelerati dalla
guerra e dal fascismo ”, l’impresa della Enciclopedia testimonia la
stretta compenetrazione dei gruppi di pressione economici — Treccani vi
interessò anche il segretario dell’Associazione cotoniera Giuseppe
Riva, e per la realizzazione dell’opera diverrà socio di Rizzoli, quindi
di Tumminelli e Treves”? — con interessi politici e culturali,
affermatasi su larga scala in Italia per la prima volta dopo la grande
guerra, condizionando in modo mediato l’editoria — divenuta, come la
definî Val- lecchi, « industria delle industrie »”" —, e immediato
la stampa quotidiana ”. La libera iniziativa di Treccani poté cosî
realizzare ciò che non era riuscito alla Banca d’Italia di
Stringher. Altrettanto decisiva per la ripresa e l'ampliamento
del vecchio progetto di Martini fu la coerente opera di otga-
nizzazione culturale promossa da Gentile, che dopo l’espe- rienza bellica
era venuto accentuando il valore politico della 6 Enciclopedia
Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., p. 12. 9
Cfr. G. Mori, Per una storia dell’industria italiana durante il fasci-
smo (1971), ora in Il capitalismo industriale in Italia. Processo d'indu-
strializzazione e storia d’Italia, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp.
219-249. L’E.I. fu realizzata « con grande fede nella disciplina e
produttività delle forze intellettuali italiane nonché nella resistenza
dell'economia nazio- nale », affermò anche dopo la grande crisi Gentile
(Tribolazioni di un enciclopedista. Come si distribuisce l'immortalità,
in «Il Corriere della sera », 4 febbraio 1931, p. 3). ® Cfr.
Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., pp. 15,
17, e U. Ojetti, I taccuini. 1914-1943, Firenze, Sansoni, 1954, pp. 165 e
178-180, che alla data 4 settembre ’25 parla anche di «trat- tative tra
Fracchia e Treccani su un nuovo giornale letterario », proba- bilmente «
La fiera letteraria » che cominciò a uscire nel dicembre ’25. 7 A.
Vallecchi, Ricordi e idee di un editore vivente, Firenze, Val lecchi,
1934, p. 184. i © Cfr. V. Castronovo, op. cit.
34 L’Enciclopedia italiana cultura, la critica alla scienza
« spettatrice della vita » e all’arcadia, in vista della formazione di
una nuova classe dirigente ”. La direzione gentiliana di Accademie e
Istituti, di riviste e collane editoriali, il controllo di case
editrici, affermatisi nel periodo fascista *, ebbero nel campo
dell’alta cultura un’incidenza pari se non superiore, perché
stabili per un quindicennio, alla stessa riforma della scuola nel
settore educativo. Quando questa, nel 1925, cominciò ad essere svuotata
dei suoi caratteri originari, Gentile iniziò proprio con l’Exciclopedia —
e per mezzo del vasto potere di controllo su un gran numero di
intellettuali da essa con- feritogli — ad esercitare una vasta egemonia
culturale che induce a riconsiderare, nel quadro di tutta la cultura italiana
del ventennio e del secondo dopoguerra, l’opera svolta da Croce
attraverso « La Critica » e la Casa Laterza, opera su cui finora si è
insistito in modo esclusivo e spesso pregiu- diziale, identificando
polemicamente la cultura con l’anti- fascismo ”. Se la semplice somma
numerica delle organiz- zazioni e degli intellettuali controllati
materialmente da Gentile non è sufficiente, allo stato attuale degli
studi, a 73 Fra gli innumerevoli esempi possibili, basti ricordare
La moralità della scienza (del 1923), in Scritti pedagogici, III. La
riforma della scuola in Italia, Milano-Roma, Treves-Treccani-Tumminelli,
19322, pp. 61-79; Che cosa è il fascismo, cit.; Fascismo e cultura,
Milano, Treves, 1928; Origini e dottrina del fascismo, Roma, Istituto
nazionale fascista di cul- tura, 19343, cap. X. Quello del « contatto
organico tra l’“intelligenza” e le classi dirigenti » era allora il «
problema sostanziale della cultura italiana » posto fin dall’inizio della
rinascita idealistica, ma rimasto insoluto per la vittoria della «vecchia
Italia », osservava Togliatti a proposito de coltura italiana di
Prezzolini (Opere, a cura di E. Ragionieri, I, 1917-1926, Roma, Editori
Riuniti, 1967, pp. 489-493). 7 Ricordiamo solo la Commissione
Vinciana (dal 1924), la Leonardo e dal ’25 l’Istituto nazionale fascista
di cultura, la Scuola Normale Supe- riore di Pisa (dal 1920), l’Istituto
italiano di studi germanici (dal 1932), l'Istituto italiano per il medio
ed estremo Oriente (dal 1933), la casa editrice Sansoni, le collane di Le
Monnier, il « Giornale critico della filo- sofia italiana », « Educazione
fascista » (cfr. ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio
riservato, b. 1, sottofasc. 2; V.A. Bellezza, Biblio- grafia degli scritti
di G. Gentile, in Giovanni Gentile. La vita e il pen- siero, Firenze,
Sansoni, 1950, vol. III, pp. 28-29 e M. di Lalla, Vita di Giovanni
Gentile, Firenze, Sansoni, 1975). 75 Cosî E. Garin, La Casa
Editrice Laterza e mezzo secolo di cultura italiana, ora in La cultura
italiana tra '800 e ’900, Bari, Laterza, 1963, pp. 155-173, che pur
avverte sempre la larga interdipendenza del pensiero crociano e
gentiliano. 35 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali spodestare Croce dal suo trono di « papa laico » —
ciò implicherebbe negare la persistenza dell’influenza crociana
dopo il 1945 —, è da tener presente almeno l’importanza pratica delle
iniziative gentiliane: prima e dopo il 1929 esse mirarono a coagulare
attorno a un nucleo di tradizione na- zionale e fascista — e quindi
contribuirono a far sopravvive- re nel quadro dell’ideologia eclettica
del regime — vecchie e giovani forze intellettuali di varia origine
operanti in campi diversi, filosofico, scientifico, economico ecc. È significativo
che ancora nel 1935, quando le revisioni interne e gli attac- chi contro
l’attualismo si erano in gran parte già consumati, un rapporto anonimo
inviato a Mussolini presentasse Gen- tile come pericoloso inquisitore nel
campo dell’organizza- zione culturale: Si va determinando
nel campo dell’Editotia Italiana, special- mente attraverso le
sovvenzioni dell’I.R.I., un accaparramento sempre più sensibile di case
editrici da parte del Senatore Giovanni Gentile. Egli già
dirige direttamente o indirettamente [...] le Case Edi- trici Lemonnier e
Sansoni: le quali, a loro volta, dispongono delle case dell'Arte della
Stampa e di Ariani in Firenze. Dirige l’Enci- clopedia Italiana e
controlla, perciò, un esercito di collaboratori che debbono per forza di
cose obbedirgli. Sono note le vicende delle case Treves e Tumminelli in
cui Gentile era grande parte. Sano noti i rapporti con le altre case
attraverso i contatti con allievi o amici, quali Carlini e
Codignola. Può dirsi quindi che oggi è molto difficile fare uscire
un libro di cultura politica e filosofica in Italia senza il visto di
questo nuovo Sant’Ufficio di nuovo tipo. Si dice, inoltre,
che presto la casa Bemporad sarà diretta dal Gentile, venendo cosî ad
aumentare il numero delle case affiancate o asservite.
Occorrerebbe vedere, con opportuni e delicati approcci, se non
fosse il caso di studiare il modo di immettere nella vita della cul- tura
fascista la Casa Laterza di Bari che per la sua reputazione potrebbe, una
volta immessa nella vita del Regime, rappresentate un certo contrappeso
all’attuale disquilibrdio di forze editoriali 74. 76 Rapporto
anonimo pervenuto a Mussolini il 3 aprile 1935, in ACS, Segreteria
particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 1, sottofasc. 2; per l’accusa
a Gentile di « estendere la sua egemonia culturale » attra- verso l’E.I.
cfr. anche ibidem, b. 49, sottofasc. 1, rapporto del 9 dicem- bre 1932. «
Gentile ha formato, più del Croce, una scuola; ed ha disce- poli
entusiastici e fedeli, forse anche troppo; ed appare un animatore e
36 L'Enciclopedia italiana Documento di parte,
certo, ma che — accanto ai limiti della opposizione crociana e alla
spregiudicatezza ideologica del regime pronto a strumentalizzarla —
indica solo per difetto i canali differenziati di diffusione culturale di
Gentile e dei gentiliani. Nei primi anni del fascismo l’opera
di Gentile fu fun- zionale alla necessità politica del regime di
unificare e orga- nizzare le disperse forze della borghesia liberale.
Soprat- tutto dopo l’unificazione col nazionalismo — pit attento ai
problemi di politica culturale proprio perché da una tradi- zione
culturale nazionale voleva trarre i motivi della sua collocazione nella
storia italiana —, il fascismo accompagnò l’azione repressiva dello
squadrismo con quell’opera di graduale allargamento del consenso — fatta
di concessioni ai gruppi capitalistici e alle forze culturalmente egemoni
— che gli permetterà di schiacciare le opposizioni; valido stru-
mento fu dapprima la gentiliana riforma della scuola — con Fedele resa
pDIS conforme alle istanze della borghesia e dei cattolici” —, poi,
superata la crisi Matteotti e instau- rata la dittatura, l’opera di
appropriazione di correnti cultu- rali diverse assegnata a Gentile, parallela
a quella svolta contemporaneamente sul piano politico verso i
fiancheg- giatori, e solo dopo il 1929 sostituita dalla ricerca
dell’ap- poggio dei cattolici. Non è un caso che l’Istituto
Giovanni Treccani per la pubblicazione dell’Enciclopedia Italiana fosse
costituito il 18 febbraio 1925; all’indomani del 3 gennaio che,
salutato con entusiasmo da Gentile ”, aveva segnato la fine dei go-
verni di coalizione; appena il 12 febbraio Farinacci era diventato
segretario del Pnf, carica che terrà fino al marzo direttore
spirituale. Sostiene le sorti della sua scuola e dei suoi scolari con la
fede di un uomo di parte », ricordava ancora nel 1930 Prezzolini (La
cultura italiana, cit., p. 122). © Cfr. D. Bertoni Jovine, op.
cit., p. 297, e T. Tomasi, Ideglismo e. fascismo nella scuola italiana,
Firenze, È Nuova Italia, 1969, p. 87. 78 Gentile a Mussolini, 4
gennaio 1925: « Eccellente il discorso di ieri. Il paese tutto si sveglia
e torna a Lei... La prego poi di ricordarsi che in questi giorni
bisognerebbe dar forza ai Quindici, emanando il Decreto Reale » (copia in
ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riser- vato, b. 1,
sottofasc. 2). 37 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali 1926. Sebbene l’opera si assicurasse l’alto
patronato del re” e fino al ’29 le dichiarazioni ufficiali di Treccani e
Gen- tile non facessero quasi parola del fascismo, la sua data di
nascita indica il peso determinante che nella sua realizza- zione ebbe
l’avvento della dittatura. La segreteria Farinacci sembrerebbe
contrastare con lo spirito informatore dell’ impresa; in realtà la linea
estremista del fascismo, pur pole- mizzando — come vedremo — con
l’iniziativa gentiliana, non riusci a condizionarla: anche in campo
culturale le « due anime » del fascismo — « tradizionale » e «
rivolu- zionaria » — trovarono ciascuna un proprio spazio e una
propria funzione. Che la nascita dell’Enciclopedia e l’indi- rizzo da
essa rappresentato non fossero casuali, frutto esclusivo di un’iniziativa
individuale, ma rientrassero in un più vasto programma di politica
culturale del regime, è dimostrato anche dal sorgere accanto ad essa —
proprio nel 1925-26 — di numerosi altri istituti di alta cultura,
quali, nel ’25, l’Istituto di studi romani di Galassi Paluzzi, l’Istituto
nazionale fascista di cultura « erede » material- mente della Leonardo di
Formiggini o delle varie Università popolari e affidato a Gentile, la
Scuola di storia moderna e contemporanea di Volpe e, nel ’26, l'Accademia
d’Italia ®°; tutte istituzioni rivolte, con programmi e su piani diversi,
a promuovere studi e ricerche ispirati sempre al primato della
civiltà romana e italiana nel mondo, con una funzione inter- na analoga a
quella svolta, all’estero, da appositi organismi culturali che, in modo
graduale e illuminato, miravano a orientare favorevolmente verso
il fascismo l’opinione pub- blica ®, 79 Come appare dal
Manifesto al pubblico del giugno ’25 (in G. Trec- cani, Enciclopedia
Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., p. 39).
80 Cfr. Ministero dell'Educazione Nazionale, Accademie e Istituti
di cultura. Cenni storici, Roma, Palombi, 1938. Una prima ricerca è
quella sul CNR di R. Maiocchi, Scienza, industria e fascismo (1923-1939),
in « Società e storia », I (1978), pp. 281-315. Sulla figura di Volpe
cfr. I. Cervelli, Gioacchino Volpe, Napoli, Guida, 1977, e, per qualche
cenno sulla sua vasta opera di organizzazione degli studi storici nel
periodo fascista, ancora da studiare, G. Turi, Il problema Voipe, in «
Studi sto- rici », XIX (1978), pp. 183-186. B1 Cfr. D. Frezza
Bicocchi, Propaganda fascista e comunità italiane in 38
L’Enciclopedia italiana 4. Lo « specchio fedele e completo
della cultura scientifica italiana » Il governo facilitò
economicamente la realizzazione della Enciclopedia, intervenendo nel 1928
— su sollecita- zione di Gentile — per l’accordo editoriale fra
l’Istituto Treccani e il Touring Club Italiano che avrebbe dovuto
fornire il corredo cartografico dell’opera, e costituendo nel 1933, come
vedremo, l’ente nazionale Istituto dell’Enci- clopedia Italiana; e sempre
il regime condizionò diretta- mente l’impresa, garantendone nel ’25 il
controllo ecclesia- stico, e utilizzandola poi come canale di diffusione
della sua ideologia, come nella voce Fascismzo del *32. Ma nel
1925-26 l’Enciclopedia si presentò come opera « nazio- nale »,
testimonianza di un primato italiano da rivendicare di fronte agli altri
paesi, nel senso già indicato da Martini; solo nel ’29, con l’uscita del
primo volume e in una diversa ‘situazione politica, il suo carattere «
nazionale » sarà pre- cisato con l’istituzione del rapporto di continuità
risorgi- mento-grande guerra-fascismo *. U.S.A.: la Casa
Italiana della Columbia University, in « Studi storici », XI (1970), pp.
661-697. 82 Nel 1929 la prefazione al vol. I dell’E.I. ricorderà
come « il mag- gior tentativo di una enciclopedia italiana fosse stato
fatto in Italia negli anni forieri del Quarantotto, nel più vivo fermento
della ridesta coscienza nazionale del popolo italiano », come «il disegno
e il proposito della presente Enciclopedia siano maturati dopo la grande
guerra in cui gli Italiani, per la prima volta dacché raccolti in unità
nazionale, fecero espe- rimento di tutte le loro forze materiali e
morali, e superarono la prova con una grande vittoria », e che « il clima
che ha reso possibile un'opera come questa [...] è il nuovo spirito
esploso con l'avvento del Fascismo » (E.I., vol. I, p. XII). E Treccani
nel 1931: « Ad ogni movimento nazio- nale concluso, si è sempre sentito
il bisogno di questo esame delle proprie possibilità culturali; anche
Emanuele Filiberto, restaurato lo Stato, ideò un’Enciclopedia col nome di
Teatro Universale, rimasta però allo stato di progetto; ed altrettanto
fecero gli uomini del nostro Risorgimento, che ci diedero l’Enciclopedia
Popolare Pomba, chiamata l’Enciclopedia del Ri- sorgimento, opera
lodevole. Il grandioso movimento spirituale prodotto dalla guerra
vittoriosa e dal Fascismo, non poteva rimanere sterile in questo campo »
(G. Treccani, op. cit., p. 63). Negli stessi termini U. Bosco,
Enciclopedia Italiana, in Panorami di realizzazioni del fascismo, VIII.
Gli Istituti del Regime, Roma, Panorami di realizzazioni del fasci smo,
1941, p. 319. Già il Marifesto del giugno ’25 ricordava, oltre al clima
della vittoria, il tentativo « fatto in Torino negli anni più maturi
39 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
L’insistenza sul significato « nazionale » dell’impresa — di cui
solo pochi colsero gli equivoci, e il pericolo di una riduzione
nazionalistica della cultura * — doveva dissolvere presso gli incerti o
gli oppositori del fascismo o di Gentile il dubbio che l’opera fosse
politicamente e culturalmente di parte: tutte le dichiarazioni di
Treccani e Gentile — rispettivamente presidente dell’Istituto e direttore
scien- tifico dell’Enciclopedia — sono ispirate a questa preoccu-
pazione. L’atto costitutivo dell’Istituto auspicava che l’o- pera fosse «
scritta con la collaborazione di quanti sono in Italia competenti in ogni
ordine di scienze, lettere ed arti », .e « governata da un alto concetto
di quello che è stato ed è il carattere ed il valore della civiltà
italiana nel mondo, nonché dal desiderio e proposito che tutte le forze
intel- lettuali della Nazione siano, per questo lavoro che
interessa tutta la Nazione, messe a profitto », in modo che
riuscisse « opera, cosî dal rispetto scientifico, come da quello nazio-
nale, degna delle più nobili tradizioni del Popolo Italiano ». L’art. 4
si preoccupava di specificare che « l’Istituto s’in- spira bensi alla
coscienza del glorioso passato del Popolo Italiano e degli alti destini a
cui esso può e deve aspirare; ma è apolitico nel senso assoluto della
parola » *. Anche il del Risorgimento nazionale, quando tutto lo
spirito italiano senti pi urgente il bisogno del suo rinnovamento e di
una vita più intensa » (in G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani.
Idea esecuzione compimento, «cit., p. 39). Sulla Nuova enciclopedia
popolare del Pomba cfr. E. Bottasso, Le edizioni Pomba 1792-1849, Torino,
Biblioteca civica, 1969, pp. 242-252. 83 Cosf l’articolo Nel mondo
della coltura borghese. Una Enciclopedia, in « L'Unità », 20 maggio 1925
(lo pseudonimo dell’autore non è comple- tamente leggibile): «Gli uomini
della dominante borghesia italiana... vorrebbero adesso nazionalizzare la
internazionale della cultura », facendo «un grande monumento di dottrina
indigena », mentre «una enciclo-«pedia, per servire degnamente alla scienza,
deve essere opera vastissima «di cultura internazionale, enorme massa di
parole e di voci che vanno distribuite fra quanti uomini dotti, nel
mondo, possono più sicuramente «parlare su ciascuna di esse ». « Se si
farà, sarà — pur troppo — un docu- mento di fragorose chiacchiere e di
malfatte compilazioni », concludeva l’articolista esprimendo il dubbio
sulla capacità del fascismo di realiz- zare «un’opera di tanta mole e di
cosî universale sapete ». 84 In G. Treccani, Exciclopedia Italiana
Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., pp. 21-22. Sempre il 18
febbraio 1925 Treccani dichiarò: « La politica qui non c'entra, né deve
entrarci: è il caso anzi di dire che . se la politica può dividere
gli uomini, la scienza li deve tutti unire » (ibidem, p. 30): parole che
ricordano quelle di Gentile nell’articolo Contro 40
L’Enciclopedia italiana’ Manifesto al pubblico del 26 giugno ’25
dichiarava l’im- parzialità scientifica e politica dell’Enciclopedia,
quasi con' gli stessi termini già usati da Formiggini: A
questa ENCICLOPEDIA che dovrà essere specchio fedele e completo della
cultura scientifica italiana, saranno chiamati a collaborare tutti gli
studiosi d’Italia; e dove sia opportuno non si tralascerà di invitare a
fraterna collaborazione gli scrittori d’altri paesi più particolarmente
versati, com’è naturale, nelle materie ri- guardanti le rispettive loro
nazioni. Ma di quanti sono in Italia che abbiano in una disciplina e in
uno speciale argomento una loro competenza, l’Istituto confida che
nessuno vorrà negare il proprio contributo e il proprio nome a questo
lavoro, che vuol essere opera nazionale superiore a tutti i partiti
politici come a tutte le scuole, e potrà riuscire, per la sua
complessità, la maggior prova intellettuale dell’Italia nuova 8.
Le dichiarazioni di imparzialità convinsero Formiggini — che
giudicava l’attualismo ormai privo di aggressività per aver esaurito la
sua funzione * —, non chi vedeva, l’agnosticismo della scuola, del
10 maggio 1925: «la politica divide, e la scuola deve unire » (in Che
cosa è il fascismo, cit., p. 164). 85 In G. Treccani, Enciclopedia
Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., p. 40. Cosî Volpe
cercherà nel 1937 di sostenere l’obiet- tività dell’E.I.: «Se per
Enciclopedia fascista si intende un’opera in cui ogni articolo, pagina,
rigo sia coordinato e subordinato ad una determinata veduta filosofica e
politica, questa nostra non è l’Enciclopedia del Fa- scismo: non è, come
la Enciclopedia francese, la Enciclopedia dell’illu- minismo. La
Enciclopedia italiana neppure se lo è proposto. Né, fra gli anni 1927-37,
era forse possibile proporselo. Ma l’Enciclopedia presenta un quadro
relativamente perfetto della vita del mondo, della scienza, della
politica, dell’arte. E questo ha il suo valore per il Fascismo.
L’Erciclo- pedia italiana, per quel tanto che può avere una veduta
storico-filosofica, storico-politica, ha una veduta che perfettamente ingrana
col Fascismo: la storia come movimento e divenire, la vita come lotta e,
insieme, solida rietà di forze... L’Enciclopedia è un monumento
all’Italia, in piena rispon- denza al pensiero e all'anima del Fascismo »
(L’« Enciclopedia italiana » è compiuta, in « Nuova Antologia », 1
novembre 1937, p. 17: articolo rifuso, accentuando l’apoliticità
dell’E.I., col titolo Giovanni Gentile e l’« Enciclopedia Italiana », in
Giovanni Gentile. La vita e il pensiero, Firenze, Sansoni, 1948, vol. I,
pp. 335-362). 8 « Ciò che il senatore Treccani e il senatore
Gentile hanno detto circa gli spiriti che dovranno animare la grande
impresa, pienamente mi soddisfa: i nomi dei collaboratori scelti sono gli
stessi che io avrei scelto... Il Gentile d’oggi ha fatta sua ... la concezione
formigginiana che una enci- clopedia nazionale deve essere il quadro
completo dello spirito della nazione (cosî come dovrebbe essere la
scuola) e non la espressione di una particolare tendenza » (« L'Italia
che scrive », VIII (1925), p. 66). 41 Il fascismo e
il consenso degli intellettuali al contrario, aumentare il
pericolo di un’egemonia genti- liana. Adriano Tilgher, che sulle pagine
de « Il Mondo » svolgeva in quei mesi una serrata polemica antiattualista,
mise in guardia — senza tuttavia tener conto del com- plesso gioco
politico e culturale condotto dal fascismo — contro l’« imperialismo
intellettuale » di Gentile: « spi- rito chiuso, violento e settario,
p ontificale e teologale », tabula rasa all’infuori di argomenti
rinascimentali e risor- gimentali, cui avrebbe preferito, alla direzione
dell’opera, Croce, o Chiappelli, Farinelli, Ojetti.
L’Enciclopedia che uscirà dalle mani del senatore Gentile non sarà una
Enciclopedia, ma un Index librorum et virorum ad majorem Actus Puri
gloriam... Il senatore Gentile specula un po’ troppo sulla vigliaccheria
intellettuale del nostro bel paese se crede che gli si lascerà compiere
tranquillamente una simile impresa di annes- sione intellettuale... Se
no, se [l'Enciclopedia] dovesse rimanere affidata al Gentile, credo che
non troverà collaboratori disposti ad aiutarlo nella sua opera
d’imperialismo intellettuale. E già so che più d’uno, richiesto, ha
rifiutato di collaborare ®?. Le previsioni di Tilgher — di
un’energica reazione con- tro l'impresa gentiliana da parte di « tutte le
correnti intellettuali, gli indirizzi, i movimenti, le scuole, gli
scrit- tori massacrati dalla ignoranza e dalla faziosità settaria
del Gentile » — non si realizzarono. A critiche del genere — limitate a
una polemica culturale scadente spesso sul piano personale — Treccani
poté facilmente opporre la diversità di indirizzi rappresentata dai
direttori di sezione dell’Enciclopedia; in occasione della loro prima
riunione, il 4 aprile ’25, il presidente dell’Istituto si preoccupò
di confutare attacchi esterni e diffidenze interne sull’opera
ritenuta « dogmatica, settaria, faziosa », asserendo che Gentile
è uomo di partito e di idee sf, ma è uomo leale e di fede. Tra lui
e l’Istituto sono poi stati stabiliti patti ben chiari ed egli ha già
dato prova, nella indicazione degli uomini, di aver tenuto fede a tali
patti: basta uno sguardo alle persone qui presenti per convin- cersi
dell’infondatezza di ogni accusa. 8 A. Tilgher, Giovanni Gentile e
l'enciclopedia italiana, in «Il Mondo », 25 marzo 1925.
42 L’Enciclopedia italiana Del resto, Vi assicuro che
io, che ho dato il mio nome a quest’ impresa, non permetterei mai ad
alcuno di venir meno al concetto fondamentale, che molto chiaramente è
espresso nell’atto costitutivo. Ma io ho fede nel Sen. Gentile: lo stesso
suo carattere energico è garanzia di successo; la campagna ingiusta,
iniziata contro di lui a proposito dell’Enciclopedia, cadrà non appena
pubblicheremo i nomi dei collaboratori, i quali, italiani di sicura fede,
rappresentano tutte le idee, tutte le scuole, tutte le tendenze [...]
Tutti gli inter- pellati finora hanno aderito con parole confortanti e
lusinghiere; se qualcuno fosse tentennante, bisogna illuminarlo,
persuaderlo dell’ obiettività del lavoro e convincerlo a dare il suo
nome, sia pure per una sola voce. Nessun nome di insigne
studioso italiano deve mancare nell’En- ciclopedia, anche perché, dato il
duplice scopo che io miro a rag- giungere — Enciclopedia come opera di
valorizzazione della cultura nazionale e Fondazione per l'incremento
degli studi con gli even- tuali profitti — non sarebbe simpatica la
voluta assenza da parte di qualcuno *, A Bologna si era
appena chiuso, il 30 marzo, il con- vegno sulle istituzioni fasciste di
cultura in cui Gentile aveva presentato il fascismo come erede di tutta
la storia italiana, rivolgendo un appello all’unità e alla
conciliazione che avrebbe dovuto rafforzare, sul piano del consenso,
la drastica conclusione della crisi Matteotti. Anche l’Enciclo-
pedia viene indicata con insistenza come opera « nazio- nale », in cui
ogni « italiano di sicura fede » avrebbe potuto conservare le sue
opinioni culturali e politiche. Alcuni degli avversari del regime
riconobbero in quei mesi il suo sforzo, ma anche la difficoltà, di
acquisire l’appoggio degli intellettuali: cosî l’« Avanti! », per il
quale, anche se « il mondo accademico italiano si è fascistizzato molto
presto », « antifascista è la cultura, la vera cultura, quella
disinte- ressata, quella cioè che ha sempre odiato le accademie, le
chiacchiere, la rettorica, gli alalà » ®. « L'Unità » invece, ritenendo
che anche ideologicamente « gli intendimenti fa- 8 G. Treccani,
Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione com- pimento, cit., p.
36. Da Ireneo ad Arpinati..., in « Avanti! », 2 aprile 1925, a
proposito del discorso bolognese di Gentile del 30 marzo; cfr. anche
Gl’intellettuali e Farinacci, in « Avanti! », 23 aprile 1925: «Fra il
manifesto degli intellettuali del fascismo — leggi Gentile — e i discorsi
di Farinacci, bisogna confessare che c’è pi intelligenza nei discorsi di
Farinacci ». 43 «Il fascismo e il consenso degli
intellettuali scisti di fascistizzare gli altri partiti
socialdemocratici pos- ‘sono col tempo realizzarsi » — come affermava
esaminando il Manifesto degli intellettuali del fascismo” —,
coglieva proprio nell’Enciclopedia la capacità del regime di
ottenere consensi fra gli intellettuali: « conosciamo bene quel che
sia la spregiudicatezza scientifica dei sapienti del fascismo e quel che
sia l’antifascismo della gente accademica [...] In tempi calamitosi per
le pubbliche libertà uomini di scienza hanno talora opposto le loro
proteste, gravi e sen- sibili, se anche rare o taciturne. Oggi non
abbiamo di questi esempi in Italia, fra tanti uomini di dottrina che pure
fanno professione di indipendenza o di avversione ai poteri domi-
nanti » ”"; dove però, più che l'individuazione della forza del
fascismo — che stava proprio allora organizzandosi co- me regime
reazionario di massa —, vi è quella polemica contro gli aventiniani, che
porterà ancora a negare ogni differenza fra le varie componenti della
borghesia ”. L’imparzialità che l’Enciclopedia tendeva ad
accreditare sotto l’etichetta « nazionale » era comunque
strettamente condizionata dalla situazione reale del paese, e si
traduceva in una « passività » di stampo prezzoliniano *: nello
% Sintomi di decadenza. Un manifesto degli intellettuali fascisti,
in « L'Unità », 21 aprile 1925. . 91 Nel mondo della coltura
borghese. Una Enciclopedia, in « L'Unità », 20 maggio 1925.
Divagazioni sull'ideologia del fascismo, in « L'Unità », 29 aprile
1926, a proposito della polemica Gentile-Interlandi sull’E.I., che esami-
neremo: «Evidentemente differenze fra i gruppi borghesi non esistono
nelle idee fondamentali, ma nel modo di fare. Il fascismo ha in tutti i
modi l’energia di attrarre l’attuale borghesia: ecco i confini “tecnici” fra
“pensiero” ed “azione” ». 93 Nell’organo della gentiliana
Fondazione Leonardo, Prezzolini an- nunciò l’E.I. come «l’esame di stato
della coltura italiana » e «lo sforzo dell’Italia nuova, in paragone
degli altri paesi. Il programma è ottimo. Lo sforzo è il più nazionale
che si sia tentato dopo l'unità italiana, ma l’Enciclopedia non sarà
nazionalistica »; si sarebbero superate le enciclo- pedie straniere «se
la scelta dei collaboratori, com'è stata quella dei direttori delle
singole sezioni, sarà severa e non dipendente da criteri politici o di
meno che serena volontà scientifica. Sarà un altro dei meriti di Giovanni
Gentile verso la cultura italiana » (« Leonardo », I (1925), p. 88,
redazionale); e, pubblicando le Avvertenze ai collaboratori dell’E.I.: «
meglio di ogni altro documento, varranno a fare scompatire nel pub- blico
ogni ombra di dubbio sul valore scientifico che l’Enciclopedia avrà, e a
dissipare le voci malevoli che pretendevano l’Enciclopedia fosse
44 L’Enciclopedia italiana « specchio fedele e
completo della cultura scientifica italia- na » poteva riflettersi solo,
nel '25 ma ancor più dopo il ’26, la cultura e l'ideologia del blocco
borghese chiamato a collaborare col regime nel momento in cui questo
schiac- ciava le opposizioni. Era significativa, del resto, la
presen- tazione « ufficiale » che dell’Enciclopedia dava nel marzo
1925 la rivista di Mussolini, « Gerarchia »: dopo aver af- fermato la
necessità di « un’affermazione di intellettualità collettiva che
rivelasse al mondo ciò che l’Italia era nel dominio del sapere universale
», e che « in Italia non pos- sediamo ancora la nozione di quel sapere
nazionale che in- vece posseggono e da secoli altre nazioni », l’autore
dell’ar- ticolo auspicava che l’Enciclopedia, « libro di un popolo
», fosse « libro politico, ma soprattutto libro di conquista »,
espressione dell’« intelligenza dominante » della collettività; essendo «
giunta l’ora che il mondo la pensi anche all’ita- liana », compito
dell’opera avrebbe dovuto essere quello di « chiamare a raccolta tutto
quanto l’anima italiana ha in questo momento di lume e di ardimento e
farlo collabo- rare a questa grande azione che se ben mossa può
segnare il primo passo verso quel dominio intellettuale del mondo
che noi da tanti secoli abbiamo perduto e può segnare, prima ancora, il
definitivo sfrancamento italiano dalla col- tura straniera » *.
5. La « politica di conciliazione » di Gentile La
componente tradizionalista del fascismo, rappre- sentata in primo luogo
dai nazionalisti, cercò — come ricorderà Bottai che della necessità di
conferire al regime una sua dignità culturale fu il principale
sostenitore dalle pagine di « Critica fascista » e poi di « Primato » —
di opera di parte, concepita con angusti criteri di scuola »
(ibidem, pp. 161- 162). Nella seconda ediz. de La cultura italiana si
limiterà a dire che V’E.I. « dovrà rappresentare la capacità della
coltura italiana del dopo- guerra » (p. 210). % L. Venturini,
La nuova e mirabile fatica italiana. L'Enciclopedia Nazionale, in «
Gerarchia », IV (1925), pp. 172-174, 177. 45 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali costruirsi una sua
Weltanschauung che fosse, da un lato, frutto della mediazione e del
superamento delle diverse correnti di pensiero dalle quali o contro le
quali il movi- mento fascista era sorto — «non rollandianamente 4%
dessus de la mélée, ma con un suo impegno autonomo d’arbitro tra due
mondi in lotta » —, dall’altro, valorizza- zione del primato
storico-culturale italiano ®. Per questo era necessario, inizialmente,
fare appello a tutti quanti erano disposti a collaborare con un regime
che cercava di mostrarsi erede di una tradizione « nazionale »: si
pensi alla presentazione di Croce « precursore del fascismo », o ai
tentativi, non ultimo quello dell’Enciclopedia, di acca- parrarsene
l'appoggio *. In quest'opera di assorbimento di intellettuali incerti,
fiancheggiatori od oppositori, ana- loga a quella attuata in campo
politico dagli ex nazionalisti Rocco e Federzoni, artefici della simbiosi
organica del Pnf col vecchio Stato monarchico, il regime « si rivesti
piuttosto dei panni del moderatore che dell’eversore » — per usare
le parole di Bottai riferite a Mussolini —, « evitando i vuoti paurosi »
”, e nel 1923-26 poté quindi trovare uno strumento adatto in Gentile, la
cui concezione dello Stato e della storia italiani ne sottolineavano —
con motivazioni antitetiche a quelle che egli riteneva il naturalismo
determi- nistico, conservatore e illiberale dei nazionalisti * —
alcuni presunti elementi di continuità e sviluppo che facevano del
fascismo il « vero liberalismo ». 95 G. Bottai, Vent'anni e un
giorno (24 luglio 1943), Milano, Gar- zanti, 1949, p. 80. Di Bottai è da
vedere tutta l’antologia di Scritti, Bo- logna, Cappelli, 1965 (dove è
riportata, ad es., la conferenza del 27 marzo 1924 nella quale notò come
«attraverso il Nazionalismo si avviasse il Fascismo a compiere il primo
passo della sua rivoluzione intellettuale, inserendosi in una tradizione
politica, che potrà essere discussa, ma non negata »: p. 55). Di uno
«sforzo intellettualistico di tipo e di gusto crociano » da parte del
gruppo di Bottai parla R. Colapietra, Benedetto Croce e la politica
italiana, Bari-Santo Spirito, Edizioni del Centro librario, 1970, vol.
II, p. 548. Sul « revisionismo » di Bottai, ma con una inaccet- tabile
sopravvalutazione del suo ruolo «critico » all’interno del regime, cfr.
G.B. Guerri, Giuseppe Bottai un fascista critico, Milano, Feltrinelli, 1976,
e A.J. De Grand, Bottai e la cultura fascista, Bari, Laterza, 1978.
% Cfr. R. Colapietra, op. cit., passim. G. Bottai,
Vent'anni, cit., pp. 20-21. 8 G. Gentile, Origini e dottrina del
fascismo, cit., pp. 44-47. 46 L’Enciclopedia italiana
Nei numerosi interventi compiuti da Gentile nella prima metà del
1925 sui rapporti tra fascismo e cultura non vi sono né le contraddizioni
che vi ravvisò Formiggini”, né la difesa dell’autonomia della cultura
vista da Harris nella gentiliana « politica di conciliazione » !: comune
a tutti è la necessità — già sostenuta a proposito del problema
scolastico !" — di organizzare e legare al « nuovo ordine »,
indirizzandole se possibile verso esiti attualisti, tutte le forze
culturali del paese, con la consapevolezza che ciò è possibile solo con
la forza politica del fascismo. A Firenze, di fronte a un uditorio
politicamente composito, Gentile sostenne l’8 marzo la possibilità che
ognuno intendesse il fascismo a suo modo: « L’unità risulta da questa
molte- plicità, da questa infinità di temperamenti e psicologie e
sistemi di cultura e concezioni della vita. La forza del fascismo deriva
da questa ricchissima inesauribile fonte d’ispirazioni e connessi bisogni
ed energie spirituali. Ed esso si essiccherebbe e inaridirebbe nella
monotonia mec- canica delle formule vuote se potesse definirsi e
restrin- gersi negli articoli di un credo determinato » !”. Il
giorno dopo, parlando all’Università fascista di Bologna di pros-
sima inaugurazione, ribadî il suo concetto di libertà che si attua nello
Stato come negazione dell’individualismo egoi- stico, e di fascismo come
« ultima e più matura forma del nuovo concetto della libertà, figlia del
secolo XIX » !©. Un appello ai liberali e uno ai fascisti, per far tutti
partecipi di un unico processo storico sfociante nello Stato etico,
rite- nuto « la forma suprema e la unità cosciente e possente di
tutte le forze nazionali nel loro maggiore sviluppo suc- cessivo », che «
deve rampollare dalla stessa realtà e perciò 99 « Gentile ha
contraddetto a Roma ciò che aveva detto a Bologna, perché, affrontando
qui un grande problema culturale, quello della ÉEnci- clopedia, ha
dichiarato che intende di affratellare, formigginianamente, nella grande
impresa tutti i competenti senza distinzione di scuole e di partiti » («
L'Italia che scrive », VIII (1925), p. 106). 100 ‘H. S. Harris, op.
cit., p. 265. 101 Cfr. ad es. G. Gentile, Scritti pedagogici, III.
La riforma della scuola in Italia, cit. 102 Che cosa è il
fascismo, in Che cosa è il fascismo, cit., p. 10. 103 Libertà e
liberalismo, cit., p. 91. 47 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali aderirvi; e da questa aderenza
derivare la sua forza e la sua potenza » !*: sebbene criticato da
Treccani per le pubbliche dichiarazioni di fascismo che avrebbero potuto
pregiu- dicare l’impresa cui si erano accinti !5, Gentile svolgeva
— anche se in maniera più scoperta riguardo al fine — le stesse idee
poste a base dell’Enciclopedia. Cosî il 30 marzo, nel discorso di
chiusura del conve- gno per le istituzioni fasciste di cultura — col
quale Croce motivò il suo rifiuto di collaborare all’Enciclopedia —
Gentile obiettò a Panunzio che « il Partito fascista ha un suo vasto
contenuto ideale, senza bisogno di definire la sua dottrina e di fissare
il suo sillabo », e sostenne la necessità di immettere il fascismo
(critico degli intellettuali che stanno « alla finestra ») nella cultura,
senza bisogno di promuovere una « cultura del fascismo », poiché « il
no- x stro partito non è setta, né chiesuola. Il
nostro partito vuol essere ... il popolo italiano »; nell’attesa, tanta
parte del passato doveva essere rispettata e utilizzata:
oggi nelle università dello Stato insegnano tanti vecchi uomini, a cui
molto la nazione deve: tanti, che formarono la loro mente e l’animo loro
quando nel cuore degl’italiani, degl’italiani giovani e della guerra, non
s'era accesa la scintilla della nuova fede; e non c’inten- dono, e noi
guardiamo ad essi con sospetto, ed essi verso di noi con un sorriso sulle
labbra, con l’anima chiusa. Ebbene, questa è l’uni- versità italiana in
gran parte: questa è la vecchia Italia, che noi non possiamo cancellare;
che anzi dobbiamo pur rispettare 1°. 104 Che cosa è il fascismo,
cit., p. 37. 05 Treccani a Tumminelli, 10 marzo 1925: «Non
condivido il Suo ottimismo. La macchina v4 scossa affinché funzioni
rapidamente. Vengo a sapere che non una delle lettere ai collaboratori è
partita. Ma vi è di più: Ojetti ha scritto più volte a Gentile chiedendo
schiarimenti e non ha mai avuto nemmeno un rigo di risposta. Ma che razza
di modo di fare è questo? ... Le devo dire il vero che a me spiacciono le
conferenze che Gentile va a tenere sul fascismo nelle varie città:
l'enciclopedia non è, e non deve essere, di marca fascista... Mi
sbaglierò, ma con Gentile non incominciamo bene: egli non si rende conto
dell’enorme sacrificio e rischio mio e prende la cosa alla leggera.
Dovrebbe aver capito, indipendente- mente dal contratto che ho firmato,
che io non mi sono cacciato nell’im- presa per il gusto di buttar via
quattrini » (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato,
b. 49, sottofasc. 1). 106 Il fascismo nella cultura, in Che cosa è
il fascismo, cit., pp. 95, 99, 102, 104. 48
L’Enciclopedia italiana Nessuna concessione alla « barbarie »
dell’estremismo fascista. Anche il Manifesto degli intellettuali del
fasci- smo, frutto di quel convegno e pubblicato il 21 aprile, ebbe
valore di documento politico anche perché fu, da parte di Gentile, « un
ennesimo tentativo di aggancio all’idealismo, a tutto l’idealismo »,
compreso quello crociano, come ha osservato Colapietra !”, e presentò il
fascismo come « ricon- sacrazione delle tradizioni e degli istituti che
sono la co- stanza della civiltà, nel flusso e nella perennità delle
tra- dizioni » !*. Anche in seguito Gentile riaffermerà la
sua concezione dei rapporti fascismo-cultura. Nel discorso tenuto in Cam-
pidoglio il 19 dicembre 1925 per l’inaugurazione dell’Isti- tuto
nazionale fascista di cultura, in cui ricordò ai liberali la ben più
drastica opera riformatrice attuata dal liberale De Sanctis
nell’Università di Napoli (che due anni dopo sarà documentata da Luigi
Russo), riprese e sviluppò motivi già affermati il 30 marzo ’25 '”,
invitando a non discono- scere « una certa cultura strumentale, a norma
della quale due più due farà sempre quattro, sia che si sommino ca-
rezze sia che si sommino bastonate. E di questa cultura stru- mentale,
che è mero sapere, organizzazione di cognizioni bene accertate, critica,
erudizione, dottrina, non può essere il fascista a volersi disfare » !,
Concetti ripetuti il 16 marzo 10 R. Colapietra; op. cif., vol. II,
p. 557. 108 In E.R. Papa, Storia di due manifesti. Il fascismo e la
cultura italiana, Milano, Feltrinelli, 1958, p. 64. 109 «
Possiamo spogliarci di certe passioni della prima ora, e ricono- scere
pertanto il valore nazionale cosi di certe forme di cultura, che a noi
riescono false in quanto insufficienti, come di tanti uomini che non
ebbero occhi né cuore per vedere in alto il segno a cui avrebbero dovuto
guardare e trarre la gioventiî italiana, ma lavorarono pur seriamente,
one- stamente, a recare in campo quelle pietre, con cui la giovane Italia
ha cominciato a costruire il suo grande edifizio. Noi a quelle pietre —
i non dirlo? — non possiamo, non vogliamo rinunziare »; ma il senso
di questa apertura che Gentile raccomandava era chiarito più avanti: « Tran-
sigenza che diverrà ogni giorno più facile, via via che, adempiuto il
secondo termine, apparirà sempre più opportuno e più giusto il primo
termine del grande monito romano: parcere subiectis et debellare
superbos. Poiché non è lontano, se io non m’inganno, il giorno, in cui
tutta l’Italia sarà fascista...» (Discorso inaugurale dell'Istituto
Nazionale Fascista di cultura, in Fascismo e cultura, cit., pp.
60-62). 10 Ibidem, p. 60. 49 Il fascismo
e il consenso degli intellettuali 1926 al Senato a proposito
dell’Accademia d’Italia nata a « promuovere e coordinare il movimento
intellettuale ita- liano » (« nessuna dittatura », assicurò !', come farà
Mus- solini tre anni dopo, quando l'Accademia iniziò i suoi lavori
!); ad essi Gentile rimarrà sempre fedele, indicando come forza del
fascismo fosse la sua capacità di assorbire e superare la tradizione !5:
lo stesso criterio seguito dalla Commissione dei Diciotto per lo studio
delle riforme costi- tuzionali, da lui presieduta !‘. «
Rispettare », utilizzare e organizzare intellettuali di vario
orientamento politico e culturale era più difficile che inquadrare
nell’apparato amministrativo dello Stato fascista la burocrazia di
estrazione liberale; ma nel 1925 era opera 11 Ibidem, p.
130. 112 Nel discorso del 28 ottobre 1929 Per l'Accademia d'Italia
Musso- lini indicava fra gli accademici « uomini di origini, di
temperamenti, di scuole diverse; uomini rappresentativi di un dato
momento sono al lato di uomini rappresentativi di un momento successivo,
o attuale, o futuro. L’Accademia è necessariamente eclettica, perché non
può essere mono- corde... Nell’Accademia è l’Italia con tutte le
tradizioni del suo passato, le certezze del suo presente, le
anticipazioni del suo avvenire » (in B. Mussolini, Scritti e discorsi dal
1929 al 1931, Milano, Hoepli, 1934, p. 113 Nel febbraio 1931
scriveva che « il Regime si viene pacificamente guadagnando gli animi
nelle scuole, nelle università, nelle accademie, e in ogni libero campo di
attività letteraria od artistica. Cresce insieme spon- taneamente
l’interesse di esso per ogni forma di cultura nazionale, e si fa sempre
più profonda la sua consapevolezza, che la sua forza, che è la forza e la
potenza del popolo italiano, non si può consolidare senza l’ade- sione e
la libera collaborazione delle più rappresentative intelligenze e di
tutte le forze morali del Paese » (I/ fascismo e gli intellettuali, ora
in Origini e dottrina del fascismo, cit., p. 71). Sempre nel 1931
affermava che il fascismo «è progresso in quanto è restaurazione:
consolidamento delle basi per edificarvi su un solido edifizio, alto,
nella luce. Ogni origi- nalità senza tradizione, come ogni spontaneità
senza disciplina, è velleità sterile, non volontà virile » (Risorgimento
e fascismo, ora in Memorie To e problemi della filosofia e della vita,
Firenze, Sansoni, 1936, p. 120). 114 Nella relazione
presentata il 5 luglio 1925 da Gentile a Mussolini, si affermava che la
commissione « non ha pensato un solo momento che fosse... da sovvertire
lo Stato italiano sorto dalla rivoluzione del Risor- gimento. E cosî ha
creduto di rendersi fedele interprete dello spirito del fascismo, nato a
costruire, non a distruggere » (Relazioni e proposte della Commissione
per lo studio delle riforme costituzionali, Firenze, Le Mon- nier, 1932,
pp. XVII-XVIII). Sul significato non eversore delle proposte della
Commissione dei Diciotto, cfr. A. Aquarone, L'organizzazione dello Stato
totalitario, Torino, Einaudi, 1965, pp. 55-56. 50
L’Enciclopedia italiana necessaria, non esistendo una « cultura
del fascismo » !5. Né Volpe alla Scuola di storia moderna e
contemporanea, né Gentile all’Enciclopedia, quindi, chiesero tessere di
par- tito. Nel marzo 1929, quattro anni dopo la costituzione dell’Istituto
Treccani, la prefazione al primo volume dell’ Enciclopedia — in cui è
evidente la mano di Gentile — poteva già vantare i risultati raggiunti,
smentendo le pre- visioni degli oppositori: Il clima che ha
reso possibile un’opera come questa, alla quale non parve in passato
possibile in Italia pensare, è il nuovo spirito esploso con l'avvento del
Fascismo, che scosse idee e sentimenti e accese una passione
inestinguibile di rinnovamento e di afferma- zione della potenza
dell’Italia nel mondo... Il primo segno di questa crisi gagliarda di
rinnovamento fu la radicale riforma della scuola compiuta nel 1923; alla
quale seguirono molte altre riforme orga- niche, onde si venne
trasformando la struttura dello Stato e si get- tarono le basi di una
nuova vita nazionale demografica, economica, morale e religiosa [...]
Mai, per nessuna opera, in Italia si unirono come per l’Enciclopedia
Italiana migliaia di scrittori a collaborare con un disegno prestabilito,
sotto una costante disciplina [...] E il fatto che tanti e si può quasi
dire tutti gli studiosi d’ogni scuola e indirizzo, letterati, scienziati
ed artisti, si siano per la prima volta accordati non in un’idea da
vagheggiare, ma in un lavoro da ese- guire, e che a tutti chiedeva
disinteresse e sacrificio, per lo meno d’altri lavori di maggior
soddisfazione personale, questa grande morale concordia degli scrittori
italiani è il primo e il non meno importante frutto che in vantaggio
dell’alta educazione nazionale l’Enciclopedia potesse produrre [...]
Affinché fosse possibile tale concordia [...] fin da principio la
Direzione dell’Enciclopedia rico- nobbe l’opportunità di un ragionevole
eclettismo e di una scrupolosa imparzialità. Un’opera non di
rapida consultazione e volgarizzamento, come il Larousse, ma a carattere
monografico come la Bri- tannica, non avrebbe potuto avere carattere
impersonale, come voleva Treccani: l’ampiezza di una voce
monografica 115 Nel settembre 1925 Formiggini osservava che l’E.I.
«riuscirà la più antifascista delle enciclopedie fasciste, e ciò non per
mancanza di buona volontà di render servizio al partito che gli ha dato
ricchezze ed onori, ma perché [Gentile] si è accorto che se avesse voluto
fare una Enciclopedia fascista avrebbe trovato come unico collaboratore
volontario (e lo ammettiamo per pura e generosa ipotesi) l’on. Farinacci
» (« L'Italia che scrive », VIII (1925), p. 184). 51
Il fascismo e il consenso degli intellettuali implicava una
presa di posizione scientifica da parte di ogni autore. Ma la
molteplicità e diversità di giudizi che ne derivava avrebbe dovuto essere
ridotta a unità: l’unità che è il principio vitale di ogni libro
vivo, pare esclusa per definizione da un'enciclopedia, che, per essere
cosa seria, è di necessità opera a molte mani, e ognuno vi mette il suo
pensiero, il suo stile, la sua anima. Ed è bene che cosî sia; e noi, per
parte nostra, ci siamo studiati di fare che ognuno, entro certi
limiti, restasse, come scrittore dell’Enciclopedia, lo scrittore che egli
era. Il che per altro non abbiamo creduto che fosse per produrre
l’effetto d’un coro selvaggio di voci stonate e discordi. Non c’è
solamente l’anima del singolo. Nello stesso individuo c’è anche
l’anima della sua famiglia, del suo popolo, del suo tempo; c’è il
punto di vista e l'interesse spirituale che è suo come dei
connazio- nali e dei coetanei che vivono la stessa vita e si sono
formati nello stesso mondo spirituale. Da quest’anima più vasta, non
meno reale dell’altra che varia da individuo a individuo, scaturisce
l’u- nità di una scuola ben organizzata e diretta, e scaturisce l’unità
di un’enciclopedia ben disegnata e condotta. Un’enciclopedia
è infatti l’espressione del pensiero di un popolo e di un’epoca; e
propriamente degli elementi positivi, vitali ed attivi di questo
pensiero. Il quale evidentemente non consta della somma di tutte le idee
di tutti gl’individui, dotti e indotti, consapevoli e ignari degl’ideali
della nazione a cui appartengono e a cui sono indissolubilmente
congiunti; ma si raccoglie in sistema dalle menti che dirigono e perciò
rappresentano tutti... E il loro pensiero, presso ogni popolo, sbocca e
si fonde nella coscienza nazionale, e in ogni periodo storico ha una
forma e certi caratteri, ha un’individualità, in cui mille e mille voci
si adunano in un grande concento. Con- cordia discors 16,
Concordia non facilmente raggiungibile anche nel nuovo clima del
fascismo, come ricorderà Gentile in termini meno idillici !”. Mezzo per
attuarla, per ridurre a unità argomenti 116 E.I., I (1929), pp.
XII-XIV. 117 Ricorderà « prime difficoltà e diffidenze, ostilità
coperte e palesi » (Tribolazioni di un enciclopedista, cit.), e «
battaglie » concluse « con la vittoria sempre della Direzione, ossia dell’Enciclopedia,
e cioè di tutti. Ma, evidentemente, vittoria difficile» (Ancora delle
tribolazioni di un enciclopedista. Come si taglia e si cuce il libro per
tutti, «Il Corriere della sera », 11 febbraio 1931). Pincherle osservò
nel vol. I « differenze di opinioni e di scuola, che spesso esplodono in
battute polemiche, ora più ora meno abilmente dissimulate »
(L’Enciclopedia italiana, in « La Cul- tura», I (1929), p. 287); e Bosco,
redattore capo dell’E.I. dal 1933, ricorderà nel ’41: « Il primo compito
fu quello della raccolta delle voci: 52
L'Enciclopedia italiana diversi e autori di vario orientamento, fu
il criterio storico: affinché tale discorde concordia si
stabilisca e conservi, occorre una regola che tutti gli scrittori capaci
di contribuirvi mantenga nei limiti ciascuno del proprio carattere, non
pure per la materia che coltivano, ma anche per l’indirizzo mentale con
cui la coltivano, in guisa che tutti gli aspetti della cultura vengano a
comporsi armonicamente in un quadro coerente, com'è nelle sue note
principali il pensiero di un popolo e di un’epoca... Nessuna
intolleranza, nessuna ombrost angustia di mente. A ogni avvenimento, a
ogni dottrina, a ogni persona il suo merito e il posto in cui ciascuno
per sua virtà s'è collocato. Perciò non dottrine esclusive, come sono per
lo pi tutte le dottrine nelle menti di singoli; ma l’ordine piuttosto in
cui le varie dottrine sono possibili, malgrado le loro divergenze,
ciascuna con i suoi motivi, La stessa grande imparzialità della storia,
in cui non c'è nulla che non abbia la sua ragion d’essere. La
storia, in verità, suggerisce il metodo della trattazione che si conviene
a una enciclopedia: la storia con la sua sovrana potenza conciliatrice
delle più contrastanti esigenze dello spirito e degli aspetti più diversi
del vero. Ogni concetto o istituto, ogni religione o dottrina, ogni mito
o teoria, ogni popolo o schiatta esiste e vive nella sua storia, con la
sua origine e col suo sviluppo. E nella storia si spezza ogni dommatismo
[...] II metodo pertanto dell’Enciclopedia Italiana è il più largo
me- todo storico, cosi in ogni singolo articolo come nel sistema
generale. Grazie a questo metodo, la Direzione ha ambito di raccogliere
in- torno a sé, assegnando a ciascuno la parte sua, gli scrittori
della più varia mentalità... 118, compito dei più delicati,
perché era in questa fase che si potevano concre- tare le fondamenta
dell’edificio, e che si doveva decidere il carattere dell’Enciclopedia:
dizionario di cose, o raccolta di monografie, o qualche cosa di mezzo?
Non sono infatti mancate le divergenze: chi consultasse oggi i primi
elenchi delle voci proposte da ognuno dei direttori di sezione e, poi
stampati in forma di bozze, diffusi tra gli studiosi per raccogliere
suggerimenti, troverebbe che molto è stato cambiato » (art. cif., p.
321). 118 E.I., I (1929), pp. XIV-XV. Già nelle Avvertenze ai
collaboratori, pronte nel giugno 1925 (cfr. G. Treccani, Enciclopedia
Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., p. 37), si diceva:
«I - Nella compila- zione degli articoli, anche se teorici e dottrinali,
si avrà cura di attenersi a un’esposizione storica di quello che è stato
pensato o si pensa dagli scrittori della materia meritevoli di
considerazione; evitando al possibile ogni forma subbiettiva che dia
rilievo alla persona di chi scrive e adope- rando uno stile semplice e
sobrio. II - Sono dall’Enciclopedia bandite le polemiche. Ogni
discussione vi dev'essere mantenuta nei termini di un dibattito di valori
puramente ideali, con la cura più scrupolosa di mettere in luce anche le
ragioni delle dottrine, che lo scrittore stimi più deboli » (ibidem, p.
42). « Il metodo seguito nella trattazione dell’Enciclopedia è quello
storico, cosî in ogni singolo articolo come nel sistema generale »,
53 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
I collaboratori, aggiungeva Gentile, « operando anch’ essi nella
cultura dell’epoca, hanno nella loro stessa forma- zione spirituale la
misura del giudizio »; ma avrebbero dovuto elaborare gli elementi « vivi
e vitali » della cultura propria della « classe elevata e dirigente, la
quale s'incontra e s’intende, in un dato tempo, sullo stesso terreno, in
una comune vita intellettuale e morale » !’. Enciclopedia, quindi,
figlia del proprio tempo !?, che come tale — av- vertirà Gentile nel °38
— avrebbe rispecchiato i progressi della scienza e i cambiamenti storici
avvenuti nel corso della sua realizzazione !!. Nel ’25 l’asserita
imparzialità dell’opera — corrispon- dente ad uno stretto legame con « un
dato tempo » — comportava, accanto al « clima » del fascismo, il
ricorso all’opera di intellettuali di varia estrazione culturale e,
anche, di diverso orientamento politico: una sapiente azione di assorbimento,
testimoniata dall’ampia scelta dei direttori di sezione e dei
collaboratori, che spingerà Salvemini — incapace di comprendere i motivi
se non addirittura le mani- festazioni della politica articolata del
regime — a giudicare l’Enciclopedia « quasi esclusivamente opera di
uomini ap- partenenti alla generazione maturata prima che il
fascismo giungesse al potere », di cui Mussolini — aggiungeva
semplicisticamente — si era « attribuita la maggior parte dei meriti »
!2. avverte l'opuscolo di propaganda Enciclopedia Italiana
pubblicata sotto l’alto patronato di S.M. il Re d’Italia Imperatore
d'Etiopia, Roma, 1937, p. 6. Già nel vol. I Guido Calogero osservò il «
carattere essenzialmente storicistico » delle voci giuridiche, economiche
e politiche (« Nuovi studi di diritto, economia e politica », vol. II
(1929), p. 154). 119 E.I.,I{1929), p. XV. 12
«L’Enciclopedia sarà il monumento della cultura dell’Italia di Vittorio
Emanuele III e di Benito Mussolini », affermò Treccani il 10 gennaio 1931
(Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compi- mento, cit., p.
63); e l'opuscolo di propaganda sopra citato, p. 36: « L’En- ciclopedia è
al tempo stesso documento fedele del periodo storico in cui è nata e
contributo certo non ultimo alla formazione di quella cultura intensa,
vitale, capace di espandersi e d’imporsi che dovrà essere la cul- tura
italiana di domani». 121 E.I., Appendice I, pp. IX-X (ma già
apparsa nel 1934: cfr. V.A. Bellezza, Bibliografia, cit., n. 1118).
12 «L’Enciclopedia Italiana, che è senza dubbio superiore a tutte
le 54 L’Enciclopedia italiana 6. I
collaboratori e le proteste del fascismo estremista Il consiglio
direttivo dell’Enciclopedia costituiva, nel 1925-26, una specie di fronte
nazionale, unendo — sotto la giunta di direzione composta da Treccani,
Gentile e Tumminelli — il primo ideatore dell’opera, Martini;
glorie (diversamente fortunate) della grande guerra come Cadorna e Thaon
di Revel — quest’ultimo fino all’aprile ’25 ministro della Marina —, e De
Stefani, fino al luglio ’25 ministro della Finanze; rappresentanti della
tradizione liberale lontani dal fascismo quali Luigi Einaudi e
Fran- cesco Ruffini — che dopo il ’26 non parteciparono più
all'opera —, o cattolici come Gaetano De Sanctis; e, an- cora, Pietro
Bonfante, Ugo Ojetti e Francesco Salata, ac- canto a Vittorio Grassi,
Silvio Longhi, Ettore Marchia- fava !*. Nel comitato tecnico — composto
dai direttori delle 48 sezioni e già formato all’inizio del ?25 — vi
erano i maggiori rappresentanti della cultura italiana, da De San-
ctis (Antichità classiche) a Raffaele Pettazzoni (Storia delle
enciclopedie pubblicate dall’inizio di questo secolo, è opera di studiosi
italiani la cui formazione aveva avuto luogo già prima dell’avvento di
Mussolini. Poiché essa cominciò ad essere pubblicata nel 1929, Musso-
lini se ne è attribuita la maggior parte dei meriti. In realtà, essa fu
pro- gettata nel 1920-1921, quando, secondo la leggenda fascista,
l’Italia era “alle prese col bolscevismo”. È il più gran monumento che si
sia potuto erigere durante il regime fascista alle due generazioni di
uomini che rico- struirono la cultura italiana durante il regime
prefascista » (G. Salvemini, Il futuro degli intellettuali in Italia, art.
del 1937, ora in Scritti sul fasci- smo, Milano, Feltrinelli, 1966, vol.
II, p. 580). 183 Cfr. G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani.
Idea esecuzione compimento, cit., pp. 29, 37, 40. Einaudi (che nel ’19
era stato consigliere dell’Istituto di Formiggini) appare nel Manifesto e
nel Primo elenco di collaboratori; Ruffini solo in quest’ultimo, anche
come direttore, con Santi Romano, della sezione « Diritto pubblico ».
Sulla partecipazione puramente decorativa di Martini cfr. le lettere di
Gentile a lui, 27 gen- naio, 20 aprile, 1 maggio 1925 (BNF, Fondo
Martini); per la diffidenza sua e dei suoi amici verso l’opera — nella
cui preparazione non furono ascoltati —, la lettera di Menghini del 23
aprile ’25, e tutte quelle del '25 di Donati, che giudicava Gentile
spirito « dogmatico » e « profonda- mente «ztiscientifico », dubitando
che «la scienza italiana possa subor- dinarsi a quel vaniloquio
sciagurato ch’egli chiama la sua filosofia » (ibi dem, 3 marzo ’25), ma
riconoscendo che « l’idealismo è tanto “attualista” da trovar milioni che
i positivisti non sapevano mettere assieme » (ibidem, 9 marzo ’23).
55 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
religioni), da Federico Enriques (Matematica) a Nicola Pende
(Medicina), da Carlo Nallino (Letterature e civiltà orientali) a Santi
Romano (Diritto pubblico) a Gioacchino Volpe (Storia medioevale e
moderna). Ad essi era deman- data la scelta dei collaboratori e delle
voci !* La consultazione dei collaboratori previsti iniziò subito
dopo la costituzione dell’Istituto; nonostante la sua am- piezza, il 26
giugno ’25 Treccani poteva già annunciare che « gli uomini migliori che
l’Italia vanta in tutti i campi del sapere hanno aderito con entusiasmo;
i collaboratori sono già circa 1200 » !. In realtà, i rifiuti che
possiamo documentare — ma significativi per le motivazioni poli-
tiche — sono solo quelli di Croce e Silva. Il primo, inter- pellato,
tramite Alessandro Casati, da Volpe — la cui fun- zione all’interno
dell’Erciclopedia fu all’inizio probabil- mente più vasta di quella di
direttore di una sezione storica, in linea con la funzione di primo piano
da lui svolta, ac- canto a Gentile, nell’organizzazione della cultura
durante il fascismo —, nella risposta preannunciò quel distacco da
Gentile e dal regime che un mese dopo sarà reso definitivo dalla protesta
contro il manifesto degli intellettuali fascisti: «come volete — scrisse
a Volpe il 7 aprile — che io collabori a una Enciclopedia diretta da chi
ha pur testé, a Bologna, osato proclamare che la cultura deve
essere fascista? » !*. Motivi politici furone alla base anche del
14 Cfr. G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea
esecuzione compimento, cit., p. 35, e Primo elenco, cit., pp. 21-33.
Tutto il lavoro di preparazione (scelta dei collaboratori e formazione
dello schedario) terminò nel 1928 (G. Treccani, Racelonone Italiana
Treccani. Come e da chi è stata fatta, cit., p. 24). Su una riunione di
alcuni direttori di sezione per impostare il lavoro, cfr. la
testimonianza di Ojetti del 27 settembre ’25 (I taccuini, cit., p. 183: «
Gentile non conclude mai, chiede che i direttori si accordino »). Per i
successivi rapporti di Ojetti con la Società Treves-Treccani-Tumminelli,
editrice di « Pègaso » e « Dedalo », cfr. ACS, Segreteria particolare del
Duce, Carteggio riservato, b. 8, sottofasc. 1. 15 G.
Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione com- Dincato:
cit., p. 37. B. Croce, Epistolario, Napoli, Istituto italiano per
gli studi storici, a vol. I, p. 108. E a Casati, il 2 aprile 1925: « Dopo
il discorso di G.[entile] a Bologna, credo che mi avrai dato ragione nel
rifiuto che opposi a partecipare all’Enciclopedia. Come sarei potuto
stare alla dipen- 56 L’Enciclopedia italiana
rifiuto di Pietro Silva che, dopo aver inizialmente accettato di
collaborare, l’11 giugno ’25 — cinque giorni dopo l’ar- resto del maestro
Salvemini — scrisse a Gentile una lettera che rappresenta, come per
l’autore che solo un anno dopo accetterà la redazione di voci importanti
dell’Enciclopedia, le illusioni, le incertezze, le conversioni di
tanti. Voglia consentirmi di ritirarmi dal gruppo dei
collaboratori dell’ Enciclopedia. Nell’appello che Ella rivolse agli studiosi,
quando la grande impresa fu decisa, suonava alta e nobile la parola
della conciliazione degli spiriti nel campo degli studi e della scienza.
E tale parola, che acquistava anche maggior valore perché pronun-
ciata da Lei, mi persuase. Ma ora, purtroppo, la mia fiducia nella
possibilità di tutte le forze in una impresa di scienza, è molto scossa
per i fatti che stanno accadendo. Vedo arrestato Salvemini, il che
significa l’inizio di persecuzioni agli intellettuali non fascisti. Vedo
presentata una legge per la dispensa dei funzionari, che mira, come hanno
rilevato l’on. Salandra e l’on. Volpe, a colpire la libertà di pensiero e
l’integrità delle coscienze, anche in quel campo che Ella, nel Suo
memorabile discorso inaugurale del 1921, voleva rimanesse libero a tutte
le opi- nioni: il campo dell’insegnamento superiore. In tali
condizioni, noi che da quella legge verremo colpiti, come possiamo
rimanere a collaborare a un’opera di scienza, come possiamo continuare a
credere che in tale opera le divergenze di pensiero e di partito verranno
superate? Ecco perché le chiedo di rinunziare alla mia modesta
opera. Son certo che Ella apprezzerà al giusto valore questo mio
atto...1? Gentile dovette apprezzare piuttosto le pronte e nu-
merose adesioni che assicurarono all'impresa l’appoggio dei principali
rappresentanti della cultura italiana. Il Prizzo elenco di collaboratori
dell’Enciclopedia Italiana, pubbli- cato nella primavera del 1926, ne
annoverava 1.410, quasi la metà dei 3.266 che daranno il loro contributo
a tutta l’opera fino al 1937 !*. Non appaiono ancora alcuni dei
denza di un direttore, che ha quelle idee sulla cultura? »
(Epistolario, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, 1969, vol.
II, p. 89). 12? Archivio dell'Istituto dell’Enciclopedia Italiana,
Roma [d'ora in avanti AEI], Lettere, Silva. Su Silva storico e sui suoi
rapporti col fasci- smo cfr. il ritratto che ne ha fatto nel 1954 Volpe
(Storici e maestri, Firenze, Sansoni, 1967, pp. 97-101). 128
La data di pubblicazione del Prizzo elenco (non. indicata) si deduce
dalle polemiche giornalistiche che suscitò, dell’aprile 1926.
57 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
futuri « pilastri » dell’Erciclopedia, come Alberto Pin- cherle, Antonino
Pagliaro, Federico Enriques. Si leggono già, invece, i nomi di Antonio
Aliotta e Armando Carlini, Giovanni Calò ed Ernesto Codignola, o di
Romolo Cag- gese !?, Raffaele Ciasca, Federico Chabod, Antonio
Banfi, Piero Calamandrei, Rodolfo Mondolfo, Vito Fazio Al- lmayer,
Augusto Guzzo, e ancora tanti, da Arturo C. Jemolo a Luigi Russo, da Nino
Cortese a Michelangelo Schipa, oltre ad alti esponenti del mondo
cattolico, come i gesuiti Pietro Tacchi Venturi ed Enrico Rosa, e il
fran- cescano Agostino Gemelli. Il Primo elenco registra
anche il nome di quanti, dopo essere stati invitati e aver accettato, non
collaboreranno all'opera. La maggioranza di essi è costituita da persone
cul- turalmente poco rappresentative: accanto a professori di scuola
media superiore o scarsamente noti professori uni- versitari, troviamo
militari, professionisti, o non qualifi- cati cultori della materia. La
loro cospicua scomparsa (487 sui 1.410 annunciati) dall’elenco finale
degli effettivi colla- boratori, per essere sostituiti da studiosi pit
qualificati, potrebbe indicare, da un lato, un aumento reale dei
settori accademico e di ricerca, dall’altro, una maggiore progres-
siva adesione da parte degli esponenti dell’alta cultura, dapprima
diffidenti verso l’iniziativa gentiliana. Vi sono tuttavia, fra i
collaboratori previsti dal Primzo elenco che poi non parteciperanno
all’opera, anche perso- naggi la cui iniziale accettazione val la pena di
essere sotto- 129 Il 12 giugno 1925 Caggese scriveva a Volpe, che
lo aveva invitato a collaborare: « Niente pregiudiziali politiche, anche
perché io sono com- pletamente fuori di ogni attività politica, ben
sicuro come sono che è nostro primo dovere d’italiani non complicare in
alcun modo una situa- zione non lieta. Vivo nella solitudine pivi
assoluta, lavoro molto e, in confidenza, non potrei in alcun modo
partecipare alle vicende politiche perché sono troppo indulgente e,
ahimè!, ancor troppo sentimentale e bonario. Passare con i forti non
posso perché non è lecito a noi, uomini di studio, dare lo spettacolo di
voler “profittare” comunque; esaltare i cosi detti deboli non posso,
perché moralmente sono proprio essi quelli che nell’immediato dopo-guerra
hanno scatenata la guerra civile. Non mi resta che fare il buon cittadino
che rispetta tutte le leggi del suo paese, e augurare che presto
ritornino i saturnia regna!, e che i deputati si somi- glino [...].
Dunque, collaborerò volentieri, anche perché non vorrei dire di no
proprio a te » (AEI, Lettere, Caggese). 58 L'Enciclopedia
italiana lineata: non tanto le personalità politiche chiamate a
dar lustro all’impresa, la cui adesione è una riprova — assieme
alla presenza di uomini poco rappresentativi nel campo scientifico — del
significato non strettamente culturale che l’Enciclopedia voleva avere
!*, quanto liberali come Ales- sandro Casati e Olindo Malagodi, o uomini
come Adelchi Baratono, Bernard Berenson, Santino Caramella,
Ludovico Limentani. Pochissimi fin d’ora gli stranieri,
conforme al criterio ispiratore dell’opera. La pubblicazione
del Primzo elenco di collaboratori provocò le proteste del fascismo
estremista. Su « Il Te- vere » da lui diretto il 25 aprile Telesio
Interlandi, dopo aver approvato le dichiarazioni di imparzialità e
apoliticità dell’Enciclopedia, affermava: Prima che
l'Istituto Treccani, superiore a tutti i partiti politici s'è dichiarato
il Fascismo, che è superiore allo stesso partito che fascista si
intitola; appunto perché il partito fascista ha una fun- zione tattica contingente
e mutevole, laddove il Fascismo è quella tale coscienza nazionale di cui
più su si parlava. Cosî stando le cose, l'onorevole Consiglio direttivo
dell’Istituto ha fatto bene ad espellere i partiti politici
dall’Enciclopedia, ma benissimo avrebbe fatto ad accogliervi il Fascismo.
È stato accolto il Fascismo, in un’opera che vuole essere il monumento
culturale dell’età nostra e. alla quale attingeranno per i loro bisogni
spirituali molte e molte genera- zioni di italiani e di stranieri?;
vi erano ugualmente rappresentati, continuava Interlandi, fascismo
e antifascismo, impersonato quest’ultimo da alme- no 90 firmatari del
Manifesto degli intellettuali antifascisti, come Luigi Einaudi, o Santino
Caramella in procinto di essere allontanato dalla scuola « per le sue
prodezze al congresso dei filosofi »: era necessario fare a meno di
simili collaboratori, per evitare un’enciclopedia « impar- ziale [...] in
cui avrà posto l’esaltazione delle categorie democratiche e di
quelle fasciste » !. 13 Giuseppe Belluzzo, Paolo Boselli, Ettore
Ciccotti, Balbino Giu- liano, Giovanni Giuriati, Achille Loria, Gaetano
Mosca, Antonio Salan- dra, Bonaldo Stringher, ecc. 131
Considerazioni sopra un elenco di enciclopedici, in «Il Tevere », 24-25
aprile 1926 (editoriale). 59 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali L’articolo di Interlandi,
parzialmente ripreso da « La Tribuna » — che da poco si era fusa con «
L’Idea Nazio- nale » ed era passata sotto la direzione del
nazionalista Forges Davanzati '* —, dette modo a Gentile di
precisare le sue idee sul rapporto cultura-fascismo: in una lettera
aperta inviata il 28 aprile al direttore de « La Tribuna » affermò che,
su questo problema, il Pnf aveva « ormai direttive precise », come dimostrava
l’approvazione, da parte del duce e de «L’Idea Nazionale », del
discorso gentiliano tenuto il 19 dicembre 1925 per l’inaugurazione
dell’Istituto nazionale fascista di cultura. Il fascismo, obiet- tava a
Interlandi, non è venuto a distruggere, ma a edificare [...]
Intende bensî ani- mare tutta la vita nazionale di un’ardente passione
politica, che è passione morale e religiosa di creazione di superiori
valori; ma non tollera, non può tollerare che questa passione abbia a
disperdersi e inaridire in vuote formule superstiziose, e in gare ein
cacce di persone od esibizioni di tessere tante volte, ahimé, turpemente
abu- sate e sfruttate! Quasi che l’Italia fascista da noi vagheggiata
potesse essere quella che si avrebbe il giorno in cui i famosi quaranta
milioni d’ogni sesso od età fossero iscritti tutti nel Partito.
« Gli uomini da adoperare », quindi, dovevano essere « quelli che
per attitudini e preparazione potranno più utilmente aiutarci nella
realizzazione della nostra idea. Cosî ha fatto sempre Benito Mussolini
con la sua sicura volontà realizzatrice. E chi fa della politica dove c’è
da risolvere un problema tecnico, non fa politica, ma spro- positi
»; io — continuava Gentile facendosi forte della sua posizione
politica — mi riterrei indegno della tessera che il Partito Fascista mi
offri 13 Polemizzando con Forges Davanzati critico del «
culturalismo » (cfr. il suo Fascismo e cultura, Firenze, Bemporad, 1926),
« Vita nova » — la rivista di Arpinati molto vicina a Gentile — affermava
le carenze del nazionalismo in campo culturale, mentre « per fare della
cultura bisogna sul serio mettersi al lavoro, e quindi in vece di parlare
di essa da un punto di vista strettamente politico, cosa più saggia sarebbe
indicare i mezzi valevoli per promuovere efficacemente un vero
rinnovamento cul- turale », perché la cultura « deve essere la più grande
forza del nostro regime » (Rusticus [Giuseppe Saitta], Politica e
cultura, in « Vita nova », II (1926), p. 61). i 60
L’Enciclopedia italiana nel maggio del ’23, quando ravvisò
in me uno dei precursori e un fascista che faceva sempre sul serio, se
scoprissi in me una mentalità cosi gretta da non distinguere la politica
dalla tecnica in un’opera che riuscirà un grande esame sostenuto dal
pensiero e dal carattere degl’ Italiani innanzi a tutte le nazioni
civili, la maggior parte delle quali ci precedette in questo arringo: se
per gusto inopportuno di chiuder- mi nella rocca forte dei miei camerati,
trascurassi di adoperare tutti gli elementi e tutte le forze che l’Italia
può fornirmi alla costruzione di questo gran monumento nazionale [...]
Questo, per me, è fasci- smo. È quel fascismo che può affermare con
giusto orgoglio: ic non sono partito, ma sono l’Italia, È il fascismo che
può e deve chiamare a raccolta per ogni impresa nazionale tutti
gl’Italiani: anche quelli dell’anzizzazifesto. I quali, se risponderanno
all’appello, non verranno (stia pur tranquillo Interlandi) per fare
dell’antifa- scismo: verranno, almeno nell’Enciclopedia, a portare il
contributo della loro competenza: a far della matematica o della chimica
o della fisica, e insomma della scienza 193. La distinzione
gentiliana di scienza e politica non con- vinse Croce !*, né, per ragioni
opposte, Interlandi, il quale replicando a Gentile affermò che «in nome
della com- petenza [...] oggi si affida a molti, a troppi
competenti antifascisti, la compilazione d’un’opera che a parer
nostro non dovrà essere solamente un monumento di tecnica, ma
133 L’Enciclopedia italiana e il fascismo, ora in Fascismo e cultura,
cit., pp. 111-115. 13 Già il 27 aprile Croce scrisse a
Casati: « Hai visto come [Gentile] tratta i collaboratori non fascisti?
Hai visto che li considera apportatori di pietre al monumento culturale
del fascismo? [...] io previdi chiaramente quello che sarebbe avvenuto,
quando rifiutai l’adesione, che tu mi chie- devi, all’Enciclopedia »
(Epistolario, cit., vol. II, p. 96). E nel maggio, in una recensione
critica di un articolo di V. Arangio Ruiz su L'individuo e lo Stato,
osservò come, « anche chi, in questi tempi, è andato incauta- mente
predicando che scienza e politica sono tutt'uno e che la cultura
dev'essere asservita a un partito o a una frazione, debba in fretta e furia,
per salvare le proprie intraprese, tentar di ristabilire la differenza,
come si è visto nei giorni scorsi, nelle discussioni levatesi a proposito
di una certa “Enciclopedia” » (« La Critica », XXIV (1926), p. 183). In
risposta a Croce, « Vita nova » difese tutta la concezione di Gentile sui
rapporti scienza-politica, concludendo con l’identificazione gentiliana e
fascista del partito con lo Stato: «Si dirà che l’intento [dell’E.I.] è
politico perché la scienza, lî, vuol riuscire a un monumento nazionale, e
il nazionalismo del Gentile è il fascismo? Ebbene il Croce, lui, ch’è
cosî fino nelle distin- zioni quando gli fanno buon giuoco, sa benissimo
che questo fascismo non è più un partito o una fazione. Egli sa
benissimo, dunque, che è del tutto erroneo affermare che il Gentile sia
andato predicando che la cul- tura debba essere asservita al fascismo
inteso in quel senso » (Urbanus, Piccolezze di un grand’uomo, in « Vita
nova », II (1926), n. 6, p. 57). 61 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali un monumento del nostro tempo che, se
non erriamo, è tempo fascista [...] Se l’“Enciclopedia” i fascisti non
la sanno fare, perché non sono “competenti”, ebbene, non la
facciano; ne faremo a meno. Non perirà per questo né il Fascismo, né l’Italia
» !9. Affermazione decisamente contestata da « La fiera letteraria » che
il 2 maggio — pur ‘assicurando sulla scarsa libertà di movimento dei 90
fir- matari dell’antimanifesto, sottoposti come tutti i collabo-
ratori al controllo dei direttori di sezione, e quindi dei « loro capi
gerarchici » Treccani e Gentile, che « rispondono del loro operato
dinanzi alla Nazione e al mondo » — difese la posizione gentiliana e la
necessità di una vasta politica culturale da parte del fascismo:
nessun Governo come l’attuale ha fatto dei problemi della cultura
nazionale oggetto di tanti progetti e di cosî evidenti preoccupazioni.
Una cosa è dunque polemizzare e altra cosa è agire. Cosi una cosa è
criticare l’operato degli Enciclopedisti, e altra cosa è fare una
Enciclopedia. Da questa specie di dilemma non si esce se non dichiarando,
come qualcuno ha fatto, che qualora l’Enciclopediu Italiana non possa
farsi senza il concorso dei novanta reprobi, è meglio che non si faccia.
Ma non può sussistere una politica intel- lettuale o culturale di un
grande partito fondata sopra simili para- dossi 1%, La
polemica tra Interlandi e Gentile, tra il fascismo « rivoluzionario » e
quello « tradizionalista », si concluse a favore di quest’ultimo. La
lettera — provocata proba- bilmente dal primo articolo de « Il Tevere » —
inviata il 7 maggio dal segretario particolare del duce,
Chiavolini, al segretario del Pnf Turati, con « un elenco dei
collabo- 135 I} senso del Fascismo e l’Enciclopedia, in « Il Tevere
», 28-29 aprile 1926 (editoriale). 1% Gli attacchi contro
l'Enciclopedia. Politica e Cultura, in « La fiera letteraria », 2 maggio
1926 (editoriale). Gli attacchi dovettero continuare, se il 18 settembre
1927 Ernesto Codignola avvertiva Gentile che i suoi avversari, ostili
alla sua permanenza nel Consiglio superiore della Pub- blica istruzione,
« potrebbero forse chiedere e ottenere anche il tuo ‘allontanamento
dall’Istituto di Cultura e dall’Enciclopedia. Tutto questo sarebbe molto
grave per te e per le nostre idealità comuni, ma sarebbe ‘ancora più
grave per le ripercussioni che avrebbe nel paese, già troppo po Vem e
perplesso in questo momento » (Archivio Ernesto Codignola,
irenze). 62 L’Enciclopedia italiana
ratori dell’Enciclopedia Treccani già firmatari del noto manifesto
degli intellettuali aventiniani », non ebbe grande effetto, anche se ad
essa — e non a un ripensamento dei collaboratori previsti — fosse da
attribuire l’abbandono dell’Enciclopedia da parte di 23 (fra cui Einaudi
e Ruf- fini) degli 85 intellettuali nominati '”. I principali
colla- boratori « non fascisti » annunciati — cui altri se ne ag-
giunsero —, firmatari o meno del contromanifesto crociano, parteciperanno
all’opera, e tre firmatari, Carrara, De San- ctis e Levi della Vida, vi
rimarranno anche dopo il rifiuto del giuramento fascista richiesto nel
’31 ai professori uni- versitari !*, Le polemiche del
fascismo estremista contro l’Enci- clopedia cessarono nel 1926, quando
proteste come quelle del contromanifesto o del VI Congresso nazionale di
filo- sofia non ebbero più possibilità di sbocchi politici; « non
c'è più un’opposizione antifascista; e tutti son pronti a servire il
Regime, che è lo Stato », affermerà Gentile nel °29 invitando gli iscritti
al Pnf ad « accettare la collabo- razione degli italiani capaci ed
onesti, anche non fascisti »: « dal 1925 al 1929 anche l’Italia
intellettuale ha fatto molto cammino, e l’antifascismo va buttato,
finalmente, in soffit- ta » !*. Tuttavia, se l’opposizione politica era
schiacciata, la stessa opera gentiliana di « conciliazione » stava
diven- tando meno necessaria fin dal ’26, con l’inizio della
costru- zione dello Stato totalitario. Ma l’Enciclopedia era ormai
avviata, e poté continuare con la collaborazione di quanti — seppure in
alcuni casi critici verso il suo direttore o verso il regime — avevano
aderito all’impostazione « na- zionale » che Gentile aveva dato all'opera
nel ’25!. 137 ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato,
b. 49, sottofasc. 1. 138 Per i rapporti di De Sanctis e Levi
Della Vida con Gentile e YE.I. cfr. G. De Sanctis, Ricordi della mia
vita, Firenze, Le Monnier, 1970, e G. Levi Della Vida, Fantasmi
ritrovati, Venezia, Neri Pozza, 1966. 139 G. Gentile, Fascismo e
Università, in « Educazione fascista », VII (1929), pp.-613-614.
140 Volpe nega l’esistenza di contrasti politici fra i collaboratori,
che erano «di ogni colore politico» (Giovanni Gentile, cit., p. 359);
cosî Fortunato Pintor (che fu direttore della sezione « Biblioteche »),
per il quale Gentile « raccolse intorno a sé e indirizzò ad un concorde e
disci- 63 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali Discussioni o contrasti si trasferirono per il
momento all’interno dell’Enciclopedia, nell’ambito delle scelte
cultu- rali: il punto di maggior frizione — su cui ci soffermiamo
perché essenziale alla comprensione dei condizionamenti esterni
dell’opera — fu il settore religioso, dove Gentile dovette fronteggiare
fin dal ’25 la pressione del mondo cattolico, che per acquistare un ruolo
egemonico nella cultura italiana fu pronto a sfruttare la politica di
riavvi- cinamento alla Chiesa promossa da Mussolini. 7.
L’ipoteca cattolica Le dichiarazioni di imparzialità di Treccani e
Gentile avevano trovato subito un esplicito correttivo nell’accet-
tazione del controllo ecclesiastico. Nella prima riunione del consiglio
direttivo dell’Istituto, il 26 giugno 1925, Trec- cani — dopo aver
ricordato le incomprensioni e le critiche con cui l’iniziativa era stata
accolta — aveva precisato: L’Enciclopedia nostra deve
corrispondere ai sentimenti tradi- zionali degli Italiani e perciò, deve
essere non solo patriottica, ma anche bene accetta alla Chiesa. Per
raggiungere questo scopo, un ac- cordo è già intervenuto; Padre Pietro
Tacchi Venturi, della Compa- gnia di Gesù, dirigerà la sezione per le
materie ecclesiastiche e sotto la sua guida collaboreranno altri
ecclesiastici, tra i quali Mons. Gramatica e Padre Rosa !4%.
plinato lavoro migliaia di studiosi italiani e stranieri, di ogni credenza
e di ogni scuola: accolti con uguale fiducia i dissenzienti dalla sua
filosofia, gli avversari delle sue idee politiche » (Giovanni Gentile
negli studi storici e letterari, in Giovanni Gentile. La vita e il
pensiero, Firenze, Sansoni, 1950, vol. II, pp. 147-148). Più sfumata la
testimonianza di Arnaldo Momigliano: se Giglioli, Fedele, Volpe e Gentile
« non chiedevano, e nemmeno desideravano, che si diventasse fascisti
[...] per lo stesso fatto di entrare nelle Università, nelle Scuole
storiche e nella Enciclopedia, ci si inseriva in organismi fascisti, dove
l'imbarazzo era costante e la cautela diventava abito. Il motto che Croce
ci dava il pane spirituale e Gentile ci dava il pane materiale ricorse
allora più di una volta in con- versazione. Una solidarietà implicita si
stabiliva tra coloro che erano di sentimenti antifascisti alla Università
o alla Enciclopedia » (Appunti su F. Chabod storico, in «Rivista storica
italiana », LXXII (1960), pp. 643-644). 141 G. Treccani,
Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione com- pimento, cit., p.
38. Le Avvertenze ai collaboratori assegnavano agli argo- 64
L'Enciclopedia italiana La presenza stessa di ecclesiastici
de « La Civiltà cat- tolica », in posizione privilegiata e non in nome
del tanto invocato criterio della competenza, indica — prima ancora
di poter esprimere un giudizio sulla sua efficacia — una forte
incrinatura nell’impostazione gentiliana dell’opera. L’accordo di
Treccani corrispondeva al processo di avvici- namento in atto fra Stato e
Chiesa — il gesuita Tacchi Venturi fu in quel periodo trait-d’urzion fra
Mussolini e il Vaticano !'* —, ma contrastava con la concezione « agoni-
stica » dei rapporti fra i due poteri propria di Gentile, fedele alla
formula cavouriana e contrario alla conciliazione di diritto '*.
L’ingerenza della Chiesa, che proprio negli anni ’20 scagliò la sua
offensiva in campo culturale contro l’idealismo come principale obiettivo
da colpire, fu con- trastata ma, soprattutto dopo il ’29, sempre più
subîta da Gentile. L'impostazione iniziale data all’Enciclopedia,
per cui avrebbe dovuto registrare tutti gli indirizzi culturali e
affidarsi ai competenti di ogni materia, fu — unita all’ac- cordo di
Treccani — un’arma a doppio taglio di fronte alla organizzazione vasta e
articolata della cultura cattolica che sotto la protezione « politica »
dei gesuiti poteva ora utilizzare la capacità di penetrazione della
neoscolastica, dal 1924 istituzionalmente rafforzata col
riconoscimento statale della Cattolica di padre Gemelli '!#. Ma è
anche menti religiosi il primo posto nel punto III: « Delle
materie religiose e filosofiche, morali e politiche gli scrittori
dell’Enciclopedia avran cura di parlare con rispetto assoluto dell’altrui
pensiero e coscienza, in modo da consentire che all’Enciclopedia insieme
collaborino uomini di ogni fede e di ogni dottrina che abbia un suo
valore. A tutti i collaboratori dev’esser possibile incontrarsi sopra un
medesimo terreno, dove ognuno, pur mantenendo, com'è necessario, i propri
convincimenti, usi tuttavia un linguaggio che gli altri possano
ascoltare. Tutti i collaboratori sentiranno che soltanto cosî
l’Enciclopedia Italiana potrà riuscire, com'è suo propo- sito, un lavoro
a cui partecipano tutte le forze vive della scienza e dell’ingegno
italiano » (ibidem, p. 42). 14 Cfr. F. Margiotta Broglio, Italia e
Santa Sede dalla grande guerra alla Conciliazione, Bari, Laterza, 1966, passim,
e M. Scaduto S.]., Il P. Pietro Tacchi Venturi. 1861-1956, «La Civiltà
cattolica », 107 (1956), vol. II, pp. 45-47. 143 Cfr. R. De
Felice, Mussolini il fascista, II. L'organizzazione dello Stato fascista
1925-1929, Torino, Einaudi, 1968, pp. 405-407. 14 Cfr. C. Vasoli, I
neoscolastici e la cultura italiana, ora in Tra cul- tura e ideologia,
Milano, Lerici, 1961, pp. 419-457, e P. Rossi, La filosofia
65 Il fascismo e il consenso degli intellettuali vero
che, nonostante le polemiche molto accese proprio con i neoscolastici, il
« laicismo » gentiliano conteneva molte falle: l’importanza crescente
assunta nella filosofia di Gen- tile da una religione ambiguamente
intesa, dai Discorsi del 1920 su su fino alla voce enciclopedica del 1936
e alla con- ferenza del 1943 su La mia religione; la coscienza,
matu- rata dopo la guerra, del « problema politico » della
religione necessaria al rinnovamento della cultura da parte di uno
Stato non più agnostico che, « senza combattere in nessun modo nessuna
particolare forma religiosa, riconosca ed affermi il valore della
religione com’essa vive attraverso tutte le forme » !9; il generico
spirito « religioso » attri- buito ai « profeti » del Risorgimento (non
solo Mazzini e Gioberti), sottolineando però — come per Capponi — «
l'impossibilità di astrarre una indeterminata e vaga reli- giosità
mistica dal complesso concreto della vita storica ita- liana, intimamente
cattolica » !f: tutto ciò favoriva la trattazione di temi religiosi — in
un’opera rivolta a valoriz- zare la civiltà romana e italiana —, e
costituiva almeno la premessa per uno scontro duro e incerto nei
risultati, fra l’attualismo che si considerava « vera religione », e le
forze cattoliche chiamate a dare il loro contributo. Ma l’accordo
citato da Treccani era destinato a far pendere la bilancia a favore di
queste ultime, per cui è probabile che l’Enci- clopedia abbia assolto,
nel campo dell’alta cultura, la stessa funzione favoreggiatrice del
pensiero confessionale svolta dalla riforma scolastica nel settore
dell’educazione elemen- tare (e poi media)”. neoscolastica e
i suoi orientamenti storiografici, ora in Storia e filosofia. Saggi sulla
storiografia filosofica, Torino, Einaudi, 1969, pp. 70-91. 145
Discorsi di religione, ora in La religione, Firenze, Sansoni, 1965, pp.
312-313. 16 Ibidem, p. 290. 147 Si pensi agli
interventi di Gentile a difesa della riforma scolastica (Scritti
pedagogici, III. La riforma della scuola in Italia, cit.), nei quali
prevale, sull’idea del confronto fra pensiero laico e cattolico, il
concetto dello Stato non agnostico ma educatore, per concludere che «in
Italia, se lo Stato è coscienza attiva nazionale, coscienza dell’avvenire
in fun- zione del passato, coscienza storica, esso è coscienza religiosa
cattolica » (ibidem, pp. 198-199). Sul « laicismo » e la concezione
gentiliana del catto- licesimo come elemento essenziale della tradizione
nazionale italiana, cfr. 66 L'Enciclopedia italiana
Gentile cercò di contrastare l’offensiva cattolica, come
dimostrano l’organizzazione iniziale delle sezioni di argo- mento
religioso e i loro successivi cambiamenti. La sezione « Materie
ecclesiastiche » affidata a Tacchi Venturi, di cui aveva parlato Treccani
il 26 giugno ’25, non compare nel Primo elenco di collaboratori
dell'inizio del 26, quando le trattative col Vaticano segnavano il passo;
appaiono invece quella di « Filosofia, Educazione e Religione »
sotto la direzione di Gentile, conforme alla concezione per cui « la
religione [...] solo idealmente è distinta dalla filosofia, laddove in
realtà ogni religione è sempre una filosofia, e ogni filosofia, se degna
del suo nome, è una religione » !*, la sezione « Geografia sacra » sotto
la guida di mons. Luigi Gramatica, e quella di « Storia delle Religioni »
con Raf- faele Pettazzoni, che fra i primi aveva introdotto stabil-
mente in Italia la corrispondente disciplina, cui Gentile riconosceva,
sia pur con alcune cautele, validità scientifica !9. Nel primo volume dell’Enciclopedia
invece, uscito nel marzo 1929 subito dopo i Patti Lateranensi, la
generica sezione « Materie ecclesiastiche » diretta da Tacchi Ven-
turi (probabilmente non limitata all’agiografia sacra o alla liturgia) si
affiancò a quelle già citate di Gramatica e Pet- tazzoni, alla sezione
diretta da Gentile che assunse il titolo « Storia della Filosofia e
Storia del Cristianesimo » dove, accanto alla significativa scomparsa
della « Pedagogia » e della « Religione » (non sappiamo se come la prima
assort- bita dalla « Filosofia » o dalle « Materie ecclesiastiche »),
si registra il tentativo gentiliano di controllare — tramite
Omodeo, come vedremo — la « Storia del Cristianesimo ». All’inizio del
1930 (vol. V) «Filosofia e pedagogia » e « Storia del cristianesimo »
risultano distinte, entrambe sempre dirette da Gentile; ma poco dopo, nei
primi mesi del 1931 (vol. XI), « Storia del cristianesimo » è scom-
le osservazioni di A. Lo Schiavo, La religione nel pensiero di Giovanni
Gentile, in « La Cultura », n.s., VI (1968), pp. 354-357. 18 Il
carattere religioso dell’idealismo italiano, ora in La religione, cit.,
p. 439. 19 Cfr. ibidem, pp. 449454, la recensione del 1922 alla
Storia delle religioni di G. Foot Moore. 67 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali parsa: assieme al
ritiro di Omodeo, ciò può essere inter- pretato come un indebolimento
della posizione gentiliana in questo settore, e un rafforzamento delle «
Materie eccle- siastiche » di Tacchi Venturi. L'offensiva
ecclesiastica è evidente anche nel campo dei collaboratori: mentre nel
Prizzo elenco gli ecclesiastici so- no 34 (pari al 2,4% del totale dei
collaboratori), di cui solo 5 gesuiti (di fronte a 13 francescani), nel I
volume (1929) sono già nella percentuale in cui parteciperanno a
tutta l’opera — oltre il 4%, di cui il 27% è formato di gesuiti che
costituiscono il gruppo più numeroso; ap- paiono fin da ora i più
eminenti: oltre a Tacchi Venturi, Carlo Bricarelli, Enrico Rosa e Alberto
Vaccari — e, se si eccettuano Omodeo e Pincherle (storia del
cristianesimo), egemonizzano gli argomenti religiosi (agiografia e
storia della chiesa in particolare); accanto agli ecclesiastici,
nel I volume appaiono anche professori di Istituti cattolici romani
e della Cattolica — questi ultimi in numero di 6 — che, osservava « La
Civiltà cattolica » del 21 dicembre 1929, « per sincerità di fede
affidano chi consulti quest’o- pera » 1°, L'assalto cattolico
all’Enciclopedia era cominciato meno di un mese dopo la costituzione
dell’Istituto Treccani e prima ancora che fosse annunciato l’accordo
intervenuto con le autorità ecclesiastiche: il 26 marzo ’25 padre
Ago- stino Gemelli — fondatore della Cattolica e paladino della
neoscolastica, e uno dei maggiori critici dell’attualismo — aveva offerto
il contributo suo (gratuito) e dei suoi « amici » — proponedo per sé temi
di psicologia !, di cui si occu- perà nell’Exciclopedia assieme all’altro
argomento in cui era « competente », la Neoscolastica,' voce tutta
impostata in senso anti-idealistico —, confutando coi fatti il
giudizio negativo espresso politicamente su di lui e su tutta la
cul- tura cattolica dal gentiliano Giuseppe Saitta!”. 150
[G. Busnelli], L’« Enciclopedia Italiana », in «La Civiltà catto- lica »,
80 (1929), vol. IV, p. 538. 151 AEI, Lettere, Gemelli.
152 Rusticus [Giuseppe Saitta], L’Enciclopedia cattolica, in «Vita
nova », II (1926), n. 4, p. 62: « L’infaticabile Padre Gemelli ha
lanciato 68 L’Enciclopedia italiana:
Gentile accettò la collaborazione di Gemelli e del gruppo neoscolastico,
seguendo il criterio per cui l’opera doveva essere specchio fedele di
tutte le correnti intellet- tuali del paese. A questo criterio si ispirò
anche Adolfo Omodeo, cui Gentile affidò fin dall’inizio
l’organizzazione del settore religioso da lui diretto. Lo storico del
cristia- nesimo, le cui lettere e la cui nota vicenda personale
sono guida illuminante per seguire il peso crescente assunto all’
interno dell’Enciclopedia da Tacchi Venturi e dagli ecclesia stici
(soprattutto gesuiti), preparò elenchi di voci sull’e- sempio della
Britazzica — cercando di impedire, con una trattazione storica degli
argomenti, gli interventi dogmatici dei collaboratori cattolici * —, e
assicurò il contributo di esponenti dei diversi indirizzi religiosi: gli
allievi di Buoniaiuti con in testa Alberto Pincherle !*, e il
gruppo l’idea di contrapporre alla enciclopedia “Treccani” diretta
dal Gentile una enciclopedia cattolica. L’idea è buona, anzi ottima, e
noi l’approviamo, perché cosi l’illustre frate che ha il merito di aver
fondato un Istituto Universitario del Sacro Cuore, di cui ancora
ignoriamo i risultati, dimo- strerà per l'ennesima volta che il pensiero
cattolico nulla ha da dire di veramente nuovo nel dominio scientifico. Si
fa presto a trovare i milioni, ma ciò che è difficile, difficile assai, è
trovare le teste, e di teste colte, sapienti, con tutta la buona volontà,
non ne scopriamo molte nel campo cattolico ». 153 Il 28
dicembre 1926 scriveva a Gentile: « Non sono riuscito a intendere bene il
criterio secondo cui è stabilito lo sviluppo da dare alle singole voci.
Noto che anche gli argomenti cattolici sono contenuti entro limiti molto
pi ristretti che nell’E.B. [Enciclopedia Britannica]. Ciò non può
dipendere dal fatto che sono aumentate le voci. Le voci aggiunte non mi
pare che superino i nomi di teologi e pastori protestanti da me depennati
l’anno scorso dagli elenchi dell’E.B. Può darsi che questo sia un
criterio già fissato (di restringere gli argomenti di storia cristiana ed
ecclesiastica). Badi però che c’è un pericolo, specialmente con la
collabo- razione dei cattolici: di rendere questa parte dell’Enciclopedia
completa- mente insignificante come i trattati e i manuali correnti nei
seminari, che nessuno consulta. Massima obbiettività e pura esposizione
dei problemi: sta bene. Ma quella gente non si contenta di questo. Vuole
che i problemi siano ignorati, il che significa tradire lo scopo principale
dell’Enciclopedia. È di ieri la condanna d’un manuale ortodossissimo di
storia ecclesiastica corrente nei seminari, pel solo fatto che
onestamente informava dei punti + Ag dei non ortodossi » (G. Gentile-A.
Omodeo, Carteggio, cit., p. 369). 154 A Gentile, s.d. (ma
1925): « Ognuno del loro gruppo sceglierà le voci che meglio rispondono
alla loro preparazione e le tratterà. Ciò non vincola menomamente
l’atteggiamento che noi o essi crederemo o crede ranno di prendere in
altre opere, negli apprezzamenti reciproci. L’Enci- 69
Il fascismo e il consenso degli intellettuali di «
Bilychnis » per la storia del protestantesimo ‘5. Ma, fin dal 1926, le
sue lettere a Gentile rivelano le pressioni e poi il deciso intervento
censorio degli ecclesiastici, che alla fine del ’29, forti degli accordi
dell’11 febbraio, co- stringeranno Omodeo ad abbandonare il lavoro
all’Enciclo- pedia, dove sarà sostituito da Pincherle '*, Da
questo momento i gesuiti predomineranno nel set- tore, e « La Civiltà
cattolica », stendendo un bilancio dei primi tre volumi dell’opera,
poteva profondersi in lodi, pur lamentando che parecchie voci fossero
state affidate «a laici non solo, ma di sensi non cattolici, quali il
Pincherle e l’Omodeo »: Una particolare menzione
[...] merita il saggio consiglio preso dall’Istituto Treccani di affidare
in avvenire la direzione della Sezione Materie ecclesiastiche e la
compilazione degli articoli nei quali più facilmente possono trascorrere
abbagli ed errori, ad ecclesiastici dell’uno e dell’altro clero, italiani
e stranieri, uomini tutti di sicura dottrina nel campo della sacra
letteratura. C'è dunque ragione di stare a buona speranza che per
quel che riguarda direttamente la Chiesa, il dogma, la storia ecclesiastica,
la liturgia e le altre parti della dottrina e della scienza cattolica,
non s'incontreranno quei difetti, talora gravissimi, che scemano il
valore e la stima di altre enciclopedie, compilate con troppa assoluta
indi- pendenza, ignoranza o anche disprezzo del pensiero cristiano
e cattolico. Oltracciò convien notare come i Direttori
dell’Enciclopedia, sen. G. Gentile e dott. C. Tumminelli, insieme col
Consiglio direttivo dell’Istituto Treccani, mentre lasciano agli
scrittori la piena libertà d’esprimere il concetto cristiano e cattolico
e il giudizio dei fatti secondo il criterio della soda indagine
ecclesiastica, promettono di invigilare che anche in altri articoli
indirettamente attinentisi alla religione cattolica e alle materie
ecclesiastiche non vengano soste- nute o insinuate sentenze o critiche
contrarie o malfondate !9?. Il giudizio dell’autorevole rivista
suonava monito per il futuro, non solo per le voci di argomento
religioso. L’effi- clopedia rifletterà obiettivamente la
situazione presente della cultura ita- liana » (ibidem, p. 356).
155 A Gentile, 5 novembre 1925 (ibiderz, p. 345). 156 Cfr.
ibidem, e A. Omodeo, Lettere 1910-1946, Torino, Einaudi, 1963, in
particolare la lettera a Gentile del 4 dicembre 1929. 157 [G.
Busnelli], art. cit., pp. 535-536. 70 L’Enciclopedia
italiana cacia del controllo ecclesiastico, su cui esistono
testimo- nianze di contemporanei '* e che sarà verificata più
avanti, poggiava ormai sulla nuova situazione politica e culturale
creata dalla Conciliazione. Con l’11 febbraio 1929 il contrasto fra
cattolici e idea- listi si trasformò in aperta frattura, registrata
immediata- mente dal VII Congresso di filosofia che vide lo scontro
fra Gentile e Gemelli. Il pericolo dell’ingerenza cattolica fu avvertito
subito da Gentile, che cercò di reagire attac- cando il dogmatismo
neotomistico '? e sottolineando il carattere « religioso »
dell’attualismo !9, La funzione da lui svolta nel ’23-’26 era tuttavia
destinata a indebolirsi con la nuova alleanza stabilita dal regime, e
l’Enciclopedia diverrà luogo di uno scontro sempre più duro con i
catto- lici, nel '34 apertamente incoraggiati dalla messa
all’indice delle opere di Croce e Gentile. Il quadro storico
generale in cui nacque e fu realizzata l’idea dell’Enciclopedia — fin qui
tracciato — ha contribui- to a spiegare le sue origini nel clima di
riscossa nazionale del dopoguerra, e la funzione di assorbimento di
intellet- tuali di diversa formazione da essa svolta nel 1925-26, e
in vista della creazione dello Stato totalitario; cercheremo ora,
attraverso la lettura interna dell’opera, di chiarire le scelte culturali
operate, che non possono essere dedotte 158 Minimizzato da Volpe
(arz. cit., pp. 344 e 360), il controllo eccle- siastico è invece
ritenuto esteso a tutti gli argomenti da G. Calogero, Mussolini, la
Conciliazione e il congresso filosofico del 1929, in « La Cul- tura », IV
(1966), pp. 434-435, e testimoniato da G. Levi Della Vida, op. cit., pp.
234-238. 19 Cfr. ad es. le dichiarazioni di Gentile riportate in «
Educazione fascista », VII (1929), p. 437. 16 Alla lettera
del settembre ’28 con cui Giulio Salvadori rifiutò l’invito gentiliano di
collaborare all’E.I., «opera dove la filosofia domi- nante nega Dio vivo
e vero per adorare la divinità dell'uomo » (pubblicata postuma da A.
Frateili, Vita e poesia di Giulio Salvadori, in « Pègaso », I (1929), p.
107; ora in Lettere di Giulio Salvadori scelte e ordinate da P.P. Trompeo
e N. Vian, Firenze, Le Monnier, 1945, pp. 353-354), Gentile rispose
qualificando « giudizi temerari: 1) che nella detta Enciclc- pedia domini
una filosofia (che non è vero); 2) che la mia filosofia neghi Dio vivo e
vero (che è falso); 3) che adori la divinità dell’uomo (che è un equivoco
molto grosso)» (« Giornale critico della filosofia italiana », X (1929),
p. 79). 71 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali meccanicamente dal rapporto col clima politico in
cui ven- nero attuate, anche se di questo dovremo tenere conto.
Centro di raccolta dei maggiori studiosi italiani, rappre- sentanti non
solo nel ’25 — quando li uni la politica di « conciliazione » di Gentile
— differenti indirizzi di pensiero !, l’Enciclopedia fu considerata
allora come uno strumento capace di promuovere studi e ricerche in
campi fin allora inesplorati dalla scienza italiana ‘*.
Nell’impossi- bilità di controllare questa affermazione, ci limiteremo
a verificare il giudizio di quanti vi hanno visto l’espressione di
una cultura accademica impermeabile al fascismo, « po- sitiva »,
costituita di « fatti » e di informazioni, contro la quale
polemizzeranno, in un ambiente sempre più chiuso alle moderne
esperienze contemporanee, i nuovi mistici della fede cattolica o
della « dottrina fascista » !9. 161 Sarebbe tuttavia da verificare
l’accenno di Volpe (art. cit., p. 346) alla diminuzione del numero dei
collaboratori per volume, che potrebbe indicare una maggiore progressiva
uniformità di voci. 162 Cfr. ad es. Pincherle, per il quale l’E.I.
« riproduce in sostanza lo stato odierno della cultura italiana, con i
suoi pregi e anche, è naturale, con le sue deficienze: a riparare alle
quali la preparazione di un'Enciclo- pedia è appunto stimolo efficace più
di tanti discorsi » (art. cif., p. 287), e Gentile: «è già interessante
vedere come quest’alta cultura italiana abbia avuto dall’Enciclopedia uno
sprone e uno stimolo a misurarsi in campi finora trascurati [...].
L’Enciclopedia ha fatto sî che, p. es., ci siano ora degli storici italiani
(e questo è un fatto nuovo) che si occupano di proposito di storia delle
altre nazioni, dall'Europa all’Estremo Oriente. Non uno o due
specialisti, ma parecchi, e, quel che più importa, giovani »
(L’Enciclopedia Italiana, in « Rassegna italiana politica e letteraria »,
XIII (1930), p. 324). Tanto che Volpe potrà dire che l’E.I. «fu, per
dieci anni, un gran porto di mare; fu la vera Universitas studiorum non
di Roma o d'altra città ma di tutta Italia e, un poco, di tutta Europa. E
un uomo di nome europeo, e pit che europeo, Gentile, ne era il
Rector Magnificus, sempre presente, anche se non ingombrantemente
presente » (art. cit., p. 359). ‘018 Di voci «partigiane ma
dignitose » ha parlato G. Devoto (Ur ricordo, in « Il Corriere della sera
», 4 gennaio 1972). Significativi il giu- dizio di Ireneo Speranza [don
Giuseppe De Luca, uno dei principali collaboratori ecclesiastici
dell’E.I.], Temzpo d'Enciclopedia?, in « Il Fron- tespizio », XI (1937),
pp. 93-95 (« Chi domanda all’Enciclopedia il corso dei propri giorni e la
regola della vita terrestre ed eterna? [...] L’Enci- clopedia è ormai
cosa da positivisti »), e il modo in cui venne annunciato dalla stessa «
Critica fascista » (XVI (1937-38), pp. 174-176) il Dizionario di politica
del Pnf che sarà pubblicato nel 1940: « prezioso repertorio dottrinale, a
base del quale non sarà tanto l'informazione quanto la valu- tazione di
idee e fatti “dal punto di vista fascista”: opera, cioè, come ben
72 L’Enciclopedia italiana 8. Il controllo del regime
A molti degli studiosi che hanno valutato complessi-. vamente i
contenuti dell’Enciclopedia, emblematica delle vicende culturali del
periodo fascista, è parso che in essa permanessero i valori di una
cultura impermeabile al fa- scismo, sia per la presenza di eminenti
personalità antifa- sciste, come Solari e Mondolfo, sia per l’ampiezza di
settori ritenuti difficilmente influenzabili dall’ideologia del
fasci- smo, e dal carattere puramente espositivo, come quelli geo-
grafico e artistico. È il caso di Bobbio, per il quale l’opera è «
indiscutibilmente la più grande rassegna che sia mai stata tentata sino
ad oggi della cultura accademica del nostro pae- se », e « non è, se non
in qualche frangia marginale, che ap- pare una stonatura, un’opera fascista
», in quanto « tutto ciò. che vi fu di fascistico, anzi di
“squisitamente” fascistico, nei trentasei volumi, fu concentrato nella
voce Fascisnzo » !*: un’interpretazione che, mentre coglie nell’impresa
la pre- senza di « tutto o quasi tutto lo stato maggiore della
cultura. accademica post-fascista », tende a negare qualsiasi
influenza dell’ideologia del fascismo sulla cultura, secondo la
nota tesi crociana. Né si discosta molto dalla sostanza di
questa interpreta- zione, pur con giudizio di valore rovesciato, Asor
Rosa, che, attento a sottolineare la continuità del carattere di
classe della cultura borghese prima e durante il fascismo, si li-
mita — con Momigliano — a rimproverare agli intellettuali che parteciparono
all’impresa che, « collaborando, si colla- borava inequivocabilmente ad
un’opera del regime », osser- vando tuttavia che in questo caso « la
fascistizzazione della cultura non comportò neanche un’“appropriazione”
ideo- logica, come quella verificatasi nel campo della scuola, ma
soltanto la gestione istituzionale di ampi settori d’intellet-
sanno i collaboratori che vi attendono fervidamente, “di impostazione e
di finalità politiche, e non di una pura e semplice enciclopedia cultu»
rale” » (R. De Mattei, Cultura fascista e cultura dei fascisti). 14
N. Bobbio, La cultura e il fascismo, in AA.VV., Fascismo e società
italiana, a cura di G. Quazza, Torino, Einaudi, 1973, pp. 215-16.
73 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
tuali di tendenze e opinioni diverse » !9. Solo Badaloni, cogliendo la
novità rappresentata dal fascismo anche in cam- po culturale, ha avanzato
l’ipotesi di un legame fra l’ideo- logia del regime reazionario di massa
e la cultura di cui l’opera fu espressione, pur affermando che
l’Enciclopedia « si caratterizza certamente per l’aspetto della
continuità » rispetto alla tradizione precedente, assicurata dal
ruolo svolto da Gentile !9, Un esame ravvicinato dell’opera
permette in realtà di individuare, accanto ai forti condizionamenti
politici del regime — divenuti espliciti nel 1933 con il
riconoscimento ufficiale dell’iniziativa di Treccani — e alla
elaborazione di una cultura propria del fascismo '”, l'impossibilità dei
non molti intellettuali non allineati al regime di mantenersi
autonomi all’interno di una istituzione fascista; e, infine, il carattere
non univocamente gentiliano dell’opera, non tanto perché, come ha
affermato Momigliano, Gentile si limitava in alcuni casi a dare ai
collaboratori il pane mate- riale mentre Croce forniva quello spirituale,
quanto perché, più in generale, l'impresa enciclopedica si pose come
coro- namento di quel processo di selezione di una cultura di
destra — su cui ha insistito Amendola !* — che si era venuta rafforzando
a partire dall’età giolittiana, e, se vi fu un elemento non completamente
omogeneo a questa cul- tura, esso non fu rappresentato dal liberalismo di
Croce, bensî dalla componente cattolica che, potenziata nel 1929,
16 A. Asor Rosa, La cultura, in Storia d'Italia, IV, Dall'Unità a
oggi, 2, Torino, Einaudi, 1975, p. 1483. 16 N, Badaloni-C.
Muscetta, Labriola, Croce, Gentile, Bari, Laterza, 1977, pp. 59-61.
167 Sulla « cultura del fascismo » cfr. l’introduzione di E. Garin a Intel-
lettuali italiani del XX secolo, Roma, Editori Riuniti, 1974, e la recen-
sione di G. Amendola al volume di Garin (ora in Fascisazo e movimento
operaio, Roma, Editori Riuniti, 1975, pp. 41-54). 168 G. Amendola,
op. cit., pp. 41-54, che ha tuttavia negato l’esistenza di una cultura
fascista: « Non c’è stata una cultura fascista. C'è stata una adesione
politica degli intellettuali al fascismo, una accettazione del regime
sulla base di posizioni culturali molto diverse [...]. Al fascismo aderi-
scono positivisti e idealisti. Uomini di varie e contrastanti correnti
arti- stiche mantengono, nel quadro politico fornito dal regime, le
proprie posizioni culturali, e il regime lasciava correre » (Id.,
Intervista sull’anti- fascismo, a cura di P. Melograni, Bari, Laterza,
1976, pp. 148-149). 74 L’Enciclopedia italiana
mirò a sostituirsi all’attualismo e al debole « laicismo » di
Gentile. Definire idealistica l’Enciclopedia, come da più parti è stato
fatto !’, è insufficiente a comprenderne la com- plessità e, probabilmente,
la stessa capacità di durata nella cultura italiana. Per far ciò è
necessario ricordare che l’opera di organizzazione del consenso
intrapresa da Gen- tile nel 1925-26 fu integrata, non senza forti
contrasti, dall'intervento cattolico: la constatazione acquista tutto
il suo valore, ove si pensi che all’impresa furono interessati
3.266 collaboratori — « quel piccolo e rissoso e indisci- plinato mondo
degli “intellettuali” — il più riottoso, indi- vidualista, disgregato —
ha dato e dà da anni un esempio di adattamento al lavoro collettivo »,
ricorderà nel 1941 il revisore-capo Umberto Bosco !° —, e che, ad
avvalorare (in positivo e in negativo) il giudizio di alcuni studiosi
sulla continuità tra fascismo e postfascismo, l’Enciclopedia ha
attraversato impunemente la caduta del regime per presen- tarsi ancora
oggi, immutata nei contenuti dopo cinquanta anni dalla sua apparizione,
come strumento di lavoro di studiosi e di studenti. Le Appendici che sono
cominciate a uscire nel 1949 non hanno potuto modificare i
contenuti generali dell’opera che, ristampata fotoliticamente nel
1949 mentre presidente dell’Istituto era diventato il cattolico
Gaetano De Sanctis, non ha sentito il bisogno, a differenza
dell’Enciclopedia britannica, di rinnovarsi col mutare della società,
degli orientamenti politici e delle prospettive cul- ‘turali, attuando
cosî, molto al di là delle sorti del regime al quale è legata la sua
nascita, l’auspicio, formulato nel 1938 da Gentile, di veder
prolungare la nostra vita in un’opera che continuerà ad essere
ricer- cata e apprezzata dagl’Italiani per cui essa è stata
specialmente pensata e compilata e per gli stranieri che noi ci
lusinghiamo di 16 Essa fu qualificata un «enorme e informe cibreo
idealistico-fa- scista » da Togliatti, Antonio Gramsci e don Benedetto
(1947), ora in I corsivi di Roderigo, Bari, De Donato, 1976, p. 145. Di
enciclopedia del- l’idealismo parlano P. Piovani, Il pensiero
idealistico, in Storia d’Italia, V.I documenti, 2, Torino, Einaudi, 1973,
p. 1580, e U. Spirito, Memzorie di un incosciente, Milano, Rusconi, 1977,
pp. 52-56 (dove l’opera è consi- derata « una prosecuzione del fascismo
»), e 126-134. 170 U. Bosco, Enciclopedia Italiana, cit., p.
321. 75 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali aver legati all'Italia con nuovi vincoli di simpatia
e di stima, mentre l’Italia per l’azione potente d’un grande Uomo e d’una
grande Idea risorgeva per la terza volta a imperiale potenza e
riaffermava nel mondo la sua missione !7!, Il regime non si
era limitato a condizionare dall’esterno l’opera, ma ne aveva facilitato
la realizzazione facendo pro- pria l’iniziativa di Treccani. Le
difficoltà economiche del- l’Istituto originario insorte già nel 1928 e
aggravatesi con la grande crisi portarono nel 1931 ad una sua fusione
nell’ente editoriale Treves-Treccani-Tumminelli, e infine
all’inter- vento in prima persona del governo che, riconoscendo
l’opera di interesse nazionale, con d.l. 24 giugno 1933 co- stituî, con il
finanziamento di banche parastatali, l’Istituto della Enciclopedia
Italiana fondata da Giovanni Treccani, sotto la presidenza di Guglielmo
Marconi ‘2. A queste vicende editoriali si accompagnò un pit
stretto controllo da parte del regime e l’abbandono della « poli-
tica di conciliazione » perseguita da Gentile nel 1925-26; cosî, se
ancora nel 1929 Gentile poteva riconoscere, nella prefazione al primo
volume dell’opera, « l'opportunità di un ragionevole eclettismo e di una
scrupolosa imparzia- lità », nel 1931, spentesi le « battaglie » che si
erano svolte nella fase preparatoria — e di cui la vicenda di Omodeo
è l'esempio più significativo —, il direttore dell’Enciclopedia
notava che, « perduta per via qualche forza anche ingente, non fatta per
questa disciplina indispensabile a un lavoro di questo genere, e formata
ormai la famiglia, quale io la sento intorno a me, dei direttori e
redattori, si tratta piut- tosto di scaramucce e di semplici avvisaglie »
!?. Due anni dopo, intervistato all’indomani del d.l. 24 giugno
1933, Gentile marcava la differenza fra la situazione attuale e
quella di otto anni prima, ricordando che nel 1925 WI E.I.,
Appendice I, 1938, p. XII. 172 Cfr. ACS, Presidenza del Consiglio
dei Ministri, (1937-39), n. 1942, fasc. 3, 2-6; Ministero della cultura
popolare, b. 158, fasc. 3, e G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani.
Come e da chi è stata fatta, cit., pp. 27-28. 13 G. Gentile,
Ancora delle tribolazioni di un enciclopedista. Come d Dee e si cuce îl libro
per tutti, in « Il Corriere della sera », 11 febbraio 76
L’Enciclopedia italiana la collaborazione alla Enciclopedia
venne aperta a quanti avevano una fama sicura ed una competenza accertata
nei vari rami delle lettere, delle arti e delle scienze. Forse fu un
errore. Ma allora, mentre vivevano ancora i vecchi partiti, si pensava
che la nostra Enciclopedia potesse fare opera di concordia, accogliendo
uomini che, benché non fascisti, avevano accettato il programma dell’Isti-
tuto che si inspirava alla coscienza del glorioso passato del popolo
italiano e a quegli alti destini cui esso può e deve aspirare; «
seguiremo fedelmente le direttive che il Duce ci ha impar- tito »,
concludeva rispondendo a una domanda sui propo- siti per l’avvenire !*. È
naturale che « Il Tevere » non riprendesse le polemiche del 1926, ma si
limitasse a notare come l’opera « per l'ampiezza del testo e per la
profonda dottrina della compilazione » avesse assunto « il
carattere di grande Enciclopedia nazionale » !*. Tanto pi che, a
con- validarne l’aderenza al regime agli occhi di quanti vi ave-
vano criticato uno spirito quanto meno afascista, meno di un anno prima
della costituzione del nuovo Istituto sul- l’Enciclopedia era stata pubblicata
la voce Fascismo firmata da Mussolini, subito presentata come la massima
espres- sione della dottrina del fascismo. Non mancarono
tuttavia, anche in questa fase, feroci attacchi all'opera da parte de «
La Vita italiana » del raz- zista Giovanni Preziosi ‘ e de « Il Secolo
fascista » di G. A. Fanelli ‘”, l’antigentiliano ben visto negli ambienti
cat- tolici ‘* e autore nel 1933 del pamphlet Contra Gentiles nel
quale sosteneva che nell’Exciclopedia «i gentiliani 174 Origini e
finalità della monumentale opera, in «La Stampa», 1 luglio 1933.
175 Il nuovo atto costitutivo dell'Istituto dell’Enciclopedia
italiana firmato alla presenza del Duce, in « Il Tevere », 3 luglio 1933.
All’appa- rizione del vol. I il giornale aveva commentato: «quanto ai
gesuiti, si può star tranquilli: giacché a curare, dell’Enciclopedia, la
parte di cultura religiosa è stato propriamente padre Tacchi-Venturi »
(Nel cantiere dell’En- ciclopedia, in « Il Tevere », 16-17 marzo
1929). 176 «La Vita italiana », maggio 1932, pp. 616-617; febbraio
1938, pp. 216-218; settembre 1938, p. 377; novembre 1938, p. 660.
IT? Cfr. «Il Secolo fascista» del 1933 (1 maggio, pp. 139-40; 1-15
luglio, p. 245; 1-15 settembre, pp. 320-22) e del 1934 (1 aprile, pp.
132-133; 15 maggio, p. 177; 1 ottobre, pp. 334-335). 178 Cfr. ad
es. la recensione di A. Bobbio a Contra Gentiles di Fanelli (« Studium »,
XXIX (1933), pp. 533-534). 77 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali hanno organizzato con una perfidia
senza precedenti, la con- trorivoluzione, demolendo sistematicamente
tutti i valori esaltati dal fascismo, mistificando e stravolgendo il
signifi- cato delle sue istituzioni » !?. Ma furono voci
minoritarie, espressione di divergenze ideologiche e culturali, non poli-
tiche come nel 1926. Dubbi di natura politica, probabil- mente collegati
a lotte di potere scatenatesi nel 1933 per il controllo dell’Istituto,
furono avanzate solo in un rap- porto anonimo a Mussolini del 1 luglio
1933, secondo il quale fra i collaboratori dell’opera vi erano « parecchi
anti- fascisti », e veniva lasciata « troppo mano libera ai compi-
latori di cui son note le idee antifasciste »; ma Gentile poté replicare
di essere stato « autorizzato esplicitamente » da Mussolini a mantenere
le collaborazioni di Gaetano De Sanctis e di Giorgio Levi Della Vida, che
avevano rifiutato il giuramento imposto ai professori universitari, e di
eser- citare un ferreo controllo sulla redazione e sull’esecuzione
di tutta l’opera: « Nella scelta dei collaboratori esterni posso
assicurare che si tiene il massimo conto delle tendenze politiche degli
scrittori scartando tutti gli antifascisti. Come posso altresi assicurare
che nessun collaboratore, in nessuna materia, ha mano libera; e tutti gli
articoli sono soggetti a rigorosa revisione » !. Nelle sue memorie, del
resto, De Sanctis non si mostra cosciente del significato politico
del- l’Enciclopedia e quindi della sua partecipazione !, mentre
Levi Della Vida ricorderà di essere stato convinto a colla- borare — dopo
un primo rifiuto — dalla promessa di non politicità dell’opera fatta da
Gentile, pur riconoscendo che « senza dubbio non può non avvertirsi in
alquante voci del- 179 G. A. Fanelli, Contra
Gentiles. Mistificazioni dell’idealismo attuale nella rivoluzione
fascista, Roma, Biblioteca del Secolo fascista, 1933, p. 96. Cfr. anche,
per l’accusa mossa nel 1933 all’E.I. di aver « massacrato » la storia di
Roma, L. Bortone, Mito e storia di Roma durante il fascismo, in «
Palatino », XI (1967), pp. 407-408. 180 Cit. da R. De Felice,
Mussolini il duce, I, Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, Einaudi,
1974, pp. 107-108. 181 G. De Sanctis, Ricordi della mia vita, cit.,
p. 149. Scrivendo il 10 gennaio 1948 a Giuseppe Ricciotti, in qualità di
presidente dell’Istituto, De Sanctis dirà di voler continuare
l’Ernciclopedia «evitando peraltro, grazie al nuovo clima di libertà,
quelle sia pur lievi concessioni che la prima edizione ha dovuto fare ai
tempi » (AEI, Lettere, Ricciotti). 78 L'Enciclopedia
italiana l’Enciclopedia il clima peculiare all’Italia di quel
tempo, ma direi che ciò è fatto con una tal discrezione, colla
preoccu- pazione, si direbbe, di non dar troppo nell’occhio: a ogni
modo confesso che mi sentirei forse più in pace colla mia coscienza se
avessi persistito nel rifiuto » !*. Ciò che emerge con chiarezza
dalla vicenda dell’Enciclo- pedia è lo sforzo del regime, che appare in
larga parte riu- scito, di organizzare il consenso degli intellettuali.
Questa novità del fascismo era colta con difficoltà, all’inizio
degli anni ’30, dagli antifascisti; più attenti ai problemi della
cultura e degli intellettuali furono gli esponenti di Giustizia e
Libertà, fra i quali Lionello Venturi, che nel 1934 affer- mava:
Sono abbastanza noti i provvedimenti presi dal fascismo per orga-
nizzare i corpi armati contro gli italiani oltre che contro gli
stranieri, e gl’istituti finanziari ed economici a favore di pochi
arrivati al po- tere. Ma non è ancora stato analizzato il successo del
fascismo nel promuovere la cultura in Italia. Mussolini ha compreso
l’importanza di una cultura foggiata a sostegno del regime, e, privo di
ogni ideale da offrire come meta all’intelligenza, convinto che solo il
denaro può interessare gli uomini, ha largheggiato di mezzi verso
gl’intel- lettuali in un modo inconsueto in Italia !8, Ma
anche gli esponenti di Giustizia e Libertà non coglievano il contenuto di
classe di questa « nuova » cul- tura, e la capacità del regime — e poi
dei cattolici — di improntarla delle proprie ideologie. Può quindi essere
utile un sondaggio che, pur limitandosi a tre settori di voci del-
l’Enciclopedia — politiche, storiche, religiose —, cerchi di valutare i
contenuti culturali dell’opera nel più generale contesto politico in cui
fu realizzata: non tanto per rila- sciare patenti di fascismo e di
antifascismo a singoli colla- boratori, quanto per vedere se nei loro
contributi emerges- sero o meno elementi funzionali all’ideologia che il
fascismo veniva elaborando. Con ciò non si potrà ritenere esaurito,
del resto, l’esame dell’opera, in cui ampio è l’apparato di voci
illustrative (tecniche, geografiche e artistiche); anche 182 G.
Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, cit., pp. 229-230. 183 N. Travi (L.
Venturi), La cultura italiana sotto il fascismo, in « Quaderni di
Giustizia e Libertà », giugno 1934, p. 47. 79 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali se un ulteriore
approfondimento dovrà valutare fino a qual punto queste ultime possano essere
considerate esposizioni asettiche, dal momento che, ad esempio, un
geografo come Roberto Almagià, ben inserito nelle istituzioni culturali
e negli organismi politici del regime — e direttore, con Re- nato
Biasutti, della sezione « Geografia » dell’Enciclope- dia —, poteva
affermare nel 1930 che le trenta pagine dedi- cate alla geografia
dell'Albania costituivano uno « spazio non certo soverchio, relativamente
alla importanza che questo paese ha oggi per l’Italia » !#. Resteranno
fuori dalla nostra analisi, fra gli altri, due settori molto
importanti, quello filosofico e quello scientifico. Il primo, com'è
natu- rale, fu più direttamente controllato da Gentile, la cui in-
fluenza è facilmente avvertibile; ma può essere interessante notare come
in esso non manchino anche riferimenti all’at- tualità politica: la
trattazione dell’Idealismzo (1933) offre ad esempio a Guido Calogero
l’occasione per osservare che « dalla sinistra hegeliana muovevano quei
pensatori che, come Marx, Engels e Lassalle, tradussero il
dialettismo genetico dell’idealismo in un evoluzionismo
naturalistico, condannando ogni spiegazione delle cose che non si
rife- risse nudamente alle ferree leggi della natura e traman-
dando tale fiero odio per ogni “ideologia” e “idealismo” fino ai giorni
nostri, in quei paesi, come la Russia, che da essi hanno mutuato la
concezione politica ». D'altro lato, Ugo Spirito considera come filosofia
del fascismo, sia pur allusivamente, l’Attuzliszzo (1930), che « ha
condotto alla definitiva negazione della filosofia come metafisica e
alla sua identificazione con la storia e con la vita. Questo spiega
come l’attualismo non sia rimasto un puro sistema filosofico, ma sia
penetrato in tutti i campi della cultura e della vita politica, e abbia
condotto a un profondo rinnovamento della coscienza nazionale ».
184 R. Almagià, La geografia nella Enciclopedia Italiana, in «
Bollet- tino della R. Società geografica italiana », s. VI, VII (1930),
p. 306. Cfr. già R. Biasutti-R. Almagià, Le geografia nella nuova
Enciclopedia italiana, in Atti del X congresso geografico italiano,
Milano, Capriolo e Massimino, 1927, vol. II, p. 679: «Particolari cure
sono rivolte all’Italia, alle sue colonie, ed ai paesi che sono in più stretti
rapporti col nostro ». 80 L’Enciclopedia
italiana Nel settore scientifico, in particolare per quanto
ri- guarda la storia della scienza — dove fu dato largo spazio al «
genio » italiano —, si assiste invece a una « divisione del lavoro » tra
studiosi non attualisti e gentiliani. Ugo Spirito aveva sostenuto, al
Congresso filosofico del 1929, l’identificazione di filosofia e scienza,
spingendo Gentile a riconoscere nel 1930 l’importanza della storia della
scienza per la stessa ricerca scientifica ‘5; ed è proprio Spirito
l’autore della voce Scienza (1936) nella quale, dopo aver tratteggiato
storicamente il problema dell’unità o della di- stinzione tra scienza e
filosofia, oppone a Croce, teorico del dualismo, il Gentile negatore di
ogni distinzione tra concetti puri e concetti empirici, e rivendica a se
stesso e ad Ar- naldo Volpicelli il merito di aver tentato di «
dimostrare che la distinzione dialettica dei momenti, essendo
impli- cita in ogni procedimento logico non può caratterizzare in
concreto la differenza di determinate scienze empiriche e filosofiche, e
che la distinzione di diversi gradi filosofici (naturalistico e
idealistico) deve essere superata anche nel campo delle scienze
particolari ». Il dualismo fu allora su- perato solo apparentemente,
nonostante la volontà degli attualisti di impadronirsi della tematica
scientifica da un punto di vista filosofico. Nel 1935 Federico Enriques,
lo storico della scienza che dirigeva la sezione « Matematica »,
concludeva significativamente cosî una lettera a Gentile in cui
illustrava le proprie idee sulla redazione della voce Scienza: « niente
impedisce — se l’articolo Le apparirà manchevole — che sia integrato da
un successivo articolo filosofico, nel senso che la parola ha per Lei, diverso
dal mio » !*. Fu questo il criterio che, se non fu adottato per
questa voce, guidò la redazione di molte altre di carattere
storico-scientifico, che vennero suddivise in due parti: una 185
G. Gentile, Introduzione alla filosofia, Milano-Roma, Treves-Trec-
cani-Tumminelli, 1933, pp. 197 e 202-204. A1 fatto che Gentile dette «una
certa estensione » alle voci di storia della scienza nell’Enciclopedia
accenna L. Bulferetti, Gli studi di storia della scienza e della tecnica in
Italia, in Nuove questioni di storia contemporanea, Milano, Marzorati,
1968, "vol. I, p. 655. 186 AEI, Lettere, Enriques.
81 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
più propriamente scientifica, riservata a studiosi di forma- zione
positivistica, e una filosofica, affidata ad attualisti, come nel caso di
Galileo, scritta da Roberto Marcolongo e Vito Fazio Allmayer, o di
Leonardo, dove accanto ai vari specialisti della multiforme attività
dello scienziato volle apporre la sua firma lo stesso Gentile.
9. Le voci politiche e l’ideologia del fascismo L’esame
delle principali voci di carattere politico con- ferma pienamente
l’esistenza non solo di una ideologia, ma anche di una cultura fascista,
attraverso la quale il re- gime cercò di costruirsi una legittimazione
storica. Resta ancora da compiere una ricognizione degli studi di
scienze politiche che si vennero elaborando in Italia tra le due
guerre mondiali e che, non limitandosi a ricostruire le di- scussioni
metodologiche sulla storia delle dottrine politi- che !”, sia attenta al
legame con la tradizione inaugurata da Mosca, Pareto e Michels, e a
quello tra elaborazione teo- rica e ricostruzione storica, al rapporto
con la politica svi- luppata dallo Stato fascista e alle istituzioni in
cui questi studi si concretizzarono, in un momento in cui, proprio
a partire dal 1924, furono create le prime Facoltà di scienze
politiche dalle quasi ci si attendeva la formazione di una nuova classe
dirigente !'*. Le voci enciclopediche sono solo una spia della estrema
ideologizzazione cui era soggetta questa tematica, e della fortuna della
concezione gentiliana dello Stato, che più di quella di Croce cercò di
affrontare il problema dell’emergere delle masse sulla scena politica
nazionale !9, Non ci sembra di poter condividere l’opinione di
Bob- 187 Cfr. ad es. S. Testoni, La storia delle dottrine
politiche in un dibat- tito ancora attuale, in «Il Pensiero politico »,
IV (1971), pp. 306-380. 188 Un interessante tema di ricerca
suggerisce in questo senso A. Mon- tenegro, Politica estera e
organizzazione del consenso. Note sull’Istituto per gli studi di politica
internazionale. 1933-1943, in « Studi Storici », XIX (1978), p.
781. 189 Cfr. le osservazioni di R. Racinaro, Intellettuali e fascismo,
in « Critica marxista », XIII (1975), pp. 189-196. 82
L’Enciclopedia italiana bio che la presenza dell’ideologia
fascista nell’Enciclopedia sia avvertibile solo nella voce Fascismo.
Anche se già nel 1930 Treccani aveva potuto affermare, ringraziando
Mus- solini per la promessa fatta a Gentile di collaborare per
questa voce, che « l’Enciclopedia non poteva ottenere pit importante e
significativo suggello del carattere suo, di opera italiana del regime »
!”, la voce, scritta frettolosa- mente nei primi mesi del 1932 da Gentile
per la prima parte (« Idee fondamentali ») e da Mussolini per la
seconda (« Dottrina politica e sociale ») !", non è, all’interno
del- l’opera, l’unica né, forse, la più articolata espressione del-
l'ideologia e della cultura politica del regime. Uscita nello stesso anno
in cui Croce pubblicava il manifesto del libera- lismo, la Storia
d’Europa, quella che i contemporanei con- siderarono la summa dottrinale
del fascismo colpisce infatti per la sua genericità, dovuta probabilmente
anche alla vo- lontà di non dare appigli a quanti, all’interno del
regime, cercavano di appropriarsene la dottrina. Se la « mano » di
Gentile è indubitabile, come rilevarono subito i commenti degli antifascisti
— « La Libertà » sottolineò nella voce la concezione dello Stato propria
del « filosofo della Enciclo- pedia Treccani », mentre « Lo Stato operaio
» colse nella prima parte dello scritto « la marca di fabbrica della
ditta intitolata a Giovanni Gentile » !” —, non è meno signifi-
cativo il fatto che i commentatori di parte fascista non des- sero un
particolare rilievo alla influenza attualista, e ciò non solo per
piaggeria verso Mussolini, che aveva firmato tutta la voce. Un accenno,
sia pure sfumato, vi è solo in Bottai — più vicino al filosofo siciliano
— il quale osservò che con la Dottrina del fascismo la cultura moderna
era giunta « a 190 Treccani a Mussolini, 23 giugno 1930 (ACS,
Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 49, sottofasc.
1). 191 Cfr. ibidem, sottofasc. 2, Segreteria particolare del Duce,
Carteggio ordinario, n. 545-709, e la testimonianza di A. Iraci, Arpinati
l'opposi- tore di Mussolini, Roma, Bulzoni, 1970, pp. 177-180. A parte
questo caso, l’attribuzione di alcune voci non firmate si basa sulle
lettere e sullo schedario per autori conservati presso l'Archivio
dell’Enciclopedia italiana. 192 Il duce-filosofo e lo Stato
fascista, in «La Libertà», 11 agosto 1932; A.D. (Ambrogio Donini), Il
fascismo secondo Mussolini, in «Lo Stato operaio », VI (1932), p.
571. 83 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali quella critica del socialismo e del liberalismo, a
quel senso realistico della storia e a quel pensiero idealistico, che
sono stati, prima oscuramente ora chiaramente, i caposaldi del
pensiero mussoliniano » !'*. Gli anti-gentiliani furono in- vece assai
espliciti nel distinguere la dottrina del fascismo dall’attualismo: non
solo, naturalmente, Fanelli '*, ma anche Carlo Costamagna, autore di
parte della voce Corpo- razione: dopo aver affermato che « il fascismo,
pur posse- dendo una dottrina, non può e non deve possedere una
filosofia », perché « non esistono verità assolute, eterne e universali,
fuori del dogma religioso per il credente », no- tava che « l’attivismo
fascista è lo sforzo ad impadronirsi della realtà e a dominarla, e nulla
ha di comune con quel- l’attualismo neo-hegeliano che, nell’illusione di
assorbire e superare il razionalismo e il materialismo, coi soliti espe-
dienti dell’astrazione, non ha saputo apprestare se non “una
esercitazione di parole”, buona a giustificare qual- siasi comportamento
pratico, ricadendo negli eccessi dialet- tici propri ad ogni filosofia
delle epoche di decadenza » !* E particolare significato assume il
commento della rivista ufficiale di Mussolini, « Gerarchia », che
nell’ottobre 1932 sembra attaccare, oltre a Gentile, gli esiti « di
sinistra » del gentiliano Ugo Spirito quali si erano manifestati, nel
maggio 19 II secolo di Mussolini, in « Critica fascista », 15
agosto 1932, p 302. Bottai insisteva su una presentazione « di sinistra »
della dottrina del fascismo: « nega l’ideologia marxista, ma accoglie il
movimento operaio, dandogli un posto giuridico-politico nello Stato; nega
l'ideologia demo- cratica, ma non intende restituire gli individui alla
condizione di bruti privi di dignità spirituale, come sarebbe in uno
Stato di polizia »; « La dottrina del fascismo, che non ignora né
l’esperienza democratica né quella socialista, concepisce lo Stato come
il sistema dei diritti-doveri degli indi- vidui organizzati per
raggiungere i più alti fini etici della personalità umana (nella sua
concretezza nazionale), e non può fare a meno di tendere verso una
giustizia sociale che, in regime liberale, non poteva non essere
calpestata. In questo senso se il nostro secolo, come dice Mussolini,
sarà un secolo di destra, esso, proprio perché è il secolo dello Stato
(se lo Stato non è, e non dev'essere, strumento della prepotenza dei pi
forti), sarà un secolo di sinistra [...]. E l’organizzazione corporativa
italiana ne è una prova ». Bottai sarà autore della voce Corporativismo
nell’Appendice del 1938. 4 G.A. Fanelli, Contra Gentiles, cit., pp.
166, 170, 180 ss. 1 G: Costamagna, Pensiero ed azione, in «Lo
Stato», III (1932), pp. 670-671. 84
L’Enciclopedia italiana precedente, al II Convegno di studi
corporativi di Ferrara: la parola di Mussolini poneva fine, secondo la
rivista, al tentativo delle varie correnti culturali italiane di
mono- polizzare la dottrina del fascismo, la quale fu
identificata anche con il benedetto, onnipresente liberalismo: sia con
quello vero, che, partendo dal mito delle intangibili libertà
individuali, si fermava allo stato come complesso di servizi utili e
giungeva, al massimo, ad accettare un forte stato di polizia, guar- diano
notturno dell’ordine pubblico; sia col liberalismo ancora pié vero, che
dalla base della fantastica acrobazia dialettica della identità assoluta
fra stato e individuo, finiva, logicamente, con l’iden- tificare la
dottrina fascista con l’utopia comunista !%. Colpisce infatti,
soprattutto nella parte sulla « Dottrina politica e sociale », che alle «
istituzioni corporative » sia fatto solo un cenno assai rapido, nonostante
che a partire dal 1929 l’elaborazione della dottrina corporativa fosse
an- data molto avanti”, e nella voce si insista sul fatto che
proprio dopo la crisi del 1929 « chi può risolvere le dram- matiche
contraddizioni del capitalismo è lo Stato ». Il mo- tivo, suggerito da «
Gerarchia », è reso esplicito da « Vita nova », la rivista del gentiliano
Giuseppe Saitta, per il quale « dopo il mirabile articolo del Duce sulla
dottrina del fascismo, pubblicato nell’Enciclopedia Treccani,
discu- tere sulla struttura filosofica e politica della relazione
Spi- rito al Convegno di studi corporativi, è non solo vano ma
temerario », in quanto la corporazione proprietaria « ci riporterebbe
pari pari all'esperienza bolscevica » !*. Nonostante queste prese
di distanza — ma è da ricor- dare che anche Gentile precisò il suo
pensiero rispetto a quello di Spirito —, risulta evidente la « marca di
fab- brica » gentiliana della voce, anche se alcuni passi possono
ricordare formulazioni di Rocco !: cosî nella dichiara- 1% F.
Caparelli, La dottrina fascista nel decennale, in « Gerarchia », XII
(1932), pp. 881-882. 197 Cfr. A. Aquarone, L'organizzazione dello
Stato totalitario, cit., pp. 188 ss. 18 Noi, La corporazione
proprietaria, in « Vita nova », VIII (1932), p. 2. 19 Cfr.
ad es. il discorso del 30 agosto 1925 di A. Rocco, La dottrina
85 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
zione del carattere « assoluto » dello Stato e nell’afferma- zione della
preminenza dello Stato sulla nazione — fatta in implicita polemica con i
nazionalisti ®” —, che sarà ripe- tuta da Felice Battaglia in Nazione, e
non sarà negata nella voce Nazionalismo di D'Andrea e Federzoni,
preoccupati solo di dimostrare le origini antidemocratiche del
naziona- lismo europeo, e contestare la primogenitura francese sul
nazionalismo italiano di Corradini; o nel paragrafo sulla religione
cattolica, in cui si dice che « il fascismo rispetta il Dio degli asceti,
dei santi, degli eroi e anche il Dio cosi com'è visto e pregato dal cuore
ingenuo e primitivo del popolo ». Pi accentuata che non in Gentile è
invece la negazione dell’800 come «secolo » del liberalismo, che
vide, al contrario, la vittoria di Napoleone III e di Bismarck « il quale
non seppe mai dove stesse di casa la religione della libertà e di quali
profeti si servisse », e, nel Risor- gimento italiano, l’apporto decisivo
di Mazzini e Garibaldi, « che liberali non furono ». Ciò che
comunque interessa rilevare, al di là della ricerca delle sue fonti
teoriche, è il fatto che la voce, pur nella sua genericità, condensa quei
capisaldi dell’ideologia del fascismo che circolarono ampiamente, negli
anni ’30, negli scritti di studiosi di scienze politiche, di giuristi,
sto- rici, economisti; né sarà da dimenticare che, oltre a essere
diffusa e commentata in numerosissime edizioni, essa nella sua parte
propriamente mussoliniana (« Dottrina politica e sociale »), fu premessa
allo statuto del Pnf del 1938. Non vanno quindi considerate semplici
enunciazioni propagan- distiche la.negazione del materialismo storico e
della lotta di classe — con espressioni in cui Gramsci coglieva
l’in- flusso di Loria ?! —, o quella del pacifismo — ribadita in
Pacifismo di Giorgio del Vecchio —, l’affermazione della vocazione
impetrialistica dell’Italia fascista, e la pretesa del fascismo di
presentarsi come il superatore, e l’inveratore, politica del
fascismo, in Scritti e discorsi politici, III, La formazione dello Stato
fascista (1925-1934), Milano, Giuffrè, 1938, pp. 1093-1115. 20 Per una
polemica esplicita cfr. G. Gentile, Origini e dottrina del fascismo,
cit., pp. 44-45. 21: A. Gramsci, Quaderni del carcere, cit., p.
1145. 86 L’Enciclopedia italiana del
liberalismo classico e del socialismo: un punto, que- st’ultimo, sul
quale insisterà anche Volpe nella parte della voce dedicata alla storia
del movimento fascista, in cui cercherà di dimostrare che, nell’età della
« politica delle masse », il fascismo era l’erede genuino del
socialismo: come il socialismo di Mussolini — che era specialmente
una posi- zione di lotta — si aprî all’accettazione piena dei valori
nazionali, cosf questi valori non misero troppo nell’ombra quel
socialismo: il quale, respinto energicamente come partito, respinto anche
come dottrina e come filosofia a fondo materialistico, rimase come
senti- mento, rimase come simpatia per il mondo del lavoro, come
aspi- razione a liberare le masse dal giogo del partito e dalla
corruzione della politica, allo scopo di promuoverne l’autoeducazione,
farne l'artefice diretto della propria fortuna, come del resto era nella
con- cezione dei sindacalisti. Con questa mistificazione si
completava cosî quella « soprastruttura ideologica » della borghesia italiana
che, osservò « Lo Stato operaio », usava ora « nuovi e pit raf-
finati mezzi di oppressione e di sfruttamento per consoli- dare il
proprio dominio e prolungare la propria esisten- za» 2, Alle
formulazioni di Fascismo si fa un rinvio non solo formale nelle
principali voci politiche e politico-economi- che affidate a esponenti
dell’attualismo come Felice Bat- taglia e Ugo Spirito. Battaglia, che
negli anni ’30 fu uno degli animatori del dibattito sulla storia delle
dottrine poli- tiche sviluppando la distinzione crociana fra teoria e
prassi politica ?*, tanto da ritenere che « la storia delle
dottrine politiche [non] debba direttamente servire alle nostre
attuali finalità » ?*, dimostra in realtà, in voci come Demo- crazia,
Partito, Stato, una stretta dipendenza dall’elabora- zione gentiliana e
una precisa strumentalizzazione di questi concetti in funzione
dell’ideologia fascista. Occupandosi della Demzocrazia (1931) nel periodo
medievale e moderno, dopo aver sostenuto, sulla traccia degli studi di
Ercole sui 2 Art. cit., p. 572. 25 S. Testoni, erf.
cit., pp. 336-344. 2 F. Battaglia, Oggetto e metodo della storia
delle dottrine politiche, in «Rivista storica italiana », s. V (1938),
fasc. III, p. 30. 87 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali comuni e sulle signorie venete — che, come
osserverà Chabod, anch'egli debitore di Ercole, influirono
largamente sul pensiero storiografico fra le due guerre, con il
loro « assillo di cercare, ad ogni costo, lo stato moderno già nel
passato italiano » ?° —, che la signoria non è « negazione sic et
simpliciter del principato popolare, ché anzi le sue origini in Italia
derivano proprio dal popolo, di cui il tiranno si atteggia difensore
contro le classi privilegiate », e dopo ‘aver osservato che « l'ideale di
piena democrazia vagheggiato dal Rousseau era inattuabile, un regime di
dei più che di uomini », Battaglia nota che anche nelle società
moderne « la democrazia ha bisogno di alcuni presupposti senza i quali
non solo non fiorisce, bensî decade e conrrompe i popoli ». Facendo sue
le tesi espresse dal liberale inglese James Bryce in Democrazie moderne —
un’opera tradotta in italiano proprio nel 1930-31 a cura del cattolico
Luigi Degli Occhi, e che è nella sostanza una critica dei principi
dell’89 * —, secondo le quali « la democrazia si sviluppa su un sostrato
di diffuso benessere collettivo » e « fiorisce solo nei paesi abituati al
governo locale », pur essendo in crisi anche in paesi evoluti come la
Francia e gli Stati Uniti, Battaglia conclude che in Italia
la democrazia intesa come pratica di autogoverno non ha avuto una
tradizione e una linea. Lo stesso processo unitario ci spiega ciò.
L’unificazione amministrativa imposta da Torino dopo il 1861 tolse in
fondo la possibilità di quell’autogoverno locale che costituisce il
fondamento della vera democrazia e inutile fu anche l’allargamento
del suffragio, perché 25 F. Chabod, Gli studi di storia del
Rinascimento, in AA.VV., Cin- uant'anni di vita intellettuale italiana
1896-1946. Scritti in onore di enedetto Croce per il suo ottantesimo
anniversario, a cura di C. Antoni e R. Mattioli, Napoli, Edizioni
scientifiche italiane, 1950, vol. I, p. 178. Per l’influenza di Ercole su
Chabod, all’inizio della sua attività, cfr. S. Pizzetti, Federico Chabod
storico delle Signorie, in « Nuova rivista sto- rica», Lu (1977), p. 564
e n. Sebbene la democrazia si sia diffusa, e quantunque nessun
paese, che ha provata, dia dei segni di abbandonarla, noi non siamo
autoriz- zati a ritenere, cogli uomini del 1789, che essa sia la forma di
governo naturale, e, perciò, a lungo andare inevitabile » (J. Bryce,
Democrazie mo- derne, Milano, Hoepli, 1931, vol. II, pp. 25-26). L'opera
sarà ristampata da Mondadori, sempre a cura di L. Degli Occhi, nel
1949-1953. 88 L’Enciclopedia italiana
c’è rappresentanza vera solo dove c’è coscienza, ciò che in Italia
mancava [...; cosi] la democrazia italiana continuò la sua vita stentata
e in fondo illiberale nel trasformismo, che palliava conati di dittature
singole, finché si dimostrò impotente ad arginare un moto come il
fascismo, in parte espresso da quelle stesse forze sindacalistiche che
essa aveva ignorato. Parallela a questa svalutazione della
democrazia con- dotta sul piano storico, è la negazione dell’esistenza di
una vera e propria tirannia nelle moderne società di massa (Ti
rannia e tirannicidio; da notare che nell’Exciclopedia manca la voce
Dittatura: c’è solo Dittatore per l’età romana): infatti, spiega
Battaglia, a parte che la pratica possibilità della tirannia è
ognora più ridotta, oggi il sistema dei controlli giuridici e politici e
la pressione dell’o- pinione pubblica sono tali che la figura del despota
exercitio appare affatto letteraria, Le moderne dittature facendo appello
al popolo, non solo per costituirsi attraverso i plebisciti i titoli
giuridici del potere o per sanarli se difettosi, bensi anche per
suffnagare del consenso nazionale ogni loro attività, appaiono poggiare
sulle masse più che le stesse democrazie. Insomma i fenomeni e le teorie
ac- cennate a proposito della tirannia hanno significato con riferimento
a piccole società politiche e non agli enormi aggregati statali
moderni. Mentre Alberto Maria Ghisalberti svaluta la
funzione svolta dal Parlamento (1935) nella storia dell’Italia
libe- rale — col fascismo invece « il parlamento, che si avvia a
un'ulteriore riforma in senso corporativo, superiore alle pic- cole lotte
d’un tempo, restituito alla sua naturale funzione, ha svolto attiva,
proficua opera legislativa » —, e Arnaldo Volpicelli sviluppa una dura «
critica del concetto di rap- presentanza » (Rappresentanza politica,
1936)”, che nella esposizione della storia del principio maggioritario
Edoardo Ruffini non è in grado di controbilanciare ?*, Battaglia
207 Lo Stato in quanto « organizzazione totalitaria del corpo sociale
», « non può né deve agire iure repraesentationis, ma iure proprio »;
solo lo Stato corporativo fascista «si afferma e si attua sempre più come
uno stato coincidente con la stessa e intera collettività nazionale
corporati- vamente organizzata », « perciò appunto sarà davvero libero e
generale ». Anche la prima parte della voce, scritta da Luigi Rossi,
critica i vari sistemi di rappresentanza politica. Nella voce
Maggioranza (1934) Edoardo Ruffini, autore nel 1927 89
Il fascismo e il consenso degli intellettuali svolge
(Partito, 1935) la concezione del partito unico, che sembra
legarsi in parte alla tendenza oligarchica rilevata dalla scienza come
necessaria nel partito. Non rinnegando l’ampio fondamento democratico,
esalta l’aristocrazia militante dei primi confessori dell’ idea e sublima
religiosamente il capo (Duce, Fiihrer). Il partito divien stato; acquista
rilievo giuridico, assurge personalità morale; è cosî composto,
gentilianamente, il contrasto individuo- Stato: l’esperienza del fascismo
e del nazismo non elimina la dialettica delle tendenze, sempre
operosa nel gruppo nazionale unitariamente inteso. Appunto perché il partito
unico s'identifica con lo stato, la dialettica non è fuori dallo stato e
questo sopra di essa, indifferente, ma nello stato in quanto formazione
etica, quindi nel partito in quanto, spiritualmente viva, si svolga, si
tra- sformi arricchendo i suoi strumenti, i suoi organi, le sue
funzioni. Elidere ogni varietà di motivi in un’instaurazione dogmatica di
prin- cipi rigidi è vano sogno, ché oltre gli schemi irrompe la vita e
il contrasto. Ciò non esclude che questa debba ricondursi
nell’ambito totalitario dello stato, nell’unicità etica che questo
rappresenta 29, Dove più esplicito e dispiegato è il debito di
Battaglia verso Gentile, è nella voce Stato del 1936, riprodotta
nel 1939 negli Scritti di teoria dello Stato, a testimonianza che
l’influenza gentiliana non fu limitata entro i confini del-
l’Enciclopedia”°. La storia dell'idea di Stato è ricostruita de Il
principio maggioritario, si limita ad affermare che «il principio
maggioritario ha avuto contro di sé nel secolo scorso tutti gli avversari
delle istituzioni democratiche, i quali spesso commisero l'errore di col-
pire il concetto tecnico giuridico di maggioranza quando volevano colpire
quello generico politico di moltitudine, di massa, dal punto di vista aristocratico
». Questa voce ci sembra sopravvalutata in senso antifascista da S.
Caprioli nella riproposizione di E. Ruffini, Il principio maggiori-
tario, Milano, Adelphi, 1976, p. 129. Nei termini della concezione
dello Stato assoluto è condotta anche la voce Reazione politica (1935),
in cui Battaglia afferma che sia la rivo- luzione sia la reazione hanno
«un motivo di verità. I! loro contrasto è la vita dello stato, che ha
sempre in sé rivoluzione e reazione come libertà e autorità, diritto
ideale e diritto positivo da riaffermare ». Sempre di Battaglia, ma più
espositiva e con una nota polemica contro « gli assurdi del superuomo » e
il razzismo affermatisi nella Germania nazista, è Politica (1935), rifusa
in F. Battaglia, Lineamenti di storia delle dottrine politiche, Roma,
Foro italiano, 1936, dove però la nota polemica ora accennata viene
attenuata (p. 57). 210 In una lettera a Bosco del 19 novembre 1936
Battaglia dichiarava 90 L’Enciclopedia italiana
in funzione della concezione attualista, difesa da Gentile nel
1931, contro le critiche dei cattolici, come una delle poche dottrine o «
miti » elaborati dal fascismo ?. Cosi, all'affermazione che « senza
l’inversione di valori operata inizialmente dal cristianesimo, non si
sarebbe mai potuto addivenire all’idea di uno stato interiore ai
soggetti, quale l’età moderna esige e svolge » ?, segue la critica del
giusna- turalismo, che conosce l’individuo, astrazion fatta
dai gruppi nei quali pur vive. La società nelle sue forme molteplici gli
è estranea. Si spiega quindi come esso, liberale e indifferente,
ritenendo nella tutela giuridica esaurito il suo compito, finisca per
rivelarsi impotente a disciplinare la vita delle classi inferiori,
allorquando queste nel sec. XIX comin- ciarono ad acquistare il senso
della propria importanza. Donde ciò che si è detto «crisi dello stato »,
come l’esigenza di un'ulteriore integrazione, che, se nell’ordine pratico
ha trovato la sua realtà solo di recente con il fascismo (v.),
nell’ordine teorico già era stata proclamata necessaria da più di un
autore come Fichte e Hegel (« avere riconosciuto la
spiritualità dello stato è il suo grande merito. I suoi problemi
ripren- derà al principio del secolo presente il neoidealismo italiano,
rivivendoli in una esperienza affatto nuova »). Assai estesa è
l’esposizione della concezione gentiliana dello Stato etico, tanto che
Armando Carlini accuserà Battaglia di aver voluto accreditare la
filosofia di Gentile come filosofia del Pnf, rivendicando invece l’originalità
della dottrina fascista, non solo « integrazione » pratica di quella
gentiliana 25; di avervi « messo le mani due volte come la
Direzione desiderava » (AEI, Lettere, Battaglia). 2 G.
Gentile, Ideologie correnti e critiche facili, in « Politica sociale »,
III (1931), p. 169: «Ci dicono statolatri. Dacché è venuta la moda del
fascismo cattolico, frazione più o meno peticolosa ed eretica in seno al
fascismo, taluno ci parla con grande compunzione della necessità di non
lasciarsi attrarre dalla diabolica filosofia dello Stato etico ».
212 Uno spunto in questo senso era stato fornito nel 1916 da Gen-
tile, I fondamenti della filosofia del diritto, Firenze, Sansoni, 1961, p.
15. Cfr. anche F. Battaglia, I/ corporativismo come essenza assoluta dello
Stato, in « Archivio di studi corporativi », VI (1935), pp. 314-15 (che
rinvia al capitolo sulla concezione cristiana dello Stato di G. Solari,
Ts etica e filosofica dello Stato moderno, Torino, « L'Erma », 213
A. Carlini - F. Battaglia, Orientamenti, in « Critica fascista », XV
(1937), pp. 237-240. 91 Il fascismo e il consenso
degli intellettuali mai come ora, specialmente in Italia, lo stato
è reale nell’intendi- mento speculativo. La filosofia non solo ne ha
approfondito l’essenza ideale ma ha contribuito a potenziarlo nella sua
funzione storica, promuovendone il sentimento nel popolo [...; e] l’uomo
sociale, che la sua socialità dispiega nello stato, è vicino a Dio, certo
di Dio ha l’animo preso e i divini comandamenti fa suoi per
celebrarli ogni giorno; e Battaglia conclude la voce con
l’esposizione della dottrina fascista — continui sono i rinvii a
Fasciszzo —, nell’intento di dimostrare che lo Stato fascista non è
teocratico o asso- lutista, che, « opponendosi a due posizioni
tradizionali del pensiero politico, il giusnaturalismo liberale e il
socialismo, da questi rileva i motivi non perituri e li trasvaluta »,
e che la « corporatività » è « la nota dominante dello stato
fascista », nel quale «cittadino lavoratore e soldato si convertono
assolutamente ». Nella delineazione di aspetti essenziali
dell’ideologia e della cultura del fascismo spiccano, per alcuni accenti
per- sonali, le voci di Ugo Spirito Economia politica (1932) e Liberalismo
(1934), scritte nel periodo in cui più intensa fu la sua partecipazione
al dibattito sul corporativismo, che fino al 1935 si collegò strettamente
con la direzione, assieme ad Arnaldo Volpicelli, dei « Nuovi studi di
diritto, economia e politica ». L’importanza di queste voci è
evidenziata anche dal ruolo centrale avuto da Spirito nell’Enciclopedia,
nella quale fu redattore per ben otto materie (filosofia, economia,
statistica, finanza, diritto, storia del diritto, materie eccle-
siastiche e, fino al 1931, storia del cristianesimo) ‘“, finché nel 1934
divenne segretario generale dell’opera, sempre in un rapporto
strettissimo con Gentile ?*, ciò che dovette costituire un motivo di
preoccupazione per quanti teme- vano che la sua concezione del corporativismo,
quale si era espressa nel 1932 al convegno di Ferrara, influenzasse
214 Sulla collaborazione di Spirito all’Enciclopedia cfr. G.
Santomas- simo, Ugo Spirito e il corporativismo, in «Studi storici », XIV
(1973), p. 109 n. 215 Cfr. U. Spirito, Memorie, cit., p.
56. 92 L’Enciclopedia italiana gran
parte dell’opera ?*. Echi della sua posizione si avver- tono in effetti
in queste due voci, in cui Spirito, pur senza riprendere la proposta
della « corporazione proprietaria », rivendica il « carattere pubblicistico
della proprietà pri- vata » 2”. Nella parte storica delle
voci l’autore svolge, più che una descrizione delle concezioni precedenti
quella fascista, una serrata discussione con queste, diretta a condannare
l’individualismo delle teorie fisiocratiche, liberali e socia- liste.
Come quella fisiocratica — si dice in Economia poli- tica —, la scuola
classica rimase « tutta informata dal prin- cipio individualistico e
liberistico proprio dell’illumini- smo », e anche quando « l’economia nazionale
o il socia- lismo affermavano la superiorità dell’ente nazione o
classe o società su quello d’individuo, muovevano tuttavia dal
presupposto illuministico e liberale che l’individuo parti- colare in
qualche modo esistesse e avesse una realtà pro- pria diversa da quella
dell’organismo di cui faceva parte, affermavano cioè una superiorità
della nazione o della so- cietà sull’individuo o una subordinazione di
questo a quelle, ma non giungevano a riconoscerne l’essenziale identità
dia- lettica ». Solo in Italia il rinnovamento dell’economia poli-
tica « ha raggiunto politicamente e scientificamente uno sviluppo
d’importanza fondamentale. Proprio in Italia, in- fatti, la critica del
pensiero illuministico era stata più peren- toriamente condotta e i suoi
risultati erano stati più deci- sivi ”!8, Né le nuove affermazioni
idealistiche erano state al margine della vita politica, ché anzi questa
ne ha risen- tito fortemente l’influsso, giungendo ad affermazioni
pra- 216 Cosf G. Preziosi, Ugo Spirito, in « La Vita italiana »,
maggio 1932, pp. 616-617. 217 È da ricordare che nel corso
dei lavori preparatori del Codice civile del 1942 vastissimo fu il
dibattito sulla « funzione sociale » della proprietà: uno dei suoi
partecipanti più insigni fu Salvatore Pugliatti, di cui cfr. ad es. la
raccolta di saggi La proprietà nel nuovo diritto, Milano, Giuffrè,
1964. 218 Gli economisti italiani del ’700 come Galiani, aveva
notato Spi- rito, « anche quando più si discostano dalle teorie
mercantilistiche e più decisamente concordano con i fisiocrati, non
accettano senza riserva il dogmatismo individualistico e liberistico di
questi ultimi e spesso fanno posto a considerazioni di carattere che
potremmo già definire storicistico ». 93 Il fascismo
e il consenso degli intellettuali tiche addirittura rivoluzionarie
»: con la Carta del lavoro, ad esempio, « si dava il colpo di grazia al
tradizionale libe- rismo individualistico. Affermato il carattere
pubblicistico della proprietà privata, cadeva il fondamento
dell’economia liberale (l’homo oeconomicus guidato dall’ofelimità), e
ra- gione della vita economica diventava l’identità del fine sta-
tale e del fine individuale ». In questa ultima formulazione si riflette
il ripiegamento di Spirito rispetto alla sua primi- tiva proposta, che
era decisamente accantonata, anche se in Mussolini continuò a
manifestarsi « una comprensione dei vantaggi che il regime poteva trarre
dal vigilato dispie- garsi di tendenze come quella impersonata da Ugo
Spi- rito » ?*: nel 1934, presentando la terza edizione di Capita-
lismo e corporativismo, Spirito affermava che « nessuno più ardisce di
scandalizzarsi se si parla di crisi del capita- lismo e di trasformazione
in senso pubblicistico della pro- prietà. Quell’economia programmatica,
che allora non si sapeva scindere dal sistema bolscevico, è ormai
accettata come propria dal corporativismo ». La fondazione dell’Iri
dimostrava che « l'iniziativa privata non è più l’idolo in- tangibile »;
« rimarrebbe la terribile formula della corpo- razione proprietaria,
quella che ha generato tanto putiferio. Ebbene, lasciamola pure da parte
e non ci pensiamo pit. Io per conto mio ci ho pensato su fino ad oggi e
mi son convinto che, se si accetta tutto il resto, la corporazione
proprietaria può addirittura sembrare sorpassata » ?®. Ana- loga a quella
della voce del 1932, e tutta interna alla tema- tica gentiliana di
individuo e Stato, è la conclusione di Libe- ralismo, di cui è posto fin
dall’inizio il problema del suo sbocco nel corporativismo ?!.
La concezione che colloca l’individuo al centro dell’uni- verso è
seguita attraverso il Rinascimento e la Riforma, il razionalismo
cartesiano che « è già il principio della demo- 219 G.
Santomassimo, art. cit., p. 109. 22 U. Spirito, Capitalismo e
corporativismo, terza edizione riveduta ed ampliata, Firenze, Sansoni,
1934, pp. XI-XIII. 21 La voce era già stata pubblicata in «Nuovi
studi di diritto, eco- nomia e politica», VI (1933), pp. 285-299. Nella nota
bibliografica Spirito giudica libri « sbagliati » la Storia del
liberalismo europeo di De Ruggiero e la Storie d’Europa di Croce.
94 L’Enciclopedia italiana crazia del pensiero
», la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino dove (art. 4) «
è il nucleo dell’individua- lismo liberale e insieme il limite che il
liberalismo non riuscirà mai a superare davvero », con l’affermazione
del- l’antistatalismo e della proprietà privata. Conseguenza del
liberalismo sono considerati il dualismo tra governanti e governati, che
si manifesta attraverso l’istituto della rap- presentanza, « trionfo
materialistico del numero », e la democrazia, che in Rousseau « mostra i
suoi aspetti dete- riori, convertendosi nel suo contrario e generando, nella
sete della libertà, la peggiore schiavità ». Le contraddizioni del
liberalismo, sorte col riconoscimento della necessità di uno Stato e di
un suo intervento soprattutto nel campo economico, impongono secondo
Spirito « una revisione radicale del problema », e questa è individuata
nella tradi- zione italiana di pensiero, ricostruita secondo l’ottica
gen- tiliana, e nel corporativismo: I precedenti di tale
revisione vanno ricercati nel pensiero ideali- stico, che fin dagli
ultimi decenni del sec. XVIII comincia a contrap- porsi all’affermazione
del pensiero illuministico, razionalistico ed em- iristico. Il
pensiero del Rinascimento italiano, di un individualismo n più profondo e
spirituale, per cui l’individuo stesso coincide con l’universale e
l’universale in esso s’incentra, comincia a dare i suoi frutti migliori,
in contrasto con l’astrattismo del pensiero franco-in- glese. Nei
pubblicisti della nostra tradizione vichiana, nei filosofi dell’idealismo
tedesco, negli spiritualisti italiani della prima metà dell'Ottocento,
comincia a farsi strada un concetto di libertà politica, in cui il
dualismo di libertà e autorità, e quindi di individuo e stato, è
riconosciuto come il fondamento necessario della superiore sintesi in cui
consiste la vera libertà. In particolare, da Spaventa
a Gentile, la tradizione del pensiero italiano ed europeo viene
determinata nelle sue linee essenziali, e in essa si ritrovano gli
elementi della nuova e più profonda fede nella libertà, che avrà poi il suo
sbocco nella rivoluzione fascista. Con il « corporativismo
integrale » il fascismo si avvia infatti a risolvere, afferma Spirito, le
antinomie del libe- ralismo: l’individuo « deve realizzare la sua libertà
e la sua 95 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali iniziativa nella collaborazione, e riconoscere il
carattere pubblicistico della proprietà », mentre « si svuotano
cosî di contenuto tutti i concetti tradizionali del liberalismo
individualistico e della democrazia », da quello di rappre- sentanza a
quello di maggioranza, da quello di eguaglianza a quello di
elettoralismo; « iniziativa privata e intervento statale, e in
conseguenza il problema dei rispettivi limiti, diventano termini e
problema senza significato ». Il corporativismo di Spirito sposta
cosî l’accento sulla costruzione gerarchica dello Stato, e negli anni
seguenti, dopo la chiusura dei « Nuovi studi » (1935), si ridurrà,
in campo economico, alla difesa della « economia program- matica »,
in cui l'affermazione del « carattere pubblicistico della proprietà » —
che come la proposta della « corpora- zione proprietaria » mostra di non
collocarsi al di fuori della logica capitalistica — si precisa nella
richiesta dell’in- tervento statale reso necessario dalla crisi del 1929
2, A scanso di equivoci, comunque, nel 1936 Fulvio Maroi ri- cordò
nella voce Proprietà che « alcuni scrittori (U. Spirito, A. Volpicelli)
hanno sostenuto che in regime fascista il lavoro non può produrre una
proprietà privata perché l’in- dividuo, come tale, in regime corporativo
non esiste, e che il sistema corporativo sboccherà nella corporazione
pro- prietaria: questa concezione è però autorevolmente com-
battuta », concludeva, rinviando alla nota su Individuo e Stato del 1932 nella
quale Gentile — allora impegnato a redigere le « Idee fondamentali »
della voce Fascismo —, a commento della posizione assunta da Spirito a
Ferrara precisava che la socializzazione e statizzazione
corporativa importa sempre un mar- gine individualistico, in cui il
processo corporativo deve operare. In 22 Cfr., nell’Appendice del
1938, Autarchia, Capitalismo (tutta la voce è dedicata alla «crisi del
capitalismo »), Economia programmatica. «I precedenti delle nuove teorie
— scrive Spirito in quest’ultima voce — vanno ritrovati per una parte nei
postulati del socialismo e per l’altra nelle indagini circa
l’organizzazione scientifica del lavoro ». Sul « fordi- smo » di Spirito
cfr. S. Lanaro, Appunti sul fascismo «di sinistra ». La ASA, corporativa
di Ugo Spirito, in « Belfagor », XXVI (1971), pp. 576-599.
96 L'Enciclopedia italiana questo margine,
ineliminabile, il rispetto dell’individuo è lo stesso rispetto della
corporazione: l’autolimitazione conseguente dello Stato è la sua
effettiva autorealizzazione. Lo Stato che inghiottisse davvero
l'individuo, riuscirebbe un pallone destinato subito a sgonfiarsi. Il
corporativismo, sente, sia pure confusamente, questo pericolo, anzi
questo destino del comunismo; e se ne vuol distinguere non annul-
lando quella sorgente di vita economica e morale che è nell’indi- viduo
28. Il timore che la posizione « di sinistra » di Spirito
in- fluenzasse la trattazione delle materie economiche dell’Ew- ciclopedia,
non aveva quindi ragion d’essere, come dimo- strano del resto le voci di
Augusto Graziani — fra cui Bisogni, Capitale, Lavoro, Salario —, il quale
nel 1930 aveva sostenuto che il Capitalismo e nel rispetto
della produzione e in quello della distribuzione, mani- festa superiorità
spiccata sugli altri sistemi che lo precedettero, e su tutti i sistemi
imperniantisi sulla collettivizzazione dei mezzi produt- tivi, nei quali
si urterebbe contro la fondamentale difficoltà dell’asse- gnazione
rispettiva dei compiti e si dovrebbe ad ogni modo attuare una
distribuzione che toglierebbe i maggiori impulsi all’operosità e
all’accumulazione; se si aggiunge la forte coercizione, intollerabile in
paesi avanzati di civiltà, si scorge come essi necessariamente addur-
rebbero a decremento enorme di produzione e ad arresto di pro- gresso
economico e sociale. Può essere infine interessante notare come,
almeno nel- l’Enciclopedia, vi fosse negli anni 30 un’intensa
corrispon- denza fra le formulazioni di questi studiosi di scienze poli-
tiche e storico-economiche, e quelle di alcuni storici. Men- tre ad
esempio Spirito svolgeva una critica a fondo del libe- ralismo, nella
voce Borghesia (1930) Chabod avvalorava la pretesa del fascismo di
presentarsi antiborghese, negando l’esistenza, nell’età contemporanea, di
quella classe che del liberalismo aveva fatto la propria bandiera
politica. Come il primo utilizza Gentile, il secondo riprende, con
alcune correzioni, le osservazioni di Croce intese a distinguere « la
borghesia in significato spirituale, la borghesia che è detta cosîf per
metafora (e per non felice metafora) dalla bor- 23 G. Gentile,
Individuo e Stato, in « Giornale critico della filosofia italiana », XIII
(1932), pp. 314-315. 97 Il fascismo e il consenso
degli intellettuali ghesia in senso economico, con la quale la
prima si suole scambiare, e, peggio ancora, deplorevolmente
contaminare, con danno non solo della storiografia ma del sano
giudizio morale e politico » 24. Mentre Croce respinge i termini «
borghese » e « borghesia » per indicare « una persona- lità spirituale
intera, e, correlativamente, un’epoca storica, in cui tale formazione
spirituale domini o predomini » ?°, Chabod — che in quegli anni fa sua la
negazione ottoka- riana del criterio di classe nella storiografia ?*, e
partecipa del largo interesse che circondò nell’Italia fra le due
guerre, non solo fra gli studiosi cattolici, l’opera di sociologi
come Weber e Sombart che in opposizione al marxismo avevano dato la
« dimostrazione “scientifica” della priorità dello “spirituale” sul
“materiale”, della religione sulla econo- mia » ?” — ritiene che « storia
dello spirito borghese non è altro se non storia dello spirito moderno,
che ha certo permeato di sé dapprima un certo ceto sociale, gli
bomzines novi, contrapposti alla feudalità e ai chierici, e con ciò
alle concezioni medievali; ma non è più oggi identificabile, sic et
simpliciter, con un solo, determinato gruppo sociale. E se oggi ancora
certi atteggiamenti spirituali e morali fonda- mentali paiono più
strettamente connessi con “la bor- ghesia”, classe sociale; in effetto
sfuggono al dominio di un’etichetta sociologica, e sono atteggiamenti
anche di molti di coloro che combattono la borghesia in quanto ceto
sociale ». A differenza di Croce, e pur distinguendo fra borghesia e
capitalismo — nel primo ’800 « rimaneva, mal- 24 B. Croce, Di un
equivoco concetto storico. La « borghesia » (1927), ora in Etica e
politica, Bari, Laterza, 19673, p. 283. Cfr. A. Garosci, Sul concetto di
«borghesia». Verifica storica di un saggio crociano, in Miscellanea
Walter Maturi, Torino, Giappichelli, 1966, pp. 439-475. 225 B.
Croce, op. cit., p. 269. 26 Cfr. S. Pizzetti, Federico Chabod
storico delle Signorie, cit., pp. 577, 580-81. ZI È
un'osservazione riferita a Weber da D. Cantimori nel 1948 (ora in Storici
e storia, Torino, Einaudi, 1971, p. 51). L'etica protestante e lo spirito
del capitalismo di Weber fu presentata nel 1932-33 nei « Nuovi studi » di
Spirito e Volpicelli da E. Sestan, che vi notava una reazione al marxismo
(cfr. l’introduzione di Sestan alla nuova edizione, Firenze, Sansoni,
1965, p. 43). Chabod recensi Der Bowrgeois di Sombart in « Rivista
storica italiana », XLV (1928), pp. 51-52. 98
L’Enciclopedia italiana grado tutto, l’ideale della vita ordinata
e scevra di troppo gravi turbamenti: onde i borghesi si trovarono fuori
del trionfo pieno di quella stessa mentalità capitalistica, di cui
pure avevano nei secoli precedenti costituito il prodro- mo » —, Chabod
ammette quindi per l’età moderna l’esi- stenza di una « mentalità
borghese », proiezione spirituale della borghesia come classe (idee di
tolleranza religiosa e di libertà civile, ma anche, nel periodo della
rivoluzione francese, idee « astratte, antistoriche — talora anche
pue- rili »), ma ribadisce che di essa non è più possibile parlare
nell’età contemporanea, nella quale siffatta mentalità non è più
esclusiva della borghesia, come ceto sociale. Ché, anzi, proprio per
l’influsso della borghesia — cioè del ceto socialmente, politicamente,
culturalmente dominante nell’Euro- pa del sec. XIX — tale mentalità ha
permeato largamente di sé parte della vecchia nobiltà, e specialmente
gran parte degli strati inferiori della popolazione. Il lavoratore si è
contrapposto al borghese, nell’Europa del sec. XIX: ma quanti punti di
contatto tra la men- talità dell’uno e quella dell’altro: quale influsso
del secondo sul primo! I miti di progresso e d’umanità, di fratellanza e d’uguaglianza,
che ai borghesi del sec. XVIII avevano servito di arma contro le vecchie
classi privilegiate, sono ritorti dagli agitatori socialisti del sec. XIX
contro la borghesia stessa e divengono ancora arma di lotta, con altro
bersaglio. Ma per ciò appunto quanta affinità tra gli uni e gli altri! La
forma mentis del borghese ha permeato di sé assai pit ampio strato
sociale; si è imposta, anche quando pareva combattuta; e, se prima aveva
potuto costituire veramente la forma mentis carat- teristica d’un
determinato ceto sociale, ora si dissolve come tale, perde le sue
peculiarità « classiste ». Dove si evidenzia l’affinità con la
conclusione della voce Borghesia scritta nel 1940 per il Dizionario di
politica del Pnf da Salvatore Valitutti: « La società fascista che
nello Stato totalitario ha la sua espressione ignora l’esistenza di
ceti o classi a sé stanti e pertanto la parola “borghesia” è destituita
di ogni significato attuale ». La voce di Chabod dimostra quindi
come « la mistifi- cazione arrivasse, per forza di cose, fino alle sfere
più rare- fatte di quella cultura che pure, soggettivamente, si
rite- neva del tutto indipendente dai volgari messaggi rivolti
99 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
alla massa », secondo quanto ha osservato Badaloni ”*, e indica
come molteplici fossero — in questo caso Weber e Sombart, e la stessa
riflessione crociana — i contributi utilizzati per definire un’ideologia
e una cultura del fasci- smo. 10. L’assimilazione dei «
competenti »: Gioele Solari e Rodolfo Mondolfo Sempre
nell’ambito delle voci politiche incontriamo due casi particolari, quelli
degli antifascisti Gioele Solari e Rodolfo Mondolfo, utilizzati per le
loro « competenze » specifiche — argomenti di filosofia del diritto,
connessi con la tematica della libertà, il primo; storia del socialismo
e del movimento operaio, il secondo —, e la cui presenza potrebbe
confermare il giudizio di quanti hanno negato la connessione fra la «
vera » cultura e il fascismo, ricavan- done, in particolare, una
valutazione « assolutoria » nei confronti dell’Enciclopedia. Ci sembra
tuttavia azzardato dedurre dalla presenza di antifascisti in un’opera
collettiva il carattere oggettivamente antifascista della loro collabo-
razione scritta, senza cercare di cogliere lo spazio dei loro contributi
rispetto ad altri, e di approfondire gli eventuali punti di convergenza —
o di non contraddizione — fra la loro produzione scientifica e quanto
probabilmente lo stesso Gentile, in assenza di una specifica sezione
dedicata alla « Politica », chiedeva loro. La partecipazione
di Solari, il quale nel 1925 aveva accettato con entusiasmo di
collaborare all’Enciclopedia, « che vuol essere espressione del pensiero
italiano nei suoi più alti esponenti e nelle sue più alte manifestazioni
» ??, pone forse più problemi di quella di Mondolfo. Solari è
infatti impegnato, in quegli stessi anni, in un’importante ed equilibrata
opera di delucidazione della concezione liberale dello Stato e dei
concetti di liberalismo, costituzionalismo, 28 N. Badaloni - C.
Muscetta, Labriola, Croce, Gentile, cit., p. 61. 29 Solari a Gentile,
2maggio 1925 (AEI, Leztere, Solari). 100
L’Enciclopedia italiana democrazia nelle dottrine politiche del
secolo XVIII, che contrasta col metodo inquisitorio con cui questi erano
esa- minati ad esempio da Spirito nell’Enciclopedia — « non è
giusto fare il Rousseau responsabile della degenerazione in senso
realistico e materialistico dell'ideale democratico », sembra rispondergli
Solari ?° —; egli oppone nel 1931, alla valorizzazione de I/ concetto
dello Stato in Hegel fatta da Gentile, la scoperta hegeliana della
società civile — «la scoperta della società civile come concetto autonomo
fu il grande merito di Hegel, maggiore di quello che solitamente
gli si attribuisce di aver rinnovato il sentimento e la dignità dello
Stato » ?! —, e confutando la concezione dello Stato corporativo espressa
da Arnaldo Volpicelli osserva che il neoidealismo ha deviato
dalla tradizione hegeliana (almeno quale io la intendo) circa la natura e
i fini dello Stato. Il neo-hegelismo tende, a mio credete, verso un
individualismo idealistico quando concepisce lo Stato non in sé e per sé,
ma nelle forme e nei limiti dell’individuo concreto, singolo o associato
che sia. Lo Stato è etico non perché vive in inte- riore homine, ma
perché è esso stesso realtà e sostanza etica che non si concreta solo
negli individui, ma progressivamente nella famiglia, nelle associazioni,
nella nazione, nell’umanità 22. E tuttavia sarebbe necessario
valutare come poté inse- 20 G. Solari, La formazione storica e
filosofica dello Stato moderno, Torino, Giappichelli, 19622, p.
131. DI G. Solari, Il concetto di società civile in Hegel, in
«Rivista di filosofia », XXII (1931), ora in La filosofia politica, a
cura di L. Firpo, Bari, Laterza, 1974, vol. II, p. 254. Cfr. anche G.
Solari, Lo Stato conse libertà, in « Rivista di filosofia », XXII (1931),
p. 114: «come organo di valori universali e non solo di interessi
nazionali o corporativi, lo Stato può dirsi anche storicamente etico,
purché sia ben fermo che esso non è valore supremo e neppure esclusivo,
che la sua eticità è misurata dal grado con cui realizza esteriormente,
cioè coi mezzi imperfetti e limitati dal diritto, la socialità che è la
forma concreta nella quale individui e popoli affermano la loro libertà
». Per una riflessione sulla società civile parallela a quella di Solari
cfr. G. Zaccaria, L'itinerario politico di Giu- seppe Capograssi. Il
problema del rapporto tra la società e lo Stato, in « da Pensinto
politico », X (1977), pp. 390-418. 2 G. Solari, Stato corporativo e
Stato etico (Lettera aperta al prof. A. Volpicelti in «Nuovi studi di
diritto, economia e politica », III (1930), p. 119; cfr. anche la
Risposta dl prof. Solari di A. Volpicelli, ibidem, pp. 121-125.
101 H fascismo e il consenso degli intellettuali
rirsi nell'impresa diretta da Gentile la sua ricerca di una filo-
sofia sociale del diritto, « fermissima sempre nel respin- gere l'egoismo
implicito nelle varie dottrine individuali stiche, germogliate dal
giusnaturalismo e dall’utilitarismo, ma impenetrabile altresi al
materialismo dialettico mar- xiano » ?*, e vedere se ciò fu possibile
solo per l’esistenza di comuni negazioni — l’individualismo e il marxismo
—, o anche perché la sua riflessione, dopo aver abbandonato,
all’inizio del secolo, i suoi presupposti positivistici (e ten-
denzialmente filosocialisti), sviluppandosi come « idealismo sociale »
trovò più che un semplice correttivo ** nel neo- idealismo italiano. In
questa sede si può solo propendere per la prima ipotesi, constatando come
nella maggior parte delle voci di Solari vi siano — con la messa in
sordina del tema della società civile — forti scarti rispetto a
quanto scriveva contemporaneamente fuori dell’Ewciclopedia, per cui
esse non turbano l’immagine generale dello Stato for- nita dall'opera,
anche se esprimono in maniera più equili- brata e problematica di quanto
non facciano gli attualisti il problema dei rapporti fra diritti
individuali, società e Stato. Una esplicita distinzione fra
il proprio « idealismo so- ciale » e quello di Croce e di Gentile si ha
solo in una delle prime voci, Filosofia del diritto, sottovoce di
Diritto (1931): L’idealismo del Croce e del Gentile,
fondandosi su una dialettica dello spirito individuale, portava
logicamente a risolvere il diritto nell’attività utilitaria o in quella
etica dello spirito. Legittima per- tanto deve apparire l’esigenza di
cercare al diritto un fondamento suo proprio, d’intendere l’attività
giuridica come attività autonoma dello spirito. Come espressione di
questa esigenza fu in ogni tempo il diritto inteso come attività
dell'uomo storico e sociale, come rela- 233 Cosî Firpo nella
Introduzione a G. Solari, La filosofia politica, cit., p. XIII.
24 Bobbio non vede nel passaggio di Solari all’idealismo «un rivol-
gimento dei suoi principi » (L'insegnamento di Gioele Solari (1949), ora
in Italia civile, Manduria-Bari-Perugia, Lacaita, 1964, p. 179). Per una
valutazione complessiva dell’opera di Solari cfr. anche AA.VV., Gioele
Solari 1872-1952. Testimonianze e bibliografia nel centenario della
nascita, Torino, Memorie dell’Accademia delle scienze, 1972, in
particolare il saggio di Bobbio su Lo studio di Hegel.
102 L'Enciclopedia italiana zione, come proporzione
personale e reale, come manifestazione della coscienza collettiva. In
Italia la scuola giobertiana, rivissuta dal Carle nelle sue applicazioni
al diritto, sostiene che in tal senso si affermò la costante tradizione
del pensiero italiano. Il dogma della naziona- lità e socialità del
diritto è incompatibile con l’idealismo economico e morale, l’uno e
l’altro fondati sul presupposto che il diritto è atti- vità dello spirito
individuale. Ma a liberare l’idealismo nazionale e sociale dagli elementi
empirici e contingenti con i quali va congiunto, è necessario elaborare
una dialettica dello spirito collettivo e ripren- dere la tradizione
storico-romantica del periodo post-kantiano, la quale pose le condizioni
di una concezione idealistica del diritto come espressione dell’Io
sociale. Ma la posizione di Solari non ebbe poi modo di
dispie- garsi. In alcune voci l’accento cade, come in quelle di
Bat- taglia e di Spirito, sulla condanna delle teorie individua-
listiche cui viene opposto il valore supremo dello Stato: mentre il
Contrattualismo « tende logicamente a una teo- rica individualista dello
stato », in modo da « giustificare cost l’estremo assolutismo, come
l’estremo liberalismo », in Giustizia ci si sofferma sulla concezione di
Hegel, per dire che in lui « la giustizia è libertà ma questa non
esclude, anzi postula la necessità e la naturalità; essa si attua
astrat- tamente nell’individuo e nei rapporti interindividuali, ma
solo nello stato si afferma in forma concreta e universale »; in modo
altrettanto conciso si sostiene che « eticità per Hegel è sinonimo di
socialità, e questa è il risultato di un processo dialettico che culmina
nello stato » (Naturale, diritto). Ma anche per Diritti di libertà,
citata da Bobbio come esempio di antifascismo ‘°, è da notare che è
solo una sottovoce di Libertà (1934) — affidata nei suoi termini
generali, ed esclusivamente filosofici (per la bibliografia si rinvia a
Etica), ad Augusto Guzzo, un attualista mosso da una forte esigenza
religiosa, per il quale « la libertà è oggi considerata come la
spiritualità stessa » —, e che in essa Solari non esprime un’opinione
personale: pur partendo dall’affermazione che « condizione di sviluppo
della perso- nalità è la libertà », vi espone infatti la teorica dei
diritti di libertà elaborata da Locke e da Kant, e quindi la
reazione 235 N. Bobbio, Le cultura e il fascismo, cit., p. 215.
103 .Hl fascismo e il consenso degli intellettuali
da essa suscitata, prima con Hobbes, Spinoza e Rousseau, poi nel
periodo postkantiano, fra gli altri da Hegel, che « poneva in rilievo il
processo dialettico per cui la libertà astratta dell’individuo diventa
reale nello stato ». Un discorso per certi versi analogo a quello
di Solari può essere fatto per la collaborazione di Rodolfo
Mondolfo, autore delle voci principali relative alla storia del
socialismo e del movimento operaio. La scelta di quello che era
stato l’animatore del dibattito sul marxismo riapertosi in Italia
nel 1923-26, dopo la sconfitta del movimento operaio ad opera del
fascismo “9, corrisponde anche in questo caso al criterio della «
competenza », ma non appare in contraddi- zione con i motivi ispiratori
dell’Enciclopedia: era lo stesso criterio che aveva suggerito a Bevione e
a Salata di affidare a Bonomi la biografia di Bissolati, poi redatta nel
1930 dall’ex bissolatiano Angelo Cabrini, che aveva messo in risalto
l'orientamento nazionale pit che quello socialista del biografato
?”. . Le voci di Mondolfo, che non sembra abbiano subîto
censure *, sono lontane dal taglio anonimo, anche se cor- 2% Cfr.
C. Luporini, Il marxismo e la cultura italiana del Novecento, in Storia
d’Italia, V,I documenti, 2, Torino, Einaudi, 1973, pp. 1605-1606.
237 Bevione scriveva il 13 marzo 1928 a Salata, che dirigeva allora
la sezione « Storia contemporanea »: «penso che qualcuno può
scrivere l’articolo con ben maggiore ricchezza di dati e intima
conoscenza del tema: ed è Bonomi [...] né obbiezioni potranno venire alla
Direzione del- l’E.[nciclopedia] da alcuno per questo incarico, data la
purezza e la sere- nità di Bonomi, da tutti riconosciuta ». « A Bonomi
avevo pensato an- ch'io, fin da principio — scriveva Salata a Menghini il
14 marzo —. Ma allora mi era parso di dover evitare la scelta di un uomo
cosî in vista nelle vicende politiche post-belliche. Ora il giudizio su
Bonomi è — credo anche nelle altissime gerarchie del partito fascista —
più calmo » (AFI, Lettere, Salata). Cabrini era stato cancellato nel 1929
dall’elenco dei « sovversivi » (cfr. la voce di A. Rosada in F. Andreucci
- T. Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico
1853-1943, I, Roma, Editori Riuniti, 1975). ‘ ‘238 Il 3 luglio 1973
Mondolfo, da me interpellato sulla sua parteci- pazione all’Enciclopedia,
rispondeva: « Per la mia collaborazione ho avuto solo rapporti diretti
con Gentile, che era mio amico personale (come antico condiscepolo a
Firenze) e che sempre rimase tale benché io polemizzassi con lui sin dal
1909 (a proposito di Feuerbach e Marx) e dal 1911 (a proposito di
Giordano Bruno e Felice Tocco) [...]. Ciò non impedî che nel 1930 egli m'’invitasse
a collaborare alla Enciclopedia proprio su un tema (Giordano Bruno) che
era stato oggetto di una nostra polemica [...]. 104
L’Enciclopedia italiana retto, di voci come Exgels scritta da
Manfredi Gravina, alto commissario per la Società delle Nazioni a Danzica,
o da quello polemico del Marx di Augusto Graziani, che mette in
rilievo le « censure gravi » cui andrebbe incontro ad esempio la teoria
marxiana del valore; esse invece, mentre ambiscono ad avere un andamento
espositivo ed obiettivo, riflettono al tempo stesso la concezione
dell’autore de I/ materialismo storico in Federico Engels e di Sulle orme
di Marx, per cui evidenziano, al di là della « competenza », la
profonda consonanza di Mondolfo con l’impostazione idea- listica e
gentiliana. Anche se queste voci rappresentano negli anni ’30, dopo la
biografia di Labriola di Dal Pane e l'edizione Croce del 1938 de La
concezione materialistica della storia di Labriola, l’esposizione più
ampia della teoria e della prassi del socialismo e del comunismo, è
quindi dif- ficile convenire con l’opinione di chi ha affermato che
esse erano « le fonti più accessibili, senza suscitare sospetti,
alle quali i giovani, che studiavano sul serio, potevano attingere
per cercare una spiegazione e una giustificazione alle con- tinue
denigrazioni che il fascismo faceva di quelle idee e dei loro movimenti »
?°. Per chi studiava sul serio dovette. avere maggiore efficacia la
diretta riproposizione crociana di Labriola, che non la valutazione
mondolfiana della con- cezione marxista e socialista, profondamente
influenzata dalla lettura di Gentile, e scissa da una positiva
considera- zione dei movimenti reali. Parlando dell’influenza di
La- briola su Mondolfo, Garin ha osservato che in quest’ultimo. «
l’equilibrio della filosofia della prassi è tanto insidiato in E
debbo dire che né per questa né per le altre [voci] si limitò affatto la
mia assoluta libertà di trattazione (unico limite fu quello dello spazio
dispo- nibile), di giudizio e di espressione; né mai mi chiese o propose
il minimo cambiamento, neppure di una virgola [...]. Credo pertanto di
dover rico- noscere che Gentile si mantenne con me al di sopra dei
dissensi politici e filosofici che ci dividevano, e credo che ispirò a criteri
ed esigenze di carattere scientifico i rappotti con i collaboratori,
nella sua direzione dell’impresa dell’Enciclopedia » 239 E.
Bassi, Rodolfo Mondolfo nella vita e nel pensiero socialista, Bologna,
Tamari, 1968, p. 50. Suggerimenti per una corretta lettura delle voci di
Mondolfo ha fornito E. Garin, Mondolfo e la cultura italiana, in AA.VV,.,
Filosofia e marxismo nell'opera di Rodolfo Mondolfo, Firenze, La Nuova
Italia, 1979, pp. 33-34. 105 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali direzione idealistica, da suscitare
in lui una sintomatica in- terpretazione in senso deterministico della
concezione del- l’autocritica delle cose, che, a parte l’espressione
verbale, aveva ben altro valore » **. E non a caso nel 1931, ripro-
ponendo sulle pagine della « Rivista di filosofia » la lettura
mondolfiana del materialismo storico, Alessandro Levi os- servava che la
« gnoseologia del calunniato materialismo storico coincide in alcuni
punti fondamentali con quella di una delle più celebrate correnti dell’idealismo
storico, cioè con la gnoseologia di Giambattista Vico », e, infine,
che « il concetto marxistico della umwélzende Praxis sem- bra convenire
con quella, che io chiamerei l’orientazione storicistica del liberalismo
» ?. « Come non si conosce e non s’intende se non facendo (ripete Marx
con Vico), cosi non si mutano le condizioni esteriori se non mutando
se stessi, e reciprocamente non si muta se stessi se non mutan- do
le condizioni del proprio vivere », afferma Mondolfo trat- tando del Muaterialismo
storico — sottovoce di Materiali smo (1934) di Vito Fazio-Allmayer —,
ribattezzato « con- cezione critico-pratica della storia » °°. Dopo aver
opposto alle interpretazioni economicistiche quella di De Man, Mon-
dolfo sottolinea infatti il carattere soggettivistico, e quasi
vitalistico, ma non per questo meno deterministico, del materialismo
storico: « Vita che è lotta, in cui né le forme e condizioni esistenti
possono arrestare le forze vive che si volgono contro di esse, né le
forze innovatrici possono operare se non tenendo conto delle forme e
condizioni esi- stenti, sia pure per rovesciarle e superarle ». Ne
risulta un’ accentuazione gradualistica del processo storico, che si
rias- sume nella definizione di Sorel del materialismo storico come
« consiglio di prudenza ai rivoluzionari ». Manifestazione della
continuità della storia, che non 20 A, Labriola, La concezione
materialistica della storia, a cura e con un'introduzione di E. Garin,
Bari, Laterza, 1965, p. LXII. Nella voce Labriola (1933) Mondolfo
scriveva: «C'è una dialettica della storia e autocritica delle cose; ma
le cose sono la praxis stessa umana ». MI A. Levi,
Um'interpretazione del materialismo storico, in «Rivista di filosofia », XXIII,
1931, pp. 118 e 131. 22 Anche Levi aveva considerato «sbagliato »
il termine « materia- lismo storico » (arf. cif., p. 118).
106 L’Enciclopedia italiana conosce fratture
rivoluzionarie — « nel progresso, che è incremento, non è il caso di
andar cercando assoluti cangia- menti qualitativi ossia creazioni di
novità assolute e senza precedenti », aveva affermato Mondolfo sulla base
del pen- siero di Giordano Bruno, in discussione con Barbagallo ”*
—, è la stessa storia del comunismo e del socialismo: i due termini sono
dilatati cronologicamente fino a comprendere l’antichità. Ciò vale in
primo luogo per il comunismo, che non è soltanto programma di
rivendicazione e d’azione di una classe proletaria, ma si presenta nella
storia anche come stato di fatto, dovuto sia alla primordialità
indifferenziata della società umana, sia a necessità belliche (Lipari),
sia ad ascetismo religioso che svaluta i beni terreni e reprime il
desiderio del possesso individuale (es., comunità monastiche), e può anche
essere un ideale etico-politico di società, che voglia eliminati gli
interessi particolari fonte di conflitti, per la solidale ricerca del
bene comune (come in utopie antiche e moderne) (Socialismo, 1936).
Il comunismo, mentre « è in certe forme storiche estra- neo alle
esigenze socialistiche di elevazione ed emancipa- zione di classi »,
nella società contemporanea « rappresenta la forma estrema del
socialismo, che alle altre si oppone per il radicalismo dogmatico del suo
programma, per la fede nell’efficacia risolutiva della violenza, per la
decisione rivo- luzionaria della sua azione », e trova espressione
nella « dottrina — più mista di bakuninismo, blanquismo e sin-
dacalismo, che aderente al marxismo — professata dai socia- listi
maggioritari » (Comunismo, 1931) 24. Ma anche per 2 R. Mondolfo,
Razionalità e irrazionalità della storia. Per una visione realistica del
problema del progresso, in «Nuova rivista storica », XIV (1930), p. 4. A
proposito di Bruro (1930) Mondolfo scriveva a Gentile il 30 giugno 1929:
«Vedrai dal manoscritto che le mie opinioni sulla distinzione delle fasi
del pensiero bruniano, fatta dal Tocco, si sono modi- ficate per cedere
il posto allo sforzo di coglierne l’unità e continuità, pur fra le
contraddizioni ed oscillazioni » (AEI, Lettere, Mondolfo). 2% «La
concezione critico-pratica del marxismo — concludeva la voce —, che per
ogni esperimento storico domanda la maturità delle con- dizioni oggettive
e soggettive, non risulta per ora smentita dall’esperienza, in favore
della concezione blanquistica, che tutto riduceva alla conquista del
potere. E le difficoltà, che rendono tempestoso il cammino della rivo-
luzione bolscevica, non lasciano prevedere ancora a quale porto essa sia
destinata ad approdare ». Per i giudizi di Mondolfo sulla Rivoluzione
d’ottobre cfr. Studi sulla rivoluzione russa, Napoli, Morano, 1968.
107 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
il socialismo è necessario risalire all’antichità classica e al
cristianesimo, « contro l'opinione dei non pochi studiosi che dichiarano
il socialismo sviluppo esclusivamente mo- derno, prodotto della doppia
rivoluzione — politica e in- dustriale — con cui nel sec. XVIII si passa
dalla società feudale alla capitalistica » (Socialismo). Già prima della
du- plice rivoluzione una tappa decisiva per lo sviluppo del
socialismo e del comunismo moderni è costituita dal pen- siero degli
illuministi, Montesquieu e Turgot in primo luogo ?°. E come nel 1926
l’elemento costitutivo del socia- lismo era individuato da Mondolfo nella
buzzanitas, cioè nella « affermazione storica più vasta e universale di
quella coscienza e dignità della persona umana in quanto tale, che
è l’essenziale concetto di Rousseau, inspiratore degli im- mortali
principi della rivoluzione francese » 2%, ora la sua essenza è vista in
quella « esigenza morale di libertà, di affermazione e sviluppo della
personalità umana nel lavo- ratore, che costituisce la forza viva e il
valore etico del socialismo moderno, con le sue rivendicazioni di
autonomia dei lavoratori e di eliminazione delle differenze di classe
» (Socialismo). Scissa da una precisa identificazione con un
movimento reale, la concezione socialista consiste in ultima analisi
in una generica aspirazione alla giustizia che percorre, in forme
diverse, tutta la storia dell'umanità: era una presentazione che,
indipendentemente dalle intenzioni dell’autore, poteva trovare punti di
convergenza, 0 quanto meno di confusione, con quella fatta dalla voce
Fasciszzo, secondo la quale, col- pito il socialismo nei suoi due
capisaldi del materialismo storico e della lotta di classe, « di esso non
resta allora che 25 Sul rapporto di continuità-rottura fra
illuminismo e storicismo cfr. quanto Mondolfo scrive nella voce Helvétius:
« Osserverà Marx contro Owen, discepolo di Helvétius: “l’educatore stesso
deve venire educato... Il coincidere del variare dell'ambiente e
dell’attività umana può essere inteso razionalmente solo come praxis che
si rovescia”, ossia come con- creto processo dialettico della storia, in
cui di continuo l’effetto si con- verte in causa e l’uomo non è prodotto
passivo, ma antitesi operosa alle condizioni esistenti. La contraddizione
in cui Helvétius resta impigliato si risolve nello storicismo del secolo
XIX ». 26 R. Mondolfo, Umanismo di Marx. Studi filosofici
1908-1966, intro- duzione di N. Bobbio, Torino, Einaudi, 1968, p.
272. 108 L’Enciclopedia italiana
l'aspirazione sentimentale — antica come l’umanità — a una convivenza
sociale nella quale siano alleviate le soffe- renze e i dolori della più
umile gente ». Il socialismo come umanesimo universalistico, già
affermato nel 1924 in pole- mica con Carlo Rosselli, fino ad accettare la
trasformazione della lotta di classe in collaborazione di classe ?”,
trova nel- l’Enciclopedia una delineazione concreta nella
trattazione del movimento operaio italiano: « Lo smarrimento e la
con- fusione sorgono [...] più gravi nell'immediato dopoguerra, per
l’irruzione improvvisa di masse caotiche nelle organiz- zazioni a
portarvi l’ondata dei malcontenti incomposti e la suggestione del mito
russo: il rivoluzionarismo delle nuove reclute sopraffà d’un tratto i
vecchi cauti condottieri. Ma questo sindacalismo rivoluzionario è presto
sgominato dal- l'insorgente sindacalismo fascista; la nuova legislazione
si avvia grado a grado a convertire il sindacalismo in corpo-
rativismo, che al principio della lotta di classe sostituisce quello
della solidarietà nazionale. Con la Carta del lavoro il corporativismo
fascista afferma recisamente la dignità e la nobiltà del lavoro e
l’importanza e i diritti della classe ope- raia ». I fini universali del
movimento operaio si realizzano nel potenziamento della nazione:
La stessa lotta contro il capitalismo avido di profitti è afferma-
zione di un più alto concetto della ricchezza: non privilegio e domi-
nio, rientrante nella sfera dell’arbitrio individuale, ma bene sociale
che deve essere usato e volto a fini di utilità nazionale. E nell’atto
stesso che le rivendicazioni operaie hanno portato a una limitazione dei
profitti capitalistici, hanno anche impresso all’industria e all’agri-
coltura un fecondo impulso di rinnovamento, che ha significato un
accrescimento della produzione e, quindi, un elevamento generale
27 Cfr. R. Mondolfo, Ursanismo di Marx, cit., pp. 239-240. Sulla base di
un ampio esame degli scritti di Mondolfo, G. Marramao ha affermato che «
saranno proprio le categorie di “coscienza di classe” e di “rovescia-
mento della prassi” i cardini teoretici della difesa ad oltranza della
“colla- borazione” », e che «è sintomatico come il nostro autore
trascorra dal concetto di “totalità della classe” [...] a quello di
“collaborazione”, logica conseguenza politica dell’universalismo che si
realizza progressivamente nella “coscienza di classe” » (Marxismo e
revisionismo in Italia, dalla « Critica sociale » al dibattito sul
leninismo, Bari, De Donato, 1971, pp. 279, 303). 109
Il fascismo e il consenso degli intellettuali delle
possibilità e dei tenori di vita nazionali (Operaio movimento, 1935)
8, In questo modo le contraddizioni sociali si annullano, e
ai fini della produzione e della distribuzione della ric- chezza
nazionale il movimento operaio viene a svolgere una funzione analoga a
quella delineata da Roberto Michels per Li LI (1933), di equilibrato
rafforzamento di tutte e classi: È evidente, in realtà, che
dall’impetialismo economico possono nascere, per le classi inferiori,
vantaggi effettivi anche dal lato del consumo, qualora esso abbia per
effetto l’incremento dell’importa- zione di materie di prima necessità
[...] il cui buon mercato faccia calare i prezzi locali aumentando
correlativamente la capacità d’ac- quisto dei salari e dei piccoli
redditi. 11. Gentile, Volpe e il nazionalismo storiografico
Se operiamo un’altra verifica nel settore storico, con particolare
riguardo alla storia italiana moderna e con- temporanea, troviamo
confermata l’impressione che il rap- porto fra gli intellettuali e le
scelte politiche o politico-cul- turali del periodo fascista sia stato
assai stretto e passasse attraverso mediazioni culturali che sono
precedenti al fa- scismo ma che col fascismo si chiariscono, come nel
caso di Volpe; e ciò vale anche per quegli intellettuali che, per
abito scientifico o per temi studiati, sono stati considerati più lontani
da una compromissione con l’ideologia del fa- scismo. Lo stesso Arnaldo
Momigliano, che alle voci sto- 28 In Sindacalismo (1936) Mondolfo
afferma: «Del sindacalismo rivoluzionario parve per un momento allo
stesso Sorel figlia la rivoluzione dei Sovieti, coi consigli degli operai
e contadini; ma ben presto è apparso evidente che tutto quanto il sistema
sindacale è posto in essa sotto la ferrea direzione e dominazione dello
stato. E nell’affermazione del valore supremo dello stato è agli antipodi
del sindacalismo rivoluzionario anche il sindacalismo fascista, imitato
poi dal socialnazionalismo tedesco. Nel concetto fascista rivive l’esigenza
dei valori eroici, rivive il concetto di una società di produttori, in
cui l’uomo è cittadino in quanto produttore; ma è respinta la lotta di
classe: i sindacati di datori e prestatori di lavoro sono unificati nella
corporazione, tutte le corporazioni nella nazione, la cui personalità
morale si riassume nello stato ». 110 L’Enciclopedia
italiana riche dell’Exciclopedia dette un larghissimo contributo e
fu in stretto contatto con gli storici che vi lavoravano, ha
parlato di un bilancio « in perdita » per tutto quel gruppo di storici,
fatta eccezione per Cantimori e Chabod ?’: osser- vazione probabilmente
troppo drastica, ma che invita ad un approccio alla storiografia del
periodo fascista non solo in termini di pura storia delle idee; anche
attenendosi a questo solo piano, comunque, da un esame di alcune voci
vedremo che molteplici sono le influenze che agiscono su storici
come Chabod e Maturi, per i quali le testimonianze e gli studi
hanno finora valorizzato esclusivamente l’insegnamento di Croce.
Non è infatti possibile non tener conto del quadro com- plessivo di
cui fa parte lo stesso settore storico dell’Erciclo- pedia, cioè di
quella vasta opera di organizzazione della cultura storica che si ebbe
durante il fascismo e che attende ancora di essere studiata. Protagonista
ne fu, per la storia moderna e contemporanea, Gioacchino Volpe, che
riuscî a coinvolgere pienamente nei suoi programmi di lavoro anche
storici che, come Carlo Morandi, all’inizio degli anni ’30 avevano già
manifestato un diverso e autonomo orienta- mento culturale, e che sotto
la sua guida, o negli istituti, nelle riviste e nelle collane da lui
diretti, si dedicarono a una intensa attività di ricerca in campi diversi
— per poi concentrarsi attorno alla storia della politica estera
italiana, in un momento in cui l’imperialismo fascista esaltava la
politica di potenza dello stato ?° —, risentendo in varia misura dell’«
eclettismo » storiografico e di singoli giudizi di Volpe. Nel 1930, negando
contro l’opinione di Maturi l’esistenza di una svolta nella storiografia
italiana, Nicola Ottokar lamentava la persistenza dei « vecchi
preconcetti della scuola giuridico-economica » (« È illusione
credere che la formula del materialismo storico sia superata nella
produzione storiografica odierna »), e indicava a modello Volpe, fin
dall’inizio del secolo « sostanzialmente immune 29 A. Momigliano,
Appunti su F. Chabod storico, cit., p. 645. 250 Cfr. le osservazioni di
E. Ragionieri, Carlo Morandi, in « Belfagor », XXX (1975), pp.
684-691. li Il fascismo e il consenso degli
intellettuali da questi semplicismi materialistici », perché «
sembra che nel marxismo egli abbia soprattutto sentito la parte più
profonda e pit feconda, vale a dire l’idea dell’unità e dell’in-
terdipendenza, e non l’esagerazione delle antitesi e dei con- trasti che
porta ad una visione isolatrice e materializza- trice » #!, Comunque si
voglia giudicare la storiografia di Volpe, nel segno della continuità o
del cambiamento ”*, nel periodo fascista essa si propose effettivamente
come mo- dello di una storiografia « politica » di impronta
nazionali- stica ed esaltatrice dello Stato-potenza, pur mantenendo
alcuni « residui » del precedente interesse per la storia sociale. Essa
ebbe modo di imporsi attraverso gli istituti storici di cui magna pars fu
Volpe, impegnato fra l’altro a dissolvere anche istituzionalmente la
storia del Risorgi- mento nella storia secolare della « nazione italiana
» sorta col Medioevo, pur se a questo programma fece resistenza la
Società nazionale per la storia del Risorgimento: la Scuola di storia
moderna e contemporanea, collegata fin dalle origini, nel 1925, con il
Comitato nazionale per la storia del Risorgimento, si propose infatti la
pubblicazione delle fonti di storia italiana dal secolo XVI alla
grande guerra, programma che fu fatto proprio dal Comitato sotto la
direzione di Gentile nel 1932-34, per poi passare nel 1934 all’Istituto
storico italiano per l’età moderna e con- temporanea che assorbi il
Comitato *. Oggi infatti — scriveva Gentile nel 1933 riecheggiando
Volpe — il quadro della storia del Risorgimento italiano, malgrado la
super- stite specializzazione di alcuni suoi cultori, si slarga; e
comprende non solo gli immediati antecedenti del secolo delle riforme, ma
tutta la storia moderna d’Italia dal declinare di quella frammentaria
vita comunale, che è il primo erompere della vita nazionale ancora
in- 21 N. Ottokar, Osservazioni sulle condizioni presenti della
storio- grafia in Italia, in « Civiltà moderna », II (1930), pp. 930,
933, 935. Inte- ressanti notazioni sul rapporto Volpe-materialismo
storico anche in L. Volpicelli, Gioacchino Volpe, in « La Fiera
letteraria », 17 marzo 1929. 82 Cfr. I. Cervelli, Gioacchino Volpe,
cit., e le mie osservazioni in Il problema Volpe, cit. 23 Una
prima riflessione su questa complessa rete organizzativa è stata fornita
da S. Soldani, Risorgimento, ne Il mondo contemporaneo, I. Storia
d’Italia, 3, Firenze, La Nuova Italia, 1978, pp. 1144-1146.
112 L’Enciclopedia italiana conscia e incurante della
propria unità e ignara di ogni esigenza di organizzazione, fino alla
formazione del regno d’Italia e alla prima grande prova della sua
volontà e della sua potenza nella guerra mon- diale 2. Le
sezioni enciclopediche su alcune delle cui voci ci sof- fermeremo, quella
di « Storia medievale e moderna » di- retta da Volpe, e quella di «
Storia del Risorgimento » diretta da Menghini — legato a Gentile anche
per altre iniziative editoriali, come la collana « Studi e documenti
di storia del Risorgimento » di Le Monnier —, si presentano come
uno dei frutti di questa vasta opera di organizzazione culturale, e
videro impegnati quasi tutti gli storici che prestavano la loro opera
negli istituti di ricerca del regime. Con ciò non si vuol dire che questi
intellettuali si ridussero a « funzionari » del regime”, ma solo indicare
la loro relativa omogeneità raggiunta negli anni ’30 e la permea-
bilità di molti di loro all’ideologia nazionalistica propagan- data dal
fascismo — e che nell’Enciclopedia si manifestò nel larghissimo spazio
concesso alla storia di Roma e a quella d’Italia —, pur nella varietà
delle influenze sul piano del metodo e dei giudizi: per cui la presenza
della lezione crociana non è di per sé un segno, in molti casi, di
differenziazione ideologica dall’orientamento nazionalistico. Sul piano
metodologico nell’Enciclopedia, come in quasi tutta la storiografia
italiana del periodo, trionfa quella con- cezione idealistica, sia
etico-politica alla Croce sia « reali- stica » alla Volpe, che negli anni
’20-'30 aveva trovato un elemento unificatore nel concetto di «classe
politica ». « Sul concetto di classe politica — osservava Maturi nel
1930 —, inteso eticamente o realisticamente, sono tutti d’accordo: Croce
e Gentile, Salvemini e Ottokar. Ad esso si riduce in fondo anche il
concetto di nazione nel Volpe, 24 Prefazione di Gentile
all’Annuario del Comitato nazionale per la storia del Risorgimento,
Bologna, Zanichelli, 1933, pp. 67. Cfr. anche G. Gentile, Dal Comitato
nazionale per la storia del Risorgimento dl R. Istituto storico italiano
per l’età moderna e contemporanea. Relazione a S.E. il Ministro della
Educazione nazionale, Sancasciano Val di Pesa, Stianti, 1937, p. 6.
25 Secondo quanto afferma invece M. Ciliberto, Intellettuali e
fasci- smo. Saggio su Delio Cantimori, Bari, De Donato, 1977, ad es. a p.
15. 113 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali come si vede dal suo libro L'Italia in cammino, ove,
al cen- tro della narrazione, è l’analisi dei ceti dirigenti del
Risorgi- mento e della nuova Italia » #9. Non a caso alcuni anni
dopo nella voce Storia (1936) Carlo Antoni annoverava fra i rinnovatori
della storiografia italiana, accanto a Croce e Gentile, Mosca e Volpe. È
indubitabile dunque che, al di là di scuole o di parti politiche, agli
storici dell’Erciclopedia fosse ben presente anche la lezione di Croce,
come testi- monia il fatto che nel 1928 Fausto Nicolini, incaricato
di predisporre un piano di voci di storia della storiografia, si
sentisse autorizzato a chiedere consiglio a Croce, « che nel- l’argomento
è forse lo studioso più competente di Europa », e a proporre per sé una
sottosezione di storia della storio- grafia, in modo che le voci «
passerebbero sotto gli occhi di Benedetto » ?”. Ma non permette di
cogliere la complessità delle influenze che si esercitarono sui maggiori
storici ope- ranti fra le due guerre, ridurre tutto il problema alla que-
stione del metodo e privilegiare quindi l’insegnamento di Croce, per
affermare che l’attualismo gentiliano « nel campo degli studi storici non
esercitava che un’influenza limitata, e in nessun modo tale da far sf che
esso fosse accolto in prima persona dagli storici migliori della nuova
generazione idealistica » #*. Se spesso, come nel caso di Maturi cui
in particolare si ‘riferisce questa osservazione, il metodo è
quello di Croce, scelte tematiche e singoli giudizi nad fonti diverse e
talvolta contrastanti, e rinviano in molti casi, come vedremo, a Volpe e
a Gentile. Volpe aveva del resto cercato di orientare il lavoro
dei collaboratori della sua sezione suggerendo delle « Norme e
criteri per la redazione degli articoli di storia medioevale e moderna »,
in cui invitava alla valorizzazione della storia italiana , ma richiamava
anche la necessità — come già 26 W. Maturi, La crisi della
storiografia politica italiana, in « Rivista storica italiana », XLVII
(1930), p. 12. 21 AEI, Lettere, Nicolini (6 gennaio 1928).
28 Cosî M.L. Salvadori, Walter Maturi, in «Nuova rivista storica »,
LI (1967), p. 416. Per alcune considerazioni sugli interventi
storiografici di Gentile cfr. A. Negri, L’interpretazione del Risorgimento
di G. Gentile, in « Critica storica », n.s., X (1973), pp. 449-500.
259 «Non apologie, né propaganda, né polemiche. Tuttavia, poiché
114 L’Enciclopedia italiana aveva fatto nel
Programma del 1922 per una storia d’Ita- lia — di combinare storia
politica e storia sociale, atten- zione per lo Stato e per la vita
economica ”*, e avvertiva di tener conto delle implicazioni politiche ed
economiche della storia della Chiesa ?, Sembra che a queste indicazioni,
in cui si intrecciavano le varie componenti della storiografia
volpiana — se pur spicca l’accento posto sulla ricerca dello Stato anche
nell’età comunale —, ci si sia attenuti in molti casi, ad esempio in
alcune voci giudicate esemplari da Cha- bod nei primi volumi *°, come
Amburgo di Gino Luzzatto, attento alla vita economica della città, o la
Storia dell’Ame- rica latina di Gino Doria, dove l’autore si sofferma
sulle caratteristiche della colonizzazione e sulla riduzione in
schia- viti degli indios, senza nascondersi gli interessi economici
dei missionari, che in taluni casi furono « pid spietati dei
conquistatori ». Pi in generale, nelle voci dedicate agli Stati non
italiani — che costituirono un banco di prova si tratta di una
Enciclopedia Italiana, ai collaboratori incaricati di trattare la storia
degli altri paesi si chiede che si compiacciano di dar rilievo a quella
che può essere stata la ripercussione di avvenimenti e personaggi
italiani su la vita dei paesi stessi ». Le « Norme » sono riprodotte in
Le predisposizione del lavoro in una grande impresa
scientifico-editoriale. L'Enciclopedia italiana dell'Istituto Giovanni
Treccani, in « L'organizza- zione scientifica del lavoro », III (1928),
p. 450. 20 «Gli articoli sugli Stati, piccoli o grandi, medioevali
e moderni, non siano il quadro delle vicende dinastiche (apposite voci
sono dedicate alle dinastie e famiglie regnanti), né il mero racconto
degli avvenimenti politico-militari, ma presentino la storia politica,
largamente intesa, di una nazione o popolo, ne mettano in luce la struttura
economica e sociale e le vicende demografiche [...]. Un posto maggiore
che non le altre opere simili l’Enciclopedia Italiana darà alla storia
delle città, e in particolare di quelle italiane, specialmente nell’epoca
in cui le città furono centri autonomi di energica vita, piccoli Stati di
fatto, se anche giuridica- mente limitati. Quindi si devono presentare
queste città nel loro nascere o rinascere medioevale e anche moderno, le
forze sociali che in esse si raccolgono, la loro vita economica, le loro
istituzioni, i personaggi più notevoli ». 261 «Negli articoli
di Storia della Chiesa, che è quasi sempre anche storia civile e
politica, sarà da tener conto dell’uno e dell’altro elemento, salvo i
casi speciali in cui sarà espressamente avvertito che dell’elemento
religioso debba trattare a parte un altro scrittore. Discorrendo di
missio- nari, non si trascurino le finalità, i moventi e i riflessi
culturali, econo- mici, spesso politici e nazionali della loro azione.
Degli ordini monastici si metta in luce l’importanza civile ed
economica... ». 262 « Archivio storico italiano », LKXXVII (1929),
p. 323. 115 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali completamente nuovo per gli storici dell’Enciclopedia
? — si può osservare un’attenzione per i molteplici aspetti della
loro storia e un notevole equilibrio di giudizio — come in Stati Uniti di
Sestan e in URSS (anonima) —, anche se, quando ci si avvicina alle
vicende contemporanee (e quindi soprattutto nell’Apperndice del 1938), si
avverte l'influenza della propaganda politica del fascismo: ad esempio
occu- pandosi della Francia del 1936 Carlo Morandi — che faceva
cosî la sua prima esperienza di commentatore politico, nelle cui vesti
sarà particolarmente attivo nel 1945 sulle pagine de « Il Mondo » —
minimizzerà il significato dell’espe- rienza del Fronte popolare. Quando
invece si tratta di valu- tare i momenti rivoluzionari o i punti cruciali
del dibattito storiografico, si tende a tacere — è il caso della Comune
di Parigi, cui è dedicato appena un accenno da Georges Bour- gin («
governo municipale di radicali e socialisti ») sotto la voce Parigi,
storia”* —, o a evidenziare i motivi ideolo- gici nella ricostruzione
storica, come nelle voci dedicate alla Rivoluzione francese e alla storia
italiana. Appare naturale che il significato della
Rivoluzione francese sia sottoposto a severa critica
nell’Enciclopedia, data la diffusa polemica, da Croce al fascismo, contro
i prin- cipi dell’89. Né stupisce, pur apparendo in un’opera scien-
tifica, la rozzezza con la quale Francesco Ercole tratteggia la figura di
Danton (« La sua crescente influenza sugli ele- menti più torbidi e
inquieti del popolo parigino [...] era dovuta, non meno alle sue qualità
fisiche, alla massiccia vigoria della persona, alla bruttezza suggestiva
del volto butterato dal vaiolo, alla voce stentorea, che alla
sugge- stione morale esercitata dalla sua consueta audacia di
parole e di gesti »). Ciò che interessa notare è invece, da un
lato, 23 Chabod giudicò l’Enciclopedia « mezzo e incentivo ad
arricchire gli interessi della nostra cultura, ad ampliare lo sguardo dei
nostri stu- diosi a determinare — sia pure in pochi uomini — volontà e
proposito di affrontare, finalmente, problemi che non siano quelli
soliti, cari alla nostra storiografia » (ibidem, p. 320). Cfr. anche
Gentile, L'Enciclopedia Italiana, cit., p. 324. 24 Eppure
Bourgin era autore di vari studi sulla Comune, dall’Histoire de la
Commune del 1907 a Les premières journées de la Commune del 1928.
116 L'Enciclopedia italiana l'ampiezza dei
giudizi negativi su di essa che sono fatti propri anche da Chabod — « Ma
le idee, una volta messe in circolazione, sfuggono al controllo di chi le
crea: e cosî fu che all’illuminismo, alienissimo dalle violente e aperte
rivo- luzioni politiche e sociali, s’appellassero quelli che, poco
più tardi, dovevano far sorgere il novus ordo: alquanto diverso, in
verità, da quello auspicato dai filosofi, e gron- dante di sangue »
(Illuminismo) —; e, dall’altro, la stretta interscambiabilità fra
posizioni scientifiche e ideologiche, per cui tornano alla mente i
contenuti di alcune voci poli- tiche. L'importanza della Rivoluzione
francese nella storia europea non è certo disconosciuta da Alberto Maria
Ghi- salberti che, dopo aver analizzato le differenti posizioni
delle varie classi sociali nell’89, afferma che essa « recò a termine con
la sua violenza l’opera condotta nei secoli dalla monarchia dell’antico
regime e abbatté le sopravvivenze feudali e le disparità sociali,
consacrò l’importanza e la forza della borghesia, accentuò e unificò il
governo e l’ammini- strazione, accelerò il già iniziato trapasso della
proprietà, rese uguali gli uomini davanti alla legge » (Frarcese, rivolu-
zione, 1932). Anche nella voce Rivoluzione Emilio Crosa cita del resto la
Rivoluzione francese accanto alla « rivolu- zione » fascista come «
rinnovamento essenziale d’idee e di principi per cui, o direttamente o
indirettamente, si pro- dussero trasformazioni politiche di suprema
importanza ». Ma, come in Fascismo si era detto che « il fascismo è
contro tutte le astrazioni individualistiche, a base
materialistica, tipo sec. XVIII; ed è contro tutte le utopie e le
innova- zioni giacobine », cosf Ghisalberti precisa subito la sua
valu- tazione della Rivoluzione francese affermando che « mezzo
secolo di dogmatismo ideologico prepara il dogmatismo democratico dei
giacobini »; e, mentre alle critiche all’ordi- namento sociale fondato
sulla proprietà mosse da Morelly o Brissot contrappone, come « più
rivoluzionarie », le pro- poste dei fisiocratici, coglie il « difetto »
della Dichiara- zione dei diritti nel fatto che « l’umanità è anteposta
alla Francia, l’individuo alla società »: un giudizio che ricorda
quello espresso da Spirito in Liberaliszzo, e che Ghisalberti ribadisce
quando afferma che con la costituzione dell’anno 117
Il fascismo e il consenso degli intellettuali III, « figlia della
paura », «la rivoluzione ha trovato la sua soluzione borghese e alla
disuguaglianza del privilegio ha sostituito quella del censo, gettando
cosi i germi di futuri conflitti sociali » S, Il giudizio
limitativo dei principi dell’89 coinvolge na- turalmente l’illuminismo e
i suoi esponenti, affacciandosi anche in Illuminismo (1933) di Chabod,
che pur ne rico- nosce tutta l’importanza per la storia del progresso
umano: « quello che non andò perduto — cosî conclude la voce — fu
il nocciolo stesso dell’illuminismo e cioè l’aver fissato su basi
puramente umane e razionali la vita dell’uomo e del- l’umanità. In questa
concezione d’insieme — che corona e completa e sistema definitivamente le
prime conquiste del Rinascimento italiano — è il valore ideale
dell’illumini- smo ». Eppure Chabod insiste anche in altri passi sul
col- legamento col Rinascimento italiano e, mentre sulla trac- cia
di Philosophie der Aufklirung (1932) di Cassirer tra- scura l’opera dei
pensatori sensisti, non nasconde la sua diffidenza per l’elemento che
distinguerebbe l’illuminismo dal Rinascimento, cioè l’interesse dei
philosophes per la dif- fusione universale della cultura, anche presso
quella molti- tudine che doveva sentirsi facilmente e
pienamente appagata dalla chiarezza e linearità delle idee che le venivano
poste innanzi, da una filosofia che s’appellava alle leggi di una ragione
molte volte identificabile col buon senso comune, e quindi di facilissima
recezione, e che in nome di questa ragione-buon senso bandiva le sue
crociate contro certa storia, vicina o remota: proprio come piace alle
moltitudini, per le quali il senso storico rappresenta il più difficile e
complicato del misteri, e proprio com’era necessario allora, dato il
clima storico di quell’età 24, Ancora più evidente è il
carattere ideologico della rico- struzione storiografica — per cui
quest’ultima si trasforma nell’« apologia » che Volpe aveva invitato ad
evitare — *5 Per trovare una valutazione complessiva della
politica di Robe spierre bisogna ricorrere non alla voce dedicatagli da
Francesco Lemmi, e ne fa il responsabile del « carnaio » del 1794,
ma a Terrore di Maturi. 26 Anche l’opera di Federico II di Prussia
è opposta da Chabod al « dottrinarismo astratto di un Giuseppe II
». 118 L’Enciclopedia italiana nella
voce Italia (1933), scritta proprio da Volpe (dalla caduta dell'impero
romano al 1713), da Rodolico (1713- 1861) e Ghisalberti (dall’Unità al
fascismo). La voce non affronta esplicitamente, come è stato osservato ”,
il pro- blema dell’unità della storia d’Italia, ma riproduce
tuttavia la periodizzazione posta a base del Programma del 1922,
che vedeva profilarsi la « nazione italiana » fin dall’alto Medioevo. In
essa assai più marcato è però il motivo della continuità con la storia
romana — alla quale, con la prei- storia, è dedicata la prima parte della
voce —, in modo da far risaltare come l’Italia, culla della civiltà
latina e sede della Chiesa cattolica, abbia avuto fin dall’antichità il
privi- legio di essere il centro del mondo: è lo stesso Arnaldo
Momigliano ad affermare che con la dissoluzione dell’im- pero
romano l’Italia si avviò a una nuova sua storia. La quale continua
bensi e non dimentica quella di Roma e del suo impero, anzi, con la
Chiesa, che continua l’universalità dell'impero, mantiene la sua funzione
di primato spirituale; ma solo dalla caduta dell'impero la storia
italiana si svolge autonoma e con propri destini: la faticosa conquista
d’una forma politica per l’unità nazionale del popolo italiano.
L’anticipazione dell’esistenza di una coscienza nazionale e di una
tradizione politica unitaria è in Volpe assai netta, anche rispetto a
suoi giudizi precedenti: mentre nel 1922, nella prefazione al Medioevo
italiano, egli coglieva nell’età comunale « uno dei momenti di più
energica fecondità della storia d’Italia, anzi come l’inizio ricco e
promettente di questa storia, segnato appunto dal sorgere dello Stato
(Stato di città nel Nord e nel centro d’Italia, Stato monarchico e
territoriale nel sud) e della borghesia italiana, e dal deli- neatsi di
un popolo italiano che è creatura nuova e pur sente lo stimolo a crearsi
una tradizione e trovarla in Roma » **, nella voce enciclopedica, dopo
aver affermato che già « con Odoacre, si ha il restringersi alla sola penisola
del senso politico della parola Italia », Volpe insiste — più 267
E. Sestan, Per la storia di un'idea storiografica: l'idea di una unità
della storia italiana, in « Rivista storica italiana », LXII (1950), p.
195. 28 Ora in G. Volpe, Storici e maestri, cit., p. 224.
119 Il fascismo e il consenso degli intellettuali di
quanto non avesse fatto Arrigo Solmi nel 1926? — sull’importanza del
dominio longobardo che « fondò in Italia una tradizione politica di unità
». Tutta la storia successiva gli appare un progressivo disvelamento
della coscienza nazionale, soprattutto a partire dal secolo XI c
dalla nascita dei Comuni, e quindi con Dante e Cola di Rienzo, con la «
crescente unificazione dello spirito ita- liano » promossa dall’Umanesimo,
su su fino al ’600 visto come un momento del Risorgimento, « che è cosa
del secolo XIX ed è cosa presente e immanente a tutta la storia
ita- liana, dalla caduta di Roma e dalle invasioni in poi » —
afferma Volpe che tendeva appunto a una d ilatazione e dissoluzione
del concetto di Risorgimento —, finché all’ini- zio del ’700 a Vittorio
Amedeo II appare chiaro « il fine ultimo della politica sabauda: che era
quello di chiudere le porte d’Italia a francesi e tedeschi e rendersi
signori col tempo di gran parte della penisola ». Accanto alla
precoce affermazione di una coscienza nazionale, Volpe individua
nel Comune e nel podestà « il delinearsi più netto di un ente, lo stato
che nasce », e sottolinea in più punti, come aveva avvertito nel Programma
per una storia d’Italia, la « funzione italiana e quasi nazionale che
assolve il papa- to »: questa comincia ad apparire già al tempo di
Carlo Magno, ritorna all’epoca di Federico II, per poi affermarsi
con la Controriforma quando « il pontificato romano, nella lotta al
protestantesimo, si mosse nella direzione segnata dallo spirito del
popolo italiano », e l’Italia, « politicamente divisa, ma unita nella
cultura, priva ancora come è di più intimi e propri centri, si appoggia,
nel lento maturare della sua coscienza nazionale, al papato. Come aveva
tratto nel suo cerchio ideale Roma antica, cosi ora Roma papale,
nella quale vedeva, accanto a una funzione cattolica, anche una
funzione nazionale e italiana ». Molti altri aspetti potrebbero
essere sottolineati nella ricostruzione volpiana — come l’ampio rilievo
dato alla rivolta antispagnola del 1647 —, mentre non mette conto
29 Cfr. A. Solmi, Discorsi sulla storia d’Italia, Firenze, La
Nuova Italia, 19413, pp. 14-15. 120 L’Enciclopedia
italiana soffermarsi sulle parti della voce redatte da Rodolico
e Ghisalberti — improntate a una storiografia puramente
événémentielle e aproblematica, in cui le preoccupazioni ideologiche si
fanno via via prevalenti —, se non per rile- vare, nel primo,
l’esaltazione del sanfedismo (« pagine di fierezza di popolo ») e della
missione nazionale assolta da Carlo Alberto ancor prima del 1848, e, nel
secondo, la caricatura del peggior Volpe de L'Italia in cammino che
si conclude con una apologia del fascismo. Due contributi, questi,
che non reggono il confronto con la narrazione vol- piana, capace in
alcuni momenti di presentare la comples- sità del processo storico e di
aprirsi alla considerazione di aspetti economici e sociali: con più forza
nella connota- zione delle origini del Comune — già Ottokar aveva
rile- vato come esso fosse « composto di elementi economica- mente
e socialmente assai eterogenei » (Comzuze, 1931) —, ma anche nella
valutazione delle basi sociali della Signoria, per cui Volpe accetta
nelle linee generali la tesi di Ercole della sua origine « popolare »
anche se poi opera delle dif- ferenziazioni fra Venezia e Firenze e tra
le vatie fasi della storia fiorentina; ma sempre con un certo interesse per
la correlazione tra storia politica e storia sociale, che manca
invece in Giorgio Falco, il quale nella Signoria — un tema su cui si
concentrò l’attenzione di gran parte della storio- grafia italiana tra le
due guerre, in cerca dell’origine dello Stato moderno e di una nuova
classe dirigente ”° — sotto- linea « la tendenza all’affermazione di
potenti individua- lità » e la prefigurazione della futura storia
d’Italia: il Principe di Machiavelli, infatti, « con la sua
esaltazione della sovrana virt4 fondatrice di stato, liberatrice
d’Italia, riassume i due motivi dell’età delle signorie: ciò che
essa aveva prodotto, lo stato creazione dell’uomo; ciò che essa
aveva invocato, la nazione, ed era il compito dell’avve- nire » 7,
20 Cfr. S. Pizzetti, Federico Chabod storico delle Signorie, cit.,
pp. 584-589. 2î1 « Se alla radice delle signorie sta, non di
rado — afferma Falco —, un conflitto di natura sociale ed economica e se,
com'è ovvio, gl’interessi economici hanno parte in maniera generica
nell’origine e nello svolgi- 121 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali Se infine, in questo assai rapido e
incompleto esame del settore di storia moderna e contemporanea, prendiamo
in considerazione alcuni contributi di storia italiana di due
intellettuali, come Chabod e Maturi, per i quali più spesso si è
sottolineata l’ascendenza crociana, possiamo notare che nei loro giudizi
essi sono largamente debitori di Volpe e di Gentile e quindi, almeno
indirettamente, dell’impronta nazionalistica di questi ultimi; con ciò
non si vuole espri- mere, com’è naturale, un giudizio generale sull’opera
di Chabod e di Maturi nel periodo fascista — che dovrebbe tener
conto ad esempio, per il primo, e per limitarsi all’Ex- ciclopedia, anche
del contributo su Machiavelli, che nel suo rigore scientifico si
contrappone alla presentazione deci- samente nazionalistica che ne aveva
fatto Francesco Er- cole ?? —, ma solo contribuire a chiarire le
caratteristiche complessive dell’Enciclopedia come manifestazione cultu-
rale del fascismo. Accenti nazionalistici sono presenti, infatti,
in Rimasci- mento (1936) di Chabod, che pur qui (come nella comuni-
cazione del 1933 su Il Rinascimento nelle recenti interpre- tazioni)? si
preoccupa di negare — in un periodo in cui assai accese, e non immuni da
preconcetti ideologici, erano le controversie sulla periodizzazione — la
continuità col Medioevo, contestando la tesi di quanti, come Thode
e Burdach, hanno messo in luce « gli elementi storico-ideo- logici
che ricollegano il trionfante movimento dei secoli XIV e XV ad
aspirazioni, credenze, idee dell’età prece- dente », e di quanti, come
Volpe, hanno operato un analogo allargamento del quadro cronologico
mettendo in rilievo mento della nuova istituzione, caratteristica
di essa, quando riesce a mettere radice, è essenzialmente l’affermazione
e il trionfo di una volontà politica, una dissociazione dell’esercizio
del potere dalle attività della produzione e dello scambio, dalle
organizzazioni di arte e di classe, una soggezione lenta e progressiva di
queste e di quelle agli scopi dell’uomo di governo, infine, dello stato »
(Signorie e Principati, 1936). 272? Per alcune indicazioni sul
dibattito su Machiavelli nel periodo fascista cfr. M. Ciliberto, Appunti
per una storia della fortuna di Macbhia- velli in Italia: F. Ercole e L.
Russo, in «Studi storici », X (1968), pp. 799-832. 273 Ora in
F. Chabod, Scritti sul Rinascimento, Torino, Einaudi, 1967, pp.
5-23. 122 L'Enciclopedia italiana « gli
elementi storico-pratici che collegano età dei comuni e Rinascimento
tradizionale, [e] hanno prospettato il Rina- scimento come il moto stesso
di ascesa del popolo italiano, nella sua coscienza di nazione, nella sua
attività politica ed economica oltre che culturale e artistica, e hanno
pertanto fatto tutt'uno fra Rinascimento e storia del popolo
italiano a partire dal sec. XI ». In realtà il distacco da Volpe si
manifesta soprattutto nella sostanziale esclusione degli aspetti politici
ed economici rilevati da Volpe già in Bizan- tinismo e Rinascenza del
1905, e ancora nella voce Italia ”*, e nella caratterizzazione
kulturgeschichtlich del periodo, per cui « se il Rinascimento è divenuto
una categoria storica, lo è — al pari degli altri e simili concetti di
Illuminismo e Romanticismo — nell’unico significato possibile, e cioè
di un momento storico della vita spirituale europea, di un periodo
filosofico, letterario, artistico, che si origina certo da una
determinata realtà politica e sociale nuova, ma che, ad un certo momento,
si dispiega per cosî dire in modo autonomo e, tratto da quella realtà il
succo vivo di cui ali- mentarsi, lo elabora poi concettualmente e
immaginativa- mente, ne fa un mondo a sé, mondo di idee di dottrine
di creazioni artistiche che si dispiega sino ad esaurimento della
sua interiore virtà ». Ma nella voce enciclopedica, a differenza della
comunicazione del 1933, la distinzione iniziale tra il Rinascimento e il
periodo precedente, affer- mata nell’analisi delle interpretazioni, è
contraddetta quan- do Chabod passa a enucleare gli elementi costitutivi
dell’ epoca. Mentre nega la tesi di un « rinnovamento spirituale
europeo » che si sarebbe verificato in Francia e nei Paesi Bassi nei
secoli XI-XIV, riprende il motivo della continuità e insiste sul
carattere esclusivamente italiano e perfino nazionale del Rinascimento,
preparato lentamente fin dal XII secolo, che vide in Italia lo sviluppo
dei Comuni e della borghesia: 274 Nel Rinascimento, afferma
Volpe, «è come se la società italiana, la borghesia italiana nata dalle
città, celebri se stessa riuscita a essere, da nulla che era, tutto o
quasi tutto; come se celebri la signoria e il signore, che era pur egli,
a modo suo, creatura di quella borghesia e, a modo suo, attuava
quell’ideale dell’uomo che si fa da sé » (Italia). 123
Il fascismo e il consenso degli intellettuali Fu la
graduale conquista di un proprio mondo spirituale da parte di chi aveva,
già prima, dato nuove basi alla propria attività pratica e alla propria
vita quotidiana. Era infatti una società nuova, quella ch’era venuta
affermandosi tra il secolo XII e il XIII nell’Italia, e specialmente
nell’Italia settentrionale e centrale [...]. Come ceio sociale, era già ben
robusto e capace quello che, con termine mo- derno, chiameremmo
borghesia, ormai differenziato nettamente dai chierici e dai feudatari
[...]. Questo gagliardo e irrompente fiotto di vita nuova trovava presso
che subito una sua prima, grande espres- sione morale e spirituale, ma
non sul terreno della cultura cosiddetta laica, bensf su terreno
prettamente religioso [...] ora, all’inizio del secolo XIII, era la
società italiana tutta quanta che appalesava le sue rinnovate esigenze di
vita morale nel movimento francescano. Che era il grande apporto della
nuova nazione italiana alla storia della religiosità
europea... In questo recupero dell’interpretazione volpiana
— anche Cantimori nel 1940, sul Dizionario di politica, aveva individuato
nel Rinascimento la presenza di un « senti- mento nazionale unitario
italiano » — il « trasferimento nell’ambito prettamente umano di idee che
prima avevano trovato la loro ragion d’essere nella fede in Dio » è
seguito nel suo lento cammino, che dal francescanesimo porta a Dante,
a Cola di Rienzo ”°, a Petrarca e infine a Machia- velli, cioè attraverso
« l’erompere delle nuove, giovani forze che danno vita alla nazione
italiana », con una genealogia che richiama quella proposta da Gentile
nella sua ricerca della « nazionalità » della filosofia ?*. Per converso,
il tra- monto del Rinascimento si ha, afferma Chabod in un passo
finale della voce in cui già Cantimori ha colto il ripiegare sul piano
della storia nazionale dell’interesse precipuo dello storico valdostano
per il fenomeno europeo e cosmopolitico del Rinascimento ””,
25 Cola di Rienzo fu oggetto di grande attenzione nel periodo fascista in
quanto espressione — come afferma Falco nella voce a lui dedicata —
lella « coscienza italiana ». 216 Cfr. le osservazioni di E.
Garin in G. Gentile, Storia della filosofia italiana, Firenze, Sansoni,
1969, in particolare vol. I, p. 3. 2 D. Cantimori, Chabod storico
della vita religiosa italiana del Cin- quecento (1960), ora in Storici e
storia, cit., p. 327. Analizza la voce, come « caratterizzazione
“spirituale” del Rinascimento », E. Sestan, Rina- scimento e crisi
italiana del Cinquecento nel pensiero di Federico Chabod, in « Rivista
storica italiana », LXXII (1960), pp. 676-679. 124
L’Enciclopedia italiana in stretta connessione con
l’infiacchimento della vita italiana, con la iniziantesi decadenza
politica ed economica, con il venir meno delle grandi speranze e della
volontà d’azione, in una parola con il tra- monto delle forze creatrici
che avevano dato alimento ed essere alla muova civiltà e ne avevano fatto
l’espressione piena del vigoroso sorgere della nazione italiana.
Pit precisa ancora è l’influenza di Volpe e di Gentile che —
accanto a una forte sensibilità per il conflitto tra ethos e kratos su
cui aveva attirato l’attenzione Meine- cke ?* —, si può riscontrare in
alcune voci risorgimentali di Maturi, che pur Volpe giudicherà «
liberale, liberalissimo, come in politica, cosi in storiografia, assai
aperto alle in- fluenze di Benedetto Croce », e tra i suoi allievi «
forse il più distaccato, nell’intimo, dal mondo del fascismo » ”°
Tornando nel 1950 a valutare la sua celebre voce Risorgi- mento del 1936,
Maturi la presentò come una decisa ri- sposta alla tesi nazionalistica ?;
tuttavia, se è vero che in essa l’autore si opponeva alla dissoluzione
del Risorgimento nella secolare storia italiana, non è sufficiente
limitarsi a definirla una interpretazione « rigorosamente
etico-politi- ca » senza precisarne le fonti ?. Assai netta appare
infatti la sottolineatura delle origini autoctone del Risorgimento,
218 L’idea della ragion di Stato di Meinecke era stata fatta
conoscere da Chabod in un articolo del 1927 (ora in Lezioni di metodo
storico, a cura di L. Firpo, Bari, Laterza, 1969, pp. 257-78), mentre
Cosmopolitismo e Stato nazionale era stato tradotto da La Nuova Italia
nel 1930: sono testi probabilmente presenti a Maturi, che anche nelle
voci enciclopediche avverte il contrasto tra politica e morale, tra Stato
e idea di nazionalità, soprattutto nella Restaurazione, nella quale «si
elaborano da un lato i concetti di stato forte e di potenza, dall'altro
quelli di libertà e di civiltà » (Restaurazione, 1936). « L’opera degli
Svizzeri e dei Tedeschi fu immensa per la formazione delle coscienze
nazionali europee, ma fu opera essen- zialmente culturale: per fare
trionfare in pratica il principio ci volevano diplomatici e
rivoluzionari. Lo zar Alessandro fu il primo ad agitare l’idea della
nazionalità » (Storia del principio di nazionalità, sottovoce di Nazione
di Battaglia, 1934). 29 G. Volpe, Storici e maestri, cit., p.
489. 20 W. Maturi, Gli studi di storia moderna e contemporanea,
in AA.VV., Cinquanta anni di vita intellettuale italiana, cit., vol. I,
pp. 244- 45. La sua interpretazione è stata fatta propria da E. Sestan,
Walter Matu- ri, in « Rivista storica italiana », LKXIII (1961), pp.
227-28 (l’articolo esa- mina anche le altre voci di Maturi), e da M.L.
Salvadori, Walter Maturi, cit., pp. 441-443. 21 M.L.
Salvadori, Walter Maturi, cit., p. 442. 125 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali sganciato da ogni
rapporto con la Rivoluzione francese. « Ma, allora, avrebbero ragione gli
storici francesi, che fanno ancora risalire alla rivoluzione francese il
nostro Risorgimento? », si chiede Maturi una volta confutate le
tesi sabaudista e diplomatica delle origini del Risorgimento: Ciò
che distingue la nostra tesi da quella francese, rappresentata ancora dal
Bourgin, è il valore che noi diamo all’epoca del dispotismo illuminato e
al principio della lotta delle nazioni. Senza le riforme del Settecento,
senza l’insoddisfazione dei nostri elementi regionali pit intelligenti
verso lo stato regionale, senza lo stacco che l’opera rifor- matrice aveva
posto in Italia tra minoranze sovvettitrici di vecchi ordini statali e
masse meccanicamente attaccate a quegli istituti, la rivoluzione francese
non si sarebbe potuta inserire tra le lotte poli- tiche e sociali
italiane e non avrebbe trovato il germe fertile, il terreno fecondo.
D'altro canto le grandi lotte settecentesche tra Francia e Inghilterra
avevano insegnato agl’Italiani la fecondità delle lotte nazionali.
Diversamente da quanto dirà nel saggio del 1942 su Partiti
politici e correnti di pensiero nel Risorgimento ©, Maturi considera
quindi il Risorgimento un movimento che affonda le sue radici nell’età
delle riforme *. Anche Volpe, proprio nel 1936, aveva sottolineato i
Principi di Risorgi- mento nel ’700 italiano ”*; ma il richiamo a Volpe
si fa ancora più preciso quando Maturi coglie l'elemento propul-
sore del Risorgimento in « un piemontese non conformi- sta », Alfieri —
col quale « si afferma il primo presupposto d’una nazionalità: la volontà
di essere uno stato-nazione » 282 In Problemi storici e
orientamenti storiografici, raccolta di studi ‘a cura di E. Rota, Como,
Cavalleri, 1942, pp. 837-876. 283 R. Romeo ha invece scritto: «
Fermissimo, anzitutto, nel Maturi, il rifiuto delle posizioni nazionalistiche
e, dunque, di ogni tesi sul carat- tere pre-risorgimentale del Settecento
o peggio, sulla funzione “risorgi- mentale” dei Savoia fin dal 1748 o
magari dal 1706; e nessuna adesione, «di conseguenza, al tentativo di
negare il nesso Rivoluzione francese-Risor- gimento » (Walter Maturi
storico della storiografia (1961) ora in L'Italia unita e la prima guerra
mondiale, Bari, Laterza, 1978, p. 193). Il pen- siero riformatore fu
giudicato astratto da Ettore Rota, fuorché in Italia, dove avrebbe avuto carattere
«autonomo e nazionale » (Riforme, età delle, 1936). 24 «
Rivista storica italiana », s. V, I (1936), pp. 1-34 (il tema del-
l'articolo era stato anticipato da Volpe al Congresso per la storia del
Risorgimento del 1935). 126 L’Enciclopedia
italiana —, sulla base del celebre passo di Del principe e delle
let- tere in cui si auspica che l’Italia, « inerme, divisa,
avvilita, non libera, impotente », possa risorgere « virtuosa,
magna- nima, libera e una »: lo stesso passo parafrasato da Volpe
per dimostre che con Alfieri « il lento processo storico che da secoli
veniva costruendo l’Italia diventa veramente coscienza e volontà » ?®. È
questo un tema, del resto, che nell’Enciclopedia circola ampiamente, da
Rodolico, che vede in Alfieri « i primi albori del Risorgimento nazionale
» (Italia), a Manfredi Porena, per il quale il letterato piemon-
tese « ebbe con maggior chiarezza di ogni altro suo precur- sore il
concetto dell’unità politica d’Italia fondata sull’indi- pendenza e sulla
libertà, e con maggior ardore e fiducia la profetò » (Alfieri,
1929). Ma le date e il linguaggio di queste voci ci suggeriscono che
all’origine dell’interpreta- zione di Maturi non c’è soltanto Volpe; e se
pensiamo alle: altre tappe della creazione del mito risorgimentale,
tutte segnate da letterati, da Foscolo a Cuoco, ci accorgiamo che
la matrice è il Gentile de L'eredità di Vittorio Alfieri, I profeti del
Risorgimento italiano, Vincenzo Cuoco. Il Cuoco — scrive Maturi
riprendendo la genealogia gentiliana della « nuova Italia » — accolse
tutto l'insegnamento che si poteva cogliere dalla rivolta delle plebi
italiane e predicò come dovere mo- rale l’opera di colmare l’abisso tra
popolo e minoranze intellettuali. E un altro grande contributo portò il
Cuoco al concetto di Risorgi- mento: il culto del Vico. Se Alfieri
insegnò agl’Italiani ad agire in grande, Vico insegnò loro a pensare in
grande; se con l’Alfieri l’Italia s’individuò come volontà di essere
stato tra gli stati europei, col Vico acquistò coscienza di avere una
propria personalità nella cultura europea. Dalla fusione delle dottrine
di questi due grandi nacque la nuova Italia, pensante e operante con una
sua particolare fisionomia. nel seno dell'Europa 26, 285
Ibidem, p. 32. Può essere curioso notare che, pur polemizzando con
l’interpretazione autoctona di Gentile, anche Gobetti aveva visto in
Alferi l’iniziatore di «un Risorgimento e un liberalismo che ben si può
dire originale, e in cui si trovano le premesse della nuova cultura poli-
tica italiana » (La filosofia politica di Vittorio Alfieri, tesi di laurea
in filosofia del diritto discussa nel 1922 con Solari, ora in P. Gobetti,
Scritti storici, letterari e filosofici, a cura di P. Spriano, con due
note di F. Ven- turi e V. Strada, Torino, Einaudi, 1969, pp. 87
ss.). 286 Anche per Battaglia Cuoco aveva avuto il merito di
mettere in circolazione Vico, in particolare «quella posizione
storicistica, che in 127 Il fascismo e il consenso
degli intellettuali Se quindi Maturi rifiuta la tesi sabaudistica
e quella diplomatica delle origini del Risorgimento, è per
costruirne un’immagine etico-politica che rinvia a Gentile, ma
anche a Volpe. Non è del resto possibile dimenticare che non di
vero e proprio antisabaudismo si tratta nel caso di Maturi, uno dei «
patiti » del Piemonte ?”. Nell’ampia voce Savoia, sempre del 1936, il
giudizio positivo sull’opera di riorga- nizzazione dello Stato di
Emanuele Filiberto e di Carlo Emanuele I diventa entusiastico per il ’700
(« Da molte- plici punti di vista lo stato sabaudo nel Settecento
appa- riva uno stato perfetto »), mentre Carlo Alberto è definito «
un principe paterno modello » e la sua opera prima del 1848 è qualificata
come nazionale; per cui sembra corretta la critica che di lf a poco, nel
1942, Cortese muoverà a Risorgimento di Maturi (« non crediamo che ci
siano ele- menti che ci autorizzino a fare della classe politica
piemon- tese della fine del Settecento la creatrice del mito del
Risor- gimento nazionale ») 8. Un altro motivo che torna
anche in alcune voci enciclo- pediche di Maturi, laureatosi in filosofia
con Gentile con una tesi su De Maistre, è quello della religione e dei
suoi rapporti col potere politico. Proprio nell’opera di De Mui-
stre egli coglie « i primi germi di alcune eresie: del moder- nismo con i
suoi accenni all’evoluzione dei dogmi e delle credenze religiose; del
nazionalismo francese di Ch. Maur- ras con la sua eccessiva Politisierung
della Chiesa nel Du a », e, più in generale, in Restaurazione (1936)
nota che per rendere più docili le nuove generazioni e
amalgamarle con le vecchie non si seppe pensare ad altro mezzo che
all’educazione eccle- siastica e si commise l’errore di abbassare la
Chiesa a instrumzentum regni in un’età di delicatissima sensibilità
etico-religiosa, con l’unico parte si fonde con la filosofia
antilluministica », e aggiungeva che « l’opera sua resta nei limiti della
tradizione nazionale, che egli riconquistò alla filo- sofia ed elaborò
con alta coscienza, tanto che al suo insegnamento si ricolle- garono gli
uomini del Risorgimento: Mazzini e Gioberti stesso ». 27 D.
Cantimori, Studi di storia, Torino, Einaudi, 1959, p. 835. 28 N.
Cortese, Orientamenti storiografici intorno alle origini del Risor- gimento,
in Problemi storici e orientamenti storiografici, cit., p. 759.
128 L’Enciclopedia italiana frutto di provocare per
reazione la genesi del cattolicesimo liberale e d’insinuare con esso il
nemico nella cittadella religiosa del passato. Queste affermazioni
non sono tuttavia univoche, come dimostra — oltre alla valutazione
positiva dei Patti late- ranensi (Romana questione) — il giudizio
sul Neoguelfismo (1934), che trasformò in sentimento
politico nazionale il sentimento politico locale, facendo confluire nella
cultura nazionale le culture regionali, e quindi compî, sotto certi
aspetti, un’opera d’educazione nazionale maggiore di quella di Mazzini,
perché operava dal seno stesso delle vecchie formazioni statali italiane
e ne produceva la crisi morale. Del neoguelfismo, restò, trasformandosi
ed evolvendosi, il liberalismo nazionale o partito moderato col nuovo
ideale d’Italia e casa Savoia, elaborato dalla storiografia piemontese;
restò il cattolicesimo nazic- nale, che abbandonò le idee di riforma
cattolica, si restrinse ad aspi- rare alla conciliazione tra il papato e
la patria italiana e ha visto realizzato il suo sogno dalla nuova
politica ecclesiastica di B. Musso- lini; restò l’ideale del primato, che
è stato ripreso dal fascismo ?P. Dove in quel « si restrinse »
traspare comunque una posizione laica, alla quale fa riscontro per alcuni
aspetti il giudizio su Gioberti (1933) di Giuseppe Saitta, il
direttore di « Vita nova » che ospitò, come vedremo, alcune critiche
alle voci religiose dell’Enciclopedia: un Gioberti a propo- sito del
quale, in linea con l’interpretazione gentiliana ?°, non si cita mai la
funzione da lui assegnata al pontefice, ma è visto come l’esponente di
una « visione laica e democra- tica » e « il maggior teorico del
liberalismo, che è in anti- tesi col mazzinianesimo antimonarchico e col
guelfismo dei conservatori che consigliavano il re ad una politica di
mode- 29 Di De Sanctis (1931) Maturi evidenziò gentilianamente il
fatto che, « vichiano, senti il valore della religione per il popolo, ma
criticò fino in fondo il principio della libertà ecclesiastica e molto si
adoperò, di con- serva col Mancini, per far mantenere nel sistema
separatista italiano alcune cautele giurisdizionaliste. Comprese, invece,
la funzione dialettica, altamente educativa per ambo le parti, d'un
insegnamento religioso coesi- stente con quello laico ». 290
Gentile parla di «un incessante svolgimento del programma gio- bertiano
verso quella concezione nettamente laica e democtatica, o in una parola,
liberale dello Stato, innanzi alla quale i neoguelfi ricalcitrano » (I
profeti del Risorgimento italiano, Firenze, Vallecchi, 1928?, p. 128).
129 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
razione e di prudenza, la quale si risolveva nella diserzione
dalla causa nazionale », ed è esaltato per il suo « tentativo di
conciliare la spiritualità dello stato con la spiritualità della chiesa
». 12. Le voci religiose: presenza e conflittualità dei cattolici
Nel 1929 Giovanni Busnelli, un critico severo dell’ attualismo che
troviamo fra i collaboratori dell’Enciclo- pedia, recensendo su « La
Civiltà cattolica » i primi volumi dell’opera notava con compiacimento,
come abbiamo visto, che i suoi direttori, « mentre lasciano agli
scrittori la piena libertà d’esprimere il concetto cristiano e cattolico
e il giu- dizio dei fatti secondo il criterio della soda indagine
ecclesia- stica, promettono di invigilare che anche in altri articoli
in- direttamente attinentisi alla religione cattolica e alle
materie ecclesiastiche non vengano sostenute o insinuate sentenze o
critiche contrarie o malfondate » ?*. Il giudizio rispecchiava il posto
privilegiato riservato nell’Enciclopedia ai cattolici, l’unica voce
organizzata non completamente omogenea con la cultura del fascismo quale
era auspicata da Gentile, ma tale, per ampiezza e incisività, da
caratterizzare nettamente l’opera nel suo complesso, che non può perciò
essere quali- ficata solo come idealista o attualista. Questo aspetto
non è stato messo nel dovuto rilievo dai testimoni di allora,
nemmeno da quanti hanno ammesso la presenza della censura ecclesiastica
??; del resto nelle stesse ricostruzioni generali della cultura nel
periodo fascista solo di recente — se prescindiamo dalle Cronache di
Garin — è stato messo l'accento sull’intervento dei cattolici come
componente es- 2) [G. Busnelli], L’« Enciclopedia Italiana », in
«La Civiltà catto- lica », 80 (1929), vol. IV, p. 536. Busnelli aveva
pubblicato nel 1926 I fondamenti dell’idealismo attuale esaminati.
29 Cosî G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, cit., pp. 234-38, e
G. Calogero, Mussolini, la Conciliazione e il congresso filosofico del
1929, in «La Cultura », IV (1966), pp. 434-435. Sulla tematica affrontata
in per pagine cfr. M. De Cristofaro, Le voci di argomento religioso
nel- °Enciclopedia italiana, tesi di laurea presso la Facoltà di Lettere
e Filo sofia di Firenze, anno acc. 1971-72. 130
L’Enciclopedia italiana senziale del regime, anche se in
concorrenza con l’attuali- smo, soprattutto dopo il 1929 ??. Ma
l’esistenza di una loro vasta organizzazione intellettuale e il loro
incontro con altri settori conservatori della cultura laica sono forse
rav- visabili già prima del Concordato. Proprio le vicende del-
l’Enciclopedia fin dal 1925 suggeriscono infatti una prospet- tiva di più
lungo periodo, capace di individuare le tappe decisive della «
riconquista » cattolica anche in campo cul- turale — in un confronto
continuo con la cultura laica con- temporanea — nell’iniziativa
neoscolastica all’indomani della sconfitta del modernismo, nella prima
guerra mondiale che offri ai cattolici numerosi spazi di intervento in
tutti i settori della società, e nella soluzione della crisi
Matteotti, in cui anche Pietro Scoppola ha visto l’origine di un
regime clerico-fascista 4. Le osservazioni sul Concordato e
sui neoscolastici svolte da Gramsci nel breve periodo che intercorre fra
il 1929 e la messa all'indice delle opere di Croce e di Gentile nel
1934 ”*, possono probabilmente essere anticipate di alcuni anni, al
momento in cui, nell'immediato dopoguerra, il celebre appello di Gemelli
al « medioevalismo » — « Noi siamo medioevalisti; lo siamo perché
riconosciamo che la cosî detta cultura moderna è il nemico pit fiero del
Cristia- nesimo e perché riconosciamo che è vano parlare di adatta-
menti, di penetrazione » ?° — diventa prospettiva concreta di attacco in
tanti interventi di cattolici, fra cui spicca per 293 Cfr. L.
Mangoni, Aspetti della cultura cattolica sotto il fascismo: la rivista «
Il Frontespizio », in AA.VV., Modernismo, fascismo, comu- nismo, a cura
di G. Rossini, Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 363-417, Id., L’interventismo
della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, Bari, Laterza, 1974,
e P. Ranfagni, I clerico fascisti. Le riviste dell'Università Cattolica
negli anni del regime, Firenze, Cooperativa editrice universitaria, 1975.
Su un altro aspetto, non meno importante, cfr. S. Pivato, L’orga-
nizzazione cattolica della cultura di massa durante il fascismo », in «
Italia contemporanea », XXX (1978), pp. 3-5. 24 P. Scoppola,
Sviluppi e differenti modalità della presenza cultu- rale e politica dei
cattolici nelle vicende italiane dal 1870 ad oggi, in «Quaderni di azione
sociale » (1976), p. 279. 295 A. Gramsci, Quaderni del carcere,
cit., in particolare pp. 1114, 1218, 1250-1251, 2243. 2%
L'articolo del 1914 è riprodotto in A. Gemelli, Idee e battaglie per la
cultura cattolica, Milano, Vita e pensiero, 1940, pp. 1-32.
131 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
chiarezza l’invito rivolto da don Giuseppe De Luca allo stesso Gemelli il
2 dicembre 1919: Nelle nostre file s'è troppo indugiato sulla
difesa. Che fanno oggi i cattolici studiosi se non difendere dagli
attacchi dei nostri nemici? Perché non occupare noi primi le scienze, le
lettere? Perché non dar neppure il motivo agli avversari? Pigliamo la
cultura, e studia- mola e facciamola nostra: quali timori? [...]. Una
università catto- lica, non una chiesuola; o meglio ancora dare degli
elementi vigorosi e inserirli negli istituti laici 27. Negli
anni ’20 si assiste infatti a uno sforzo cospicuo dei cattolici di organizzare
una propria cultura per il clero e per il laicato: dal rilancio del
tomismo prospettato dal- l’enciclica Studiorum ducem del 1923 — che
troverà una espressione organizzativa nella costituzione Deus
scientia- rum dominus del 1931 —, alle tante iniziative che — come
l’Università cattolica o la fondazione nel 1925 della casa editrice
Morcelliana — si ispirano al suggerimento di Ge- melli, secondo il quale
« perché i cattolici italiani abbiano da esercitare una influenza
culturale, quale la tradizione cattolica in Italia rende possibile, è
necessario innanzitutto che i cattolici non siano reclutati solo nelle
classi popolari, ma anche nelle classi elevate » ?* Già nel
1925 Gentile aveva cominciato ad avvertire il pericolo della concorrenza cattolica’,
che diventerà sua preoccupazione costante dopo il 1929. Eppure proprio
nel- l’Enciclopedia da lui diretta egli aveva dovuto accettare fin
dall’inizio la presenza condizionante dei cattolici, fino a perdere ogni
controllo sulle sezioni « Religione » e « Storia del cristianesimo », e a
conferire uno spazio larghissimo a « Materie ecclesiastiche » di Tacchi
Venturi e a « Geografia sacra » di Luigi Gramatica **. La vicenda di
Omodeo, cui 21 Don Giuseppe De Luca et l’abbé dr Bremond
(1929-1933), Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1965, p
28 A, Gemelli, I/ compito colturale dei SE (1930), in Idee e bat-
taglie, cit., p. 372. Ù 29 «Le università cattoliche dovrebbero,
secondo loro, col tempo e col favore di Dio, sostituirsi interamente alle
università laiche dello Stato » (discorso al Congresso di cultura
fascista di Bologna, 30 marzo 1925, in G. Gentile, Che cosa è il
fascismo, cit., p. 103). 300 Il 27 maggio 1925 mons. Luigi
Gramatica, direttore della « Rivi- 132 L’Enciclopedia
italiana inizialmente era stata affidata la « Storia del
cristianesimo », è indicativa del tentativo di Gentile — affiancato da
altri direttori di sezione — di contrastare l’offensiva ecclesia-
stica, ma anche della sua sconfitta. La scelta di Omodeo da parte
di Gentile era coerente all'impostazione critico-storica che la direzione
avrebbe voluto dare alla trattazione di tutte le voci; ben note
erano del resto le aspre critiche che da parte cattolica avevano
accompagnato gli studi di Omodeo sul cristianesimo antico, come il Paolo
di Tarso del 1922, giudicato dalla « Civiltà. cattolica » opera di un «
compilatore di seconda o terza mano » *. La sua « rivendicazione della
storia del cristia- nesimo e in genere della vita religiosa come storia
etico- civile, come storia della società umana, da studiare, ricer-
care e ricostruire prescindendo da preoccupazioni confes- sionali di ogni
genere » *%, non era infatti tale da accatti- vargli le simpatie degli
studiosi cattolici; la sua imposta- zione idealistica e storicistica era
avversata anche da Buo- naiuti che, pur giudicando la Mistica giovannea
del 1930 « un sensibile progresso sulla precedente produzione del-
l’Omodeo », la considerava tuttavia «una mal digesta sta
illustrata della esposizione missionaria vaticana », aveva chiesto a
Gentile di affidargli la «Geografia sacra »: «Per Geografia Santa o Sacra
io non intendo solo la Geografia Biblica o la descrizione dei paesi che
immediatamente o mediatamente prepararono la diffusione del Cristia-
nesimo; ma intendo parlare altresi di tutte le regioni o località del
mondo in rapporto al governo della Chiesa e in quanto sono assegnate
alla cosiddetta geografia sacra » (AEI, Lettere, Gramatica). Il 18 luglio
1926 Gaetano De Sanctis scrivendo ad Antonino Pagliaro, redattore
della sezione « Antichità classiche », si dichiarava deluso dell’elenco
di voci di « Geografia sacra »: « mi pare che non si tratti se non di
geografia eccle- siastica, cioè l’indicare Stato per Stato le
circoscrizioni ecclesiastiche, il numero dei preti e dei fedeli ecc.
Invece sarebbe stato bene che la geografia sacra registrasse i centri
importanti di culto, i luoghi di pelle grinaggio, i luoghi famosi nella
storia evangelica o nella storia della Chiesa » (AEI, Lettere, De Sanctis).
301 Intorno a un libro su S. Paolo del prof. A. Omodeo, in «La
Civiltà. cattolica », 75 (1924), vol. III, pp. 405-415, e vol. IV, pp.
30-41. Di «retorica romanzesca » era tacciato anche il volume di Omodeo
su L’età moderna e contemporanea (Storicismo socialista e fantasie
retoriche e modernistiche, in « La Civiltà cattolica », 82 (1931), vol.
IV, p. 535). 302 D. Cantimori, Commemorazione di Adolfo Omodeo
(1947), ora in Storici e storia, cit., p. 28. 133
Il fascismo e il consenso degli intellettuali accozzaglia
di elementi eterogenei ed avventizi » ®*. Le preoccupazioni cattoliche
erano giustificate anche dall’orien- tamento che Omodeo avrebbe voluto
dare alla sezione enci- clopedica, puntando essenzialmente su
collaboratori laici in modo da salvaguardare un approccio critico-storico
ai pro- blemi. Il 5 novembre 1925 egli scriveva a Gentile che «
molte voci, anche quelle di sapore strettamente ecclesia- stico non si
possono neanche affidare a preti, senza il peri- colo di perdere
l’informazione sugli studi critici e prote- stanti, e per converso non si
possono affidare neppure a protestanti sia italiani che stranieri », pur
aggiungendo che si sarebbe rivolto al gruppo di « Bilychnis » per la
storia protestante e a Loisy per la storia della critica e la
storia del canone ®*. Gentile approvava, ma lo avvertiva che,
mentre la trat- tazione dei papi sarebbe spettata alla sezione diretta
da Volpe, « dei Sanzi, salvo contrario avviso, penserei dare la
cura ad ecclesiastici, con cui sono in trattative » *”. Largo restava
comunque l’intervento dei laci nelle voci di storia religiosa ®*; le
stesse voci riguardanti dottrine teologiche, riti e culti, aggiungeva
Omodeo il 23 novembre 1925, « avrebbero bisogno d’una trattazione “laica”
anche quando pare si riferiscano a concetti teologali o liturgici, pur,
ben inteso, rispettando quelle norme di prudenza ed obiettività di
cui abbiamo parlato » *”. Il piano delle voci e dei colla- boratori era
completato nel dicembre 1925, e all’inizio del 1926 Omodeo poteva già
presentare un abbozzo della voce Apostoli, che poi corresse seguendo il
consiglio di Gentile 393 « Ricerche religiose », VI (1930), pp.
458-459. 3% G. Gentile-A. Omodeo, Carteggio, cit., pp.
345-46. 305 Ibidem, pp. 346-47 (9 novembre 1925); il 18 luglio 1926
Gentile scriveva che « l’altera pars [gli ecclesiastici] mi consegna in
questi giorni tutte le sue proposte sulle materie ecclesiastiche »
(ibidezz, p. 364). 306 L’11 novembre 1925 Omodeo prevedeva ad es. la
partecipazione di Marchesi per la patristica latina, di Pasquali per
quella greca, di Co- gnasso per la storia religiosa bizantina, L. F.
Benedetto per il gianseni- smo francese, Rota e Rodolico per quello
italiano, Macchioro per Lutero e la Riforma, Spampanato e Capasso per la
Controriforma, e inoltre la partecipazione dei collaboratori di «
Bilychnis », di S. Caramella e S. Minocchi (ibidem, pp. 348-351).
37 Ibidem, p. 352. 134 L’Enciclopedia italiana
di « lasciare aperte alcune questioni; quantunque sia già molta la
prudenza da te adoperata » **: cautele che non im- pediranno, una volta
pubblicata, le critiche de « La Civiltà cattolica » ?°. Ma
nell’aprile 1926, in coincidenza con la pubblica- zione del Primo elenco
di collaboratori, a Omodeo era giunta voce di un veto del Vaticano
alla sua partecipazione, tanto da suggerirgli il proposito di «
tirarsi da parte » *°. Gentile continuò tuttavia a ricercare la
collaborazione di Omodeo, finché il 14 febbraio 1929, solo tre giorni
dopo il Concordato, intervenne per criticare varie voci, fra cui
Apocalisse e Apocalittica, letteratura, perché « alcune frasi [...] danno
come risolte definitivamente in senso che i cat- tolici non approvano,
alcune questioni critiche, a proposito delle quali occorrerebbero almeno
delle delucidazioni » La risposta di Omodeo, del 16 febbraio, è
articolata nella difesa delle sue ragioni scientifiche, ma
intransigente: L’obiettività d’un’enciclopedia, è una forma di buona
creanza, ma non può offendere l’intima sostanza della scienza. Metter
d’ac- cordo indirizzo critico e tesi cattolica è impresa disperata, come
con- ciliare sistema tolemaico e sistema copernicano. La scienza ha il
suo cursus, e un’enciclopedia deve riconoscerlo ed affermarlo. Io
per conto mio nella scienza sono intransigente e non mi sento
l’animo per concordati e compromessi [...]. Mi creda, professore, a dar
retta ai preti si finisce a impazzire. Nella scienza erano sono e
saranno capita mortua 32, 308 Ibidem, pp. 356-57, 368, 372.
Per la «Storia delle religioni » Gentile aveva fatto preparare da
Pincherle «le proposte dei collabora- tori da incaricare per le voci, che
non conviene affidare alla redazione degli ecclesiastici. Escluso solo
Buonaiuti » (ibidem, p. 377). 39 [G. Busnelli], art. cit., p.
536. 310 G. Gentile-A. Omodeo, Carteggio, cit., p. 365. Nel giugno
1927 anche Pincherle minacciò di abbandonare l’impresa facendo cosî,
osser- vava Omodeo, «con un’impulsiva rinuncia, il gioco dei gesuiti che
lui mostra di temere » (ibidem, pp. 376-378). 311 Ibidem, p.
419. Apocalittica letteratura di Omodeo non fu pub- blicata, e apparve a
firma di padre Giuseppe Ricciotti, redattore di « Ma- terie
ecclesiastiche ». Omodeo pubblicherà due voci su «Civiltà mo- derna
» (II (1930), pp. 224-248, 992-1000: Le lettere dell’Apostolo Paolo alla
Chiesa di Corinto e La lettera dell’Apostolo Paolo ai Colossesi). Sulla «
mutilazione » di cui furono oggetto altre voci cfr. A. Omodeo, Lettere
1910-1946, cit., p. 455. 312 G. Gentile-A. Omodeo, Carzeggio, cit.,
pp. 420-423. 135 -Il fascismo e il consenso degli
intellettuali Gentile cercò di dirottarlo su argomenti di storia
civile, ma il 4 dicembre 1929 Omodeo dichiarava che non avrebbe
continuato la collaborazione: « Son sicuro che anche nella storia civile
non avrei maggior libertà che in quella reli- giosa, una volta ammesso il
principio del controllo di una parte sul lavoro dell’altra »; se fosse
stato possibile accor- darsi su « un principio di completa libertà », «
io avrei lasciato liberi i preti di gabellare, come han fatto,
Abramo quale personaggio storico, o di far l’apologia, se crede-
ranno, del miracolo di S. Gennaro: a condizione che essi non avessero
inquisito nei miei lavori. L’enciclopedia avrebbe fotografato la cultura
italiana, in cui c'è P. Vac- cari, e c'è A. Omodeo » ?!. Cosî
le voci di Omodeo restano una delle poche testi- monianze di trattazione
critica dei problemi religiosi nel- l’Enciclopedia, in genere appiattiti
dall’impostazione ‘dog- matica e apologetica degli autori cattolici.
Ammiratore della scuola storica di Tubinga fondata da Ferdinand
Chri- stian Baur — la cui opera era definita « uno dei maggiori
monumenti dello storicismo hegeliano » —, Omodeo cercò di attenersi ad
una esposizione obiettiva dei fatti e delle diverse interpretazioni, ma
senza riuscire a nascondere la sua preferenza per i risultati
dell’indagine critica rispetto alle affermazioni aproblematiche degli
studiosi cattolici: in Apocalisse, ad esempio, dopo aver esposto
l’opinione di quanti negavano l’apostolicità dello scritto concludeva
che « in opposizione a questi indirizzi critici, il cattolicesimo
si mantiene saldo nell’affermare l’apostolicità dell’opera — ormai abbandonata
quasi da tutti nell’altro campo [...] — e nel ribadirne l’ispirazione
divina, e l’esegesi spiritualiz- zante ». Rispetto a un giudizio del
genere, si può notare un vero e proprio capovolgimento di segno nella
voce, esecrata da Omodeo, in cui padre Eerembeemt aveva soste- nuto
la storicità della figura di Abrarzo (1929) affermando la « insussistenza
» delle teorie di chi la negava *“, o in 313 Ibidem, pp.
434-435. 314 « Abramo è un personaggio storico? Pei credenti, si; e
sotto Abra- mo trovi un paragrafo dove sono oggettivamente esposti gli
argomenti per la storicità di Abramo », osservò Ugo Ojetti, I primzi ser
volumi del- 136 L’Enciclopedia italiana
Deuteronomio (1931) — voce prima affidata a Omodeo e poi respinta dalla
direzione dell’Enciclopedia —, in cui il. gesuita Tramontano avvalorava
le tesi degli studiosi catto- lici che attribuivano l’ultimo libro del
Pentateuco a Mosè, confutando recisamente quelle dei critici « acattolici
» !5. Omodeo avrebbe dovuto trattare anche la storia della Chiesa
dalle origini al concilio di Nicea, ma il 29 giugno 1929 egli aveva
avanzato delle riserve per i limiti, molto ristretti, di libertà
di parola che consente l’enciclo- pedia, Se per le voci bibliche io
arrivo spesso a cavarmi d’impaccio esponendone il contenuto e narrando la
storia della critica, per [questa] voce non è cosî. Non posso narrar la
storia della chiesa, senza prender posizione, altrimenti la narrazione
non procede. Nelle questioni spinose dell’origine dell’episcopato, del
primato romano, della struttura dogmatico-disciplinare della chiesa,
della prassi peni- tenziale, dei sacramenti ecc. non potrei non dare
scandalo ai preti, divenuti cosî intolleranti 36, Subito
dopo Gentile lo cavava d’« impaccio » affidan- done la stesura a don
Giuseppe De Luca, che senza troppe preoccupazioni spiegava la rapida
diffusione del cristiane- simo con i caratteri della dottrina stessa («
per tutti che sentissero lo stimolo di una vita non solamente
animale, [la dottrina cristiana significava] la formula risolutiva
della propria umanità in ciò che ha di buono e di cattivo, con la
tecnica della propria cultura interiore »), giustificava l’im- piantarsi
della gerarchia e del primato romano, e spiegava come « da contaminazioni
e compromissioni della dottrina cristiana, consumate per opera di menti
ansiose e irrequiete, nacquero le prime eresie ». Alla luce
della vicenda di Omodeo è facile presumere che l’ingerenza degli
ecclesiastici si sia estesa ben presto a l’Enciclopedia italiana,
in « Il Corriere della sera », 5 agosto 1930. 315 In Pentateuco
(1935) il gesuita Alberto Vaccari espose i motivi per cui «la scienza
[può] trovare nel Pentateuco un buon nucleo auten- ticamente mosaico
frammezzo ad accrescimenti d’età posteriore. Né pi sembra domandare la
fede cattolica, quando vuol salva la sostanziale autenticità e integrità
del Pentateuco, e lascia passare aggiunte, purché ispirate, e mutazioni
accidentali posteriori a Mosé (v. il decr. della Com- missione biblica 27
giugno 1906) ». 316 G. Gentile-A. Omodeo, Carteggio, cit., pp.
426-427. 137 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali tutti i settori in cui erano presenti voci o
riferimenti reli- giosi, vanificando l’impronta laicista che non solo
Gentile e Volpe, ma anche, con particolare forza, Francesco Salata
avrebbe voluto dare alla sezione « Storia contemporanea », di cui perderà
la direzione nel corso della preparazione del- l’opera: « senza invadere
il campo riservato alle sezioni “Filosofia, educazione, religione” e
“Storia delle religio- ni” », scriveva Salata in un promemoria del 9
maggio 1926, ritengo che la parte prevalentemente politica della
storia contempo- ranea delle religioni e specialmente della Chiesa
cattolica, e quindi, ad esempio le voci personali dei papi, dei cardinali
segretari di Stato, dei nunzi, quelle dei concili, di alcune istituzioni
amministrative della Chiesa, di alcune dottrine politico-religiose ecc.
trovino posto più proprio nella mia sezione. Per alcune voci relative
alla Chiesa cattolica ciò non può mettersi in dubbio per il periodo
precedente al 1870, ma anche per il periodo successivo è troppo chiara
l’impor- tanza politica del papato non solo per l’Italia ma anche in
tutta la politica internazionale, perché tali voci siano sottratte alla
sezione che ha cura e responsabilità della storia politica di questo
periodo 317, Ma, quando Salata avanzava queste pretese, la
presenza dei cattolici tendeva già a dilatarsi all’interno dell’Enciclo-
pedia, favorita dalla singolare concezione dell’obiettività propria di
Gentile, consistente nel rivolgersi ai « compe- tenti », ma in ultima
istanza ai diretti interessati *, Cosi le voci sui gesuiti furono
attribuite prevalentemente a espo- nenti dell’ordine — con un cospicuo
intervento di Tacchi Venturi —, Rosmini al rosminiano Caviglione, con
l’inter- pretazione del quale Gentile aveva polemizzato nel 1906 *,
Scolastica e S. Tommaso ai neoscolastici Francesco Pelster e Martin
Grabmann, Neoscolastica a Gemelli, e a Niccoli, allievo di Buonaiuti,
voci come Gioacchino da Fiore e Mo- dernismo. Il fatto che queste voci di
storia religiosa fos- sero affidate a rappresentanti di vari indirizzi di
pensiero 317 AFI, Lettere, Salata. 318 «Da Barnabiti
particolarmente desidererei gli articoli relativi ai Barnabiti », aveva
scritto il 18 aprile 1925 Gentile a padre Semeria (AEI, Lettere,
Semeria). 39 G. Gentile, Storia della filosofia italiana, cit.,
vol. I, pp. 879-880. La voce fu riprodotta, assieme a quella Rosminiani,
congregazione dei di Bozzetti, in « Rivista rosminiana », XXX (1936), pp.
163-170. 138 L’Enciclopedia italiana
comportò l’esistenza di inflessioni diverse nel giudizio e nel taglio
metodologico: ad esempio, presentando la figura di Gioacchino da Fiore
(1933) Niccoli non solo riprese l’in- terpretazione che ne dava Buonaiuti
in quegli stessi anni °° — « una delle figure più notevoli della
spiritualità cristiana durante il Medioevo », la cui opera ha un «
contenuto inti- mamente sovversivo nei riguardi della Chiesa ufficiale »
—, ma si differenziò anche da altri autori spiegando in termini
economici e politici la genesi della sua profezia sull’avvento della
Chiesa della realtà spirituale sostituita a quella della gerarchia e dei
simboli *?, Tuttavia, al di là di queste distin- zioni interne,
l'intervento dei cattolici comportò, da un lato, la dilatazione dello
spazio concesso alle voci religiose — come dimostra anche un rapido
confronto tra l’Enciclopedia britannica e l’opera diretta da Gentile, in
cui voci specifiche sono attribuite, ad esempio, a Concezione immacolata
o a Comunione dei santi —; e, dall’altro, l’apologia del cattoli-
cesimo più tradizionale, che non investe solo la storia della Chiesa medievale
sulla quale la cultura cattolica vantava anche allora una ricca
tradizione di studi — « il fascismo inquinò anche la storiografia
medievalistica con un clerica- lismo nauseante nell’esaltazione in blocco
di tutta la storia della Chiesa medievale (tutti i papi medievali
vengono esaltati nell’Enciclopedia italiana) », ha osservato
Gabriele Pepe ** —, ma riguarda tutti i periodi storici. Basti
pensare alla voce su S. Gerzaro in cui il gesuita Romano Fausti
sostiene la veridicità del miracolo, secondo quanto aveva 320 La
voce ha molte assonanze, ad es., con E. Buonaiuti, Gioacchino da Fiore,
in « Rivista storica italiana », XLVIII (1931), pp. 305-323. 321 «
Gioacchino, con tutta probabilità servo della gleba per nascita, è giunto
al suo riscatto e alla formulazione del suo messaggio attraverso
l'iniziazione in una riforma monastica, quella cisterciense, di origine e
caratteristiche squisitamente latine, la cui importanza sul terreno
sociale come fattore di disgregazione dei superstiti istituti feudali —
anche nell'Italia Meridionale — si palesa oggi sempre più evidente. Sarà
infine necessario tener presente che il ciclo fattivo della vita di
Gioacchino coincide con quello della maggior fortuna del regno normanno
in Italia: tendenze, aspirazioni e crisi del quale, studi recenti hanno
mostrato riflettentisi sulla complessa esperienza di Gioacchino ».
32 G. Pepe, Gli studi di storia medioevale, in AA.VV.,
Cinquant'anni di vita intellettuale italiana, cit., vol. I, p. 113.
139 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
previsto Omodeo, o allo sconcertante giudizio con cui Ro- berto
Palmarocchi minimizza il ruolo di un personaggio « scomodo » come
Savonarola, spiegandone la condanna: secondo alcuni essa ricade
sui fiorentini, secondo altri sulla corte di Roma. È certo che il
Savonarola stesso diede ai suoi nemici l’occa- sione di abbatterlo,
immischiandosi e invischiandosi nelia politica e avallando con la sua
autorità morale i fatti e i misfatti di una fazione. Ma la causa più
profonda della sua caduta fu la sua illusione di arre- stare il cammino
dei tempi, il suo sforzo d’impotre agl’italiani del quattrocento una
concezione di vita ormai superata. In questo quadro non mancano
tuttavia delle eccezioni, costituite non solo dagli interventi di Chabod
e di Canti- mori su figure di protestanti e di eretici, ma anche da
alcune voci di Pincherle e di Jemolo che affrontano tematiche più
ampie di storia della Chiesa, con un’attenzione particolare ai
collegamenti fra storia religiosa e storia politica. Questi evitano
infatti di pronunciarsi sulle questioni propriamente teologiche seguendo
la via proposta da Gentile quando, inviando a Jemolo delle istruzioni per
la compilazione di voci di storia della Chiesa, osservava che « anche delle
sin- gole controversie teologiche [...] sarà da rilevare il signi-
ficato intimo, le azioni e reazioni sulla politica anche degli Stati,
sull’organizzazione gerarchica, sulla pietà e le mani- festazioni del
sentimento religioso, pit che non l’aspetto tecnicamente teologico e le
singole fasi della disputa » ?. A un ambito di intervento laico sono
infatti riconducibili le voci di Jemolo che, pur esprimendo un giudizio
severo sul carattere « malevolo o petsecutore » del liberalismo
ottocentesco che « non tollera i conventi, vuol spogliare la Chiesa dei
suoi beni e sottometterne tutta la vita a un re- gime di polizia »
(Chiesa), forni un’interpretazione del Ga/- licanismo (1932) che
lo espose a interventi censori *, e 33 Gentile a Jemolo, 3 agosto
1928 (AEI, Lettere, Jemolo). 34 Lamentandosi con la direzione per
le varianti apportate alla sua voce, il 22 giugno 1932 Jemolo osservava
che « a mio avviso non risponde al vero nascondere la decadenza del
gallicanismo nel settecento, e dargli parte prevalente in quel complesso
fatto europeo che fu la soppressione della Compagnia di Gesti » (ibidem).
E la decadenza del gallicanismo è riaffermata nella voce.
140 L’Enciclopedia italiana cercò di distinguere
aspetti religiosi e aspetti politico-cultu- rali nella valutazione della
Controriforma: Chi da un punto di vista strettamente religioso
instauri raffronti tra lo spirito dei primi secoli del cristianesimo,
quello della cristia- nità medievale, e quello della controriforma, potrà
pur non prefe- rire quest’ultima età alle due precedenti. Ma è certo che
la contro- riforma ebbe, accanto alle sue pagine sanguinose, pagine
bellissime segnate dal rapido miglioramento del costume cattolico; fu
una ricca sorgente d’iniziative religiose, di opere di carità e
d’intraprese culturali, che a quasi quattro secoli di distanza sono
ancora lungi dall’esaurirsi; soprattutto diede alla Chiesa un’intima
struttura che, da quasi quattrocento anni, si palesa sempre meglio adatta
a difen- derla contro ogni tentativo, esterno e interno, di
disgregazione, con- tro ogni influenza perturbatrice che miri a deviarla
dal suo cam- mino. Complesso e articolato appare anche il
giudizio di Pin- cherle sulla Riforzz4, che su un piano religioso è « in
asso- luta antitesi » con la teologia umanistica — « nulla più
della libera critica è alieno dallo spirito di un Lutero »; Lutero è « un
uomo nettamente di tipo medievale » —, mentre sul piano della storia
politica e culturale essa « preannuncia veramente il mondo moderno »
perché raf- forza l’assolutismo dei principi e costituisce, con il
calvi- nismo, « il mondo ideale entro cui nacque e si sviluppò lo
spirito capitalistico e, pertanto, il capitalismo moderno ». E assai
distante da toni apologetici e dogmatici si dimostra Pincherle —
accomunato da « Civiltà cattolica » a Omodeo come ugualmente « di sensi
non cattolici » * — nella voce Cristianesimo (1929), in cui giudica con
simpatia l’opera dello storicismo che aveva considerato il cristianesimo come
fatto storico, osservando che « la mentalità storicistica ha nello stesso
tempo distolto lo scienziato dall’identificare senz'altro il cosiddetto
“cristianesimo di Ges” con quello praticato nel seno della sua
particolare confessione e dal giudicare e condannare dogmaticamente; in
questo stesso 35 [G. Busnelli], art. cit., p. 536. Mussolini si
lamentò che alla voce Cristianesimo fossero dedicate solo 3 pagine,
contro le 66 di Cotone (appunto ms., s.d., in ACS, Segreteria particolare
del Duce, Carteggio riservato, b. 49, sottofasc. 1).
141 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
senso agiva il nuovo clima culturale, con la larga diffusione delle idee
di tolleranza e di libertà religiosa ». Accanto a questi
interventi, il tentativo di Gentile di salvaguardare la pretesa di
obiettività dell’Enciclopedia è ravvisabile anche nella suddivisione di
alcune delle voci maggiori tra autori cattolici da un lato, laici o
attualisti dal- l’altro: è il caso ad esempio di Dio (1931), dove la
dottrina cattolica è esposta dal gesuita Giuseppe Filograssi mentre
« Dio nelle varie concezioni filosofiche » è opera di Antonio Banfi — per
il quale « la pit totalitaria trasposizione in senso razionale dell’idea
di Dio è quella compiuta da Hegel, per cui Dio è il processo eterno in
cui l’idea — come prin- cipio razionale del mondo — giunge a coscienza
della sua assoluta universalità e autonomia » —; e di Religione
(1936) in cui il gesuita Enrico Rosa analizza il « concetto cattolico »
che « raccoglie in sintesi, integra e chiarisce gli elementi di verità
che si possono trovare sparsamente con- fusi anche nei concetti pagani o
eterodossi », e Gentile in persona ne esamina l’aspetto filosofico per
affermare la « universalità e indefettibilità della religione » — « la
ne- cessità e l'universalità della religione sono la più efficace
convalidazione del suo valore, e cioè della sua verità » — e per
ribadire, contro materialisti e mistici, che « l’uomo che non si può concepire
senza concepire Dio [è] l’uomo che attua l’esperienza della sua umanità,
realizzando nella vita spirituale quella coscienza di sé ond’egli in
fatti si distingue dalle cose ». Significativa è, già nel primo
volume, anche la voce Agostino (1929) — il santo al quale nel 1930,
nel 1500° della morte, saranno dedicati vari studi — riservata
all’agostiniano Antonio Casamassa per la vita e le opere (e « La Civiltà
cattolica » si esprimeva positivamente per questa parte), ad Augusto
Guzzo per lo « sviluppo del pensiero » e ad Alberto Pincherle per la
critica e le edi- zioni. Su di essa si soffermava nel 1931 la « Rivista
di filo- sofia », che coglieva la « notevole sproporzione tra la
parte che riguarda la vita e le opere (esattissima di certo, ma utile
solo allo specialista) estesissima, e quella che riguarda il pensiero e
le controversie critiche sui testi agostiniani, di interesse più
universale, ma molto più breve, e soprattutto 142
L'Enciclopedia italiana alquanto disordinata e incompleta ». Dopo
aver notato che la voce iniziava con la « strana dizione » « Agostino
Aure- lio, santo », l’autore dell’articolo sosteneva che « manca
del tutto la filosofia di Agostino, come manca la considera- zione
filosofica della teologia agostiniana », e accusava di illecita lettura
attualistica un passo in cui Guzzo affermava che nel De vera religione «
si legge quel celebre appello: Noli foras ire; in te redi, in interiore
bomine habitat veritas (De vera religione, 72), che non sarà più
dimenticato né dalla mistica medievale e moderna, né da quante
filosofie, nell’età moderna e contemporanea, riterranno di dover
ri- chiamare l’uomo dalla dispersione del mondo esterno al rac-
coglimento dell’analisi interiore ». Accusa non immotivata, se pensiamo
che anche in Pedagogia Ernesto Codignola, trattando di Agostino,
riprenderà lo stesso concetto, che Gentile stesso aveva contribuito a
diffondere: L’intuizione religiosa della filiazione divina,
approfondendosi e interiorizzandosi, diventa in Agostino un concetto
speculativo, la prima affermazione filosofico-teologica della
soggettività e immanenza del vero, con cui il cristianesimo tentava di
svincolarsi, anche nel- l'ambito della speculazione, dall’antinomia che
aveva alimentato lo scetticismo del tardo pensiero classico:
ineliminabile individualità di ogni atto di conoscenza, ultra-individuale
oggettività del vero. Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore
bomine habitat veritas. Un’interpretazione alla quale la « Rivista
di filosofia » poteva opporre che « per Agostino la veritas presente
all’io è Dio stesso, oggetto rel soggetto, mentre ciò è alieno
essen- zialmente dalla dottrina idealistica » °%. Tuttavia,
nonostante questi accorgimenti, Gentile non poté impedire che
nell’Enciclopedia fosse assai marcata l'impronta del cattolicesimo
ortodosso e che, addirittura, in alcune voci i cattolici operassero un
forte ridimensiona- mento, o una critica aperta, del neoidealismo
italiano. Pa- dre Gemelli, dopo aver definito la Neoscolastica (1934) «
la restaurazione del pensiero medievale nell’ambito della ci- viltà
moderna, considerando il pensiero medievale non 3% G. Firenzi,
Note sulla storia della filosofia medioevale, in « Rivista di filosofia
», XXII (1931), p. 60. 143 Il fascismo e il consenso
degli intellettuali come espressione transitoria di una civiltà,
ma, quanto alla sostanza, come definitiva conquista della ragione umana
nel campo della metafisica », ne accentuava il carattere antiidea-
listico: « La restaurazione scolastica doveva in Italia affer- marsi non
tanto in relazione al positivismo, quanto in rela- zione all’idealismo,
che in Italia maturava con B. Croce e con G. Gentile. Ne sarà criticata
la metafisica (immanenti- stica) e accettata invece quella valorizzazione
della storia, che è caratteristica dell’idealismo stesso: non però
come filosofia, sibbene come storia ». Sempre nel 1934 Niccoli
difendeva il Modernismo contro i suoi critici, in primo luogo i
rappresentanti di quella « filosofia che, negando possa conoscersi un
reale fuori dell’uomo e del pensiero, non solo si è iscritta in falso
contro quelli che erano stati in passato i cardini di ogni metafisica, ma
ha scrollato le basi stesse della fede religiosa »; e l’allievo di Buonaiuti
cercava di rafforzare la sua difesa opponendo il movimento modernista al
socialismo e all’idealismo: Chi avesse accettato come dati di
fatto incontrovertibili i risul- tati negativi ai quali la critica
storica, filosofica e sociale affermava di essere giunta, non poteva
avere che due alternative: o ripudiare net- tamente tutto il patrimonio
religioso cattolico e cristiano, sia affer- mando di contro ai valori
cristiani i nuovi valori sociali, sia conside rando il cristianesimo e il
fatto religioso in genere come un momento ormai superato della vita dello
spirito (fu questo in sostanza il punto di vista difeso dall’idealismo
italiano); o affermare che il cattolice- simo si raccomanda a valori più
alti, non toccati dai colpi portati dalla critica moderna all’interpretazione
scolastica del cattolicesimo e quindi costruire su di essi una nuova
apologetica, che mantenesse al cattolicesimo la sua efficacia fra gli
uomini. E fu questo l’atteggia- mento assunto dal movimento
modernista. Nel complesso, e tenuto conto di alcune assenze
signi- ficative — come Clericalismo, che Carlo Morandi non ac-
cettò ‘”, o Laicismo, voce che è invece presente, a firma di Walter
Maturi, nel Dizionario di politica —, si comprende quindi la soddisfazione
dimostrata per il settore religioso 327 Cfr. la lettera di Morandi
del 19 settembre 1930 (AEI, Lettere, Morandi). 144
L'Enciclopedia italiana da « Civiltà cattolica » già nel
1929 **, quando pit forte era l’influenza di Gentile e di Omodeo, e, per
converso, la preoccupazione di « Vita nova » del gentiliano
Giuseppe Saitta che, prendendo spunto dalla critica della voce
Adazzo di Giuseppe Ricciotti, allargava il discorso per lamentare «
la intrusione nell’Enciclopedia di questa pseudo-scienza teologica
»: I gesuiti sanno troppo bene a che cosa mirano, e qual forma
ed estensione assumerà, nel loro campo, la sezione di materie
ecclesia- stiche. La Bibbia intera e specialmente il Nuovo Testamento, le
ori- gini del cristianesimo, la storia dei dogmi e della Chiesa, anzi
dell: Chiese, tutto vi dovrà essere mostrato e rappresentato dal punto
di vista cosiddetto cattolico, cioè teologico, in contrasto e
negazione con la vera scienza storica del cristianesimo, quale si insegna
nelle nostre scuole universitarie. È la teologia esclusa dalle
università definitivamente con la legge del Concordato, che rientra, come
unica scienza della religione, nella nostra coltura nazionale [...].
L’Enciclo- pedia avrebbe tutelato meglio i diritti della scienza e quelli
della nazione, rimanendo italiana, come è il titolo semplicemente,
senza resumer di voler anch’essere cattolica nel senso della
Civiltà catto- ica. Le voci di carattere propriamente religioso, oggi
svolte con dif- fusione anche eccessiva, potevano ridursi al puro
necessario; ed entra quei limiti, avrebbero dovuto essere redatte da un
punto di vista. EE scientifico, evitando di accettare i presupposti della
teo- logia 39. Non solo i timori di « Vita nova » non erano
infondati,. come abbiamo visto, ma possiamo supporre che molte
altre sezioni, oltre quelle direttamente interessate alle que- stioni
religiose, furono oggetto del controllo ecclesiastico. « Per la Questione
Romana informati — scriveva Maturi a Morghen —, perché la mia polizia
segreta mi ha avvertito: che essa con tutto il gruppo di voci romane è
stata sottratta. alla giurisdizione della sezione storica » ®°, E il 2
aprile 1931 Fausto Nicolini scriveva a Gentile, a proposito della
voce Giannone (1932), che si sarebbe posto da 328 Anche Gemelli
notava nel 1930 che Gentile « ha chiamato a colla- borare
all’Enciclopedia studiosi cattolici ed ha affidato loro la trattazione di
delicati problemi religiosi » (L'Università cattolica e l’idealismo, in
Idee e battaglie, cit., p. 391). . Rensis, Ancora dell’Enciclopedia
Italiana, in «Vita nova», VI (1930), pp. 152-153. 3%0 AEI, Lettere,
Maturi. 145 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali un punto di vista che non potrà piacere al certo a
chi, nell’Enciclo- pedia, soprintende alle materie ecclesiastiche. Se
dunque mi si pro- mette formalmente piena libertà di parola, e sopra
tutto che la mia prosa, quale che essa sia, non sarà riveduta, corretta o
attenuata in senso clericale, sono prontissimo a fare l’articolo [...].
Ma se codesta promessa formale non mi può essere fatta e mantenuta,
anziché sotto- pormi all’alea di trovare (come accadde a Omodeo)
stravolto e muti- lato il mio pensiero, preferisco rinunziare a scrivere
l’articolo. Tu, che mi conosci, sai bene che non sono uomo da porti
nell’imba- razzo facendo dell’anticlericalismo intempestivo. Ma, alla fin
dei conti, debbo pur dire pane al pane e vino al vino, e presentare
il Giannone quale egli fu, cioè quale un martire dell’anticurialismo.
Non posso elogiare l'agguato di Vesnà come un’azione pulita o l’im- posta
abiura e la dodicenne prigionia come atti di carità cristiana 33,
Questi propositi non sembrano tuttavia essersi tradotti in pratica nella
stesura della voce, dove le ultime vicissitu- dini di Giannone sono
presentate in maniera anodina e, pur riconoscendo che l’Istoria civile
del Regno di Napoli è stata per decenni la « bibbia dell’anticurialismo »
— « un anti- curialismo lontano, nella lettera, dall’eterodossia, ma
già volterriano nello spirito » —, si coglie in essa una « astratta
e fantastica configurazione dello stato come bene assoluto, progresso,
civiltà, forza generosa, e della chiesa come male, regresso,
oscurantismo, malizia frodolenta ». Analogamente nella voce Romana
questione (1936) Maturi, pur valutando assai positivamente la Legge delle
guarentigie, concludeva l’esame dei rapporti tra Stato italiano e Chiesa
elogiando i patti del 1929: Mussolini coronava con un
concordato la sua nuova politica eccle- siastica, con l’ininzio della
quale aveva scompigliato le file del partito popolare e assorbito nel
fascismo il cattolicesimo nazionale; d’altra parte, nella politica estera
egli tolse all’Italia una passività diplo- matica. Da parte della Chiesa
il riconoscimento dello stato nazionale italiano s’inquadra nel
riconoscimento di molti stati nazionali europei avvenuto coi concordati
postbellici. Dove sono ripresi alcuni dei giudizi più favorevoli
di parte fascista — anche per Volpe i patti erano tesi, per
il fascismo, a « togliere una non piccola causa di nostra debo-
331 AEI, Lettere, Nicolini. 146 L’Enciclopedia
italiana lezza internazionale » ®* —, senza tuttavia i timori,
pur assai diffusi, che lo Stato potesse abdicare al suo spirito
laico. I patti lateranensi dovettero del resto riflettersi
pesan- temente sull’Enciclopedia, rafforzando il controllo
ecclesia- stico e arrivando fino a minacciare l’esistenza di
singole voci: Angelo Sraffa, che curava con Mariano D’Amelio la sottosezione
« Diritto privato », giunse infatti a proporre la soppressione della voce
Divorzio (1932), già in bozze, perché era «cosa estremamente delicata
trattarla oggi a parte, date le interferenze con l'annullamento del
matrimo- nio, che è diventato di fondamentale importanza di fronte
al trattato del Laterano, ed alla estensione che dinanzi ai Tribunali
ecclesiastici l'annullamento sta prendendo » **. La sua proposta non fu
accolta e la voce rimase, a soste- nere però la particolarità dell’ordinamento
italiano e a rico- noscere che « gli stessi contrattualisti a oltranza »,
cioè quanti erano favorevoli al divorzio, « compresi della serietà
delle contrarie obiezioni, sono d’accordo nel ridurre a un piccolo numero
di casi la facoltà di ricorrere al divorzio ». Dove non arrivò il
diretto intervento ecclesiastico — padre Gemelli non scrisse la voce
Psicanalisi, che nel 1932 si era offerto di fare e che a sua firma
apparirà invece nel Dizionario di politica (« Distruttiva della
religione, della quale nega ogni valore, nel dominio politico la
psicoanalisi orienta le sue speranze verso il comunismo ») —,
giunsero puntuali le critiche dell’organo dei gesuiti. Carlo Brica-
relli, collaboratore della sezione artistica dell’Enciclopedia, intervenne
sull’esposizione dell’arte medievale e moderna fatta in Arte (1929) da
Julius von Schlosser, al quale Gen- tile aveva suggerito di « parlare
dell’arte come conseguenza di bisogni materiali e spirituali delle varie
fasi di civiltà, e quindi dei compiti e delle forme dell’arte in
relazione alle mutate condizioni sociali, similmente, in un certo
senso, a quanto ha fatto il Dvorak nel suo saggio sull’idealismo e
332 G. Volpe, Il patto di S. Giovanni în Laterano, in « Gerarchia
», (1929), ora in Pagine risorgimentali, Roma, Volpe, 1967, vol. II, p.
284. 333 Sraffa a Spirito, 8 maggio 1931 (AEFI, Lettere, Sraffa).
147 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
naturalismo nell’arte gotica » **. « La tendenza di tutto ridurre
all’umano, e nell’opera della Chiesa interpretare ogni cosa a uso
d’intenti terreni propri, oppure a lei impo- sti per forza, è un altro
preconcetto che turba anzi scon- volge addirittura il giudizio storico »,
osservava Bricarelli appuntando la sua critica, fra l’altro, su di un passo
in cui Schlosser affermava che la crisi di questo
cristianesimo primitivo cominciò nel secolo IV col suo riconoscimento
ufficiale come religione di stato, sotto la forma universale del «
cattolicismo ». L’al di qua reclamava oramai i suoi diritti. Il vecchio
Impero, divenuto cristiano, rivestito di tutta la pompa della sua
missione divina e di tutto il suo fasto, nella sua qualità di potenza
protettrice della Chiesa, determinò anche il con- tenuto iconografico
dell’arte che si rivela nei fastosi musaici parietali delle grandi
basiliche post-costantiniane 85. Cosî Giovanni Busnelli criticava
il giudizio su Leonardo (1933) dello storico della medicina Giuseppe
Favaro — secondo il quale « di fronte alla rigida concezione
teologica dell’origine del mondo, [Leonardo] non si peritava di
con- futare il racconto biblico della genesi, la storia della terra
creata da seimila anni e la leggenda del diluvio universa- le » —,
sostenendo invece che « la fede e dottrina cattolica di Leonardo è fuori d’ogni
dubbio e accusa, chi voglia scan- dagliarne senza preconcetti le
espressioni »; e, passando a esaminare la parte della voce su Leonardo
‘filosofo — che Gentile considerava figlio dell’umanesimo e negava
fosse un antesignano della filosofia sperimentale, perché in lui «
il pensiero comincia dall’esperienza, ma per affrancarsene e tornare alla
ragione » —, Busnelli affermava che in Leo- nardo l’appello
all’esperienza sensibile era il frutto dell’in- segnamento dei peripatetici
e degli scolastici, e che «la ragione che infusamente vive nella natura,
come attuante la sua efficacia, non è, conforme alla dottrina
dell’Aquinate, 3% Gentile a Schlosser, 11 ottobre 1928 (AEI,
Lettere, Schlosser). La voce era introdotta da una parte redatta da Gentile
(su cui cfr. le osser- vazioni di Croce in «La Critica », XXVIII (1930),
pp. 365-367). 335 C. Bricarelli, L'arte nell’Enciclopedia Treccani,
in «La Civiltà cattolica », 81 (1930), vol. II, p. 130.
148 L’Enciclopedia italiana la ragione umana, ma la
divina » °*, Nel 1935 infine « La Civiltà cattolica », affermando
recisamente che « ogni altra pedagogia, fuori della cattolica, è
ampiamente divergente e dispersiva nei sistemi fino alla confusione
babelica, e nei metodi è angusta, ristretta ed unilaterale », criticava
che nella voce Pedagogia Codignola avesse interpretato ideali-
sticamente, come evolutiva, la pedagogia cristiana, e all’uni- tarietà di
questa opponeva la « babilonia di antitesi e con- trasti, di ideali e
sistemi », imperante nel campo idealistico esaltato da Codignola, per il
quale le opere di Gentile sul- l'educazione, « accanto a quelle del Croce
sui problemi del- l'estetica e della storiografia, segnano il culmine cui
si è sol- levata la speculazione contemporanea » *”. La durezza
del- l’attacco, e l’ampiezza della difesa di Codignola compren-
dente Croce, non necessaria per l'argomento trattato, pos- sono forse
spiegarsi con la condanna da parte del S. Uf- ficio, avvenuta l’anno
precedente, delle opere di Croce e di Gentile. Un documento anonimo del 2
luglio 1934 osserva- va come, secondo gli ambienti ecclesiastici,
obiettivo princi- pale da colpire fosse Gentile: Si nota che
la condanna in ordine cronologico è stata fatta prima per la opera del
noto antifascista Croce, per poter poi giustificare anche la condanna
delle opere del Gentile. Si aggiunge che oramai era inutile la condanna
del Croce [...], cui la gioventii italiana è ben lungi dal ricorrere come
un tempo, come ad un oracolo indiscutibile. Oggi la gioventù italiana ha
altro da fare e, c’è da scommettere, che moltissimi giovani, delle classi
più acerbe ignorano l’uomo, o, se non l’uomo, almeno la quasi totalità
delle sue opere. Anche questa volta la Chiesa, volendo colpire uno — cioè
il Gentile — è andata alla ricerca di un cadavere per poter avere un
alibi, nel quale nessuno crede. Pi grave è la condanna di Giovanni
Gentile, che in qualche centro è giudicata come una mossa contro le
teoriche accettate dallo Stato fascista. Si indica come il principale
postilatore di questa con- danna padre Gemelli 3*. 3% G.
Busnelli, Leonardo da Vinci nel vol. XX dell’« Enciclopedia italiana »,
in « La Civiltà cattolica », 85 (1934), vol. II, pp. 66-70. 357 [M.
Barbera], Intorso dl concetto della pedagogia cattolica, in « La Civiltà
cattolica », 86 (1935), vol. III, pp. 247-250. 338 ACS, Segreteria
particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 1, sottofasc. 2. Anche
«Giustizia e Libertà », dopo aver individuato in padre Gemelli
l’ispiratore della condanna di Gentile, aggiungeva: « biso-
149 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
Molte osservazioni potrebbero farsi a questi giudizi, riprendendo le
notazioni di Gramsci sulla diversa « popo- larità » delle filosofie di
Croce e di Gentile. Appare proba- bile comunque che la condanna del 1934
colpisse più dura- mente Gentile, che in qualche caso aveva cercato un
ac- cordo con i cattolici, coronando l’indebolimento della sua
posizione interna al fascismo iniziato nel 1929. Consape- vole di questo
fatto — di cui gli scontri avvenuti nell’Enci- clopedia erano stati una
riprova —, nel 1936 Gentile con- cludeva un articolo su L’ideale della
cultura e l’Italia pre- sente mettendo in guardia contro il « pericolo
[...] che può derivare dalla restaurazione religiosa desiderata e
promossa dal fascismo come corroboratrice della coscienza civile e
delle morali istituzioni. Restaurazione, che in massima parte non poteva
essere che un ritorno alle tradizioni cattoliche del popolo italiano, col
rischio di riassoggettare la cultura nazionale a forme praticistiche e
meccaniche d’una religio- sità esteriore, e a conseguenti limitazioni
dell’interna libertà spirituale, dalle quali gl’italiani avevan durato
secoli a ri- scattarsi » ?”, gna vendicarsi e fingere
l’equità: sono messi all’Indice i libri non di Gentile soltanto ma anche
di Croce. Croce sorride e Gentile si spaventa » (Preti e fascisti, 27
luglio 1934). 39 G. Gentile, Mezzorie italiane e problemi della
filosofia e della vita, cit., p. 385. 150 A. F.
Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo 1. La
parola, veicolo di « fraternità universale » « Né ferro, né
piombo, né fuoco / posson salvare la Li- bertà, / ma la parola soltanto.
/ Questa il tiranno spegne per prima, / ma il silenzio dei morti /
rimbomba nel cuore dei vivi »!. Cosî scriveva nel luglio del 1938, fra
tante altre « epigrafi » messe a suggello della propria vita e a
testimonianza degli ideali che l’avevano ispirata, Angelo Fortunato Formiggini,
lucidamente deciso a chiudere con un sacrificio personale che servisse a
« dimostrare l’assur- dità malvagia dei provvedimenti razzisti » — come
scriveva alla moglie? — un’esistenza dedicata a perseguire, primo
fra tutti, l’ideale della fratellanza universale attraverso la forza di
convinzione della parola. Se la stampa del regime mantenne il più
rigoroso silenzio sul suicidio dell’editore modenese, gettatosi dall’alto
della Ghirlandina il 29 no- vembre 1938, impedendo cosî che Formiggini potesse
rag- giungere lo scopo di richiamare l’attenzione dell’opinione
pubblica sulle leggi razziali, il suo gesto fu sottolineato dagli
ambienti dell’antifascismo, non solo ebraico, che ne dettero l’annuncio:
« Molti italiani d’Italia, costretti pur- troppo a mantenere l’incognito,
amici e ammiratori di A. F. Formiggini Maestro Editore annunciano,
straziati ma fieri, il Suo sublime sacrificio. Questo annuncio non ha
potuto comparire sui giornali italiani, ove le leggi razziste impedi-
scono persino di dar notizia dei decessi degli ebrei ». E il 9 dicembre
1938 « Giustizia e Libertà » annunciava in una corrispondenza dall’Italia
l’atto di protesta di Formiggini, 1 A.F. Formiggini, Parole în
libertà, Roma, Edizioni Roma, 1945, p. 106. 2 Ibidem, p. 116.
151 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
ricordando che egli « non era mai stato un conformista » e che «
ogni suo piano, tendente alla difesa e alla elevazione della cultura
italiana, aveva trovato nel fascismo una oppo- sizione aperta o una
resistenza insidiosa » *. E ai « poste- ri », « perché gli orrori e le
iniquità di oggi non abbiano a rinnovarsi mai più nel più lontano
avvenire », Formiggini volle lasciare in eredità alcune sue Parole in
libertà, testa- menti spirituali indirizzati ai familiari, ai
concittadini mo- denesi, agli « ebrei d’Italia » e al tiranno in persona,
tutti ispirati, più che da una chiara presa di coscienza politica,
da una fede quasi religiosa nell’amore fra tutti gli uomini, secondo
quella visione del mondo che egli aveva conden- sato nel motto arzor et
labor vitast. Fra i « testamenti » del 1938 possiamo annoverare
an- che il bilancio del suo lavoro editoriale, Trenta anni dopo,
che, seppur scritto pensando alla pubblicazione, è signifi- cativamente
considerato dall’autore il suo « canto del ci- gno », steso « a giuoco
finito », quando un motivo di spe- ranza può essere visto solo « al di là
della tormenta ». Ac- canto alla testimonianza delle proprie idee non poteva
man- care quella della propria fatica, in un uomo in cui la scelta
dell’attività editoriale si era saldata fin dall’inizio con il per-
seguimento di obiettivi che non esiteremmo a definire etici prima ancora
che culturali o politici, ma tali da divenire punto di riferimento di
indirizzi di pensiero determinati ‘. A scrivere il bilancio dei
trenta anni della casa editri- ce — e di sessanta anni della sua vita,
compiuti proprio nel 1938 — Formiggini aveva pensato da tempo,
fornendo via via parziali anticipazioni. Convinto che anche « lo
scrit- 3 L'editore Formiggini si uccide a Modena per protestare
contro il razzismo, in « Giustizia e Libertà », 9 dicembre 1938, p. 1 (e,
per l’an- nuncio di morte, ibidermz, p. 2); cfr. anche R. De Felice,
Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1961, pp.
385-386, 491. censura fascista colpirà con particolare accanimento
la produ- zione dell’editore modenese ed anche i libri della Biblioteca
circolante da lui fondata a Roma nel 1921, di cui qualche volume è
escluso dalla lettura per motivi politici — come il Capitale —; ma si
atrivò perfino a impedire la diffusione di molti testi dei « Classici del
ridere », come il Decamerone, o L'arte di amare di Ovidio (come si ricava
dall’esemplare, conservato in BNF, della terza edizione del Catalogo
della biblioteca circolante Formiggini, Roma, Formiggini, 1936).
152 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e
fascismo tore più mediocre e più oscuro farà sempre cosa
interes- sante scrivendo la propria autobiografia, specie se
questa, anziché circoscriversi a fatti puramente personali (che
avrebbero pur sempre un interesse umano e psicologico) si innesterà nella
storia viva del suo tempo », già nel 1923 era stato spinto dal contrasto
con Gentile a scrivere « una parte dell’opera » in un curioso volume che,
oltre a pre- sentarci alcune fra le più interessanti iniziative
dell’editore e il suo carattere caustico seppur non intransigente,
costi- tuisce un efficace documento della « marcia » del fascismo
alla conquista delle istituzioni culturali: « da quando ini- ziai la mia
attività editoriale — scriveva proprio allora Formiggini — non ho mancato
di raccogliere materiale per una autobiografia che avrebbe dovuto
riuscire qualche cosa di mezzo fra le Memorie di un editore di Gaspero
Barbèra e il Catalogo ragionato delle edizioni Barbèra, fusi insie-
me » i. Nel modello indicato — e al quale Formiggini cercherà
di mantenersi fedele in Trenta anni dopo come già in un pre- cedente, più
conciso bilancio della sua attività editoriale * — non vi era certo la
presunzione di avere svolto un’opera di promozione della cultura
nazionale paragonabile a quella dei maggiori editori ottocenteschi, da
Vieusseux a Pomba, da Barbèra a Le Monnier, ma pur sempre la
consapevolezza di aver reso un « servizio » alla cultura del proprio
paese, e di essere fra i pochi editori del suo tempo che, come i «
grandi » dell’ottocento, riunissero nella propria persona le qualità
dell’imprenditore e del principale animatore delle iniziative culturali
della casa editrice. Quello che fu carat- terizzato, poco dopo aver
tratteggiato i primi venticinque anni della sua attività, come « un
editore che scrive » 7, non avrebbe condiviso l’opinione di un Luigi
Russo, che 5 A.F. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo e
la marcia sulla Leonardo. Libro edificante e sollazzevole, Roma,
Formiggini, 1923, pp. 22, 28. 6 A.F. Formiggini, Venticinque
anni dopo. 31 maggio 1908-31 maggio 1933, seconda edizione con prefazione
di Giulio Bertoni, Roma, Formig- gini, 1933. ? D. Costantino,
Smorfe e sorrisi. Scritti critici, Catania, Casa del libro, 1934, vol.
II, pp. 23-38. 153 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali di una casa editrice non si fa storia. Da uomo «
positivo » che vuole documentare il duro e contrastato lavoro da
lui compiuto, Formiggini ci ha lasciato con i Trenta anni dopo una
testimonianza d’eccezione, la cui lettura può risultare utile non solo
per precisare il giudizio sulla cultura italiana del primo novecento —
alla luce anche di vicende indivi- duali minori —, ma anche per
riproporre il problema della storia delle case editrici, spesso disattesa
perché considerata una classificazione forzata di prodotti culturali il
cui « mar- chio di fabbrica » sarebbe dato solo dalla collocazione
intel- lettuale dei singoli autori, uniti o in maniera casuale o da
vincoli ideologici tanto stretti da vanificarne le differenze. Ma, come è
stato giustamente osservato, « proprio per- ché luogo organizzato
d’incontro di più generi di colla- boratori, e di più fattori e
interessi, una casa editrice di tipo ancora “tradizionale” rispecchia
orientamenti e programmi di gruppi di intellettuali che verificano sul
piano dell’azione pubblica la loro consistenza, e dichiarano tutti
i loro sottintesi nel punto in cui, mettendo in circolazione strumenti
concreti come libri e riviste, si scontrano con poteri reali, economici e
politici, in situazioni di fatto, per modificarle (o per accettarle e conservarle).
Per questo la responsabilità di una casa editrice di “cultura”, a
qualsiasi livello essa operi, è grandissima. Inserita in un tessuto
so- ciale ed economico definito, è legata ad ambienti e istituti di
istruzione, e di ricerca, per attingervi, ma anche per rea- gire su di
essi, in una trama di rapporti la cui dialettica è necessario mettere in
luce quando si voglia ricostruire il corso degli eventi di un determinato
periodo storico » 5. È un campo, questo, per il quale assai scarse sono
le nostre conoscenze, e non solo per la difficoltà a scendere
concreta- mente su un terreno per tanti versi accidentato. In
realtà, se in linea di massima può essere accettato il giudizio di
Russo, che significato e valore di una casa editrice sono con- segnati
nei suoi cataloghi, e che in alcuni casi, come in 8 E. Garin, Un
capitolo di rilievo singolare, in 50 anni di attività editoriale (Venezia
1926-Firenze 1976): La Nuova Italia, Firenze, La Nuova Italia, 1976, pp.
V-VI. 154 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo
e fascismo quello della Laterza, se ne può seguire la storia
ripercor- rendo l’opera di organizzazione della cultura sviluppata
da una personalità come Croce, è da respingere quel pregiu- dizio
idealistico che, considerando il processo storico come germinazione di
idee da idee o proclamando in astratto la separazione tra cultura e
politica — fino a vedere la « pro- pria » produzione culturale come un
sistema chiuso e per- fetto, per cui la storia reale può confondersi con
una « cri- tica di se stessi », — esclude dall’oggetto privilegiato
del suo interesse le istituzioni culturali. Non è un caso che
proprio un’analisi che — come oggi si comincia a fare — abbia al suo
centro il tema dell’orga- nizzazione della cultura e della sua
diffusione, permette di articolare meglio nei tempi e nei modi, per
quanto riguarda il novecento, il giudizio che il neoidealismo italiano
dette di sé, e che ritroviamo facilmente ripetuto come un canone
interpretativo indiscusso ’, sulla rottura netta da esso ope- rata
all’inizio del secolo nei confronti delle « vecchie » cor- renti di
pensiero, e sul suo deciso trionfo che non avrebbe lasciato spazio ad
alcuna « sacca di resistenza » che non si ponesse in termini di «
superamento » dell’idealismo stesso. In realtà ci sembra estremamente
valida, tanto più ove la si riferisca non solo alla cultura di élite, ma
anche al più vasto e intricato substrato ideale che percorre nei
primi decenni di questo secolo tutti i settori della cultura ita-
liana — riflettendo la « disgregazione sociale » del paese e, insieme, le
contraddizioni o le resistenze che accompa- gnano la « rifondazione »
dell’egemonia borghese —, l’os- servazione di Garin, per il quale
una delle deformazioni prospettiche più diffuse, e più dannose per
un’esatta comprensione delle vicende culturali italiane di questo secolo,
è quella che proietta alle origini il risultato di una batta- glia — non
solo « ideale » — che si concluse, almeno in una sua fase, intorno agli
anni venti, dopo la prima guerra mondiale, con l’ascesa del fascismo.
L’egemonia idealistica, piuttosto gentiliana che crociana, non era
affatto affermata, e tanto meno scontata, prima della guerra libica
[...]. Solo se ci si liberi fino in fondo dell’eredità 9 Cosî
ancora A. Asor Rosa, La cultura, in Storia d’Italia, Torino, Einaudi,
1975, vol. IV, in particolare p. 1142. 155 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali del provvidenzialismo
idealistico, col suo trionfalismo storiografico, sarà possibile evitare
l’appiattimento uniforme di posizioni contra- stanti, e insieme una
polemica sterile, forse interessata soltanto a simmetrici rovesciamenti
!°, Per il periodo che dalla « svolta » del nuovo secolo
arriva al fascismo le vicende delle case editrici, anche di quelle minori
o comunque non in grado di « rappresentare un intero movimento d’idee » —
come appariva a Gobetti la Treves, « simbolo [...] di tutta la vuotezza
italiana » per il suo « eclettismo positivistico di cosî lunga e
infausta durata e memoria » !" —, possono costituire una guida
assai utile per disaggregare e ricomporre una trama culturale
complessa, per stabilire accostamenti o distinzioni ideali o politiche
altrimenti non sempre evidenti o per valutare la capacità di penetrazione
e di orientamento di correnti di pensiero — non necessariamente lineari —
in un pubblico colto che proprio nell’« età giolittiana » cresce
enorme- mente e in parte si rinnova diversificandosi dal punto di
vista sociale, con l’apparizione sulla scena di una « opinione pubblica »
alla quale si richiede sempre più un consenso agli obiettivi politici
perseguiti dalla classe dirigente. Aumentano per numero e tiratura i
quotidiani, ci si rivolge a un più vasto pubblico « popolare » attraverso
la scuola, i corsi organizzati dalle università popolari o le
biblioteche circolanti, ma si assiste anche all’espandersi di una «
classe media colta » che desidera legittimare sul piano culturale
il peso politico cui aspira, o al tentativo della borghesia di
affinare gli strumenti del suo dominio. Fra questi piani diversi esistono
connessioni e influenze, nel quadro di una lotta per l’egemonia che vede
un’ampia mobilitazione di forze; ed è ora, dopo la « crisi » di fine
secolo e la « svolta » giolittiana, che alle case editrici accademiche e
a quelle di orientamento « popolare » o dichiaratamente socialista
— come Sonzogno e Nerbini !! — se ne affiancano nuove e pi
10 E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, Editori Riu-
niti, 1974, p. 96. ll P. Gobetti, La cultura e gli editori (1919),
in Scritti storici, letterari e filosofici, a cura di P. Spriano, Torino,
Einaudi, 1969, pp. 458-466. 12 Cfr. G. Tortorelli, Una casa editrice
socialista nell'età giolittiana: 156 A.F. Formiggini:
un editore tra socialismo e fascismo agguerrite, il cui
interlocutore privilegiato è un pubblico colto e medio-colto in grado di
acquistare libri e riviste: da Laterza (1901) a Ricciardi (1907) a
Rizzoli (1909) a Mon- dadori (1911) a Vallecchi editore di « Lacerba
». In assenza di ricerche specifiche si comprende quindi
l’importanza di testimonianze come quella di Formiggini che illustra,
anche se solo parzialmente, le vicende di una casa editrice fondata nel
1908, negli stessi anni in cui videro la luce altre destinate ad
acquistare un peso ben maggiore, ma allora di dimensioni ancora ridotte.
L’unico testo a cui si possa in qualche modo avvicinare sono i Ricordi e
idee di un editore vivente scritti nel 1934 da Attilio Vallecchi,
che tuttavia, pur trovando concordanze significative nella difesa di una
« cultura italiana » intesa come strumento di « rinnovamento nazionale »,
ripercorre lo stesso arco crono- logico con l’ottica del protagonista
precursore vittorioso dell’ideologia fascista in cui l’editore fiorentino
si vanta di aver contribuito a convogliare nazionalisti, sindacalisti
rivo- luzionari, futuristi, vociani, cattolici. Secondo il
proposito dell’autore, i Trenta anni dopo si presentano invece come una
sorta di catalogo ragionato, in cui la personalità dell’editore è ridotta
al minimo, e, a dif- ferenza del pamphlet del 1923, restano sullo sfondo
anche i « tempi » in cui ha operato: spentasi la carica polemica di
quindici anni prima suscitata dalle vicende della Leonardo e che si era
manifestata in feroci attacchi antiattualisti (con alcuni spunti
antifascisti), escluse espressamente le testimo- nianze morali che nel
'38 Formiggini veniva consegnando ai suoi scritti privati, nel volume non
appaiono nemmeno —- se non incidentalmente — i nomi dei « numi tutelari
» della cultura italiana del primo novecento. Accanto alla
difficoltà, ma anche al rifiuto di prendere nettamente posi- zione !, in
questo silenzio si riflettono, più che i risultati di una parabola
politica, alcuni limiti di fondo di un editore la Nerbini, in «
Movimento operaio e socialista », n.s., III (1980), pp. 221-254.
13 Una testimonianza in questo senso in P. Trevisani, Le fucine dei
libri. Gli editori italiani, Bologna, Barulli, 1935, p. 197.
157 Il fascismo e il consenso degli intellettuali che
i contemporanei — Prezzolini in testa! — giudica- rono non tanto un uomo
di cultura quanto un grande arti giano e propagandista del libro, e che
per primo amava presentarsi come il sostenitore dei valori universali di
una « cultura » senza ulteriori determinazioni, quasi al di sopra
della mischia, ideale morale e religioso, più che politico. « Riconosco
di avere avuto certe qualità che sono essen- ziali per rappresentare
efficacemente un indirizzo, un pen- siero, per portare nella fucina
intellettuale del paese un non inutile soffio di ossigeno », scrive
Formiggini, ma sa- rebbe vano cercare di identificare questo indirizzo
nell’am- bito della classificazione usuale delle correnti culturali
ita- liane all’inizio del secolo. Per comprendere cosa questo fosse
concretamente, o come fosse possibile che determi- nati indirizzi di
pensiero, spesso confusi e intersecantisi tra loro, confluissero e si
riconoscessero nella sua casa editrice, bisogna risalire ancora una volta
ai motivi ispiratori della sua vita. « Il libro mi apparve allora, e mi è
apparso poi sempre — scrive ricordando gli inizi della sua attività
—, il vincolo delle intese, il vincolo del parallelo cammino verso
mete elevate e concordi. Questa mia fede di fraternità universale, alla
quale s’ispirò fin dagli inizi la mia attività editoriale, era già
trionfante nel mio animo fin dalla prima giovinezza » 5, ed era una fede
religiosamente sentita, se nel ’38 teneva a riaffermare — ponendo a
coronamento della sua fatica la collana delle « Apologie delle religioni
» — che suo intento era stato « non di insidiare le fedi senti-
tamente professate, ma soltanto di divulgare l’intima essenza delle varie
religioni, per affrettare quel mutuo rispetto e quella mutua comprensione
fra gli uomini che condurranno l’umanità a quell’affratellamento
universale che fu il car- dine massimo della dottrina del Cristo e che mi
ostino a credere che sia la più alta e la più benefica di tutte le
aspi- 14 G. Prezzolini, La cultura italiana, Milano, Corbaccio,
1930?, p. 225: Formiggini « ha particolarmente sviluppato, oltre le sue
collezioni, il lato direi tecnico della propaganda libraria ».
55 A.F. Formiggini, Trenta anni dopo. Storia di una casa editrice,
Amatrice, Formiggini, 1951, pp. 198 e 15. 158 A.F.
Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo razioni umane »
!. Ma questo ideale di fratellanza non dovette essere poi tanto anonimo o
neutrale, se nel periodo che dall’affermarsi del neoidealismo e dalla
nascita de « La Voce » arriva fino al fascismo e alla « dittatura »
gentiliana la casa editrice Formiggini poté rappresentare —
riunendo soprattutto quanti nell’idealismo non si riconoscevano —
un capitolo significativo e abbastanza determinato, anche se minore,
della cultura italiana. Nato il 21 giugno 1878 a Modena, dove
contrasse affetti e amicizie che — come quella con il futuro
ministro della giustizia di Mussolini, Arrigo Solmi — lo accompa-
gneranno nei successivi spostamenti della casa editrice, da Bologna
(1908) a Modena (1909), quindi a Genova (1911) e infine a Roma (1916),
Formiggini apparteneva a una famiglia ebraica di cui molti rami erano cattolici
da genera- zioni remote; e in questa origine è forse da ricercarsi
uno dei motivi della sua insistenza sulla necessaria unità tra
ariani e semiti e sul tema della fratellanza universale. In gioventi
aveva compiuto indagini di storia delle religioni, le quali — ricorderà
con parole certo immodeste, ma che testimoniano di un clima culturale
intensamente vissuto — « mi portarono ad affermare, su dati puramente
giuridici ed etici, quella identità di origine degli ariani e dei
semiti che l'Ascoli aveva già riconosciuto nello stretto campo
della filologia e che gli scritti del Delitzsch, in Germania, sei
anni dopo di me, con grande autorità confermarono » ”. Il suo
interesse per questo campo di studi è infatti attestato dalla tesi di
laurea in legge discussa a Modena nel 1901, dal titolo programmatico (La
donna nella Thorà in raffronto col Mandva-Dbarma-Séstra. Contributo
storico-giuridico ad un riavvicinamento tra la razza ariana e la semita),
e da un intervento del 1902 nel quale Formiggini lamentava l’as- senza
nel nostro paese di un « insegnamento critico » delle religioni
nonostante gli sforzi di Gaetano Negri, David Ca- stelli, Raffaele
Mariano, Alessandro Chiappelli e, soprat- tutto, di Baldassarre Labanca,
pur avvertendo che il desi- 16 A.F. Formiggini, Parole in libertà,
cit., pp. 137-138. 1 A.F. Formiggini, Parole in libertà, cit., p.
136. 159 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali derio di una ripresa degli studi storico-religiosi «
non deve essere interpretato come l’efflorescenza di un sentimento
nostalgico verso un passato mistico per me e per altri molti ‘ormai
superato » !. Richiamandosi cosî alla concretezza degli ideali terreni —
aliena, più che in uomini a lui vicini, come Ernesto Buonaiuti o Guglielmo
Quadrotta, da asce- tismi medievali e da ogni forma di spiritualismo —,
Formig- gini seguîf con interesse quel parziale sviluppo di una «
scienza delle religioni » che si ebbe in Italia fra la fine
dell’ottocento e l’inizio del nuovo secolo, ad opera inizial- mente di
studiosi non cattolici e sulla base di quella « iden- tificazione fra
idee teologiche e religiose e pensiero » che divenne « tradizionale negli
studi storici italiani dai tempi del Tocco e del Labanca in poi »
!. Frequentando i corsi di lettere e filosofia
dell’università di Roma nel 1902-1903 (conseguirà poi la seconda
laurea in filosofia morale a Bologna), Formiggini fu infatti
attento soprattutto alle lezioni di storia del cristianesimo di La-
banca, critico di ogni dogmatismo e — almeno nelle inten- zioni — del
misticismo, in nome di un Dio concepito come ragione e coscienza ”.
Meno avvertibile risulta la traccia dell’insegnamento romano di
Antonio Labriola, anche se proprio alla trascri- zione di Formiggini
dobbiamo la conoscenza del suo corso di filosofia della storia del
1902-1903 Sul materialismo sto- rico, e se fu proprio il futuro editore a
portare il saluto degli universitari italiani alla salma del « buon
Maestro » ?. I 18 La coltura religiosa in Italia, Modena,
Forghieri e Pellequi, 1902. 19 D. Cantimori, Storici e storia,
Torino, Einaudi, 1971, p. 320; un ‘accenno ai legami di Formiggini con
Labanca e Quadrotta in P. Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento
cattolico in Italia, Bologna, il Mulino, 1961, in particolare pp. 35 e
317. 20 Cfr. le notazioni di G. Gentile, Storia della filosofia
italiana, a cura di E. Garin, Firenze, Sansoni, 1969, vol. II, p.
218. 21 «Tu, buon Maestro, ti servivi della mia voce per
trasmettere il tuo pensiero alla scuola » (« Corda Fratres », n.s., III
(1904), n. 3, p. 113). Allieva di Labriola fu anche la moglie di
Formiggini, Emilia Santa- maria, la cui tesi di laurea su Le idee
pedagogiche di Leone Tolstoi fu pubblicata nel 1904 da Laterza con una
breve prefazione di Labriola (ora in A. Labriola, Scritti politici
1886-1904, a cura di V. Gerratana, Bari, Laterza, 1970, pp.
508-509). 160 A.F. Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo suoi « maestri » dell’università di Roma
dovettero comun- que contribuire a rinsaldare quello spirito democratico
— di matrice, ripetiamo, pit etico-religiosa che politica — al
quale è improntata l’attività svolta da Formiggini, nel 1902-1904, come
console e poi presidente della sezione ita- liana dell’associazione
internazionale studentesca Corda Fratres, di stampo radical-massonico,
che si proponeva di raggiungere amore e fratellanza fra tutti i popoli e
le classi prescindendo dalla politica ”. All’interno
dell’associazione Formiggini si batté infatti contro le tendenze che ne
inter- pretavano le finalità in chiave nazionalistica, sviluppando
le sue convinzioni soprattutto a proposito del movimento sionista: «
secondo me, e vorrei che cosî fosse — scriveva nel 1903 a commento del
sesto congresso sionista di Basi- lea —, molti di quelli che in Italia
hanno aderito al sioni- smo, non furono spinti dal sentimento di
solidarietà di razza, ma da quello molto più ampio e liberale di
solidarietà umana. Per costoro non dovrebbero aderire al sionismo
gli ebrei soltanto, ma anche tutti quelli che hanno il pensiero
sufficientemente evoluto per riconoscere che ad ogni uomo,
indipendentemente dalla razza cui appartenga e dalla fede che professi,
deve esser riconosciuto il diritto alla vita ed alla dignità umana » ?.
Concetti che saranno letteralmente ripresi nel '38 per negare ogni
fondamento all’antisemiti- smo, che avrebbe potuto essere meglio
combattuto e vinto ove il sionismo fosse rimasto una corrente umanitaria,
senza trasformarsi in un movimento nazionalista inteso a « rico-
struire la potenza politica d’Israele » *. Questo ideale
etico-umanitario veniva ribadito da For- miggini, assieme a
preoccupazioni per l’insorgere delle cor- renti irrazionalistiche e
idealiste, in una recensione del 1907 a L’anarchia del modenese Ettore
Zoccoli nella quale, dopo aver condiviso il giudizio dell’autore sulle «
teorie immo- rali e antigiuridiche » degli anarchici, lo rimproverava
di 22 Non era ancora un'associazione puramente « corpotativa »,
come apparirà negli anni venti a Giorgio Amendola (Una scelta di vita,
Milano, Rizzoli, 1976, p. 94). 23. « Corda Fratres », n.s.,
II (1903), n. 1, p.9. 2% A.F. Formiggini, Parole in libertà, cit.,
pp. 50-52. 161 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali non aver mostrato « la efficacia, per quanto
indiretta e non voluta, che ha avuto l’anarchia per sospingere
l’umanità verso un’era di giustizia sociale, di libertà politica e
reli- giosa e di universale affratellamento », e aggiungeva:
Dobbiamo ad ogni modo auguratci che la crisi che sta attraver- sando il
pensiero filosofico contemporaneo, il quale, mosso appunto dalla
preoccupazione etica, si è già annunciato come una vivace rea- zione
contro la filosofia della seconda metà del secolo XIX, si possa risolvere,
non in un ritorno a forme mistiche, la cui inconsistenza è già stata
provata dall’esperienza storica, ma in una confortante e serena
consacrazione di una morale intesa come necessità imprescin- dibile della
vita: necessità non d’ordine logico né d’ordine fisico, ma però tale da
avere rispetto alla vita delle coscienze: quello stesso imperio assoluto
che hanno le necessità logiche per il pensiero e le necessità fisiche per
tutto l’ordine meraviglioso della natura 3. Dove sono espressi
sinteticamente non solo la conce- zione ottimistica del progresso e
l’ideale di conciliazione di quei « positivisti in crisi » che
graviteranno attorno alla casa editrice di Formiggini, ma anche il senso
di un assedio che si andava stringendo da parte degli idealisti. Ben
diver- so, quasi contrapposto, era il giudizio sull'opera di
Zoccoli formulato nel 1908 da Benedetto Croce, che la considerava
moralistica (mentre « una teoria filosofica sarà esatta o sba- gliata, ma
non mai morale o immorale ») e, da osservatore apparentemente distaccato,
ne traeva spunto per notare nell’affermarsi di tendenze sindacaliste
rivoluzionarie contro il riformismo socialista l’influenza
dell’anarchismo, che « forse [...], considerato nel suo insieme, giova a
mante- nere quel sentimento di scissione tra il proletariato e la
borghesia, che i teorici del sindacalismo stimano indispen- sabile al
progresso sociale » ; lo stesso Croce che proprio nel 1908, in un momento
decisivo dello scontro col positi- vismo, bandiva dal vocabolario di «
coloro i quali anelano a un risveglio della filosofia e della cultura,
salutare alla patria italiana », i termini di « tolleranza » e «
temperan- za », sinonimo, quest’ultimo, di « debolezza, incapacità
di 3 « Rivista italiana di sociologia », XI (1907), pp.
337-338. % «La Critica », VI (1908), fasc. II, pp. 140-141.
162 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo
sintesi, tendenza alla combinazione e conciliazione estrin- seca,
che porta ad affermare cose tra loro ripugnanti, ha paura delle opinioni
della gente volgare, cerca di non sve- gliare opposizioni, e rifugge dai
partiti che richiedono riso- lutezza e responsabilità » 7.
2. Positivisti, modernisti, socialisti La fisionomia alla quale la
casa editrice rimarrà sem- pre fedele venne definendosi nel giro di pochi
anni, tan- to che già nel 1914 Serra, tracciando i caratteri
distin- tivi dei due editori-tipo italiani, Laterza e Treves,
espres- sione il primo del « libro di cultura » e, il secondo, di quello
« di bella letteratura », ma con la tendenza sempre più marcata « a
entrar nel campo della cultura », poteva anno- verare in quest’ultima
categoria le edizioni Formiggini, di cui metteva in evidenza le «
intenzioni brillanti » e « un certo decoro » ”. Notevole
rilievo ebbero infatti anche le collane lette- rarie, significative di
una scelta e di un gusto: i « Poeti ita- liani » si apre nel 1910 con le
Odi di Massimo Bontempelli — uno degli autori pi cari a Formiggini, fino
alla rottura scoppiata nel 1930? —, proprio in quell’anno
schieratosi nella « polemica carducciana » con Ettore Romagnoli
con- tro Croce e Prezzolini in difesa della critica di tipo
lettera- rio contro quella di impianto filosofico, e annovera altri
poeti che inseguono il modello del « grande artiere » di Carducci con
accenti tenui ed eleganti, come Francesco Chiesa, Francesco Pastonchi e
Severino Ferrari (ma c’è anche Pirandello, che ritornerà con Liolà); e
grandissima fortuna ebbero i « Classici del ridere » — cui Formiggini
af- fiancò la raccolta « Casa del ridere » — ”, che raccogliendo
2 B. Croce, Il risveglio filosofico e la cultura italiana, in Cultura
e vita morale, Bari, Laterza, 19553, pp. 29-32. 2 _R. Serra,
Le lettere, in Scritti letterari, morali e politici, a cura di M.
Isnenghi, Torino, Einaudi, 1974, pp. 369-370. 2 Cfr.
Bontempelleide, con interventi di Formiggini e Fernando Pa. lazzi, in
«L’Italia che scrive », XIII (1930), p. 314. 3 Cfr. gli interventi
di E. Manzini ed E. Milano in A. F. Formiggini 163 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali testi italiani e
stranieri, riflettono l’utopistica speranza del- l’editore che l’«
universale fusione di spiriti che deve essere la meta costante di ogni
più alta manifestazione di civiltà, sarà affrettata di altrettanto di
quanto l’affrettarono la mac- china a vapore e il telegrafo » ®.
L’impronta culturale e ci- vile della casa editrice è data tuttavia dal
largo spazio accor- dato ad argomenti filosofici, pedagogici e religiosi,
con un orientamento che, se difficilmente può essere definito in
positivo, può essere considerato schematicamente come espressione di
gruppi non-idealisti. Positivisti e modernisti di varie venature, e
spesso di orientamento politico socialista e socialisteggiante,
contrad- distinsero le origini della casa editrice, che continuerà
ad annoverarli tra i suoi collaboratori anche quando le convin-
zioni di alcuni si vennero modificando sensibilmente (ma altri si
aggiunsero, come Giuseppe Rensi e Adriano Tilgher, nel momento del loro
distacco dall’idealismo). I nomi di Achille Loria e Alessandro Levi, di
Emilia Formiggini San- tamaria e Giuseppe Tarozzi, di Ernesto Buonaiuti e
Felice Momigliano, ricorrono con frequenza, anche per l’intero
trentennio di vita delle edizioni Formiggini, a conferma di una scelta e
di una adesione non casuali. Sui gruppi positivisti di questi anni,
di filosofi e peda- gogisti in particolare, come sui vari filoni
modernisti e sui loro esiti, sono state scritte pagine illuminanti che
hanno colto gli itinerari di ciascuno sotto l'impatto del neoidea-
lismo *. Restano tuttavia da verificare le convergenze e le alleanze che,
contro lo stesso nemico, si stabilirono tra cor- renti e uomini per vari
aspetti spesso culturalmente e politi- camente diversi e distanti, e che
videro seguaci di Ardigò, neokantiani e fautori di un rinnovamento
della chiesa — laici e religiosi, mistici e razionalisti — confluire
insieme a combattere per la loro sopravvivenza, uniti solo, nel co-
mune disorientamento, da condanne idealiste o pontificie. editore
(1879-1938). Mostra documentaria, Modena, S.T.EM. Mucchi, 1980 5
A.F. Formiggini, Trenta anni dopo, cit., 2 E. Garin, Cronache di
filosofia Sialiona: ‘1900. 1943, Bari, Laterza, 1966, capp. LV.
164 A. F. Formiggini: un editore tra socialismo e
fascismo Di questi e altri accostamenti, come quello tra
socialismo e religione in cui si impegnarono ad esempio Alfredo
Poggi e Felice Momigliano, sono documento evidente proprio le
edizioni Formiggini. E forse a molti collaboratori della casa editrice
può essere esteso il giudizio che è stato espresso per Momigliano: «
Profetismo, Mazzini, socialismo rima- sero per Felice tre nozioni
difficilmente separabili. La puri- ficazione dell’ebraismo, il
rinnovamento spirituale d’Italia e lo stabilimento della giustizia
sociale in Europa erano nella sua mente tre aspetti di un problema solo »
®. Un vivo senso della nazionalità e un vago socialismo sconfi-
nante nel populismo borghese e inteso come prosecuzione della democrazia
risorgimentale sono infatti le caratteristi-. che di uno dei più assidui
collaboratori di Formiggini, Ales- sandro Levi *, e si ritrovano in molte
delle iniziative del- l’editore modenese. Nelle collane di
saggistica si possono comunque indivi- duare tre filoni principali di
interesse: quello religioso, pre- sente ovunque ma che per un certo
periodo ebbe il suo posto privilegiato nella « Biblioteca di varia
coltura » dove nel 1911 usci il Mosé e i libri mosaici dell’ex prete
moderni- sta Salvatori Minocchi — in questo momento convinto che «
il futuro cristianesimo ha da cercarsi nelle vie del sociali- smo » * —;
quello pedagogico, che vide l’intervento assi- duo di Emilia Formiggini
Santamaria con studi storici è didattici ispirati alle teorie di Fròbel
ed ebbe un punto di riferimento costante — non solo nel 1910-1913
quando. fu pubblicata dall’editore modenese — nella « Rivista pe-
dagogica », l’organo dell’Associazione nazionale per gli studi pedagogici
fondato nel 1908 da Luigi Credaro e che, 33 A. Momigliano, Felice
Momigliano 1866-1924, ora in Terzo contri- buto alla storia degli studi
classici e del mondo antico, Roma, Edizioni di storia e letteratura,
1966, p. 844. Di Poggi cfr. Socialismo e religione. Modena, Formiggini,
1911, e, sull’autore, la voce di M. Torrini in F. Andreucci - T. Detti,
Il movimento operaio italiano. Dizionario biogra- fico 1853-1943, vol.
IV, Roma, Editori Riuniti, 1978. % Cfr. le osservazioni di Piero
Treves nel numero speciale di « Cri- tica sociale » dedicato a Levi
(gennaio 1974, pp. 41-45). 35 Cit. da A. Agnoletto, Salvatore
Minocchi, vita e opera (1869-1943); Brescia, Morcelliana, 1964, p.
191. 165 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
seppur influenzato dall’herbartismo del futuro ministro della
pubblica istruzione, fu aperto ai collaboratori delle più varie tendenze
(da Colozza a Calò, da Varisco alla Formig- gini Santamaria) *. Il terzo
filone, e forse il più significativo perché comune denominatore anche
degli altri, fu rappre- sentato da un generico interesse per i temi
filosofici, mu- tuato dalla Società filosofica italiana e dalla « Rivista
di filosofia » attenta, del resto, anche alle problematiche reli-
giose e pedagogiche. L’inizio dell’attività di Formiggini è infatti
stretta- mente connesso con la fase di riorganizzazione della
Società filosofica italiana, di orientamento prevalentemente (anche
se vagamente) positivista, apertasi nel settembre 1907 — in concomitanza
con l’intensificarsi del programma culturale di Croce e di Gentile
attorno alla casa editrice Laterza — con il congresso di Parma della
società. In questa sede fu deliberata — in vista di « una degna
affermazione dell’atti- vità filosofica italiana » al terzo congresso
internazionale di filosofia di Heidelberg — la preparazione di quel
Saggio di una bibliografia filosofica italiana che, compilato da
Ales- sandro Levi con la collaborazione di Bernardino Varisco e,
per la parte pedagogica, di Emilia Formiggini Santamaria, apparve nel
1908 per i tipi di Formiggini e fu giudicato da Gentile la prima
manifestazione di « qualche cosa di con- creto e di utile agli studi di
filosofia » da parte della Società filosofica ’. Il Saggio inaugurò la « Biblioteca
di filosofia e di pedagogia » che accolse, oltre agli atti dei congressi
della società, scritti della Formiggini Santamaria, I/ materialismo
storico in Federico Engels di Rodolfo Mondolfo — di cui è possibile
cogliere l'origine tormentata nelle lettere dell’au- tore all’editore *
—, e altri testi in cui l'impronta antiidea- 3% Cfr. D. Bertoni
Jovine, La scuola italiana dal 1870 ai giorni nostri, Roma, Editori
Riuniti, 19672, pp. 109-112. 37 « La Critica », VII (1909), fasc.
I, p. 69. 38 « Attendo presentemente a un lavoro su La filosofia
del comunismo critico. Una parte di questo, I/ materialismo dialettico e
il materialismo storico di F. Engels spero averla pronta entro brevissimo
tempo », scri- veva Mondolfo il 18 aprile 1909 proponendone la
pubblicazione. Ma ancora il 28 febbraio 1911 confessava: « La parte che
ancora rimane per il termine del lavoro io l’avevo molto tempo addietro
abbozzata e in 166 A.F. Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo lista è, almeno prima della guerra, ben
documentabile. Se meno precisamente definibile è la posizione di
Ludovico Limentani, assertore del metodo positivo ma aperto alle
istanze idealistiche, che pubblica due volumi (I presupposti formali
dell'indagine etica del 1913, e La morale della sim- patia del 1914) in
cui, come in tutta la sua opera, è filosofi- camente argomentato e
approfondito l’ideale stesso di For- miggini, in quanto l’autore fa l’«
esaltazione, sul piano poli- tico-sociale, del diritto ad esistere di
ogni spinta ideale, che scenda a collaborare sul piano della concreta
discussione con le altre idealità » *; assai netta è, nel 1913, la
posizione di Erminio Troilo, seguace del pensiero ardigoiano e uno
dei più continui collaboratori della casa editrice, che pre- sentando le
Pagine scelte di Ardigò lancia un violento atto d’accusa contro idealisti
e pragmatisti, in una difesa patetica di quella cultura positivista che
stava scomparendo: « Sin- ceramente, — scriveva — chi scorra senza
spirito di parte o di setta e senza quel vanissimo orgoglio di
superfiloso- fismo che è oggi venuto di moda, e che infuria, talora
con veri accessi di epilessia metafisica e pit spesso con inqua-
lificabile volgarità, specialmente, si capisce, contro il posi- tivismo,
le pagine che il Gentile e l’Orano, il Papini e, ultimo venuto, il De
Ruggiero hanno, bontà loro, dedicato a Roberto Ardigò, dovrà convenire
che non mai parzialità e superficialità, trivialità e accanimento hanno
intessuto una trama di più fatue leggerezze e di più dolorose
malizie, intorno ad un uomo e ad un pensatore che ha pur il diritto
di vivere e di pensare; mentre quei critici stessi si svociano
parte stesa in una forma però che, essendo stato poi da me modificato
tutto il piano del lavoro, non può più affatto andare. È dunque da rifar
da capo [...] bisogna che torni a rivivere il mio tema ». Finalmente 1°11
ottobre dello stesso anno poteva annunciare: «Ho scritto l’ultima car-
tella »; ma i dubbi non erano finiti, se il 22 gennaio 1912,
approfittando della necessità di cambiare il frontespizio del volume per
il trasferimento dell'editore da Modena a Genova, Mondolfo suggeriva di
togliere dal titolo « Il materialismo dialettico » lasciando le parole «
Il materialismo storico », « che costituiscono la parte più importante e
interessante del titolo ». (Archivio editoriale Formiggini presso la
Biblioteca Estense di Modena [d”ora in avanti AF], Mondolfo).
39 E. Garin, I/ pensiero di Ludovico Limentani, in « Rivista di
filo sofia », XXXVIII (1947), p. 199. In/ Il
fascismo e il consenso degli intellettuali e si sbracciano ad
osannare i pretenziosi ma altrettanto inconcludenti fra professori e
conferenzieri di marca tedesca e anglo-americana, e francese, i cui nomi
sono ormai sulle bocche di tutti; o i più ciarlatani, tipo Sorel; o pit
insulsi tra gli affiliati nostrani della congrega hegelianoide » *
Fuori collana apparvero altri testi filosofici, di particolare rilievo i
primi due volumi degli Scritti di Carlo Michael- stidter (1912-1913); non
andò in porto, invece, la pro- posta di Levi di pubblicare gli scritti di
Vailati, avanzata subito dopo la morte di questi, nel luglio 1909
*. Questi contributi erano il frutto di un rapporto diretto
con la « Rivista di filosofia », l’organo della Società filo- sofica
italiana sorto nel 1909, sempre per i tipi di Formig- gini, dalla fusione
della « Rivista di filosofia e scienze affini » di Giovanni Marchesini
con la « Rivista filosofica » fondata da Carlo Cantoni; e che non si
trattasse di un rap- porto puramente tecnico o commerciale, è dimostrato
dalla notevole consonanza di accenti tra la rivista e tutta l’atti-
vità della casa editrice. Non costituiamo una scuola; siamo una
collezione d’uomini, unit: dal comune amore della verità, ma che non
abbiamo tutti lo stesso concetto di quello che la verità sia [...]. Ma
tutti siamo persuasi che, per arrivare a « conoscere la verità » e a «
farla trionfare », la discus- sione seria de’ problemi, sotto ciascuno
de’ loro aspetti, sia l’unico mezzo possibile: un mezzo che, prima o poi,
ci farà conseguire il fine desiderato £: cosi dichiaravano
nel 1909 i redattori della rivista criti- cando il programma della «
Rivista di filosofia neo-scola- stica » che si diceva « espressione dei
pensamenti di una scuola determinata ». Questo vago « amore della verità
» era il segno, più che della « temperanza » combattuta da Croce e
dai neoscolastici, di uno sbandamento e di una de- bolezza di fondo, appena
mascherati da un ottimismo inge- nuo e perdente, data l’indeterminatezza
del « fine » da rag- 4 R. Ardigò, Pagine scelte, a cura di E.
Troilo, Genova, Formiggini, 1913, pp. PED 4 AF, 4
« n di filosofia », I (1909), n. 2, p. 151. 168 A. F.
Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo giungere: un «
amore della verità » tale non solo da provo- care il rapido manifestarsi
di contrasti interni alla redazione tra i due gruppi di Pavia e di
Padova, ma anche da permet- tere che già nel 1910 padre Gemelli venisse
accolto fra i membri della società. E tuttavia il programma dei
fonda- tori, inteso a dare all’Italia « una rivista autorevole
aperta ugualmente a tutte le opinioni e perciò adatta a chiarire le
profonde ragioni ideali, da cui le scuole filosofiche trag- gono origine
», introduceva subito sintomatiche puntualiz- zazioni: la
patria nostra, risorta da cinquanta anni ad unità di nazione, vuole
rivendicare le alte tradizioni del suo pensiero che informa tutta la cultura
e la vita moderna. Infatti, dobbiamo costantemente ricordare che
naturalismo ed umanismo, i due atteggiamenti fondamentali della
speculazione euro- pea, sorgono ugualmente col rinascere degli studii per
opera del genio italiano, universale e concreto; sicché tutta la filosofia
posteriore può rannodarsi ai nomi di Galileo e di Vico, che ne
simboleggiano gli spiriti. Da questi eroi tragga incitamento
ed auspicio la nuova filosofia che deve ravvivare l’opera e la coscienza
ideale degli italiani! In realtà, nonostante l’auspicio che sulle
sue pagine « tutti gli indirizzi del pensiero filosofico trovassero
libera espressione » ‘, e i passi compiuti in questo senso verso i
circoli di filosofia di Roma e di Firenze di tendenze preva- lentemente
idealistiche *, la rivista diretta da Faggi, Juval- ta, Levi, Marchesini,
Vailati (sostituito dopo la morte da Calderoni e Troilo), Valli e
Varisco — ai quali si aggiun- geranno in seguito Annibale Pastore (1917)
e Buonaiuti (1918) — risultò voce di « positivisti » il cui eclettismo
trovò un limite di fronte all’idealismo. Ci sembra assai valido — ed
estensibile alla casa editrice — il giudizio di Santino Caramella,
per il quale la rivista accoglieva 4 Ibidem, 1 (1909), n. 1,
p.4. 4 I due circoli aderirono alla Società filosofica nel corso
del 1909, ma nel gennaio 1910 quello di Firenze ritirò la propria
adesione tramite il suo segretario Giovanni Amendola: fra il Circolo e la
Società, dichia- rava, « non esiste affinità alcuna, né di scopo, né di tendenze,
né di me- todi d’azione » (« Rivista di filosofia », II (1910), n. 1, p.
128). 169 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali tutti, « dal neopositivismo del Troilo all’hegelismo
del Losacco, dal misticismo del Rensi al fichtismo del Til gher e
del Ravà, dall’ardigioianesimo al neokantismo — e chi più ne ha più ne
metta, ogni indirizzo poté salire in tri- buna. Ma non per questo cessava
la intolleranza verso gli intolleranti di questa amorfa tolleranza: il
Croce, il Gen- tile restarono sempre i maligni avversari che avevano
gua- stato l’Eden filosofico: e specialmente i positivisti ebbero
cura di non lasciar mai spegnere il fuoco della battaglia » *. Possiamo
aggiungere, a integrazione del quadro solo in negativo fornito da
Caramella, l’esplicita connessione di in- teressi filosofici e religiosi
— ne è testimonianza anche l’in- gresso nella redazione di Buonaiuti,
subito impegnato a confutare sulle pagine della rivista la pretesa
gentiliana di individuare in Vico un precursore dell’attualismo 4 —
e l'insistenza sul « genio italiano » che, pur senza assumere fin
dall’inizio precisi connotati nazionalistici — come cer- cherà invece di
far intendere Troilo nel 1918 —, era indice di una chiusura nei confronti
del pensiero contem- poraneo non italiano. È un aspetto,
questo, che risalta con forza ove si con- frontino i « Classici della
filosofia moderna » che Croce ini- ziò nel 1907 per Laterza con
l’Enciclopedia di Hegel, e l’iniziativa formigginiana dei « Filosofi
italiani », la colle- zione promossa dalla Società filosofica italiana e
diretta da Felice Tocco. Le differenze, naturalmente, non sono
segnate solo da confini geografici, pur importanti. Il fatto è che,
come riconosceva e paventava la stessa « Rivista di filoso- fia » *, il
programma crociano si proponeva la valorizza- 45 S. Caramella, Le
riviste filosofiche italiane nell'ultimo quarto di secolo, « La Cultura
», IIl (1924), p. 552. # E. Buonaiuti, Il carattere storico della
filosofia italiana, in « Rivista di filosofia », X (1918), pp.
58-60. 47 In « L'Italia che scrive », I (1918), p. 6.
48 Recensendo positivamente — per l’accesso diretto alle fonti che
offrivano — i « Classici della filosofia moderna », Michele Losacco
osser- vava: « È ben difficile «creare un movimento speculativo che lasci
tracce profonde, se l’ambiente in cui si lavora non è sufficientemente
preparato ad intenderlo; ne fu prova non dubbia l'indirizzo idealistico,
promosso a Napoli da Bertrando Spaventa, e che non trovò il meritato
seguito, perché si concentrò in alcuni pochi spiriti, solitari e
incompresi. Ora ogni nuovo 170 A. F. Formiggini: un
editore tra socialismo e fascismo zione di una linea di pensiero
che assegnava all’Italia un ruolo centrale con Spaventa, De Sanctis,
Labriola e Croce, ma era tanto pi forte in quanto riproposta attraverso
una determinata lettura di Vico, di Kant e di Hegel, mentre Tocco
si preoccupava di riportare alla luce soprattutto la filosofia
della Rinascita [che] è nella maggior parte italiana, come italiano è
quel movimento umanistico che la promosse. E questo periodo cosi
arruffato della speculazione, che in mezzo al rifiorire della scienza e
della medicina antica, in mezzo al ripullulare dell’an- tica magia alchimia
ed astrologia prepara l’avvento della nuova scienza e della coscienza
nuova, merita di essere studiato . Ben diversa da quella di Croce
e Gentile fu anche la capacità di promozione della Società filosofica
italiana: bastò la morte di Tocco, nel 1911, a impedire che avesse
seguito, dopo i primi due volumi del De rerum natura di Telesio curati da
Vincenzo Spampanato la proposta avan- zata in prima persona dall’editore
modenese al terzo con- gresso della società (Roma, ottobre 1909), e da
questa assunta in proprio con l’impegno del suo presidente di «
dare ogni aiuto possibile », di « raccogliere in una accu- ratissima
edizione i testi critici dei maggiori filosofi italiani, per rendere
accessibili a tutti le opere meno agevolmente ostili e più importanti per
la storia del pensiero nazio- nale » ”, e serio conato
speculativo, come fu, per esempio, quello della Rinascenza, presuppone
sempre lo studio e il riconoscimento delle migliori tradizioni
filosofiche, e nazionali e straniere, da cui deve trarre la ragion d’essere
e l’ispirazione » (« Rivista di filosofia », I (1909), n. 3, pp.
102-104). 4 Prefazione di Tocco al vol. I del De rerum natura di
Telesio (Mo- dena, Formiggini, 1910). 5 Cfr. anche E. Garin,
Per un'edizione dei filosofi italiani, in « Bol- lettino della Società
filosofica italiana », n.s., ottobre-dicembre 1971, n. 77, p. 67. Perché
la direzione dei « Filosofi italiani » fosse affidata a Tocco intervenne
Croce, come si ricava dalle sue lettere a Formiggini e dal suo commento
al congresso di Roma, in cui dichiarò « in piena liquidazione » il
positivismo (ora in Pagine sparse, Bari, Laterza, 19602, vol. I, p. 330).
Contro le « fauci ingorde » di Formiggini, che per l’edizione di Telesio
avrebbe cumulato i contributi finanziari del Comitato telesiano di
Cosenza e dello Stato, cfr. lo sfogo di Gentile nella lettera a Croce del
6 ottobre 1910 (G. Gentile, Lettere 4 Benedetto Croce, a cura di S.
Giannantoni, vol. IV, Firenze, Sansoni, 1980, p. 58); I'8 gennaio 1911
Gentile scriveva a Croce degli « spropositi vergognosi » presenti nella
prefazione di Spam- panato (ibidem, p. 80). 171
1 fascismo e il consenso degli intellettuali 3. Intenti
divulgativi Accanto a una cultura in varia misura positivista
che si organizza sul piano accademico che è proprio della « Rivista
di filosofia » — e anche su questo terreno sarebbe da valutare la «
resistenza » opposta dai positivisti al neo- idealismo, testimoniata
dalle lagnanze ricorrenti nelle let- tere di Croce, Gentile, Omodeo —, è
da segnalare la « vocazione » illuministica di questi gruppi a farsi
educa- tori di masse le più larghe possibili. Se l’idealismo
incontrò forti limiti ad una sua penetrazione o « traduzione »
popo- lare, ciò non si dovette solo a sue carenze originarie o éli-
tari rifiuti, ma anche all’esistenza di una cultura media o « popolare »
resa impermeabile alla sua influenza da prece- denti incrostazioni di
segno diverso o contrario, depositate lentamente — attraverso periodici,
università popolari o certe collane, non solo di istruzione tecnica o di
lettera- tura d’appendice — ad opera dei positivisti che avverti-
vano « il dovere di divulgare tra il “popolo” quella scienza che
consideravano parte integrante della realtà », fiduciosi « che individui appartenenti
a ogni strato sociale potessero rispondere al richiamo illuminante e
liberatore della verità, la stessa verità in cui essi credevano »
" Alla divulgazione erano appunto rivolti, come altre
iniziative contemporanee e sulle orme della « Biblioteca del popolo » di
Sonzogno, i « Profili » di Formiggini, nati nel 1909 con l’intento di
soddisfare « il più nobilmente possi- bile alla esigenza caratteristica
del nostro tempo, di voler molto apprendere col minimo sforzo » *. E non
a caso « Cri- tica sociale » la giudicava già nel 1910 una « utilissima
colle- zione » ®. Alla tendenza allora predominante di dare una
immagine del passato o del presente attraverso singole figure di
protagonisti — gli « eroi » di cui parlava la « Rivi- sta di filosofia »
nella sua pagina d’apertura, gli uomini sim- boli di un’epoca su cui era
costruita la prima storia del 51 M.G. Rosada, Le università
popolari in Italia 1900-1918, Roma, Editori Riuniti, 1975, p. 169.
2 A.F.F , Trenta anni dopo, cit., 53 V. Osimo, ‘arlo Porta,
in « Critica i ; XX (1910), p. 368. 172 A. F.
Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo socialismo
tentata da Angiolini e Ciacchi — si ispirarono numerose collezioni, la
più nota ed aulica di tutte, ma di breve durata, quella dei «
Contemporanei d’Italia » intra- presa nel 1909 da Ricciardi sotto la
direzione di Prezzolini; ma fu soprattutto Formiggini a preoccuparsi di
divulgare i suoi « Profili » attraverso le biblioteche popolari, « queste
istituzioni — scriveva presentando la collana — che stanno ora sorgendo e
moltiplicandosi e che saranno i focolai donde uscirà la dignità nuova e
la nuova fortuna della patria », rivolgendosi in particolare al mondo
della scuola*. E i « Profili » raggiunsero un pubblico per quei tempi
molto va- sto: uno dei primi titoli, il Ges di Labanca, di cui nel
1918 fu stampata la terza edizione, solo nella prima (del 1910)
ebbe una tiratura di 2.500 copie 5. Nel 1914, nel capitolo de Le lettere
dedicato alla « critica letteraria », Serra faceva un bilancio delle
collane comprendenti « l’essaî dedicato a una questione o a una figura »,
e annotava: Ne abbiamo parecchie: i Profili, i Contemporanei, gli
Uomini d’Italia, i moderni, gli antichi e che so io. Ma o si sono
arrestate, 0 han dato la solita roba; conferenze da una parte, e
dall’altra tesi e avanzi di corsi scolastici, che non riescono a fare il
libro. L’unica serie che va avanti bene è quella dei Profili; appunto
perché il suo modulo, anche materialmente, modesto e facile da riempire,
si im- pone alla personalità degli autori con una certa economia
necessaria di notizie e di disegno, che non lascia posto a digressioni o
erudi- zioni o analisi, come dicono, originali. Potrebbe parere un
difetto; ed è, tra noi, una fortuna. Senza dire che anche in quei limiti
si pos- sono ottenere cosette buone; per un esempio, l’Esiodo del Setti o
il Bodoni del Barbera *. La mancanza di originalità di
questa produzione non impediva tuttavia che essa avesse un taglio preciso
per gli autori o i biografati prescelti. Anche se il criterio della
% Illustrando sulla « Rivista di filosofia » un suo progetto
sull’istitu- zione di biblioteche per gli studenti delle scuole medie,
già accennato al congresso per le biblioteche popolati di Roma nel
dicembre 1908, Gio- vanni Crocioni affermava: «Non vi mancheranno le
opere d’arte, le vite di uomini insigni, le edizioni popolari; vi
troveranno, ad esempio, luogo opportuno i Profili che il nostro
coraggioso e geniale editore vien pub- blicando con fine gusto di arte »
(I (1909), n. 3, p. 88). 55 AF, Labanca. 5% Serra, op.
cit., p. 459 n. 173 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali competenza suggeri in un primo tempo a Formiggini
di rivolgersi a Croce e poi a Gentile per il ritratto di Hegel, a
Papini per quello di Sarpi o a Prezzolini per Baretti — contatti che non
ebbero poi esito positivo —, gli autori dei « Profili » furono e
rimarranno in maggioranza esponenti di ambienti positivisti o modernisti,
e spesso « toccati » dal materialismo storico. Per i personaggi-chiave,
dove le « di- gressioni » erano pit facili e significative, troviamo
Achille Loria autore del Malthus del 1909 — « uno dei più ricer-
cati della mia fortunata collezione », gli scriveva Formig- gini nel
1914” — che raggiunse nel 1923 la quarta edi- zione, dei ritratti di Marx
(1916) e Ricardo (1926); Giu- seppe Tarozzi con Rousseau (1914), Ardigò
(1928) e So- crate (1932) ed Erminio Troilo con Telesio (1910), Bruzo
(1918) e Kaxt (1924); Baldassarre Labanca con Ges# di Nazareth (1910),
Felice Momigliano con Tolstoi (1911) e Buonaiuti con una lunga serie di
ritratti, dal 1917 al 1926: Sant'Agostino, San Girolamo, Sant'Ambrogio,
San Tom- maso, San Paolo, Gest il Cristo (che sostituî il profilo
di Labanca) e San Francesco; Corrado Barbagallo tracciò i profili
di Giuliano l’Apostata (1912) e Tiberio (1922), mentre Concetto Marchesi
delineò quelli di Marziale (1914), Giovenale e Petronio (1921).
Alcune, poche « concessioni » del periodo fascista non alterarono
le caratteristiche originarie della collezione, che accanto alle figure
principali della letteratura italiana e stra- niera dava largo spazio —
più di quanto ne concedessero la « Collana biografica universale » delle
edizioni Quattrini di Firenze o i « Pensatori celebri » e i « Pensatori
d’oggi » del- la milanese Athena — ad esponenti del pensiero
filosofico- scientifico (Telesio, Bruno, Galileo, Newton,
Lavoisier, Morgagni) e ai pensatori dell’ottocento cari alla genealogia
positivistica e socialista (Malthus, Darwin, Marx, Lombro- so,
Ardigò). Mentre per meglio esaltare la dottrina di Darwin
l’au- tore del suo ritratto, il naturalista Alberto Alberti, rite-
neva necessario fissare fin dall’inizio le fattezze del biogra- 5?
AF, Loria. 174 A.F. Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo fato (« cupola immensa il cranio. Dentro, un
cervello che come quello di Volta e forse come quello di Leonardo, non
pesava meno di due mila grammi »), convinto, in base a un ingenuo
positivismo, che i tratti fisici « giovano a far intendere come per la
larga, possente grandiosità del lavoro intellettuale compiuto da Darwin
ben occorresse anche una struttura fisica non diversa ma più vigorosa di
quella onde è congegnata la moltitudine degli uomini » *;
l’autorevo- lezza delle biografie di Malthus e di Marx è affidata al
loro autore, quell’Achille Loria tanto disprezzato da Labriola e da
Gramsci, ma che rimane pur sempre, come è stato sotto- lineato di
recente, « una figura rappresentativa dell’età del positivismo
evoluzionistico e del nascente movimento socia- lista » alla quale si
deve « la diffusione in Italia della no- zione di un’economia non
immutabile, non governata da leg- gi esterne, ma mossa dalla lotta delle
classi sociali e perciò suscettibile di evoluzione al di là dello stadio
proprietario e capitalistico » ”. I giudizi e gli accostamenti di Loria
non sono per questo meno disinvolti: la teoria della popola- zione
di Malthus, « sorta quale teoria di regresso », se « de- bitamente svolta
ed ampliata, si torce invece nella più radi- cale fra le teorie sociali.
Dacché essa insegna che il flutto incessante della popolazione è il
fermento irresistibile di distruzione delle forme sociali successive » 9;
invece Marx, nonostante la « grandiosità michelangiolesca » del suo
pen- siero, sta « di molto al disotto dei grandi maestri della
scienza positiva »: « Se invero è mirabile e enorme que- sttuomo — notava
Loria —, il quale riesce a contenere tutto un mondo fra le pieghe di un
semplicissimo principio iniziale, e la cui vita non è pi che lo sviluppo
di una equa- zione, che egli ha posta agli esordi — quanto più
onesto, più leale, più scientifico il procedere di Darwin, il quale
non pone principj aprioristici, ma accoglie senza preconcetti 5 A.
Alberti, Carlo Darwin, Modena, Formiggini, 1909, pp. 7-8. 5? R.
Faucci, Revisione del marxismo e teoria economica della pro- prietà in
Italia, 1880-1900: Achille Loria (e gli altri), in « Quaderni fio-
rentini », 5-6 (1976-1977), pp. 587-679. ® A. Loria, Malthus, Roma,
Formiggini, 19193, p. 35. 175 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali i fenomeni nell’ordine di complessità
progressiva che la vita stessa gli affaccia! » ©. La storia
italiana recente era illustrata con un forte senso della nazionalità,
accentuato dalla grande guerra, ma con tonalità democratiche: al ritratto
dei fratelli Bandiera seguivano nel 1915-16 quello di Abba, e un Cavour
di Romolo Murri che — presentato da una Lettera ai com- battenti
del « capitano Formiggini » come « una potentis- sima sintesi » non solo
delle concezioni dello statista pie- montese, « ma di tutte le correnti
del pensiero collettivo che portarono al trionfo della idea nazionale » —
si preoc- cupava di definire valore e limiti del realismo politico
del biografato per dare sbalzo alla fede mazziniana (« solleci-
tando, con il suo titanico ardimento, la storia ed i fatti, [Cavour]
disperse, in parte, quel tesoro di energie spiri- tuali che Mazzini aveva
preparato per pi lunga e pro- fonda e dolorosa opera [...] Cavour ha
avuto ragione per il suo tempo, Mazzini torna ad aver ragione oggi »)
©. Elemento caratteristico della collezione formigginiana resta
comunque l’ampio interesse per la storia religiosa, toccata sia
attraverso le figure di Ges, di Savonarola £ e dei santi, sia per inciso
nei profili degli imperatori romani che videro l’affermarsi del
cristianesimo o nel ritratto dedi- cato a Tolstoj da Felice Momigliano. «
Pi che l’editore, tu sei il critico degli autori tuoi », scriveva nel
1917 Marchesi a Formiggini *: e il rapporto dell’editore con gli autori
di profili religiosi si rivela particolarmente stretto e franco,
come nel caso di Labanca e di Buonaiuti; indice della sua diretta
partecipazione è ad esempio l’affettuoso rimpro- 61 A, Loria,
Carlo Marx, Genova, Formiggini, 1916, p. 61. i € R. Murri, Camillo
di Cavour, Genova, Formiggini, 1915, pp. 6, 71, 73. 6 Rispetto
al giudizio minimizzatore di cui sarà oggetto nell’Enciclo- pedia
italiana, come abbiamo visto, Savonarola era eroicizzato nel 1912 da
Alfredo Galletti come colui che «riconciliò la libertà colla religione,
ravvivò negli animi il sentimento cristiano offuscato o pervertito,
ordinò un governo libero e onesto sul fondamento della dignità morale »,
dimo- strandosi, con tutto ciò, « veramente italiano » (Gerolamo
Savonarola, Roma, Formiggini, 1936, pp. 10-11). 4 AF,
Marchesi. 176 A. F. Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo vero mosso a quest’ultimo, che aveva
sottolineato la con- tinuità tra ebraismo e cristianesimo:
Mi sono letto il profilo del Cristo — gli scriveva il 26 marzo 1926,
contemporaneamente all’uscita di Gesz il Cristo di Buonaiuti,. un titolo
che Labanca aveva esplicitamente rifiutato per il suo Gesg di Nazareth —
e ti confesso che non mi è piaciuto e che non piacerà. Non è il profilo
del Cristo rispetto ai Farisei ma il profilo tuo ri- spetto a padre
Gemelli e hai fatto senza volere un’apologia del fari- seismo che non la
meritava e hai fatto del povero Cristo uno scoc- ciatore e tale forse non
fu. Ho rimorso di aver fatto un corno al povero mio maestro
Baldas- sarre Labanca, tu sai scrivere in modo meraviglioso, egli non
sapeva scrivere ma nel suo ruvido libretto c’era pur qualche cosa che
restava. in tasca a chi lo leggeva. Insomma se vieni ti
parlerò di Dio, perché mi sento di poterti dare qualche utile consiglio
©. Per la loro destinazione e per lo stretto rapporto edi-
tore-autori che rivelano, i « Profili » risultano quindi una guida
utilissima per seguire le tematiche allora più largamen- te diffuse e gli
orientamenti politici e culturali della casa edi- trice: dal giudizio
formulato da Felice Momigliano su Tolstoj subito dopo la sua morte, nel
1911, che corrisponde a una diffusa « lettura » del romanziere e
pensatore russo (« un distruttore ben pit radicale di Marx » 4), a quello
di Francesco Losini del 1918, che al presunto carattere della
rivoluzione d’ottobre — « suppellettile d’importazione » senza radici
nella tradizione russa — oppone l’ammoni- mento del suo biografato,
Turgenev, « a non prescindere: dalla nazionalità nella preparazione
dell'avvenire della Rus- sia » ‘, fino ai mutamenti significativi che, da
un’edizione all’altra, possono registrarsi nello stesso profilo. Come
nel Telesio di Troilo, che nella prima edizione del 1910 si
conclude con il rimprovero alla filosofia contemporanea di dare
espressione al suo antiintellettualismo ricorrendo al pragmatismo — che è
solo « un getto, un po’ morbido, del saldo profondo tronco antico » del «
radicale empirismo 65 AF, Buonaiuti. 6 F. Momigliano, Leone
Tolstoi, Modena, Formiggini, 1911, p. 61. 7 F. Losini, Ivan Turghenieff, Roma,
Formiggini, 1918, pp. 11-12. 177 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali presocratico » —, laddove nella
seconda edizione del 1924 termina affermando che vedere nel pensiero del
cosentino l’avvio del processo che sfocierà nella dialettica
trascenden- tale kantiana è « più legittimo che non fare di
Bernardino Telesio qualché di simile ad un idealista assoluto » £.
Anche in periodo fascista la collana cercò di mantenersi fedele
all’ideale di « equilibrio » e di « conciliazione » di Formiggini: e se
non mancarono concessioni alla retorica fascista, come nell’esaltazione
del ricostruttore dello Stato sabaudo, Emanuele Filiberto, fatta nel 1928
da Pietro Silva, nel 1935 Alessandro Levi tracciava un profilo di
Roma- gnosi, il « severo giudice dell’assolutismo » il quale nella
Scienza delle costituzioni — ricordava Levi in pieno re- gime — aveva
affermato che « la luce del vero e del giusto appartiene al genio
onnipossente e beatificante della libertà, le tenebre dell’ignoranza
appartengono al dèmone della tirannia, d’onde sorge la discordia e la
distruzione degli Stati » 9. 4. Una cultura « al di sopra
della mischia » Il breve e tormentato periodo del dopoguerra, fino
al pieno affermarsi del fascismo, vide il massimo sviluppo del-
l’iniziativa di Formiggini, e il suo tentativo di allargare l’ambito di
intervento dall’editoria a più ambiziosi pro- grammi di organizzazione
della cultura. Ma è proprio nel clima teso di questi anni, fortemente
condizionato dal nazio- nalismo e poi dal fascismo, che egli subirà la
più cocente delle sconfitte, la sconfitta di una utopia, di un ideale
non ancorato a un preciso orientamento politico. Il « capitano »
Formiggini aveva partecipato con entusiasmo alla guerra, «momento di
doveroso lavoro per tutti », ricorderà la moglie ”. € E.
Troilo, Bernardino Telesio, Modena, Formiggini, 1910, pp. 71-73; seconda
edizione, Roma, Formiggini, 1924, p. 71. 9 A. Levi, Romagnosi,
Roma, Formiggini, 1935, p. 93. 4 E. Formiggini Santamaria, La mia
guerra, Roma, Formiggini, 1919, p. 26. 178 A.
F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo E la guerra
non fece che rafforzare l’ideale di For- miggini di una « Europa nuova »,
« civile e fraterna », fondata sulla « comunione di cultura tra i popoli
» ”, ma come presupposto per la sua piena realizzazione si fece
sempre pit frequente in lui — come in tanti altri intellet- tuali di
fronte alla prima grande vittoria dello stato ita- liano — la
rivendicazione dei valori nazionali e patriottici (simboleggiati dai
fregi classicheggianti di Adolfo De Ka- rolis, già illustratore di «
Leonardo » ed « Hermes », con- tro il quale si scaglieranno in nome dello
« spirito popola- resco » i giovani del « Selvaggio »). L’insistenza su
questi ultimi farà ben presto relegare in secondo piano l’ideale
originario, e si tradurrà in un servizio reso alle forze che con maggiore
coerenza puntavano ad una « riscossa nazio- nale » della borghesia
italiana. Un eclettismo culturale fiduciosamente perseguito (ma di rado
realizzato) e la man- canza di un netto orientamento politico furono
infatti i motivi della sostanziale debolezza — nonostante i
successi iniziali — delle ambiziose iniziative concepite da Formig-
gini al termine della guerra. Il suo sarà un destino analogo a quello
della « Rivista di filosofia », che nel 1918 si apriva con un Programma
di lavoro in cui Bernardino Varisco rin- correva l’ideale di una suprema
« armonia » tra gli stati le classi e le singole « culture », fino a
incontrare, per la sua genericità, il consenso di quel Gentile ? che
poche pagine dopo, sulla stessa rivista, era duramente attaccato da
Buo- naiuti. Frutto del modo col quale Formiggini avverti le
lace- razioni prodotte dalla guerra in campo internazionale, e
della volontà di difendere e rafforzare anche sul piano spiri- tuale
l’unità nazionale pienamente conseguita sul terreno politico, sono il
progetto, poi non attuato, di una colle- zione italiana di classici greci
e latini — « i mostri classici » 7! A.F. Formiggini, Trenta anni
dopo, cit., p. 49. Era una speranza formulata confusamente nel 1918 anche
da Erminio Troilo, che pur non tralasciava l’occasione per lanciare una
nuova accusa contro l’« idealismo assoluto, una vera e propria Metafisica
di guerra » (La conflagrazione. E storia dello spirito contemporaneo,
Roma, Formiggini, 1918, p. 6). 7 Cfr. G. Gentile, Guerra e
fede, Napoli, Ricciardi, 1919, pp. 294-298. 179 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali per i quali doveva
finire il « vassallaggio » nei confronti della Germania” — e,
soprattutto, il mensile « L’Italia che scrive », forse la creatura più
cara a Formiggini. Uscito nell’aprile 1918, « agli albori di una età
nuova », il perio- dico nutriva, sotto le vesti di una semplice rivista
biblio- grafica, ambizioni culturali più ampie, riproponendosi di «
registrare nelle sue colonne un magnifico rifiorire degli studi nel
nostro paese e di farsene eco diligente e fedele, a vantaggio di quanti,
in Italia o fuori, apprezzano e vogliono conoscere il lavoro
intellettuale degli italiani » *. La strut- tura agile e articolata che
sarà presa a modello dal « Leo- nardo » e da « La Nuova Italia » —
editoriale, profilo di un contemporaneo, inchieste su istituzioni
culturali, recen- sioni, confidenze degli autori, spoglio di libri e
articoli per argomento, « libri da fare », eccetera — fece ben
presto affermare il mensile (che nei primi anni ebbe una tiratura
non inferiore alle 10.000 copie, giungendo a toccare le 30.000 ”) come un
esempio di quelle riviste-tipo che Gram- sci catalogherà nel genere «
critico-storico-bibliografico »: legata all’attualità e a carattere
divulgativo, rivolta a quel « lettore comune » al quale non basta dare «
concetti » storici, ma occorre fornire « serie intiere di fatti
specifici, molto individualizzati » ?. E proprio « Il grido del
popo- lo » segnalò la « vivace, varia » rivista di Formiggini — «
uno dei più giovani ed intelligenti industriali italiani del libro » —
come quella che « prometteva di diventare un ottimo ed utilissimo
strumento di cultura, quale in Italia non esisteva ancora, e la cui
mancanza era uno dei segni delle manchevolezze intellettuali del nostro
paese, della 73 A.F. Formiggini, Trenta anni dopo, cit., p. 52.
Sulla funzione attri- buita ai classici di « mantenere vivo il senso di
continuità col passato e nello stesso tempo contribuire a un compito di
rinnovamento nazio- nale », richiama l’attenzione A. La Penna a proposito
di una successiva iniziativa sansoniana (La Sansoni e gli studi sulle
letterature classiche in Italia, in AA.VV., Testimonianze per un
centenario. Contributi a una storia della cultura italiana 1873- 1973,
Firenze, Sansoni, 1974, p. 109). 7 A.F. Formiggini, Trenta anni
dopo, cit., p. 61. 75 A.F. Formiggini, La ficozza filosofica del
fascismo, cit., pp. 55, 98. 7 A. Gramsci, Quaderni del carcere,
edizione critica dell'Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Torino,
Einaudi, 1975, vol. I, pp. 26-27. 180 A. F.
Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo poca diffusione
dei libri e quindi delle idee, della nostra spaventosa impreparazione
spirituale » ”. Prefiggendosi il compito di « armonizzar le varie
cor- renti della cultura nazionale » perché potessero concor- rere
al fine comune della « valorizzazione nel mondo del- l’attività
intellettuale italiana », Formiggini sostenne anche nel momento della sua
sconfitta che « un giornale edito- riale nazionale non può essere che un
giornale eclettico », contro il consiglio di Ettore Romagnoli di « avere
un par- tito, essere con qualcuno o contro qualcuno » *. Ma, nono-
stante l’idealizzazione della capacità unificante di una « cul- tura » al
di sopra delle parti — nel marzo 1917 Formig- gini aveva offerto la condirezione
della rivista a Prezzolini che stava per assumere un'iniziativa analoga,
ma che rifiutò l'invito perché, rispondeva il 20 aprile successivo, «
le nostre concezioni differiscono ancora troppo » ” —, le scelte de
« L’Italia che scrive » furono fin dall’inizio precise: pedagogia con
Emilia Formiggini Santamaria e filosofia con Tarozzi e Troilo, il quale
nel 1918 dedica un ritratto ad Ardigò in cui riafferma la « funzione
storica, tutt'altro che esaurita, del positivismo » con maggior convinzione
di quanto non facesse nello stesso momento sulle pagine della «
Rivista di filosofia »; storia con Pietro Silva autore nel 1918 di un
commosso ritratto di Salvemini — « mazziniano per l’alto idealismo che
informa la sua propaganda, e per la sua fede nel progressivo cammino
dell’umanità verso la giustizia » ® —, con Barbagallo che traccia i
profili di Gu- glielmo Ferrero e di Ettore Ciccotti e nel 1923
informa sulla « Nuova rivista storica » da lui diretta, Giorgio
Falco ed Ersilio Michel. Un largo spazio è accordato agli argo-
menti scientifici trattati da Aldo Mieli, Roberto Almagià, Sebastiano
Timpanaro, Giovanni Vacca, e soprattutto ai problemi religiosi, ove
l'intervento di Formiggini è spesso « Il grido del popolo », 6
aprile 1918. A.F. FOGnIEziol, La ficozza filosofica del fascismo, cit.,
p. 40. 36. 181 Il fascismo e il consenso
degli intellettuali diretto ®, e di cui si occupano Nicola Turchi,
Alberto Pin- cherle e con particolare frequenza, fino al 1926,
Ernesto Buonaiuti, autore di rassegne su riviste di cultura
religiosa e di inchieste su istituzioni culturali, di articoli sul
neoto- mismo o sull’insegnamento della religione nella « nuova »
scuola (1924), e di recensioni tanto sferzanti da essere ri- chiamato all'ordine
dal direttore della rivista @. Ma è da notare anche, nel settore
politico-culturale, la presenza dell’antigentiliano Adriano Tilgher,
soprattutto dal 1926, e di un altro collaboratore de « Il Mondo » oltre
che de « La Rivoluzione liberale », Mario Ferrara, autore dei ri-
tratti di Turati, Treves e Salandra, e dal 1919 al 1924 quella di
Prezzolini, che si segnala per la tempestività dei suoi interventi: nel
maggio del 1920 illustra la grandezza di Croce e nel dicembre del 1922
vede in Gentile il crea- tore della « filosofia delle filosofie » e colui
che « ha imme- desimato lo sviluppo della coscienza nazionale con lo
svi- luppo della speculazione nazionale » *. Ma questa che For-
miggini defini « l’apologia di Gentile che ha avuto più larga eco in
tutto il mondo » *, non salverà l’editore mode- nese dall’attacco del
nuovo ministro della pubblica istru- zione, verso il quale la rivista
aveva mantenuto fino ad allora un critico distacco. 81
Presentando sul primo numero della rivista le recensioni alle « di-
scipline critico religiose », affermava: « poiché la terribile prova
spirituale che stiamo traversando impotrà, dopo la bufera [della guerra],
una revi- sione immancabile dei valori su cui era poggiata la nostra
vecchia vita etica, noi possiamo essere sicuri che le indagini consacrate
a rintracciare il corso storico della vita cristiana nel mondo avranno
una fioritura inspe- rata e diverranno fattore notevolissimo di una
coltura veramente nazio- nale » (« L'Italia che scrive », I (1918), p.
10). 8 Il 17 ottobre 1921 Formiggini faceva rilevare a Buonaiuti
che alcune sue recensioni « non rispondevano né per misura né per
intona- zione a quell’ideale sereno a cui vorrei che si ispirasse
“L’Italia che scrive”. Dovresti perciò, per non mettermi in un imbroglio
spirituale, recensire quelle opere che si riferiscono alla storia del
cristianesimo come scienza e tralasciare quelle che possono darti adito a
sfogare i tuoi senti- menti politici o la tua passionalità religiosa »
(AF, Buonaiuti). 83 « L'Italia che scrive », III (1920), pp. 69-70,
e V (1922), p. 217. 8 A.F. Formiggini, La ficozza filosofica del
fascismo, cit., p. 163. 182 A.F. Formiggini: un
editore tra socialismo e fascismo 5. La sconfitta di un'illusione
e una tenue « resistenza » Il programma de « L’Italia che scrive »
di essere « spec- chio fedele della intellettualità italiana » si scontrò
infatti con l’« intolleranza » gentiliana quando Formiggini cercò
di fare della sua rivista il nucleo di un Istituto per la diffu- sione
della cultura italiana. Alla fine del 1918 i suoi propo- siti si erano
saldati con le prospettive nazionalistiche del sottosegretariato per la
propaganda all’estero e la stampa presieduto da Romeo Gallenga Stuart:
chiamato a far parte della commissione per la proganda del libro italiano
all’este- ro — nell’ambito della quale propose la pubblicazione di
Guide bibliografiche per materie dove uscirono, fra l’altro, la Geografia
di Roberto Almagià e i Narratori di Luigi Russo —, Formiggini stabili i
contatti politici necessari a lanciare un’impresa — l’Istituto per la
propaganda della cultura italiana, poi Fondazione Leonardo — che
doveva rappresentare « non l’ultimo atto dell’Italia in guerra, ma
il primo dell’Italia che dopo una lunga guerra combattuta con onore
vorrà, senza invidia delle altre nazioni, mettere in valore equamente il
contributo non trascurabile e finora trascurato che essa ha portato,
anche negli ultimi decenni, al progresso del sapere » *, Abbiamo
visto come l’iniziativa passasse nelle mani di Gentile. Invano Formiggini
lodò Croce per aver « denun- ciato la balordaggine di chi vorrebbe
istituire una filosofia di stato » * e denunciò la « marcia sulla
Leonardo » di Gentile, che assieme alla fondazione gli aveva sottratto
l’idea di una Grande enciclopedia italica — l'editore mode- nese cercherà
di realizzarla per suo conto con l’aiuto dei suoi collaboratori abituali
e, in particolare, di Ernesto Buonaiuti . Mentre l’ente e il suo
patrimonio erano desti- 85 A.F. Formiggini, Trenta anni dopo,
cit., p. 91. 86 « L’Italia che scrive », VI (1923), p. 117.
87 Dalle lettere della seconda metà del ’25 Buonaiuti appare impe-
gnato a redigere il piano generale della formigginiana Enciclopedia delle
enciclopedie; ne usciranno soltanto i volumi I, Economia domestica;
turismo-sport-giuochi e passatempi, Modena, Formiggini, 1930, e II, Peda-
gogia, Modena, Formiggini, 1931, quest’ultimo coordinato da Emilia For-
183 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
nati ad essere assorbiti, nel ’25, nell’Istituto nazionale
fascista di cultura, « rassegna mensile della coltura italiana pubblicata
sotto gli auspici della Fondazione Leonardo » diventava, nel gennaio ’25,
il « Leonardo » diretto da Prez- zolini — al quale l’anno successivo
subentrerà Luigi Rus- so — ed esemplato su « L’Italia che scrive » « con
un con- tornetto (si capisce) di 4ff0 puro, se no il cataclisma non
avrebbe avuto ragion d’essere », osservava Formiggini * che ruppe con
Prezzolini riaffermando in pubblico, e in una lettera privata a
lui del 15 ottobre 1925, i propri ideali: Voialtri
attualisti avete innegabile dottrina, robusto ingegno, e disponete della
forza formidabile di quel partito che giudicaste cosî aspramente prima
che esso subisse in pieno la vostra influenza nefa- sta. Voi godete ormai
persino di una insperata agiatezza che non vi invidio. Io non
ho né dottrina, né ingegno, né forza politica. Lavoro per passione e per
una esasperata volontà di bene e il lavoro mi costa tutta la sostanza e
mi costringe ad una vita sobria. Ma ho qualche cosina che voi non
avete: il cuore. La parola « umanità » vi fa ridere, e sarà l’umanità a
fregarvi®9. Dove, accanto a una profonda amarezza, è espressa
tutta la carica etica di una battaglia culturale ma anche, nella
confusione del giudizio sul fascismo, i limiti di una sua traduzione sul
terreno politico. Nell’aprile 1925, trac- ciando un doloroso bilancio
della sua sconfitta, Formiggini insisterà tuttavia in un invito alla
conciliazione, con parole che richiamano l’insegnamento morale di
Limentani: « so- prattutto di pace c’è bisogno oggi. Occorre che
l’uomo ritrovi nell’uomo il proprio simile e che ciascuno rispetti
nell’altrui dignità la propria » ®. Quella di Formiggini può essere
considerata una vi- cenda esemplare, da un lato, dei modi e dei tempi con
i quali il fascismo procedette all’accaparramento delle istitu-
miggini Santamaria (fra i collaboratori, che gli conferirono un'impronta
antiattualista, Calò, Credaro, R. Mondolfo, Tarozzi, Vartisco). 8 «
L’Italia che scrive », VIII (1925), p. 34. 8 AF, Prezzolini.
9 «L'Italia che scrive », VIII (1925), p. 68. 184
A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo zioni
culturali esistenti per acquisire un consenso sempre più vasto e,
dall’altro, delle reazioni degli intellettuali di fronte al tentativo
fascista di utilizzarli. L’insidiosa « poli- tica di conciliazione »
affidata dal fascismo a Gentile nel 1923-26, e la stessa dichiarata assenza
di una « cultura fascista », aprirono facili varchi al consenso presso
molti intellettuali senza precisa collocazione politica o portati a
distinguere nettamente la politica dalla cultura e, spesso, a
privilegiare quest’ultima per le loro scelte. Ma, proprio per
questi stessi motivi, non sarebbe nem- meno corretto considerare come
incondizionato il consenso cosî estorto, o vederlo come un blocco
uniforme senza in- crinature fin dall’inizio, al cui interno non permanessero
adesioni esteriori o ambigue capaci di ribaltarsi, attraverso maturazioni
personali, dove il comportamento politico im- mediato era contraddetto
dal legame con una cultura che voleva mantenersi in qualche modo
autonoma. In questo quadro sono collocabili molti collaboratori
della casa editrice e lo stesso Formiggini, che in nome del suo antico
ideale di fratellanza pubblicò nel 1923 un pun- gente pamphlet
antigentiliano nel quale il giovane cattolico Carlo Morandi riconosceva «
il coraggio e la schiettezza di una difesa »”. Giustificando il proprio
intervento pole- mico contro la « marcia sulla Leonardo », Formiggini
scri- veva ne La ficozza filosofica del fascismo di avere « rea-
gito per legittima ritorsione e per il pericolo d’ordine gene- rale che
ci sarebbe per la cultura italiana se l’assurdo di una dittatura e di una
tirannide dottrinale dovesse farsi piede nel nostro paese ». Ma i limiti
della sua impostazione non si rivelano soltanto nella contrapposizione
fra il ruolo di « armonizzatore » di varie correnti culturali, da lui
im- personato, e quello di Gentile « capo partito » o nella ridu-
zione dell’attualismo a una semplice « moda filosofica » dai larghi
consensi e di Gentile a un « giocoliere di idee », bensi anche nel giudizio
sulla filosofia gentiliana vista come « una fortuita e non felice
escrescenza [“ficozza” in roma- 9 « Studium », XX (1924), pp.
39-40. 185 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali nesco] del fascismo » ”. La distinzione operata da
Formig- gini è netta: da un lato gli attualisti, « sostanzialmente
estranei ed equidistanti sia dal fascismo che dal naziona- lismo » che si
sono assunti ix foto il « problema cultu- rale » di un movimento
puramente politico *, dall’altro il fascismo che, come scriverà anche in
seguito, « nelle sue prime manifestazioni, non negò affatto i diritti
dell’uomo. Si annunciò come un ristabilimento energico dell’ordine
sociale che era stato scosso. Nulla di strano che dei citta- dini liberi
vedessero questo movimento con simpatia » *. « Il mescolare il sapere con
la politica è per noi cosa delit- tuosa », affermò Formiggini motivando
il suo rifiuto di sot- toscrivere il manifesto Croce, pur firmato da
molti colla- boratori della casa editrice ”; l’unica condanna esplicita
di fascismo e attualismo, uniti sul piano morale, fu formulata
sulle pagine de « L’Italia che scrive » in occasione della crisi
Matteotti, in un articolo significativamente intitolato La filosofia del
manganello in cui, dopo aver ironizzato su Mussolini — « egli sa di
filosofia e di pedagogia qualche cosa meno di una vacca spagnuola » —
Formiggini affer- mava che per il fascismo la « delusione più amara fu
quella di non aver potuto trovare una teoria morale che ne giu-
stificasse i metodi e si comprende quanta riconoscenza sen- tisse per il
moralista di professione che, applicando il suo visto: si manganelli agli
atti violenti del fascismo, dava a questi una sanatoria di incalcolabile
valore » *. In realtà, una sia pur tenue difesa dalla scaltra «
politica di conciliazione » di Gentile e del fascismo verso gli
intel- lettuali poteva essere consentita da iniziative che si
propo- % A.F. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo,
cit., pp. 40, 148, 168, 175, 177. Il libro del 1923 non ci sembra quindi,
per la sua distinzio- ne tra politica e cultura, « uno dei primi e più
caustici pamphlets contro il fascismo », come è apparso a R. De Felice
(Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, cit., p. 487).
93 « L’Italia che scrive », VII (1924), p. 76. % A.F.
Formiggini, Parole in libertà, cit., pp. 16-17. « Come è falso che gli
ebrei costituiscano una razza, è anche falso [...] che abbiano una loro
forma mentis che li renderebbe ostili congenitamente e irriducibil mente
alle forme politiche cosi dette totalitarie » (ibidem, p. 16). 95 «
L'Italia che scrive », VIII (1925), p. 126. 9% « L’Italia che
scrive », VII (1924), p. 142. 186 A.F. Formiggini: un
editore tra socialismo e fascismo nessero come apolitiche, ma
fossero aperte a intellettuali accomunati dall’opposizione alla «
filosofia del manganel- lo ». Fu questo il caso, denso di compromissioni
e contrad- dizioni profonde, di Formiggini, che dopo la polemica
anti- gentiliana sembra non desiderasse discostarsi dall’ideale di
equidistanza e di « armonia » perseguito in passato. Nel 1924 cominciano
ad apparire le « Apologie » che al posto delle religioni costituite
intendevano valorizzare « il senti- mento religioso in astratto, come
quello che può fare l’uma- nità migliore e più fraterna » ”, e che
annoverarono, accanto a quelle dell’ebraismo di Dante Lattes e del
cattolicesimo di Buonaiuti (provvista ancora dell’imprimatur
ecclesiastico nella seconda edizione del ’24, poco prima della scomunica
del marzo), quelle dell’ateismo di Giuseppe Rensi e del positivismo di
Tarozzi, il quale affermava che « la poste- rità prossima e lontana non
vedrà fra l’idealismo e il posi- tivismo, specialmente italiani, quella
divergenza assoluta e totale che oggi apparisce per la violenza della
polemica » *. Nella collana delle « Medaglie », brevi profili di
contem- poranei, nel 1924, all’elogio di Mussolini (« una forza
venu- ta nel momento storico opportuno ») scritto da Prezzolini ”,
Alessandro Levi opponeva quello di Turati, esaltato — nonostante l’autore
dichiarasse all’editore di essere stato « molto sobrio negli accenni
all’ora presente » — per « la probità della sua coerenza, la coerenza
della sua probità [...]. Con questa forza, che ignora, che sdegna i
funambo- lismi di tutte le demagogie, ma ha il coraggio e la
pazienza delle lunghe vigilie, non s’improvvisano più o meno effi-
mere fortune o dittature personali, ma si squadra almen qualche pietra
per costruzioni destinate alla storia » !°, Co- 9? A.F. Formiggini,
Trenta anni dopo, cit., p. 124. Cfr. anche il giudizio di G. Levi Della
Vida, Apologie religiose, in « La Cultura », III (1924), pp.
348-354. ® G. Tarozzi, Apologia del positivismo, Roma, Formiggini,
1926, p. 24. 9 G. Prezzolini, Benito Mussolini, Roma, Formiggini,
1925 (II ediz.), p. 33. 100 A. Levi, Turati, Roma, Formiggini,
1929, pp. 50-51. Levi si ado- però anche per la diffusione del volumetto:
« duecento ne hanno prese — di “copie”, in attesa delle immancabili bastonature
— gli eroici lavora- tori di Molinella, che riscattano col loro contegno
di fierezza la vile acquie- 187 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali si, accanto al D'Annunzio di Antonio
Bruers e allo Sturzo di Mario Ferrara, Prezzolini dedicava nel 1925 un
ritratto ad Amendola che, nonostante l’elogio del suo coraggio «
fino al rischio della vita » e le successive proteste di equa- nimità
dell’autore !”, si rivelava impietoso e cinico: « co- stringendolo a
tacere nel parlamento [...], restituendolo al giornalismo militante e
all’opposizione attiva [il fasci- smo] gli ruppe quella specie di
ingessamento parlamentare, che pareva averlo stretto e immobilizzato
entro le formule e gli interessi di Montecitorio » !”. E nel 1927 la
collana « Polemiche » presentava insieme alle Battaglie giornalisti
che del « teorico del “governo dei migliori” », Mussolini, Je Invettive
di Marat, il « teorico del “governo dei molti” ». Con questa sorta
di do uf des si parlava comunque di uomini politici e personaggi storici
invisi al fascismo, pur con quell’ambiguità che è la nota caratteristica
anche di molti giudizi apparsi ne « L’Italia che scrive » a partire
dal ’25. È sintomatico ad esempio che La libertà di Stuart Mill
pubblicata da Gobetti con la prefazione di Luigi Einaudi sia segnalata
nel luglio del 1925 come « opportuna non solo per gli avversari della
libertà, ma per moltissimi dei suoi ditensori di oggi », o che, mentre
nel settembre ’24 La rivoluzione liberale era giudicata « programma di
ardi- mento morale della borghesia », « come un violento spa-
lancar d’usci all’irrompere di una nuova coscienza prole- taria » — e il
ritratto di Matteotti « una vita esemplare della Rivoluzione liberale »
—, nell’annuncio della morte di Gobetti il giudizio sul « suo anelito di
ritrovare e d’im- porre un fondamento etico al pensiero in tutte le sue
espres- sioni » sia limitato da quello sulla sua cultura, costruita
« su basi filosofiche e storicistiche un po’ astratte, per quanto profonde,
che lo allontanarono dal veder la vita scenza del popolo italiano
», scriveva a Formiggini il 16 febbraio 1925 (AF, Levi). 101
Prezzolini affermerà di aver scritto la biografia di Mussolini solo «a
patto che il Formiggini ne pubblicasse anche una dell’Amendola » (G.
Prezzolini, Amendola e « La Voce », Firenze, Sansoni, 1973, p. 296).
12 G. Prezzolini, Giovanni Amendola, Roma, Formiggini, 1925, pp.
39, 54. 188 A.F. Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo nella sua complessa realtà effettiva e gliela
fecero giudicare per schemi e teorie ». E in settori più strettamente
cultu- rali, mentre nel 1926 Paolo Vita Finzi — divenuto colla-
boratore assiduo del periodico — considerava interessante
l’interpretazione marxista del marinismo fornita da Zino Zini in Poesia e
verità, dal Mazzini e Bakunin di Nello Rosselli — col quale « finalmente
anche in Italia si comin- cia a studiare seriamente il movimento operaio
come fatto storico, all’infuori di ogni preoccupazione di propaganda
politica » — si traeva motivo per mettere in luce « l’azione insidiosa di
Carlo Marx » che si sarebbe servito dell’anar- chico russo per gettare «
i primi germi malsani onde poi in Italia, unica tra le grandi nazioni, il
socialismo nasceva e cresceva colorito di quell’antipatriottismo che
doveva es- sergli fatale durante e dopo la grande guerra » !°.
Analoga ambiguità è riscontrabile negli interventi — che richiede-
rebbero tuttavia un discorso a parte — di alcuni collabo- ratori della
rivista provenienti dalle file del socialismo. « Bisognerebbe poter
seguire tutte queste recensioni di simili libri, specialmente se dovute a
ex socialisti come l’Andriulli », notava Gramsci '* a proposito della
recen- sione di quest’ultimo al volume di Bonomi su Bissolati,
uscito a Milano presso ere ma originariamente propo- sto dall’autore a
Formiggini !5 Ora la grande maggioranza dei giovani è sotto
l’impressione re- cente della disfatta prima morale che politica del
socialismo italiano — scriveva l’ex collaboratore de « La Difesa »
Giuseppe Andriulli —, e con semplicistica generalizzazione pensa ad esso
come ad una delle forme di maggiore aberrazione della vecchia Italia
prebellica. Eppure, 103 «L'Italia che scrive », rispettivamente
VIII (1925), p. 140; VII (1924), p. 185, e IX (1926), p. 60; IX
(1926), p. 145; X (1827), p. 223. 04 A. Gramsci, op. cit., vol. I, p.
253. ts «Il libro è... purgatissimo — scriveva Bonomi il 2
settembre 1928 —. Il fascismo non esisteva ancora durante l’attività
politica di Bissolati, il quale gode — non so se goda veramente...! — le
simpatie fer- vidissime dei fascisti cremonesi e anche quelle del Duce
che inaugurò con un discorso nel 1923 una lapide in memoria di lui ». Ma
Formiggini, che già nel ’24 era stato l’editore di Ddl socialismo al
fascismo di Bonomi, non aveva potuto accettare l'offerta anche se — gli
scriveva — «un libro scritto da lei non può essere che interessantissimo
e tale da non procurare fastidi a chi lo pubblicasse » (AF,
Bonomi). 189 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali solo che si pensi come il socialismo italiano è
stato la grande matrice di tutti i movimenti rinnovatori del tempo nostro
— non esclusi né il nazionalismo né il fascismo — si sarà tratti a
sospettare che ben altro fenomeno che non quello apparso nell’ultimo
ventennio deve essere stato il partito socialista italiano, e che
soprattutto esso deve essere stato una grande forza ideale se ebbe tanta
virtà espansiva da diffondersi rapidamente non solo nelle classi operaie
ma in una gio- ventù intellettuale generosa e disinteressata e da
permeare di sé per un quarto di secolo la vita italiana.
Dove l’antica milizia politica del recensore, approdato ciecamente alla «
rivoluzione » fascista, è rivelata dal ri- chiamo alla « forza ideale »
del partito — e non solo all’ef- ficacia pratica del movimento
socialista, come nell’interpre- tazione di un Gioacchino Volpe — e dalla
considerazione finale sul fatto che avrebbero letto il libro « con un
senso di soddisfazione specialmente coloro che, avendo a quel
socialismo consacrato i primi entusiasmi giovanili, anche dopo aver
seguito opposte vie non sanno rinnegare la loro disinteressata giovinezza
» !*. Apparentemente pit distac- cate, ma sempre puntuali e pronte a
sottolineare il valore della persona umana, sono le recensioni di
argomento filo- sofico e giuridico — con un interesse precipuo per i
rap- porti Stato:chiesa — di un altro socialista, Alfredo Poggi,
che da « Critica sociale » e dalla « Rivista di filosofia » passa in
questi anni al gruppo di « Pietre », per poi rispun- tare come
responsabile del partito socialista subito dopo 1°’8 settembre, e che
collabora assiduamente a « L’Italia che scrive » dal 1927 al 1933, anno
in cui fu denunciato e arrestato per antifascismo. E nel 1929, mentre
Giuseppe Rensi, al termine del viaggio dal « socialismo idealista »
allo scetticismo, insiste in un « profilo » di Spinoza sui limiti dello
stato di fronte alla libertà di pensiero dei cit- tadini, sul suo «
dovere di non comandare cose che urtino le leggi della natura umana » —
al « coordinamento per- fetto di autorità e libertà, alla determinazione
cioè della misura di libertà che l’autorità deve concedere appunto
per poter essere e conservarsi autorità » quale indicata da Spinoza, «
anche oggi potrebbe forse essere rivolto util- 106 « L'Italia che
scrive », XII (1929), p. 158. 190 A.F. Formiggini: un
editore tra socialismo e fascismo mente lo sguardo » !” —, sulla
rivista faceva una fugace ma incisiva apparizione Paolo Milano con una
recensione, giu- dicata « notevole e acuta » da Gramsci, che costitui
una delle poche stroncature del Superamento del marxismo di De Man
pubblicato da Laterza, di cui si metteva in luce lo psicologismo incapace
di contrastare realmente il mar- xismo e di spiegare i fatti storici
'!*. Sono pochi esempi che sarebbe errato sopravvalutare,
considerata anche la sempre minore incisività della casa edi- trice, che
di lî a poco accuserà duramente i contraccolpi della grande crisi. Essi
indicano tuttavia, accanto a un’estre- ma confusione, la esistenza di
dubbi e di una prima presa di distanza non solo culturale, nella quale
certezze sempre coltivate si incontrano con altre maturate di recente.
At- torno a Formiggini troviamo uomini emarginati dal fasci- smo,
come prima erano stati emarginati dall’idealismo: anche attraverso questo
canale passa quindi una cultura, seppure minore, che non si riconosce in
quella ufficiale del regime. Le scelte di venti anni prima dimostrano una
loro « tenuta » anche dopo l’avvento del fascismo, pur dovendo
nascondersi tra le righe di una rivista bibliografica o sotto il più
antico degli espedienti mimetici. Al linguaggio degli animali ricorre
infatti un amico di vecchia data dell’editore modenese, forse il più
caro, Concetto Marchesi. « Conosco le tue vicende: e perciò ti ho
voluto bene », gli scrive Marchesi nel marzo del 1924. Le lettere
dell’in- tellettuale comunista all'editore che ha sempre aborrito
la politica gettano luce sull’antifascismo del primo e sull’iro-
nico distacco dalla realtà del secondo, non alieno tuttavia dal gioco
dell’allusione politica. Le Favole esopiche — « il tuo più che mio, Esopo
», scrive il curatore — escono nel 1930 con una prefazione in cui Marchesi
si « sbizzar- risce a capriccio; e non ci sarà niente da ridire perché
siamo nel mondo fantastico delle bestie » !, inserendovi un ri-
107 G. Rensi, Spinoza, Roma, Formiggini, 1929, p. 99. 108 «
L’Italia che scrive », XII (1929), pp. 269-270; Gramsci, op. cit., vol.
I, p. 447. 10 AF, Marchesi (4 gennaio 1929 e 27 febbraio 1930). Per
la figura politica di Marchesi cfr. la mia voce in F. Andreucci - T.
Detti, Il movi 191 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali cordo autobiografico sul periodo del primo arresto,
nel 1894, giovane studente socialista: ‘odiavo la macchina,
l’ornamento civile del nostro tempo. La mac- china era per me, allora, lo
strumento maledetto onde la ricchezza dei pochi si era impadronita di
tutte le povere braccia della terra: era il vortice metallico in cui la
miseria del mondo precipitava per farne uscire torrenti di oro e di
sangue, a ristoro della superbia e dell’avarizia. Si
chiariscono cosi in tutta la loro ironia, per acquistare valore di
impegno civile, le parole con le quali Formiggini si rivolgeva al lettore
nella nota che apre il volume: « se tu leggerai questa versione del
magnifico Marchesi col sospetto che egli, nelle scabre sinuosità della
sua prosa asciutta, vi abbia nascosto dentro se stesso, ti parrà
di aver fra le mani un libro pericoloso e rivoluzionario »
!°. mento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, vol.
III, Roma, Editori Riuniti, 1977, ed E. Franceschini, Concetto Marchesi.
Linee per l’interpretazione di un uomo inquieto, Padova, Antenore,
1978. 110 In una lettera del 18 dicembre 1938 Ernesto Rossi
commentava dalla galera fascista la notizia del suicidio di Formiggini,
con parole che ci sembra possano riassumere tutta la sua esperienza: « Pare
ci sia una vera epidemia di suicidi. Quello che a me ha fatto più
impressione è stato il suicidio del vecchio Formiggini [...]. Aveva fatto
per l’incremento della cultura italiana più di quanto hanno fatto molti
illustri personaggi, che si danno l’aria di Padri Eterni. Lui non aveva
mai posato a Padre Eterno, ma le sue iniziative editoriali eran sempre
intelligenti e di buon gusto. La collezione dei “Classici del ridere” era
la migliore espressione della sua mentalità umanistica, europea, della sua
serena saggezza sempre spumante di fine umorismo. M'era spiaciuto molto
che, anche lui, si fosse adattato alle circostanze piiî di quanto
gliel’avrebbero dovuto permettere la sua dignità e la sua condizione di
“chierico” della cultura. Ma, insomma, non si può pretender troppo dagli
uomini quando non trovan più in alcun luogo un po’ di terreno saldo su
cui poggiare i piedi. E lui era vecchio [...] ed era sempre rimasto
estraneo il più possibile alle lotte della politica, vivendo solo fra i
suoi libri e per i suoi libri » (E. Rossi, Elogio Ft ia Lettere
1930-1943, a cura di M. Magini, Bari, Laterza, 1968, p. 454). :
192 I limiti del consenso: le origini della casa
editrice Einaudi « Il futuro verrà da un lungo dolore e un
lungo silenzio. Presuppone uno stato di tale ignoranza e
smarrimento che sia umiltà, la scoperta in- somma di nuovi valori, un
nuovo mondo » (Ce- sare Pavese, Il mestiere di vivere, 1936)
1. Iniziative editoriali negli anni 30 Il problema della
formazione della cultura post-fa- scista, quale si venne elaborando non
nell’antifascismo del- l'emigrazione, ma nell’Italia degli anni ’30 e a
cavallo della seconda guerra mondiale, non è stato ancora
affrontato con puntualità nell’ambito storiografico: siamo infatti in
presenza di uno iato assai profondo fra le ricerche su intel- lettuali o
riviste del ventennio, che culminano nell’espe- rienza di « Primato », e
alcuni sondaggi sulla cosiddetta « ideologia della ricostruzione » del
dopoguerra. Il mancato collegamento fra i due momenti si traduce,
ovviamente, in carenze interpretative, che si manifestano in tesi
troppo rigidamente contrapposte, sia che insistano — ma con sem-
pre minore frequenza — sugli elementi di « rottura », sia che sottolineino,
in negativo o in positivo, quelli di « continuità » tra fascismo e
post-fascismo. La questione è certo assai complessa, ma non può essere
risolta dando credito a improvvise « conversioni » di coscienze
indivi. duali, né applicando — ad esempio — a Cantimori il nico-
demismo da lui studiato negli eretici del ’500, né ricor- rendo alle
categorie del « trasformismo » o del « popu- lismo » degli intellettuali,
senza tener conto, in tutti questi casi, del rapporto dialettico fra la
posizione degli intellet- tuali e le trasformazioni sociali e politiche
del paese. La complessità del problema storiografico, è
necessario riconoscerlo, corrisponde alla complessità del processo
sto- rico reale, a un aspro scontro politico e culturale insieme
193 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
che non solo oppose fascisti e antifascisti, ma divise anche le
varie correnti dell’antifascismo italiano, con quegli ele- menti di
incertezza e di contraddizione di fronte all’ideali- smo che ricorderà
anche Togliatti nel 1952 !. E, pur am- mettendo l’esistenza di
differenziazioni culturali che si van- no manifestando nel corso degli
anni ’30, in particolare con l’inizio della guerra di Spagna, non
possiamo prescindere dal forte condizionamento, culturale e politico,
esercitato dalle istituzioni del regime, che raggiunsero il punto pit
alto di consenso, almeno formalmente, nei primi anni di guerra,
quando vediamo Salvatorelli e Omodeo collaborare all’ISPI, o Cantimori al
Dizionario di politica del Pnf ?. Se queste collaborazioni non
significavano automaticamente, da un punto di vista soggettivo, adesione
alla politica del regime, non bisogna tuttavia dimenticare che — come
aveva osser- vato Volpe — il loro « colore » era dato, agli occhi dei
let- tori e indipendentemente dai riposti pensieri degli intellet-
tuali, non tanto dai contenuti, quanto dalla veste ufficiale in cui
questi apparivano *. Spesso, inoltre, collaborare alle ini- ziative del
regime poteva spiegarsi con l'illusione di una apo- liticità della
cultura, la cui difesa può aver costituito per alcuni intellettuali una
tappa importante per cominciare ad allontanarsi dal fascismo, senza
essere, per questo, indice di un antifascismo già maturo politicamente. È
infatti solo sotto la veste culturale che è possibile rinvenire,
nell’Italia degli anni ’30, il tentativo di differenziarsi dall’ideologia
del regime, anche se con il rischio, come osservò Marchesi a pro-
posito dell’università, di chiudersi nella « indifferenza poli- 1
Cfr. il suo intervento alla commissione culturale nazionale del 3 aprile
1952, in P. Togliatti, Le politica culturale, a cura di L. Gruppi, Roma,
Editori Riuniti, 1974, pp. 195-196. 2 Cfr. G. Turi, Le istituzioni
culturali del regime fascista durante la seconda guerra mondiale, in «
Italia contemporanea », XXXII (1980), n 138, pp. 3-23. 3 Nel
1933 Volpe rispose in fatti a Nello Rosselli, a proposito dei colla-
boratori della « Rivista di storia europea » vagheggiata da quest’ultimo,
che bisognava essere «ben certi che è la rivista a dar loro il colore
desiderato, e non viceversa » (cit. in Nello Rosselli. Uno storico sotto
il fascismo. Lettere e scritti vari (1929-1937), a cura di Z.
Ciuffoletti, Fi- renze, La Nuova Italia, 1975, p. 131).
194 Le origini della casa editrice Einaudi tica e
morale » ‘. Il significato politico di una scelta culturale va quindi
verificato caso per caso, guardandosi dal tradurre immediatamente in
consapevolezza politica una cultura che non si riconosce in quella ufficiale
del fascismo. Per questo preferiamo parlare di « limiti del consenso »
piuttosto che di « antifascismo »: termine — e categotia — che non
è certo da escludere — e allora occorrerà precisarne meglio le
caratteristiche —, ma che per singoli intellettuali o per imprese
culturali collettive costrette a muoversi, come le case editrici, con
estrema cautela sotto il regime, può pre- starsi a frettolose
retrodatazioni di prese di coscienza che acquistarono spesso peso
politico solo con la guerra o dopo il 25 luglio 1943, e che può
comportare un giudizio altret- tanto generico del termine avalutativo di
« afascista » troppo frequentemente usato per qualificare, come
fosse una razza privilegiata, alcuni nuclei di cattolici.
Queste cautele ci paiono necessarie anche nello studio di una casa
editrice come quella di Giulio Einaudi che, centro di attrazione di
aderenti a Giustizia e Libertà, di azionisti e poi di comunisti,
all’indomani della Liberazione potrà vantare i maggiori meriti
antifascisti, tanto da fian- cheggiare la politica del PCI che le
affiderà la pubblicazione dei Quaderni gramsciani. È proprio per queste
sue caratte- ristiche « di punta », comunemente accettate — tanto
da farne ritenere meno interessante l’analisi, in quanto « anti-
conformista » e « antifascista » fin dalla nascita, per la pre- senza di
Cesare Pavese e di Leone Ginzburg® —, che la scelta di studiare questa
casa editrice negli anni 30 e ’40 ci è parsa particolarmente
significativa per verificare « al mas- simo », nei punti più alti, i
limiti del consenso al regime, e gli elementi di continuità o di rottura
tra fascismo e post- fascismo. Un'indagine del genere dovrebbe tener
conto, oltre che dei condizionamenti oggettivi propri di un’azienda
economica e di un’iniziativa culturale rivolta al pubblico 4 C.
Marchesi, Fascismo e università (1945), ora in Umanesimo e co- munismo, a
cura di M. Todaro-Faronda, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 326.
5 Cosî M. Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali funzionari.
Appunti sulla cultura fascista, Torino, Einaudi, 1979, p. 75.
195 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
sotto il regime fascista, e ai reali obiettivi che la casa edi- trice si
riproponeva, anche del pubblico dei lettori, di cui purtroppo conosciamo
solo la ristretta élite dei recensori, pur assai significativa, se
pensiamo che fra i giudizi favore- voli alla produzione storiografica
meno conformista di Einaudi spiccano quelli della « Nuova rivista storica
» che negli anni ’30, sotto la direzione di Gino Luzzatto, veniva
anch’essa configurandosi come centro di aggregazione di intellettuali
operanti ai margini del regime. Gli obiettivi dell’editore torinese sono
ricavabili, ma solo parzialmente, dal carteggio con i collaboratori, a
differenza di Formig- gini, che fino al 1925 poteva esporre pubblicamente
i suoi programmi e le sue proteste; per le testimonianze esterne le
carenze sono invece comuni, anche se su Einaudi il ri- cordo di Ambrogio
Donini — la sua attività editoriale, « appena agli inizi, si andava già
orientando, tra difficoltà e persecuzioni di ogni genere, verso temi
nazionali e interna. zionali atti a staccare l’Italia dal disastroso
clima di provin- cialismo in cui si esaurivano le energie dei suoi giovani
studiosi »” — concorda con il giudizio di Cantimori, che in lui vedrà
l’inventore dell’« editore moderno » come « buon educatore » *.
In assenza di un « campione » di lettori, bisognerà chiedersi,
almeno fino alla caduta del fascismo, come un eventuale lettore poteva
accogliere i messaggi culturali for- niti dalla casa editrice, e se
questi erano traducibili politi. camente; tenere presente, inoltre, il
panorama pi generale dell’editoria italiana, o almeno delle case editrici
meno aderenti alla cultura ufficiale del regime, ove ciò sia possi-
bile, data la mancanza quasi assoluta di studi, oltre che di
testimonianze. Pur nella loro parzialità, anche queste ultime possono
essere indicative di alcune linee di tendenza. Aldo Capitini ricorderà
come, contrario a stabilire un difficile e pericoloso collegamento con
gli antifascisti all’estero, egli 6 Sulla « Nuova rivista storica
» cfr. A. Casali, Storici italiani tra le due guerre. La « Nuova rivista
storica » 1917-1943, Napoli, Guida, 1980. 1 Prefazione a P. Robotti, La
prova, Bari, Leonardo da Vinci, 1965, p. 9. ; 8 D. Cantimori,
Conversando di storia, Bari, Laterza, 1967, p. 95. 196
Le origini della casa editrice Einaudi avesse sostenuto la
necessità di alimentare la formazione ideologica dei giovani con i «
libri disponibili » in Italia, e indicherà le case editrici più utili a
questo scopo in Laterza, Einaudi e Guanda: e l’autore degli Elementi di
un'espe- rienza religiosa (editi nel 1937 da Laterza), che fu in
con-. tatto anche con Einaudi, citava fra i testi di Guanda — un
editore particolarmente attento alla tematica religiosa — quelli di
Martinetti, Tilgher e Rensi, espressione di un filone spiritualista,
critico dell’ottimismo storicistico, che si rita- gliò un ampio spazio
editoriale nella crisi di valori degli anni ’30°. Le
iniziative a carattere religioso ebbero certo una mag- giore libertà di
azione, come testimonia la fondazione della Morcelliana nel 1925 !°, ma
probabilmente, a differenza della politica di stretto controllo usata nei
confronti della stampa periodica, il fascismo lasciò un certo grado di
autonomia a tutto il settore editoriale — che si rivolgeva a un
pubblico più ristretto di quello dei lettori di quotidiani, e compor-
tava quindi minori pericoli —, anche se nel 1926 fu costi-. tuita la
Federazione nazionale fascista dell’industria edito- riale, il cui
presidente, Franco Ciarlantini, lamentando nel 1929 la crisi del libro,
inviterà il governo a misure di con- trollo sulle piccole iniziative
private, e a un’opera di promo- zione economica e « morale »; ma la
censura dei libri non fu condotta con criteri precisi, e rimase affidata
alla discre- zionalità dei prefetti anche quando essa passò, nel
1935, dalla competenza del ministero dell’Interno a quella del
ministero per la Stampa e la propaganda, mentre la Com-. missione per la
bonifica libraria, istituita nel 1938, concen- trò la sua attenzione sui
testi di autori ebrei !!. Ed è forse questa parziale autonomia che spiega
come nel corso degli 9 A. Capitini, Antifascismo tra î giovani,
Trapani, Célèbes, 1966, p. 100. 10 Cfr. AA.VV., Morcelliana
1925-1975. «Humanitas » 1946-1976, Brescia, Morcelliana, 1976.
1! Cfr. G. BaroneA. Petrucci, Primo: non leggere. Biblioteche e
pub- blica lettura in Italia dal 1861 ai nostri giorni, Milano, Mazzotta,
1976, pp. 77-105. F. Ciarlantini, Vicende di libri e di autori, Milano,
Ceschina, 1931, pp. 39-69, e Ph. V. Cannistraro, Le fabbrica del
consenso. Fascismo e mass media, prefazione di R. De Felice, Bari,
Laterza, 1975, pp. 116-119. 197 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali anni ’20 e ’30 tanti intellettuali
tendano a divenire organiz- zatori di cultura attraverso l’editoria:
accanto alle edizioni collegate a riviste, e agli effimeri tentativi di
Domenico Petrini con la Bibliotheca editrice di Rieti o di Carlo
Pelle- grini con la Taddei di Ferrara, vediamo che nel 1926 viene
fondata da Elda Bossi e Giuseppe Maranini La Nuova Ita- lia, che nel 1930
passerà a Firenze sotto la direzione di Codignola, nel 1927 la Slavia
dell’ex sindacalista rivoluzio- nario Alfredo Polledro, nel 1929 la casa
editrice di Valen- tino Bompiani, formatosi alla Mondadori; e nel 1932,
men- tre Gentile, già direttore di due collane, filosofica e
storica, presso Le Monnier, assume la direzione della Sansoni tra-
sformandone rapidamente il catalogo secondo il proprio orientamento
culturale e politico !?, due intellettuali antifa- scisti di diversa
matrice ideologica, Franco Antonicelli e Rodolfo Morandi, trovano
nell’editoria uno strumento per tentare di allargare i sempre più stretti
confini culturali del paese: il primo si associa con il tipografo Carlo
Frassinelli per proporre testi della letteratura straniera
contempora- nea, il secondo con l’editore Corticelli per far
conoscere La rivoluzione francese di Mathiez o il Napoleone di
Tarlè, e far riflettere sulle esperienze di nuove realtà politiche,
come la Cina e l’Unione Sovietica . È in questo contesto che si colloca,
alla fine del 1933, la fondazione della Einau- di da parte di un nucleo
originariamente ben definito di intellettuali, molti dei quali aderenti a
Giustizia e Libertà, la cui opera culturale ha quindi larvati risvolti
politici, che imporrebbero un confronto puntuale con alcune delle
case editrici che si sono presentate, all'indomani della Libera-
zione, con una patente antifascista. 1 Cfr. AA.VV., Testimonianze
per un centenario. Contributi a una storia della cultura italiana
1873-1973, Firenze, Sansoni, 1974. 13 Su Antonicelli editore — che
nel 1942 fonderà la casa editrice De Silva (cfr. la sua testimonianza in
« Rinascita », 6 dicembre 1974) — cfr. N. Bobbio, Trent'anni di storia
della cultura a Torino (1920-1950), Torino, Cassa di Risparmio, 1977, pp.
60-63, e M. Fubini, Il mestiere del lette- rato, in AA.VV., Su
Antonicelli, Torino, Centro Studi Piero Gobetti, 1975, pp. 26-28; un
cenno all’attività editoriale di Rodolfo Morandi in A. Agosti, Rodolfo
Morandi. Il pensiero e l’azione politica, Bari, Laterza, 1971, pp.
211-212. 198 Le origini della casa editrice
Einaudi Le notizie di cui disponiamo sono però assai scarse e
— promosse da occasioni celebrative o fornite dai diretti inte-
ressati —, pur offrendo utili spunti interpretativi, avreb- bero bisogno
di ulteriori approfondimenti. È il caso, ad esempio, di Laterza, de La
Nuova Italia e di Bompiani. ‘ Nella casa editrice barese, durante il
periodo della « difesa eroica » 1925-43, Croce — è stato scritto — «
accolse anche chi era da lui lontano, e contribuf a preparare non
pochi che, poi, scelsero posizioni a lui avverse. Sui libri che fece
leggere agli italiani, con la collaborazione di Gio- vanni Laterza, si
formarono cosi liberali come socialisti e comunisti, cosî idealisti come
materialisti »; e, riprendendo il discorso, Garin ha individuato nelle
opere uscite nel ven- tennio nella « Biblioteca di cultura moderna
» l’accorta opera d’informazione unita alla difesa di una
vocazione umana anteriore a ogni lotta o differenza di parte. Nei libri,
a volte assai mediocri, di storici, filosofi, critici, economisti,
offerti con una apertura eccezionale [...], c'è sotteso l’invito a non
dimenticare mai quella dimensione umana che, pur nel divenire temporale e
nelle dislocazioni spaziali, è capace di comprendere anche
l’avversario. Che fu il valore di uno storicismo e di un umanismo
tutt’affatto particolari, di una difesa della razionalità e della
libertà, che in un’epoca intesa a celebrare l’hbomo bomini lupus ricordò
costante- mente il senso dell’homo homini deus !8. Giudizio
che andrebbe, a nostro parere, sfumato, in quanto, se accanto a Omodeo,
Russo o De Ruggiero, Croce accolse un Rodolfo Morandi, la linea generale
della casa editrice fu orientata in un senso ben determinato che non
si apriva a tutti gli « avversari », come testimonia nel 1938 il
commento crociano alla ristampa dei saggi di Labriola, 0, nel 1929-31,
l'edizione de Il superamento del marxismo e La gioia del lavoro di De
Man. Un discorso analogo può essere fatto per La Nuova Italia
di Codignola: se è vero che fu centro di aggregazione di esponenti di
rilievo del Partito d'Azione e che, col suo 14 E. Garin, La Casa
editrice Laterza e mezzo secolo di cultura italiana (1961), ora in Id.,
La cultura italiana tra ‘800 e ’900. Studi e ricerche, Bari, Laterza,
1963, p. 170, e Id., Il mestiere di editore, prefazione al Catalogo
generale delle edizioni Laterza 1978, p. XII. 199 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali « impegno, insieme, di
socialismo, di liberalismo “rivolu- zionario”, di laicismo intransigente
», contributi « all’orga- nizzazione del dissenso » !, è necessario
tuttavia non anti- cipare un orientamento politico che si venne
delineando, e manifestando, a fatica e non senza contraddizioni, se
pen- siamo al persistente legame, ancora negli anni ’30, di Co-
dignola con Vallecchi e con Gentile, o al settore pedagogico configurato
in senso attualista e comunque condizionato dalla politica scolastica del
regime '‘. Cosi Valentino Bompiani, ripercorrendo la storia
della propria casa editrice, pur riconoscendo il suo iniziale « di-
simpegno ideologico », valorizza giustamente la scoperta, alla fine degli
anni ’30, della letteratura americana, con Uomini e topi di Steinbeck e
Piccolo campo di Caldwell, tradotti rispettivamente da Pavese e
Vittorini, due libri che « parlavano dell’uomo, della sua condizione e
miserià, con diretto impegno sociale e politico » ”. Ma come non
riflet- tere di fronte al fatto che, mentre la censura interveniva
duramente e con particolare ottusità '" — come testimonia l'editore
—, lo stesso Bompiani proponeva nel 1940 al Ministero della cultura
popolare un accordo per lanciare una « Biblioteca essenziale
dell’italiano », incentrata sui temi patria, religione, cultura,
famiglia, fra i cui autori dovevano comparire Bottai, Bargellini e De
Luca, costituita 15 E. Garin, Un capitolo di rilievo singolare, in
50 anni di attività editoriale (Venezia 1926-Firenze 1976): La Nuova
Italia, Firenze, La Nuova Italia, 1976, p. XII; cfr. anche, oltre al
ritratto di Ernesto Codi- gnola tracciato da Garin, Intellettuali
italiani del XX. secolo, Roma, Edi- tori Riuniti, 1974, pp. 137-169, gli
interventi di E. Garin, N. Bobbio e T. Codignola in occasione del
cinquantenario della casa editrice, ne «Il Ponte », XXXII (1976), pp.
1318-1334. 16 Questi elementi sono ben messi in luce da S. Giusti,
La ‘casa editrice La Nuova Italia 1926-1943, di prossima pubblicazione.
. 17 V. Bompiani, Via privata, Milano, Mondadori, 1973, pp. 43,
143. 18 In un rapporto anonimo al duce del 26 giugno 1943 si
diceva: « Proprio nei giorni dei massacri di Grosseto, di Sardegna e
Sicilia, l’edi- tore Bompiani mette sfacciatamente fuori un
“mattonissimo” intitolato “Americana”, antologia di scarso valore con
prefazione di un accademico e traduzione di Vittorini; antologia condotta
sui modelli dell’ebreo Lewis. E lo stesso Bompiani continua nelle stampe
e ristampe di Cronin, Stein- ‘beck, ed altri, bolscevichi puri e in ogni
caso perniciosissimi » (AGS, Ministero della cultura popolare, b. 27,
fasc. 403). 200 Le origini della casa editrice
Einaudi da « alcune centinaia di migliaia di volumetti » da
diffon- dere nei centri con popolazione minore a 10.000 abitanti,
distribuendoli ad esempio, « a partire dal Natale di Roma », « a tutti
coloro che si sposano nel corso dell’anno, affer- mando cost il principio
che non si deve costituire una fami- glia senza avere in casa quei pochi
libri che diano a un cit- tadino italiano la conoscenza e la coscienza
della sua Pa- tria »? ! Condizionamenti politici,
autocensure, necessità econo- miche proprie di ogni casa editrice in
quanto azienda indu- striale, costituiscono quindi il quadro entro il
quale deve essere valutata anche l’opera della Einaudi, verificando
puntualmente — senza stabilire schematiche equivalenze — la traducibilità
politica dei suoi messaggi culturali. Con ciò non vogliamo disconoscere,
in linea generale, quanto ha ricordato Giulio Einaudi — « il primo modo
di sfidare il fascismo era quello di non parlarne mai, di fare come
se non esistesse» ? —, anche se in qualche caso il fascismo si
affaccia nella produzione della casa, né, quindi, negare la prospettiva
in cui si muoveva l’editore, che era, come ha osservato Bobbio, « quella
di offrire alla giovane cultura torinese lo strumento più adatto e meno
pericoloso dati i tempi per esprimere la propria voce, e di non lasciare
sva- nire nel nulla la grande esperienza gobettiana » ?. Si tratta
piuttosto di misurare la possibilità o capacità di attuazione di questi
propositi, di vedere se sono univoci o differen- ziati e contraddittori
e, in questo caso, quali voci culturali politicamente significative predominano,
e in quale periodo; verificare, infine, quali elementi di continuità o di
rinno- vamento si manifestano fra gli anni ’30 e il periodo post-
bellico. La decisione di Giulio Einaudi di fondare la casa
edi- trice non è comprensibile se prescindiamo dall’ambiente torinese,
sia quello rappresentato dalla Slavia di Alfredo 19 Ibidem. Alcuni
testi furono pubblicati, come, nel 1941, la Storia della patria di Piero
Operti. 2 Testimonianza scritta di Giulio Einaudi (Archivio della
casa edi- trice Einaudi (d’ora in avanti AE), G. Einaudi). ©
N. Bobbio, Trent'anni di storia della cultura a Torino, cit., p. 66.
201 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
Polledro, che nella collana « Il genio russo » presentò per la
prima volta in Italia traduzioni integrali — alcune opera di Leone
Ginzburg — di Turgheniev, Gogol, Dostoevskij, Tolstoj e Cechov, da cui
attingerà in parte la collana einau- diana dei « Narratori stranieri
tradotti »; sia quello dei gobettiani, con in primo piano l’opera di
educatore di Augusto Monti, ma anche con le iniziative culturali di
Anto- nicelli, Ginzburg e Pavese, o con la pubblicazione de « La
Cultura » passata sotto la direzione di Arrigo Cajumi. Un modello che
Einaudi terrà presente fu la « Biblioteca euro- pea », diretta da
Antonicelli, presso il tipografo Frassinelli, dal 1932 al 1935 — quando
fu arrestato —, dove uscirono L’armata a cavallo di Babel, e, tradotti da
Pavese, Moby Dick di Melville, Riso mero di Anderson e Dedalus di
Joyce 2. Ispirandosi a Gobetti, « l’editore ideale » #, Anto- nicelli
raccolse per primo le forze intellettuali torinesi che si erano formate
sotto il magistero di Monti, ma in una pro- spettiva ancora liberale: «
Al di là di Croce non vedevo. I marxisti non sapevo cosa fossero », ricorderà
più tardi, rico- noscendo che le proprie convinzioni politiche erano
matu- rate solo dopo la Liberazione *. Da un innesto tra
crociana « religione della libertà » e tradizione gobettiana partiva
anche Ginzburg, il quale ebbe gran parte nella fondazione della casa
editrice Einaudi *. Ai numerosi interessi culturali — dalla letteratura
russa alla storia — egli univa, a differenza di Antonicelli, un
saldo impegno politico da quando aveva aderito, nel 1932, a
Giustizia e Libertà. « Noi non crediamo utile ai fini della lotta
antifascista che ci si debba sottoporre a una specie di rinuncia
intellettuale », scriveva sul periodico del movi- mento clandestino, dove
invitò ad approfondire « la pro- 2 Cfr. ibidem. 23
Cfr. P. Gobetti, L’editore ideale. Frammenti autobiografici con ico- RO
ehe; a cura e con prefazione di F. Antonicelli, Milano, Scheiwiller,
24 F. Antonicelli, Le pratica della libertà. Documenti, discorsi,
scritti politici 1929-1974. Con un ritratto critico di C. Stajano, Torino,
Einaudi, 1976, pp. X-XI. 25 Cfr. l'importante introduzione di
N. Bobbio a L. Ginzburg, Scritti, Torino, Einaudi, 1964.
202 Le origini della casa editrice Einaudi pria
coscienza rivoluzionaria con la meditazione, lo studio, l’attività clandestina
», a riflettere sulla visione gobettiana della rivoluzione russa e a
studiare Cattaneo, scrisse assieme a Croce il famoso articolo contro la
centralizzazione delle istituzioni culturali operata dal ministro
dell’Educazione nazionale Francesco Ercole, e rivendicò come «
principale ragion di vita » di Giustizia e Libertà « il lavoro,
d’orga- nizzazione e di pensiero, che si compie in Italia sotto i
suoi auspici » #. E della sua capacità di mobilitare altre intelli-
genze dette atto nel dicembre 1934, pochi giorni dopo il suo arresto, «
Giustizia e Libertà »: « È uno dei pochi, anzi dei pochissimi, che in
regime legale di fascismo rie- scono ad avere un pensiero e un'influenza
sul pensiero degli altri » 7. Mentre già nel 1930 Cajumi aveva pensato a
una casa editrice espressione de « La Cultura » # — alla quale
Ginzburg collaborava dal 1929 —, nel 1933 Ginzburg tenne contatti fra
l’ambiente torinese ed esponenti dell’am- biente fiorentino tra loro
vicini, Nello Rosselli e il gruppo di « Solaria ». Rosselli, che stava
cercando di varare una « Rivista di storia europea » di cui Ginzburg
avrebbe do- vuto essere gerente responsabile e coredattore, fu
contat- tato per preparare un volume su Mazzini per la progettata «
Biblioteca di cultura storica » ?; Alberto Carocci, il diret- tore di «
Solaria » che per le difficili condizioni finanziarie della rivista stava
già cercando l’appoggio di un editore per questa e le sue edizioni, entrò
in rapporto, tramite Ginz- burg, con Giulio Einaudi che alla fine di
novembre del 1933 — quando già, il 15 del mese, si era iscritto
alla Camera di commercio di Torino come editore —, pur rifiu-
26 Ibidem, in particolare pp. 5, 16, 29. © Leone Ginzburg, «
Giustizia e Libertà », 16 novembre 1934. ll Tribunale speciale che il 6
novembre 1934 lo condannò a quattro anni di reclusione, lo qualificò come
« l’anima » di GL a Torino (ACS, Ministero della giustizia e degli affari
di culto. Direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena,
fasc. 46489). 2 «Ginzburg mi ha accennato a una Sua intenzione di
formare una casa editrice “la Cultura” », scriveva Pavese a Cajumi il 27
settembre 1930 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, a cura di L. Mondo, Torino,
Einaudi, 1966, p. 241). 2 Cfr. Nello Rosselli. Uno storico
sotto il fascismo, cit., in partico lare pp. 139 e 143-45, e AE, N.
Rosselli. 203 TI fascismo e il consenso degli
intellettuali tando la proposta di Carocci di trasformare «
Solaria » in casa editrice, fece l’offerta, poi caduta, di rilevare la
sola rivista, osservando che « qualche volta sarebbe bene trat-
tare qualche argomento non puramente letterario, ma che presenti
interesse dal punto di vista sociale contempora- neo » ”°: un’indicazione
di lavoro che darà anche per « La Cultura », e che testimonia quella
volontà di impegno civile che in quello stesso anno era avvertita anche
da Carocci. La casa editrice Einaudi nasceva infatti proprio
quando un decreto prefettizio del 1934 metteva fine a « Solaria »,
accusata di contenuto contrario alla morale per un numero che pubblicava
una puntata de I garofano rosso di Vitto- rini: la rivista che si era
rifugiata nella « repubblica delle lettere » accettando di convivere col
fascismo, « nell’illu- sione di conservare intatta l’autentica
superiorità dell’intel- ligenza borghese, l’eredità lasciata
dall’attivismo barettiano e dall’attendismo rondiano », terminava la sua
vita proprio quando cercava, nel 1933-34, di impegnarsi ideologica-
mente, trasformandosi, come era nelle intenzioni di Carocci, in « rivista
d’idee », e quindi di « discussione anche col fascismo » *. Forse non fu
solo una coincidenza, se si pensa che gli intellettuali fiorentini si
dimostrarono per il mo- mento incapaci, come gruppo, di trasformare la letteratura
in impegno. Sarà quanto tenterà di fare quella che un rap- porto della
polizia del marzo 1934 definiva « una nuova casa editrice torinese la
quale avrà il compito di diffon- dere pubblicazioni antifasciste
abilmente compilate e attor- no alle quali da ora in avanti si andranno
raggruppando gli elementi antifascisti del mondo intellettuale », fra i
quali si indicavano i senatori Francesco Ruffini e Luigi Della
Torre, Luigi Einaudi e Nello Rosselli » *. « Che fisionomia ha que-
30 Lettere a Solaria, a cura di Giuliano Manacorda, Roma, Editori
Riuniti, 1979, passizz, e, per la lettera di Einaudi a Carocci del 30 no-
vembre 1933, p. 461. 31 G. Luti, Cronache letterarie tra le due
guerre 1920-1940, Bari, TARA: 1966, in particolare pp. 96 e 127, e
Lettere a Solaria, cit., p. I 32 Cit. in R. De Felice,
Mussolini il duce, I. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, Einaudi,
1974, p. 115 n. Bottai, che durante la guerra 204 Le
origini della casa editrice Einaudi sta Casa editrice? Quale
programma si propone di svolgere? Quali sono le sue basi finanziarie? E
tu fino a che punto ci sei interessato? », scriveva il 7 febbraio 1934
Rosselli a Ginzburg *: ad alcune di queste domande non saremo in
grado di rispondere, in particolare a quella relativa al finan- ziamento
della casa editrice, che provenne probabilmente da Luigi Einaudi, al
quale è forse da attribuire anche una fun- zione di copertura politica
all’iniziativa del figlio, come si può dedurre dalla marcata impronta conservatrice
della prima collana, « Problemi contemporanei ». Ci limitere- mo
perciò, anche in assenza, prima del 1945, di dati sulle tirature e sulle
vendite, a una storia prevalentemente inter- na della casa editrice,
dedicando tuttavia particolare atten- zione alle collane, ai volumi e ai
temi culturali nei quali sia più facilmente ravvisabile un orientamento
politico, nell’in- tento, indicato all’inizio, di verificare, oltre ai «
limiti del consenso » al fascismo, se negli anni ’30 sono rinvenibili
alcune delle matrici della cultura del dopoguerra. 2. L'ideologia
conservatrice di Luigi Einaudi Le prime, cospicue forze della casa
editrice furono raccolte tramite le due riviste di grande prestigio
rilevate da Giulio Einaudi nel 1934, « La Riforma sociale » e « La
Cultura » — mentre resta eccentrica rispetto al nostro discorso « La
Rassegna musicale », che pur testimonia come fin dall’inizio l’editore
cercasse spazi culturali differen- ziati. « La Cultura », da cui la nuova
impresa editoriale riprese come proprio segno distintivo il simbolo
dello struzzo, costitui — come vedremo —, nella sua pur breve
esistenza in veste einaudiana, il collegamento dei giovani sarà in
stretto contatto con l’ambiente della casa editrice, giudicando antifascista
la posizione espressa dal crociano Francesco Flora in Civiltà del
Novecento — pubblicato da Laterza nel 1933 —, osservava che «
Laterza è, insieme con Giulio Finaudi della Riforma sociale, uno degli
editori italiani, che ignora che siamo nell’anno XII dell’Era Fascista
» (G. Bottai, Appelli all'uomo, in « Critica fascista », XII
(1934), n. 1, p. 4). 3 Nello Rosselli. Uno storico sotto il fascismo,
cit., p. 150. 205 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali allievi di Monti — fra cui Giulio Einaudi — con la
tradi- zione gobettiana, ma solo in una più lunga prospettiva i
suoi collaboratori e le sue curiosità culturali diverranno punto di
riferimento per gli orientamenti della casa. In questa maggiore peso «
politico » ebbe all’inizio, con « La Riforma sociale », il gruppo di
liberisti che si raccoglievano attorno a Luigi Einaudi, nel quale si può
forse ravvisare, se non l’ideatore, la forza decisiva per la nascita
della casa editrice. È questo un elemento di conoscenza che pare
confortato da alcuni documenti e anche da un semplice esa- me del
catalogo editoriale, e che, finora trascurato dalle testimonianze,
fornisce una caratterizzazione meno « prov- videnzialistica », in senso
progressivo, dei primi passi della casa editrice. La rivista
« La Riforma sociale » — suona un avviso di Luigi Einaudi databile al
1933 — allo scopo di contribuire alla illustra- zione dei problemi
sociali ed economici e specialmente di quelli determinati dallo stato
presente di crisi e dai piani di ricostruzione e di regolazione sia nei
rapporti nazionali che internazionali, pubbli- cherà accanto ai fascicoli
bimestrali, destinati ad ospitare studi di mole relativamente tenue,
volumi atti a trattazioni più larghe, di circa 150 pagine e con una
tiratura di 1.000 copie, dal carattere rigorosamente scientifico [...],
tuttavia accessibile al pubblico colto in generale *. «
Votrei preparare un piano di collaborazioni », scri- veva il 31 ottobre
1933, poco prima della fondazione della casa editrice, Luigi Einaudi ad
Attilio Cabiati, l’amico fidato che inaugurerà nel 1934 la collana «
Problemi contempo- ranei » e che si dimostrerà particolarmente attivo nel
sug- gerire all'editore proposte di traduzioni *. « Problemi con-
3 L'avviso dattiloscritto si trova nell’Archivio della Fondazione
Luigi Einaudi di Torino, sezione 2 (d’ora in avanti AFE), nel fasc.
Croce. L’in- tervento di Luigi Einaudi nella casa editrice è testimoniato
anche da una lettera che il figlio gli scrisse il 17 novembre 1942,
inviandogli il progetto di un volume di Sismondi: « Per altri classici
dell'economia, che pos- sono avere un interesse vivo anche in avvenire,
ti sarò grato se mi vorrai favorire i testi originali con un breve
giudizio » (AE, L. Einaudi). 35 AE, Cabiati. Sui suoi interessi,
prevalentemente rivolti al mondo anglosassone, cfr. A. Cajumi, Ricordo di
Attilio Cabiati, in « L'Industria », n.s. (1951), pp. 406-417. « Allorché
capitò la faccenda del giuramento, si consultò con Francesco Ruffini e
con Einaudi, e salvò il salvabile, ossia 206 Le
origini della casa editrice Einaudi temporanei » nasce infatti
come « Biblioteca della rivista “La Riforma sociale” », controllata e
orientata personal mente da Luigi Einaudi fino al 1944, come la «
Collezione di scritti inediti o rari di economisti » (1934), le «
Opere di Luigi Einaudi », la « Collezione di opere scientifiche di
economia e finanza » (1934) e la « Biblioteca di cultura eco- nomica »
(1939); e, nel magro bilancio dei volumi pubbli- cati nei primi anni —
solo con la guetra la casa editrice assumerà proporzioni ragguardevoli —,
tutti i 9 titoli del 1934, e 9 su 11 nel 1935, sono testi economici di
queste collezioni, che nel periodo 1934-44 rappresenteranno sem-
pre un quarto di tutte le pubblicazioni — 55 su 212 titoli —, in cui
spiccano, per il peso del loro messaggio cultu- tale e politico, i 35
volumi di « Problemi contemporanei ». La presenza di Luigi Einaudi aveva
un altro punto di forza nella direzione della « Rivista di storia
economica », pub- blicata per i tipi della casa editrice, cui fu permesso
di con- tinuare — sotto un titolo apparentemente accademico e
asettico — la battaglia liberista de « La Riforma sociale », soppressa
nel 1935 perché coinvolta, solo editorialmente, negli arresti di Giulio
Einaudi e dei suoi amici e collabora- tori appartenenti a GL, alcuni dei
quali animatori de « La Cultura », alla quale la censura fascista non
concesse possi- bilità di reincarnazione, sotto nessuna veste *.
Appare quindi necessario analizzare l’ideologia del grup- po
liberista quale si manifesta non solo nelle collane, ma anche nelle
riviste dirette da Luigi Einaudi — e, in parte, ne « La Cultura » —, alla
cui influenza è forse da attribuire lo stesso orientamento anglofilo di
altre collane storiche o letterarie; non bisogna dimenticare, del resto,
la profonda conoscenza del mondo britannico di colui che durante il
difese in extremis le cattedre non ancora infestate dall’economia
corpo rativa » (ibidem, p. 407). 36 Secondo Francesco A.
Repaci, stretto collaboratore di Einaudi, la soppressione de «La Riforma
sociale » sarebbe invece da addebitarsi alla sua battaglia
anticorporativista (Ricordo di Luigi Einaudi attraverso alcune lettere, «
Giornale degli economisti e annali di economia », n.s., XXXII (1973), p.
301); in realtà, come vedremo, la «Rivista di storia economica » non farà
che riprendere la linea de « La Riforma sociale », senza per questo
essere soppressa. 207 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali ventennio fu collaboratore stabile dell’« Economist
». La funzione culturale e politica svolta da Luigi Einaudi durante
il periodo fascista resta ancora da studiare, e il tema non è di poco conto
se si pensa che il « partito dei liberisti », « dopo aver conosciuto
dalla fine dell’Ottocento una serie di sconfitte micidiali da cui
sembrava non potesse pit risol- levarsi, riusci nel secondo dopoguerra a
prendersi una cosî piena rivincita », riuscendo « a influenzare in misura
deter- minante i programmi di ricostruzione e l’impostazione gene-
rale della politica economica italiana dei governi di coali- zione
successivi alla Liberazione » ’’. Funzione che Einaudi si ascriverà a
merito nei suoi risvolti anticorporativisti *, ma che ebbe, più in
generale, i suoi obiettivi polemici in tutte le ipotesi programmatrici o
keynesiane che presero piede con la grande crisi — non è un caso che a
tutto ciò egli facesse riferimento prospettando la pubblicazione di
una biblioteca de « La Riforma sociale » —, e lo vide chiuso in una
difesa ostinata della sua « quasi religiosa » fede nel liberismo, che gli
impedî di individuare « la crisi economica del ventennio tra le guerre
come una prova delle fallacie neoclassiche » ”, le quali saranno invece
da lui ri- 37 Cosîf V. Castronovo nell'intervento in occasione
della commemo- razione di Luigi Einaudi in occasione del centenario della
nascita, in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, vol. VIII, 1974, Torino,
Fonda- zione Luigi Einaudi, 1975, p. 168. 3 «La scienza
economica italiana non ha da vergognarsi di quel che fece durante il
cinquantennio crociano. Carità di patria vuole si dimentichi quel che fu
scritto di falso e di consapevolmente falso intorno al cosidetto corporativismo.
Quegli errori sono riscattati dalla resistenza dei più », affermerà
Einaudi ricordando « La Riforma sociale » e il « Giornale degli
economisti » (La scienza economica. Reminiscenze, in Cinquant'anni di
vita intellettuale italiana 1896-1946, cit., vol. II, p. 313). E ancora:
la « Rivista di storia economica » «forse parve ai governanti del
tempo meno fastidiosa a cagione della sua limitazione a cose passate. Ma
già il Sismondi, in una lettera del 1835 al Brofferio aveva avvertito i
vantaggi che la censura offre agli scrittori costringendoli ad essere
avveduti nel dichiarare la verità invisa ai tiranni [...]. 1 saggi datati
dal 1936 al 1941 agevolmente persuadono che il forzato velo storico non
vietò mai a chi scrive di discutere problemi contemporanei » (L. Einaudi,
Saggi biblio- grafici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma,
Edizioni di storia e letteratura, 1953, p. VII). 39 M. De
Cecco, La politica economica durante la ricostruzione 1945- 1951, in
Italia 1943-1950. La ricostruzione, a cura di Stuart J. Woolf, Bari,
Laterza, 1974, p. 291. 208 Le origini della casa
editrice Einaudi prese e attuate dopo il 1945, come governatore
della Banca d’Italia e come ministro del bilancio nel quarto e
quinto governo De Gasperi nel 1947-48. Gli unici studi che
hanno affrontato l’opera di Luigi Einaudi anche nel periodo fascista,
compiuti in occasione del centenario della nascita, si sono preoccupati
di ridurre la sua iniziale adesione al fascismo, fino al 1925, ad
un « equivoco » destinato a dissiparsi quando la politica « li-
beristica » di De Stefani sfociò nel vincolismo e nel corpo- rativismo ‘,
o si sono limitati ad analizzarne le indicazioni per lo studio delle
dottrine e dei fatti economici, senza cogliere i presupposti ideologici
della sua posizione meto- dologica, o arrivando ad espungere volutamente
dall’analisi le sue concezioni antisocialiste e antistataliste, in
quanto: non sarebbero mai state da lui proposte come formule ‘. Per
meglio comprendere la linea interpretativa della col- lana « Problemi
contemporanei » è invece opportuno sof- fermarci su questi presupposti
ideologici, per i quali l’atti- vità di Einaudi durante il fascismo ha
punti di contatto, ma anche di differenziazione, con quella di Croce.
Segui- remo i motivi di questa riflessione sulla storia e la
politica economica fino al 1944, data l'omogeneità di questa tema-
tica, che corre parallela con gli altri filoni di pensiero della casa
editrice. È da rilevare in primo luogo che le indicazioni di
Luigi Einaudi sul modo di fare storia economica sono esplicita-
mente basate sulla preoccupazione di non privilegiare il fattore
economico nella ricostruzione storica. Discutendo il programma di lavoro
della « Rivista di storia economica » con Gino Luzzatto — il direttore
della « Nuova rivista storica » che ribadiva ancora in quegli anni la
validità della storiografia economico-giuridica —, egli sosteneva che
allo 4 Cosî R. Romano nell’Introduzione a L. Einaudi, Scritti
econormici,. storici e civili, a cura di R. Romano, Milano, Mondadori,
1973, pp. XXXILIOXVII. 4 Cfr., per il primo appunto, R.
Romeo, Luigi Einaudi e la storia delle dottrine e dei fatti economici, e
M. Abrate, Luigi Einaudi rivisitato, e, per il secondo, F. Caffè, Luigi
Einaudi nel centenario della nascita, in Annali della Fondazione Luigi
Einaudi, cit., pp. 121-141, 151-163, 39-51 (in particolare, per
l’affermazione di Caffè, p. 47). 209 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali storico era necessario solo il «
punto di vista » economico: « “Punto di vista” e non “prevalenza” né
“specializzazio- e”. Non si diventa storici dell'economia dando,
come fecero molti nel tempo verso il 1900, rilievo a certi fatti
detti economici e mettendoli a fondamento delle spiegazioni da essi date
di certe passate vicende umane. Cosi scrivendo, si fa buona (esistono,
nonostante la cosa tenga del miraco- loso, persino buoni libri di storia
informati al concetto materialistico della storia!) o cattiva storia politica,
non storia economica » *. La storia economica non deve sup- porte
che il fattore economico sia più importante degli altri, né accettare la
tesi che le teorie economiche siano un mutevole frutto dei tempi,
affermava, concludendo che per scrivere storia economica « fa d’uopo che
lo scrittore abbia l’occhio od il senso economico » ‘. Di qui
l'apprezzamento per la Storia economica e sociale dell'impero romano
© Città carovaniere di Rostovzev — pubblicate rispettiva- mente da
La Nuova Italia e da Laterza —, in quanto l’au- tore « ha visto che alla
radice della storia non si trovano l'economia, la macchina, lo strumento
tecnico, la terra arida o feconda, il denaro e simiglianti cose morte, si
invece le 4 G. Luzzatto - L. Einaudi, Per un programma di lavoro,
in « Rivista di storia economica », I (1936), p. 201. Luzzatto, che in
una lettera a Einaudi del 5 novembre 1936 accettò in sostanza la sua
opinione (AFE, Luzzatto), salutò con entusiasmo la nascita della «Rivista
di storia economica », perché « può rappresentare per i giovani studiosi
italiani di storia economica una guida ed uno stimolo, di cui si sentiva
estre- mamente il bisogno, indirizzandoli nella scelta degli argomenti di
ricerca, raddrizzando idee tradizionali errate, chiarendo idee confuse,
creando soprattutto quel contatto fra scienza economica e ricerca
storica, che fino- ra è in gran parte mancato » (« Nuova rivista storica
», XX (1936), p. 282). A Luigi Dal Pane — dal quale non riuscirà tuttavia
ad ottenere una collaborazione — Luigi Einaudi spiegò il 4 luglio 1936 il
tipo di articoli desiderati: « 1) un problema teorico importante studiato
da un econo- mista passato; 2) un problema di fatto interessante in sé,
interessante per qualche attacco al presente, su cui l’esperienza di un
tempo passato dice qualcosa di rilevante » (L. Dal Pane, Il mio carteggio
con Luigi Einaudi, in Annali della Fondazione Einaudi, vol. VI, 1972,
Torino, Fondazione Luigi Finaudi, 1973, p. 194). 43 L. Einaudi,
Lo strumento economico nella interpretazione della storia, in « Rivista
di storia economica », I (1936), pp. 155-156 (in discus- sione con Lucien
Febvre}. Nello stesso senso cfr. T. Codignola, Esiste una «storia
economica »?, in « Rivista di storia economica », II (1937), pp.
179-182. 210 Le origini della. casa editrice
Einaudî idee che la classe politica si è fatta » #: dove è
evidente la polemica contro quella « vulgatio » del materialismo
sto- rico in cui Gramsci rinveniva uno specifico influsso loriano,
presente anche nel commento a Economic planning and international order
di Lionel Robbins, un autore quanto mai caro a Einaudi e alla casa
editrice, lodato per la tesi che « la continuità della coesistenza di
diverse nazioni del mondo è incompatibile con qualunque piano diverso
da quello economico liberale », e che un piano è un fatto poli-
tico: « È un capovolgere la storia cercare nell’economia la spiegazione
degli avvenimenti politici, sociali, intellettuali. Bisogna invece
cercare nella politica la spiegazione degli avvenimenti economici » 4.
Gli esempi potrebbero moltipli- carsi, a testimoniare come l’assai vaga
asserzione che allo storico economico necessiti, e sia sufficiente, «
l’occhio od il senso economico », si connetta con la fede nel carattere
assoluto ed eterno delle leggi economiche, con la polemica nei confronti
del materialismo storico e del socialismo, e con la difesa del liberismo
come vero liberalismo. Rispondendo a quanti parlavano di superamento
delle teorie economiche, di quella ricardiana in particolare,
Einaudi affermava che « una ideale storia delle dottrine economiche
potrebbe semplicemente consistere nel ricordo che si facesse, nel
trattare sistematicamente la dottrina oggi ricevuta, del debito da questa
contratto verso le precedenti meno perfette formulazioni che via via la
precedettero. Il legittimo uso della parola “superamento” implica
l’accogli- mento contemporaneo dell’idea che nulla è superato,
nulla è fuor del tempo presente ed ogni teoria che visse vive
4 L. Einaudi, Il valore economico del libro del Rostovzev, in «La
Riforma sociale », XLI (1934), p. 336. Sulla conoscenza « da orecchiante
» del materialismo storico da parte di Einaudi mediata da Croce e
Loria, cfr. A. Gramsci, Quaderni del carcere, cit., vol. II, pp.
1289-1290. 45 L. Einaudi, Delle origini economiche della grande
guerra, della crisi e delle diverse specie di piani, in «Rivista di
storia economica», II (1937), p. 278. Il 30 novembre 1946 Giulio Einaudi
scriverà a Robbins: «se durante la deprecabile ultima guerra Voi
ricordavate con simpatia l’ambiente che faceva capo a mio padre, noi
altri giovani durante quegli anni terribili non cessammo mai di guardare
con venerazione e speranza alla Vostra Patria e ai suoi uomini più
rappresentativi » (AE, Robbins). 241 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali ancora perfezionata ed affinata nella
teoria attuale » ‘. L’in- sistente difesa di Ricardo, di Smith, di
Francesco Ferrara o della massima di D’Argenson — « pour mieux gouverner,
il faudrait gouverner moins » —, si accompagna a uno sprezzante
giudizio su Keynes, nelle cui pagine si può tro- vare « la esposizione pi
ingegnosa e raffinata che imma- ginar si possa di quella qualunque tesi
egli, con pieno prov- visorio convincimento, sostenga in un dato momento
» “£ all’assunzione a modello dei discorsi di Cavour, in quanto «
mutano i problemi; ma l’arte dell’analizzarli criticamente con spirito
non preoccupato damiti e da formule verbali, non muta » ‘; o, in polemica
col corporativismo fascista — non molto frequente, tuttavia, sulla «
Rivista di storia eco- nomica » —, all’esaltazione delle corporazioni
medievali mai configuratesi come « caste chiuse »: « La lotta, il
tu- multo, le inimicizie, le cacciate e l’esilio sono i segni
distin- tivi di quell’epoca che poi fu voluta idealizzare come tesa
verso la pace sociale. Ma, perché lottava, amava ed odiava, quell’epoca
partori credenti artisti e poeti grandi; ma perché era un’epoca di
rivolgimenti politici economici e sociali, essa creò ricchezza potenza
arte e poesia ». Una difesa della necessità della lotta e del contrasto
che non si traduce mai, però, nella comprensione delle novità del
processo storico, cui l’ottuso conservatorismo di Einaudi oppone un’imma-
gine statica della vita sociale, assai distante dalla stessa concezione
crociana della storia etico-politica ” * L. Einaudi, Superamento,
in « La Riforma sociale», XLI (1934), p. 315. 4 L. Einaudi,
Una disputa a torto dimenticata fra autarcisti e liberisti, in «Rivista
di storia economica », III (1938), p. 149. 4 Si riferisce ai
s aggi di Keynes La fine del laisser faire e L’autarchia economica
tradotti nella « Nuova collana di economisti stranieri ed ita- liani »
diretta da G. Bottai e C. Arena (« Rivista di storia economica », II
(1937), p. 374). Per una critica agli Essays in Bibliography di Keynes
cfr. anche L. Einaudi, Della teoria dei lavori pubblici in Maltbus e del
tipo delle sue profezie, in « La Riforma sociale », XLI (1934), pp. 221-227.
4 L. Einaudi, Una nuova edizione dei discorsi del conte di Cavour,
in «La Riforma sociale », XLI (1934), p. 229 (a proposito dei Discorsi
parlamentari di Cavour curati da Omodeo e Russo per La Nuova Italia).
5 L. Einaudi, Alba e tramonto delle corporazioni d'arti e mestieri,
in « Rivista di storia economica », VI (1941), pp. 96-97. Einaudi « non
riu- sciva ad afferrare i motivi del movimento storico », ha affermato L.
Dal 212 Le origini della casa editrice Einaudi
È del resto noto come, sul piano politico, il liberalismo di
Einaudi non sia assimilabile a quello di Croce, tanto da spiegare — come
vedremo dall’analisi di alcuni volumi della collana « Problemi
contemporanei » — un maggior « possibilismo » del primo nei confronti del
fascismo. E ciò, nonostante il rapporto personale e gli elementi di
con- vergenza che legano i due intellettuali durante il regime. Ne
è testimonianza la segnalazione simpatetica che sulla « Rivista di storia
economica » Einaudi fa, in due occa- sioni, delle edizioni Laterza:
valorizza ad esempio l’opera dei meridionalisti conservatori — Jacini,
Turiello, Villari, Franchetti, Sonnino e Fortunato — analizzati da Enzo
Ta- gliacozzo in Voci di realismo politico dopo il 1870; ap- prezza
incondizionatamente — a differenza di Ginzburg ” — l’immagine fornita da
Nicola Ottokar nella Breve storia della Russia, un paese la cui «
tragedia » sarebbe stata quella di non aver mai avuto un ceto intermedio
numeroso, ma solo padroni e servi, dove i primi erano una volta i
nobili, ora la burocrazia sovietica ”. Sempre per « rendere testimonianza
di onore all’editore colto e tenace, il quale in tempi volti ad altri
problemi persegue un alto ideale di cultura », Einaudi segnala La concezione
romana dell’im- pero di Ernest Barker, accogliendone la distinzione fra
la rivoluzione francese, da cui « discendono lo stato napoleo- nico
ed il comunismo economico », e la rivoluzione puri- tana inglese, da cui
derivano « la libertà di coscienza e di Pane, Commemorazione di
Luigi Einaudi, in Memorie dell’Accademia delle scienze dell’Istituto di
Bologna, classe di scienze morali, s. V, vol. 10, 1962, p. 314; e Franco
Venturi ha osservato che « la storia economica, quale egli fa concepî,
non produsse in Italia quel rivolgimento, quella trasformazione profonda
che compirono in varie forme altrove il marxismo, la scuola delle
“Annales”, le moderne teorie dello sviluppo e la cliometria.
Personalmente sono convinto che l’elemento conservatore presente nel
pensiero di Einaudi agi da freno, da remora a questa rivoluzione storio-
grafica. Riproporre a modello Le Play nel secolo XX era un paradosso »
(in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, vol. VIII, cit., p. 180).
51 Le osservazioni di Ottokar « sono giustapposte, e non
concatenate, sf che l'avvento del bolscevismo può configurarglisi come
una specie di cataclisma, che interrompa la continuità storica », notava
ad esempio Ginzburg (« Nuova rivista storica » (1937), ora in Scritti,
cit., p. 111). 5 L.E., Edizioni Laterza, in « Rivista di storia
economica », II (1937), pp. 196-198. 213 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali pensiero, la società
economica a tipo di concorrenza, l’unio- nismo operaio, il regime di
discussione »; ma la « lettura più vantaggiosa » è per Einaudi la Storia
d’Europa di Fisher, nella quale egli vede la dimostrazione
dell’assenza di basi economiche nei diversi ordinamenti politici.
Prende invece nettamente le distanze da un libro laterziano allora
famoso in quanto espressione della crisi dei valori borghesi, Democrazia
in crisi del laburista Harold J. Laski — un au- tore che la casa editrice
accoglierà solo nel dopoguerra, men- tre nel 1936 Mario Einaudi lo aveva
accusato di marxismo per l’opera The Rise of Liberalism —, in quanto «
dalla pa- rificazione laskiana di “democrazia” ad “uguaglianza”
vien fuori un’economia comunistica a tipo termitario » ”. Il
liberalismo di Einaudi aveva infatti un minor respiro ideale di quello di
Croce, come dimostra la discussione tra loro intercorsa negli anni ’30 e
’40 sui rapporti tra libe- rismo e liberalismo: mentre Croce, pur nella
comune ri- pulsa del comunismo, negava la necessaria identità dei
due termini, Einaudi sosteneva la loro inseparabilità, in quanto «
l’idea della libertà vive, si, indipendente da quella norma pratica
contingente che si chiamò liberismo economico; ma non si attua, non
informa di sé la vita dei molti e dei più se non quando gli uomini, per
la stessa ragione per cui vollero essere moralmente liberi, siano
riusciti a creare tipi di orga- nizzazione economica adatti a quella vita
libera » *. Data questa rigida identificazione — per cui la presa di
distanza di Einaudi dal fascismo ha il suo motivo di fondo nella
politica protezionista e corporativa del regime —, si com- prende come
più numerosi e acri che ne « La Critica » siano gli attacchi
antisocialisti nella « Rivista di storia economica », condotti in primo
luogo dal suo direttore con accenti che dimostrano la carica politica,
prima ancora 53 L. Einaudi, Ancora a proposito di edizioni e di
alcuni libri editi da Giuseppe Laterza in Bari, in « Rivista di storia
economica », III (1938), pp. 349-354; M. Einaudi, Di una interpretazione
puramente economica del liberalismo, in « Rivista di storia economica »,
I (1936), p. 319. 5% L. Einaudi, Tema per gli storici
dell'economia: dell’anacoretismo economico, in « Rivista di storia
economica », II (1937), p. 195. I testi del dibattito sono raccolti in B.
Croce, L. Einaudi, Liberismo e libera- lismo, a cura di P. Solari,
Milano-Napoli, Ricciardi, 1957. 214 Le origini della
casa editrice Einaudî che scientifica, dei suoi obiettivi. Ne è
documento esem- plare, nel 1934, la recensione a Socialism's New Start,
tra- duzione di un’opera di socialisti tedeschi nascosti dall’ano-
nimato, critici dei partiti tedeschi socialdemocratico e co- munista
accusati di aver consegnato le masse operaie al nazismo; con le minacce
di simili « untorelli », scrive Einaudi, il regime hitleriano può dormire
sonni tranquilli: I socialisti del continente europeo, sia quelli
dei paesi come l’Italia, la Germania e l’Austria, nei quali essi sono
stati spazzati via, sia quelli dei paesi come la Francia, nei quali si
danno un gran da fare per farsi mandare a spasso, non hanno ancora capito
che « il capitalismo » è una irrealtà, uno schema partorito dalla loro
scarsa cultura storica e dalle loro rudimentali attitudini psicologiche;
e quindi, essendo un meccanismo tecnico, una costruzione meramente
amministrativa e contabile, può essere rivoluzionato o riplasmato pit o
meno in meglio od in peggio, senza grandissime difficoltà. La società
tollera chiacchiere socialistiche più o meno interessanti e consente
talvolta che in nome di ideali socialistici si compiano ai margini
sperimenti più o meno costosi intesi a tener quiete le molti- tudini. Ma
le chiacchiere e gli sperimenti non devono andare oltre un certo segno;
non devono toccare istituti che hanno nell’animo umano radici ben più
profonde del capitalismo: la proprietà della terra, della casa,
dell’opificio, il risparmio, la famiglia, la eredità, la tradizione, la
religione. Responsabili della nascita dei regimi totalitari
sareb- bero stati i socialisti, in quanto Blum in Francia, Stafford
Cripps e Laski in Inghilterra appaiono a Einaudi « magni- fici alleati e
profeti e sostenitori di nuovi regimi che, sorti in Italia si vanno
estendendo, sotto forme variabilmente adattate alle diverse contrade, un
po’ dappertutto » 5. Proprio riferendosi a questa recensione, e
alla raccolta dei Nuovi saggi di Einaudi pubblicata nel 1937 dal
figlio, « Giustizia e Libertà » — espressione del movimento nel
quale si riconoscevano vari collaboratori della casa edi- trice — critica
violentemente l’esponente liberista, nella cui opera non ravvisa né
antifascismo, né liberalismo, né scienza, ma solo i frutti di un «
liberale è /a page », lealista 55 L. Einaudi, Afforno ad una
spiegazione della disfatta dei partiti socialistici, in « La Riforma sociale
», XLI (1934), pp. 713-714. 215 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali verso il regime, mosso da « una
meschina preoccupazione di antisocialismo, che non ha a che vedere con il
bisogno di libertà che ogni uomo prova, ma semplicemente con un
sentimento originario, più forte di qualunque ragionamento, di disprezzo
per il salariato e per il lavoratore manuale che aspiri a dirigersi da
solo ». Ispirato da un « velenoso » odio di classe — continua articolista
—, Einaudi « arriva a sostenere la legittimità della reazione fascista,
che non sarebbe l’avventura di un gruppo di spostati né rea- zione
di privilegiati, ma la reazione legittima della so- cietà contro quei
faccendoni dei socialisti che le impedi- vano di lavorare »; il suo
«cieco conservatorismo » si spiega con la sua « sfiducia totale in
qualunque tentativo di miglioramento, che tolga gli individui alla classe
in cui essi sono costretti a vivere » ”. È del resto raro
trovare nella seconda metà degli anni ’30, nella « Rivista di storia
economica » o nei volumi della casa editrice ispirati da Luigi Einaudi,
una coerente pole- mica nei confronti della politica economica del regime
o dei testi economici proposti dal fascismo. La critica all’antiindi-
vidualismo della Breve storia delle teorie economiche di Othmar Spann
edita da Sansoni nel 1936 resta un caso isolato ”, mentre già nel 1934
Einaudi trova modo di lodare Bottai « promotore di iniziative feconde:
come quella dei buoni libri informativi editi dalla scuola corporativa
di Pisa », o la « Nuova collana di economisti » curata da Bottai e
Arena, in cui apprezza in particolare la pubblica- zione dell’Economia
del benessere di Arthur C. Pigou — « non conosco lettura più adatta a
moltiplicar dubbi su qualsiasi provvedimento di politica sociale » — e
gli scritti $% Magrini [Aldo Garosci], Liberalismo?, in «Giustizia
e Libertà », 5 marzo 1937; per un altro attacco al « fascismo » di Luigi
Einaudi cfr. La concezione filosofica del mondo, in ibidem, 1 aprile
1938. « Di rado compaiono operai — notava il corporativista Giuseppe
Bruguier recen- sendo i Nuovi saggi —. Gli è che l’Finaudi, man mano che
gli anni passano, mi pare si faccia sentimentalmente sempre più vicino,
piuttosto che ai lavoratori delle calate del porto di Genova o alle
maestranze delle officine di Torino, ai contadini delle sue belle terre
piemontesi », osservati con « senso patriarcale » (« Leonardo », VIII
(1937), p. 70). 5? L. Einaudi, Una storia universalistica
dell'economia, in « Rivista di storia economica », I (1936), pp.
258-263. 216 Le origini della casa editrice
Einaudi sulla tassazione di Wicksell, col quale Einaudi dichiara
di trovarsi « in ottima compagnia nella tendenza a non pren- dere
sul serio certi cosiddetti principî di ripartizione delle imposte
chiamati dell’uguale, proporzionale o minimo sa- crificio ovverosia della
capacità contributiva e simiglianti vacuità senza contenuto »: la «
conquista definitiva teori- ca » di Wicksell è infatti che « non esiste
un principio di giustizia tributaria » *. In una discussione in cui,
accanto a nette differenziazioni, c’era posto per posizioni
intermedie fra corporativismo e liberismo — tipica è la figura di
Marco Fanno, collaboratore al tempo stesso della « Nuova collana di
economisti » e della casa editrice Einaudi” —, ma anche per significativi
incontri su questioni economiche di nodale importanza, Luigi Einaudi
poteva tranquillamente combattere la teoria dell’imposta progressiva: cosî
nel 1934 con la pubblicazione — preceduta da una sua prefazione
‘elogiativa dell’autore e dell’opera svolta dai liberisti italiani nel
1880-90 — dei Principi di economia finanziaria di De Viti De Marco, dalla
quale Edoardo Giretti traeva spunto per un giudizio politico il cui
elemento di distinzione dal fascismo era rappresentato da una /audatio
temporis acti ©, 58 L. Einaudi, Del principio della ripartizione
delle imposte (a pro- posito di una nuova collana di economisti), in « La
Riforma sociale », XLI (1934), pp. 429-431, 435. 59 Cfr. A.
Macchioro, Studi di storia del pensiero economico e altri saggi, Milano,
Feltrinelli, 1970, pp. 644-45, e il carteggio Fanno-Finaudi in AFE,
Fanno. : 6 «Lo storico che potrà un giorno, all’infuori delle
passioni e dei rancori dell’età contemporanea, discutere ed esaminare a
fondo oggetti- vamente e serenamente le cause che determinarono la crisi
del 1922 e la caduta di un regime politico-parlamentare che del
liberalismo cavour- riano aveva conservato soltanto il nome, ma non
l’idea e la sostanza, dovrà riconoscere che l’unico tentativo serio e
coerente, che si era fatto in Italia, allo scopo di prevenire la
catastrofe di quel regime, da gran tempo preveduta, fu proprio quello del
gruppo liberista, del quale il De Viti fu il capo e l’ispiratore più
autorevole e più tenace », colui che aveva osservato che i liberisti, «
avendo pur sempre di mira la difesa e il consolidamento dello Stato
liberale democratico, avevano esercitato una critica intesa a creare nel
paese una più elevata coscienza pubblica contro tutte le forme
degenerative delle libertà individuali e del sistema rap- presentativo »
(E. Giretti, Un uomo e un gruppo, in «La Cultura », XIII (1934), pp.
28-29). Con quest'opera De Viti De Marco « aveva dimostrato la natura
autofaga dell’imposta progressiva », dità Einaudi, Miti e paradossi della
giustizia tributaria, Torino, Einaudi, 1938, p. 197 n. 217
Il fascismo e il consenso degli intellettuali e, con
particolare forza, nei Miti e paradossi della giustizia tributaria, dove
il richiamo agli economisti classici si accom- pagna ad accenti
moralistici che mal nascondono la sostanza antidemocratica del
discorso: Giova — si chiedeva Einaudi — [...] togliere
coll’imposta diffe- renziata a questi pochi [monopolisti] il guadagno di
eccezione che essi temporaneamente lucrano? No; poiché è vero che quel
lucro è ottenuto col vendere a più basso non a più alto prezzo dei
concor- renti. Se si vuole accaparrare quel lucro a vantaggio della
collettività non bisogna adoperare l’imposta, strumento stupidamente
repressivo, ma l’emulazione gli onori la lode. Giova creare l'atmosfera
nella quale il ricco giudichi se stesso disonorato e sia dall'opinione
pub- blica considerato con spregio se non consacri in vita e in morte
parte rilevante dei suoi redditi a scopi di pubblica utilità: a fondare
e dotare scuole ospedali parchi stadi. Come ammoniva Adam
Smith, « un grado assai consi- derevole di disuguaglianza sembra essere,
ove si giudichi secondo l’esperienza universale dei popoli, un danno
di pochissimo conto in paragone con un piccolissimo grado di
incertezza ». La preferenza accordata alla « certezza » rispetto alla «
giustizia » — per cui si richiamano anche gli scritti economici di
Cattaneo — trova infine il suo natu- rale corrispettivo, sul piano
politico, nella critica alla demo- crazia: « Chi, salvo gli egualitari,
intenti ad aprire la via al governo dei plutocrati, mai seppe che lo
stato ideale si confondesse con il governo del demo? Anche il
governo di una minoranza può essere una approssimazione all’ideale,
se la minoranza ha lo sguardo volto verso l’alto » ©; dove
l’individualismo economico e l’antisocialismo ricordano gli aspetti più
propagandistici dell’opera di Pareto, il cui Corso di economia politica
apparirà nel 1943 nella « Col- lezione di opere scientifiche di economia
e finanza ». Anche il richiamo a Cattaneo, sopra citato, si
presenta in Luigi Einaudi nella linea di un discorso conservatore, difficilmente
assimilabile all’interpretazione « illuministi ca » di un Salvemini o di
un Gobetti e ben distante dalla caratterizzazione democratica che — come
vedremo — ne ®! L. Einaudi, Miti e paradossi, cit., pp. 95, 239,
255. 218 Le origini della casa editrice Einaudi
darà Spellanzon nel 1942. La raccolta dei Saggi di econo- mia
rurale curata nel 1939 da Luigi Einaudi per la « Biblio- teca di cultura
economica » ebbe tuttavia il merito di rinno- vare l’interesse attorno a
una figura di cui l’idealismo si era sbarazzato rapidamente. « Corrente
di vita giovanile », la rivista di fronda di Ernesto Treccani che prima
dell’entrata in guerra dell’Italia pubblicherà il brano cattaneano
Della milizia antica e moderna in cui la guerra ingiusta era consi-
derata preludio di sconfitta, colse in Cattaneo un modello di serietà e
di impegno ©, mentre su « Primato » Giansiro Ferrata, dopo aver ricordato
che « la lotta politica fino al ’24 ha insistito su questo nome in tutti
i toni possibili, cogliendone ogni impulso all’azione », oppose 1’«
idealismo operativo » di Cattaneo a quello « descrittivo » di Vico
privilegiato da Croce: « se in questi anni — concludeva all’inizio del
1940 —, come sembra vero e necessario, alcuni pregiudizi politici ed ideologici
vanno scomparendo, dovremmo acquistare alla coltura d’oggi questo nome »
£. La riproposizione che ne faceva Einaudi era però, anche se più
puntuale, pit restrittiva, tesa a raccogliere da Cattaneo l'invito al
sacrificio, alla « edificazione della terra colti- vata », e soprattutto
il richiamo alla « certezza che gli uomini debbono possedere di godere
essi i frutti del proprio lavoro », attuabile attraverso i « mirabili
effetti » del cata- sto: « Mentre troppi dottrinari corrono dietro a
false teo- riche di cosidetta giustizia tributaria e vorrebbero
distrug- gere le più belle tradizioni finanziarie italiane, fa
d’uopo 62 S. Pozzani, Quasi una introduzione, in «Corrente di vita
giova- nile », 31 ottobre 1939: «al fondo della sua concezione politica
ed economica stava il convincimento che solo a prezzo di fatiche e
di sacrifici l’uomo può giungere a risultati positivi e fecondi {...]
dalle pagine del Cattaneo emana l’incitamento a meditate preparazioni
come base necessaria per affrontare la paziente e scrupolosa disamina
dei problemi grossi e minuti della nostra vita nazionale ». Il passo di
Cattaneo riportato si concludeva cosî: «Ma la vittoria stessa, destando
la mera- viglia delle genti e l'imitazione, nel decorso eguaglia le
sorti, e riduce il popolo stesso che aveva trascese le condizioni
dell’equilibrio » (ibidem, 31 maggio 1940). Sulla rivista cfr.
l'introduzione di Alfredo Luzi a Cor- rente di vita giovanile
(1938-1940), Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1975. 63 G. Ferrata, Immagine
di Cattaneo, in « Primato », I (1940), pp. 27, 29; cfr. anche Id.,
Caztareo, in « Oggi », 25 novembre 1939. 219 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali insistere energicamente
sulla virti della imposta ripartita su basi destinate a non mutare per
lungo tratto di tem- po » * Il Cattaneo einaudiano diventa
quindi un’altra arma contro gli « egualitari » e i socialisti, contro i
quali si schie- rano anche altri collaboratori della « Rivista di storia
eco- nomica ». Si distingue fra questi il giovane allievo di Luigi
Einaudi e Gioele Solari, Aldo Mautino, che nello studio su La formazione
della filosofia politica di Benedetto Croce — pubblicato postumo da
Einaudi nel 1941 dopo una « accu- rata revisione » dello stesso Croce — si
farà partecipe espo- sitore della critica crociana al materialismo
storico di La- briola e si schiererà con Luigi Einaudi nel sostenere
l’iden- tità fra liberismo e liberalismo 9. Commentando la mono-
grafia di Dal Pane su Labriola e i Saggi labrioliani ripro- posti da Croce
nel 1938, Mautino osservava che la gran- dezza del cassinate « non si
deve ricercare nel campo specu- lativo, bensi piuttosto in quello
politico », in quanto gli sembrava che i Saggi tendessero «ad una
svalutazione progressiva di quella medesima dottrina di cui si
presen- tano come interpretazione e commento »: « una costante
linea spirituale di svolgimento conduce in effetti a risol- vere
l’opposizione persistente tra la necessità escatologica del comunismo e
la libera volontà rivoluzionaria e, lascian- do da un canto la
trascendenza economica, la dialettica della storia e la conseguente
apocalissi comunistica, a far luogo all’azione, diretta ad instaurare per
convincimento 4 C. Cattaneo, Saggi di economia rurale, a cura di
L. Einaudi, Torino, Einaudi, 1939, p. 31; cfr. anche L.E., La terra è un
edificio ed un arti: ficio, in « Rivista di storia economica », IV
(1939), p. 246. Il richiamo di Einaudi a Cattaneo appare invece
«illuminista » a N. Bobbio, Una flosofia militante. Studi su Carlo
Cattaneo, Torino, Einaudi, 1971, PP. 200-201. 65 Cfr. le
lettere di Giulio Einaudi a Croce del 16 e 23 dicembre 1940 (AF, Croce).
« A suo agio il Mautino avrebbe potuto maggiormente far risaltare gli
elementi della dottrina creduta morta da Croce in se stesso e rimasti al
contrario vivi e fecondi. Se ciò non ha fatto gli è perché non aveva del
materialismo storico, nelle sue affermazioni originali, e nei suoi più
vitali ripensamenti, quella conoscenza che sarebbe stata necessaria »,
osservò F. D'Antonio, A proposito della « filosofia politica » crociana,
in « Nuova rivista storica », XXV (1941), p. 333. 220
Le origini della casa editrice Einaudi morale, fuori da ogni
attesa fatalistica, una nuova forma di vita più umana. Onde la conclusione
ideale, a cui i Saggi medesimi sembrano rivolgersi, finisce per rinnegare
quelle stesse strutture intellettuali di cui la passione politica
aveva tentato di rivestirsi ». Fatta propria la negazione crociana del
materialismo storico come filosofia, e affermato che nel campo
speculativo il marxismo era stato superato da Croce e Sorel, Mautino
notava tuttavia la « comprensione, profonda nel Labriola, del valore
nazionale rappresentato dal movimento operaio. Questo rigido socialista
sognava un’Italia attraverso di quello rigenerata e fatta più
civile [...]. In questo augurio di una Italia nuova consiste una
delle ragioni, e sicuramente non la minore, della “ perpetua giovinezza”
che l’antico e recentissimo editore riconosce nell’opera del Labriola »
£. Se in quest’ultima affermazione può apparire un’acquisizione di stampo
nazionalistico del pensiero di Labriola, analoga a quella compiuta da
Volpe nella prefazione alla monografia di Dal Pane, decisamente
liquidatorio era il giudizio sul socialismo espresso da Mau- tino nella
recensione delle memorie di organizzatori operai pubblicate da Laterza
(Zibordi, Rigola, Riguzzi) e dalla collana dei « Problemi del lavoro »
(Azimonti, Zanella, Bettinotti, Anzi, Rigola): staccato dal marxismo scienti-
fico, « il socialismo fu soprattutto una convinzione mora- le », ma anche
cosî le memorie dei suoi militanti, annotava Mautino,
lasciano trasparire del grigiore spirituale. Pare che dopo tanto tre-
pidar di speranze e divampare di passioni e avvicendarsi di illusioni e
delusioni e travagliarsi e lottare, l’animo tendesse a volgersi di
preferenza a faccende organizzative, e di miglioramenti economici, e di
compromessi politici [...]. Ormai il vecchio socialismo moriva senza
gloria; e anche questi suoi ultimi fedeli, guardando oggi al futuro, non
sanno più ritrovare nei miti troppo facili della loro gio- venti motivi
capaci di animarli e correggerli ancora , 6 A. Mautino, Intorno a
un teorico del materialismo storico, in « Rivi- sta di storia economica
», IIl (1938), pp. 332-334. 6 A. Mautino, Memorie di organizzatori
operai italiani, in « Rivista di storia economica », IV (1939), p. 76.
Recensendo il Concezto cristiano della proprietà di J. M. Palacio curato
da Fanfani per le edizioni di Vita e pensiero, Mautino trovava modo di
condannare anche il cattoli- 221 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali A sottolineare le carenze del
socialismo e il primato del liberismo interveniva autorevolmente, nel
1940, Attilio Cabiati: notando come « da parecchi anni a questa parte
il socialismo, che pareva “relegato in soffitta” », fosse venuto
attirando l’attenzione di studiosi tedeschi ed anglo-ameri- cani, rivolti
a vagliare « la possibilità teorica di un governo economico collettivista
», affermava che tutti arrivavano alla conclusione che « qualunque
sistema economico si adotti, ove esso miri a procurare col minimo
dispendio di forze il massimo benessere della collettività, deve
soddi- sfare a quello stesso sistema di equazioni, che in libera
concorrenza garantiscono l’utilità massima ai singoli opera- tori sul
mercato »; perciò solo lottando contro l’interven- tismo statale,
concludeva Cabiati, « l'economia potrà rifio- rire, dimostrando coi fatti
che l’azione privata, malgrado i propri difetti innegabili, supera senza
paragone possibile qualsiasi forma di costituzione socialistica della
società, che costituirebbe l’iperbole del burocratismo, coi suoi
insosteni- bili difetti e con la formazione della peggiore oligarchia
arri- vista » £. La battaglia antiprotezionistica dei
liberisti raccolti at- torno a Luigi Einaudi, quale si rispecchia non
solo nelle sue riviste, ma anche nei volumi di economia della casa
editrice che ora esamineremo, aveva quindi un’impronta ideologica
conservatrice e antisocialista che, se rappresenta solo una faccia
dell’iniziativa culturale di Giulio Einaudi, è forse quella che meglio
spiega la capacità di quest’ultimo di aprirsi degli spazi di manovra
nelle maglie del regime. cesimo sociale in quanto, «al pari del
socialismo democratico, la poli- tica cattolica si volge alla plebe con
le lusinghe della benedizione pubblica e la promessa d’un paradiso nel
cielo », facendosi sostenitrice dell’interventismo statale (Cattolicesimo
e questione sociale, in « Rivista di storia economica », III (1938), pp.
79-80). 6 A. Cabiati, Intorno ad alcune recenti indagini sulla
teoria pura del collettivismo, in « Rivista di storia economica », V
(1940), pp. 73-74, 110 {prendeva in esame, fra gli altri, saggi di R. L.
Hall e M. Dobb). 222 Le origini della casa editrice
Einaud? 3. L’impronta liberista sulla casa editrice
Di notevole interesse per valutare, non solo sul piano ideologico, il
rapporto fra il gruppo di Luigi Einaudi e il regime è la collana «
Problemi contemporanei », che per dieci anni — dalla fondazione della
casa editrice al 1944 — riflette l'opinione dei liberisti sulla politica
economica ita- liana e internazionale, con delle valutazioni che,
passando quasi sotto silenzio gli indirizzi corporativi del
fascismo, non sono tali da costituire, nella maggior parte dei casi,
un terreno di scontro con gli economisti del regime. Il tema di
maggior rilievo della collana è la crisi del 1929 e il New Deal
rooseveltiano: un punto sul quale l’attenzione dedicata ai problemi
monetari anche dai liberisti « per- mette loro di trovare un terreno di
incontro con i corpora- tivisti, dati gli indirizzi della politica del
regime in questo settore » ©, anche se, ovviamente, da parte fascista si
cerca di assimilare l’esperimento di Roosevelt — in quanto inter-
ventista — al corporativismo e di ricavarne quindi un’ulte- riore
giustificazione di quest’ultimo come terza via tra capi- talismo e
socialismo; mentre l’entourage di Luigi Einaudi, nonostante uno sforzo di
documentazione, manifesta dure critiche nei confronti delle analisi
catastrofiche della crisi e della politica del presidente americano. La
posizione dei liberisti — accanto al gruppo einaudiano è da
annoverare anche quello che si raccoglie attorno al « Giornale
degli economisti » — giustifica « un giudizio di incomprensione e
di mancanza di attrezzatura teorica idonea da parte di questi economisti
rispetto ai problemi posti dalla crisi ame- ricana. È assente la
coscienza del dramma di milioni di disoccupati e non esiste quel
travaglio sull’adeguatezza dei propri strumenti teorici che caratterizza
vari economisti americani. Vi è, soprattutto, una difesa della “scienza
eco- nomica” e delle “leggi economiche” contro la politica eco-
nomica e la politica in generale » ”. Mentre il governo ® M.
Vaudagna, New Deal e corporativismo nelle riviste politiche ed
economiche italiane, in G. Spini, G. G. Migone, M. Teodori, Italia e
sno dalla grande guerra a oggi, Padova, Marsilio, 1976, p. 108.
idem. 223 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali fascista accentuava l’intervento dello Stato
nell’economia, i liberisti cercarono di ridimensionare la portata della
crisi e di attribuirne le cause, in ultima istanza, alla politica
pro- tezionistica promossa dai vari Stati dopo la prima guerra
mondiale e, quindi, a « errori di uomini » allontanatisi dalle « leggi
economiche ». Già nel 1931 Luigi Einaudi, svolgendo su « La Riforma
sociale » delle « riflessioni in disordine » sulla crisi, aveva
individuato nel crack del 1929 la manifestazione di quei « cicli brevi »
che « sono dominati dagli errori degli uomi- ni » e, in quanto tali,
facilmente superabili. L’insorgere di uno squilibrio fra domanda e
offerta, una delle cause della crisi, era imputato moralisticamente a una
deviazione dai modelli tradizionali di vita delle classi inferiori
aspiranti a salire nella scala sociale. Se in Russia, osservava, «
non è concepibile crisi » in quanto domanda e offerta coincide-
vano « forzatamente » per l’intervento dello Stato soffoca- tore della
libertà e delle aspirazioni individuali, il « mo- dello » americano, che
faceva tendere ad un alto tenore di vita tutte le classi, era un elemento
perturbatore dell’equi- librio fra produzione e distribuzione del
reddito: di qui la convinzione che « la crisi via via si attenuerà a mano
a mano che i nuovi ceti diventeranno vecchi e che il mare sociale
in tempesta si acqueterà. Ogni classe ed ogni ceto ritornerà a poco a
poco a pregiar se stesso, a vivere secondo i propri gusti fondamentali e
tradizionali », in modo che « l’industria potrà assai meglio prevedere la
domanda di beni da parte di una società » meno fluida, meno
commossa da mutazioni e commistioni di ceti inetti a comprendersi a
vicenda e furiosamente spinti ad imitare gli aspetti più ap- pariscenti
della vita di ognuno di essi ». E, mentre negava la « novità» della crisi
presente e confutava i suggerimenti di Keynes cosî come l’utilità di ogni
piano economico, mosso dal terrore per il « gigantismo » industriale
ribadiva il suo arcaico ideale di un mondo economico dominato dai
piccoli produttori, che si illudeva di veder realizzato in Italia, dove «
probabilmente il peso relativo della piccola impresa famigliare,
pudicamente condotta fuori degli occhi curiosi degli statistici, è
grandissimo, superiore a quanto 224 Le origini della
casa editrice Einaudî si immagina dai più. Forse quel peso è
crescente. Contro i piani internazionali, contro i consigli dei periti,
la sanità fondamentale italiana ha reagito concentrandosi nella in-
frangibile unità famigliare »: un ideale, il suo, che poteva incontrarsi
con alcuni aspetti della dottrina sociale catto- lica e della propaganda
ruralistica del regime ”. Analoga era la posizione di Attilio
Cabiati, che in Crisi del liberismo o errori di uomini? accompagnava
l’analisi dei fenomeni economici, sufficientemente articolata, con un
fer- reo dogmatismo, affermando che « l’abbandono dei prin- cipi
economici, messi in disparte in omaggio a vere o pre- sunte necessità
politico-sociali, ha sviluppato nel mondo intero, come “naturale”
conseguenza, una serie di disastri economici »; l’economia, aggiungeva
ricordando Pareto e Barone, « è una scienza precisa la quale obbedisce a
leggi naturali. Per cui sia che l’organizzazione economica resti
abbandonata al self interest dei singoli, sia che venga data nelle mani
dello stato sotto una forma qualsiasi, una condi- zione è necessaria: che
i privati o il ministro della produ- zione agiscano secondo le leggi
nazurali della scienza eco- nomica » ”. Si comprende quindi come la
domanda formu- lata nel titolo del volume fosse puramente retorica, e
come Cabiati considerasse la crisi, e i mezzi messi in atto da
Roosevelt per superarla, come « errori di uomini », frutto cioè
dell’indebita ingerenza della politica nell’economia. A sostegno di
questa tesi viene proposta l’opera di uno dei più ‘autorevoli esponenti
neo-classici della London School of Economics, Lionel Robbins, che agli
insegnamenti di Mar- 7 L. Einaudi, Saggi, Torino, La Riforma
sociale, 1933, parte II, pp. 228, 373, 377, 405-410, 515. Il 17 marzo
1939 Einaudi inviava a Mussolini una lettera in cui considerava la
proposta di introdurre nel codice civile l’« indivisibilità dei fondi
rustici» un freno alla piccola proprietà e allo sviluppo demografico del
paese (ACS, Segreteria parti- colare del Duce, Carteggio ordinario, fasc.
528771, sottofasc. 2). 7 A. Cabiati, Crisi del liberismo o errori
di uomini?, Torino, Einaudi, 1934, pp. 9-11. Contro «il ricorso
all’immutabilità delle cosf dette leggi economiche, ripiego in cui si
annida il falso presupposto della naturale armonia degli interessi »,
espresso in un altro volume di Cabiati (Il finanziamento di una grande
guerra, Torino, Einaudi, 1941), si schierava A. Brucculeri, Ecomozzia
bellica, in «La Civiltà cattolica », 92 (1941), vol. IV, p.. 456.
225 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
shall — cui si rifacevano, a Cambridge, pur con posizioni diverse,
Pigou e Keynes — anteponeva quelli di Pareto, von Mises e Wicksteed. In
Di chi la colpa della grande crisi? E la via di uscita Robbins, nei cui
riguardi i liberisti italiani dimostravano una speciale venerazione,
affermava che dopo la guerra « il raggruppamento delle imprese
indu- striali in consorzi, l’accresciuta forza dei sindacati
operai, il moltiplicarsi dei controlli governativi hanno creato una
struttura economica che, quale che possa essere la sua supe- riorità
etica od estetica, è certo assai meno capace di rapidi riadattamenti di
quanto lo fosse il vecchio sistema pit aperto alla concorrenza ». E
analizzando i provvedimenti dei vari governi — moneta manovrata e protezionismo
— scorgeva il pericolo di uno scivolamento verso il socialismo, in
parte già in via di realizzazione: Il carattere nettamente
socialistico della politica economica in Inghilterra, e in tutto il mondo
moderno, non è determinato dagli elementi obbiettivi della situazione, o
dal fatto che le masse abbian deciso di riorganizzare socialisticamente
la produzione. Se la politica economica ha questo carattere è perché
uomini d’intelletto e di cul- tura hanno creato la teoria socialistica e
hanno gradualmente conver- tito alle loro idee le masse ?3.
Le stesse preoccupazioni per il « socialismo di Stato » paventato dai
liberisti italiani ”* sono avvertibili nella rac- 7 L. Robbins, Di
chi la colpa della grande crisi? E la via di uscita, prefazione di L. Einaudi,
traduzione di S. Fenoaltea, Torino, Einaudi, 1935 (ediz. originale 1934,
col titolo The Great Depression), pp. 10, 80, 219. Fenoaltea scriveva
all’editore di aver fatto rivedere la traduzione da Luigi Einaudi, e di
aver proposto l’opera « per il desiderio, e quasi per il dovere morale,
che sentivo di far conoscere agli italiani questo libro cosi bello, cosî
coraggioso, e così necessario » (AE, Fenoaltea). Su Robbins cfr. in
italiano C. Napoleoni, I/ pensiero economico del ’900, Torino, Einaudi,
1976, pp. 35-43, e l’introduzione di V. Malagola Anziani a L. Robbins, La
base economica dei conflitti di classe, Firenze, La Nuova Italia,
1980. 74 Il 13 aprile 1934 Vittorio Racca scriveva dagli Stati
Uniti a Luigi Einaudi che « nelle riforme rivoluzionarie presidenziali
americane si fa macchina indietro a tutto spiano; il paese, sia perchè
vede che la recovery sta venendo in modo indiscutibile, sia perchè, come
conse- guenza di ciò, si rifà coraggio, sia perchè si vede che quelle
riforme ritardano, invece di favorire il ritorno della vita normale, non
ne vuole più sapere di socialismo di Stato » (AFE, Racca). Già il
discorso del 1° 226 Le origini della casa editrice
Einaudi colta di saggi degli economisti di Harvard su I/ piano
Roo- sevelt: gli autori, pur dichiarandosi « ben lungi dal credere
che l’individualismo del secolo decimonono rappresenti l’apice della
perfezione per tutti i tempi », si mostrano con- trari all’ingerenza
della politica nell'economia e favorevoli a un laissez faire corretto in
modo tale da impedire lo sfrut- tamento dell’uomo sull’uomo senza cadere
nella soluzione socialista. Mentre per Joseph A. Schumpeter « l’unico
carat- tere distintivo della presente crisi mondiale [...] è il fatto
che i motivi extra-economici recitano la parte principale del dramma »,
Overton H. Taylor, trattando esplicitamente del « conflitto fra economia
e politica », sostiene che « l’inte- resse economico effettivo di ogni
gruppo o frazione di po- polo dev'essere riposto in una generale rinunzia
o severissi- ma limitazione della “legislazione di classe” e della
lotta per il potere e l’avvantaggiamento relativo, che vi sta alla
base, salvo che qualche gruppo o classe possa realmente sperare di
condurre a compimento una soluzione sociale secondo il modello marzistico
»; tutto il suo ragionamento è cosi indirizzato a chiedere il
ristabilimento dell’economia di mercato e a confutare i « nuovi radicali
», privi di quel « realismo economico » il quale « deve riconoscere
che, nella nostra presente situazione, l’interesse comune a una
generale ripresa degli affari onesti, dell’agricoltura e del-
l’occupazione operaia è massimamente minacciato dalla stra- tegia del
potere e delle illusioni economiche delle classi mal- contente » *
Il giudizio sul New Deal non è sostanzialmente modifi- cato da
alcune note informative sulle riviste einaudiane o dal reportage
giornalistico di Amerigo Ruggiero *, né dalla novembre 1934 in cui
il segretario di Stato Cordell Hull si dichiarava disposto ad abbassare i
dazi doganali, era salutato come L'atto di contri- zione degli Stati
Uniti (« La Riforma sociale », XLI (1934), pp. 691-696). 7 J.A.
Schumpeter, E. Chamberin, E. S. Mason, D. V. Brown, S.E. Harris, W.W.
Leontiefi, O.H. Taylor, Il piano Roosevelt, traduzione di Mario De
Bernardi, Torino, Einaudi, 1935 (ediz. originale 1934), pp. 12, 27, 144,
150, 153. 76 Cfr. M. Einaudi, Dopo un anno di governo di Roosevelt,
«La Cultura », XIII (1934), pp. 66-67; V. Racca, Il «New Deal» roosevel-
tiano: in che consiste, e Il «New Dedl» rooseveltiano: gli effetti, in
«La Riforma sociale », XLI (1934), pp. 402-418, 555-573; A. Rug-
227 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
stessa pubblicazione di due opere di Henry A. Wallace, ministro
dell’agricoltura dell’amministrazione Roosevelt, che pur dimostrano un
intento informativo da parte della casa editrice. Presentando Che cosa
vuole l'America? — libro nel quale Mussolini vide la conferma che anche
gli Stati Uniti andavano « verso l’economia corporativa » —, Luigi
Einaudi riconosceva per la prima volta che « il New Deal in fondo è un
nobile tentativo di far qualcosa, non perché si sappia che quel qualcosa
sarà fecondo di risultati vantaggiosi, ma perché urge il dovere di
lottare contro la disperazione, di infondere coraggio, di impedire che
milioni di uomini si rivoltino contro la società e distruggano,
nel- l’impeto dell’ira, il risultato di tre secoli di sforzo labo-
rioso »; ma si premurava al tempo stesso di mettere in evi- denza la «
grande illusione » di Wallace 7, un « liberista » costretto dalla realtà
della crisi ad ammettere il controllo statale sull'economia, nella
speranza che la nuova epoca si persuadesse che « l’umanità possiede oggi
tanta potenza mentale e spirituale e tanto dominio sulla natura da
togliere per sempre ogni valore alla teoria della lotta per la vita
e sostituirla con la legge più alta della cooperazione ». Wal. lace
appariva infatti combattuto fra le necessità del mo- mento e le prospettive
di più lungo periodo, prestandosi quindi anche a una lettura non distante
dalla posizione dei liberisti italiani, preoccupati pur sempre delle
tendenze monopolistiche del capitalismo contemporaneo: poiché l’an-
tico sistema, affermava Wallace, « era il prodotto di un’avi- dità e di
un opportunismo sfrenati », siamo stati costretti per forza a
pensare in termini non di produ- zione e di commercio liberi, ma di
produzione e di commercio pro- grammati dentro e tra le nazioni. Il
rifiuto di Adam Smith a trac- ciare meschine piccole linee locali di
confine attorno ai concetti di giero, L’America al bivio, Torino,
Einaudi, 1934. Ruggiero pubblicherà nel 1937 presso Treves un volume
sugli Italiani in America, lodato da «Gerarchia » perchè metteva in
risalto «la grandiosa opera di va- lorizzazione dell’Italia intrapresa
dal Fascismo » (XVII (1937), p. 222). TT H.A. Wallace, Che cosa vuole
l’America?, introduzione di L. Einaudi, Torino, Einaudi, 1934 (ediz.
originale 1934), p. 25 (Einaudi dichiara di averlo tradotto lui stesso:
p. 12); L. Einaudi, La grande illusione di Wallace, in «La Cultura »,
XIII (1934), pp. 96-98. 228 Le origini della casa
editrice Einaudi commercio e di civiltà può tuttavia ancora adesso
giustamente inco- raggiare le menti ed i cuori a compiere sforzi più
grandi. Un popolo libero sente vivacemente il dolore del
nazionalismo, cioè del protezionismo e dell’isolamento economico
*. An- che in Nuovi orizzonti, in cui pur si vide la proposizione
di un programma « sostanzialmente identico al sistema corpo- rativo
italiano » ?, Wallace osservava la necessità di « con- troliare quella
parte del nostro individualismo che produce l’anarchia e la miseria
diffusa », assicurando che « affidarsi a simili espedienti di
redistribuzione del reddito e delle possibilità, non ci fa cadere nel
socialismo e nel comunismo. E nemmeno costituisce il metodo dei pirati
capitalistici della scuola economica neomanchesteriana »; ma
affermava anche la temporaneità dei centrolli statali
sull'economia, per concludere con una proposta conforme agli ideali
del New Deal, ma difficilmente assimilabile a quelli del corpo-
rativismo: La democrazia economica dovrebbe forse create i freni e
i mezzi d’equilibrio che caratterizzano la democrazia politica, ma essa
deve anche porre l’accento su un pronto ed attivo apprezzamento
delle relazioni economiche mutevoli. La democrazia economica deve
tro- varsi in posizione tale da resistere a sconsiderate pressioni politiche.
Al tempo stesso, essa deve effettivamente rispondere ed essere pron-
tamente ben disposta verso le necessità urgenti del popolo da cui sgorga
il potere. La proposta da parte di Luigi Einaudi — che pur
si preoccupava di premettervi sue « avvertenze » — di testi che non
riflettevano soltanto le opinioni di liberisti, ma erano passibili anche
di una lettura in senso corporativista, 78 H.A. Wallace, Che cosa
vuole l’America?, cit., pp. 75, 100. F. Gazzetti osservava che «il
lettore fascista avrà modo leggendo il libro di vedere che le più
indovinate istituzioni americane sono state imitate da analoghe
iniziative del Regime, persino le migrazioni interne!» {« Bibliografia
fascista », X (1935), p. 495). 79 Cfr. la recensione di E. Corbino
in «Nuova rivista storica », XIX (1935), p. 292. 80 H.A.
Wallace, Nuovi orizzonti, traduzione di M. De Bernardi, Torino, Einaudi,
1935 (ediz. originale 1934, col titolo New Frontiers) pp. 25, 30,
244-245. 229 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali è indice della consapevolezza che il dibattito
mondiale sulla crisi stava assumendo negli anni ’30 tendenze sempre
pit decisamente anticapitalistiche, che in Italia avevano un
qualche riscontro nelle tesi del « corporativismo di sini- stra » e
dell’« economia programmatica », che ai suoi occhi apparivano, in quanto
statalistiche, pericolosamente otien- tate verso il socialismo *. Di qui
la presentazione, accanto a Wallace, di un autore « moderato » come
Arthur C. Pigou, che quanto meno salvasse l’essenza del capitalismo
e desse garanzie in senso antisocialista. In Capitalismo e socialismo il
successore di Marshall nella cattedra di Cam- bridge, al termine
dell’analisi di pregi e difetti dei due sistemi economici, proponeva di
mantenere « la struttura generale del capitalismo » modificandola però
gradualmente con interventi statali al fine di « ridurre le
diseguaglianze più gravi nelle fortune e nelle occasioni di avanzamento
che offendono la nostra presente civiltà » : la proposta non era
certo tale da riscuotere pienamente le simpatie di Einaudi, per il quale
Pigou « oggi sarebbe un “New Dealer” roose- veltiano negli Stati Uniti o
un corporativista in Italia », e appariva ingenuo nell’assumere « come
verità sacrosante le favole raccontate e rammostrate dai comunisti russi,
consu- matissimi mistificatori, ai coniugi Webb, che sono forse
stati nel campo scientifico la conquista più preziosa dei bolscevichi » —
l’allusione era alla celebre opera sull’URSS che nel 1938 la casa
editrice si rifiutò di tradurre —; ma l'intervento dell’economista
inglese si giustificava come solido argine nei confronti dei detrattori
del capitalismo: « gli studenti di Cambridge — affermava infatti
Einaudi —-, sceltissimo fiore del paese reputato il più aristocratico
del mondo, affettano oggi quasi tutti di essere comunisti. Il libretto di
Pigou è una doccia fredda per codesti puri con- sequenziarii » ®.
81 Cfr. L. Dal Pane, Commemorazione di Luigi Finaudi, cit., p.
312. 82 A.C. Pigou, Capitalismo e socialismo. Critica dei due
sistemi, tra- duzione di G. Borsa, Torino, Einaudi, 1939 (ediz. originale
1937), pp. 137-138. 83 Ibidem, pp. 2-4 (Avvertenza di L.
Einaudi). La traduzione dell’ opera dei Webb, lodata da Umberto Calosso
su « Giustizia e Libertà » 230 Le origini della casa
editrice Einaudi Destinata a una maggiore risonanza e a ricevere
il plauso dei recensori fascisti era la critica severa della società
sovie- tica svolta da William H. Chamberlin in L'età del ferro
della Russia, dove il titolo stava a indicare il periodo del primo piano
quinquennale ma anche i metodi ferrei con cui era stato condotto. « Il
libro è stato scritto prima delle recenti manifestazioni di terrorismo
all’interno e di aiuto dato all’estero ai movimenti sovvertitori
dell’ordine so- ciale — avvertiva nel 1937, nel corso della guerra di
Spa- gna, l'editore italiano — [...]. Ma la potente analisi, tanto
più spietata quanto più obbiettivamente contenuta, dell’ab- brutimento
spirituale della Russia comunista, giustifica la resistenza che l'Europa
oppone vittoriosamente alla propa- gazione del bolscevismo ». Con uno
stile vivacissimo e con frequenti — ma scontati e logori — raffronti fra
Stalin e Pietro il Grande, l’autore non si limitava a illustrare il pro-
cesso di industrializzazione dell'URSS, ma dedicava ampio spazio al
soffocamento delle libertà personali, civili e reli- giose, da parte
dell’« autocrate della repubblica rossa », un paese in cui si poteva
notare « il realizzarsi di una teoria fanatica che arreca grandi
mutamenti di vita e di pensiero ed al tempo stesso condanna alla
distruzione milioni di avversari », 0 « il risorgere in nuove forme, e
sotto la ma- schera di frasi nuove, di tipiche antiche concezioni
russe come il diritto assoluto dello stato a servirsi degli
individui e distruggerli, se cosî vuole, per il raggiungimento dei
suoi scopi ». E ciò senza che si fossero raggiunti apprezzabili
risultati dal punto di vista economico, perché, « se con il grano, il
caffè e il cotone distrutti si potrebbe idealmente formare una montagna
come monumento alle follie e alle debolezze del capitalismo, una montagna
non meno grande si potrebbe innalzare nell’URSS con tutte le merci che
sono state sprecate e distrutte non volontariamente, ma per effetto
di incuria e di inefficienza proprio quando la man- canza di viveri si
faceva più acutamente sentire ». Di qui (7 febbraio 1936), era
stata consigliata da Alessandro Schiavi a Giulio Finaudi, che il 18
febbraio 1938 gli rispondeva: « Ma non Le pare che gli Autori prendano
troppo sul serio l’economia programmatica dei Sovieti? » (AE,
Schiavi). 231 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali l'insegnamento di carattere generale che da questo,
come da altri volumi della collana, poteva trarre il lettore: «
L’esperimento russo ha dimostrato all’evidenza che l’eco- nomia
programmatica non è una panacea, che nel funziona- mento di un sistema
economico strettamente centralizzato e controllato dallo stato possono
verificarsi errori non meno disastrosi delle deficienze e degli attriti
di un sistema che funzioni senza il beneficio di un piano » *. Un
giudizio che, se non poteva incontrare la piena approvazione dei
liberisti, poneva sul tappeto un quesito al quale i corporativisti
af- fermavano di aver già risposto, ma che al tempo stesso era
riformulato come ancora irrisolto dalla rivista di Codignola « Civiltà
moderna », secondo la quale « resta uno dei pro- blemi fondamentali del
regime sovietico quello di trovare quanto individualismo sia necessario
pel funzionamento d’un sistema collettivista, cosî come in altri paesi il
pro- blema è quello di trovare quanto controllo collettivo debba
istituirsi per far bene funzionare un sistema individuali- sta! » ®.
i Il quesito verrà riproposto, addirittura con alcuni arre-
tramenti teorici in senso liberista, nei volumi di economia pubblicati
dalla casa editrice nel 1945-46. Non è quindi da stupirsi che nel 1944,
dopo la caduta di Mussolini, appa- risse come ultimo titolo dei «
Problemi contemporanei » curati da Luigi Einaudi un altro volume di
Robbins, Le cause economiche della guerra, dove, più che la critica
3 W.H. Chamberlin, L'età del ferro in Russia, traduzione di S.
Fenoaltea, Torino, Einaudi, 1937 (ediz. originale 1934), pp. 11-12, 21,
74, 76. « L'entusiasmo è un po’ gonfiato a causa delle circostanze, ma in
fondo il libro si meritava una buona accoglienza », scriveva l’editore a
Fenoaltea il 16 febbraio 1937 (AE, Fenoaltea). Chamberlin pubblicò anche,
nel 1937, Collectivism, a False Utopia. 85 Recensione di A.
Rapisardi Mirabelli, in «Civiltà moderna », IX (1937), p. 444. Per Felice
Battaglia il libro mostrava « l’organiz- zazione concreta, in atto, del
regime, la vita dolorosa di un popolo, che ignora ogni attributo della
persona e si consuma in un tono assai basso di esistenza economica e
morale, senza neppure supporre che altri possa realizzare forme più
soddisfacenti » (« Rivista storica italiana », s. V, I (1936), p. 103);
«libro di informazione onesta, spassionata », retto dall'idea che « alla
dinastia degli zar sia subentrata una dinastia di fanatici sacerdoti
marxisti», appariva al «Meridiano di Roma» (II, 24 gennaio 1937). .
232 Le origini della casa editrice Einaudi
svolta dall’autore nei confronti della teoria leninista dell’im-
perialismo e la sua proposta degli Stati Uniti d'Europa in quanto « non
il capitalismo, ma l’organizzazione politica anarchica del mondo è il
male principale della nostra civil- tà », interessa l’avvertenza
dell’editore, che in Robbins vedeva l’esponente di quelle forze politiche
e culturali « che intendono superare gli inconvenienti e le
deficienze della moderna civiltà capitalistica senza apportare
nessuna vera trasformazione strutturale, nessuna modificazione pro-
fonda e rivoluzionaria all’attuale organizzazione sociale »; e, nella
preoccupazione per il futuro, il lettore era invitato a « giudicare ogni
forma di riformismo e la validità degli apporti, che possono ancora offrire
le forze conservatrici nel nuovo mondo che si prepara » *.
Mentre, nonostante questi limiti, nei testi dedicati agli aspetti
internazionali della crisi poteva passare una polemica indiretta nei
confronti della politica economica del regime, nei volumi della collana
che affrontano i problemi econo- mici italiani è avvertibile, nel
migliore dei casi, una cautela dettata dal timore della censura fascista.
Già il 28 marzo 1931, scrivendo a Luigi Einaudi a proposito dei tagli
rite- nuti necessari per un suo articolo, Edoardo Giretti affer-
mava che « è molto mortificante di non sapere più quello che si può dire
e quello che invece bisogna tacere; ma d’al- tra parte è anche
giustissima la preoccupazione di conser- varci il mezzo di poter dire alcune
delle cose che si pen- sano e che, forse, è ancora utile di far conoscere
intorno a noi ». Sempre Giretti, parlando del volume scritto in
colla- borazione col nipote Luciano su Il protezionismo e la crisi,
che esprimeva giudizi sulla politica economica del regime, scriveva di
aver « già fatto il possibile per non dire niente di più di quello che
oggi si può dire, ma vi è sempre il peri- 86 L. Robbins, Le cause
economiche della guerra, traduzione di E. Rossi, Torino, Einaudi, 1944
(ediz. originale 1939), p. 95. Il libro era stato proposto all’editore da
Ernesto Rossi il 1° luglio 1942 (AE, Rossi). «È meraviglioso vedere come
le menti degli economisti liberali inglesi siano aperte alle idee
fondamentali del fascismo », come il corporativismo e il concetto dell’«
ordine nuovo europeo antisovietico », affermerà f. p. [Felice Platone]
recensendo il libro su « Rinascita » (II (1945), p. 191).
233 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
colo di non dimostrarsi abbastanza... reticenti » ”. Tutta- via, proprio
questo volume è fra i più coraggiosi nella pole- mica: svolgeva, con
frequenti citazioni da La condotta e gli effetti sociali della guerra
italiana di Luigi Einaudi, una dura critica dei provvedimenti
protezionistici, lodando le « coraggiose riforme » in senso liberista di
De Stefani, il cui abbandono veniva giustificato con le « difficoltà
inerenti al generale disordine delle relazioni internazionali, ed ai
con- trasti tosto abilmente suscitati dai gruppi organizzati per la
difesa dei loro particolari interessi minacciati ». Ma os- servava che
l’isolamento economico, se poteva non danneg- giare paesi con ampio
mercato interno, era un « assurdo » per l’Italia; in particolare Luciano
Giretti, dopo aver affer- mato che « il raggiungimento dell’autarchia,
portando natu- ralmente con sé la riduzione a zero delle esportazioni,
fa- rebbe incontrare enormi perdite agli interessi produttivi
dipendenti dai mercati mondiali », sosteneva la necessità di tornare al
liberismo, pur con tutti i suoi limiti *. Polemico era anche il volume di
De Viti De Marco che sosteneva l’erroneità della teoria secondo la quale
la banca crea cre- dito, lodato da Einaudi che notava come « su questa
teo- ria, se ben si rifletta, riposano quasi tutte le modernissime
proposte le quali vorrebbero che la banca fosse la suprema regolatrice
del credito e della attività industriale, la leva necessaria per risanare
le crisi e far uscire il mondo dalla depressione » ® In altri
volumi, invece, il giudizio sulla politica econo- 87 AFE, E.
Giretti (lettere del 28 marzo 1931 e del 14 ottobre 1934). 88 E. e
L. Giretti, Il protezionismo e la crisi, Torino, Einaudi, 1935, pp.
54-55, 77, 143; era necessario, si afferma, « tornare a quel libero scam-
bio che, se non rende possibile un alto tenor di vita in un paese, dove
le risorse naturali sono misere, il lavoro poco produttivo e gli impren-
ditori poco geniali; se non impedisce il triste fenomeno della disoccu-
pazione dovuta alle oscillazioni del ciclo economico; se non porta infine
alla prosperità un popolo che per varie ragioni non può ottenerla, va
almeno esente da tutti i mali che della protezione sono caratteristici,
ed ha tuttavia influsso benefico nel far sf che ognuno sfrutti nel migliore
dei modi il proprio lavoro, ottenendo la massima quantità di beni in
cambio di quelli che egli stesso ha prodotto» (pp. 163-164). 8 A.
De Viti De Marco, La funzione della banca. Introduzione allo studio dei
problemi monetari e bancari contemporanei, Torino, Einaudi, 1934;
recensione di L. Einaudi ne «La Cultura », XIII (1934), p. 136.
234 Le origini della casa editrice Einaudî mica del
regime risulta più favorevole di quanto ci si sa- rebbe immaginato sulla
base dell’impostazione liberista della collana. Alcuni si presentano come
contributi alla solu- zione di problemi economici concreti, come La
questione petrolifera italiana (1937) di Cesare Alimenti, che pur
so- stiene l’insufficienza dell’autarchia basata sull’uso dei suc-
cedanei del petrolio, o L'agricoltura italiana e l’autarchia (1938) il
cui autore, il senatore Arturo Marescalchi, già sottosegretario
all’agricoltura dal 1929 al 1935, espone una serie di consigli pratici
per obbedire all’invito all’autar- chia alimentare rivolto da Mussolini nel
discorso alle Cor- porazioni del 15 maggio 1937 ”. Meritevole di un
premio dell’Accademia d’Italia è il volume sulle Sanzioni di Luigi
Federici, teso a dimostrare che « la unità di spirito di idee di volontà
che oggi noi possiamo vantare è — assieme al- l’ordinamento corporativo —
la migliore forza posta al ser- vizio del paese per realizzare l’unità di
azione necessaria per resistere e per spezzare il blocco » ”. Comprensivo
verso i provvedimenti governativi culminati nella istituzione del-
l’IRI si dimostra lo stesso Cabiati, osservando che « quando le classi
industriali agricole e finanziarie di un paese recla- mano ad ogni
difficoltà l’aiuto dello stato, è logico che que- sto, per ben
amministrare il danaro pubblico, imponga loro la sua tutela e la sua
sorveglianza » ”. E fino ad un’esalta- % Il 10 febbraio 1938
l’editore, annunciando a Marescalchi che il suo volume era pronto,
scriveva: « Ho pensato che il volume potrebbe essere distribuito, a cura
del Ministero dell’Agricoltura, alle Cattedre Ambu- lanti, Scuole
agricole, biblioteche provinciali, ecc.» (AE, Marescalchi). 91 L.
Federici, Sanzioni, Torino, Einaudi, 1935 (II ediz. 1936), p. 12; il 19
ottobre 1935 l’autore scriveva a Luigi Einaudi che avrebbe redatto il
volumetto «secondo lo schema da Lei suggeritomi» (AFE, Federici).
Federici, già allievo di Einaudi, era responsabile della pagina
finanziaria de « L’Ambrosiano ». 9 A. Cabiati, Crisi del liberismo
o errori di uomini?, cit., p. 173; dando notizia di un altro lavoro di
Cabiati (Il finanziamento di una grande guerra, cit.), Luigi Einaudi
affermava che l’autore «ammira la teoria germanica odierna, per cui la
finanza è subordinata alla guerra ed il ministro delle finanze non fa
neppure più parte del Comitato della politica economica; ma pone le
condizioni ed i limiti dello sforzo che il paese può sostenere per la
condotta della guerra. La teoria cosî continua- mente si rinnova, ma non
rinnega, pure perfezionandole e adattandole alle nuove esperienze, le
verità antiche » (« Rivista di storia economica », VI (1941), p.
146). 235 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali zione retorica della politica economica del regime
si spin- geva Franco Ballarini, che non si limitava a lodare il di-
scorso di Pesaro e tutta la politica monetaria del governo o
l’istituzione dell’IRI, ma arrivava ad affermare che « in un mondo
brancolante fra puro comunismo alla russa, super- capitalismo dei trusts
o cartelli privati e capitalismo di Stato, la luce venne dall’Italia. Si
chiamò corporativi- smo »”. Ancora più concretamente Francesco Repaci,
uno dei più fedeli collaboratori di Luigi Einaudi, lodava il rior-
dinamento della finanza locale attuato con il testo unico del 1931 e con
la legge comunale e provinciale del 3 marzo 1934, specificando che la
riduzione del 12% sulle retribu- zioni del personale era stato « elemento
idoneo a miglio- rare la situazione finanziaria degli enti locali »
*. La collana non si limitò quindi a una funzione di
orientamento teorico generale, ma svolse anche una serie di interventi su
temi concreti, negando quello che era stato un presupposto originario del
suo ispiratore. Nel 1942, presentando l’Introduzione alla politica
economica di Co- stantino Bresciani Turroni — che dopo la
Liberazione avrà anch’egli un ruolo rilevante, come presidente del
Banco di Roma —, Luigi Einaudi riconoscerà infatti che, dopo avere
lungamente creduto anch’io che ufficio dell’economista non fosse di porre
i fini al legislatore, bensi quello di ricordare, come lo schiavo assiso
sul carro del trionfatore, che la Rupe Tarpea è vicina al Campidoglio,
che cioè, qualunque sia il fine perseguito dal politico, i mezzi
adoperati debbono essere sufficienti e congrui; oggi dubito e forse
finirò col concludere che l'economista non possa distinguere il suo
ufficio di critico dei mezzi da quello di dichiara- 9 F.
Ballarini, Dal liberalismo al corporativismo, Torino, Einaudi, 1935, p.
131. A Marco Fanno, giudicato da Giuseppe Bruguier molto vicino all’ideologia
corporativa (I/ corporativismo e gli economisti italiani, Firenze,
Sansoni, 1936, pp. 57-59), e autore de I trasferimenti anormali dei
capitali e le crisi (Torino, Einaudi, 1935), Luigi Einaudi chiese di
scrivere «un volumetto di Economia Corporativa » (AFE, Fanno, 30 luglio
1934). % F.A. Repaci, Le finanze dei comuni, delle provincie e
degli enti corporativi, Torino, Einaudi, 1936, p. 61. Come
giustificazione dell’in- tervento italiano in guerra fu apprezzato dalla
stampa fascista B. Minoletti, la marina mercantile e la seconda guerra
mondiale, Torino, Einaudi, (na i Venta fascista », XIX (1940), p. 14, e
«Leonardo», XII 1941), p. 62). 236 Le
origini della casa editrice Einaudi tore di fini; che lo studio
dei fini faccia parte della scienza allo stesso titolo dello studio
dei mezzi, al quale gli economisti si restrin- 5 gono
9. La collana da lui diretta fino al 1944, se non giunse a «
porte i fini al legislatore », in alcuni casi si fece portavoce di
quest’ultimo. Ma la situazione cambierà drasticamente un anno dopo.
Nell’ottobre del 1945, dal suo posto di governatore della Banca d’Italia,
Luigi Einaudi proporrà al figlio di pubblicare una serie di volumi sui «
Problemi ita- liani » scritti « nel modo pi oggettivo possibile » —
con l’aiuto, per la raccolta dei dati, dell'Ufficio Studi della
Banca — da autori di orientamento liberista, sotto la super- visione di
Bresciani Turroni. Ma il nuovo indirizzo della casa editrice, che pur
dimostrerà una certa fatica a supe- rare l'impostazione originaria sui
problemi economici, non poteva più accettare le proposte di Luigi
Einaudi: trince- randosi dietro il rifiuto dell’« obiettività » — che i
liberisti non avevano certo rispettato — il consiglio editoriale
gli rispose che intendeva « presentare al pubblico italiano non
soltanto un materiale di studio e di lavoro, ma anche un’opi- nione ben
definita, un orientamento costruttivo. Vogliamo quindi che l’aspetto
strettamente economico di un proble- ma non sia scisso dal suo aspetto
politico: perciò, se chie- diamo all’autore serietà e obiettività di
documentazione, gli chiediamo anche di indicare la sua soluzione
politica, che sarà proposta alla libera discussione del pubblico »
*. E nella collana « Problemi italiani » appariranno i volumi di
Dorso, Grifone, Sereni e Grieco. # C. Bresciani-Turroni,
Introduzione alla politica economica, prefa- zione di L. Einaudi, Torino,
Einaudi, 1942, pp. 15-16. A difesa del liberismo di Bresciani Turroni, e
in polemica con un articolo di Guido Carli su «Civiltà fascista », cfr.
anche L. Einaudi, Economia di mercato e capitalista servo sciocco, in
«Rivista di storia economica», VIII (1943), pp. 38-46. Su Bresciani
Turroni cfr. la voce di Amedeo Gambino in Dizionario biografico degli
italiani, vol. XIV, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,
1972. 9% Lettera di Luigi Einaudi a Giulio del 31 ottobre 1945, e
risposta a Luigi Einaudi del 7 novembre 1945 (AE, L. Einaudi).
237 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
4. « La Cultura » e la tradizione gobettiana Le firme dei
liberisti — da Luigi a Mario Einaudi, a Cabiati, Giretti e De Bernardi —
compaiono anche su « La Cultura », a segnalare i volumi della collana «
Pro- blemi contemporanei », ma non sono tali da caratterizzare la
rivista, centro di esperienze culturali più avanzate, che ritroveremo in
altre collane della casa editrice. Quando appare nel 1934 per i tipi di
Giulio Einaudi, « La Cultura » si presenta completamente rinnovata
rispetto alla serie di Cesare De Lollis e a quella che le era succeduta
dal 1929 al 1933, con Ferdinando Neri e Arrigo Cajumi: nuova nella
veste tipografica, vede alternarsi nel suo comitato direttivo, accanto a
Cajumi e Pavese, Sergio Solmi, Franco Antoni- celli, Bruno Migliorini,
Pietro Paolo Trompeo, Vittorio Santoli e Norberto Bobbio, a dimostrazione
di un legame anche fisico con la precedente tradizione della rivista
ma, al tempo stesso, della volontà di un cambiamento non solo generazionale.
Mentre scompaiono molti collaboratori di De Lollis, assorbiti dalle
iniziative culturali del regime — pensiamo ad esempio ad Alberto
Pincherle, Giorgio Levi Della Vida, Guido Calogero, Umberto Bosco o
Felice Bat- taglia, impegnati da Gentile nell’Enciclopedia italiana
—, fra i nuovi appaiono vari allievi, al liceo D'Azeglio, di
Augusto Monti, Zino Zini e Umberto Cosmo, che si rial- lacciano per
questa via alla tradizione gobettiana, rivissuta politicamente, da
alcuni, nella militanza tra le file di Giu- stizia e Libertà”.
Novità si registrano anche nei contenuti — non più % Il 27
luglio 1935, riferendo al Ministero dell’interno sugli arresti del gruppo
einaudiano come aderente a Giustizia e Libertà, il prefetto di Torino
scriveva: «Detta setta si serviva a Torino dell’attività della “Casa
Editrice Einaudi” la quale segnatamente con la pubblicazione della
rivista pseudo letteraria “La Cultura” era riuscita a riunire una cerchia
di intellettuali e di antifascisti ed a servirsi di redattori e collabotatori
in maggior parte ostili al Regime Fascista e noti per aver svolto in pas-
sato attiva propaganda contro il Fascismo »; e aggiungeva che Giulio
Einaudi, « all’atto del suo arresto, non esitò a riconoscere la
polarizza- zione intorno alla rivista ‘La Cultura’ di tutto il cosidetto
ambiente antifascista torinese» (ACS, Casellario politico centrale, b.
1877, fasc. 52997). 238 Le origini della casa
editrice Einaudi dibattiti sulla scuola o sulla religione, meno
filosofia e più storia, interesse per i problemi contemporanei * —,
pur nella continuità col passato, quale si manifesta nell’apertura
europea — con una particolare attenzione per la cultura francese — e in
una certa oscillazione fra crocianesimo e anticrocianesimo, anche se
quest’ultimo fu presente in mi- sura maggiore. L’idealismo dei
collaboratori della rivista einaudiana, infatti, « conobbe sfumature
molto particolari, si atteggiò in forme proprie, cercò sempre, pit o meno
luci- damente, il contatto con esperienze diverse » ”. Pi accen-
tuata che nella critica estetica di De Lollis è, ad esempio, l’attenzione
per il metodo filologico e per la collocazione del letterato nel suo
tempo, come risulta dalle recensioni di Cajumi, di Santoli o di Piero Treves
!®. E decisamente anticrociano è il direttore effettivo della rivista,
Cajumi, che nel 1934 si scaglia con virulenza contro la critica
idealistica rappresentata dai volumi laterziani di Luigi Russo,
Elogio della polemica e Giovanni Verga, richiamandosi alla batta-
glia contro la « critica filosofica » già condotta nel 1910 da
erra: Fierissimi avversari del cattolicesimo temporale e delle sue
pre- tese (tanto da assumere lo stesso tono stizzoso dei contradditori),
ma conservatori con un soupgon di nazionalismo; riformatori per
inse diar la loro filosofia nella scuola, ma poi estraniati dalla
rivoluzione 98 Mario Praz, fedele agli interessi prevalentemente
letterari della vecchia serie della rivista, il 1° febbraio 1934
annunciava le sue dimissioni da condirettore a Cajumi, che gli aveva
indicato le novità della serie einaudiana: «Rivista mensile su due
colonne, tipo Economist, articoli brevi ed attuali » (AE, Praz). Il 23
gennaio 1935 l’editore scriveva a Cabiati: «mi permetto di ricordarLe l’articolo
sul piano Roosevelt. E cosi ci tireremmo un po’ fuori ogni tanto dalla
solita zuppa di critica rita ed estetica di cui il pubblico non vuol più
saperne » (AE, abiati). 9 G. Sasso, La « Cultura »
nella storia della cultura italiana, in «La Cultura », XIV (1976) (numero
speciale « Per i 70 anni di Guido Calo- gero »), p. 82. Un accenno a
Cajumi e ai collaboratori de « La Cultura » come «un gruppo di
intellettuali ben definito nella vita culturale ita- liana », in A.
Gramsci, Quaderni del carcere, cit., vol. II, pp. 1332-33. 100
Recensendo Saffo e Pindaro di Gennaro Perrotta pubblicato da Laterza,
Piero Treves riteneva necessario inquadrare i poeti nel loro tempo:
«Qualcosa, dunque, vi è, in un poeta, oltre la sua poesia, che vale e che
dura quanto e come la sua poesia » (Storia e poesia nella Grecia arcaica,
in «La Cultura », XIV (1935), pp. 46-47). 239 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali in cammino; nemici
tanto del letterato puro quanto di quello politi- cante, i seguaci
dell’indirizzo propugnato dal Russo appaiono a un osservatore imparziale
un curioso impasto di contraddizioni 10, Sul piano filosofico
comincia a muoversi contro l’idea- lismo Eugenio Colorni, pur allievo del
« mistico » Marti- netti e collaboratore della « Rivista di filosofia »,
già orien- tato politicamente verso il socialismo di Lelio Basso e
di Rodolfo Morandi; la sua ricerca, incentrata intorno all’ana-
lisi del pensiero leibniziano, ha modo di esprimersi sulla rivista in
discussione con La spiritualità dell’essere e Leibniz del cattolico
Giovanni Emanuele Bariè il quale, notava Colorni, si serviva di Leibniz «
a scopi postkantiani e idealistici », accentuando « la concezione
dell’essere come spiritualità »: era invece «una violenza che il pensiero
postkantiano fa sul nostro potere d’interpretazione e di sviluppo, di
considerare tutto ciò che non è materiale nel senso comune della parola,
come necessariamente svolgen- tesi in forma di soggettività e di
pensiero. Ora, proprio la novità di Leibniz consiste nell’escludere
questa costrizione e nell’additare altre direzioni, diverse da quella
gnoseo- logica » !2, Si manifestava cosi in Colorni, come è stato
osservato, un « consapevole atto di rottura [....] nei riguardi di una
tradizione spiritualistica di cui l’idealismo fu l’ul- tima incarnazione
» !°, Non mancano, talvolta, anche dirette confutazioni della
101 A. Cajumi, La colpa è della critica?, in « La Cultura », XIII
(1934), pp. 45-47; di questo articolo, dove vedeva «la condanna sommaria
di tutto quello che si è fatto negli ultimi trent'anni », si lamentava
Russo con Finaudi il 31 maggio 1934 (AE, Russo). Sull’insufficienza del «
fiuto filosofico per separare la poesia dalla non poesia » cfr., dello
stesso Cajumi, Gustave Lanson, in «La Cultura », XIV (1935), p. 19;
contrario alla « sostituzione della critica filosofica alla storica » si
dimo- stra anche Enrico Carrara recensendo Il! Quattrocento di Vittorio
Rossi (« La Cultura », XIII (1934), p. 13). 102 E. Colorni,
Leibniz e una sua recente interpretazione, in «La Cultura », XIV (1935),
pp. 9-11. 108 Cosî N. Bobbio nell’Introduzione a E. Colorni,
Scritti, Firenze, La Nuova Italia, 1975, p. VI. Per l’attività politica
di Colorni cfr. la voce di E. Gencarelli in F. Andreucci - T. Detti, Il
movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, vol. II,
Roma, Editori Riuniti, 1976, e il profilo, non privo di accenti
agiografici, che gli ha dedicato Leo Solari, Eugenio Colorni. Ieri e
oggi, Padova, Marsilio. 1980. 240 Le origini della
casa editrice Einaud? cultura ufficiale, come quando, di fronte al
metodo attualiz- zante proposto da Gentile ne La profezia di Dante,
Um- berto Cosmo — il docente torinese che nel 1926 era stato
costretto a dimettersi dall’insegnamento per l’« incompati- bilità » fra
il suo pensiero e la politica del regime — osser- vava che « chi voglia
comprendere Dante nella sua inte- rezza discorderà probabilmente da
cotesti criteri », perché « l’infinità dello Stato, la potenza sua
illimitata mi paiono concetti moderni che il teologo Dante non poteva
formulare a se stesso » !*. Ma la più evidente linea distintiva
della rivista dalla cultura del regime, cosi come da Croce, è
ravvi- sabile nel netto richiamo ai valori dell’illuminismo negati
dal pensiero idealistico, e rimasti ai margini anche dell’inte- resse de
« La Cultura » di De Lollis. Se ne fanno interpreti soprattutto, oltre al
Antonello Gerbi !5, Cajumi e Salvato- relli, anche se con accenti molto
diversi. Per Cajumi la rivalutazione del ’700 doveva essere fatta a spese
dell’hege- lismo e dei suoi seguaci, e ricollegando l’illuminismo
all’in- dividualismo del Rinascimento — secondo la linea interpre-
tativa esposta da Chabod nella voce IMuminismo dell’Enci- clopedia
italiana —, attraverso il tramite del libertinismo: La nuova
filosofia, sorta con facilità a cavalcioni di un positi- vismo sfiatato e
vaniloquente, giudicava e mandava dall’alto del suo tedescheggiante
idealismo, ed estranea alla cultura francese ed in- glese, contribuiva al
vituperio. Marxisteggiando, i nostri filosofi pren- devano sotto le ali
il Sorel, e covavano Bergson e Blondel. Per quei poveri sensisti ed
illuministi, che disprezzo! [...]. Il male è che un ritorno al Settecento
non può farsi senza rimandar prima in soffitta Marx, Hegel e compagnia,
castigare la democrazia, dissipar l’equi- voco di certo neoliberalismo,
non aver paura di passare per dei con- servatori e miscredenti vecchio
stampo. 14 u.c. [U. Cosmo], Le profezia di Dante, in «La Cultura»,
XIV (1935), p. 16. Sulla sua figura cfr. la testimonianza di F.
Antonicelli, Un professore antifascista: Umberto Cosmo, in AA.VV.,
Trent'anni di storia italiana (1915-1945). Lezioni con testimonianze
presentate da F. Antonicelli, Torino, Einaudi, 1975?, pp. 87-90.
105 « L'entusiasmo, la buona fede, lo zelo gioioso di quel tempo
calun- niato ci investono e sollevano », osservava Gerbi recensendo Les
origines: intellectuelles de la Révolution Frangaise di Daniel Mornet
(Idee del Set- tecento, in « La Cultura », XIII (1934), p. 41).
241 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
Ma i suoi accenti élitari si riscattavano in un sentito laicismo:
per salvare l'Europa « malata, non solo politica- mente ed economicamente,
ma, ciò ch'è più grave, nella sua cultura », era necessario identificare
le origini della sua civiltà, che erano colte, alla luce de La crise de
la con- science européenne di Paul Hazard — il volume sarà tra-
dotto dalla casa editrice nel 1946 —, nell’Umanesimo e — aggiungeva
Cajumi riecheggiando forse Gobetti — nella Riforma, dalla quale erano
sorte « la libertà di coscienza, la discussione del cristianesimo, delle
affermazioni ateistiche. Il peccato originale, l’origine unica delle
razze sono battuti in breccia; s’affaccia l’idea di progresso. La
politica si lai- cizza, e si democratizza, l’idea di Stato si disgiunge
da quella feudalisticamente monarchica. Nasce una nuova economia,
mercantile, capitalista » !”. Pi esplicita e avanzata che in Cajumi
risulta, a propo- sito dell'Illuminismo, la coniugazione di giudizio
storico e impegno civile in Salvatorelli: recensendo nel 1934 La
polemica sul Medio Evo di Giorgio Falco — ma richia- mando anche la
Philosophie der Aufklirung di Cassirer —, egli osservava che la
valorizzazione del ’700 operata da Falco si inseriva « in un processo di
pensiero in pieno corso e di importanza capitale, da cui usciranno ben
altro che semplici revisioni storiografiche e storico-filosofiche,
come ben altro che queste revisioni è uscito dalla svalutazione del
’700 proseguita dal Romanticismo in poi ». E, dopo aver ridimensionato la
funzione del Papato e dell’Impero nella storia della società medievale,
con accenti antinazi- sti — «ci si aggiungono, adesso, le strimpellature
misti- cheggianti del Sacrum Imperium (vedano, gli strimpellatori
teutonici, di accordarsi ora con l’altro misticismo razzista, quello che
fa capo a Vitichindo e a Wotan) » —, Salvato- 106 A. Cajumi, La nascita
della civiltà europea e I libertini del Seicento, in «La Cultura», XIV
(1935), pp. 41-43 e 63-67. Negli stessi anni l’opera di Hazard era
accostata da E. Cione alla Storia dell'età barocca di Croce, anche per il
suo taglio etico-politico (« La Nuova Italia », VIII (1937), pp.
121-123). Sul significato dell’opera di Hazard, che insiste sul tema
della «crisi» anche per il momento in cui fu scritta, cfr. G. Ricuperati,
Paul Hazard, in « Belfagor », XXIII (1968), pp. 585-591, 242
Le origini della casa editrice Einaudi relli indicava
lucidamente quello che poteva essere l’inse- gnamento
dell’illuminismo: chi volesse con un solo termine riassumere le
caratteristiche del per siero settecentesco, non potrebbe trovarne altro
più adatto che quello di « umanità ». Ed ecco perché, nella necessità di
un nuovo umane- simo per risolvere la crisi in cui il mondo civile si
dibatte, il pen- siero del Settecento ritorna oggi a splendere più vivo
che mai. Per fare, e non subire, la storia futura occorre giudicare
quella passata e non stenderci sopra il polverino 19. Non
meno significativo è in Salvatorelli il legame isti- tuito fra
Risorgimento e Rivoluzione francese — analogo all’interpretazione
espressa negli stessi anni da Aldo Fer- rari o da Baldo Peroni sulla «
Nuova rivista storica » —, e la demistificazione della « leggenda » di
Carlo Alberto !*: temi e giudizi che ritroveremo in alcune opere dello
stesso Salvatorelli e di altri collaboratori di Giulio Einaudi.
Attraverso il discorso culturale filtrava spesso anche un messaggio
politico, che si fa talvolta esplicito sulle pagine della rivista, ma i
cui toni pi avanzati sono di stampo liberale. Bobbio ha dato rilievo a
due articoli « feroce- mente antisoreliani » di Salvatorelli, ricordando
come Sorel fosse « uno dei numi tutelari del fascismo » !’; ma,
mentre in uno l’autore rimane sul terreno puramente culturale della
difesa dell’Illuminismo !*, solo nell’altro Salvatorelli espri-
107 L. Salvatorelli, Storiografia del Settecento, in «La Cultura », XIII
(1934), pp. 3-5. 108 Cfr. L. Salvatorelli, Napoleone, in « La
Cultura », XIII (1934), pp. 95-96, e la sua recensione a G. F.H.
Berkeley, Italy in the making 1815- 1846, in cui Salvatorelli nega
l’esistenza di una politica antiaustriaca di Carlo Alberto prima del 1845
(« La Cultura », XIII (1934), p. 131). Contrario alla tesi autoctona
delle origini del Risorgimento, ma anche a quella che ne legava la
nascita alla Rivoluzione francese, si dimostra invece Cajumi nella
recensione a H. Bédarida - P. Hazard, L’influence francaise en Italie au
dix-buitième siècle («La Cultura», XIII (1934), pp. 154-155),
10 N. Bobbio, Trent'anni di storia della cultura a Torino, cit., p.
69. 110 « Sorel è lo Spengler dell’anteguerra, e Spengler il Sorel
del dopo- guerra [...]. L'opposizione di Spengler al secolo XVIII, reo di
aver iniziato l’epoca del razionalismo, è tale e quale quella del Sorel,
per cui la dottrina del progresso, fondamentale nell’epoca
dell’enciclopedismo c dell’Aufklirung, non era se non la giustificazione
ideale di una socictà datasi tutta alla gioia di vivere, e Diderot,
Voltaire e simili non erano 244 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali me un giudizio politico attaccando
Sorel in nome di quel mondo prefascista verso il quale abbiamo visto
volgersi il rimpianto dei liberisti: Sorel infatti « non si rese mai
conto delle realtà di primaria importanza su cui giocava, degli
interessi sociali che rischiava di danneggiare, dei valori umani
fondamentali che vilipendeva. Tutto questo, in un periodo storico che
richiedeva la massima cautela per non contribuire, sia pure
involontariamente, a scuotere le fon- damenta di una civiltà grandiosa,
ma tutt’altro che conso- lidata » !!!. Un atteggiamento più arretrato,
decisamente aristocratico, manifesta Cajumi che nel 1934, in
polemica con un uomo politico non certo progressista come André
Tardieu, notava in Francia «la progressiva e trionfante sostituzione
della massa all’individuo, mediante la realizza- zione di democrazie
nazionaliste, che tendono a mettersi ognora più nelle mani dello stato,
contro la garanzia di un’assistenza economica e sociale sempre maggiore »
!. Una posizione, questa, in linea con quella già esaminata dei
liberisti; anche su « La Cultura », del resto, recensendo gli
Orientamenti di Croce del 1934 Luigi Einaudi ne acco- glieva pienamente
la « stroncatura da filosofi veri » nei con- fronti di Spengler e della
teoria marxiana della base econo- mica della società !5; e lo stesso ex
ordinovista Zino Zini, discutendo La crise européenne et la grande guerre
di Pierre Renouvin, osservava che « nell’esame delle cause è messa
abilmente in luce la sopravalutazione — diventata ormai quasi un luogo
comune — che si ha l’abitudine di fare di quelle economiche » !. Né era
segno di distinzione dal fascismo, nel 1934, la critica dell’ideologia
nazionalso- cialista, assai diffusa nelle riviste del regime, e che ne «
La Cultura » si manifesta nella stroncatura del Mein Karzpf stati
che dei buffoni della aristocrazia » (L. Salvatorelli, Spengler e Sorel,
in «La Cultura », XIV (1935), pp. 21-23, a proposito di Anzi decisivi di
Spengler pubblicato da Bompiani). Ul L. Salvatorelli, I/ mito Sorel, in «
La Cultura », XIII (1934), p. 63. 112 A. Cajumi, In punta di penna, in «
La Cultura », XIII (1934), p. 30. 113 « La Cultura », XIII (1934), pp.
68-69. 114 Z. Zini, In margine a una storia della grande guerra, in
«La Cultura », XIV (1935), pp. 26-29. Su di lui cfr., fra i vari
interventi di G. Bergami, il suo ritratto in « Belfagor», XXVII (1972),
pp. 678-703. 244 Le origini della casa editrice
Einaudi di Hitler tradotto da Bompiani — libro pieno di
contrad- dizioni e caratterizzato da una « spiccata innocenza
intel- lettuale », scriveva Salvatorelli 5 —, o nella recensione di
Luigi Emery a Friedrich der Grosse und die geistige Welt Frankreichs di
Werner Langer, in cui si metteva in evidenza come l’autore dimostrasse
l’influenza francese su Federico II di Prussia « contro l’aureola di
santone del germanesimo della quale tardi agiografi vogliono
citcon- dare lo spregiudicato Gran Re di Prussia. Dalla sua tomba
nella Garnisonkirche di Potsdam “trasse gli auspici” con rito solenne il
regime che presiede oggi alla vita della Ger- mania » 1°, Non
sarebbe comunque produttivo ricercare in riviste o volumi pubblicati
sotto il fascismo « segni » politici troppo discordanti dagli indirizzi
del regime. L’analisi deve rimanere aderente ai temi culturali, per
cogliere la manife- stazione di eventuali dissonanze o contraddizioni,
aperture ideali o non meno significativi silenzi. Per questo ci
sembra necessario soffermarci, sia pur brevemente, sul « letterato
» Pavese, che con Ginzburg fu il principale collaboratore di Giulio
Einaudi nei primi anni della sua attività editoriale e il legame pit
consistente fra « La Cultura » e le iniziative della casa editrice. Nota
è, come abbiamo visto, la mili- tanza politica di Ginzburg, che gli costò
dapprima il car- cere — dal marzo 1934 al marzo 1936 — e, dall’11
giugno 1940 al 25 luglio 1943, il confino a Pizzoli presso
L'Aquila; nonostante ciò, egli poté dedicare le sue cure, assieme a
Pavese, alla « Biblioteca di cultura storica », ai « Narra- tori
stranieri tradotti » e alla « Nuova raccolta di classici 115 «La
Cultura », XIII (1934), p. 105. 116 L. Emety, Gallicanismo di
Federico il Grande, in «La Cultura », XIII (1934), pp. 58-59; la tesi di
Langer era del resto condivisa anche da Luigi Negri sulla « Rivista
storica italiana », LII (1935), pp. 238-240. Recensendo Le civiltà
d’Italia di Giovanni Vidari, Enrico De Michelis vi notava «un eccesso di
sentimento nazionalistico », pur aggiungendo che l’opera era « ben
lontana [...] da quelle fantasie di metafisica antro- po-etnica che, dopo
un periodo di stasi apparente, son tornate oggi a predominare nella
Germania di Hitler e che purtroppo costituiscono un pericolo non lieve
per la pace e per la civiltà dell’Europa e del mondo » (« La Cultura »,
XIV (1936), p. 14). 245 Il fascismo e il consenso
degli intellettuali italiani annotati » !”. Non ci restano
tuttavia, al di là delle testimonianze, tracce consistenti della sua
attività edito- riale, che invece è maggiormente documentabile — e
fu probabilmente pi continua — per Pavese, confinato per più breve
tempo, circa un anno, a Brancaleone Calabro. Parlare di Pavese,
all’inizio degli anni ’30, significa soprattutto affrontare il suo
interesse per la letteratura americana contemporanea, individuabile nelle
traduzioni per Frassinelli e negli articoli su « La Cultura » —
soprat- tutto prima del 1934 —, e destinato a esprimersi in nuove
proposte di traduzione per la Einaudi. Il tema è stato af- frontato più
volte, ma spesso con forzature ideologiche o con una insufficiente storicizzazione,
tali da fornire un’im- magine deformata, e in genere riduttiva, della
figura di Pavese !*. La differenza tra lui e Ginzburg, sul piano
poli- tico, è marcata, e lo stesso Pavese ne era cosciente quando,
coinvolto negli arresti del 1935, preparò il suo memoriale difensivo o
scrisse dal confino ad Alberto Carocci — « Uni- co mio disinteresse — 4
aeterno e parlo colla mano sul cuore — la letteratura politica » !.
Questa affermazione, tuttavia, non può essere assolutizzata, anche se
trova con- ferma nelle più segrete pagine del diario, in cui la
politica o è assente o è rifiutata. Infatti, pur non essendo « uomo
d’azione » ‘°, già nei primi anni ’30 il suo impegno lette- rario, di
traduttore commentatore poeta, ha una trasparente carica civile, se non
propriamente politica. La scoperta della politica avverrà in lui, come in
Giaime Pintor, solo con la Resistenza, ma l’attenzione per la narrativa
americana indica da tempo il suo tentativo di uscire dagli angusti
117 Pavese appare «revisore» dei «Narratori stranieri tradotti » e dei
«libri di carattere storico-letterario », nella lettera di Giulio Einaudi
a lui del 27 aprile 1938 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, a cura di L.
Mondo, Torino, Einaudi, 1966, p. 537). 118 Tali caratteristiche
hanno, rispettivamente, i lavoti di N. Catducci, Gli intellettuali e
l'ideologia americana nell’Italia letteraria degli anni trenta, Manduria,
Lacaita, 1973, e di A. Guiducci, I{ mito Pavese, Firenze, Vallecchi,
1967. 119 Lettera del 24 ottobre 1935; cfr. anche la lettera alla
sorella del 26 luglio 1935 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit., pp. 412,
454). 120 Cfr, D. Lajolo, Il « vizio assurdo ». Storia di Cesare
Pavese, Milano, Mondadori, 1978, p. 133. 246 Le
origini della casa editrice Einaudi limiti di una cultura
nazionale provinciale e soffocante, spinto da un’« ansia di oggettività »
che è stata messa giu- stamente in evidenza, e che lo allontana
dall’ermetismo per sostanziare le poesie di Lavorare stanca della realtà
popolare e contadina delle sue valli piemontesi !!, Come
ricorderà dopo la Liberazione, la cultura americana divenne per
noi qualcosa di molto serio e prezioso, divenne una sorta di grande
laboratorio dove con altra libertà e altri mezzi si perseguiva lo stesso
compito di creare un gusto uno stile un mondo moderni che, forse con
minore immedia- tezza ma con altrettanta caparbia volontà, i migliori tra
noi perse- guivano [...]. Ci si accorse, durante quegli anni di studio,
che l’Ame- rica non era un altro paese, un z%ovo inizio della storia, ma
soltanto il gigantesco teatro dove con maggiore franchezza che altrove
veniva recitato il dramma di tutti !2. Nel modo in cui, già
nel 1930, Pavese parlava degli scrittori americani in una lettera
all'amico Chiuminatto, vi era una sorta di rovesciamento dell’ottica
nazionalistica con la quale Prezzolini spiegava Come gli americani
scopr:- rono l’Italia, e l'individuazione degli elementi del «
dram- ma » comune ', In Sherwood Anderson Pavese coglieva quella
realtà industriale che intimoriva Luigi Einaudi, «i centri fumosi e
fragorosi, fattivi e ottimisti che il mondo conosce: Cleveland,
Springfield, Detroit, Akron, Pittsburg, e, su tutti, gigantesca, la
metropoli, Chicago. Le fabbriche inghiottono tutto ». Dos Passos presenta
le contraddizioni e gli aspetti di « quotidiana tragedia » di questa
società, 121 Cfr. E. Catalano, Cesare Pavese fra politica e
ideologia, Bari, De Donato, 1976, passirmz. 122 C. Pavese,
Ieri e oggi (1947), ora in La letteratura americana e altri saggi,
Milano, Il Saggiatore, 1971, pp. 188-189. Sugli aspetti sociali del
romanzo americano cui si rivolgeva l’attenzione di Pavese cfr. S. Perosa,
Vie della narrativa americana. La «tradizione del nuovo » dal-
l’Ottocento a oggi, Torino, Einaudi, 1980, in particolare cap. VIII.
123 Cfr. la recensione di Pavese a Prezzolini ne « La Cultura »,
XIII (1934), p. 14 e la lettera di Pavese ad Antonio Chiuminatto del 5
aprile 1930: «un buon libro europeo d’oggi è, in genere, interessante e
vitale solo per la nazione che l’ha prodotto, laddove un buon libro
americano parla a una folla più vasta, scaturendo, come scaturisce, da
necessità più profonde e dicendo cose veramente nuove e non soltanto
originali, come quelle che nel migliore dei casi produciamo noi» (C.
Pavese, Lettere 1924-1944, cit., p. 190). 247
Il fascismo e il consenso degli intellettuali la « lotta ch’egli
vede combattersi con coscienza di classe, nel nostro secolo, tra lavoro e
capitale ». Attraverso Walt Whitman, « un gigante dalla camicia d’operaio
aperta al collo e dalla barba dura », un poeta che tanta fortuna
aveva avuto nei circoli socialisti, Pavese scopre che mentre
un artista europeo, un antico, sosterrà che il segreto dell’arte è di
costruire un mondo più o meno fantastico, di negare la realtà per
sostituirla con un’altra magari più significativa, un americano delle
generazioni recenti vi dirà che la sua aspirazione è tutta d' giungere
alla natura vera delle cose, di vedere le cose con occhi ver- gini, di
arrivare a quell’ultimzate grip of reality che solo è degno di esser
conosciuto !%, Cost, attraverso l'America, è possibile la
riscoperta della realtà della propria terra, espressa nel 1936
nelle poesie di Lavorare stanca. Dove era contenuto un messag- gio
di speranza immediatamente colto da una comunista torinese, con due figli
comunisti operanti nella clandestinità, Elvira Pajetta:
Credevo che la poesia fosse morta — scriveva nel 1936 al mae- stro severo
di Pavese, Augusto Monti, allora in galera —. Cosî siamo noi vecchi:
quando non sappiamo più godere pensiamo volentieri che la gioia di vivere
se ne sia partita dal mondo e quando la prosa quotidiana ha avuto ragione
di noi giuriamo tranquillamente che la poesia è defunta. Ma se il Signor
Pavese scrive dei versi, se li crede pi belli del mondo, se li stampa e
li fa leggere — è certo che ho avuto torto e son felice di ricredermi
15. 5. Storiografia e impegno civile Giulio Einaudi
seppe riprendersi abbastanza rapida- mente, non solo attraverso le
iniziative del padre, dai duri colpi inferti dal regime, nei primi due
anni di attività della casa editrice, ai suoi collaboratori e alle sue
riviste. Prima della guerra, anche se i titoli pubblicati furono
124 Cfr. C. Pavese, La letteratura americana, cit., pp. 36, 119,
121, 138, 143. 125 ACS, Casellario politico centrale, b.
3790, fasc. 121672 (Cesare Pavese). 248 Le
origini della casa editrice Einaudi pochi — ancora 8 nel 1937,
arriveranno a 16 nel 1938 e a 24 nel 1939 —, egli riusci infatti a
impostare quasi tutte le collane più importanti, che caratterizzeranno le
sue edi- zioni fin dopo la Liberazione: la « Biblioteca di cultura
storica » (1935), i « Saggi » (1937), i « Narratori stranieri tradotti »
e la « Biblioteca di cultura scientifica » (1938), i « Poeti » e la «
Nuova raccolta di classici italiani anno- tati » (1939). Nel 1941 la
rivista « La Nuova Italia », espressione della casa editrice di Ernesto
Codignola che stava prendendo sempre più le distanze dal fascismo,
poteva lodare la consorella torinese che nel giro di pochi
anni [...] ha messo fronde e radici, e saldamente stabilita nel mercato e
nel pubblico, vanta ora una varietà e una ric- chezza di iniziative
(opere di scienza, classici della nostra letteratura, una collezione
storica, una di romanzi stranieri ecc.) che tutte concor- rono ad attuare
il proposito orgoglioso di riuscire centro animatore di raccolta della
più viva giovane e consapevole cultura italiana 12%. Già prima del
1940, infatti, le pubblicazioni dell’editore torinese sono tali da
richiamare l’attenzione di intellettuali di rilievo, e da provocare in
questi significative divisioni nei giudizi, nei quali è possibile
intravedere schieramenti contrapposti non solo sul piano culturale; ed è
per questo che ci sembra opportuno dedicare largo spazio alle nume-
rose recensioni ai volumi della casa editrice. Nonostante la varietà dei
temi affrontati dimostri una ricerca di sempre nuovi spazi culturali che può
apparire talvolta confusa e tale da rischiare il pericolo
dell’eclettismo, attraverso le collane in cui è pi facilmente ravvisabile
un impegno civile — quella storica e i « Saggi » — è possibile
seguire gli elementi di differenziazione dall’ideologia dei
liberisti e il lento, faticoso distacco dalla cultura del regime.
La « Biblioteca di cultura storica » è la collana i cui
orientamenti appaiono pit definiti fin dall’inizio, nella ri- cerca di
una valutazione della storia italiana che si diffe- renziasse da quella
nazionalistica di Volpe e della sua scuola o dagli accenti sabaudistici
presenti negli « Studi e docu- 126 «La Nuova Italia », XII (1941),
p. 157. 249 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali menti di storia del Risorgimento » curati da Gentile
e Menghini per Le Monnier, e nel tentativo, in un secondo tempo, di
aprirsi alla storiografia straniera, in particolare quella anglosassone.
Né è ravvisabile in questi anni, nel quadro della cultura storiografica
che non si richiama diret- tamente o esclusivamente alle impostazioni di
Volpe e di Gentile, un’altra collana storica che abbia la stessa
consi- stenza e un uguale prestigio di quella einaudiana: questa ha
alcuni punti di contatto con la « Biblioteca di cultura moderna » di
Laterza e con i « Documenti di storia ita- liana » de La Nuova Italia —
dove apparvero i Discorsi parlamentari di Cavour a cura di Adolfo Omodeo
e Luigi Russo —, ma una ben maggiore capacità di svolgere una
funzione civile, in quanto si indirizzava a un pubblico più ampio di
quello degli specialisti, tenendo « la via di mezzo tra la dissertazione
storica meramente accademica ed eru- dita e la storia romanzata », ciò
che costituiva una novità per l’Italia !”. Dell’impostazione della « Biblioteca
di cul- tura storica » si era occupato, prima dell’arresto,
Ginzburg, che, come abbiamo visto, era in contatto con Nello Ros-
selli; a questo si rivolgeva il 4 gennaio 1934 l'editore, chiedendogli un
volume su Mazzini per la collana, « dedi- cata per ora ad illustrare
uomini ed avvenimenti di storia italiana moderna », e che avrebbe dovuto
essere inaugurata da uno studio su Cavour di Salvatorelli. In un primo
tempo Rosselli accettò — «mi sorride che un mio libro esca sotto
l’insegna di un nome che tengo in cosî alta stima », scriveva a Giulio
Einaudi nel febbraio 1934 —, lasciando poi cadere la proposta, cosî come
quella, avanzata dall’edi- tore nel 1935, di riprendere — sia pur
ridimensionan- dolo — il suo progetto di una rivista storica, che
Rosselli giudicò impraticabile per la difficoltà dei tempi":
il 127 Cosi Enzo Tagliacozzo nella recensione al Mazzizi di
Bonomi, in « Nuova rivista storica », XX (1936), p. 430. 128
Il 16 aprile 1935 Rosselli scriveva all’editore che « molte delle ragioni
che m’indussero a rinunziare al progetto in grande della rivista
sussistono anche per questo progetto minore [...]; metto in primo piano
la mia personale situazione e la fifa generale. Anche metto in linea di
conto la tendenza che oggi prevale, in alto, di dichiarare guerra a
coltello alle riviste indipendenti (almeno a quelle storiche), per
concentrare mezzi 250 Le origini della casa editrice
Einaudi regime aveva infatti provveduto da poco a un rigido
con- trollo degli istituti storici, mentre si annunciava, anche in
questo campo, la « bonifica della cultura » di De Vecchi. La collana si
inaugurò quindi con un’opera dell’« auto- re » per eccellenza di Einaudi
in campo storico, Luigi Sal- vatorelli ‘’. Ne Il pensiero politico
italiano dal 1700 al 1870 — che ebbe molta fortuna, testimoniata dalle
nume- rose edizioni — Salvatorelli riprendeva una tematica già
affrontata su « La Cultura », per dimostrare come il pen- siero politico
italiano fosse nato nel 700, con quello « spi- rito di umanità » già
presente in Muratori, nel quale « tro- viamo la nuova tavola di valori
settecenteschi, tavola che ignora la grandezza e la trascendenza dello
stato dominanti nella trattatistica anteriore, e destinata a risorgere
con l’idealismo hegeliano »; sulla stessa linea si muove Beccaria,
che « nega ogni concetto di un interesse, di un valore statale distinto e
superiore all'interesse e al valore degli e appoggi su poche
rivistone ufficiali. Sa che in questi giorni anche la torinese Rivista
storica ha subito una radicale trasformazione (imposta) ed è passata al
Volpe? Rebus sic stantibus, ho paura che la nostra rivista raccoglierebbe
tutti nomi ingrati, e ben presto puzzerebbe. Inoltre per fare una rivista
occorre un gruppo omogeneo di collaboratori abituali, 1) meglio di
redattori. Intorno a me questo gruppo, ora come ora, non c'è; né io mi
sentirei di far tutto da me. Le assicuro che questa mia riluttanza a
imbarcarmi nell’i impresa deriva non già da scarso entusiasmo: l’entusiasmo
in questo caso non mi difetterebbe davvero. Ma proprio perché sogno, un
giorno, di dar vita a una bella e viva rivista di studi storici, esito a
realiz- zare questo sogno in un momento cosî poco favorevole. Del resto,
dovrò recarmi a Roma, fra poco; e lf tasterò di nuovo il terreno coi miei
amici. Senza illusioni, però. Debbo proprio dirle che questa rinuncia
tanto più mi costa da quando ho capito di poter contare su di Lei come
editore? ». Il 3 aprile 1935 gli aveva scritto di aver parlato della
rivista con Salvatorelli, che « vede molto di buon occhio il progetto ».
Ancora nel 1937 Rosselli proporrà a Einaudi un volume su Montanelli (AE,
Rosselli). Il 4 gennaio 1934 l’editore aveva scritto anche a Luigi Russo
proponendogli, per la col- lana storica, « un volume di carattere
sintetico sulle origini storiche e psi- cologiche della nostra guerra »
(AE, Russo). 29 In contatto con Giustizia e Libertà, il 16 giugno
1937 Salvatorelli scrisse ad Amelia Rosselli che i suoi figli « vissero
nobilmente dediti ad alti ideali, e sono caduti combattendo come il
fratello che li precedette. La loro memoria rimarrà viva e alta in molti
cuori» (ACS, Casellario politico centrale, b. 4549, fasc. 89789).
Nel 1938-39 l’editore fu in contatto con un altro storico di
formazione liberale, Nino Valeri, e ancora nell’agosto 1945 si dimostrerà
interessato alla sua proposta di un volume su Filippo Maria Visconti (AE,
Valeri). 251 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali individui componenti l’aggregato sociale », o Pietro
Verri, per il quale « stati forti sono quelli in cui vi è libertà
indi- viduale, stati deboli quelli dispotici ». E, mentre si
accenna all'influenza della Rivoluzione francese sull’Italia —
anche se l’unico « giacobino » preso in considerazione è Mel-
chiorre Gioia —, la genealogia gentiliana dei « profeti del Risorgimento
» è fortemente ridimensionata e corretta nei giudizi: in Alfieri si
coglie, accanto all’anelito alla libertà politica, un chiaro «
individualismo idealistico », e in Maz- zini l’importanza del problema
sociale; si mette in risalto, prima del ’48, la superiorità politica di
moderati come Balbo rispetto a Gioberti, e, in Cavour, il suo debito
verso la Rivoluzione francese che ha fondato le libertà costitu-
zionali e la teorizzazione della separazione Stato-Chiesa che lo statista
piemontese profetizzava si sarebbe sempre più radicata — mentre « l’era
del dopoguerra ha segnato finora una smentita alla profezia cavouriana ».
Infine, dopo aver rilevato come le antinomie di Giuseppe Ferrari
fra libertà e autorità e il suo abbozzo socialisteggiante di
società futura fossero « miscele confuse ed informi », ma rispon-
dessero a bisogni reali — « e conservano quindi ancora oggi il loro
valore » —, il lavoro di Salvatorelli terminava coe- rentemente con
l’inizio, con la figura di un autore caro agli einaudiani, Cattaneo, che
« concludeva il ciclo del pen- siero politico italiano del Risorgimento.
Lo concludeva ricongiungendosi alle idealità che avevano ispirato la
co- scienza storica del Muratori, il riformismo giuridico del Bec-
caria e del Filangieri, la critica economico-politica del Verri; lo
concludeva riaffermando con meditata coscienza i valori di umanità e di
progresso esaltati dal pensiero del Settecento, italiano ed
europeo » !*. 130 L. Salvatorelli, I/ pensiero politico italiano
dal 1700 al 1870, Torino, Einaudi, 1935, pp. 6, 11, 40, 67, 88, 130, 200,
217, 265, 303, 320, 350, 354. Giustamente Alessandro Galante Garrone ha
osservato che, « nella complessiva valutazione salvatorelliana del
Risorgimento, è data una preponderanza forse eccessiva agli aspetti
dottrinali del pen- siero politico » (Risorgimento e Antirisorgimento
negli scritti di Luigi Salvatorelli, in «Rivista storica italiana »,
LXXVIII (1966), p. 534). Sulla riscoperta dell’illuminismo italiano ne I/
pensiero politico concor- dano comunque Walter Maturi (Interpretazioni
del Risorgimento. Lezioni 252 Le origini della casa
editrice Einaudî Ingiusto appare quindi il commento di chi valutò
cro- cianamente l’opera come « un tipico esempio di storio- grafia
senza problema storico » ‘". Indicativi dell’esistenza di una
precisa tesi interpretativa nel lavoro di Salvatorelli sono infatti, da
un lato, i silenzi della « Rivista storica ita- liana » di Volpe e della
« Rassegna storica del Risorgi- mento » di De Vecchi, cosi come la
distorsione del ragio- namento dell’autore che appare sulla gentiliana «
Leo- nardo » !“, e, dall’altro, il tono dei commenti suscitati
nelle riviste meno conformiste. Sulla « Nuova rivista storica » si
nota che Salvatorelli contrappone alla storia della ragion di Stato la
storia dell’individualismo, e che « notevole è la ricostruzione del
pensiero politico del Cavour, cosa che raramente suole esser fatta;
preziose le notizie sull’illumi- nismo giovanile del Mazzini; il Cuoco ne
guadagna e di- venta più modesto per la interpretazione
riformistico-illu- ministica che di lui si fa (disincagliarsi dalle
esumazioni idealistico-gentiliane è già un bel vantaggio!) » !*. Più
cauti, ma improntati a simpatia per le idee dell’autore, sono i
giudizi che compaiono sulle riviste di Codignola: Enzo Tagliacozzo si
chiedeva, rilevando un limite messo in luce di storia della
storiografia, prefazione di E. Sestan, Torino, Einaudi, 1962, p. 554) e
Leo Valiani (Salvatorelli storico dell'Unità d’Italia e del fasci- smo,
in « Rivista storica italiana », LXXXVI (1974), p. 726). Lionello Venturi
scriveva invece a Salvatorelli il 26 aprile 1935: «I capitoli sul tardo
Gioberti e su Cavour naturalmente mi hanno preso di pit, come quelli dove
il pensiero ha più rapporti con la politica concreta [...]. Ma anche per
Alfieri, il suo atteggiamento verso la rivoluzione, è cosf chiaro e mi
era affatto sconosciuto [...]. Noto la tua convinzione sulla inferiorità
del pensiero settecentesco. Hai ragione? Questo non so. Io sento
diversamente » (ACS, Casellario politico centrale, b. 4549, fasc. 89789).
Su Salvatorelli « educatore antifascista » nella Torino degli anni ?30
cfr. la testimonianza di Norberto Bobbio in G. Spadolini, Il mondo di
Luigi Salvatorelli, con un’antologia di scritti di Salvatorelli e
testimo- nianze di N. Bobbio, L. Valiani, A. Galante Garrone, L.
Compagna, Fi- renze, Le Monnier, 1980, pp. 65-72. 131 Cosf
Ezio Chichiarelli nella recensione alla seconda edizione (« La Nuova
Italia », XIII (1942), p. 67). 13 « Troviamo i segni del nostro
moderno concetto totalitario di poli- tica proprio in quel di solito
disprezzato settecento », scriveva Raffaello Ramat (« Leonardo », VII
(1936), p. 99). 133 Paolo Polese in « Nuova rivista storica », XX
(1936), p. 449. Cri. tica è invece la recensione alla seconda edizione
dell’opera di Enrico Guglielmino, sempre in « Nuova rivista storica »,
XXV (1941), pp. 571-575. 253 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali anche dalla storiografia, « se sia
veramente possibile cogliere il senso delle dottrine politiche isolandole
dal clima sto- rico che determina il loro sorgere », ma approvava le
nota- zioni di Salvatorelli sul « fondo reazionario dell’ottimismo
storicistico » e sulla « necessità di rivedere alcuni giudizi idealistici
passati in giudicato e non più rimessi in discus- sione » ‘4; Paolo
Treves invece, dopo aver notato che « è un certo vezzo attuale tentar di
sminuire l’importanza del contributo francese pre e post-rivoluzionario
alla specula- zione filosofico-politica italiana », affermava che il
saggio dimostrava « quanto sia inutile la disputa recente sull’indi-
pendenza o meno del pensiero italiano in quest'epoca, per- ché non si
tratta di stabilire primati, che non esistono nella storia delle
ideologie, ma di dimostrare invece come le idee prime tolte dal lavoro
degli illuministi oltremontani fossero rivissute e concretate con la
positiva esigenza della vita italiana, in una pit solida e netta visione
storicistica » !°. L’impegno civile dimostrato da Salvatorelli ne
Il pen- siero politico italiano — e riaffermato nella seconda edi-
zione del 1941, in cui l’inclusione degli esponenti del pen- siero
cattolico non modifica la « mentalità liberale » del- l’autore, come
notava « La Civiltà cattolica » evidenziando il giudizio troppo severo su
Monaldo Leopardi, Solaro della Margherita, il principe di Canosa e
Spedalieri '* —, sembra attenuarsi nel Sommario della storia d’Italia. In
esso Sal- vatorelli sviluppa quella personale interpretazione
dell’unità della storia italiana che aveva espresso sinteticamente
nel 1934, criticando la concezione politico-statuale di Croce e
quella di Volpe che indicava nell’alto Medioevo il sorgere della nazione
italiana — proprio « al momento in cui l’Ita- lia si risolve in una
molteplicità di organismi autonomi », notava Salvatorelli —, per avvicinarsi
alla tesi di Arrigo Solmi nell’individuazione di una « linea italica »
presente nella penisola già prima della conquista romana, pur ve-
dendo, a differenza di Solmi, delle soluzioni di continuità
nell’affermarsi di quel « piano statale tendenzialmente uni- 134 «
La Nuova Italia », VII (1936), p. 181. 135 « Civiltà moderna »,
VIII (1936), pp. 87-88. 1% «La Civiltà cattolica », 93 (1942), vol.
II, p. 52. 254 Le origini della casa editrice
Einaudi tario » che, interrotto dalle dominazioni longobarda e bizan-
tina, riprende slancio fra il IX e l'XI secolo !*”. La sua atten- zione
più « allo scomporsi e ricomporsi di un’unità politico- amministrativa
che a una storia del popolo italiano », come notava Gabriele Pepe !*, si
riflette anche nel Somzzario, nel quale comunque è difficile cogliere,
dietro la fitta cronistoria dei fatti, dei giudizi caratterizzanti;
questi si limitano ad alcune notazioni sulla diffusione popolare delle
idee della Riforma o sull’influenza dell’Illuminismo francese, cui
non segue però un collegamento tra la rivoluzione dell’89 e il
Risorgimento; alla valutazione positiva sulla « epidemia di scioperi »
del primo ’900, che « fu nell’insieme un fatto fisiologico e benefico,
poiché una elevazione del tenor di vita delle classi operaie era urgente,
e perfettamente possi- bile dato il grande incremento delle condizioni
economi- che »; per terminare con una visione sorprendentemente
limitativa dell’età giolittiana — «l’indirizzo di governo giolittiano fu,
pur con empirismo opportunistico, sostan- zialmente liberale; ma non
promosse una formazione orga- nica di partito, e venne a favorire in una
certa misura la svalutazione del parlamento e l’autoritarismo personale
» —, e con una forzata sospensione di giudizio sul fascismo !.
Eppure il Sormzzzario, forse proprio per il suo taglio manua- listico e
asettico, poteva presentarsi assai distante dalle retoriche deformazioni
storiografiche del fascismo, e spin- gere Mario Vinciguerra — un
intellettuale liberale già vicino a Gobetti e quindi a Luigi Einaudi — a
vedere in Salvatorelli « l’uomo che potrebbe benissimo disegnare,
se volesse, anche un programma politico » come Cesare Balbo nel suo
Sormzzzario, ma che, « vivendo in un’epoca non di 137 L.
Salvatorelli, L’unità della storia italiana, in « Pan », I-II (1933- 34),
vol. I, pp. 357-372. 138 «La Nuova Italia », XII (1941), p. 17. Di
importanza data da Salvatorelli al « popolo » parla invece A. Galante
Garrone, Risorgimento e Antirisorgimento negli scritti di Luigi
Salvatorelli, cit., p. 529. 139 L. Salvatorelli, Sommario della
storia d'Italia dai tempi preistorici ai nostri giorni, Torino, Einaudi,
1938, pp. 635, 641. Nel 1940 il Som- mario fu tradotto in inglese, e nel
1941 in tedesco dalla casa editrice Junker di Berlino (ACS, Segreteria
particolare del Duce, Carteggio ordi- nario, n. 527470).
255 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
aspettative, ma di travaglio mondiale, porta necessaria- mente nella
storia uno spirito di revisione e di nuova siste- mazione » !9.
Accoglienze analoghe non mancheranno nel 1942, come vedremo, a
un’opera dalle caratteristiche simili a quelle del Sommario, il Profilo
della storia d'Europa. Frattanto l’atti- vissimo Salvatorelli, che nel
1937 aveva pubblicato per l’ISPI La politica della Santa Sede dopo la
guerra — lodata da « Gerarchia » per la « larga e seria preparazione »
del- l’autore !! —, alla morte di Pio XI fa seguire immediata-
mente, nel 1939, un primo bilancio del suo pontificato, ricco di
penetranti osservazioni personali e ciò nonostante giudicato da « La
Civiltà cattolica », pur con alcune riserve, fra tutti i libri su Pio XI
« uno dei pit seri per copia di informazioni e per sufficiente
oggettività di presentazio- ne » !£. In esso Salvatorelli, attento, come
Omodeo, alle connessioni fra storia religiosa e storia politica, notava
che nel dopoguerra erano stati «i turbamenti sociali, con il
“pericolo bolscevico”, a rimettere in valore presso larghi ceti europei
la Chiesa cattolica quale fattore di ordine e di conservazione sociale »,
con la conseguente tendenza degli Stati a cercare l'appoggio della
Chiesa. È in questo clima che si sviluppa l’azione politica, non solo
concordataria, di Pio XI, « Segretario di Stato di sé medesimo », che «
ebbe come criterio direttivo di mettere al primo posto il raf-
forzamento dell’influenza ecclesiastico-religiosa sulla socie- tà »
facendo addirittura, come Bonifacio VIII, « della rega- lità di Cristo il
titolo giuridico per il governo della Chiesa sul mondo » — e qui « La
Civiltà cattolica » replicava 140 « Nuova rivista storica », XXIV
(1940), p. 419 (cfr. anche E. Camurani, La Repubblica pene nelle lettere
di Einaudi e Vinci- guerra (Contributo alla bibliografia di Vinciguerra),
in Annali della Fon- dazione Luigi Einaudi, vol. XII, 1978, Torino,
Fondazione Luigi Einaudi, 1979, pp. 519-520). Invece per Bruno Brunello,
mentre il Sommario di Balbo «era tutto animato da una fede nei destini
della patria », quello di Salvatorelli appariva « più un’esercitazione
letteraria che il risultato di un’indagine appassionata » (« Rassegna
storica del Risorgimento », XXVI (1939), p. 874). Il lavoro di
Salvatorelli sarà considerato su « Primato » « molto preciso e concettoso
» (I (1940), p. 15). 141 « Gerarchia », XVII (1937), p. 371.
142 « La Civiltà cattolica », 92 (1941), vol. IV, p. 217.
256 Le origini della casa editrice Einaudi che, al
contrario, la politica concordataria aveva visto il pontefice « pronto a
cessioni e a sacrifici, pur di tener gli Stati almeno in qualche modo
uniti alla Chiesa » !* —; e, molto nettamente, Salvatorelli metteva in
luce l’antisocia- lismo, il legame col fascismo, la lotta contro il
Fronte popo- lare francese, l'appoggio alla guerra etiopica e a
Franco, il possibilismo nei confronti della Germania nazista, come
elementi caratterizzanti l’attività del papa, per concludere con
l’appello a un « nuovo umanesimo » cristiano cui avreb- bero dovuto
ispirarsi anche i laici !4. Il nome di Salvatorelli tornerà ancora
nelle edizioni Einaudi, sempre con grande risonanza, durante la
guerra. Prima di allora, un altro autore della casa che suscitò
vasta eco fu Ivanoe Bonomi, che abbiamo già trovato, nel 1924, nel
catalogo di Formiggini. Il suo Mazzini triumviro della Repubblica romana,
pubblicato nel 1936 e ristampato nel 1940, incontrò, per la sua
esaltazione di un personaggio storico eroicizzato dal fascismo, una
favorevole accoglienza nelle riviste « ortodosse » !, ma poté prestarsi
anche ad una lettura diversa, come era nelle intenzioni
dell’autore: cosî Tagliacozzo mise in risalto, nell’opera, il fatto che «
le preoccupazioni di politica estera e di carattere militare non
impedirono al Triumvirato di dimostrare il suo inte- ressamento per i
problemi sociali » !#; Aldo Ferrari, lo- dando il lavoro, ricordava che
la qualità di uomo politico dell’autore, il « teorico pit chiaro
equilibrato e sistematico della corrente riformista », era « non un
ostacolo bensî un 14 Ibidem. 14 L. Salvatorelli, Pio
XI e la sua eredità pontificale, Torino, Einaudi, 330° in particolare pp.
19, 57, 67, 86, 129, 157, 182, 185-86, 194, 209, 145 Cfr. ad
esempio «Rassegna storica del Risorgimento », XXIV (1937), pp. 845-846;
«Leonardo», VIII (1937), pp. 28-29; «Rivista storica italiana », s. V, I
(1936), fasc. IV, pp. 101-103; « Meridiano di Roma », 3 gennaio e 31
gennaio 1937. 14 « Nuova rivista storica », XX (1936), p. 429;
contemporaneamente ‘Tagliacozzo, recensendo il Labriola di Dal Pane,
richiamava l’insegnamento di Labriola come « salutare » in un momento in
cui si tendeva a « soprav- valutare quello che vien comunemente detto il
“fattore morale” » (« La Nuova Italia », VII (1936), p. 261; cfr. anche
E. Tagliacozzo, In memoria di Antonio Labriola nel trentennio della
morte, in «La Nuova Italia », V (1934), pp. 402-406, e VI (1935), pp.
16-20). 257 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali aiuto » alla ricerca storica !'”; mentre il crociano
Edmondo Cione opponeva l’esaltazione degli « autentici valori
morali del Risorgimento » operata da Bonomi alla tendenza, imper-
sonata da Luzio, ad « una strana “riabilitazione” dei varii personaggi
del mondo reazionario e clericale e talora per- sino di quello poliziesco
e brigantesco », e notava che « il dramma religioso dello spirito moderno
rende di perenne attualità il pensiero del Mazzini », nel quale sono
conte- nuti « i fondamentali principi della religiosità laica del
pre- sente e dell’avvenire: la fede nel progresso storico, il
valore educativo della libertà, l'esaltazione del senso del dovere
e dello spirito di sacrificio, il senso della missione e della dignità
personali » ‘4: un giudizio che assumeva tutto il suo significato se
confrontato con quello de « La Civiltà catto- lica », che coglieva
nell’opera un « profondo anticristiane- simo » spiegabile con la «
mentalità di antico socialista » dell’autore !9, I contatti
dell’editore con l’ex esponente del Partito Socialista Riformista continuarono,
ma gli umori della cen- sura fascista, come quelli dei recensori, si
dimostrarono mutevoli. « L’idea di avere un altro libro Suo, sulla
storia politica del cinquantennio che precede la guerra mondiale,
mi ha entusiasmato », scriveva Einaudi a Bonomi nel no- vembre 1938; il
volume era pronto nel dicembre 1940 e, affermava l’autore, « esso non
tocca periodi... pericolosi, ma certo illustra l’età liberale di cui
ricorda le benemerenze ed i pregi ». Tuttavia, sebbene giudicata
dall’editore opera « tutta permeata di patriottismo e basata su dati
inoppu- gnabili », La politica italiana da Porta Pia a Vittorio
Veneto non ottenne nel 1941 il visto della censura, e potrà essere
pubblicata nella collana solo nel 1944, quando l’autore sarà presidente del
consiglio. Sempre a Bonomi si rivolgeva Einaudi nel dicembre 1937,
affermando che « alcune circo- stanze recenti mi pare abbiano reso
nuovamente di attualità il Diario di guerra di Bissolati » !. Il volume,
pubblicato 147 « La Nuova Italia », VIII (1937), p. 80.
14 « La Nuova Italia », X (1939), pp. 220, 222. 14 « La
Civiltà cattolica », 89 (1930), vol. I, p. 269. 150 AE, Bonomi. Da
notare che, dopo una seconda edizione nel 1940, 258
Le origini della casa editrice Einaudi nel 1935 in una collana
subito abortita, « Ricordi e docu- menti di guerra », era stato in un
primo tempo seque- strato !, ma non incontrò nemmeno le simpatie che «
La Nuova Italia » aveva riservato a Bonomi: il recensore della
rivista presentava infatti Bissolati come «uno spirito rivolto al
passato, anziché un veggente delle mete future », preso da una « visione
umanitaristica della guerra » che ren- deva il Diario « animato
dall’innegabile patriottismo del- l’autore, ma anche da idee che
compromisero la condotta. della guerra nei momenti decisivi » !*.
Il tono della collana conobbe del resto anche aspre cadute, veri e
propri compromessi col fascismo, come ne I rovesci più caratteristici
degli eserciti nella guerra mon- diale 1914-18 — teso ad esaltare la
capacità di ripresa delle forze militari italiane — del generale Ambrogio
Bollati, direttore della « Rivista coloniale », autore anche, per la
casa editrice, della Enciclopedia dei nostri combattimenti colo-
niali, e, assieme al generale Giulio Del Bono, della Guerra di Spagna
sino alla liberazione di Gijon, i cui toni antico- munisti furono
apprezzati, fra gli altri, da Eugenio Passa- monti '*. Di impronta
nettamente antidemocratica è anche il Massimo D'Azeglio politico e
moralista di Paolo Ettore Santangelo, autore di altri mediocri studi
risorgimentali: un volume che, accompagnato da un giudizio favorevole
del- l’Accademia d’Italia, presenta fin dall’inizio le sue creden-
Bonomi chiederà a Einaudi, nell'ottobre 1945, una terza edizione del
Mazzini, perché « il libro usci in periodo fascista quando la sua
diffusione trovava ostacoli d’ogni genere. Io poi terrei molto a
diffondere quel mio libro che, in questa ora, avrebbe un significato di
attualità » (ibidem). 151 Il Diario fu sequestrato nel giugno 1934
per le sue critiche all’ope- rato dei comandi militari (ACS, Segreteria
particolare del Duce, Carteggio ordinario n. 528771, sottofasc. 1). Il 2
luglio 1934 Luigi Einaudi, dopo aver detto di essere stato lui a
consegnare il manoscritto del Diario al figlio, chiese udienza a
Mussolini (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b.
70). 152 Carmelo Sgroi ne « La Nuova Italia », IX (1938), pp.
300-301. 153 « Rassegna storica del Risorgimento », XXVI (1939), pp.
258-260; cfr. anche « Leonardo », IX (1938), pp. 66-68. Il 25 gennaio
1938 l’editore scriveva a Del Bono di essere lieto che il volume sarebbe
stato tradotto in tedesco (AE, Del Bono). Bollati e Del Bono saranno
autori de La campagna germanica în Polonia, Roma, Unione editoriale
d’Italia, 1940, e Bollati de L'Europa contro il bolscevismo, Roma, La
Verità, 1942. 259 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali ziali metodologiche con la difesa della teoria
élitaria — « sono le aristocrazie che dappertutto nella storia
hanno fondato l’ordine nuovo, lo stato saldamente costruito » — e
con la negazione di qualsiasi influenza del fattore econo- mico nel
processo storico, sostenendo che l’idea di nazione « nasce molte volte
come creatura puramente spirituale, non solo indipendentemente, ma anche
in contrasto con precisi interessi materiali ». E mentre cerca di
giustificare l’« intermittenza di temperamento » di Carlo Alberto,
alla politica mazziniana « astratta » l’autore contrappone quella
di D'Azeglio, del cui carattere « democratico » presenta un’immagine
quanto mai singolare: L’Azeglio dunque respinge l’idea
democratica, non solo nei casi di urgenza [...], ma anche come dottrina
assoluta, che sarebbe as- surda in teoria e inattuabile in pratica. Egli
è democratico in un senso superiore e più generale, in quanto non crede a
privilegi di nascita e dà per compito allo stato di venir incontro ai
bisogni del popolo, trattando tutti i cittadini su un piede di
uguaglianza; è dunque democratico nel senso costituzionale, più nello
spirito che nella lettera: la prassi democratica, essendo una specie di
materia- lismo e prestandosi facilmente alle mistificazioni, gli è in
genere sospetta 1%, Tuttavia, con l’apertura a tematiche non
italiane — affrontate sempre con quel taglio narrativo che poteva
ren- derne agevole la lettura anche ai non specialisti —, già prima
della guerra la collana acquista un maggior peso cul- turale e civile. Se
solo con l’opera di Louis Villat su La Rivoluzione francese e l’Impero
napoleonico (1940) si raggiunge un solido impianto storiografico che
sostanzia la narrazione dei fatti e in cui hanno largo posto,
soprattutto nelle appendici sullo « stato attuale delle questioni »,
temi 15 P.E. Santangelo, Massimo D'Azeglio politico e moralista,
Torino, Einaudi, 1937, pp. 16-17, 78, 99, 286. II 6 agosto 1937
Santangelo chie- deva all'editore di poter apportare alcune correzioni al
lavoro, « dietro amichevole suggerimento di un alto personaggio
dell’Accademia d’Italia » (AE, Santangelo). Luigi Bulferetti criticò la
distinzione operata dall’autore nel Risorgimento, tra «idea astratta » di
Mazzini e «azione politica » dei moderati (« Rivista storica italiana »,
s. V, III (1938), fasc. II, pp. n e « Rassegna storica del Risorgimento
», XXV (1938), pp. 1584- 260 Le origini della casa
editrice Einaudi economico-sociali — tanto che Carlo Morandi vi
vede domi- nare, «e talvolta in modo troppo esclusivo », le tesi di
Albert Mathiez '* —, si fa ricorso anche a storici non pro- fessionali,
in grado tuttavia di esprimere un orientamentò politico. È il caso del
Talleyrand di Alfred Duff Cooper, già ministro della guerra del gabinetto
britannico, e quindi Primo Lord dell’Ammiragliato dal maggio 1937 all’ottobre
1938, quando, dopo Monaco, presentò le dimissioni per là sua politica
contraria all’appeasemzent, ed esponente del gruppo dei « giovani
conservatori » nella cui mentalità — avvertiva l’editore italiano — « si
bilanciano una certa spre: giudicatezza d’idee e una tendenza al positivo
e al concreto nell’applicazione alla vita vissuta ». Egli svolge, sotto
le vesti di una biografia romanzata — in cui peraltro si preoc-
cupa di affermare la necessità che «i cambiamenti nel metodo di governo
siano graduali », e di notare che « gli uomini di estrema, a qualsiasi
partito appartengano, diven- gono sempre germi di dissoluzione in un
organismo poli- tico » —, un elogio della coerenza di Talleyrand nel
porre « la nazione francese al di sopra degl’interessi particolari
dei regimi che in un certo momento la governano », e pre- senta il
diplomatico francese assertore di una politica di alleanze fra le potenze
capace di portare all’unificazione europea: lo considera infatti, per
usare le parole dell’editore che fa propria la tesi di Cooper, « come un
uomo moderno, fors’anche come un nostro contemporaneo », poiché le
sue idee « si riportano al problema della pacifica organizzazione
dell’Europa che attende ancora una vera e sicura solu- zione » !*. Vinciguerra
— che pur aveva curato l’opera — poteva affermare, da un punto di vista
strettamente storio- grafico, che « non si può accettare neanche con
riserve » la tesi « della modernità democratica e pacifista nella
politica estera » di Talleyrand '”, ma dimostrava di non cogliere
il 155 « Primato », I (1940), n. 5, p. 24 (siglato CM.).
15% A.D. Cooper, Talleyrand, a cura di M. Vinciguerra, Torino,
Einau- di, 1937 (ediz. originale 1932), pp. VIII, X, 294. Cooper fu
autore di Ceux qui osent répondre è Hitler, après Munich, Paris, Édinions
Nantal, 1938. 157 « Nuova rivista storica », XXIV (1940), p.
99. 261 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali significato politico di un’opera apparsa in italiano
in un anno cruciale per le sorti dell'Europa: messaggio che era
assai esplicito, se da un’altra ottica ideologica il commen- tatore di «
Leonardo » osservava che « la vita del grande diplomatico è pretesto a
ribadire la concezione diremo cosi ufficiale della politica britannica improntata
ad un conser- vatorismo pacifista di cui sarebbe garanzia
imprescindibile una stretta intesa anglo-francese » !*. E
ancora nel corso della guerra poteva essere accolto il messaggio di pace
affidato al romanzo sul conflitto russo- giapponese di Frank Thiess,
Tsushimza, tradotto nel 1938 sotto gli auspici dell'Ufficio storico della
Marina e giunto nel 1945 all’ottava edizione, che prima dell’attacco
all’ URSS suscitò accenti di umana comprensione anche sulle pagine
di « Critica fascista »: 7 . Fra quel popolo russo di martiri
grigi, nel cui seno covava la rivoluzione, e questo popolo giapponese di
tenaci e sorridenti lavo- ratori, la simpatia umana del lettore, e
fors’anche dell’autore, finisce col bilanciarsi: e non è forse senza un
presago significato che il libro si chiuda con la visione luminosa del
porto di Jokohama, in cui centinaia di piccoli russi e di bimbi
giapponesi giocosamente s’incon- trano e si sorridono pur senza capirsi
ancora!, 6. « Cultura della crisi » e spiritualismo
Nella seconda metà degli anni ’30 uno dei messaggi più consistenti di cui
comincia a farsi portatrice la casa editrice è tuttavia di altro tipo, e
tale da prestarsi a letture diverse sul piano ideologico e politico. Si
tratta di quel filo- ne spiritualista che si riallaccia alla « cultura
della crisi » svi- luppatasi in Europa dopo il 1929 con svariate
manifesta- zioni, da quelle politiche dei « non conformisti »
francesi che potevano giocare « un ruolo oggettivamente pro fa-
158 Sergio Martinelli in « Leonardo », VIII (1937), p. 406; come «
biografia romanzesca » l’opera era liquidata da Luigi Bulferetti (« Ras-
segna storica del Risorgimento », XXV (1938), p. 1437). " ; G.A.
Longo in « Critica fascista », XIX (1941), p. 119 (15 feb- raio).
262 Le origini della casa editrice Einaudi
scista » ‘9, a quelle del mondo cattolico, assai più ambigue perché
difficilmente si concretizzavano sul terreno politico, ma comunque
decisamente anticomuniste e antidemocra- tiche — più ancora che
antinaziste —, come nel caso dei cattolici italiani che individuavano
nella Chiesa l’ultimo baluardo della civiltà, pur senza mettere in
discussione il fascismo !. Anche in Italia questa ondata
irrazionalistica, tesa a mettere in discussione i valori « materiali » della
civiltà contemporanea, fu alimentata in particolare dagli ambienti
cattolici, ma investî anche quelli laici, a indicare la presenza di un
profondo disorientamento e la ricerca di nuove o antiche certezze: e
l’insofferenza per l'ordine costi- tuito poteva seminare dubbi in un
mondo politico, come quello italiano, in cui il fascismo sbandierava le
sue inoppu- gnabili verità. Il pericolo era avvertito dal regime, se
nel suo ambito si poteva parlare, a proposito della Kulturkrisis,
di manifestazioni « patologiche » della cultura contempo- ranea,
augurandosi che « allo storico futuro non abbiano a sfuggire le varie e
numerose manifestazioni del genere: perderebbe con esse una delle più
eloquenti testimonianze di quel singolare squilibrio logico e morale che
imperversò in questi anni »!. Motivi spiritualeggianti, talvolta a
sfondo religioso, sono presenti anche nelle edizioni di Giulio Einaudi,
che fra gli scopi della sua iniziativa nel periodo fascista annovererà
anche quello di « contrapporre all’ottimismo ufficiale un senso profondo
e inquieto dei problemi del momento » !*; ed è significativo che
negli stessi anni Guanda inaugurasse una collana di « Testi per una
religione universale », e che perfino Laterza ne dedi- casse una agli «
Studi religiosi, iniziatici ed esoterici », dove 10 Cfr. R. De
Felice, Mussolini il duce, I. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino,
Einaudi, 1974, pp. 545-549. 161 Cfr. R. Moro, La formazione della
classe dirigente cattolica (1929- 1937), Bologna, il Mulino, 1979, cap.
IX. 1@ Cosi il « Meridiano di Roma » del 10 gennaio 1937, nella
recen- sione a René Guénon, La crisi del mondo moderno, Milano, Hoepli,
1937 (con prefazione di J. Evola). Sui precedenti italiani di questa
tematica cfr. E. Garin, Gli italiani e la crisi europea, in « Terzo
programma » (1962), n. 3, pp. 168-176. 163 AE, G.
Einaudi. 263 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali circolò il pensiero antroposofico di Rudolf Steiner
che tanto colpi il giovane Eugenio Curiel '#, « Che il mondo
attraver- si al presente un periodo di grave scompiglio, foriero di
più fosche vicende per l’avvenire, non c’è alcun dubbio fra quanti
hanno un uso passibilmente normale delle proprie ‘facoltà intellettuali
», osservava nel 1938 padre Brucculeri su « La Civiltà cattolica »
passando in rassegna alcuni libri .sulla «crisi odierna » !9: fra questi,
La crisi della civiltà di: Johan Huizinga tradotto da Einaudi nel 1937,
che ebbe una seconda edizione già l’anno successivo. 4. Il pampblet
dello storico olandese, dal titolo originario Nelle ombre del domani,
faceva esplicito riferimento alla crisi del ’29 cui era attribuita « la
sensazione della minaccia di. un tramonto e del progressivo dissolversi
della civiltà » icome mai si era avuta nel recente passato, se non
all’inizio del secolo con « il pericolo di una rivoluzione sociale
che il marxismo faceva balenare di tanto in tanto ». « Vedia- mo
distintamente come quasi tutte le cose, che altra volta ci apparivano
salde e sacre, si siano messe a vacillare: verità e. umanità, ragione e
diritto », affermava accoratamente Huizinga, la cui analisi della crisi,
cosî come le soluzioni «indicate, presentano elementi di ambiguità che
danno ra- :gione delle letture diverse cui dette luogo. Da un lato
si :scaglia contro il razzismo, contro Sorel « padre spirituale
degli odierni regimi totalitari », contro le filosofie vitali- «stiche,
la dottrina della « autonomia morale dello stato » e «quella dello «
stato-potenza privo d’ogni freno »; dall’altro la sua critica non è meno
dura nei confronti del marxismo, in quanto osserva che « né il secolo XVI
né il principio dell'Ottocento vide mai minare con sistematica
coerenza l’ordine e l’unità sociale mediante una dottrina quale
quella dell’odio di classe e della lotta di classe », e a questa
acco- muna « la dottrina della relatività della morale, insegnata
._. +16 Cfr. ora N. Briamonte, La vita e il pensiero di Eugenio
Curiel, Milano, Feltrinelli, 1979, pp. 20-24. IS A, Brucculeri,
La crisi odierna, in «La Civiltà cattolica », 89 (1938) vol. I, p. 326:
accanto a Guénon e Huizinga esaminava Quel che o e quel che nasce del
cattolico Daniel Rops (Brescia, Morcelliana, ‘264 Le
origini della casa editrice Einaudi sia dal sistema scientifico
del materialismo storico, come: dai sistemi psicologici che derivano da
Freud »; accuse altrettanto dure sono lanciate contro il « superficiale
razio:' nalismo del secolo XVIII », il cui « disastroso effetto »
fu di « sradicare il concetto del servire dalla coscienza popo-
lare », e contro il progresso in generale, aristocraticamente giudicato
una «ingenua » illusione dell’800. Da questa analisi scaturiva la
proposta di un « nuovo ascetismo » — di cui forse era un’eco parziale il
« nuovo umanesimo » auspicato da Salvatorelli —, che « non sarà un
ascetismo: della negazione del mondo per amore della salvezza
celeste, ma del dominio di sé e di un’attenuata stima del potere e
del godimento » !*: un invito che non poteva trovare d’ac- cordo « La
Civiltà cattolica » che, pur approvando nelle linee generali la parte
analitica del lavoro di Huizinga, obiettava come la ricerca di « certe
verità eterne » non potesse fare a meno di chi ne era il depositario
naturale; il papato, che con Pio XI si era dedicato « alla difesa
della. nostra civiltà; quindi le sue proteste contro il
bolscevismo, contro il nazismo, contro il governo tirannico del
Messico, contro le nefandezze dei rossi nella Spagna » !”.
Critiche globali al volumetto dello storico olandese provennero da
ambienti culturali diversi: recensendone su: « Leonardo » l’edizione
tedesca, Cantimori, forse già « se- mi-marxista » — come si dichiarerà
più tardi —, ma co- munque attivamente impegnato nella difesa degli
orien- tamenti politici del regime, lo considerò « lo sfogo di uno:
spirito d’artista individualistico, liberaleggiante, contro questo mondo
moderno, che non gli va », aggiungendo —: 16 J. Huizinga, La crisi
della civiltà, Torino, Einaudi, 1937 (ediz. originale 1935), in
particolare (citiamo dall’edizione einaudiana del 1962). pp. 4, 15, 25,
31, 40, 51-53, 63, 85, 97, 141, 153-154. Il 13 novembre 1937 Gherardo
Casini, direttore generale per la stampa italiana, assicurava Luigi
Einaudi di aver già provveduto ad assicurare la diffusione del saggio di
Huizinga (AFE, Casini). Enzo Paci ha osservato che «l’ideale di salvezza
che Huizinga propone alla civiltà contemporanea è un ideale
etico-razionale nel quale rinascono in una specie di neogiusnaturalismo
le vecchie idee di Grozio. Quest’ideale finisce per fondersi con una
conce- zione cristiana del fine della vita » (Johan Huizinga, in « Terzo
program- ma », (1962), n. 3, p. 167). 167 A. Brucculeri, La
crisi odierna, cit., p. 330. 265 Il fascismo e il consenso
degli intellettuali ma il passo sarà espunto dalla riproduzione di
questo giu- dizio nell’introduzione che Cantimori farà alla nuova
edi- zione einaudiana del 1962 — che « questa patetica laudatio
temporis acti potrebbe anche interessarci, potrebbe essere utile a chi
volesse rendersi conto dello stato d’animo di tanta parte della odierna
cultura europea di fronte alla rivo- luzione sociale che in Europa si va
compiendo, se non si mischiasse di politica, e a questo modo non
irritasse il lettore di un paese cosî impegnato nella lotta politica
e sociale di oggi come questa nostra Italia » '#. Analogo il
giudizio espresso sulla « Nuova rivista storica » da Mario M. Rossi, che
lo defini « lo sfogo pit o meno poetico di un laudator temporis acti,
come in mille epoche già ne abbiamo uditi », e lo avvicinò a Dawson, ad
Huxley e alle ultime teorie sulla morale di Bergson !. Anche i giovani di
« Cor- rente » dichiararono di non consentire con la « speranza che
la scienza possa divenire saggezza », in quanto « non dal sapere, ma dal
concreto tumulto della vita nascono i pro- blemi e le soluzioni » ‘*, e
quelli de « La Ruota », pur vedendo nel libro il « prodotto spontaneo di
un cuore sin- cero », vi colsero « opinioni superate e irrigidimenti
dottri- nari tutt'altro che accettabili » !, D'altro lato è
interessante notare come, nell’ambito di un giudizio
sostanzialmente positivo, in ambienti culturali opposti si cogliesse
l’occa- sione per polemizzare con l’idealismo e lo storicismo cro-
ciano: « La Civiltà cattolica » criticò infatti il « plauso della
filosofia tedesca » fatto da Huizinga, che invece « avrebbe potuto
rintracciare nelle costruzioni filosofiche alemanne, nel kantismo
particolarmente e nell’hegeliani- smo, le scaturigini principali e remote
della decadenza del pensiero, dello scetticismo morale, della autonomia
della politica e della statolatria e di altrettali degenerazioni,
contro le quali egli scrive delle pagine brillanti e quanto 168 «
Leonardo », VII (1936), p. 383. 16 « Nuova rivista storica », XXIII
(1939), p. 145. 170 G.M. Bertin, La crisi della cultura e il
problema della scienza, in « Corrente di vita giovanile », 15 febbraio
1940. I7l M. Cesarini ne « La Ruota », II (1938), n. 1, p. 100 (era
esami- nato anche H. Keyserling, La rivoluzione mondiale e la
responsabilità dello spirito, Milano, Hoepli, 1935).
266 Le origini della casa editrice Einaudi mai
proficue » !; e su « La Nuova Italia » Alfredo Parente, dopo aver
giudicato il libro « altamente pregevole come sincera espressione di un
vivo travaglio e di preoccupazioni e turbamenti che sono preoccupazioni e
turbamenti dell’in- tera umanità presente », ne traeva spunto per
affermare che « la ormai diffusa concezione idealistica, che il male e
l’er- rore giustifica e redime nell’ordine della vita spirituale, e
il congiunto ottimismo, che non indulge alla disperazione e ispira la più
estrema fiducia nella vittoria definitiva del bene, possono essere un
pretesto di fatalistica inoperosità nella coscienza degl’imbecilli e dei
neghittosi, e un istru- mento di malizia nelle mani dei disonesti che da
quella concezione filosofica credono di poter trarre la giustifica-
zione e l’approvazione del loro qualsiasi operare »; e, dichiarandosi
d’accordo con Huizinga nel veder conculcati i valori morali, si spingeva
in un invito all’azione assai distante dalla proposta di un « nuovo
ascetismo »: sappiamo che gli animi dotati della sensibilità
morale dello scrittore olandese, silenziosi custodi pure in tempo di
burrasca e di travolgi- menti dei valori dello spirito, son molti,
nonostante le loro voci siano sommerse da un assai crudo e talora
bestiale clamore dei popoli. Soltanto non bisogna adagiarsi e cullarsi in
quella certezza, col rischio che il ritorno della serenità e della luce
sia ritardato dal- l’opera di coloro, cui quella speranza non lusinga e
altri meno eletti ideali stimolano o imbestialiscono !?3, «
Ma l’autore non è né uno storico, né un politico, né filosofo: è, mi
pare, un buon cattolico » che sorvola sui problemi della politica e dello
Stato, scriveva a Giulio Finaudi, dopo aver letto Huizinga, il
meridionalista di tra- dizione salveminiana Tommaso Fiore, invitando
l’editore a «pubblicare storia in concreto » !*. Accenti
spirituali- 172 A. Brucculeri, La crisi odierna, cit., p.
330. 173 « La Nuova Italia », IX (1938), pp. 324, 326.
174 AE, Fiore, 6 gennaio 1938; come esempio di « storia in concreto
» il 26 dicembre 1937 Fiore aveva proposto la traduzione di Richard
Freund, Watch Czechoslovakia! (1937): «Non è un libro antifascista e non
si ‘può dire una difesa della democrazia (molto meno della Cecoslo-
vacchia), ma si capisce che la difesa della democrazia è un sottinteso e le
simpatie per la borghesia ceca e pel “Socrate di Praga” sono naturali e
profonde ». Fiore, nel ’38, auspicava anche « manuali di geografia
politica, fatti senza aridezza, in cui il senso politico sia profondo »
(ibidem). 267 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali stici, di chiaro stampo cattolico, riappaiono invece
ne La formazione dell’unità europea di Christopher Dawson. L’au-
tore di Progress and Religion (1929), di cui « La Civiltà cattolica »
aveva fatta propria « l'impressione di vedere già sorgere una nuova
società, che disconoscerà ogni gerarchia di valori, ogni disciplina
intellettuale, ogni tradizione sociale e religiosa, ma che vivrà per
l’attimo presente in un caos fatto unicamente di sensazioni » !*, era
stato già indicato da Mario M. Rossi, sulle pagine della « Nuova rivista
storica », come uno degli artefici di quelle « sintesi storiche », «
fon- date su una determinata dottrina filosofica o religiosa »,
che, sempre più frequenti « a mano a mano che l’Europa va dissolvendosi
nel caos », « sono un prodotto di crisi e non dell’esame di una
situazione solida e delineata » !*. Oppositore del progresso scientifico
che gli appariva una religione laica « che ha voluto sostituire la vera
unità cul- turale europea — il Cristianesimo », anche nel volume
einaudiano Dawson considera la Chiesa elemento unificante della storia
europea fra V e XI secolo, in linea con tutta la componente cattolica
della « cultura della crisi », intenta a costruire « una filosofia della
storia che tendeva a gettare ponti tra i secoli, ridotti ad attimi di un
fluire storico di smisurato respiro attorno alla vita della Chiesa »
!7. Dopo aver dichiarato, con toni spengleriani, che « Azio,
come Maratona e Salamina, fu uno scontro dell’Oriente e dell’Occidente, una
finale vittoria degli ideali europei di ordine e di libertà sopra il
despotismo orientale » — un’af- fermazione che ritroveremo nelle pagine
iniziali del Profilo della storia d’Europa di Salvatorelli e, ancora più
puntual- mente, nel corso sulla Storia dell’idea di Europa tenuto
nel 1943-44 da Chabod —, Dawson faceva una professione di fede
storiografica e ideologica insieme, sostenendo che « l'influsso del
cristianesimo sulla formazione dell’unità europea è un notevole esempio
del modo come il corso dello sviluppo storico viene modificato e
determinato dall’inter- 175 A. Brucculeri, La civiltà e le sue
moderne involuzioni, in «La Civiltà cattolica », 90 (1939), vol. III, p.
120. 176 « Nuova rivista storica », XXI (1937), p. 449.
177 R. Moro, La formazione della classe dirigente cattolica, cit., p.
449. 268 Le origini della casa editrice Einaudi
vento di nuovi influssi spirituali », in quanto esiste sempre
nella storia « un elemento misterioso e inspiegabile, dovuto non solo all’influsso
del caso o all’iniziativa del genio indi- viduale, ma anche alla potenza
creatrice delle forze spiri- tuali ». Su questa base l’autore sviluppa il
suo ragiona- mento, teso a dimostrare che la Chiesa non fu
coinvolta nella caduta dell'impero di Occidente perché « era diven-
tata una istituzione autonoma che possedeva il suo prin- cipio d’unità e
i suoi propri organi d’autorità sociale. Essa era in grado di diventare
contemporaneamente l’erede e rappresentante dell’antica cultura romana, e
la maestra e la guida dei nuovi popoli barbarici »; cosi all’inizio del
secolo VIII, quando l’invasione musulmana aprî un’« epoca di
universale rovina e distruzione », « vennero gettate le fon- damenta
della nuova Europa, da uomini come San Gregorio, che non avevano idea di
edificare un nuovo ordine sociale, ma siccome il tempo stringeva, si
travagliavano per la sal- vezza degli uomini in un mondo moribondo. E fu
proprio quest’indifferenza per i risultati temporali che diede al
papato l’energia di diventare, nella decadenza generale della civiltà
europea, un centro di riorganizzazione delle forze della vita ». Al
termine di questo processo, il secolo XI vide « l’incorporazione di tutta
l’Europa occidentale nella cristianità », e l’inizio di « un moto di
progresso che dura poi quasi senza interruzione fino ai tempi moderni
»; la logica conclusione del volume era perciò un invito a
proiettare nel futuro la tradizione culturale ricostruita in sede
storica: Ai nostri giorni l'Europa è minacciata del crollo della
cultura aristocratica e laica su cui era fondata la seconda fase della
sua unità. Sentiamo di nuovo il bisogno di un'unità spirituale o almeno
mo- rale [...]. Ma è bene ricordare che l’unità della nostra civiltà non
poggia soltanto sulla cultura laica e sul progresso materiale degli
ultimi quattro secoli. Ci sono in Europa tradizioni più profonde di
queste, e dobbiamo risalire oltre l’umanesimo e oltre i trionfi super-
ficiali della civiltà moderna, se vogliamo scoprire le fondamentali forze
sociali e spirituali che hanno lavorato alla formazione del l’Europa
18, 178 Ch. Dawson, La formazione dell’unità europea dal secolo V
all'XI, 2064) Il fascismo e il consenso degli
intellettuali « Non ci manca che la preghiera a Notre-Dame
de Lourdes, perché il Dawson ci appaia come un maresciallo Pétain
della cultura », osservava sarcasticamente, nel 1940, il «libertino»
Arrigo Cajumi, ormai distaccato dall’am- biente della casa editrice ‘, Ma
sempre nel 1940, quando anche l’Italia era entrata in guerra, Mario Delle
Piane riconosceva a Dawson il merito di aver fatto rivivere «
un’epoca lontana ed oscura e, pur tuttavia, attualissima, oggi che si
assiste, pare, alla lotta di due civiltà ed alla fine di una di esse»,
anche se aggiungeva, idealisticamente, che « la civiltà è una e
imperitura, non essendo altro che il concretarsi dello sviluppo del
libero spirito umano: cioè storia » !®. Più nettamente si esprimeva, pur
mantenendosi sul piano della discussione storiografica, Gino
Luzzatto, che alla storia delle idee di Dawson contrapponeva il
Mao- metto e Carlomagno di Henry Pirenne — uscito da La- terza nel
1939 —, mosso « dall’osservazione di un fatto economico », e, giudicando
« alquanto azzardato » il ragio- namento dello storico inglese, si
chiedeva « se la mirabile fioritura della vita cittadina fra il XII ed il
XV secolo non abbia avuto per la formazione della moderna civiltà
europea un’importanza assai maggiore dei rapporti fra Chiesa ed Impero »
15. Il tema del contrasto fra civiltà materiale e aspirazioni
spirituali, presente in Huizinga e Dawson, circola proble- maticamente
anche nei romanzi dei « Narratori stranieri tradotti », in particolare in
quelli di autori inglesi dell’età traduzione di C. Pavese, Torino,
Einaudi, 1939 (ediz. originale 1932), in particolare pp. 8, 45, 188,
276-277, 282-283. Anche per Chabod ad opera del pensiero greco si era
formata « una Europa che rappresenta lo spirito di “libertà”, contro il
“dispotismo” asiatico » (Storia dell’idea d'Europa, a cura di E. Sestan
ed A. Saitta, Bari, Laterza, 1961, p. 16). 17? A. Cajumi, Pensieri
di un libertino, presentazione di V. Santoli, Torino, Einaudi, 1970, p.
183. 180 « Rivista storica italiana », s. V, V (1940), p. 425. Secondo
Ga- briele Pepe, per Dawson il mondo europeo « sente più vivo il bisogno
di un ordine culturale nuovo, fondato su un pivi intimo contatto con
le civiltà dei popoli dell’Oriente e di tutto il restante mondo, che non
rien- trano nei quadri della nostra tradizione culturale » (La nascita
dell'Europa, in « Oggi », 24 febbraio 1940). 181 « Nuova
rivista storica », XXIV (1940), pp. 262-264 (siglato G.).
270 Le origini della casa editrice Einaudi vittoriana
la cui funzione, in questi anni di crisi di valori, può apparire analoga
a quella svolta a cavallo del secolo dal Tolstoj fustigatore del «
progresso meccanico » !. Di Walter Pater, fin allora conosciuto in Italia
solo come « ca- poscuola di un estetismo immoralistico » che
sarebbe emerso dai suoi studi sul Rinascimento, Einaudi presenta il
romanzo del 1885 Mario l’epicureo, in cui l’autore in- tende « to show
the necessity of religion », in un senso assai diverso dalla difesa della
« religione laica » fatta nel 1882 dal Marc Aurèle di Renan. Il
protagonista, la cui vi- cenda è ambientata ai tempi di Marco Aurelio —
espres- sione di una civiltà « arida » paragonata da Pater a quella
materialistica dell’800 —, abbraccia dapprima « un epicu- reismo elevato
a disciplina morale, che ha per suo fine non il godimento, sia pure
raffinato, ma la perfezione dell’es- sere intimo, “culto reso alla luce
dell’intelletto” », per approdare infine al cristianesimo, come scrive la
curatrice del volume: « Il cristianesimo fervido e sereno di quei
primi tempi eroici, scevri di fanatismo, l’esultanza invulne- rabile dei
credenti, la loro speranza serena, gli mostrano il sorgere di un’umanità
dotata di quelle qualità morali di cui il mondo pagano è privo, ma che
pure non rinnega l’amore alla vita e alla bellezza » !*. « Romanzo
filosofico », lo qualificherà Beniamino Dal Fabbro recensendolo
positi- vamente su « Primato », in cui tuttavia «il significato
dottrinario sembra soverchiato da un senso religioso in- teso liricamente
». Lo stesso Dal Fabbro citava le edizioni einaudiane, entrambe del 1939,
de La storia di Henry Esmond di Thackeray e del David Copperfield di
Dickens tradotto da Pavese, per coglierne « la contemporaneità in
ciò che fu chiamato il “compromesso vittoriano”, saggia mistura di
borghesia e di cristianesimo, di calcolate ribel- lioni e di più comode
acquiescenze » !*. Materia e spirito si oppongono e si confondono
anche 182 Cfr. G. Turi, Aspetti dell’ideologia del Psi
(1890-1910), in « Studi storici », XXI (1980), p. 85 n. 102.
183 W. Pater, Mario l’epicureo, traduzione di L. Storoni Mazzolani,
Torino, Einaudi, 1939, pp. 9, 13-14. 184 « Primato », I (1940), n.
1, p. 14, e «Oggi», 4 novembre 1939. 271 Il fascismo
e il consenso degli intellettuali in Cosi muore la carne di Samuel
Butler, un romanzo in gran parte autobiografico ambientato nell’età
vittoriana, in cui il curatore notava « la ricerca continua e affannosa
di una fede, in grado di sostituire la religione tradizionale », e
« l’ingenua fiducia accordata a ogni nuova teoria, la quale non tardava
ad abbandonare i precisi limiti scientifici per confondersi in un alone
religioso », la ribellione di Butler al positivismo e il suo invito agli
uomini di liberarsi dal peccato e dal dolore amando « il vero dio » !*.
Dal romanzo traeva spunto il liberalsocialista Vittorio Gabrieli per
pre- sentare la figura dell’autore su « Civiltà moderna », e met-
tere in luce che nell’età vittoriana, in un momento in cui « si accentua
e si propaga il dissidio tra sentimento religioso e spirito scientifico,
misticismo e razionalismo », nasceva in Butler, cosî come nel
protagonista del romanzo, la satira della società, della scuola, della
famiglia, della religione tradizionale, e il suo tentativo di conciliare
la scienza con la religione: di qui, in lui, una «curiosa mescolanza
di immanenza razionalistica e di spiritualità profonda e fan- tasia
suggestiva », e, in contrasto con la visione materia- listica
dell’universo fornita da Darwin, « l’affermazione dell’attività dello
spirito sulla materia, della libertà umana, del progressivo scoprirsi
d’un ordine nell’universo, un prin- cipio vitalistico ed una forza
creativa, sostituendo cosî al meccanismo della selezione naturale una
finalità, un dive- nire teleologico, che effettivamente collima con una
conce- zione religiosa » !, In questo contesto si spiega come
nel 1938 Aldo Capi- tini, esponente di un liberalsocialismo dalle forti
venature religiose, si rivolgesse a Einaudi per proporgli la pubblica-
zione dell’epistolario di Michelstaedter, un autore che Capitini « scopri
» negli anni ’30 e che tanta influenza ebbe sui suoi Elementi di
esperienza religiosa, cosi come 185 S. Butler, Cost more la carne,
prefazione e traduzione di E. Gia- Dio, Torino, Einaudi, 1939, pp. VII,
IX (citiamo dalla seconda edizione el 1943). 186 V. Gabrieli,
Presentazione italiana di S. Butler, in « Civiltà moder- na », XII
(1940), pp. 132, 134-135. Tommaso Landolfi coglieva invece nel romanzo «
un'impressione di triste aridità » (« Oggi », 13 gennaio 1940).
272 Le origini della casa editrice Einaudî su altri
intellettuali che negli anni fra le due guerre ne. ripresero la
riflessione sulla « situazione » umana, sui valori della morale e della
fratellanza; di lui, ricorderà Capitini, lo aveva colpito «
l’antiretorica, quel tipo di esi- stenzialismo, che poteva divenire
supremo impegno pratico, come poi mi è stato confermato dall’esame
dell’epistolario manoscritto, dall’interesse che egli ebbe negli ultimi
suoi anni per i Vangeli; insomma mi pareva esatto considerarlo.
come la premessa di una tensione pratica etico-religiosa » !”.
Carlo Michelstaedter — scriveva infatti a Einaudi — ha portato.
nella cultura italiana un rigore insolito nell’esigenza dell’assoluto.
Egli spicca in confronto di molti suoi coetanei della « Voce » che furono
morbidi e, prima o poi, arrendevoli. L'elemento intransigente e tragico
difetta troppo nella nostra spiritualità perché non ne sia desiderabile
l’innesto. Le riserve sul pensiero e sulla decisione del Michelstaedter
[morto suicida nel 1910] non spengono l’importanza che egli ha per quelli
che oggi ascoltano voci perentorie e disperate per vincere la
faciloneria. Cresce l’interesse per lui; sta diventando un punto di
riferimento, anche per chi comprende che si deve andare oltre e
ricostruire ma su serie rovine !88, Dubbi o disorientamenti,
tendenze spiritualistiche ed esperienze religiose, anche se non
univocamente contraddi- stinte, o recepite, sul piano civile, venivano
cosî confe- rendo alla casa editrice la funzione di stimolo alla
rifles- sione, a non affidarsi alle « certezze » del regime proprio
nel momento in cui ci si avvicinava alla guerra. 7. Una cultura
eclettica: i « Saggi » Dubbi e inviti alla riflessione si
accompagnano tut- tavia, ancora in questi anni, alla difficoltà di
attestarsi su una linea culturale ben definita, che si manifesta in
una 187 A. Capitini, Antifascismo tra i giovani, cit., p. 53.
Sulla fortuna di Michelstaedter tra le due guerre cfr. E. Garin,
Intellettuali italiani del XX secolo, cit., pp. 102-103. 18
AE, Capitini (17 agosto 1938). L'editore propose invece a Capitini di
scrivere un libro su Michelstaedter; nel 1938 Capitini propose anche Ends
and means di Aldous Huxley (1937). 273 Il fascismo e
il consenso degli intellettuali inquieta ricerca di « novità »: ne
è testimonianza precipua la collana dei « Saggi », quella di maggiore
diffusione, che affronta temi disparati secondo ottiche diverse, dimostrando
talvolta l’insofferenza verso i canoni della cultura fascista ma, al
tempo stesso, il persistere di un eclettismo che smorza i tentativi
innovatori della casa editrice. I « Saggi » erano stati inaugurati
nel 1937 da Voltaire politico dell’illuminismo di Raimondo Craveri,
severamente giudicato da « Giustizia e Libertà » !° incapace di
cogliere gli elementi caratteristici di un’opera che, in linea con
l’interesse per il pensiero settecentesco de « La Cultura » e di Salvatorelli,
si richiamava agli studi più recenti, in particolare a quelli di Dilthey
e di Cassirer negatori della taccia di antistoricismo mossa al secolo
XVIII, per svol- gere una critica trasparente dell’idealismo e della
con- cezione attualista dello Stato: Le idées claires che
l’illuminismo ha amato — osservava infatti l’autore —, giovano forse a
riportatci in più spirabil aere di quello saturo di aberrazioni mentali
mascherate di hegelismo ed ammantate di dialettica d’oggigiorno [...]. Il
teorico del dispotismo illuminato diverrebbe ora il nemico d’ogni
statolatria e d’ogni anarchia ed, in quanto fautore della tolleranza,
l’avversario principe dello Stato provvidenzialmente onnipresente ed
onniagente. Sul terreno teorico Voltaire scende in campo contro gli epigoni
dell’hegelianismo !%. L’anno successivo appariva il Profilo di
Augusto di Ettore Ciccotti, dove il rifiuto di ogni glorificazione e
attua- lizzazione del personaggio biografato, proprio quando la sua
figura era ufficialmente celebrata dal fascismo — alla ricerca di
legittimazioni imperiali — in occasione del bimil- lenario della nascita
dell’imperatore romano, appariva evidente fin dalle dichiarazioni
metodologiche iniziali in 189 « Libro di eccellenti intenzioni, ma
di esito abbastanza infelice [....] l’abuso di filosofia del Craveri lo
porta a dedicare l’intero suo libro al sistema filosofico di Voltaire,
che era cosa da trattare in quattro pagine [...]. Le sole cose sensate ci
paiono essere le riflessioni sul despotismo illuminato, e il suo
carattere apolitico, la indifferenza di Voltaire per lo Stato e il suo
ottimismo per la libera attività nella società esistente » (« Giustizia e
Libertà », 23 aprile 1937). 190 R. Craveri, Voltaire politico
dell'illuminismo, Torino, Einaudi, 1937, pp. 13-14, 19.
274 Le origini della casa editrice Einaudî cui
l’autore, riecheggiando, anche se in forma più blanda, gli interessi
economico-sociali che ne avevano caratterizzato la produzione a cavallo
del secolo, affermava che gli uomini dovevano essere collocati « in
relazione all'ambiente e al tempo », « onde non si tratta di apoteosi o
condanne, di glorificazioni od esecrazioni; e piuttosto, o meglio,
di cercare di comprendere come e per quali vie e tra quale varia
cooperazione e con quali effetti sociali gli eventi si svolsero e si
conclusero, e con quali prospettive e signifi- cato »; ma si limitava in
realtà ad una narrazione puramente cronachistica, in cui spicca un solo
giudizio dal trasparente significato politico, che, ancora una volta, la
« Nuova rivista storica » non mancava di rilevare: « Gli autocrati,
d’ordinario, dovendo farsi perdonare la confiscata libertà e il potere
assoluto, ricorrono a miraggi di conquiste, onde lampeggiano a’ soggetti beneficii
spesso sognati od effimeri e al dominatore ancor più effimero prestigio:
quindi la guerra » !. Distante dalla cultura idealistica era anche
l’in- terpretazione psicanalitica proposta dallo psichiatra spa-
gnolo Gregorio Marafion, che intendeva mettere in luce le qualità umane
dello scrittore ginevrino Henry Amiel sulla base di una concezione
relativistica della morale, secondo la quale « le cose non sono quasi mai
assoluta- mente buone o cattive, e l’efficacia loro, positiva o
negativa, dipende pi dall’orecchio di chi le ascolta che dal labbro
di chi le pronuncia » !, Una linea diversa prevale invece nei saggi
dedicati alla letteratura italiana, nonostante la presentazione
della figura inquieta e non conformista di Tommaseo, di cui
Raffaele Ciampini mette in luce, nel Diario intimo, il lace- 191
E, Ciccotti, Profilo di Augusto, Torino, Einaudi, 1938, pp. 13-14, 61-62;
cfr. la recensione di Giovanni Costa in « Nuova rivista storica », XXII
(1938), pp. 406-407. Cfr. anche M. Cagnetta, Antichisti e impero
fascista, Bari, Dedalo, 1979, p. 133. Nel giugno 1938 Ciccotti propose
all’editore la ristampa de La guerra e la pace nel mondo antico del 1901,
ma Einaudi gli contropropose un saggio sui Gracchi (AE, Ciccotti).
192. G. Marafion, Arziel, o della timidezza, traduzione di M. F.
Canella, Torino, Einaudi, 1938, (ediz. originale 1932), p. XV; Giansiro
Ferrata osservò che il libro « manca, del tutto, di sensibilità poetica e
psicolo- gica » (« Oggi », 7 ottobre 1939). 275
Il fascismo e il consenso degli intellettuali rante contrasto fra
il richiamo dei sensi e quello della reli- gione, mentre, presentando la
Cronichetta del Sessantasei dello scrittore dalmata, ne sottolinea,
accanto all’attacca- mento alla Chiesa, la convinzione federalista, all’origine
di quella «critica troppo spesso genialmente e perfida mente malevola »
che investe in primo luogo i protagonisti « piemontesi » del processo di
unificazione, Cavour e Vit- torio Emanuele ‘*, suscitando ovviamente lo sdegno
della « Rassegna storica del Risorgimento » — «che giova il
conoscere tanta ombra, quando alla storia si deve piuttosto chiedere
tanta luce? » !*. Preoccupazione precipua dell’e- ditore appare comunque
la difesa del crocianesimo, testi- moniata anche dal suo fitto carteggio
con quel Luigi Russo che su « La Cultura » Cajumi aveva duramente
stroncato !* Nella raccolta di saggi su Carducci di Tommaso Parodi,
Antonicelli mette in evidenza la vicinanza dei giudizi espres- si
dall’autore e da Croce, entrambi mossi dalla preoccu- pazione di
distinguere l’uomo dall’artista, che in Parodi si esprime nella
sufficienza con cui tratta l’interesse del poeta per la tecnica
filologica, cosî come la sua fase « socialista » e anticlericale, per
concludere che Carducci è « poco fe- lice [...] quando cerca argomento
nella storia più recente, ove facilmente soverchiano in lui le passioni
pratiche, e allora gli s’intorbida la serenità lirica, mancandogli
lo sfondo epico della lontananza » !*. Il timore di non con-
19 N. Tommaseo, Diario intimo, a cura di R. Ciampini, Torino, Einaudi,
1938, e Id., Cronichetta del Sessantasei, a cura di R. Ciampini, Torino,
Einaudi, 1939, pp. 49-50, 78: Tommaseo, osservava Ciampini, « vedeva e
concepiva l’unità come una oppressione dal forte esercitata sul debole,
come un soffocamento dei vari germi locali. Il Piemonte vincitore in
Italia, gli appariva un arrogante dominatore: per lui, il Piemonte non
vuole fare l’Italia, ma vuole conquistare a proprio profitto l’Italia ».
19 Piero Zama, in «Rassegna storica del Risorgimento », XXVII
(1940), p. 1052. 195 Il 12 febbraio 1934 Russo proponeva una serie
di volumi miscel- lanei sugli studi italiani del ’900: due sulla storia e
la filologia (curati da lui), due sugli studi filosofici, giuridici ed
economici (curati da De Rug- giero e Luigi Einaudi), uno sulle scienze
naturali e matematiche (curato da Enriques); nel giugno 1937 accettava di
scrivere un volume sul Per- siero politico di Vittorio Alfieri (AE,
Russo). 1% T. Parodi, Giosue Carducci e la letteratura della nuova
Italia, saggi raccolti da F. Antonicelli, Torino, Einaudi, 1939, pp.
XI-XII, XVII XVIII, 8, 12, 81; recensendo il volume Enrico Falqui
osservava che « un 276 Le origini della casa editrice
Einaudi traddire Croce è ancora pit esplicito nella vicenda
della pubblicazione dei saggi sugli Scrittori francesi dell’Otto-
cento di De Lollis, un debito dovuto alla tradizione sulla quale si era
formato il primo nucleo della casa editrice: Giulio Einaudi ne aveva inizialmente
affidata la cura a Cajumi, raccomandandogli di evitare toni anticrociani
tali da provocare una stroncatura da parte della « Critica »; ma
l’ex direttore de « La Cultura » aveva dichiarato di non poter accettare
la « censura crociana », aggiungendo che «le colpe e le ipocrisie
crociane verso De Lollis (e non è solo parer mio, ma anche dei vecchi
delollisiani come Trompeo) devono a/fine venire documentatamente in luce
». Dopo aver inutilmente proposto dei tagli alla prefazione di
Cajumi per togliere gli « accenni più violenti all’idea- lismo e alla
filosofia in genere », l’editore ne affidò quindi la cura al pi fidato
Vittorio Santoli '”, che nell’introdu- zione dichiarava « decisivo »
l’incontro di De Lollis con Croce, mettendo in luce, nel primo, il
riconoscimento dell’insufficienza dell’indagine filologica secondo la
quale « ogni poeta è l’età sua più qualche cosa che è tutto suo »;
‘e concludeva estendendo i legami fra Croce e De Lollis alle riviste da
loro dirette: « della Cultura si può tranquilla- mente dire ch’essa,
insieme alla Critica, è stata la rivista che più ha contribuito ad
avviare la mentalità universitaria italiana dal tecnicismo all’umanesimo,
da certe angustie pae- sane ad una universalità di sguardo nella quale era
però sem- pre riconoscibile il tranquillo orgoglio d’essere “ah si!
di gran signori” » !*. Ma, a testimoniare l’intersecarsi di linee
diverse, nel 1939 la « Nuova raccolta di classici italiani an- notati »
diretta da Santorre Debenedetti — costretto dalle leggi razziali ad
abbandonare l’insegnamento universitario po’ pit di peso dato alla
filologia nel giudizio sur un’opera letteraria e poetica conferirebbe
alla critica idealistica quella aderenza al fatto arti- stico la quale,
da ultimo, si risolve in una maggior comprensione dell’opera stessa »
(«Oggi », 17 giugno 1939). Nel ’39 Antonicelli accettava din Einaudi
l’incarico di curare un'antologia della letteratura italiana in otto
volumi (AE, Antonicelli). 197 AE, Cajumi (29 e 30 marzo, 9, 10 e 15
aprile 1938). 1% C. De Lollis, Scrittori francesi dell'Ottocento,
con un saggio biogra fico di V. Santoli, Torino, Einaudi, 1938, pp. XVII,
XXI, XXIII, XXX. 211 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali — si inaugurava con le Rizze di Dante commentate,
in senso non certo crociano, da Gianfranco Contini, e che pur Luigi
Russo giudicò « opera fondamentale » che « se- gna una data nella storia
degli studi e delle interpretazioni dantesche » !°. Al tempo
stesso, l’opera di sprovincializzazione della cultura italiana cui
abbiamo già accennato a proposito della « Biblioteca di cultura storica
», iniziava nel 1938 anche nei « Saggi »: l’Autobiografia di Alice Toklas
di Gertrude Stein — un vivace affresco della cultura d’avanguardia
europea dell’inizio del secolo, da Picasso a Matisse, da Henry James a
Hemingway —, permetteva al traduttore, Pavese, di cogliere i debiti
dell’autrice verso Walt Whitman nella « contemplazione ironica e insieme
intenerita di un mondo reale, fuori d’ogni troppo compiaciuto interesse
per i procedimenti dell’arte » e in « quel conturbante realismo
della vita subconscia che resta a tutt’oggi il pit vitale contributo
dell'America alla cultura » ?°, motivi non estra- nei alla ricerca
stilistica dello scrittore piemontese. Nello stesso anno era inaugurata
la collana « Narratori stranieri tradotti » in cui, scriveva l’editore, «
dovrebbero entrare, oltre ai classici, solo scrittori universalmente
riconosciuti come eccellenti » ?". Nata per impulso di Ginzburg
— che con estremo puntiglio filologico ne seguirà le edizioni anche
dal confino di Pizzoli — e con l’apporto di Pavese, la celebre collana
dalla copertina azzurra offrî, sulle tracce della Slavia — da cui riprese
alcuni titoli russi —”, traduzioni integrali di testi molti dei quali mai
fin allora conosciuti in Italia nella loro completezza, ad opera di
traduttori d’eccezione: accanto a Ginzburg e a Pavese, Ettore Lo Gatto,
Alberto Spaini, Pietro Paolo Trompeo, Piero Jahier, Massimo Mila, Camillo
Sbarbaro, per arri- vare, nel 1946, alla prima traduzione di Proust a
cura di 19 Russo a Einaudi, 11 dicembre 1939 (AE, Russo). Sul
direttore della collana cfr. ora L. De Vendittis, Santorre Debenedetti
tra positivismo e idealismo, in « Studi piemontesi », VIII (1979), pp.
3-25. 20 Ora in C. Pavese, La /etteratura americana, cit., pp.
166-167. 201 Einaudi a Umberto Morra, 8 maggio 1939 (AE,
Morra). 2 Cfr. AE, Polledro. 278 Le origini
della casa editrice Einaudi Natalia Ginzburg. Il lettore italiano
venne cosî a contatto soprattutto con i capolavori del romanzo
psicologico otto- centesco, stimolo a riflessioni su vicende e passioni
al di sopra delle contingenze storiche, non senza talvolta, attra-
verso la guida delle introduzioni, riferimenti indiretti
all'attualità. Gli interessi e i suggerimenti dei curatori sono
ovvia- mente diversi: mentre Lo Gatto antepone nell’Oblòmov di
Gonciaròv il valore artistico rispetto a quello sociale ?%, Pavese coglie
in Tre esistenze della Stein « un primo esem- pio perfetto di quella che
sarà ricerca costante della nar- rativa americana del nuovo secolo: un
mondo fantastico che sia la realtà stessa, colta nel suo farsi espressivo
», un giudizio non solo estetico che Mario Alicata puntualizzerà
evidenziando la descrizione della provincia americana « nel- la sua grama
miseria, nella sua disperata solitudine », per cui « il realismo
metafisico della Stein sempre volutamente si nega ad ogni illuso
sentimentalismo » ?*. Nei romanzi di Dostojevskij pubblicati durante la
guerra Ginzburg mette invece in evidenza, pur accanto alle
contraddizioni della « filosofia » dell’autore, il messaggio umano del
prin- cipe Myskin, « assolutamente buono » e non per questo vinto,
la cui figura anima « un libro consolante e vivifica- tore come pochi
altri libri venuti dopo il Vangelo », e, nei Demoni, la critica di
Dostoevskij — che restò tuttavia « lontano da ogni apologia dell’ordine
esistente » — verso i risultati, e non verso le « ragioni » dei
rivoluzionari contro la società, e, come tema dominante, l’inquieta
ricerca della fede ?*. E, mentre nel 1942 è presentato come «la
tra- gedia d’un Amleto americano » e una sofferta « polemica contro
l'umanità » il Pierre o delle ambiguità di Melville, che Pratolini
considera precursore di Meredith, James e Conrad, « una filza di nomi che
potrebbe continuare, prove alla mano, fino a comprendere autori che
respirano l’aria 23 I. Gonciaròv, Oblòmov, prefazione e traduzione
di E. Lo Gatto, Torino, Einaudi, 1938 (II ediz. 1941), p. VII.
2% C. Pavese, La letteratura americana, cit., p. 169; recensione di
Mario Alicata in « Leonardo », XI (1940), p. 174. 25 Ora in L.
Ginzburg, Scritti, cit., pp. 240-241, 243, 248, 252, 255.
279 Il fascismo e il consenso degli intellettuali di
questa lunga giornata di guerra, da una parte e dall’altra delle trincee
» ?*, la difesa dei valori dell’uomo che trascen- dono sistemi politici o
contingenze belliche, e la speranza di una fratellanza universale,
traspaiono, sempre nel 1942, da Guerra e pace, dove « guerra è il mondo
storico, pace il mondo umano », osserva Ginzburg, quel mondo umano
che « interessa ed attrae particolarmente Tolstoj soprat- tutto perché
egli è convinto che ogni uomo — di ieri, di oggi, di domani — valga un
altro uomo », e che trova la sua esaltazione nel finale intimistico e
famigliare del ro- manzo, dove è descritta « quella felicità che può far
disto- gliere lo sguardo di un giusto da un uomo ucciso ingiu-
stamente » 2”. « L’amore per la natura, i diritti del cuore, la gloria
del sentimento », contrapposti alla « falsità della vita sociale », erano
stati messi in luce nel primo volume della collana, I dolori del giovane
Werther ®*; da Goethe si passa, con la caduta del fascismo, a Diderot, a
Jacques il fatalista in cui Glauco Natoli identifica nel
protagonista e nel padrone dei « personaggi reali, nei quali
s’incarna la mortale polemica fra due classi destinate ad
affrontarsi, nel fatale declino l’una, nell’irresistibile ascesa l’altra,
che s’affrancherà sempre più d’ogni servile retaggio per recla-
mare e raggiungere quella dignità umana, che troverà fra non molto la sua
piena espressione nella dichiarazione dei diritti dell’uomo » °°. Il commento
si farà infine ancora più esplicito nel 1945, sempre attraverso Diderot,
di cui Fernanda Pivano sottolineerà « la passione politica dell’uo-
mo che si pone di fronte a leggi costituite da un’autorità non
riconosciuta e a norme imposte da una tradizione iste- rilita per
abbatterle ed eliminare gli ostacoli al libero pen- 26 H.
Melville, Pierre o delle ambiguità, prefazione e traduzione di L. Berti,
Torino, Einaudi, 1941, pp. VII, IX; la recensione di Pratolini in «
Primato », III (1942), pp. 287-288. 20 L. Ginzburg, Scritti, cit.,
pp. 285, 287. 28 W. Goethe, I dolori del giovane Werther,
prefazione e traduzione di A. Spaini, Torino, Einaudi, 1938, p.
VIII 20 D. Diderot, Jacques il fatalista e îl suo padrone,
traduzione di G. Natoli, Torino, Einaudi, 1944, p. XV.
280 Le origini della casa editrice Einaudi siero,
alla libera parola, alla libera morale, alla libera scienza » 7°,
Attraverso i classici della letteratura universale pote- vano cosi passare
messaggi emotivi capaci di « distrarre » il lettore dalla realtà della
vita quotidiana, e sollecitarne la fantasia, la riflessione, la critica.
Un raggio d’influenza più limitato ebbe ovviamente un’altra iniziativa
della casa edi- trice, la « Biblioteca di cultura scientifica » avviata
nel 1938, che trovò probabilmente un terreno di coltura già
preparato nella Torino di Giuseppe Peano, e un animatore in Ludovico
Geymonat: una collana che con i testi di De Broglie, Pavlov o Planck,
riuscf a presentare, non senza contrasti ?!, una tematica che era rimasta
estranea alla cultura idealistica, ma che ciò nonostante gli epigoni
del positivismo avevano tenuto in vita; ad essa si affiancò, a
partire dal 1940, la rivista « Il Saggiatore », dedicata alla
divulgazione dell’attualità scientifica nei campi della ma- tematica,
della biologia, della fisica — fino ai problemi dello sfruttamento
dell’energia nucleare — e delle loro applicazioni tecniche, ma che solo
in casi isolati si occupò dell’utilizzazione delle scoperte scientifiche
a fini bellici, dimostrandosi severa custode dell’autonomia della
scienza, fino a definire « ridicola » la condanna papale di Galileo
2. 210 D. Diderot, La religiosa, prefazione di F. Pivano, Torino,
Einaudi, 1945, pp. VIII-IX. 211 Ad esempio il 14 novembre
1942 Geymonat inviò a Francesco Severi e Armando Carlini un memoriale per
protestare contro il parere negativo dell’Accademia d’Italia alla
traduzione di Die Grundlagen der Arithmetik di Gottlob Frege (AE,
Geymonat). Dedica un breve cenno all'ambiente torinese di Peano C.
Pogliano, Mondo accademico, intellet- tuali, professione sociale
dall'Unità alla guerra mondiale, in AA.VV., Storia del movimento operaio,
del socialismo e delle lotte sociali in Pie monte, diretta da A. Agosti e
G.M. Bravo, vol. I. Dall'età preindustriale alla fine dell'Ottocento,
Bari, De Donato, 1979, pp. 534-535. 212 M.G. Fracastoro, Nel 3°
centenario della morte di Galileo Galilei, in « Il Saggiatore », II
(1941), p. 313. La rivista era diretta da C. Fru- goni, F. P. Mazza, A. M.
Olivo, F. Tricomi, G.C. Wick. 281 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali 8. La « svolta » della guerra e i
collaboratori « romani » La seconda guerra mondiale rappresenta,
per l’itine- rario culturale e politico di molti giovani intellettuali
forma- tisi negli anni ’30, quella « svolta » in senso antifascista
che spinse Bottai a tentare con « Primato » di recuperarne il
consenso attorno alla guerra «italiana ». Il 1940 è una data
periodizzante anche per la casa editrice, i cui inter- venti — se
prescindiamo dalla continuazione della battaglia conservatrice dei
liberisti — si modificano sensibilmente: si accentuano i contatti con la
cultura europea e si rac- coglie attorno alla casa un numero crescente di
intellettuali progressisti, cos che negli anni intercorrenti tra
l’entrata in guerra dell’Italia e il 25 luglio 1943 si pongono
concreta- mente, nelle realizzazioni o anche solo nei progetti —
alcuni dei quali molto coraggiosi per allora — le premesse di gran
parte delle iniziative editoriali del periodo postbellico. Uno dei
punti nodali che è necessario mettere in luce, in questi anni, è il
rapporto della casa editrice con Bottai e con l’operazione che questi si
proponeva di svolgere attra- verso « Primato ». Giulio Einaudi ha
ricordato che il nostro gruppo non solo non agî all’interno dello
schieramento fascista, ma tentò di fare in proprio — e spesso con
successo — quella stessa politica che il fascismo intendeva attuare con
strumenti come « Primato ». Forme indirette di opposizione sf, com’era
inevi- tabile a chi, producendo libri, doveva agire alla luce del giorno,
e assumere di volta in volta una maschera, che fosse la più
trasparente possibile; concessioni ideologiche al fascismo, o discussioni
alla pari, mai 215, Queste parole rivelano una
sopravvalutazione del ruolo di « opposizione » che sarebbe stato svolto
da Bottai, e di conseguenza potrebbero essere assunte come prova di
un pieno coinvolgimento della linea editoriale einaudiana nella
fagocitante, proprio perché spregiudicata, prospettiva politi- ca del
ministro fascista, diretta in realtà a imbrigliare ogni opposizione.
Infatti, se « Primato » non può essere tutto 213 AE, G.
Einaudi. 282 Le origini della casa editrice
Einaudi risolto nella categoria « fascismo » ?!, e se è necessaria
una sua lettura non univoca, che ne colga gli sviluppi nel corso
della guerra #5, la rivista non poteva essere considerata, né dal
fondatore né dai collaboratori, solo come il luogo della « difesa della
cultura », essendo ben marcato il suo carattere militante e ben netto
l’obiettivo di Bottai — come risulta anche dai suoi ricordi e dalle sue
note di diario — di far sopravvivere il fascismo al « mussolinismo
». Non è quindi privo di ambiguità il fatto che, dopo essere
entrato in contatto con Bottai proprio nel 1940, ancora nel 1942 Einaudi
si rivolgesse a lui per proporgli di pubblicare presso la casa editrice
una raccolta dei suoi interventi sull’arte e la cultura — « non può
mancare tra i miei Saggi una presa di posizione nella polemica che
ferve per l’intelligente modernità dell’arte italiana; e chi meglio
di Voi può difendere questo partito in un libro? » —, e che nello stesso
anno fosse in contatto con il redattore capo della rivista Giorgio
Cabella, di cui pubblica il racconto Alloggio sul golfo (1942), oltre ad
affidare la cura delle Memorie di Metternich al bottaiano Gherardo
Casini, direttore generale per la stampa italiana ?!9. Tuttavia,
nono- stante la presenza di elementi contraddittori, proprio nel
rapporto con la casa editrice è possibile misurare lo scarto fra le
intenzioni di Bottai e i risultati della sua politica, in quanto,
soprattutto a partire dal 1941, alcuni dei nuovi collaboratori « romani »
di Einaudi che scrivono su « Pri- mato » hanno già compiuto la scelta
antifascista, e solle- citano l’editore a iniziative più avanzate che
reclamizzano 214 E. Garin, Cronache di filosofia italiana, cit.,
p. 527. %5 Cfr. le osservazioni di Luisa Mangoni premesse all’antologia
« Pri- mato » 1940-1943, Bari, De Donato, 1977. 216 AE,
Bottai (13 gennaio 1942). Il 24 febbraio 1942 Alicata scriveva
all'editore: « Vedrò domani Bottai per Primato, e gli chiederò ancora il
suo volume di scritti culturali » (AE, Alicata). Già il 6 ottobre 1940
l'editore aveva chiesto a Bottai di segnalare « Il Saggiatore » «
all’appo- sita commissione ministeriale affinché vengano sottoscritti
alcuni abbona- menti per le Biblioteche degli Istituti di Istruzione
tecnica »; 1°11 giugno 1942 ringraziava il ministro « per
l’interessamento dimostrato a mio favore in merito alla carta ». Cfr.
anche le lettere dell’editore a Cabella del 5 si 1942, e di Casini
all’editore dell’8 giugno 1942 (AE, Cabella, asini).
283 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
sulla rivista, usata come strumento di discussione e di aper- tura
culturale, consentendo cosî alla casa editrice di atte- starsi su
posizioni che superano i confini del progetto bot- taiano. A
dare nuova linfa vitale alla casa editrice contribuî infatti nel 1941,
con l’apertura della sede romana, l’in- contro dell’originario nucleo
torinese con quello romano di Mario Alicata, Giaime Pintor e Carlo
Muscetta, tre gio- vani intellettuali che, pur con diversi orientamenti,
avevano già tradotto politicamente, in senso antifascista, la loro
rapida maturazione culturale; con i loro contatti, inoltre, essi
allargarono il numero dei collaboratori di Einaudi, fra i quali
comparvero, i che rima- sero ancora i più numerosi —, intellettuali già
aderenti al partito comunista o che si venivano orientando verso di
esso, ma tutti uniti nella comune lotta al fascismo, senza che si
manifestassero fra di loro, almeno fino al 25 luglio 1943, contrasti di
rilievo. Nell’aprile 1940 Alicata e Mu- scetta avevano contribuito a
inaugurare la nuova serie de « La Ruota » — cui collaboravano anche
Pintor e Pavese —, la rivista diretta da Mario Alberto Meschini che,
sosti- tuendo il sottotitolo « mensile di politica e letteratura »
con quello apparentemente più disimpegnato di « rivista mensile di
letteratura e arte », assumeva in realtà la pro- spettiva di un’azione
politica a più largo respiro ?”, nella convinzione, comune a tanti
giovani intellettuali che davano vita o partecipavano a iniziative di
fronda, di potersi sal- vare — ricorderà Pavese — con «un tuffo nella
folla, un febbrone improvviso d’esperienze e d’interessi proletari
e contadini, per cui la speciale e raffinata malattia che il fascismo c’iniettava,
si risolvesse finalmente nell’umile e pratica salute di tutti » ?!".
Mentre Muscetta era attestato su posizioni liberalsocialiste, già nel
1940 Alicata aveva superato l’originaria formazione crociana per
abbracciare 2 Cfr. la testimonianza di Antonello
Trombadori in M. Alicata, Lettere e taccuini di Regina Coeli, prefazione
di G. Amendola, introdu- zione di A. Vittoria, Torino, Einaudi, 1977, p.
XXXV. 218 C. Pavese, IÙ fascismo e la cultura 1945), ora in La
letteratura americana, cit., p. 220. 284 Le
origini della casa editrice Einaudî uno storicismo pit concreto
maturato sulla conoscenza di De Sanctis e di Fortunato e sulle prime
letture marziste, e aveva aderito al partito comunista segnalandosi
subito per quell’intensa attività politica — tesa ad allacciare
rap- porti con i liberalsocialisti e i cattolici comunisti — che ne
provocò l’arresto alla fine del 1942 ?”. Ancora tutto « letterato »
alto-borghese era invece Pintor, che tuttavia viene in contatto,
nell'ambiente einaudiano, con il catto- lico Felice Balbo — « il cui
influsso sul mio modo di pen- sare è stato decisivo », annoterà —, e
viene maturando politicamente di fronte alla drammatica realtà della
guerra: senza la guerra — ricorderà nell’ultima lettera al
fratello — io sarei rimasto un intellettuale con interessi
prevalentemente letterari [... .J: c’era in me un fondo troppo forte di
gusti individuali, d’indifferenza e di spirito critico per sacrificare
tutto questo a una fede collettiva. Soltanto la guerra ha risolto la
situazione, travolgendo certi ostacoli, sgombrando il terreno da molti
comodi ripari e mettendomi brutal- mente a contatto con un mondo
inconciliabile 2° Pur avendo interessi ancora prevalentemente
letterari, i tre « romani » parteciparono alla diverse iniziative di
Ei- naudi: mentre alla fine del 1941 Pintor diviene « agente
volante » della casa editrice, con « il compito di leggere libri, dare
consigli, e girare in Italia £ soprattutto all’estero come rappresentante
dell’editore » ?!, Alicata tiene i con- tatti col Ministero della cultura
popolare per ottenere le autorizzazioni della censura, e arriva ad
occuparsi di un problema che acquista importanza decisiva nel corso
della guerra, quello dell’acquisto della carta. Inoltre, Alicata e
219 Cfr. l'introduzione di R. Martinelli a M. Alicata, Intellettuali
e azione politica, a cura di R. Martinelli e R. Maini, Roma, Editori
Riuniti, 1976, pp. XX-XXI, e C. Salinari-A. Reichlin-A. Tortorella-G.
Amendola, Mario Alicata intellettuale e dirigente politico, Roma, Editori
Riuniti, 1978. 290 Cfr. G. Pintor, Doppio diario 1936-1943, a
cura di M. Serri, Torino, Einaudi, 1978, p. 111, e Id., Il sangue
d'Europa (1939-1943), a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1965, p.
186. Di « ambiguità » di Pintor ha parlato F. ‘Fortini, "Vicini e
distanti. A proposito del « Doppio diario » È Cine Pintor, in «Quaderni
piacentini », XVIII (1979), n. 70-71, pp. 221 G. Pintor, Doppio
diario, cit., p. 161. 285 Il fascismo e il consenso
degli intellettuali Muscetta aiutano anche dall’esterno l’attività
di Einaudi collaborando a « Primato », su cui entrambi, con lo
pseu- donimo rispettivamente di Don Ferrante e di Don Santi-
gliano, segnalano con continuità le iniziative della casa editrice, coinvolgendo
in questa opera di « propaganda » altri intellettuali, come Beniamino Dal
Fabbro. Cosi nel 1941 Alicata, mentre si impegna con Einaudi per un
saggio sulla letteratura contemporanea, assicura l’editore che ne
segnalerà i volumi — « tutti, via via, più o meno larga- mente, nel mio
Cotriere delle Lettere su Primato, dove cercherò di far fare puntualmente
anche le recensioni » —, e nello stesso anno elogia sulla rivista di
Bottai la « ricer- cata collana di narratori stranieri che Einaudi viene con
grande accortezza riunendo. Poche opere, ma tutte ecce- zionali, tutte
illuminatrici d’una personalità o d’un co- stume » “2. Analogamente
Muscetta, rispondendo all’invito di Einaudi di fare pubblicità ai suoi
volumi su « La Ruota » — cosa che farà regolarmente su « Primato » —,
affer- mava di « aver seguito la sua attività editoriale con inte-
resse affettuoso, e ogni libro [...] pubblicato mi ha recato un nuovo
conforto a credere nei valori della cultura che non sono da difendere
soltanto nel chiuso del nostro pen- satoio » 2, Con la collaborazione di
questi tre intellettuali le tappe di sviluppo della casa editrice si
accelerano, nelle vecchie e nelle nuove collane o nei progetti che non
tro- vano attuazione immediata. Assieme a Pavese Alicata fu
incaricato di curare la « Bi- blioteca dello Struzzo », la collana di
narratori contempo- ranei che puntava soprattutto alla scoperta dei
giovani: Dopo molte riflessioni — scriveva Einaudi ad Alicata
all’inizio del 1941 — si è deliberato — e si attende la tua approvazione
— 22 AE, Alicata (23 febbraio, 17 aprile e 1 giugno 1941); il 22
ottobre 1941 Alicata diviene collaboratore fisso, a 1.000 lire mensili;
il 21 feb- braio 1942 informa l’editore di aver acquistato 248 risme di
carta. Cfr. inoltre « Primato », II (1941), n. 8, p. 14. 23
AE, Muscetta (s.d.); io e Alicata — scriveva Muscetta all’editore il 20
febbraio 1941 — «ci auguriamo di poter collaborare attivamente
‘all’ardita opera di cultura che la tua casa svolge con spirito giovanile
e con tenacia ». 286 Le origini della casa
editrice Einaudî che la collezione debba accogliere romanzi brevi
italiani e stranieri, di scrittori contemporanei e in genere « scoperti »
da noi, dove, in via d’eccezione, e per alimentare la scarsa produzione
italiana con- temporanea, si accoglierebbero libri dimenticati o rari, di
indiscusso valore artistico, tipo Mio Carso di Slataper. Quanto agli
stranieri... questo è il problema, ché escludendo gli americani e gli inglesi
dob- biamo per ora limitare praticamente la scelta ai russi e ai tedeschi
24. In realtà fino al 1945, venuta meno con l’attacco
all’URSS anche la possibilità di presentare la narrativa russa
contemporanea, la collana si limitò a pubblicare testi italiani tesi tuttavia
a quell’originale ricerca della realtà, sia pur non veristica, che
contrassegna il primo volume apparso nel 1941, Paesi tuoi di Pavese.
Pavese sollecitava infatti Ali- cata a « predicare l’arte narrativa, e
soprattutto quella narrativa “come vita morale” che a voialtri ruotai
deve essere in votis » 5: un invito cui Alicata, per i gusti già
dimostrati nella sua intensa attività di recensore lettera- rio ?*, era
particolarmente sensibile, e che, preoccupato di tenersi lontano « dalle
piccole chiesuole di marca fioren- tina », raccolse assicurando alla casa
editrice Le trincee di Quarantotti Gambini, Le donne fantastiche di
Arrigo Benedetti e proponendo, fra gli altri titoli, Una città dî
pianura di Giorgio Bassani, da lui già recensito su « La Ruota » quando
era uscito in edizione privata di pochi esemplari sotto lo pseudonimo di
Giacomo Marchi, e che era « passato per molte ragioni quasi sotto
silenzio dalla critica », scriveva Alicata alludendo alle leggi razziali
??. 24 AE, Alicata (26 aprile 1941). 225 C. Pavese,
Lettere 1924-1944, cit., p. 588 (28 aprile 1941). 226 Cfr. G.
Tortorelli, Le formazione politica di un intellettuale comu- nista: Mario
Alicata 1937-1945, tesi di laurea discussa presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia di Firenze nell’anno accademico 1976-77, e Id., Contributi alla
formazione culturale e politica di Mario Alicata, in « Italia
contemporanea », XXX (1978), n. 132, pp. 93-98. 21 In C. Pavese,
Lettere 1924-1944, cit., p. 589 (9 maggio 1941); il 21 novembre 1941
Alicata suggeriva a Einaudi la possibilità di rilevare alcuni volumi
della casa editrice Ribet Buratti di Torino (Comisso, Arturo Loria,
Stuparich, Sbarbaro, Slataper), e l'11 novembre 1942 la necessità di
ristampare l’Ibsex di Slataper, «che non solo è interessante per la
personalità tutta dell’autore, del cui acuto problema morale risente, ma
rimane per se stesso un documento critico prezioso sull'opera ibseniana »
(AE, Alicata). 287 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali I toni fortemente elogiativi — anche se attenuati
in una lettera a Einaudi ?* — della recensione che di Paesi tuoi
fece Alicata su « Oggi » ”’, la vivace rivista di Arrigo Benedetti e
Mario Panunzio, furono ripresi da Eugenio Galvano su « Primato » — «ogni
lettore può ritrovarvi gli accenti di una sua esperienza passata e
perduta, e il senso di un paese ritrovato » °° —; e intensi furono i
le- gami fra l’ambiente della rivista di Bottai, cui collaborava
anche Pavese, e la casa editrice, esemplificati dalla pub- blicazione in
volume, presso Einaudi, de L’isola di Stupa- rich (1942), già apparsa su
« Primato ». Rimase un caso isolato il giudizio negativo riservato da
Alfonso Gatto a La strada che va in città di Alessandra Tornimparte #!
— pseudonimo di Natalia Ginzburg —, e non tale comunque da essere
paragonato alle forti riserve di carattere morale avanzate da « La
Civiltà cattolica » nei confronti di Pavese e della Ginzburg, i cui
racconti, osservava Einaudi, riscos- sero «i più vivi consensi e dissensi
» proprio per la no- vità di stile e di contenuto ?*: mentre in Paesi
tuoi l’or- gano dei gesuiti vedeva ritratta una « gente di campagna
» 28 «Ho apprezzato molto il libro di Pavese, che mi sembra
soprat- tutto un racconto e per questo merita grandi lodi. Quantunque
risenta, è chiaro, l’influenza a volte eccessiva di certi americani e nel
gusto d’usare la lingua e la sintassi, e nel sapore e tono che
attribuisce agli uomini e ai loro gesti » (AE, Alicata, 1 giugno 1941).
29 Ora in M. Alicata, Scritti letterari, introduzione di N.
Sapegno, Milano, Il Saggiatore, 1968, pp. 84-88. Cfr. anche la notizia
che Alicata ne dava su «Primato», affermando che Pavese «rompe un
silenzio lungo e fruttuoso durante il quale egli sembra essere scampato
alla reto- rica, agli schemi che affliggono certa narrativa italiana
contemporanea: come prima sensazione d’una lettura che almeno prende e
allaccia in un suo tempo libero e prepotente » (II (1941), n. 11, p. 16,
nel « Corriere delle lettere » di Don Ferrante). 230 «
Primato », II (1941), n. 14, p. 15; pur osservando che «le rea- zioni
psicologiche del personaggio narratore rimangono moralmente fiac- che »,
Luigi Vigliani trovava «felicissima» l’utilizzazione del dialetto
piemontese (« Leonardo », XII (1941), p. 218). 231 Nel volume «la
realtà osservata è ferma alla crisi di una società ‘confusa [...]. Forse
questo racconto piacerà, disposti come sono oggi molti letterati, giunti
in ritardo al ripensamento di un proprio compito umano, a vedersi duri e
manuali. Il racconto della Tornimparte è fradicio di quest’enfasi
moderna, semplicistico e blando altresi nella sua stessa ‘acrisia »,
osservava Gatto (« Primato », III (1942), p. 107). 232 Einaudi a
Ginzburg, 2 aprile 1942 (AE, Ginzburg). 288 Le
origini della casa editrice Einaudi che « non è quella che noi
generalmente conosciamo. Qui sembra piuttosto gente di malavita, dove
predominano tendenze istintive e animalesche », nella « dura »
prosa della Ginzburg coglieva « un indice di ciò che si è comin-
ciato a raccogliere anche in Italia dall’abbondante semina- gione d’una
sfrontata romanzeria straniera, e specialmente americana » ”*. Alla
ricerca di valori umani, laici e reli- giosi, si muovevano anche i nuovi
titoli della collana dei « Poeti », già avviata nel 1939 con la
riedizione degli Ossi di seppia e la nuova raccolta de Le occasioni di
Montale **: accanto a una nuova edizione di Lavorare stanca di
Pavese apparvero infatti Con me e con gli alpini di Jahier la cui
fortuna fra i soldati era testimoniata dai reduci dalla Russia — «
l'hanno aperto per caso e non se ne staccano più. “Fare il bene con
disperazione” è diventato il loro motto » 5 —, e le Poesie di Rilke nella
traduzione di Pintor, in cui Giansiro Ferrata, occupandosene su «
Pri- mato », vedeva l’opera di un poeta « da difendere contro la
sua stessa generosità di vita e contro un frequente estetismo per
seguirne la grande voce umana, semplice infine come un grido ma dal fondo
d’una religiosità vissuta nei suoi slanci e nelle sue ferite » ?*.
In questi stessi anni gli aspetti « emotivi » presenti nella
produzione letteraria trovano modo, come vedremo, di tradursi in un più
marcato impegno civile nei volumi della « Biblioteca di cultura storica »
e in quelli della nuova collana « Universale ». Persistono tuttavia,
almeno fino al 1942, e in particolare nei « Saggi » — dove pur
appaiono le Memorie di madame de Rémusat, la cui critica a Napo-
leone era leggibile in senso antitirannico —, molti dei mo- tivi
spiritualistici d’anteguerra non disgiunti da elementi contraddittori,
che trovarono forse nel cattolico Felice Balbo un sostenitore: « Balbo —
è stato ricordato — non aveva difese contro le proposte e le idee. Tutte
le 233 «La Civiltà cattolica », 93 (1942), vol. III, pp. 56 e
371. 24 Per le vicende di queste edizioni cfr. E. Ferrero, Come
nacquero « Le occasioni », in « Libri nuovi Einaudi », IX (1977), n.
1. 235 AE, dalla redazione romana a Jahier (9 luglio 1943).
236 « Primato », III (1942), p. 232. 289 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali proposte e tutte le
idee gli piacevano, lo sollecitavano, lo mettevano in fermento » ?”. Se
non ha luogo la proposta di Balbo di tradurre The mystical elements of
religion di von Hiigel, il modernista « lodato da Loisy pur essendo
rimasto cattolico », e Bobbio non accetta La preghiera dell’uomo di
Alfredo Poggi per il suo insufficiente appro- fondimento teorico, pur
considerando che il saggio « sia ispirato ad un alto senso religioso e
morale, e sviluppi una concezione razionale della vita religiosa,
rifuggendo dal dilagante irrazionalismo »; o mentre resta inedito, per
le vicende legate alla caduta del fascismo, L'infinito e il divino
terminato da Giuseppe Tarozzi nell’aprile 1943 ?*, Einaudi pubblica nel
1942 Le origini del cristianesimo di Loisy — che giungerà alla terza
edizione l’anno successivo — e, su suggerimento di Gioele Solari, Ragione
e fede di Piero Martinetti: con ciò la casa editrice si faceva banditrice
di una « religione della libertà » che, se potè essere accostata a
quella crociana, se ne differenziava nettamente per l’im- portanza che
l’animatore della « Rivista di filosofia » attri- buiva all'elemento
religioso, cui Martinetti aggiungeva negli ultimi anni di vita, di fronte
allo spettacolo della guerra e della « barbarie », la riflessione sul
pessimismo di Schopenhauer tesa ad accettare « la realtà del male
come principio radicale, autonomo, forse non riducibile ad al- tri
» 2°. Accanto a Martinetti, nel 1941 Einaudi ripropone Huizinga con la
monografia del 1924 su Erasmo che aveva già provocato forti riserve, non
solo storiografiche, da parte di Cantimori, per la « troppo evidente
tendenza a mostrare in Erasmo il tipo classico del dotto-gentiluomo,
moralista e umorista, lontano dagli interessi politici e religiosi
che possono scuotere e commuovere » °°; ma forse proprio per
questo, per la presentazione dell’umanesimo erasmiano 23 N.
Ginzburg, Lessico famigliare, Milano, Mondadori, 1972, p. 143. 28
Cfr. Balbo a Bobbio, 1 aprile 1943, e Bobbio a Finaudi, s.d. (AE,
Bobbio), e il carteggio Tarozzi-Einaudi del 1942-43 (AE, Tarozzi).
239 Cfr. Bobbio a Finaudi, 21 maggio 1943 (AE, Bobbio}; E. Garin,
Cronache di filosofia italiana, cit., pp. 387-391; e la testimonianza di
G. Mita, dee prefazione di L. Salvatorelli, Vicenza, Neri Pozza,
1968, pp. 75-76. 20 « Rivista storica italiana », s. V, I
(1936), fasc. IV, p. 91. 290 Le origini della casa
editrice Einaudî « come un raffinato giuoco intellettuale entro le
mura di un nobile castello oltre le tempeste del mondo e le vicende
del tempo » ?, « Civiltà moderna » poteva accogliere nel lavoro
l’indicazione della « originalità umanistica » rispetto al Medioevo, ma
con l’accordo « fra l'esigenza del risorto classicismo e quella del
rigenerato cristianesimo »; men- tre il recensore della « Rivista storica
italiana », oppo- nendo all’umanesimo « negativo » di Erasmo quello «
co- struttivo » del Rinascimento italiano impersonato da Gior- dano
Bruno, prendeva le distanze dall’autore per « quella tipica mentalità
pacifista che, per contingenze storiche fa- cilmente individuabili, tende
a fare dell’equilibrio e della moderazione la massima espressione della
civiltà uma- na » dii x Alle immagini catastrofiche de La
crisi della civiltà sembra invece richiamarsi, pur senza citare
Huizinga, Uomo e valore di Luigi Bandini — un allievo di Limentani
che aveva pubblicato presso Laterza un saggio su Shaftes- bury —, che
sviluppa il tema del contrasto fra progresso economico e libertà
individuale con accenti indubbiamente retrivi. Il volume — che sarà
ristampato nel 1949 con una introduzione in cui l’autore manifesterà un
atteggia- mento paternalistico verso le masse popolari — è un atto
di accusa nei confronti del liberismo e del liberalismo dell’800 che
avrebbero portato « ad uno stato di cose risolventesi proprio in un
massimo di serviti per una gran quantità di soggetti umani: il caso,
precisamente, dell’indu- strialismo moderno », per cui si era avuto il «
rovescia- mento del rapporto fra uomo e cosa », con l’«
innalzamento ad ideale supremo della realtà economica ». Ma la con-
danna del progresso si traduce nella istituzione di un preciso rapporto
tra la « morte » del cristianesimo, « la religione 2 Cfr.
l'introduzione di E. Garin a J. Huizinga, L'autunno del Medio evo,
Firenze, Sansoni, 1961, p. XIII. 2 A. Corsano in «Civiltà moderna
», XIII (1941), pp. 355-356, ed E. Guglielmino in « Rivista storica italiana
», LIX (1942), pp. 286-287. Mario M. Rossi coglieva invece in Huizinga la
« disapprovazione per Erasmo », e giudicava l’Encbiridion militis
christiani « opera d’un banale bigotto » (« Nuova rivista storica », XXV
(1941), pp. 304, 308). 291 Il fascismo e il consenso
degli intellettuali della esaltazione dell’individuo », « la
enorme avidità di possesso e di successo che caratterizza l'umanità
moderna » e, soprattutto, lo sviluppo del marxismo: una tale
dottrina della necessità radicale ed ineliminabile dell’odio di classe si
sostituisce bruscamente e senza passaggi intermedi proprio alla
concezione cristiana nell'animo degli appartenenti ai ceti sociali più
umili, trovando d’altronde nelle effettive condizioni della società
moderna, nel suo sempre più esasperato affarismo, gli elementi suggestivi
più adatti a conferire ad essa la massima efficacia di persuasione
28, Si comprende quindi come il ragionamento di Bandini
incontrasse le simpatie de « La Civiltà cattolica » 24, mentre offriva a
Luigi Einaudi l’occasione per attribuire al capita- lismo « storico »
dell’800 la responsabilità della tendenza verso i monopoli, « verso ciò
che incatena ed asserve gli uomini e di cui l’ultima e più perfetta e
diabolica espres- sione è il comunismo russo », ma anche per
dissociarsi dalla tesi « che la tendenza verso il colossale,
distruttivo dell’uomo, come persona autonoma, sia propria dell’eco-
nomia contemporanea, capitalistica o trafficante », poiché la liberazione
dell’uomo dalle cose era frutto precipuo dell'economia di concorrenza’.
Tesa a dimostrare la necessità della religione contro il materialismo
contem- poraneo è anche un’opera di Bernhard Bavink che racco-
glieva alcune conferenze tenute in Germania prima della « rivoluzione »
del 1933, la cui traduzione, uscita nel i 23 L. Bandini, Uomo e
valore, Torino, Einaudi, 1942, pp. 25, 35, 161, 71, 179. 24 «
La Civiltà cattolica », 93 (1942), vol. IV, p. 251. 5 L. Einaudi,
Dell’uomo, fine o mezzo, e dei beni d’ozio, in « Rivista di storia
economica », VII (1942), pp. 121, 125. Pur riconoscendo la tendenza
monopolistica rilevata da Bandini, Mario Dal Pra osservava: « Ciò non
toglie tuttavia che i diritti e le pi profonde esigenze dell’indi- vidualità
non possano essere salvaguardate, ad esempio, mediante l’attua- zione di
quella terza via che lo stesso Luigi Einaudi propone, fra l’indi-
vidualismo da una parte e il collettivismo dall’altra » (« La Nuova Italia
», XIV (1943), p. 39). Nel 1946 Antonio Giolitti — allora
collaboratore della casa editrice — criticherà Bandini per non aver
saputo vedere che il problema dell’individuo è problema politico e
sociale, risolvibile sul piano di quella lotta di classe che l’autore
negava recisamente (« Studi filosofici », VII (1946), pp. 81-84).
292 Le origini della casa editrice Einaudi
1944, era già stata messa in cantiere nel 1942. In essa l’autore
sosteneva che da scienziati « assai religiosi » come Galileo, Keplero e Newton,
si era sviluppata una tendenza culturale approdata « ad un materialismo e
ad un ateismo completo ed aperto, quale è attualmente la concezione
uffi- ciale del mondo nella Russia bolscevica » — alla quale era
contrapposto l’esempio positivo della concezione so- ciale e statale
fascista e nazista —; la fisica moderna, con Bohr e Planck, aveva invece
« definitivamente distrutto certe troppo frettolose obbiezioni contro la
fede », abo- lendo «il concetto classico di sostanza », e quindi
ogni meccanicismo, per cui si poteva concludere che ormai « fare
della fisica non significa, in fondo, far altro che ricapitolare gli atti
elementari compiuti da Dio » ?4 Un richiamo ai valori dello spirito
poteva comunque passare anche da altre vie meno sospette, dai grandi
ro- manzieri ottocenteschi o da I/ problema dell’inconscio di Jung,
tradotto nel 1942: l’opera infatti trova favorevole accoglienza su «
Primato », dove Muscetta considera « me- rito fondamentale » di Jung aver
ricordato che la psicologia è scienza dell’anima e che nessuna indagine
fisio- patologica potrà mai risolvere lo spirito nella materia, la sua
miste- riosa e libera spontaneità, nell’evidente e misurabile rigore
delle leggi fisiche [...]. Pagine di vent’anni fa, che per vie assai
lontane dalla nostra cultura ci portano affascinanti conferme a quella
fede nei valori spirituali da cui non potremo mai aberrare senza
recidere le radici dell’essere nostro 29. 2% B. Bavink, La
scienza naturale sulla via della religione, Torino, Einaudi, 1944 (ediz.
originale 1933), pp. 3, 50, 104; contro il bolscevismo, « questa
terribile filosofia sociale e storica, che distrugge ogni esistenza degna
dell’uomo, il “fascismo” yitaliano e tedesco propugna una conce- zione
sociale e statale " organica” per la quale lo Stato non è una
costru- zione artificiale, razionale, ma anzi la forma matura di una vera
vita, della vita del proprio popolo » (p. 24). Il 30 marzo 1942 Einaudi
aveva chiesto ad Alicata di sottoporre il volume di Bavink
all’approvazione del Mini- stero della cultura popolare (AE,
Alicata). 21 « Primato », III (1942), p. 381; «la psicologia è una
scienza cre- tina », osservava invece Pintor dopo aver letto Jung
nell’ottobre 1941 (Doppio diario, cit., p. 152). Il 22 maggio 1942
Alicata aveva fatto pre- sente all’editore l’esistenza di difficoltà per
l’autorizzazione della stampa di Jung, per « certe idee morali e sociali
dello Jung non completamente conformiste » (AE, Alicata).
293 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Lo
stesso Ernesto De Martino vedeva nello teoria jun- giana — che riteneva «
suscettibile di una traduzione in termini storicistici » — « una tipica
espressione del tra- vaglio spirituale, dei bisogni e delle aspirazioni
della nostra epoca. Noi siamo giunti a un punto in cui sentiamo
viva la necessità di riprendere possesso della nostra anima, e di
esplorarne le sue profondità sconosciute » **. Diver- so, sia pure
ambiguo, era il messaggio che si poteva rica- vare dal pensiero degli
eretici e degli utopisti, attorno al quale si assiste, durante la guerra,
a un risveglio d’interesse in vari settori dell’intellettualità italiana,
di cui sono testi- monianza esemplare gli studi di Cantimori e la «
Collana degli utopisti » dell’editore Colombo. Nel 1941 esce, come
secondo volume della « Nuova raccolta di classici ita- liani annotati »,
La città del sole di Campanella, un’edi- zione critica condotta sul testo
italiano del 1602, quella più decisa in senso ereticale, da Norberto
Bobbio: respinte come fittizie le visioni di un Campanella precursore
del socialismo o dello Stato totalitario, in discussione con i
recenti tentativi di rivalutazione cattolica Bobbio ricorre all’« idea
della simulazione » per spiegare la conversione del frate all’ortodossia,
provocando le riserve de « La Civiltà cattolica », che si appuntano anche
sulle frasi di Bobbio « che accennano con un velo di simpatia “ alle
menti stanche ma non asservite, agli animi sfiduciati ma non vinti
degli eretici isolati” » *°. A queste si potrebbe aggiun- gere un accenno
contro « la morale della potenza »; ma il discorso di Bobbio si mantiene
volutamente generico, nel sottolineare il « fondamentale antistoricismo »
del pensiero di Campanella, per cui « c'è in quell’utopia qual-
cosa di selvaggiamente primitivo, che richiama alla mente le comunità
degli indigeni delle Nuove Indie; e c’è nello stesso tempo qualcosa di
lucidamente attuale, che fa pen- sare ad una città operaia dell'America
moderna » ?°. E 28 « Primato », IV (1943), p. 11. 24 «
La Civiltà cattolica », 93 (1942), vol. IV, p. 50. 250 T.
Campanella, La città del sole, testo italiano e testo latino a cura di N.
Bobbio, Torino, Einaudi, 1941, pp. 45, 50. Il 4 aprile 1941 Ginzburg
avvertiva Einaudi che Tommaso Fiore stava curando l’edizione de L'utopia
294 Le origini della casa editrice Einaudi
Luigi Einaudi poteva trarne spunto per sostenere che una storia delle
utopie non doveva analizzare i « tipi di società comunistiche immaginati
dagli utopisti » sulla base di una problematica economica, ma «rigettare
nel limbo delle cose che non furono mai scritte le esercitazioni frigide
di letterati in cerca d’argomento in apparenza nuovo e met- tere in
luce le poche le quali risposero veramente ad un’e- sigenza dello spirito
» ?!: un modo, ancora una volta, per esorcizzare il pericolo di un
richiamo eterodosso, sia pur « utopistico », ai problemi concreti della
società contem- poranea. 9. L’anticonformismo storiografico
e l’« Universale » Il settore che, ancora una volta, dimostra
meglio di altri e sempre più l’anticonformismo della casa editrice,
è quello storico, dove troviamo ora impegnati anche due « laici », in
diversa maniera crociani, come Giorgio Falco e Adolfo Omodeo. Il primo —
che, costretto dalle leggi razziali a nascondersi dietro pseudonimo, era
venuto affian- cando agli originari interessi medievalistici o a
quelli per l’illuminismo, dopo la definitiva sconfitta dello Stato
liberale, un’attenzione a figure significative del Risorgi- mento, come
Pisacane — si occupò in particolare fin dal 1941, assieme ad Alicata,
Morra, Ginzburg, Giolitti, Benedetti e Venturi, di quel progetto della
collana « Scrit- tori di storia » che avrà attuazione solo negli anni
’50, anche per le difficoltà allora opposte dalla censura — la
Histoire de la conquéte d’Angleterre di Thierry, ad esem- pio, fu
bocciata come « inopportuna » nel 1942 ?*. Omo- di Moro che uscirà
nel 1942 presso Laterza (AE, Ginzburg). 21 L. Einaudi, Delle
utopie: a proposito della Città del sole, in «R+ vista di storia
economica », VI (1941), pp. 126-127. Luigi Bulferetti invi- tava invece a
collocare l’opera di Campanella nella realtà culturale e poli- tica del
Mezzogiorno («Rivista storica italiana », LVIII (1941), pp. 400-401).
252 Su Falco cfr. le osservazioni di A. Garosci, Una cosa non
ancora del tutto chiara..., in « Rivista storica italiana », LXXIX
(1967), pp. 7-27. 253 Lettera di Alicata all’editore, 24 giugno
1942 (AE, Alicata). 295 Il fascismo e il consenso
degli intellettuali deo, contattato nel 1939 da Ginzburg, fu
prodigo di sug- gerimenti — da testi di antichistica o di religione a
I/ medioevo barbarico di Gabriele Pepe o il Murat di Angela Valente
—, e si era assunto anche l’impegno, come ricor- derà ad Einaudi, di
trovare per la casa editrice « colla- boratori italiani, per equilibrare
le traduzioni da lingue estere: dovevo formare un complesso di
collaboratori giovani, perché nella situazione presente, con i
“valvas- sori” avviliti e rimbecilliti dalla speranza della feluca
accademica, non c’è nulla da fare » 4. Un contrasto con Falco lo spinse
tuttavia a passare nel 1941, con i suoi progetti di lavoro, all’ISPI”5;
ma aveva frattanto assi- curato alla casa editrice due suoi lavori caratterizzati
da una dura polemica, da un punto di vista liberale, nei confronti
della corrente storiografia fascista sul Risor- gimento. La
leggenda di Carlo Alberto, che raccoglieva saggi già apparsi sulla «
Critica », viene ad affiancare la revisione della figura del sovrano
piemontese condotta « con spie- tato rigore » da Guido Porzio sulla «
Nuova rivista sto- rica », ed è una requisitoria feroce contro la
storiografia sabaudista espressa da Alessandro Luzio, di cui è
messo in luce « il semplicismo del giudizio moralistico e. l’indi-
stinzione dei valori storici », per investire anche Rodolico,
rappresentante di « una nuova sofistica che vuol confon- dere il
moralismo casistico con l’intellezione etico-politica del processo umano
». Tributato un caldo riconoscimento alla Storia del Risorgimento e
dell'Unità d’Italia intrapresa 254 Cfr. le lettere a Einaudi del
25 agosto 1939, 28 ottobre e 24 novembre 1940, 3 gennaio, 13 febbraio, 8
marzo, 22° maggio, 2 e 17 giugno, 2 luglio 1941 (A. Omodeo, Lettere 1910-1946,
Torino, Einaudi, 1963, pp. 612, 629-631, 635-636, 638-641,
644-651). 255 Cfr. la lettera a Einaudi del 9 settembre 1941
(ibidem, pp. 655- 656) e varie lettere in AE, Falco, Pepe: il contrasto
riguardava rà ntrodu- zione agli studi storici medievali di Pepe proposto
da Omodeo; Muscetta a Einaudi, 29 dicembre 1941 (AE, Muscetta); Ginzburg
a Finaudi, 21 novembre 1941: « Ho visto il programma della nuova
“Biblioteca storica” dell’ISPI, che non solo nel nome, ma anche nelle
opere mi sembra derivi dalla Vostra, dato che i volumi annunciati sono
tutte opere rifiutate da Voi, se ben ricordo » (AE, Ginzburg); Carteggio
Croce-Omodeo, a cura di M. Gigante, Napoli, Istituto italiano per gli
studi storici, 1978, passize. 296 Le origini della
casa editrice Einaudi da Cesare Spellanzon — « opera che da sola
riabilita i recenti studi risorgimentali, che in genere non
brillano per doti superiori » —, Omodeo nega recisamente, contro
gli apologeti di Carlo Alberto, l’esistenza di una profonda opera
riformatrice nel primo decennio di regno e di un preciso e segreto
disegno politico nazionale prima del 1848, e fa del sovrano « il
discepolo ideale di Giuseppe de Maistre », un convinto «
cattolico-legittimista », accusando lo stravolgimento dei veri valori del
Risorgimento operato da quegli storici che non condannavano le
repressioni del 1833, pur cogliendo l’occasione, da buon liberale, per
una non necessaria puntata antisovietica *. La forza delle argo-
mentazioni critiche di Omodeo è tale da ottenere un ricono- scimento
anche sulla codina « Rassegna storica del Risor- gimento », ma il
significato civile e politico del suo lavoro provoca subito sulla stessa
rivista un duro intervento di De Vecchi ?”. Tuttavia l’invito rivolto a
Luigi Russo da Omo- deo — ferito da questa e da altre critiche —, che
«si 25% A. Omodeo, La leggenda di Carlo Alberto nella recente
storio- grafia, Torino, Einaudi, 1940, pp. 10, 13, 15 n., 27, 45, 47, 49,
111, 120; e a p. 16, criticando lo scarso peso dato dagli storici di
tendenza naziona- lista ai processi del 1833: «È vero che gli odierni
processi di polizia di cui è maestra la Russia di oggi hanno ottuso la
nostra sensibilità morale, e che al confronto i processi del ’33 possono
apparire cosa mitissima... ». Dell’importanza di questo volume, come del
Gioberti, non tiene conto A. Garosci, Adolfo Omodeo. III. Guida morale e
guida politica, in « Ri- vista storica italiana », LXXVIII (1966), pp.
140-183. 25 Cfr. la recensione di Paolo Romano (Paolo Alatri) in «
Rassegna storica del Risorgimento », XXVIII (1941), pp. 555-557; ma C.M.
De Vecchi di Val Cismon, Ancora di Carlo Alberto: «Questo cercare
di attaccarsi a forme razionalistiche della storia affermando o
demolendo uomini la cui azione può avere riflessi sulla vita presente, è
da una parte errore di storico ma è, peggio, mancanza al dovere di uno
storico in quanto cittadino [...] rilevando le cattive intenzioni
politiche di codesti ingiusti giustizieri [di Carlo Alberto] e non rinunziando
a definirli secondo i loro meriti, vogliamo astenerci dal scendere nel
campo della politica cui pure saremmo chiamati dal contegno loro » («
Rassegna sto- rica del Risorgimento », XXVIII (1941), pp. 608, 613).
Negativo il giudizio di G. Ferretti (La leggenda di Carlo Alberto, in «
Primato », I (1940), n. 14, pp. 15-17), mentre Luigi Bulferetti, pur
prendendo le distanze da alcune affermazioni di Omodeo, riteneva, a
proposito dello Statuto, che «si avvicinasse molto più alle dottrine di
Carlo Alberto (e fosse quindi più nel vero) l’interpretazione datane nel
decennio dai reazionari, che non quella dei liberali di sinistra » («
Rivista storica ita- liana », s. V, V (1940), p. 463).
297 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
prendesse da parte di persone di buona volontà posizione nelle riviste di
Codignola e in qualche altra che ci fosse aperta » 2*, fu subito
raccolto, a testimonianza dell’eco non solo storiografica suscitata
dall'opera: cosi non solo « La Nuova Italia » con Vinciguerra o « Civiltà
moderna » con Pieri, ma anche altre riviste ormai di fronda come «
Oggi », con Umberto Morra — tutti intellettuali legat. in vario modo alla
casa editrice —, si lanciano in lodi incondizionate al volume, fino ad
arrivare a una vera e propria difesa politica dell’autore sulla « Nuova
rivista storica », sempre ad opera di Pieri: dopo aver affermato —
riecheggiando la recensione di Edmondo Cione al Mazzini di Bonomi — che
«certa storiografia del Risorgimento pare tenda a risolversi in un capovolgimento
di valori, nel- l’apologia di reazionari, di capibanda, di aguzzini, e
nella diffamazione dei nostri cospiratori e dei nostri martiri »,
Pieri ricordava come Omodeo, che ha vissuto sul Carso e sul Piave,
prima che negli archivi e nelle biblioteche, la passione del Risorgimento
italiano, e che fin da allora rinunziò agli agi e alle prebende delle
retrovie, può a buon diritto assumersi il nuovo onere e il nuovo onore.
Quanto grande del resto sia oggi l’influenza dell’Omodeo, negli studi del
nostro Risorgimento, presso ogni categoria di studiosi, non esclusi i
suoi più illustri avver- sari, è ormai a tutti manifesto. Questo è il
premio maggiore, per il chiaro studioso, e la migliore prova del generale
consenso che le sue vedute vanno acquistando, nonché del posto preminente
che oggi a lui compete nel campo della nostra cultura storica 299.
Analoga risonanza ha, nelle riviste di fronda, il volu- metto su
Gioberti, che sfata l’immagine gentiliana del « profeta » del
Risorgimento dal « pensiero in sommo grado speculativo insieme e
realistico », per mettere in rilievo, accanto alle continue oscillazioni
politiche, le ca- renze filosofiche e il sacrificio giobertiano «
dell’idea libe- rale al cattolicismo », contrapponendogli il «
liberalismo laico » di Cavour che, « ben lungi dall’essere
agnostico, 258 Lettera del 7 ottobre 1940 (A. Omodeo, Lettere,
cit., p. 628). 259 « La Nuova Italia », XIII (1942), pp. 64-66; «
Civiltà moderna », XIII (1941), pp. 91-94; «Oggi», 16 novembre 1940;
«Nuova rivista storica », XXV (1941), pp. 126-131. 298
Le origini della casa editrice Finaudi garantiva lo
svolgimento autonomo delle fedi intrinseche alla cultura ». E mentre
Gentile vedeva nell’azione « popo- lare » di Gioberti « uno degli
ammonimenti tuttora più vivi della sua politica nazionale », « Omodeo
dichiarava la neces- sità di insistere sui suoi « difetti » ed « errori »
« per ricor- dare a certo neoguelfismo di cattiva lega, che va
risorgendo, a certo neogiobertismo che ammicca vantandosi furbo,
che l’esperienza giobertiana è irriproducibile, non ha possibilità
di sviluppi in linea retta; il suo retaggio attivo fu assor- bito nella
sana politica del Cavour » 2°. Un’interpretazione laica, questa, che
proveniva dall'ambiente crociano, il cui legame con la casa editrice è
attestato anche dall’attenzione che alla produzione storiografica di
Einaudi riserva « La Critica ». Spicca in particolare la recensione al
Medioevo barbarico d’Italia di Gabriele Pepe (1941) — che era stato
stroncato dai giudici dell’Accademia d’Italia! —, ritenuto invece da
Croce « una delle opere più pregevoli » della « nuova storiografia »
cresciuta in Italia negli ultimi quindici anni, non cronachistica o
filologica, materialistica, economica, nazionalista ed etnologica, « ma
semplicemente e puramente umana, cioè etica (il che non vuol dire
mora- listica) », trovando in ciò concorde il giudizio di Luigi Ei-
naudi; e, con evidente allusione all’alleanza del fascismo con la Chiesa
e col nazismo, Croce faceva sue le tesi prin- cipali del volume —
giudicate con perplessità o come troppo tendenziose da altri recensori —,
secondo le quali i Longobardi « furono sostanzialmente un elemento
nega- tivo » nella storia d’Italia, cosî come il potere temporale
della Chiesa « non solo fu dannoso alla moralità e alla civiltà, sî anche
dannoso alla stessa azione, quale che sia, 260 A. Omodeo, Vincenzo
Gioberti e la sua evoluzione politica, Torino, Einaudi, 1941, pp. 25, 38,
56, 62; per i giudizi di Gentile, quali si erano venuti configurando fin
dal 1919, cfr. ora G. Gentile, I profeti del Risorgimento italiano, terza
edizione accresciuta, Firenze, Sansoni, 1944, pp. 69, 125. L’anonimo
recensore della « Nuova rivista storica » notava che il carattere di
Gioberti « fu piuttosto di teorico e di sognatore, an- ziché di politico
mirante alla realtà dei fenomeni politici e nazionali » (XXVI (1942), p.
112); analogo il giudizio di U. Morra, Gioberti e Garibaldi, « Oggi », 25
ottobre 1941. 261 Cfr. G. Turi, Le istituzioni culturali del regime
fascista durante la seconda guerra mondiale, cit., p. 11.
299 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
della Chiesa in quanto istituto religioso [...] perché il potere
temporale non le dava ma le toglieva forza, non le accresceva o garantiva
libertà, ma la legava. Né è detto che anche ai nostri giorni essa non
abbia sollecitato e accettato un dono, un piccolo dono, di Danai »
?°. Sulla linea di una continuità di intervento liberale
compare ancora una volta Salvatorelli col Profilo della storia d'Europa,
in cui è sempre presente l’interpretazione multisecolare dell’unità della
storia italiana, e torna un motivo che abbiamo già trovato in Dawson,
quello di una « civiltà unitaria europea » la cui otigine è
retrodatata rispetto all'opera dello storico inglese, con forti — e
attua- lizzati — elementi di differenziazione dall’Oriente, in
quanto la civiltà europea sarebbe stata « preparata dai caratteri comuni
che i popoli europei già all’inizio dell’età storica presentavano
rispetto all’Oriente [...]. Fin da adesso, insomma, l'Europa di fronte
all’Asia rappresenta l’individualità di fronte al collettivismo, la
libertà di fronte al dispotismo, il progresso di fronte all’immobilità »
2°. Espressione, come il Sommario della storia d’Italia, di quel «
nervoso e moderno enciclopedismo » di cui ha parlato Sasso °*, il Profilo
non esprime particolari valutazioni sulle vicende della storia europea,
se non nell’unificazione, tipi- camente liberale, dell’esperienza della
Russia bolscevica e dei regimi fascista e nazista sotto la stessa
etichetta di « Europa autoritaria », e ciò nonostante nel volume
ap- paiano, come novità nella storiografia di Salvatorelli, fre-
quenti accenni alla storia economico-sociale, anche se in prevalenza
relativi alla storia antica, e non senza impto- prie attualizzazioni °°.
Ma, forse proprio per avere le stesse 22 «La Critica », XXXIX
(1941), pp. 372-374; L. Einaudi, Sui fattori (economici morali ecc.) delle
variazioni storiche, in «Rivista di storia economica », VI (1941), pp.
184-189. Una certa « tendenziosità » di Pepe era colta da E. Chichiarelli
(« Nuova rivista storica », XXVI (1942), pp. 301-302) ed E. Farneti («
Oggi », 22 novembre 1941). 23 L. Salvatorelli, Profilo della storia
d'Europa, Torino, Einaudi, 1942, pp. 24-25. Ri Sasso, La
«Cultura» nella storia della cultura italiana, cit., p. A %5
Ad esempio, a proposito di Atene nel VI secolo a.C.: «È da
300 Le origini della casa editrice Einaudi
caratteristiche del Somzzario, la fortuna dell’opera fu note- vole,
secondo la profezia di Ginzburg — per il quale il Profilo, scriveva dal
confino il 5 marzo 1942, « di sicuro aumenterà considerevolmente la diffusione
della vostra col- lezione storica » #4 —, e non certo indifferenziata, se
nel concedere il nulla osta ai volumi della casa editrice da
introdurre in Germania il Ministero della cultura popolare suggeri di
«levar via il Salvatorelli » ”, Infatti, pur lasciando scontenti i
cattolici e i crociani — lamentandosi, i primi, delle « due pagine
striminzite dedicate all’avvento del cristianesimo », e, i secondi, della
mancanza di una « superiore giustificazione ideale delle notizie raccolte
» a differenza della Storia d'Europa di Croce ?* —, il volume
riscuoterà nel 1943 l’elogio appassionato di Giovanni Mira, ospitato
anch'egli, già aderente al Partito d'Azione, sulle pagine della « Nuova
rivista storica »: Nella nostra età tempestosa — egli scriveva —,
lontani come siamo dal dogmatismo della storiografia cattolica,
dall’orgoglio razio- nale della volteriana, dall’ottimismo progressista
della ottocentesca, questo sforzo compiuto dal Salvatorelli per stringere
in breve la storia del nostro continente, per far capire anche agli
ignari come i fatti si sono svolti, con una narrazione cosi lucida da non
aver bisogno di commento, con una parola cosî piana da essere intesa
da tutti, col solo interesse di stimolare in sé e negli altri il riesame
del passato, con la sola morale di ritrovare nei fatti umani il lume
del- l’umanità: quest’opera è forse il più sano cominciamento che si
possa dare alla storiografia di domani ?9. notare come tra i
grandi proprietari ed i piccoli agricoltori si fosse for- mato un partito
medio, che potremmo chiamare della borghesia » (Profilo della storia
d'Europa, cit., p. 39). #6 AE, Ginzburg. 26 Alicata a
Einaudi, 30 maggio 1942 (AE, Alicata). 268 Cfr. «La Civiltà
cattolica », 94 (1943), vol. II, p. 52, e la recen- sione di E. Chichiarelli
ne «La Nuova Italia », XIV (1943), p. 37. 26 « Nuova rivista
storica », XXVII (1943), p. 123. L'opera di Salva- torelli era presentata
da Pietro Amendola al fratello Antonio, in una lettera del 28 aprile
1941, come una « cronaca », « tranne che per quanto concerne le questioni
religiose o dei rapporti tra gli Stati e la Chiesa, che è come sai il
cavallo di battaglia del Salvatorelli: allora abbiamo della storia vera e
propria » (in Lettere di antifascisti dal carcere e dal SEO, peo di Giancarlo
Pajetta, Roma, Editori Riuniti, 1962, vol. , P. 349).
301 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Il
volume di Salvatorelli testimonia la necessità, av- vertita dalla casa
editrice nel corso della guerra, di confron- tarsi con le vicende degli
altri paesi e di ripensare grandi momenti o figure del passato, in saggi
che, se si eccettua la cattiva cronaca del Cavour e Napoleone III di
Giulio Del Bono (1941) ”°, accoppiano sempre alla dignità
scientifica una notevole capacità narrativa, e quasi sempre si
fanno portatori di un messaggio politico. Nel 1941 appaiono due
studi di George Macaulay Trevelyan: la Storia dell’In- ghilterra nel
secolo XIX, tradotta da Umberto Morra, riscosse il plauso di intellettuali
di diverso orientamento, come Eugenio Curiel, che la giudicò « uno dei
pit bei libri di storia usciti in questi ultimi tempi » per l’«
acutissima indagine sociale », ed Ernesto Rossi, che la riteneva «
frut- tuosa, per la formazione della educazione politica. Contro
l’irrazionalismo, oggi tanto diffuso, mostrare gli sforzi coro- nati dal
successo di tanti uomini egregi del secolo scorso, che si proposero di
modificare l'ordinamento esistente per renderlo più adeguato ad un ideale
di superiore civiltà [...] significa fare una iniezione di ottimismo, e
stimolare all’azione consapevolmente diretta al pubblico bene » ?!.
La rivoluzione inglese del 1688-89 era presentata da Ginz- burg come
quella che aveva «improntato del proprio formalismo e conservatorismo
tutta la vita pubblica nazio- nale » fino ad allora, tramandando tuttavia
anche il prin- cipio della tolleranza politica e religiosa — e
Ginzburg invitava il lettore italiano a leggere le conclusioni di
Tre- velyan, che vedeva nella rivoluzione « una vittoria della
moderazione », e valorizzava il sistema parlamentare in- 290
Giudicato dall’editore libro « magistralmente condotto» (lettera del 21
ottobre 1941, in AE, Del Bono), il lavoro era negativamente recen- sito
sulla « Rassegna storica del Risorgimento » (XXX (1943), pp. 511-512) da
Paolo Romano (Alatri), che gli contrapponeva l’interpretazione omo-
deiana di Cavour. 21 Cfr. E. Curiel, Scritti 1935-1945, a cura di
F. Frassati, Roma, Editori Riuniti, 1973, p. 229 (segnalazione apparsa
nel « Bollettino del Fronte della gioventii » del febbraio 1944), e la
lettera di Ernesto Rossi a Luigi Einaudi del 18 novembre 1941 (AFE,
Rossi). Salvatorelli apprezzò l’opera in quanto correggeva l’immagine
stereotipa della vita politica inglese come semplice contrapposizione di
due partiti (« Nuova rivista storica », XXVI (1942), pp. 81-86).
302 Le origini della casa editrice Einaudi
glese nei confronti di « poteri accentrati di un nuovo tipo e ben più
formidabile che non quelli dell'Europa dell’ ancien régime », quali
quelli instauratisi in Europa nel dopoguerra 7°. Il significato politico
dell’opera è confer- mato dai giudizi negativi di Carlo Morandi, per il
quale, di fronte alle novità del secolo XX, l'Inghilterra non era stata
in grado di rivedere le sue posizioni, « preferendo rinchiudersi nella
difesa del passato » — « Ora, veramente, i motivi fecondi della
rivoluzione liberale del 1688 possono dirsi esauriti » ?? —, e di
Cantimori, pur già in contatto con la casa editrice, che la giudicava «
un saggio di apolo- getica costituzionale » dalla visione conservatrice,
dato l’« insistente paragone, a tutto detrimento di quest’ultima,
con la Rivoluzione francese », e un documento « della men- talità degli
ambienti universitari più vicini alla classe politica attualmente
dominante in Inghilterra » ?*. Sempre nel 1941 appare — non
sappiamo se prima della guerra all’URSS — la Storia della rivoluzione
russa di William H. Chamberlin, un’opera che l’editore aveva in
preparazione fin dal 1938 — opponendola, come « obiet- tiva », a quella
degli Webb proposta da Schiavi ?° —, e tradotta da Mario Vinciguerra: un
lavoro in cui l’autore dell’Età del ferro, pur attenuando gli accenti
apocalittici della prima opera per tentare una esposizione « narrativa
» degli avvenimenti russi dal 1917 al 1921, si presta a una lettura
fortemente antisovietica da parte di Omodeo, il quale osservava che, «
per quanto in vari punti l’autore indulga a correnti punti di vista
materialistico-storici e a connessi schemi classistici », sfuggiva in
realtà « agli schemi generici e vuoti del marxismo », per presentare come
deus ex machina della rivoluzione « la non amabile persona di
Vladimir Ulianov detto Lenin », uomo spregiudicato, con I G.M.
Trevelyan, La rivoluzione inglese del 1688-89, traduzione di C. Pavese,
Torino, Einaudi, 1941 (ediz. originale 1938), pp. IX-XI Pia di L.
Ginzburg), 168, 171 (citiamo dalla seconda edizione del 1945).
2733 « Primato », I (1940), n. 15, p. 20 (siglato CM.). 274
«Leonardo », XI (1940), pp. 321-322; analogo il giudizio di Tullio
Vecchietti {« Rivista storica italiana », LVIII (1941) pp. 106-113).
215 Finaudi a Schiavi, 18 febbraio 1938 (AE, Schiavi).
UA) Il fascismo e il consenso degli intellettuali «
un legame scarsissimo col mondo circostante », caratteriz- zato dal «
doppio aspetto del fanatismo implacabile e della scaltrezza
opportunistica », forgiatore di un partito che « ricorda insieme il
primitivo Islìm e la Compagnia di Gesù » e « concepisce la dittatura
sugli schemi del regime zaristico: dispotismo di polizia » ?°.
Analoghi motivi di discussione politica sono suscitati anche dalla
presentazione di grandi individualità storiche di un più lontano passato,
e provocano ora incrinature all’ interno della casa editrice, e fra
questa e l’ambiente di « Primato » o de « La Critica ». Il Richelieu di
Carl J. Burckhardt è visto dal curatore dell’opera Bruno Revel,
sulla traccia dell’interpretazione di Belloc — contestata da Salvatorelli
—, come fondatore dell'Europa moderna e del nazionalismo,
artefice di quell’ordine, che proprio ora ci sta crollando davanti cosi
spettacolosamente, fino a incidere anche nell’ambito della sfera privata.
Tanto più se una quasi ironica coincidenza di suoni con- fonda due nomi
cosî ambigui come Versaglia e Vesfaglia; sf che nou sai se la travolgente
e frastuonante insurrezione contro alla pace di Versaglia non travalichi
ora tali limiti, e non si spinga per avventura più addietro nei secoli,
scalzando dalle basi precisamente l’intero ordinamento europeo, quale era
stato introdotto e legalizzato nella storia dalla pace di Vesfaglia
27. E contrastanti sono, nel 1942, due opere che presentano
la differente concezione dello Stato di rilevanti persona- lità della
Grecia antica: da un lato l’ Alessandro il grande di Georges Radet, che
percorre le vicende del biografato alla 2î6 La recensione, apparsa
su «La Critica» del 1943, è ora in A. Omodeo, I/ senso della storia, a
cura di L. Russo, Torino, Einaudi, 1970, pp. 362-365. 297
C.J. Burckhardt, Richelieu, traduzione di B. Revel, Torino, Einau- di,
1941 (ediz. originale 1900), p. 9. Oltre a contestare la tesi di Belloc,
Salvatorelli sosteneva anche l’esistenza di contrasti fra poteri
temporale e spirituale nel Medioevo: «Fa della mitologia, o della
fantasia, il Revel quando ci parla nella sua prefazione di “quella felice
coincidenza di una cattedra sovrumana e di un ordinamento terreno” che
sarebbe esistita prima dell’età moderna » (Assolutismo del Richelieu, in
«Pri- mato », II (1941), n. 20, pp. 15-16). Notava l’analogia con la tesi
di oc anche Mario M. Rossi nella recensione all’edizione tedesca
del 1937 («Nuova rivista storica », XXIII (1939), pp. 266-267).
304 Le origini della casa editrice Einaudî
luce della sua ispirazione religiosa — suscitando la critica di Omodeo
che invitava a una più concreta analisi storico- politica —, fa dire al
curatore che nell’opera di Radet si vede «sorgere e progressivamente attuarsi
il gene- roso ideale dell’eguaglianza di tutte le genti in un mon-
do pacificato e concorde » ?*; dall’altro Werner Jaeger — contro gli
storici tedeschi dell’800 che, come Droysen, avevano esaltato l’opera di
unificazione « nazionale » di Filippo il Macedone e di Alessandro, visti
come precut- sori di Guglielmo I — difende il « martire della
libertà greca », Demostene: ed è significativo che mentre su « Pri-
mato » Gennaro Perrotta valorizza la politica egemonica di Filippo e di
Alessandro contro l’« angusta » difesa della libertà di Atene fatta da
Demostene — « ch'era libertà comunale, municipale » —, più tardi, sulla «
Nuova rivista storica », Giovanni Costa sosterrà la tesi di Jaeger
facen- done proprie le parole — «la lotta di Demostene è im-
mortale, per mortale che sia stata la nazione per cui com- batté ». Una
tesi che già dieci anni prima la stessa rivista aveva fatto propria,
prendendo spunto dal Demostene e la libertà greca pubblicato nel 1933 da
Piero Treves presso Laterza ?°. Non mancano quindi elementi
di contraddizione all’in- terno della casa editrice, al di là dei limiti
posti dalla censura che non permettevano di superare la linea
liberale di Omodeo o quella moderata di Trevelyan. Sembra tuttavia
di avvertire, al tempo stesso, una maggiore cautela verso la casa
editrice da parte dell'ambiente crociano — come nel caso di Chamberlin —
e di « Primato » che, con l’inasprirsi 8 G. Radet, Alessandro il
Grande, traduzione di M. Mazziotti, To- rino, Einaudi, 1942 (ediz.
originale 1931), p. XII. La recensione di Omo- deo, apparsa su «La
Critica » del 1943, è ora in A. Omodeo, Il senso della storia, cit., pp.
48-52. Secondo Giovanni Costa Radet operava una « esagerazione
magnificatrice » dell’opera di Alessandro, nel quale invece « si sente
l’autocrate, pi che l’uomo di genio » (« Nuova rivista storica »,
XXVIII-XXIX (1944-45), pp. 338-339). 29 W. Jaeger, Demostene,
traduzione di A. D'Andrea, Torino, Fina di, 1942 (ediz. originale 1938);
G. Perrotta, Demostene, gli antichi © i moderni, in «Primato », III
(1942), pp. 417-418; G. Costa in « Nuova rivista storica», XXVIII-XXIX
(1944-45), pp. 335-337; E. Cione in « Nuova rivista storica », XVII
(1933), pp. 557-559. 10) Il fascismo e il consenso
degli intellettuali della guerra, si arrocca in una posizione di
minore « aper- tura » culturale, accompagnata, alla fine del ’42, dalla
ces- sazione della collaborazione di Alicata e dal diradarsi di
quella di Muscetta. Uno sguardo ai progetti della casa editrice in questo
periodo, che riguardano in particolare il settore storico, può aiutarci a
spiegare questa iniziale presa di distanza. Alcune proposte, in questo
campo, tendono infatti a ricostruire una tradizione democratica nel
pensiero politico italiano a partire dalla Rivoluzione francese, e non
perdono il loro significato per il fatto di cadere nel nulla — anche per
le traversie della casa editrice dopo il 25 luglio —, o di essere
realizzate, in gran parte, dopo la Liberazione. Si comprende
come, in questo quadro, non abbiano esito le proposte avanzate da Maturi
nel 1942 ?”, scarsa- mente innovative nella tematica e, forse, ritenute
poco attraenti pet i legami di Maturi con Volpe, o quella di
Vittorio Gorresio, che nel 1941 aveva terminato un saggio sulla « storia
del bolscevismo in Italia dal 1917 al 1921 » in cui sottolineava «
l’isolamento del partito comunista dal grande tronco del socialismo », ma
che fu sottoposto al giudizio di Pavese che lo ritenne « superficiale »
?!. Nel 1941 Piero Pieri, che nella « Nuova rivista storica » aveva
segnalato con simpatia alcuni dei titoli più innovativi di Einaudi,
propose una raccolta di saggi di storia militare che « non furono
terminati per il Volpe, perché io non volli più sottostare alle osservazioni
e mutilazioni di due militari di professione messi alle costole
all’Accademico », tanto da dover subire le « sue basse vendette » 2; e
mentre Cantimori, fra gli altri progetti, avanza quello di una rie-
dizione de La repubblica romana del 1849 del mazziniano ministro degli
esteri della repubblica Carlo Rusconi ?* 280 Maturi propose volumi
su Lord Bentinck e i Borboni di Sicilia, Nigra, e Le interpretazioni del
Risorgimento, frutto del corso pisano del 1942-43 (AE, Maturi).
281 Gorresio a Einaudi, 20 novembre 1941 (AE, Gorresio}; Einaudi ad
Alicata, 13 gennaio 1942 (AE, Alicata). 282 Pieri a Einaudi, 6
luglio 1941 (AE, Pieri). 283 Nel 1941-42 l’editore si dimostrava
interessato a questa e ad altre 306 Le origini della
casa editrice Einaudi Falco propone, pur con riserve legate alla
tendenza « mate- rialistica » dell’autore, il volume di Domenico Dematco
su Il tramonto dello Stato pontificio — che sarà pubblicato nel
1949 —, e una scelta di scritti di Giuseppe Montanelli in cui, osservava,
« andrebbe conservato quanto riguarda la coltura del tempo, problemi vivi
anche ai nostri giorni, come la democrazia, il socialismo, la personalità
del Mon- tanelli, soprattutto in relazione coi pensatori e politici
contemporanei » ‘4. Alessandro Schiavi, che aveva già pro- mosso presso
Laterza la pubblicazione di alcune memorie di esponenti socialisti, con
la speranza di poter continuare una battaglia politica ”, propone nel
1941 — senza suc- cesso per il timore dell’editore di incorrere nella
censura — un saggio di Zibordi sulla Storia del partito socialista
italiano nei suoi congressi, e nel 1942 un proprio volume su I contadini
e i socialisti italiani che si sarebbe giovato di note stese da Nullo
Baldini. Il 1° settembre 1942, infine, Schiavi inviava a Einaudi tre
cartelle di un suo Proezzio al carteggio Turati-Kuliscioff, suscitando
l’interesse dell’ editore, che cercherà di avviare la pubblicazione
nell'agosto 1943 perché « il libro — scriveva — potrà riuscire som-
mamente opportuno e formativo, nelle prossime lotte sociali »; gli scopi
politici dell’edizione erano ben chiari anche a Schiavi, per il quale la
giovane generazione, che non ha avuto modo di conoscere i pionieri
e gli artieri del movimento sociale in Italia trascinati via dalla morte
e dall’esilio, inibita di leggerne la vita e l’opera nei libri perché
arsi e sequestrati come apportatori di veleni, ignara del senso di
libertà che tien deste e aperte le menti alle varie correnti del pensiero
e dell’opinione e della critica che le scerne e le affina, e che non è
quindi in grado di giudicare di quel movimento che fece di una plebe un
popolo, proposte di Cantimori, come la traduzione di Politik als
Beruf e Wissen- schaft als Beruf di Max Weber (AE, Cantimori).
284 AE, Falco. 285 Significativa la lettera inviata il 24
gennaio 1932 da Schiavi a Felice Anzi per incoraggiarlo a scrivere le sue
memorie: «Non tutto sparisce colla inerzia imposta, oltreché dalle
circostanze, dagli anni, e un po’ della semente gettata germoglierà, e il
nostro spirito rinascerà in quelle particelle che andranno a formare la
società quale noi l’abbiamo sognata. Ed in tal senso il nostro io non
morirà » (ACS, Casellario politico centrale, b. 4689, fasc. 6133).
307 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
attraverso lotte, errori, cadute, e sforzi innumerevoli, se non
nelle leggende sconce e vituperose di avversari senza fede in un
ideale, senza rispetti umani, e sol gonfi di sé medesimi, potrà imparare
da queste lettere di che ‘lagrime e di che sangue l’ascensione delle
classi lavoratrici italiane voluta, preparata ed avviata da un pugno
di uomini colla sola forza della persuasione e della comprensione,
della solidarietà e della educazione [sic] 286. Sempre nel
1942 Alicata, mentre rifiutava la proposta di tradurre Qu'est-ce que la
proprieté? di Proudhon, perché « a parte il coraggio di certe formule
diventate famose, è un po’ fiacco nell’analisi dialettica », si faceva
portatore della proposta di Gastone Manacorda — il quale nell’ot-
tobre dichiarava di averne già terminato la traduzione — di pubblicare la
Storia della congiura degli uguali di Filippo Buonarroti — indicato nel
1937 da Franco Venturi, su « Giustizia e Libertà », come il « primo
egualitario ita- liano » ” —, e del Sistemza politico degli uguali di
Babeuf. Il primo testo — che sarà pubblicato nel 1946 — incontrò
l’approvazione di Einaudi ?*, che nello stesso anno pubblicò il Saggio su
la Rivoluzione di Pisacane. Dai progetti si era ormai passati alle prime
realizzazioni; e la storia di questa edizione non è meno significativa
delle pagine di prefa- zione scritte da Pintor e dell’eco che essa
suscitò. Nell’e- state del 1941 Aldo Romano, che nel corso degli anni
’30 si era già occupato della figura di Pisacane, aveva proposto a
Einaudi una scelta di suoi scritti, che in un primo tempo avrebbe dovuto
curare per la collana « Studi e documenti di storia del Risorgimento »
diretta da Gentile e Menghini presso Le Monnier, e che non prevedeva il
saggio sulla 286 Schiavi a Einaudi, 29 agosto 1941 e 1 settembre
1942, ed Einaudi a Schiavi, 3 agosto 1943 (AE, Schiavi). 281
Gianfranchi [F. Venturi], F. Buonarroti, primo egualitario italiano
1837-1937, in « Giustizia e Libertà », 13 agosto 1937. 288 Per
Proudhon cfr. Alicata a Einaudi, 18 giugno 1942 (AE, Alicata); per Babeuf
e Buonarroti, Alicata a Einaudi, 11 maggio 1942 (AE, Alicata); il 18
luglio 1942 Fabrizio Onofri scriveva all'editore di avere esaminato
assieme ad Alicata una scelta di scritti di Babeuf (AE, Onofri); nel
marzo 1943 Alessandro Galante Garrone inviava lo schema di un suo volume
su Mazzini e Buonarroti, mentre l’editore lo avvertiva che dal giugno
1942 Gastone Manacorda era stato incaricato di tradurre la Conspi- ration
pour l’égalité di Buonarroti (AE, Galante Garrone). 308
Le origini della casa editrice Einaudi Rivoluzione. Alle
obiezioni dell'editore, che chiedeva solo quest’ultimo, Romano rispondeva
che il terzo saggio era « solo una parte dell’opera di Pisacane, ma non
certo la più importante. Staccata dalle altre rappresenta un fram-
mento che ora non vale la pena di pubblicare [...]. Il terzo saggio
contiene, nelle sue pagine migliori, il pensiero sulla quistione sociale,
ma non certo tutto il pensiero poli- tico del Pisacane: le pagine
migliori si trovano nel IV saggio che, collegate a quelle poche del
secondo, rappre- sentano il pensiero del Pisacane sulla guerra, la sua
filosofia della guerra come creatrice di eventi »; ma il 2
settembre 1942 Einaudi gli rispondeva di aver affidato la
Rivoluzione a un suo collaboratore’. Non è probabilmente senza
motivo — o motivi — che il nome del democratico meri- dionale, annoverato
alla fine dell’800 fra i precursori del socialismo, ma di cui nel 1932 Nello
Rosselli aveva messo in luce le contraddizioni del pensiero sociale per
ricavarne l’ammonimento che « il riscatto di un popolo dalla
tirannia, dalla serviti, dalla cronica fiacchezza politica, è
anzitutto problema morale » — e Ferruccio Parri non mancò di
rilevare la riduttività del giudizio di Rosselli ?° —, tornasse a
circolare con lo scoppio della guerra: con patticolare riferimento alla
Guerra combattuta ne parlarono Giansiro Ferrata su « Primato » e, su «
Argomenti », Raffaello Ra- mat, che pose però l’accento anche sul
pensiero politico e sociale di Pisacane ?!. In questo contesto, la scelta
einau- diana trovava già predisposto uno spazio di intervento, ma
assumeva anche particolare rilievo, come ha ricordato Gerratana
affermando che essa « fu in quel periodo uno 289 AE, Romano.
29 Cfr. N. Rosselli, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, con
un saggio di W. Maturi, Torino, Einaudi, 1977, p. IX, e la recensione di
Parri (siglata F. Pr.) al volume di Rosselli, che notava in Pisacane
delle « rigide postulazioni di comunismo autoritario e spregiudicato, le
quali sono — sembra a me in qualche dissenso da Rosselli — più che fredde
e formali e provvisorie acquisizioni ideologiche », e suggeriva di dare
maggiore spazio all’influenza di Marx su Pisacane {« Nuova rivista
storica », XVII (1933), pp. 157, 161). DI G. Ferrata, Strategia di
Pisacane, « Primato », I (1940), n. 17, pp. 13-14; R.R. [R. Ramat], Per
un'antologia di scritti del Pisacane, in « Argomenti », I (1941), pp. 101-104.
309 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
dei più importanti contributi alla cultura antifascista della
nostra generazione » ??, Infatti nella presentazione del Saggio Pintor
operava una netta rottura con l’interpreta- zione di Rosselli: pur
mettendo in luce i limiti teorici e politici di Pisacane, coglieva in lui
l’intreccio di motivi maz- ziniani e marxiani e, soprattutto, lo indicava
come « l’unico socialista intransigente dell’Italia pre-unitaria, e un
socia- lista per temperamento e per metodi assai più vicino ai
moderni teorici che ai vecchi dottrinari di un’utopia collet- tivista »,
in quanto « l’affermazione cosi frequente in Pisa- cane che le idee
derivano dai fatti, e non questi da quelle, corrisponde nella sua sommaria
enunciazione al cosiddetto “rovesciamento della dialettica hegeliana”
operato da Marx » ?3, Era un’affermazione che, al di là della sua
cor- rettezza interpretativa, ebbe un’eco significativa: alcuni la
passarono sotto silenzio, come il recensore di « Critica fascista » che
si limitò a sottolineare l’autonomia di pen- siero e l'imperativo morale
del patriota, o la contestarono, come Gabriele Pepe, che dopo aver messo
in luce l’astrat- tezza di pensiero e la lontananza dal marxismo di
Pisacane, assegnò al Saggio un significato « esclusivamente
patriot- tico »; ma subito, nel 1942, Muscetta salutò su « Primato
» la ristampa di « un classico della pix schietta tradizione
rivoluzionaria italiana », mentre sulla « Rivista storica ita- liana » Armando
Saitta difese il valore teorico del suo pensiero, in particolare
l’intuizione, a suo parere marxista e sociologica insieme, del popolo
come « classe politica », e più tardi, nell’inverno 1943, Paolo Alatri
potrà affermare che « alla base di tutto il Saggio è una convinzione che
diffi- cilmente anche oggi, a circa un secolo di distanza nel tempo
da quando esso fu scritto, ci si sentirebbe di rifiutare: che cioè una
rivoluzione, per mutare veramente un mondo, deve 22. Introduzione
a G. Pintor, I/ sangue d'Europa, cit., p. XL.. 293 Cfr. la
prefazione al Saggio, del 1942, ora in G. Pintor, I/ sangue d'Europa,
cit., pp. 113-117. Nonostante la conclusione della vicenda editoriale, il
16 febbraio 1943 Pintor ammoniva Einaudi: «ti ricordo l'opportunità di
non buttare a mare completamente i collaboratori che ti sono antipatici:
i calci in faccia dati a Romano e la distruzione del suo volume risultano
ora piuttosto dannosi giacché una scelta degli scritti di Pisacane non si
improvvisa e il volume è rarissimo » (AE, Pintor). 310
Le origini della casa editrice Einaudi essere sovvertimento
di un ordine costituito non soltanto politico ma anche e soprattutto
sociale » ?*. Resta l’interrogativo di come, nello stesso tempo,
Pintor potesse consigliare a Einaudi la pubblicazione, avvenuta nel
1943, de I proscritti di Ernst von Salomon, uno degli assassini di
Rathenau, un volume che l’editore propagandò perché vi era rievocata la
guerriglia « per strappare le re- gioni baltiche alla minaccia bolscevica
», e al quale già nel 41 aveva dichiarato di tenere molto, assieme a Volk
obne Raum del pangermanista Hans Grimm, « per il loro tono
documentario nazionalsocialista » ?5; una proposta che Pin-
tor cercherà di « riscattare » nella recensione al volume — pubblicata
postuma —, tesa ad analizzare, con moduli can- timoriani, anche se
concettualmente assai più fragili, la vi- cenda dei « reazionari di
sinistra » tedeschi del primo dopo- guerra, vista come testimonianza del
« destino di un'epoca in cui la tolleranza doveva diventare una colpa e
la morte fisica scendere con inaudita violenza su intere
generazio- ni» 2, L’interrogativo posto per Pintor ci
sembra valido anche per l’editore, che nel 1939 aveva consigliato cautela
a 24 P. Succi in «Critica fascista », XX (1942), p. 234; G. Pepe
ne « La Nuova Italia », XIV (1943), pp. 37-38; Don Santigliano
[Muscetta] in « Primato », III (1942), p. 159; A. Saitta in « Rivista
storica italiana », LIX (1942), pp. 279-282; P. Romano [Alatri], in «
Leonardo», XIV (1943), p. 247. 295 Cfr. Attività Einaudi anno
XXI (ACS, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, n.
528771, sottofasc. 1); Einaudi ad Alicata, 24 novembre 1941 (AE,
Alicata); G. Pintor, Doppio diario, cit., p. 203 n. 10. 2% G.
Pintor, Il sangue d’Europa, cit., pp. 162, 164. Recensendo più tardi il
volume Croce, dopo aver ricordato la nobile figura di Rathenau e la
«radicale negazione della moralità » dei « mistici » tedeschi, in questo
simili ai fascisti italiani, concludeva con velata ironia: «La tra-
duzione italiana del libro del Salomon, è stata pubblicata nel marzo
1943, nel tempo dell’ancora imperante fascismo, e dovette perciò avere il
lascia- passare di quel regime: al quale è da credere che tale libro
sembrasse edificante, confortante, educativo, persuasivo per gli
italiani, perché dettato nello stesso spirito di talune delle nobili
sentenze che allora si facevano imprimere dappertutto sui muri delle case
urbane e rurali. Ma l’accorto editore, provvedendo a quella traduzione,
avrà avuto di mira, crediamo, l’intento opposto» (Misticismo politico
tedesco («La Critica », 1944), ora in B. Croce, Pagine politiche
(luglio-dicembre 1944), Bari, Laterza, 1945, pp. 9-16).
3il Il fascismo e il consenso degli intellettuali
Spellanzon nella cura delle Considerazioni sulle cose d’Italia nel 1848
di Cattaneo: poiché « la materia è, a novant'anni di distanza, ancora
cosi incandescente », scriveva Einaudi, era « indispensabile far precedere
il testo di Cattaneo da un’introduzione, che serva un po’ da antidoto,
un’intro- duzione che non sia naturalmente di piaggeria
carlalbertina, ma renda equilibratamente ragione dell’occasione e
dell’in- tonazione dell'Archivio triennale e di questi scritti che
ne formano l’ossatura ». Ma all’editore di Omodeo, spietato critico
della « leggenda » di Carlo Alberto, Spellanzon aveva risposto di non
essere sicuro di poter scrivere una introduzione-« antidoto », perché si
sentiva « meno caldo di furore di quell’uomo inesorabile e severo, vero
Farinata del secolo decimonono. Ma {...] all’infuori del toro, e
all’infuori di qualche sua deduzione troppo consequenziaria, io condivido
molta parte dei giudizi del fiero lombardo! » ?”. Infatti nella presentazione
dell’opera pubblicata nel 1942 — che nella ristampa del 1949 sarà
dedicata a Salvemini —, Spellanzon faceva sue le critiche del democratico
mila- nese alla politica di Carlo Alberto, e coglieva negli scritti
dell’« Archivio triennale » «un acerbo disdegno per i subdoli maneggi di
servi cortigiani e gesuitanti, un caldo amore di libertà inseparabile da
ogni impresa di civile progresso. Anche in queste pagine, il Cattaneo ci
appare quel che fu durante l’epico momento delle Cinque Gior- nate:
il Farinata della rivoluzione nazionale italiana » ?*. Scontate appaiono
quindi, da un lato, le critiche de « La Civiltà cattolica » e,
dall’altro, la favorevole accoglienza di Pieri, per il quale con questo
volume « la tanto auspicata ricostruzione della storia del nostro
Risorgimento è final- mente in atto, nelle sue correnti ideali, nel suo
travaglio politico, nello sforzo d’elevazione morale di tutta la
vita italiana »; ma anche Carlo Morandi, su « Primato », invi- tava
ad una lettura del Cattaneo democratico ben diversa da quella proposta
nel ’39 da Luigi Einaudi: « Nella storia, 297 Einaudi a
Spellanzon, 24 giugno 1939, e Spellanzon a Einaudi, 7 luglio 1939 (AE,
Spellanzon). 28 C. Cattaneo, Considerazioni sulle cose d’Italia nel
1848, a cura di C. Spellanzon, Torino, Einaudi, 1942, p. XCII.
312 Le origini della casa editrice Einaudi se
l’obbiettività è un’utopia, la probità è un dovere. Sa- rebbe eccessivo
affermare che la probità del Cattaneo, anche in queste pagine, non è inferiore
a quella degli scrittori suoi contemporanei di parte avversa? Crediamo di
no » ?” Ma poco prima del 25 luglio, alla vigilia di una
nuova fase nella vita della casa editrice, Einaudi cercava un punto
di equilibrio affidando ancora una volta a Salvatorelli il compito di
riassumere in rapida sintesi una riflessione del Risorgimento che
unificasse la concezione liberal-moderata di Omodeo e quella democratica
di Spellanzon, pur in una visione sempre etico-politica della storia. In
Pensiero e azione del Risorgimento, individuata nella circolazione
delle idee del '700 europeo la matrice del processo risorgimen-
tale, Salvatorelli superava sue precedenti incertezze inter- pretative
ripercorrendone le tappe attorno al nesso di « pensiero e azione », che
vedeva per la prima volta in- carnato dai giacobini italiani, per passare
poi nell’inse- gnamento di Mazzini e spiegare la « funzione capitale
» svolta dal Partito d’Azione. Pur contestando la sottovalu-
tazione di Cavour e l’unico punto — relativo alla rivolu- zione del 1848
— in cui l’autore accennava al problema sociale — e il recensore
sottolineava la « difettosa impo- stazione etico-giutidica di tutti i
moti socialistici » —, Omodeo poteva salutare, su « La Critica » del 20
luglio 1943, « un’opera meritoria » nella dura polemica contro «
certi indirizzi semi-camorristici che con la prepotenza han preteso
imporre risultati prestabiliti alla ricerca storica »; e Curiel inviterà
a leggere il volume, perché metteva in luce « le forze progressive della
democrazia, indicandone le insufficienze per cui il moto rivoluzionario
per l’unità d’Italia sboccò nel compromesso monarchico e nel
pseudo- liberalismo antidemocratico » *”. Infatti dalla
ricostruzione ._ 29 «La Civiltà cattolica», 93 (1942), vol. IV, p.
252; Pieri in « Nuova rivista storica », XXVII (1943), p. 143; Morandi in
« Primato », III (1942), p. 179. Cfr. anche, più tardi, la recensione di
Bianca Ceva ne « «La Nuova Italia », XIV (1943), n. 7-12, pp. 88-90.
«La Critica », XLI (1943), pp. 219-221; E. Curiel, Scritti 1935-
1945, cit., vol. II, p. 229 (segnalazione sul « Bollettino del Fronte
della gioventd » del febbraio 1944). Anche Carlo Morandi, pur non
condivi- dendo alcune osservazioni particolari di Salvatorelli, ne
sposava comple- :313 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali storiografica — che arrivava ad accennare alla crisi
del dopoguerra, pur senza nominare il fascismo — Salvatorelli
faceva scaturire nella pagina conclusiva un chiaro messag- gio politico,
invitando a « non subire le deformazioni e i traviamenti delle visuali
nazionalistiche »; ma a « preser- vare la libertà di pensiero e d’azione,
guardare dall’alto e lontano, ascoltare e riflettere, preparare e
costruire, se- condo le direttive di principio espresse dalla
coscienza storico-morale dell’umanità, in cammino verso la sua meta
divina: la pienezza di vita dello spirito nella fraternità universale »
*! A valori umani e civili non confinabili in un ambito
nazionalistico intendeva ispirarsi anche la nuova collana « Universale »
che cominciò a uscire nel 1942 sotto la direzione di Muscetta, invitato
dall’editore ad accelerarne i tempi di pubblicazione « di fronte alle
minacce di con- correnza che si annunziano da varie parti » ®*”, Il 15
giugno 1942, infatti, « Primato » presentava con soddisfazione
l'uscita di due collane « universali » ritenute necessarie, in quanto «
fra le caratteristiche di questa guerra, gli sto- rici ricorderanno anche
la fede nei valori della cultura, l'ardente bisogno di dissetarsi alle
sorgenti di vita eter- na » ®*: la « Corona » di Bompiani e la collana
einau- diana, cui avrebbe fatto seguito, nel 1943, la « Meridiana »
di Sansoni, con volumi il cui piccolo formato era imposto tamente
la tesi generale sulle origini non autoctone del Risorgimento, legate
alla Rivoluzione francese (La polemica sul Risorgimento, in « Pri- mato
», IV (1943), 1-15 agosto, pp. 267-268). %! L. Salvatorelli,
Pensiero e azione del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1943 (finito di
stampare il 18 marzo), p. 222. 302 Einaudi a Muscetta, 23 marzo
1942 (AE, Muscetta). La discus- sione sulle caratteristiche della nuova
collana fu assai vivace nell’autunno del 1941, quando l’editore pensava
di suddividerla in due sezioni, una « Biblioteca classica universale »,
dove avrebbe potuto apparire l'Aesthetica in nuce di Croce, e una «
Biblioteca moderna universale »: cfr. G. Pintor, Doppio diario, cit., pp.
157, 163; Muscetta a Einaudi, 29 ottobre 1941 (AE, Muscetta); Einaudi ad”
Alicata, 27 ottobre 1941 (AE, Alicata). 303 Vice, Il problema delle
« Universali », in « Primato », III (1942), p. 233. A proposito della
nuova collana, il redattore capo della rivista, Giorgio Cabella, il 20
maggio 1942 scriveva a Einaudi: « Non mancherò di farne parlare su
“Primato” con quella cura e attenzione che abbiamo sempre usato per le
Vostre pubblicazioni e che questa collezione merita » (AE,
Cabella). 314 Le origini della casa editrice
Einaudi anche da un dato oggettivo, la carenza di carta. Da
parte fascista si cercò di cogliere in queste iniziative la prova
di un sostegno della cultura alla « guerra italiana », « come se lo
spirito — affermava Lorenzo Gigli in un articolo della « Gazzetta del
popolo » fatto proprio da « Primato » — voglia in pieno conflitto
proclamare e dimostrare il rag- giunto grado della sua emancipazione e
sottintendere fin d’ora un impegno fondamentale nel processo
ricostruttivo di tutti i valori morali e materiali che seguirà alla
conqui- stata indipendenza politica ed economica della Nazione come
frutto della guerra vinta » ®*. La nuova collana di Einaudi si presentò
tuttavia, fin dall’inizio, come espres- sione di un rinnovamento
culturale della casa editrice, che intendeva ora allargare il suo
pubblico con volumi agili e a basso prezzo — non è un caso che dai 29
volumi del 1941 si balzasse ai 53 del 1942, per attestarsi sui 41 nel
1943. Anche se l’annuncio editoriale era necessariamente ambi- guo
— la collana « non vuole assecondare diffuse abitu- dini culturali, ma
orientare il pubblico secondo un gusto italiano, aperto alle esperienze
moderne, ma sempre viva- mente sensibile alla nostra secolare tradizione
umanisti- ca » ® —, il giudizio espresso nel dopoguerra, nella fase
di preparazione di « Politecnico biblioteca », da Vitto- rini, al quale
la vecchia « Universale » appariva « com- promessa dalle inclusioni di
opere esplicitamente reazio- narie » **, non solo prescinde dalla
necessaria collocazione storica dell’iniziativa, ma risulta anche
inesatto, e oppor- tunamente contraddetto da Concetto Marchesi che,
all’u- 30 Vice, Calendario, in « Primato », III (1942), p.
292. 305 Cit. da C. Cordiè in « Leonardo », XIII (1942), p.
135. 36 Vittorini a Einaudi, 3 luglio 1945, in E. Vittorini, Gli
anni del « Politecnico ». Lettere 1945-1951, a cura di C. Minoia, Torino,
Einaudi, 1977, p. 8. Nella comunicazione a Einaudi di un colloquio
avvenuto il 4 luglio 1945 tra Vittorini e Pavese a proposito dell’«
Universale », si dirà che Vittorini «intende aprire la collezione a
moderna letteratura progressiva — sia creativa sia polemica — la quale
escluderebbe natural- mente molti titoli che in passato entrarono nella
collezione. Treifschke e Novalis non possono sopravvivere quando entri,
cosî per dite, il teatro di Saroyan, la poesia di Toller, la polemica di
un oratore sovietico. A Pavese pare che possano » (AE, Corrispondenza
editoriale Torino-Roma 1945). 315 Il fascismo e
il consenso degli intellettuali scita dei primi volumi della
collana, lodava Einaudi per aver « fatto entrare la sua attività
editoriale nella storia della nostra cultura italiana che tanti
maltrattamenti e oscuramenti ha dovuto sopportare » *” Ciò
non significa che non siano numerosi titoli pura- mente letterari non
inquadrabili nelle finalità di un orien- tamento politico, prima e dopo
il 25 luglio, o che non fossero scartate proposte di testi più incisivi
da questo punto di vista **. Ma è bene ricordare che alcune
esclusioni sono da attribuirsi alla necessità di un compromesso con
la censura: « Bottai potrebbe dire una parola a Pavolini — scriveva
l’editore a Muscetta l’8 aprile 1942, rivelando un rapporto privilegiato
con il ministro dell’Educazione nazionale — [...]. Noi faremo molti
italiani e quindi anche qualche straniero [...]. Accetteremo nello
svolgimento del piano i loro consigli, e sospenderemo nel caso qualche
vo- lume che può essere inopportuno. Ma occorre che anche loro
collaborino con noi » *°. E tuttavia Einaudi poteva a buon diritto
scrivere ad Arrigo Benedetti che con l’« Uni- versale » gli pareva di
venire incontro « a un vero bisogno della nostra cultura nazionale. Tengo
molto a che questa collezione non passi per un tentativo di volgarizzamento
di cui non si sentiva affatto la necessità, ma per un con- tributo
fattivo a un riesame serio e consapevole del patri- monio culturale
universale. In quest'ultimo senso vorrei appunto che fosse inteso
l’attributo della mia collezio- 30? Marchesi a Einaudi, 23 maggio
1942 (AE, Marchesi). 308 Per i vari progetti di pubblicazione cfr.
AE, Muscetta. Fra i testi non realizzati figurano: La rivoluzione e i
rivoluzionari in Italia di Ferrari, affidato nel giugno 1942 a Mario Ceva
e poi, nell’ottobre, a Cantimori AE, M. Ceva, Cantimori); i Pensieri
politici di Vincenzo Russo scartati dall’editore che, d'accordo con
Alicata, accantonò anche il progetto di pubblicazione del saggio sulla
libertà di Labriola — non sappiamo se quello Della libertà morale del
1873 o quello Del concetto della libertà del 1878 —, in quanto «le
osservazioni interessanti per lo sviluppo futuro del suo pensiero sono
appena marginali; siamo ancora in piena disqui- sizione psicologistica
herbartiana, priva di interesse per noi» (lettere a Muscetta del 24
agosto 1942 e ad Alicata del 26 agosto 1942, in AE, Muscetta, Alicata).
Il 25 giugno 1943 Ginzburg inviava il sommario di un’antologia di scritti
di Cattaneo (AE, Ginzburg). 39 AE, Muscetta. 316
Le origini della casa editrice Einaudi ne » *°. In effetti,
le finalità di apertura cosmopolitica della collana vennero rispettate,
se dal 1942 al 1946 i titoli ita- liani risultano solo 17 su un totale di
69, di cui 5 su 10 nel 1942 e 7 su 19 nel 1943; e le prefazioni,
stringate ma spesso assai incisive, furono affidate in molti casi a
intel- lettuali antifascisti, anche se non tutti quelli contattati,
come Marchesi, poterono rispondere all’appello. Cosi, mentre i
Canti del popolo greco di Tommaseo assumono oggettivamente, all’inizio
del 1943, un signifi- cato politico, l’Antologia di Spoon River di Edgar
Lee Masters, da tempo segnalata da Pavese che vi vedeva « un
meraviglioso mondo che ci parve qualcosa di più che una cultura: una
promessa di vita, un richiamo del destino », suggerisce alla curatrice,
Fernanda Pivano, l’osservazione che « solo le anime semplici riescono a
trionfare nella vita » *!, E Ginzburg, se ne La sonata a Kreutzer di
Tol- stoj indicava i motivi artistici come prevalenti su quelli
sociali, terminava la prefazione a La figlia del capitano ricordando
l’epigrafe di Puskin — « tieni da conto l’onore fin da giovane » ?* —,
mentre presentando Cristianità 0 Europa di Novalis Mario Manacorda
metteva in luce la « statolatria reazionaria » dell’autore, che
trasferisce allo stato « etico », nazionale e monarchico, quei
compiti ideali di civiltà che l’illuminismo assegnava allo stato
razionale e cosmopolitico, e, confondendo evidentemente stato e società,
dà una cattiva versione romantica dell’esser cive quando afferma che « il
più umano dei bisogni è quello di uno stato » e predica la necessità
che lo stato sia dovunque visibile anche nei distintivi e nelle uniformi
313. 310 Einaudi a Benedetti, 16 maggio 1942 (AE, Benedetti). La
scelta delle novelle di Maupassant fatta da Benedetti non ottenne il
nulla osta della censura per l’inclusione di quelle riguardanti la guerra
del 1870 (Alicata all'editore, 30 marzo e 24 giugno 1942, in AE,
Alicata); il 30 luglio 1943 l’editore scriveva a Benedetti: «Facciamo
subito il Mau- passant. Dovresti tradurre le novelle di guerra escluse in
un primo tempo » (AE, Benedetti). 311 E. Lee Masters,
Antologia di Spoon River, a cura di F. Pivano, Torino, Einaudi, 1943, p.
XII; C. Pavese, La letteratura americana, cit., p. 64. 32 Ora
in L. Ginzburg, Scritti, cit., pp. 153, 289. 313 Novalis,
Cristianità o Europa, a cura di M. Manacorda, Torino, Einaudi, 1942, pp.
XII-XIII. 317 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali Accenti antigentiliani, non privi talvolta di
risvolti politici, sono avvertibili anche nella presentazione di
molti letterati e uomini politici italiani dell’800: accanto alla
valorizzazione del cristianesimo di Capponi, ritenuto da Umberto Morra «
più vivo » di quello manzoniano *!, o all’inclusione di esponenti
moderati del Risorgimento cari alla concezione liberale di un Luigi
Einaudi o di un Omo- deo, come Cavour — di cui Cantimori cura una
scelta dei Discorsi parlamentari sottolineandone il realismo poli-
tico *° —, appaiono autori propri della genealogia risorgi- mentale di
Gentile — Cuoco, Foscolo o Alfieri —, ma profondamente rivisitati.
Significativo non solo in questo senso, ma anche come una sorta di
manifesto di tutta la collana, è il primo titolo pubblicato, le Ultizze
lettere di Jacopo Ortis, che offriva a Muscetta l’opportunità di
far proprie le affermazioni pacifiste di un commentatore di Foscolo
— « Un popolo non deve snudare la spada se non per difendere o
conquistare la propria indipendenza. Se attacca i vicini per aggiogarli,
si disonora; se invade il loro territorio col pretesto di fondarvi la
libertà, o è ingannato o s’inganna » —, e di riproporre la
concezione democratica e antitirannica espressa in « pagine dimen-
ticatissime » da Cattaneo, per il quale Foscolo fu il primo a
gettare in Italia quella vanissima sentenza, che il « rimedio vero sta
nel riunire in una sola opinione tutte le sètte ». È idea chinese, idea
bizantina; e per essa la Grecia, sf feconda quand'era piena di sètte,
giacque per mille anni nel letargo della sepolcrale ortodossia bizantina.
Ogni setta che invoca questo sofisma intende solo imporre silenzio alle
altre tutte, fuorché a se stessa, e regnare unica e sola3!.
314 G. Capponi, Ricordi e pensieri, a cura di U. Morra, Torino, Einau-
di, 1942, p.X. 315 C. Benso di Cavour, Discorsi parlamentari, a
cura di D. Cantimoti, Torino, Einaudi, 1942, p. XII. Scrivendo a Finaudi
il 28 aprile 1943, Ragghianti giudicava alcune note di Cantimori «
tendenziose, con un profu- mino di “marxismo” aggiornato, che dà noia »
(AE, Ragghianti). 316 U. Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, a
cura di C. Muscetta, Torino, Einaudi, 1942, pp. XIV-XV. «La Civiltà
cattolica » noterà che l’opera di Foscolo era posta all'Indice (a. 94,
1943, vol. II, p. 388). Nel 1943 Manlio Mazziotti presentava Il Congresso
di Vienna (1814-1815) di Heinrich von Treitschke affermando che per
l’autore lo Stato era forza, 318 Le origini della
casa editrice Einaudî 10. I quarantacinque giorni, la Liberazione
e il Fronte della cultura Entusiasmo e frenesia di
iniziative contraddistinguo- no il periodo immediatamente successivo alla
caduta di Mussolini, quando ai tentativi di acquisire il controllo
su un giornale — già il 26 luglio, quando « Roma vive il primo giorno di
libertà », Muscetta invitava Einaudi a « metter le mani » su « Primato »
*” — si aggiungono a ritmo serrato, fino all’8 settembre, proposte di
nuovi vo- lumi e collane, destinate per la maggior parte ad essere
definitivamente accantonate o sospese fino alla Liberazione, non solo per
l’incertezza della situazione politica generale. Inizia infatti un
processo di riassestamento della casa edi- trice di non facile soluzione
— tanto che si ripresenterà, aggravato, dopo il 25 aprile 1945 —, dove ai
problemi ma che «una forza che calpesta ogni diritto deve
finalmente andare in rovina, perché nel mondo morale nulla si regge che
non abbia virtî di resistere » (p. IX). 7 AE, Muscetta.
Intense furono le trattative per l'acquisto di altri Genta Si pensò, da
parte di Muscetta e Ginzburg, a « La Ruota » da trasformare in
settimanale sotto la direzione di Mario Vinciguerra (AE, Vinciguerra, 30
agosto 1943; Muscetta, 11 agosto 1943), anche se Pintor affermava: «
Resta da decidere se l’acquisto di una rivista in questo mo- mento e con
le prospettive oscure che ci attendono sia un gesto oppor- tuno e resta
da fissare l’indirizzo politico della rivista. Un uomo come Vinciguerra,
degnissimo ma ufficialmente legato a un partito, non mi pare il più
adatto per la direzione » (AE, Pintor, 9 agosto 1943). Vi furono
trattative anche per « Il Lavoro italiano », per cui Pintor entrò in
contatto con Piccardi che non voleva — scriveva Pintor a Einaudi — « affi-
darlo a elementi troppo di destra, dato che si tratta del Quotidiano dei
Lavoratori. Temeva che tu avessi le idee di tuo padre» (AE, Pintor, 30
luglio 1943; Muscetta, 18 agosto 1943). Per la « Gazzetta del popolo »,
che Einaudi avrebbe voluto affidare alla direzione di Felice Balbo, si
chiese l'appoggio di Bonomi presso l’IRI, ma Pintor non riuscî a convin-
cere Menichella che — comunicava all’editore — « vede nerissimo, pre-
vede il regno dei grossi capitalisti e un attacco in grande stile contro
l’IRI. La “Gazzetta del popolo” come la faremmo noi costituirebbe una
provocazione contro i pescicani e affretterebbe la catastrofe » (AE,
Pintor, 3 e 31 agosto 1943; Bonomi, 31 luglio 1943). Il 18 agosto 1943
Einaudi scriveva ad Alicata: «Il periodico di educazione popolare che
saluterei con simpatia, sarebbe quello che votrei faceste tu e Vittorini
[...] questo dovrebbe essere il giornale spregiudicato e vivo, dei tempi
nuovi [...] qui tutte le manifestazioni della vita, politiche ma
sovratutto di costume dovrebbero essere rappresentate » (AE,
Alicata). 319 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali organizzativi si intrecciano le divergenze fra i
collabo- ratori, che acquistano ora rilevanza politica. Il 21 luglio
1943 Einaudi riteneva « necessario l’accentramento in Piemonte dei
servizi relativi al funzionamento worzzale della casa editrice », mentre
nell’agosto incaricava Ginz- burg, liberato dal confino, di dirigere la
sede romana *: ed è da questa, dove nell’agosto è presente anche
Franco Venturi, che scaturisce una forte pressione degli azionisti
— nelle loro diverse componenti, dai liberalsocialisti ai « crociani » —
che cercano di condizionare a loro favore le scelte editoriali.
Il senato romano (presenti Ginzburg, Muscetta, Pintor, Giolitti,
Venturi) — scriveva Muscetta a Einaudi il 7 agosto 1943 — ha discusso e
progettato, ad unanimità, una collezione di attualità poli- tica, a cui
si darebbe il nome di « Orientamenti ». Suggerisce di pubblicare,
preferibilmente a Roma, per ovvi motivi, una serie di volumetti formato «
universale » [...]. Come è chiaro dalla parola « Orientamento » la
collana dovrebbe accogliere scritti delle pi serie tendenze odierne per
illuminare il pubblico sulle condizioni reali dell’Italia e dell'Europa, per
disegnare delle prospettive di concreta ricostruzione politica, per
offrire dei contributi al chiari- mento dei più urgenti problemi, non
esclusi quelli ideologici 39, Ma le proposte concrete
privilegiavano un indirizzo azionista della collana, prevedendo i saggi
di Guido Calo- gero su Giustizia e Libertà — dall’ambizioso
sottotitolo « breviario di politica » —, di Altiero Spinelli
sull’unità europea, di Manlio Rossi Doria sul problema agrario in
Italia, quello sul Risorgimento che Ginzburg stava prepa- rando dalla
primavera del 1943, e una storia del socialismo di Franco Venturi. Queste
proposte — di cui si fece porta- tore, pur con riserve su Calogero, anche
Pintor? — LI 318 Disposizioni di Finaudi per la sede
romana del 21 luglio e del- l’agosto 1943 (AE, Corrispondenza editoriale
Roma-Torino 1941-1944). 319 AE, Muscetta. 320 AE,
Pintor (7 agosto 1943). Fra le altre proposte « romane », Dal socialismo
al fascismo di Bonomi (già edito da Formiggini), Synthèse de l'Europe di
Sforza, La terreur fasciste di Salvemini, il Pisacane di Ros- selli e la
traduzione — da affidare a Franco Rodano — de Les sources et le sens du
communisme russe del pensatore religioso, ex-marxista e ora
antisovietico, Nikolaj A. Berdjaev (AE, Corrispondenza editoriale
Roma-Torino 1941-1944, 30 luglio e 30 agosto 1943), un’opera che sarà
320 Le origini della casa editrice Einaudi
furono respinte dal gruppo torinese, che invece approvò la ristampa di
Nazionalfascismo di Salvatorelli, un’antolo- gia di scritti di Gobetti
che avrebbe dovuto curare Carlo Levi, un volume di Mario Vinciguerra —
Storia di cento anni (1848-1948) —, e la richiesta a Guido Dorso di
pre- parare una biografia di Mussolini *. Un netto e signifi- cativo
rifiuto riceve invece, a Torino, la proposta di racco- gliere gli scritti
politici di De Sanctis — il suggerimento, tramite Muscetta, era arrivato
da Croce # —, mentre viene lasciata aperta la possibilità di pubblicare
Guerra e dopo- guerra di Giacomo Perticone, una storia della « crisi
della coscienza politica italiana tra il 1914 e il 1922 » ritenuta
interessante da Antonio Giolitti, che suggeriva l’eventuale
opportunità di una collezione specifica che potrebbe pre- sentarsi come «
Contributi alla storia del fascismo », intendendo naturalmente il
fascismo in senso lato, come crisi, per dir cosî, della democrazia
nazionale italiana; e allora rientrerebbero in quei contri- buti anche le
indagini sulla storia dell’Italia dopo il 1870 le quali sappiano vedere
il fascismo già latente in certi aspetti della vita politica dello Stato
italiano, e non lo considerino soltanto come un mostro emerso
improvvisamente da chissà quali profondità, o come la criminosa avventura
di un gruppetto di sopraffattori: un’indicazione di ricerca che
superava la visione crociana della « parentesi », ma che sarebbe stata
raccolta molto tardi dalla cultura storiografica italiana, anche se
Einaudi si dimostrò interessato alla proposta, cui cercherà di dar
seguito dopo il 1945 ®. Di fronte alle posizioni del « senato
romano » — di- tradotta nel 1944 da Giacomo Perticone (Roma,
Edizioni Roma); di Berdjaev Laterza aveva tradotto nel 1936 Il
cristianesimo e la vita sociale, mentre Finaudi pubblicherà nel 1945 La
concezione di Dostojevskij. 321 Cfr. C. Pavese, Lettere 1924-1944,
cit., p. 721 (13 agosto 1943); AE, Pavese (11 agosto 1943), Vinciguerra
(7 agosto 1943). 322 Muscetta a Pavese, 19 agosto 1943 (AE,
Pavese); «Qui ognuno di noi si infischia sia del Perticone, sia degli
scritti politici di De Sanctis », si rispose da Torino il 21 agosto 1943
(AE, Muscetta). 323 Giolitti a Einaudi, 24 agosto 1943 (AE,
Giolitti); «si potrà discutere la proposta di Giolitti in merito a una
collezione critica sul fascismo », scriveva Einaudi a Pintor il 25 agosto
1943 (AE, Pintor); e Pintor era favorevole: cfr. la lettera del 24 agosto
a Pavese (in C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit., p. 730).
321 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
viso al suo interno tra azionisti da un lato, Pintor e Giolitti
dall’altro — e di un Pavese, « nauseato dall’indaffaramento politico
della casa editrice » ’*, Pintor si dimostrava preoc- cupato dell’unità
dell’indirizzo editoriale: il 7 agosto 1943 scriveva a Einaudi che « le
possibilità di “rottura” si ac- centuano e che la crisi può intervenire
da un momento all’altro », occasionata originariamente dal « breviario
poli- tico » di Calogero; « le varie discussioni — aggiungeva il 9
agosto — hanno messo in evidenza un problema che doveva inevitabilmente
maturare. Non si tratta pit cioè di dissensi personali che hanno sempre
alimentato l’attività della casa, ma di un contrasto di posizioni, che
secondo me non è insanabile, ma che deve essere chiarito se non vogliamo
che diventi un elemento pericoloso di erosio- ne » ?5, Da queste
preoccupazioni scaturisce il deciso inter- vento di Einaudi che provoca
il naufragio della collana « Orientamenti » considerata la «
provvisorietà dell’inizia- tiva » **, e punta su Ginzburg — liberato il
26 luglio dal confino — e Alicata — uscito dal carcere il 7 agosto
— come elementi moderatori delle diverse posizioni: tu avrai
di fronte — scriveva ad Alicata il 18 agosto 1943 — [...] una persona che
ha dato prova di grande serietà morale, e di w245- sima comprensione per
tutte le idealità politiche degne di questo nome. Ritengo che tu possa
lavorare con Ginzburg amichevolmente 324 Pavese a Pintor, 23
agosto 1943 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit., p. 728). 325
« In particolare — aggiungeva Pintor il 9 agosto —, per “Orien- tamenti”,
nonostante l’unanimità proclamata da Muscetta, io avrei diverse riserve:
vorrei che si tenesse conto del programma originario di Balbo e vorrei
che fosse consultato Vittorini »; e il 16 agosto scriveva a Einaudi: « Il
mio atteggiamento personale è molto conciliante: il clima di lotta
parlamentare che si è creato a Roma mi dà parecchio fastidio e non vorrei
assolutamente che si riproducesse nel lavoro della casa » (AE, Pintor). 32%
Einaudi ad Alicata, 18 agosto 1943 (AE, Alicata). La decisione di Einaudi
parve «discutibile » a Pintor: «In questo modo si sfugge al primo
problema posto dal coesistere delle diverse tendenze: l’accordo deve
essere ottenuto attraverso una rigorosa selezione delle proposte [...],
ma è indispensabile che la casa editrice segni il passaggio a una nuova
fase uscendo dagli schemi delle vecchie collezioni e affrontando
coraggio- samente l’attualità. A questo non bastano i progetti di
giornali e riviste che cominciano a diventare invadenti ma occorre che si
faccia qualcosa di nuovo anche nel campo editoriale » (a Einaudi, 19
agosto 1943, in AE, Pintor). 322 Le origini
della casa editrice Einaudi e con rapidità di decisione [...].
Comunque la funzione di Ginzburg, in quanto collaboratore della casa, più
che di difensore di principi diversi è quella di moderatore, anche nei
riguardi della corrente che a lui può sembrare faccia capo. Tu usa con
lui, collaborando alla casa, altrettanta moderazione, sia pure con intransigenza,
in modo da arrivare nel nostro Senato anziché alla disgregazione temuta
da Pintor, alla collaborazione spontanea ?7, In questa
situazione, fatta di contrasti e di incertezze, cui si aggiungerà dopo
1’8 settembre la dispersione dei col- laboratori e la sostituzione di
Giulio Einaudi — che si rifugerà in Svizzera — con il direttore dell’ISPI
Pierfranco Gaslini e il commissario prefettizio Paolo Zappa, con i
quali resta in contatto Muscetta, l’attività della casa edi- trice
conosce, nel 1943-44, una stasi, anche se viene dato esito ad alcuni
progetti precedenti. Non vengono pub- blicati, ovviamente, i testi più
politicizzati suggeriti dalla sede romana e accettati a Torino, cosi come
resta ine- dito E il gallo cantò di Augusto Monti che, scriveva
l’au- tore, « pur trattando di casi relativamente remoti, è del- la
più viva attualità, tanto che potrebbe avere per sotto- titolo: origini
del fascismo e dell’antifascismo » ®*. Nella « Biblioteca di cultura
storica » esce solo, nel 1944, La politica italiana da Porta Pia a
Vittorio Veneto di Bono- mi *’, mentre nei « Saggi » alle Riflessioni di
Montesquieu curate da Leone e Natalia Ginzburg per venire incontro
a « un rinnovato interessamento per certi valori umani, pro-
clamati dagli uomini del Settecento, e poi a lungo negletti 3 AE,
Alicata. Ma era necessario tener conto, scriveva Pintor a Einaudi il 31
agosto 1943, che Alicata «è preso da un'attività quanto mai turbinosa e
che negli ultimi giorni si è occupato quasi esclusivamente di fare
arrestare fascisti sediziosi » (AE, Pintor); perciò l’editore scriveva a
Ginzburg il 4 settembre: «La sua richiesta di sostituire Giolitti ad
Alicata nel Comitato Politico mi pare utile. Giolitti dovrebbe essere una
specie di supplente al quale Alicata delega, quando è impossibilitato a
partecipare alle riunioni, il mandato di voto » (AE, Ginzburg). 328
Monti a Einaudi, 15 agosto 1943 (AE, Monti). 329 Di Bonomi non fu
invece pubblicato Dd/ socialismo al fascismo, cui si dichiararono contrari
Pavese, Balbo, Venturi e Ginzburg, favorevoli Pintor e Giolitti: cfr.
Pavese a Muscetta, 13 agosto 1943 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit., p.
721), e Muscetta a Pavese, 11 agosto 1943 (AE, Pavese).
323 Il fascismo e il consenso degli intellettuali da
un troppo unilaterale storicismo » *°, fa da contrap- punto, nel 1943, la
pubblicazione delle Memorie di Met- ternich in cui Gherardo Casini
sottolinea l’« orrore » del cancelliere austriaco per la Rivoluzione francese
e la sua testimonianza « sul sangue che è corso per le piazze di
Francia, sulle violenze che hanno reso esecrabile questo evento, sulla
brutalità con cui sono stati incrinati e calpe- stati i fondamenti
dell’ordine » *!, Nell’unica collana che conserva una certa vitalità,
anche per il minor costo che richiedeva, 1’« Universale », accanto a
numerosi testi più propriamente letterari ne appaiono altri segnati da
un chiaro, anche se non univoco, impegno civile: alla presen-
tazione simpatetica del « buon senso » che traspare dagli Opuscoli
politici di D’Azeglio fatta da Vittorio Gorresio **, si accompagna il
Manoscritto di un prigioniero del mazzi- niano Carlo Bini, di cui
Goffredo Bellonci illustra la conce- zione del Risorgimento come
rivoluzione sociale capace di eliminare « le ineguaglianze materiali »
**; nel Della tiran- nide di Alfieri Massimo Rago coglie « uno spirito
veramente rivoluzionario » che cerca di « dar risalto alle forze
che ostacolano l'affermazione della libertà, e questo chiarimento
suona come un invito ad una più accurata osservazione delle esperienze
sociali » *4; mentre presentando Conquista e usurpazione di Benjamin
Constant Franco Venturi osserva come soltanto Jaurès e Mathiez avessero
insegnato a vedere nella Rivoluzione francese « il nostro moderno
problema di una rivoluzione sociale alle sue origini », come tale
non compreso da Constant, di cui per altro è esaltato il libera-
lismo che si manifesta nel « chiudere [...] la rivoluzione, ma non per
negarla: per salvarne i principi rinati dall’espe- 330 Ch. De
Montesquieu, Riflessioni e pensieri inediti 1716-1755, a cura di Leone e
Natalia Ginzburg, Torino, Einaudi, 1943, p. XIV. 331 C. von
Metternich, Merzorie, a cura di G. Casini, Torino, Einaudi, 1943, pp.
XII-XIII. 332 M. D'Azeglio, Opuscoli politici, a cura di V.
Gortresio, Torino, Einaudi, 1943, p. XVI. 333 C. Bini,
Manoscritto di un prigioniero, prefazione di G. Bellonci, Torino,
Einaudi, 1944, p. XIII. 334 V. Alfieri, Della tirannide, a cura di
M. Rago, Torino, Einaudi, 1943, pp. IX, XVI. r 324
Le origini della casa editrice Einaudi rienza delle
assemblee e del terrore » * L’unico elemento di novità, n@ il 25
luglio, è. È « Collana di cultura giuridica » ‘diretta da Norberto
Bob- bio — uno dei primi collaboratori di Einaudi, la cui firma era
apparsa anche ne « La Cultura » —, che già nel giugno 1943 era venuta
configurandosi come distinta dal progetto di una collana filosofica
formulato, come vedremo, nel 1941. Pavese gli comunicò la proposta di Manlio
Maz-. ziotti di una « collezione di classici del diritto, la quale
servirebbe a svegliare il sonno dogmatico dei giuristi ita- liani, i
quali credono che la loro scienza consista nell’inter- pretazione e non
nella creazione della legge », e Bobbio rispose di essere anch’egli
convinto che « nel campo de- gli studi giuridici ci sia molto da fare per
la diffusione di. una cultura seria e creatrice: dalla scuola del
diritto naturale ai grandi giuristi tedeschi del secolo scorso;
dalla moderna sociologia giuridica alla dottrina pura del Kelsen.
Che io sappia non è stata mai tentata in Italia un ‘impresa del genere,
che raccolga con un certo ordine e con inten- dimenti culturali, e non
tecnici, opere d’argomento giuri- dico », a parte i « Classici del
diritto » di Formiggini, fer- matisi tuttavia nel 1933 al primo volume, I
difetti della giurisprudenza di Muratori ** Coadiuvato da
Antonio Giolitti, Bobbio cercò di dar vita alla collana con due opere già
da lui preparate nel 1942 per la « Biblioteca di cultura filosofica »
*#’: nel 1943 appare il Giovazni Althusius di Otto von Gierke, il
conti- nuatore della scuola storica di Savigny che considerava il
335 B. Constant, Conquista e usurpazione, prefazione di F. Venturi,
Torino, Einaudi, 1944, pp. 9-10. Già proiettato esplicitamente nel futuro
è il commento a E. Quinet, La repubblica, a cura di E. Lussu, Torino,
Einaudi, 1944, dove si afferma che gli italiani sono «arretrati d’un
secolo, ché tutti i fondamentali problemi di democrazia che il Risorgi-
mento poneva sono rimasti insoluti », e che «in Italia, dopo la disfatta
del 1920-22, che ha in comune con quella francese del 1848 solo l’imma-
turità politica e non l’epopea, la classe operaia va lentamente ricompo-
nendo le sue forze e maturando l’esperienza del passato, conscia del
compito ch’essa è chiamata ad assolvere » (pp. VII, X). 36 Pavese a
Bobbio, 23 giugno 1943, e Bobbio a Einaudi, 29 giugno 1943 (AE, Bobbio).
. ? Bobbio a Einaudi, 15 novembre 1942 (AE, Bobbio).
325 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
diritto come « espressione della coscienza del popolo », e con lo studio
del giurista Althusius aveva seguito « la via attraverso cui il pensiero
moderno è passato per elaborare quei concetti da cui è uscita la
concezione dello Stato di diritto, tanto più oggi preziosa — scriveva
Bobbio —, quanto più minacciata, e tanto più viva quanto più con-
dannata dagl’impazienti, dai fanatici, dagli indotti di tutte le fazioni
» **. Nel 1945 seguirà La fondazione della filo- sofia del diritto di
Julius Binder, « il più intransigente e for- tunato assertore della
rinascita hegeliana in Germania », la cui opera, osservava Bobbio,
serviva a scagionare la filo- sofia italiana recente dall’accusa di
provincialismo, « qua- lunque sia poi il giudizio che si voglia formulare
sul neo- hegelismo italiano, al quale peraltro non si potrà
discono- scere il merito di aver tenuto il pensiero italiano lontano
da quegli stessi estremi dell’intellettualismo e dell’intuizio-
nismo » contro cui combatté Binder *’, Ma dopo questi due titoli — che
venivano ad allargare ulteriormente i già nu- metosi interessi della casa
editrice — la collana perderà i suoi connotati per trasformarsi nel 1950
in « Biblioteca di cultura politica e giuridica », nonostante gli sforzi
di Bobbio di mantenerle l’identità originaria, convinto, come
scriveva nel 1945, che « in un momento in cui è diventato argo-
mento di pubbliche e private discussioni il rinnovamento delle
istituzioni giuridiche tradizionali, dalla proprietà allo stato,
dall’eredità al sistema penale, si ridesta l’interesse per i problemi del
diritto e nello stesso tempo si rivela la ignoranza degli stessi da parte
dei più », per cui la collana poteva giovare « anche agli specialisti, i
quali, abituati a ripetere le solite formule senza ripensarle, ignari per
lo più 338 O. von Gierke, Giovanni Altbusius e lo sviluppo storico
delle teorie politiche giusnaturalistiche. Contributo alla storia della
sistematica del diritto, a cura di A. Giolitti, Torino, Einaudi, 1943,
pp. VIII, X. 339 J. Binder, La fondazione della filosofia del
diritto, traduzione di A. Giolitti, Torino, Einaudi, 1945, pp. VII, IX-X.
In «Società» si nota comunque che Binder finisce, come Hegel, col fondare
« una metafisica dello Stato e della storia », e si ricorda che in altre
sue opere « lo Stato nazionalsocialista viene presentato come la pit
rilevante incarnazione del- TOR a etico» (V. Palazzolo, in «Società», III
(1946), pp. 235-238). 326 Le origini della casa
editrice Einaudi dei grandi movimenti giuridici stranieri, sono
incapaci di cogliere il significato universale di una tecnica, di
vedere in una formula il risultato di un determinato orientamento
del pensiero » *° La breve, intensa ma caotica esperienza dei
quaranta- cinque giorni non aveva comunque permesso di definire con
precisione quella « nuova » collocazione culturale e politica della casa
editrice sulla quale gli azionisti avevano cercato di mettere un’ipoteca.
Il problema si ripresenta quindi all'indomani della Liberazione, con una
intensità acuita dalla necessità di individuare una prospettiva di
pit lungo periodo, non più resa precaria dalle contingenze bel-
liche #. Il dibattito politico interno acquista ora rile- vanza maggiore
in quanto si intreccia con il confronto aperto e aspro fra i partiti ai
quali aderiscono vari collabo- ratori di primo piano della casa editrice,
e risente delle spinte diverse provenienti dai vari centri culturali, la
cui collocazione geografica rispecchia la variegata situazione
politica creata nel paese dalla lotta di Resistenza *°. A quelle di
Torino e di Roma si aggiunge nel 1945 la nuova sede di Milano con Elio
Vittorini, l’intellettuale che aderisce al partito comunista assieme a
Pavese, col quale aveva condi- viso negli anni ’30 l’interesse per la
letteratura americana contemporanea, cogliendovi tuttavia — a differenza
di Pavese — soprattutto quegli elementi positivi di un popolo «
nuovo » e quella conferma della superiorità della cultura sulla politica
che trasferirà ne « Il Politecnico » e in alcune iniziative della casa
editrice ®. Grava sulla civiltà americana la stupidità di una
frase: civiltà 30 Appunto sulla « Collana di cultura giuridica »,
cui seguono, nume- rose proposte di pubblicazione (AE, Bobbio).
31 Questa necessità era ben chiara, oltre che a Balbo — come ve-
dremo —, a Bobbio, che 1’8 luglio 1945 ammoniva Einaudi: « Mi pare che ci
stiamo lasciando tutti quanti tentare dalla seduzione dell’attualità. Ti
ripeto una frase memorabile: le case editrici si misurano a decenni, non
a mesi » (Archivio privato Bobbio). #2 Cfr. le osservazioni di E.
Garin, Cronache di filosofia italiana, cit., pp. 501-502. 33
Cfr. E. Catalano, La forma della coscienza. L'ideologia letteraria del
primo Vittorini, Bari, Dedalo, 1977, in particolare pp. 225, 243.
327 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
materialistica. Civiltà di produttori: questo è l’orgoglio di una razza
che non ha sacrificato le proprie forze a velleità ideologiche e non è
caduta nel facile trabocchetto dei « valori spirituali » [...]. Questa
America non ha bisogno di Colombo, essa è scoperta dentro di noi, è la
terra a cui si tende con la stessa speranza e la stessa fiducia dei primi
emigranti e di chiunque sia deciso a difendere a prezzo di fatiche e di
errori la dignità della condizione umana, aveva scritto Pintor
cogliendo il messaggio di Americana di Vittorini **. Caduti nella lotta
di Resistenza Pintor e Ginzburg, mentre Alicata si trova assorbito
dall’attività politica, accanto a Vittorini e Pavese emergono fra i
colla- boratori della casa editrice altri intellettuali comunisti,
come Antonio Giolitti e Delio Cantimori, o l’esponente del movimento
cattolico-comunista Felice Balbo. Nonostante la matrice comunista di
questi intellettuali sia tutt'altro che omogenea, tale da non impedire
l’insorgere di contrasti, i rapporti di forza interni tendono a spostarsi
verso il PCI che, privo all’inizio di propri centri editoriali, individua
in Einaudi un interlocutore privilegiato: ed è attorno al tema
dell’orientamento politico della casa editrice che nelle pagine seguenti
concentreremo l’attenzione, per cercare di coglierne alcune linee di
tendenza nell’immediato dopo- guerra, utili, nell’ambito di una ricerca
che ha il suo centro nel periodo fascista, a verificarne ulteriormente
caratteri- stiche originarie e capacità di rinnovamento. Il
10 maggio 1945 Felice Balbo, da Torino, scriveva preoccupato a Einaudi
che « anche per la Casa vale quello che vale per i partiti politici: qui
la situazione è attualmente molto spostata a sinistra e molto fluida
specie negli ambienti intellettuali per gran parte disorientati ed in
attesa di poli- tica concreta, di costume, di tecnica. Non dobbiamo
lasciarci sfuggire l’occasione favorevole perché poi le posizioni
rea- zionarie potrebbero fissarsi nuovamente » #5. Ma proposte
concrete arrivavano contemporaneamente da Milano: Il nostro programma
editoriale milanese — si scriveva sempre il 10 maggio a Einaudi —
risponde ai criteri da te stabiliti: iniziare 34 G. Pintor, I/
sangue d’Europa, cit., pp. 155, 159. 35 AE, Corrispondenza editoriale
Torino-Roma 1945. 328 Le origini della casa editrice
Einaudi la pubblicazione di una rivista di punta che dovrebbe
essere quella dal titolo « Il nuovo politecnico », organo centrale del
Fronte della Cultura, iniziativa di carattere nazionale sorta da Curiel,
Banfi, Vit- torini che ne costituiscono il comitato d’iniziativa
nazionale, il quale a sua volta si appoggerà ai vari comitati regionali
che saranno creati successivamente. Questo Fronte della Cultura è
destinato a interes- sarsi a tutti i problemi di cultura, artistici e
scientifici, per una loro rivalutazione, o superamento, da elementi
appartenenti a qualsiasi ideologia o partito ma sinceramente orientati su
un piano progressi- sta: è un fronte quindi aperto a tutto il popolo
italiano. Ma subito dopo si precisava che il bollettino del
Fronte si sarebbe occupato dello « studio alla luce del marxismo di
tutti i fenomeni e le situazioni politico-culturali », avvalen- dosi
delle collaborazioni di Vittorini, Banfi, Remo Cantoni, Giansiro Ferrata,
Pietro Zveteremich, e si accennava all’ini- ziativa di una « collana
marxista » **. L’estrazione politica dei membri del Comitato nazionale
del Fronte della Cultura ne esprimeva del resto chiaramente
l’orientamento: due esponenti del partito comunista (Banfi e Vittorini),
due rispettivamente di quello socialista e del partito d’azione,
uno (Mario Motta) per i Lavoratori cattolici *’. Einaudi, pur convinto
che « a Milano si giuoca una grande partita per noi » **, si preoccupava
tuttavia dell’insorgere di attriti fra i responsabili delle varie sedi, e
suggeriva una diversi- ficazione di funzioni fra di esse. Perciò, mentre
raccoman- dava la necessità di una « fraterna intesa fra Torino,
Mi- lano e Roma, in modo da costituire un unico fronte pro-
gressivo di cultura senza settarismi, aperto alla collabora- zione di
ogni sincero democratico », nell’impostare il pro- gramma delle riviste
del Fronte proponeva, per Roma, « Risorgimento » e « Cultura sovietica »
— dal carattere, soprattutto la prima, pit « aperto » —, una rivista di studi
meridionali per Napoli, un settimanale politico-culturale per Milano — «
Il Politecnico » — e, per Torino, un perio- dico economico, « sui
problemi della ricostruzione »: « in 36 Renata Aldrovandi a
Einaudi (AE, Corrispondenza editoriale To- rino-Roma 1945).
3? Ibidem. 38 Einaudi a Renata Aldrovandi, 26 maggio 1945
(ibidem). 329 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali tal modo — osservava — alle diverse sedi si darebbe
un significato concreto di legame tra gli intellettuali e i pro-
blemi che più interessano le masse immediatamente circo- stanti, dando un
pieno significato nazionale ai problemi che più sono sentiti nelle
diverse regioni » *. Al tempo stesso, tuttavia, il contatto con
l’ambiente politico romano gli suggeriva di correggere l'orientamento
che si intendeva dare a Milano al Fronte della Cultura: « su un piano più
generale politico di lavoro — scriveva a Vittorini il 9 luglio 1945 — tra
gli intellettuali la linea attuale come si va definendo a Roma è quella
di fronte contro i residui del fascismo, fronte nel quale si
possono accogliere elementi di partiti cosiddetti conservatori, che
siano però sinceramente antifascisti e quindi sostanzial- mente
progressivi. Questa linea è meno settaria di quella definita nell’ultima
nota riunione di Milano, dove si pen- sava in sostanza di fare un fronte
delle sinistre » ®*, Era la linea cui si ispirava il PCI, e che sarà
espressa — pochi giorni dopo la costituzione del primo governo De
Gasperi — al suo V congresso (29 dicembre 1945 - 6 gennaio 1946),
dove Togliatti rivolse un appello all’unità di tutte le forze
democratiche aprendo le porte del partito a quanti ne condividessero la
linea politica, « indipendentemente dalla convinzione religiosa e
filosofica », anche se Alicata si premurava di precisare che compito
degli intellettuali doveva essere la battaglia contro l’idealismo,
espressione della « cristallizzazione del provincialismo della cultura
ita- liana » !, L'indirizzo sostenuto da Einaudi è rispecchiato
fedel- mente dalle riviste edite a Roma, in patticolare da « Risor-
gimento », ma anche da « La cultura sovietica ». Questa ultima, rivista
trimestrale dell’Associazione italiana per i rapporti culturali con
l'Unione Sovietica, diretta nel 1945- 39 Einaudi a Renata
Aldrovandi (e, per conoscenza, a Balbo e Vitto- rini), 16 maggio 1945
(ibidem). 350 AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma 1945.
31 Cfr. P. Togliatti, Opere scelte, a cura di G. Santomassimo,
Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 452; N. Ajello, Intellettuali e Pci
1944-1958, Bari, Laterza, 1979, pp. 62-66. 330
Le origini della casa editrice Einaudi 46 da Gastone Manacorda, si
proponeva di mettere in cir- colazione quegli elementi di conoscenza della
realtà sovie- tica che erano stati impediti dal fascismo, il quale —
si ricordava nella Presentazione, alludendo anche all’« oppo-
sizione » liberale durante il regime — « andò oltre la gros- solana
propaganda calunniatrice e, studiandosi di fuorviare gli intelletti dalla
conoscenza del vero con tutti i mezzi pit subdoli, diede diritto di
cittadinanza, con benevola tolle- ranza, a tutto ciò che fosse
antisovietico anche se fuori del- l’ortodossia reazionaria » *7. E, pur
svolgendo un’opera di acritica esaltazione delle realizzazioni sovietiche
— pubbli- cando ad esempio alcune pagine de I/ sistema finanziario
dell’URSS di Michail Bogolepov che apparirà nel 1947 nelle edizioni
Einaudi —, o di passiva presentazione di opere come la Storia del partito
comunista (bolscevico) dell'URSS, della quale Manacorda faceva proprio
anche il giudizio sui « germi controrivoluzionari » presenti in Trotzki
anche quando egli era « apparentemente rivoluzionario » ®*, « La
cultura sovietica » si preoccupò soprattutto di mettere in circolazione,
tramite Ettore Lo Gatto e Angelo Maria Ripel- lino, la letteratura russa
contemporanea. Né è senza signi- ficato che l’articolo di apertura della
rivista fosse affidato a un intellettuale azionista, la cui recente
polemica con lo storicismo crociano non era priva di elementi retorici,
come Guido De Ruggiero, teso a dimostrare la necessità di « ele-
vare la politica alla cultura » per superare ogni chiusura
nazionalistica, e pronto a riconoscere che nell’Unione Sovie- tica « s'è
compiuta nell’ultimo trentennio la più profonda trasformazione che la
storia ricordi, e dal cui contatto con 352 Ma, si continuava, il
tentativo non riusci: « ognuno ricorda quale interesse quel mondo abbia
sempre suscitato da noi; come avidamente si leggesse fra le righe di testimonianze
settarie e antisovietiche, le sole cui fosse concesso il privilegio della
pubblicazione o della traduzione; come rapidamente si esaurissero quelle
poche opere, generalmente tradotte dalla produzione di altri paesi,
ispirate ad obiettività d’informazione e a serenità di giudizio, che
qualche editore coraggioso riusciva di tanto in so) a mettere in
circolazione » (« La Cultura sovietica », I (1945), pp. 5-6). 353 «
La Cultura sovietica », I (1945), pp. 196-197. 331 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali la civiltà occidentale
potranno scaturire altri mutamenti non meno profondi » **
Sempre con l’intento di combattere la pretesa « neutra- lità »
della cultura, in quanto tale ritenuta anch’essa respon- sabile della
nascita e dello sviluppo del fascismo, usciva il 15 aprile 1945, sotto la
direzione di Carlo Salinari, « Risor- gimento »: decisa a operare «
dentro la mischia », la rivista voleva essere organo non di un gruppo, ma
di una tendenza, « organo di cultura di una società aperta e progressiva
», unificante intellettuali di fedi diverse che si erano trovati
uniti nella lotta antifascista °°. « Risorgimento », scriveva Salinari a
Vittorini il 25 maggio, « vuol essere una rivista d’incontro delle
correnti progressive della cultura italiana: ma, sorta fra un cumulo di
diffidenze ed energicamente sabotata dal PdA, deve naturalmente nei primi
numeri avere un carattere un po’ vago, se vuol mantenere la sua
linea e non diventare una rivista di partito. Noi qui a Roma ci troviamo
di fronte a difficoltà che voi forse neppure concepite! »; e, nonostante
Vittorini fosse invitato a « iniet- tare nella [...] rivista del buon
sangue del Nord » **, que- 35 G. De Ruggiero, Cultura e politica,
in «La Cultura sovietica », I (1945), pp. 9-10. Su De Ruggiero, « fra le
pit caratteristiche espressioni delle ambiguità e delle incertezze degli
“intellettuali” italiani della prima metà del secolo », cfr. E. Garin,
Intellettuali italiani del XX secolo, cit., in particolare pp.
105-106. « È un fatto — si aggiungeva — che non s'è avuta in Italia
una cultura dichiaratamente fascista e c'è chi si vanta di questa
impermeabilità come di un’anticipata condanna del fascismo. Ma la verità
è che di fronte al fascismo non bastava assumere un atteggiamento di
distacco fra sde- gnoso e prudente ma bisognava lottare apertamente in
difesa di una col- lettività spinta sempre più verso la schiaviti e la
rovina » (Presentazione, in « Risorgimento », I (1945), pp. 3-4).
35 AE, Vittorini: «Non appena potrà prendere la sua reale figura »,
continuava Salinari, la rivista avrebbe dovuto, fra l’altro, sostenere la
-«« democrazia progressiva » e l’« antinazionalismo », e « promuovere,
per quanto è possibile, una letteratura maggiormente legata alle
aspirazioni delle masse popolari». Il 9 luglio 1945 Salinari scriveva a
Vittorini di essere stato incaricato da Einaudi di «raccogliere il
materiale per il Politecnico » utilizzando l’organizzazione di «
Risorgimento », e faceva proposte di collaboratori anche se, aggiungeva,
« dubito che vi sia oggi in Italia un numero d'’intellettuali tanto
progressivi da poter alimentare una rivista del genere. Per lo meno
nell’Italia centro-meridionale » (ibi- dem). In un verbale del 6 giugno
1945 relativo ad una riunione per « Risorgimento », si dice: « Onofri
vorrebbe che la rivista si decidesse ad n 332
Le origini della casa editrice Einaudi sta mantenne il suo
carattere « vago » ed eclettico che la espose alle critiche di « Società
» *”: condizionata dalla realtà della lotta politica, che rendeva sempre
meno efficaci gli appelli all’unità della Resistenza, la rivista finî col
quinto numero del 1945, senza poter realizzare il programma pre-
visto per il momento in cui essa avrebbe potuto « prendere la sua reale
figura ». Cosi, all’articolo di apertura su L'Italia e la democrazia di
Sturzo, per il quale « chi potrà operare la rinascita e la redenzione del
proprio paese non sarà né un uomo né una classe, ma tutto il popolo
animato dal sof- fio di un ideale e dalla forza di una volontà » **,
seguiva l’Esperienza di Spagna di Togliatti; assieme alle testimo-
nianze sul fascismo e sulla Resistenza, apparvero articoli di
Salvatorelli sui rapporti Italia-Jugoslavia o su Weimar, come di Grifone
sul problema bancario. Tuttavia nelle note e nelle recensioni — di
Salinari, Cantimori o Giolitti — le prese di posizione erano più
omogenee: a proposito del dibattito sui rapporti fra liberismo e
liberalismo veniva negata l’identificazione operata da Luigi Einaudi, per
affer- mare che « la libertà politica può essere garantita anche da
una economia pianificata e collettivistica » *°, mentre nella polemica
fra De Ruggiero e Croce sullo storicismo si inter- assumere un
tono più polemico nei confronti delle altre tendenze e delle altre
riviste » (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma 1945). 357 «
Risorgimento » ha un carattere antologico, affermavano G. Pie- raccini e
R. Bilenchi: «manca appunto quello sforzo collettivo uni- tario che forma
lo spirito di una rivista. Anche il carattere progressista di questo
periodico non riesce ad affermarsi con un serio contributo » (« So- cietà
», I (1945), p. 305). Nell’Archivio privato di Felice Balbo si trovano
degli « Appunti per “Risorgimento” », senza data e non firmati, ma dove è
rilevabile la mano dell’esponente cattolico-comunista: « Concetto infor-
matore: dopo l'oppressione della tirannia fascista il Risorgimento
riprende il suo cammino nazionale nelle nuove condizioni obiettive sociali,
cioè avendo come spina dorsale, la classe operaia nella sua storica
funzione di classe di governo e classe nazionale; il Risorgimento
continua vera- mente solo su questa strada. Funzione della nuova classe
dirigente rispetto agli intellettuali ed ai tecnici. Funzione degli
intellettuali con la nuova classe dirigente nella costruzione della
democrazia progressiva post-fascista. In una frase il concetto è:
pianificare e articolare la rivo- luzione come è pianificata e articolata
la reazione ». Segue una esempli- ficazione assai puntuale del contenuto
« ideale » della rivista. 358 « Risorgimento », I (1945), p.
8. 359 C.S. [Carlo Salinari], Libertà politica e liberismo
economico, in « Risorgimento », I (1945), p. 95. 333
Il fascismo e il consenso degli intellettuali veniva per
sostenere la necessità che la filosofia crociana fosse « superata da uno
storicismo che affondi le radici più profondamente nel movimento
dialettico della storia degli uomini, da uno storicismo che non sia appannaggio
del conservatorismo, ma potente leva di una società nuova. Ma che
sia sempre storicismo, immanentismo assoluto » *° E sulle pagine di
« Risorgimento », nel fascicolo del 25 luglio, con la Lettera a un
intellettuale del Nord Fabrizio Onofri preannunciava i termini del
dibattito sulla « nuova cultura » che si aprirà su « Il Politecnico » il
29 settembre, rivolgendosi a Vittorini per affermare la necessità
che un intellettuale veramente progressivo, e perciò in primo
luogo antifascista, oggi come ieri debba necessariamente militare, se
non in questo o in quel partito, certo al fianco di quelle forze
sociali organizzate che più e meglio garantiscono l’abolizione dalla
vita nazionale di tutte le forme di oppressione fascista; debba cioè neces-
sariamente « occuparsi di politica », che è ora il modo migliore di
occuparsi della propria sorte di intellettuale, ossia badare a che non si
ricreino sulla sua terra le condizioni di schiavità in tutti i campi che
contrassegnavano il fascismo, e che si creino invece le condizioni
politiche e sociali di quella libertà di cui egli ha bisogno anche e
proprio come intellettuale ?9, Ci è parso opportuno accennare alle
riviste meno cono- sciute del Fronte della cultura, per rilevare
l’ampiezza delle iniziative della casa editrice tese, in accordo col PCI,
a mantenere aperto, nel primo biennio post-bellico, un dia- logo
con tutte le forze democratiche, anche a prezzo di dis- sonanze e di
polemiche interne; ciò vale — pur con una sfasatura cronologica — anche
per le più note e discusse ri- viste edite in quel periodo da Einaudi: «
Società », nata con una propria fisionomia autonoma e critica — tanto
che l’intransigenza di Luporini o di Cantimori verso il crocia-
nesimo creò motivi di frizione con « Rinascita » —, e solo alla fine del
1946 sottoposta a un pi rigido controllo del partito *; e « Il
Politecnico » che, invece, solo con la nuova 36 C. S. [Carlo
Salinari], Lo storicismo, in ibidem, p. 96. 361 F. Onofri, Lettera
a un intellettuale del Nord, in ibidem, p. 327. 362 Cfr. ora, pur
senza i necessari approfondimenti, G. Di Domenico, Saggio su « Società ».
Marxismo e politica culturale nel dopoguerra e negli 334
Le origini della casa editrice Einaudi serie mensile
inaugurata il 1° maggio 1946 passerà dall’in- genuo dogmatismo del
direttore a quella rivendicazione di indipendenza e « apertura » che fu
criticata da Togliatti come « ricerca astratta del nuovo, del diverso,
del sorpren- dente » *#. Ma al nostro discorso interessa
soprattutto notare che motivi di polemica antivittoriniana erano
pre- senti all’interno della stessa casa editrice, tali da
investirne l'orientamento complessivo nei suoi rapporti col partito
comunista. Il 21 maggio 1945 Pavese scriveva a Einaudi, anche a nome di
Balbo, che Vittorini e Giansiro Ferrata avevano radici
troppo fonde in Milano per poterli einaudizzare, cioè piemon- tesizzare.
Vittorini sarà l’uomo del Nuovo Politecnico, edizione Einaudi, organo del
Fronte della Cultura, e del relativo bollettino, stampati entrambi a
Milano; Ferrata darà consigli specialmente sui libri marxisti in cui è
ferratissimo [...]. Io invece, sino a nuovo ordine, approvo l’eclettismo
politico che la Casa conserva. Se mai, sulla purezza d'orientamento
giudichi uno solo (per esempio Balbo, incorruttibile) non tutti i cani e
porci che, muniti di tessera, salte- ranno fuori, anni
cinquanta, Napoli, Liguori, 1979. Nello stesso senso la testimonianza di
Cesare Luporini riportata da N. Ajello, Intellettuali e Pci, cit., p. 71.
A Einaudi, che il 3 maggio ’45 si era offerto di diffondere «Società » a
Roma e nell’Italia centro-settentrionale, il 22 maggio Luporini rispon-
deva accettando, e affermava che la rivista aveva «carattere di alta cul-
tura, anche se non strettamente tecnico, organica e decisa nella
tendenza, ma del tutto aperta quanto ai problemi e agli argomenti presi
in consi- derazione » (AE, Luporini). Nelle «condizioni » poste da
Einaudi, si diceva al punto 3: «La Casa propone di stabilire un
collegamento reda- zionale tra “Società” e gli altri periodici della
Casa, attraverso Carlo Salinari, responsabile editoriale delle riviste
della Casa» (l'editore a Bianchi Bandinelli, 7 luglio 1945, in AE,
Bianchi Bandinelli). 363 Ora in P. Togliatti, La politica
culturale, cit., p. 80. Su « Il Poli- tecnico » come rivista del Fronte
della cultura cfr. M. Zancan, « Il Poli- tecnico » e il Pci tra
Resistenza e dopoguerra, in «Il Ponte», XXIX (1973), pp. 994-1010.
All’inizio Vittorini si era preoccupato di far appa- rire la rivista
legata al PCI: «Bisogna che la Casa Einaudi si faccia conoscere come casa
legata al P.C., che “Il Politecnico” sia riconosciuto come settimanale di
cultura legato al P.C.», scriveva a Einaudi il 6 luglio 1945 (E.
Vittorini, Gli cuni del «Politecnico », cit., p. 11); si comprende come
una collaboratrice di Einaudi, Bianca Garufi, cercando di diffondere le
riviste della casa editrice, e in particolare «Il Poli- tecnico », in
ambiente azionista, si fosse sentita rispondere che «è assurdo pensare ad
un interessamento anche minimo del Partito d’Azione per un giornale cosî
evidentemente comunista » (a Einaudi, 16 novem- bre 1945, in AE,
Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945). 335 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali concludeva duramente
Pavese dopo aver riferito il malcon- tento dei milanesi per la
pubblicazione di Ore decisive, le memorie dell’ex sottosegretario di
Stato di Roosevelt Sum- ner Welles che nel marzo 1940 aveva cercato un accordo
con Mussolini. Einaudi, pur prendendo le difese di Vitto- rini e Ferrata
— « È appunto perché essi hanno radici fonde a Milano che a noi
interessano » —, ribadiva la sua conce- zione non partitica del fronte
culturale: La Casa ormai si è acquistata la fiducia più assoluta
negli am- bienti che ci interessano, la nostra linea di attività è stata
ampia- mente discussa e trovata la migliore, ed è cosa voluta l’assenza
di ogni settarismo, per concorrere col nostro lavoro all’affermazione
di quel fronte progressivo aperto, di quella unità, che è
indispensabile raggiungere per ragioni politiche, morali e culturali.
Questo fronte, ditelo anche a Milano, ove forse c’è ancora un po’ di
settarismo, comporta l’iriclusione, sul piano internazionale, anche dei
Sumner Welles quando tutti non sono dei Wallace ##,
affermava evocando il nome di quello che si stava dimo- strando uno dei
più aperti esponenti democratici statu- nitensi. Ma a mettere
in crisi il « settarismo » dei milanesi con- tribu probabilmente un
intervento di Felice Balbo *, in questo momento forse il più lucido
consigliere di Einau- di, interlocutore autorevole sia di Pavese che di
Vittorini, e l’unico — a quanto risulta — capace di formulare una
visione e un programma complessivi della casa editrice, non senza,
tuttavia, elementi di utopia e di contradditto- rietà. Riferendosi in
particolare all’articolo di Remo Can- toni su Che cosa è il materialismo
storico, apparso sui nu- 364 AE, Corrispondenza editoriale
Torino-Roma 1945; Einaudi a Balbo, 26 maggio 1945 (ibidem). Il 18 maggio
Balbo aveva scritto a Finaudi: « attento a prendere delle decisioni per
il Nord senza esservi presente [...]. A Milano bisogna andare con piedi
veloci ma di piombo [...]. Vit- torini è tutt'altro che acquisito »
(ibidem). Su di lui cfr. il saggio, assai « interno » e discutibile, di
G. Invitto, Le idee di Felice Balbo. Una filosofia pragmatica dello
sviluppo, Bologna, il Mulino, 1979; sul movimento cattolico-comunista,
cui parteciparono alcuni collaboratori della casa editrice come Mario
Motta e Franco Rodano, cfr. C.F. Casula, Cattolici-comunisti e sinistra
cristiana (1938-1945), Bo- logna, il Mulino, 1976. 336
Le origini della casa editrice Einaudi meri 2 e 3 de « Il
Politecnico », il 20 ottobre 1945 Balbo scriveva a Einaudi che
il tutto rappresenta un tentativo un poco mistico, un tentativo di
sostituire un mito vecchio con un mito nuovo e quindi è in fondo.
antieducativo. Si dovrebbe, mi pare, tendere a formare in tutti i lettori
quella mentalità nuova che è scientifica, critica, sperimentale e aperta
mentre Politecnico presenta il materialismo storico troppo come una
pietra filosofale. Se si deve fare un giornale di cultura e non di
propaganda, come credo debba essere anche se prima d’ora lo era solo in
parte, è necessario, proprio sui piani di cultura in senso stretto (e in
questo caso del materialismo storico), affrontare le critiche, non
eluderle dogmaticamente attraverso impostazioni che ripetano le formule in
cui il materialismo storico è sorto. Un mate- rialismo storico cosî «
affettivo » soffoca ed elude lo stesso sforzo di apertura di
Cantoni. A conferma dell’autorevolezza del suo intervento,
que- ste critiche saranno fatte proprie dall’editoriale che conclu-
deva, il 6 aprile 1946, « Il Politecnico » settimanale: Noi non
abbiamo avuto, col settimanale, una funzione propria- mente creativa, o,
comunque, formativa. L'altra funzione, la divul- gativa, ci ha preso, a
poco a poco, e sempre di più, la mano. Ci siamo lasciati andare ad essa.
Abbiamo compilato, abbiamo tradotto, abbiamo esposto, abbiamo informato,
abbiamo anche polemizzato, ma abbiamo detto ben poco di nuovo. In quasi
tutte le posizioni che abbiamo prese, pur senza mai sbagliare indirizzo,
ci siamo limi- tati a gridare mentre avremmo dovuto dimostrare. E troppo
spesso abbiamo dato sotto forma di manifesto quello che avremmo
dovuto dare sotto forma di studio [...]. Ci siamo trovati cosî a
divulgare delle verità già conquistate mentre avremmo dovuto cooperare
alla ricerca della verità. Nella stessa lettera del 20
ottobre Balbo allargava il discorso all’attività complessiva della casa
editrice, indivi- duandone la carenza di fondo nella mancanza di una
precisa strategia di politica culturale: L’ottimismo non è
sufficiente alla lotta. Ci vuole positività e 36 AE,
Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945. Remo Cantoni propose un
Dizionario marxista per aggiornare il lettore « su quel sapere: che è
stato oggetto di ricerca e di analisi specifica da parte dei marxisti »
(AE, Cantoni). 337 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali quindi contatto continuo con i dati veri della
totale situazione ita- liana. Tra l’altro, Milano, ricordiamolo, è di
natura troppo euforica: a Milano, come osservava Gobetti, è possibile
ogni avventura, da quella di Marinetti a quella del Popolo d’Italia
[...]. Il punto di vista è, malgrado tutto, Roma [...]. In noi c'è ancora
troppa men- talità insurrezionalistica e cioè: a) precipitazione; b)
estremismo anzi piuttosto « avanzatismo »; c) visione asfittica o almeno
sempli- cistica di tutti i problemi sia culturali che politici; d)
mancato appro- fondimento del « a che punto siamo » sia politicamente
sia, per noi, soprattutto culturalmente [...]. Come conseguenza di una
matura- zione mancata o non avvenuta, si scivola, sembra impossibile ma
è cosf, su modi e impostazioni ancora fascisti o almeno vecchi. In-
somma Einaudi 1945 è in fondo, capiscimi, pit fascista di Einaudi 1940.
Proporzionalmente siamo calati di tono invece di crescere; e
concludeva individuando un arretramento di posizioni ri- spetto agli
avversari e l’incapacità di sfruttare appieno « le grandissime
possibilità che abbiamo, in uomini e in possi- bile chiarezza di idee
». Le critiche — e l’apparente paradosso — di Balbo ave- vano
la loro ragion d’essere non solo in rapporto al suo idea- le di cultura e
al suo modello di una casa editrice « critica- mente » progressista, ma
anche, come vedremo, rispetto alle concrete iniziative di Einaudi, che
riflettono, in molti casi, un'eredità difficile da superare. Ma in queste
ebbe probabil- mente un'influenza lo stesso Balbo, che cercava di
coniugare un’analisi ispirata al marxismo con soluzioni di stampo cat-
tolico. Il suo concetto dinamico di cultura, che ne vedeva il mutamento
col mutare dei rapporti di produzione, e coglieva gramscianamente la
lentezza del processo di adeguamento degli intellettuali ai nuovi stadi
via via raggiunti dalla socie- tà, invitava — senza i toni ingenui di un
Vittorini — a quel- l’avvicinamento fra cultura e realtà che tuttavia —
contrad- dittoriamente — il cattolico Balbo riteneva raggiunto in
mo- do esemplare nel medioevo, perché « nella sua produzione, sia
agricola che artigiana, architettonica o scientifica, nelle ideologie
politiche come in quelle religiose, si rivela una sin- golare unità,
superiore ai contrasti, che è quella del concetto feudale della proprietà
o del nascente diritto comunale ». Al contrario, la cultura
contemporanea, gelosa della pro- pria indipendenza e « irresponsabilità »
di fronte alla classe 338 Le origini della casa
editrice Einaudi dominante e ai processi produttivi dell’epoca
industriale, aveva dato luogo, tra le due guerre, a
quell’irrazionalismo « che rese possibili tutte le mitologie disumane che
hanno vagato e forse vagano ancora, paurose, sui continenti »,
mettendosi di fatto al servizio dei « privilegiati », per cui « la
cultura del capitalismo è scritta sulle facciate delle metropoli moderne,
è la grande officina, la produzione cro- nometrata, l’esercito
motorizzato, la grande stampa, il cine- ma ». Con un rigore e una
violenza intellettuali ben mag- giori dell’editoriale con cui Vittorini
apri « Il Politecni- co » — e per il quale questo scritto avrebbe forse
dovuto servire da traccia —, l’esponente cattolico-comunista con-
tinuava: Rimproveriamo dunque all’idealismo di Croce,
all’umanesimo di Thomas Mann e allo spirito « non prevenuto » di Gide, o
meglio agli idealismi, umanesimi, cristianesimi, spiritualismi,
esistenzialismi ecc. che da quelli provengono (e per quella parte almeno
d’essi e dei loro discepoli che vorrebbe farci credere d’aver trionfato
con la Carta Atlantica e la bomba atomica) d’essere insufficientemente
critica con se stessa e perciò sterile, imbalsamata, defunta — regressiva
[....]. Lottare per una nuova cultura intellettuale [...] equivale a
lottare per una nuova società e ad affermare — concludeva in
conformità con la propria concezione filosofico-religiosa — « il concetto
di persona umana o di uomo obbiettivo e origine d’ogni cultura,
inteso come l'individuo nella coscienza della propria correlazione
col prossimo e delle proprie determinazioni storiche » *?. Nel quadro di
questo discorso, nel quale appare decisa- mente superato ogni residuo
crociano della sua formazione originaria **, Balbo presentava un «
abbozzo di teoria gene- rale di una casa editrice culturale in senso
stretto », in cui il notevole sforzo di chiarificazione teorica era
finalizzato a 367 F. Balbo, Una nuova cultura, dattiloscritto
senza data ma con l'indicazione «per servire alla elaborazione
dell’editoriale. Si chiede da 3 lo stile con baffi e favoriti, da
falso-Cattaneo » (Archivio privato 0). 38 Diversamente
da quanto sostiene G. Invitto, Le idee di Felice Balbo, cit., in
particolare p. 29. 339 Il fascismo e il consenso
degli intellettuali trovare i mezzi necessari alla promozione
degli « essenziali valori dell’uomo » *. 11. La ricerca di
un nuovo orientamento e l’eredità del passato Le critiche e
le proposte di Balbo — che ritornerà su questi temi insistentemente, fino
al suo distacco dal marxismo e dalla casa editrice — miravano ad un fronte
« critico » della cultura che lasciava tuttavia ampi spazi per ritorni
mistici o più propriamente tomistici, come avvertirà più tardi Bobbio.
Ma, nonostante alcuni testi pubblicati portino il segno — esplicito o
implicito — della sua pre- senza, fra il suo modello di casa editrice di
cultura e gli indirizzi editoriali effettivamente attuati esiste un
notevole scarto, non attribuibile soltanto ad una « sordità » dei
suoi interlocutori o ad un loro consapevole rifiuto delle sue
proposte, ma, soprattutto, alla situazione oggettiva. Il suo progetto
editoriale si affidava infatti ai tempi lunghi e non teneva
sufficientemente conto — come riconoscerà alcuni anni dopo lo stesso
Balbo — dei contrasti ideologici e poli- tici all’interno della casa
editrice, del peso della tradizione che questa si era formata nel
decennio precedente — di cui Balbo contribui a tenere in vita alcuni
aspetti —, e dei reali rapporti di forza esistenti nella vita politica
italiana, o del loro rapido mutamento, che portò nel giro di due
anni 369 I compiti della casa editrice erano individuati nel «
puntare alla egemonia editoriale nel suo genere », e nello scegliere
«quelle opere che in se stesse ed in riferimento alla situazione storica
che si svolge, siano realmente necessarie o utili a far maturare e
sviluppare il potenziale culturale dell’intero pubblico colto »; la «
capacità di scelta » della casa editrice si doveva misurare sul piano
filosofico e su quello scientifico: « La capacità filosofica significa
essere in grado di giudicare i valori cul- turali in sé, secondo la
nozione di valore e disvalore, e quindi il saper riconoscere tutti gli
essenziali valori dell’uomo, ossia l’essenziale di ciò che è
indispensabile alla sua pienezza. La capacità scientifica significa
essere in grado di giudicare i valori culturali per riferimento al
movimento storico în cui ci si trova, significa quindi comprendere le
necessità della rivoluzione » (Appunti sulla casa editrice,
dattiloscritto senza data in Archivio privato Balbo).
340 Le origini della casa editrice Einaudi alla
rottura dell’unità antifascista e alla guerra fredda, con pesanti
riflessi — non certo favorevoli a visioni critiche o problematiche —
anche negli schieramenti culturali. Oltre al difficile equilibrio
politico fra le varie sedi e fra i diret- tori delle collane *°,
all’organico orientamento della casa editrice richiesto da Balbo si
opponeva la sua stessa multi- forme attività rilevata da Pavese e da
Giolitti, per i quali essa manteneva la caratteristica originaria di «
eclettica officina di cultura » — « non c'è altro editore in Italia
che copra un campo cosi vasto » ”! —, moltiplicando contrasti e
contraddizioni: ad esempio, mentre la redazione romana « si oppone
energicamente » e con successo alla pubblica- zione dei Cinquant'anni di
vita intellettuale italiana in onore di Croce proposta da Carlo Antoni,
l'edizione delle Lezioni di filosofia di Guido Calogero vede la netta
opposi- zione di Pavese, Balbo e Giolitti, ma l'approvazione — vin-
cente — di Bobbio”. Nei volumi pubblicati nell’imme- diato dopoguerra
possiamo del resto constatare, accanto ad una notevole opera di
sprovincializzazione della cultura ita- 30 Il 6 agosto 1945
Einaudi inviava a Pavese un « Pro-memoria della Direzione » inteso a
riorganizzare il lavoro editoriale: Pavese e Vittorini consulenti,
Natalia Ginzburg vice-consulente per « Poeti», « Narratori contemporanei
», « Giganti », « Narratori stranieri tradotti »; Pavese e Vittorini
consulenti, Balbo vice-consulente per la progettata collana « Cor- rente
»; Mila consulente, Pavese e Balbo vice-consulenti per i « Saggi »;
Chabod consulente esterno, Manacorda e Giolitti vice-consulenti per « Bi-
blioteca di cultura storica » e « Scrittori di storia »; Bobbio
consulente esterno, Balbo vice-consulente per « Biblioteca di cultura
filosofica »; Ceria- ni consulente esterno, Giolitti vice-consulente per
« Biblioteca di cultura e- conomica » e « Problemi contemporanei »;
Cantimori consulente esterno, Manacorda vice-consulente per « Biblioteca
marxista »; Balbo e Rodano consulenti, Giolitti vice-consulente per «
Problemi italiani »; Giolitti e Vit- torini consulenti, Salinari
vice-consulente per «Testimonianze »; Vit- torini consulente, Pavese e
Balbo vice-consulenti per la « Vittoriniana » che avrebbe dovuto
sostituire l’« Universale »; Aloisi consulente esterno, Mana- corda
relatore al consiglio per « Biblioteca di cultura scientifica »; Rag-
ghianti direttore della « Biblioteca d’arte »; Debenedetti direttore
della « Nuova raccolta di classici italiani annotati » (AE, Pavese: dove
ci sono altre proposte di Einaudi e la risposta di Pavese del 7
settembre, con alcune osservazioni critiche). 371 Pavese e
Giolitti alla Direzione di sede di Roma, 25 ottobre 1945 (AE, Corrispondenza
editoriale Milano-Roma 1945). 37 « Pro-memoria per la Direzione
Generale » della redazione romana, sulla proposta di Antoni del 22
ottobre 1945, e sulla proposta di Calo- gero del 20 ottobre 1945
(ibidem). 341 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali liana, motivi di disorientamento, schematiche
attualizza- zioni politiche di problemi storiografici, assieme ad
ecces- sive cautele e perfino a tendenze conservatrici — se misu-
rate sul metro dei propositi enunciati da Einaudi nel 1945 — che i
giudizi delle stesse riviste einaudiane, cosi come di « Rinascita », non
mancano di mettere in evidenza. Senza ripetere, come in precedenza,
quell’analisi a tap- peto dei volumi, e delle relative recensioni, che
era indi- spensabile per la produzione del periodo fascista, quando
era importante sottolineare anche singole affermazioni sfug- gite alle
maglie della censura, ci soffermeremo soltanto sui testi di alcune
collane — i « Saggi », la « Biblioteca di cul- tura economica », la nuova
serie dei « Problemi contem- poranei », i « Problemi italiani » e la «
Biblioteca di cultura filosofica » — che permettono di individuare
l’orientamento generale, culturale e politico, della casa editrice
all’indo- mani del 1945. Ciò non ci esime, tuttavia, dall’accennare
al significato di alcuni titoli delle collane letterarie o stori- che:
nei « Narratori stranieri tradotti » apparvero, accanto ai classici,
Kafka e Proust, mentre i « Narratori contempo- ranei » si aprirono alla
produzione straniera con I/ muro di Sartre — non senza contrasti ” — e
con Fiesta e Avere e non avere di Hemingway, il cui carattere «
rivoluzionario », rivendicato da Vittorini, era sprezzantemente negato e
ri- dotto ad una somma di sensazioni « elementari » ed « egoi-
stiche » da Alicata, che giudicò « superficiale » anche i Dieci giorni
che sconvolsero il mondo di Reed con cui si 393 «Il libro è
indubbiamente molto bello e anche l’ultimo racconto, però può capitare
che un pubblico non molto preparato caschi facilmente in equivoco. Forse
libro e autore andrebbero presentati. Resta da vedere cosa ha fatto
Sartre durante l'occupazione nazista — pare che due o tre suoi libri
siano stati pubblicati dalla N.R.F. in questo periodo », si scriveva da
Roma all’editore il 4 giugno 1945 (AE, Corrispondenza edito- riale
Torino-Roma 1945). Il libro era già stato suggerito da Pintor in una
lettera a Pavese del 21 aprile 1943 (in C. Pavese, Lettere 1924-1944,
cit. p. 694). Il muro fu denunciato per oltraggio al pudore; il 4 aprile
1947 Pavese ne dava notizia a Corrado Alvaro il quale, in veste di presi-
dente del sindacato nazionale scrittori, con lettera a Pavese del 25
aprile si metteva a disposizione della casa editrice: «se non ci difen- diamo,
si preparano per noi giorni assai peggiori di quelli sotto il paterno
Ministero della cultura popolare » (AE, Alvaro). 342
Le origini della casa editrice Einaudi inaugurò nel 1946 la
vittoriniana « Politecnico bibliote- ca » 3. La «
Biblioteca di cultura storica », posta sotto la dire- zione di Federico
Chabod — e con l’attenta consulenza di Franco Venturi, sensibile in
particolare alla produzione storiografica francese e russa ** —, riprese
le pubblicazioni con i Saggi sul Risorgimento di Nello Rosselli — con la
pre- fazione di Salvemini — per continuare, a testimonianza di un
interesse più generale della casa editrice per la « demo- crazia »
americana, con America. La storia di un popolo libero di Allan Nevins e
Henry S. Commager, e aprirsi quindi alle opere di Mathiez e Lefebvre
sulla Rivoluzione francese o, più tardi, alla scuola delle « Annales »
con Bloch e Braudel, nonostante l’opposizione di Cantimori 7%, Non
possono tuttavia essere sottaciute alcune iniziali cadute di tono della
collana, rappresentate dalla ripresa dell’oria- 374 La corrente «
Politecnico » (1946), ora in M. Alicata, Intellettuali e azione politica,
cit., p. 63. Sempre con Hemingway si apri nel 1947 la collana «I Millenni
», dove nel 1948 apparirà Le mille e una notte a cura di Francesco
Gabrieli, di cui si suggeriva, per la pubblicità, di mettere in luce il
«carattere sociale »: «il libro è sempre stato frain- teso come mondo
delle fate e delle meraviglie, mentre, adesso che lo facciamo noi, è ora
di vederlo nel suo vero carattere di straordinario documento su una
medioevale società agreste, con naturale democrazia tra gli umili
(fornai, mendicanti, pellegrini, mercanti, schiavi, donne conculcate
ecc.) » (da Roma a Renata Aldrovandi, 14 novembre 1945, in AE, Corrispondenza
editoriale Milano-Roma 1945). 375 Numerose sono le proposte in AE,
Chabod, Venturi. Il 29 novem- bre 1945 Chabod scriveva a Einaudi di
assumersi la direzione della « Biblioteca di cultura storica» e degli
«Scrittori di storia », annun- ciando, per le traduzioni, « un piano di
lavoro che contemperi opportu- namente biografie e studi monografici,
lavori di grossa mole e studi assai più smilzi », in modo da « toccare un
po’ tutti i principali problemi della storia europea e nord-americana »
(AE, Corrispondenza editoriale Torino- Roma 1945). 376 Parte
del giudizio di Cantimori su La Méditerranée di Braudel è riportato da G.
Miccoli, Delio Cantimori. La ricerca di una nuova critica storiografica,
Torino, Einaudi, 1970, p. 257, che nel cap. XVIII ricostruisce
puntualmente la collaborazione dello storico con la casa editrice; nello
stesso giudizio, del 1949, Cantimori investiva tutta la scuola delle «
Annales »: « non ritengo utile, anzi dannoso, diffondere, per mezzo della
traduzione di un’opera cosi ben scritta — brillante, affascinante anche
per la sua facilità ed evasività e superficialità di rifles- sione e di
concetti — il metodo, o il sistema, o il regime o l’arte o la retorica,
chiamateli come credete, del gruppo di L. Febvre, Morazé, Braudel » (AE,
Cantimori). 343 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali nesimo nell’Axzistoria d’Italia di Fabio Cusin ?” e
da Robe- spierre e il quarto stato di Ralph Korngold dove, come in
altre opere dedicate al giacobinismo, l’intento di rivalutare un
movimento politico dimenticato o disprezzato dall’idea- lismo e dal
fascismo si accompagna a schematiche e ambigue attualizzazioni — «Si può
dire che tanto la dittatura fascista quanto quella comunista si siano
servite di un me- todo giacobino perfezionato », affermava Korngold
?*, La concezione della storia come elemento costitutivo
dell’educazione civile continuerà tuttavia a caratterizzare la collana:
assai significativa in questo senso — e degna di essere citata per esteso
— è l'offerta a Cantimori di scrivere una storia d’Italia dal punto di
vista marxista. E altrettanto significativo è che portatore — e
ispiratore, assieme ad Einaudi — della proposta fosse proprio quel Balbo
che abbiamo visto tanto cauto rispetto a pericolose fughe in
avanti: L'Italia manca fino ad oggi di un’opera storica marxista
nel senso più profondo ed esatto che dia la reale fisionomia della sua
storia dall’indipendenza ai giorni nostri — scriveva Balbo a Cantimori
il 27 giugno 1947 —. Questa mancanza si fa duramente sentire oggi
non solo nel campo degli studiosi ma soprattutto nella scuola e addi-
rittura nella vita politica. Non è esagerato affermare infatti che questa
mancanza è in qualche modo determinante dello stesso svi- luppo
democratico del nostro paese. L'azione concretamente ideo- logica da
parte delle forze progressive sta diventando sempre più necessaria: il
proletariato non ha di fronte a sé soltanto, ad esem- pio, il problema
meridionale, ma anche il problema cattolico e il problema crociano che
sono poi aspetti dello stesso problema meri- dionale [...]. La proposta è
questa: non sarebbe possibile rispon- dere ai bisogni rivoluzionari in
questo campo? non sarebbe possi. bile cominciare con una Storia dell’Italia
moderna o anche solo contemporanea? Potrebbe essere un nutrito Somzzario
che desse l’avvio a tutti gli studi particolari e per intanto
rappresentasse il 377 Cfr. la recensione di R. Zangheri in «
Società », IV (1948), pp. 280-285. Perplessità sulla pubblicazione del
volume avanzarono sia Chabod (lettera a Giolitti del 20 dicembre 1945, in
AE, Corrispondenza edito- riale Torino-Roma 1945), sia Salinari (a
Giolitti, s.d., in AE, Cusin). 318 R. Korngold, Robespierre e il
quarto stato, traduzione di F. Papa, Torino, Einaudi, 1947 (ediz.
originale 1941), p. 87. Una volta stampato il libro, ci si rese conto
dell’« incongruenza storica e critica » di questa e di altre affermazioni
(Balbo a Giolitti, 22 aprile 1947, in AE, Giolitti). 344
Le origini della casa editrice Einaudi canovaccio, la
direttiva generale per un rinnovamento dei manuali scolastici. Potrebbe
essere invece una grande Storia, a largo respiro, da concretarsi
attraverso un lavoro collettivo [...]. Se pensi cosa ha rappresentato il
Sommario di storia della filosofia del De Ruggiero nel senso della
egemonizzazione borghese della cultura italiana, puoi pensare cosa
rappresenterebbe un Sommario storico fatto da te! Ma anche qui non credo
che proprio io debba sottolineare a te l’im- portanza di questo lavoro.
Voglio solo confermarti che c’è in tutti i compagni, anzi in tutta la
cultura italiana, una profonda aspettativa in tal senso?”?,
Nell'ambito della casa editrice il marxista Cantimori avrebbe dovuto
sostituire il liberale Salvatorelli, ma lo scru- polo scientifico del
primo impedî quello che ancora nel 1956 — ricordando un’analoga proposta
di Alicata, consi- derata un preannuncio di « Zdanovismo » —
Cantimori titerrà un rovesciamento solo ideologico dell’interpretazione
crociana, in assenza di studi preparatori **. A un intento
educativo immediato risponde invece prima delle altre, anche per la sua
maggiore flessibilità, la collana-cardine di Einaudi, i « Saggi », che —
assieme alla nuova collana « Testimonianze » — affronta temi di
attua- lità politica, da Marcia su Roma e dintorni di Emilio Lussu
a Leningrado di Alexander Werth a Fascismo e anticomu- nismo di Lucio
Lombardo Radice, che inizia la riflessione su una tematica ripresa dal
Lurgo viaggio di Ruggero Zan- grandi *', e presenta uno dei best sellers
del tempo, Cristo 379 AE, Cantimori (Balbo parlava anche a nome di
Einaudi); sempre il 27 giugno 1947 Einaudi scriveva a Giolitti di « una
Storia d'Italia degli ultimi cento anni che noi vorremmo far fare a
Cantimori inchiodandolo per uno, due, tre, dieci anni a tavolino per
costruire il monumento più importante che in questo momento gli studiosi
devono impostare: quello IR ST della storia d’Italia, soprattutto di
quella ultima » (AE, jolitti). 380 Pro e contra, in «
Movimento operaio », VII (1956), p. 330. 381 In questo quadro Balbo
propose — trovando favorevoli Giolitti, Salinari, Manacorda e Pavese —
un’opera collettanea su La guerra di liberazione in Italia, con
documenti, testimonianze, biografie ecc., che sarebbe servita « alla
nazione italiana per una migliore conoscenza del pi grande moto popolare
che la sua storia ha fino ad oggi avuto; e per una esatta valutazione di
quelle che sono state le vere forze della liberazione popolare e che sono
le vere forze del suo avvenire (si vedranno finalmente quelli che hanno
lottato e quelli che sono compatsi solo a oa alla consulta) » (AE,
Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945). 345
Il fascismo e il consenso degli intellettuali si è fermato
a Eboli di Carlo Levi, denuncia efficace — no- nostante le riserve di «
Società » °° — di quella realtà che contemporaneamente, nei « Problemi
italiani », era argo- mento della Rivoluzione meridionale di Guido Dorso,
già apparsa nel 1925 nelle edizioni Gobetti. E mentre un volu- me
molto caro a Cajumi, La crisi della coscienza europea di Hazard, rientra
nell’interesse per l’illuminismo manife- stato dalla casa editrice fin
dai suoi esordi, il nuovo clima di libertà permette la realizzazione di
progetti già in can- tiere negli anni del fascismo, come la Congiura per
l’egua- glianza o di Babeuf di Filippo Buonarroti, il primo,
secondo Gastone Manacorda, a fornire una « interpretazione clas-
sista della grande Rivoluzione », nonostante la persistenza di quegli
elementi utopistici ** che non erano invece tenuti presenti da Giuseppe
Berti nella presentazione del Filippo Buonarroti di Samuel Bernstein:
tesi entrambi, autore e prefatore, ad attualizzare oltre il lecito il
significato del giacobinismo — « Buonarroti fu, con Babeuf, uno dei
grandi precursori di Marx e di Engels » **. Ma un motivo che ci
preme segnalare — a testimonianza di un’altra e più profonda continuità
col decennio prece- 382 Gianfranco Piazzesi, pur affermando che
era «uno dei pochi libri dove abbiamo potuto apprendere qualcosa sulla
“questione meri- dionale” », notava che Levi « resta sempre spettatore,
intelligente quanto volete, ma di un’altra classe, rispetto a questi
contadini, e non sa mai trovare il modo di farli parlare sinceramente,
come si parla da pati a pari, perché manifestino le loro riposte
esigenze» (« Società, II (1946), p. 260). 38 F. Buonarroti,
Congiura per l'eguaglianza o di Babeuf, introdu- zione e traduzione di G.
Manacorda, Torino, Einaudi, 1946, pp. XVII, XX. La proposta di pubblicare
Buonarroti e Babeuf era stata rilanciata anche da Vittorini nella
prospettiva di un rinnovamento dell’« Univer- sale » dove — scriveva a
Einaudi il 3 luglio 1945 — « potremmo inclu- dere anche autori antichi ma
che segnino un punto nella evoluzione del pensiero progressista » (E.
Vittorini, Gli anni del «Politecnico », cit., . 8). È
34 S. Bernstein, Filippo Buonarroti, traduzione e prefazione di G. Berti,
Torino, Einaudi, 1946, pp. 61-62; il saggio era apparso nel 1942 ne « Lo
Stato operaio ». Cfr. le critiche di Sergio Romagnoli in « Annali della
Scuola Normale Superiore di Pisa», lettere, storia e filosofia, s. II,
vol. XVI, 1947, fasc. I-II, p. 103. Ancora nel 1948 Bernstein pub- blicò
su «Società » un articolo su Buonarroti storico e teorico comu- nista,
affermando che il giacobino italiano «si avvicina di molto al socia-
lismo scientifico » («Società », IV (1948), p. 383). 346
Le origini della casa editrice Einaudi dente — è la
permanenza dell’interesse per la tematica religiosa, sostenuto ora da
nuovi collaboratori cattolici della casa editrice che affiancano Balbo,
come Franco Rodano e Mario Motta. Questo interesse ha varie
manifestazioni: supera ogni misticismo nella riflessione di Balbo —
L’uomo senza miti e Il laboratorio dell’uomo —, teso a indicare, in
un altro momento di profonda crisi di valori, il fallimento della
filosofia tradizionale e la necessità di nuove « formule di liberazione »
dell’uomo, che non lo isolino dal contesto storico-sociale *°; ha
un’intonazione nettamente spiritualista in Che cos'è il personalismo? di
Emmanuel Mounier; si pre- senta a sostegno di un vasto e generico
affresco « alla Hui- zinga », in cui la realtà storica è piegata alla
dimostrazione di una tesi — secondo la quale, nella deprecata età del
pro- gresso tecnico, « il cammino della secolarizzazione della cul-
tura non può essere percorso sino all’estremo » — nel Profilo d’un
umanesimo cristiano di H. W. Riissel, che in- vitava a ricucire la
frattura fra umanesimo e cristianesimo operata dalla Riforma, facendo
propria quella che gli pareva « la grande verità della teologia
umanistica », la non anti- teticità della filosofia greca e del cristianesimo:
tesi non con- divisa nella prefazione postuma di un intellettuale
dalla tormentata vicenda culturale e politica come Giuseppe Rensi —
che pur aveva proposto e curato il volume nel 1940 —, mentre Bobbio
riconosceva «la necessità e la perennità di un umanesimo cristiano » per
combattere la « filosofia della crisi » originata da Kirkegaard ®*.
385 Pur riconoscendo ne L’uomzo senza miti il tentativo di
liberarsi dalla spiritualità dello storicismo immanentistico di Croce,
Ludovico Geymonat riteneva dogmatico il metodo di ricerca di Balbo («
Rivista di filosofia », terza serie, I (1946), pp. 86-88); cfr. anche le
critiche di Croce, ora in Nuove pagine sparse, serie seconda, Napoli,
Ricciardi, 1959, pp. 157-160. 38 H. W. Riissel, Profilo d’un
umanesimo cristiano, traduzione di G. Rensi, Torino, Einaudi, 1945 (ediz.
originale 1940), pp. IX, 2. Nel 1940 la pubblicazione del volume era
stata impedita dalla censura; Rensi pro- pose anche la traduzione di
Platonismus und Christentum di C. Ritter (AE, Rensi). La recensione di
Bobbio è in « Rivista di filosofia », n.s., IV (1945), pp. 101-103. Nel
1949 Cantimoti, in un parere editoriale su Erasmo e il Rinascimento di
Siro A. Nulli — che sarà pubblicato da Einaudi nel 1955 —, dichiarerà di
condividerne le idee, « tanto per quel che riguarda le interpretazioni
del pensiero e della attività di Erasmo, 347 Il
fascismo e il consenso degli intellettuali Alla tematica religiosa
si volge anche l’interesse dei « laici »: è del 1949 la proposta di Remo
Cantoni — accet- tata da Balbo ma poi non realizzata — del volume
Critiche allo spiritualismo *"; del 1950 Nuova socialità e
riforma religiosa di Capitini — il cui liberalsocialismo era
presen- tato come una concezione sociale e religiosa « postcomu-
nista » —, proposto da Cantimori come « opera importante per la storia
religiosa-politica e culturale del periodo 1926- 1944 e oltre: come
cronaca, documentazione, e storia del- l’unico movimento antifascista e
anticlericale autoctono e- spontaneo nel terreno italiano dopo il
fascismo, consape- volmente diverso dal comunismo, ma mai
anticomuni- sta » **. Antonio Banfi, formatosi alla scuola di
Martinetti, presentò inoltre il progetto di una « Collana di studi
reli- giosi », che si sarebbe proposta di far conoscere in
Italia a un pubblico più vasto dei consueti centri di cultura religiosa,
sia cattolici che di altre confessioni, quelle opere, per lo pi recenti,
che testimonino di una problematica viva e nuova nel campo del pensiero
religioso; opere che si propongono tutte un mutamento sensibile nella
considerazione del rapporto fra singolo e collettività appunto in
relazione con una differente valutazione dei principi della confessione
di fede; opere che propongono infine, quanto per quel che riguarda
la severa critica allo Huizinga, al Toffanin, al Riissel, e compagnia. Si
tratta di un energico richiamo alla realtà storica di quel che furono, in
quanto affermazione di idee nuove e critica di una Fiserggi storica
culturale, l’'Umanesimo e il Rinascimento » (AE, Can- timori).
387 Cantoni a Balbo, 13 aprile e 24 giugno 1949: «La critica allo
spiritualismo teologico e metafisico è il grande tema culturale degli
ultimi cento anni. Vorrei presentare criticamente tutte le variazioni
storiche sul tema, da Feuerbach a Marx, da Kirkegaard a Stirner,
arrivando fino alla filosofia contemporanea. E si tratta di ricostruire
le ragioni sociali per le quali muta la sensibilità metafisica » (AE,
Cantoni). 388 A. Capitini, Nuova socialità e riforma religiosa,
Torino, Einaudi, 1950, pp. 26-27; Cantimori a Einaudi, 12 gennaio 1949
(AE, Cantimori). Nel 1946 Capitini aveva proposto «un volume quasi pronto
» su Anti- fascismo della non violenza e della non menzogna a Pisa nel
’32 ed uno, già terminato, dal titolo Saggio sul soggetto della storia —
anche questo non accettato, ma preso in visione per consiglio di
Cantimori —, in cui conduceva «un'indagine oltre lo storicismo crociano
per accertare l’autentico soggetto, collettivo e corale, della storia, per
fondare quella che io chiamo la compresenza di tutti alla produzione del
valore; pro- blema nel quale rientra quello sociale e quello religioso »
(Capitini a Giolitti, 13. gennaio 1946, e a Einaudi, 14 luglio 1946, in
AE, Capitini). 348 Le origini della casa editrice
Einaudi tutte, una precisa presa di posizione per il credente, in
ordine alla vita politica: opere ispirate allo storicismo —
e si facevano i nomi di Newman, Blondel, Barth, Jiger, Troeltsch, Weber —
e che, si specificava, prevedono una rottura con le forme
tradizionali di direzione politica definite dalla autorità della Chiesa
come le sole possibili e conse- guenti ed anzi prevedono un mutamento
radicale di prospettiva in tal senso consentendo al credente la più ampia
libertà di ricerca della propria prospettiva politica e la possibilità di
affiancare la pro- pria azione a quella di forze politiche progressive di
ideologia dif- ferente 599, La presenza di queste
riflessioni e di queste proposte relative a tematiche religiose, se da un
lato si collegano a un filone già presente nella casa editrice,
dall’altro testimo- niano l’attenzione che in questo periodo i comunisti
dedi- cano al problema cattolico. Non bisogna tuttavia dimenti-
care che, contemporaneamente, una visione tradizionale del cristianesimo
è il punto di riferimento obbligato di quegli intellettuali che — sulla
falsariga di Huizinga — lamen- tano le degenerazioni della politica e del
progresso contem- poranei per riproporre un assetto conservatore della
società. È il caso de Le democrazie alla prova di Julien Benda — un
libro la cui edizione francese era positivamente recensita su « Società
», con qualche appunto sul tono aristocratico e moralistico
dell’esponente della « letteratura della cri- si » °® —: se nel momento
in cui fu scritto (1941) si giusti- ficava nel suo assunto principale,
sostenendo che le demo- crazie, più deboli in guerra dei totalitarismi,
debbono difen- dersi anche a costo di limitare le libertà — « un
popolo veramente libero è tanto più grande quanto più sa ridurre le
sue libertà » —, si faceva poi forte delle argomentazioni di Constant,
Kant e Spencer contro quelle di Bonald, De Maistre, Hegel, Nietzsche e
Marx — tutti accomunati come %° A Banfi, che accettò, Balbo chiese
nel 1947 di fare la prefazione agli Scritti teologici giovanili di Hegel
previsti per la collana filosofica (AE, Banfi). 39 Recensione
di Vezio Crisafulli, in « Società », I (1945), pp. 267-269. 349
Il fascismo e il consenso degli intellettuali
antidemocratici — per affermare che « i principi democra- tici sono dei
comandamenti della coscienza, e non già degli insegnamenti
dell’esperienza e del costume »; di origine socratico-cristiana, la
democrazia era realizzata solo in Sviz- zera e negli Stati Uniti, e non
sopportava « abusi » del prin- cipio egualitario come il suffragio
universale, osservava Benda, per concludere che « lo sviluppo di
qualsiasi orga- nizzazione terrena importa sempre qualche violenza
contro i comandamenti divini di giustizia e di libertà »: « il
filo- sofo non può riporre le sue speranze se non in quei sistemi,
come il cristianesimo, omogeneo in questo alla democrazia, i quali
dell’uomo non glorificano altro che la sua natura divina » ?!,
A fini decisamente reazionari il cristianesimo era utiliz- zato ne
La crisi sociale del nostro tempo di Wilhelm Ropke, l'economista teorico
della « terza via », « in tante cose affine al Croce e dal Croce assai
pregiato » per il rifiuto del concetto e del termine « capitalismo »,
come osservava Cantimori *. Nel volume, uscito originariamente nel
1941 e già in traduzione presso Einaudi prima del 25 luglio ’”,
l’autore criticava « le incomparabili conquiste meccanico- quantitative
della civiltà tecnica » per lamentare, in una società caratterizzata
dalla grande industria e dalla concen- trazione delle proprietà, la
decadenza del cristianesimo — « una delle più formidabili forze
costruttrici della nostra civiltà, da essa inseparabile » — e della
famiglia, oppure « la diserzione delle comunità rurali e la decadenza del
vil. laggio a favore della città e dell’urbanizzazione e commer-
cializzazione della campagna stessa ». Una critica che ricorda il leit
motiv di Luigi Einaudi — difesa della piccola pro- 39 J. Benda, Le
democrazie alla prova. Saggio sui principi demo- cratici, traduzione di
G. Crescenzi, Torino, Einaudi, 1945, in particolare pp. 6, 25, 40, 51,
58, 87, 96-97, 157. 392 D. Cantimori, Studi sulle origini e lo
spirito del capitalismo, pub- blicato su « Società » nel 1946, ora in
Studi di storia, Torino, Einaudi, 1959, p. 130. 393 In una
lettera del 2 luglio 1943 alla sede romana, l’editore scri- veva di
iniziare la traduzione del volume di Répke, affidandola a Ernesto Rossi
(AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma 1941-1944); scrivendo a Pavese
il 9 agosto 1943, Pintor giudicava il volume «di grande attua- lità »
(AE, Pintor). 350 Le origini della casa editrice
Einaudî prietà contadina e condanna del « gigantismo » economi-
co —, e da cui Ropke partiva per indicare una « terza via » o « umanesimo
economico » — il modello era individuato nella Svizzera —, che si
risolveva in pratica nella ripro- posta del liberismo classico in
opposizione al socialismo °*: era quanto notava Cantimori, ricordando che
le lodi rivolte all'autore nel 1942-43 da Luigi Einaudi e da Croce «
furono uno degli ultimi episodi più notevoli, data la personalità
degli autori, della lotta intellettuale condotta sotto il do- minio del
fascismo dal gruppo “crociano” e diretta da una parte contro il fascismo
e dall’altra contro il comuni- smo » °?. Un liberalismo, quello del
futuro collaboratore de « Il Mondo », che sarà messo in dubbio da
Togliatti, per il quale era solo una mascheratura dello « sconcio
ghigno hitleriano » **. Del resto, se consideriamo i volumi
pubblicati fino al 1946 nella nuova serie dei « Problemi contemporanei »
— nella quale non aveva più diretta influenza Luigi Einaudi — e
nella « Biblioteca di cultura economica » — che secondo Balbo e Giolitti
avrebbe dovuto avere un carattere « non istituzionale e teorico, ma
storico-informativo » #” —, pos- 34 W. Ropke, La crisi sociale del
nostro tempo, traduzione di E. Bassan, Roma, Einaudi, 1946, pp. 7, 12-13,
22-23, 32, 34-35. 395 Nella recensione a Civitas Humana di Répke,
pubblicata su « So- cietà » nel 1946, ora in Studi di storia, cit., p.
715. Luigi Einaudi aveva visto rispecchiate le proprie idee di politica
economica nel volume di Ropke, mosso dall’intento di « salvare la civiltà
occidentale dall’avvento di una democrazia livellatrice e collettivistica
» (Economia di concorrenza e capitalismo storico. La terza via fra i
secoli XVIII e XIX, in « Rivista. di storia economica », VII (1942), n.
2, pp. 49-72). 3% Il giudizio di Togliatti, del 1952, è citato da
N. Ajello, Intellettuali e Pci, cit., p. 259; già nel 1947, in una
recensione di Bilancio europeo del collettivismo pubblicato nei Quaderni
di «Rinascita liberale », si osservava su «Rinascita »: «se i liberali
tedeschi non sono mai stati altro che questo, si capisce benissimo come
la Germania sia sempre stato un paese reazionario e con tanta facilità
abbia potuto Hitler pren- dervi e tenere il potere » (« Rinascita », IV
(1947), p. 271). Dell’« assidua collaborazione » di Ròpke a « Il Mondo »,
che nei suoi primi anni si ispi- rava al liberismo di Luigi Einaudi,
parla P. Bonetti, « I{ Mondo » 1949-66. Ragione È illusione borghese,
prefazione di V. Gorresio, Bari, Laterza, 1975, p. 16. 39
Balbo (anche a nome di Giolitti) alla sede di Milano, 10 ottobre 1945
(AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945). È da rilevare,
tuttavia, che il 5 febbraio 1946 la casa editrice assicurava Luigi
Einaudi 351 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali siamo notare che Ropke è soltanto la punta estrema
di un ‘orientamento che non si oppone drasticamente alla linea
liberista: la casa editrice non fa altro che rispecchiare l’arre-
tratezza della sinistra nel campo della cultura economica, e la sua rinuncia,
in questo momento, a porre in discussione il ruolo dell’iniziativa
privata nella ricostruzione ®**. È in- fatti significativo, da un lato,
che nel primo biennio post- bellico l’unica voce favorevole alla
pianificazione sia quella di Pasquale Saraceno *”, e, dall’altro, che gli
studiosi ai quali si guarda con maggiore attenzione siano statunitensi,
cosî che il liberatorio « mito » americano di Pavese e di Vitto-
rini — temperato negli anni ’30 dalla critica dei liberisti al New Deal
rooseveltiano — trova ora una sua realistica traduzione nell’immagine che
gli economisti e gli uomini politici americani danno del loro paese,
impegnato a supe- rare con la somma delle sue energie individuali la
nuova « frontiera » posta dall’eredità della guerra. Cosî,
mentre l’opera collettanea di Friedrich von Hayek, N.G. Pierson, Ludwig
von Mises e Georg Halm, Pianifi- cazione economica collettivistica
(1946), è, come annuncia il sottotitolo — « Studi critici sulle possibilità
del socia- lismo » — e il nome del prefatore, Bresciani-Turroni,
una decisa esaltazione del liberismo ‘*, a incarnare il nuovo mito
riappare Henry A. Wallace, l’esponente democratico che alla fine del 1946
aveva rotto con Truman a proposito della della prossima
pubblicazione — poi non avvenuta — di The Road to Serfdom di Hayek: «La
nostra Casa, come Lei sa, non persegue un indi- rizzo politico di
partito, ma pubblica opere di varie tendenze — da Togliatti a Lippmann a
Répke a Schumpeter — secondo la linea già corag- giosamente seguita, nei
limiti del possibile, sotto il fascismo » (AE, L. Einaudi).
398 È quanto osserva, anche in riferimento alle edizioni Einaudi,
G. Santomassimo, Il dibattito economico, in «Italia contemporanea », XXVI
(1974), n. 116, p. 45. 39 Cfr. la prefazione di Saraceno a G.
Bienstock, S.M. Schwarz, A. Yugow, La direzione delle aziende industriali
e agricole nell'Unione Sovietica, traduzione di P. Saraceno, Torino,
Einaudi, 1946 (ediz. origi- nale 1944). 40 Von Mises — tanto
lodato, assieme a Robbins e Hayek, da Ernesto Rossi nelle sue lettere del
periodo bellico a Einaudi (AE, Rossi) — sarà giudicato da Piero Sraffa «
un reazionario antidiluviano » (a Balbo, 23 gennaio 1950, in AE,
Sraffa). 352 Le origini della casa editrice Einaudi
politica del governo americano verso l’URSS ‘!: in un’ope- retta
dall’accattivante titolo Lavoro per tutti dichiarava che gli USA non
avevano nulla da temere dal comunismo « se il nostro sistema di libera
iniziativa si dimostrerà all’al- tezza delle sue possibilità », e di
fronte all’aprirsi di nuovi mercati per l'economia statunitense si
mostrava fiducioso che « la guida economica americana potrà recare alla
regione del Pacifico un grande vantaggio materiale ed una grande
benedizione al mondo » ‘°; e l’esperimento di colonizza- zione interna
nella valle del Tennessee che Wallace propo- neva a modello per il mondo
intero, era puntualmente esa- minato da David E. Lilienthal in Democrazia
in cammino (1946). Un energico richiamo al liberismo, contro i
pianifi- catori di qualsiasi colore, fossero fascisti, comunisti, o
i sostenitori del « collettivismo graduale » degli Stati demo-
cratici, veniva da un altro esponente democratico ameri- cano, Walter
Lippmann: ne La giusta società — la cui edi- zione originale era del 1936
— egli si dichiarava debitore della « critica a una economia
razionalizzata » svolta da von Mises e von Hayek, ma anche da Keynes — «
la cui opera è tutta volta a dimostrare che l’economia moderna può
essere regolata senza ricorrere alle dittature ed è com- patibile con
istituzioni libere » —, e cercava di dimostrare che la libertà
dell'individuo era assicurata dai principi origi- nari del liberismo
depurato di quelle degenerazioni che ave- vano portato a processi di
concentrazione produttiva — « il principio basilare del liberalismo è
[...] che il mercato deve essere lasciato libero di funzionare, ed anzi
perfezio- nato, come regolatore principe e primo della divisione
del lavoro » —, non senza usare toni apocalittici di sapore puri-
tano che ritroviamo in altri esponenti del mondo anglosas- sone: « Gli
uomini vivono in un mondo torbido, dove non si guarda più con fiducia
alla Provvidenza divina, quale ente regolatore delle cose umane, dove il
costume eredi- tato ha cessato d’essere di guida e la tradizione non
pi 41 Cfr., per l’attenzione di cui era oggetto da parte
comunista, Inter- vista con Wallace, in «l’Unità », 17 aprile 1947.
42 H.A. Wallace, Lavoro per tutti, traduzione di G. Olivetti,
Torino, Einaudi, 1946 (ediz. originale 1945), pp. 17, 147.
353 Il fascismo e il consenso degli intellettuali
santifica le vie fino adesso battute » ‘*. È lo stesso Lipp- mann che ne
La politica estera degli Stati Uniti e ne Gli scopi di guerra degli Stati
Uniti (1946) manifesta la sua tendenza democratica sostenendo la
necessità di un accordo USA-URSS per il mantenimento della pace mondiale,
ma al tempo stesso giustifica l’espansionismo americano e coglie
l’occasione per ammonire l’URSS che « per quanto corrette possano essere
le nostre relazioni diplomatiche, esse non saranno quelle relazioni
veramente buone quali dovrebbero essere, finché nell'Unione Sovietica non
saranno state in- staurate le fondamentali libertà politiche e umane »
‘*. 12. La rottura dell’unità antifascista e il rapporto col
PCI La spaccatura politica che si ha nel paese nel mag- gio
1947 ha profonde ripercussioni sulla casa editrice, i cui legami col PCI
si stringono ulteriormente provocando un sensibile mutamento negli
indirizzi culturali. Anche dopo la fine dei governi di unità
antifascista, all’interno del PCI non scomparve completamente la
prospettiva di una al- leanza con gli intellettuali democratici: se al VI
congresso del gennaio 1948 Togliatti invitava a serrare le fila — «
La nostra attività ideale non può non avere, come l’attività
pratica, l'impronta di partito » ‘ —, nel dicembre dello stesso anno
Alicata, pur notando che «la borghesia del nostro paese sta compiendo un
tentativo estremo per rior- ganizzare in senso reazionario la cultura
italiana, per tra- sformarla ancora una volta in una efficiente barriera
ideo- logica contro il marxismo », con la collusione di cattolici e
liberali in un « blocco antirazionalista », invitava a « conti- nuare a
lavorare per costituire un fronte della cultura il #3 W. Lippmann,
La giusta società, a cura di G. Cosmelli, Roma, Einaudi, 1945, pp. 6, 9,
41, 221. Lippmann era autore anche di A Preface to Moradls (1929).
44 W. Lippmann, Gli scopi di guerra degli Stati Uniti, Torino,
Einaudi, 1946 (ediz. originale 1944), p. 136. 45 Rapporto al VI
congresso del PCI del 5-10 gennaio 1948, in P. Togliatti, La politica
culturale, cit., p. 90. 354 Le origini della casa
editrice Einaudi più possibile ampio » ‘*. La situazione oggettiva
non ren- deva tuttavia immediatamente praticabile, come nel 1945-
46, questa indicazione, e il rapporto privilegiato che si venne
istituendo fra PCI ed Einaudi provocò profonde lace- razioni — di cui è
esempio la vicenda de « Il Politecnico » — e contrasti interni fra i
collaboratori. La casa editrice riuscf comunque a mantenere una sua sfera
di autonomia — basti pensare ai settori letterario, storico e filosofico
— che le permise di non essere isolata e, al tempo stesso, di non
istituzionalizzare il suo legame col partito. Proprio il carattere
non ufficiale del suo rapporto col PCI aveva permesso che questo
individuasse in Einaudi il canale più adatto, anche se non unico, per
diffondere la conoscenza del marxismo nella cultura italiana. La
deci- sione di affidare a Einaudi, piuttosto che all’editoria di
par- tito, gli scritti di Gramsci, si situa appunto in un quadro
che vedeva la pubblicazione, da parte della casa editrice, di testi di Monti,
Sforza, Sturzo, Nenni, Togliatti, Grifone e Sereni, e la proposta di
edizione delle opere di Salve- mini o, su suggerimento anche di
Togliatti, di quelle di Dorso e dei Discorsi di Giovanni Giolitti *”.
L’uscita, nel 1947, delle Lettere di Gramsci — che, come osservava
46 M. Alicata, Una linea per l’unità degli intellettuali
progressivi, ora in Inzellettuali e azione politica, cit., pp. 81,
84. 40 In una lettera all’editore del 23 gennaio 1947 Muscetta
avver- tiva, a proposito di Dorso di cui curerà le opere: « Bada che il
Partito Comunista, appena Togliatti avrà visto i manoscritti inediti,
desidera farsi promotore dell’edizione »; il 20 settembre scriveva che
Togliatti desiderava che fosse Einaudi a stampare Dorso (cfr. anche
l'esplicita richiesta di Togliatti a Einaudi del 24 settembre 1947, in
AE, Togliatti), e il 1° dicembre si scusava per non aver inviato i
manoscritti di Dorso: « Ma non era mica io a tenermeli. Era Togliatti, e
ce n'è voluto per riaverli »; il 4 marzo 1949 Giolitti avvertiva l’editore
che Togliatti aveva approvato la prefazione alle opere di Dorso (AE,
Muscetta, Giolitti). Il contributo di Dorso — morto all’inizio del 1947 —
« dal marxismo può essere accettato per essere sisterzato », affermò
Franco Rodano (Guido Dorso, in «Rinascita », IV (1947), p. 11). Il 31
ottobre 1946 Muscetta proponeva a Pavese i Discorsi di Giolitti con
prefazione di Salvatorelli, e il 16 marzo 1947 gli scriveva: « Giolitti è
stato già da tempo gradito dal Togliatti » (AE, Muscetta). Inoltre, il 2
dicembre 1947, Bobbio interpellava Dal Pane per una raccolta di scritti
rari o inediti di Labriola, « magari come inizio di una più ampia
raccolta dell’opera filosofica e storica del Labriola » (Archivio privato
Bobbio). 355 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali Felice Platone, « sono in buona parte come una
introdu- zione generale agli scritti che verranno dopo e ambiente-
ranno il lettore meglio di qualsiasi prefazione » —, costituî un
inusitato successo editoriale, se nel giugno 1949 la tira- tura era
arrivata a 43.526 copie, di cui 37.254 vendute ‘*. Nel 1948 cominciò la
pubblicazione dei Quaderni del car- cere, che fu accompagnata tuttavia,
da parte della casa editrice, da impazienze e dubbi sulle reali intenzioni
del partito, se il 15 maggio 1947 Cantimori poteva scrivere
a Einaudi che con quelli della edizione di Gramsci
bisognerebbe usare mezzi feroci. Mi han fatto vedere il volume sulla
storia degli intellettuali, o com'è il titolo preciso, quello insomma
dove si parla di Croce, e dei problemi filosofici: è pronto (a meno di
una revisione del dattilo- scritto pessimo), e chi sa perché non lo fanno
uscire [...]. Sembra che qualcuno abbia scrupoli per le critiche al Croce
che ci sono in quel volume [...]. Ho protestato contro questi scrupoli,
con chi voleva sentire e con chi non voleva, Ma che cosa aspettano,
che Croce sia morto, per poi farsi dire da qualche stupido che non si
è avuto coraggio di pubblicare le critiche Croce vivo? E lo stupido
sembrerebbe aver ragione! Appena tornerò a Roma mi butterò alla carica
49. E il 15 ottobre 1948 gli faceva eco Einaudi che, prote-
stando con Togliatti per il ritardo del « si stampi » per i quaderni su
Gli intellettuali e l’organizzazione della cul- tura, invitava il dirigente
comunista a evitare « una tempo- ranea battuta di arresto »,
essendo 48 AE, Platone. Già il 7 giugno 1945 Togliatti aveva
scritto a Einaudi: « siamo perfettamente d’accordo sulle sue proposte
riguardanti l’edizione completa delle opere di Gramsci. Vogliamo solo
porre due condizioni: 1) Eventuali prefazioni e note di singoli volumi
che Ella vorrà pubbli- care in collane particolari, debbono avere la
nostra approvazione. 2) La Direzione del P.C.I., pur concedendo a Lei
tutti i diritti per questa edi- zione e le successive ristampe, si
riserva la proprietà letteraria dell’opera » (AE, Corrispondenza
editoriale Torino-Roma 1945). 49 Cantimori a Einaudi, 15 maggio
1947; lo stesso giorno Cantimori scriveva a Balbo: «La Direzione del
Partito farebbe meglio a spicciarsi a consegnarvi le opere di Gramsci
invece di farle conoscere a spizzico [...], o di avere scrupoli perché si
critica Croce »; il 30 settembre 1947 Balbo — su suggerimento di Einaudi
— inviava a Cantimori le bozze de // materialismo storico e la filosofia
di Benedetto Croce «in via privatissima affinché tu potessi, dando una
scorsa veloce, segnalarci eventuali notevoli lacune » (AE,
Cantimori). 356 Le origini della casa editrice
Einaudi ormai chiaro a tutti che Gramsci serve ai nostri compagni
per raf- forzarsi ideologicamente, per imparare a ragionare e a porsi
dei problemi, che Gramsci serve agli intellettuali non comunisti per
far loro misurare nella sua pienezza la nostra forza ideologica. Non
solo, ma è dimostrato che attraverso Gramsci molti intellettuali si
avvicinano al nostro partito e, sovratutto, si creano delle alleanze 41°.
L’operazione che riusci con Gramsci non ebbe suc- cesso — anche
per la difficoltà di trovare i testi originali e traduttori preparati —
per il progetto di una « Collana marxista » di cui Einaudi aveva parlato
a Lucio Lombardo Radice già il 5 gennaio 1945 ‘, e che nella fase di
prepa- razione occupò, fra gli altri, Manacorda, Cantimori, Emma
Cantimori Mezzomonti, Luporini, Massolo, Bobbio, Balbo e Giolitti. Su
questo terreno si era già impegnata, subito dopo la liberazione di Roma,
l’editrice comunista Nuova Biblioteca diretta da Carlo Bernari e per la
quale Cantimori era stato incaricato di dirigere la collana « Pensiero
sociale moderno » ‘“; l’iniziativa non ebbe tuttavia seguito e,
prima che fosse ripresa dalle edizioni Rinascita, alcuni dei cura-
tori previsti confluirono nel progetto einaudiano. Ma già nel luglio 1945
la collana veniva definita « minor » ‘, e 40 AE, Togliatti.
41 « Nell’intendimento di soddisfare un’esigenza oggi largamente
dif- fusa, la mia casa ha deciso la pubblicazione di una “Collana
Marxista” »; a Lombardo Radice Finaudi offriva la cura dell’Indirizzo
inaugurale di Marx del 1864 (AE, L. Lombardo Radice). 412
Cfr. G. Manacorda, Lo storico e la politica. Delio Cantimori e il partito
comunista, in Storia e storiografia. Studi su Delio Cantimori. Atti del
convegno tenuto a Russi (Ravenna) il 7-8 ottobre 1978, a cura di B. V.
Bandini, Roma, Editori Riuniti, 1979, pp. 67-70. 413 .Manacorda a
Bobbio, 18 luglio 1945; i testi già « in lavorazione », non esistendo più
il pericolo di interferire con la Nuova Biblioteca, che «non fa
praticamente nulla », erano: Manifesto e scritti preparatori (Emma
Cantimori), Guerra civile in Francia (Enzo Lapiccirella), Lotte di classe
in Francia (Mario Manacorda), Ideologia tedesca (Arturo Mas- solo e
Cesare Luporini), l’Imzperiglismo di Lenin (Bianca Maria Luporini)
(Archivio privato Bobbio). Il 10 maggio 1945 Renata Aldrovandi scriveva
da Milano a Einaudi che «con Misha {Michele Kamenetzki, che assumerà in
seguito lo pseudonimo di Ugo Stille] è stata discussa una collezione di
civiltà marxista — raccolta di autori meno classici di quelli del tuo
programma ma imperniata sui problemi pit partico- lari e attuali (es. il
libro di Sereni sull’agricoltura in Italia, ecc.): questa collana sarebbe
costituita in parte con libri che ha Vittorini, e in parte con la critica
di libri italiani visti alla luce marxista » (AE, Corrispon- denza
editoriale Torino-Roma 1945). 357 I fascismo e il
consenso degli intellettuali una circolare editoriale annunciava
testi brevi di Marx; Engels, Lenin e Stalin, col sussidio di un commento
espli- cativo, per « orientare il lettore verso certi punti fermi
del marxismo, e di introdurre allo studio del marxismo, evi- tando
quegli accostamenti attraverso materiale di seconda mano finora tanto
frequenti e tanto nocivi » ‘*. Il progetto naufragò definitivamente nel
dicembre 1946, quando Balbo propose a Giolitti di inserire i vari testi
marxisti nelle col- lane esistenti e di farne una scelta accurata in modo
da « mantenere le nostre caratteristiche di Casa editrice rivolta a
un pubblico abbastanza colto o addirittura di studiosi » ‘. Non mancarono
le proteste del PCI per il fallimento della collana, finché nel 1948, in
coincidenza con la pubblica- zione del primo testo, Le lotte di classe in
Francia di Marx — nell’« Universale » #9 —, Togliatti scrisse a Einaudi
che « per i classici io non sarei favorevole a passare a te l'iniziativa
editoriale » ‘”. Si registrava cosî un pesante ri- tardo nella diffusione
del marxismo, reso evidente, ad esempio, dal fatto che ancora nel 1947 «
Rinascita » pub- blicava elenchi di testi di Marx ed Engels, in varie
lingue e 414 Circolare s.d. (ibidem). . 45. Balbo a
Giolitti, 10 dicembre ’46; nella risposta del 24 dicembre, Giolitti si
dichiarava d’accordo (AE, Giolitti). Assai riduttiva era invece la
proposta di Muscetta, che per il Manifesto suggeriva «la classica
traduzione di Pompeo Bettini e una prefazione di un tipo come Um- berto
Morra: proprio adatta al gran pubblico dei non marxisti» (all’e- ditore,
21 giugno 1947, in AE, Muscetta). . #16 Il 5 settembre 1947 Einaudi
scriveva a Cantimori che, «in se- guito allo smistamento della ex-collana
marxista », aveva proposto a Chabod di includere il volume negli
«Scrittori di storia »; Cantimori rispondeva di non essere d'accordo
perché le Lotte di classe costituivano «un grande esempio di analisi
critica politico-sociale, economico-politica, ma non un libro di storia
come invece può essere considerato il 18 Brumaio che tratta lo stesso
argomento ma a svolgimento storico con- chiuso »; il 13 settembre Chabod
dichiarava a Einaudi di condividere le ‘osservazioni di Cantimori, in
quanto l’opera di Marx era « un'analisi politico-sociale, che è al tempo
stesso un programma d'azione. Sul genere, insomma, dei Discorsi sopra la
prima deca di Tito Livio del Machiavelli » (AE, Cantimori, Chabod).
. 4? AE, Togliatti. Le proteste del PCI per il fallimento della «
Col- lana marxista » sono registrate, ad esempio, da una lettera di
Gio- litti all'editore del 16 aprile 1947: «Togliatti, impazientito per
i ritardi di queste pubblicazioni, ha esortato le edizioni del Partito
a pubblicare senza indugi» (AE, Giolitti). 358
Le origini della casa editrice Einaudi in vecchie edizioni,
presenti nelle biblioteche italiane. È in questo quadro, di
disinformazione e disorienta- mento, che si colloca il « caso » di
Gustavo Wetter,. il gesuita austriaco professore al Pontificio Istituto
Orien- tale in Roma, autore de I/ materialismo dialettico
sovietico. Il libro era stato presentato da Balbo come opera «
seria ed onesta, di carattere informativo, filologicamente cor-
retta e documentata, compiuta tutta su testi originali non accessibili
agli studiosi italiani per molto tempo. Le poche osservazioni critiche,
naturalmente condotte con metodo scolastico, sono però sempre
intelligenti e non settarie ». Bobbio ne prendeva atto, pur con qualche
dubbio, e un anno dopo Cantimori — particolarmente incline a
presen- tare come opere « documentarie » i testi di autori
spiritua- leggianti, come Capitini o Toynbee — esprimeva il suo
parere positivo: « è chiaro che è il libro d’un gesuita e non di un
comunista; è un libro utile, per le discussioni e retti- ficazioni che
provocherà » ‘. Ma, se Miccoli nota opportu- namente che il libro fu
pubblicato un anno dopo questo parere, « in un momento infelicissimo per
le “discussioni e rettificazioni”, evidentemente pacate, alle quali
pensava Cantimori » ‘, è difficile non cogliere l’atteggiamento
patti- giano dell’autore, che nel 1953 dedicherà su « La Civiltà
cattolica » un ritratto a Giuseppe Stalin demone dell’antire- ligione.
Nonostante l'avvertenza editoriale — che presen- tava l’opera come «
informatissima e aggiornata » dichia- rando al tempo stesso un «
fondamentale dissenso dalle premesse e dalle conclusioni dell'Autore » —,
Wetter affermava infatti che per i sovietici la filosofia era
ancella della politica, coglieva una presunta « affinità tra la
filo- sofia di Lenin e la filosofia religiosa russa » — «
nell’intui- zione d’un nesso e d’un’unità reali in cui fra loro si
uni- 418 Balbo a Bobbio, 17 ottobre 1945 (Archivio privato
Bobbio); Bobbio a Balbo, 20 ottobre 1945 (Archivio privato Balbo). Il 10
dicembre 46 Balbo scriveva a Giolitti che il testo era stato revisionato
da Can- timori, mentre il 19 giugno 1947 Giolitti, in una lettera a
Serini, diceva di aver preparato l’avvertenza al volume (AE,
Giolitti). 419 G, Miccoli, Delio Cantimori, cit., p. 253 (anche per
il siind a Toynbee}. Su tutta la vicenda cfr. anche G. Manacorda, Lo
storico -e la politica. Delio Cantimori e il partito comunista, cit., pp.
78-81. 359 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali scono tutte le cose del mondo » —, e concludeva che
«i materialisti dialettici sovietici, per non esser costretti ad
assoggettarsi a Dio, si gettano nelle braccia d’un idolo. È forse altro,
invero, quella materia a cui, negato Iddio, ven- gono trasferite tutte le
prerogative divine? » ‘’. Erano quindi giustificate le lodi de « La
Civiltà cattolica » *" e la violenta stroncatura del volume da parte
di Giuseppe Berti, che ne sottolineava gli errori, la tendenziosità
antisovietica, il privilegiamento di sconosciuti intellettuali sovietici,
e accusava di « incredibile leggerezza » quei marxisti che ‘ave-
vano consigliato la sua pubblicazione ** — che fu un « er- rore », come
riconoscerà più tardi lo stesso Cantimori ‘* Una riflessione sul marxismo
priva di preconcetti rimase quindi limitata, in questi anni, a Ordine e
vita del biologo inglese Joseph Needham (1946), un volume già
proposto da Alicata nel 1941 .che concludeva la sua analisi
scienti- fica con l’accettazione del materialismo dialettico ‘4;
mentre una conoscenza dell’Unione Sovietica più equilibrata di
quel. la fornita dagli studiosi statunitensi fu avviata — prima che
nel 1950 fosse tradotta l’opera dei coniugi Webb respinta da Giulio
Einaudi nel 1938 ‘5 — con la traduzione di saggi di altri autori inglesi,
significativamente caratterizzati da un acritico confronto con
l’esperienza del cristianesimo primi- tivo. In Un sesto del mondo è
socialista l’alto prelato angli- 40 G.A. Wetter S.J., Il
materialismo dialettico sovietico, Torino, Einaudi, 1948, pp. XI, 393,
397, 399. A. Brucculeri, Scientismo marxista, in « La Civiltà
cattolica », 99 (1948), vol. I, pp. 508-512; cfr. anche, contro la
critica di ‘« Voprosy filosofii » all’edizione tedesca del volume, U.A.
Floridi, Materialismo dialettico e critica sovietica, in «La Civiltà
cattolica», 104 (1953), vol. Rio pp. 302-308. ° « Società »,
III (1947), pp. 705-716. n G. Miccoli, Delio Cantimori, cit., p.
253 n 44 Cfr. Alicata a Einaudi, 27 novembre 1941 (AE, Alicata), e
la favorevole recensione di Lucio Lombardo Radice in « Rinascita »,
III (1946), pp. 134-135. 45 Il 3 dicembre 1948 Mario Motta
scriveva a Einaudi: «I sondaggi sul Webb sono stati eseguiti. Tutto bene.
Il libro non è mai stato attaccato nell'Unione. Tanto Togliatti che
Sereni sono d'accordo sulla sua diffusione anche all’interno del Partito.
Togliatti però pensa ‘che forse sarebbe bene alleggerire l’opera di tutte
quelle parti documentarie che non hanno più un interesse attuale (per es.
la costituzione sovietica ecc.) » (AE. Motta). 360
Le origini della casa editrice Einaudi cano Hewlett Johnson
partiva infatti dalla constatazione dell’assenza di una base morale nel «
sistema » occidentale per cogliere nell’organizzazione della società
sovietica la possibilità di sviluppo di quei valori umani che « sono
per chi scrive indissolubilmente legati con la religione e la tradizione
cristiana » ‘9; un analogo afflato religioso per- corre Fede, ragione e
civiltà del laburista Harold J. Laski, per il quale è
difficile vedere su quali basi possa essere ricostruita la tradizione
della civiltà; all’infuori di quelle su cui si fonda l’idea della rivolu-
zione russa. Essa corrisponde, prescindendo dagli elementi sopranna-
turali, con esattezza considerevole al clima spirituale nel quale il
cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'Occidente [...]. Ovun-
que si è affermata, l’idea della rivoluzione russa ha suscitato nei suoi
esponenti un’aspirazione ardente alla salvezza spirituale 47 I più
stretti rapporti instaurati nel 1947 col PCI tro- vano comunque
espressione soprattutto nella pubblicazione di testi di politica e di
economia. Esce nel 1948 Il Mezzo- giorno all’opposizione (Dal taccuino di
un ministro în con- gedo) di Emilio Sereni che, sollecitato nel febbraio
dello stesso anno da Balbo a fornire un parere sulla traduzione di
The great conspiracy in cui Michael Sayers e Albert E. Kahn analizzavano
la « cospirazione antisovietica » dalla Rivoluzione d’ottobre al secondo
dopoguerra — un libro, affermava Balbo, « estremamente utile in se
stesso, e oggi, per la campagna elettorale » —, chiedeva, anche a
nome di Togliatti, di accelerarne la pubblicazione perché il vo-
lume — tradotto nel 1948 in « Politecnico biblioteca » — era « ancor
nuovo e di grande interesse per il pubblico italiano e può avere ora una
grande efficacia propagandi- 46 H. Johnson, Un sesto del mondo è
socialista, a cura di A. Taglia- cozzo, Torino, Einaudi, 1946 (ediz.
originale 1944), pp. 7, 9; cfr. la recensione di Mario Montagnana i in «
Rinascita », III (1946), pp. "333 -334. 42 H.J. Laski, Fede,
ragione e civiltà. Saggio di analisi storica, tradu- zione di È. Bedetti
Aloisi Torino, Einaudi, 1947 (ediz. originale 1944), p. 60. Del leader
laburista fu pubblicato su «l'Unità » del 12 settem- DE sai l’articolo
«Ux popolo veramente libero » crea la nuova Ceco- slovacchia.
361 H fascismo e il consenso degli intellettuali
stica » ‘**, Alla fine del 1949, in un momento in cui il pro-
blema della terra si era riacutizzato con le lotte contadine nel
Mezzogiorno, Balbo si rivolgeva ancora a Sereni per invitarlo a scrivere
quella storia dell’agricoltura italiana di cui si avvertiva il bisogno in
un paese « che nella risolu- zione del problema agricolo ha uno degli
aspetti più deli- cati dell’intero problema politico del suo sviluppo »
* legata all’attualità politica era anche l’Introduzione alla
riforma agraria pubblicata nel 1949 da Ruggero Grieco, che nello stesso
anno, di fronte a « una palese offensiva contro la costituzione delle
Regioni » da parte della DC propo- neva una raccolta di suoi scritti su
Unità statale e decentra- mento regionale in Italia*®, E una più stretta
collabora- zione fra la casa editrice e il partito veniva chiesta da
Einau- di a Togliatti nel 1948 per promuovere in Italia una mag-
giore conoscenza della cultura sovietica, che avrebbe dovuto essere
rappresentata non solo da I/ marxismo e la questione nazionale e
coloniale di Stalin (1948), ma anche da « un’am- pia scelta di scritti di
Zdanov » curata personalmente da Togliatti ‘!. È inoltre in
questo periodo che si intensifica il ruolo di Antonio Giolitti nell'esame
e nella proposta di testi di eco- nomia, con la consulenza, da Londra, di
Piero Sraffa. Ebbe 48 Balbo a Sereni, 3 febbraio 1948, e Sereni a
Einaudi, 12 febbraio 1948 8 (AE, Sereni). 429 Balbo a Sereni
27 dicembre 1949, e Sereni — che accettava — a Balbo, 19 gennaio 1950;
nel 1947 Sereni propose anche un'antologia intitolata Bertoldo, i canti
dell’oppressione, del lavoro, della lotta (AE, Sereni). 4 «La
nostra posizione sull’ordinamento regionale e, quindi, a sostegno della
creazione delle Regioni, parte da due considerazioni fondamentali: dal
fatto che noi siamo sinceri fautori del decentramento amministrativo
regionale (l’ordinamento regionale cosi com’è stato sancito dalla Costituzione
non è dovuto al nostro concorso, se non in parte) e dal fatto che la
Costituzione deve essere applicata: se si comincia con il rivedere questo
o quel punto della Costituzione, si finirà col far crollare la Repubblica
», scriveva Grieco a Einaudi il 30 maggio 1949 (AE, Grieco).
41 Einaudi a Togliatti, 15 ottobre 1948; il 19 ottobre Togliatti
rispondeva di essere d’accordo anche per la scelta di scritti di Zdanov:
«Quella che fa il partito non uscirà dalla cerchia del partito. L'hanno
cacciata in una collezione che si intitola: “Educazione comunista”. E chi
votrà farsi educare da noi? » (AE, Togliatti). 362 Le
origini della casa editrice Einaudi peso il suo giudizio negativo
sull’opportunità di tradurre il saggio di Sidney Hook sul marxismo —
accusato di « trotskismo » da Togliatti 4 —, cosî come la presenta-
zione di Political economy and capitalism di Maurice Dobb, che sarà
tradotto nel 1950: in un parere editoriale dell’ot- tobre 1947, che mette
in evidenza il distacco dalla prece- dente produzione della casa editrice
in campo economico, Giolitti attribuiva a Dobb il merito di
cogliere il nesso tra Marx e l’economia classica, di cui sono
dimostrati ‘il vigore scientifico e il carattere progressivo, mentre le
successive teorie « soggettive » del valore (scuola austriaca, « utilità
margi- nale », ecc.) manifestano — a un’indagine critica che sappia
situarle storicamente — il loro significato ideologico conservatore. La
teoria marxista del valore è convalidata sul terreno sperimentale, nella
sua capacità di interpretazione e di previsione di fronte ai fenomeni
più moderni dell’economia capitalistica (crisi, monopoli, ecc.). Un
bel- lissimo capitolo sull’imperialismo analizza le origini economiche
del fascismo. L’ultimo capitolo — sulla validità delle leggi
economiche nell’economia socialista — risponde efficacemente alle
obiezioni mosse da Hayek, von Mises e C. alla pianificazione economica
col- lettivistica: e dimostra la perfetta coerenza dell’economia
pianificata con le posizioni veramente valide e feconde dell’economia
classica {la scoperta di questo nesso costituisce forse l’elemento più
interes- sante di tutto il libro, che proprio per questo segna una data
nella scienza economica) 43, Si profila cosi un orientamento
che, sia pure con ritardo, pone fine all’ideologia liberista che aveva
fin allora carat- terizzato la casa editrice. Mentre Cesare Dami,
collabora- tore di « Società » per i problemi economici, mette a
con- fronto in due testi del 1947 e del 1950 l’economia liberale
con quella pianificata, con una chiara preferenza per que- st’ultima *,
la Relazione su l’impiego integrale del lavoro 43 Cfr. G.
Manacorda, Lo storico e la politica. Delio Cantimori e il partito
comunista, cit., p. 70. Anche Giolitti, scrivendo a Einaudi il 29 agosto
1946, giudicava trotzkista l’autore: «Ora tu sai che la tua casa è stata
accusata di zoppicare un po’ da questa gamba (Reed, Franklin, Hemingway);
perciò reputerei politicamente inopportuna la pubblicazione, da parte
tua, di un libro di S. Hook » (AE, Giolitti). Si trattava, probabilmente,
di From Hegel to Marx: studies in the develop- ment of Karl Marx
(1936). 43 AE, Giolitti. 44 C. Dami, Economia
collettivista ed economia individualista (1947), ed Esperienze di
economia pianificata (1950). 363 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali in una società libera di William
Beveridge (1948) e Gli insegnamenti economici del decennio 1930-1940 di
H. W. Arndt (1949) suggeriscono l’intervento regolatore dello Stato
nell'economia, venendo incontro all’esigenza, espressa da Giulio Einaudi,
di « fare libri che tengano conto del- l'economia dei paesi occidentali e
ne facciano una critica. Non trascurare certi filoni del laburismo
inglese i quali ten- gono conto dell’economia classica e la criticano
continua- mente al vaglio delle riforme richieste dalla crisi
dell’impe- rialismo » *, La realizzazione di questo nuovo
indirizzo apparve tut- tavia insoddisfacente a chi, come Balbo, pur consigliando
testi come quello di Wetter, concepiva il lavoro editoriale come continuo
suggerimento di problemi, senza la pretesa di orientare dall’alto,
didatticamente, il lettore. Prendendo spunto dalla pubblicazione de La
teoria del diritto nel- l'Unione sovietica di Rudolf Schlesinger (1952),
Balbo si rivolgerà a Einaudi, in uno dei suoi ultimi interventi
prima del distacco dalla casa editrice, per affermare che libri «
sulla linea di Schlesinger, Cole, Webb, Hook prima ma- niera, Wallace
ecc., insomma libri anglosassoni progressivi e corretti verso URSS e
comunismo sono libri utili, se vuoi, ad una provvisoria propaganda ma non
sono libri di vera cultura. Paiono vicinissimi a capire; in realtà
milioni di anni luce li separano da una vera comprensione. Nel loro
fondo, che non tutti avvertono esplicitamente ma che tutti sentono
subcoscientemente, quei libri sono oppio sottile: fanno in maniera più
inavvertibile e quindi anche meno significativa culturalmente e più
pericolosa, ciò che fece Croce in modo scoperto, chiaro e cosciente » ‘#.
Nel gen- naio 1949, intervenendo a una riunione editoriale sulla «
Biblioteca di cultura economica », egli aveva affermato che il PCI « non
deve prendere posizione, avallando la collana; ma di volta in volta può
consigliare o meno i vo- lumi. La Casa deve svolgere la funzione di Casa
editrice e 435 AE, Verbali delle riunioni editoriali 1949-1950
(riunione del 12-13 gennaio 1949). 4% Pro-memoria per il dott.
Einaudi (AE, Balbo). 364 Le origini della casa
editrice Einaudi non può fare biblioteche di partito » ‘”. Era una
critica im- pietosa — nel paragone con Croce — e forse « anacroni-
stica », in quanto non teneva conto dei condizionamenti imposti
dall’imperante clima di guerra fredda: una critica alla propaganda e al
monolitismo culturale che veniva in parte a contraddire il positivo
accoglimento, da parte di Balbo, del nuovo orientamento assunto dalla
casa editrice nel 1947. La fine dell’eclettismo e delle incertezze
proprie della produzione editoriale del 1945-46 era stata anzi
auspi- cata da Balbo, che aveva accolto la « svolta » del 1947 non
come indice di una subordinazione al PCI, ma come l’inizio di una
politica d’intervento più organica e avanzata. Già nel dicembre 1946,
informando Franco Rodano di un suo ooqui con l’editore, affermava che
Einaudi aveva deciso i mettersi a fare l’editore sul
serio, cioè di affidare la fabbricazione dei libri specialmente di tema
politico-economico e strutturale (mi capisci!) ecc. alle forze migliori
che oggi sono inserite nel processo democratico del paese. A farla breve
si tratta di creare tutta una rosa di libri seri, impegnativi e urgenti
sui problemi che possono concre- tare sul serio il nuovo corso:
capitalismo di stato in concreto, per- manenza amministrativa del
fascismo, situazione culturale generale da un punto di vista direi di
geografia culturale, problema igienico nazionale, problema agrario ecc.
Si tratta naturalmente anche di dare inizio finalmente a certi temi di
marxismo teorico consoni alle esi- genze attuali 48,
concludeva proprio nello stesso momento in cui — anche col suo avallo —
naufragava il progetto di una « Collana marxista ». Il «
nuovo corso » della casa editrice suggerî a Balbo una serie di scritti
programmatici che si collocano nel pe- riodo immediatamente successivo
alla crisi del maggio 1947, e che hanno il loro principale obiettivo
polemico nell’idealismo crociano. Il 21 giugno di quell’anno egli
inviava a Einaudi una serie di proposte, accomunate dal titolo significativo
« L’Anticroce », che Giolitti farà pro- 437 AE, Verbali delle
riunioni editoriali 1949-1950 (riunione del 12-13 gennaio 1949).
438 AE, Rodano. 365 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali prie, relative al rinnovamento delle varie collane —
preve- dendone una nuova di « cultura sociale-politica » —, par-
tendo dalla considerazione che la cultura idealistica, « inva- lidando
per principio le possibilità stesse degli studi socio- logici e in genere
degli studi umanistici condotti con metodi scientifici o fenomenologici
», aveva soffocato una nascita autonoma di questi studi in Italia **.
Poco dopo, in un articolo di risposta alla recensione fatta da Croce, nel
luglio 1947, alle Lettere di Gramsci, prendeva spunto da una frase
di Croce — « gli odierni intellettuali comunisti ita- liani troppo si
discostano dall’esempio del Gramsci, dalla sua apertura verso la verità
da qualsiasi parte gli giun- gesse » — per affermare:
Riconosciamo che in ciò vi è del vero, che molti di noi si manten- gono
al di sotto di quel livello sia nelle intenzioni, sia nelle realiz-
zazioni. Ma dobbiamo anche ricordare a Croce che molti intellettuali
comunisti cercano sul serio di migliorarsi e di imparare e che co- munque
il livello degli altri intellettuali italiani è forse ancora più basso
del nostro, se non si vuole continuare a scambiare per cultura l’arcadia,
la raffinatezza fine a se stessa, l’educazione ipocrita. Soprat- tutto
dobbiamo ricordare a Croce la realtà che egli più ha dimen- ticato nel
suo pensiero e che ne è certo stata la ragione più grave di debolezza:
questa realtà è il popolo, il popolo oppresso, spesso ignorante e
violento, quel « volgo » che egli disprezza e che è pur formato di uomini
come noi e come lui [...]. Forse allora compren- derebbe che Gramsci non
può essere diviso dal suo partito, che Gramsci appartiene a tutta la
cultura italiana, ma che il partito comunista italiano è parte integrante
della cultura e del pensiero di Gramsci, è parte integrante della cultura
italiana #0, Può quindi apparire tUn’ironia della storia che
l’inter- vento più organico del Balbo « militante », sulla Cultura
antifascista, fosse nato come promemoria per Einaudi e che, al tempo
stesso, venisse pubblicato con alcune modifiche, nel dicembre 1947, nel
numero col quale « Il Politecnico », dopo le critiche di parte comunista,
fu costretto a termi- nare le pubblicazioni. E di AE, Balbo;
cfr. anche Giolitti a Einaudi, 4 luglio 1947 (AE, iolitti).
40 AE, Balbo (articolo per «l'Unità »); la recensione di Croce è
ora in Due anni di vita politica italiana (1946-1947), Bari, Laterza,
1948, pp. 146-149. 366 Le origini della casa
editrice Einaudi Oggi l’Italia è tutta piena di Benedetto Croce
(e, nota, del Croce deteriore) e ancora è tutta piena, contrariamente
alle apparenze, di Gentile — scriveva Balbo — [...]. La mentalità
papiniana, giuliot- tesca, prezzoliniana è rimasta come un substrato
generalizzato e dif- fuso nel retroterra culturale di ognuno. Le categorie
di giudizio, sia culturale, sia politico, si muovono ancora completamente
su di un terreno che va da quello di Mussolini stesso in persona a quello
della Civiltà Cattolica, a quello del più stracco spiritualismo cattolico
di importazione francese e di un esistenzialismo universitario ed
estrin- seco. Insomma in Italia si è rimasti senza Gramsci, senza Dorso
e senza Gobetti. E, rivolgendosi in particolare a Einaudi,
affermava che la casa editrice per la sua struttura, per il
suo passato, per i suoi quadri interni ed esterni, attuali e possibili,
può svolgere un compito fondamentale nel movimento per l’abbattimento
della vecchia egemonia culturale bor- ghese e per la creazione metodica e
sensibile della nuova egemonia culturale proletaria e finalmente moderna
[...]. Strumento e base per la ricerca qualificata e per la
socializzazione è oggi non tanto l’università o la scuola quanto
l’editoria; e, in armonia con una tradizione culturale cara
all’editore torinese, concludeva insistendo per la pubblicazione
delle opere di Gobetti, che avrebbero costituito « uno specchio nel
quale la borghesia più intelligente potrebbe scorgere la “sua vera
faccia” e, per rivalsa, la “falsa faccia” di una borghesia che vuole a tutti
i costi illudersi di saper soprav- vivere al fascismo » ‘'. Cosî, proprio
quando lo scontro nel paese si faceva più duro, a Balbo sembrò giunto il
momento opportuno per realizzare il suo « modello » di casa
editrice: sotto la spinta dell’ottimismo maturarono nella sua fervida
mente nuovi progetti, da quello di una « rivista di ricerche e sviluppo
storico-ideologico » per la quale alla fine del 1947 aveva già impostato
il lavoro assieme a Rodano, Motta, Giolitti e Gerratana, a quello del
1948 — sostitu- tivo della rivista — di una collana « Il nuovo
politecnico » assieme a Vittorini, fino alla proposta, realizzata nel
1950, di trasformare la « Collana di cultura giuridica » in « Bi-
41 AE, Balbo. 367 Il fascismo e il consenso
degli intellettuali blioteca di cultura politica e giuridica » *.
Ma il terreno sul quale Balbo concentrò i suoi sforzi per realizzare una
cul- tura « critica », tale tuttavia da scontrarsi duramente col
laicismo di Bobbio, fu quello filosofico. Il primo progetto di una
« Biblioteca di cultura filoso- fica » era stato formulato nel 1941 da
Bobbio, che aveva preso contatti con Abbagnano, dal quale vennero le
propo- ste di tradurre la Metapbysik di Jaspers e, sempre sull’esi-
stenzialismo, L'illusione della filosofia della Hersch, pub- blicato nel
1942 nei « Saggi ». Nel marzo del 1943, dopo ulteriori contatti con Della
Volpe, Banfi, Levi e Garin, Bobbio ritenne giunto il momento di
annunciare l’uscita della collana filosofica che, al di sopra
di ogni pregiudizio d’indirizzi e al di là di una visione tecnicamente
angusta della filosofia, raccoglierà opere antiche e mo- derne, tanto più
accette quanto più trascurate dagli storici della filo- sofia, e
considererà come suo principale fine e suo rigoroso dovere tener conto
della infinita problematicità del pensiero filosofico attra- verso le sue
inesauribili incarnazioni nei diversi tempi e nei diversi campi del
sapere. La collana, che avrebbe dovuto configurarsi come una
via mediana tra i « Classici » Laterza e la « Cultura del- l’anima »
Carabba, prevedeva opere di Butler e di Hume per l’illuminismo, per 1’800
tedesco Avenarius e i Principi di una filosofia dell'avvenire di
Feuerbach, Kirkegaard e Jaspers per l’esistenzialismo, Juvalta e Martinetti
come rappresentanti della filosofia italiana contemporanea **. Nel
1943 l’inizio della « Collana di cultura giuridica », con l’in- clusione
delle opere di Binder e Gierke originariamente previste per la collana
filosofica, fece fallire per il momento l’iniziativa, senza che per
questo si fermasse l’attività di Bobbio, che in una lettera a Banfi
presentava la collana progettata come una raccolta di « libri
rappresentativi di quella filosofia costruttiva (contrapposta alla
filosofia spe- 42 Cfr. in particolare, per questi e altri
progetti, i documenti dell’Ar- chivio privato Balbo. 43 Cfr.
in particolare le lettere di Bobbio a Einaudi del 3 agosto 1941, 26
aprile 1942, 8 marzo e 29 aprile 1943 (AE, Bobbio). 368
Le origini della casa editrice Einaud? culativa) che la
filosofia italiana ufficiale, e la stessa storia. della filosofia scritta
dagli scrittori ufficiali ha quasi sempre: ignorato, e che è poi l’unica
filosofia veramente “peren- ne” »; e citava, fra gli altri, scritti di Cattaneo
e di Frege,. per rafforzare la caratterizzazione neo-positivista della
col- lana da lui voluta contro la presenza, che pur non riuscirà a
evitare, di un filone esistenzialista. Erano affermazioni coraggiose nel
clima culturale dell’epoca, rese più esplicite nel luglio 1945 quando
Bobbio, nell’atto di dare finalmente: avvio alla collana, parlò di «
libri rappresentativi di tutte: quelle correnti filosofiche che nel mondo
filosofico-accade- mico italiano — diviso tra idealisti e neo-tomisti in
lotta. fra loro — erano respinte con maggior o minor impeto come:
filosofia non ufficiale » ‘*. La collana diretta da Bobbio e Balbo
iniziò in tono: minore, nel 1945, con I limiti del razionalismo etico
di Erminio Juvalta, di cui tuttavia Geymonat — che lo aveva proposto
— metteva in luce il rifiuto per le « soluzioni puramente verbali », « il
valore impegnativo e profondo di tutta l’attività politica, sociale ed
economica », e la nega- zione del carattere anti-individualistico del
socialismo ** Continuò con le Lezioni di filosofia di Calogero,
caldeggiate da Bobbio ‘, e La mia filosofia di Jaspers, un testo dal
quale: Bobbio prendeva le distanze, ma che, affermava, « potrà
servire ad eliminare diffidenze preconcette e altrettanto in- consulti
entusiasmi », e venire incontro « ad un’aspetta- tiva talora eccessiva
che è in molti » *”. Senza pretendere: #4 AF, Banfi; Archivio
privato Bobbio (Bobbio alla sede romana, 13 luglio °’45). Il 20 ottobre
’45 Bobbio si dichiarava d’accordo con Balbo per presentare « le opere
rappresentative dei principali indirizzi di pensiero moderno, da Hegel in
poi, senza correr dietro alla moda» (Archivio privato Balbo).
45 E. Juvalta, I limziti del razionalismo etico, a cura di L.
Geymonat, Torino, Einaudi, 1945, pp. VIII, X-XII. Cfr. anche le lettere
dell’editore alla figlia di Juvalta, 1 agosto 1942 (AE, Juvalta), e di
Geymonat a Pavese, 19 febbraio 1943 (AE, Geymonat). #6 Cfr. «
Pro-memoria per la Direzione Generale » della redazione romana, in AE,
Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945. Sul « moralismo » dell’opera
di Calogero cfr. le osservazioni di Nicola Ba- daloni in « Società », III
(1947), pp. 140-141. 47 K. Jaspers, La mia filosofia, traduzione di
R. De Rosa, Torino,. Einaudi, 1946, pp. VII-XI (avvertenza di N.
B.). 369 Il fascismo e il consenso degli
intellettuali di dare un giudizio complessivo sulla collana, ci
sembra sufficiente accennare al suo carattere articolato, non uni-
tario, che riflette le diverse « preferenze » dei suoi ispira- tori. Sono
ad esempio significativi i giudizi espressi da Bobbio e da Balbo sui
Principi della filosofia dell’avvenire di Feuerbach: presentando la prima
edizione dell’opera, nel 1946, Bobbio osservava che la filosofia di
Feuerbach si collocava « tra la crisi del romanticismo e la nascita del
posi- tivismo », e che dal secondo accoglieva « una netta aspira-
zione antispeculativa, un’accettazione supina ed ingenua della realtà dei
sensi; ma accoglie pure, dal primo, un’invin- cibile ripugnanza a toccare
veramente il fondo del problema concreto, la tendenza ad un
sentimentalismo un po’ faci- le » #*. In occasione della ristampa del
1948, invece, Balbo notava l’affinità tra il nostro mondo
attuale in particolare italiano, e quello in cui si formò il pensiero di
Feuerbach e in cui ebbe origine il grande movi- mento marxista. La crisi
culturale apertasi con la dissoluzione della filosofia di Hegel è
tutt’altro che chiusa, Ancora permangono sia pure in una diversa fase di
sviluppo i motivi sociali ed economici che l'hanno determinata. E, in
Italia, specialmente per via della filosofia di Croce e di Gentile e del
fascismo, c’è stato un ritardo ideologico nel prendere piena coscienza
della crisi. Croce e Gentile in questo senso sono stati veramente epigoni
hegeliani perché hanno mantenuto vivo di Hegel proprio ciò che di pit
«teologico » in senso feuerbacchiano c’era nella filosofia di
Hegel; e osservava che la passione, il violento
bisogno di aria e di luce reale, « sensibile », con cui Feuerbach rompe
il sistema della « Teologia razionale » di Hegel, l’entusiasmo di Marx e
di Engels nel leggerlo, sono ancora cose nostre, sono esperienze di molti
e molti giovani studiosi e uomini di cultura, in Italia che ancora oggi
cercano di rompere l’idea- lismo e ritrovare il mondo, la realtà
‘9. Un giudizio, questo, da cui è ricavabile non solo la di-
vergenza con Bobbio — che sarà esplicita nel 1950 nel #8 L.
Feuerbach, Principi della filosofia dell'avvenire, a cura di N. Bobbio,
Torino, Einaudi, 1946, p. IX. «9 Significato di una ristampa, in Archivio
privato Balbo. 370 Le origini della casa editrice
Einaudî dibattito fra i due sulla « Rivista di filosofia » ‘*, e
indica una spaccatura all’interno della casa editrice —, ma anche,
nello stesso Balbo, la tensione fra la necessità di proposte positive —
in questo caso, Feuerbach in funzione antiidea- lista — e l’asserita
problematicità del lavoro editoriale. Mentre dimostrava con questo
giudizio il suo « settari- smo » — per usare in senso non dispregiativo
un termine che egli respingeva —, in alcuni « Appunti per
l’imposta- zione delle pubblicazioni filosofiche Einaudi » Balbo
lamen- tava il rinchiudersi del mondo accademico italiano in scuole
e sette, osservava che il giudizio sulle collane filosofiche
dipende in primo luogo dal deci- dere se si tratta di accettare, «
riflettere » e conservare la situazione storico-sociale presente, o se si
tratta di « conoscerla », criticarla e mutarla [...] — e, al tempo stesso,
che — una casa editrice di « op- posizione culturale » come la Einaudi
manca al suo carattere se in un momento storico in cui messuno ha la
soluzione dei gravissimi pro- blemi dell’ora si schiera da una parte o
partito o setta sia pure la pit « intelligente » 0 « colta » o « ben
educata » o « progressiva ». Una casa editrice di opposizione culturale è
una casa editrice che chiede, in tutti i modi che le sono propri, la
soluzione ai problemi dell'ora attraverso alle manifestazioni di bisogni,
problemi aperti, prospettive nuove, fornitura di servizi per la ricerca
teoretica, sensibilità alle voci degli oppressi, degli esclusi, dei
dimenticati ecc. E aggiungeva, lasciando aperta la possibilità di
un recu- pero di forme differenziate di speculazione filosofica: «
Se la situazione culturale è di crisi radicale significa che nulla
più della passata filosofia ci serve per lo meno cosi come
storicamente si è data. Ma quando w%/la più serve o c’è la fine
assoluta o tutto serve » *!. 40 Ora in F. Balbo, Opere 1945-1964,
con introduzione di M. Ran- chetti, Torino, Boringhieri, 1966.
4531 Archivio privato Balbo. Riflettendo ancora su «Senso e
funzione delle pubblicazioni filosofiche Einaudi », Balbo affermava che
una collana filosofica andava concepita «come un servizio da rendersi
alla società italiana », alle « minoranze rivoluzionarie (che innanzi
tutto si formano con la filosofia)», ma che «l’idea di servizio implica
la concezione dei fruitori come totalità, ed esclude quindi a priori una
qualsivoglia ten- denza a identificarsi con i blocchi dominanti »: «la
collana deve mirare a completare, ad allargare e a tenere aperto, cioè a
far progredire 7 va l’orizzonte problematico della situazione filosofica
italiana » ibidem). 371 Il fascismo e il
consenso degli intellettuali Quando si passò alle scelte concrete,
il dissidio tra Bobbio e Balbo — che intendeva riservare un settore
della collana al tomismo — non poté essere che profondo. Il
punto su cui siamo d'accordo è questo: massima apertura — gli scriveva
Bobbio il 6 aprile 1952 — [...]. Il guaio è che la tua parte di chiusura
(le correnti empiristiche) coincide perfettamente con la mia apertura, e
la mia parte di chiusura (il misticismo medio- evale e medioevalizzante)
coincide altrettanto decisamente con la tua apertura. Ti dico francamente
che la presenza di testi come lo Pseudo-Dionigi e Bòhme, in una collana
filosofica di una casa editrice che si presenta come una casa di
avanguardia culturale, mi ha fatto rabbrividire [....]. Doveva essere ben
decaduta la filosofia nel medio- evo se lo Pseudo-Dionigi era destinato a
diventare, come tu giusta- mente riconosci, un fatto decisivo per il
pensiero medioevale [....]. La verità è che tutta la tua impostazione,
nonostante la pretesa di essere della massima apertura, è guidata da una
polemica molto chiara: la polemica contro il pensiero moderno.
La cultura universitaria, aggiungeva Bobbio, soffre di
grande nostalgia per il pensiero teologico, perché sembra che le idee (e
anche le cattedre) siano meglio garantite dalla credenza nei cori
angelici di Pseudo-Dionigi che dal dubbio cartesiano [...]. Credi, se
oggi in Italia c’è un lavoro culturale da fare, è per fermare lo zelo
antilluministico, non già per aiutare i zelatori della Contro- riforma a
chiuderci la bocca. Bada che a giudicare come vorresti tu « massimamente
insufficienti » le « posizioni più avanzate », si rischia di fare cosa
non tanto nuova né tanto peregrina in Italia, dove se c'è una vecchia e
persistente e sempre contagiosa passione è la pas- sione per le posizioni
più reazionarie non per quelle più avanzate, e dove le posizioni più
avanzate hanno fatto di solito la nota e tragica fine che sappiamo
#2. Le parole di Bobbio erano indice della difficoltà
estrema in cui veniva a trovarsi la cultura progressista ancora nel
1952, l’anno della morte di Croce, quando anche Togliatti 452
Archivio privato Balbo. Il 15 febbraio 1952 Bobbio gli aveva scritto che
«in un ambiente filosofico come il nostro saturo di spiri- tualismo
sedicente cristiano (che è la filosofia della pigrizia mentale) un po’ di
cultura empiristica che abitui alla analisi rigorosa e paziente fa- rebbe
molto bene [...] Ma già tu hai scritto contro l’empirismo e hai portato
tanta acqua al mulino di tutti i reazionari della filosofia, di tutti gli
spiritualisti... » (ibidem). Sul tomismo di Balbo cfr. G. Invitto, Le
idee di Felice Balbo, cit., pp. 104 ss. 372 Le
origini della casa editrice Einaudi — come abbiamo visto —
riconosceva nella politica cultu- rale del PCI « discontinuità, asprezze,
capitolazioni non necessarie, oscillazioni tra la pura propaganda e
l’azione culturale di più ampia portata, e anche contraddizioni »
‘*. La Casa sta attraversando una crisi grossa, la più grossa
dopo quella del 1935 quando restai letteralmente solo — scriveva
Einaudi a Balbo il 10 dicembre 1951 — [...] al fronte antifascista chiaro
e compatto del periodo fascista, che era tenuto da tutti gli strati
sani della nazione, si è sostituito un fronte anticomunista che è tenuto
da strati sani ed insani della borghesia, e da irrequiete e
intelligenti forze intellettuali. Ma il suo appello
all’unità contro il fronte anticomu- nista non poteva essere più raccolto
da Balbo, divenuto critico implacabile del « settarismo » del PCI.
Se tu davvero presentassi la linea della Casa come lotta contro la
cultura ufficiale insipida e decadente avresti presto o tardi attorno a
te le forze sane della cultura — rispondeva Balbo all'editore il 12
dicembre 1951 —. Ma come fai a presentarti così se accetti di fatto
direttamente o meno, la direzione culturale comunista? Oggi non esiste
cultura più ufficiale e insipida di quella comunista: questo è un fatto ‘%.
E le riflessioni amare stese da Balbo sulla casa edi- trice — una
specie di sua « storia » —, che gli servirono per chiarire a se stesso il
proprio distacco da Einaudi, cer- cavano di spiegarne la crisi alla luce
di quelle che gli sem- bravano le sue caratteristiche originarie:
La casa editrice Einaudi è nata da profonde esigenze di rinnova-
mento che si manifestarono in Italia dopo l'affermarsi stabile del
fascismo che rivelava il problema del male della civiltà moderna. Non è
stata perciò mai definita unicamente dall’antifascismo {...] ha sempre
teso al postfascismo, alla vittoria costruttiva sul fascismo. A questo si
lega anche la sua adesione al comunismo: in quanto il comunismo in Italia
per opera di Gramsci-Togliatti si presentò come la più forte garanzia e
promessa di un effettivo rinnovamento, di una costruttiva vittoria sul
fascismo. In tal senso era più forte del- l’arbitrio dei singoli il suo
tendere a congiungersi al comunismo. E 43 Togliatti, La politica
culturale, cit., p. 196. 44 Archivio privato Balbo.
373 Il fascismo e il consenso degli intellettuali va
anche da sé che cosi si spiega come tale adesione non sia mai stata di «
soggezione » né di « mitigazione » del comunismo ma da potenza a potenza
ossia da realtà a realtà. Veramente era falso dire che la casa editrice
Einaudi fosse una casa editrice comunista ed era pure falso dire che
fosse paracomunista. Anzi, aggiungeva, l’elemento che aveva
accomunato Ginzburg, Pavese, Venturi, Muscetta, Pintor, Balbo, Gio-
litti, Bobbio, Alicata e Vittorini, « non era il laicismo, non era il
razionalismo, non era il comunismo core tale nean- che per i comunisti.
Era la causa del rinnovamento, la causa rivoluzionaria »; ma l’incontro
di questi intellettuali era soggetto « a fatale decomposizione su due
fondamentali sollecitazioni: quella interna della crescita organizzativa
e quella esterna della situazione storica generale [...]. Con la
morte di Pavese venne a mancare l’ultimo residuo puntello dell’autonomia
della casa editrice », la quale si era quindi trasformata in « terza
forza paracomunista » incapace di costituire un « servizio » per la
cultura italiana nel suo complesso ‘°. Il giudizio di Balbo —
sulla cui posizione ci siamo sof- fermati perché emblematica dei problemi
e dei difficili equi- libri nei quali doveva muoversi la casa editrice —
conte- neva alcuni elementi di verità, ma anche profonde contrad-
dizioni, nell’individuare in un primo tempo, ad esempio, il «
rinnovamento » col comunismo, per poi mettere in netta contrapposizione i
due termini. Esso peccava inoltre, come quello di Giulio Einaudi, di una
visione idillica delle ten- denze originarie della casa editrice, fosse
il « fronte antifa- scista chiaro e compatto » o la « vittoria
costruttiva sul fascismo ». Senza voler nulla togliere al peso delle «
inten- zioni », le concrete vicende della casa editrice non
indicano infatti una univoca e lineare direttiva culturale e
politica. Alla cultura del regime essa non rispose soltanto col
silenzio nei riguardi del fascismo, ma in modi differenziati, che
ac- canto a coraggiose prese di posizione de « La Cultura »
455 Dattiloscritto s.d.; ma nella lettera del 12 dicembre 1951 a Finaudi
Balbo diceva di aver «preparato una specie di storia della casa editrice
» (Archivio privato Balbo). 374 Le origini della casa
editrice Einaudi vide a lungo la battaglia liberista di Luigi
Einaudi, assai più conservatrice di quella crociana, tanto da trovare
punti di convergenza con le scelte culturali e politiche dominanti,
anche al di là del comune antisocialismo; una forte presenza di
intellettuali aderenti a Giustizia e Libertà, al liberalsocia- lismo e
quindi al Partito d’Azione, il cui scontro con i comunisti — non uniti al
loro interno — sarà assai duro nell'immediato dopoguerra, proprio attorno
al modo con- creto di intendere il « rinnovamento »; e infine — ma è
un dato rilevante fino alla decisa riaffermazione del laicismo da
parte di Bobbio — un filone spiritualista o religioso e catto- lico che,
se poté avere una funzione di stimolo alla rifles- sione e al dubbio di
fronte alle certezze del regime, conte- neva in nuce notevoli elementi di
ambiguità in quanto con- notato, in molti casi, da un potenziale
ideologico reazio- nario, o, nelle voci più aperte, da una tendenziale
fuga dalla realtà: una tematica religiosa che confluirà nel 1948,
con ben altro respiro, nella « Collezione di studi religiosi, etno-
logici e psicologici » voluta da Pavese e da Ernesto De Mar- tino. Può
forse sorprendere che questi motivi perman- gano a caratterizzare la casa
editrice fino, almeno, al 1947, che costituisce la vera data
periodizzante della sua storia, tale da concluderne, a nostro avviso, il
capitolo delle origini. La « battuta » di Balbo, secondo la quale
l’Einaudi del 1945 era « più fascista di Einaudi 1940 », indicava
infatti la persistenza di un passato dal quale era difficile
sbaraz- zarsi rapidamente: una « tradizione » di cui abbiamo cer-
cato di mettere in luce la complessità, e che la semplice categoria di «
antifascismo » è insufficiente a « contenere » e a spiegare in tutte le
sue articolazioni. 375 INDICI Indice dei
nomi Abba, G. C., 176. Abbagnano, N, 368. Abramo,
136. Abrate, M, 209. Agnoletto, A. 165. Agosti, A.,
198, 281. Agostino, 143. Ajello, N., 330, 335, 351.
Alatri, P. 7 297, 302, 310, 311. Alberti, À, 174, 175.
Aldrovandi, R., ‘329, 330, 343, 357. Alessandro I, zar di Russia,
125. Alessandro Magno, 305. Alfassio Grimaldi, U., 6.
Alfieri, V., 126, 127, 252, 253, 318, 324.. Alicata,
M., 279, 283, 286, 287, 288, 293, 306, 308, 311, 314, 319,
322, 323, 328, 343, 345, 354, 355, Alighieri, D.,
Alimenti, C., 235. Aliotta, A., 58. Almagia, R.,
22, 25, 28, 80, 181, 183. Aloisi, M., 341.
Althusius, G., 326. Alvaro, C., 342. Amendola,
A., 301. Amendola, Giorgio, 5, 74, 161, 284, 285.
Amendola, Giovanni, 169, 188. Amendola, P., 301.
Amiel, H., 275. Anderson, S., 202, 247.
Andreucci, F., 104, 165, 191, 240. Andriulli, G., 189.
Angiolini, A., 173. Anile, A., 19. Antoni, C., 6, 88,
114, 341. Antonicelli, F., 198, 202, 238, 241, 276,
277. Anzi, F., 221, 307. 284, 285, 295, 301,
316, 317, 330, 342, 360, 374. 120, 124, 241, 278.
Aquatrone, A., 50, 85. Arangio Ruiz, V., 61. ARGS: R.,
"164, 167, 168, 174, A 212, 216. Armndt, H. W.,
"364. Argenson, R-L. W. d’, 212. Arpinati, L.,
60. Arrivabene, G. G., 33. Ascoli, G. I., 159.
Asor Rosa, A., 5, 7, 24, 73, 74, 155. Avenarius, R.,
368. Azimonti, C. F., 221. Babel, I. E., 202.
Babeuf, F. N., 308, 346. Badaloni, N., 74, 100, 369.
Balbo, C., 252, 255, 256. Balbo, F., 12, 285, 289, 290,
319, Baldini, N., 307. Ballarini, F., 236.
Bandini, B. V., 357. Bandini, L., 291, 292.
Banfi, A., 58, 142, 329, 348, 349, 368, 369. Baratono,
A., 59. Barbagallo, C., 107, 174, 181. Barbera, G.,
153. Barbera, M., 149. Barbera, P., 19, 26, 27,
173. Baretti, G., 174. Bargellini, P., 200.
Barié, G. E., 240. Barker, E., 213. Barone, G.,
197, 225. 379 Indice dei nomi Barth, K.,
349. Bassan, E., 351. Bassani, G., 287. Bassi, E., 17,
105. Basso, L., 240. Battaglia, F., 86, 87, 88, 89,
90, 91, 92, 103, 125, 127, 232, 238. Baur, F. C., 136.
Bavink, B., 292, 293. Beccaria, C., 251, 252. Bedarida, H.,
243. Bellezza, V. A., 14, 35, 54. Belloc, H., 304. Bellonci,
G., 324. Belluzzo, G., 59. Bemporad, E., 26, 30. Benda, J.,
349, 350. Benedetti, A., 317. Benedetti Aloisi, E.,
361. Benedetto, L. F., 134. Berdjaev, N. A., 320, 321.
, 241, 266. Ber Jey, G.F. 'H, 243. Bernari, C., 357.
Bernstein, $, 346. Berti, G., 346, 360. Berti, L., 280.
Bertin, G. M., 266. Bertoni, G., 153. i Jovine, D., 24, 37,
166. Bettini, P., 358. Bettinotti, "M, 221. Bevione, Gi
104. Beveridge, W., 364. Bianchi Bandinelli, R., 335.
Biasutti, R., 80. Bienstock, G., 352. Bilenchi, R., 333.
Binder, bi. vi 368. Bini, C., Ra a di, 86 Bissolati, L, 104,
189, 258, 259. Bloch, M, 343. Blondel, M, 241, 349. Blum, L.,
215. Bobbio, A., 77. Bobbio, N., 5, 12, 73, 82, 102,
103, 108, 198, 200, 201, 202, 220, 380 287,
288, 295, 316, 238, 240, 243, 253, 290, 294, 325, 326, 327,
340, 341, 347, 355, 357, 359, 368, 369, 370, 372, 374, 375.
Bohr, NH. D., 293. Bollati, A. 259. Bompiani,
Vv, 198, 200, 245. Bonald, L. G., 349. Bonaparte, N.,
289. Bonetti, P., 351. Bonfante, P., 25, 55.
Bonghi, R., 26. Bongiovanni, B., 9. Bonifacio
VIII, 256. Bonomi, I., 28, 104, 189, 250, 257, 258, 259, 298,
319, 320, 323. Bontempelli, M., 163. Borsa, G.,
230. Borso d’Este, 32, 33, Bortone, L., 78.
Bosco, U., 39, 52, 75, 90, 238. Boselli, P., 59.
Bossi, E., 198. Bottacchiari, R., 29. Bottai, G.,
6, 16, 45, 46, 83, 84, 200, 204, 205, 212, 216, 282, 283, 286, 288,
316. Bottasso, E., 40. Bourgin, G., 116, 126.
ti, G., 138. Braudel. F., "343. Bravo, G M,
281. Bresciani-Turroni, C., 236, 237, 352. Briamonte,
N., 264. Bricarelli, C., 68, 147, 148. Brissot, J. P.,
117. Brofferio, A., 208. Broglie C.-J-V. A. de,
281. Brown, D. V., 227. Brucculeri, A., 225, 264, 265,
267, 268, 360. Bruers, A., 188. Bruguier, G.,
216, 236. Brunello, B., 256. Bruno, G., 104, 107, 174,
291. Bryce, J., 88. Bulferetti, L., 25, 81, 260,
262, 295, 297. Buonaiuti, E., 27, 69, 133, 135, 138,
139, 144, 160, 164, 169, 170, 174, 176, 177, 179, 182, 183,
187. Buonarroti, F., 308, 346. Burckhardt, C. J., 304.
Burdach, K., 122. Busnelli, G., 68, 70, 130, 135, 141,
148, 149. Butler, S., 272, 368. Cabella, G., 283,
314. Cabiati, A., 206, 238, 239. Cabrini, A., 104.
Cadorna, L., 26, 55. Caffè, F., 209. Caggese, R., 58.
Cagnetta, M., 275. Cajumi, A., 202, 203, 206, 238, 239, 240,
241, 242, 243, 244, 270, 276, 277, 346. Calabi, G.,
29. Calamandrei, P., 58. Calderoni, M., 169. Caldwell, E. P.,
200. Calò, G., 58, 166, 184. Calogero, G., 54, 71, 80, 130,
238, 239, 320, 322, 341, 369. Calosso, U., 230.
Campanella, T., 294, 295. Camurani, È ,256. Canella, M. È,
275. Cannistraro, P. V., 197. Cantimori, 128, 133,
140, 196, 265, 266, 306, 307, 316, 334,
341, 343, 344, 348, 350, 351, 356, 359, 360.
Cantimori Mezzomonti, E., 357. Cantoni, C., 168. Cantoni, R.,
329, 336, 337, 348. Caparelli, F., 85. Capasso, C., 134,
Capitini, A., 196, 197, 272, 273, 348, 359 ,
S., 59, 134, 169, 170. Carducci, G., 23, 24, 163, 276. 222,
225, 235, D., 6, 15, 98, ill, 124, 160, 193,
194, 290, 294, 303, 318, 328, 333, 345, 347, 357,
358, Indice dei nomi Carducci, N., 246.
Carli, G., 237. Carlini, A., 36, 58, 91, 281.
Carlo Alberto, 121, 128, 243, 260, 297, 312. Carlo
Emanuele I, 128. Carlo Magno, 120. Carocci, A., 203,
204, 246. Carrara, E., 63, 240. Casamassa, A.,
142. Casali, A., 196. Casati, A., 56, 59, 61.
Casini, G., 265, 283, 324. Cassirer, E., 118, 242, 274.
Castelli, D., 159. Castris, A. L. de, 7.
Castronovo, V., 5, 26, 33, 34, 208.. Casula, C. F.,
336. Catalano, E., 247, 327. Cattaneo, C., 203, 218,
219, 220, 252, 312, 313, 316, 318, 339, 369.
Caviglione, C., 138. Cavuor, C. Benso, conte di, 176,
212, 250, 252, 253, 276, 298, 299, 302, 313, 318. Cechov, A.,
202. er I; "38, ‘112 Cesarini, M, 266.
Ceva, B. 313. Ceva, M., 316. Chabod, F., 24, 33,
58, 88, 97, 98, 99, 111, 115, 116, 117, 118, 122, 123, 124, 125,
140, 241, 268, 270, 341, 343, 344, 358. Chamberlin, E,
3a Chamberlin, w H., 231, 232, 303,. 305.
Chiappelli, A., 42, 159. Chiavolini, A, 62. Chichiarelli,
E., 253, 300, 301. Chiesa, F., 163. Chiovenda, G., 26,
28. Chiuminatto, A., 247. Ciacchi, E., 173.
Ciamician, G., 26. Ciampini, R., 275, 276.
Ciarlantini, F., 197. Ciasca, R., 58. Ciccotti,
E., 59, 181, 274, 275. Ciliberto, M., 6, 113, 122.
381 Indice dei nomi Cilibrizzi, S., 24.
Cione, E., 242, 258, 298, 305. Ciuffoletti, Z., 194.
Codignola, E., 29, 36, 58, 62, 143, 149, 198, 199, 200, 232, 249,
253, 298. Codignola, T., 200, 210. Cognasso, F.,
134. Cola di Rienzo, 120, 124. Colapietra, R., 14, 46,
49. Cole, G. D. H., 364. Colombo, C., 328.
Colorni, E., 240. Colozza, G. A., 166. Comandini,
U., 27. Comisso, G., 287. Conrad, J., 279.
Constant, B., 324, 325, 349. Contini, G., 278.
Cooper, A. D., 261. Corbino, E., 229. Corbino, O.
M., 28, Cordié, C., 315. Corradini, E., 33, 86.
Corsano, A., 291. Cortese, N., 58, 128.
Corticelli, A., 198. Cosmelli, G., 354. Cosmo,
U., 238, 241. Costa, G., 275, 305. Costamagna, C., 84.
Costantino, D., 153. Craveri, R., 274. Credaro,
L., 165, 184. Crescenzi, G., 350. Cripps, S.,
215. Crisafulli, V., 349. Crispolti, F., 24.
Croce, B., 6, 10, 14, 15, 17, 18, 19, 23, 24, 27, 28, 30, 31,
335, 36, 42, 46, 48, 56, 61, 64, 71, 74, 81, 82, 83, 94, 97, 98,
102, 111, 113, 114, 116, 125, 148, 149, 155, 166,
168, 171, 182, 183, 202, 211, 213, 219,
241, 242, 254, 299, 301, 314, 339, 341,
350, 356, 364, 365, 366, 367, 370, 372
Crocioni, G., 173. Cronin, A. J., 200. Crosa, E.,
117. Cuoco, V., 127, 253, 318. Curiel, E, 264, 302, 313,
329. Cusin, F., 344. Dal Fabbro, B., 271, 286.
Dal Pane, L., 105, 210, 212, 220, 221, 230, 257, 355. Dal
Pra, M., 292. D'Amelio, M., 147. Dami, C., 363.
D'Andrea, A., 86, 305. D'Antonio, F., 220.
Darwin, C., 174, 175, 272. D'Azeglio, M., 260, 324.
Dawson, C., 266, 268, 269, 270, 300.
Debenedetti, $S., 277, 341. De Bernardi, M., 227, 229,
238. De Cecco, M., 208. De Cristofaro, M., 130.
De Felice, R., 6, 25, 65, 78, 152, 186, 197, 204, 263.
De Gasperi, A., 8. Degli Occhi, L., 88. De Grand,
A. J., 46. De Karolis, A., 179. Del Bono, G., 259,
302. Delitzsch, F., 159. Della Torre, L., 26,
204. Della Volpe, G., 368. Delle Piane, M., 270.
De Lollis, C., 238, 239, 241, 277. De Luca, G., 72, 132, 137,
200. De Man, H., 106, 191, 199. Demarco, D., 307.
Demarsico, D., 19. De Martino, E., 294, 375. De
Mattei, R., 73. De Michelis, E., 245, Demostene,
305. De Rosa, G., 20. De Rosa, R., 369. De
Ruggiero, G., 94, 167, 199, 276, 331, 332, 333, 345. De
Sanctis, F., 49, 171, 285, 321. De Sanctis, G., 55, 63, 75, 78,
133. De Stefani, A., 55, 209, 234. Detti, T., 104, 165,
191, 240. De Vecchi, C. M., 251, 253, 297. De Vendittis, L.,
278. De Viti De Marco, A., 217, 234. Devoto, G., 72.
Dickens, C., 271. Diderot, D., 243, 280, 281. Di
Domenico, G., 334. Dilthey, W., 274. Dobb, M., 222, 363.
Dos Passos, J. R., 247. Dostojevskij, F., 202, 279. Droysen,
J. G., 305. Dvotak, M., 147. EFerembeemt, L. van den,
136. Efirov, S. A., 13. Egidi, P., 33. Einaudi, G., 10,
197, 201, 202, 206, 207, 211, 238, 243, 258, 272,
283, 290, 303, 311, 317, 323, 332,
342, 352, 362, 365, 368, 375. 10, 27, 55, 59, 63,
205, 206, 207, 208, 211, 212, 213, 217, 218, 219, 220, 225,
226, 228, 233, 234, 235, 240, 244, 247, 276, 292, 295,
312, 318, 333, 351, 352, 375. Einaudi, M., 214, 227, 238. Emanuele
Filiberto, 39, 128, 178. Emery, L., 245. Engels, F., 80, 346, 358,
370. 12, 195, 196, 205, Indice dei nomi
Enriques, F., 56, 58, 81, 276. Erasmo, 290, 291, 347.
Ercole, F., 87, 88, 116, 121, 122, 203. Evola, J., 263.
Faggi, A., 169. Falco, G., 121, 124, 181, 242, 295,
296, 307. Falqui, E., 276. Fanelli, G. A., 77, 78,
84. Fanfani, A., 221. Fanno, M., 217, 236.
Farinacci, R., 16, 37, 43, 51. Farinata degli Uberti,
312. Farinelli, A., 28, 42. Farneti, E., 300.
Faucci, R., 175. Fausti, R., 139. Favaro, G.,
148. Fazio-Allmayer, V., 58, 82, 106. Febvre, L., 210,
343. Fedele, P., 37, 64. Federici, L., 235.
Federico II d’Hohenstaufen, 120. Federico II di Prussia, 118,
245. Federzoni, L., 46, 86. Fenoaltea, S., 226,
232. Fenoglio, P., 26. Ferrante, Don, (cfr. Alicata
M.) Ferrara, F., 212. Ferrara, M., 182, 188.
Ferrari, A., 243, 257, 316. Ferrari, G., 252.
Ferrari, S., 163. Ferrata, G., 219, 275, 289, 309, 329,
335, 336. Ferrero, E., 289. Ferrero, G., 181.
Ferretti, G., 297. Feuerbach, L., 104, 348, 368, 370,
371. Fichte, J. G., 91. Filangieri, G., 252.
Filippo il Macedone, 305. Filograssi, G., 142.
Fiore, G. da, 139. Fiore, T., 267, 294. Firenzi,
G., 143. Firpo, L., 101, 102, 125. Fisher, H. A.L.,
214. Fitzpatrick, S., 22. Flora, F., 205.
383 Indice dei nomi Floridi, U. A., 360.
Foot Moore, G., 67. Forges Davanzati, R., 60.
‘Formiggini, A. È, 8, 12, 19, 20, 22, 26, 27, 28, 29, 30, 31,
38, 41° 4T, SÌ, 55, 151, 152, 153 157, 158, 159, 160,
, 163, 164, 165, 166, 171, 172, 173, 174, 179,
180, 181, 182, 185, 186, 187, 188, 192, 196, 257,
325. Fortini, F., 10, 285. Fortunato, G., 213,
285. Foscolo, U., 127, 318. Fracastoro, M. G.,
281. Fracchia, U., 34. Franceschini, E., 192.
Franchetti, L., 213. Franco, F., 257. Franklin,
F., 363. Frassati, F., 302. Frassinelli, C., 198, 202,
246. Frateili, A., 71. Frege, G., 281, 369.
Freud, S., 265. Freund, R., 267. Frezza Bicocchi,
D., 38. Frébel, F. W. A., 165. Frugoni, C., 281.
Fubini, M., 198. Gabrieli, F., 343. Gabrieli,
V., 272. “Galante Garrone, A., 252, 253, 255, 308.
Galassi Paluzzi, C., 38. ‘Galiani, F., 93. Galilei,
G., 169, 174, 281, 293. Gallenga Stuart, R. À, 27, 183.
*Galletti, A., 176. Galli della Loggia, E., 5.
‘Galvano, E., 288. Gambino, A., 237. Garibaldi,
G., 86. Garin, E., 10, 11, 13, 14, 18, 19, 21, 35, 74, 105,
106, 124, 130, 154, 155, 156, 160, 164, 167, 171, 199) 200, 263,
273, 283, 290, 291, 327, 332, 368. ‘Garosci, A., 98, 216,
295, 297. Garufi, B., 335. Gaslini, P., 323.
384 Gatto, A., 288. Gava, G., 12. Gazzetti, F.,
229. Gemelli, A., 58, 65, 68, 69, 71, 131, 132, 138, 143, 145,
147, 149, 169, 177. Gencarelli, E., 240. Gennaro, 136.
Gentile, E., 6. Gentile, G., 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 21, 23,
26, 28, 29, 31, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45,
46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 54, 55, 56, 57, 60, 61, 62, 63, 64,
65, 66, 67, 69, 70, 71 72, 74) 75, 76, 78, 807 81, 82” 83, 84,
85, 86, 90, 91, 92, 95, %, 97, 100, 102, 107, 113, 122,
130, 136, 143, 150, 171, 185, , 250,
WI 2 da 308, 318, "367, 370.
Gerbi, A., DAL. Gerratana, V., 22, 160, 180, 285, 309,
367. Geymonat, L., 281, 347, 369. Ghisalberti, A. M.,
89, 117, 119, 121. Giachino, É., 272.
Gianfranchi, (pseudonimo di Ven- turi F.) 308.
Giannantoni, S., 16, 171. Giannini, A., 28, 29.
Giannone, P., 146. Gide, A., 339. Gierke, O.,
von, 325, 326, 368. Gifuni, G. B., 23, 25. Gigante, M.,
296. Gigli, L., 315. Giglioli, G.Q., 29, 64.
Ginzburg, L., 10, 195, 202, 205, 213, 245, 246, 250, 279,
280, 294, 295, 296, 301, 302, 303, 316, 317, 319, 320, 322, 323,
324, 328, 374. Ginzburg, N., 279, 288, 290, 323, 324,
341. 203, 278, Gioberti, V., 66, 253,
298, 299. Gioia, M., 252. Giolitti, A., 292, 322,
323, 325, 341, 344, 345, 348, 351, 357, 358, 359, 362, 363,
366, 367, 374. Giolitti, G., 20, 23, 25, 355. Giretti,
E., 217, 233, 234, 238. Giretti, L., 233, 234.
Giuliano, B., 59. Giuriati, G., 59. Giuseppe II,
118. Giusti, S., 200. Gobetti, P., 17, 18, 24, 27,
127, 156, 188, 202, 218, 242) 255, 321, 338, 367.
Goethe, J. W., 280. Gogol, N. V., 202. Gonciarov,
I., 279. Gorresio ,V., 306, 324, 351. Grabmann, M.,
138. Gramatica, L., 64, 67, 132, 133. Gramsci, A., 5,
16, 17, 22, 26, 33, 86, 131, 150, 175, 180, 189, 191, 211, 239,
355, 356, 357, 366, 367, 373. Grassi, V., 55.
Gravina, M., 105. Graziani, A., 97, 105.
Gregorio, 269. Grieco, R., 237, 362. Grifone, P.,
237, 333, 355. Grimm, H., 311. Grozio, U., 265.
Gruppi, L., 194. Gualino, R., 33. Guanda, U.,
263. Guénon, R., 263, 264. Guerri, G. B., 6, 46.
Guglielmino, E., 253, 291. Guglielmo I, 305.
Guiducci, A., 246. Guzzo, A., 58, 103, 142, 143.
128, 129, 252, 295, 326, 320, 328,
321, 333, 355, 365, Hall, R. L.,
222. Halm, G., 352. Harris, H. S., 14, 47.
Harris, S. E., 227. Hayek, F. von, 352, 353, 363.
Hazard, P., 242, 243, 346. Hegel, G.W.F, 91, 101, 103, 104,
Indice deî nomi 142, 170, 171, 174, 241, 326, 349,
369, 370. Helvétius, G A., 108. E, 278, 342, 343,
Hersch, J., 368. Hitler, A., 245, 351. Hobbes,
T., 104. Hobsbawm, E. J., 13. Hook, S., 363, 364.
Hiigel, F. von, 290. Huizinga, J., 264, 265, 266, 267,
270, 290, 291, 347, 348, 349. Hull, C., 227. Hume, D.,
368. Huxley, A., 266, 273. Interlandi, T., 59, 60, 61,
62. Invitto, G., 336, 339, 372. Iraci, A., 83.
Isnenghi, M,, 6, 23, 163, 195. Jacini, S., 213.
Jaeger, W., 305, 349. Jahier, P., 278, 289. James, H., 278,
279. Jaspers, K., 368, 369. Jaurés, J., 324. Jemolo, A. C.,
58, 140. Johnson, H., 361. Joyce, J., 202. Jung, C. G.,
293. Juvalta, E., "169, 368, 369. Kafka, F., 342.
Kahn, A. E., 361. Kamenetzki, M., 357. Kant, I., 103,
171, 349. Kelsen, H., 325. Keplero, J., 293.
Keynes, J. M., 212, 224, 226, 353. Keyserling, H., 266.
Kirkegaard, S., 347, 348, 368. Korngold, R., 344. Kuliscioff, A.,
307. Labanca, B., 159, 160, 173, 174, 176, 177.
Labriola, A., 105, 106, 160, 171, 175, 199, 220, 221, 257,
316, 355. Lajolo, D., 246. Lalla, M. di, 14,
35. 385 Indice dei nomi Lanaro, S., 7,
32, 96. Landolfi, T., 272. Langer, W., 245. La
Penna, A., 180. Lapiccirella, E., 357. Laski, H. J., 214, 215,
361. Lassalle, F., 80. Laterza, G., 199, 205, 250,
263, 321. Lattes, D., 187. Lavoisier, A. L.,
174. Lazzari, G., 12. Lee Masters, E., 317. Lefebvre, G.,
343. Leibniz, G. W., 240. Lemmi, F., 118. Le Monnier, F.,
153. Lenin, V.I., 303, 357, 358, 359. Leonardo da Vinci, 148,
175. Leontieff, W., 227. Leopardi, M, 254. Le cha ( P.G.F.,
213. Levi, A., 106, 164, 165, 166, 168, 169, 178, 187,
188. Levi, (A 321, 346, 368. Levi, F., 9.
Levi della Vida, G., 63, 71, 78, 79, 130, 187, 238.
Lewis, S., 200. Lilienthal, D. E., 353.
Limentani, L., 59, 167, 184, 291. Lippmann, e 352, 353,
354. Locke, J., 103. Lo Gatto, E., 278, 279, 331.
Loisy, À., 134, 290. Lombardo Radice, G., 16, 29.
Lombardo Radice, 360. Lombroso, C., 174.
Longhi, S., 55. Longo, G. A., 262. Loria, A.,
59, 86, 164, 174, 175, 176, 211, 287. Losacco, M., 170.
Lo Schiavo, A., 14, 67. Losini, F., 177. Lukécs, G., 13.
Luperini, R., 9. Luporini, B. M., 357. Luporini, C., 17,
104, 334, 335, 357. Lussu, E., 325, 345.
386 L., 345, 357, Lutero, M., 134, 141.
Luti, G., 204. Luzi, A., 219. Luzio, A., 258,
296. Luzzatti, L., 26. Luzzatto, G., 115, 196, 209, 210,
270. Lyttelton, A., 6. Macchioro, A., 134, 217.
Machiavelli, N., 121, 122, 358. Magini, M., 192. Magrini, Li
216 (pseudonimo di ; A) 124, Garosci
Maini, R., 285. Maiocchi, R., 38. Maistre, } de 128, 297,
349. Malagodi, O Malagola prc V., 226. Malthus, T. R., 174,
175. Manacorda, G. 204, 308, 331, 341, 345, 346, 357, 359,
363. Manacorda, M., 317, 357. Mancini, P, S., "129.
Mangoni, L., 6, 131, 283. Mann, T,, 339. Manzini, E., 163.
Matanini, G., 198. Marchesi, C., 134, 174, 176, 191, 192,
194, 195, 315, 316, 317. Marchesini, 6. 168, 169.
Marchi, G., 287. Marchiafava, E., 55. Marco
Aurelio, 271. Marcolongo, R., 82. Marconi, G., 26,
76. Marescalchi, A., 235. Margherita, S. della,
254, Margiotta, U., 16. Margiotta Broglio, F.,
65. Mariano, R., 159. Marinetti, F. T., 338.
Martoi, F., 96. Marramao, G., 109. Marshall, A.,
225, 230. Martinelli, R., 17, 285. Martinelli, S., 262.
Martinetti, P., 197, 240, 290, 348, 368. Martini, F.,
19, 20, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 34, 39,
55. Marx, K., 17, 80, 104, 106, 108, + 174, 175, 177, 189,
241, 309, 310, 346, 348, 349, 357, 358, 363, 370.
Mason, E. S., 227. Massolo, A., 357. Mathiez, A.,
198, 261, 324, 343. Matisse, H., 278. Matteotti, So
188. Mattioli, R, 6, 88. Maturi, w., 111, 113,
114, 122, 125, 126, 127, 128, 144, 145) 146, 252, 306,
Maupassant, G. de, 317. Maurras, C., 128.
Mautino, A., 220, 221. Mazza, F. P., 281.
Mazzini, G., 66, 86, 128, 129, 165, 176, 203, 250, 252, 253,
258, 260, 313. Mazziotti, M., 305, 318, 325.
Meinecke, F., 125. Melograni, P., 74. Melville,
H., 202, 279, 280. Menghini, M., 20, 25, 26, 30, 55, 104,
113, 250, 308. Menichella, D., 319. Meredith, G.,
279. Meschini, M. A., 284. Metternich, C. von, 283,
324. Miccoli, G., 343, 359, 360. Michaelstadter, C.,
168, 272, 273. Michel, E., 181. Michels, R., 82,
110. Mieli, A., 181, Migliorini, B., 238.
Migone, G. G., 223. Mila, M., 278, 341. Milano,
E., 11, 163. Milano, P., 191. Mill, J.$., 188.
Minocchi, S., 134, 165. Minoia, C., 315.
Minoletti; B., 236. Mira, G., 290, 301. Mises, L.
von, 226, 352, 353, 363. Momigliano, A., 6, 64, 73, 74, 110,
111, 119; 165. Momigliano, F., 164, 165, 174, 176, 177.
Indice dei nomi Mondo, L., 203, 246. Mondolfo,
R., 58, 73, 100, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 166, 167,
184. Mondolfo, U. G., 17 Montagnana, M., 361.
Montale, E., 289. Montanelli, G., 251, 307.
Montenegro, A., 6, 82. Montesquieu, C. de, 108, 323,
324. Monti, A., 202, 206, 238, 248, 323, 355.
Morandi, C., 111, 116, 144, 185, 261, 303, 312, 313.
Morandi, R, 198, 199, 240. Morazé, C., 343.
Morelly, 117. Morgagni, G., 174. Morghen, R.,
145. Mori, G., 11, 34. Mornet, D., 241.
Moro, R., 8, 263, 268, 295. Morra, U., 278, 295, 298,
299, 302, 318, 358. Mosca, G., 59, 82, 114. Mosé,
137. Motta, M., 329, 336, 347, 360, 367. Mounier,
E., 347. Muratori, L. A., 251, 252, 325. Murri, R., 26,
176. Muscetta, C., 74, 100, 284, 286, 293, 296, 306, 310,
311, 314, 316, 318, 319) 320, 321) 322, 323, 355, 358, 374.
Mussolini, B., 15, 16, 33, 36, 37, 45, 46, 50, 54, 55, 60, 64,
65, 77, 78, 79, 83, 84, 85, 87, 94, 129, 141, 146, 159, 186, 187,
188, 225, 228, 232, 235, 259, 319, 321, 336, 367. Nallino,
C., 56. Napoleone III, 86. Napoleoni, C., 226. Natoli, G.,
280. Needham, J., 360. Negri, A., 114. Negri, G., 159.
Negri, L., 245. Nenni, P., 355. Neri, F., 238.
387 Indice dei nomi Nevins, A., 343. Newman, J.
H., 349. Newton, I., 174, 293. Niccoli, M., 138, 139, 144.
Nicolini, F., 114, 145, 146. Nietzsche, F., 349. Nitti, F.
S., 20, 23. Nobili Massuero, F., 29. Novalis, 317.
Nulli, S. A., 347. Odoacre, 119. Ojetti, U., 24, 34,
42, 48, 55, 56, 136 Olivetti, G., 353. Olivo, A.
M., 281. Omodeo, A., 16, 67, 68, 69, 70, 76, 132, 133, 134,
135, 136, 137, 140, 141, 145, 146, 172, 194, 199, 212, 250,
256, 295, 296, 297, 298, 299, 303, 304, 305, 312, 313, 318.
Onofri, F., 308, 332, 334. Operti, P., 201.
Orano, P., 167. Osimo, V., 172. e N. 111, 112,
113, 121, Ovidio, 152. Owen, R., 108. Paci,
E., 265. Pagliaro, A., 58, 133. Pajetta, E., 248.
Pajetta, G., 301. Palacio, J. M., 221. Palazzi, F., 163.
Palazzolo, V., 326. Palla, M., 11. Palmarocchi, R., 140.
Pannunzio, M., 48, 288. Papa, È. R., 49. Papa, F., 344,
Papini, G., 167, 174. Parente, A., 267. Pareto, V., 82, 218, 225,
226. Paribeni, R., 25, 26. Parodi, T., 276. Parri, F.,
309. Pasquali, G., 134. Passamonti, E., 259. Pastonchi, F.,
163. Pastore, A., 169. 388 Pater, W.,
271. Pavese, C., 193, 203, 238, 245, 270, 271,
278, 287, 288, 289, 317, 321, 322, 328, 335, 336, 350,
352, 395, Pavlov, I. P., 281. Pavolini, A., 316.
Peano, G., 281. Pellegrini, C., 198. Pelster, F.,
138. Pende, N., 56. Pepe, G., 139, 255, 270, 299,
300, 310, 311. Peroni, B., 243. Perosa, S., 247.
Perrotta, G., 239, 305. Perticone, G., 321.
Pesante, M. L., 7. Pétain, H. P.H., 270.
Petrarca, F., 124. Petrini, D., 198. Petrucci,
A., 197. Pettazzoni, R., 59, 67. Piazzesi, G.,
346. Picasso, P., 278. Piccardi, L., 319.
Pieraccini, G., 333. Pieri, P., 298, 306, 312, 313.
Pierson, N. Ga 352. Pietro il Grande, 231. Pigou,
A.C., 216, 226, 230. Pincherle, A, 52, 58, 68, 69, 70, 72,
135, 140, 141, 142, 182, 238. Pintor, F., 63.
Pintor, G., 246, 284, 285, 289, 293, 308, 310, 311, 314, 319,
320, 321, 322, 323, 328, 342, 350, 374. Pio XI, 256,
265. Piovani, P., 75. Pirandello, L., 163.
Pirenne, H., 270. Pisacane, C., 295, 308, 309, 310.
Pivano, F., 280, 281, 317. Pivato, S., 131.
Pizzetti, S., 88, 98, 121. Planck, M., 281, 293.
Platone, F., 233, 356. Poggi, À., 165, 190, 290.
369, 374, 296, Pogliani, A., 26. Pogliano, C.,
281. Polese, P., 253. Polledro, A., 198, 201, 278. Pomba, G.,
40, 153. Porena, M., 127. Porzio, G., 296. Pozzani, S.,
219. Pratolini, V., 279, 280. Praz, M., 239. Preziosi, G.,
77, 93. Prezzolini, G., 24, 27, 29, 35, 37, 44, 158, 163,
173, 174, 181, 182, 184, 187, 188, 247. Proudhon, P. J.,
308. Proust, M., 278, 342. Pseudo-Dionigi, 372. Pugliatti,
S., 93. Puskin, A. S., 317. Quadrotta, G., 160.
Querealpiti Candia, P. A., 287. Quazza, G., Quinet, E.,
2 ‘325. Racca, V., 226, 227. Racinaro, R., 82.
Radet, G., 304, 305. Ragghianti, C. L, 318, 341.
Ragionieri, E., 7, ‘11, 35, 111. Rago, M., 324.
Ramat, R., 253, 309. Ranchetti, M., 11, 371.
Ranfagni, P., 131. Rapisardi Mirabelli, A., 232.
Rathenau, W., 311. Ravà, A., 170. Reed, J., 342,
363. Reichlin, A., 285. Rémusat, C.-E. de, 289.
Renan, E., 271. Renouvin, P., 244 Rensi,
191, 197, 347. Rensis, C., 145. Repaci, F. A., 207, 236.
Revel, B., 304 Ricardo, D., 212. Ricci, C.,
28. Ricciardi, R., 173. Ricciotti, G., 78, 135,
145. Ricuperati, G., 242. Rigola, R., 221.
G., 164, 170, 187, 190, Indice dei nomi Ripellino, A.
M.,, 331. Ritter, C., 347. Riva, Gi, ds.
Rizzoli, A, Robbins, sm TA 225, 226, 232, 233,
352) Robespierre, M.F.I., 118. Robotti, P., 196.
Rocco, A., 46, 85. Rodano, F., 320, 336, 341, 347, 355,
365, 367. Sola N., 119, 121, 127, 134, 296.
Romagnoli, E., 163, 181. Romagnoli, S., 346. Romagnosi,
G. D., 178. Romanelli, R., 7. Romano, A., 308, 309,
310. Romano, P., (cfr. Alatri P.) Romano, R.,
209. Romano, S., 55, 56. Romeo, R., 126, 209.
Roosevelt, F. D., 223, 225, 336. Ropke, W., 350, 351,
352. Rops, D., 264. Rosa, E., 58, 64, 68, 142.
Rosada, A., 104. Rosada, M. G., 172. Rosselli,
A., 251. Rosselli, Ci 109. Rosselli, N, 189,”194, 203,
204, 205, "250, 251, 309, 310, 320, 343. Rossi,
A., 32. Rossi, E., 33, 192, 233, 302, 350, 352.
Rossi, L., 89. Rossi, M G., 8. Rossi, M. M., 266,
268, 291, 304. Rossi, P., 32, ‘65. Rossi, Vv. 28, 29,
240. Rossi Doria, M., 320. Rossini, G., 131.
Rostovzev, M. U., 210. Rota, E., 126, 134.
Rousseau, J. J., 88, 95, 101, 104, 108. Ruffini, E.,
89, 90. Ruffini, F., 59, 63, 204, 206. Ruggiero, A.,
227, 228. Rusconi, C., 306. 389 Indice
dei nomi Riissel, H. W., 347, 348. Russo, L., 29, 49,
58, 153, 154, 183, 184, 199, 212, 239, 240, 250, 251, 276, 278,
297, 304. Russo, V., 316. Saitta, A., 270, 310,
311. Saitta, G., 60, 68, 85, 129, 145. Salandra, A.,
25, 57, 59, 182. Salata, F., 55, 104, 138. Salinari,
C., 285, 332, 333, 334, 335, 341, 344, 345. Salomon, E. von,
311. Salvadori, G., 71. Salvadori, M. L., 114,
125. Salvatorelli, L., 194, 241, 243, 244, 245, 250,
251, 253, 254, 259, 257, 268, 274, 290, 300, 301, 304, 313,
314, 321, 333, 345, 355. Salvemini, G., 29, 54, 55, 57,
113, 181, 218, 312, 320, 343, 355. Santamaria, E., 160, 164,
165, 166, 178, 181, 183. Santangelo, P. E., 259, 260.
FADUBIANO: Don, (cfr. Muscetta .) Santoli, V.,
238, 239, 270, 277. Santomassimo, G., 7, 92, 94, 330,
352. Sapegno, N., 288. Saraceno, P., 352. Saroyan, W.,
315. Sarpi, P., 174. Sartre, TL P., 342. Sasso, G. , 239,
300. Savonarola, Gi 140, 176. Sayers, M, 361. Sbarbaro, C.,
278, 287. Scaduto, M., 65. Schiavi, A., 231, 303, 307, 308.
Schipa, M., 58. Schlesinger, R., 364. Schlosser, J. von, 147, 148.
Schopenhauer, A., 290. Schumpeter, J. A., 227, 352. Schwarz, S. M.,
352. Scialoia, V., 28. Scoppola, P., 8, 131, 160. Selmi, N.,
11. Semeria, G., 138. 242, 252, 265,
302, 390 Sereni, E., 237, 359, 357, 359, 360,
361, 362. Serra, R., 163, 173, 239. Serri, M.,
285. Sestan, E., 98, 116, 119, 124, 125, 253, 270.
Setti, G., 173. Severi, F., 281. Sforza, C., 320,
355. Sgroi, C., 259. Shaftesbury, A. A. C., 291.
Silva, P., 56, dr pe 181. Simonetti, M, Sismondi,
I. C. T , 206, 208. Slataper, Ss, 287. Smith, A., 212,
218, 228. Solari, G., 73, 91, 100, 101, 102, 103, 104, 127,
220, 290. Solari, L., 240. Solari, P., 214.
Soldani, S., 11, 112. Solmi, A., 120, 159, 254.
Solmi, S., 238, Sombart, W., 98, 100. Sonnino,
S., 213. Sonzogno, E., 172. Sorel, G., 106, 110, 168,
221, 241, 243, 244, 264. Spadolini, G., 253.
Spaini, A., 278, 280. Spampanato, V., 134, 171.
Spann, O., 216. Spaventa, B., 95, 170, 171.
Spellanzon, C., 219, 297, 312, 313. Spencer, H., 349.
Spengler, O., 243, 244. Speranza, I., (cfr. De Luca G.)
Spinelli, A., 320. Spini, G., 223. Spinoza, B.,
104, 190. Spirito, U., 14, 75, 80, 81, 84, 85, 87, 92, 93,
94, 95, 96, 97, 98, 101, 103, 117, 147. Spriano, P., 17, 24,
127, 156. Sraffa, A., 147. Sraffa, P., 352, 362.
Stalin, J., 231, 358, 362. Stein, G., 278, 279.
Steinbeck, J., 200. Steiner, R., 264. Stille, U.,
(cfr. Kamenetzki, M.) Stirner, M., 348. Storoni
Mazzolani, L., 271. Strada, V., 22, 127. Stringher, B., 25,
26, 34, 59. Stuart Hughes, H., 21. Stuparich, G., 287, 288.
Sturzo, L., 333, 355. Succi, P., 311. Tacchi Venturi,
P., 58, 64, 65, 67, 68, 69, 77, 132, 138. Tagliacozzo, A.,
361. Tagliacozzo, E., 213, 250, 253, 257. Talleyrand,
C. M., 261. Tardieu, A., 244. Tarnlé, E. V., 198.
Tarozzi, G., 164, 174, 181, 184, 187, 290. Taylor, O.
H., 227. Telesio, B., 171, 174, 178. Teodori, M.,
223. Testoni, S., 82, 87. Thackeray, W. M., 271.
Thaon di Revel, P., 55. Thierry, J. N. A., 295.
Thiess, F., 262. Thode, H., 122. Tilgher, A., 42,
164, 170, 182, 197. Timpanaro, S., 181. Tocco, F., 104,
107, 160, 170, 171. Todaro-Faranda, M., 195. Toffanin,
G., 348. Togliatti, P., 7, 35, 75, 194, 330, 333, 335, 351,
352, 354, 355, 356, 357, 358, 360, 361, 362, 363, 372, 373.
Toller, E., 315. Tolstoj, L., 176, 177, 202, 271, 280,
317. Tomasi, T., 37. Tommaseo, N., 275, 276, 317.
Toniolo, G., 7. Tornimparte, A. (pseudonimo di
Ginzburg, N.) 288. Torrini, M., 11, 165. Tortorella,
A., 285. Tortorelli, G., 156, 287. Tosi, L., 27.
Toynbee, A. J., 359. Tramontano, R., 137.
Tranfaglia, N., 9. Travi, N. (pseudonimo di Ventu- ri
L.) 79. Treccani, E., 219. Treccani, G., 20, 23, 25,
31, 32, Indice dei nomi 33, 34, 38, 39, 40, 41, 42,
43, 48, 51, 53, 54, 55, 56, 62, 64, 65, 66, 67, 74, 76, 83.
Treitschke, H. von, 318. Trevelyan, G. M., 303, 305.
Treves, E., 19, 34. Treves, Paolo, 254. Treves,
Piero, 26, 165, 182, 239, 305. Trevisani, P., 157.
Tricomi, F., 281. Troeltsch, E., 349. Troilo, E.,
167, 168, 169, 170, 174, 177, 178, 179, 181. Trombadori, A.,
284. Trompeo, P. P., 71, 238, 277, 278. Trotzki, L. D.,
331. Truman, H. S., 352. Tumminelli, C., 34, 48, 55,
70. Turati, F., 62, 182, 187, 307. Turchi, N.,
182. Turgenev, I., 177, 202. Tutgot, R. J., 108.
Turi, G., 9, 38, 194, 271, 299. Turiello, P., 213.
Vacca, G., 181. Vaccari, A., 68, 136, 137.
Vailati, G., 168, 169. Valente, A., 296. Valeri,
N., 251. Valiani, L., 253. Valitutti, S., 99.
Vallecchi, A., 34, 157, 200. Valli, L., 169.
Varisco, B., 166, 169, 179, 184. Vasoli, C., 65.
Vaudagna, M., 223. Vecchietti, T., 303. Vecchio,
G. del, 86. Venturi, F., 127, 213, 308, 320, 323, 324, 325,
343, 374. Venturi, L., 79, 253, 295. Venturini, L.,
45. Verri, P., 252. Vian, N., 71 Vico, G.
B., 106, 127, 169, 170, 171, 219. Vidari, G., 245.
Vieusseux, G. P., 153. Vigliani, L., 288.
Villari, P., 213. Villat, L., 260. 391
Indice dei nomi Vinciguerra, M., 255, 261, 298, Wallace, H.
A., 228, 229, 230, 303, 319, 321. 336, 352, 353, 364.
Visconti, F. M., 251. Weber, M., 98, 100, 307, 349. Vita Finzi, P., 189.
Welles, S., 336. Vitichindo, 242. Werth, A., 345. Vittoria,
A., 284. Wetter, G. A., 359, 360, 364. Vittorini, E., 200, 204,
315, 319, Whitman, W., 248, 278. 322, 327, 328, 329, 330, 332, Wick,G.C.,
281. 334, 335, 336, 338, 339, 341, Wicksell, K.., 217. 342, 346,
352, 357, 367, 374. Wicksteed, P.H., 226. Vittorio Amedeo II, 120.
Woolf, S. J., 208. Vittorio Emanuele III, 54, 276. Wotan, 242.
Vivanti, C., 12. Volpe, G., 15, 21, 22, 33, 38, 41, Yugow,A.,
352. 51, 56, 57, 58, 63, 64, 71, 72, 87, 110, 111, 112, 113, 114,
118, Zaccaria, G., 101. 119, 120, 121, 122, 123, 125, Zama,P. 276.
126, 127, 128, 134, 138, 146, Zancan, M., 335. 147, 190, 194, 221, 249,
250, Zanella, E., 221. 251, 253, 254, 306. Zangheri, R.,
344. Volpicelli, A., 81, 89, 92, 96, 98, Zangrandi, R., 345,
101. Zappa, P., 323. Volpicelli, L., 112. Zdanov, A., 362.
Volta, A., 175. Zibordi, G., 221, 307. Voltaire, F. M. Arouet de,
243, Zini, Z., 189, 238, 244. 274. Zoccoli, E., 161, 162. Volterra,
V., 25, 26. Zveteremich, P., 329. 392 Indice del
volume Introduzione II. III.
Ideologia e cultura del fascismo: l’« Enciclo- pedia italiana
» 1. Il 3 gennaio 1925 e la ricerca del consenso. - 2. Il
progetto di Martini e Formiggini. - 3. L’in- tervento di Treccani e
Gentile. - 4. Lo « specchio fedele e completo della cultura scientifica
italiana ». - 5. La « politica di conciliazione » di Gentile. - 6.
I collaboratori e le proteste del fascismo estremista. - 7.
L’ipoteca cattolica. - 8. Il controllo del regime. - 9. Le voci politiche
e l’ideologia del fascismo. - 10. L’assimilazione dei « competenti »:
Gioele So- lari e Rodolfo Mondolfo. - 11. Gentile, Volpe e il
nazionalismo storiografico. - 12. Le voci religiose: presenza e
conflittualità dei cattolici. A.F. Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo 1. La parola, veicolo di « fraternità
universale ». - 2. Positivisti, modernisti, socialisti. - 3. Intenti
di- vulgativi. - 4. Una cultura « al di sopra della mi- schia ». -
5. La sconfitta di un’illusione e una tenue « resistenza ».
I limiti del consenso: le origini della casa edi- trice Einaudi
1. Iniziative editoriali negli anni ’30. - 2. L'ideologia
conservatrice di Luigi Einaudi. - 3. L’impronta libe- rista sulla casa
editrice. - 4. «La Cultura » e la tradizione gobettiana. - 5.
Storiografia e impegno civile. - 6. « Cultura della crisi » e
spiritualismo. - 13 151 193
393 7.Una cultura eclettica: i « Saggi ». - 8. La « svolta »
della guerra e i collaboratori « romani ». - 9. L’anti- conformismo
storiografico e l’« Universale ». - 10. I quarantacinque giorni, la
Liberazione e il Fronte della cultura. - 11. La ricerca di un nuovo
orienta- mento e l’eredità del passato. - 12. La rottura dell’u-
nità antifascista e il rapporto col PCI. Indice dei nomi
394 p. 379 Finito di stampare nel novembre
1980 dalle Grafiche Galeati di Imola ‘Gabriele Turi
IL FASCISMO E.IL CONSENSO: DEGLI INTELLETTUALI
Questo; Volume offre‘ Un. contributo ui grende interesse alla storia
detla ‘cultura italiana del. ‘900, -ana:izzando aleini: momenti. di ”
gregazione culturale particolarmente. rilevanti, ta' iatnascitale la
caduta del fascismo. — la fondazione: (dell’è@Enciclopedia-italiana»,
Pattività\edi‘origle di A. Formiggini, la nascita della ‘casa’ edi trice.
Einaudi — chevpetmettonò i; collegare significativamante gli Itinerar di’
singoli intellettuali con Je vicende politiche ‘delipaese e di
individuare, anche negli anni. del‘ regime, accanto «a condi:
zionamenti;»autocensure e compromessi, il. permanere oil inuscere di.
«schieramenti » i! cui significato «non ‘è' soltanto. culturale, ma
anche: politico. L'« Encicloped'a italiana»; fondata nel: 1925: sotto la
direzione.ci Giovanni Gentile e con la collaborazione dil'intetlettuali
anche_antirascisti, testimonia i esistenza di-una cultura fascista; sia
pur. eclettica e forlsmente condizionata dalla ‘presenza: cattolica MAt-
torno-alla casa. editrice. Formiggini si erano. raccolti, «fin. dal 1908,
intellettuali di formazione. positivistache cercheranno diresisiere alia
politica culturale del. regime appellandosi ad. una ormal’illù-
soriavautonsmia della cultura. Nella casa. editrice fondata da -Giu- lio
Einaudi, infine; ii liberalismo. conservatore*‘di . Luigi Einaudi
convive.negli ‘anni; ‘30. con l'orientamento di intellettuali. legati a
«{iustizis © libertà» e,vin seguito, con orientamenti: di matrice:
azionista e. comunista: che. prevartranno. nettamente nel'-1945— con
la-presenza delle forti personalità di Pavese; Vittorini, Canti- moti,
Balbo « Bobbio — cercando’ di dar vitava un ampios«fronte de:'atcultura
+» destinato (a. dissoiversi nel 1947 con la rottura dele
l'unità-antifascista, Indice» dsl volume: Introduzione.
-tIdeologia «e. cultura: del'fa- scismo:nl-Enciclopedia. italiana #6 2,
A. F. Formiggini» un. editore trasocialismo e fascismo, - 3, I-limiti
déell'consenso: le origini: della casa editrice Einaudi.
Gabriele. Turi insegna a Firenze..Storia dell'Italia’ contemporanea nella
Facoltà: di ;Lettere e Filosofia. Ha studiato! periodo della riforme
‘setteceritesche e. dell'occupazione francese in, Italia; «pub- blicanido
nel:1969 il volume « “Viva Maria”, La reazione alle riforme
leopoldine--(1790-1799)-».-Da ‘alcuni ‘annicsi occupa della*cultura ita-
liana del "90%, ema sul auzls ha prbblicato diversi Contributi. Gak
labora alle riviste Studi scoricì..; « Movimento onsraio e socia lista» e
« [talia contemtoranea a, Prezzo:Î, 15.000 (i.i.) ©0GO Fabrizio
Desideri. Desideri. Keywords: consenzienti -- consentire, “i consenzienti del
bello” – perizia del bello – imago imaginis – il bello -- costellazione
griceiana, aporia, il riflessivo, l’esperienza del bello, il sentire, sensum,
sentiens, sensus, sentire e esperienza, esperimentare, esperienzare, emozione,
giudizio, giudicare, espressione dell’emozione, contenuto proposizionale, il volitum,
il co-sentire del bello, Grice, Sibley, meta-property, second-order property,
aesthetica, Sibley on Grice, Scruton on Sibley on Grice, aesthesis, sensus,
senso, consensus ------ -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Desideri” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51765846162/in/dateposted-public/
Grice e
Diacceto – il convito -- i tre libri d’amore – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “I love Cattano – Amo Cattani – who
philosophised so avidly on ‘amore’ – in fact, he philosophised in three
different ‘symposia’: ‘primo simposio,’ ‘secondo simposio’ and ‘terzo simposio’
– and so outdoes Plato by far!” Figlio di Dionigi Cattani di Diacceto e Maria
di Guglielmo Martini. Suo padre era uno dei tredici figli del filosofo
Francesco Cattani da Diacceto, chiamato il Vecchio o il Pagonazzo per
distinguerlo dal nipote. Divenne un canonico della Cattedrale di Santa
Maria del Fiore a Firenze. Protonotario apostolico. Nominato vescovo di
Fiesole, dopo il ritiro dello zio Angelo Cattani da Diacceto. Durante la sua
carica, termina la costruzione del monastero di Santa Maria della Neve a
Pratovecchio, già iniziata da suo zio. Restaurò l'Oratorio di San Jacopo a
Fiesole e la Chiesa di Santa Maria in Campo a Firenze, e supervisa i lavori di
restauro del Duomo di Fiesole, progettando la forma dell'abside. Studiò diritto
continentale e frequentò l'accademia fiorentina. Filosofo prolifico. Pubblicò
le opere, in latino e in italiano, di suo nonno e incarica Varchi di scrivere
la sua biografia, che fu pubblicata assieme a Tre libri d’amore e un panegirico
all’amore del vecchio Cattani a Venezia. Altre opere” Gli uffici di S.
Ambruogio vescovo di Milano: in volgar fiorentino (Fiorenza: Lorenzo Torrentino);
“Sopra la sequenza del corpo di Christo” (Fiorenza,: appresso L. Torrentino); “L'Essamerone
di S. Ambruogio tradotto in volgar fiorentino” (Fiorenza: Lorenzo. Torrentino);
“L’autorità del Papa sopra 'l Concilio” (Fiorenza: appresso i Giunti); “Instituzione
spirituale utilissima a coloro che aspirano alla perfezzione della vita”
(Fiorenza: Giunti); “L'Essamerone” (Fiorenza: appresso Lorenzo Torrentino); “La
superstizzione dell'arte magica” (Fiorenza: appresso Valente Panizzi &
Marco Peri). I tre libri d'Amore, filosofo et gentil'hvomo fiorentino, con un
Panegerico all'Amore; et con la Vita del detto autore, fatta da M. Benedetto
Varchi (In Vinegia: appresso Gabriel Giolito de' Ferrari). Ricerche su Diacceto:
Cultura teologica e problemi formativi e pastorali. Firenze: Università degli
Studi di Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia. Dizionario biografico degli italiani.
FRANCISCI CATANEI DIACETII PATRICII FLORENTINI IN DIVINI PLA. tonis Sympoſium
Enarratio ad Clementem VII.Pont.Max. Amoremdiftinguit atq, definit,antequam rei
explicatio nem aggrediatur. رازدا (1 Ntequam Sympoſi enarrationem aggredia mur,
operæprecium eſt uidere, quid perA morem ſitnobis intelligendum. Secus enim
fieri nequit, ut diuinú Platonem de Amore diſſereniem intelligamus. Solec
itaqduplici capite definiri. Autenim pingui Mineruade, finitur, aut exacta
quadam ratione. Siqui dem pinguiMinerua,omnis appetentia, quæ cungilla
ſit,Amorrectèdici poteſt. Sinautē exacta ratione, Amor eſt deſiderium
perfruendæ &effingendæ pulchritudinis. Quapro pter quot ſunt appetitus,
totidem elle amores neceſſe eſt. Atqui ue rum efficiens propter intimam
fæcunditatem appetitextra fe effice re:appetit quoqz ſeruare quodeffecerit.
Vnde & diuinus Iohannes Omnia,inquit,per ipſum facta ſunt, & feorfum ab
ipſo nihil, quod factum eſt:ſignificans,non ſolùm ex Deo, ideft,ex uero
efficiente res effe,uerumetiam eaſdem citra dei auſpicia nihilfieri. Dionyſius
quo que Areopagita ſplendor Chriſtiane theologię, Amor, inquit,entiū auctor,
cùm lupereminenterin bono antecederet,minimèpaſſuseſt ipſum in ſeipſo manere,
quaſiſterile lit: ſed ipſum impulit ad opus ſe, cundùm exceſſum omnia
efficientem. Seruat autem propterea om nium cauſa,beneficio fupereminentis amoris:
quandoquidem non fimplici prouidentia extra ſe procedens ſingulis entium
immiſcetur. Quapropter quidiuinorum peritiſunt, Želotem ipſum appellant, quaſi
uehementem entium amatorem. Acuerò &res ipfæ femper in auctorem
reſpiciunt&conuertuntur, proindeqz afiectantipſi adhæ rere: Adheſionem enim
ultima conſummatio fequitur.Huncautem appetitum ſiquis furorem amatorium dicat,
recte appellauerit. Non folùm uerò inferiora in auctorem femper propenſa ſunt,
uerume tiam quæ funt eiuſdem ordinis ſeipfa mutua quadam charitate com
plectuntur. Simile enim ſimili ſemper adhæret,utinuetere prouer bio eſt. Hoc
autem propterea euenit, quoniam fimilitudo ſeruat ab foluités,diſsimilicudo
uerò contrarium efficit, Quapropter diuinus N 146 FRANCISCI CATA NEI DIA ČETI
Hierotheus in hymnis amatoris,Amorem,inquit,fiue diuinum, li ueangelicum,fiue
intellectualem, ſiue animalem,ſiue naturalem dixe ris,unificam quandam
conciliantem facultatem intelligimus, qua fuperiora ad inferiorum prouidentiam:quæ
ueró funt eiuſdemordi nis, ad mutuam quandamcommunionem:inferiora uerò ad
fuperio rumconuerſionemmouentur. Verùm huncappetitum, qui poftre mòrebus
aduenit,aliuslongè antecedit, rebus adueniens inter exor dia.Principio quidem
diuina ſtatim quàm ab auctoreſunt; in partes proprietates eſſentiales procedere
concupiſcunt. Diuina enim a. &tusprimiſunt; horum uerò abſolutio ſua
functio eſt.Conftantenim diuina exagente potentia, ac ſua functione, quafi ex
calefaciendi fa cultate calefactionecipfumactu calefaciens. Atqz in huncſenſum
lo cutus eſt Plato in 10.Libro Reip.dicens,diuina feipfa efficere.Signi ficat
enim ex primo fecundoğactu diuina conftare. Quod etiam len fiſſe Ariſtotelem,ex
his quędicuntur in undecimo Rerumdiuinarū, perſpicuum
eſt.Intellectus,inquit,actus eſt. Actus autem per fe illius uita optima
&fempiterna. Dicimus autem Deum eſſe animal ſem. piternum optimum. Quare
uita &æuum continuum & æternum ineſtdeo. Ineft quod & materiæ primæ
appetitus ad formam: qui quidem amordici poteft,quandoquidem merito formæ
boniipfius particeps fit.Eft & alius appetitus, quo res compoſitæ ſibiipfæ
cohæ reſcere amant, optimus eorum conciliator, quæ natura diſsident. Quemſagax
naturæ interpres ſedulò obſeruans, non dubitat capta to cæli fauore poſſe rerum
aſymmetriæ, quæfitex materia, mederi. Virenim naturæ ſtudioſus, quaſi Lunam è
cælo in terram carmini: bus trahens,uim animæ facilè ductilis,utinquitPlotinus,
per cælum generationi inſinuat. Quægeneratio ueluti excuſſo morboin fuam
integritatem farciri poteft.Dehis latius in ſequentibus agendum no biseſt. In
plenumappetitio omnis qua bonum ſibi res adeſſe cupi unt, amor dici poteſt,ſiueappetitus
inanima, ſiuealibiſit, ſiue artis, ſiue uirtutis,ſiue ſapientiæ, ſiue
cuiuſcunqz alterius. Hactenus de eo amore, quipinguiquadam Minerua nuncupatur.
Amor autem qui exacta ratione dicitur,primò quidem diuinæ animæineft, fi
Plotino credimus. Pulchritudo enim in intellectu primùm apparet. Siigi tur
amoror pulchritudinem ſequitur,reſtat utanimæ primò inſit: quæ quidem
intellectui deinceps eſt. Affectat autem anima diuinam pul. chritudinem uſqz
adeo impotenter, ut aliquid pulchrum in fe effi. ciaț. Sed nos longè aliter
diuinum Platonem interpretati, credimus primum amorem cum prima pulchritudine
maximè natura con iunctum eſſe. Quapropter cùm primapulchritudo intellectui
infit, eidem quoq ineſſe amorem; habere autem originem ex intelligen tia, IN
SYMPOSIUM PLATONIS ENARRATIO, 147 tia,quandoquidem appetentia omnis fequitur
cognitionem. Atue rò diuina anima gemino amore, nonaduentitio quidem&
acciden tario, ſed euidenti &intimo prædita eſt. Nam&perfrui
pulchritudi ne,eandemớper modumſeminis & naturæ in ſeipſa exprimerecon
cupiſcit: & in materiamtransferre affectat idearum participationes. Sed de
his in primo &fecundo libro de Amore ſatis abundèdiſſerui mus, &in
ſequentibus uberrimèdiſleremus. Animaquoquenoſtra præter hos amores dupliciter
in pulchrum aliquod uehementi deli derio inhæret,uelgratia pulchræ prolis
procreandæ, quali pulchrū in pulchro procreari oporteat (atąhicamoranimam in
generatio nem deorſumą trahit )uel gratia recuperandæ ueræ pulchritudinis,
quamdeſcendens nimia generationis cupiditate amiſerat. Quicun que igitur
ſpectaculo ſenſibilis pulchritudinis rectè utitur, is profe. étò
facillimèrecuperat alas, quibus ad diuinam pulchritudinem at collitur.
Rectèigiturimmortales,ut inquit Homerus, Amoremap pellarunt Alationem:
quandoquidem amore in diuinum rapimur. Expoſitio primifermonis,qui Phadrieft:
Actenus declaratūeſt quid ſit amor, pingui Minerua, quid fit exacta ratione
nuncupatus. In præſentia uerò reftat uc Phædri ſermonem aggrediamur, in quo
Phædrus non de eo qui proprièeſt Amor, ſed deeo potius appecitu, qui rebus adue
nitinter exordia,principiò uerba facit. Cornumèrans uerò ea com moda, quibus
amoris beneficio participamus, in eum tranſit amo rem, quiab umbratili, Auxaſ
pulchritudine ad ueram pulchritudi nemnos reuocat.Sedagèdum uideamus,quid
Chaos, quid Terra, quid Amorfit,tum in mundo intelligibili,tum in
anima,tuminmun do ſenſibili,in quibus hæcinueniuntur. Verumàmundo intelligibi
liexordiendum eft,modò priusconſter,Chaoseſſe ubiqellentiæru ditatem:
Terramuerò effentiæ firmitatem: Amorem autem eſſe Ap petitum. Plato in Philebo
dicit,primòelle perſeunum ſiue Deum, ab ii. lo fuere Terminum&Infinitum,quartum
eſlemiſtumex his,quod dicitur per fe ens. Ego uerò Plotinum ſequutus, non puto
Termi num & Infinitumelleduas ſoliditates ſuprà ens,quemadmodúcom
miniſcitur Syrianus & Proclus:fed quod àperfe uno primo profuit; quà
eſtactusprimus,& aliquid in fe,dici Terminuni, quoniam eſt quiddefinitum ac
terminatum: quà uerò eſt actus primus, habens po teſtatem agendi,acper actionem
perfici debet,dici Infinitum: quate nus utrung ſimul complectitur,diciEns.
Quocirca rectè à Placone. er N 2 148 FRANCISCI CATANEI DIACETII
miſtumappellatur, quoniamtermini &infiniti naturaper fe habet. Chaosigiturin
mundointelligibili nihil eft aliud, quàm miſtumex termino ac infinito, id eft,
ipſum per feens,quod ratione poteſtatis dicitur,perfectioniobnoxium. Poftchaos
eſt Terra, quoniam ens ipfum, quodeftchaos,ſtatim fequitur ſtatus deſignatus
per Terram. NamutPlato docet in Sophiſte,mundusintelligibilis conftat exel
ſentia,ftatu,motu,eodem, diuerſo. Status autê nihil eft aliud, quàm firmitas,
per quam fingula manent idipſum quod funt. Quamo brem autemfirmitas
eſſentiædeſigneturperterram, paulo poſt de. clarabitur. Poft terrameft amor:nam
ens ipſum cùm fit actus pri: mus, perficitur perintimam actionem,quieſt primus
&intimus mo tus,habens originem ab infinito ipſius entis, ficuti ſtatus
eſtà termi. no. Quapropterà Platone motus ponitur in Sophiſte tertium ele. mentum,utprius
ſitens, deindeftatus, deinde motus, id eſt, interior actio ipſius
entis,quæpropriè Vita dicitur. Vnde &Ariſtoteles in undecimo Rerumdiuinarum
actü per feipfius intellectus aſſeruiteſ ſe uitam optimam &ſempiternam.
Inter actionem ac potentiam a. gendi,medius eft agendiappetitus,principium
actionis.Namagen ti prius ineſtagendi facultas,deinde agere affectat,deinde
agit. Ecce igitur quomodo appetitus agendi mediumobtinet locum inter po tentiam
&actionem,cuius eſt principium.Nam potentia omnis, quç cunc ſit,deſiderat
appetitőz ſuum actum. Quod etiam euenitprimæ materiæ,ut Ariſtoteles ait. Sed de
his paulopoft. Rectè igitur dicta eſt, poſt Terram eſſe Amorem, id eſt, poſt
eſſentiæ firmitatem,qui propriè Status dicitur, efle principium intimæ actionis,
quæ Vita appellatur,cùm ſitprimus motus, cuius beneficio ensin ideas diſtin
Ctum eſt.Ex quo patet etiam quomodo amoranteceditdeos omnes, utinquit
Parmenides. Parmenides enim infueuit ſub Deorum appel latione ideas
intelligere. Nam ſiens diſtinguitur peruitam & motū intimum, Vitæ autem
appetituseſt principium, necefle eft appeci tumhuiuſmodi ideis eſſe priorem.
Recte igituramor,quieft appeti. tus,antecedit deos omnes, ideft,ideas. Sedut ad
terram redeamus,a nimaduertendum eft fecundùm Pythagoricos,ab ideis fuere mathe
mata, à mathematis uerò res naturalesnon: quod uelint res natura les ſecundùm
materiam &formameſſe à mathematis (licenim ſunt abideis )ſed uoluntà
mathematis eſſe figuras rerum naturalium, qui busconftituuntur. Proinde
mathemata appellantur à Platone ob ſcura intelligibilia,quoniam pendent ab
ideis, quæ funt clara intelli gibilia:ſicuti corporum imagines & umbræ,quæ
funt obſcura ſenſi bilia,à corporibusnaturalibus pendent,quæſunt ſenſilia clara.
Sed de his latius in fexto de Rep. Rectè igitur ex proprijs figuris rerum natu.
1 349 IN SYMPOSIVM PLATONIS ÉNARRATIO. FC naturalium Placo in Timæodeſignat
earundemingenium. Propte: reaignem & terram ac cæteraid genusex triangulis
componit.Ari ſtoteliquoqs placet,naturalianon ſine accidentibus quibuſdam de.
finiri, quemadmodum patet in quinto Primæ philofophiæ, quem iuniores fextum
exiſtimant. Idem quoque aſſerit Plotinus. Sed quorſum hæc:Nempeutintelligamus,
per proprias rerum natura lium figuras delignari rerum ipfarum naturam. Atqui
palàm eſt, teſ ſeramelle propriam terræ figuram, quæ ineptiſsimaeftad motum:
quo fit,ut recta ratione terraſignificet firmitatem. Quodetiamex eo conijcere
poſſumus, quoniam terrà tanquam immobilis eſt totius centrum. Vnde & Plato
in Phædro, Sola, inquit,in deorum æde manet Veſta. Siigitur terræ ſuapte natura
debeturteffera, terrauti que ſtabiliserit.Vnde &Plato in Timæo componit
folam teſſeram ex triangulisduum æqualium laterum rectangulis, ut eius oftendat
admotumineptitudinem. Verùm dehis fufius in Timæo. Terrai: gitur firmitatis
prærogatiuamubiq præ ſe fert. Hec quidem de mun do intelligibili. Animauerò ab
intellectu primo prodit, ſicuti intel: lectus ab ipſo perſeuno, fi Plotino
crédimus,ńső,quiPlotinum ſe cuciſunt,Porphyrio &Amelio, quanquam Syrianus
&Proclus alio ter fenciant. Dionyſius quoq & Origenes contendunt, ab
ipfo per ſeuno eſſe cummentem,tum animam,tum materiam, Chriſtianum dogma potius
quam Platonem ſequuti. Anima igitur cùm ſit ab in tellectu,ut inquit Plotinus,primofuzeproceſsionis
momento inſig. nis prodit idearum notis. Prodit quo® intelligendi prædita facul
tate Nam quemadmodum intellectus ab ipfo per feuno procedens inde fecum affert
unitatis participationem(quod ſummum eſtipſius intellectus, & quo ipſum per
ſe unum attingit) ſic & animam proce dens ab intellectu indeſecum affert
facultatis intellectualis idearum que participationem.Ergo anima primo ſuæ
proceſsionis momento habet idearum expreſsionem, habet & facultatem
intelligendi, qua non folùm intimasnotiones,uerumetiam ideas intueatur. Sic
enim intellectum auctorem exactè refert.Non continuò tamen perfecta a nimadici
poteſt,quandoquidem debet habere aliquid proprium ac ſuum.Atqui intellectus
etli primo ſuæproceſsionismomento per ſe unius participationeunum eft: per
intimam tamen ac primam actio. nem, quædicitur per ſe uita,cuius ope ſeipſum in
ideas diſtinguit, quaſi Geometria in ſua Theoremata,per ſe animal efficitur:per
in telligentiam uerò uitæ ſummum,përſe intellectus, ac mundusintel ligibilis.
Sic &in anima, quæ primo ſuæ proceſsionis momento fa cultate intelligendi
ideiső participac, quaſi cæra imprimentis ligno, intimailla prima ac ſua actio,
per quamfeipfam in rationes diſtin 3 1 N 3 150 FRANCISCI CATANEI DIACETII guit,
ac per quam propriè animadicitur,uita eſt participarò, mo. tus autemper
fe.Cuiusſummumeſt ſecunda participatione intelle, ctus, ratiocinatio autem
perfe. Quo fit,ut inſtar intellectus ſit orbi cularis. Intellectus enim
circulus eft. Dicitur autem propriè motus, quoniam fecum habet & tempus.
Quemadmodum enim primus motus eft in anima, ſic & primum tempus. Nec
quenquam pertur bet in eadem eſſentia animæ idearum participaciones, hoceſt, no
tionesipfas,acrationes formisrationeqz diſtinctas eſſe. Namintelle. ctus &
ratiocinatio in eadem anima, quorum alter in participacio. nesidearum,altera
uerò in rationes dirigitur,formæ quoque ratio nisis diſcrimen inter fe habent.
Differunt autem notiones à rationi. bus,quoniam notiones (ſicenim voipatæ
præanguſtia linguæ appel. lamus: ſicuti aéyous rationes ) tanquam impartibiles
acfimpliccs latent in penetralibus ipſius animæ, ſoliintellectui obuiæ.
Rationes uerò multiplices explicatæớz ſuntſimiles ratiocinationi, cum qua
habenc affinitatem. VtræQ tamen ſunt tum ſibiipfis,tum animæ ſubiecto i dem.
Intellectum, quianimæ ſuus eſt, Ariſtoteles appellat intelle. & tum agentem,ratiocinationem
uerò intellectum potentiæ,quidiui. duuseltacdiſcurſu agit.Omnes enim animæſuo
quæqmodo intel lectu auctoreacprimo participant,qui omnibuscomuniseft,in quo
tanğzin centro lineæ copulantur.Atqideft,quod rectè inquit The.
miſtius,deſententia Ariſtotelis,unum eſſeagentem intellectum illu minantem,illuminatos
autem ac ſubinde illuminantes complures. Vnum,inquam intellectum agentem,quoniam
eſt unus,qui reuera acprimò eſt:complures autem, qui ſunt animarū, illuminati
quidē, quoniãprimi intellectus particepes ſunt: illuminantes uerò, quoniã ex
his principia hauriunt potentiæ intellectus. Verùm de his alibi
exquiſitius.Ergo anima primo ſuæproceſsionis momento etli inſig. niseſt idearum
participationibus,etliprædita eftintelligendifaculta te,quoniam tamen nondūin
eam actionem prorupit,quain ſuas rati ones interius diſtinguitur,nondumin eam,
quaeaſdem.proſequitur perpetiambitu, quibus propriè anima cognominatur,Chaos
dici poteft.Eftenim Chaos,utdictum eſt,effentia rudis. HocautēChaos fequitur
Terra.Nam animæ eſſentia etſimotuieſt obnoxia (perpe tuò enim tum generatur,tum
interit,ut in Parmenide dictüeſt, quan doquidem motus repetita
quadãuiciſsitudine conficitur) ſemper ta menmanet,necmotudiſperditur. Amorautem
eſtappetitus prorū. pendi in motum: quo tum diſtinguitur in ſeipſa, tum etiam
abſolui-. tur.AmoritaQ cùmprincipium ſit racionā,rationes autem ſintidea rum
ſimilitudines,meritò dicitur deosantecedere.Hæc quidem dea. nima. In mundo
autem ſenſibili Chaos materia eſt,quam Platoin Ti inro IN SYMPOSIUM PLATONIS
ENARRATIO. 151 I. 11 mæo temere agitatam Auitantem appellat:materia,inquam,omni
no expers formæ,ſuapte natura, acſpuria quadam ratione cognobi lis, ut in Timæo
dictum eſt.Idautem nihil eft aliud, quàm cognobi lemeſſe per comparationem ad
formam,ut Ariſtoteles inquit. Hæc materia abeſtab omniperfectione, omnino deo
contraria, ut Plato ait, infimum ac fæx totius proceſsionis, infra quam
duntaxat ipſum nihil inuenias,principium omnis aſymmetriæ. Vnde& Plotinusi,
pſum per ſe malumappellauit. Huic nonnulli putant ineſſe poten tiam,perquam
formæ ſubijciatur.Sed mea quidem ſententia mace ria eiuspotentiaomninoidem
ſunt. Nam per defectum totius per fectionis eftunum: ſicuti deus perexceſſum
eſtunum.Ad hæc, condi tionis formalis aliquo modo particeps foret. Cùm igitur
ſit unum per defectum,eo quòd careat omni perfectione: erit etiam obnoxi
generis, cùm citra auſpicia formæ uel extrinfecus aduenientismane renequeat.
Profecto quaeſtunum per defectum, & cafus abente, di citurmateria: quàuero
eſt obnoxii generis,dicitur ſubiectum, pro pterea quòd ſubeſſe debet. Vnde
& Plato ueluti matrem appellauit in Timæo,eo quòdrecipiat. Ariſtoteles
quoçidem cognomentum materiæ tribuit,quando ſubeſt. Sic fortèmelius, quàm
utThemiſtio uiſumeft: cui placet,materiam eſſe earum rerum, quæ nondum faétæ
aut ortæ ſunt:ſubiectum uerò earum, quæ iam ſunt actu:quo fieri,ut materia fit
cum priuatione, ſubiectum cum priuatione non ſit. Sub iectum itaq dicit tum firmitatem,
tum etiã potentiam priuationém que.Firmitatem quidemdicit, quoniam ſubiectum
generationis ma nes,contraria uerò abeunt,ut Ariſtoteles inquit. Fitenimex aere
ig. nis, non quà eſtaer, ſed quàaccidit ei ut ſit aer. Potentiã autemdicit,
quoniam performã perfici poteſt: non enim fecus fit boni particeps: quo fit,ut
formam uehementiſsimèappetat. Eſt enim forma diuinū &bonum &appetibile,ut
Ariſtoteles inquit.Hisita perſpectis, pa. tet materiam,quà eſtunum,per
defectūtotius perfectionis eſſe Cha. os.Eius autem firmitas deſeruiens
generationi, Terraeſt. Appetitus autem formæ recta ratione amordici
poteſt.Rectèigiturdictum eſt, in mundo ſenſibili uia generationis primoeſſe
Chaos,deindeTerra, poſtea Amorem ſequi.Patetquocßex his ſententia Parmenidis. Nã
uia generationis,priorineſtmateriæ appetitusformæ, quàm forma. Forma autem ideæ
participatio eſt in materia.Quapropter ſiidea de usdicitur,fecundùm Parmenidem,
idegutiớparticipatio,hoceft,for ma,dicetur diuinum. Amorigitur,hoceft formæ
appetitus, Deosi plos,ideft,diuinas participacionesmeritò dicitur antecedere.
Dictú Auñ eft hactenus, quid GitChaos,quid Terra,quomodo amorſitantiquiſ N 4
152 *** * 1s cÌ CATANE1 DIA CETII fimus; atqid tumin mundointelligibili,tumin
anima, tum in mun do ſenſibili. Nunc uerò ea commoda uidenda ſunt, quæ ex amore
nobis eueniunt. Animaduertendumtamen eſt,uirtutes eſſe animæ noftræ
purificationes. Animaenim dumingenerationem delabitur,morta li hoc eđeno
inficitur, neglectis plerunq; diuinis, quorum cognata eft:quodin decimode Rep.
diuinus Plato indicat, dicens, animas quæueniuntin generationem, ſumpto potu ex
Amelita flumine ad CampumLethæumdeſcendere. Significat enim ex materiæ com
mércio animis alioqui diuinis ineſſe negligentiam obliuionemére. tum diuinarum.
Reuocatur igitur anima tumin ſui ipſius curam, tumin memoriam diuinorum,miniſterio
uirtutum,quarumbenefi. cio maculas abñcit, quibus ueluti inuſta erat propter
materiæ for. des.Vnde &Ariſtotelesin ſeptimo libro de Naturali auditu
dicit, perturbationes in nobis fedari quandoque natura, utpueris euenit, quando
@ ex alñs,ſignificans uirtutes, quarum opè perturbationes excutiuntur.Ergo
amorcauſanobiseft uirtutumomnium,quarum beneficio maxima bona conſequiinur, hoc
eſt, ipſam ſapientiam. Namſapientia ex moribus ſuſcipit incrementum.Veritasenimpræ
ſtò animæ fit per uirtutes expurgatæ, inftarauri quod igne defæca tur. Quod
& Ariſtoteles quo & clara uoce afſeritin ſeptimo deNa turali auditu.
Sedquamobrem amor uirtutum nobis cauſa eſt: An prior nobis ſénſiliū cognitio
ineſt approbatiocs, perinde ac libona fint: quo euenit, ut fiant expetibilia:
hanc fequitur appetitus(fierie nim nequit,appetitum nonexpetere idipfum, quod
ueluti bonum à ſenſu comprobatur )hunc ſequitur proſequutio. Appetitus enim
principiummotus eſt. Vnde&Ariſtoteles in tertio libro de Ani ma
progreſsioneni animalium imaginationi appetituig acceptam refert. Voluptas
autem profequutionis conſequutionisfruitioniſą eft finis. Illa igitur
uirtus,quæanimæ cum appécitu conſentienti mo dum legemő indicit proſequendi
expetibilis, Ciuilis appellatur. Quæuerò ita confirmat animam,Pombaiam
profequutionem abomi. netur, Purgatio. Atquæita defæcat, ut ab expetibili uix
commo ueatur, iure Sanctitas dicipoteſt. hæc nos deò nonhabenti uirtu tem, (ut
inquit Plotinus, alioquiflagits eſſet obnoxius:quodeti. din fatetur
Ariſtoteles, eiuső enarratorAlexander Aphrodiſiæus) hæc inquam, nos deo fimiles
facit. Vnde & Plato in Theäteto, Fu. ga, inquit, hinc ad deum, iplius dei
fimilitudo eft. Similitudi nem uerò iuſticia & ſanctitas cum prudentia præſtant.
His ita perſpectis, uidere poſſumus; quomodo amor uirtutum cauſa. lit. Quod
Phædrus adſtruere contendit. Pudor, inquit, reuo cans IN SYMPOSIVM PLATONIS
ENARRATIO. 23 3 3 čansnosà turpibus, præter hæc æmulátio ad honeſta
inultans,no-, bis fternit muniti uiam ad præclarè rectei uiuendum. Altera e nim
dū in honeſtis ſuperari neſcit, alter ueròeuitando extrema, ſem per habet ob
oculos mediocritatem.Quoeuenit, ut quicquid magni præclarię efficimus, horum
ope efficiamus. Quid aucem amore promptius aut in nobispudorem excitat, aut
ſuſcicatçmulacionem: Amorenimuel abiectiſsimum quemq,licgnauum reddit ad uirtu
tem conſequendam,ut numine percitus uideatur. Amorquoq;fica mans amatúmque
inſtruit,utnon æquè ſibi erubeſcendum ducant, quàmſialterum ab altero
ſcelerisacfocordiæ iure coargui poſsit. Ha ctenus adſtructumeſt, Amoremuirtutes
ciuiles efficere, atqz id fyl logiſmo &ratione. In præſentia uerò
adſtruendum,ex eodem quo que eſſe cum purgatiorias,tum etiam purgati animi
uirtutes: quarü beneficio ſapientiæ acfelicitatis participamus. Cuius quidem
rei Al ceſtidis atop Achillis fabula admonemur. Operæprecium uerò eſt noſſe
prius, animam trahi in generationem affectuuitæ ſenſibilis, cu ius lenocinis
impura redditur:aſcendere uerò ad diuina affectu uitæ intelligibilis, quæ
inprimisanimæpuritatê exigit. Vitæ quidem fen fibilis ſummumeſtopinabile,in quo
nihilconitantiæ,nihil firmitatis inuenias. Atuita intelligibilis ubiqueritatem
præſefert. Sed dehis latius agemus in fequentibus,ubi declarabimus, quid
aſcenſus deſcen ſusţzanimæ ſit, quid ſibi Plato uoluerit in decimode
Rep.dicens, a nimas in generationem deſcendere per Cancrum, per Capricornum
uerò ad diuina aſcendere. In præſentia uerò fatis ſitgeminum huncaf fectum
geminæquoquitæ nobis auctorem eſſe. Sed iam fabulæmy ſterium aggrediamur.
Alceſtis, inquit, Peliæ filia amans Admetum uirum,pro eo mori uoluit. Dijuerò
facinore delectati, eam ab infe ris in uicam reuocarunt. Alceſtidem puto eſſe
animam, quęiaminue ritatem incumbat. Admetum uerò credo ipfas eſſe ſenſibilium
notio nes, quibus anima ad uera intelligibilia excitatur: impuritate uerò
ſenſibilis uitæ impedita,eis rectèuti nequit. Quapropter ſenſibilem uitam
exuendam intelligit, quamfibi deſcendens in generationem induerat, alioqui
nunquam uoricompos euaſura. Hinceſt,quòd mo ri Alceſtis dicitur.Dij uerò in
uitā reuocarunt. Quandoquidem de. poſita ſenſibili uita, in ſuam puritatem
reſtituta eſt.Qua igitur mori tur, hoc eſt,quà exuit ſenſibilem uitam,
uirtutibus purgatorijsinniti tur.Namexuere uitam ſenſibilem,nihileft aliud,
quàm animam ita defæcari,ut ne ipfam quidem admittat expetibilisproſequutionem.
In quo uirtus purgatoria conſiſtit. Quà uerò in puritatem reſtitu. ta
eſt,prædita eſt uirtutibus animi iampurgati. Virtus enimhuiu £ ک 294 FRANCISCI
CATANEI DIACETII ! modinonin purificatione,fedpotius in ipfa puritate
conſiſtit. Purifi 'catio enim motio quædameſt. Atpuritas motionis terminus. Con
fummatio igituruirtutis potius in termino motionis, quàmin ipſa
motionecõliſtere debet. Sititaqß puritas confummatio uirtutis, qua quidem
diſcimus etiam abipfo ſenſibili uix commoueri. Præclarum utic eſt
&longèmaximū,& quod longo uſuacdiuina quadam ſor teuix
comparatur,neceſſariūtamen ad fapientiam felicitatem con fequendam,ita
paratuminſtructumós eſſe,ut corporeas tantùm fen tias affectiones,cetera
prorſusabiunctus.Longè uero errat,quicunos Orpheumimitatus, exiſtimat, dum
ſenſuum lenocinis delinitur, fim bi in ueritatem patere aditum. Hicenim
ſenſibilium notionibus,qua tenus ducuntadueritatem,uti nequit, ſed quà ſunt
duntaxat ſenſibi. lium. Quo euenit,utumbras,hoceft,fimulachrū Eurydices
captans, falſis opinionibus diſtrahatur.Iure igitur Orpheum fürentibusfae minis
dilaniandū irati di propterſcelus expofuerunt. Verùmquid euenit animæin
puritatem iamredactæ. An talem uiteſtatum ſapien tia ſequituradhæſioc in deum,
quod ſuum cuiusqz bonumeſt: Ani maenim adminiculo utitur ſenſibilium ad
ueritatem conſequendă. Namſenſibilia imagines ſunt rerum diuinarum. Vnde et
Plato in Ti mæo idem fermètribuitanimædiuinæ ingeniū,quod priusin mun. di
corporeexplorauerat, ut à Simulachro, tanſ ab inſtrumentoad exemplarrectè fiat
aſcenſus. Ergo ueritatemintelligibilem plerungs accedimus adminiculo
ſenſibilium:quorum notiones in ipſa intelli gibilia
excitantanimam.Dimittimusautem ſenſibiliūnotiones,ubi primumintelligibilia
conſecuti ſumus, ex quorum contactu fapien tiamreportamus. Sapientiã uerò
felicitas bonumo conſequuntur. Dehis uberrimèin Socratis oratione agendum nobis
eſt. Horumſa nè Achillis Patrocli (fabula nosadmonet. Achilles,inquit,mortuo
Patroclo amante mori uoluit: diuerò admirati facinus, non ſolum in uitam
reuocarunt,uerumetiam beatorum inſulas deſtinarunt illi habitandas.Patroclum
puto animamipſamaſcendentem ad uera itt telligibilia adminiculo ſenſibilium.
Achillem uerò ſenſibilium notio nes in anima. Mortuus eft Patroclusamans, id
eft, eò ufog proceſsit anima,ut non amplius ſenſilium notionibus
indigeat,quibus innita tür.Quo fit,ut ſenſilium notiones uſui deſinantelle
animæad intelli gentiam comparandā.Hinceſt quòd mori Achilles dícitur. Dij uerò
huncuolunt reuiuiſcere,quoniam animæ pro notionibus ſenſibiliú fiuntobuia ipſa
intelligibilia:unde fapientia comparatur. Ex ſapien tia ueròfelicitas euenit
& bonum,quod eſt beatorum inſulas Achilli habitãdas deſtinari. Sed quomodo
dicitur amansamato pręſtantius eſſe: An ſi comparetur uisintelligendi ad id
quod intelligitur, longè I melius IN 155 SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO.
meliuseſt id quodintelligitur. Intelligibile enim mouet nõ motū, ut Ariſtoteles
inquit in undecimo Rerum diuinarum.Mouet enim tan quamamatū. At uerò
intellectus ab ipſo intelligibili mouetur. Vis enim intelligendi producit
actionem in ipſum intelligibile, quæ intel ligentia appellatur.Ex quo diuinus
Plato in ſexto deRep.dicit,ueri tatem intelligibili,ſcientiam uerò intellectui
ineſſe.Quodetiam uolu iſle Ariſtotelem alibi declarabimus. Licetin ſexto
inſtitutionū Mo ralium aliter ſentire uideatur. Sin uerò ſenſibilium notiones,
quibus anima in uera intelligibilia excitatur,comparentur ad eam facultatē, qua
intelligimus,quisambigat longè minoris eſſe æſtimandas: Pen dencenim à
ſenſibilibus,ſuntázanimæintelligenti aduentitiæ. Plato igitur quando
dicitamatum eſſe deterius amante, non deipfo intel, ligibili
intelligit(quodreuera amatumeſt: id enim longè pręſtat)ue rum de notionibus
ſenſibilium inanima, quæ &ipfæ propterea ama tum dicuntur,quoniam uſui
ſuntanimæ ad uerum intelligibile con ſequendum.Hæfanè intelligente animalongè
ſunt deteriores. Cu ius rei indiciūeſt, quòd intelligens anima affinitate
coniuncta eſt cũ ipſo intelligibili.Intellectusenim,ut rectè inquit
Ariſtoteles, rerum intelligibiliumeft,eiuſdem @ eſtutrunca contemplari. Quandoqui
demeadem contemplatio eſtomnium ita coniunctorum, ſicuti etiã ſenſus, &rei
ſenſibilis. Quo euenit,ut deſiderio agatur ueritatis. Ato ideſtquod inquit
Plato, Amans propterea amato præſtantius effe, quod diuino furore agitur. Verùm
quid ſibiuult Plato dicens, longe magis dijs cordi eſſe,ubi amatum, in gratiam
amantis moritur, quàm ubiamansin gratiam amatirAnmoriamansin gratiam amati,
nihil eſt aliud, quàm animam incumbentemin ucritatem, abijcere uitam fenfibilem,ne
ſenſilium notiones, quæ ſuntuſuiadueritatem compa randam,irritæ ſint:
Amatumenim ſenſiliūnotionesſignificat. Quod exeo aſſeritur, quoddictum
eſt,amatum amante eſſe deterius. Fiunt autem irritx, filieimpedimento
ſenſibilis uita. Amatū uerò moriin gratiamamantis,ſignificat notiones
ſenſibiles uſui non eſſe amplius, quòd intelligens animain ipſam ueritatem
intueatur: quod re uera amatum eſt. Siigiturmulto plus eſt omnino negligere
notiones ſen lilium, intuente animaueritaté, quàm deporre uitam ſenſibilem, ut
notiones ſenſilium ad ueritatem uſui ſint:multo plus utiq; erit, a matū pro
amante,hoceſt, Achillem in gratia Patrocli: quàm amans pro amato,hoceſtAlceſtidē
in gratiam Admeti mori. Quapropter quid mirūgli Achilles ad maiorem honorē
cuectus eſt: Anima enim exuero intelligibili non ſolum ſapientia,uerumetiam
ipfam felicita temreportat. Quod quidem eſt,Achilliin uitam à dis reſtitu to
beatorum inſulas habitandas deſtinari: cùm Alceſtidi in uitam reuocari ſatis
fuerit. 257 2 156 IN SYMPOSII SECVNDVM SER: MONEM QVI PA VSAN IAE TRIB Vlo tur
expoſitio. ) Voniamà Pauſania dictum eſt, totidemeſſe Amores, quot ſunt
Veneres:oportetexplicare in primis Vene rem, quideaſit:alioquiphiloſophia
amoris(quod qui dem in præfentia quærimus ) lateat nos neceſſe eſt. Plotinus
igitur putat, Venereineffe ipfam animam, proindecaulamamoris efficientem. Sunt
etiam & alij, qui aliter ſen. tiunt,magnialioqui uiri, ſed quos in
præſentia dimittere conſilium eſt. Vir enim fapientiæ ſtudioſus,ut inquit
Dionyſius, ſatis ſibi factu cenſere debet,ſinon alios laceſſendo,fed quàm
ualidis poteſt rationi bus,quam putateſfeueritatem,audacter aſſerat. Ego uerò
Hermiæ libenter aſſentior, qui credit per Venerem pulchritudinē ſignificari.
Argumento, in Phædro dictum eſſe furorem amatorium, & optimū effe furorum
omnium, & ex optimis.Exoptimis quidem, quoniam ſenſibilis pulchritudo,à qua
amor excitatur, optima ac præſtantiſsi ma eſtomnium, quæcunq ſenſui offeruntur:
nam & exquiſiciſsima diuinorum ſimilitudo eft, quæ optima ſunt, &
ſenſui omnium perſpi caciſsimo ficobuiam.Viſusenim alios ſenſus longè ſuperat.
Cùm e. nim cæteri ſenſus,uel fi nulliſint uſui,cognitionis gratia per fe expeti
biles ſint,ut Ariſtoteles inquit:præ ceteris tamen uidendi facultatein optamus,
quippe qua exquiſitius cognoſcimus. Quapropteruiden di facultatem ad
intelligentiam traducere folemus,ut etiam intellige reuidere ſit. Quod
&Ariſtoteles indicauit. Nam & in tertio uolumi ne eius
libri,inquoadſtruendi deſtruendic locos docet, & in primo de Moribus
adNicomachum, Sicut,inquit,pupillain oculo,licintel lectus eſt in anima.Patet
igicuramorem ex optimis eſſe, cùm ex pul. chritudine ſenſibili excitetur,quę
optimaeſtomnium quæcunq hic ſunt. Optimum autem eſſe facile dabit is, quem non
latuerit intelligi bilem pulchritudinem, cuius eſt Amor,indagancibus bonum
obuia fieri: quippe quæ boni penetralia ingredientibus in ueſtibulo occur
rat.Siigiturfuroramatorius tumexoptimis eſt,quodexcitatur ſen fibili
pulchritudine:tum etiam opcimus, quoniam in pulchritudi nem intelligibilem
dirigitur, huius autem patrocinium Veneri cri butumeſt, utPlato inquit in
Phædro:quoniam dij alij alñs furori bus præſunt, Mulæpoetico, Apollo uaticinio,
Myſterijs autem Bac chus: ſicúz Amor, qui Veneremcomitatur,pulchrorum dux
puero. rum, IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 157. 5 rum, eorumſcilicet animorum,
quos pulchriuehementer prouocat {pectaculü:quotuſquiſpambigat,
perVenerempulchritudinem in. dicari: Nuncuerò quid ipſa ſit Pulchritudo
uidendum eſt. Quod pulchritudo ſitex eorumnumero, quæmodum habēt qualitatis,uni
cuiqué palàm eſſe poteft. Quòdautemmodum habeat eius qualita tis, quæ
uidendifacultati obuia ſit,idquoqueperſpicuum puto.Nam &pulchritudo
ſenſibilis ueræpulchritudinis fimulachrum ab una uidendi facultate percipitur.
Ea uerò qualitasuiſibilis, quæ fecüdum ſuperficiemexcenta eſt,Colordici poteft.
Quæuerò nullam patitur extenſionem, ſed temporis puncto ubiquediſcurrit, Lumen
appella tur. Eft & alia qualitas uilibilis,quæ tanquam imago acflos ellenti
alis perfectionis allicit rapítque in borum.Id igitur quodhabetmo dum eius
qualitatis quæ uiſui obuia eſt, imago acfloseſſentialis per fectionis,alliciens
rapiens in bonum,reuera eſtPulchritudo:quod que huius particeps fit,Pulchrum
appellatur. Cæterum pulchritudi nieuenit,ut delicata,utiucunda,utamabilis ſit.
Delicata,eo quodfe. quitur perfectionem eſſentialem.Iucunda,eo quòddelectat.
Amabi. lis,eo quòd allicit rapita.Hincpatet,quàm hallucinationis coarguê dinon
ſint, quiafferuntpulchrum à bono differre, tãquam extimum ab intimo.Eſto
pulchrum omnebonum eſſe: neque tamen uiciſsim. Quid tum poftea.Num continuò
ſequitur,bonum quidem genus ef ſe,pulchrūuerò ſpeciem? Alioqui&
ſapiens,& iuftum, & perfecta &cetera generis eiuſdé,boniquo ipfius
ſpecies eſset. Sapiensenim omnebonumeft,ficédecęteris: nõtamen
uiceuerſa.Nūcuerò neck perfectum,negiuſtum, ne s fapiens boni ſpecies
ſunt,alioquieſſent quoqſpecies unius. Simpliciſsimum enim optimúmg in idem
cõſpi rant:non minúſą Vnius participãt omnia; quàmboni. Atquotuſ
quisqaſſeruerit,unum eſſegenus,fiquidem genus totum eſt: totum uerò partibus
obnoxium: Siigitur unum eft genus,non utiqueerit citra partes. Atuerò
unumomnino &undequaque impartibile eſt, quemadmodum in
Sophiſtedeclaratur.Sedagedum ſidetur bonum eſſegenus, quídnam id
poterit:Nónneperfectio eſsentialisactuseſt: Quodexeo patere poteſt, quòdeſsentiæ
beneficioomnia ſunt id ip ſumquod ſunt. Viuensuitæ beneficio uiuens eſt. Quo
euenit,utuita uiuentis actus ſit. Animabeneficio motusanima eft: fed quocuſquif
queambigat,motumeſse animæ actūł Ignis beneficio formæ ignis eſt. Tuncenim
reuera eſtignis,cùm primūignis formamactu habet. Quis autem non uideat formam
actum eſse ignis:Quoeuenit,utre Eta ratione dici poſsit, perfectionem
eſsențialem actum eſse. Actum autem omnemeſse bonum,neminem inficias iturum
puto, quando quidemi merito actus unicuiqz bonumineſt. Nónneignieſseignem; 158
FRANCISCI CATANEI DIACETII bonumeſt:Atquis ambigat per formam,quieſt actus,
ignemeſſeig nēNónne quo anime eſſe animā,uiuęciéeſſe uiuens, bonüeſt:Ve
rùmalterūbeneficio uitæ,altera beneficio motus, quorūutergeſta ctus,id euenire
palàm eſt.Exñs patere puto, perfectionem eſſentialē bonüeſſe,uiciſsimo
bonüaliquodeffentialem eſſe perfectionê.Quii gitur affirmat, pulchrumàbono
differre, tanquam extimum ab inti mo,etſi nõibit inficias,fibonuminuniuerſum
accipiatur, pofſe dari, gracia diſſertationis,idipſumgenus effe:contender
tamen,fedebono uerba facere, non quatenus in uniuerſum ſimpliciter accipitur,
fed quatenus particulare definituma eſt,ſuam præſe ferens duntaxateſ ſentialem
rerum perfectionem. Atque id quidem affirmat recta ra. tione. Nampulchritudo
ingenium modumýzhabens accidentis,re uera extimaelt,quodab ipfa
rationeexploditur.Atperfectio eſfētia, lis, quam ſequitur pulchritudo, reuera
intima:quod ex co aſseritur, quoniam unumquodąeſſentia conſtat. Hinc quidem
uidere poſlu. mus,primā pulchritudinem neğz efle ideas,necin ideis. Ideas enim
ab omniaccidentis ingenio procul eſſe perſpicuumeſt. Namipſum per ſeensin ideas
diſtinctumeſt: quaſi Geometria in ſua Theorema ta. Quemautem lateat Theoremata
non eſſe geometriæ accidentia: Sed ſubeft quærere,ubi nam&quo pacto
lintideæ. Vtrumânt in eo,in quo ſunt,uel tanquam forma in materia, uel
tanquamaccidés in ſubiecto, uel tanquam in caufa effectus, uel tanquam actus in
eo quod perfici debet,uel-tãquam totum in toto,uel totum in partibus, uel pars
in parte, uel parsiu toto.Fieri enim nequit,ut fecus in aliquo aliquid ſit.
Namgenus &ſpecies totius partium (habent ingenium. An ex diuiniPlatonis
fententia,ideas eſſe in ipfo perfe animalidicen dumeft:Namin Timäo aperta uoce
aſserit,Opificem munditot for mas mundo exhibere,quot ſpeciesmensuideratin ipfo
per ſeanima. li.ex quo patet, idearum diſcrimen in ipfo per ſeanimali primò
eſse. Reliquumeſtutuideamus, quo pacto in ipſo per feanimali ſintidex.
Anuelutiforma inmateria eſse nequeunt. Non enim per fe animal materia eſt,
quando alterius beneficio noneſtactu. Sed neque tano accidens in ſubiecto. Quis
enim contendat ideas eſse accidentia, quando idearum ſimulachra foliditateseſse
perſpicuum eſt,utignis, & terra, & cætera generis eiuſdé:Non ſuntquoq
tanquãin caufa effe. ctus, quandoquidemeſsentpoteſtate. Nücuerò ideæ acti funt.
Quo modo autem eſse poſsunt tanquam actus in eo quod perfici debet? Namper
feanimal uita ipfa,non ideis, tanquam actu animaleſt. At nequetanquam totum in
toto, neque tanquam totum in partibuseſ ſe dicendum eſt. Non enim totum ſunt
ideæ, quoniammultitudini ſunt obnoxiæ. Totumuerò unumeft. Nónneſi tanquam
partemin parte IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 159 1 parte eſſe conMilanius,
oportet quoque nos concedere, tam per ſea nimal,quàm ideas,alicuius totius
partes eſſe: Atcuiúſnam pars fu eritipſum per ſe animal:Reftatigitur, ideas
eſſe in ipfo per fe animali tanquamin toto partes. At id eft, quodin
Timæodiuinus Plato fi bi uoluit,dicens Opificēmundi tot formas mūdo èxhibere, quot
fpe cies mènsuideratin ipſo per ſeanimali.Quemadmodum enim forme quas mundo
exhibuit mundiOpifex, continentur in mundo, tano in toto partes:ficetiam
ſpecies, quas mundi Opifex eſt imitatus,in ip ſo per le animalicontineri
pareſt. Abipſo autem per ſèuno procedit primò ens: quodintima
functioneabfolutum, quæ uita dicitur,fit per ſeanimal. Vitaenim uiuentiseſt
actus. Ipſum autem per ſeanimalui tæ beneficio cùm totum ſit, in partes quoce
diſtribuatur neceſſe eſt. Totumenim& partes ſimul ſunt. Quapropteripſum per
ſe animal quemadmodum habet exuitauc totū ſit,ex eadem quoqhabet,ut ſe ipſum
diſtinguat in partes: partes aüt huiuſmodi ideæ ſunt.Ex quoli cetadmirari
nõnullos:quicõminiſcunturideas aduenire extrinfecus ei in quo funt,tãquam actü
informi naturæ. Quo genere peccarenul lummaius poſſunt, qui amant uideri
Platonisftudiofi.Hecdiximus, nõſtudio quempiã laceſſendi (quod à uiro
philoſopho alienum ſem per duximus) fed quoniam ſunt nonnulli, qui dum alteros
auidius quàm decetinfectantur,nõ cômittuntutipſiiurenõ poſsint coargui.
Nãduxnoſter Marſilius, etſi alicubi dicitideas excrinſecus accedere,
Chriſtianis fortè quibuſdam adftipulatus:ubi tamen exactèrem Pla tonicam
tuetur,longè aliter ſentit. Exhis quædicta ſunt patere arbitror, primā
pulchritudinem non efle ideas, quemadmodumnonnulli ineptèaſſerunt. Sed neçetiam
effe primò in ideisin præſentia declarandumeſt. Plato in Timæo di cit mundum
eſſe pulcherrimum omniumquæcunq genita ſunt: eſse autemalicuius ſimulachrum,
quodratione ac fapientia ſola compre, hendi poteſt:adhæcmundumpulcherrimum
natura opus optimum que eſſè:effe, inquam, animal animatum intelligens.Ex quo
intelli, gere poſſumus, de Platonisfententia,id exemplar quodmundiOpi fex eſt
imitatus, tūanimal eſſe, tum etiã pulcherrimum. Quapropter pulchritudinem primò
eſſe ipſius per ſe animalis,non idearum: nam ipſum per fe animal ideas
antecedit. Adhæc, ſi pulchritudo exuberan tia quædamexterioreſtintimæ
perfectionis: intimauerò perfectio ne ipſum per ſe animal fit: quis non
uidet,ipſius per fe animalis prima pulchritudinēeſſe: Quomodo igitur idearu:
Dehis tum paulo poft diſſerendūnobiseſt, tūetiã in libro de amore ſatis
abūdediſſeruimus: Hactenus oſtenſum eſt, quid Venus ſignificet, quid ſit
pulchritu do ubiſit.In præſentia uidendum eſt, nunquid pulchritudo materia B
160 FRANCISCI CATANEI DIACETII ſitamoris,an potins finis.Nonnulli ſunt,
quidicantde Platonis fen tentia,pulchritudinemeſſe materiam amoris.
Nampulchritudo cau fa eſt amoris,non tanquam principium efficiens eius actus
qui eſta mare, fed tanquam obiectum.AtueròſecundumPlatonicosactuum animæ
animaipſa eſtefficiens:obiecta uerò ſuntmateria, circaquam actumillumproducit
anima. Quaproptercum hacratione pulchri. tudo materia ſitamoris,propterea
Venusdicitur amoris mater.Nam materiam eſſe tanquammatrem,efficiensuerò tanquam
patrem,con tendunt Philoſophi. hæcilli ferèaduerbum. Sed non poſſum non
uehementer admirari, quihæcproferunt in medium, uiri alioquigra ues &magni,
&quos arbitror nihillatere potuiſſe, in his præſertim quæ pertinent
adintegram caſtamos Platonis Ariſtotelisęzintelli. gentiam. Non ſolum enim quæ
dicta ſunt,Platoni Ariſtotelicpug. nant, uerùm etiam pugnant &rationi,
pugnant quoque&his quæ ab eiſdem alibidicta ſunt.Primò quidem Plato in
ſextodeRep.libro dicit, fjs quæ intelliguntur inefleueritatem:intelligentiuerò
ineſſeſci entiam,ueritatemcz intellectu percipi. Quo euenit,ut ueritasannexa
ſit intelligibili:ſcientia uerò intellectui. Siigitur ita fehabet,quomo do
ueritas ſcientiæ materia erit fecundùm Platonem:Veritas enim ſci entiæ longè
præſtat:quod nulla ratione eueniret, fi materia eſſet. Ari ftoteles quomin
undecimoRerum diuinarum, Expetibile, inquit, &intelligibile mouetnonmotum,
quodalterumapparens, alterum reuerabonum eſt.Mouereautem nonmotūquotuſquiſque
materię tribuerit:Etpaulo poft,Intellectus,inquit, abintelligibili mouetur.
Intelligibile autemalter ordo fecüdum le. Addit&hoc:Mouet icaqz
tanquamamatum. Ex quibusliquidò patere poteſt, expetibile intel. ligibilegs
finis ipſius habere ingenium. Siitam expetibile &intelligi bile mouetut
finis, pulchritudo autē expetibilis intelligibilisőseſt: quomodo materia eſſe
poterit: Atprimapulchritudo ſoli intellectui eſtobuia,quemadmodum oſtēſum eſt,cùm
fitiplius per ſe animalis: eftetiamexpetibilis, quandoquidébonum quoddam eſt,bonum
au tem quà bonum ſemperexpetibile.Poſſent &alia multa afferri in me dium,quibus
oftenderetur de Platonis Ariſtotelisés ſententia obie ctum nõ eſſe materiam
actuum animæ. Quæ quidem propterea omi fimus, quandoquidemijs, qui uel breuem
deambulatiunculam cum Platone Ariſtoteleđß fecerint,notiſsimaſunt.Atuerò
&rationi recla mat,obiectum ueluti materiãeſſe. Materia enim folet eſſe id
ex quo ali quid fit.Nó fiūtaūtex obiectis animæactus,ſed potius funt circa obie
éta. Quo euenit,ut obiecta materia eſſe nequeat. Adhæc bonüexpeti bileeſt,
quandoquid exeo appetimus quodbonãelt: nõuiciſsimeſt bonüpropterea
quòdexpetimus.Expetibile autē obiectõeſt,quo fit, utbonum IN SYMPOSIVM PLATONIS
ENARRATIO. 16i 2:13 I utbonum obiectum ſit:Gaddas,obiectüeſſemateriam,bonum
quoqs materia fit neceſſe eſt. At quaratione aſserendum, bonumipſummā teriam
eſſe: Pugnantquoque fibiipſis.contenduntenim pulchrum à bono ſeiungi,
tanğſpeciem àgenere. Quo fit, ut pulchrum boni ſpecies fit:bonum ueròde pulchro
tanquamde ſpecie dicatur. Siigi tur pulchrum eſt bonum,bonumuerò materiam
eſſenequit,quo pa eto pulchrum materiam eſſe dicendum eſt: Quapropter meaquidem
ſententia aſſerendum non eſt, pulchritudinem eſſe materiamamoris, fed
potiusfinem.Cui quidem ſententiæ Plato Ariſtoteleső adſtipu lătur. Verumfi
pulchritudo ingenium habet illius, cuius gratia: quo pacto Amorem
exoriridicendum eſt: Anubi primumcognoſcendi facultas,pulchritudinem utdelicatam,
ut iucundam,utamabilem co probat,ſtatim uisappetēdiexcitatur.Appetitus enim
cognitionem fequaturneceſse eſt. Dumigitur appetens exoptat ſibi adeſse ac per
frui delicato, iucundo,amabili,utinde plenitudinem hauriat uolupta tis,eữactú
circa pulchritudinem producit, qui appetere dicitur.Qui quidemreuera
Amoreſtappellandus,hoceft,appetitus &deſideriū perfruendæ
pulchritudinis.Huius deſiderñ efficiens cauſa,uiseſtap. petendi:pulchritudo
illud,cuiusgratia. Quænam uerò materia ſit, in Socratis oratione declarabimus,exponentes,
quid nobis per Peniam fit intelligendum, quam eſſematrem amoris affirmat Plato.
Quod quidem euidens argumentum uideri poteſt, pulchritudinem non ef ſemateriam
amoris.Nunquam enim dicit Plato, Venerem (quæ pul chritudinem ſignificat )
matrem eſse amoris, ſed potius amorem co, mitari ſequio Venerem,quippe
quiVenerisipſius eſt,in Venerēms dirigitur. Quæ quidem omnia finis ſuntipſius,
non materiæ. Nonnulliſunt, quidicant,quiſquis deſiderat, quodammodo poſsi dere
id quod ab eodeſideratur: idq eſse deſiderācis uirtutis propriū. Adſtruūt autē
hocipſum dupliciratione, tumquoniam deſiderium omne antecedête cognitione
lubnititur (cognitio autem, quædã pof ſeſsio eſt) tum quóniam inter
deſideransacdeſideratum congruentia ſemper ſimilitudo@intercidit.Fieri autem
nequit, utidquod deſide. ratur,à deſiderante quodammodonon participetur.
Alioqui nulla eſſet inter utrung congruentia, nulla ſimilitudo. Sed mea quidē
ſen tentia cómentitiử hoceſt.Nã deſideransomne,quà deſiderans, cogni tione priuatur.
Cuius rei indiciū eſt, quod ex antecedête cognitione deſideratquiſquis
deſiderat. Quo fit,ut recta ratione uis deſiderãdi di catur cęca eſse,quippe
àqua cognitio ſeiūcta fit,quæuiſio appellatur. Atfieri nequit,ut quicquid
cognitione priuatur,non priueturetiã ea poſſeſsione,quęmerito fitcognitonis.
Sed fortè dicent,nõ ficfeadui uum reſecare, ut uelint,deſiderãs,quàdeſiderans,
merito cognitionis cognit 1 3 162 FRANCISCI CATANEI DIACETII habere quodämodo
poffefsionem illius,quod delideratur: fed eadū taxatratione habere,qua
cognofcit.Nosaūtenitemuroſtenderenec etiã cognoſcésqua cognofcēs,habere ali
zrei cognobilis poſſeſsionē dūcognoſcit.Vtrūuerò id affequemur,alñ
iudicabūt.Nobisſatis erit afferre in mediū,nõ quæ adeo premất
alios,eospræſertim,quosuelu tinaturæmiraculū ſoliti ſumusadmirari:fed quę
caſtūueritatis fecta torējaſsertoreo decere arbitramur.Quod quidem
ſignumoboculos ſibi ſemper proponere debet, quicũceſt fapientiæ ſtudioſus.Côten
dimus igitur,cognitionēnullo pacto eſſerei cognobilis poffefsionē.
Nãcognitionem eſſe per modumuiſionis, nemo eftomniū qui rectè
poſsitambigere.Cognitio.n.inipſum cognobile à cognoſcētedirigi tur, quafi in
ipſum uilibile uifio.At poſſeſsio nullā habet cumuiſione affinitatem. Non
enimqui poſsidet quodãmodo intuetur, ſedquali manu tenet,accöplectitur id ipſum
quod poſsidetur. Quoeuenit, ut poſſeſsio potius ingenium fapiat tactionis.
Siigitur cognitio uifionis imitatur naturam,poffefsio uerò non imitatur, quo
pacto dicendum eft,cognitionem eſſe poſſeſsionem. Adhæc,uerum & bonūnonidē
funt.Quod ex eo patere poteft,quòdnoneadē facultate percipiütur: In uerum
dirigitur cognofcendifacultas,in bonūuerò appetendi.Ex
ueriperceptioneaſseueratio certitudoớa reportatur:exboni poſſeſsi onecóplexu (uoluptas.
Si igitur cognofcens, quà cognoſsēs quodā modopoſsideret,uoluptatisquo
particeps fieret. Voluptas enim boni poſseſsionêcomitatur.Atuoluptas facultaté
cognoſcentem no perficit,fed appetētem.Quapropterdiuinus Plato bonü noftrumin
miſto quodã ex lapiétia uoluptate coſtituit: quarüaltera, id eſt,ſapi entia
intellectum:altera uerò,hoceſtuoluptas, uoluntatem perficit. Sed de his
infequentibus comulatiſsime agemus. Hactenus often ſum eſt, quicūą
deſiderat,huncipsūnon poſsidere,necquà deſiderat, nec quà cognoſcit.In
preſentia uerò declarandûeft,neclimiltudinem quoos poſseſsionem aliquo modo
auteſse autdici debere. Quodreli quüerat ut adſtrueretur.Quæcun $ igitur
fimilia ſunt,aut propterea dicuntur ſimilia, quòdcerto quodã tertio participent
(cuiuſmodico, plura alba aut calida ſunt )aut quoniã alterü alteriſimileeſt,non
tamé uiciſsim:quemadmodūuiuenti Socrati pictus autæneus ſimilis eſt, quãdo
uiuentem Socratem quodãmodo imitatur. Nemo tamen pro pterea fanę mentis
contendet,uiuentē picto auteneo ſimilē eſse. Quo genere,homo per uirtutes deo
ſimilis fit,ut rectè inquit Plotinus.Sen lilia quoqhocpacto intelligibilib.
ſimilia ſunt, quæ nihil cum eisha bentcõmune,niſi nomen. Quodquidem clara uoce
diuinusPlatoin Parmenide Timæocz teftatur. Ex quo Ariſtotelis ratio contra
ideas de tertio hominefacilè diluitur. Quæcũçaūt ſuntidonea,utrecipiãt,
cuiuſmodi informis materia eſt, & cætera generis eiuſdem, fimilia &
ipſa dici poffunt, tū ijs quærecipiuntur,tumis quæ efficiunt.Horum eniin 11 IN
SYMPOSIVM PLATONIS EN ÅRRATIO. 163 be Inic enim poteſtas quædam ſimilitudo
uidetur eſſe. Dicitur quo &effi ciens finiſimile, quoniã efficiensomne à
fine mouetur: illius enim gra tia omnia ſunt. Vnde &Ariſtoteles in undecimo
Rerūdiuiuarū,Ěx petibile,inquit, & intelligibile mouētnon mota:quaſi
efficiens motu moueat. Quod paulo poſtexpreſsit,dicés: Intellectus ab
intelligibili mouetur. lis itaq expoſitis,uidendū eſt, quopacto deſiderãs, ei
quod deſideratur fimile eſt, cuius ſimilitudinem meritò fibi deſiderati inſit
poſſeſsio.Non eſtigiturdeſiderásſimile eiquod deſideratur, quoniã tertio
quodamparticipent. Alioquiutrunqz alteri pari ratione ſimile eſſet. Quod quidem
ñseuenit, quæhoc pacto ſimiliaſunt,quando in tertio cócurrunt. Atdeſideras
&idquod deſideraturita fe habent, ut idquod
deſideraturnomotūmoueat,deſiderãs uerò moueatur:Quo euenit,ut ſecus id, quod
deſideratur, deſiderāti: ſecus autem deſiderás ei,quod deſideratur,ſimile ſit.
Siigitur quæ cõcurruntin tertio, ſibi in uicem ſimilia ſunt:deſiderans uerò
&id quoddefideratur non ſimili côditioneſimilia ſunt:quis ambigat,eadētertñ
quoq nõ participare: Non ſunt quoqz ſimilia,eo quòd alterü alteri duntaxat
ſimile ſit:alio, quiaut alterum alteriusſimulachrū imagóą eſſet,autfaltē
imitaretur. Nuncuerò neutrūaut alterũimitatur,aut alterius imago exmplumue
eft.Sed nec quoqeo pacto ſimilia ſunt, quo recipiensautei quodre
cipitur,auteiunde eſt principiū motus ſimile dicitur. Neutrumenim recipientis
habet ingeniū, quandoquidem alterum eſtran efficiens, alterútanſ illud
cuiusgratia efficitur. Reſtat igitur, fi qua eft ſimilitu do,utdeſideras
&id quod defideratur propterea fimilia ſint, quoniã id quod deſideratur
tãğexperibile mouer:deſiderãs uerò eft efficiés. Quã quidē
fimilitudinēnemoeſtomniã quidiſsimulet. Quis enim ambigat, inter finem atoßea
quæ in finĉprogrediãtur, ſimilitudinem quandãaffinitatēc eſse:Quoenim pacto eo
côtéderent, niſi aliquid inde reportarent, quod in uſumbonūĝz ſuum uerteretur.
Sed hæc ſimilitudo cógruencia (znullădicit poſseſsionem. Nã propterea effici
ens finiſimile eft, quod efficiésmoueri poteſt, finis aūtmouere.Poſse
aūtmoueriadfinem,nulla finispoſseſsio eſt:finis enimpoſseſsio actu eft,poſse
aūtmoueripotencia. Quomodo igitur huiuſmodi ſimilitu: do poſseſsionēdicit.
Adhæc lidefideransratione ſimilitudinis ali quomodo poſsiderid quod
deſideratur,id quidē actu eſse neceſse eſt. Quod aūtactu pofsidetbonū,habet
quogiãactu &uoluptatē, quão doquidēactupfruitur. Quis aūt
afseruerit,deſiderãs quà deſiderãs iã bono gfrui,diliniriq
uoluptate:Nãdeſideriūmotio quædã uidetur, quãdo motionis
pricipiūelt.Voluptasaŭt motionis terminus.Cõti getigitu ridē ſimulmoueri,acno
moueri.Quod fieri nulla ratione po teft:Ěxhis perſpicuñeſse
arbitror,deſiderãsminimèilliusparticipare ģddeſideratur.Verùmhæc paulo
altiusrepetëda sūt. Omnia quæcũ queſunt, poft primūingenita cupiditate urūtur
pociūdi illius: quip pe ex cuius poſseſsioneſuum cuique bonumineſt. Cupiunt
autem 164 FRANCISCI CATANEI DIACETIÍ quam uehementiſsimeſingulaſibibonumadeſle.
Quidenim eſlea maret,niſiid fibi proforet: Appetentiauerò omnis ex
cognitioneſus mit exordia. Fieri enimnequit,ut alicuius cupiditas aliqua fit,
cuius non fuerit &cognitio.Hæcquidem cognitio no intelligencia eſt,non
ratiocinatio,non opinio, ſiue cogitatio,nõ ſenſus aliquis, ex his quos
particulares uocamus,fed longèhæcomniaantecedit. Singula enim ftatimquàmfunt,
intimoquodamnatiuoç ſenſu præſentiunt, in au Ctorem,unde
uenerunt,libieſſeproperandum, indebonumuberri mèadfequutura.Hicquidem ſenſus,
quem IntimūNaturęgsappella mus,principiūeſt, quo mūdusintelligibilis in uită
intelligēciāõpro cedat.Nãuita intelligentiaõprogreſsioeftin bonū.Progreſsio
aūtin appecētiã reducitur. Quofit,utappetētiauitæ intelligentiæis princi
piūſit. At appetētia omnis cognitione fubnititur. Quapropter cùm nulla prior
cognitio fuerit, quàmea, quamūdus intelligibilisſtatim, quàmeft,præféntit ex
auctore ſibi bonūadfuturū (quem ſenſumInci mum uocamus)ſequens eft,ut
inhunceundem uitaintelligentiáque reducatur.Pari pacto de animadicendum eſt.
Namhic ſenſusperpe. tis illius motionis ratiocinationis & ipſiusauctor eſt.
Vnde& Iambli chus,cætera quidēdiuinus, in hocaūtuerè diuiniſsimus.Effentie,
in quit,animæ ipfiusingenitaquedamineft deorum cognitio,omniiu dicio melior,antecedens
electionem,ratiocinationem, demonſtrati onem omnem: quæ quidem interexordia
inhærens in propriam cau fam,coniúcta eſt cumeo animæappetitu,qui
ſubſtantificus bonieft: Plotinus quo @ aſserit,omnia naturæ opera eſſe
Theoremata,quip pe quæex intima quadã naturæ cognitione orta ſint.Hoc fenfu
&ele menta in propria loca feruntur.Vnde &illi, meaquidem ſententia,
audiendinonſunt, qui ñſdem tribuunt appetitum in ſua loca proce
dendi,adimuntuerò cognitionem appetitus huiuſmodi principium, quaſi abextima intelligentia
dirigantur.Namfieri nequit,utextima fit cognitio,appetitusuerò intimus.
Appetitus enim cognitionem fequitur,eiuſdemqz rei eſt cognoſcere &
appetere. Huncienſum ue. teres Magiobſeruauere, hincopera ſuæ arcis feliciſsimè
auſpicantes. Hunceundem in hymno naturæ Orpheus quietum acline ſtrepitu
appellauit. Quippe in quemnoncadaterror, quando nulla indiget ope externorum,
fed totus in boni quaſi uiſionem incumbat. Qua propter mea quidemfententia,
quemadmodum concupiſcendiira ſcendió cupiditas ſuã habet ſentiendi
facultatē,electio uerò ratiocinā dig atintelligédi facultatē uolūtas, quibus
nitătur (alioquin he quidé quod reuerabonüeſt,illęuerò qa bonūuidetur,nequico
deſiderio cöplecterentur) fic & cómunisrerü omniūappetitus,quo in bonum
dirigūrur, ſuāhaberecognitioné (quë nature ſensűrite nücupamus) ġd bonü
præſentiatur,neceſſe eſt.Hecquidēcognitio quéadmodūnā 1 IN SYMPOSIVM PLATONIS
ENARRATIO. 169 eſtbonipoſſeſsio (alioqui nunquam in bonum progreſsio fieret )
fed potius poſsidēdi principiū:pari ratione neccæteras cognitiones,pof
ſeſsiones eſſe dicendüeſt, ſedprincipia uias@ potius in poſſeſsionem. Quo
fit,utrecta rationedici nequeat,AmoremPulchripoſſeſsionem habere,quòdantecedête
cognitioneſubnicatur, quaſicognitio ſitpof feſsio quædam. Quomodoautemnon folùm
Amor, fed appetentia omnis,media ſitinter idquodbonum eſt,atquenonbonum:
quidper Porum, quidper Peniam Amoris parentesdiuinus Plato ſibi uelit, in
Socracis oratione uberrimèenitemur oſtendere. Hactenus declarauimus
Pulchritudiném eſle Amoris finem, non materiam: declarauimus quoqs Amoremnullam
habere pulchritu dinis poſſeſsionem, quemadmodumnõnulli comminiſcuntur. In
præſentia declarandum eſt,quænam, qualésque pulchritudines ſint. Quoquidem
declarato,uidebimusquinam,qualéſoamores ſint. Fi eri enim nequit,utcitra
pulchritudinem ſit Amor. Vbiigitur fem per pulchritudinem fequitur, non ſolùm
totidem eſſe amores, quot ſunt puichritudines, pareſt: uerùm etiam
expulchritudinisingenio amoris eſſencia,uires, opera ſuntæſtimanda. Sediamrem
ipfamag grediamur. Rerum genusunumintelligibileeſt, ſenſibile alterum. Rurſus
intelligibile in partes duas diuiditur, in clarum ſcilicet &ob. {curum.Intelligibile
clarum dici poteft, quod ſuapte natura obuiam fit intellectui,necalio
adnititur; cuiuſmodi funt ideæ fiuemundus in telligibilis, ac liquid aliud tale
eſt, quod non indiget adminiculout maneat. Obfcurumuerò intelligibile,quod
nonnili in claro intelligi bili apparet: cuiuſmodi mathemata ſunt, quæ habent
in ideis quic quid participant firmitatis.BrõrinusPythagoricus in eo libro, qui
de Intellectu cogitationem inſcribitur,Cogitatio,inquit, intellectu ma
ioreſt,ſicut & cogitabilemaius intelligibili. Intellectus enim ſimplex eft,citra
compoſitionem,id quod primò intelligit:huiuſmodi autem ſpeciem dicimus:eftenim
citra partes, citra compoſitionem aliorum primum. At cogitatio tummultiplex eſt,
tum partibilis,id quod fe cũdo intelligit:ſcientia enim demonſtrationeớ
nititur. Simili ratio ne ſe habentipſa cogitabilia. Hæcautē ſunt ſcibilia
demonſtrabilia ipſac uniuerſalia, quę ab intelle &tu per rationem
comprehenduntur. Ex quibuscolligere poſſumus, intelligibile clarum per illud
ſignifi cari, quoddicitur, fine partibus,fine compoſitione aliorum primum.
Obſcurūuerò per illud, quod dictur, Scibile,demoſtrabile, uniuer ſale. Nam
cogitabilia omnia, cuiuſmodi ſunt obſcura intelligibilia, ipfacemathemata,non
attinguntur quafi recto quodamintuitu, quê admodum euenit claro
intelligibili:fed per rationem, & quandam,ut fic dixerim,ab ideis
declinationem acdeſcenſum. Suntautē mathematare uerafluxus eorum generum,quæcuque
166 FRANCISCI CATANEI DIACETII rèentiintellectuíçinfunt, intelligibilium,
idearum imagines, ex empla ſenſibilium,eandem habentia ad ideas comparationem,quam
habétumbræ &imagines in ſpeculis aduera corpora,quę& àcorpo ribus
profluunt, & in eiſdem,& beneficio eorundem, ſenſui fiuntob
uiam.Sicutig &mathemata funt ab ideis, &in ideis apparent, & i,
dearum beneficio habéntfirmitatem. Sicuti autemipſuminelligibile in
clarumobſcurū < diuiditur: eodempacto &ſenſibile in clarum ob ſcurūgs
diuidendum eſt.Senſibile clarūdicitur, quodprimò acrecto quodamtramite ſenſui
fit obuiam, quodą ſuapte natura opinabile eſt, utcælum,ut elementa, &
reliqua corpora naturalia. Obſcurum uerò, quod,etſi ſub ſenſum cadit,pendet
tamen ex corporenaturali tū quatenus fit,tumetiamquatenusapparet. Hæcſunt
corporum natu ralium imagines ac ſimulachra, quæ & à corporibus naturalibus
pē dent, &citra eadem ſtatim dilabuntur,necſenſuifiuntobuiam. Hu iuſmodi
autemſunt umbræ in aquis, in ſpeculis @ imagines. Addunt Syneſius &Proclus,
eſſe quorundam corporum naturalium profu uia,ad certam intercapedinem integrum
feruantia characterem.Quę nõambigunt mirisquibuſdã machinis à Magis
impetiſolere, fiquã do quenquam perderein animo éſt.Hæc cùm & ipſa
ſimulachraquæ damſint ſub obſcuro illo fenſili collocari poſſunt. Architas
Tarenti nus in eo libro,cuide intellectu & ſenſu titulus eft,quæcunqdicütur
eſſe, in pares ordines gradusi diſtinxit, afcenſum fieri uoluitàde, terioribus
ad meliora, quippe in quibus deteriora comprehenderē tur.Diuinus quoạPlato in
fexto de Rep. declarat,quatuoreſſererű gradus, qualeſas ſintä animænoftræ uel
habitus uel facultates, qui. bus uniuerfam illam rerum diſtributionem cognoſcimus.Quæom
nia non erubuit ab Archita ad uerbum ferè mutuari. Quodquidem ös,qui aliquando
legerint Architæuerba, luce clarius patere poteſt. Sed magnacontrouerſia eſt,in
quonam rerum ordineanimaipſa col locari debeat, quicß de ea contempletur. Nam
ſi in mentemani mæ præſtantiſsimum intuemur,noneftcurhæſitemus intelligibilis
generiseſſe ac diuini.Contrà uerò ſi cæteras facultates penlitemus, rė rum
naturalium ordini adſcribemus. Sinuerò utrūos ſimul,necinter diuina
cõnumerabimus (quodomnino à motu materiaớ abhorrēt ) necinter ea,quæ naturalia
ſunt, quandoquidem ſupra fenfilia non af cendunt. Mensautem genus ſenlibile
longè ſuperat. Themiſtius in ter Peripatecicos nõ poſtremæ auctoritatis dat
manus extremeratio ni: proindecs contendit, animæ ipſius, quaſimedijgeneris
ſit, media quoơſciệtiãeſſe,cuiuſmodi ſuncdiſciplinæ. Anobisuerò lögè abeſt, ut
credamus, cã eſſe mentē Ariſtoteli, utnaturalis intellectü contēple tur. Quid
enim eo illuſtrius eſſe poteſt,quodin ſecüdo de Animadir ctum 1 IN SYMPOSIVM
PLATONIS ENARRATIO 167 1 &umeft:Intellectus fortè diuinum quiddameſt
&impatibile. Quin etiam nihil prohihet,inquit,partem animæ aliquam
ſeparari:liquidē nullius corporis actus eſt.Præterea & illud:deintellectu
autemnon dumpalàmeſt,namuidetur aliud genusanimæ eſſe időzſeparari,tan
quamæternumà caduco. In primoautem de partibus animaliumex erta uoce
ait:Naturalemphiloſophum non de anima omnidiſſerere, quandoquidem non
omnisanima natura eſt.Et in fecundo de Gene ratione animalium,folam
mentemextrinfecus accedere,eamąfolam diuinam eſſe, cùm eiusactio no communicet
cumactione corporali. Præterea in quinto Rerumdiuinarum (quêpleriq falsò fextum
au tumant, fi credimus Alexandro Aphrodiſixo) Naturalis, inquit,ip. ſius eſtnon
omnemanimam contemplari,ſed quandam,quæcunque non ſine materia fit.Etinundecimo
eiuſdem operis, cum de Deolo queretur: Vita,inquit,poteſteſſe
optimanobis,f ed breui. Sicenim femper illud:nobis autem fieri nequit. Ex
quibus intelligi poteft,ex fententia Ariſtotelis contemplationem de intellectu
ad facultatem naturalem non pertinere. Proinde aliam quandamſcientiam eſſe,
quæanimæ ingenium contempletur. Diuinusquoque Plato anima ipſam, quando
ſeparabilisæternacpeſt,ſub eflentia concludit.Proin de intelligibilis
generiseſſedubitandum non eſt.Quòdfiquis obříci at Timæum Platonis,in quo multa
de animeingenio differuntur,cui nihilominus de Natura tituluseſt:nosutią
quemadmodum non dif fitemur elle princeps eius dialogi uotum, naturę opera
contemplari: ficquoqzimusinficias, quçcungibicótinentur,naturam effe.Multa enim
præ ſe fertilledialogus, quæ naturæ ingenium longè fuperant. Nectamen continuò
commiſcerimateriasobrjciendum eſt. Fuite nimoperæprecium de iis etiam fieri
meditationem, quorumopus, & organum natura eſt. Huncautem eſſe diuinū
opificem,diuinamą. animam,Plato afferit.Ex his perſpicuum eſt,rationalem animam
ge neris intelligibilis effe,non quidem obſcuri, quemadmodummathe. mata
ſunt:fed talis potius,cuiuſmodimūduseſtintelligibilis.Nãani marationalis
necalieno indiget adminiculo,utmaneat, & fuapte na tura intellectui fit
obuiã. Eftenimuera & abſoluta participacione, quicquid per
femūdusintelligibilis eſſe dicitur. Verūtamen animad uertendum eſt,animam
propterea à mente declinare, quòduergitin corpus. Quo fit,ut tumſui
ipſius,tumalterins dicatur eſſe,ut rectèin quitProclus. Siquidem ipſius, quòd
eſſentia ſeparabilis æternáque eſt:alterius autem, quòdin corpus
propenſa,eſſentiam uitāçcorpo ri impartitur. Hinceuenit,utalteram quãdam animã
producat: cu ius ope molem agitetacregat. Hæcanima irrationalis appellatur, quæſoligenerationi
deſeruit, plena ſeminum earum rerum, quæ cunque cum materia commnicandæ ſunt.
Hæc in præſentia de 268 FRANCISCI CATANEI DIACETII animafatis ſint:Namin
fequêtibus eius philoſophiam uberrimècon. templabimur.Ergo animam
rationalemègenere intelligibili,irratio nalemuerò èſenſibilieſſe aſsèremus.
Quod etiam Plato ſignificauit in Timxo, appellans animam irrationalem mortale
animæ genus; mortale autem omneſenſui obnoxium eſt. In plenum colligere poſ
ſumus,ſub claro intelligibili animamrationalem, ideasý, hoceſtin telligibilem
mundum,quamprimam quoộmentem,primumens,ac perſe animalappellant:ſub obſcuro
uerò Mathemataconcludi.Cla rumuerò ſenſibilecomplectiirrationalemanimam,complecti
& om nia corpora naturalia, cælum,elementa, quæibexhis coaleſcunt,ani
malia,plantas,& cætera generis eiufdem. Obſcurum uerò imagines in
fpeculis,umbrásque in aquis, & fiqua ſunt alia id genus. Adhęc & ea
profluuia corporum naturalium,de quibus paulo ante mencio nemfecimus. His ita
perſpectis,dicendumefttotidem eſlepulchri tudines, quot rerum ordinės ſunt.
Quapropter eſſe pulchritudinem intelligibilem,effe quoqj & ſenſibilem.
Rurſusa intelligibilempul chritudinem tumdarameſſe, tumobſcuram. Claramquidem,
tum quæmundiintelligibilis eſt,tum etiam quæeſtanimæiplius.Obſcu ram uerò eam
effe, quam in mathematiscontemplari poſſumus. At ſenſibilem pulchritudinem cum
animæ irrationalis fiue naturæ, tum etiam corporum naturalium eſſe dicimus:
quamquidem claram ap. pellamus.Quęuerò imaginümumbrarumã eft, &
fiquaſuntalia id genus obſcuram appellari par eſt. Ergo pulchritudo
mundiintelli gibilis reuera cæleſtis acdiuiua eft appellanda, cuinihil non
elegans admiſcetur, nonconcionum, undequaqcompofita, undequaqfibi
ipficonfentiens. Animequoqrationalispulchritudo coeleſtis acdi. uinadici poteft:quæ
tantum abeft,utmateriæ ſordibus immiſceatur, ut etiam cumprima pulchritudine
ferè coniuncta ſit.Atueròpulchri tudo tumirrationalisanimæ, tumetiam corporum
naturalium,non fine materia eſſe poteſt. Anima enim irrationalis ſuapte natura
circa corpora diuiduaeft, ut Plato inquit: undeuulgarisacplebeia pulchritudo
meritò appellatur, quòdhabet cum materiacommerci um. Siigitur duo
pulchritudinisgenera funt,cæleſte ſcilicetacplebe ium:coeleſtisautem
pulchritudo uniuerſum intelligibile complecti tur, ſiuemundi intelligibilis
ſit, ſiue mathematum,ſiue animæratioria lis: plebeia uerò univerſum ſenſibile:
totidem quoq eſse amorumge nera neceſse eſt. Quapropter amor,qui cæleſtis
pulchritudinis eſt,& ipſequoc cæleſtis:qui uerò plebeiæ
pulchritudinis,plebeius & ipfe nuncupabitur. Sed agedū, exquifitius uidédữelt,quomodo
Àmorcircà pulchri tudinauerfetur.In ſuperioribus declaratum eſt, Amoremeſse
appe. 1 titum. IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 169 titum deſideriumộ
pulchritudinis. Pulchritudo enim bonum quoddameſt:bonumautem omne expetibile.
Quo fic,ut pulchritu, do uim moueat appetendi.Huius autemactus circa
pulchritudinem amorappellatur.Primusigitur acperfectiſsimus amor,circa primam
pulchritudinem uerſatur:quæ in ipfo per feanimali primùm appa ret,ut pauloante
dictum eſt. Sedquomodo primus amor circa pri mampulchritudinem uerſatur:An non
ſolumin primam pulchritu dinem incumbit,ut inde particulam hauriat uoluptatis
(qua uis per ficitur appetendi)uerum etiam principium eſt, quo in eadem ellen
tia mundi intelligibilis aliquid pulchrūconcipiatur: Hoc autem ni hileft aliud,
quàm pulchritudinem mundiintelligibilis, quæ tano ſpectaculum intellectui
fitobuiam, in eodem concipi permodum ſe minis acnacuræ. Huiuſmodi autem
conceptus, eius facultatis uis eſt, per quammundusintelligibilis extra ſe
pulchritudinem poteft effi cereEx. quo perſpicuum eſt,Amoremeffe principium
producen di,quæcunq diuinam pulchritudinem imitantur. Nam fieri nequit,
utpulchritudinis ſemina producant extrinſecus pulchritudinem,ni. fi & ea
quoqproduxerit, in quibus apparet pulchritudo. Quapro pter integra abſolutacz
amoris definitio eſt,ut defiderium ſit non ſo lùm perfruendæ,uerum etiam
effingendæ pulchritudinis:ut in hoc quoqàquouisalio diſcrepet appetitu,quòd
cæteriduntaxaruolup tate contenti ſint, quam hauriantex boni poſſeſsione, hic
autem ada datetiam efficaciam.Pari ratione de anima dicendumeft, in qua cùm
fituera participacio pulchritudinis,uera quocß Amoris parcicipatio fit neceſſe
eſt. Amorigitur in anima, qua pulchritudine perfrui con cupiſcit,eandem
affectateffingere permodum ſeminis ac naturæ,cu, ius eſt imago. Natura ueró
animæ rationalis inſtrumentum (quam ſecundam animam appellant)habetab anima
ſuperiore pulchritudi nem:fed &ipſa per modum feminis. Quandoquidemper hanc
ani marationalis componit uerſatớp materiam, in qua pulchritudo per modum
ſpectaculi apparet.Meritò igitur in anima gemini ſuntamo res:alter, qui eius
pulchritudinis eft, quam anima à mundo intelligi bili mutuatur:alter uerò qui
in eam pulchritudinem dirigitur, quæ per modum ſeminis in natura fecundamanima
effulget. Hicquidem amoraffectans ſeminariam pulchritudinem, transfert in
materiam pulchritudinis illius participationem,quandopulchritudinis ſpecta
culum in ea anima effingerenequit. Exquo amorhuiuſmodi totius generationis re
uera principium eſt. In omniautem anima rationali geminus uiget amor. Namubi
ſecundùm eſſentiam æterna eſt, cor pus habet & ipſaſempiternum, quod uita
donec: in quo explicet fuæ pulchritudinis imaginem. Anima enimquàanima,uicam
alicui exhi р 170 FRANCISCI CATANEI DIACETIT bere debet:quo fit, cùmfemper
animafit,uitam quoc alicui ſemper exhibeat. Idautem eſſe
corpusneceſſeeſt.Cuienim alteri,nificorpo ri,uitamexhiberepoteſt:Acid
corpus,cui uita ſemper exhibetur, ce leſti conditione participare dicendum eſt.
Quapropter anima om nis rationalis,habet corpus æternum, quod Vehiculum
appellant, cuiſemper uitam imparciatur.HæcquidēProcliſententia eſt. Quan
quamPlotinus &lamblichus credantpoſſefieri, utanima noftrae. tiam quandoơ
ſine corpore fit. Sed dehis alibi latius. Ariſtoteles quo in fecundo libro
deGeneratione animalium, Omnis, inquit, animæ ſiueuirtus,ſiuepotentia,corpus
aliquod participare uidetur, idő magis diuinum,quàmea quæ elementa appellantur.
Ex quibus uerbis colligere poſſumus,Ariſtotelem cenſuille, cum animaradio
nalialiquod effe corpus,quod cæloproportionereſpondeat. Quod etiam Themiſtius
in ea paraphraſi, quam in primum librumde A nimaedidit, de mente Ariſtotelis
affirmat. Quapropter in omni ani. marationali geminus eft amor. Quorum alter pulchritudinemin
telligibilem,alter ueròſeminalem explicare in corpore materias af fectat. Quo
euenit,utinanima omnirationali,cæleftis ſit amor,lice tiam & plebeius.
Habet & alia ratione utrun amorem animano ſtra.Nam liquando ſenſibilis
pulchri ſpecie excitata præcipitatina moremexplicandorum feminum,proindeq
pulchro illo potiri im potenter affectat,ut pulchram ſobolem in eo
progeneret,plebeio a moreoccuparidicendumeft. Rapit enim deorſum implicatớ ani
mamgenerationi huiuſmodiamor. Quod quidemanimæ maximu malumeſt. Atuerò fieodem
pulchro nonadgenerationem, ſed ad contemplationem utatur,quaſihuius
beneficiodiuinæ pulchritudi nisreminiſcatur, quis ambigat,amore diuino incendir
Quandoqui dem in diuinam pulchritudinem reuocatur, unde facilis in bonum
eítaſcenſus. Quo fit, ut hic amor ſummopere laudandus extollen á dusclit: ille
uerò ſummopere uituperandus. Declaratumeft, quid Venusſignificet: declaratum
quoque quid fit pulchritudo, ubi fitprimò, ubi deinceps: quòdpulchritu do
noneſtamorismateria,fed finis: quòd nonelt idex, necin ideis: quòd amor nullam
habet pulchri poſſeſsionem, ſed potius mer dium tenet locum inter pulchrum
atque non pulchrum: quod to. tidem ſunt amorum genera, quot pulchritudinum:
quòd pul chritudo omnis ad cæleſtem plebeiámque reducitur, quo fit ut amor
partim plebeius, partim cæleſtis ſit: quòd in omni ani. ma rationali utrunque
amorem ſit inuenire, in noftra autem duplici ratione. In præſentia uerò reſtat,
ut diuiniPlatonis fer e uc uc moncm IN SYMPOSIUM ENARRATIO. 170 PLATONIS
moneminterpretemur.Pauſanias apud Platonem laudaturus Amo rem,improbatPhædrum,
quodliclaudarit,quali unus ſimplex (pa mor,atą is rectus honeſtusõpeſſet.
Quoniam uerò non unus ſim plexoelt,oportet,inquit, declarare nos prius, quot
ſunt Amores, quis laude dignus, quis minimé.Eftautem laudedignus,qui bonus
& àbono,& in bonum. Qui uerò necbonuseſt, neqz à bono, neq; in bonum:tantum
abeſtutlaudari debeat,ut etiam uituperatione ſit di gnus. Qui uerò cauſa eſt
maximorum bonorum,hunc ipſum bonū effe,nemoeſtomnium qui ambigat. Contrà uerò,
quimaximorum malorum cauſaeſt, nónne &ipfemalus eſt putandus. Quapropter
illé reuera laudanduseſt,quibonorumnobis auctor eſt. Contrà ue rò ille
uituperandus,à quo nobismala eueniunt. Videndum igitur primò,quot ſunt amores.
Amor,inquit, femper Venerem comita tur. Quapropterfi una eſfet Venus,unus
&Amor utique eſſet. At quoniam duo ſunt Veneres, altera cælo nata, fine
matre quę cæleſtis Venusdicitur: altera uerò,quæ Plebeia nuncupatur, ex loueac
Dio ne progenita: propterea duos eſfe Amores neceſſe eſt. Quorū alter.cæleftis
eft, illeſcilicet, qui cæleſtem Venerem: alter uero plebeius, qui plebeiam
comitatur.Dux,inquit,Veneres ſunt,hoceft,duo pul chritudinis genera:ut Plotinum,alios
omittamus. NamPlotinus putat, Venerem eſleipſam animam. Nosautem oſtendimus
interex ordia ſermonis huius,ex his quæ à Platone dicuntur in Phædro, Ve nerem
nihil aliud, præter pulchritudinem, ſignificare. Cui quidem ſententiæ Hermias
Ammonius adftipulatur.Namin Phędro,ubiex ponit illud
Platonis,Furorisamatorñpatrociniū tributum eſſe Ve. neri,apertè dicit,Venerem
ſignificare pulchritudinem. Sed Hermiæ auctoritas contra Plotinum
afferendanoneſt. Satis autem mihi ſit, poſſe ex Platonis ſententia
probabiliratione defendere,Venerem ef ſe pulchritudinem. Quod quidem etiam
obnixè contenderem, ni magnus Plotinusmeremoraretur.Tantum enimei uiro
tribuendű cenfeo,utexiſtimem, huncipſum primo longè eſſe propiorë quàm tertio,
fiue is ſitNumenius Pythagoræus,fiue lamblichus Chalcidæ us (quem inter homines
deum facit Iulianus Imperator) ſiueſitmag. nus Syrianus,quem Proclus non ſecus
acnumen colic. Ergo dug Ve neres, hoceſt, duo pulchritudinis genera ſint:
quarum alteramdi cit Cælo natam finematre:alteram louis Dionesof ſtirpem. Vetus
eſt dogma(cui Plotinus, quiğz Plotinum ſequuti ſunt,Porphyrius, Amelius
Longinusadftipulantur)tria effe rerü omnium principia, Perſeunum,Mentem, Animam.Aperſeuno
eſſe Mentem, quam uocant Mundumintelligibilem, à Menteeſſe Animam, ab Anima
uerò uniuerſum ſenſibilem mundumprocedere. Per ſe unum rebus P 2 172 FRANCISCI
CATANEI DIACETIL elargiri unitatem:Mentemſiue mundumintelligibilem elargiricon
ftantiam:Animamueròmotum. Rurfus,per ſeunum quandoque Cælumappellari,Mentemuerò
Satúrnum, Animam louem. His itaqz conſtitutis,poſſumus dicere,E Cælo,hoceft, ex
primo rerum omnium principio, quodper ſe unumdicitur,natameffe Venerem,
ideſt,primam pulchritudinem,quæprimò in ipſo perſe animali ef fulget. Natam,inquam,exipſo
per reuno, quoniam intellectus fiue ipfum perfe animal, in quoeſt prima
pulchritudo,ex ipſo perfe uno prodïjt.Natam porrò ſinematre,quoniam proceſsio
huiuſmodi nul Ioantecedente indiget fubiecto, quemadmodum rebus naturalibus
euenit. Prodit enim ſecundum à primo, per fimplicem quandam proceſsionem (ſicuti
lumen à Sole prodit ) eius potentia totaeft. in producentis uirtute. Quo pacto
dicimus &animam ab intelle ctu, & materiam ab anima prouenire. In toto
hocproceſſu concin git, ſex rerumordines obſeruare. Ipfum per fe unum, Mundumin
telligibilemn,Animam ipſam,Naturam animæ inſtrumentum, Cor pusMateriam,. Infra
autem noneſt deſcenſus. Vnde & Orpheus, In ſexta,inquit,progeniecantilenæ
ornatum finite. Quod ctiamin Philebo uſurpat diuinus Plato.Poteft &alia
ratione, acnondeteri ore fortaſſe, Veneremdici Cælifiliam eſſe. Namin Cratylo
dictum eſt,Cælum efle aſpectum in fuperiora intuentem: Saturnum purita tem
intellectus: Iouem uerò uiuentem, & perquemuita, ita ſcilicet, atis
aſpectus, quo mundusintelligibilis per fe unum intuetur, Cæ. lumappelletur: is
uerò, quo ſeipſum uidet, Saturnus, quali lit pura intelligentia, in ueritatem
incumbens: Iupiter uerò ſit Mundusin telligibilis,quatenus uidet feextra
feipſum participabilem eſſe.Qui quidem dicitur mundi opifex, quandoquidem mundi
principium eſt.Quo euenit, ut recta ratione tum uiuens dicatur, tum etiam per
quemuita. Viuens quidem, quoniamprincipium eſtefficiendi. Ac uero per quem uita,
quoniam fingula ſuum hinc habent efficiendi modum. Is igituraſpectus, qui in
ſuperiora intuetur, merito in eum ſenſum reduci poteft, quem naturæ paulo ante
appellauimus.Qui propterea Cælum recta ratione dicitur, quandoquidem principi
umeſt, quo per fe bonum ſingula præfentiant. Huius quidem Cæ li Venusfilia dici
poteſt: quoniam pulchritudo intelligibilis, quæ cæleſtis Venus eſt, hinc habet
originem. Nam hicſenſus princi piumeftuitæ. Quo fit, ut etiam ſit principium
pulchritudinis. Pul chritudo ením uitam fequitur,ut dictumeft. Eft autem fine
matre: quoniamnondummateria erat, quæmaterappellatur: quando pri mapulchritudo
longè materiani antecedit. Plotinus uidetur àdi uino Platonediſſentire,qui
dicit, Veneremcæleftem Saturni ſtir pem IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO, fo
pemeſſe.Putat enim Veneremeſſe animam,quæ àprimo intellectu procedit.Sed
hęchactenus de cæleſti Venere.Nuncuerò de plebeia agendűeft.Plato dicit,plebeia
Venerem louis acDiones ſtirpē eſſe, afferens habere matré,quãCæleſtis Venusnon
habebat. Iupiter ſig nificatMundianimā, quemadmodūpatet ex his,quædicútur in
Phę dro.Magnus uciądux in Celo lupiter,citans alatū currum,primus
incedit,exornans cuncta,prouide diſponens. Huncſequitur deo. rumdæmonumą
exercitus,per undecim partes ordinatus. Solà autem in deorumædemanec Veſta.Ex
quibus uerbis palàm effe po teft, louemeſſemundi animam. In Philæbo quoque
dicit Plato, In magno loue eſſe regium intellectum, eſſe & regiam animam:
lig. nificans,mundi animam tumuninerſaliintelligentia,tumetiam uni uerſaliuita
præditameſſe. Ergo Iupiter mundi anima eſt; ſecun, dùm Platonem. Dione autem
Materia dici poteſt. Anima enim quælupiter appellatur,mundumproducere debet.
Mundusautem materia indiget. Quo fit, ut mundo neceſſaria ſit, non quidem ſim
pliciter,fed ex ſuppoſitione.Námſidomus fieri debet, talis aut talis materia
fit neceffe eft. Vnde &Ariſtoteles materiam appellauit ner ceſsitatem ex
ſuppoſitione. Plato quoqiri Timæo dicit; mundum ex mente &neceſsitate,id
eft, ex materia eſſe conſtituium: quaſi ma teria neceſſaria fit. Si igituranima
mundum producere debet, mà. teriam quo producat neceſſeeſt. Quo euenit, ut
Dionérectara tiónė diči poſsit:quandoquidemand trüdros,hoceſt,à loue trahit ori
ginem.Eft itaque plebeia Venus,louis Dioneső filia:quoniam ſe minaria naturæ
pulchritudo tum pendet à mundi anima, cuius eſt inſtrumentum ad generationem,
tum etiam materiam mundo ne. ceſſariam reſpicit: quæ propterea amat eſſe mater,
quòd ſuopte in. genio gremium eſt formarum omnium. Dicitur autem plebeia;
quandoquidemi cūſenſu materias commercium habet. Quod enim àmateria
ſeiungiturubi, ueritatis participat, cæleftem diuinámque conditionem præ fe
ferre credendum eft. Ergo cùm duæ fint pul chritudines,diuina fcilicet,ac
plebeia, duo quoque Amores ſint ñes ceſſeeſt. Amor enim femper pulchritudinem
ſequitur. Diuinæ pul chritudinis Amor diuinuseſt: qui non folùm diuina
pulchritudi: ne perfrui affectat, uerùm etiam hanc candem exprimere per mo dum
feminis. Plebeiæ pulchritudinis amor&ipfe plebeius. Hic autem principium
eſt generationis, quando pulchritudinem ini materiaper modum ſpectaculi
exprimere nequit, citra formarum omniumexplicationem: Sed ambigi poteſt,quo
pacto dictum ſic, quot ſunt pulchritu dines, totidem efle Amores, Nónne
pulchritudo finis Amoris eft: is 31 p3 174 ERIKOISCI CATANEI DIACETIT At vero
quid prohibet, fi finiseſtunus,ea quæ ſuntgratia illius,mul taelle: Sicut etiam
nihil prohibet, exemplar unum eſſe, multa ue. rò quæreferuntexemplar. Vnus
enimHercules eſt: Herculisautem imagines complures. Vnde&illud Platonis in
Timæo in contro uerliam trahitur,propterea, inquit,munduseft unus, quoniamex
emplar unumimitatur. Nam ſiunius exempli multæ imagines eſſe
poflunt,quomododictum eſt mundum propterea unum eſſe,quo. niam exemplar unum
imitetur: Ariſtotelescùm uellet oftendere, Mundum eſſeunium,ex tota ſua materia
conſtitutum effedixit. Edli enimaliudmundus eft,aliud ſua mundo eſſentia: non
tamen conti nuo euenit,ut uel plures fintmundi,uel plures contingat fore: qua.
ſi ſpecies, quæ fit in materia, femper amet eſſe uniuerfale. Suntau tem plura
ſub eadem fpecie, quæcunque ſibi ſuæ materiæ aſſumunt particulam:ut equus,utleo,
& fi quaſuntalia generis eiuſdem. At ueròquæcunqextota materiafua conſtant,
hæc quidem ſingulain ſingulis funt.Exhisautem mundus eſt. Dehisabundèin primo
li brodeCælo agitAriſtoteles. Vnde colligere poſsumus,materia copiam,multitudinemindicare
ſingularium.Quod etiam in undeci. moRerumdiuinarumclara uoce dictum eſt.
Verumenimuero de claremus primò diuinum Platonem rectè dixiſse, qui aſseruit in
Ti. mæo,mundumpropterea unumeſse, quòd exemplar unum imita. tur.Deinde
declarandum nobis eſt, totidem efse Amores, quotſune pulchritudines.Tametfi
pulchritudo finis eſt Amoris. Plato igitur oftenſurus,muudum eſse unum,non ex
eo oftendit, quòdmateria eſtuna (quemadmodum Ariſtoteles fecit ) nec.exco,
quòdmundi eſsentia in corpus unum occurrat,ficut Stoicicomminiſcuntur. Aut enim
ſolus,aut maximèuſus eſt præcognofcente cauſa,quemadmo. dum inquit
Theophraſtus.Nam mundum eſse unum, acceptumre. fert exemplaricaufæ. Sienim
exemplar unum, opifex unus,neceſse eft & mundum eſseunum. Nam opifexunus
dum perfectiſsimèexo primit exemplar unum, omnes exprimendi numeros impleat ne
ceſse eſt. Alioquinon perfectiſsimèexprimeret. Huiuſmodi autem expreſsio
nonniſi in uno perfectiſsima eſt. Si enim multa eſsent, quæ perfectiſsimè
exprimuntur, quid prohiberet, in infinituma bire: At aſserere, ab uno opifice
infinitos eſse mundos, ſtupidi omnino mancipñ eſt. Non eft igitur dicendum,
multa eſse quæ perfectiſsimè exprimuntur. Sed neque etiam aliud alio eſse perfe
ctius, quandoquidem perfectiſsimum obuiam fieret. At fi uel plu. ra, uel
exquiſitius in perfectiſsimo continentur, nónne cætera fu
perfluent:Quaproptermeaquidem ſententia, rectè adſtructum eft, Si 1 IN
SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 13. Si exemplareſt unum, opifex unus, neceſse eſt
&mundum eſseu num.Acexemplareſſeunum,opificem unum, facilè oftendi poteſta
Sienim multa exemplaria eſſent,autæquè perfecta dixeris,autaliud alio ex his
præſtantius. Fieri autem nequit, ut æquè perfecta fint, quandoquidem ſingula
ualerent idem. Quo euenit, ut unum fatis ſit. Sin autem aliud alio
perfectiuseft,nónne in id,quod eſt præſtan tius,ſemper opifex intuebitur unde
& cætera nulli uſui fuerint. Si. mili ratione de opifice adftruendum.
Quapropter recte dictumeſt à diuino Platone, Mundum propterea unum eſſe, quòd exemplar
unumimitetur. Quo fit,ut facillimè ea ratio refutari poſsit, quæ co nabatur
oſtendere,non continuòmundumeſfeunum, quòd exem plar unumimitaretur:quando
uidemus,exemplaris unius multa ſi mulachra eſſe. Namomnino fierinequit, utmulta
ſimulachra exem plarisſint unius, ſi ſit opifex unus, ifíp perfectiſsimus:
cuiuſmodi mundi opifex eſt.Nam multitudo fimulachrorum,autex opificis de
bilitate: autex multitudine uarietateof fic. Quòdfiobijcitur, ani marum
ideameſleunam, opificem unum, huncés perfectiſsimum: complures tamenanimaseſſe.
Adhæc,leonis autequi, & fiqua ſunt generis eiufdem, ideam eſſe unam,
complura tamen quæ ideam i plamimitentur. Nos ad hæcreſpondeamus,non eſſe
animarum om nium ideam unam, proinde nec exemplarunum. Sed fingulas ani mas,
ſingulas habere ideas. Vnde & animæ omnesrationales, de Pla tonis
fententia,fpecie differunt. Quodetiamſenliſſe Ariſtotelem non ambigimus. In
his,inquit,quæ ſunt ſeorſumà materia, idem res ipfaeft,& fuum rei eſſe. At
intellectum ſiue rationalem animam ſe orſum eſſe,ſecundùm Ariſtotelem facilè
dabuntij, qui multis in lo cis Ariſtocelis uerba attentè legerint. Themiſtius
in tertio libro de Anima dicit de mente Ariſtotelis, intellectum illuminantem
eſseu num, illuminatosuerò aclubinde illuminantes complures. Quoe. uenit,uttum
multi ſint,tum etiam ſpecie differences. Quapropter & animarum diſcurſiones,
& uitæ, ſpecie differunt: ſicut etiam &cor pora. Sedde his alibi latius
agendum eſt. Satis eſt auteminpræſen tia declaraſſe,animarum omniumnon
eſſeideam unam. Soluitur & alia ratio.Nam propterealeoniseftidea una,
exemplar unum, par ticipatus uerò mulci:quoniam idquodexprimit in materia, non
eſt unum ac perfectum,ficutimundiopifex unus perfectusoz eſt. Con currunt enim
dij mundani, & cælum ac cauſæ particulares, ad i pfam rerum generationem.
Quod etiam Ariſtoteles clara vocete ſtatur,dicens,ab homine & ſole hominem
generari, Hactenusdeclaratum eft,liexemplareſtunū, quo pacto id, quod exemplarimitatur,unumeft,
quo pacto contingitmultitudinem in cidere.Nuncuerò reſtat,ut eirationi
reſiſtamus, qua adftruitur, non elle totidem Amores, quotpulchritudines,
propterea quòd concin git finemeſſeunum:complura uerò, quæ illius gratia ſunt.
Nampul chritudò finiseft amoris.Dicimusigitur,id quod habetrationemfi nis,expetibile
effe:atqzidquod reueraomnium finiseſt, reuera quo que acmaximèexpetibile.Quapropterquoniamper
ſeunum &per febonnmomnium eſt finis,reuera & primòab omnibus effe expe
tibile. Vndeapud Ariſtotelem legas,bonumid efTe, quodomnia ap petunt.
Significatur enim idquodab omnibus, fed pro ſua cuiuſque facultate,expetitur,eſleid,quodreueraac
primò bonumeſt. Cum itaqs expetibile moueat appetitum, ubi plura expetibilia
ſunt, toti demeſſe appetitus generaneceſſe eſt. Appetitus enim ſemper expeci
bile ſequitur,eiuſdem eftutrunqß contemplari; quaſi natura con iuncta
lint.Vbiuerò unumexpetibile,appetendigenusunumquo. queſitoportet. Quo fit,cùm
unum idem's omnibus commune bo, numſit,unumquoqlıtomnibuscommuneappetendi
genus.Om nia enim ſibi bonumadeffe cupiunt:cuius gratia agunt, quicquida gunt.
Atqz ita in cunctis unum eſt. Præter autem id bonum,quod
cùmprimòbonumſit,omnibusadeſt,ſuntalia & bonorum genera, quorumſuus
cuiuſeftappetitus: cuiuſmodi pulchrumeft, cuiuſ modiiuſtī, & fi qua
ſuntgeneris eiuſdem. Rectè igiturà diuino Pla tone dičtum eſt,totidem
effèAmores,quot ſunt Veneres. Venus énimpulchritudo eſt:amor autem
pulchritudinis deſiderium. Cum igiturduæ ſint pulchritudines,altera diuina
accæleſtis,altera plebe. ia ac ſenſui obnoxia: ſintóshæc genera duo expetibilium:neceffe
eft, totidem quoq; effe appetendigenera,qui duo ſuntAmores. Atque ſicmea quidem
fententia fortèmelius, quàm quibus uiſumeft, pul chritudinem Amoris eſſe
materiam. Ex his ratio illa facilè diffolui tur.Adftruitenim polito appetibili
uno, contingere, ut complures illius fint appetitus. Cui quidem manus dandæ
ſunt, non tamen continuo pluraelle appetendi genera: quod quidem adſtruendum
érat. Nam pulchritudo fi unafit, etſi nihil prohibet inultos illius Amores efle,
unum tamen fuerit amandi genus. Quoniam uero duæ pulchritudines ſunt, duoquoq
amandi genera ſint neceffe eſt. Acą hanc ego exiſtimo ueriſsimam diuini
Platonis ſententiam èffe: arguimerito, quòd Amorum alterum cæleftem, alterum
ple bcium appellauit:quoniami altera pulchritudo diuina ſeparabiliság
dicitur,altera plebeia,accumimateria communićañs: quali ex inge nio appetibilis
appetitus ipſe ſitæſtimandus. Hactenus IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO, 177
Hactenus de his amoribus tranſegimus, quiomnibus animis inſunt, ſiue hæ deorum
ſint, fiue dæmonum, ſiue illius generis, quodcorpus caducum ſibi induit,
cuiuſmodi hominum animę funt. Nunc uerò ñ amores ſunt expediendi, qui propriè
hominum dici poſſunt,ſiuenos rapiant in generationem, ſiue in diuinam pulchri
tudinem reuocent. Atqui ſenſibilis mundi huius pulchritudo, intel ligibilis
exemplarisógillius eſt imago. Huius quàm ſimillima eſtcu iufuis hominis
pulchritudo. Anima enim omnis rationalis totius inanimati curam habet: ut in
Phædro dictum eſt. Quofit,utquaf: cung ſpecies ſortiatur, ſiue deorum uitam
uiuens, ſiue cæleſtem ac dæmonicam,fiuecorpus terrenum, elementarech nacta,
totius ſem per ingenium præ ſe ferant. Quapropter compacta mortali corpori,
etſi uideturanguſti carceris miniſterio detineri, omnem tamen in eo explicat
uniuerſi facultatem, quaſi ubicunqz ſit uniuerſum produs ctura. Ex quo ueteres
Theologi hominem paruum mundumap pellarunt. Fieri enim nequit,quando anima
omnis eft uniuerſum,. quin profuo efficiatingenio,ubicunq efficit. Hinc legas
apud Pla tonemin primo libro de Legibus, hominem eſſe miraculum quod. dam
diuinum,in animantium genere, fiue ludo ſeu ſtudio quodam à ſuperis conſtitutum.
In ſeptimo quoc eiuſdem operis, Deus, in quit, omni beato ſtudiodignus eſt:homo
uerò deiludo eſt fietus.Ex quibus uerbis colligi poteſt, hominem habereomnia in
numerato, quæcunqmundus ipfe habet. Nampropterea dicitur dei ludo con
ftitutus,quoniam ueluti Simia deum ipſum imitatus, fuo quodam modo fit
uniuerſum. Siigitur hæcitafe habent, quis ambigat,homi-. nis pulchritudinem
ipſius mundi pulchritudinis quàm ſimillimarn effe: Quicuno itaq;
huiuſmodiſpectaculo delectatus, in Amorem declinat generationis, hic plebeio
amore detineri iure dicitur. None nim obaliud quæritaffectató pulchrum,niſi
quoniam credit ſepol fe in co generationem conſummare. Amator autem
talisaggreditur, quodcunqobtigit,ſiue mas ſit, ſeu fæmina. Fæminãquidem, quoni
amhocinſtrumentū neceſſariū eſt ad generationē.Fieri enim nequit, utcitra
fæminam generatio abſoluatur. Fæmina enim ſi credimus Ariſtoteli,materiçuicem
gerit:Eſtenim fæmina mas lęſus, utillein quit. Marē uerò,quoniã quandoquſą adeo
inſanit, uſą adeo impo tenti uoluptate delinitur,ut credat ſeibi generationé
conficere pofle, unde ſummum hauriat uoluptatis. Quofit,ut cecus omnino in
pudo. rem temere graſſecur. Amatautēcorpus magis quàm animữ. Quan.
doquidéanimus diuina res eſt,diuino amoreprofequenda. Ille uerò iã totusà
diuino abhorret. Quo fit,ut corpus magis probet uolupta tū miniſteria
exhibitură. Amatquo & potius ſinementehomines, 178 FRANCISCI CATANEI
DIACETI prudentes.Quoniam non facile eft prudentes decipere, qui mente ualentacnitunturratione.Noneftautem
conſilium, ea incommoda in præſentia recenſere, quçtalesamatores ſuis amatis
adeffe cupiunt. Quidenimaliuddiu noctub cogitant,niſiquo pacto ualeant uolup
tatem explere: Vndeſiamatipauperes fuerint, ſine neceſſarös, ſine clientelis,lineamicis,adheline
omnianimi cultu, cuiuſmodi ſuntdi ſciplinæbonarumartium, ſinequibus nemo
uirmagnus eſle poteft, denią fine diuina philoſophia, quæ homines facit
prudentiſsimos, miruminmodum gaudent,quafiex calamitatibuseorum ſuam felici
tatem auſpicaturi.Quapropterimprobandi,reiciendi,inſectandig ſunt,tanquam
maximèpernicioſiac noxij, quippequigenus huma nummaximis detrimentis,bonisuerò
nullis afficiant. Quid igitur mirumfi legibus cautum eſt,nullo pacto uulgares
amatores audien dos eſſe, quaſi impudentiſsimiiniuſtiſsimiĝzlint: Huiuſmodi
igitur ac fimilium affectuũauctoreſtilla ſenſibilis pulchritudo, quam Ve
neremplebeiam appellat Plato. Trahitenim, utdictum eſt, rapitớs animamadcorpora
(quodanimæmaximummalumeſt ) niſi optimi morešdiuiniacobftet philoſophia,cuius
beneficio ueritatis partici pamus. Atuerò ſipulchritudo ſenſibilis ſit
inſtrumentum addiuină pulchritudinem, Venuscæleſtis rectè dicitur:affectusõz
ille,qui cir ca hancuerſatur, Amorquoq cæleſtis iure appellatur. Prouocatau tem
ad diuinam pulchritudinem,non fæminæ pulchritudo,ſed ma ris. Amatorenim
diuinus,cùm probè nofcat fæminamgenerationi deſeruire, in mareuero generationem
expediri non poſle, abhorreat autem penitusà generatione (quandoquidem totus in
diuinum in hæret)fit utiqz maſculæ pulchritudinis & fectator adeò
&admira tor: quippe qui pulchro uti amet,non tanquam in quo explicet ſemi
nalem pulchritudinem (quemadmodum euenit plebeio amatori) fed tanquam
inſtrumento, quo in domeſticam pulchritudinem, ac tumdeinde in
diuinamattollatur. Probat autemnon pueros adhuc mentis expertes,fed
adoleſcentes, quimente ualere iam cceperint. In certum eſtenim,an pueri uirtute
præditi futuri ſint. Ille autem in pri mis uirtutem, optimum (Banimi habitum
admiratur. Ergo adole ſcens ubi furentem amicumcontemplatur, quàm omni uirtutum
ge nere abundet,non minus obferuareac colere debet, in omne oble quium
paratiſsimus,quàmdeorum immortalium ſtatuas colendas cenfet. Scit enim cumeo
diuinum ad omnetempus habitare: proin de nihil aliud fibicogitandum
efle,niſiquo pactoualeatomneuirtu tumgenus explicare,utdiuino amatore dignus
amatus & uideatur & fit.Hactenus Pauſaniæ ſermonem explicaſſe ſatis
erit. Nam quæ dicunturde Ariſtogitonis &Harmodñjamicitia,quæíz deuarijsa
mandi legibus, tum apud Græcos,tumetiam apud Barbaros, expli canda alijs
relinquimus. Nobis enim ea duntaxat proſequi conſi
liumeft,quæuideanturadPhiloſophiam pertinere. Eros [...] non è nato né
immortale né morta- le, ma nello stesso giorno, ora fiorisce e
vive, se vi riesce, ora muore, per poi risuscitar, di nuovo.
(Diotima a Socrate) Sigmund Freud, nella creazione della
psicoanalisi, dette un rilievo assolutamen- te centrale alla sessualità;
per essere più esatti le pulsioni sessuali, o libido, poi eros, rappresentarono
uno dei cardini portanti sui quali ruotò la metapsicologia freudiana,
nonché la ricostruzione delle dinamiche intrapsichiche e relazionali
nelle loro manifestazioni patologiche e non. Tutto questo è risaputo. È
anche noto che al riguardo Freud si richiamò ripetutamente all'eros di
Platone. L'obbiettivo di questo contributo è di sondare brevemente in
quali forme e con quali significati egli si riallacciò alla concezione
del filosofo greco, se i richiami risultano giustificati sul piano storico
e filologico, e infine se fu la lettura dei te- sti platonici a suggerire
a Freud determinate valenze dell'eros; dunque se vi sia una
"paternità" platonica della rinomata concezione della sessualità
freudiana. Vi sono due indirizzi principali rispetto ai quali Freud si
appoggiò a Platone, che segnano al contempo due delle più importanti vie
della concettualizzazione della sessualità: l'una concerne la sua
estensione sul piano delle dinamiche psi- chiche; l'altra la sua trasposizione
sul piano biologico, a sua volta articolata in due filoni. Seguiamo la
partizione freudiana. I. Lo scudo del "divino
Platone" In Massenpsychologie und Ich-Analyse, scritto e
pubblicato nel 1921, il concet- to di libido, e con esso l'estensione
della sessualità in esso presupposta, è diret- tamente ricondotto a tutto
ciò che rientra nell'universo semantico della parola Liebe\ ove Liebe va
dal «Geschlechts-liebe mit dem Ziel der geschlechtlichen Vereinigung»
fino all'amore per le «abstrakte Ideen» 2 . ' S. Freud,
Massenpsychologie und Ich-Analyse, in Gesammelte Werke, voi. XIII, pp. 98
sg.: «Libido ist ein Ausdruck aus der Affektivitatslehre. Wir heifien so
die als quantitative Gròfie betrachtete - wenn auch derzeit nicht meBbare
- Energie solcher Triebe, welche mit ali dem zu tun haben, was man als
Liebe zusammenfassen kann. [ . . . ] Wir meinen also, dass die Spra- che
mit dem Wort "Liebe" in seinen vielfàltigen Anwendungen eine durchaus
berechtigte Zusammenfassung geschaffen hat, und dass wir nichts Besseres
tun konnen, als dieselbe auch MARCO SOLINAS
Difendendo tale operazione dallo «Sturm von EntrUstung» che sollevò,
Freud si riallaccia direttamente a Platone: Und doch hat die
Psychoanalyse mit dieser "erweiterten" Auffassung der Liebe nichts
Originelles geschaffen. Der "Eros" des Philosophen Plato zeigt in
seiner Herkunft, Leistung und Beziehung zur Geschlechtsliebe eine
vollkommene Deckung mit der Lie- beskraft, der Libido der Psychoanalyse,
wie Nachmansohn und Pfister im Einzelnen dargelegt haben [...] Diese
Liebestriebe werden nun in der Psychoanalyse a potiori und von ihrer
Herkunft her Sexualtriebe geheifien [. . .] 3 . Il tono
essenzialmente difensivo del richiamo a Platone emerge in modo ancor più
esplicito nell'immediato prosieguo: Wer die Sexualitat fllr etwas
die menschliche Natur Beschàmendes und Erniedrigendes halt, dem steht es
ja frei, sich der vornehmeren Ausdrucke Eros und Erotik zu bedienen.
[...] Ich kann nicht finden, daB irgend ein Verdienst daran ist, sich der
Sexualitat zu schamen; das grìechische Wort Eros, das den Schimpf lindem
soli, ist doch schliefllich nichts anderes als die Obersetzung unseres
deutschen Wortes Liebe 4 . Considerazioni analoghe, e con la stessa
identica intenzione difensiva, aveva svolto del resto Freud l'anno prima,
nella nuova prefazione ai tanto celebri quanto discussi Drei Abhandlugen
zur Sexualtheorie, quando ricordava a tutti coloro che lo accusavano,
indignati, di "Pansexualismus": «wie nane die erwei- terte
Sexualitat der Psychoanalyse mit dem Eros des gSttlichen Platon zusam-
mentrifft» 5 . Per individuare i dialoghi platonici cui si
riferisce qua Freud vi sono due elementi principali: i suoi precedenti
richiami al Simposio e il rimando ai saggi di Nachmansohn e Pfister.
Quest'ultimo, nel suo brevissimo Plato als Vorlàufer der Psychoanalyse,
pubblicato nel 1921, presentava una panoramica complessi- va dell'eros
nel Simposio delineandone la convergenza con la libido e la subli-
mazione freudiane 6 . Nachmansohn nel suo Freuds Libidotheorie verglichen
mit der Eroslehre Platos, pubblicato fin dal 1915, aveva del resto già
mostrato che unseren wissenschaftliche Erorterungen und
Darstellungen zugrunde zu legen». Tutte le ope- re di Freud sono citate
dai Gesammelte Werke (d'ora in poi GW), Chronologisch geordnet, Frankfurt
am Main 1 968- 1 999. 2 Ivi, p. 98. 3 Ivi, p. 99 sg.,
corsivi nostri; P.L. Assoun, Freud, la filosofia e i filosofi, Roma 1990, p.
177 [ed. or. Freud la Philosophie et les Philosophes, Paris 1976]
commenta: «L'Eros platonico è la forma originaria di quella sintesi che
la stessa psicoanalisi promuove attraverso il suo con- cetto di libido
». 4 Ìbidem. 5 S. Freud, Vorwort zur vierten Auflage,
Drei Abhandlugen zur Sexualtheorie, GW, voi. V, p. 32, rimandando anche
qui a Nachmansohn. 6 Cfr. O. Pfister, Plato als Vorlàufer der
Psychoanlyse, «Internationale Zeitschrift Air Psy- choanalyse» VII/3,
1921, pp. 264-9, qui p. 267 sg.: nell'ascesa erotica descrìtta da Diotima si
ritrova «ciò che Freud chiama sublimazione». LA PATERNITÀ
DELL 'EROS. IL «SIMPOSIO» E FREUD nel Simposio, ma anche nel
Fedro e nella Repubblica, era contenuta una conce- zione dell'eros
equivalente a quella psicoanalitica, sia quanto all'estensione se-
mantica sia quanto al concetto di sublimazione 7 . Le coordinate testuali entro
le quali si inscrivono i richiami freudiani sono dunque rappresentate da
questi tre dialoghi. Quanto al Fedro, Freud stesso avrebbe di lì a poco
adottato - tacitamente - la metafora del cavaliere quale emblema
dell'utilizzo da parte dell'Io dell'energia erotica dell'Es 8 ,
rielaborando così l'immagine della biga alata richiamata da Nachmansohn 9
. Quanto alla Repubblica, citata da Freud già nel 1914 e nel 1916 in riferimento
al sogno 10 , è stato scritto molto rispetto alle affinità con la
concezione psicoanalitica (in parte intuite da Nachmansohn) 1 a
cominciare dalla idraulica dell' epithymia, alle modalità di gestione
repressive e sublimanti del desiderio, all'analisi dell'emersione onirica
12 ; tale questione ci allontanerebbe però dal nostro tema perché più che
di paternità sembrerebbe qui trattarsi di anticipazioni; veniamo dunque
al Simposio e cerchiamo di capire se l'estensione freudiana vi trovi
effettiva corrispondenza. Nel discorso di Socrate-Diotima - ove è
contenuta la concezione che può esser considerata rappresentare quella di
Platone -, l'eros si configura anzitutto quale forza sessuale in senso
stretto, riproduttiva: è in virtù di eros che uomini e 7 Cfr. M. Nachmansohn,
Freuds Libidotheorie verglichen mit der Eroslehre Platos, «Interna-
tionale Zeitschrift filr Àrztliche Psychoanalyse» III, 1915, pp. 65-83,
soprattutto p. 74 sgg.: Platone «anticipa» la concezione della libido e
la «concezione della sublimazione di Freud»: l'eros copre infatti tutte
quelle manifestazioni che vanno dall' «istinto di conservazione»
alI'«amore per la scienza». 8 Cfr. S. Freud, Das Ich und das Es,
GW, voi. XIII, p. 253; Id., Nette Folge der Vorlesungen zur Einflihrung
in die Psychoanalyse, GW, voi. XV, p. 83. Sulla paternità platonica
dell'im- magine cfr. tra gli altri A. Kenny, Meritai Health in Plato 's
Republic, in Id., The Anatomy of the Soul, Bristol and Oxford 1973, pp.
1-27, in particolare p. 12; W. Price, Mental Conflict, London and New
York 1995, p. 188. 9 M. Nachmansohn, op. cit., p. 77 sg., si
richiama alla «Vernunft» quale «Lenker der Seele» rimandando direttamente
a Fedro 254 a e 247 d, ovvero ai passi del mito della biga. 10 Sui
richiami a Repubblica, cfr. S. Freud, Die Traumdeutung, GW, voi. II/III, p. 70
e p. 625, entrambi aggiunti nel 1914, e Id., Vorlesungen zur Einfuhrung
in die Psychoanalyse, GW, voi. XI, p. 147. 1 1 Cfr. M.
Nachmanoshn, op. cit., p. 82: «Die Sublimierungstheorie Freuds fìndet sich
schon ausfuhrlicher bei Plato und "der Staat" bringt noch eine
noch auszubeutende padagogische Lehre, um die Sublimierung des Eros in
die Wege zu leiten». 12 Cfr. ad esempio W. Jaeger, Paideia, voi.
Ili, Berlin 1947, pp. 74-8; K..R. Popper, The Open Society and its
Enemies, London 1 966*, voi. I, p. 313; C.H. Kahn, Plato's Theory of
Desire, «Review of Metaphysics» XLI, 1987, pp. 77-103, soprattutto p. 83 sg.;
A. Kenny, op. cit., p. 1 1 sgg.; A.W. Price, Plato and Freud, in C. Gill
(ed. by), The Person and the Human Mind, Oxford 1990, pp. 247-270,
soprattutto pp. 261-3; J. Lear, Open Minded, Cambridge 1998, p. 10 sg. e
p. 108; M. Stella, Freud e la "Repubblica": l'anima, la società, la
gerar- chia, in M. Vegetti (a cura di), Platone, La Repubblica, Napoli
1998, voi. HI, pp. 287-336. Ho cercato di affrontare alcune di tali
questioni in M. Solinas, Unterdriickung, Traum und Unbewusstes in Platons
«Politeia» und bei Freud, «Philosophisches Jahrbuch» 111, 2004, pp.
90-112. MARCO SOLINAS animali «sentono il
desiderio di generare (yevvav è7tt0i)u/n,o-Tj)» (207 a). Il con- cetto
viene quindi "esteso", sì da risultare il fondamento di ogni tipo di
amore, come emerge nella celebre ascesa erotica: se il giovane all'inzio
«deve amare (èpfiv) un determinato corpo», poi «bisogna far sì che
divenga l'amante (èpaornv) di tutti i corpi belli, e che allenti la
veemente passione per uno solo», in modo da poter amare «la bellezza ch'è
nelle psychai», esser «indotto a con- templare il bello che è nelle
istituzioni e nelle leggi», nelle scienze, fino alla contemplazione della
bellezza in sé (210 a-c) 13 . Così, il giovane che «è stato educato
nell'eros (npòq xà èpamKà naiSaycoYtiGfì) fino a questo punto» (210 e)
giungerà alla conoscenza; è perciò grazie alla forza dell'eros che si può
giun- gere alla philo-sophia (210 d). Platone si riallaccia così alla
precedente defini- zione della philosophia quale desiderio (epithymia)
erotico per la sapienza di cui si è privi (200 a-e). In
sintesi, l'eros, volto originariamente alla procreazione sessuale, grazie
alle corrette modalità pedagogiche adottate a livello extrapsichico, mostra di
po- ter essere modellato, plasmato intrapsichicamente,
"sublimato" utilizzando il linguaggio freudiano, sì da
trasformarsi da forza sessuale in forza amorosa, in eros-philia o
Liebestrieb come potremmo dire 14 . Da questo punto di vista la
vollkommene Deckung quanto a Herkunft, Leistung und Beziehung zur
Geschle- chtsliebe tra eros e libido individuata da Freud (come da
Nachmansohn, Pfister e più tardi da molti altri commentatori) 15 si
rivela sostanzialmente corretta; sebbene la convergenza - sul piano
ontologico e filosofico-antropologico - non debba essere spinta oltre i
confini posti dallo statuto di Eros quale «demone me- 13
Seguo la traduzione di G. Calogero, Platone, Il Simposio, Roma/Bari 1946.
'4 Freud attribuirà paritariamente a Goethe e Platone una concezione aitine a
quella della su- blimazione in S. Freud, Goethe-Preis 1930, GW, voi. XIV,
p. 549: «Den Eros hat Goethe immer hochgehalten, seine Macht nie zu
verkleinern versucht, ist seinen primitiven oder selbst mutwilligen
Àufierungen nicht minder achtungsvoll gefolgt wie seinen hochsublimier-
ten und hat, wie mir scheint, seine Wesenseinheit durch alle seine
Erscheinungsformen nicht weniger entschieden vertreten als vor Zeiten
Plato». Già A.E. Taylor, Platone. L 'uomo e l'opera (1926), trad. it.,
Firenze 1987-1990, p. 327 sg. e pp. 349-59, pur accostando l'eros
all'amore cristiano ne ribadiva l'originaria forma «sessuale» ed «istintiva» di
«desiderio bramoso». 15 Tra i tanti crìtici si veda ad
esempio E. R. Dodds I Greci e l'Irrazionale, Firenze 1997, p. 264 sg.
[ed. or. The Greeks And The Irrational, Berkeley/Los Angeles/London 1951]
che commentando il Simposio scrive: «Platone qui si avvicina molto al
concetto freudiano di libi- do e sublimazione». Nello stesso senso va G.
Tourney, Freud and the Greeks, «History of the Behavioral Sciences» 1/1,
1965, pp. 67-85 e p. 80 sg.; H. Marcuse, Eros e civiltà, Torino
1964-1967, pp. 226-7 [ed. or. Eros and CMlisation. A Philosophical Inquiry into
Freud, Bo- ston 1955-1966], scrive che l'ascesa rappresenta una
«sublimazione non repressiva»; M. Ve- getti, L'etica degli antichi, Roma/Bari
1994, p. 137 sg., senza rimandare a Freud, scrive che nel Simposio si
tratta di «eros sublimato». LA PATERNITÀ DELL 'EROS. IL
«SIMPOSIO» E FREUD 235 diatore» (cfr. 202
c sgg.), e dal legame, invero assai significativo, tra desiderio erotico
e bellezza, originario in Platone, derivato in Freud 16 . In
conclusione, la paternità storica della concezione freudiana della libido
quale estensione o ampliamento della sessualità spetta di diritto a Platone.
Con paternità però in questo caso non si deve pensare ad una influenza
diretta del pensiero platonico su Freud; la teorìa della libido infatti,
sia quanto all'adozione del termine (latino), che rìsale ai primissimi
testi di Freud 17 , sia quanto al mo- dello di funzionamento che ne
permette la sublimazione, anch'esso di antica da- ta 18 , non sembra
infatti esser stata suggerita dalla lettura dei testi platonici. Re- sta
invece il fatto che Freud poteva legittimamente farsi scudo dell'autorità
del "divino Platone", e questa era in verità la sua primaria
intenzione, di fronte all'indignazione ed alle proteste sollevatesi da
più parti contro la sua teoria che attribuiva all'eros si grande rilievo
pressoché a tutti i livelli della vita psichica, rinvenendo nell'antico
filosofo greco un precursore. Platone levava ancora una volta alta la sua
voce, questa volta a difender però la potenza 'positiva' di un'energia
psichica, l'eros, per tanti secoli temuta quanto bistrattata, anche in
suo nome. Il discorso sulla "paternità" dell'eros assume
invece un'altra direzione ove si prenda in considerazione l'estensione
della libido o dell'eros al piano biologico; con ciò veniamo al secondo
significato attribuito all'eros. II. 1 due suggerimenti del
«Simposio» Jenseits des Lustprinzips, scritto e pubblicato nel
1920, segna una tappa fonda- mentale per la psicoanalisi perché in esso
Freud inaugura la nuova concezione dualistica delle pulsioni di vita e di
morte (che qui tralasciamo), attribuisce ad entrambe carattere
"regressivo" (1), e adotta una concezione per cui la pulsione
sessuale, o libido, o meglio Eros, riportato sul piano cellulare, viene
identificato quale forza che «alles Lebende erhalt», garantendone la
potenziale immortalità (2). 1. Quanto al carattere regressivo
o funzione di riprìstino attribuito (anche) alle pulsioni sessuali, Freud
richiama esplicitamente «die Theorie, die Plato im Symposion durch
Aristophanes entwickeln làBt»: l'ipotesi esposta nel mito, scrive,
«leitet nàmlich einen Trieb ab von dem Bedùrjhis nach Wiederherstel-
16 Cfr. ad esempio Freud, Dos Unbehagen in der Kultur, GW, voi.
XTV, p. 441 sg.: «Einzig die Ableitung aus dem Gebiet des
Sexualempfìndens scheint gesichert; es wàre ein vorbildli- ches Beispiel
einer zielgehemmten Regung. Die "Schoneit" und der "Reiz"
sind ursprttnglich Eingeschaften des Sexualobjekts». 17 Cfr.
J. Laplanche e J.B. Pontalis, Enciclopedia della Psicoanalisi (1967), trad.
it., Ro- ma/Bari 1997 , voi. I, p. 320 sg. [ed. or. Vocabulaire de la
psychanalyse, Paris 1967], per cui il termine «lo si incontra a più
riprese nelle lettere e nelle minute indirizzate a Fliess e per la prima
volta nella Minuta E (data probabile: giugno 1894)». 18 Cfr. ivi,
voi. II, pp. 618-21. 236 MARCO SOLINAS
lung eines fruheren Zustandes»^ 9 . Egli sintetizza il mito
ricordando che antica- mente v'erano i tre generi del maschio, della
femmina e dell'androgino, in cui tutto era doppio finché Zeus non si
decise a tagliarli in due, per citare infine: Weil min das ganze
Wesen entzweigeschnitten war, trieb die Sehnsucht die beiden Halften
zusammen: sie umschlangen sich mit den Handen, verflochten sich
ineinander im Verlangen, zusammenzuwachsen [...] 20 . Freud
rinviene dunque nel mito arìstofaneo, legittimamente, un modello che
soddisfa proprio quella condizione che egli cerca di soddisfare, ovvero la
fun- zione della pulsione sessuale di ripristinare uno stato precedente,
di raggiungere una meta antica 21 . Con ciò abbiamo una dichiarata
ammissione di paternità sto- rica dell'eros quanto al suo carattere
regressivo. 2. Quanto all'eros "che conserva", Freud,
sempre discutendo il Simposio, non si richiama più direttamente ad
Aristofane bensì al Dichterphilosoph 22 ; questo sembra un indizio della
sua consapevolezza perlomeno del fatto che nel mito a- ristofaneo il
discorso sulla separazione originaria concerne esclusivamente la natura
umana (cfr. 189 d; 193 c), l'eros non ha la valenza biologico-universale
attribuitagli da Freud (che ora vedremo), concezione che si ritrova invece
pie- namente nel discorso di Socrate-Diotima. Egli sembrerebbe dunque
coniugare parallelamente le sue due nuove concezioni attribuite all'eros
e i due discorsi del Simposio: il ripristino grazie al mito di
Aristofane, la funzione universale grazie al discorso socratico;
operazione che, sebbene contravvenga in parte al dettato platonico,
mostra che Freud sembra volersi riferire ad entrambi i discor- si, ed è
ciò che qua conta 23 . 19 S. Freud, Jenseìts des
Lustprinzips, GW, voi. XIII, p. 62, corsivo di Freud. 2 ^ Ibidem. Cfr.
Platone, Simposio 191a-b, traduz. di U. von Wilamowitz-Moellendorf,
corsi- vo di Freud. 2 1 Ibidem. Freud scrive che non
citerebbe l'ipotesi contenuta nel mito «wenn sie nicht gerade die eine
Bedingung errullen wUrde, nach deren Erfullung wir streben». Anche T. Gould,
Pla- tonic Love, London 1963, p. 3 1 sg., riporta l'interpretazione
freudiana del mito esclusivamen- te alla questione del «carattere
regressivo»; cfr. anche P.L. Assoun, op. cit., pp. 167-172. 22
Finita la citazione prosegue Freud, Jenseits des Lustprinzips, cit., p. 63:
«Sollen wir, dem Wink des Dichterphilosophen folgend, die Annahme wagen,
dass die lebende Substanz bei ihrer Belebung in Ideine Partikel zeirissen
wurde, die seither durch die Sexualtrìebe ihre Wiedervereinigung
anstreben?». 23 Ove la liceità agli occhi di Freud di una
coniugazione dei due discorsi verrebbe conferma- ta dall'osservazione per
cui rispetto al mito, Platone «sich nicht zu eigen gemacht, geschwei- ge
denn ihr eine so bedeutsame Stellung angewiesen natte, hStte sie ihm nicht
selbst als wa- hrheitshaltig eingeleuchtet», ivi, p. 63, nota 2 aggiunta
nel 1921; interpretazione che come sappiamo si scontra irrimediabilmente
con la negazione da parte di Socrate della concezione del «ripristino»
dell'unità originaria di Aristofane, cfr. Simposio 200 e, 20S d-e.
LA PA TERNITÀ DELL 'EROS. IL «SIMPOSIO» E FREUD 237 L'idea
guida dell'eros quale forza che «alles Lebende erhàlt», assicurata
dall'estensione delle pulsioni sessuali alle singole cellule, è garantire una
«po- tentielle Unsterblichkeit» alla materia vivente (se si vuole:
mortale) 24 : das Wesentliche an den vom Sexualtrieb intendierten
Vorgangen ist doch die Ver- schmelzung zweier Zelleiber. Erst durch diese
wird bei den hoheren Lebewesen die Un- sterblichkeit der lebenden
Substanz gesichert 25 . Così, con tale «Ausdehnung des
Libidobegriffes auf die einzelne Zelle wandelte sich uns der Sexualtrieb
zum Eros, der die Teile der lebenden Substanz zuein- anderzudràngen und
zusammenzuhalten sucht» 2 ^; la sessualità converge quindi con «den alles
erhaltenden Eros» 27 , «mit dem Eros der Dichter und Philoso- phen» 28 .
Nel corso degli anni tale concezione verrà conservata e ribadita per
sempre da Freud, di contro a quella del riprìstino più tardi abbandonata 29 , e
ri- condotta anche in seguito esplicitamente al Simposio: nel 1924 ad
esempio scri- verà che «was die Psychoanalyse Sexualitat nannte, [deckt
sich . . .] mit dem al- lumfassenden und alles erhaltenden Eros des
Symposions P/atos» 30 , nel 1932 che le pulsioni sessuali vengono
chiamate «erotische, ganz im Sinne des Eros im Symposion Piatosi 1
. 24 Ivi, p. 42. 2 ^ Ivi, p. 60, corsivo
nostro. 2 *> Ivi, p. 66 nota 1, corsivo nostro. 27
Ivi, p. 56. 2 " Ivi, p. 54: «So wilrde also die Libido unserer
Sexualtriebe mit dem Eros der Dichter und Philosophen zusammenfallen, der
alles Lebende zusammenhalt». 29 Tale concezione era esplicitamente
compresa anche in Freud, Massenpsychologie und Ich- Analyse (1921), cit,
p. 100, ove Eros «alles in der Welt zusammenhalt»; si veda anche Freud,
Das Ich und das Es (1923), GW, voi. XIII, p. 268; Id., Hemmung, Symptom und
Angst (1926), GW, voi. XIV, p. 152; Id., Das Unbehagen in der Kultur
(1929), GW, voi. XIV, pp. 596, e p. 604 sg.; Id., Die endliche und die
unendlìche Analyse (1937), GW, voi. XVI, p. 91 sg. (ove è ripreso
Empedocle); infine nel 1938, Id., Abrifi der Psychoanalyse, GW, voi.
XVII, p. 70 sg., Freud ribadisce: meta dell'Eros è «immer grofierere Einheiten
herzustellen und so zu erhalten, also Bindung» (Empedocle è ivi ripreso
nella nota 2); egli abbandona invece esplicitamene il carattere
regressivo delle pulsioni erotiche: quanto alla formula «dass ein Trieb
die Rttckker zu einem fruheren Zustand anstrebt», «Fttr den Eros (oder
Liebestrìeb) kònnen wir eine solche Ànwendung nicht durchfuhren». In nota
chiarisce: «Dichter haben Àhnliches phantasiert, aus der Geschichte der
lebende Substanz ist uns nichts Entsprechendes bekannt»; è scontato il
rimando al mito aristofaneo. 30 S. Freud, Die Widerstande gegen die
Psychoanalyse, GW, voi. XIV, p. 105: «was die Psychoanalyse Sexualitat
nannte, [deckt sich] keineswegs mit dem Drang nach Vereinigung der
geschiedenen Geschlechter oder nach Erzeugung von Lustempfindung an den
Genitalien, sondern weit eher mit dem allumfassenden und alles
erhaltenden Eros des Symposions Pia- tosi. 3 1 S. Freud,
Warum Krieg?, GW, XVI, p. 20: «Wir nehmen an, dass die Triebe des Men-
schen nur von zweierlei Art sind, entweder solche, die erhalten und vereinigen
wollen, - wir 23S MARCO SOLINAS
Ora, l'attribuzione di Freud trova effettivamente riscontro nel
discorso di Socra- te-Diotima. Ad un primo livello eros si configura
quale causa ultima che spinge gli uomini e «tutti gli animali della terra
e del cielo [...] dapprima ad unirsi l'uno con l'altro (av\i\iiyr\\ai
àXXi\\ov;) e poi a curarsi dell'allevamento della prole» 32 . Platone
amplia quindi ancor più il discorso: «la natura mortale cerca, per quanto
può, di divenire eterna ed athanatos. E può riuscirvi solo per questa
via, la via della generazione (xfj yevéoei), perché essa lascia sempre dietro
di sé un altro essere nuovo in luogo del vecchio» 33 ; ove «ogni singola
creatura viven- te [...] non conserva mai in sé le medesime cose, ma si
rigenera di continuo, deperendo in altra parte, nei capelli, nella carne,
nelle ossa, nel sangue e in tutto quanto il corpo» 34 . Conclude Platone:
in virtù di tale incessante generazione «si conserva (oró^exai) tutto ciò
che è mortale, non col restare sempre assoluta- mente identico, come il
divino, ma in quanto ciò che invecchiando viene meno lascia al suo posto
qualcosa di nuovo e simile a sé 35 . Con questo espediente, o Socrate, il
mortale, sia corpo sia ogni altra cosa (icori a&\ia icori zàXXa
nàvxa), partecipa dell'im-mortalità» 36 . Eros viene dunque esteso
a forza biologica universale che "unisce" e
"conserva" «ogni cosa» mortale (se si vuole: vivente) garantendone
la relativa e potenziale immortalità grazie ad una sorta di
macro-duplicazione, la generazione della pro- le, e ad una
micro-duplicazione, concernente ogni singolo elemento dell'or- ganismo;
Platone dischiude così la via che nel XX secolo sarebbe stata battuta
dall'estensione biologico-cellulare freudiana dell'eros (che si appoggiava
anche sui risultati della giovane microbiologia ottocentesca- di
Weismann, Woodruff etc, dunque sui processi di «duplicazione» cellulare)
37 . heiflen sie erotische, ganz im Sinne des Eros im
Symposion Platos, oder sexuelle mit bewuB- ter Oberdehnung des populàren
Begriffs von Sexualitat, - und andere, die zerstoren und tdten
wollen». 32 207 a-b; esordisce qui Diotima: «Quale credi, o
Socrate, che sia la causa di questo amore e di questo desiderio (ocinov
et vai xornot) xoO epco-Eoi; Kai tt^ èjtiG'uu.iaq)?», per prosegui- re:
«Non ti accorgi del tremendo stato di tutti gli animali, della terra e del
cielo, ogni volta che sentono il desiderio di generare, ammalandosi tutti
e assecondando l'impulso erotico (èpatiKcòc, Siaxi8é|XEva), che li spinge
dapprima ad unirsi l'uno con l'altro e poi a curarsi dell'allevamento
della prole?». 33 207 d 1-3: «fi 8vnxT| <pv>oic, £nxeì icona
tò 8waxòv àtei xe etvai icaì àOavaxoC;. Stiva- Tal 8è xavun uóvov, xfj •yevéaei,
òxi òeì KaxaXeinei èxepov véov àvxi xoù naXaiov». 34 207 d 7 - e 1
: «àXkò. véoc, àeì yiyvónevoc,, xà 8è ànoKKòq, Kai Kaxà xàc, xpixac, sai
oàpKa Kai òaxà Kai atna Kai aonjiav xò oiòua», sull'apparente manchevolezza del
testo cfr. P. Pucci, Platone, Opere complete, Roma/Bari 1993 8 , voi.
Ili, p. 187. 3 5 208 b 1-2: «àXXà x$ xò àitiòv Kai 7taAxtiov)ievov
exepov véov è^KaTaXelneiv otov ainò fjv». 3 *> 208 a-b.
Sulla natura «inconscia» del desiderio cfr. F. Comford, The Division of the
Soul, «The Hibbert Journal», XXVIII, 1929-30, pp. 206-219, soprattutto p.
217; A.W. Price, Plato and Freud, cit., p. 252 sg.; t. Gould, op. cit.,
p. 49. 37 Cfr. S. Freud, Jenseits des Lustprinzips, cit., pp. 46-61
. LA PATERNITÀ DELL 'EROS. IL «SIMPOSIO» E FREUD
239 Riepilogando, si deve attribuire al dialogo
platonico, sia quanto al ripristi- no arìstofaneo sia quanto all'eros che
unisce e conserva, la paternità della con- cezione adottata da Freud. In questi
due casi però, rispetto alla prima estensione del concetto di sessualità,
si tratta di una paternità in senso stretto, nel senso che Freud sembra
aver ripreso direttamente da Platone le due idee. Ad avvalorare tale
ipotesi vi sono i seguenti elementi. Rispetto al mito di Aristofane, va rico-
nosciuto che esso, citato già nel 1833 in una lettera all'allora fidanzata
Martha Bernays 38 , è attestato nel corpus fin dal lontano 1905, quando
Freud vi accen- nava nei Drei Abhandlugen zur Sexualtheorié 39 ; si
tratta dunque di una presen- za (scientifica) di antica data che dopo
circa quindici anni si sarebbe andata co- me a solidificare in una delle
teorie biologico-filosofiche più ardite dell'intero edificio
psicoanalitico. Quanto all'eros quale forza che conserva è degno di
nota sottolineare che fin dal 1910, nel suo Leonardo, Freud aveva assunto
quasi tacitamente una tale conce- zione ove scriveva di sfuggita che Eros
«alles Lebende erhalt» 40 . Ora, fa pensa- re il fatto che circa tre mesi
prima dall'inzio del Leonardo, iniziato all'incirca nell'ottobre del 1909
e finito nell'aprile del 1910, Freud citasse il Simposio nel saggio Sull
'uomo dei topi (finito per l'appunto il 1 7 luglio del 1 909); discutendo
del rapporto tra il fattore negativo dell'amore e la componente sadica, in modo
a dire il vero sorprendente Freud citava in nota le parole pronunciate da
Alcibiade nel dialogo platonico: «"ja oft habe ich den Wunsch, ihn
nicht mehr unter den Lebenden zu sehen. Und doch wenn das je eintrafe,
ich weiB, ich wtìrde noch viel unglucklicher sein, so wehrlos, so ganz
wehrlos bin ich gegen ihn," sagt Al- kibiades iiber den Sokrates im
Symposion» 41 . Se da questa citazione, per l'appunto inaspettata ed
estemporanea, è lecito presumere che Freud avesse ri- letto o perlomeno
ripreso in mano il Simposio, è altrettanto lecito inferire che l'idea di
Eros quale forza che «alles Lebende erhalt» espressa appena tre mesi
38 Cfr. S Freud, Lettere alla fidanzata e ad altri corrispondenti
1873-1939, Torino 1960- 1990, p. 41, lettera a Martha Bemays, Vienna, 28
agosto 1883: «Ormai non riesco più a sop- portare la compagnia, tanto
meno quella della famiglia, sono soltanto un mezzo uomo come dice
l'antica favola platonica che tu certo conosci, e la mia sezione soffre non
appena sto senza far niente». 39 S . Freud, Drei Abhandlugen
zur Sexualtheorie, GW, voi. V, p. 34: «Der populàren Theo- rie des
Geschlechtstriebes entspricht am schònsten die poetisene Fabel von der Teilung
des Menschen in zwei Halften - Mann und Weib -, die sich in der Liebe
wieder zu vereinigen streben». 40 S. Freud, Etne
Kindheitserinnerung des Leonardo da Vinci, GW, voi. Vili, p. 136, discu-
tendo della "castità" degli scritti postumi di Leonardo scrive che
tali scritti «weichen allem Sexuellen so entschieden aus, als w8re allein
der Eros, der alles Lebende erhalt, kein wtlrdi- ger Stoff Air den
Wissendrang des Forschers». Il termine Eros era stato utilizzato da
Breuer fin dal 1895: cfr. Breuer e Freud, Studi sull'isteria, in Opere
Complete, Torino 1967-1989, voi. 1, p. 389 (la parte di Breuer è assente
nell'edizione degli Studien iiber Hysterie edita nel- le Gesammelte
Werke). 41 S. Freud, Bemerkungen iiber einen Fall von
Zwangsneurose, GW, voi. VII, p. 456, n. 1; cfr. Simposio 216 c.
240 MARCO SOLINAS dopo gli
venne suggerita proprio dalla recente rilettura del dialogo platonico. In
questo caso si tratterebbe dunque di ben più di una solo eventuale
"Kryptomne- sie" dovuta all'ampiezza delle sue lontane letture
giovanili, come quella tirata in gioco laddove Freud - rinunciando
garbatamente e felicemente all'originalità - riconosceva ad Empedocle la
paternità storica della sua teoria dualistica 42 . Sembra dunque che il
Simposio, dalle sue timide comparse del 1905, del 1909 e presumibilmente
del 1910, abbia poi più o meno silenziosamente, più o meno inconsciamente
continuato a lavorare nella mente di Freud per riemergere infine con
l'ampia revisione della concezione della sessualità di Jenseits des
Lustprin- zips del 1920. In questo caso però, sia quanto al carattere
regressivo sia quanto alla funzione biologica, la "paternità
dell'eros" non sarebbe più solo storica, né si tratterebbe più
dell'utilizzo dell'autorità del "divino Platone" quale scudo contro
le proteste sollevate dal risalto dato alla sessualità: sembrerebbe
invece trattarsi di una paternità in senso stretto, di un'influenza
diretta esercitata dal Simposio, sviluppatasi e sedimentatasi col lento
trascorrere degli anni. Possiamo allora concludere affermando che da una
o verosimilmente più riletture del dia- logo di Platone sia scaturita una
decisiva rielaborazione di una delle concezioni della sessualità,
dell'eros, se non forse tra le più originali in assoluto, di certo tra
42 In Die endliche und die unendliche Analyse (1937), GW, voi.
XVI, pp. 90-2, Freud scrive della sua teoria pulsionale dualistica, che
incontrava ancora resistenze: «Umsomehr musste es mieti erfreuen, als ich
unlàngst unsere Theorie bei einem der groflen Denker der griechischen Frtthzeit
wiederfand. Ich opfere dieser Bestàtigung gern das Prestige der Originalitat,
zumai da ich bei dem Umfang meiner Lektiire in fruheren Jahren doch nie
sicher werden kann, ob meine angebliche Neuschòpfung nicht eine Leistung
der Kryptomnesie war». Freud procede quindi nell'accostamento: «Die
beiden Grundprinzipien des EmpedoMes - cpiAla und veìkck; - sind dem
Namen wie der Funktion nach das Gleiche wie unsere beiden Urtriebe Eros
und Destruktion", ove philia ed Eros (come rispetto all'eros del Simposio)
hanno in comune la tendenza «das Vorhandene zu immer grOfieren Einheiten
zusammenzuffassen». Empedocle è ripreso anche in Abrifi der
Psychoanalyse, GW, voi. XVII, p. 70. Sull'accostamento cfr. per esempio
G. Tourney, Empedocles and Freud, Heraclitus and Jung, «Boullettin of the
History of Medicine» XXX, 1956, pp. 109-123, specialmente pp. 109-116, e
Id., Freud and the Greeks, cit., pp. 81-85. LA
PATERNITÀ DELL 'EROS. IL «SIMPOSIO» E FREUD 241
le più discusse e significative del XX secolo. Si rivela così, ancora una
volta, la forza e la fecondità di un passato antico, che, anche perché
tanto amato, sembra morire solo per poi rinascere, di nuovo. ■4
ss <* t " ■fi
ir. — * ìfm
ri kl DI M. FRANCESCO cattami
da DIACCETO, FILOSOFO ET GEWJ" 1 V HVO MO
Fiorentino > con un Tanegerico all’ more ; t
ET CON LA VITA DEL DETTO Autore,fatta da M. Benedetto
Varchi 07 ^ V H.I V I L E G IH VINEGIA AP PRESSO G A
fi A 1 1 R GIOLITO DE* FERRARI. fa IL
PRIMO LIBRO D’ A M O R E, DI M. FRANCESCO CATTA
NI DA DIACCETO FILOSOFO.ET GENTI L*HVOMO FIORENTINO.
mSm O NON DVBITO douer’ eflere molti , e
quali dannino me hauerein lingua uol I gare trattato de pro-
fondi rmlteni deH’amore , oppo- nendo il decreto de gli antichi
Pira*» v- * A ii gorici V fecondo il qua*.
dè- cito comunicare al uulgo , come all- etto , Je cole
diuine , non ientendo d’effe rettamente ; ilquale per non hauere
feruato Hippafo Pitagorico, fu morto . Noi rifpondiamo cffer di due
nature nomi : altri formati nel- l’animo da effe cofe, & interiori :
al- tri fabricati dall’artifìcio humano , &efteriori . Quelli
effere a placi- to , & p*erò diuerfi , appreffc diuer-
fè'nàtioni . Quelli per natura, & ap- preffo ciafcuno e medefimi . De
no- mi interiori comporli lo eloquio in- teriore v Delli efteriori
formarli lo efteriore . Et quella crediamo effe- re la fententia
del diuin Platone con- lèntientifsima ad Arillotele , come ajtroue
dichiararemo . Sendo adun- que ilfermone/fteriore imagine , &
« r s nota del fermone interiore : nòti
tjeggo , perche cagione fi debba (bt T t’entrare a maggiore calunnia
^par- lando, & fcriuendo delle cofe diuine in lingua Tofcana ,
che in qualun- que altra lingua. Crediamo piu.tp- fto , che fia da
riguardare al modo del trattare. E però li Egitii fotto for me di
diuerfi animali nelle colonne di Mercurio , da chi & Pittagora ,
de Platone imparorno la Filofofia , & Pitagorici fotto uelami
Matemati- ci , & li antichi Theologi fotto mo- ftruofi figmenti
occultorono le co- fe diuine , & la natura . Noi , ben- ché
habbiamo trattato delle mede- fimecofe fuori di uelami , & di
fig- menti, non di manco ci confidiamo non douere efleregiuftamente
dan- nati del peccato della profanatone . -*■ _ A nj
* ' . ti Tu adunque leggerai quanto c'èoc- corfo al
prefente dire de mifterii del lo amore : & penferai le cofe
diuine tanto fuperarele menti noftre , che fpeffo ci fia neceffario
altrimenti par lare d’effe, altrimenti intendere * lì 1 fi
i'f' 1 ì * , i' J y *•*' l.f -4 ’AtrX •* ‘ ^ - f \ * f . y \ * .? *
. s .** téli r x^rri èli bly : ‘ • '
iiH ìpltl : ìi^ ; ; ■v -* • ;>a,
Hi €; - ••'■V: •v : ? r ; ly? >i7i
ri: t V rS r* T"?- ’ ì * i *"» ' »
Uii ' _svj ■. 1’ ' .-•* >, i.. -
> Vfcr ' ;?4#? IL PRIMO LIBRO D
A M O R E, DI M. FRANCESCO CATTÀNT DA DIACCETO
FILOSOFO,ET GENTI L’HVOMO FIORENTINO. CAPITOLO
P^IMO I T"' C A NATYRA cor- | por ale.
nulla contenere 1 m fi dt aero, ma al tut- %
toeJJìreimagmaria,Q urna , chiaramente di- ira la perpetua
uarietà s fp) m u t at io- lacuale in ejfa appare . Imperoche
U V 8 L I *B Ti 0 uerita delle cofe fi dttermina una
fermtZc za, ffi) una permanenza . Per laquale efi fa fimpre flando
ferma in uno ejfire quel- te medefime nel medefimo modo in nat- ta
uariate s'offerifiono,a chi le contempla , la natura corporale per un
filo momen tò di tempo non conferita l'ejfer filo facen - dofi in
ejja continua generatione , ff) cor - ruttione. llche Her adito non filo
attri- huìfie a tutti i corpi , che fino fitto la Lu- na , ma
ancora al Cielo , ft) alle [Ielle : le quali fino tanto piu perfette ,
che gli al- tri corpi y quanto piu fi apropinquono alla natura
dell'anima . Onde come uicini alla . rdiumitdyhanno meritato d’efier
chiamati corpi diurni . Et pero riguardando alcuni fittilmente
affermorono tale openione ef fire approuata dal diurno c Platone nelTi -
meo . Quafi ejfo uoglia non fi potere at- tribuire al corpo l'effere , ma
piutofto il M° fife VT“1 ■ T K I M:0.
p flujjo , {fi la gener attorie . La cagione di tal fluffi ,
e la mattria t della quale fino compofti tutti e corpi co fi celefh come
ter * reni . Laquale qualche uolta ci s'apprefin * partecipe dello
flato , per * manentia : Inquanto dalla forma , che fi riceue
m effd in un certo modo e contenti * ta qualche uolta come del moto :
inquanto per fua natura fugge l'ejfere, {fi la cogni * /
tione, hauendo firn prefica la contrarietà $ V infi abilità ,
la uarietà * Il che forfè fi gnu ficorno li antichi Theologt per la
fauola di *7 roteo : qua fi come Proteo fi mutaua in diuerfi forme
, bora in fiamma , bora in acqua , bora in leone , bora in forma di
qualche altro animale : cefi la materia fia atta, {fi pronta al rteeuert
tutte le forme f non fi partendo pero mai dalla fua natu* ra . Et
perogli antichi Pitagorici,confide* rato tal propor tione. hauer la
materia 4 io L 1 2J ^ 0 corpi; quale ha la dualità a numeri
non duhitorono chiamare la materia dualità . Laquale fendo la prima
diuifeone , ft) principio d'ejja, ancora chiamorono l[ide , ffe
Diana . 'Ter che come Diana , è fle- rile y fecondo dice ‘Tlatone nel
Thettheto , co(i ancora la prima dualità , fendo prin- cipio della
diuerfetà , della inequalitàydel- la dtfsimilitudine , è priuata d'otri*
anio- ne; oue confifie la fecondità di tutte le co- fe . Se adunque
la natura corporale e par- tecipe di tanta imperfettione y chi non
ue- de effeer neceffario [opra ejja ejfere un'altro principio y
ilquale la regga , ffe la conten- ga: pendendo fempre l'imperfetto da
quel- lo y che e perfetto ? Et però Democrito , ffe) glabri y che
l'hanno feguitato y cioè Leu- cippo y ffe) l Epicuro y fecondo il mio
pare- re y meritano non ejjèr uditi . E quali po- nendo
principucorporab tndiuifìbili , ma didiuerfe >
P £ 1 AÌ 0 * 7 / di dtuerfe figure chiamati da loro
Storni, vogliono tutte le cofe efftr compofte d'unó fortuito
concorfo d'e/si. "Dicono adunque di quegli , che hanno figura
circutare , e fi fer compofta l'anima : de gl' altri Trian -
gulariy Quadrangulari , ft) fimilt efjtre compofta la uarietd delle altre
cofe : nfer~ uando ciaftuna cofa la Natura la po* tentia fimile a
quegli atomi , di che effe fufsi compofta . Dicono ancora le cofe
per tanto ffatio di tempo conftruarfì in effe- re,per quanto m
luogo di quelli atomi , che continuamente fi partono y fàcce dono
altri della medefima Telatura . ISoi al prefen- te pretermetteremo
dichiarare efftr' impo fi ftbile il Cielo y gl' Elementi y gl' animali ,
le piante , ffij tutta la ‘Natura, o uuoi fecon- do l'effere , o
uuoi fecondo la confiruationc pendere da alcuno fortuito concorfo ;
firn- pre apparendo mamfeft amente per tutto 12 L IV
Ito- or dine y ffi ragione . Solo diremo noi uede- re di tanto
maggiore potentia, ffi) di tanto maggiore efficacia ejfir le co fi,
quanto fino piu umte\ffi quelle effitre di mafsima poten tia,{fi di
mafiima efficacia y cbe fino mafsi inamente unite : onde per quefto ejjd
uni- tà bauere infinita potentia y infinita ef- ficacia: come
autore , ft) principio dogni unione . Sendo adunque la moltitudine
in- finita al tutto oppofìtaalla fimplicifiima unità , ft) però
pnuata dogni modo dat - itone come potrà dire rettamente TDemo-
crito l'infinita moltitudine delli atomi e fi fir principio delle co fi:
determinandofi in- finita debilità : della quale nulla y e piu
oppofito alla ISlaturXdd principio t CAPITOLO *
p'TOi M à. 93 ai CAPITOLO SECONDO.
» * N \ M ' ' ' k* * * > < ' ■rama E l numero
de corpi alca* 1 1 m fi muouono f er ‘Vfytura} I j$J|^ Ì come
il fuoco , Varia , taci qua , ft) là terra ft) quegli, che fin
compofh d'efit , de quali il fuoco , ft) l'aria , come leggieri, fi
muouono in sùi dfioftandofi fimpre dal centro \V acquei ,■ {fi la
terra fi muouono in giu cercando fimpre il centro . ^Alcuni altri non
filo fi muouono come quelli > ma ancora utuono ; ft) quefto per
uirtù di un principio , ilqua- le efii hanno dentro chiamato
meritamene te anima . Fra t corpi , che hanno Inulta, alcuni fin
contenti della uirtù nutritiua , come fino le piante, le quali non hanno
bi- fogno della potentia del fintire , come ne - cefiaria alla loro
filiate, ma fitte in terra colle radici , quali hanno in luogo di
bocca / * L 1 *B A 0 tirano il fro nutrimento ;
alcuni fino do - * tati della potentta del fintire , per la qua- le
conofcono quello , che a fi e dilettabile , o tnfitfico \ (fi della
facultà , perche efii da un luogo a un'altro fi tramutano . Im- per
oche hauendo a cercare l'alimento , è neceffario efii hauere unauirtù :
per la- quale pofimo y o fuggire , o fi giure quello , thè
giudicono ejfire m fuo danno o falute . Sono ancora altri poflt in mezo
delle pian- te ; (fidi quelli y che hanno il /enfi , (fi la facultà
del tramutar fi come ricchi , (fi fi- mili chiamati Zoofiti y quafi fieno
parte- cipi della natura de gli animali , (fi delle piantf : tquali
contenti filo del [enfi del tatto ; fendo loro fimmintflrato compe-
tente nutrimento , Hanno fempre , come immobili y in un mede fimo luogo .
Oltre a tutti quefti e thuomo grandifiimo mira- tolo , come dice
^Mercurio 9 animale at- ramente P 5 ? 1 M O . *s
r amente degno d'efèr Inonorato , ft) ado- rato ; tlquale aogmgne
alle predette potenz- ile la fi acuità dell' intendere : per
lacuale ripieno di dtumità JpeJJò diuenta filmile 4 gli T>ij :
ma , Jenoi confedereremo retta- mente , diremo wfeeme col diuin r Platone
il Cielo , ft) le fttUe ejfeer donate della aita, fife dell'intelletto .
Quefto dtmoflra un per- petuo tenore di fare fimpre le medefeme
cofe, ft) nelmedefemo modo , già incomin- ciato per gr andi fimo fpatio
di tempo per durare per l'auenir e fenza errore, fen- za
impedimento , quale e nel Cielo, nelle flette; le quali col fio
diurno moto, quafe un batto magnificentifi. di tutti e batti , a
tut- ti gli altri ammali donano la generatone, l'ejfeentia>{t) la
aita. Oltre a qucfio ancora 1 lo dimoftra la marauighofa bellezza ,
ft) per fettone, laquale in efii ueggiamo affer- mare l'huomo,
ilquale ha il corpo caduco , J - - / t6 L 1 ® x
0 (p) fittopofto a infinite off e fé-, batter la uU ta y ft) lo
intelletto ; e'I [telo , le (Ielle , onde pendono gltaltri corpi
effirne pri» uo ; e d'huomo al tutto ftohdo , mfin- fato. Ma chi
confiderà la grandezza loro , chiaramente cono fie e fiere impofitbile
efii potere effère mofii pertanto tempo o dal cafi o da impeto
alcuno corporale o da ca- gione eftrmfica ft) uiolenta : anzi mouen
. do fi tanto efi/ufit amente , è necefidrto tal moto procedere
dall'anima diurni fitma . Onde ficur amente fi può affermare il Qe-
lo , q) le [ielle efier compofie di corpo , ft) d'anima ; ve da altri ,
che dall'anima il corpo loro efier prodotto , ft) gouernatp.St però
giudicheremo efii douerfi chiamare non filo cofe diurne 9 ma ancora
T)ij.Ma fi noi pigliamo filamente il corpo loro y fi* parandolo
dall'anima , affermeremo effe- re statue degli Dij , fabricate da
loro di materia **. ri, * r Jf“ "* i > . , «J.
-1 .- ^ jf- * ’ ' . r* - 1 . |J ,'w . . -, ; .. PRIMO.
n di materia prtfìantifeima , ffe con mar a* uigliofe artificio ,
legnali per effer polle in luoghi nobilifeimi fendo bellifeime ,
ri- piene di uita .debbono effere in maggiore ue ner adone, che
qualunque altra featua co- me efquifite imagini della diuimtà. Se
adun eque il corpo animato è piu perfetto , che quello y che non ha
l'anima : perche que- feo non urne , quello uiue , ffe) fra Riani-
mali qUello y che ha facultà di intendere è piu preflante , che gli altri
; ffe quello, che intende mafeimamente è prefìantisfimo : Viuendo ,
ffe intendendo il Cielo , le felle, l'huomo , faremo coferetti
confejfare efei efeer piu prefi anti , che chi non uiue , ftf
intende . Onde fe l'umuerfe è priua - to della uita,{t) dello intelletto
,gh ammali uerranno ad effer piu nobili, che l'umuer- fe ; di che
nulla può effere piu aJfordoSPer Lqual cofa come l'uniuerfe e prefìantifei-
; 2 ‘>*8 L I S X o mo di tutti i corpi non
lafciando fuori di fi corpo alcuno . Ma come fuoi membri con -
tenendoli tutti . Cofi è nectjjario effo haue - re nobilifiima anima >
capo , ft) guida di tutte le anime : per beneficio dettatale fta partecipe
di prefantifima uita , q) di prefiantisfima intelligentta . St pero li
an- tichi Teologi di Fenicia (come dice Iam- bkco , fp) Iultano
Imperadore ) afferma- rono efjtr infufa per tutto una ‘Natura lu
cida y pura , calda % uehiculo dell'anima diuintj?ima : per laquale
dall'anima fta concejjo allo umuerfo il pretiofo dono della aita y
onde efjo meritamente fìa appellato uno animale^ laqual co fa ( benché
o/cura- mente ) fgnifìca Timeo Tittagorico , ft) ' r Fiatone
nelTtmeo, ft) nel decimo della *Rtpubhca . alMa di cjuefto nella
concordia fra Platone , ftf zArifotile diffufifiima. mente par
laremoy ouc dimoieremo ch’ut - v rumente ^ 1 M 0. zip
rumente fecondo la mente d'oArifìotile il primo motore non effer e Dio,
ma l'anima diutmfeima dalla quale penda il Cielo , {0 tutta la
natura. ^Adunque infeeme col diuin alatone diremo ejjere il corpo , e
[fere ancora , {0 l'anima certamente molto dif- ferenti fra loro .
L'anima hauer l'intellet- to , il corpo nodo hauer e . L'anima , come
madonna , hauer e imperio fepra il corpo ; quefìo , come feruo , effer
fuddtto >{0 ret- to . L'anima effer fontana della ulta, {0 del
fenfey {0 di tutte l' altre affettiom , quali noi ueggiamo nel corpo :
quefto per flanatura effer atto a riceuere , {0 pati- re , di che
pofeiamo conchiudere l anima , come di gran lunga piu perfetta ,
hauere grado migliore nell' uniuerfo. • 20 L I 2 7^ o
r CAPITOLO TE\ZO. E l’anima non fila- mente dona
la una , ma an- cora contiene , ft) regge la natura corporale (
come di- fipra è dimofìrato ) e necejjario ejja batte- re una
affinità naturale col corpo , per la- cuale naturalmente l'anima pofja
dare la uita : e'I corpo la pofja riceuere . L'anima pofia reggere
, ft) contenere . Que fi a non . e altro 3 che una naturale ine linat
ione per lacuale noi pofitamo dire l'anima ejjirt anima 3 ft) uer
amente diftintada qua- lunque altra cofa : Di che appare marii- fe
fi amente nell'anima eJJir due proprietà per TJatura ; una , per laquale
ejjà incli- ni a produrre , ft) reggere i corpi ( altri- menti non
farebbe chiamata meritamente , anima ) l'altra , per laquale effa non
filo rp % 'iM o . it comprenda la ‘Natura
, che detta effer retta , ma ancora fi medcfima , ft) le co- fi
frperiori:quale poco auàti fuchiamata Intelhgentia. Qutfìa intelligentia
fe noi ret- tamente confider eremo , uedremo effer nel- l'anima non
per fra natura , ft) inquan- to anima ; ma piu tofto per benefìcio
d'al- tri. Imperoche fi l'anima, inquanto ani- ma, ft) fecondo la
natura fra haueffi l'in - telhgentia , ogni anima intenderebbe: co-
me ogni fuoco fimpre e caldo : fendo la ca- hdità nel fuoco per fra
naturai ffjnot ueggiamo manififìamente non ogni ani— ma hauere
facultà d'intendere . lmpe- roche chi direbbe gl' animali bruti
haue- re intelletto , equali non per altro fono chiamati bruti : fi
non per effer priuatì della intelligentia? molto meno e da dire
delle piante , lequali fono animate d'ani- ma molto più im perfet ta ;
che i bruti ; ■ iti 22 L 1 2 7^0 ' ff) però come
il lume è molto piu, per * fettamente nel fole che nelle felle ,
fen- do nel fòle per fua natura , nelle fi elle per dono y ffe
beneficio del Sole : co fi noi dicia- mo la inteUigenda effer molto piu
perfetta- mente y in cui effa fio per propria natu- ra y che nella
anima , oue è per pardeipa - tione ; di che noi concludiamo ancora
quel- la fu(l arnia effer piu prefi ante , che Pani- ma ; fendo in
e (fa la fontana dello intende- re y principio y ft) Idea d'ogni cornicione
, imperoche la nobilifeima oper adone proce- de danobilifeima
fubflanda , la inteL hgentia fupera tanto Poltre oper adoni: al- '
manco quanto il lume Poltre qualità fen-\ Jibili . Quefla fuflantidnon è
altro, che la datura Angelica , laquale meritamente e denominata
Intelletto , hauendo per pro- pria oper adone P intendere . Et per
queflo noi concludiamo P anima effer e ordinata , fri
retta % / ; M 0 . 2 > natura ^Angelica , cowie il
corpo e ordinato , rmo dall'anima . Onde appartjce l'angelo tanto piu
effer preftante dell'anima , quanto l'anima è piu nobile , /] corpo
: ft) però l'anima non tenere il primo grado nell'uniuerfi •
adunque diremo ejjere due nature neL l'anima : una per laquale rappreftnta
la datura angelica > l'altra , perla quale inclina al corpo.
Onde e detta dal diuin Alatone nel Timeo ,fu[ìantiamez&, co- me
quella , che pofta in mezo fra l'ange- lo, ft) il còrpo partecipa dell'
una, {^ del- l'altra natura . Quefta anima merttamen te chtamorona
i ^Magi in parte lucida, in parte oftura , come pofta in mezo di
quel- lo che è al tutto lucido , e di quello che e al tutto ofeuro
. L'Angelo è al tutto lucido , perche fendo la prima ejjèntia; {R iapri-
, ma effèntta fendo ejfa firmità ,ftmpre fi- * Hij
24 L 1 $ 7^0 mile a fi medefima e accompagnata da e fi
fa uentà , laquale e efifia luce intelligibile fi) pero l'angela è tutto
lucido . Il corpo fin - do oppofito ficondo la fua natura allo an-
gelo , è tutto ofiuro y l'anima pofta m mez- zo fiala natura corporale,
ffil' angelo, inquanto partecipa dello ^Angelo e uera- mente lucida
, inquanto inclina al corpo , fi P uo dire ofiura . Chi adunque
dubite- rà fipr a l'anima non effier l'angelo: fin- tana di ogni
luce intelligibile? CAPITOLO QVAUTO. Aliti allo
fpìendore del- la uerità intelligibile , quale noi chiamiamo al
prefinte c, Angelo , for fi potremo cre^ dere hauer trouatoil padre
dell untuerfi . lmperoche quiui ogni coja è uera ; efinzet ,
• fi P % I M 0. 2 s ogni co fa e ulta , ogni
cofa e intelletto , uerì* ta , ft) fiientia : fendo principio dell'efjere
, ft) della mta a qualunque altro fi dice ef fere,ft) utuere per
quefto nella natura con - tiene l'uniuerfità di tutte le cofe fendo il
lo- ro effir e per fitti fimo * Imperoche, benché le cofì in effa
fieno di flint e , ft) non con fu* fi , come dtmoflrala intelligentia
opera * tion fua principale , laqualt definitamen- te comprende
tutte le cofi , nondimeno han no e fiere unitifiimo . Imperoche nulla
può effir e piu unito } che quello , in chi ciaf u- na parte m un
certo modo fia quel mede- fimo , cheti tutto, come e
nelttAngelo\do- ue la uita , benché inquanto uita è dtfffinu ta ,
nondimeno per partecipatone è tutto lodimelo . L'intelletto ha il fuo
proprio modo d' effir e : perche è detto intelletto. Ld uent à il
fuo modo d' effir e particolare : per lo qual# è effa uentà : parimente
adirne* 26 L /2 0 ne in qualunque altra parte .
FJondiman* co quefto non fa che lo intelletto , la uerità per fa ,
non Jia tutto t Angelo per par - tecipatione : in modo che nell' Angelo
non fi può trouar parte , laquale non conferui in fi la natura del
tutto . Quejìo credo ha- uereintefa Parmenide ; ft) Melijfo anti-
chi^ittagorici, quando ajfermorono tue - • te le cofe effere un 'Ente :
cioè , ejfere una co* fa, una fufiantia , quale notai pr e fante
chiamiamo Angeloinella quale tutte le co* fi habbino il fùo primo ejfere
, cioè pcrfet* tifaimo ejfere. Come adunque nelle cofe ar*
tifictate fono due ejfaeri , l'uno nella men- te dell'artefice , manzi ,
chehabbia pro- dotto fuori la cofa artificiata , l'altro in effa
cofa artificiata ? Verbigratia la /ta- tua di ifMinerua ha il primo
ejfere nella mente di Fidia , l'altro m effe marmo : de quali
quello che è nettamente dello artefi- ce, è ^ RIMO. 27
ce , e primo cffere\{t) p ero molto piu no* bile ; che quello, che
è nel marmo : co fi tut* te le cofe hanno duoi ejjen : ; uno nella effen
- tta dell’angelo , ilquale , è primo , ft) perfettifimo effere ;
l’altro in effe cofe ; il- quale , è participatione del uero ejfere .
TDu co adunque fecondo tl loro efftr primo per - fettifimo,nonfolo
confhtuire una Jufìan * tia ; ma ancora ciafcuno d’effe efer tutta
quella umuerfità ; ft) pero meritamente fi può dire una fu fsifl ernia ;
fff) quefia e la fintentia di Parmenide , ft) di Mehffe della umtà
dell’Ente , come io fimo . Qtie fio Ente , o uuoi Angelo e chiamato
da Hi* lottilo mondo intelligibile : mondo , per- che è pieno di
elcgantia , hauendo tutte le cofe in effe il feto e (fere uero ;
lmperoche mondo fi gm fica ornamento ; intelligibi- le , perche è
comprefe felamente dal- l’intelletto , tlquale riguarda effa ucri •
28 L 1 ® ^ 0 * tà . 7 ?^/ diuin Telatone e chiamato nel fi
fio dilla fypublica figliuolo di Dio. Ma di quello piu diffufamente in
quello , che figue y parleremo : 6 . Nondtmanco fi noi con -
ftdereremo , che il primo principio è firn - pltctfiimo , ft)
potentifiimo : altrimenti non farebbe /opra ogni altra cofa : chia-
ramente conofieremo quefìo mondo intel- ligibile y o uuoi (^Angelo non
potere effir pri- mo . lmperoche nell'Angelo fendo moltitu- dine,
ancora u'e compofitione ; ffi) per que- flo imper fedone, imperoche ogni
cofa com- pofla ha in fi una parte, comcpotentia , ma parte , come
atto : la potentia ha fi- co imper fettone ; Patto la per fedone .
Et peroogmcofacompofìaha mefiolatoin fi l'imperfetto col per fitto
. La potentia non e altro , che quello , pel quale la cofa può
effir e, non fendo ancora . L'atto aggtugne l effir al potere ; fg) pero
la potentia è im- perfetta , P % 1 M O. z 9 perfetta ,
lacuale gli antichi 'Pitagorici chiamarono infinita , come per fìta
natura indeterminata . Inquanto adunque l'An- gelo ha compofitione
non è fimplicifitmo : inquanto ha tmper fetione , non è potenti fi
fimo . Imperoche qualunque imperfetto uiene alla per fetione coll'aiuto
et altri : però quello è piu potente , per beneficio di { chi
confeguita la fua per fettone . Ter la- qual coja fèndo l'cAngelo ne
(empiici fimo, ne poterà fimo , non può efièr ancora pri- mo
>ft) pero Tarmenide Pittagorico afi fermo il primo Ente , qual noi al
prefinte * chiamiamo Angelo , efièr filmile a una sfe- ' ra »
lì) P er o hauer parte , hauendo la sfera mezo , g) eftremi. T>i che
ne fi - gutta ejfo non patere efièr la femphci (lima Vmtà, come
diurnamente dice tMeliffò ; laquale al tutto efclude ogni parte, (fi
ogni moltitudine,^) ogni imperfettione ;{t) però 30 LIBRO
come ueramente capo di tutte le coffe au- tore della per fettone dell'
angelo; tignale me rit amente e chiamato uniuerfi intelligibile.
CAPITOLO QFWTO, S s o Iddio findo principio ff)
autore d' ogni per fettione nelle cof , che fino , non è capace
d'imper fettone alcu- na y di (jualuncjue natura ejfa fa . Et pe-
rò noi pofitamo dire fimile proportene ba- ttere alle cofe create ;
eguale ha la fimplicif fima unità a numeri Tutti t numeri han- no
moltitudmeybanno ancora unità . Mol- titudine fecondo che noi diciamo il
nume- ro ternano hauere tre unità ; il quaterna- rio hauer quattro
unità , {fi eofi gli altri numeri nel medefimo modo. Unità, per-
che il numero Ternario , è uno Ternario , q) una
P 1 A4 0 . ft) una Trinità . Il quaternario è uno
quaternario , ft) una quatrinità : adun- que tutti i numeri hanno
moltitudine ,han no ancora Vmtà . La moltitudine dice imperfetto ne
, ft) diuiftone . L'unità dice coniandone ft) per fettone . Et pero tutti
i numeri participano della per fettone , f0 della imper fettone ,
Della per fettone > in- quanto ogni numero e un numero . Del l
imperfettione y inquanto ogni numero ha moltitudine . L'unità ancora de
nu- meri non e acutamente perfetta , cioè quella lenita , per
laquale il numero Ter- nario è un Ternario i ft) il numero Qua-
ternario è un Quaternario . Imprima , perche tale unità ha conuenientia ,
ft) af- finità colla fua moltitudine ; come l'unità del Ternario ha
affinità con le partidel Ternario . altrimenti di efifa uita 3 ft)
dcde parti fik non fi farebbe un tutto ; ft) > 3 2
L 1 *B %. 0 quefta è una frette et imper fettone . Dipoi perche
l’unità d'ogni numero è diffimta m modo , che l’unità del numero
Ternario è dtuerfa de It unità del Quaternario, ft) ciascuna di
loro ha la fra potentia deter- minata ; per laquale tfro produce U
fro numero . Quefta non e propriamente im- per fedone , Jènon
perche l'unità del Ter- nano benché fecondo che e unita del Ter-
nario , fra perfetta , nondtmanco non con- tiene la per fettone , ft)
utrtù in fi delt al- tre unita : carne la perfetti firn a lujlitia
, benché inquanto Iujhtia non ha difetto al - e uno ; nondimeno non
contiene infila per fi t ione della fapientia>{f) cofì la per fettone
Ut terminata ha fico in un certo modo la im - per fettone* Adunq;
lafimpliciftma unita \n prima non ha moltitudine alcuna findo al
tutto indtuiftbile . Oltre a quefio non ha afflìtta con alcuna
moltitudine numerale * non P ^ / M O. ss non
potendo hauer fuo coniugio . 7/on e ancora dif finita, ftfi particolare
unità ,ma fimphcifiima unità , eminente unità ; ft) pero Pitt agora
affermò effa contenere in fi la potentia, (tfi i fimi di tutti i
numeri. ‘Riduciamo tl numero al proceffo delle co/i dal primo
principio , fecondo il coftume t ‘Ptttagorico . Nelle cofi create fi
truoua potentia ; trouafi ancora atto . La poten - tia , inquanto
potentia, eimperfetta,l'au to , inquanto atto , e per fettone ,
adunque Imprima imper fettone delle cofi,nafiedaU la potentia , della
quale fono partecipila - fee ancora imper fettone in effe per
cagione dell'atto . Imper oche l'atto fi chiama atto , inquanto è
per fettone di potentia , ff) in queflo modo uiene a par deipare della
im- perfetto ne congiungendofi fico . La forma è atto della materia
, però facendofi della forma , della materia un compo -
C 34 L I 2 0 fio : la forma partecipa delle
condizioni della materia .. Uoperat tont i atto della potentia
attiua , come la cale fattone è atto ft) per fettone della potentia
calefatttua : nondimanco ha conformità colla potentia dipendendo da
effa . Oltre a cjuefìo , fatto dice per fedone definita, ft) terminata.
La forma del fuoco dice una per fettone termi- nata : cioè effa
natura dclfuoco^La terra dice per fettone definita , cioè , effa natura
della terra, fp) cofìe proprio d' ogni altro atto. Et pero t uno atto non
include la per - fittone dell'altro, adunque e [eludendo e fi fi
Iddio ogni imper fittone, efiludt f imper- fetione , che fi troua per
cagione della po- tentia . Imper oche Iddio non ha potentia alcuna
, fendo fimplicifiimo : Efclude an- cora f imper fettone , che e per
cagion del- l'atto . r Ver che Iddio non ha conformità , ft)
proporftone con alcuna potentia: non fendo 1 M 0 . 3
s fendo per fettone di potentia attuta > nefe potendo
d'effe , ff) della, potentia confettai - % re un compoflo . 'ISfon è
ancora di per fedo- ne definita , ffej particolare , come ctafetì -
no atto , procedendo da lui ogni atto , ff) ogni potentia . c Adunque in
‘ Dio , e ogni per fedone sjclufa ogni imper fettone^ pe- ro in lui
ogni cofa , è per mododtVnità fìmplicifeima . e in lui diftinta la
fa- pientia dalla Inflitta , non è in lui diflmt a la bontà
dall'efeèntia , fjfe dalla aita. Ma è unicamente l' e fènda , la aita, la
fapien - da : Et pero il dtuin Platone dtfee nel Par- menide y non
efeer di Dio nome , non diffi- nidone y non fcienda , non fenfe , non
opi- nione : come quelli , che dicendo per fedone determinata ,
attribuir ebbono a TDio im- per fettone , dalla quale al tutto abborifee
. Et pero *P lodino yft)gl altri c Platonici nie- gono Iddio ejjer
ejfentia , o intelletto : ma . ì . x v fj t L I
B 7^0 tome molto piu prefilante , efifir contentò delle fue
ricchezze ; ricco della /ita fimplt- ttfiima lenità . Solamente noto a fe
mede -, fimo ,filo amtratore , {fi cultore dellabtfi fi della fiua
diumitd. Quefla è quella diut - na caligine , laquale tanto
celebraDioni* fio zAreopagtta fplendore della Cbrifha- fia Theo logia
,alla quale non dggiugne utr - tu alcuna rat tonale, o intellettuale .
Impe- rochcy come il rationabile non può efjer pe- netrato dal
finfi : ne lo intelligibile dalla potentia rattonale : ne le cofe
incorporee , {fi femplict da t corpi , {fi dalle cofe compo[ìe m y
cofi quello y che eccede ogni modo d y e fiere , t (elude al tutto la
intelligentia , o qualun- que altra cognittone, qua fi un Profano
delle cofi fiacre . ^Ma è nelle cofi create un Carattere , {fi una
(ìmtlttudme di Dio, fiore , {fi capo d'effe: per benefitto della -
yuale fi congtungono a Dio , quafi non fila lecito
i rp XI M o. r? lecito aggiugnere al fuo creatore con
parte alcuna di fe>mapm tofto con tutto fi . On+ dell Profeta
ratto daldiuin furore efe la- ma y o Signore la tua laude , è tl
felentiofi- gmfeando ognipotentiayO uuoi r attornierò uuoi
intellettuale , douer ceffare dalla fila operat ione,quado fi fa l'ultima
unione del le cofe create con effe Dio . Adunque molto piu
appropinqueremo a T)io procedendo per le negazioni ; che per
l'affermationiipur chefempre mediamo effer meglio ^che quel by che
noi neghiamo di lui . Nondimanco pofeiamo ufare ancora
l'ajfcrmatioMynon derogando alla fita diuinitàpur che intera diamo
effe hauere nfpetto , ft) compara- tane alle cofe create . Come quando
noi di- ttamo T>io effer principio , mezo , fp) fi- ne . Imper
oche per il principio intendiamo le Cofe da lui procedere ; per il mezo a
lui conuertirfi : per il fine effer da lui donato C iij
38 L I 3 7^0 della ultima fùa per fettone; lacuale
con- file nella uer a unione fico. Quefto fgntf- corono gli antichi
‘Tittagorici quando difi fonoyla Trinità ejfer mifura di tutte le co
- fi. Quefìo panifico ancora Orfeo quando dijfi Gioue ejfer
Principio , mezj), fine, ft) pero ( come dice Diontfio Ariopagita )
in quefto modo Iddio e fplendore a gli il- luminati , per fedone a
perfetti ; a Tteifi- cati diumità , a /empiici fimplicità ; leni-
tà a quelli y che partecipano dell'uno ; uita de uiuenti \ejfentia di
quelle cofi y che Jd- no'ydi tutta l'effintiaydi tutta la uita
prin- cipio y ftj caujà . Et pero . ogni copi creata, < o
uuoi eterna , o uuoi mortale , o uuoi ra r Rionale, o uuoi Angelica, può
efilamare in : peme col \Profeta,Signore lo fjlendore del la faccia
tua , e fignato fipra noi. \ 1 M 0. 39 CAPITOLO
SESTO. L i antichi Pitagorici chia morono e/fo Iddio per fe
uno , ffi) per fi bene > come auto- re della /Implicita alle
co/e create , quanto di e/fa po/fono ejfer capa - et : aggiungono
Siriano y ft) Troclo per quefto nome efier fignificato y non efio Id-
* dio ; ma quanto noi di Dio participia - mo 3 quaf mi crediamo
hauere efprejfi ef fi Dio , quando noi efprimiamo Caratte- re della
diurni à y col quale noi fiamo fi- gnati . Ter fi bene , perche non filo
e (fi non niega a ciafiuno il fio grado di per fe- ttone ; ma
ancora y perche , co.me fine , e de fiderato da tutte le cofi: ilquale
poi che hanno configmtoficondo il modo della /ùa natura , fi
quietano . c Adunque ctoche procede da lui fi fa partecipe della fua
firn ' C ni/ yo L 1 2 7^0 p lìcita , ft)
della /ita per fettone . Ma per- che qualunque cofa procede da altri,
per necefiità degenera dalla per fettone di co- lui , da chi procede
; altrimenti l'effetto non farebbe di minore per fettone , chela
cagione ; fendo effo(come dicono e Pitago- rici, ft) Plotino) uer amente
uno: quello che procede da lui, è non uno, ft) pero ha fico
moltitudine . Onde habbiamo adire hauere ancora imper fettone . Quella
tm- per fedone e per la dtgrefitone , ft) partita da tffo TDio,
meontrandofì fimpre nell'im- perfetto quello , che parte , ft) fi
allonta- na dal perfetto : nondimanco ritornando a quello , donde
procedeua -, acqui fi a la per fedone . Per laqual cofa rettamente
fi dice , ogni cofa compofia ejfir compofta di imperfetto , ft) di
perfetto » Quefto inten- dono e Pitagorici, quado dtffono per il
prò ceffo dall'uno produrfiildua ; ilquale ri- tornando
P 1 Ad 0\ 4.1 tornando a l’uno, donde s’era partito,
con- Jìituifee il tre prima figura : l’effentia di cui contempliamo
nel triangolo, come dice Teone . Imperoche quello , che procede da
'Dio, partendo/! dalla infinita fua perfe - tiene, cade nello imperfetto,
quale è la na - tura del dua; ritornando a T>io per la fua
interiore anione participa del perfetto , quale é la natura del tre .
Imperoche come il tre è compofìo della progreditone dell’uno 9 ft)
della rtgreftone a l’uno, cofi quello 9 che procede da Dio, è compofio
dell’ imper- fetto , inquanto da lui procede, ffe del per- fetto
inquanto a lui ritorna. In fomma da Dio procede l’Angelo : ilquale nella
prima mifura di fuo proceffo e imperfetto. ^Ma come imperfetto ?
certamente imperfetto , perche , fendo l’angelo il primo uiuente,
ft) il primo intelligente ; ffe ogni uiuente , intelligente effendo
compofìo della pò- 4 2 L 1 <B T^O tentia aitale , ft)
della fùa operatone, cioè del uiuere ; ft) della potentia
intellettuale, ft) della fua operatane, cioè dello intendere la
potentia come antecedente- alla opera - none fu prima prodotta , la quale
ha im per fettone, fecondo che noi intendiamo efjd ancora non
operare . L'angelo adunque nella prima mifura del fuo ejfere ,
fendo una efentia con facultà di uiuere , ft) dt intendere ; ft)
non umendo , ft) non inten- dendo , ancora fi può dire imperfetto .
£t perche la potentia attiua riguarda La fa operattone ; altrimenti
farebbe uana , fi non operaffiy ft) operando confeguita il fuo fine
, ft) la fùa per fettone , laquale per natura intenfamente de fiderà : è
necejja- rio nello Angelo effer naturalmente un'in- tentifiimo
defìderio di uiuere , ft) d'inten- dere. Que fio defiderio nondimanco
ante- cede una certa fermezza , ft) una certa
conftantia X / M 0. 4/ confi arnia , per uirtu
della quale mai Van- gelo parte dafe dalla fua natura y ma fempre
fi a quel me de fimo. Quella ferme* z za dal dium ‘'Piatone nel Soffia e
chia- mata fiato. L'operattone y che feguita quel defederiofe
chiamata moto, di qui polia- mo uedere quello y chefegmfec a il dium
Pla- tone nel Simpofeo y nell'oratione di Fedro , quando dice l y
amore cjjcr del numero degli Iddi/ antichifeimi ; affermando
fecondo V opinione de Ih antichi Teologi dopo il Cha- os effer la
terra , ft) l'amore , im per oc he il Chaos non e altro y che la effentia
dell'an- gelo fecondo , che e confederata nella prima mifetra del
feto effer e y come imperfetta,^ come potentia y moltitudine y ft)
infinito à chi meritamente fi conuiene queflo nome Chaos y
fignificando indige filone , ff) con- fatone . L'amore non e altro , che
quella ingenito defìderio y principio del u\uace y fp) 44 L
1 V Ilo dello intendere . La terra fignifica la fer- mezza 3
ft) l* fi abilità , per uirtu della quale l'angelo non mai parte dalla
fìta na- tura . Tuttamente adunque e detto l'amo- re ejfere
antichifetmo , imperoche ejfo ante- cede ogni operatone fendo principio
d'ef- fe s per uirtù delle quali , le cofe diurne me- ritano
d'ejfere chiamate lddij . • ' * • '•[ V * \ V ;
CAPITOLO SETTIMO. £/ni appetito , ft) ogni de- fiderio
fi può chiamare amo re in un certo modo benché pi
ghandopropriamentei l'amo re fìa felamente defiderio di bellezza >
co- me dichiareremo tn quello , che fegue. On- de non mmeritamente
ildefìderio , tlqua- le muoue tutte le cofe al fuo fine y ff) al
fuo bene , e detto amorei ft) c Platone nel firn-
PRIMO. 4 y pofio nell'orattone di Fedro per l'amore non
intende altro , che l'appetito , che e nell'angelo ; per ilquale fi muoue
a con - fegtiire la fua per fettone . Si che pigliando in quefto
modo amore , diciamo ejjere in ogni co/a creata infino ad' ultima
materia, nedaquale è ancora l'appetito alla forma laquale è co fa
diurna , fgf buona , ft) ap- petibile , come dichiara ^rifiot eie.
Adun- que l'amore e cagione , che l'angelo 3 ilqua - le e prodotto
imperfetto , confeguiti la /ùa perfetione ma come diciamo l'amore
effir cagione di tale per fedone ? certamente per- che quedo
ingenito appetito , quale al pre- finte chiamiamo amore , quafi uno filmo
- lo , fpinge l'angelo a l' operatone . Impero - che qualunque co
fa fubtto , che ha l' effir e e inclinata adoperare , ft) quanto ha
piu perfetto ejfire , tanto ha maggiore inclina - tione ad' operare
, onde perche i' angelo ha 4 6 L I <B X 0 perfettifeimo
ejfere , anzi è effe ejferefendo lo ejfere la prima cofa creata ; per
quefio ha grandtfiima incltnatione adoperare , quefia oper adone fi
chiama tuta: fendo la uita il primo moto interiore , ft) primo atto
, ft) per fedone dell' effe nda , come di- ce Plotino , ft) q u ^i che
l'hanno feguita- to, cioè r Porfirio , ft) Amelio : benché Si *
riano , Proclo crediino altrimenti', tetta- li al ùrefente
dimetteremo. Sendoadun ~ que la uita la prima operatone dell'ange-
lo , è manifefto efeere il primo feto atto , ff) la prima per fettone .
L'angelo adunque nella prima mifura delfuo procefeo e detto
tjfentia ; laquale è non uno procedendo da Dio , che è perfatifeimamente
uno : pero ha moltitudine, anzi in ejfa ( come di ce il dium c
Platone nel r Parmenidefe efpli tata tutta la natura de numeri,
mediante iqualt procedendo nella ulta difttngue fe medefima
- P 1 Ai 0 . 47 ntedefima ne modi particolari ffe
dell' effe re ffe) come in piu efeentie , dando fecondo il feto
numero a ciafeuna effentia le fete prò prietà , come y fe tu pcnfafii la
Geometria per una atione interiore dtftinguere fe me - defema ne
Tbeoremt particolari : lacuale e una in tutti e teoremi ; perche ciafeuno
è Cjeometria:nondtmanco è ancora moltitu- dine , fendo l'uno
Theorema difemto dal l'altro, (fe però ‘Plotino dimoftr a diurna-
mente dopo l'uno, cioè Dio,efJere l'efeentia ; dopo l'efeentia 1 numeri ,
dopo i numeri , e modi particolari dt II' efeer e, cioè le efetntie.
In fiomma l'angelo mediante il numero come efattifeima regola per benefit
io della feuaatione interiore, quale fi chiama pri- mo moto , (fe
prima uita , diflingue, (fe diffimjce fe me defimo in tutti 1 modi
par- ticolari dell'efeere , onde l'efeentia de II' am gelo è come
un tutto. L'efeentie particolari 4* LIV^O fino le
parti , non come il capo , o la mano è parte di Socrate : ma come il
Leone, o il cauallo è parte dell' animale . di quefio piu
diffujamente habbiamo detto nel libro del *T utero : ft) diremo nella
concordia fra Platone, ft) zArifiotile . Di qui chiaro ap- parifie
quello , che uuolc il diuin Platone , quando dice le cofe diurne produrre
fi me - defime . Imptroche non figni fica altro, che le cofe diurne
efier compofte dell'atto primo ft) del ficondo , cioè della potentia
attiua, ft) della fila operationeilaquale pende dal « la potentia
attiua , come l'angelo , ilquale e compofìo della potentia uttale , ft)
della fua operatone , ft) della potentia intellet- tuale , ft)
della fua operatane ; per benefi- co dellaquale l'angelo è attualmente
ui- uente , ft) intelligente . Onde è chiamato il primo animale ,
ft) il primo intelletto ; ft) chi intende altro atto , ft) altra
potentia nelle P X / M 0. 4$ nelle
cofi diurne , non intende la fintentia di f Piatone , ne forfè la natura
di effe nel modo del procefo loro dal primo principio . Quelle e
fentie , ffè quelli modi particolari dell' ef tre di finiti nell'angelo
dalla ulta fino chiamati /fette, (g) Idee,lequali fino in tanto
intelligibili , in quanto hanno lo efèere uiuo, (t) la ulta . Onde
ildiuin Pla- tone dice nelTimeo,che topefice del mondo fece tante
forme nel mondo , quante tua * telletto uide neluiuente,fègnificando l'
Idee efèer nel primo animale . Et pero io mi marauiglio afai , come
qualcuno habbia detto , che la forma , che effo Dio da alla materia
angelica , fino efe Idee , come fi l'angelo , inquanto procede da Dio ,
fufii potentia pafiiua , laquale diuenti ricetta- colo delle Idee .
forfè maggiore errore fi può commettere nelle cofi diurne, che pen
fare in efe eferpotentia pafiua fìmile al - io L 1 5 X 0 ;
la materia de corpi finfibtlt : perche cioche procede da e fio Dìo
immediate , procede piu fimtle a lui, fg) p M perfetto, che è paf
fibtle. Onde fendo molto piu perfetta la potentia attiua , che la paffuta
, ì con- veniente immediate procedere da lui la po tentia attiua,
ft) non pafiiua . c Adunque noi diremo da 'Dio procedere immediate
un'atto primo : ilquale fi può chiamare efientia prima , fendo la prima
cofa , che ha l'efiere; lacuale inquanto efientia e per fettifiima
: ma bene nelfuo primo procefio ha fico congiunta potentia d'operare,
non operando ancora : q) fecondo, che ancora non opera , ha fico Imperfetto
: Et que- llo e quello , che dice il diuin Platone nel Filebo , da
‘Dioeffirt dua elementi, cioè l'infinito , ft) il Termino della
mtflione',de quali fi confi ituifia unaTerza natura , cioè
l'effintia .Imperoche quello , che prò- t. *p
\ i m o. // cede , inquanto e atto , {fi diffinito fi può
dire hauer termino : inquanto ha fico con- giunta la potentia, {fi
l'tmper fettone fi può dire infinito : e l'uno {fi l'altro infieme
fino la Telatura della prima ejjentia ; la per fettone y {fi atto,
dellaqualee la fua operatane interiore , {fi non Idee . Come dal
termino proceda lo Ciato , {fi la iden- tità : da l'infinito , il moto ,
{fi la diuerfi- td ; Et come tutte le cofi fitto il primo fie- no
compofie d'ejfintia,diftato,di moto. di Identità , di dtuerlìtà altroue h
abbiamo detto , {fi diremo diffufamente nella con- cordia fra
Platone , {fi Artftotile ; oue di- mena l'opinione di Siriano , {fi di e
Proclo dichiareremo , come ciafiuno d'efii e ele- mento , {fi come
e genere dell'Ente . zAl prefinte fi conuiene piu tofto accennare ,
che efplicare fimilt materie . \ . T>
t sz L 13 Ito ' C APITOLO OTTAVO .
A# a d i particolari del- l'tjjìre nell'zAngelo di [Unti per
beneficio della ulta al yprefinte chiameremo ldee\ benché fecondo
diuerfi confi derat iohi fi pofiino chiamare per diuerfi nomi , come
è dichiarato breuemente nel primo libro del nofiro Palerò, ffi)
altrotte piu dijfufamen . te fi dichiarerà . Onde fi foluono
facilmen- te tutte le obietioni contro a l'Jdee fatte da
ss4riflotile in diuerfi luoghi: ma principal- mente nel primo libro
dell'Etica , ft) nel fifto delle co fi diurne , Uguale comunemen-
te fi reputa il fittimo . Quefla difìnbut io- ne fèndo con ordine , mi
fura, proporzione , fi già quello , che da l'ordine all' altre cofi
non è d'effe priuato , come le cofi diuine , le quali producono , ft)
reggono , le infe- ■ ^ . riori , rp X i m o„ j ì
riori, e per necefittà accompagnate da una cenar gratta-*; da un
ceno splendore ;da un florido colore , tlquale fi può chiamare
rettamente efia bellezza* lmperoche ( co- me diurnamente dice Plotino )
benché la prima bellezza non fia un'altra cofa dada ferie d'ejfi
Idee , come aduentitia , q) efira* nea ; nondimanco quella gratta ,
quello fplendore , quel fine ,• che in fu la prima giunta apparifie
ad'afpettto di coloro, che raguar ciano tutta la ferie dell'ldee ,
quafi come il colore neda fuperficie , è chiamata efia bellezza ;
laquale non feguita la natu- ra di parte alcuna 9 ma piu toflo del tutto
. Onde è manifeflo la prima bedezza prò* cedere dada per fedone
interiore dell'Ange- lo > quale duerno efjere fioatto . Et pero
chi dice che' l bedo e diflinto dal bene come l'eflrtnfeco dali'mtrinfico
, fecondo il mio parere dice rettamente, ft) chi lo riprende r ^
-> D iij 34 l n x o fer quefto, merita ejfo piu
tojlo effir riprn fi , perche fi noi compariamo il hello al be- ne
, affolutamtnte confejjiremo il bello tjfire come fpetie ; il bene , come
genere. 0 nero firfi piu rettamente , il bene ejfirt per fi,
mparticipato,e'l bello cffere una certa partictpatione del bene, ma
fi noi non compariamo il belìo al bene affò luta -, 1 mente,
ma quello, che è proprio bene a eia - feuno , diciamo effer il bello
differente dal bene , come l'eftrinfico dall'intrinfico.Im - per
oche la Juftantia , diffinitione , è, il proprio , primo bene di
ciafiuno ; ft) neffuno dubita la Juftantia ejfire mtrin - fica . Il
bello , findo per modo d'acciden- te , come esirinfico feguita la
fuftantia , e la diffinitione . Tuttamente adunque e A dettoci bene
effir fi parato dal bello , come I mtrin fico dall'eftrinftco . Ma ( per
tor- nare onde noi partimmo ) findo la prima bellezza
i ^ i / M 0 : yr bellezza una gratta , uno
fplendore , uh fiore della per fettone interiore ,lac/uale me-
ritamente chiamiamo bontà ; che mura T digita e fe nella potentta
mtelletuak del » l'Angelo eccita un'intenfi appetito , g / 1 dd
Jìdertonon filo di fruirla , d'ejfrimer - la, per modo di fimi , di
Telatura? On* de l'Angelo fi fa tutto bello. Que fio è l'amo
te, ff) la Venere celtfìe, celebrata nel fimpofio, neìloratione di
Paufitnia . c Per - c/0 /0 «0» poffo non mi marauigltare di cer ti
per altro h uomini , Sgrani ft) grandi iquali dicono , che l'amore e
cagione della per fettone della bellezza . Imperoche , fi l'amore e
appetito , fjfi defiderio ; la bellez? za, e appetita , ft) defiderata,e
necejfirio, che la bellezza anteceda all'amore , ante - tecedendo
l'appetibile all'appetito ■. (orno adunque dona l'amore la per fettone
alla, bellezza dicono ancora co fioro , che la bef * ' 2 ?
tiij 6 L 1 *B X. 0 lez&a e cagione materiale dell'amore
y la- qualcofa e piu marauighofaimperocbe la bellezza muoue , come
cofa amata , ff) de* fiderata, come ancora muoue l'appetibile , ft)
l'intelligibile , ft) fino cagione come fi ne, non come materia . llche
apertamente afferma zAnfiotile nel undecimo libro del le co fi
diurne , ft) il diuin Platone nelfiflo della %epublica . Tsle però fi può
dire an- cora interamente perfetto l'angelo . Im - , Per oche
l'ultima per fedone di ciafiuno è la pofi fione di effo Dio , fecondo che
a fi e pofiibile : Uguale da neffuno e poffeduto con parte di fi-,
ma con tutto fi . Onde Id- dio non può effer compre fi ne per
l'intellet- to, ne per la uolontà, fendo l' tino, come l'al- tra,
par te deli' Angelo, {fi non tutto l'Ange lo . adunque l'ultima fùa per
fettone, e la coniuntione di tutto fi con effo Dio , alla- gale
procede per necefsità uno intentai - -u - mo P M 0. si
mo appetito . Quefìo è l'amore tanto e fai- tato nel Stmpo fio, nell' or
aitane di Agatone; llquale è beat if imo, fendo la cagione della
felicità ,e ottimo , congiugnedo la creatura con Dio , che è ejfa bontà
,e gtouanijsimo di tutti gli altri Dtj ; perche è t ultima co fi ,
che riafca nebtzAngelo . 'Ter la qual cofa ‘Dionifio Areopagita dice ,
che l'amore è un circolo fempiterno dal bene nel bene al bene,
fìgnificando tre fpetie d'appetiti, nel- l'angelo da noi dichiarati di
fopra : uno fùbito , che l'efentia dell' (^Angelo procede da Dio ,
pel quale l'Angelo produce la pri- ma operat ione, cioè, la ulta; tintali
ro, che fi gue nell'Angelo fubtto , che è difhnto nelle Idee,oue
rifflende la prima bellezz&*£t que fio e proprio Amore,cioè dtftdeno
della bel lezx&.Wl terzo è quello appetito , che con • duce
l'zAngclo alla comunione d'effo Dto> della cui pofftpone acquifìa la
fua felicità. IL SECONDO LIBRO D’ A M O R
E, DI M. FRANCESCO CATTANI DA DIACCETO FILOSOFO,ET
CENTI L'HVOMO FIORENTINO. O me l'Angelo proee* de da effo
Dio, co/i l'ani feguito principalmente , cioè *7 orfino ft)
zAmeho.Qutfìa incomincia a riceuer mol mudine y tmper oche fèndo
principio del mo- to come pruoua tldiuin Alatone nel deci- mo libro
delle leggi , fg) il moto feguitando SS , ' . ' ' «v
LI% SECONDO. S9 l infinito , è neceffario in efjd comma a re-
gnare l'tn finito . A cjuejìo fieguita la molti* tudme 9 come per fiua
natura inde termi* nata . Et però la prima molttplicatione di
fiuHantta , quafi fitto un medefimo pene* re 9 incomincia a effer
nell'anima. Sono adunque le anime , che procedono dallan * gelo
molte . Conctofia che l'Angelo non fia finon uno 9 nondimeno fino tutte
compre fi fiotto quella commune anima , le qua li fi - no
differenti luna dall'altra , fecondo ,che piu fi appropinquano , o piu
fono lontane da quello , da chi procedono : il capo 9 guida di
tutte è l'anima mondana t da chi procede tutto quefto corpo utfìbile ,
che noi chiamiamo mondo , o uuoi ùniuerfò . Sot - to la prima anima
fono dodici anime prtn cip ah, lequah finoprepofìe a dodici parti
principali dell'uniuerfe cioè , a otto sfere ce - kfli 9 quattro elementi
9 ft) perche eia . 60 L 1 B 7^0 y cuna anima ha due parti ,
come dimoflra Platone nel Timeo ; una , per lacuale è fi- mtle
all'angelo , da chi procede ; l'altra perche e fimile al corpo , tlquale
produce ; per queflo ha finito due nomi , per l y uno de quali e
figmfìcat a la inclmatione al pro- durre , (fi reggere d corpo ; per
l'altro , la tnchnatione alle cofi diurne . Orfeo adun- que (fi i
fuoi figuaci chiamano l'anima della terra, Plutone, (fi r
Profirpina:l'ani ma dell'acqua , Oceano , ffi Theti : del- l'aria ,
Cjioue fulminatore , ffi Giunone: del fuoco, Faneta, ffi Aurora : della
sfe- ra Lunare ‘Bacco Lichinto , ffi Thalia ; del file, Bacco
Sileno ffi Euterpe ; di Mer- curio, Bacco Lifio , ffi Prato : di
Venere, Bacco Trietarico, ffi Melpomeneidi Mar te , Bacco Bajjareo
, ffi Cito : di Gtoue , Bacco Sabafio , ffi Tberfìcore : di Satur-
no Bacco Anfiareo , ffi Polinnia : de l'ul- tima SECONDO.
6i tima sfera Bacco Pcriciomo , g) Franta: Bacco cnbromio g)
Calliope di tutto l'uni uerfo . One , e da notare , che a ciafiuna
Mufa , è propoflo un Bacco per figmfica- re , che la parte dell' anima,
che melma al corpo, è retta da quella, che partecipa del- la
mtelligentia , inquanto per tale partici - pationee fatta ehria del
diurno detta- re . zAlle noue<iZMufi li antiqui Theologi prepofono
un'Apollo, lignificando le otto anime , d'otto sfere celcfii,g) l'anima
del- lumuerfo, chiamata Calliope , ejjer mini- fi r a della diurna
mtelligentia , laquale efii chiamorono apollo ; noi al preferite
chiamiamo Angelo . ^Non farà forfè fluo- ri di propofito riferire una
maramghofit opinione circa il numero , g) l'ordtne del- l anime
intellettuali , la quale fi può attri- buire a gli antichi Theologi . (
I^ot ueggia- mo il numero duodenario batter grande 62 L r
<B HO automa nell'uniuerfb , di che facciamo coniettura
per ejjtre dodici parti principa- li in ejfo , cioè dodici sfere . Oltre
a quefto 1 ueggiamo Uno bili filma sfera effir dtfìin - j ta
m dodici figni , onde ragionevolmente habbtamo a concludere ogni altra
sfera ef fer ordinata , ft) diftrtbuta nel mede fimo modo, mafiime
e (fendo in ogni sfera U na* tura del tutto , come accenna Platone
nel Timeo : ma di quefto altroue piu dijf ufi- mente parleremo ,
oue dimoieremo , che tffendo l'uniucrfì compoflo , ft) retto dal-
la ragione Harmonica , e neceffirio , che fa ordinato fecondo il numero
duodenario, radice dell'armonia di diapafon, fappiamo ancora ,
che'l numero fobico dice plenitu- dine , ff) firmità ; ft) pero quando il
m- • mero procede nel fio Cubo,eJphca tutta la ua per fettone
• Il cubo , e quando un nu- mero multiphcato m fe medefimo di nuouo
fi multi * % 1 M 0. 63 fimultiplica per fi
. V irbigratia noi chia- miamo il dua numero lineare , perche ha
fimilitudme con la linea . Se tu multiplichi tl dua in fi mede fimo ,fi
fa il quattro , ti (juale ha fìmilit udine con la fuperficie . Se
tu di nuouo moltiplichi il quattro per dua fifa otto tlquale ha
fimilitudme col corpo, piu la non ua la multtp Ite ut ione, come
con- tenta di tre termini longitudine , latitudt- ne * {0
altitudine , ftf per ejuefio il cubo è ultimo proce fio y per fettone de
Inume- rò. Quefi a procefiione e Pitagorici diurna- mente
accommodano alle fufiantie cofifi - par ate y ff) eterne , come corporali
, ff) ca- duche y come altrouemofir eremo , Adun- que il duodenario
, tlquale e il primo nume ro fecondo , compofìo di dua finarij
fiqua- le e tl primo numero perfetto 9 procedendo nella fuperficie
y ft) nel fuo cubo fa il nu- mero osìd. T>CC. XXVlll ilqual nume
64 1 *B KO * ro contiene tutta la plenitudine , fp
firmi- la , c/tf procede dal duodenario . Qualcu- no adunque
fondato in fu quefto> forfi po- trà credere ejfiere dodici anime
nell'umuer- fo, quafi dodici principi) , come è detto • Sotto ciaf
una ejfir e dodici altre anime, delle quali ciaf una habbia /otto fi
dodici legioni d'anime piu particolari . In modo che il numero
crefie fino alla fimma di A4. D C C. XXV III. legioni , in ciafiuna
delle quali fia tanto numero d'anime , quante [Ielle fino nell' ultima
sfera. 4 A£e debba parere frano tanto numero d'ani- me y quando ff)
T)aniel profeta dice mi- gliaia delle migliaia erano fìioi mini
fri. fommunque e fia , tutta la moltitudine delle anime ha per
guida , ff) capo la ani- ma del mondo prefantifiima , diuimf
fima di tutte le altre . ... CAPITOLO
SECONDO. 6s CAPITOLO SECONDO. ’ c^nima
degenerando dall' Angelo , da chi proce- de, inclina alla natura del
corpo y qual produce ; nondt- manco non degenera dall'angelo tanto 9
che ejpt non rifirui delle condittoni diuine ; ne inclina tanto al corpo
, che effa al tutto partecipi delle [òr de matertaliSPer laqual
co/a pofta in mezzo dell' una, fp) dell altra natura y ncn dimette la
cura , ffi) il minifte- rio del corpo : q) gode le delilie del
mondo intelligibile, Onde meritamente è detta no- do dell'uniuerfi.
Et per quefto ilduttn Pia tone nel Timeo compofi l'anima di fitte
nu meri, in modo che pofta l'unità da ciafiu- no de iati , ne
fegutti tre numeri ; cioè dal- l'uno de lati il proce fio infino al primo
cubo de numeri pari . T> alt altro ilprocefti in - — 4 E
Vi *6 .OLQ/^3! X 0 5L 4/ primo cubo de numeri
impari . Si 4/4 cg«/ /dta fino termini quattro , {fi tre inter
uaìli , per (lenificare nella natura dell'anima ejjer dua propietà : l'
una, per- che effa fi congiugne fempre all'angelo, -{fi quefìa è
denotata per gli numeri im- pari : l'altra , perche ejfa produce il
corpo, denotata per li numeri pari, {fi tana, {fi l'altra è dif
finita pel quattro. Et però noi pofiiamo dire la quatrmità efjir uer
amen- te l'Idea della perfetione ; non filo perche
marauigliofàmente contiene il dieci; ilqua- le fendo tutto tl numerose
Ptttagorici chia- morno Cielo , {fi umuerfi . Ilche ancora
fignificorono li antichi Theologi ofiuramen te,quando a noue mufe
prepofino un' Apoi -lo . *ZMa ancora perche quando fi procede nel
cubo fignificato pel quattro , fi mene ^all'ultimo termino della
proctfiione;ne fi può procedere piu oltre . Onde in ogni natu -
SECO ‘KfD'O. rapel Cubo efignificata l'ultima perfetto- ne
di ciafi uno .‘Non e adunq; marauiglia , fi e Pittagor tci(come dice
Teone)giuraua- no per colute he dona all'anima noflra la Quatrinità
y fontana della natura , che e tmperpetuo flufjo ; Imperoche quefto non
è altroché giurare y per colui, cioè per Pitta gora ; ilquale h
abbia trouata L'anima e fe- re diffimta per la quatrinità,cioe dalla
po tenda dell' intendere, dalla ragionerai fin fi , dalla ueget
attua . Dalle quali potentie l'anima, che fi muouefimpre : fifa
perfet- ta. L'anima adunque produce il corpo ;ma pel mezo d'uno in
frumento proprio y ilqual chiama grande fiminario y o uuoi natura *
. o uuoi anima feconda ; laquale dall'ani- ma prima , è fatta grauida
de fimi di tut- te le cofi y che hanno a effire prodotte nella
materia. Da quefto grande fiminario pen de tffa materia : laquale è
imperfettifiima . , ~ È ij 6S L I 2 TfO di tutte
le cofe fendo mafimamente diflan te da effo Dio autore d'ogm per fettone
; la- quale , "Plotino chiama principio di tutti i mali , co[t
nell'umuerfi, come nell'anima noflra . "Pendono ancora dal medefimo
fe- minario procefiiom de femt qua fi razzi dal lume Squali non mai
fino fèp arate dal- la materia , anzi fino fimpre congiunte fi- co
. "Noi le chiameremo e femi delle cofe . La prefintia de ' quali
nella materia affilue la generatone : quando accompagnati da lo
affetto dell'anima feconda , moffo dalla prima anima h fanno termine nel
compofìo \ naturale . Imperoche il compofìo non e al- tro , che il
fime , che pende dall'anima fe- conda f q) la materia , in modo intra
fi uniti , che defii fi faccia uno . Quefto for- fè e à Chaos
dzAnaffdgora , di finto dal- l'affetto dell'anima feconda , ilquale pende
dalt anima prima , rat tonale f uer a pa- drona
SECONDO. 69 drona della gener attorie. Di qui fi può uedere il
fondamento di coloro , che affer - , mano tutte le cofe qualche uolta
tornare quelle mede (irne. Laquale opinione benché paia molto
aliena da zA riftottle : mafiime nel fine delfecodo libro della
Generazione 9 ft) corruzione ; nondimanco noi Jperiamo dimoftrare
ejfirhconfenttentifiima. Ma per tornare alla co fa noftrafendo nell'
ani- ma fecondo efemi delle cofe , uere cjprefìont delle Idee, ft)
per que fio fendo accompa- gnati da una bellezza, che ìtale a fimi
, quale e la prima bellezza alle Idee , e necef fario s'accenda in
effa uno appetito ,ff) uno defideriodi quella bellezza ; ilquale
inco- minciando dalla cognitione, ft) non poten- do fare la fimilitudme
di que da bellezza» di dentro a fejransferifee nella materia la par
ticipat ione delle Idee , alle quali feguita quefea gratta , que fi a
elegantia, quale noi E lij io Litico V.
Aleggiamo nel corpo mondano uer amento •figliuola dell' timore . Et pero
Plotino di - ce, che tutte le co/e fino teoremi >quafì pro-
tedino dalla contemplatine, hauendo prin tipio dalla cognttione di quella
anima . Quella bellezza, che e nell'anima feconda , * et quello
appetito , che fi accende in e/fa e lo Amore la Zienere uulgare nel
fimpofio riferita da Paufama, laquale è detta figli- uola di
(fioue, {fi di Dione; perche pende dall' anima prima,ffi rationale,
laquale è detta Gioue, dalla feconda , ratina- le , laquale
ha commertio con la materia i ' C AP ITOLO TERZO. L
Cielo, o uuoi tuni- uerfi è uno , procedendo da una anima, ft)
fendo fatto a fimilitudme di un mondi) intelligibile -, ilquale noi
dtfipra habbiamo chiamato S E V P 2 \£ 27
0. chiamato Angelo ; ffi) pero Democrito * ft) Leuctppo non
meritano d'effere uditi , ujuali pofono mondi infiniti .
o^irtfiotik pruoua che'l mondo è uno: perche egli è fot to di tutta
la fua materia : ffi) Alatone proua , che'l mondo è uno fendo fatto
a fimtlitudine d'uno efemplare . W<?i hab± btamo nella r
Parafrafì noftra /opra il cie- lo hreuemtnte dichiarato , ffi) altroue
dif- fufamente dichiareremo in che modo della unità del mondo fia
la medefìma opinione dell'uno , ft) dell'altro filo fio fo , e il mondo
non filo uno, ma ancora ingenito , ft) incor r unibile, fe noi crediamo
ad Ariftotile . Al diuin Platone piace il mondo fempr e effe- re
fiato, et fempre douere effiere : nondime- no hauere cagione da cui penda
, cioè dal- l'anima diuimfitma, principio della natu- ra corporale
. Et pero habbiamo da dire effer tre principali fu ftantie, lecitali
uera- E mj 72 L 1 <B 7^ 0 ? mente hanno
natura di principio : cioè Id- èo, l'Angelo, l'anima diuinifiima . Iddio
è autore dell'unità in tutte le cofi , l'Angelo della permanenza ,
l'anima del moto: ft) quefia è la fintentia di Plotino, ft) di Por
fino; benché Siriano, ffi Proclo altrtmen ti procedmo . Sono fiati ale
unicorne ^lu- tar co, ft) Seuero, iquah hanno affermato, fecondo
Platone il mondo effere incomincia to qualche uolta , ft) qualche uolta
douere finire; ft) per quefto hanno detto filo effèr dua prmcipij
di tutte le cofi, cioè la mate - ria , ft) Dio , non pendendo la materia
da *Dio , ne Dio dalla materia . In modo che Iddio fia al tutto
finza materia , ft) fim- plice;la materia fia al tutto eterna, ft)
fin zci participatione di Dio , ma quefta oppi- none (come è
conueniente ) non è ammejja dalli altri Platonici . Le parti
principali del mondo fino otto sfere celefii, ft) quat- . tro
eie- SECO 5 SI DO. 7 ^ tro elementi . T>e!le quali le
sfere celefli fi- no nobihfiime. llche dmoflra la magnitu- dine
loro e'I / ito , l'ordine , e'I moto , il lu- me. Plotino uuole che il
Cielo Jia fuoco, ffi) c . "Piatone nel Timeo uuole ,che il mondo
Jia compofto di quattro corpi , Fuoco , Terra t Aere , ff) oAcqua ,
in modo , che da que : fio nome fuoco fino comprefi i corpi celeftu
os4riftottle s'ingegna dimofirare , che il Cielo non e fuoco . lmperoche
il fuoco , co- me ejjo dice , p muoue naturalmente in - uerfi la
cir cunferentia,p artendofi dal cen- tro. &l corpo celeftenon fi
muoue di moto retto partendofi dal centro, ma di moto anulare ,
ilquale moto [i fa intorno al Centro , pero il Cielo non è fuoco, altri-
menti bifignerebbe dire y che il Cielo barn fi fi dua moti naturali
; uno per ilquale fi muoue intorno al centro , che e ilctr calare:
l'altro , per ilquale fi parte dal centro , ff) 74 L IV Z 0 -
" ua alla circunferentia , che è moto retto ,* Lacuale co fa
pare habbia per imponibi- le- Quefla ragione facilmente foluono
Pio- tino , ‘Proclo . Ilche breuemente nella no fra c Parafaf f
opra il Qelo habbiamó tocco y fé) altroue piu diffuf amente dichia-
reremo y mofìrando , che altro è muouerfi nel proprio luogo , ft) fecondo
la fua natu- ra : altro e , fndo fuori del proprio luogo ,
ritornare ad cjfo > ff) nella fua naturaro- no alcuni , che dubitano y
fe le felle hanno moto proprio . Platone dice nello Spinomi- de y
che le lidie fono animali ignei ; ft) nel Timeo y che le lidie fi muouono
intorno al proprto centro . È piu de Peripatetici op- pongono
zAriflotile cjuafì uogliayche le jlel le fieno continue col Cielo ; ma
piu denje ; ff) però non hauere altro moto , che quel- lo della fua
sfera . ^oi diciamo z^riflott- le non hauer mai quefo affermato .
^a S E C 0 *1 D 'O. '7f quando duce le fteUee/Jere della
medefima ] fuftantia , di che è il Cielo ; intendere effe effire
della medefima natura , cioè ignee ; fffi quando dice le sielle effire
mfijfie nella sfera ; non fignificare pero efftr continue , ma che
non mutano luogo fecondo il tutto ; ft) pero apparire effire tnfiffi ;
perche fi muouono circa il proprio centro . In fom- ma le sfere
celefh , ft) le Belle effire di na- tura ignea , hauere proprij moti , è
ma - mfeflifiimo appreffio Platone . ‘Nelle sfere celefh fin
due moti , uno da Oriente 3 m oc- cidente, tlquale ‘Platone chiama moto
del la fapientia , q) della identità . L'altro da Occidente in
Oriente chiamato moto della diuerfità . Quefio , è delle sfere
erra- tiche : quello del fermamento ; ilquale in- ulta la
intclligentia dell'anima diuintfii- ma , di chi è tmagtne . Quello, è
chiama- to deBro , e quello fimfiro. L'uno, 7 fi L I % 7^0
| .l'altro fanno la generatone, la cor r- ruttone;Quello del
fermamente fa che firn pre fia ejja generattone , ff) corrutione ,
come dichiara o Ariflotik . Et pero t Pitta - gorici affermarono ff)
ildeflro , ft) il fini • fìro efier nel numero de' principi] pendere
« do dal moto del fermamente, ffi) delle sfe - '] re
erratiche tutta la generatone . " CAPITOLO QVAtjO.
L Moto da Occiden- te in Oriente , chiamato da ‘ Platone moto
di diuerfità proprio delle sfere erratiche autore della generatone
, come è detto , è diuifiin fitte, Imper oche ogni sfera ha il fuo
moto . di tutti è uelocifiimo il mote della sfera di Saturno di tutti è
tardifiimo il mo to della Luna . Sono alcuni , uguali affer - mono
Arifiotile fintire il contrario, quale SECONDO. 77
uogha il moto di Saturno e [fere tardiamo determinando fi longhfimo tempo
perla fiia fpeditione . ‘Ter contrario il moto del- la Luna effer
uelocftmo deter minandofi breuftmo tempo. Tsfoi crediamo e far fen-
tentia d'o^lr ifìotile le sfere fàpertorimo- uerji piu uelocemente,che le
inferiori . Im- peroche la magnitudine , che debba effer trapaffata
dalla sfera di Saturno s fuper a molto piu la magnitudine , che debba
effe- re trapaffata dalla sfera della Luna , che il tempo , che fi
dttermina Saturno per il fuo moto , non fitpera quello , che fi
deter- mina la luna . Quello è uno de gli errori , che Platone
imputa a greci (come è detto ) nel fettimo delle leggi , cioè credere il
moto di Saturno effer tar difimo fra i pianeti , fendo ueloc fimo, può
fi ancora r acorre de comentarij di ‘Porfirio J opra il Timeo e
Pittagorici affermare il moto di Saturno 7S .L IV 7^0 \
effer ueloci filmo, ff) riflotile ancora dice nelle quefiioni
meteorologiche il moto della Luna non fare accenfìone nell'aere
fendo tardo , ft) pigro : ilche fa il moto del file per la uelocità
, ff) uicimtà . Credono i Pi- tagorici , ff) Platone il Cielo fendo
imagi* ne dell'anima efjir e dige fio fecondo la ra- gione armonica
; L'anima, fecondo che pia ce a Timeo Pitagorico, pigliando le duple,
ff) le triple con le fifquialtere, g) fiper ter ite , fuper ottaue , ff)
fimitomi è digefla in trcntafei termini. Il primo di tutti è il nu-
mero trecento ottantaquattro . La fomma di tutto il numero , e cento
quattordici mi- gliaia , ff) fecento nouanta cinque unità.
'JSfelquat numero è contenuta tutta la ra- gione Armonica . Sendo adunque
le sfere celefh in modo coerenti fa fesche facilmen te paiono piu
tofio continue , che contigue tanto fono pulite , ftfi coequate ; ft)
mo? uendofi SECO D O. 79 uendofi
uelocifiimamente non dubitano af fermare ; da loro mandarfì fiora un
fuo- no di tanta gratta , quale fta conueniente a fi nobtl corpo y
come e il Cielo , Imperoche il fuono fi genera del moto di dua corpi,,
che uelocemente mouendofi f tocchino . Il moto piu ueloce genera il Juono
piu acuto ; e*l moto piu tardo genera il fuono piu grane \ ff) pero
il moto del fermamepto generati fuono acutifeimoye'lmoto della Luna
grauifeimo , ff} perche i moti delle 6 fere fino digeftt, fecondo la
medefìma ra- gione harmonica , come fino ancora i loro interualli ;
fecondo laqualcfe digefla l'ani- ma : e neceffario , che tali fuoni proc
eden? do da moti armonici in modo confinano fa fi , che di tutti fi
confi itmfea una ar r montagna melodia di gran lunga piu fua ue ,
che quella , che noi pofeiamo compren? dere con le orechie elementari
> Et perotl 80 L 1 <B 7{0 dtuin Platone nel decimo
libro della 7{epti blica dice , che ctafc una sftra celefte ha fi-
co congiunta la fua Sirena , laquale canta il fio tuono . Dequah fi fa
una armonia . e Pittatomi affermorno il Cielo eff re la li ra di
T>io: a quali acconfentifcono Aleffan dro eJ "Milefìo , ft)
Eratoflene . . . ' CAPITOLO QVIWTO. •. *
#vi v , , • • . ,r* /r a bi l e bellezza nafcc nel
corpo modano dalla unto ne, per laquale cofe tanto
diuer(i,ff) fi contrarie, co- me fono nel mondo , fatte fra
(e amiche, con ftitui fono un grande animale . £ fegliè
lecito comparare le cofe grandi alle piccole, il mondo è
ftmile a l'huomo ; Il fuoco , la terr a, l'aria , l'acqua hanno
fmilitudme con la collera y con la malinconia , col fin -
* gue,con SECONDO, sz gue , conia
flemma ; della retta mifttone, de quali fi fati temperamento radice
della finità y cofi a l'huomo , come al mondo . Il fermamento fi
può chiamare il capo di que fio grande animale , alquale un numero
* quafi innumer abile di fielle come occhi fui genttfiimi fino
grandifitmo ornamento . £ ‘Tittagorici affermano le fielle penetra-
re col fio lume nel centro del mondo : dout pel concorfi di tanta
moltitudine di raggi uoghono accender fi unfuoco eterno quafi cele
filale . c Al firmamento , come capo , obbedtfiono i pianeti : in fi a
quali il Sole ha fimilitudine del cuore , e fontana della uita .
^Marauighofamente eccede il Sole tutte l' altre fielle , non filo di
magnitudi- ne y ma ancora di potentia , ff) di uirtu ; la qual cofi
dtmoftra la copta del lume . (fili antichi Theologi affcrmomo ,
laGiu- fiuta , laquaky come Regina, ordmaydriz- -82
JSlpXQ V qi , regge l'umuerjo, per tutto procederi dal mezo
del trono del Sole. zs4riftotile at- trtbuifie tutta la generatone al
Sole , ft) atta Luna ; lacuale , come dice Hipparco è neramente uno
Jpecchio del Sole rifletten do a noi il lume , Uguale ejja da lui pren -
• de. (fiiambhco , {$) Giuliano Imperatore confhtuifiano nel Sole
tutti lifDij de (gen- tili . Et ^Plotino affermagli antichi haue-
re adorato il Sole > come Iddio. Confideri la muc chi dubita il Sole
effer preftantif fimo di tutte l 1 altre flette ; oue ancora ciò
che e di lume , e per beneficio del Sole . Gio- ueconla fita beneficentia
, peonia fua equità raprefinta il fegato, dal quale il nu
trimenioìfommmt firato a tutto il corpo ; onde da gliaftrologi , è
chiamato la prin- cipale dette grafie celefti ; da «J /Marte , qua-
fi amaritudine del fiele , e ridotta al tem- peramento la dulcedtne di
(filone . V mere. 'I T SECO X D 0 . 83 ft) la
Luna , fendo miniflre della genera - tione per cagione della uirtu humida
, che regna in effe , hanno proportene col feme, ft) con i membri
genitali : chi confiderà la deferita , ft) prontitudme di J
Mercurio forfè non dubiterà a/fomigliarlo alla lin- gua : per tu
fido dellaquale noi facciamo note le intime noflre cogit adoni . èt pero
li antichi meritamente attribuirono a t jue - fio Dio il patrocinio
dettelo (juentta. lAt* tribuifcono ancora a Saturno il dono del
lintelhgentia , ft) però chi ajfermaffe Sa- turno effer e in luogo di
reni, forfè non fa- rebbe lontano daluero . lmperoche cjuefìi fendo
aridiflimi , efpurgano lo spirito di ogni cahgmofo uapore . Onde effo , e
fatto atttfimo mflrumento della inteUtgentta : non è dubbio ancora
effere un tenuifimo , ft) luddismo Vehtcolo della uita , fg) del
fenfi corre /fondente alt elemento delle fiel v . . o . f jj
u L IB \0 le : per Uguale , come per competente me- zo y
l'anima consunta al corpo elementa- re y lo fa partecipe de doni della
aita . zA queflo è Jtmile quel fuoco dimmfitmo , il quale e fimpre
per tutto diffufi ; ripieno della uirtìi dell'anima regia, fecondo
affer- ma Cjiambhco , ff) (giuliano Imperatore , ilquale da ziatone
nel Fedro e chiamato il carro alato del gran Cjioue . Aderita-
mente adunque fendo l'huomo belhfitmo di tutte le cofe , che fino in
terra : ff) effen- do fintile al mondo y tn modo che e fio e chia
mato piccolo mondoy h abbiamo affermare il mondo , quafi un grande huomo
, effr belhfitmo di tutte le cofi fenfibtlu *Noi hab • biamo
dichiarato fino a qui la bellezza efi fere una gratta , un fiore , uno
splendore della bontà ; ft) l'amore non ejjere altroy che uno
intenfi de fiderio di fruire , ft) di •fingere la bellezza . Riabbiamo
ancora di- chiarato SECO 5S l D 0. m chiarato
eftere àua bellezze : una prima , ft) diurna , laquale, feguita all' Idee
chia- mata Venere celefte ; d'altra feconda , ft) naturale ,
laquale e nell'anima feconda, o uuoi grande femmario detta Venere
uol- gare , fé) commune , ft) pero eftere duoi amori . Vno circa la
bellezza celefte , ft) diurna : detto diurno e celefte : l'altro
circa la bellezza feconda , ft) naturale , detto amore commune
yfft) uolgare.Sendo adun- que l'amore diurno circa la diurna
btttezz za ; ft) effìngendo efta , è necejjario ejjere in mezzo di
due bellezze > una prima , ft) impar.ticipata , laquale fendo
appetibile , antecede all'appetito amat or io)' altra non prima ,
ft) partictpata , cioè quella prole . bella y laquale l'amore diurno
effìngeneL l'angelo per modo feminale , ft) di natu- ra a
ftmilittidine della prima bellezza s ft) imparticipata , ft) quefta non
antecede, : ^ > f $ SS L IH 2 io ma fegmta
all'amore . L'una, {0 l'altra chiameremo Venere celefle. Medeftma-
mente quella bellezza, che è nel gran (emi- nario antecede all'amore
uulgare . La beL lezz& .* che e nel corpo mondano figuita ad
tfio y in modo che ancora lo amore uolga - re yl collocato nel mezzo di
dua bellezze , dellequaltl'unae fine dell'amore uolgare, l'altra e
prole ; {0 però ancora ciafiuna di quelle può efier chiamata Venere
uoL gare . Oue è da notare la prima bellezza , che antecede
all'amore ejfiere nell Angelo per modo fpett abile ; la feconda cioè
quel- la y che è prole dell'amore efier per modo (e- minale . TSJel
grande fiminario per con- trario , perche la bellezza 9 che
antecede all'amore uolgarey e meffo per modo di fi- . mt:queUa y
the figuita, cioè la bellezza che è nel corpo mondano prole dell'amore ,
e per modoffett abile. Onde la prima, {0 ultima
bellezza SECONDO, st bellezza fino in quefto
fimilt,che l'una,q} l'altra, è obietto della potentia utftuaique-
fi a della corporale ; quella incorporale , ft) intellettuale , ft) pero
non è mar auiglia, fi dalla bellezza finfibile fiamo eccitati alla
bellezza intelligibile. E ancora da inten- dere non filo la bellezza
dell'angelo , ma quella dell anima diuina efier lignificata per
quefio nome Venere cele fi e: parimente l'amore ; che nafie di tale fpett
acolo, nel* 1 anima diurna effer figmficato per lo amo- re celefie
. lmperocbe , fèndo nell anima la uera participatione delle Idee , e
neceffario ancora in ejfa fia la uera participatione della
bellezza, ft) dell amor e, come ancora in ejfa è la uera participatione
della uita , ftj dello intelletto . adunque nell'anima diuina fino
dua amori, fjfidua bellezza* Vna uera participatione della
bellezze* Ideale detta V mere celefie . L'altra detta
a*v*V> ss : L 17t Jt o • V Venere uolgare >
hauendo commertio con la materia, zsélla bellezza uolgare e inten-
to l'amore uolgare . Alia bellezza celejle , è intento l'amore celcfìe ,
ffi) fermezza deffa alla prima , ft) uera bellezza.!} aL la cui
contemplatone s'afiende al capo,{t) principio di tutto l'uniuerfo , la
cut bellezj za y filo per uaticinto fi può comprendere , trapalando
tutta la f acuità del conofcere d infinito inter uaRo. ^Qr.
ài- * . <• + . *. ' ‘ V‘ > •* » .’* i- > C CAPÌTOLO SESTO.
. • . • V «- , . . i tftf \* % f L D l v in
‘"Piatone dice nel Timeo t anima noflra effere Hata creata nel
mede fimo cratere, quale fu crea- ta l'anima mondana delle reliquie
de me - defimi generi; uokndofigmficare l'anima nojlra hauere
proprietà , ft) potente fi- mili SECO 2\£ ZX 0.
^ mili alt anima mondana >{t) alt altre anu me diurne } ma in un
certo modo piu impera fetto. Quefto uuolefegntficare che t anima
nojlra , benché habbta le medefeme uirtà; nondimanconon opera nel
medefimo mo- do: perche intenta alla gener adone , ff) cura del
corpo caduco , dimette la contem- platane della uera bellezza. Per
contrario intenta alla uerità intelligibile dimette la cura della
gener adone ; fp) cjueflo aduiene ragioneuolmente . Imperoche non
potendo adempire infieme tuno , ff) l'altro uficio , enecefeario la
efeedidone dell'uno fìaac- • compagnata dalla dtmefeione dell'altro
, quando e intenta alla gener adone , fi dice difeendere , quando e
intenta alla contem- platane yfi dice afeendere ; non perche l'ani-
ma afeenda, o difeenda fecondo il cojìume de corpi . Imperoche fendo ejfentia
fepara - bile y ft) non pardeipando dicondidone aU ?o L I *B
^ 0 cuna corporale , fecondo che piace a tr Pla- tone , ffe)
adzAnflotiU, ma di fuori ft an- dò , è al tutto afioluta dalla natura
del luogo , alcjuale filo è obligato il corpo ; di cui è proprio il
fetlire ff) lo feendere ; ma diciamo afcendere > ft) difendere m
que- llo modo . Le cofe diurne y feno prefenti fe- condo y cheefee
oprano . lmperoche noi di- ciamo la dimnità ejfere in cielo , o in terra
fecondo che efea opera in Cielo , o in terra . £t altrimenti non
puòefeere determinata^ mente in luogo alcuno . Della operatone , e
principio l'affetto , corne e manifefeo\chi è quello 9 che operafei in
alcun modo , fe prima non fujfe moffo da uno a : ffetto an-
tecedente? que fio affetto non e altro che un defederio d'operare ,
tlquale pendendo dal’ la fognatone e principio dell'operatione.Pri
ma concepe Ftdia la forma della fica ^Mi- nerua , dipoi defederà di
produrla , o nel marmo S E C 0 TSfD 0. pi
marmo , o mi ramo , dipoi la produce . Se non haueffe defiderio di
produrla y non mai la produrrebbe , ff) fi prima non conce - pejfi
la fua forma , non mai dtftdereb- be di produrla . ^Adunque la cognttione
è principio dell'affetto , ffi) l'affetto dell* ope- ratane ; fff
pero alatone dice nel Timeo , che l'opefice del mondo fece tante
forme nel mondo , quante hauca uedute la men- te nel trnente , per
lignificare la produzio- ne del mondo pendere dalla cogmtione , in
fra lequali , come fra due efiremi y e mezz ZP tl defiderio di produrre .
Sendo adun- que l'anima no fra nel numero delle cofi diurne ,
diremo effer e prefinte oue effa ope- ra ; ft) operare , oue effa e
tratta dallo af- fetto , g •) defiderio d'operare . llquale af-
fetto pende dalla cognitione . Imperoche glie impofiibile noi hauere
defiderio d'ope- rare quello , che al tutto c'è nafioflo . ‘Ter
92 LIBICO lagnai co fa , quando l'anima nojlra con - * cepe
la uita ftnfibde ; ft) la gener adone 5 ft) hauendo affetto a effa la
produce , ft) efphca ; noi diciamo l'anima dcfccndere . ,
Jmperochela natura mortale oue effa ope- ra, e V infimo dell' uniuerfò:
Ada quando <• effa concepe la tuta de gli T>ij, ft) la ulta
intelligibile lontana da ogni moleflia , ft) ùgnytriflitia , ft) con
l'affetto l'efplica, dir ciamo afendere , fèndo gli c Dij. il
fupremo \detl' unmtrfo . ‘Rettamente adunque dice ^Porfirio nel
primo libro. DeU'aftinentia de gl' ammali , f noi defi deri amo
ritorna rea quello , che è proprio nofìro , f) alla ulta degli
T>ij , effer di bifigno , noi al tut- to diporre qualunque cofà
habbiamo pre/o dalla ^Natura mortale infieme con t affet- to
decimante ad effa , quafi non per altro defeenda , 0 afenda l'anima no
fra, che per Iq affetto. ^Tiace al dtuin r 'Platone ,ft)
Plotino SECO 2 \J D O. 93 Plotino l'anima
noftra , quando uiue con la uita intelligibile, ffe) degli Dij :
conferi- re tanto grado di degnitd , che fatta colle- ga dell'anima
mondana infieme fico reg- ga tutto il fato , ffe) la generatone .
Viue aUhora con la uita de gli Dij , quando ri- dotta ne
peniitfeimi tefeori della feua effen- tia , ft) di quindi nell amemfeimo
Tarato della uerità intelligibile , contempla effa lu- Jìitia ,
efea bellezza , effa bontà ; Oue in- tendendo tutta la TSjatura di quello
, che è uer amente , fp) non folo intende tutte le cofe , che di
quindi procedono , ffe) tutti e gradi della procefeione mfeno
all'ultima materia ; ma ancora confeguentemente ope ra fecondohe
effa intende . Onde merita * mente è detta collega dell'anima
monda- na , laquale hauendo mteUigentia^ffe) prò - uidentta
uniuerfale , e principio del Cielo ; ffe) di tutta la generatione . Onde
Telato- . 94 L I V 7^0 rie nel Filebo dice in Cjioue cffere
intelletto ft) regia anima, fignifìcando come nettuni ma mondana è
intedigentia, ft) prouiden- tia mtuerfale ; cofi ancora effer ulta
ft) principio uniuerfale di produrr e, ma quan- do effa declina
adageneratione, ft) al cor- po mortale, dimettendo la intedigentia
uni verfitle , ft) però fendo oppreffa dall' obli- vione delle cofe
diurne, attende alla fabrica di quello , che offerendo fi adì occhi
noflri) chiamato da gli ignoranti huomo , fèndo piu tofto imagine,
ft) ombra d*huomo;che vero huomo . Queda dimeffione, ft) queda
oblivione) lignificata dal dtuin ‘Telatone, nel decimo libro deda 'Rgpub.
quando dice 9 che l' anime, che difiendono nella genera- tone beono
dell'acqua del fiume Amelita ft) pervengono nel campo leteo.
lmperoche Amelita fignifica negligenza , ft) leteo li- gnifica
oblivione. T^ondimeno non gli è ne- SECO ^ D 0. ti
gato la uta di patere tornare alla ulta in- telligibile ,/e
feparandoftdal {enfi eccita il lume della ragione ,per laquale
finalmente tifando per inflr amento la bellezza corpo- rale , e
reuocata in ejja uerità . In fomma l'anima quando muendo con la aita
intel- ligibile contempla la uerità atramente fi può dire integra .
Imperoche fatta collega dell'anima mondana regge ilfato f {t) tut-
ta la natura corporale noftra , quando in- tenta alla generatone
s'ingegna effinge- re nel caduco corpo la natura del mondo o
dimettendo al tutto la fpeculatione della uerità , gt) obltgandofi afenfì
, uer amente fi può dire dimidtata . Laquale e ri/litui - ta nella
fua integrità , quando s'accende in ejfa uno intentiamo amore , ilquale
in- cominciando dalla corporale , finalmente la reuoca nel
marauigltofo fplendorc della bellezza intelligibile. Di qui apparifce
quel r V’1£> v . òè 9 * L 1 X 0
lo y che e ìnclufi nel portentofifìgmentodi Ariftofane nelSimpofio
. lmperoche k da principio ejjire thuomo di figura circola- re ,
ffi) co ’ membri addoppiati ejjer fato partito in dua >per
reprenfitone del filo fa- fio , tentando di combattere con gli T>ij
, poiché gli e cofìdiuifi cercare della fila me - tàydefiderando
intenfàmente ritornare nel primo flato ; Incontratolo , quafi
infuria- to , non concedere per un breue momento di tempo mancare
d'ejfio ; onde ejjer nato l'zAmore conciliatore dell'antica forma ,
medico , ft) curatore della generatione hu- mana ; non mole altro
fignificar e , che da principio l'anima no fir a uiuere con la ul-
ta intelligibile , la cui contemplatone ha fico congiunta la cura della
natura corpo - tqle , ft) meritamente è detta circolare , fendo la
contemplatone un circolo: Ran- della generatone dedita
do crefiendo lo ftimolo I 5 E C.O 2\( D 0. 97
dedita al proprio opificio crede fi e fière ha* \ fi ante , a
fimilitudme dell'anima celtfle , effingert il mondo in e fio, perde
la contem- ) piattone , {f) fiero uer amente come inalza « - ta
dalfiafto , è diuifa . Cerca della fina me- tà perche ejja ottimamente
conojce quello, che ha per fi per la inclinatione , affet- to al
corpo mort alerone non trotta niente di t verità',
neiquale incontrando fi, cioè in qual che imagine della divina bellezza,
fubito co me da un profondo (inno /vegliata, fi rtcor da della
divina bellezza ; per l'amore della quale e (purgata dalle (ordì
materiali final mente recupera la perduta metà . Merita . mente
adunque (amore è detto medico, et curatore dell'humanageneratione reftitu
- tndo l'anima alla vita diurna, laquale è la fua integrità,
QuefUfino forfè i uefìtgij per che uno filerte inuefiigatore della uerità
configura il fegreto (enfi d'iAriftofane. g 99 L 1 55
R^O * Non hauédo in animo al prefinte inter pre-, tare minutamente
il dium Platone, a noi fa ra a bajìanza qua/ì col dito hauere accen
nato il camino in fi profonda mtelligentia . IL TERZO LIBRO
D’ A M O R E, DI M. FRANCESCO CATT ANI DA DIACCETO
FILOSOFO,ET GENTI L'HVOMO FIORENTINO. CAPITOLO PRIMO.
* 'A n i m a noftr azoi- che e difiefia nel corpo
mortale fe ufia per iftru mento la bellezza corpo rale alla diurna
belltZz Z&, guidata dall' amor celefle , recupera le perdute
delizi della aita intelligibile . Ma fi fatta
TERZO: 99 fi fatta ebbra, quafi da focali di Qrce , precipita
nella generai ione, ingannata dal- l'amore uolgare , diuenta ferua di
tutte quelle calamità , che ha feco congiuntela datura corporale .
Ma innanzi , che noi dichiariamo come nafte, {fi quello , che opera
l'uno , {fi l'altro c Amore , fuori di propofìto dichiarare piu
parti- colarmente la fua diffinitione\ come quelli che di qui
potremo piu facilmente conofie- re gli accidenti , di chef amo partecipe.
E adunque L’amore desiderio DI FR V I R E, ET GENERARE
LA BELLEZZA NEL BELLO, fecondo che il diutn Platone difnifte nel
Simpofio . ‘Ter laquale diffinitione balliamo a in- tendere l'
Amore effere l'appetito , {fi non, filo appetito , ma di bellezza , {fi
di gene- rarla nel bello . Onde per quejìa ultima parte , come per
propria cùfferentia t l'amo- G ij • * loo
L l B 7^ 0 re, e difìinto da ghaltri appetiti, iejuali non fono di
bellezza . Chi adunque /apra che cofa è appetito , ft) che cofa è
bellezza ; faprà a fufficentia , che cofa e tumore. L'appetito q)
la cogmtione non effer quel mede fimo dimofira quello , circa ilquale
è tana , ff) l'altra potentia . La potentia del cono fiere è circa
il nero . La potentia dell' appetire è circa il bene . Sendo adun-
que diftmto il aero dal bene , e ancora di- fintala potentia del
conofiere , dalla po- tentia dell'appetire . Il uero e quello , che
è adequato a. fuoi principij. Come il uero oro e quello , che per
tutto corri fponde a principij, ft) alla effèntia dell'oro, non am
mettendo in fi alcuna cofa tftranea , ft) auentitia . PI bene e quello ,
che per fua natura fa quiete, fp) uoluttà. Sendo adun- que il uero
, fecondo la fua diffinitione,di - finto dal bene , è necejfario , che U
corni- none •* < y . f T E X Z 0 . ioj
tione fiadifttnta , fecondo la fua dtffini- tione , dall' appetito.
Ter laejualcofa la ' facoltà del conofiere e una potentia in ap r
prendere il aero . Lo appetito è una poten- te in fruire il bene. Della
apprenfìone del nero, fi fra nella corninone certit odine. ^Rel
fruire del bene t fi fra nell'appetito uoluttà* sAriflotile nel fi fio
libro dell'Etica dice, il uero , ft) il falfò ejfir nell'intelletto ;
tlbe- ne; fp) il male nelle cofi, lS[oi 3 che diciamo la corninone
effer circa il uero > affermia- mo il uero y ft) il falfi effer nelle
cofi fecon- do notatone 9 . Uguale nel fi fio libro della Republica
dice nell intelligibile effer e la uer rità , nell intelletto la fiientia
* llcbe non repugna ad zAriftotile , come nella noflra concordia
dichiareremo. Al uero, ft) al falfò féguita il benc,fj} il male :
imperoche nulla può efier uero che non partecipi del bt ne ; nulla
può effer falfò , che non partecipa q tij ìo2 L 1 %
0 del male , ft) però alla cogmtione,che e cir- ca il aero
yfeguita i appetito , che è circa il bene . Prima conofiiamo , di poi
appetia- mo ; ft) appetiamo quello, che noi appetia- mo y perche
crediamo ejfer buono , ft) uti- le per noi. ^Adunque l'appetito
appetifie quello , che la potentia del cono/cere giudi- ca ejjer
buono * onde è manifefto l'appetito figmtare la cogmtione . Sono diuerfi
gradì di uero nelle cofe : Sono ancora diuerfi gra- di di bene ,
ft) pero fono diuerfi cognitiont , ft) diuerfi appetiti ; onde et diuerfi
certitu- dini , ft) diuerfi uoluttà . £'l primo grado di uero è
nella natura Angelica , oue tutte le co fi fino adequate a fuot principìj
y ft) però fino partecipi uer amente della bontà. Circa ad effe è
la prima potentia di cono- fiere 3 laquale e chiamata intelletto ; ft)
il primo appetito , ilquale è chiamato uolon - td nell' intelletto
)e la pritna cer tit udine ,ft) TE \Z 0 . 103
nella uolontà , la prima uoluttà . Il fecon- do grado del nero ,
ft) del bene e nell'ani- ma : om il aero , benché non fia affoluta*
mente aero , come quello della natura An- gelica ; ilqualee per fia
natura uero , e nondimeno aero , ft) bene r adottabile , cir- ca
ilquale è la feconda potentia del cogno - fiere , qual' e chiamata
ragione ,{t) il fe- condo appetito chiamato elettione , nella quale
e la fia uoluttà , come nella ragio- ne , e la fua certitudme y laquale e
detta propriamente fcientia i fendo la certitudme intellettuale
detta fàpienza . & l terzo gra- do di uero , ft) di bene , è nel gran
fimma - rio y circa ilquale è la fua cogmtione , qua- le noi
chiamiamo finfò intimo , ft) à fio appetito principio della bellezza
corporale ; la certitudme di quella cognitione ft può dir fede ,
ft) quella uoluttà fi può dire tmaginaria . Il quarto grado è nella
na- . <3 «<j 104 L 1 3 ? \ O tura
corporale , oue le cofi astutamente fono ombra di utro,q) ombra di
beneinon dimeno fino uero>ft) bene fin fibile. Et pe- ro la
corninone, che è arca tal ucro s e una ombra di cogmtione; noi la
chiamiamo fin fi particolare , nelquale è neceffaria certi t udrne
y ma piutofto afimilitudtne 9 come , dice il dtum ^Piatone nel fi fio
libro della 2{epublica ft) lo appetito 9 che è circa tal bene e
un'ombra del uero appetito , nel- quale è uolutta al tutto ombratile :
difcor -1 rendo adunque per tutti i gradi dell'ap- petito y fimpre
l'appetito è circa il bene ffi) confeguente alla cogmtione . Et però io
mi marauigho d'alcum che diuidendo l'ap- petito dicono lo appetito
diuiderfi in natu- rale , cogmttuo , (fuafì pojfi efiere ap-
petito finza cogmtione 9 ile he al mio pare- re e afjordo :
Imperoche mjfuno può appe- tire , quello che è al tutto incognito 9
fi noi TERZO. tot noi diciamo negli elementi
efftr appetito del proprio luogo s e neceffario concedere in tfii e
(fere una cogmtione antecedente allo appetito , lacuale è principio et
appetire 4 tutte le cofe , che appetifiono . CAPITOLO
SECONDO. Est a c va dichiarar che cofa e bellez&a
, potre- mo intendere chiaramente , che cofa e amore . La
belle z? za, come e detto difoprafe una gratia y uno
fplendore della bontà , che in fu la prima giunta apparifce all'affetto ,
qua fi il colo- re nella fuper fiele* Oue è da notare due co - fe .
‘Trimala bellezza efftr obietto della jotentia uifuale: dtpoi ejìtre per
modo d'oc adente , ft) eftrtnfeca. Le bellezze fon molte ; perche
altra ila bellezza dell'An - ioó L 1 S* ^ 0 gelo,
quale chiamiamo bellezza intelligibi- le , ftj diurna : altra la bellezza
dell' ani. , ma rat tonale , quale al prefènte chiamia- mo
animale ; altra la bellezza del gran- de femmario , quale e detta
feminarta; altra la bellezza del corpo , quale è det- ta corporale
: a tutte nondimànco è com - mune ejfer un fiore della bontà , ejjer
obiet- to della potentia uijuale , efier per modo d'accidente * Et
per piu piena wtelligen - aia e da intendere ejjer piu potentie uifùa
- li, fecondo che fino piu obietti uijibili. La prima è efio
intelletto , ilquale ragguarda nella uerità intelligibile , ilquale è
uera- mente un'occhio eterno, che uede ogni cojà Signore del mondo
, temperatore delle co fi celejli, ft) terrene. La feconda potentia
uifuale , è nell'anima, effa ancorale-, culatrice della uentà : Ma
multipbce,ffi uaria, detta potentia rationale . La terzi* j
ènei TERZO, r io7 è nel grande fiminario intenta alla uarie
- ta de fuoi fimi. Onde nafte l'affetto , principio della bellezza
corporale . V ulti- ma è ia potentta , dallaqual fin uedute le
corporali , preftanttfiima di tutte le poten - tte finfualt particolari ,
come dice tAru fiorile, aera imagtne dell'intelletto . Ha - uendo
dichiarato che cofa è appetito , ff) che cofa, ecognitione, fffi che fino
tanti modi di cognitione , ff) d'appetiti , quan- ti fino e modi
del uero , ff) del bene : ba- ttendo ancora dichiarato , che cofa è
bel- lezza , ft) e modi di effa , ft) che cofa è potentia ut fiale
, ft) i modi di effa piena- mente pofiamo intenderebbe cofa fia amo
re , ft) la natura d'effo . É adunque l’amore desiderio di fr vi
RE, ET D’EFFINGERE LA BEL- l e 2 7 / a nel bello . Sendo
l'amo- re , defiderio , ft) appetito pof tamo inten- 108 L 1
® 2^0 dere effir circa il bene . Sendo di bellezza , poliamo
intendere effir circa quella partir apatione di bene , che e detta
bellezza ; la- quale è efìrinfica , ftfi per modo dacci - dente
obligata alla potentia uifuale, St pe- ro h abbiamo ad intendere l'amore
effire m'appetito , che figuita la cognitione ui- fuale.Onde
Plotino dice rettamente l'amo re hauere acquifìato il nome dalla uifìone
. E detto appetito non folodi fruire la bel- lezza ma d' e f
fingerla per lignificare l amo re effir efficace . Imperoche non glie a
ba- llante fruire la bellezza, fi ancora affet* tuofifiimamente
concependola non la effri me ; ft) in chi ? nel bello ; cioè in chi fia
di - fpofto> ft) preparato a riceuerfì tale effir e fi fione .
Laqualcofia dichiara il diuin r Pla- tone nel Simpofìo : quando dice
l'amore e fi fiere del parto della generatone nel bello . £ modi
dell'amore fon tanti , quanti fono e modi
1 T E % Z 0 . 109 e modi della bellezza , ùjuah fi
riducono a dua , cioè alla bellezza diurna , detta Ve- nere celefte
, ft) alla bellezza finfibile 9 det - ta Venere uulgare , ft) commune :
ft) fe- ro diremo e modi dell'amore effir duot cele fte,{t)
uulgare. L'amore celefte è appetito intellettuale circa la bellezza
intelligibile . L'amore uulgare e appetito ftnjuale, circa alla
bellezza finibile . L'uno , %t) l altro fa la fua efprefiione nel bellori
celefte nella natura diurna per modo di fimi , ffi) di na- tura ,
come è detto ; il uulgare nella mate- ria per modo uifibtle, fgl
d'imagine ; la- quale per tjuefto fi dice bella , perche e pa-
ratifiima a riceuere la ejprefitone della bel lezza fimmana , di qui fi
può intendere la fententia di Alatone, quando dice Po- ro figliuolo
di Metide ebbro di Tettare, ft) Pema hauer generato l'amore , ne
na- tali di V mere . ^Noi perche di quefta ma- n o L
I *B 7{0 teria h abbiamo breuemtnte trattato nel primo libro
del fulcro , (g) h abbiamo in animo trattarne altrove pia diffufamen
- te , al prefente dimetteremo piu particola- re efpofitione
contenti filo in queflo luogo hauere aperta la uia a quelli ,c he fino
fìu- dtofi d'intendere i profondi , fg) fegrett mi - * fterij di
Platone * > f • - * , « v* f ' CAPITOLO TE^ZO.
' /chiarata ladiffini- tione dell'amore , fg) come gl'
amori fin dua,cwè celeftc ft) uulgare , refterebbe a di- chiarare m
che modo nafia , fg) quello ,c he operi in noi l'uno , fg) l'altro amore
, ma perche dell'amore cele [le a bastanza e det- to fi nel terzo
libro del *7* utero , fi ancora nel panegirico nofiro all'amore ; per
quefio diremo filo ft) breuemente dell'amore mi gare .
T E % Z 0. /// gare. Al pr e finte fuporremo in effir
noi uno cor puf colo diffufi per tutto , quafì unum- colo infra
l'anima ,(g) il corpo elementari, detto spirito y mediante tlquale dall'anima
nel corpo piu terrefìre fia trans fufa la ul- ta. Quefio fendo generato d
1 una fot tilifi fima efialatione di fangue , ha origine dal cuore
principio , g) fontana del fangue piu puro, fi) al cuore prende la
utrtu,per beneficio dellaquale noi fiamo partecipi della uita,
detta uirtù uitale . Dalcerebro procede la uirtù,mediante laquale noi
fin- tiamo , g) et mouiamo , detta uirtù unir male , dal fegato la
uirtù , per laquale fi fa il nutrimento . £t la generatone , g)
altre operai ioni f nuli detta uirtù natura- le . Di tutte quefle
operationi e mflrumen- to lo fpirito , ilquale ( come e detto ) ha
ori gine dal cuore . Laqual co fa confidtrando zArifiotile, fecondo
la mia opinione, diffi ÌÌ2 L / 2 % 0 il cuore eficr
principio del uiuere , del fin - W , ft) del mouerfi } fé) pero tenere
infra gl' altri membri il principato > Come que- fio non re
pugni a Platone , ilquale affer- ma il capo effer prtnctpalfiimo di tutti
e membri , ajjoluendofi per e fio l'intelligen - ita, laquale, è
nobil filma di tutte le nofire operationi, altroue a bafìanza
dichiare- remo, Stndo aduncjue lo fpirito mHrumen to del finfo ,
mafiime della fantafia , che marauigliaè fi con tanta affinità
natu- rale infra loro fi congiungono , che una po- tente alter
atione dell'uno fa tran/ito nel- l'altro ? ‘Per lacjual co fa lo fpirito
poten- temente alterato , e baflante a muouere la fantafia a
produrre l'immaginatione fil- mile a quella alteratane . llche
apparifie in quelli , che fino ueffati da ueemente fi- bre , oue
tal moto dello fpirito fa tranfito nella fantafia. Mede fimamtnt e fe la
fan- tafia T E Z O. 113 tafia interi famente
opera in qualche peti- fiero: nello /finto fi fa una imprefiiom
naturale , firmle a quella operatone . La- qual co fa dimofirano le fife
tmagwationi delle donne grauide , in cui ueggtamo non filo dalla
fantafia far fi tmpref ione nello fpirito y ma ancora mediante lo /pirico
tra pa/farene teneri cor pi del fio tenero por + tato . E
n?ittagorici fferauano medicare le malattie con certi modi d'armonie .
Im- peroche l'anima dell'armonia e fi erme re - uocata nella
interiore , ff) naturale per grande predominio , che ha / opra il corpo
, produce fimtle armonia in e/fo , in età ftà la fita finita . Ecco
adunque , che dado [pirito nella imagmatione fi fa tranfito ,
cogitando la fantafia fecondo che efio è affetto dall' imaginat ione .
niello fptrito parimente fi fa tranfito , fendo l'ima - gtne , come
Juperiore , Ufi ante a muoue- a ìi 4 Lf I *B 0
re la uirtù naturale . Oltre a quefto hab - btamo a intendere da
ogni corpo generabi- le > ft) cor rutilale far fi una continua refi
+ lattone , ft) un continuo fiuffo, come after* mano Sinefio , ffi
‘Troclo; rituale pir cer* to /patio di tempo , ft) a certa dt/lantia
fi conferua integro , hauendo continuatane con quel corpo , da cui
procede . E magi fi - gliono ofteruare cjuefto fìmulacro , per.
e/Jo offendere lo fpirito , quando hanno in animo perdere alcuno • ^Mafiimamentc
fi fatalflu/Jb per gl' occhi .quafi per piu aperte fineftre dell'anima ,
ft) dello spiri- to : ilche afferma o^riftotile, quando dice l
affetto ciana donna, che patifta il men- firuo fpeffe uolte machiare uno
Jpechio . È ancora da Jupporre nella generazione delle cofi ejfir
neceffaria una cagione , che produca detta cagione efficiente , ft)
una, in chi , ft) di chi fi produca detta cagione ... necejjaria
, TET^ZO. ns necejfaria , ft) materia. Et pero
Telato- ne nel Timeo dice , che'l mondo e fatto di niente y ft) di
necefiità , cioè dt materia , ft) Arift otite chiama la materia
necefiità nonjempltce , ma per fuppofitione . Impe. roche come (e
fi dee far ma cafa , ft) una fatua y è necejfaria tale , o tal materia
y coffe fi dee fare que fio ornamento , qua- le noi chiamiamo mondo
, è necejfaria ta - le y ft) tale materia , di che effo fìa confiti
tato; ft) però la materia per fitppofitione f è necejfaria * . Oltre a
(juefte due è ancora necejfaria una cagione infìrumentariayme
diante lacuale fia preparata , ft) diffofta la materia a riceuere
attamente il dono della cagione efficiente . TSjoi pretermette-
remo come a quattro cagioni della genera- ■tione indotta da zArifìottle ,
cioè efficien- te y fine y materia , ft) forma fieno da Pla- tonici
aggiunte le cagioni eftmpìari , fg) ^ H ij !
n6 L I 3 ^ 0 l'organica . lmperocbe alerone s'
appartie- ne determinare di queft a materia.. Oue di chiararemo ti
nero efficiente dilla genera- tione ejjer la parte naturale
dell'anima mondana ,chiamatada noi di {opra gran- de Seminario. Il
fole, ff le fuflantie indiai - due effer cagioni inftrumentarie : questi
co me inftrumentt particolari,quello come in - flrumeto uniuerfale.
Al prefente ci bafli la generatione hauerc dibifogno della cagione
efficiente, della infìrumentaria,e della ma tena.Pofìi qucfli tre
fondamenti facilmen te pof iamo intender come nafea in noi que fla
affett ’ionc , quale e nominata amore . Ada f imamente fe non et fiamo
dimentica- ti eh quello, che è detto poco innanzi, l'amo ' re hauer
confeguito tl nome dall'affetto . Quando adunque per lo affetto ci
s'appre- fenta nella fantafia qualche ff et t acolo, il quale noi
appromamo , come bello ff) pieno ,p ^ ' dtgratia TERZO.'
V/7- di gratta; [àbito t anima eccitata nella col gmtione della
/ita bellezza interiore v defe- derà non filo fruirla, ma e f finger la .
Et . perche tale efirefiione ha dtbifigno della materia , ft) del
fubietto, atto a quell&rk cetttone ; per quefto de fiderà ejpt merla
in quello , che efid ha prouato , ft) da cui è fiata eccitata a
tale ejprefiione , come piu atto a riceuere la participatione della
bel- lezza, ft) perche quella ejprefiione non fi può far nel bello
, quantunque di fra no* ’ tura atto , fi prima non e frffiaentemen*
te preparato : per quefto mtenfamente de- fidera congiugner fi col bello
; Come quello j che altrimenti non può efficr preparato ; che dalla
uirtìt del fime , ilquale è tnftru* mento naturale ad efpr'tmer la
bellezza fi minarla dall'anima . *Di qui fi può uede ; re
apertamente con l*amor uulgare 3 effèr fimpre congiunto il defiderio
dell'atto Zie- H. iij -ni LI 3 710 nereo ,
fecondo Platone, Imperoche fendo l'amore defedeno defungere la bellezza
nel bello , fj) non fi potendo effìngere , non fendo preparato ; ne
prepar andofi fe non per quell' tnftr amento , quale ha deputato
lunatura , cioè il feme y oue fiala uirtù gener attua, Imperoche la
generatione y o non fi ejpcdifie fenza il feme , o per il feme piu
commodamentefe necejjario fìa accom pugnato naturalmente da quel defìdeno
y • qual noi chiamiamo Venereo , Et quefea c una commune
difpofìtione dell 1 amor mi gare circa ogni bello. Imperoche l'anima
re focata nella bellezza interiore , giudica ogni bello , degno ;
in cui s'effinga il fimu - lucro della bellezza . Ma quando noi ap
. prouiamo piu un bello y che un'a\tro y come piu grato apprefjo
noi , penfando del conti- nuo adejfe affettuofamente ; fi fa nello (f
i- rito ma certa difpofìtione confeguentea TE 2? Z 0. 4
W quella cogitai ione . lmperoche y còme edit- to , dall'
anima fi fa tranfito nello fpiritq come tn proprio y $) naturale
infìrumen - to. Incontrati adunque m quello , circa cui Jiamo
affetti , ff) a una certa diftantia appropmquati riceuiamo nello fpirito
per tutto il corpo quello efirementofilquale na u turalmente fi
rifolue dal corpo dello ap- prouato fpettacolo ; Mafiimamente fi fa
tale recettione , quando noi dtr itti gli oc* chi nel uoltOyft) ne gli
occhi dtUa co/a, che tanto ci piace , per la marauighadi- uentiamo
fimili a gli ftupidi • Imperoche come per gli occhi , quafi per piu
paten- ti finefire , fi fa maggiore refolutione del- lo fpirito y
coli ancora per efii è parata piu la uia negl'intimi penetrali dello
(pirt- to . Marauigliofamente opera l' efficiente È quantunque
debile , nella ma teria ben pre- parata fupplendo alla debilità della
cagto- H tiij 12 0 L 1 S 2^0 ne, la dtfpòjitiòne
della materia, della qual co fa e mani fefto inditio in gran copta
di materta da una pìccola fcintilla fiufiitarfi grandi fimo
incendio . Lo Jptrito dallo af- fetto continuo della fifa cogttatione ,
quafi formentato , come prima è tocco da quello efiremento ,/uhito
alterato -, quafi fimu - tavella natura di quello : Intanto che ar
- riuando l'tnfettione al cuore, fontana del- lo jpirito, fa che,
ft) effi ancora parimen- te patifia . Onde ft) il /angue ,che in
lui fi genera , ft) lo /finto , che è infi aurato dalla continua
efalatione del /angue, riten gono quella medefima infettione . Di
qui 'auiene , che quelli, che fino infermi dalla graue malattia
dell'amore, (intono dolore principalmente nel cuor e. lmperoche la
co- fà amata fa uiolentta nello Jpirito', ft) per lo //ir ito nel
cuore, onde ha origine'. Meramente alla maggior parte de malt(cò
me dice r £ x z o. ni me dice
tldium Alatone) un certo demone ha mefcolàta la uoluttà dolcifrima e/ca
, l'anima inferma fi diletta dei diuin afpet - . to del fuo bello
ffett acolo ; ffr) in prima del lume de' rifflcndenti occhi ;
Màinganria- ta dalia uoluttà 3 non finte il mortifero uè - ne no
penetrare , per li occht entro alle uu [cere ; dalquate il grauiftmo
morbo pren- dendo nutrimento , d'hora in bora mera- uigliofametiie
crefce . c Adunque lo ffniito tutto infetto , mouendo uiolentemente
la fdntafraja coftrmge non mai ad altro pen fare ch'ai fuo bello
spettacolo ; rituale ap- prouando l'anima , come foto derno in cui
effa poffa ottimamente cfprimere una bel- la prole y a fmtlitudtne della
bellezza in- teriore y eccita uno intenttfrimo dtfrder io di
fruirlo . Quefìa e la generatione dell a - mor uulgarc per quanto i circa
alla hd- lez&aparticolare d'uno , o d'm'altro . Cjli T22
L I 2 7{0 accidenti , che l' accompagno™ , in par- te faranno dichiarati
brevemente da noi in quello che fiegue . f& ' ■ al
CAPITOLO OVATTO,^ Omi l' anima èia aita del corpo, co
fi la cogitatone è la ulta dell' anima. £1 corpo fi dice ejftre
allbora infirmo , quando l'anima /eco non confinte . Ondo l'arte
della medicina non è circa altro , che in conciliare l'anima al corpo-,
in che sla la finità dell'animale . L'anima e infir - ma , quando
non confinte con la fua cogi- tatane , ma difìratta dimenticataf ,
ff) « di quello, che efia è, ffi) delfuo ufficio ; non cura ,
come è conueniente , fi medefima. L'infermità principali dell'anima
fon dua:l' una è detta ignorantia-,1' altra e det- ta infanta
i T E 2 0 > 123 ta infima ; le quali
fin unto piu gratti * che le malattie del corpo , quanto i anima e
piu eccellente , ft) piu nobile , Ma a che fine tjuefto ? Certamente
perche la cogita * tione dell'amante non mai fi parte per un filo
momento di tempo dall'amato . Et pero dimettendo il fuo uffitio naturale
, non confinte con l'anima di cui è ulta . Vani - ma inferma , ft)
affetta accompagna la fua cogitatone : lmperoche nulla può uiuer
lontano dalla ulta . TDi cjui aduiene , che l'amante e detto uiuer
finzlamma, unteti* do nell'amato . Queflo fa, che'l corpo non
riceue il defiato dono dell'anima : onde, f) ejjo cerca dell' amato, q)
trouatolo alcjuan to fi quieta 9 (juafi habbta trouato ìani- ma ,
ma perche ne all'anima e concejfit la cogitatone , ne al corpo l'anima,
cioè ne all'uno , ne all'altro la fua ulta , è necefi fàrio, che ciafiuno
incorra in grauifiime iriJf L I 2? TfO malattie ; l'anima
nell'ignorantia 3 fjf) nel- l'infima : il corpo nella difcordia di
tutte le fie parti fra fimedefime che è il mafi J Imo di tutti i
mali . Di qui fi può uedert quello 3 che uolfi tl dtuin Telatone nel
Sim* pofìo 3 quando diffi , l'amore ejjèr arido efier macilento 3
effer e /quando co piedi nu- di uolare per terra 3 finza cafi 3
finza letto , finza coperta alcuna dormire nella ma prejjò alle
porte ; ffi) quefìo per effir figliuolo della pouertà « Imperoche
l'aridi- tà 3 la macilenta , lo fquallore che 3 e ne corpi degli
amanti , feguita la difcordia delle parti del corpo fi a fi) lequah
non pomo adempiere il fio officio naturale 3 non fèndo l'anima
intenta aidehito reggi- mento deleorpo . L'anima difir atta dalla
potente cogitatane 3 opera de talmente nel corpo : onde conuertita la
maggior parte del cibo in fiper fluita 3 fi genera poco fin-
gue 9 TERZO. i2$ gue, ft) quello per la mede/ima
cagione fin do mdigefìoy e grofjo, ft) negro . El difetto del
[angue , di che fi fai alimento genera efiiccattone , ffi)
configuentemente eftenua tione mi corpo . La grofiez&a,{tf ba negrez
- za genera affcrità , mifihiata col pallore . È adunque lamore
arido , perche e cagio- ne y che e corpi delti amanti manchino del-
la conuemente quantità del [àngue , diche fi nutrifiono . E macilento
perche il difet- to del nutrimento genera in efit efienuatio - ne
di tutti e membri. E [quaUido perche fi nutrifiono di [àngue groffiy ntro
y ilqua - le genera [quallore . Tutto quefto non uuole altro
(tonificare , finon che e corpi degli amanti principalmente fono obligati
a ma li malinconici . Et quefto inquanto a mali del corpo . 5 S[oi
h abbiamo detto quando la cogitatone y non confinte con
l'animaygene- rarfi in ejfà Tignorantia , t infanta ; 12 6 L
I *B T{ 0 ' « onde hanno origine tutti glialtri fitoi
ma-; li . Volendo adunque ed diuin ^Platone fi* gmficare la ulta
degli amanti e fiere affati caia dall'ignorantia , dall' infama,
ff) configuentemente da glialtri mali , che le figuitano :
diffi l'amore effer co' piedi nu- di, per che non curando l'anima fi
medefi- vna rettamente, come aduiene adamante, non conofie quello ,
che effa è, anziché e di gran lunga peggio ) crede fi effer
altrimen- ti che effa fia . ~Di qui aduiene , che effa è priuata
della cognitione della uerttà . Et pero in ogni fua anione procede finza
ra- gione alcuna , e uer amente co' piedi nudi . Diffi uolare per
terra , perche l'amante fi fa firuo della bellezza corporale .
Laqual cofa nafie daefìrema tgnorantia , da cfìrema infama , fèndo
l'anima noftra nel numero delle cofe diurne , lequah hanno a
dominare alle cofi corporee , ffi) non fimi- re . Di
TERZO. ixà re. TDi qui naf ce , che l'amante e fòt topo- fio
a infinite offe fi , ne mai uer amente fi. quieta in cofa alcuna , ne
ancora nella co* fa. amata , fendo fempre agitato da uant speranze
, da uani timori , i quali fi- no m modo potenti , che effo non ha
fatui- tà di poterli in alcun modo celare ,quafi un fìupido ,
obhgato fempre alla bellezza corporale , ma alla bellezza diurna,
ap- poggiato a [enfi , iquali fino parte dell' anu ma noflra ;
mentre e congiunta col cor -, po mortale . 'Rittamente dunque l'amore
fi può dire finza cafa , finza letto , fin- tai coperta , dormire
all'aere nella uia ap- presole porte. Sendo adunque l'amante
fottopoflo a tanti mali per cagione del- l'amato , qual pena fi potrà
trouare con - ueniente , fi efio non riama ? Certamente chi priua
il corpo della ulta e h omicida : chi rapifie le cofi diurne
èfacrilego.L'ama ì2S L 1 3 % 0 to e fi ordendo la
cogitattone all'aman . te rapifce l'anima sofà neramente diurna .
‘Priua ancora tl corpo della aita , uiuendo effo per la pre/entia
dell'anima : Onde co- me homictda , ft) Jacrilegofe degno di cru -
delifiima morte . <^Ma riamando l'amato marauighofamente reHituifce
l'anima al- l'amante . Imperoche , chi riama dona la fua cogitatone
, ffi) la fu a anima, nella quale urne l'anima dell'amante . £t
pero donando fe , refhtuifce all'amante la per- duta anima ; ne per
quefto pero abbando- na fi mede fimo , battendo fmpre fico con-
giunta l'anima dell'amante . Oitefh ffij fi mili fono gbaccidenti , che
feguitano al- l'amore per hauere origine dalla pouertà , come madre
. Chi uuol conofiere efijufita- tnente ancora quelli , che configuitano
al- l'amore pereffer figlio di Poro , cioè della ma alla copiai
legga icomcntarij foprail Simpofio T E X Z Ó.
129 Smfojto del Duca noftro ^Marfiho ; otte la natura
dell'amore fecondo la intenda- ne di ‘Platone è diurnamente ejplicata
. CAPITOLO giFIT^TO. ... \ . Otrebbe alcuno
dubi - tare > perche cagione non fìa mo parimente affetti
circa ogni hello. <JMa fi ne trotta qualcuno , tlquale , henche
giudichiamo efeer hello, nondimanco non eccita in noi quello
intenfò affetto , quale chiamiamo amore. Qualcuno altro
potentfiimamen- te ci commuoue ; anzi {che e di gran lun- ga piu
forte ) fpejfi fìamo affetti a quel- lo, che ancora noi medefimi
giudichiamo effèr men hello in fa molti . Quella qui - fi ione
fecondo la mia fintentia , fendo difi folle , ftj) anfia y fff) ha fi
ante ad affati - n o L I S 7{ O care ogni buono
ingegno habbtamo dedica- ta al fine di quefta opera , della quale
al preferite breuemente tratteremo . Qualcu- no forfè giudicherà la
femilitudme , g) la congruente , perche noi fìamo piu. af- fetti ad
un bello , che ad un'altro : hauere origine dal padre , g) dalla madre ,
quafi fia neceffariOy hauendonot di quindi l' effe- re, hauere
ancora da mede f mi tutu l' al- tre ajfettioni ; Qualcuno altro
crederà douerfi ridurre alla natura > g) al Cielo come autori di
tutte le cofe inferiori . Tfoi che fèguitiamo il dium Alatone, affer y
miamo la datura , g) il Cielo efeere in- dumenti della diurna
inteUigentia , g) per queflo operare nelle cofi inferion y quaii
eoi loro ordinato di fòpra . ‘ Diremo dun- que le cofe diurne ejjereinfra
fi di flint e , fecondo che s'appropinquano , o fino lon- tane da
quel principio % onde procedono , i T B '%'Z 0. ni fa
per quefio fèndo /’ anime rattonah nelnu- W mero delle co/e diurne,
e neceffario altre efi fa fere ne primi gradi della perfettione ,
al- $ tre ne fecondi , altre ne tertij . Quefla di - { ftributione
ha origine dal primo mtellet T tri to , ilquaìe difipra habbiamo apellato
, tjl fff Angelo , ft) mondo intelligibile , oue l tutte le cofè
hanno il loro efiere perfiettifi /- fimo . Sendo adunque l anime
rattonali ì difìribuite in tanti ordini , quanto è il nu- , mero
delle stelle, come dice ildiutnTla- i tone nel Timeo , benché
naturalmente tutte fieno in fra fi confintientt , nondi- meno infra
quelle è maggior confinfi , in chi è piu congruentta , ft) piu
fìmihtudi- ne : Onde l 1 anime di ciafiuno ordine piu cónfintono
fico medefìme , che con quelle , che fino di dtuerfi ordini , hauendo
infra fi maggior fimilitudme , ft) maggior a fi finità: fór
bigratta, t anime fitto l'ad- l \ V t,;- Vs»
i3z LIVIDO tniniftr attorie di Gioue piu conuengono in fra
loro ; che con quelle , che fino ordinate fitto l'amminifìr adone di «J
"Marte , o di Saturno : fendo piu fìmili , ffi piu affini.
& anime , che dt/cendono nella genera- tione tratte dall'amore delle
cofe terrene formandofi i corpi , iquali reggono : in efii
efprimono la natura fua per qudto la ma teria ne può effir capace .
lmperochejl cor- po none altro y che una imagine dell ani - ma ,
ft) quanto i corpi fino piu perfetti * tanto meglio rapprefintono l'anima
. On- de il corpo celefle perfettifiimo di tuttii corpi , fèndo
tanto uicmo all'anima , che tffi quafì fianon corpo , ottimamente
la reprefenta : HPer laqual cofà t anime , che difiendono nella
generatone sformandoli da principio un corpo di \ Natura fimileal
corpo celefle ( ilche hauere affermato Ari- fiotde ancora confinte
Temifiio ) prima in V • * *Jfi MI»
mi ni j I tu- w
w- h ri- tti it
li fi i 9 fi-
in TER Z 0 \ 133 ejji fanno la fùa participatione
sfatta- mente , dipoi negl altri o meglio , o peggio, fecondo che
per la loro perfettione , o tm- per fattone , fi prefi ano piu , o meno
obe- dienti . Tutti nondimanco ritengono il Ca- rattere dell'anima
Jua r fendo adunque la bellezza corporale rnagine della bellezza
dell anima, {fi per queflo riducendofia medefìmi ordini , quel bello filo
è ajfet- tuofamente offeruato da noi ., ilquale fi ri- duce al
nojìro ordine , {fi quello è innanzi a tutti offeruato, {fi adorato , che
proce- de da anima nel medefimo ordine di firn- ma preftantia , {fi
di fimma degnità,{fi per queflo fi V anima noftrà e intenta alla
generatione , fubito, che ci incontriamo in efja , quafì attoniti
giudichiamo altro - ue piu attamente non potere ef fingere la
diurna bellezza . * Onde a nullo altro pen- iamo, m nulla altro tt udiamo
>che adem- I * / tu LIBICO TERZO.
fiere l'ardente defìderio nojìro . Quefta forfè effir la cagione,
come io fimo' affer - merebbe uno ftudiofodeldiuin ‘Tlatone , per
laquale fiamo affetti pm ad uno , che ad un'altro bello . Queflo fìa
tifine, o buo- no Amore del nojìro cercare , della tua di- urna
origine . Dio uolefii, che a me fufii tanto facile trouare le parole ,
quanto co- fi grandi , ft) marauighofi di te concepia- mo .
Imperoche e mi farebbe un pic- colo inditio , che la mia te -
nebricofa mente pof fa effire Ulu- firata " ;
i . dalla chiarezza della tua di ; • £v; umifitma luce .
iL FIl^E DE I T^E LI. A'* l ' -^V DI M.
FR ANCESCO C ATT ANI DA DIACCETO, FILOSOF OjE T 6 E
NTIL’HVOMO FIORENTINO. * % • \ t • • • \
j. Giof'^t'HX 1 conisi, e . PALLA B. V G E L L A I<
’ ' • V ?• fN *> 1 . f\ I . • . • • » >.» . % v ; j . «
+4 R AVE PECCATO è non fentire rettamen- te de gli D.ìj
, molto piu grane detrarre alla lo- ro maie(ìà,ft) pero ca± r
fórni amici, non uituper atelo amore, cojà certamente diurna, acctoche
nonni auenga come a Steficoro Poeta, ilquale ef
136 PATSfEG ITTICO fendo accecato per hauer ne' fiuoi uerft
pec tato contro a Helena,non mai recupero la perduta uifia fi prima
fatti e uerfi incon- trario fenfe non placò la offefa deità . Ho-
mero ancora perche non uolfe confejfare hauer peccato yUtffe cieco infin
nell'ultima vecchiezza. V n adunque non filo ui after rete da tale
uituperatione , ma celebrando ilfacratifiimo nome dello amore,lefue
mi- rabili uirtuti infieme meco predicante y fe non come e
conuemente a tanta maieftà , almeno fecondo le forzz del uofiro ingegno ,
di che nulla piu uttle a uoi , nulla piu ac- cetto a gli Uij fare
pofiiamo . 6 Neffuna cofa e tanto grata quanto la bellezza,
neffuna tanto mole fi a quanto la deformità . La bellezza rapifie e
diletta l'anima no lira, per contrario la deformi- tà l' affligge e
la difeaccia. La cagione credo fia , che la bellezza offendo fuori
alle co fi ' ALL 9 AMORE. 137 cofi create mofira
la perfettione di drento % onde uiene , perche la perfettione dt
qua* lunque cofa e accompagnata da una certa gratta ejìeriore ,
laquale dimoftra quella cofa non hauere di drento alcuno difetto ,
c pero non e merautglta fi l'anima noftra e prouocata e rapita
dalla bellezza; impeto - che effa naturalmente indoutna per la bel*
lezza douerfili aprire la uiaatla infinita perfettione della diurna bontà
, per laqual cofa li antichi Theologi affermano la bel- lezza
effiere portinaia alla habitatione fi* crettfitma della diurna bontà ,
quafi fia neceffarioa qualunque cerchi ladtuinità prima incontrar
fi nella beUezza.£per que - fio la bellezza non è altro , che uno fiore
, una gratta , uno splendore della diurna bontà, laquale prouoca e
rapifie tutte le co- fi che hanno facultà di cono fiere, accioche
per fuo beneficio fi faccino dteffa parte* 13 * PA^EGltTCO
dpi y ou'èla aera q) ultima perfittione di c taf imo . Onde fi cofi che
hanno potentia di cono/cere , fino piu perfette > che quel- le
che ne fino prrnate , ffi fra quelle che condfiono ■> chi ha miglior
grado di cogni- tione ha maggior grado ancora di per fet- tione ,
la ragione è, che chi ha miglior gra * do di cogmttone , cono fendo piu
perfetta- mente la bellezza , e intromeffo a maggior grado della
participatione della diuimtà , doue conftfle la perfettione . Onde la
firn- ma cognìtione fi fa participe di fimma perfettione ,
conofcendo ptrfettifiimamen- te la bellezza , Ma chi è al tutto
priuato della cognìtione yfendoli nafìofio lo fplendo re della
bellezza y è priuato ancora della ue ra participatione della diuinitdye
pero me- ritamente fi reputa imperfettifimo fra le cofi create .
Chi negherà le cofe inanimate effire piu imperfette che quelle ylequali
han no anima t 1 { A L V A MOltJZ .
139 no anima t ft) fa quelle , che hanno ani- ma molto piu imperfette
e (fere le piante , e gli altri animali che Ihuomo? Le cofe ina-
nimate no battendo cogmtione alcuna nten te guftano della bellezza , ft)
pero hanno poca per fattone , perche per ft non pojjo - no
aggiungere alla diurna bontà. Le pian- te ( come dicono e c ~Ptttagorici
) hanno co - gnitione, ma Hupida , ft) quaft di huomo y ilquale
fubito fùeghato finte e non difier- ne . Gli animali irrationah fentono ,
e di- feernono , e nondimeno perche lo fplendo - re della uera
bellezza troppo fupera la loro f acuità del conofiere 9 e fi ancora hanno
de bile perfettione . Solo l'huomo fa quelli che habitano in terra
e capace della bellezz za , efiendo in lui ampli fimo grado di co-
gnittone 9 onde efio arnua a non piccolo gr a do di perfettione . Ma
nella natura ange- lica ft contiene el fommo grado di perfet -
OteVV ài 0 'i 40 PAVfEGlTUCO itone
, offendo da Dio principio , (fogni lume , in e (fa fitto infufo uno
lume> Ugua- le congiunge la cognittone uerifiima con la uerifiima
bellezza , e dalìacjuale la cogni - itone è dertuata nell* alt re
creature , come dal Sole fontana d'ogni lume uifibilefe de- riuato
ogni altro lume nelle cofi corporali . Chi dubita la bellezza fola
rapprefentare la diurna bontà t confideri il Sole effere bel-
hftmOydi tutte le cofe che fi tncontrono alti occhi nofìri, uer amente
occhio eterno del mondo , come dice Orfeo , ih/uale gli anti- chi
Theo logi chiamorono figliuolo utfibile di Dio 9 anzi diciamo effo effere
nel mondo come in facratifiimo Tempio merauiglto - fifiima ftatua
di Dio . Onde apprefio gli Sggitij ne i Tempij di Minerua fi legge
ua fermo in lettere d'oro .Io sonocio CHE £ , C I O CHE È STATO,
C/0 che faràyil uelo mio non difìoptrfi alcuno , il
fole ALL'AMORE. 74 1 il file futi frutto ch’io partorì di
che ap- pare il Sole bell forno , fi a le co fi uifibili uer amente
rapprefintare la diurna bontà, come imagme di effa nel mondo..
Sfondo adunque la bellezza qual di /opra e dime • firato ,non è
merauiglia effa prouocare im- mo rapire a fi le nature conofienti ,
mafii- mamente quelle che hanno amplfomogra do di cognizione , c
Anzi piu tofto diremo ejjè hauere in fi mio ardentifiimo defide-
rio , per beneficio delquale non già rapite , ma fpontaneamente cercono e
configmfio- no la bellezza, cagione della loro per fetto- ne.
Quello defiderio non pofjede al tutto la bellezza allaquale fi muoue , ne
al tutto ne è priuato , perche fi fufii al tutto pnua - to della
bellezza, non harebbe di effa alcu- na cognttione , onde ne la potrebbe
defide- rare . 2 Spi figliamo defiderar do che noi defideriamo come
cofa buona f utile per i 4 z P AT^EGl^lCO noi , altrimenti
mai defidereremmo mila . Chi è colui che defiden il (ito male ( fi
già al tutto non è infinfitto ) , fi adunque x noi fiamo priuatt della
notiti a di co fa al- cuna , non ci ejfindo noto , fi tal cofite t
come la pofiiamo defiderare come cofa buo na ft) utile P er not • mn 6
dunque da du- re che'l de fiderio della bellezza , al tutto dt e
JJa fia priuato . 7S[e ancora è da dire ta- le defiderio pojfidere la
plenitudine della , bellezza , perche chi poffide non fi muo- ue
alla cofa quale lui pojfide , ma piu to- fiola fruifce. Chi non conofce
che la po- tenzia delmuouerfi e data alle cofe create per arriuare
e configuire quel termino y che tjfi non p affiggono 1 ilquale come
hanno pojfiduto fiibito ce ([ano dal mouerfu Onde elmoto e
connumerato da Filofifitra le co fi imperfette . Ma colui che de fiderà
fi muoue in un certo modo a quello che efio defidera ,
i ALL* AAf07{£. i#j\ de fiderà , e pero non lo
pofiiede y percbe fi. 10 poffidefii , farebbe uano ildefiderarlo
9i godendolo finza interna filone 9 per laqual cofa il defìderio
della bellezza > è poflo in mezo della pnmtione , e della pofiefiiont
di e[fa\ participando tutti dua lieflremi . Quefto defiderto fi noi
chiameremo amo-, re > non faremo da h h uomini ne etiam da
11 dij meritamente riprefi , perche in ogni, natura creata , o uuoi
angelica , o uuoi ra- tinale l'amore non e altro che uno arden- .
• » • 4 * tifiimo defiderio di poffedere e di fruire la
bellezza > quanto a fi e pofiibde. Perla - qual cofa, li antichi
Theologi non collocaro- no lo amore nel numero delle cofè diurne
come quelle che in fi hanno la plenitudine della bellezza , ne ancora nel
numero delle co fi mortali , come quelle che in ueritàne fono
[fogliate , ma nel numero di quelle che, delle mortali e delle diurne
fono parti- 1 i44 ALL'AMORE. dpi ,
parimente , come e la natura demo- nica . Onde efit chiamorono lo amore
non Iddio , non mortale , ma grande demone , perche la natura
demonica, pofta m mezg fra gli huomini e li TDij quafì interprete ,
conduce a li Dij li prieghi e fàcrificij degli huomtni,alh huominila
uolontà e coman- damenti de Ili Dij . Qie per altro mezo li huomini,o
melanti o dormienti fino m- fpirati dalla diurna bontà , che per la
na- tura demonica . ‘"Parimente lo amore po- fto in mezo della
cognttione , e plenitudine della bellezza , non filo prepara , e
difio- ne ottimamente alloinflufio della bellezc , le cofi che ne
fino priuate , atte a par- ticiparla , ma ancora traduce della
bellezr za un lume, per ilquale effe fatte belle , configuirono la
loro felicità , Quefìofigni- ficorono li antichi Theologi quando difièno
lo amore efiere figliuolo di c Toro , e di Pe- nìa gene-
ÀLVAMOXB. t+t nia generato ne natali di Venere , e pero e fi fere
fittatore e cultore di ejfi . lmperochc Venere figmfica la bellezza ,
Poro [tonifi- ca, meato e uia , Penta lignifica indigene ta , e
pouertà , E adunque generato lo amore della indtgentia,come madre laquale
è nel la natura ,che ancora non ha participa- tione di belle zia,
ma ha bene una certa po- tentia e prontitudtne adhauerla, £del
meato e uia alla bellezza, come padre, cioè c imo influjfi ouuoirazp,
ilquale proce- de dalla bellezza , e conduce ad e (fi la na- tura
indigente . Onde l'amore uiene a par - ticipare della tndtgentia,inquanto
fi muo- ue alla bellezza , e dello influjfi o uuoi ra - zp ,
inquanto al tutto non e priuato della cognittone di efia . Meritamente
adunque lo amore è detto fittatore , e cultore di V ?- nere;
imperoche lo amore fimpre figutta la bellezza,* lei bellezza fimpre
eccita la amo • j ó P. A TfE G l'FJCO', ye . Sarebbe lungo
a dichiarare quello che intendono li antichi Theologi quando du
cono effer due V mere t una figliuola del eie - lo finzetmadre^ e però
effer detta cclefte,. laquale nacque de genitali del cielo cafra %
lo da Saturno fuo figliuolo /àbito che fu nato. E da la fpuma del mare ,
oue efit genitali caddero. L'altra figliuola di Cjio* ue e di Dione
, detta uulgaree comune. Et. pero al pre/ente ba fiera dire fidamente
co*, me fino due Venerefiioè due bellezze* Mia celefìe , l'altra
uolgare , cofi effer dui amo -, riyUno cele fi e fi altro uolgare. Lo
amor ce le fi e feguitare la bellezza celefte e diurna , e'iuolgar
, la uolgare e comune . <£\da for- fè non farà fuori di propofito ,
incomin- ciando fi da uno altro principio dichiarare m che modo
fono diuerfe bellezza > e diuer- fi amori , effendo fempre feguitata
come è detto ciafcuna bellezza, del Juo ; amore . f ^l'ordine
rALL'AMO'RE.'H* \ : '7S(e l' ordine delle cofi il primo e
capotti tutte e effi Dio infinita bontà, infinita firn piletta y
principio y mez.o , e fine d'ogni co- fa y bene de bem y lume de lumi .
TDopo Dio ~ è lu natura angelica , laquale fi come è la prima
creatura che procede daTDiò , iCofi tiene il primo grado diperfettione
tra le cofi create . TDòpo l 'Angelo e la natura rationale ,
laquale ancora è detta anima, tanto meno perfetta dello angelo ,
quanto è piu lontana dal prtmo/lSfondimanco ha in fi tanto grado di
perfezione , che ejja pon filo intende la natura angelica , ma
ancora a fende al profondo abifio de la di uina luce . Quefla produce e
regge tutte le cofi corporali , e con la fua prefentia dona loro la
ulta , ft) il moto . lmperocbe qua T lunque uiue,in tanto urne, quanto
dal' ani ma riceue il pretiofi dono della ulta , dalla quale effa e
origine e fontana . Il quarto " * " K ¥ : m
w %• J i*8 P ATSJ E GVBJ CO luogo tiene la natura
corporale , lacuale al tutto digenera dalle cofi diurne , perche in
ejfa nulla è di uero , nulla di certo , ma ogni co/a imagmaria e uana fimile
a l'om- bra de cor picche apari/ce nel continuo fluf fi dell
acquaylaquale continuamente fi ge- nera e fi corromperne mai (la ferma
in uno ejfire . L'ultima ne l'uniuerfi, è la ma teria y nella
natura della quale non e ordi- ne o perfettione alcuna , molto piu uicina
al non ejfire y che a l'efier e. Adunque fi può dire ejfire ne l'uniuerfi
cinque gradi di co* fiyCioe T)to y l' Angeloyl' animaci corpo , la
materia ydequah dua ettremi fino in mo- do contrarijyche l’uno, cioè Dio
è auttore, e cagione di tutti t beni.L'altro y ctoè la ma teria è
cagione e auttore di tutti e mali . Id- dio tanto eccede le cofi create ,
che e fio non può ejfire pienaméte intefi da alcuna crea tura . La
materia ha in fi tanto difetto , che ALL* AMORFE i\
i+p che per fua natura, fi come fogge lo e (fere, cofi ancora
fogge la cognitione. Et per que- fio ne la materia no è bellezza alcuna,
an* zi piu toflo u'e fimma deformità , perche la bellez&a(come
e detto)accompagna firn pre la bontà, ne fi può trouar bellezza do*
'* ue non fiabontà',e noi hauiamo dichiara- to nella materia non
ejfire alcuno grado di bene,efiendo la materia ejfo male, e prin
cipio d' ogni male . 5SS? ancora in Dio e bel- lezza alcuna, imperoche
Dio e fimma firn plicità ,ela fimma (implicita non e capa- ce di
bellezza , ma caufit di ejfa, e fendo la bellezza nelle cofi create .
Onde in Dio e tan ta perfettione ,che quando noi diciamo, Dio è
fapiente , Dio è uiuo , D io è gtufto e bello , noi habbiamo a intendere
in ‘Dio non ejfire, o uita , o fapientia, ogiuflitia, o bellezza,
nel modo che uedtamo nelle co- fi create, ma Dio ejfire cauja nelle
crea- . . > K tij nò PAtyEGIKIdO- ture ,
della fipientta , della uita,dtllagiu- ftu ia, della bellezza, e però
Dionifìo Ario- pagitafikndore della Theo logia Ghriftta - «rty dice
nel libro de nomi diuim , tutti e Homi che fino attribuiti a T)io ,
fgmfìca^ re dóni da lui nella natura angelica concefi • fi. #(efla
adunque la bellezza e fière nello àngelo,nella anima j nella natura cor
porti k. JMa come efiafia in quefle tre nature ■- per le
fiquente fimilttudme fi potrà factU mente ( come io 'Spero ) comprendere
. Fingi liner ua dtfiendere di Cielo in, terra tra mortali,
fingi una statua di ?ne*> rauigliofi artifitio fatta a fimilit udtne
co-> me quella di Ftdta, laquale facci la imagw ite fid iti uno
Specchio', chi uedefit quella imagine nello Jpeccbio,non uedendo la fi
a-' tua -, di cui è effavnagme , fi merauiglia rebbe affai della
fia bellezza- Molto piu fi 1 merauigliarebbtfi ue defila Statua,
ondc\. quella ' A LVAMOXBr ni quella
imagme d erma sterno fcmdo in efia la merauighofa mduftrta dello
artefice\ <£Ma fi uedefit gli occhi , jf) il uo!to,e l y al tro
basito del corpo di Minerua uiua.qua fi attonito tonfeffarebbe la fìat ua
e la ima gine nello fpecchio non e fiere degna di fti\ ma alcuna ,
la cui bellezza , haueua poco manzi tanto commendato . ^Nondiman -
co direbbe e (fere tanto meglio la fatua , che la imagine nello fpecchio
y quanto e meno lontano da Alinerua uera » 'Sfa milmentela prima ,
e uera bellezza è nel- lo angelo , laquale è mi fura ffi) origine
db tutte l' altre bellezze 'L'anima ancora pofi fiede la bellezza ,
non già per (ita natura, ma per dono dello ^Angelo , come la cera*
ha lempronte dal figlilo , ffi) pero fi può- dir piu tofìo e (fere uera
fimilit udtne di bel- lezza , che uera bellezza , efiendo ne l'an
fa ma, non per fua natura , ma per beneficio « K ut)
isi PA^EGITUCO d'altri II terze grado di bellezza * ttel
cor* po , neramente non fimtktudine , ma om- bra dt bellezza ,
molto piu lontana dalla bellezza dell 9 anima, che non e l'anima
dal laidi ft abile , nulla di certo ,ma ogni cofi e ' fluffa
e mutabile, e pero la bellezza cor por a le, figurando la natura del
corpo , è Jempre di necefità me/colata con la deformità, fio
contrario, continuamente variando fi . Fra tutti e corpi , il mondo
partteipa amplifimo grado di bellezz&,percbe tl tut- to è
fimpre piu per fetto che le parti. Im- peroebe il tutto contiene e non è
contenuto , . Le parti fino contenute fjft non contengo- no , f0
nejfuno può dubitare ogni altro cor- po ejfire parte dello untuerfi/Dopo
rimon- do fino e corpi cele ft i , da quali fi può ha - uer mam fe
fio te f limonio della bellezza de lecofi Ti * •
lo z, Angelo . Imperoche nella natura del cor po ( come rettamente
dece Her adito ) nuL f ALL' AMORE, iss le cofi dittine ,
Olirà quefio grande nume - ro de corpi , e quali alprefente faranno
da noi pretermefii . Solo diremo dello , buomo ilquale contiene
tanta perfezione e tanta bellezza > che h antichi Fdofofi non
hanno dubitato chiamarlo mondo piccolo , come quello che in fi
piccolo loco come e il corpo humano , ha congregate tutte le utrtu
del i mondo . èjfindo adunque la bellezza nello angelo , nell'anima
, nella natura corpo* tale , noi chiameremo la bellezza dell'an-
gelo e dell’anima, Venere celefie e diurna . Perche non può ejfire ueduta
da altro oc - chio che dello intelletto , cofa neramente diurna .
La bellezza del corpo chiamere- mo Venere uolgare . Efiendo
conofituta per mezo de lo occhio corporale, per laqual cofa ,fe
ogni bellezza è accompagnata dal fuo amore , e lo amore non e altro che
uno ardente defiderto di bellezza fjnrituakdi - )
t m .'&rA2$E-G Wmo remo efifireamore cele
fi e e diurno , g ; )ìl dejìdeno della bellezza corporale efiere
amore uolgare e comune» Chi adunque non conofce quanto fi ingannano
quegli il cui amore fi dirizzi alla bellezza corporale? fi già non
lufino per inftrumento per /altre alla diurna bellezza, mi al prefinte
dimet - teremo le incommodità di che fono parteci- pi gli huomini ,
per figuire l'amore uolga- re, come co fa molto aliena dal propofito no
u firo. Solamente dimoftr eremo il maggior dono che fia dato a gli
huomini da Uio , cffere quello amore che li conduce a contem piare
la diurna bellezze , ft) pero tal ama- tore e/fire eccellentifiimo, e qua
fi un mira- colo infi a gli altrt huomini . U anima no : ilra
benché fia piena di diumità , anzi ne- ramente figliuola di T>io ,
nondimanco m > tanto è occupata dal corpo, alla cura e reg-
gimento del quale naturalmente ì propo - . • fia , che
r AL V~AMÒ\E. V/V fia y che rifiu • delle uoltediuenta piu
fi* imitai tenebroso carcere dout e ■ indù fa , che allo amore
d'onde procede. Et pero ' U antichi Theologi chiamorono il corpo
fi* fulcro de làmina y che quafi l'anima fia piu fimile alle cofi
morte che alle itine, meli tre che fta mi corpo ,per laquàl cofi
dimen ttcata della natura fua^è della bellezza di - urna e delufi
da grande , e uano numero di falfi fogni y' per tutto quello Jpatló
di tempo che'l cieco ft) ignorante uolgo chia > ma uita. E'
Incordar fi della diurna bel* léz^a poiché fi amo congiunti al corpo mor-
tale , non è facile a ogniuno y ma fino po* chifitmi in chifia rima fio
qualche fintilla di diurno Jplendore y per laquale po fimo ef fere
eccitati à fi felice ricorranone . Que~ fli quando s'incontrono in
qualche tmagU ne della diurna bellezza > laquale piu ma - nife
fi amente che in altro loco 3 appare neh r «. \
is6 PAT^EGIXICO corpo inumano , e maxime nel uo Ito, quan-
do e partecipe di prettanttjsima forma in prima fono occupati da in
[olita me - r aut glia, me folata injìeme con horror e, di poi
alquanto afiicurati , la giudicono cofa neramente diurna e degna , a cui
fi conuen - ga fare li facnfìcij e uoti , non altrimenti che fi
foglia fare alle ftatue de li Dei im- mortali . Ma quando piu
attentamen- te riguardando in ejfa , riceuono per li occhi lo
influfio della bellezza , [abito per tutto alterati, fidano parimente ft)
ardo- no. lmperoche in loro fi accende uno affet- to , ilquale
mirabilmente gli eccita, e lifol- leua . Dipoi aggrauati dal pefo della
in- fettione corporale in baffi ro umano , non altrimenti che fuole
auenire a quegli ucce- \ $ » ec j ua k P er troppo defiderio di uolare
, \ hanno ardire di commettere inanzi al tem [o alle giouani
ale il pefo del corpo loro , ma non ALL'AMORE. in
ma non effendo le penne ancora ha fi unti a notare fono con ftr
etti precipitare in ter- ra y perlaqualcofain un mede fimo tem- po
agitati da dua contrarijfintonograuifi fima moleftia , lacuale fubito fi
corner te inletitiache fiecchiatt di mono nel bellifii mo mito ,
riceuono drento a l'anima , il tanto defiderato fplendore . ^Ma
quando fiparati dal diurno Jpettaculo , mancono della loro confueta
e fi a , afflitti e dolenti fi riuolgono continuamente nella memo-
ria , la imagine dello Jplendidifitmo uolto , onde sforzati dallo
ardentifiimo de fiderio, fimili alti infuriati non potendo ne la
not- te dormire , ne' l giorno in alcun luoco quie- tar fi y per
tutto difiorrono cercando di uede re quello fpettaculofinza la cut ufi a
con- fumati dal dolore perirebbono, ilquale poi che hanno ueduto e
rtprefi il defiderato nu tnmentojibtrati dalli acuti [ìimuli egra-
( < rff$ j?A^sai%ico \ue ànguHte y fi
fentono m tanto filettare ~fipra le forzé loro confate , che
dimenti- . candofì de padri , de fratelli, de patrij honori -dequali
fi filettano. gloriare Amen- tic andò fi ancora di fi mede fimi ,
fem- ore penfam in che modo pofimo fruire il \dmmfattaculo , come
quegli che reputar (fio ogni lor ualore , m quefia uita ffi} in
•quell 'altra hauere origine , ff) incremento da lui , come ottimo medico
delie humane infirmiti . In prima dalla- bellezza d'un corpo non
filo particulare , ma ancora ca- duco, falgono alla bellezza de corpi
celefii, e di tutto lumuerfo , Oue oltre alla luce di che efii fino
urna fontana utile cofi finfir bili y contemplano una.fuauifitma
harmo- via caufaa da lordine e proporzione de tnouimenti loro , per
la qualcofiiyapcrta ( Mete conofiono il cielo, ejfire la hr a di Dio
, come dicono . gli ant ichi ^Pit t hagorici , al fano
T: I ì .XLVA'MOXE- tw
fuono ddlctcj naie tutte le cofe contenute da lui mtr abilmente
bullono , Uopo la bellez- za de lo umuerfo truouono la bellezza
rid- i' anima . Imperoche ejjendo il corpo una. fimilit udine de
l'anima, ne ffuna partecipa itone della diurna bontà può ejjcre in efjo
+ lacuale non fia molto prima ft) in molto* miglior modo
nell'anima, ejjendo origine e principio della natura corporale, anzi
non per altro la partictpattone della diurna bel lezza e nel corpo
, che per ilgrande domi hio ft) imperio quale ha l'anima in affo .
Onde e Filofofi affermono quafì come coft imponibile non ejjere
eccellentijsime dote m quegli, iquali fino dotati di piu egregia
for- ma che gli altri , come qua fi l'anima di co- loro fia piu
predante e piu diurna , la cui forma del corpo uera fimiltt udine de
l'ani ina è piu bella , cofi di grado in grado prò • cadendo ,
fubitofi difcuopre loro il prò fon» 160 ALL'AMORE. do
pelago della diurna bellezza nello fflen- dor dellaquale nella prima
giunta abagha ti , pojjhno fico medefimi in quefta manie- ra
ragionare . Infino a qui balliamo piu tofto una ombra ouero fimihtudine
di bel- lezza che nera bellezza - *?Maal pr e finte o dolcifiimo
amore , ilquale rtfialdi le co- fi fredde jilluftr ile ofiure , dai uita
alle morte groppo hai filleuate l'ale delle menti nofire , lequalt
infiammafli alla chiar fil- ma luce della diurna bellezza , e le
penne già rottegli fuptrchio amore delle cofi mortali , non per fua
natura , ma per tuo beneficio nnnouate,hai e fp beatole noi Mo-
lando (òpra il cielo, guidati dal diurno furo re fiamo ripieni di quelle
merautghe,lequa li mai ne occhio uide,ne orecchio udirne di -
fiefeno in cognitione di cuore alcuno. Onde neramente pofiiamo efilamare
, quefto e il di che ha fatto il Signore , rallegriamoci
ffje/ul- ALL* AMORE. i*r ft) ejukiamo in effo. Quefta
ì la uia retta ; per laquale debba procedere il legittimo amatore ,
ilquale quando comincia a con* templare la diurna bellezza , fi può dire
e fi firc uicino alfine , oue ciaf una co fa creata quietandoci
acqui fi a la uera felicità, * pe- rò qualunque riguarda la uera
bellezza con t occhio della mente , col quale filo può ejftre
ueduta,non producendo imagtne e fi milit udine di uirtù , ma uere uirtù ,
fatto a Dio amicOydimoftra chiaramente ihuo mo efifere per
beneficio dello amore ree etto- culo della diuinnà , per laqual co fa
qua- lunque non ùede il uero amatore douere e fi firetnfia
glihuomint in grandifitmo pre- gio , e mafitme appreffo della cofà amata
% non intende quanto le cofe diurne fino piu eccellenti \e degne di
piu ueneraimt che l y al tre , ne alcuno impetra maggior gratti , e
riporta maggior doni da U T)ei , che la co* U2 P/A^EGJ^taV
. fa amata, quando ardentif imamente ria* mando èparata afitt
omettere ogni per icn lo in gratta del fuo amatore . Imperoche, con
lo amatore habitano gli T>ij, pero non meno accettono l'offcruanttae
lattenera- ttone della cofa amata in uerfo l'amatore, che e uotie
fàcrifìcij fatti a fi. Onde in quefta uita,{t) in quell' olir a, la
ricompen - fano di grandmimi premij . Ma quando, la cofa amata ha
in odio il fuo amatore f ; cimenta ricetto di tanta mifiria e di
tanta infelicità ; che molto meglio li farebbe effe-, re, o bruto
animale, o tnfenfto faffi* anzi piu tofto al tutto non efjere
nata.nefi fina cofa arreca maggiori incommodi a gli h uomini che
l'odio delle cofe diurne, dal- le quali pende ogni bene , ogni mifura
nello untuerfo , perche efendo fondato in fu la difimUitudme di
effe , è nectffario che fa accompagnato da tutti e mali : chi adun
* queha XLVAMOKZ. m que ha in odio lo amatore^
ejjendo. alieno t rebelle dalla diurna bontà ft) amico delle cofi
contrarie , m prima fi fa firuo di quelle per tur bacioni y lequalt
arreca Jtco l'imperio de jen fi , quando la ragione e adormcntata ,
come fi a gufa delle pian- te tenga il capo in terra , bauendo uolto
e ' piedi uerfio il cielo . Z }opo ne uiene un'alt r o male y
perche non conofiendo alcuna cofa rettamente , pieno di falfi opinioni
diuen -, ta folto e bugiardo , non altrimenti che auenga a quelli
squali da continui fogni beffati in mezp al fonno finfiono la lor
ui- ta.'Da quefie furie y mentre che e uiuo dor- mendo , o ueghiando
y fi gite da dire effo mai ueghiare y rimordendolo la confeientia
imperturbato . Ma dopo la morte JubitQ da minifiri'della diurna giuftifia
menato manzi al grande giudice ode l borendo gtUr ditto, fi ejfire
dato in potè fi à dicrudehfitmi - * ^ ~ \ 1
i*4 PANEGIRICO demoni , dequali una parte lo affligge còl
rappreftntarli nella fantafìa ogni horribtle fpecie dt paura . Vh' altra
parte con intoL ler abili pene corporali lo tormenta . Ma J opra
tutti e mali , dua fino grandmimi . V uno e una certa mole fi ia interiore
laqua le procede dalla difeordia dell'anima in fi medefima , (ìmile
a quel dolore che ènei corpo y quando per ladifiordta di tutti gli
humort pefiim amente è dftofto. L'altro di gran lungha piu graue y effiaè
diuinità penetrante in ogni luoco , la prefintia della quale per
cagione della interiore diffenfìo- neaneffunmodo può j apportare .
Impe- r oche yCome gli occhi cifpi perla prefintia del lume fintono
gran dolore i fimi fi co fortano y cofi L'anima gtufta finte
gaudio e dolcezjtt,La ingiufia finte una moleftia che ninte ogni
moleftia , perla prefintia della diuinità . Da quefti mah ancora
ALL'AMO'KE. ics molto maggiori per uolontà diurna e afflit-
to chi ha in odio il (ito amatore , ilquale di- uenta partecipe di
altrettanti beni , fedi* meffa ogni altra cura, filo penfi notte e
giorno efircitarfi in ogni ffecie di uirtu,ac- cioche fatto fimile a lui,
fia degno ricetto di tanto lume. Quefte e fimih fino le laudi o
dtuinifitmo amore,che noi inuolti nelle te nebre del cieco mondo di
tepenfare e ragio • nave pofiiamo . Alla cuigràdezga chi non rende
il debito honore,no conofie tutte le co fi cofi diurne e celefii,come
terrene, per tuo benefìcio non filo effere create \ ma ancora unir
fi al fio creatore in lui finalmente quie- tarfi , piene
v:. ciafi li- na fecondo la fia natura della gratia divina
« VITA DI M. F R ANO E S CO C ATT ANI DA
DIACCETO. > iS - JLL MOLTO MUG%ìtìCO E
S^O OS SERVANO ISSIMO BENEDETTO
uandifsimoM. Bac~ do mio ,che a colo- ro , i quali di
quella prelente uita partati fono, fi porta fa- re beneficio
maggiore , che tenere ùiua ? e frefca la loro memoria ; Per-
ii<*8 ciò che il cóli fare è fecóndo il pare-
re d alcuni poco meno., che rifufci- targli , e fecondo alcuni altri di
piu perfetto giudicio , molto piu, dan- doli loro non una uita fola
, e quella caduca , c mancheuole, ma molte, e fempiterne,come altra
uolta piu lun gamente dichiareremo . Onde fra tutti gli Scrittori
antichi meritò per . giudicio noftro grandilsima lode Plutarco . E
quanti crediamo noi , che fuflero in tutti i fecoli, e per tut- ti
i paeli huomini eccellenti fsi mi co- li ne’ gouerni politici , come ne
ma- neggi dell’arme , e ne gli ftudii del- le lettere , de’ quali
permancamen- ■ to di Scrittori non li fi pure ,che eglino non che
altro, nafeeflerogia- mai ?. La onde io ho A fempre
giu- dicato gratiofo , e lodeuole uncio P cr i6
9 ì ..per coloro adoperarli , che le uite fd icriuono di
quegli huomini , iquali pio o collazioni , o colle fcritture , o a
to. le lor Patrie , o all’altre Genti furo- Hi no , o d’honore , o d
utilità cagione, ■ e accio , che gli Altri huomini in efsi m
rifguardando, e i loro o fatti , o detti à imitando, pollano o la
felicità huma r na con Marta, o la beatitudine diui- • na con
Maria , o l’una e l’altra infie- memente confeguire. A quello fine
piu, che peraltro rifpettomi poli ( con animo di douere fe
conceduto mi fuffe comporne dell’altre ) a feri- uere il meglio , e
con piu chiarezza c breuità , che io fapefsi , e potefsi , i • la
uita di Mifer Francefco Cattani da Diacceto , parendomi , che egli
fof- fe quali come uno fpecchio non lb- lamente della uitaciuile,
ma etian- *70 - . * dio , amzi molto piu della fpecofa^-
tiua , del quale io , fé bene il uidi nc miei gioueriili anni piuuolte,
non Riebbi però, non che familiarità,© do meftichezza, conofcenza
nefluna , ima tutto quello, che io ho di lui fcrit to,l’ho fcritto
parte per relatione di iiuomini graui, e degni di fede,iqua 4i
domefticamente ^ e lungo tempo con lui praticarono, non eiTendo,da
che egli di quefto Mondo parti , piu che trentafette annipaffati;e
parte •mediante gli fcritti fuói , de quali -me flato hberalifsimo
M. Francefco fuo nipote, giouane(còmefapete) ,detà, ma di grauità,e
di prudenza^ maturo, e di quella bontà, e dottri- na , che piu
opere da lui Chriftiana- mente, come da huotno facro, eca- nonico
compofte , e di già mandate in luce I 7*
iti luce & aIfEccell.de! IlIuftrils.Sig* Duca Padron noftro
indritte, dimo Arare podono^Laqual uita (qualun- che li lia ) ho
uoluto donare a Voi,£ che nel nome uoftro apparifca, non tanto per
lo eder Voi della nobilif- Ama famiglia de Valori, iquali funu no
amati grandifsimamente, e ho- norati daM. MarfilioFicini., econ*-
leguentemente dal Diacceto ; quan- to perche Voi fete degno della No-
' biltà, e ne ritornate in luce il Valore de uoftri Maggiori ,
daquali anco- ra edere uerifsimo conofcereli può quello, che da me fu
detto di fopra, pofcia, che Niccolo Auolo Voftro huomo di tanta
prudenza , e di coli grande ftimafcride non menoco- piofamente ,
che con ueritàla uita del Magn. Lorenzo Vecchio de Me- w
2 dici, e anco per non negare il uero , tenendomi io buono
della fcambie- uolebeniuolenza,euerilsima ami- ftà noftra , m’è
paruto di douerne dare , come un teftimonio , affine , che li
fappia,che li come Voi per uo lira cortelia amate, e honorate me ,
coli io altreli per giufto debito amo, & ofleruo Voi .
t K> lf. IO,
./ 72 DI M. FRANCESCO DA
DIACCETO,FIJLOSOFO,ET CENTIL'HVOMO FIOR.ENTI.NOj - '
COMTOST^f D^£ M. BENEDETTO VARCHI, B MANDATA A
‘BACCIO VALORI. fn. VITA DEL primo , che (
disfatte per le parti guelfe, e ghibelline ) Diacceto , hebbe in
Firenze i primi , e fòprani honor ideila Città , fi chiamo Becco di
Torre di (juidalotto , tl quale fidette de' Tenori delt zArti , che
cofi s'appdlauano in quel tempo i Signori , tre uolte . La primardi mille
dugento no - nauta quattro , diece anni, dopo che cota- le Jopremo
<JMagi(ìrato per abbattere la troppa potenza , e tener e. in fieno la
infip- portabile fuperbia de' grandi fu ordina- to ; la feconda ,
nel mille dugento nou anta otto ; la terza nel mille trecento cinque .
Di 'Becco nacquero Porcello , e ^Mugnaio , o neramente ^tignato ,
che cofi fatti nomi fi poneuano anticamente nella Città di Firenze
; tqualtamenduni furono non fi- lo de ' Priori piu uolte , ma etiandio gon-
falonieri di giufiitta , ilquale era il piu al- to grado, e piu {limato
di quella Bfpublt- ca y e f
I- ) CATTAT^IU. ita ca , e T* or
cello oltraglt altri uffici], e ma - \ giftrati , riccuette nel mille
trecento tren » ta noue per lo comune di Firenze la terra , defila,
e ne fu primo comme [fario c/wwé fi legge ancora nell' zArme , che
egli fecondo ilcoftume dicotalt Fattori ui la - yc/à . JD/
indignalo nacque il primo ‘Ta* golo. T)el primo bagolo il primo
Zanó- i?u T)el primo Zanobi il fecondo ‘Tagolo. f>i coftui,
ilquale fu per la grandezza delle qualità fue fatto con molti
priuilegij Conte da oAlfonfb 7{e di ‘Napoli, firife la uita
latinamente Ai. ‘Bartolomeo Font io, huomo di ottimi coflumi , e nella
fita età letterato , ffi eloquente molto . Di Pagolo nacque il
fecondo Zanobi , ilquale fu pa- dre di Francefeo.La cui Vita
intendiamo al prefente di douere feriuere Noi, fi per al tre
cagioni honeflifiime, e fi perche fi cono- fea ancora a beneficio comune
, che la uu n 6 VITA DEL la contemplatiti a può in uno
huomo filo (il che non credono ) coll' attuta unitamen- te
congiugner fi, e lodeuolmente efercitarfi % e di uero come egli non fi
può negare s che la contemplattua non fia la piu gioconda , e la
piu degna di tutte l altre mte,cofi con - fejjare fi dee y cbe lattina e
alle città e alle Comunanza de * popoli, come piu necefjaria co fi
etiandto piu utile . Dico dunque che di JZanobijdi TP ugola Cattani da :
Diacceto , e di mona Lionarda di Fracefio di Iacopo Venturi ,
nacque in Firenze tra la piazzi del grano, e* l canto agli cAlberti non
lun - ge dalla chic fa di San ‘Romeo, tanno della (hrifhàna falute
mille quattrocento fi fi finta fii,il fedicefimo giorno di^ouem- '
bre un figliuolo mafchio , alqualt , o per rifare il fratello di Pagolo
fio zArcauolo paterno, ilquale s\ra morto ] enzA figliuo- li > o
per.rinouare il nome del fuo Aiuolo materno % C ATT A
^10,. m materno , o piu prefto per l'una cagione, e per l'altra
uoìlero,che fi ponejfi nome Fra- cefio.E perche egliinfino da (uoi
piate* neri anni daua prefagio di (ingoiare tnge* gno , e di
(pirito molto eleuato, uolle il pa- dre ancora , che per fina Idiota
fojje , che egli fi dejfi non alla mercatura , cornei pm fanno de'
giouani Fiorentini , ma alle lettere , dellccjuali tanto fidilettaua , e
co- tale profitto dentro ui faceua(che non uob le,tjfindo rimafi
ancora fanciullo finzjt padre , e non molto agiato delle co fi
c'ha- uendo il padre gran parte difiipato delle fue facultd) per
coja , che gli fi diceffi con- sentire mai d' abbandonarle. oyinzfi
hauen do egli,per ubbidire alla madre , deliaejua- le fu fimpre
offiruantifiimo , e Soddisfare a parenti , non armando ancora
aldicid nouefimo anno.prefi per donna laLucre - Ha di Cappone di
"Bartolomeo Capponi , la M .n* VITA
DEL meno con efio fico a^Pifà, e quiui tanto la tenne , che
forniti i fuoi fludtj , e battu- to di lei figliuoli , fi ne torno a
Firenze, do - ue in quel tempo fionua la fihcifiima Aca* demta di
Lorenzo uecchio de Atedici,nel- la quale tnfieme con molti altri
huommi (Fogni lingua , e in tutte le faculta dottifi fimi, fi
ntruouaua ^Marfilio Ficim, Canonico Fiorentino , tlquale oltra la
fin- ceritd de co fiumi , fu d'eccellenza d'inge- gno , e di
profondità di dottrine co fi gran- de , che io per me non credo , che
Firenze habbia mai , e parmi dir poco, hauuto al- cuno , defilale
fi gh pofj'a non che preporre , agguagliare . Coflui effendo ( come ho
det - to ) Qmonico di J anta ^Maria del Fiore , haueua con
incredibile s ìndio, e immorta- le beneficio la Filofifia Platonica per
mol te centinaia d'anni piu lofio perduta , che finarrita , come
piu conforme alla religton ;; _ • ; • Chrifiiana , C ATT
A TV IO. Chrtfhana , che l'zArifiotelica non
fola- mente ritrovata , e rimeffa per la buona ma , cofd uer amente
piu tofìo diurna , che humana , ma datole ancora credito , e ri-
putatone non pkciola. La onde Ad. Fran cefo, tratto dada fama di
quell'huomo fn golarifimo(Jè pur huomo chiamare fi deb be co fi
alto , e nobile Spirito) e guidato dal- la ‘Telatura , lacuale perche
egli cjuedo fa- cejfi, che egli fece, prodotto l'haueuajac- coflo
incontanente al Ficino , tlaualt ( co- me gratifiimo del dono da Dio
conceduto- gli , e delle Jue proprie fatiche ) come nero
Filofofoyliberahfiimoyinfignaua , epubhca mente , e privatamente a tutti
coloro , che d'apparare difiderauano ; e l'udì con tan- ta
ingordigia , che egli in non molto tempo non pure Platonico , ma eccedentifiimo
T latonico divenne . Onde egli 3 fi bene m uarij tempi, e luogi 3 diuerfi
Dottori udito iso VITA DEL hàuea , confiejfia
nondimeno tutto quello ,' che fàpeua , hauerlo da
<&iarfilto. filo imparato , fi in molti altri luoghi , e fi
particolarmente nel proemio del libro, che egli fece , e intitolo del H
utero , cioè del 3ello, doue f duellando di lui dice quefie parole
proprie . Dicam firn , nec unquam me pcenite^ bit , quoniam
boni airi ejse duco , cui ma- gna beneficia debeas ,eidem
ipfaaccepta referre, nosidipjum , quodfiumus,fìquid Jumus ilio efie
. Qoè in fintene . lo ne- ramente il diro , ne mai farà , che io
me ne penta, ptrcioche iopenfo ejfiere cofa da huomo da bene
ilconfejjare da colui haue re i benefici] grandi riceuuto , a cui tu
ne fii debitore ; *Noi tutto quello , che fiamo, Je fiamo cofa
alcuna , ejfiere da M* Mar - fillio Ficini . / ; v v £
dall'altro lato conofeendo M. Mar fillio la 'M
s ■ - 1 : V ì
C ATT ATS[1 0. Jto J ilio la grandezza dell ingegno y t /’ inchina-
ime dell'animo di lui alle co fi di Platone * e ueggendo il profitto ,
che egli u'haucu* dentro in picciol tempo fatto grandifiimo,
l'amaua affettuofifiimamente y e lodando v lo eccefiiuamente y lo
chtamaua non filo du fiepolo y ma compagno , come fi può m malti
luoghi ueder e delle opere fue , doue egli fa di lui mentione
honoratifiima y e Jpe t talmente nel Parmenide al capitolo ottan
taquattroefimo y neiquale fi leggono que- fie parole formali . Sed
dum pulchritudinem hic diuinam commemoro y commemorare fas eft
Fransi fium Dtacetum y dtle£itfiimum Compiuto - ntcum noftrum y de
hac ipfa pulchrit udine quotidte multaipulcherrimaq^firibentem,
quem Jane utrum ad c Platontcam fapien - ttam natura y geniusc £
formauijfi uidetur y leq uali fuonano co(ì . < c M
iij I i82 fV ITA' DEL 4 eZMentre cheto
fornendone qui della bellezza diurna , , giufta e pia coja e ,
<che io faccia mentione di Francefilo da Diacceto no/lro diletti
/?imo compagnone gli ftudij Platonici , tlquale di qucfla ftefi fa
bellezza firiue ogni giorno molte , e bel- Ufiime cofi,enel aero egli
pare, cheda ‘Fu- tura , e il gemo fuo formato l'hauejfono , pèrche
egli la fàpitnzp, di Platone in- tendejfe,e imitaffe . \ ‘
Dellcquah còfe fi pub ageuolrnente ca- ttare , prima quanto pojfaejfere
dipana- mento a una città , anz} a tutto 9 1 mondo un huomo
filo colla prudenza , e libera- lità Jua ; poi quanto fia necefiarioa
un buono ingegno abbatter fi ad hauere , o fa- perfi elegger e un
buono precettore ; concio - fia co/a , che fiCofimo de
<JMediculuec- chio , e di mano in mano i /uoi /ucce/fin, e
mafiimamente Lorenzo , non hauefiono fauorito C
A TTA ^IO. i83 fauorito le lettere , e coloro, aiutati,
icjualt d'ejjire litterati defederanno, *fMar fello non farebbe
flato Ai. Aiarfiho ,e per confeguenza il Diacceto , per tacere di
tan ti altri , non farebbe flato il Gbiacceto , e confeguentemente
Firenze , anzi tutto il fiondo farebbe di (i chiaro lume conno -
fero, e fuo gran danno per fempre man- cato . c tfefi merauigà alcuno ,
che io feri - ua bora Diacceto colD.fenz# f a ff tratto- ne, e bora
Cjhiacceto col G. colta forato- ne y concio (ia che io cofi nella lingua
latina de ^Moderni, come nel uolgare Fiorentina truoui feritto bora
nell'un modo , e bora nell'altro .feleua ancora Marfìho É mentre y
che egli ytrouandofi hoggimat oL tra coltetà , leggeua a fuoi dfetpoh ,
dire 5 io me ne uo , ma fi bene mi parto , io ut lafeio lo fiambio,
intendendo di A4. Fran- cefeo , Uguale fi chiamaua per fepr anoma
tiij *** V IT A (D E L il r Pagonazgo : perche
, mentre era gioita- ne , fi tùie t (atta molto , e ufaua utfiire
di quel colore, ilqual cognome gli duro firn- prò , mentre che
uifje , a differenza diun filo cugino carnale, ilquale haueua nome
'anch'egli francefco: era del mede (imo Gu- fato ,e di una medefìma età ,
e faceua la medefìma prò festone di Filofifo , e perche nefhua di
nero , fi gli diceua per difttn - guerlo dal ‘Tagonazgp , JUd.
Francefco ‘Nero , raro dono de Cieli , che tnunmc- defimo tempo ,
in una medefìma città , e dima medefìma famiglia fiorirono due cofi
gran Filofofi , benché il Pagonazzp ,> come auuiene ancora ne colori,
molto fojfi di maggior pregio, ertputatione , che Ane- to non era .
Ne fu ingannato ^Mar- filio , ne inganno egli altrui , quando
difi fi, che lafeiaualo fiambio fuo , conciofia cofit , che
ilDiacceto dopo la morte di lui ■ o figuendo C A TT A TSi
PO. 1*S' feguendo l'effempio , e calcando l'ormedi cofi grande , e
cortefe matjìro , e compa- gno, oltra il fare di fi amoreuohfitma
t. mente a chtunche nel ricercala gratiofifiu m amente copta ,
lefie molti anni , e molti pubicamente nello fludw Fiorentino , con
trecento fiorini d'oro di prouifione per età- fiuno anno , egli tiro
fimpre mentre uijjè , non ottante , che egli negli ultimi tre anni
della Jua ulta per le cagioni , che poco ap- pre/fi fediranno non uolejfi
piu leggere. E benché i Signori Tmetiant mofii dal grido della fua
fama lo fàcejfiro piu uolte in* fi antemente ricercare per mezzo di
À4on- fignore l'f\Arciuefiouo di Cor fu , e del fy* uerendifiimo
Cardinale fprnaro,de' qua* li egli era amictfiimo , che uolejfi andare
4 leggere nello ttudio di Tadoua , con gran* difiimo /alano, egli
nondimeno, che fi con • tentaua delle Juef acuita, ancoraché mol*
J86 VITA DEL te non fuffono,ed era lontano da ogni am-
binone, e grande amatore della quiete, non uolle accettare mai partito
nejjuno , per . grande , e bonoreuole , che egli fojfe , e fi <
refio a uiuere tranquillamente nella fio patria y e arrecare giouamento a
Juot cit- tadini. Quegh,cbe frequentauano la {cuo- iame la cafi (uà
, o come dtfiepoh , o come amici , o come l'uno, e l'altro mfìeme, era-
no et ogni tempo molti y de quali non mi par. rà fatica , ne fuori di
propofito raccontar - . ne alcuni de piu fìgnalati , iquah furono
quefti : P ter o Martelli: Giouanni forfii fiAdouardo ( ^tacchinotti :
‘Piero Bernar * di: riAndrca Rmuccim: Benedetto d'zAn- . tonto
(Quaker otti: Ftcino Ficini nipote di ^Marfibo, Luca della Robbia: Ale
fi fandro.de Paz&fT ter firance fio ‘Por tino- ri : ‘Palla
Rufeellai , e Giouanni fio fratello , che fu poi Caflellano di
Caftel fin? Agnolo ! 1 ft C
ATT AT^ro. ài m fini* Agnolo, e Cofimo lor nipote, nelquale
m ( ejfendofì egli morto ne /noi piu uer d'anni) fc fecero la
Città di Firenze , t le Mufi To- ri ' y cane danno , e perdita me
filmabile :Ftlip « fu po Strozzi » e Lorenzo fio j rateilo :
Luigi or. ^Alamanni : Zanobi c Buondelmonte , la - , v. copo da
Diaccetto, chiamato tl DiaccetU m no gioitane letterati fimo , e d'alto
cuore : u c , /intorno trucioli: ^Maeflro zAleffandro
ir da “Ripa : Filippo Carenti : M. Donato Giannotti, e M 'Fiero
Vettori, iqnah ho 0 poflo nell'ultimo, non perche eglino non
fof 1 /èro de' primi , e de' piu dotti , ma perche ancora
uiuono amendue . c Ne uoglio tace * re , che egli , tutto , che fofie fi
grande Fu i lofi fo, non filo zAcademico ma ettandio ;
J ^Peripatetico , oltra l'inteDigenza della lin- gua co fi
Cjreca,come Latina, non uolle mai conuentarfì, giudicando , per quanto
io fimo, che tl Dottorarle fpettalmente I
'« VITA DEL in Filofifia a coloro , iquah la loro
fetenza 0 uendere,o farne la moftra non uogliono , fia co fa finon
ridicola , almeno foperchta . E di ttero cotali ttficij , e preminenze,
come rifpofi già Traiano Imper udore a uno, che gli dimandaua il
prtutlegio di potere come giureconfulto auuocare , e fare de
Configli , fi debbono piu tofio dare da chi fi finte da ciò , che
riceuere . Afa quello , che a me pare 9 e che douerrà,s'io non m'in
ganno , parere ancora a de gli altri piu marauigliofo , e di maggior loda
degno è , come egli, effendo tutto occupato non fila-, mente nel leggere
, e intertenere tanti cofi amici, come dtfiepoli : ma ancora nelle
moke, e importanti faccende, cofi pubìi- ce , come priuate , potefie
tante opere com- porre , e cofi perfette, quanto egli fice, del- le
quali to racconterò cofi alla rwfufa tut- te quelle, che io ho parte
ueduto,e parte da coloro i V
CA'TT ATSJ ro. U9 coloro fintilo dire , che uedute l'hanno , le- '
quali fino quefte tutte latinamente firme. Vna'Parafrafì [opra tutti e
quattro i litri del Cielo d'zArifiotilejndritta aPa pa Lione. ’
* Tre litri intitolati de Pulchro a Palla, e M. Cjiouanm
T^ufiellai . • Tre labri dimore a Pindaccio da 2 li* cafili .
. ' • v v ■ A : H : ‘Panegirico d'AmoreaCjìouami Cot fi y ea
Palla ‘Rpfiellai . , -..*••• 'Una Parafiafi fipra i quattro
libri delle eJ Meteore d'zAriflotile y ma i tre ulth mi non fi
ritruouano . Vna Parafrafi [opra gii otto libri del- la
Fifica d'oAri/lotile , laquale o non è in pie y o chi l'ha la tiene
guardata per fi. Vna ‘Parafrafi fipra la Politica di ‘
Platone , ma tanto breue y che fipuo chia- mare piu tono prefatione % thè
altro • , jpo VITA DEL Vna r Parafiafi f opra il
Dialogo di Alatone chiamato ilTeage , onero della Jàptenza . Vna
Parafiafi ne gli Amatori di Pia ione y onero della filofifia . .
Vn coment o fipra il libro di ‘Plotino dell' efiinz&
dell'anima. Vna dichiaratone fipra quei uerfidx Boetio
ytqnali cominciano. Tu trtplicis medium natura cuntka
mouentem , a "Bernardo 'Rufiellai .. o Alcune prefazioni [opra
diuerfi ma- terie. ^Alcune epijlole a dluerfi amici
molto dotte y ne Ile quali fi dichiarano afidi dubbi di Filofifia
. L'ultima fina compofitione fu un co* mento yilquale egli a
petttume di Monfigno re M. Giulio de medici > che fu poi Papa
Clemente, fece [opra il conuiuio di Platone ; w C ATT
A'KflO. ipi quali componimenti olir a latta* rietà , e la
profondità della dottrina , e mafeimamente Platonica , e Tlotimana
pare a me , che due co fi fi pofjano , anzi fi debbiano confederare , mofirantt
ambedue l'eccellenza , e perfettione dell'ingegno , e gtuditio feto
. La prima è, che egli usò nel fuo comporre uno Hile,fe non
Ciceroniano del tutto , graue nondimeno , e filofoficb molto , e
tutto lontano da quelle laidezza > e barbarie , collequali Jcrtueuano
in quel tempo y e feriuono ancora hoggidi per lo piuì Filofofi
latiniyfenza leggiadria >e gra- tta neffema . 6 tanto è da
marauigltarfi piu y quanto ancora coloro , iquali fatua- no profe
filone di bene , ff) eloquentemen- te fer luer e y dietro un co fi fatto
mifitfo non imitauano ( gran fatto ) nelle loro fcrit tu- re la
diuina candidezza , e purità di Cice- rone y mao TlintOy o Valerio A4
afeimo } o VITA DEL altri tali non buoni c Autori della
latinità , o almeno della uera , e finterà eloquenza Fumana,
lacuale manzi che Afonfignore dietro 'Bembo , buomo piu toflo di -
nino , che bumano la dimofirajfi ,fi già* ceua o fiono fciuta del tutto ,
o dijpregiata in grandifiima parte p percioche colui, il- quale piu
Stortamente , e piu [curamene te firiue cua , era e da fi Sieff , e dagli
al- tri piu facondo tenuto, e maggiormente ammirato , come fi la
principale uirtà co fi dello firiuere,come delfauedare confi ftefie
inalerò, che nella chiarezza, o fifauel- laffi, e finuefie da gii buomini
ad altro fine, che perejfire intefi. La ficondaè, chi doue quafi
tutti gli altri fi faceuano beffe, o haueuano compafiione di
chiunque uolgarmente fcriueua , e haueano la lin- gua Fiorentina
per niente , egli quafi pre- cedendo quello , che di lei mediante
lime* de fimo I J C ATT
ATSflO. IJ>3 defimo 'Bembo auuenire doueua , tradufje, alcune
delle fue opere y e piu fi dee credere 9 che egli tradotte n'harebbe fe
piu lunga - mente uiuuto foffe . Lequali fue opere fi flampatcfi
foffono y non ha dubbio , che la fua fama fi farebbe y e allungatale
allar- gata molto piu , che ella forfè fatto non ha* £d egli per
configuenz et s' bar ebbe maggior gloria , e piu chiaro grido , e in
fimma piu lunga anzi immortale uita y acquifiato.Le quali pero fino
di manierale elleno lun- gamente Ilare nafiofi non poffono y e Fr
ance fio fuo Nipote , ilqualenon ha fi- lamento il nome di lui , m'ha piu
uolte co- llantemente affermato y finonhauer cofa y che piu lo
prema ; e laquale egli , per fiod- disfare alla pietà y e debito fuo ,
maggior- mente difìderi y che di rinuemre fènon tut- te y la
maggior parte delle fritture dell duo lo fuo per publicark * B allhora fi
potrà is> 4 VITA DEL meglio cono far e dagli
intendenti chente, t quale fojjl d'ingegno, e la dottrina di cota-
U ,e cotanto lo uomo ; e Ji marauigheranno infieme con effio meco della
capacità del fuo intelletto , e come un buomo filo potè (fi
cjfieretanto uniuerfikle , che m tutte le cofi, nellcquah egli fi metteua
, nufiijfie non di- co raro y ma qua fi filo. Ecco : egli come che
fojfie amanttfiimo della quiete , e lungi da ogni ambinone , e auaritia
fatico nondi- meno oltr a ogni credere non fidamente ne gli ftudij
delle buone lettere , e della fan - tifiuna Filofifìa , come s'è
ueduto,ma an- cora nell anioni humane, e nelle bifigne fo- colari (
come fi uedrày di maniera, che fi può ficuramente credere , e con
ue- tita dire , che egli di rado col corpo fi ripo'*- fiafie y ma
colla mente non mai y e fi bene egli e da naturayefua uoluntà era più
mi- to a gli fiudij , e al contemplare, che alle faccende ,
' C ATT A m o. I9S faccende ,■ e al negotiare, tutt amagli
bifi- gnaua fare ( come fi dice ) della necefrità uirtù yper laqupl
co/a e neceffario di [ape- re , che quando 'Pago lo fuozAuolo uenne
amorte , egli come co Iucche era flato firn* prèy amictfrimo , e fautore
della famiglia de ^Medici , e conofceua la prudente la potenza di
Co fimo , e forfè la fortuna di quella cafd , fece (come racconta il Fon
* no nella uita di luì)una bella diceria, nella quale fra l' altre
cofe auuertii figliuoli , e comando loro , che amafrino fempre y
eof firuafrmo Cofrmo,e tutti i fuoi 'Difenden- ti quanto fapeffiro ,
e poteffono il piu, e dal * l'altro lato pregò fìrettifrimamente
Cofi- moycbe glidouefie piacere cfhauere loro , t tutti i fuoi Po
fieri, per raccomandati , e fi coment affi di pigliare la protezione lo
T ro . E di qui nacque ( penfò io ) oltra le fut fingolarifiime
qualità 9 che non filamenti ? . X ; jf i9(f VITA
DEL r Papa Lione, Uguale fu Jòpra tutti gli huomini grattfiimo , e
libtrahfìimo , gli porto fempre affettione ftraordmaria,e gli fece
molti fauori,e prefìnti di mn piccio- lo, Piima , e ualuta, ma ancora tutti
gt al- tri di quella famiglia ,e in ijfetialità tifar dinaie, che
fu poi c Tapa Clemente, colqua le ( mentre , che egli reggeua Firenzi)
pra- ticano molto familiarmente, e conmeraui gltofa
dimefiichez&a . Quelle furono le ca- gioni , che egli , ancora, che
Fdofifo,e del- la fitta di Platone prima entro, epoi non fi ritiro
dalle faccende ciuili, per non dir nulla , che hauendo egli molti
figliuoìi(cò- me diremo ) e non molte / acuità , non po- teua,ne
doutua fare altramente, e di quin ci ancora auuenne, che nel dodici per
la guerra , e ficco di Prato , quando i Me- dici ritornarono in
Firenze, egli con alcuni altri Cittadini , de' quali come amici
delle W Palle CATTAUI 0 > ; / 9 7 Palle s'baueua
fefpetto,fu in Palazzp(do ue era 'Piero Soderini gonfaloniere a ul-
ta ) fiftenuto . Ma non prima furono i Siedici rimefii in Firenze, che
douendofi per co/e importantifiime creare uno c Am- bafciadore per
la Città a Mafmiano Im peradore , fu tra tutti gli altri eletto
Francefco , benché poi per lo ejferjì affetta- te , e accomodate le cofi
i n quel modo, che uoleuano quei , che poteuano, non facendo piu
luogo d' ambafciadore, non ui fu man- dato ne egli, ne altri * 6 nell amo
mille ctn • queceto diciannoue, e [fendo morto a quat- , tro di
faggio Lorenzo de Medici Duca d ye Urbmo,e douendofigh fare filenni
fiime, e magnifiche eJfiquie,ancora,che non man co chi bucherajfi
dibattere l or adone , d Cardinale firijje a Francefco, ilquale
fi ritrouaua in uilla, che fi trasfenjfi frit- tamente a Firenze ,
e cofi la fece , e recito iij ip t - T I T A DSL
f egliil fittimogiorno , nelqualeficelebra- nano nella Qoiefa di S.
Lorenzp con pom- pale honoranza incredibile , e fu tenuto tojà rara
, e degna d' ammiratone, che in meno di tre giorni fujfi fatta da lui
latina mente e recitata alla prefenz, a d'infinita moltitudine
cotale oratone. *Nel medefi- mo anno, hauendo prima hauuto i primi
honori,e magiflrati delta città, ejfindo fta to e di Collegio, e de
Signori Otto, e de Qt- j pitam diparte (guelfa, fu fatto (gonfalo-
niere digiufì ma per lo filo Quartiere di Santa Croce nelmefi di gennaio
, e di feb- braio, e doue negli altri uficij s' era fatto co
no/cere per huomo non men giuflo, che pie - » tofi , in cjuefto fi dtmoftro
non men beni- gno, chegraue,mguifa,che come l'uniuer - fiale [e ne
lodaua , cofii particolari ne dice- uano bene , e quanto i parenti fi ne
gloria* nano, tanto gli amtct,e dtfiepoh Juoine \ ^
prendeuano s *JfH Ut* ck I Ì0
(mà m 4 m \(
1 ir ì è C A T T'AÌSg 7
0 . IM prendeuano piacere, e contento marauiglio fi . Onde
auueniua,che coloro Squali 0 per l'inuidia , che haueuano alla
fitagrandezs za, 0 per Iodio, che portavano alle fue uir -,
tà,harebbono uoluto morder lo, nonofaua* no di farlo , temendo di non
efjere creduti "Dopo cotale degnità trouandofieglt hoggU mai
attempato, e [oprafatto dalle cure fa- miliari, e forfè per potere 0
comporre mo- ne opere, 0 riuedere le già compofte,nongU parue di
douer piu leggere in publico ; ma non per quefto manco mai i alcuna
ma- niera di cortefia a niuno di colora , iquali gli andauano tutto
il giorno a cafa, 0 per uicitarlo come amici,o per dimandarlo co me
fcolari,anzi fi tenne, che quefìa fujfe in gran parte la cagione della
fua ^ Morte : lmperocht,non fi fintando egli bene, e non uolendo
mancare ne a parenti ne agli ami ci, ne a Difiepoli, cadde in una
infermità, •K % 200 V IT A D EL per
la uiolenza dellaquale in poco piu et un me fi, ancora , ckefuffi fiato
finiamo e molto regolato nelfuo uiuere,e con tutti gli ordinamenti
, e fagr amenti della (bufa coftantemente, e Chrifiianamente moriva
gli diece d'aprile delmille cinquecento uen- tidue , e fu alla Q loie fa
di Santa (foce nel- la fipoltura de fuoi maggiori femplicemen- te,
e finta alcuna popa fìraor dinar ta por - tato, Jotterrato . La firn
morte difpiacque molto fi generalmente a tutto Firenze, e fi in
ifpetie a coloro, iquali o baueuano lette- re, o defiderauano d'bauerne,
e mafiima - mente di Filofòfia . Fu di fiatar a piu che mezzana ,
non di molta carne , ma offuto ■ forte , e nerboruto, eh pelo bruno, e
Somma- mente pelofi ; hauca la pelli biancha,e fre- fia molto .
Cjli occhi neri non troppo gran- di, le ciglia nere,e folte. La qual co
fa lodi - mofirauaa riguardanti anzi brufeo e bùr bero
, « i * v t
l l l C ATT AT^IO. zor hero y
che non. E niente dimeno egli fi bene • era grane , e fiueroy batte a
pero con quella feueritàyt granita una dolce e cortefi piace
uolez&a me/colato ylaqnale lo rendena gra - tiofiy e amabile. £
auuenga, cheegh,come tutti gli altri huomini in qualunque o arte o
fetenza eccellentifiimiyfujje di natura ma ninconico , e filetario 3
tutta uia, quando coll' altre perfine fi rttrouaua, motteggia- ua
uolentieri non fittamente coglihuomtni di lettere , ma ettandio co gli
Idioti, e colle donne medefime y tanto che non pareua piu quel
deffiy prendendofi fefla , e filazzp per fi y e dandone altrui . Spiacemi
, che ejfin- do egli flato yper quanto ho udito dire y trat tofiy e
arguto molto, io non habbta potuto nefiuno rmuergare de firn mottiyper
farne parte a coloro , cheque fi a ulta per alcuno tempo leggeranno
ffi mai nejjuno la legge- rà. Era e come T* latonico , e come
allieuo *02 VITA DEL, " 5 del Fictno grandtfiimo,
ma Jantifiimo ama > dorè, e nell' opere, che egli firifie de amore ,
• le quali furono molte , e molte dotte , Si ut- de lui ejfere
flato feruenttfiimo , anzi tutto fuoco ; da queflo per auuentura piu ,
che v , da altro fi può prendere nero figno,e certifi fimo
argomento della nobiltà ,e unicttà(fia > mi lecito in una per fona
nuoua e unica) for mare un uocabolo unico , e nuouo, dell' ani- ’
mo,e intelletto J uo,conciofia,che quanto al cuna cofa è piu degnale piu
perfetta , tanto fenza dubitatione alcuna , e s'innamora piu tofto
, ft) arde uta maggiormente . Fu catto beo, e religiofi in tutto il tempo
, che uijfe,e da cotali huomini douerebbono im- par are, e prendere
ejfempio coloro, iquabfi fanno a crederei di non cffère,o di non do
uere e fiere tenuti filofofifi non di (pregiano il culto diurno, e fi
beffano di chi L'ojfirua, quafi ghaltri uer amente non conofcano
i C ATTA^IO. 203 quello, che uogliono moflrare
falfamente difapere efii, ocome fecofa alcuna piu a filofefo
conuemjfe,che conofcere , e contem- plare , e configuentemente ammirare,
e ri - k uerire in quel modo, che fi può la Maeftà di Dio , e
l'eternità di tutte le cofi celefti . tìebbe M.Francefio della moglie,
laquale non fenz& fua noia , e danno fi morì l'an- no Mille
cinque cento diciotto, efiendofi prt ma morta la madre nel mille
cinquecento quattro , tredici figliuoà , fette mafihij , e fet
femine. La prima dellequah maritò a Daniello di farlo Canigiani , laquale
do- po molti anni nmafit uedoua rimarito a Ruberto di Donato
Acctaiuoli, huomo no - bilifiimo , e d'ine fi imabile prudenza . La
feconda a Carlo di Meglio Pandolfini, tre di loro fi uoltcro far
^tonache, delle qua- li ne uiue ancora una molto uener abile ,
degna di tanto Padre ì laquale è [fino già tot VITA DEL
molti anni ) Hadefid del ^Munifiero del Paradtfò. L'ultima maritarono poi
gli heredi Juoi a c Pierfrantefio di Ruberto de 7{tcci. I figliuoli
furono Pandolfo', Agno- lo : Dionigi : Theodoro : Stmone : Carlo :
e Cofimo . *Pandolfo fimorìhuomo fatto eJJèndo duimuto dietro le
uefttgia pater- ne Filo fi fio eccellentifiimo . e . Agnolo uiuen-
te il padre , tlquale come amoreuole , efa- uio non uolle contrapporfi,
ne alla uolunta del figliuolo , ne alla fpiratione dtuina,fi rende
Frate nella Religione di San Dome nico , nel tomento di San sbarco,
ihjuale fiate Agnolo urne ancora , prouinciale nel medefìmo ordine
de Predicatori, ‘Rekgiofi di buona ulta , e d'ottima fama . Stmone
Carlo , e Cofimo fi morirono tutti e tre gio- uanetti, tra gli fedici,e i
diciott 9 anni,ciafiu no, e tutti profitteuolmente , e con grande
Jperanz& fludiauano > La cofioro morte dolfi 9 a’
C ATT ATsflO. 20 j dolfi , come fi dee credere , ai&ii.
trance- fio lor padre, come a buomo, infinitamen- te, e tanto piu,
che effindo egli amoreuolifi fimo uerfi gli Urani, potemo pen/àre
quel- lo . che egli fujje uerfi i figliuoli, e cotali fi- gliuoli,
ma come a Ftlofifo ,fetppiendo,che efiendo mortale , egli hauea coja
mortale generato , tomamente ut pofi fu piede, e co- me
Cbrifiiano,non dubitandole ne una foglia ancora fi muoua finza la
uoluntà di Dio, rtprefi ogni cofit per lo miglior e. On de fi agli
Hiftorici fuffe quello conceduto, che a i Poeti, e a gli oratori non e
difdetto, anzi mafiimamente richiefto , largbifiimo campo harei qui
diffamarmi lungbifiimo tempo per le file lodi . Theodor o non men
bello d'affetto , che digrandifiima affet- tatone , morì anch'egli dopo
la morte del padre , in Francia , tale, che di fette hoggi non è
uiuo al fico lo fenon TDionigi, ilquale 206 VITA DEL datofì
dalla faagtouent udine, alla mere a - tura y hoggi e per la fa f faenza y
e lealtà faa in quel credito y e riputatane tra i più borre uoh, e
riputati mercatanti ì che fu il padre tra i più chiari letterati \e tra i
piu perfetti filofififioftui di Madonna Maria figlino la di Martino
di CjugUelmo Mar tini faa dilettifiima moglie, ha undici figliuoli
cin- que fimine di due delle quali ha nipoti e fai mafchiyiquali
fono il 'Bruendo M.France fio Qanomco di [anta Ltperata e Protono
tarioAppofìohco, della cui qualità hauemo fauellato di jopra.Pandolfo
ilquale di tuo no Jpirito y e fludtofi delle lettere no filo Cjre
che y eLatme y ma ancora Tofane fi truoua hoggi in Rpma. Agnolo :
Cjwuàbatifla, Bu- ierto e Carlo Squali fino no pur uiui y e fini
tutti 3 ma in buono y e profpero fiato Jequah cofi ho uoluto non fi fi
troppo largamente , otrvppo fiarfamente raccontare, perche le
CATTALO. 207 felicità di queflo modo di qua, qualunque
cs4riflotile nell' Scica pare , che ne dubiti , pojfono nondimeno fecondo
t Theologi chri fiumi a co loro, che fino nell'altra uita,gio-
uare.Onde fecondo i Flofififì può , eficodo i Theologi fi dee credere che
M. Francefio di Zanobi Qattani da Ghiacceto cittadi- no fiorentino,
ueggendo infìno dal piu alto cielo tanta# cofi chiara
fuccefiione,figoda infiemec olle figliuole# co figliuòli morti qui
e lafiù uiuijiwio quella feltafiima,{t) eter- na beatitudine , che deono
quegli huomini dopo la morte goder e, tquah mentre che uif fero
cofi lodtuoh per la uita attiua come ho nor àbili per la conteplatiua,
furono non me no ottimi chriftianiyche dotti fimi Filofofì.
IL F ì %E. HE C 1 S, T H 0. Jl l
BCDEFGHIKLM'Hj i Tutti fono Quaderni •
l'jf \ A/ Grice: “If these
Italians, pretentious as some are, want to use more than one surname – their
loss!” – Grice: “It was an excellent idea of
Diacceto to translate is grandfather’s Latin works (‘enarratio’) of
Plato’s little dialogue on the unspeakable vice of the Greeks into ‘vulgar
Florentine!” -- Franciscus Cathaneus. Franciscus Cataneus, Diacetius. Francesco
de Cattani da Diacceto. M. Francesco Cattani da Diacceto. Francesco Cattani di
Diacceto. Diacceto. Keywords: i tre libri d’amore, diacetius, amore, “la
sequenza del corpo” “l’autorita del papa” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Diacceto” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51766795558/in/dateposted-public/
Grice e Diano – errante dalla ragione – emendato –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Vibo Valentia). Filosofo. Grice: “I love Diano, but Italians usually take him
to be a bit too Hellenic; recall that a true Roman considers himself a Troian,
i. e. an enemy of a Greek! But as a scholarship Midlands boy from Clifton to
Corpus, I’m a Dianian!” Compie gli studi classici al Liceo Filangeri di Vibo
Valentia, allora Monteleone Calabro. Rimane orfano di padre all'età di 8 anni e
questo fu un evento che segnò la sua vita e molte delle sue scelte
giovanili. Nel 1919 si trasferisce a Roma, dove si iscrive alla Facoltà
di Lettere della Sapienza ove segue le lezioni di Nicola Festa e Vittorio
Rossi. Il suo progetto è di laurearsi con una tesi in Letteratura greca, ma la
necessità di iniziare a lavorare lo spinge a scegliere una via più breve e nel
novembre del 1923 si laurea con 110 e lode con una tesi su Giacomo Leopardi, un
poeta che amò subito e che lo accompagnò nel corso di tutta la sua vita.
Immediatamente inizia a insegnare letteratura latina e greca, dapprima come
supplente e poi, dall'ottobre del 1924, di ruolo come vincitore di concorso a
cattedra. La sua prima nomina è a Vibo Valentia, cui segue un periodo di alcuni
anni a Viterbo e una breve parentesi al Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli.
Nella città partenopea frequenta la casa di Benedetto Croce, ma in seguito il
giovane Carlo Diano si allontanerà decisamente dal gruppo dei crociani. Dal
novembre del 1931 è trasferito a Roma, dove insegna prima al Liceo Torquato
Tasso e in seguito al Liceo Terenzio Mamiani. Sempre a Roma, nel 1935, consegue
la libera docenza in lingua e letteratura greca. È fatto oggetto di inchieste
ministeriali e pressioni per il suo rifiuto di iscriversi al Partito fascista,
come chiedeva il suo ruolo di dipendente pubblico. Né mai si iscrisse.
Nel settembre del 1933, su incarico del Ministero degli Esteri, è lettore di lingua
italiana presso le Lund, Copenaghen e Göteborg, incarichi che ricoprì fino al
1940. Gli anni in Svezia e Danimarca non furono solo utili per apprendere alla
perfezione lo svedese e il danese, ma segnarono un profondo cambiamento. Il
contatto con l'ambiente scandinavo gli spalancò la visione della grande cultura
liberale nord europea e l'amicizia di poeti, letterati e studiosi scandinavi,
tra cui lo storico delle religioni Martin Persson Nilsson e lo scrittore ed
esploratore Sven Hedin, dei quali traduce anche alcune opere. Al suo
ritorno in Italia ricopre un incarico presso la Soprintendenza bibliografica di
Roma e dal gennaio del 1944 all'aprile del 1945 è a Padova in qualità di
Ispettore dell'istruzione classica presso il Ministero dell'Educazione Nazionale
della Repubblica Sociale Italiana. Grazie a questo ruolo e obbedendo alla
propria coscienza, all'insaputa di tutti, aiuta molte persone a mettersi in
salvo dalla persecuzione fascista e nazista. Dal dicembre del 1946
ricopre gli incarichi di Papirologia, Grammatica greca e latina, Storia della
filosofia antica, Letteratura greca e Storia antica presso la Facoltà di
Lettere dell'Bari. Nel 1950 vince il concorso alla cattedra di Letteratura
greca ed è chiamato a Padova a ricoprire, presso la Facoltà di Lettere
dell'Università, la cattedra che era stata di Manara Valgimigli. A Padova
rimarrà ininterrottamente fino alla sua morte. Più volte Preside della Facoltà
di Lettere e Filosofia, fondò e diresse il Centro per la tradizione
aristotelica nel Veneto. Molte delle sue traduzioni dei tragici greci
sono state messe in scena dalla Fondazione del Dramma Antico a Siracusa, al
Teatro Olimpico di Vicenza, a Padova, portate in giro nei teatri italiani,
interpretate da noti attori quali Elena Zareschi, Arnaldo Ninchi, Ugo Pagliai.
Grandi le sue traduzioni, per la ricerca filologica, la lettura rivoluzionaria
e la bellezza dello stile in versi, fra le altre, dell'Alcesti, dell'Ippolito,
dell'Elena, dei Sette a Tebe, dell'Edipo Re, del Dyskolos di Menandro.
Cura, fra le altre cose, l'edizione di tutto il teatro greco per Sansoni e la
traduzione dei Frammenti di Eraclito, volume della Fondazione Lorenzo
Valla. Insignito di numerose onorificenze (Valentia Aurea, Premio
Nazionale dei Lincei, Medaglia d'oro della Città di Padova ecc.) e membro di
numerosissime accademie in Italia, in Europa e in USA, ebbe profonde e durature
amicizie tra gli altri con Salvatore Quasimodo, Sergio Bettini, Mircea Eliade,
Walter F. Otto, Ugo Spirito, Giulio Carlo Argan, Bernard Berenson, Rocco
Montano, Santo Mazzarino, Carlo Bo, Károly Kerényi, Martin Persson Nilsson,
Renato Caccioppoli e molti altri fra i maggiori protagonisti della vita
culturale e artistica del 900. Tra i suoi allievi più noti troviamo il
filosofo ed ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari. Per i suoi amplissimi
studi e i suoi contributi originali su Epicuro è da tempo riconosciuto a
livello internazionale come uno dei maggiori e più autorevoli studiosi del
filosofo di Samo. Nei suoi scritti teorici, principalmente in Forma ed
Evento e in Linee per una fenomenologia dell'arte, fonda un vero e proprio
sistema filosofico in cui filologia, studi storici, filosofici, sociali, storia
dell'arte e la storia delle religioni si integrano a creare un nuovo metodo di
indagine. Fondamentale, a tale scopo, è la creazione delle due categorie
fenomenologiche di "forma" ed "evento", che gli permettono
non solo di esplorare l'intera civiltà greca, ma possono divenire strumento di
analisi generale di una cultura. Altre opere: “Commento a Leopardi”; “Commemorazione
virgiliana. Dall'Idillio all'Epos” (Boll. Municip. Viterbo); “ Il titolo De
Finibus Bonorum et Malorum” (FBO). “L'acqua del tempo” (Roma, Dante Alighieri);
“Note epicuree, SIFC); “Questioni epicuree, RAL); “La psicologia di Epicuro, GFI);
“Epicuri Ethica (edidit adnotationibus instr. C.D. Florentiae, in aedibus
Sansonianis, “Lettere di Epicuro e dei suoi nuovamente o per la prima volta
edite da C.D., Firenze, Sansoni); “Aristotele Metafisica, Libro XII. Bari); “La
psicologia d'Epicuro e la teoria delle passioni, Firenze, Sansoni); “Lettere di
Epicuro agli amici di Lampsaco, a Pitocle e a Mitre, SIFC); Voce Aristotele in
Enciclopedia Cattolica); “Edipo figlio della Tyche. Commento ai vv.1075-1085
dell'Edipo Re di Sofocle, Dioniso); “Forma ed evento: principi per un'interpretazione
del mondo greco” (Venezia, Neri Pozza); “Il mito dell'eterno ritorno,
L'Approdo); “Il concetto della storia nella filosofia dei greci, in: Grande
antologia filosofica, Milano, Marzorati); “La data della Syngraphé di
Anassagora. Scritti in onore di Carlo Anti, Firenze); “Linee per una
fenomenologia dell'arte” (Venezia, Neri Pozza); “La poetica dei Feaci. Memorie
dell'Accademia Patavina); “Pagine dell'Iliade, Delta); “Note in margine al
Dyskolos di Menandro” (Padova, Antenore); “Menandro, Dyskolos ovvero Il
Selvatico, testo e traduzione, Padova, Antenore); “Martin P.Nilsson,
Religiosità greca, (traduzione) Firenze, Sansoni); “Saggezza e poetica degli
antichi”; “Orazio e l'epicureismo” (Atti Istituto Veneto); “La poetica di
Epicuro, Rivista di Estetica); “La filosofia del piacere e la società degli
amici, Boll. del Lions Club di Padova); “D'Annunzio e l'Ellade, in L'arte di
Gabriele D'Annunzio, Atti del Convegno Int. di Studio); “L'uomo e l'evento
nella tragedia attica, Siracusa, Dioniso); “Il contributo siceliota alla storia
del pensiero greco, Palermo, Kokalos); “Euripide, Ippolito (traduzione e cura).
Firenze, Sansoni); “Eschilo, I Sette a Tebe, Firenze, Sansoni); “Menandro,
Dyskolos ovvero il Selvatico, Sansoni); “Meleagro, Epigrammi traduzione di C.D.
(con una tavola di Tono Zancanaro) Vicenza, Neri Pozza); “Epikur und die
Dichter: ein Dialog zur Poetik Epikurs, Bonn, Bouvier); “Saggezza e poetiche
degli antichi, Venezia, Neri Pozza); “Gotthold Ephraim Lessing, Emilia Galotti,
(traduzione) Milano, Scheiwiller); “Euripide, Alcesti (traduzione e cura)
Milano, Neri Pozza); “Euripide, Elettra, (traduzione e cura), Urbino, Argalia
Editore); “Voci Eoicurus e Epicureanism per Enciclopedia Britannica); “Il
teatro greco. Tutte le tragedie, C.D. Firenze, Sansoni); (di C.D. Saggio
introduttivo. Traduzioni: Eschilo, I Sette a Tebe; Euripide, Alcesti, Ippolito,
Eracle, Elettra, Elena, Le Fenicie, Oreste, Le Baccanti). Epicuro, Scritti
morali, Trad. C. Diano, Padova, CLEUP); “Euripide, Medea, (traduzione e nota di
C.D.) Padova, Liviana); “Aristofane, Lisistrata (traduzione e cura) Padova,
Liviana); “Anassagora padre dell'umanesimo e la melete thanatou in L'Umanesimo
e il problema della morte, Simposio Padova Bressanone); “Studi e saggi di
filosofia antica, Padova, Antenore); “Scritti epicurei, Firenze, Leo Olschki);
“La tragedia greca oggi, Nuova Antologia); “Limite azzurro, Milano,
Scheiwiller); “Eraclito, Frammenti e testimonianze, (traduzione e cura) Milano,
Fondazione Lorenzo Valla); “Epicuro, Scritti morali, Milano, BUR); Platone, Il Simposio (traduzione e cura),
Venezia, Marsilio); Il pensiero greco da Anassimandro agli stoici, Torino,
Bollati Boringhieri, Introduzione di Massimo Cacciari. e Lia Turtas. Introduzione Jacques Lezra.
Curatele Platone, Ione, Roma, Dante Alighieri, M.T.Cicerone, De finibus bonorum
et malorum, GFI, Omero, Iliade. Libro I, Firenze Bemporad, Platone, Dialoghi Convito,
Fedro, Alcibiade I e II, Ipparco, Amanti, Teage, Carmide, Lachete, Liside,
Bari, Laterza, 1934 (II ed. 1945); Il teatro greco: tutte le tragedie, Firenze,
Sansoni); “Eraclito, I frammenti e le testimonianze, Milano, Fondazione Lorenzo
Valla, Arnoldo Mondadori Editore); “Epicuro Giovanni Gentile Tragedia greca. TreccaniEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Carlo Diano, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Opere di Carlo Diano,. Carlo
Diano Forma y evento, Madrid, Circulos Bellas Artes (estratto traduz.
spagnola)Brian Duignan, Carlo Diano, Epicureanism, in Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Carlo Diano, nel sito "Il Ramo di
Corallo", di Francesca Diano. IL CONVITO. ATOLLODOllO E
UN AMICO. I. - Apollpdóro. Credo di nonSmotto, P- 172
ispondere alla vostra no ues^ < . Galero, uno dei
Srm^STiTp.lWo.0 (1), o M - Èd io mi fermai e aspettai. „i ie
poc’anzi ti di 'raccontarmi la « “ - - ™
pensiero filosofico greco, fu tntt ^ ” C ; u raorto ad maestro, o, stando
a più fieli o devoti seguaci (l a Kliano, no ricopri o voleva
un aneddoto riferitoci da t>10tcl “ teUo - Quanto allo scherzo,
dm ricoprirne il cadavere col ' >r0I ’ ? “ t f, ò moUo discusso
in ohe consista. Apollodoro rileva nelle pardo doli arpico, .
cominciato dal ehm- Forse, oltreché nel tono nome Matteo o ohe
tosso marie Falere». < So un amico nostre. clm gr _ ^ ^ Vcllotrl
\ anziché nato a Vellotri noi comin^assimo col olila ar^ lnl uno
scherzo, sol-rat - ‘ Matteo ’, por farlo voltale, P ■ ..... allusione a
uualcunu delle suo uua- tutto se col chiamarlo cosi si taccs ““ u 0 i
luogo . Noi nou sappiamo. Uhi. «he si solesse attribuire «gla al«tan
rlpuUv ,iono o di elio genere: se 1 Falerosl avessero unniche loi
partlooi^ > ^ , (Bonghl) . E none, a ogni modo anche sonza^uesto
loA^y^ mM , naro „ i marinai mi paro, Impossibile olio, cssoni t .
e u uca t 1L , la ciunlitìl di Valoroso rìi^ol qu alcuno, formano
un emlecflfilllitbo. — 16 —
conversazione tra Agatone (1) e Socrate e Alcibiade (2) e gb Xi,
che allora presero parte al banchetto c che discorsi intorno all’amore ri
si fossero temiti. Me ne accennò un tale che ne aveva udito da_Fenice di
Filippo (3) è aggiunse che anche tu ne eri informato; ma non seppe
dirmi nulla di preciso. Raccontamela tu dunque. Nes- M mo più di te è
tenuto a riferire i discorsi del tuo amico. E prima di tutto, mi chiese,
dimmi: a quella conversa¬ zione eri tu presente o no! Ed io:
Si vede bene che quel tale che te la raccontò non ti deve aver raccontato
nulla di preciso, se credi che quella conversazione, di cui mi chiedi,
abbia avuto luogo così di recente, che anch’io avessi potuto
assistervi. Ed egli: Difatti lo credevo, rispose. E
come, dissi, Glaucone? (4). Non sai che da molti anni Agatone non è più
venuto tra noi; e che da quando frequento assiduamente Socrate e mi
studio di seguire giorno per giorno ciò che egli dice o fa, non sono
ancora tre anni? Prima andavo errando a caso di qua e di là, e pure
illudendomi di fare qualcosa, ero il più infelice degli uomini, non meno
che non sia ora tu, perchè pen¬ savo che bisognasse occuparsi di
qualunque altra cosa piuttosto che di filosofìa. Ed egli:
Smetti di canzonare e dimmi quando ebbe luogo quella conversazione.
Quando — e noi eravamo ancora dei ragazzi — Agatone vinse il premio
per la sua prima tragedia, nel li) Agatone, Ilglio di TisAmeno,
ora nativo di Atene, clic tra il -10!) c il 1117 a. C. egli lasciò i»cr
andare a vivere nella corte di Archelao di Mace¬ donia. il cui splendore
lo attirava. Bollo, elegante e ricco, fu scolaro di I ròdico e di Gorgia,
dai riunii apprese Io siile protonaionoso e retorico ed ebbe
imimi"^^ di celebri»* per il successo del suo drama. intitolato . ,
S ,, m0 : nel n " al ° ,,sclva dagli argomenti tradizionali e dalla via
c lr U tavn imEfa,l 1>r ? <l0OeSSOrl - ““ ** 11 “>P«tto Umusi
muliebre .oZir» a 7ì:^T a V" m V0,t0 bCT8UC "° al mm>i
™»'e. contempi,rana. Nel Ilo aveva forse poco pii, di
tronfanni. ed u n, o d stilò lm ‘ tUB dW ° ! " Kli ò ta-PP-
noto come generalo Òvevu ,”t,!,.n„?ò ° ? n " e0 aVYennt0 11
Mochetti. («0 a. C.), egli $ «n ^ potonzft pouuoa -
Altro ignoto, da non confondere con Glaucone, fratello di Platone.
, omo seguente a quello in cui egli coi suoi coreuti
celebrò fsacrifico ^^"nolti anni or sono, a quanto pare.
Ma^te’chi té la che ne parlò ; &r-ra tota», ote ri»
“XeK «il» ™» « * *» alla, conveisazioue, 1»« “ Tutta™,
interroga, amanti di feociatc a q 1 udifce da Aristodemo,
anche Socrate su qualcuna delle aveva riferito, eda lui ebbi
la conferma d#ò che 1 a L a Perchè dunque non t afte apposta
via, che s’ha a percorrere lino alla citta, per discorrere e
per udire. di que i discorsi, Così cammin facendo, rapo « impreparato;
sicché, come ho detto a prmcn|, nO|Soim V c se volete che io
li ripeta anche a voi, ecconn^ ricchi e dediti ai guadagni, , ' d :
j ar "Scesa e i^’f^nS'prSSmente anche voi dai
canto vostro penserete di me che sono' u ?.^Ton lò e credo che voi
crediate il vero; io pero di voi non Sei sempre lo stesso,
Apoilodoro: non fai che dir male di te c degli altri, e ai tuoi «echi
siamo, mi pare, tutti degl’infelici, all’mhion di So f so¬
dando da te. Perchè ti chiamino tenero (3), non so, (1) Da
questa indicazione si desume elio il banchetto avrebbe avuto ,U0 %“ e
ÌH—. anch’egli uno scolare di Scorato. Cidatonoo, si faoova,
sembra, notare per la sua smania c m anche in corte abitudini di
vita, come, per esempio, in quella d andar sempi et) Tutti i testi,
a cominciare dai piìi antichi, danno qui |j.a).axo; • mollo •
tenero ', lezione respinta dalla maggior l'arto degli editori, elle hanno
accolta invece la correzione |iavixó? ‘ pazzo \ ‘ turioso ’, occorrente
2 Piatone — Convito. ir» eai soniDre
cosi! «xccrbo ■ con tc ma corto ncll ° ,[ U ' fuo rchè con Socrate,
stesso e con gli alt , dunqu e indiscutibile che, se j^nso
così^'di^mè e di^voi, io debba essere un pazzo e un insensato? nena
0 ra di leticare ,, r 1,™5» A Fa° SS» 4«* « “ “ “ bbl " ,
° Hsrtósfssis-rr » £t meglio che io mi pori « M .1
»■*»*« .1,. capo, come a me lo fece Aristodemo. ,1 - Egli
dunque mi disse (1) di avere incontrato Socrate cbe usciva dal bagno e
calzava delle pantofole cosa che suol fare (2) di rado, e dovergli
chiesto, dove s'incamminasse cosi rimbellito. . E
l'altro: A cena da Agatone. Ieri mi sottrassi al banchetto della
vittoria, per paura della folla. Ma pro¬ misi che oggi non sarei mancato.
E mi Ron fatto bello appunto per presentarmi bello ad un bello. Ma tu,
gli dimandò, come ti senti disposto a venire a un banchetto non
invitato? in parecchi cod«l. La lezione più antica, ripristinata
dal Burnet, nonché dallo Schoenc nella sua revisione dell’edizione
dell’Hug, era già stata difesa dal Ilfìckert, e con buone ragioni. Ciò
che sappiamo dal ‘ Fe¬ done’, in cui Apollodoro c’ò dipinto come un
carattere impressiona¬ bilissimo, clic passava facilmente dal riso al
pianto c viceversa, e che negli ultimi istanti di Socrate si abbandonò a
così incompostc manife¬ stazioni di doloro da provocare un richiamo del
maestro, accenna, mi pare, piuttosto a un uomo d’indole molle, che ad un
furioso o pazzo. Nò la risposta d*Apollodoro, nella quale h’ò voluto
veder la conferma della lezione |iotyiy.Ó£, ò una prova addirittura decisiva,
giacché, osserva il RUekert, non dici haec, ut éxplanelur caussa
cognominis, sed indignantis verbo, esse, conccdcntls, ni fit per
indignalionem, atquc in maim augentis id quod arnione diadi. Qui quii in
rcprchciuliseet nimiam aeveritatem, hoc ipsum, niininm ceso, arripicna,
acerbe rcapondel: concedo, manifestimi est , me qui uliter sentilim atquc
vos, debcrc insanire atquc delirare. (1) Da questo * disse ’
(IcpY)) dipendo nel testo tutta la narrazióne d*Apollodoro, che nel greco
ha la forma d’uria oratio obliqua. (2) Qui nel testo c’è sTtoóei ‘
faceva ’ in conformità dell’uso greco» che adopera l’imperfetto per
significare uno stato clic dura tuttora nel -presente, àia poiché
il racconto si suppone fatto, mentre Socrate è ancora in vita, ho
sostituito il presente all’imperfetto. Per me,
rispose Aristodemo, sono ai tuoi ordini. Ebbene, riprese, seguimi,
affinchè, mutati 1 termini, la si faccia finita col vecchio proverbio,
mostrando cn anche dei buoni ai conviti vanno non invita i buoni.
Omero però, se non mi sbaglio, non si conten di farla finita con esso, ma
volle anche fargli oltraggio, perchè dopo d'averci rappresentato
Agamennone come singolarmente prode in guerra, e Menelao come un f ia ( *
° guerriero, al sacrifizio ed al banchetto, offerto < a
Agamennone, fa che intervenga non invitato Menelao, un dammeno alla mensa
d’un uomo che valeva di piu U fi E l'altro nell’udir ciò: Ho paura
anch’io, Socrate, di non essere quel che tu dici, ma piuttosto, secondo
Omero, quel dappoco che va, non invitato, al banchetto d un
sapiente. Del resto, dacché vuoi condurmici, preparati a giustificare la
mia presenza, perchè io per me non diro d’esserci andato senza invito, ma
in vitato da te. In due andando per' via (2), riprese, «
consi¬ glieremo su quel che ci converrà di dire. Per ora
andiamo. E scambiate queste parole, s’avviarono. Socrate cam¬
minava immerso in qualche pensiero, e rimaneva indietro; e poiché egli si
fermava ad attenderlo, gli disse d andai pure innanzi. Giunto a casa
d'Agatone trovò la poi tu, spalancata, e lì, disse, gli capitò una cosa
da ridere. (1) C’ù nella risposta, ili Socrate un ginoco «li
parole che non e ^pos¬ sibile rendere in italiano. 11 proverbio era.
pare. BsAfflv sin Batta; taotv aOxóuatot avallo! . dogi-inferiori ai
conviti vanno non invitati i buoni- O anello meglio . dei vili (o dei
deboli) ai conviti vanno non invitati i torti .. Sdorato, gtuòcando sulla
somiglianza elle, a parto l’aceento, e'e tra aYaddW •del Paoni ’ o ’A T
<*W•AY'M-nm ‘ad Agatone' ri f.1 il proverbio in modo che esso si
presti a (Uro tanto . dei Inumi ai conviti vanno i buoni non invitati -,
quanto • da Agatone ai corniti vanno i buoni non invitati ». E si noti
elio anche II nomo ’Ay ec&MV corrispondo suppergiù a ‘ Oinobono '.
Quanto ad Omero poi Socrate, celiando, immagina cito il poeta nel
tìngere* (/(. Il 108) clic Menelao 4 flocco guerriero ’ vada non invitato
alla mensa d’un prode conto Agamennone, abbia voluto addirittura fare oltraggio
(ti proverbio, che egli, invertendone gli estremi, avrebbe
implicitamente (giacché al proverbio In Omero non s’accenna né punto né
poco) rifuggiate io quest "altra forma àralfiSv Èro Baita; taoiv
aùti|iatoi Bs’Aoi • dei forti ai conviti vanno non invitati i vili
(2) Allusione a un luogo omerico: cf. II. X ’224.
— 20 — - Giacché gli si lece subì*. 'J ?^stateti a
mema>ano ione-e lo condusse dove g< 1 ’ Come Agatone lo
quasi sul punto di niet ^“ in buon punto ^e: Oh! Aristodemo f
*£’ y g£i per altro, rimet- pcr cenare con noi. il -■■■ rcai per
invitarti senza ZSJtì Sin Ma e»m} * »»» « hri biotto
Socrate? mi volsi indietro, ma non •r in nessun luooo che
Socrate mi seguisse, e dissi: “ “S ,2 *•»*. a. lai q«i
>11»»- Ed hai fatto benone. Ma dov’è Socrate? Un
momento fa mi seguiva; ma ora dov è. Sono io mire sorpreso di non
vederlo. Va subito a cercarlo, ragazzo, disse Agatone, e in¬
troducilo qui. E tu, Aristodemo, prendi posto a lato ad Erissimaco
(1). IH. — E mentre un servo gli lavava i piedi, perchè
potesse sdraiarsi, un altro entrò dicendo: Questo Socrate s’è ritratto
nel vestibolo d una casa qui accanto, e sta li fermo. Io l’ho chiamato,
ma non ha intenzione d’entrare. Strano!, disse Agatone; corri
dunque a chiamarlo, e non smettere, finché non si muova. No,
no. diceva d’aver soggiunto Aristodemo. Lascia¬ telo stare. Egli l’ha
quest’abitudine. Certe volte si tira da parte e riman fermo dove gli
capita. Verrà ben presto, ritengo. Voti lo disturbate; lasciatelo
stare. Facciamo pure cosi, se codesto è il tuo avviso, disse
Agatone. E voi, ragazzi, dateci da mangiare a noi altri, e imbanditeci
tutto quel elio vi pare. Non c’è nessuno che vi sorvegli: è una bega che
non mi son mai presa. Fate conto che ci abbiate voi invitati a cena, me e
questi altri, e trattateci in modo da meritare i nostri elogi.
Dopo ciò,'diceva, si misero a desinare, ma Socrate non compariva.
Agatone aveva ordinato più volte che fi) lirlssùuaco, figlio d'Aedmeno,
ora, conio il padre, un modico litui noto in Alene. —
21 s’andasse a rilevarlo, ma egli non l’aveva permesso.
Finalmente, men tardi però che non fosse nelle sue. altitu¬ dini. ma
tuttavia quando la cena era già a mezzo, Socrate entrò. E Agatone, che
occupava 1 ultimo posto, per caso da solo: Vien qua, Socrate, disse;
sdraiati accanto a me, affinchè al tuo contatto m’avvantaggi
anch’io di quel pensiero sapiente di cui ti sei arricchito nel vestibolo.
Perchè gli è certo che 1 hai trovato e lo J possiedi: chè- prima non ti
saresti mosso. Socrate si mise a sedere e rispose: Sarebbe,
Agatone, una gran bella cosa, se la sapienza fosse cosiffatt a, che
potesse scorrere dal più ripieno nel più vuoto di noi. al solo toccarci a
vicenda, come l’acqua nei bicehien, che a traverso un fìl di lana scorre
da uno più colmo in un altro più vuoto! Se lo stesso avviene anche
della sapienza, son io che devo far gran conto d essere accanto a
te, giacché penso che, mercè tua, mi riempirò di molta . e squisita sapienza.
La mia non può essere che povera cosa o anche di dubbio valore, come un
sogno;, ma la tua è luminosa e destinata ad un grande avvenire, dal
momento che da te, giovane ancora, ha sfolgorato poco fa di così viva e
chiara luce davanti agli occhi di piu che trentamila Elleni.
Sei un gran canzonatore, Socrate, disse Agatone. Ma di questa
faccenda della sapienza discuteremo fra poco tu ed io, e, ne prenderemo a
giudice Dióniso (1), Per ora pensa a mangiare. IY. — Dopo di
ciò, raccontava Aristodemo, Socrate 176 si sdraiò, e finito che ebbero di
cenare, lui e gli altri, fecero lo libazioni, cantarono un inno in onore
del dio, adempirono tutte le pratiche di rito (2), e quindi si
vol¬ ai Dióniso, il dio della poesia di'amatloa, por un poeta
tragico era il miglior giudico al quale potesse appellarsi.
(2) Questo cori inolilo orano: 1° i convitati bevono un sorso di
vino puro In onoro del ‘ dèmone buono * [del buon genio]; 2° i servi
sparecchiano; 3° o portano acqua ^crollò i convitati si lavino le inani
una seconda volta (la prima volta l’han fatto prima di mettersi a cona);
4° distribuiscono ancora corone ed unguenti; 5° poi si fanno lo libazioni
di vino temperato» pi prima a Zeus Olimpio (o alla Sanità), la seconda
agli Eroi, la terza a • n \ oli ora fu il primo a prender
la s ero al bere. iei< c he regola terremo nel parola e:
Orsù, disse amie . , pel , me V1 c011 . bere per aggravarci > «
g ^h P rabtiso di ieri, fesso che mi sente■ e CO sì forse la più parte
e h0 bisogno d un po^ Y P edete dunque come si possa
bere°con^la'maggior discrezione ^ossibUe^ «*>. 'U“,
« Acumeno. Ed ora non ho bisogno, che d udire come si 1 in f
orz e per bere un. altro solo di voi, Agatone. no davvero, non me
la sento neppnr io, rispose CO "¥a'nto meglio per noi, mi
pare, disse Erisstamco per me . per Aristodemo; per Fedro e per questi
altri, se ma cedete il campo voi che siete dei bevitori a tutta
prova, giacché noi siamo sempre debolissimi. Quanto a Sociat % egli
fa eccezione: si trova a posto in un caso e nell altro, e gli sarà
indifferente comunque si beva. Bacche, dunque, nessuno dei presenti è
disposto a bere rii molto, non vi rincrescerà, spero, ch’io vi dica la
verità a proposito dell’ubriacarsi. Dalla pratica della medicina ho
cavato questa convinzione: che per gli uomini è dannoso 1 abuso del
vino: e di mia volontà non eccederei mai nel bere, nè lo consiglierei ad
un altro, soprattutto se si risente ancora della sbornia del giorno
prima. Per me non c'è caso, prese a dire Fedro da Mirri¬ li
unte (3); io lui l’abitudine di seguire i tuoi consigli, specie quando
parli di medicina; ina ora, se hanno giu¬ dizio, faranno così anche gli
altri. Zeus salvatore. I/ultiina tazza cho ai beveva a questo si
diceva la ‘ por- lotta *.; 0 spesso alle libazioni seguiva una musica di
Munti c un brucia¬ mento d’incensi; 7° con la prima libazione
s’accompagnava il canto di un inno religioso. (Dal Bonghi).
(1) Doveva esscro un ammiratore di rotori e sofisti, ma è noto soprat¬
tutto come amante d’Agatonc*. (2) Aristofane, è superfluo dirlo, è
il famoso comediografo. (3) Su Fodro v. la nota alla mia versione
del Fedro. jp£ijÌMpM h'. —
23 — Udito ciò, tutti convennero che non si dovesse far del
bere il passatempo di quella riunione, ma che ognuno bevesse quanto e
come gli accomodava. y. _ Poiché è stata accolta la mia proposta,
che ognuno beva quanto gli accomoda, disse Erissimaco, c che
non ci sia nessun obbligo, ne faccio ancora un al in¬ aurila di mandar
via la suonatrice di flauto entrata dianzi, perchè suoni per conto suo o,
se vuole, per le donne cu casa, e che noi oggi si passi il tempo a
conversare fra no. E voglio anche, se me lo permettete, proporvi U
tema discorsi. ìtì Tutti consentirono e lo esortarono a
farne fa. 1 posta. E comincerò, riprese Erissimaco, come la ^ e '
lanippe ’ di Euripide (1): Miei non son questi detti che m’accingo a
pronunziare, ma di Fedro qui pi sente. Non passa occasione infatti eh
egli non mi up • indignato: «Ma Erissimaco, non è enorme, che
mentre poeti han cantato inni e peani in onore degli alto d , di
Eros, un così antico e possente iddio, neppui u _ tanti poeti, che ci
sono stati, abbia mai composto un eloo-io’f E se poi vuoi guardare ai
buoni sofisti, essi ha Sto in prosa le lodi di Éracles e di altri, come
quel valentuomo di Predico (2)... E questo «ite, esorpren¬ dente;
ma c’è di peggio. A me proprio una ^oha accadde dibattermi in un libro
d’un sapiente, m cui si facevano sperticate lodi del sale pei vantaggi
che reca, E puoi vedere parecchie altre cose simili celebrate con
lode... Spender tanta cura intorno a siffatti argomenti, e pii Eros
non esserci nessuno fin oggi, che abbia osato lai ne un degno elogio: a
tal punto è trascurato un cosi grande Iddio- ) - E in ciò’, secondo me,
Fedro ha ben ragione. 10 dunque, oltre che desidero .li pagare il
mio contributo a costui e fargli cosa grata, ritengo che questo sia
per noi qui radunati proprio il momento .li adornai e di lodi 11
dio. E se così pare anche a voi, ecco trovato torse un (1) Cf.
N.vuoic, Trita- Or. Fratjmm.' tramili. 181, 1>. a l. (2) è „ueUo
elio si trova riferito In sunto da Senofontei nei Momo- rubili ’ 11 21, 1
sgg., o elio fu tradotto dal Loop®!! col tlt. ' I*.reale .
buon argomento di conversazione. In sostanza io pro- onlo che
ciascuno ili noi. per turno a destra, dica le Foladi Eros, come può
meglio, e sia il primo ladro, non Tolo perchè egli occupa il primo posto,
ma anche uerchè egli è il padre del discorso. ^Nessuno,
Erissimaco, disse Socrate, voterà contro la proposta, Nè potrei certo
oppormi» io, che di¬ chiaro di non esser competente in altro che m
cose d’amore: nè vi si opporranno Agatone e Pausatila e tanto meno
Aristofane, la cui vita è tutta cosi pro¬ fondamente devota a Dioniso ed
Afrodite, o qualche altro di quelli che vedo qui presenti. Senza
dubbio, la partita non è uguale per noi che siamo negli ultimi
posti: ma se quelli che ci precedono parleranno esau¬ rientemente e bene,
noi saremo sodisfatti. Dunque, con buona fortuna, inauguri Fedro la serie
dei discorsi e pronunzi l'elogio di Eros. A queste parole
anche gli altri fecero eco e npetet- 178 tero l'invito di Socrate. Ma di
tutto ciò che ognuno disse, nè Aristodemo si rammentava con precisione,
nè io, dal canto mio, di tutto quello che egli mi riferì. Vi dirò
per altro le cose più degne di ricordo e i discorsi, che mi parvero
tali, di ciascuno. VI. — Come dunque dicevo, stando al
racconto d’Aristodemo, Ferirò fu il primo a parlare e cominciò sup¬
pergiù a questo modo: Eros è un grande iddio e ammi¬ rabile tra gli
uomini e tra gli dei, oltreché per tante altre ragioni, soprattutto per
la sua origine. Perchè l’essere tra gli antichi iddìi antichissimo è
cagion d’onore, di¬ ceva, e ne abbiamo la prova. Difatti genitori di Eros
nè vi sono, nè si rammentano da verun prosatore o poeta ; anzi
Esiodo dice (1) che dapprima fu il caos, ma dopo Oea
dall’ampio seno, saldissima, eterna di tutto sede ed Eros ;
(1) Cf. Theog. 116 agg. — 25 e con Esiodo s’accorda
Acusilao (1) noU'afferniaro che dopo il Caos si generassero questi due,
Gea ed Eros. E Parmenide dice della generazione che infra
gl’iddìi tutti Eros concepì per il primo (2). E così da molte
parti si consente che Eros fu tra gli antichi antichissimo. E perchè
antichissimo, è cagione a noi dei più grandi beni. Io infatti non so dire
qual maggior bene possa esservi per chi entri appena nell’età
dell'ado¬ lescenza d’un amante buono, e per l’amante d’nn fan¬
ciullo amato. Giacche ciò che agli uomini deve servir di guida per tutta
la vita, se vogliono nobilmente vivere, questo non valgono ad ispirarlo
altrettanto bene nè la comunanza di sangue, nè gli onori, nè la
ricchezza, ne alcun’altra cosa, quanto l’amore. E che è mai questo
. La vergogna per ciò che è brutto, l’ambizione per ciò che ò
bello, senza le quali nè ad uno Stato, nè ad un privato è possibile
operare grandi c nobili opere. Ebbene io affermo che un uomo che ami, se
fosse sorpreso in atto di commettere qualcosa di brutto o di soffrirla
da un altro senza reagire per vigliaccheria, non s affligge¬ rebbe
tanto ad esser visto nè da suo padre, nè dai com¬ pagni, nè da nessun
altro, quanto dal suo diletto fanciullo. Così del pari vediamo che anche
1 amato si vergogna soprattutto degli amanti, ove sia sorpreso a
commettere qualcosa di brutto. Se dunque ci fosso modo d avere uno
Stato o un esercito composto damanti e damati, non potrebbe esserci per
la loro città miglior governo ì costoro, perciocché «'asterrebbero da
ogni cosa turpe e gareggiherò di virtù fra loro (3); e combattendo
gb 171» (1) Acusilao d’Argo ora uu logografo
contemporaneo delle guerre persiane, autore di ' Genealogie \
(2) Questo Torso faceva parto del poema llspì cpoactofi Sulla
natura > del grande Hlosofo di Elea, fiorito tra la fino del vi e il
principio del v s. a. 0. Cf. Dirla, Forsokr. P P- 1U2. 13.
(3) Lottoralmento: So dunque si trovasse modo ohe oi fosso uno
stato O un esercito d’amnuti o d’amati, non potrebbero governar meglio
la propria citta, elio astenendosi da tutto lo cose brutte e gareggiando
fra loro eoe. _ 26 — £ sLo non possa
animare d’un divino coraggio cosi da renderlo pari all'uomo più di sua natura
vaio .roso>. E QU el che Omero dice (1): avere un dio ispnato
l'ardire in taluni eroi, questo appunto per virtù propiia Eros l’effettua
negli amanti. YII. _ Ed .infatti solo quelli che amano son pront
i a morire in cambio d’un altro; nè soltanto gli uomini, ma
anche le donne. E di questo ci offre, a noi Elioni, una testimonianza
bastevole la figliuola di Pelia, Alcé- stide (2). che fu sola a voler
dare la propria ruta in cambio di quella del marito,, sebbene questi
avesse e padre e madre tuttora viventi. Ma costoro per virtù d’amore
ella li sopravanzo tanto nell affetto, da farli apparire degli estranei
al figliuolo e legati a lui unicamente di nome. E per aver fatto ciò
parve non solo agli uomini, ina anche agli dei che avesse fatto cosa
tanto bella, che quantunque molti avesser compiuto molte belle
azioni, a ben pochi gli dei concessero questo premio, di richia¬
marne l'anima dall’Ade; ma quella di lei la richiamarono, ammirati di ciò
ch’ella aveva fatto; tanto altamente ono¬ rano anco gl’iddii un amore
profondo e virtuoso! Invece rimandarmi via dall’Ade a mani vuote Orfeo
d’Eagro, dopo (riavergli mostrato il fantasima della moglie, pei'
la quale egli 'era sceso laggiù, senza per altro dargli la donna,
perchè parve loro circi mancasse di coraggio, da quel citaredo ch’egli
era, e non gli bastasse l’animo d’affron¬ tare per amore la morte, come
Alcéstide, ma s’ingegnasse da vivo di penetrare nell’Ade. E però lo
punirono, fa - (1) h un modo <11 dire elio ricorro più volto
nei poemi muorici. (2) l.u devozione di questo, eroina verso 11
marito forma il soggetto (Cuna tragedia d’Euripidc, intitolata appunto ‘
Alcéstide dolo morire per mano di donne. Al contrario,
onora¬ rono Achille, il tiglio di Tétide, e gli assegnarono un posto
nell’isole dei beati, perchè, sebbene avvertito dalla madre ohe sarebbe
morto come .avesse ucciso Ettore, laddove. ciò non avesse fatto,
ritornato a casa, vi sarebbe finito di vecchiezza; egli, bramoso di
correre alla riscossa dell’amante Patroclo e vendicarlo, osò non solo di
morire ner lui ma di soprammorire a lui estinto. Ond anche, gli
> dei compresi di viva ammirazione, gli concessero un onore
addirittura segnalato, (lacchè aveva mostrato di tenere in così alto
pregio l’amante. Ed Esclnlo vaneggia, oliando afferma che Achille era
l'amante di Patroclo (1). Achille era più bello non solo di Patroclo, ma
(li tutti quanti gli altri eroi, ed era ancora imberbe, e per
giunta più movane di molto, come dice Omero. Gli e che in realtà,
se gli dei onorano singolarmente questa virtù dell’amare, essi tuttavia
ammirano e pregiano e ricom¬ pensano più largamente la devozione dell
amato pei l'amante, che non quella dell’amante per ornato L’amante
infatti è qualcosa di più divino dell amato, perchè posseduto dal dio. E
perciò appunto gli dei ono¬ rarono Achille a preferenza d’Aleéstide,
assegnandoci un posto nell’isole dei beati. . Per conto mio,
adunque, concludo che Eios e t a gli dei il più antico, il più augusto,
il piu capace di rendere virtuosi e felici gli uomini, così in vita come
m morte. Vili. — Questo a un dipresso, disse Aristodemo,
il discorso di Fedro. Altri ne seguirono (lei quali non si
rammentava bene e che omise, e passo al discorso di Pansaaia, che parlò
così: A me pare che non ci si sta pn>- pitocon chiarezza il tema del
discorso, quando se detto, così senz’altro, di pronunziare 1 elogio di
Eros. s.e Eios non fosse che un solo, via, la cosa potrebbe andare, (
ìa ecco, esso, non è un solo, e non essendo un solo, e più (1)
Accenno iul una traspaia perduta-, intitolata ‘I Mirmldom , nella quale
talune espressioni allettilo» d'Achille erano da alcun, mterpro- tate
conio qui si complaco d‘interpretarle I«edro. — 28
— criusfo che si fissi in precedenza quale sabbia a lodare,
fo dmu e mi proverò a rimetter le cose a> posto, a due aual è l’Eros
che merita lode, c poi a pronunziarne 'ì’elogio in maniera degna
del mime. Tutti infatti sappiamo che Afrodite non è senza Eros. Se
Afro¬ dite fosse una sola, non ci sarebbe che un solo Eros; rail
poiché di Afroditi ce n’è due, due devono essere di necessità anche gli
Erotes. E come non sono due le dee. L’ima è più antica, non ha madre, e
figliuola d Ulano, e però è detta Urania [o celeste]; l’altra è più
giovane, figliuola di Zeus e di Dione e la chiamiamo Pan demos
10 volgare]. Ne consegue perciò clic l'Eros, collabora- lore di
questa, si chiami a buon diritto Pandemos [o volgare] e l'altro Uranio [o
celeste]. E se giusto è elle tutti gli dei si lodino, è pur necessario
provarsi a dire le qualità toccate in aorte a ciascuno dei due.
Perché d'ogni nostro atto può affermarsi questo: che esso di
181 per sé non è nè hello uè brutto. Per esempio, ciò che ora Tioi
facciamo: bere, cantare, discorrere, nessuna di queste cose è di per sè
bella, ma nel fatto divien tale, secondo 11 modo come si fa. Fatta
bene e rettamente diventa bella; non rettamente, brutta. E così anche
l’amare ed Eros non è tutto bello e degno d’esser lodato, ma solo
quello clic nobilmente spinge ad amare. IX. — L’Eros quindi,
collaboratore delTAfrodite vol¬ gare, è veramente volgare, ed opera come
gli vien fatto; e questo è l’Eros che amano gli uomini di animo
basso, fòsforo innanzi l utto amano non meno le donno che i fan¬
ciulli, e poi, pur di quelli che amano, i corpi a preferenza delle anime,
e poi ancora i meno intelligenti che possano, giacché essi non mirano ad
altro, che a sodisfarsi, non importa se bellamente o no. Onde accade loro
ili fare come capita, nello stesso modo il bene e nello stesso modo
il contrario. Perocché quest/Eros trae anche ori¬ gine dalla dea elio è
ben più giovane dell’altra e che dal modo, onde fu generata, partecipa di
femmina e di maschio. L’altro invece é dell’Afrodite celeste, la
quale 1,1 P r 'mo luogo non partecipa di femmina, ma solo di
maschio — ed è questo l’amore dei giovanetti _ e poi — 29
— intica pura (fogni lascivia.. Onde al maschio * pl '‘;! 8Ì
volgono gl’ispirati da questo amore, perchè ;UJP u io-ono quél che è per
natura più forte e piu Intel- f 11 :: ; -Ed anche nello stesso amor pei
fanciulli è pos- u • ■ discernere quei che sono sinceramente mossi
da ' S nesto amore. Giacché essi non amano i fanciulli, se non ?
andò questi comincino a dar segni d’intelligenza, cioè òn lo simulare sul
volto della prima lanugine. Coloro infatti 'che cominciano ad amare da
quel momento, si mostrali disposti, secondo me, a legarsi per tutta la
vita "Giovanotto amato e a viver con esso m comune, non oi-r
dopoché l'abbian tratto in inganno per averlo .sor¬ preso nella sua
inesperienza giovanile, a ridersi di lui e orrore ad altri amori.
Converrebbe anzi che una le^ge vietasse l’amare i fanciulli, affinchè un
grande studio non si spendesse in cosa d’esito incerto, perchè incerta e
la riuscita dei fanciulli, dove vada a riuscire, quanto a vizio e
virtù d’animo e di corpo. Questa legge, è vero, 1 buoni se la impongono
spontaneamente a sè medesimi; nondi¬ meno sarebbe necessario che a ciò
codesti amanti vo ¬ gali fossero anche costretti, come, per quanto è
possi¬ bile, li costringiamo ad astenersi daU'amare le donne di
libera condizione. Poiché sono essi appunto che hanno anche disonorato
l’amore, tanto che alcuni osali di dire che è brutta cosa compiacere agli
amanti. E dicon cosi, perchè hanno dinanzi agli occhi costoro, e vedon
di questi il procedere intempestivo ed ingiusto, laddov e non c’è
cosa che, fatta con decoro e in conformità del co¬ stume. possa
giustamente meritar biasimo. E certo qual sia nelle altre città la
norma (1) enea l’amore, è facile intendere, chò il concetto ne è
semplice. Ma da noi e a Lacedemone essa è varia. Così nell'Elide,
tra’Beoti e dove non son punto esperti nel dire, e senz altio ammesso
come bello il compiacere agli amanti; e nes- 182 (1)
Il testo lui fini la pacala vó|io? ‘ leggoelio compiendo cosi In legge
Boritta, la leggo in senso ristretto, corno l’oplnlou pubblica, la con¬
suetudine, lu nonna, il costumo. Io l’ho tradotta di solito così, ma anello
in qualche caso, nel quale in questo disoorso di Pausania mi son valso
della parola ‘ legge * s’intende olio a questa parola va dato il
significato più. largo cho ha nel greco. — 30
— im0 sia giovane o vecchio, oserebbe tacciarlo di turpe
affinché, credo, non incontrino difficoltà nel per¬ suadentigiovani per
via di ragionamenti metta come sono al parlare. Per contro m molti luoghi
della Ionia e in altri paesi, soggetti ai barbari, la cosa e
ritenuta senz'altro quale una bruttura. Pei barbari, infatti, a
camion delle tirannidi, è brutto questo, non meli che lo studio della
sapienza e della ginnastica, perocché, credo, non conviene ai governanti
che allignino alti sensi nei (invernati e si stringano indissolubili
amicizie e intimità, che, tra tanti altri, è il più meraviglioso effetto,
che si compiace di produrre l'amore. E ciò anche i nostri tiranni
sperimentaron col fatto, cliè l’amore di Aristogitone e l'amicizia
d'Annodio (1), divenuta salda, abbatterono la loro signoria. E,
così, dov’è considerata brutta cosa com¬ piacere agli amanti, ciò si deve
alla malizia dei legis¬ latori, alla prepotenza dei dominanti e alla
viltà dei sog¬ getti; e dove invece fu senz'alcuna eccezione
considerata come cosa bella, alla pigrizia d’animo di chi fece la
legge. Da noi al contrario la consuetudine è assai più bella,
sebbene, come ho detto, non sia, agevole penetrarne lo spirito. — X. —
Chi consideri infatti come sia opinion co¬ mune che allumare di soppiatto
sia preferibile l’amare palesemente e soprattutto i più generosi e i
migliori, per quanto mori leggiadri d’aspetto, e come per converso
l’amante abbia da tutti mirabile incoraggiamento ad amare, non come chi
faccia qualcosa di brutto, e sia tenuto in gran conto chi conquista e
deriso chi si lascia sfuggire la preda, e come nel tentar di siffatte
conquiste i nostri costumi abbian concesso all’amante d’aver lode,
anche se l'accia cose sbalorditive e tali, che se uno osasse farlo per
correr dietro a qualunque altro oggetto e per 183 conseguire qualunque altro
scopo, aH’infuori di questo, ne raccoglierebbe i maggiori biasimi... (2)
se, ad esempio, per ottener danari da qualcuno o un pubblico ufficio
o (1) Ad Armodlo c Artotogitone, 1 famosi tirannicidi, l’opinione
colmino degli Ateniesi attribuiva la cacciata dei Plsistratldi.
Cd) Qui il lesto ha <ptXoooiplas ’ da parto della lllosolln ’. clic la
maggior l'arto dogli editori, compreso il Burnct, s’accordami u
considerare corno un aggiuuta arbitraria o orrore dei copiati.
. 31 — disiasi altro potere uno s ^J^ e
Uc e con gli amati gli amputi, ^ ^ menti e dormono ° e
<rano e supplicano eg ;. rosi delle servitù quali Suanzi alle
porte e serron ™ dal fare BÌ ffatte cose nessun servo; ei saiebbe
nnp^^ ^ ^ rin{accer eb- ei ' iurp n u Mi uni "li
rinfaccereb- e da amici e ila uenuci, cu fiU'^. )f) ammonirebbero e
bere adulazioni e aU ' a .nmnte che faccia tutte arrossirebbero di
ess - 11 fe permesso dal costume queste cose s’accresce grazia,
de> £attì oltre¬ di farle senza biasimo, ‘ ^ che almeno a quanto
modo belli. E quel eh è pmj gU dei perdonano si dice, se anche „i
eHt o amoroso, sosten- di spergiurare perche ‘ e gU nomini
han "ono, non esiste (1). corae la legge di qui
fatto lecita ogni lieenz^ c * credere che nella dice. Da
questo lato, dunque, t (> l’amare e il città nostra si stmii una
P b . padrii preponendo compiacere agli amanti. <1 p lascian
discorrere con dei pedagoghi agli amai , nedagogo, e eoe-
tanei e compagm h vitupera ,^ì vituperano n on son qualcosa
di simile, * ne upur biasimati dai pai d'altronde nè trattenuti 11
"insto... chi badi per anziani, come que che non <■ “ be la
s i ritenga qui l'opposto a tutto ciò, p fecondo me, invece,
la la più brutta cosa del mondo. comc s ’è cosa sta a
questo nioi o. ^ J bella nè brutta; detto in principio, noi 1 ge
bruttamente. I mpure stabile, come colui clic - co», «mw
stabile. Giacché insieme con lo sfiorire < ^ corpo , che
egli amava, v asse no via a volo (2), eliso (!) È un modo
proverbiale olio negli scrittori greci ricorro sotto varie formo.
(2) Reminiscenza omerica; cf. 71. n Tl«
— 32 — norando tanti discorsi e promesse. Ma chi ama
l’indole buona riman costante per la vita, come colui che s’è isi
attaccato a cosa stabile. E costoro appunto il nostro costume vuol
mettere a prova bene e bellamente, e che agli uni si compiaccia, dagli
altri si frigga. E però appunto gli im i esorta a dar la caccia, gli
altri a fuggire, istituendo una gara e mettendo a prova di qual mai sorta
sia l’amante e di quale l’amato. E così, per questo motivo, in
primo luogo il lasciarsi accalappiare subito è ritenuto brutto, affinchè
ci sia di mezzo del tempo, il quale può, sembra, metter bellamente a
prova la maggior parte delle cose; e poi l'essere accalappiato dal danaro
e dalla potenza politica è brutto, sia elle uno, maltrattato, si
avvilisca e non resista, sia che, beneficato di danari o agevolato nelle
faccende pubbliche, non disprezzi. Che nessuna di tali cose par che sia
nè ferma nè stabile; senza due che non può neppur nascere da esse una
generosa amicizia. Sicché, secondo il nostro costume, una sola via
rimane, se all’amante deve bellamente compiacere l’amato. È infatti legge
per noi che, siccome per gli amanti il servii’ volentieri qualunque
servitù agli amati non è, come s’è visto, nè adulazione nè vergogna,
così appunto anche un’altra servitù sola volontaria rimane non
vergognosa, e questa è quella che ha per oggetto la virtù. — XI. —
Perocché presso di noi è ammesso che, ove qualcuno voglia servire un
altro, stimando di poter divenire per via di quello migliore o in
sapienza o in qualsiasi altra parte di virtù, questa servitù
volontaria non è dal canto suo brutta, e non è nemmeno adulazione,
(inde conviene che queste due leggi convergano insieme al medesimo segno,
e quella che ha per oggetto l’amor dei fanciulli e quella che ha per
oggetto l’amore della sapienza e d’ogni altra virtù, se dovrà riuscire a
bene il compiacere dell’amato all’amante. Perchè, quando s'in¬
contrino l’amante e l’amato, ciascuno recando la propria ( gge, 1 uno che
nel prestare qualsiasi servigio al giova- nelio che gli ha compiaciuto,
glielo presti secondo giu- , K lzia ’ * altro che nel concedere qualsiasi
favore a chi o li nde sapiente e buono, glielo conceda secondo giu-
■ s izia, e 1 uno, potente di senno e d’ogni altra virtù,
— 33 — ,. n . i-altro bisognoso di educazione e d’ogni
altra 1U ‘ ne acquisti; allora, queste leggi convergendo S
Tmedésimo segno, in questo caso soltanto accade che nel So òhe l’amato
compiaccia, all’amante-, m ogni sia n0 B in questo caso anche il trovarsi
ingannato In è punto brutto; in tutti gli altri, si sia o no ingan-
i norta vergogna. B cosi, se qualcuno a un amante, nat P r l ricco in
vista della ricchezza avesse com- st S e si trovasse poi ingannato e non
ne cavasse danari perchè l’amante s’è scoperto povero, non sarebbe
d '' ( ,ùesto men brutto, dappoiché un amato siffatto P per quel ch’è in
lui, che in vista del danaro ri kz ‘ srjtfsc ramante,
divenir migliore, si '"ciò nonostante^l’inganno^bello,
perchèa^e qj^per ciò SSfJS ^ H fÌT5| l r^tSenté bello'
compiacere per "Sefò l’amore S&i di gran
pregio e l’amato a porre ogni sono TLSJL * «»•
■*£# m’insegnano a lare di si , ‘ Vvist0 [. ine .
Senoncliè vuto. diceva Azistodemo pa aie ^stob m()tiv0 ,
costui, o per aver mangiato tiojjo P ^ [Uscor . era stato
coltoinetto a destra di lui. c’era il medico iSSSXmA Eri»»», «.co»
» «c « «*>— (1) Vaio a lUro l sofisti c i rotori. :i
Platone — Convito. subito di questo
singhiozzo, o di parlare invece mia, finche non mi sia cessato.
Ed Erissimaco: Ma farò runa cosa e l’altra, rispose. Io parlerò ora
per te. e quando ti sarà cessato il sin¬ ghiozzo, parlerai tu invece mia.
E mentre io patio, se, trattenendo a lungo il respiro, il singhiozzo
vorrà andar¬ sene. < tanto di guadagnato >; se no, fa dei
gargarismi con l’acqua. Che se poi fosse addirittura ostinato,
prendi qualche cosa da solleticarti le narici e cerca di
starnutire. Basta che faccia così una o due volte, e cesserà per
osti¬ nato che sia. . Affrettati dunque a parlare,
disse Aristofane; io se¬ guirò i tuoi suggerimenti. XII. —
Ed Erissinmco disse: Orbene, dal momento che Pausante,, dopo d aver preso
bene le mosse per il ,K6 suo discorso, non l'ha compiuto a dovere, credo
che a me convenga di provarmi a completare il suo discorso. Che
Eros sia doppio, pare a me che egli abbia fatto benis¬ simo a
distinguere; però che esso non sia soltanto negli animi umani rispetto
alle belle persone, ma che abbia molti altri obietti e sia' in altri, nei
corpi di tutti gli animali e nelle piante della terra e, per dirlo in
una parola, in lutti gli esseri, credo d'averlo imparato (bilia
medicina, dalla nostra arte, com’egli sia un dio grande e meraviglioso,
ed estenda il suo potere su tutte le cose umane e divine. E eomincerò,
partendo, dalla medicina, anche per rendere omaggio all’arte. Infatti te
natura dei corpi ha questo doppio Eros, giacché la sanità del corpo
e la malattia sono, per consenso unanime, cosa diversa e dissimile; e il
dissimile desidera ed ama cose dissimili. Altro, dunque, è l’amore che
risiede nel sano, altro quello che risiede nel malato. Ed appunto, come Pausante
di¬ ceva or ora, clic è bello compiacere ai buoni tra gii uomini,
ma brutto ai dissoluti, così anche negli stessi corpi è bello e, conviene
compiacere a ciò che v'è di buono e di sano in ciascun corpo — ed è ciò a
cui si dà nome di medicina — ma' brutto compiacere a ciò che v’è di
cattivo e di morbóso, e si deve negare a questo ogni favore, se si vuol
essere un medico esperto. Perchè la — :sr>
medicina, in sostanza, è la scienza delle tendenze amo¬ rose
del corpo a riempirsi e a vuotarsi; e ohi sa distin¬ guere in esse l’amor
bello dal brutto, costui sarà il pili acuto medico; e chi ù capace di
produrre tal mutamento, che i corpi acquistino l'mi amore in cambio
dell'altro, e in quelli, nei quali non sia amore e dovrebbe esserci,
sappia farlo nascere e da quelli nei quali sia e non dovrebbe >,
espellerlo, questi potrà esser davvero un medico abile. Occorre infatti
che egli possegga la capa cita, di metter d’accordo gli elementi più
avversi, esi¬ stenti nel corpo, e procurare che si amino l'un l'altro.
K avversissimi sono gli elementi affatto contrari, il freddo e il
caldo, l'amaro e il dolce, il secco e l’umido, <■ via dicendo. TC
perchè seppe.ispirare in essi amore e con¬ cordia, Àsclépio (1), il
nostro capostipite, come affermano i nostri poeti, ed io credo,
fondò la nostra scienza, ha medicina, dunque, dicevo, è governata tutta
intera da questo dio; e al pari di essa anche la ginnastica e
l’agricol¬ tura. Quanto alla musica poi è chiarissimo a chiunque W
voglia appena riflettervi, che il caso è affatto identico, c quest o
forse volle dire anche Eraclito, sebbene egli non lo esprima in forma
perspicua. L'uno, egli dico, discor¬ dando con sè medesimo si accorda,
come ar¬ monia d’arco c di lira (2). È difatti un vero assurdo
affermare clic l’armonia discordi o risulti da cose tuttora discordi. Ma
forse egli voleva appunto dir questo: che essa nasce da cose per
l’innanzi discordi, l’acuto e il grave; ma che in seguito si sono
accordate per opera del- l’arte musicale, giacche non è in alcun modo
possibile, clic dall’acuto e dal grave, tuttora discordi, nasca
armonia. (1) Asciò pio o Esoulapìo ora un eroe-modico divenuto
piti tardi un ilio-modico. 1 suoi discendenti, gli Asolcpiadl. tra cui
Krlssimaco pone se medesimo, dovevano essere in origino limi gente
congiunta da legami di sangue, in cui era tradizionale la cognizione e la
pratica della medicina. 1 j0 famiglie di Asclepindi più celebri orano
Quelle di Cos, a cui apparteneva, il grande lppoerate, e di ('nido. Ma in
tempi più recenti tutti i medici, compiacendosi di far risalire al <Uo
la propria genealogia, presero indistin¬ tamente il nomo
d’Asolopiadì. (•>) (’f. DllCl-s, Vorqokr. V p. S7,
.*>1. — 36 — „ ; n certo ino rio
con¬ che è consonanza, e consonanz^ da cose discordanti, senso, e U
consenso non può ^ ^ discorda e non tinche discordino; e d altra P
Così, per esempio, consente nOn può coautore ai ■ ^ da cose
clic anche il ritmo nas f ^^ consentirono poi. E in tutte
discordavano prima, ma ci dalla me dicma, qui e queste cose il
consenso, come 0 concor dia vicen- ! osto dalla musica, che v ispm
‘ la scienza delle devote. E però la — Soffia e’di ritmo. Nella
* tendenze amorose m tatto e dell armonia composizione,
considerata discernere le tendenze e del ritmo non e punto dime
oliando occorra amorose, nè ,ulvi c'6 Mggg't’SflB. con gli
servirsi del ritmo e dell. c h e chiamiamo uomini, o clic si
compong cbe s’adoperino ‘ melopea ’ [creazione musicale] - ° ™ t _
ed è ciò acconciamente melodie • e metri gn ■ ® usioa i e ] — qui.
ohe vien detto ‘ slbi ie artefice. E qui te¬ mati, e affinchè
diventino pm costumati q^rni _ lo sono ancora, Insogna compuie
p^ros celeste, volgare - e questo, a coloro, a cui si somministri,
s ha da sonnninistr .re con molta Cautela, affinché se ne colga il
piacere) 18 ma non ingeneri alcuna intemperata mm nell’arte nostra vai
molto sapersi giovale dei desideri eccitati da una buona cucina in modo
che, senza pro¬ curarsi una malattia, se ne goda il piacere. Cosi,
dunque, e nella musica e nella medicina e in tutte le altre cose,
umane e divine, si deve, per quanto si può, aver riguardo a ciascuno di
questi due Erotes, perche ci sono. 188 XIII. — Poiché anche la
costituzione delle stagioni del¬ l’anno è piena di tutti e due questi
amori; e quando gli elementi, dei quali dianzi parlavo, il caldo e il
freddo, il secco e Tumido, si trovino in una scambievole e ben
rego¬ lata relazione d’amore e s’accordino e si temperino saggia¬
mente, essi vengono apportatori d’nna buona annata e — 37 —
di buona salute, cosi agli uomini, corno agli altri ammali e alle
piante, e non soglion produrre alcun danno. .Ma quando invece, l’Eros
compagno dell’intemperanza pre¬ valga nelle stagioni dell’anno, egli suol
corrompere '• danneggiare molte cose. E da tali cause derivano di
solito e pestilenze e tante altre malattie diverse e negli animali e
nelle piante. Infatti e le brinate e la grandine e la ruggine dei cereali
sono il frutto della sopercliieria e della sregolatezza vicendevole di
cosiffatte tendenze erotiche, la cui scienza rispetto al moto degli astri
e alle stagioni dell’anno prende nome di astronomia. Inolt re tutti
i sacrifizi e quei riti a cui presiede l'arte divina¬ toria — ossia la
scambievole comunione tra gli dei e gl' uomini — non vertono intorno ad
altro, se non intorno alla preservazione ed alla cura di Eros. Giacche
ogni forma d’empietà suol nascere, ove non si compiaccia al¬ l’Eros
ordinato e non gli si renda onore e venerazione in ogni cosa, ma si tenga
in pregio quell altro, cosi nei rapporti coi genitori, vivi e morti, come
nei rapporti con oli dei. Ed appunto osservare siffatti amon (1)
curarli è il compito della divinazione, e la divinazione è a sua volta,
operatrice d’amicizia tra gh elei e gu uomini, perchè sa discernere, tra
le inchnaziom ainc^se deo-li uomini, quante tendano alla giustizia e alla
pietà, "l'osi ogni Eros ha un potere esteso e grande, anzi, iu
una parola, universale, ma quello che, e Pi'esso 'li noi e presso gli
dei, trova il proprio compimento nel buie con temperanza e giustizia,
questo ha il maggmr potere e ci assicura ogni felicità, sicché si possa
viveic in pace fra noi ed essere anche amici di quelli che son ungimii
di noi, degli dei. . , , Porse, in questo elogio di Eros,
anche io ho trala¬ sciato molte cose, ma non l’ho fatto apposta. Se
per altro c’è qualcosa ch’io abbia omesso, tocca a te, A stofane,
di supplirvi. Ma se invece ti frulla per il capo di elogiare altrimenti
il dio, fa pure a tuo modo, che anche il tuo singhiozzo è cessato.
(1) Leggo qui Iponas- — 3S — :3 P=
^V5=Hf Bsfc = - s S 8 Sf 3£ iV'l".-» •■" t“ d
'"" « caso che ti sfugga qualche cosa da lai
-f sawst.*#>r n ;" ’yffes conto ch'io non abbia detto
ciò che ho detto. E non stare a farmi la guardia, perchè temo di tee>
non g. cose da far ridere — questa sarebbe una fortuna, SpSaSl
fleto mm H«». - ma Ufc te *• 1 " d Bravo. Aristofane! hai
tirato il sasso e nascondi la mano (1). Ma bada a’ casi tuoi e parla come
chi lui da render conto delle proprie parole. Quanto a me, se mi
pare, ti lascerò in pace. Xiv._Comunque, caro Erissimaco, disse
Aristofane. io mi propongo di parlare in modo diverso da te e da
Pausania. Io penso che gii uomini non abbiali sentito nè punto nè poco la
potenza di Eros, perche, se la sen¬ tissero. gli dedicherebbero i
maggiori tempi ed altari e gli offrirebbero i maggiori sacrifizi, cosa
che ora non fanno per nulla, mentre è ciò clic si dovrebbe fare a
preferenza di tutto. Eros è infatti tra gli dei il più amico degli
uomini, perchè è il loro protettore e il medico di quei mali, la cui
guarigione sarebbe per il genere umano la maggiore delle felicità, lo
dunque mi studierò d’esporvi la. potenza di lui, e voi ne sarete maestri
agli altri. Ma, innanzi tutto, occorre che impariate quale sia la
natura umana e le sue vicende non liete. Giacché la nostra na¬
ni Il tosto ilice: hai tirato il colpo e ora ricusi di svignartela,
modo proverbialo anch’esso. \ — 39 —
tura non era un tempo la stessa (li oggi, ina tuli altra. In
origine c’eran tre sessi umani, non due, maschio <• femmina soltanto,
come ora, ma ce n era un terzo, clic mrtecipava dell’uno e dell’altro e
che, scomparso oggidì, sopravvive appena nel nome. C’era allora un terzo
sesso., l’andrògino, che di fatto e di nome aveva del maschio e
della femmina, e questo non esiste piu. fuorché nel nome che suona un
oltraggio. Inoltre ogni uomo aveva una figura rotonda, dorso e fianchi
tutt'intorno, quattro braccia, gambe di numero pari alle braccia, su un
collo cilindrico due visi, perfettamente simili tra loro, un unica
I- testa su questi due rósi, posti l’uno in s|so con ramo
all’altro, quattro orecchie, doppie F (ta e ut l resto come si può
supporre da ciò che s e detto, i ari minava anche ritto come ora, in
qualunque direzion _ volesse- e quando si mettevano a correre, quei
uost progenitori, come i giocolieri che a gambe per aria an delle
capriole a ruota, essi, appoggiandosi sui loro otto arti si muovevano
rapidamente, tacendo la.ruota. I ^ poi eran tre e cosiffatti per questa
ragione: «esso maschile traeva origine dal sole il J!; rt
eripà e lrindrórino dalla luna, perche anche questa paitccipa
del itle e della terra. La loro figura dunque era rotonda e cofano^ il
modo di muoversi, appunto^perchi- «m,l ai loro genitori. Avevano vigore e
gagl ardia tel i 1 c„,o -o». a; numi. XV -
A mesto p*H> « s» «#rt «#? consiglio ,,, ciò che ^ « «"
"Jggg; Non sapevan risolversi ad uccido c * N i la
razza) fulminandoli, come i giganti, perche cosi saie - ( 1 ) Oto
«1 Eflolto orano i duo glovonissluil “^“^lonutoto'ùcr llKliuoU di Aloco,
olio dopo dover nca . (H ul)onl t,„ por opera di Erniosi tredici mesi in
uu gran vaso ali von i o. . all * 0sBa tentarono di dare la . . ..
“ essi Omero accenna in 11. V sgg.» Or. - — 40
— „ero venuti a privarsi degli onori e dei sacriti/., umani;
^potevano tollerare che ne facessero d og... sorta, B analmente Zeus,
dopo matura riflessione, disse: « C redo di e -ovato la via. affinchè gli
uomini continuino "a esistere, ma, divenuti più deboli, smettano la
loro tracotanza. Segherò ». disse, « ciascun di loro m due, e S
mentre saranno pii. deboli, ci saranno ad un tempo S utili, perchè
diverranno più numerosi. E cammine¬ ranno ritti su due gambe. Chè, ove
poi seguitino a inso¬ lentire e non vogliano starsene in pace, li segherò
», disse, , ili nuovo in due, cosicché cammineranno su una
gamba sola, a saltelloni (1). » Dette queste parole, venne segando
eli uomini in due, come quelli che tagliali le sorbe per metterle in
conserva, o quelli elio dividon le uova coi capelli. E a misura clic ne
segava uno, ordinava ad Apollo di girargli la faccia e la metà del collo
dalla parte del taglio, acciocché l'uomo,' avendo sotto gli occhi
il proprio taglio, fosse più modesto; e medicargli le altre ferite.
B Apollo girava a ciascuno la faccia in senso opposto, e tirando d’ogni
parte la pelle verso quello ohe ora chiamiamo ventre, come le borse a-
nodo scorsoio, lasciandovi appena una boccuccia, la legava nel
mezzo del ventre, in (pie! punto preciso che chiamano ombelico.
Itti Spianava poi tutte le altre grinze, che orati molte, e
rassettava le costole, servendosi d’uno strumento sup¬ pergiù simile a
quello che adoperano i calzolai per spia¬ nare sulla forma le rughe del
cuoio; ma ne lasciò poche nel ventre e intorno all’ombelico, ricordo
dell’antica pena. Orbene, poiché la creatura umana fu divisa, in due,
cia¬ scuna metà presa dal desiderio dell’altra, le andava in¬
contro, e gittandole le braccia intorno e avviticchiandosi
scambievolmente, nella brama di rinsaldarsi in un unico corpo, tnorivan
di fame e d’inerzia, perchè l’una non voleva far nulla senza dell’altra.
B quando l’una delle (I) Il greco ha àoxop.ià£<ms<; cho vuol
dire propriamente ' saltumlo sminuire' (àox4f). • I.'espressione 6 tolta
ila un giuoco contadinesco del¬ l'Attica. 1 contadini dulia pollo dui
hocco saorllloato a indulso facevano un otre olio riempivano di vino o
ungevano d’olio. Su di usso saltavano con una sola gamba altornaUvamcnlo,
o vinceva old sapova roggorvlsl. * (Unir). — 41
— nielli moriva e l’altra sopravviveva, quella che soprav¬
viveva andava in cerca d'un'altra metà e le si avvin¬ ghiava, sia clic
s’imbattesse nella metà d’una donna in- IL quella appunto elle ora
chiamiamo donna — sia che nella metà d’un uomo; e così morivano.
Mosso pertanto a compassiono. Zeus no escogita un'altra: tra¬ sporta
le loro pudende nella parte anteriore — lino a quel momento anche queste
le avevano avute al difuori, c generavano e partorivano non tra loro, ma
in terra, come le cicale... gliele trasportò dunque così, sul
davanti, e per tal mezzo rese possibile la generazione fra loro, per
mezzo ilei maschio nella femmina, con questo line, che nell’amplesso, ove
un maschio s’incontrasse in una fem¬ mina, generassero e si perpetuasse
la specie; ma. ove invece un maschio s’imbattesse in un maschio,
provas¬ sero sazietà dello stare insieme e smettessero e si vol¬
gessero ad operare e attendessero agli altri doveri della vita. Cosicché
fin da quel momento l’amore vicendevole è innato negli nomini: esso ci
riconduce al nostro essere primitivo, si sforza di fare di due creature
una sola e di risanare così la natura umana. XVI _O'imn di
noi, in conclusione, è una con tre¬ mala d'uomo, in quanto che è
tagliato come le sogliole, è due di uno; c però cerca sempre la propria
contromarca. Quanti sono una fotta di quel sesso comune, che « loia
si diceva andrògino, annui le donne, e la maggmi p. dogli adulteri soli
nati da esso; e cosi pure le donne. sU truggon per gli uomini, e le
adultere provengo., da , u eS e m.aL4 T»l* <!»* 1 ‘“'i
una fetta di donna, non corron dietro agli o, un uà sono piuttosto
inclinate alle donne; e ^ questo appartengono le tribadi. Ma quanti sono
una fe la li maschio, danno la caccia al maschio; e 1 ! ut ' u ' ’ S01
" \ r)j coni, fanciulli, conio parte d’un uiasciuo jpu o gli
uomini e godono a giacere e a starsene abbracciata con gli uomini; e
questi sono tra i fanciulli e tra po'anett i migliori, perchè i piè v ' r
'*' di hno na u . • mancali di quelli clic li chiamano inipudent. ina
uien liscino. Perchè essi non lo fanno per impudenza, ma pei
192 — 42 — baldanza. per coraggio, per virilità
d animo, giacché .si attaccano a ciò che è simile a sé. Ed ecco vene ima
prova decisiva: costoro, a tempo debito, sono 1 soli che ne¬ gano
uomini davvero, adatti alla vita politica. E per¬ venuti all'età virile,
mettono amore al fanciulli; e al matrimonio e alla procreazione dei
figliuoli non si vol¬ gono per inclinazione naturale, ma costretti dalla
legge, chi* anzi per conto loro soli ben contenti di viver sempre
gli uni con gli altri, da scapoli. Per ciò chi è così fatto, diventa un
amante di fanciulli o un amato, perche desi¬ dera sempre ciò che gli è
congenere. E quando poi 1 amante dei fanciulli e chiunque altro
s’incontra in quella sua propria metà d'un tempo, allora son presi d’un
amicizia, d'un intimità, d'un amore meraviglioso, senza volersi se¬
parare gli uni dagli altri, per così dire, nemmeno un istante. E quelli
che vivono insieme tutta la vita son questi, che non saprebbero neppur
dire che cosa vogliono che avvenga loro all’uno per opera dell’altro,
giacché nessuno può credere che ciò che desiderano sia l'uso dei
piaceri amorosi, quasi che in questo debba cercarsi la ragione per cui
provano un così vivo diletto a stare in¬ sieme; ma è evidente che c’è
qualche altra cosa che l'anima di ciascun di loro desidera, qualche
altra cosa che non sa esprimere, ma che sente vagamente e a cui
accenna per vie coperte. E se ad essi nel momento, in cui giacciono
insieme, si presentasse Efesto coi suoi strumenti alla mano e chiedesse loro:
« Che volete, o uomini, che avvenga di voi. alFuno per opera dell’altro 1
? » e mentre e’ sono tuttora indecisi, soggiungesse: « Desi¬ derale
voi, non è vero? soprattutto essere nello stessis¬ simo luogo l’uno con
l’altro in modo da non separarvi mai né notte nè giorno? Ebbene, se è
questo elio desi¬ derate, io voglio rifondervi e riplasmarvi in
un’unica natura, sicché di due diventiate uno, e finché vivrete,
viviate tutti e due in comune, come un essere solo, e anche da morti,
laggiù nell’Ade, non siate, invece di due, elle un morto solo... Guardate
se è questo che amate e se vi basta di conseguir questo... » a udir ciò
sappiamo bene che nessuno, proprio nessuno, risponderebbe di no, nò
mostrerebbe d'aver mai desiderato altro, ma crederebbe _ 43
— 103 nllit0 precisamente quello che egli desiderava
da tlavei i sentirsi unito e fuso con l’amato, e dive- tanto
ten i solo> e la ragione è appunto questa: “ ot0 , eri in
origine la nostra natura, e che eravamo Cb teii 'Ebbene, al desiderio e
alla caccia dell’intero si da n ° U p,-ima "dunque, come dico,
eravamo uno; ma ora per , ..... nequizia siamo stati separati di casa
dalla mano ’ìV’rno còme gli Arcadi da quella dei Lacedemoni
(1). .... ’ ltra che a non essere ossequenti verso gli dei. .
h . 'incontro a venir segati daccapo, e a dover an- d.,re intorno
come le figure scolpite a bassorilievo sulle Se spaccati per il mezzo dei
nasi, divenuti come dei dirti’tagliati in due (2). Ma perciò conviene che
ognuno esorti ogni altro alla pietà verso gli dei, affinché si
evitino : m; di e si conseguano i beni, tenendo presente che Eros è
nostra guida e nostro duce. A lui nessuno vada conilo __ c o-n va contro
chiunque venga m uggia agli dei _ nerchè divenuti amici del dio e vivendo
in buoni termini con lui. troveremo e incontreremo ì nostri propri amati,
il ora capita a pochi. E non sospetti Erissimaco, mettendo L
caiSonatura ì mio discorso, che io alluda a Pausami, cd Agatone — oliò
forse anche essi sono di quelli, e tutti c due maschi per natura - ma
dico avendo di mira tutti e uomini e donne, che m questo modo il
genere nostro troverebbe la sua felicità, se all’amore, e ciascun
di noi, ritornato nell antica natii a, s’imbattesse nel proprio amato. E
se poi qne meglio, ne segue di necessità che di quanto oiaè nostro
potere, il meglio sia ciò che piu vi si avvmuia, e ciò è rincontrarsi in
un amato fatto secondo d piopno “7" Aristofane accenna,
secondo roplnUm.Mplfc £ del 3S5 a. C. Gli Spartani, vinta Mautinea in
Alca , silaggi, della città o la sciolsero, com’era precedutomene,
ci sarebbe Tenuto conto elio il banchetto avrebbe avuto’ “ wlt0j è
n " u è impos- qui un anacronismo. Ma rnUnsiouo non 6 do .
.inlln storia sibilo cho si accenni a qualche altro avvenimento
ante,toro della arcadica. * . „ uim mota, conservata
(2) l dadi talvolta si tagliavano in due, c ua.ci tessera, di rico¬
da duo persone legate da vincoli di ospitalità, seivna noscimeuto
por loro o per lo loro famìglio. — 44 —
che nel presente ^maggiori affidamenti nel proprio; e per 1
prota jftà verso gli -lei, ^ -i. ei render, feUei e
beati. v è p lu io discorso intorno altri due, Agatone e
Socrate. XVII - Farò a modo tuo, disse Erissimaco. perchè il
tuo discorso l'ho ascoltato con piacere. E se non sapessi che Socrate e
Agatone sono addirittura dei maestri m cose d’amore, avrei gran paura
clie non doves ®.® 10 , vaisi a corto d’argomenti, tante cose si son
dette e cosi svariate. Tuttavia ho fiducia in loro. 1 E
Socrate: Ah, sì, Erissimaco, perche tu te la sei cavata egregiamente. Ma
se fossi dove ora son io, o meglio, dove sarò, quando Agatone avrà
parlato da par suo, temeresti anche di più. e saresti su tutte le
spine, còme son ora io. , Ammaliarmi (1) vuoi,-
Socrate, disse Agatone, affinché io mi turbi, immaginandomi che il teatro
deva essere in grande aspettazione, ch'io parli bene. Mio
caro, dovrei esser proprio uno smemorato, rispose Socrate, se dopo di
aver visto con quanto coraggio e con quanta sufficenza salisti sul palco
insieme con gli attori e guardasti in faccia un teatro così affollato, in
pro¬ cinto di dare alla scena i tuoi componimenti (2),.senza
(1) * Vantarsi muove l’Invidia degli uomini; ma l’invidia ha il mal¬
occhio e può ammaliare e turbare senz’altro la persona Invidiata.
Sonouohò anche la lodo esagerata d’un altro (Socrato aveva lodato
Agatone) può suscitare contro costui l’invidia con tutto lo suo tristi
conseguenze. • (Hug). (2) Da questo pasqo si concludo clic il poeta
insieme col suol attori prima della recita si presentava in forma solenne
al pubblico. E sembra del pari elio egli presentasse anche il Coro col
suo corego. Questa ceri¬ monia, detta Ttpoaywv ‘ preludio ’ o '
preparazione al certame ’ drainatico. —- 45 .«s
’rr^zk »s« f ”' iS *S Vuko <l<™« to P“™ '’“ ,,,
»»»>“ * ™“ £Z?X~*. **? *T; Sarei, Agatone, «pnrtese So
bene elio a se io pensassi di te sag gi, saresti più in
imbatterti m atan- la folla . Ma, bada, probabil- pensiero
per loio e 1 1 buon conto, lì anche ne elici 1 ? fi* So
»»« avresti vergogno, ove « ,.eresse .11 fare qualcosa di male?
Affatone, disse, Ma Fedro, interrompendo: .Mio de i se
gli rispondi, Socrate noi > ^ < basta d’aver resto, qualunque
cosa *qui avven & * ^ )( q dovane. :tis: «i? Jgs» -~f *n s*
ss avrà saldato il suo conto col dio, alloia
''""“'"of'VSto; rispose «M e so,, qui pronto . „’Z,
"ó,, 5 monebe.it ,»i Mft. » >»,.vem,»e spesso con Socrate.
XV1II _ Or dunque io vo’ in prima dire come io deva dire, e poscia
dire. Che tutti quelli, i quali han pal¬ late precedentemente, non hanno,
parmi, encomiato dio, bensì la felicità degli uomini Ivan messa m
nlu pei beni, de’ quali il dio 6 ad essi cagione. Ma qual sia
avveniva ncU’Odeon. teatro fatto costruirò da Pericle, e doveva,
com’ò ^supporre. attirare la curiositi! del gran pubblico, ohe
«-interessava così vivamente agli spettacoli teatrali.
— 46 — egli è il più giovane (legl’iddii. E una gran
prova con porge <*' medesimo fuggendo di fuga la vecchiezza. che
pure è così veloce: la ci raggiunge più presto che non dovria! E questa
Eros per natura la detesta e non le si accosta nemmen da lungi. Egli sta
e resta sempre coi giovani, poiché ben dice l'antico adagio che
sciupio simile con simile s’accompagna (1). Ed io, pur consentendo
con Fedro in molte altre cose, in questo non consento: che Eros sia più
vecchio di Crono e di Già- peto (2); affermo anzi ch'egli è tra’ numi il
più giovane, e sempre giovane; e le vecchie storie che Esiodo e
Par¬ menide (3) ci ricantano dcgl’iddii, a’ tempi d Ananke, [della
Necessità] e non di Eros, risalgono, posto pure che quelli ei contino il
vero. Imperocché non ci sarieno state né evirazioni, né ceppi, né tante
altre violenze reciproche, se Eros fosse stato tra loro; ma amicizia e
paco, come ora, dacché Eros regna sugli iddìi. Egli è dunque giovane,
e perdippiù delicato. E ci vorria un poeta quale Omero per mettere
in luce la delicatezza del dio. Omero infatti dice che Ale è dea e delicata
— e delicati almeno dovevano essere i suoi piedi — dicendo egli di
lei: son delicati i piedi, oliò sovra il suolo non mai
muovesi, ma sul capo ella degli uomini incedo (4). MlK
modo proverbialo e allusione ,i nn verso omorlco; cf. Od. XVII ì IS. (
") Ulro modo proverbiale per impennare alla nifi renn.l.i
....Hoi.n;. Minare alla più remota antichità. Mille abbia
ipii in melile Agatone, inc sembra che della delicatezza di
lei una bella ,-ovu sia che ella non cammina sul duro, ma sul tenero,
r -incile noi (li questa medesima prova ci varremo per dimostrare di Eros
circuii è delicato, dappoiché e' non cammina sulla terra, nè sui cxanii,
che non sono davvero tèneri, ma in quel che vita di più tenero al mondo e
cammina e s’annida. Egli infatti e nei costumi e negli ■mimi degl’iddìi e
degli uomini pone sua stanza, e non mica in tutti gli animi, ma ove mai
s’imbatta iti qual- cuno d'indole dura, se ne diparte; ma se tenero è, vi
si •umida. Or poiché adunque egli e co’ piedi e con ogni parte del
corpo tocca sempre quel che ve di più tenero Jra le tenere cose, è
giuocoforza che sia il piu delicato l. > fri (d’iddii. Égli è così il
più giovane e il più delicato-, niu 1- per dippiù flessuoso di forma, che
non gli sana possibile insinuarsi dappertutto, nè penetrar tutta 1
anima, entrandovi la prima volta senza lasciarsi sorprendalo t
uscendone, se duro e’ fosse. Del suo aspetto proporzio¬ nato e flessuoso,
argomento grande è 1 avvenenza che Eros per confession di tutti in grado
eccelso possiedi. chè tra disavvenenza ed Eros è guerra sempre, ha
leg¬ giadria del colorito, il suo viver tra hon la sigillili.,
poiché in quel che fiorente non sia o sui n ’ o anima o
qualsivoglia altra cosa, non risi, de L o . . a ovunque sia un luogo e
ben fiorito e fragranti, (pi 1 e risiede e rimane. XIX _
Della beltà, adunque, del dio e questo o bastante e ancora molto
sopmvanzat .na; seguiia^m ■lei]., v i r tù di Eros mi eonvien dopo no dm.
lai < ■ ' i . h ini che nè fa nò soffre ingiustizia, ni da
sano vanto (Il Pii CHI violenza. Pio nè -1 dio nò da uomo nè
ad uomo. Nè già p i ' «'li nzu e so fre se qualcosa so.Vre - chè
violenza noi tango, u si concede a volente, le leggi, «fello Stato
u D). h-n elle è ('insto. E oltreché della giustizia c
partecipa della maggior temperanza. S’ammette infatti che lem-
in . Molatori» georgiana. evidóulomoilto una eluizioni'.
(Unir). — 4S — paranza sia il signoreggiar
piaceri e desideri, e clic di Eros verun piacere sia più potente. Or se
meno potenti, è ovvio che sien vinti da Eros, ed egli vinca; e
vincendo piaceri e desideri, Eros in sommo grado temperante esser
deve. E per fermo, quanto a coraggio, ad Eros neppur Ares contrasta (1).
poiché non Ares possiede Eros, ma Eros Ares — amor d’Afrodite, come è
fama — e ehi possiede è più possente di chi è posseduto, e chi
vince l'iddio più valoroso di tutti gli altri, e’ dev’essere il più
valoroso di tutti. Ho detto della giustizia, della temperanza, del
co¬ raggio del dio; a dir mi rimane della sapienza, e per quanto è
possibile, m’ingegnerò di non fallire alla prova. E in primo luogo,
perchè dal canto mio anch’io renda alla nostra arte omaggio, come alla
sua Erissimaco, poeta è l'iddio, sapiente così, da render anco gli altri poeti.
Ohè ognuno poeta diventa, quand’anche prima di ogni Musa schivo (2), cui
Eros tocchi. Della qual virtù convienci usare a documento che Eros, a dir
breve, è poeta valente in qualsivoglia genere di creazione che
attenga alle Muse, dappoiché quel che non si ha o non si sa. nemmeno ad
altri non si può dare o insegnare. E invero la creazion degli animali
tutti chi niegherà che sia sapienza di Eros, mercè la quale tutti gli
animali e nascono e si generano! E quanto alla pratica delle arti,
non sappiam noi forse che colui, al quale questo iddio sia divenuto
maestro, famoso diviene ed illustre; e chi per converso da Eros non sia
stato mai tocco, rimansi oscuro! L’arti del saettare, del curare e del
divinare ritrovò Apollo, scorto dal desiderio e dall’amore, sicché
anch’egli dir si può scolare d’Eros. E alle Muse fu maestro dell’arte
musicale, ad Efesto di quella dei metalli, ad Atena del tessere, a Zeus
di governar numi e mor¬ tali (3). Laonde anche nelle faccende degl’iddii
si mise ordine, poiché vi si fu generato Eros, amore evidente-
(1) Da uu verso del ‘Tlesto ’ di Sofocle; cf. Nauck, Tran. Or.
Fraomm.* framin. 235 p. 180. (2) Da un verso della ‘Stonoboa’
d’Eurlpido; cf. Naucic, Tran. Or. Fraumm.* framm. 063 p. 569.
(3) Verso giambico probabilmente d’un tragico.
— 49 — meniti; di bellezza — che del brutto non è amore —
laddove per l’innanzi, come da principio ho detto, molte e terribili
cose, a quanto si narra, fra' numi awemano, pr x c i ie vi regnava
Ananlce. Ma dappoiché questo iddio ebbe nascimento, dall’amore per le
cose belle ogni bene nrovenne e agli iddìi e agli uomini. 1 E
così panni, Fedro, che Eros, essendo egli per il minio bellissimo e
ottimo, sia dipoi agli altri cagione di Stri cosiffatti doni. Ed ei mi
salta in mente di aggiunger qualcosa in versi, dicendo che questi è colia
il quale ivice tra gli uomini reca, nell' ampio mare bonaccia
calma, riposo ai venti; nel duolo conforto di sonno. Questi (Fogni
sentimento ci vuota che ci strania, d ogai sentimento ci empie che ci
affratella; tali e tonti convegni lri istituito per ravvicinarci, nelle
solennità, ne con. n sacìihzi facendosi nostra guida; di mitezza
ispiratore di rustichezza espulsore; prodigo di benevolenza, avaro
malevolenza; propizio, buono; spettabile ai sapienti, vene¬ rabile
agl’iddii; segno d’invidia per chi noi possiede, cu* Sosa di chi il
possiede; di voluttà, di mollezza di del - catezza, di grazie, di desio,
di brama padre; cmant^dc buoni non curante dei tristi; nei travagli, mu
pin^n nelle brame, nei discorsi timoniere, soldato, commilitone ( )
« xr„“fr!ito-VSlso * ...io .<*> L, i» A « •>»«”.
*" ir*-. — u " si poteva, di misurata serietà
temperato. XX. - Quando Agatone ebbe fluito, diceva.Ariate-
demo, lutti i presenti proruppero ni applausi, lasciai ,n Vò *
snidato' nò 'marinalo - equivalgono a iitlPiWQS d» 1 tosto, a llanco
il’un altro ’. 198 •1 Platone — Convito.
— 50 — intendere che il giovane aveva discorso in
maniera, degna- di sé e del dio. Al che Socrate, volgendosi ad
Erisslmaco: O figliuolo d’Actìmeno, disse, ti pare che poco fa io
te¬ messi d'un timore da non temere, o non fossi piuttosto profeta,
quando dicevo quel che dicevo poc’anzi: che Agatone avrebbe parlato
mirabilmente, ed io mi sarei trovato in impaccio? Per un
verso, sì, rispose Erissimaco, lo riconosco, sei stato profeta, che
Agatone avrebbe parlato bene; ma quanto a-1 tuo impaccio, via, non ci
credo. E come mai, beato uomo, riprese Socrate, non dovrei
trovarmi ìd impaccio io e chiunque altro sul punto di parlare dopo la
recita d’un discorso così bello e così varia mente adorno? Certo non
tutti i punti sono stati egual¬ mente stupendi; ma, nella chiusa chi di
noi non è rimasto addirittura intontito dalla bellezza delle parole e
delle frasi? Per me, considerato che non potrò dir nulla che s’av¬
vicini appena per bellezza a ciò che egli ha detto, quasi quasi per
vergogna me ne sarei scappato, se avessi potuto. Il suo discorso infatti
mi ha richiamato alla mente Gorgia, tanto che m’è occorso quel che dice
Omero: ho temuto, cioè, che alla fine Agatone nel discorrere non
scaraven¬ tasse contro il mio discorso la testa di Gorgia (1), par¬
latore da far paura, e mi pietrificasse, ammutolendomi. E mi sono accorto
allora quanto ero stato ridicolo, allorché avevo preso con voi l’impegno
di fare a mia volta l’elogio di Eros e dichiarato d’esser competente
in cose d’amore io, e lo vedo, che non so nemmeno come s’ha da fare
l’elogio d’una cosa qualunque. Giacché io, nella mia dappocaggine,
ritenevo che nell’elogio di qualsiasi cosa non si dovesse dire che il
vero e che questo dovesse essere il fondo del discorso, salvo a
sce¬ gliere Ira- le cose vere le più belle e metterle in mostra nel
miglior modo possibile. E presumevo assai di me nella fiducia di parlar
bene, convinto di saper la verità sul modo di lodare qualsiasi cosa. Ma
ora credo d’accor- (1) Allusione a mi luogo dell” O di seca ’ (XI
032 sg.). Ulisse, sceso nell’Ade, temo per un momento che Persofono non
mandi contro di lui la testa della Gòrgóne o Gorgo. Scherzo sulla
somiglianza di nome tra Gorgo e Gorgia, il famoso sofista.
— 51 — germi che noti è questo il modo di
lodar bene una cosa, bensì l’attribuirle i maggiori e i più bei pregi
possibili, li abbia o no; se poi sono falsi, che importai
Dev’essersi infatti proposto, se non erro, che ciascun di noi finga
di pronunziare l’elogio d’Eros, non che lo pronunzi davvero.
E perciò appunto, credo, razzolando da ogni parte, avete attribuito
ogni pregio ad Eros e detto ch’egli è così e così, e autore di tali e
tanti beni, affinché appaia bellis- 199 simo ed ottimo, evidentemente a
chi non sa — non certo a chi sa — e cosi l’elogio assume un aspetto bello
e venerabile. Io, senza dubbio, ignoravo il modo di tesser l'elogio, e,
ignorandolo, presi impegno con voi che a mia volta avrei anch’io lodato
Eros. Ma la lingua promise, la mente no (1). Dunque, addio elogio! Io non
vi seguirò su questa via — perchè non potrei — quésto è sicuro; ma,
comunque, la verità, se volete, ve la dirò, a modo mio. senza gareggiare
coi vostri discorsi, per non far ridere a mie spese. Vedi, dunque, Ecdro,
se mai anche questa forma di discorso ti accomodi: sentir dire, la
verità intorno ad Eros con quelle parole e con quella disposizione di
frasi che mi verranno per le prime sulle labbra. Fedro e gli
altri, raccontava Aristodemo, approvarono che dicesse pure come gli
pareva di dover dire, Ubera¬ mente. . . ,. E allora, Socrate
aggiunse, Fedro mio, permettimi di rivolgere qualche interrogazioncella
ad Agatone, affinchè, ottenuto il suo assenso, io cominci a
parlare. Ma sì, rispose Fedro, te lo permetto; interroga
pure. E dopo ciò, continuava Aristodemo. Socrate cominciò
suppergiù a questo modo: XXI. — Senza dubbio, mio caro Agatone, tu
ti sei aperta bene, secondo me, la via nel tuo discorso, dicendo
che ti conveniva prima mostrare quale è mai Eros, e dopo lo opere di lui.
E questo principio nr è piaciuto assai. Orbene, via, poiché d’Eros, per
tutto il resto, hai esposto in forma bella e magnifica quale egli è,
dimmi ancora (1) Allusione ad un verso (612) famoso dell’ 4
Ippolito* di Euripide. — 52 — 200
,mosto- se eoli è tale che sia amor di qualcuno, di;qualche v r»,7u«i
F bada* non domando se è di madre o £ Bros è eros di madre o di
padre D - ma fa conto, come Te a-proposito d’un padre io ti chiedessi
proprio questoT s’egli è padre di qualcuno o no. A volemu risponder
bene, mi diresti certo, che d padre è padre d'nn figlio o dima figlia. O
no 1 Ma certo, disse Agatone. E non diresti altrettanto
della madre? E Alatone consentì egualmente. Ancora,
soggiunse Socrate, qualche altra risposta, affinchè tu veda meglio ciò
che desidero. Se ti chiedessi, per esempio: E dimmi: un fratello, ili
quanto fratello, è fratello di qualcuno, o no? Ma sì,
rispose. ,, „ „ È fratello, non è vero, d’un fratello o d una
sorella. Appunto, disse. Via, provati a dirmi anche
dell’amore: Eros e amore di qualche cosa o di nulla? Di
qualche cosa, senza dubbio. Ebbene, questo ili che cosa tientelo
dentro di te, ma rammentatene, riprese Socrate. J?er ora dimmi
soltanto, se Eros, quello di cui è amore, lo desideri o no?
Ma si, rispose. E ciò che egli desidera ed ama, lo desidera
perche lo ha o perchè non lo ha? Perchè non lo ha, è
naturale. Rifletti, disse Socrate, se, più che naturale, non
sia addirittura necessario clic il desiderare sia un desiderare ciò
di cui si manca, o non desiderare, ove non si manchi. (1) Poiché
in epe)£ UVÓ£ ‘amor (li qualcuno’ o ‘di qualcosa’ il •uve*? può aver
valore tanto soggettivo, quanto oggottlvo Socrate chiarirà con esempi che
egli ha inteso darò a xtvó; il valore di genitivo oggettivo. Ma siccome
d’altro lato w Epitì£ xivòg potrebbe anche ossoro scambiato con un
genitivo d’origine (‘ Eros tìglio di qualcuno ’), Socrate vuole
olirainaro anche quest’altro equivoco. In sostanza egli, paro, vuol dir
questo: Io ti do¬ mando, non già se Eros ò amato da qualcuno o ò figlio
ili qualcuno, ma se egli ama qualcuno o qualche cosa. Ma il luogo, non
Tacilo, ò stato varia¬ mente discusso, e si può prestare audio a qualche
altra Interpretazione. — 53 — Io almeno,
Agatone mio, credo fermamente che, .sia addi¬ rittura necessario. E
tal Anch'io, disse. Va bene. E per conseguenza può mai
esserci qualcuno che voglia essere grande, mentre è grande, c
forte, mentre è forte 1 ? Non è possibile, dopo le nostre
premesse. Non può infatti essere manchevole di queste doti chi
già le possiede. È vero. Perchè, se chi è forte
volesse esser forte, seguito So¬ crate e veloce chi è veloce, e sano chi
è sano... poiché forse qualcuno potrebbe credere che queste qualità e
tutte le altre simili coloro che son tali e le hanno, desiderino
ancora quello stesse cose che già hanno, insisto su questo punto,
affinchè non si sia tratti in inganno... si u rifletti, caro Agatone,
costoro devono per necessita avere in quel momento ciascuna delle qualità
che hanno. 1 vogliano o no; e queste olii mai potrebbe desiderarle?
Ma allorché qualcuno dice: « Io. essendo sano, Aesid di esser sano, ed
essendo ricco, desidero d esser ricco; e desidero appunto queste cose che
ho->, noi gh possiamo rispondere: « Tu, amico, possedendo ricchezze,
salute c forza desideri di possedere queste cose anche m a" 1
®- perchè in questo momento, che tu lo voglia o no tu le hai.
Guarda dunque, se, quando tu dici: Desidero le cose presenti, tu non
voglia dire altro che questo: D^deio che le cose che ora ho mi sieno
conservate anche tempo avvenire. » E potrebbe egli negarlo?
Al che Agatone rispose assentendo. • Orbene, seguitò Socrate,
e questo non e appunto annue quel che non ancora si ha sotto mano, nè si
possiede: il voler conservare e possedere anche nell avvenne
medesime cose? Certamente, disse. . . E quindi costui
ed ogni altro che desideri, di suit i. ciò che non ha sotto mano e
non possiede m quel mo¬ mento; e ciò che non ha, o che egli stesso non e
e che gli manca, questo è precisamente quello di cui è il
desiderici e l’amore? — 54 —•
201 Niun dubbio, rispose. . Suvvia dunque, disse
Socrate, riassumiamo le nostre conclusioni. Prima di tutto Eros è forse
altro che amore di certe cose, e poi amore di quelle cose, delle
quali soffra difetto? Non è altro, rispose.
Di più ricordati di che cosa nel tuo discorso hai detto che Eros
fosse amore. Se vuoi, te lo rammenterò io. Credo che tu abbia detto
suppergiù cosi: che nelle fac¬ cende degli dei fu messo ordine mediante 1
amore del bello, chè non può esserci amore del brutto. Non hai
detto suppergiù così? Infatti, rispose Agatone, così ho
detto. E sta bene, amico mio, riprese Socrate. Ma se e cosi.
Eros non sarà altro che aurore di bellezza, non mai di bruttezza?
Agatone rispose di sì. O non s’è convenuto che quello di cui
uno è manche¬ vole e che non ha, questo egli ama? Certo,
disse. Dunque Eros è manchevole di bellezza e non l’ha?
Necessariamente, rispose. Ma dunque? Ciò che è manchevole di
bellezza e non possiede punto bellezza, dirai che è bello?
Ah, no! E se è così, continuerai a sostenere che Eros è
bello? E Agatone: Temo, Socrate, di non aver inteso nulla di
ciò che ho detto poc’anzi. Eppure hai parlato splendidamente,
Agatone mio. Ma dimmi un’altra cosuccia: ciò che è buono, non pare
a te anche bello? A me, sì. Se per conseguenza Eros è
manchevole di bel¬ lezza, e se bontà è bellezza, sarà anche
manchevole di bontà. Per me, Socrate, non posso contradirti:
sia puro come tu dici. Mio diletto Agatone, è la verità
quella a cui non puoi contradire, chè contradire a Socrate non è
punto diffìcile. — 55 — vxil — Ed
ora lascerò in pace te, e vi riferirò su VrnH li discorso che un giorno
udii da una donna di Man- tiuea Diotima (1), che in questo era sapiente,
come in tante' altre cose, e agli Ateniesi prima della peste
suggerì saer iflzi che ritardarono di dieci anni il male, e fu
"iella appunto che ammaestrò me pure in cose d’amore... nuel
discorso, dico, che ella mi tenne, procurerò di espor¬ celo movendo dai
punti concordati tra me ed Aga¬ tone per conto mio, come posso. E bisogna
natural¬ mente, Agatone, come tu hai aperto la via, chiarire per
mima cosa chi sia Eros e quale, e poi le opere di lui. B mi pare
che il modo più spiccio sia chiarirlo come quella forestiera fece,
interrogandomi. Suppergiù anche io dicevo a lei delle cose simili a
quelle che Agatone di¬ ceva a me poc’anzi: che Eros fosse un gran dio e
fosse amor di bellezza. Ma ella mi convinse del contrario con
quelle stesse ragioni con cui io ho convinto costui, dimo¬ strandomi che
secondo il mio discorso Eros non e nè bello nè buono. , „
Ed io: Come dici, Diotima? Eros e dunque brutto e ^ Ed ella:
Parla, ti prego, con reverenza, disse. O credi che quello che non è
bello, debba necessariamente esser brutto? Senza
dubbio. . . on2 E allora anche quello che non è sapiente sarà
gn Tante? E non t’avvedi che c’è qualcosa di mezzo tra sapienza e
ignoranza? E che cosa? , . L’opinar rettamente, anche
senza poterne rende < - gione, non sai, disse, che non è nè sapore —
perchè ciò (1) È un personaggio; storino o addirittura fittalo» Il
non esserci di lei alcun ricordo o. per tacer d’altro, il nomo stesso,
che vaio - onorata da Zeus corno la patria Mantinoa, che paro alluda alla
montica, a ”to divi¬ natoria escluderebbero la prima ipotesi. Ma, fu
osservato, non potrebbe esser IpTtóa in Atene alcuni anni prima della
guerra del Peloponneso e della pestilenza che afflisse la città, una
sacerdotessa straulera <U molta reputazione (comunque chiamata), che
avesse suggerito agli Ateniesi del sacrifizi o Intorno al oul nomo si
fosse formata poi la leggenda, a cui accenna Platone?
— 56 —- israr»jsìs.' - * <- *. >'*»*”<» ■»
S£ opMm« ; un cbe .li mezzo t» «**»»» e . 6 „or,,»n. Non
Attingere dunque ciò die uon è bello ad esser brutto nè ciò che non è
buono ad esser cattivo. E cosi aule Eros, poiché tu stesso convieni che
non è ne buono nè bello, non per questo devi credere che egli sia di
neces- shà brutto e cattivo, ma qualcosa di ^ Eppure,
osservai, si conviene da tutti che egli ^Da^tutti, vuoi dire,
quelli che non sanno, o anche quelli che sanno’? Da tutti,
senza eccezione, si capisce. Ed ella, ridendo: E come mai, disse,
Socrate, si po¬ trebbe convenire che egli sia un gran dio da quelli
che negan perfino che egli sia dio ? E chi sono costoro?
chiesi. Uno sei .tu, rispose, ed una io. Ed io: Ma come
puoi affermar codesto? Ed ella: Facilmente, rispose. Dimmi: non
dici tu che tutti gli dei sono beati e belli? O oseresti dire che
qual¬ cuno degli dei non è nè bello nè beato? Per Zeus, io no
davvero, risposi. E non chiami tu beati quelli che posseggono
bontà e bellezza? Certamente. E non hai ammesso
che Eros, perchè manca di bontà e di bellezza, desidera queste qualità,
delle quali è man¬ chevole? L’ho ammesso, è vero.
E come potrebbe essere un dio chi è privo di bellezza e di
bontà? In nessun modo, mi pare. Vedi dunque che tu pure
ritieni che Eros non è un dio. XXIII. — E cosi, dissi, che. cosa
mai sarebbe Eros? Un mortale? Nemmen per idea.
un che di mezzo tra il 2C Ma
allora, che cosa f ( ’oine nel caso precedente, t „le e
rimmortale. peroni tatto rii, * » qmloooo « «-» « 11
*> » “W*- I F chiesi, qual è il suo poterei . .
l’essere interprete e messaggero dagli uomnu agli , ó ? daS dei agh
nomini, degli uni recando le preginole II nvifizi degli altri gli
ordini e le ricompense dei *a- e Stando nel mezzo degli uni e degli
altri, lo riempie eri iz , • , | trovi collegato in sè medesimo. Atti
a- “i’o/lÌ 3 S l’arte «Mi . 7T?.r.Sfy.nir oi tacrifltì,
alle WriHtah Sol ™tl g e egei rapporto eri ogni colavo e
a E Cl chS 0 8U0 padre, chiesi, e cln sua mato ^ La storia è un po’
lunga, a rartela. Quando nacque .Afrodite, * di Metia [Sa-
banchetto, e tra gli altri anche ì ^l ^ occo gacia], Poh» [
Ac ^® to ^'°“ mend icare, come avviene sr-V? èrt»*
buttato a dormire. Allena Pema, n . ge a gìacere povertà
d’avere un hglmo ° < • h,’ Q E p PV questo accanto a lui e
divenne n t tl S cV Afrodite, perchè appunto egli è anche seguace e
>n perc hè da natura «ito e bello, come generalmente si crede, e
an V — 58 — ilzo, senzatetto,
uso a dormire sulla nuda coperte, dinanzi alle porte, a cielo
aperto, * .. -, _l.vll.i no ri «11 n ini covi Q
tendere insidie ai belli e ai buoni, coraggioso, temerario, impetuoso,
cacciatore terribile, sempre occupato a pre¬ parar lacciuoli, avido
d’intendere, ricco d espedienti, de¬ dito a filosofare per tutta la vita,
ciurmadore, mago e solista insuperabile. E di sua natura non è nè
immortalo nè mortale, ma a volte, nello stesso giorno, germoglia e
vive, quando tutto gli va a vele gonfie; a volte muoie e poi, data la
natura del padre, rivive daccapo, e spreca sempre tutto quel che
guadagna, sicché non è mai ne povero nè ricco, e d'altro lato tiene il
mezzo tra la sa¬ pienza e l'ignoranza. E s’intende: degli dei nessuno
lilo- 204 soleggia o desidera di divenir sapiente —- perchè è già
tale — e se e'è altri sapiente,. non filosofeggia nem¬ meno. Ma,
d’altronde, neppur gl’ignoranti filosofeg¬ giano o desiderano di diventar
sapienti. Giacché proprio questo è il guaio dell’ignoranza: che chi non è
nè ammodo nè saggio s'illude d’essere un uomo che basti a sè
medesimo. E chi non crede d’esser manchevole non desidera nemmen per
sogno quello di cui non crede di mancare. E chi. Diotima,
diss’io, son quelli che si volgono alla filosofia, se non sono nè i
sapienti nè gl’ignoranti? Codesto, rispose, dovrebbe esser
manifesto perfino ad un ragazzo: son quelli che tengono il mezzo tra gli
uni e gli altri; e tra questi è anche Eros. Perchè la sapienza è
tra Io cose più belle, ed Eros è amore del bello, sicché necessariamente
Eros deve aspirare alla sapienza, deve esser filosofo, e come filosofo
tenere il mezzo tra sapiente e ignorante. E anche questo gli vien dalla
nascita, giacché egli è di padre sapiente e ricco, ma di madre nò
sapiente nè ricca. Questa, mio caro Socrate, è la natura del dè¬
mone. Che tu poi fi fossi immaginato Eros come te lo eri immaginato,
nessuna meraviglia: tu avevi creduto, se non m'inganno, a giudicarne da
quel che dici, che Eros fosse l’amato, non l’amante, e però penso che
Eros fi paresse bellissimo, perchè difatti ciò che è degno di
— 59 — è il realmente bello, delicato, perfetto e
tale da aU '° rsi beato Ma l’amante ba tutt’altro aspetto, e pre¬
cisamente quello che t’ho ritratto. _ Ed io dissi: Sia pure,
ospite; che infin dei conti'' tu ragioni bene. Ma se Eros è tale,
che utile reca agU CodTsto, ? disse, Socrate, mi proverò
d’insegnartelo fra lin00 intanto Eros è tale e nato a questo modo, ed
e di bellezza, come tu dici. Ora se qualcuno ci do¬ mandasse: « Che
cosa vuol dire, Socrate e Diotima, Eros di bellezza? » O più chiaramente:
Chi ama ama il bello, e che ama? Ed io: Possederlo,
risposi. Ma, soggiunse, la tua risposta chiama quest altra
do¬ manda: Che' ci guadagna chi possiede il bello ! Io dissi
di non saper veramente che cosa nspondcie, così, su due piedi, a
questa domanda. Ma riprese, fa conto che qualcuno, mutando 1
ter mini, sostituisse bene a bello, e ti chiedesse: «Orsù, bo¬ ccate,
chi ama ama il bene; e che ama? » Possederlo, risposi. . , .
, E che ci guadagna chi possiede il bene! Ecco
M’d»™Tn,l« Pi« «-*.**. « » finisce qui, mi pare. E
onesto 1 desiderio e questo amore credi tu che sia comune a tutti gli
uomini e che tutti vogliano possec ei sempre il bene? O come dici?
Così è, risposi: comune a. tiitti tti diciam o E perché mai
dunque, Sociale, non ,i che amano, se poi tutti amali lo stesso
■ taluni diciamo che amano e d’altri no! Me ne meraviglio
anch’io, dissi. , No. non meravigliartene, soggiunse, pe ’ a
di aver preso a parte una delle specie d amore, diamo a
rme-sta il nome dell'intero, e la chiamiamo amore, mentre
per le altre ci serviamo di altri nomi. Come sarebbe a dire?
chiesi. ...... , Ecco per esempio: sai bene che pohsis, [ Iattura
, ■ poesia ’] implica molti significati, giacché ogni opera¬
zione, la quale faccia che una cosa dal non essere passi all’essere è
poièsis, sicché le produzioni, attinenti a tutte le arti, sono aneh esse
poièseis , e i loro produttori tutti poiètai. È vero. .
, E tuttavia, disse, sai pure che non si chiamano poteteli,
‘poeti '. ma hanno altri nomi; e una particella sola, di¬ staccata da
tutta la poièsis , quella che ha per oggetto la musica e le composizioni
metriche, è chiamata col nome delimiterò. Soltanto questa infatti prende
nome di poesia, e poeti quelli che posseggono questa par¬ ticella
della poièsis. È vero, dissi. E così, dunque, anche
dell amore. La _ somma n è ogni desiderio del bene e delTesser felice, il
massimo e ingannevole amore (1) d'ognuno. Ma di quelli che vi si
volgono per un’altra delle molte vie, o del guadagno o della ginnastica o
della filosofia, non si dice che amino, nè son chiamati amanti, laddove
coloro che tendono a questa sola specie, e si consacrano ad essa,
prendono il nome del tutto, amoree amare e amanti. Mi pare
ohe tu dica il vero, risposi. Eppure, seguitò, corre per le bocche
un certo discorso: che quelli i quali vanno in cerca della propria metà,
questi amano. Il mio discorso invece dice che 1 amore non è nè della metà
nè dell’intero, ove, amico mio, non si creda di scorgere un bene, poiché
gli uomini si lasciali volentieri amputare e piedi e mani, sempre che
paia ad essi che le loro proprie membra non sieno più buone. Giacché,
secondo ine, non è il proprio quello che cia¬ scuno ha caro, se pure non
si chiami proprio il bene (1) Pare una citazione; ma la frano
destò dot sospetti in parccclii in¬ terpreti, e fu addirittura
considerata come un glossema dall’Hug o dal Bonghi.
- 61 — n male. Perchè io non vedo altra cosa che gli
206 uomini amino, all'infuori del bene. E tu? r>,>v Zeus, e
nemmeno io. O dunque, possiamo affermare, così senz’altro,
che g li uomini amano il bene? hTche?' r'iprès™non si deve
anche soggiungere che essi amano d’averlo con sè, il bene l
Tpcr dippiù, disse, non solo d’averlo, ma anche d’averlo
sempre? Ssom Eque, concluse, l’amore è amore di aver
sempre il bene con sè. Tu hai pienamente ragione,
dissi. XXV - Poiché l'amore è questo sempre per
imparare appunto codeste . partorire nel * - 4et*?-sstiS?*.
gli uomini, Socrate, concipn etòi i a . nostra secondo
l’anima; e, S 1 ' 11 ' < partorire nel brutto natura desidera di
paidon ; m. nU) infn fti del¬ udi può; nel hello, Mi 1 fj?,p°ff rtl „. E
questa è cosa l'uomo c della donna \ mor talo, questo è immortale:
divina, e nel vivente, ^ ora è impossibile che il concepimento c' a
h* ‘ disarmonico è il brutto ciò avvenga nel disaiic m . q iuvooc n
bello. Sicché rispetto a tutto i cl ’ dea de ua nascita e della
morte] Bellezza è Mona 1 » ’ . t0 ed a Ua generazione]. b
srasr? &«*» *' — 62 — diventa gaia, e
nella sua letizia s’effonde e partorisce e genera. Ma quando al contrario
s’appressa al brutto, si abbuia, e nella sua tristezza si contrae, si
volge indietro, si raggomitola e non genera; ma, trattenendo in sè
il feto, si sente male. Donde appunto nella creatura, gra¬ vida e
già smaniante di desiderio, l’ansia grande per ciò che è bello, giacché
esso libera ehi lo possiede dalle gravi doghe del parto. Perchè, Socrate,
l’amore non è amore del bello, come tu pensi. Ma e di che
allora? Di generare e partorire nel bello. E sia,
dissi. Mon c’è dubbio, riprese. Ma perchè poi della genera¬
zione? Perchè la generazione è un sempregenerato e immortale nel mortale.
Sicché da ciò che s’è convenuto segue necessariamente che l’amore è
desiderio d’im- 207 mortalità nel bene, se è amore d’aver sempre il
bene con sè. E un’altra conseguenza necessaria di questo
ragionamento è che l’amore è anche amore dell’im¬ mortalità.
XXVI. -— Tutte queste cose ella m’insegnava ogni volta che si
ragionava d’amore. E un giorno mi chiese: Che cosa mai, Socrate, credi tu
che sia causa di codesto amore e di codesto desiderio? O non senti che
tenibile crisi attraversino tutti gli animali, e terrestri e volatili,
quando senton desiderio di generare, ammalandosi tutti e strug¬
gendosi d’amore, prima, di mescolarsi insieme; poi, di allevare la prole;
e come sieno pronti per essa a combat¬ tere, i più deboli coi più forti,
e a spender la propria vita in difesa di quella e a soffrire essi la
fame, pur di nutrire i loro nati, e a fare qualunque altra cosa? Degli
uomini, tanto, si può credere che lo facciano per effetto d’un
ragionamento; ma e gli animali, che cosa può indurli a questo prodigio
d’amore? Sai dirmelo? Ed io a risponder daccapo di non
saperlo. Ella ripigliò: E pensi, dunque, di poter divenire
esporto in cose d’amore, se non intendi questo? Ma per questo
appunto, Diotima, come dianzi di¬ cevo, vengo da te, perchè so d’aver
bisogno di maestri. — 63 — Ala tu dimmene la
cagione, e di queste e delle altre cose relative all’amore.
Ebbene, se ritieni per fermo che 1 amore sia pei tura amóre di
quello di cui s’è convenuto più volte, nn te ne meravigliare: Giacché qui
si torna allo stesso bscorso- la natura mortale cerca, per quanto può,
di essere sempre e immortale. E può esserlo soltanto per està via
per la generazione, cliè così lascia sempre dono di sé qualcos’altro di
nuovo in cambio del vecchio. Poiché anche in quello spazio di tempo
durante il quale di ciascun animale si dice che è vivo e che e lo
stesso... „or esempio, d’un uomo, da bambino fino a che non
diventi vecchio, si dice che è il medesimo; eppure costui, quantunque non
conservi mai in sé stesso le stesse cose tuttavia passa per essere il
medesimo, pur rifacendosi in parte incessantemente giovane, e m parte
deperendo e nei capelli e nelle carni e nelle ossa e nel sangue e
in tutto il corpo. E nonché per il corpo, ma anche per l’anima, i modi, i
costumi, le opinioni, i desideri, i pia¬ ceri i dolori, le paure,
ciascuna di queste vane cose no rimati punto la stessa in. ciascuno, ma
talune nascono, ■dire periscono. E, quel che è ben piu
sorprendente, non si le cognizioni, altre nascono, altre periscono m noi
208 e noi non siamo, nemmen rispetto alle cognizioni, semp ghS, ma
anche per ciascuna = s’avvera lo stesso. Giacche ciò che si ^e meditare^
dice appunto della cognizione m quanto ^ ' ' 1 ' ticanza infatti è
uscita di cognizione etemeMaage, non con l’essere in tutto sempre
lo stesso, come il <hvi , nuT col' 1 lasciare dopo di sé, in cambio di
ciò che va via , . nn ni cos’altro di nuovo che gli somiglia pei
e invecchia, qualcos altro | ocrat0) diss’ella, ifmortaio
partecipa dell’immortalità, sia corpo, sia checché si voglia Ma
l’immortale procede per altra via. Non meravigliare dunque, se ogni
essere per natura oncia i proprio germoglio, giacché per desiderio d
immortalità siffatta cura ed amore s’ingenera in ogni creatura.
— 64 — XXVII _ All’udire questo ragionamento
ne rimasi sorpreso, è dissi: Sia pure, sapientissima Diotima; ma
è tìoì realmente così? Ed ella, come i perfetti sofisti (1):
Abbilo per fermis-. simo Socrate, rispose. Oliò, se vuoi guardare
anche all’amore degli uomini per la gloria, ove tu non tenga
presente ciò che ho detto, avresti motivo di meravigliarti della loro
stoltezza, riflettendo da quale ardore sien pos¬ seduti di divenir
celebri e gloria procacciarsi ne’ secoli tutti immortale (2), e come
perciò sieno pronti a sfidare qualsiasi pericolo, anche più che per
i figli, e consumar sostanze e soffrire qualsiasi sofferenza e far
getto della propria vita. Poiché credi tu, disse, che Alcéstide sarebbe
morta in cambio di Admeto o Achille soprammorto a Pàtroclo o Codro-
vostro (3) premorto per assicurare il regno ai figliuoli, se non avesser
creduto di lasciare quel ricordo di sé, che ora noi serbiamo di loro'?
Pi vuole ben altro! disse. Ma per conseguire virtù immortale e siffatta
fama gloriosa, tutti, a parer mio, son pronti a qualsiasi cosa, e quanto
migliori, tanto più, perché amano l’immortale. Quelli dunque che son
gra¬ vidi. disse, nel corpo, si volgono di preferenza alle donne, e
per questa via sono amorosi, procurandosi per mezzo della generazione dei
figliuoli, come pensano, immorta¬ lità, ricordo e beatitudine per tutto
il tempo avvenire. 209 Coloro invece che son gravidi nell’anima...
perchè, di¬ ceva, c’è pure di quelli che son gravidi nell’anima,
ancor più che nei corpi, di ciò che all’anima s’addice e di con¬
cepire e di partorire; e che cosa le s’addice? la saggezza c le altre
virtù; e di queste sono generatori i poeti tutti, e degli artisti quanti
son detti inventori. E tra le forme di saggezza, disse, la più alta di
gran lunga e la più bella (1) L’osservazione di Socrate ai
riferisco al tono di sicurezza, por- dir cosi, cattedratico e dogmatico
clic assumo Diotima, la quale di qui in poi abbandona la conversazione
familiare per pronunziare un discorso lungo c filato. (2)
Dev’essere una citazione poetica. L’Hng osserva elio in questa parte
Diotima si compiace di versi o di forme poetiche. (3) Codro ò il
leggendario re clic andò volontariamente incontro alla morte per salvare
l’Attica dalla invasione dorica. — 65 —
che s’occupa degli ordinamenti politici e donic- Ò - q !, cui si dà
nome di prudenza e di giustizia. E allor- S Ì 1C1 ™>i uualcuno di
costoro per esser divino (1) sia da 1 1 gravido nell’anima, e giunta
l’età desideri oramai vtnrire e generare, anche costui, credo,
ricerca pre¬ murósamente quel bello nel quale possa generare,
giacche 'e 1 brutto non vorrà generar mai. E quindi egli gravido r
4 si compiace dei bei corpi piu che dei bratti, e °e s’incontri in
un’anima bella e generosa c d indole mona si compiace vivamente d’un tale
insieme e con e òo egli è subito largo di discorsi intorno alla virtù e
su miei che dev’essere l’uomo dabbene e sul tenore di vita che
questi deve proporsi; e si dà a educarlo Perche, , credo a contatto della
bella persona e nei colloqui con essa egli partorisce e genera quello di
cui da gran tempo e ra 'gravido, ricordandosi di lei, presente o lontano,
e la prole egli alleva in comune con quella, cosicché uonnn
siffatti mantengon tra loro una comunanza assa P intima che non quella
che avrebbero per mento dei figliuoli, e un’amicizia assai più salda,
dacché ^ in comune dei figli più belli e piu mimo potinoli
•per sè preferirèbbe d’aver piuttosto di sillatti h ^ . che
quelli umani, guardando a Omero a Esu^ c agli altri poeti insigni,
invidioso dei nati ■_ l lasciali di sè e che assicurano loro gioire ;
uoi immortale, perchè sono essi stessi inumatali, . •
disse, dei figliuoli come quelli che tediò Um 0 demone, salvatori
di Lacedemone e,spù.c( i-Eliade E da voi è anche onorato Soloiu pu
lì SmS«So o"«iÒff». ta’«ove..por gli umani fin qui a
nessuno. XXVIII. - Sino a questo grado nei Socrate forse
avresti potuto iniziarti da b • Ma min dottrinò perfette e contemplative,
alle quali, ove si pio¬ li) Mantengo qui la lozione ilei oodd. 9-stos
lov. 5 Platone — Convito. — 6 fi
— ceda rettamente, quelle finora esposte servono di pre¬
parazione, non so se ne saresti capace, le le esporrò dunque io, disse, e
non trala scerò di metterci tutta la mia buona volontà. E tu cerca di
seguirmi, se ti riesce. Perchè chi vuol incamminarsi per la via diritta a
questa impresa, deve da giovane andare verso i bei corpi, e
dapprima, se chi lo guida lo guida' dirittamente, amare un sol colpo c
generare in esso discorsi belli; e poi inten¬ dere che la bellezza in un
qualunque corpo è sorella della bellezza dim altro corpo; e se convien
perseguire ciò ohe è belio d'aspetto, sarebbe una grande stoltezza non
sti¬ mare che una sola e identica sia la bellezza in tutti i corpi.
E inteso che abbia questo, divenire amante di tutti i boi corpi, e
calmare quei suoi ardori per uno solo, spregiandoli o tenendoli a vile. E
in seguito reputare clic, la bellezza delle anime sia di maggior pregio
clic la bel¬ lezza del corpo, sicché, ove uno sia bello dell’animo,
quand’anche poco leggiadro, se ne contenti e Io ami e ne prenda curii e
partorisca e cerchi ragionamenti sif¬ fatti, che valgano a render
migliori i giovani, affinchè sia dipoi costretto a considerare il bello
clic è nelle, isti¬ tuzioni e nelle leggi, e riconoscere che esfjo è
tutto con¬ genere a sè, e si persuada così che il hello corporeo
non è che piccola cosa. E dopo le istituzioni < In sua guida
> lo conduca più in alto, alle scienze, perché veda alla loro
volta la bellezza»delle scienze, e mirando all'ampia di¬ stesa del bello,
non più, estasiandosi come uno schiavo, davanti alla bellezza d'una
singola cosa, d’un giovanetto o (L’un uomo o d’una istituzione sola, e
servendo sia una abietta o meschina persona; ma volto al gran mare
della bellezza, e contemplandolo, partorisca molti e belli e magnifici
ragionamenti e pensieri in un amore sconfi¬ nalo di sapienza, fino a che,
in questo rinvigorito e cre¬ sciuto, non s’elevi alla visione di
queU’unica scienza, che è scienza di cosiffatta bellezza. E
ora, continuava, la di aguzzare rocchio della mente quanto più puoi. —
XXIX.—Giacché colui che sia stalo educato fin qui alle cose amorose,
contemplando a grado a grado e rettamente il bello, pervenuto al termine
della via d’amore scorgerà d’improvviso una bellezza di sua
mumluìi — 07 natura stupenda, e
precisamente quella, Socrate, per la quale si eran durati tutti i
travagli precedenti, quella che innanzi tutto è eterna, che non diviene e
non perisce, non zi 1 cresce e non scema; e poi, che non è bella per un
verso e brutta per un altro, nè a volte si a volte no, nè bella
rispetto a una cosa e brutta rispetto ad un’altra, nè qui bella e lì
brutta, o bella per alcuni e brutta per altri. Ne, per dìppiù, la
bellezza prenderà ai suoi occhi la forma come (li volto o di mano o
d’alcunchè di corporeo, nè d’un discorso o d’una scienza o di qualcosa
che sia in un altro, in un animale, poniamo, o in terra o in cielo o dove
che sia; ma gli apparirà qual è in sè, uniforme sempre a sè
medesima, e tutte le altre cose belle, partecipi (Vessa in tal modo, che,
mentre queste altre e divengono e peri¬ scono, essa non divien punto nè
maggioro nè minore, e non soffre nulla. E quando alcuno per aver
rettamente amato i fanciulli, sollevandosi dalle cose di quaggiù,
prenda a contemplare quella bellezza, allora può dirsi che abbia quasi
toccato la meta. Perchè questo appunto è sulla via d’amore procedere o
esser guidato diritta- mente da un altro: muovendo dalle belle persone di
quaggiù ascendere via via sempre più in alto, attratto dalla bel¬
lezza di lassù, quasi montandovi per una scala, da un bel corpo a- due, e
da due a- tutti i bei corpi, e da bei corpi alle belle istituzioni e
dalle istituzioni allo belle scienze per finire dalle scienze a quella
scienza che non è scienza d’altro se non di quella bellezza appunto;
e pervenuto al termine, conosca quel che è il bello in se.
Questo, mio caro Socrate, se altro mai, diceva 1 ospite di
Mantinea, è il momento della vita degno per un uomo d’esser vissuto,
allorché egli può contemplare la bel¬ lezza in sè. Ed essa-, ove mai tu
la veda., non ti parrà comparabile nè con oro nè con vesti nè con quei
bei fanciulli e giovanetti, al cospetto dei quali rimani ora
sgomento e sei pronto, e tu e molti altri, guardando co¬ desti vostri
amati c standovi con loro, se fosse possibile, sempre, a non mangiare nè
bere, ma soltanto a eontem- plarveli e starci insieme. E che sarebbe,
diceva, se a qualcuno riuscisse di vedere il bello in sè,' sclùetto,
puro, sincero, non infarcito di carni umane e di colori e di
->* Platone — Convito. tante altre vanità mortali,
ma potesse scorgere la divina bellezza in sè medesima, uniforme? Creiti
tu che sia 2I2 una vita da tenere a vile quella di chi possa guar¬
dare colà e contemplare con 1 intelletto (1) quella bel¬ lezza e starsi
con essa? O non pensi, disse, che quivi soltanto, a lui che vede la
bellezza con quello per cui essa è visibile, verrà fatto di partorire,
non immagini di virtù, perchè non è in contatto con immagini, ma
virtù vera, perchè in contatto col vero; e che, avendo generato e nutrito
virtù vera, a lui solo è concesso di divenir caro agli dei, ed anche, se
altri mai iu tale al mondo, immortale? Eccovi, Fedro e
voi altri, quel che diceva Diotima, e io ne fui persuaso; e, persuaso, mi
adopero a persuadere anche gli altri che per procacciare alla natura
umana un tanto acquisto non si può facilmente trovare un
collaboratore più valido d’Eros. E perciò appunto af¬ fermo che ogni uomo
ha l’obbligo di rendere onore ad Eros, e io stesso onoro e coltivo in
modo speciale le discipline amorose e vi esorto gli altri; ed ora e
sempre, per quanto è in me, encomio la possanza e la fortezza di
Eros. Questo discorso, Fedro, ritienilo detto come un elogio
d’Eros, se credi; se no, chiamalo pure come ti piacerà di chiamarlo.
XXX. — Poiché Socrate ebbe finito, tutti, raccontava Aristodemo,
gli rivolsero delle lodi, eccetto Aristofane, che s’accingeva a dire nòti
so che cosa, perchè Socrate, nel parlare aveva alluso al discorso di lui,
quando, a un tratto, s’ode picchiare violentemente alla porta di
strada e insieme un gran chiasso, come d'i gente avvinazzata, che
usciva da un banchetto, e la voce d’una suonatrice di flauto. Al che
Agatone: Ragazzi, disse, andate a ve¬ dere; e se è qualcuno dei nostri,
fatelo entrare; se no, dite che s’è smesso di bere e stiamo già
riposando. Ed, ecco, un momento dopo, si sente noi vestibolo la
voce (1) Alla lettera: con quello con cui si convieno
(contemplarlo), cioè v(p * con la monte \ 69
d’Alcibiade, ubriaco fradicio, che strepitava: Pov’ò Aga¬
tone? Menatemi da Agatone! Entrò, sorretto dalla suo- natrice e da alcuni
dei suoi compagni, e si fermò sulla soglia dell’uscio. Aveva il capo
ricinto d'una folta corona di edera e di viole (1) e adorno d’una infinità
di nastri. E disse: Salute, amici! Vorrete compiacervi di dare
un posto per bere con voi a un ubriaco fradicio, o dob¬ biamo andar
via subito dopo di aver incoronato Aga¬ tone, che è lo scopo per cui
siamo qui? Ieri non mi riuscì di venire, ma ora eccomi qui, col capo
coperto di nastri, per rieingerne dal mio il capo del più sapiente, del
più bello, lasciatemelo dire, tra gli uomini. Iriderete voi forse,
perchè sono ubriaco? Ebbene, ridete pure; ma io so di B3 dire la verità.
Intanto ditemi senz’altro, se posso o no entrare a queste condizioni.
Siete pronti a bere con me, o no? Tutti in coro con
alte grida gli risposero che entrasse e si mettesse a giacere, e
Agatone ve lo invitò. Egli venne avanti condotto dai compagni, e
poiché si veniva levando que’ nastri per incoronarne l’ospite, non
s’accorse di So¬ crate, che pure gli stava dinanzi agli occhi, ma si
mise a sedere accanto ad Agatone, tra questo e Socrate, il quale,
come l’aveva visto (2), s’ora tratto da parte. Sedu¬ tosi. abbracciò
Agatone e gli cinse il capo. È Agatone disse: Ragazzi, slacciate i
sandali ad Alci- biade, perchè possa sdraiarsi terzo fra noi.
Benissimo, disse Alcibiade; ma chi è questo nostro terzo compagno?
E ad un tempo, volgendo gli occhi, vide Socrate, e vistolo diè un balzo,
esclamando: Per Éraeles. che roba è questa? Socrate qui? Àncora un
agguato! E hai preso questo posto per apparirmi, al solito,
dinanzi, dove meno me l’aspettavo? E ora, perchè sei qui? E perchè
poi ti sei messo a giacere proprio in questo posto? Perchè non accanto ad
Aristofane o a qualche altro, che sia o voglia parere un burlone, ma
tanto ti sei destreg- (1) i Alclbiado voniva coronato, pcrchò
usciva da uu altro banchetto. Le corono, elio solovano essero di foglio di
mirto, di pioppo bianco o di odora intrecciato con roso o In Atene a
proferonza con violo, si distribui¬ vano dal servi, quando, finita la
cena, si passava a boro. * (Hug). (2) Leggo (1)£ éxetvov xctxstfiev
secondo il pap. d’Osslrinco. ■ : i.i.-' ;
g iato da venirti a sdraiare accanto al più bèllo di
quanti SOn °B q Soc" Agatone, disse, guarda un po’ di
difen¬ dermi. perchè l'amore per me di costui non un dà poco a fare
Dacché presi ad amarlo, non son pm padrone di guardare o discorrere con
nessun altra bella persona senza che costui, roso dalla gelosia o daU
invicha, non faccia cose dell’altro mondo, e mi copra d insulti, e
per poco non mi metta le mani addosso. Guarda che anche ora non ne
faccia qualcuna delle sue. Metti pace tra noi, o, se cerca d’aecopparmi,
aiutami, perche io ho una paura matta dei suoi furori e delle sue smanie
amorose. Pace tra me e te? ribattè Alcibiade; non è
possibile. Ma di questo ti castigherò in qualche altra occasione.
Per ora, Agatone, rendimi un po’ di codesti nastri, perche 10 ne
ricinga il meraviglioso capo di costui qui, e non mi accusi d’aver
coronato te, e lui poi, che vince nei discorsi tutti, e non solo ier
l’altro, come te, ma sempre, non 1 ho coronato. E così dicendo, prese
alcuni nastri, ne cinse 11 capo di Socrate e si mise a
giacere. XXXI. — Dopo che si fu sdraiato, riprese: E che
amici? non siete in vena di bere? Io non posso permet¬ terlo; bisogna
bere: è stato il nostro patto. Io scelgo a re del bere, finché non avrete
bevuto abbastanza, me stesso. E Agatone faccia portare, se c’è, una gran
tazza. No, no, non occorre. Ragazzo, a me quel bigonciolò — all
s’eraaccorto che conteneva più di otto colili (1) —lo riempì e bevve per
il primo; poi ordinò clic si mescesse per So¬ crate, aggiungendo: Del
resto, amici, con Socrate la mia astuzia non attacca: si può farlo bere
quanto si vuole, non c’è caso che s’ubriachi. Socrate, quando
il ragazzo gli ebbe mesciuto, bevve. Ma Erisslmaco disse: Che
facciamo, Alcibiade? Tra¬ canneremo così un bicchiere sull’altro senza
intramezzarvi nè un discorso nè un canto, proprio come degli
assetati? Tì Alcibiade: Erissimaco, eccellente figlio
d’eccellente e sennatissimo padre, salute! (1) La eotile
equivaleva a circa un quarto eli litro. E salute a te pure!
rispose Erissimaco. Ma che dob¬ biamo fare! Quel che tu
ordini: a te bisogna obbedire, Che certo un medico solo vai quanto
molti uomini insieme. Ordina dunque a tuo modo. Ebbene,
da’ retta, riprese Erissimaco. Prima della tua venuta s’era fissato che
ciascun di noi per turno a destra pronunziasse un discorso, il meglio che
si poteva, su Eros, in elogio di questo dio. Tutti noialtri abbiamo
parlato. Tu che non hai parlato, ma hai bevuto, è giusto che ne faccia
imo tu pure. Dopo, imponi a Socrate quel che ti piace, ed egli farà
altrettanto per turno a destra con gli altri. Belle parole,
Erissimaco! rispose Alcibiade. Ma non ti pare che a mettere un ubriaco in
gara di discorsi con gente che ha la testa a posto, la partita non sia
pari ! E dimmi pure, beato amico: ci credi tu a quel che
Socrate ha detto or ora di me? Non sai che è proprio il rovescio di
ciò che egli diceva? Giacche costui, se in presenza sua mi permetterò di
lodare un altro, dio o uomo che non sia lui, non terrà a posto le
mani. Parla con più rispetto, disse Socrate. Per
Poseidone, riprese Alcibiade; non contradirmi. Sai bene che in
presenza tua non potrei lodare nessun altro. E tu fa' come
vuoi, ripigliò Erissimaco: loda So'crate. Come dici! Ti pare,
Erissimaco, che convenga? Posso dare addosso a quest’uomo e vendicarmi di
lui sotto i vostri occhi? Ohe, giovanotto, che ti salta in
niente? Con la scusa di lodarmi vuoi mettermi alla berlina? O che vuoi
fare? Dirò la verità. Guarda però di lasciarmela dire.
Ma, certo, la verità te la laseerò dire, anzi voglio che tu la
dica. Son pronto, riprese Alcibiade. E tu fa’ così: se non
dico la verità, interrompimi e dammi una smentita, che di proposito non
dirò nessuna bugia. Ma se salterò di 21 palo in frasca, come la memoria
mi suggerisce, non te 72 — ue
sorprendere, giacché non è facile per chi è neUgnie condizioni enumerare
per filo e per seguo tutti 1 tiatti della tua originalità (1).
XXXII. — Socrate, amici, comiucerò a lodarlo così, per via di
paragoni. Costui crederà forse ch’io voglia farvi ridere alle sue spade;
eppure il paragone mira a rappresentarvelo qual è realmente, non a
metterlo in burla. Dico dunque ch’egli è similissimo a quei Sileni
esposti nelle botteghe degli scultori, che gli artisti raf¬ figurano con
zampogne o flauti in mano e che, aperti in (lue, mostrano nell’interno
immagini di dei (2). Ili dico per dippiù che somiglia al satiro Marsia
(3). li/ che tu sia nell’aspetto simile a quelli, neanche tu, boera
te, oseresti metterlo in dubbio. Che poi somigli anche nel resto,
stanimi ora a sentire. Sei un gran canzonatore; o no ? Se lo neghi, ,
presenterò dei testimoni. E un flau¬ tista, no? Anzi più meraviglioso di
Marsia. Questi, è vero?, molceva gli uòmini per via di strumenti con
la potenza della sua bocca, e anche oggi chi suona le com¬
posizioni di lui — perchè già quelle che Olimpo suonava appartengono
senz’altro a Marsia, che gliele aveva inse¬ gnate... e a buon conto le
sonato di lui, o che le esegua un abile flautista o una flautista
dappoco, per essere opera divina, valgono da sole a soggiogarci e farci
sen¬ tire (fili prega gli dei e chi aspira ad essere iniziato. Ma
(1) Il discorso, ohe Plutone la pronunziare ad Aloibiado, oltre ad
essere l’upplioozione pratica della toorlca bandita da Socrato, ohe ci ò
cosi rap¬ presentato domo l’amanto perfetto o il tipo vivente del
filosofo, è assiri probabilmente anche nn'ahilo o splendida difesa di costili
contro lo maligno insinuazioni d'nn sofista. Pollerato, cho in un
ili,olio contro Socrate doveva aver presentato sotto una luco tutt’altro
olio favorevole lo relazioni d’ami¬ cizia elio lutoroedovuno tra 11
maestro od Alclbiado. (2) Questi Sileni orano, paro, una spedo
d'armadi, riproducesti lo fattozzo dei popolarissimi compagni di Dlóniso.
e dovovano esseri, d’uno certa capacita, so nell’intorno potevano
contenoro parecchio statuette o simulacri di numi. E 11 modo corno
v'oeconna Aloibiado fa Intenderò ohe dovessero essere assai noti o comuni
!u Atene. (3) Il satiro Murala, in origino un dio fluviale
dell’Asia Minoro, inven¬ tore del flauto, flautista cccoUonte o maestro
di Olimpo, a cui Alcibiade accennerà fra poco, addò ad una gara musicalo
Apollo olio suonava la cetra, e, vinto dal dio, fu tratto fuori , della
vagina dolio membra sue •. — 73 — tu tu sei
(li tanto superiore a lui, che senza bisogno di strumenti con semplici
parole ottieni questo medesimo effetto. Difatti noi, quando udiamo qualche
altro ora¬ tore sia pure eccellente, pronunziare degli altri
discorsi, non'ce ne interessiamo, per così dire, nè punto nè poco.
Ma ove qualcuno oda te o qualche altro, e sia pure il più inetto
parlatore, che riferisca le tue parole, o che le oda una donna o un uomo
o un giovanetto, no siamo rapiti ed esaltati. Ed io, amici, se non
temessi di pas¬ sare per ubriaco sino alle midolla, vi direi, e
giurerei, che sorta d’effetti ho risentito dallo parole di costui e
ne, risento tuttora. Giacche a me, quando le odo, ben più che
agl’invasati d’un fluoro coribantico (1), il cuore ini balza nel petto e
mi sgorgali le lagrime ai discorsi di costui; e anche a moltissimi altri
vedo che capita lo stesso. A udir Pericle e altri oratori di grido dicevo
tra me e me: parlano benissimo; ma non risentivo nulla di simile,
nè la mia anima era messa a soqquadro, nè mi attristavo di menare una
vita da schiavo. Ma sotto i discorsi di questo Marsia ch’è qui, ho
provato spesso l’impressione che non valesse la pena di vivere, vivendo
216 come vivo. E questo, Socrate, non dirai che non sia vero. E
anche ora, non lo nego, ho coscienza che, a vo¬ lergli prestare orecchio,
non potrei resistere, ma risentirei gli°stessi effetti. Giacché egli mi
obbliga a confessare che, con tante delìcenze che ho, trascuro ancora me
stesso per occuparmi delle faccende degli Ateniesi. E por a viva
forza, come dallo Sirene-, tappandomi gli orecchi, mi sottraggo,
fuggendo, per non invecchiare seduto accanto a costui. E soto davanti a
quest uomo ho pro¬ vato quel sentimento, che nessuno sospetterebbe m
me, il sentimento della vergogna. Io, sì, ini vergogno soltanto di
costui. Perchè sento dentro di me di non potergli contradiro, che non si
debba fare quello a cui egli mi esorta; ma poi, non appena m’allontano
daini, ecco che mi lascio vincere dalle lusinghe del favor
popolare. (1) I Gorlbntltl orano 1 sacerdoti della doa asiatica
l’ibelu, elio o^si 'veneravano con nn colto orgiastico, nelle ani cerimonie
erau presi da un furore divino. — 74 —
Sicché lo evito e lo fuggo; e ogni volta che lo vedo, mi vergogno
d’aver# dato ragione. E spesso vedrei volen¬ tieri ch’egli non è più tra
gli uomini; eppure, se ciò avve¬ rse, son certo che me ne dorrei assai
dippiù, sicché di quest’uomo non so addirittura che farmi.
XXXIII._Dunque, dalle sonate di costui, di questo satiro qui,
e io e molti altri abbiamo provato questi effetti. Ora statemi a sentire
com’egli e simile, anche pei altri versi, a quelli a cui lo paragonavo, e
come e mera¬ viglioso il potere che possiede. Perche, siatene
certi, nessuno di voi lo conosce. Ma ve lo scoprirò io, dacché mi
ci son messo. Voi vedete che Socrate si strugge di amore per i bei
giovani, ed è sempre a loro dintorno, e se ne mostra fuori di sé, e del
resto ignora tutto e non sa nulla. E non è da Sileno codesto? E come! Ma
questa, è l'apparenza, sotto cui s’è nascosto, come il Sileno scol¬
pito. Ma di dentro, aperto, indovinate voi, compagni bevitori, di quanta
temperanza è pieno? Sappiate che se uno è bello, a lui non gliene importa
nulla, ma lo disprezza, quanto nessuno lo crederebbe; nè se è ricco, nè
so ha qualcuna di quelle dignità che costituiscono per la folla il
colmo della beatitudine. A tutti questi beni egli non dà nessun valore, e
nessuno a noi — ve lo dico io ■— e passa tutta la vita a far dell’ironia
e a scherzare alle spalle degli altri. Ma quando fa sul serio ed è
aperto, non so se qualcuno ha visto i simulacri di dentro; ma io li
ho "visti una volta, e mi parvero così divini e aurei e 21?
bellissimi e mirabili da dover fare senz’altro quel che Socrate comanda.
Infatti, credendolo preso davvero della mia bellezza, stimai un guadagno
e una fortuna mera¬ vigliosi che mi si offrisse il destro di far cosa
grata a Socrate e udire così tutto quello che egli sapeva, perchè
ero orgoglioso della mia bellezza, e in che modo! Con questo in mente,
mentre prima non ero solito di trovarmi da solo a solo con lui, senza
qualcuno che m’accompa¬ gnasse, d’allora in poi mandavo via il mio
accompagna¬ tore e rimanevo solo con lui... giacché a voi devo dire
tutta la verità; ma voi state attenti, e se mentisco, tu, Socrate,
sbugiardami. — Dunque, amici, rimanevo con —- 75 —
1ni solo a solo, e m’aspettavo eli egli mi tenesse subito uel
discorsi che un amante suol tenere con un amato , rmattr’oeehi, e ne
godevo. Eppure non avveniva nulla m mesto: com’era solito, discorreva con
me, e, trascorsa tutta la giornata insieme, andava via. In seguito
lo invitai ad esercitarsi con me nella ginnastica e mi eserci¬ tavo
con lui, illudendomi che così avrei raggiunto il mio ‘ooo E infatti egli
si esercitava e lottava con me, spesso senz’alcun testimone. Ma che! non
si faceva un passo. Poiché nemmeno questa via spuntava, mi parve che
con nuest'uomo si dovesse venire ai ferri corti e non dargli tregua
dal momento che mi ci ero messo, ma vederci chiaro in questa faccenda. Lo
invitai così a cena con me, tendendogli un tranello, proprio come un amante
a un amato. E sulle prime non volle neppure accettare; tut¬ tavia,
in capo a qualche tempo, s’arrese. Quando venne la prima volta, finita la
cena, volle andarsene, e pei allora, vergognandomi, lo lasciai Ubero. Ma
un alti a y > fatto il mio 'piano, poiché si finì di cenare, Scorsi
con lui sino' a notte inoltrata; e quando egli voleva andai via,
col pretesto che- fosse tardi, lo costrinsi a rimanere Egli riposava nel
letto dove aveva cenato, accanto a mio, e nella stanza non dormiva nessun
altro ah infuori di noi. Ein qui il racconto è tale, che si può faie in
p senza d’ognuno-, ma di qui in avanti non im sentireste parlare,
se in primo luogo, come dice il proverbio il i ino e senza fanciulli e
con fanciulli, non fossi veri¬ tiero (1), e poi nascondervi un tratto
cosi superbo di Socrate, ora 'che son qui per farine
un’ingiustizia. Ma c’è'di più: io sento ancora 1 effetto eli prova chi è
morso da una vipera. Porche, dicono, ì’ha sofferto non vuol parlare del
proprioa ai morsicati, come i soli che sappiano « smn chsposri a
compatire tutto quello che egli e giunto a fare e dire sotto la, sferza
del dolore. Sicché io, morso da tintura più dolorosa e nel punto più
doloroso ni cui si possa (!) Da du^o luogo il provo.-t.io apparisco
corno presente alla mente il ’Aicibia.lo sotto lo ano formo, tra lo
parecchie che so ne .-.coniano. .1. oho £ ’ vi- e vorilA-, c olvo; xat
*«ì8s C ™o o fanciulli < sono > voritlorl ’.
218 esser morsi... ferito e morso nel cuore, e
nell’anima, o com’altro si voglia chiamare, dai discorsi filosofici
che son più cattivi d’una vipera, quando s’attaccano al¬ l’anima
non ignobile d’un giovane, e gli fan dire e fare qualsiasi cosa... E, del
resto, in presenza d un Fedro, d’un Agatone, d’un Erissimaco, d’un
Pausania, d un Aristodemo e d’un Aristofane... Socrate stesso a che-
no¬ minarlo?... e txitti voi altri"? chè tutti siete posseduti
dal delirio e dal furore filosofico... e però tutti udrete, perchè
siete tutti in grado di compatire ciò ch’io feci allora e vi dirò ora.
Quanto a voi, servi, è se c’è altri pro¬ fano e rozzo, tiratevi delle
porte ben grandi sui vostri orecchi (1). XXXIV. — Poiché,
dunque, amici, fu spenta la lucerna e i servi andarono a dormire, mi
parve che non fosse il caso di ricorrere a raggiri con lui, ma di
spiattellargli francamente quel che sentivo. E, scotendolo, gli
chiesi: Socrate, dormi? No, non dormo, rispose.
Ebbene, sai che cosa ho risoluto? E che cosa? mi
chiese. Tu sei, ritengo, il solo degno d’esser mio amante, e
vedo che esiti a farmene parola. Ora io la penso cosi: credo che sia una
grande stoltezza da parte mia non compiacerti e in questo e in altro, se
hai bisogno delle mie sostanze o dei miei amici. Per me, quello che
soprat¬ tutto mi preme è di divenire quanto migliore io possa; e in
ciò, credo, non potrei trovare un collaboratore più valente di te. Sicché
a non compiacere ad un nomo come te mi vergognerei ben più agli occhi
delle persone di senno, che non a compiacerlo, agli occhi dei molti
e sciocchi. Egli mi stette a sentire, e poi con quella sottile ironia,
che gli è propria od abituale, mi rispose: Parto Alcibiade, tu risichi
realmente di non essere un dappoco, se mai è vero ciò che dici di me, e
se c’è in me un potere, per il quale tu possa divenir migliore. Tu
avresti così scorto in me una bellezza irresistibile e (1) La
locuzione 6 tolta dal linguaggio del misteri. — 77 —
ma molto superiore alla tua leggiadria. Cosicché, 11101 ’
scorgendola, tenti d’accomunarti con me e barat- Mre beSa per bellezza,
ti proponi di fare a mie spese fca in (la ano tutt’altro che
insignificante, anzi in lao„o a-.o.!».™ 1. veri.» del teli» e
luisidi scambiare veramente ferro con oro (1). Ma, ~ beato- amico,
rifletti meglio, se non t’inganni a partito m conto mio. Bada: gli occhi
della mente vanno di¬ ventando più acuti a misura che quelli del corpo
per¬ dono del loro vigore, e tu sei ancora lontano da questo
momento. c iò, dissi: La mia idea è questa, e non ho detto
niente di diverso da quel che penso. Quanto a te. considera quel che ti
sembra il meglio nel tuo e nel mio interesse. , ._ Ma
sì, ben detto! rispose. Difatti non mancherà tempo per ripensarci e fare
quel che ci parrà meglio nell inte¬ resse di tutt’e due, così in questa,
come in ogm altra faC Orario, dopo d’aver detto e udito queste
parole e avergli tirato quelle frecciate, lo credetti ferito. E
leva¬ tomi dal mio posto e senza più dargli tempo di dir nulla, gli
gettai addosso il mio mantello, proprio questo qui — era anche allora
d’inverno — e nn rannicchiai sotto la mantellina logora di costui, e
gettate le braccia al collo di quest’uomo veramente divino e
meraviglioso, me ne stetti a giacere accanto a lui l’intera notte. E
nem¬ meno in questo, Socrate, dirai che mentisco. Ebbene nonostante
che io avessi fatto tutto questo, egli si mos r di tanto superiore e
tenne così a vile e sprezzò tanto la mia bellezza e la vilipese a tal
punto — eppure io cre¬ devo che qualcosa valesse, o giudici, perche voi
ora siete mudici della superbia di Socrate... ebbene ve lo giuro
per tutti gli dei e per tutte le dee, dopo d’aver dormito accanto a
Socrate l’intera notte, mi levai, nò piu uè meno, che come se avessi
dormito con mio padre o con un mio fratello maggiore. (1)
Allusione al cambio dello anni tra Glauoo e Diomede: et. II. VI •231
sgR. — 78 — XXXV. — E dopo ciò, quale
credete che fosse il mio animo? Da un canto mi vedevo disprezzato, e
dall'altro ammiravo l'indole, la temperanza e la fortezza di
costui, 10 che m’ero imbattuto iu un uomo tale, come non cre¬
devo mai di poter incontrare il simile per senno e per forza d’animo.
Cosicché non riuscivo nè ad adirarmi con lui e rinunziare alla sua
compagnia, nè a trovar la via per attirarmelo. Ben.sapevo che al danaro
egli era. da ogni parte assai più invulnerabile che Aiace al ferro,
e 11 solo mezzo, per cui credevo di poterlo prendere, m’era
sfuggito di mano. E così, a corto d’espedienti e asservito da quest’uomo,
come nessuno da nessun altro al mondo, io gli giravo sempre
dattorno. Questi casi m'erano già seguiti, quando più tardi
facemmo insieme la campagna di Potidéa (1) ed eravamo compagni di mensa.
Ebbene, innanzi tutto, nelle fatiche egli vinceva non solo me, ma anche
tutti gli altri. Allorché, 220 in qualche luogo, come spesso capita in
guerra, eravamo costretti a patir la fame, gli altri, nel resistervi,
appetto a lui non valevano uno zero, mentre imi nei momenti di
scialo, era il solo che sapesse goderne, e senza esser proclive al bere, quando
v'era costretto, superava tutti, e, cosa anche più sorprendente, non c’è
nessuno che abbia mai visto Socrate ubriaco. E di ciò penso che ne
avrete ben presto la prova. Quanto poi a sopportare il freddo — e lassù i
freddi sono terribili — faceva cose inverosimili, e perfino a volte,
mentre c’eran delle ge¬ late da non si dire, e tutti o non mettevano il
naso fuori o si coprivano fino alla cima dei capelli e calza¬ vano
scarpe e «'avvolgevano le gambe in feltri e pel¬ licce, costui, con un
tempaccio di quella sorta, se n'u¬ sciva coperto della sua, mantellina
abituale, e scalzo camminava sul ghiaccio meglio degli altri calzati, e
i soldati lo guardava]) di traverso, perchè pensavano che egli li
disprezzasse. U) Politica, colonia di'Corinto nella penisola ili
Pallone, erti, albata tlegli Ateniesi. Ma noi 431 a. C., con l'aiuto dei
Corinti o di Perdlccn re ili Macedonia, si ribellò, e non fu ridotta
all'obbedienza, se non dopo una cam- . rogna o un assedio durati lino al
129 a. C. - 79 XXXVI. _ E questi, non c’è che
flire, fatti. Ma quello -che poi fece e
sostenne il fortissimo uomo (1) ima volta, durante quella
spedizione, mette conto li-essere udito. Assorto in qualche pensiero
stette in piedi odo stesso posto a meditare sin dalle prime ore del
mattino, e poiché non ne veniva a capo, non si moveva, ma rimaneva li
fermo a meditare. Era già mezzodì, la o-ente lo notava e diceva: rSocrate
e li inchiodato a Lunare da stamani per tempo. » Finalmente alcuni
Ioni, sopravvenuta la sera, dopo d'aver cenato — era d estate —
portaron fuori i loro pagliericci; e mentre si mette¬ vano a dormire al
fresco, seguitavano a tenerlo d occino per vedere, se ci fosse rimasto
anche la notte. Ed egli ci rimase fermo sino all’alba e allo spuntare del
sole poi fece la sua preghiera al sole e andò via. Ora, se
volete, nelle battaglie — perchè è giusto ren¬ dergli questo merito...
quando avvenne quella battaglia, in cui 1 generali dettero a me anche il
premio del valore, nessun altro mi trasse in salvo se non costui, clic
non volle abbandonarmi ferito, e salvò insieme e le mie armi e me
stesso. Ed io anche allora, Socrate, insistetti presso ì generali, perchè
il premio fosse attribuito a te, e in questo non mi moverai rimprovero,
nè dirai che mentisco, .a poiché quelli, per riguardo alla mia condizione
sociale, volevano dare a me il premio, tu eri anche piu insistenti
dei generali, perchè l’avessi piuttosto io che tu. E ancora, amici, degno
di ammirazione fu il contegno di Socrate, quando l’esercito si ritirò in
fuga da Delio (2). Io cero tra’ cavalieri, lui tra gli opliti. Nello
scompiglio generale egli S i ritirava insieme con Lachete (3). Io
sopraggiungo, e come li vedo, li esorto a farsi animo, e di coloro che
non il) È un verso omerico leggermente modificato; cf. Od. IV
212. (2) La battaglia <11 Dello in Beozia, dove gli Ateniesi
lurono sconfitti dai Tolmuì, accadde noi 121 a. C. (3) Era un
bravo gonorate ateniese, di poco più vaccino di Scorato. olio mori In
battaglia nel US a. C. Da lui prose nomo uno doi dialoghi pia-
tonici. — So¬ li abbandonerò. E qui ammirai
Socrate anche più che a Potidea — giacché io stesso avevo meno paura,
perchè stavo a cavallo — in prima, di quanto egli fosse supe-- riore
a Lachete per la padronanza di sè, e poi mi pareva — mi servo delle tue
parole, Aristofane — che egli cam¬ minasse lì come qui, con aria
spavalda, gittando gli occhi a destra e a sinistra (1), squadrando
calmo amici e nemici e mostrando chiaro a tutti, anche di lontano, che se
qualcuno lo avesse toccato, egli si sarebbe difeso con la maggiore
bravura. E così se n’an¬ dava via con gran sicurezza, egli e l’amico.
Perchè quelli che in guerra mostran questo contegno, quasi quasi
non li toccano neppure, ma danno addosso a chi scappa a gambe
levate. ('erto, di Socrate ci sarebbero da lodare molti altri
lati, e non meno ammirevoli. Però d’altre qualità si può forse dir lo
stesso anche per altri, ma quel non essere simile a nessun altro uomo,
così tra gli antichi come tra’ presenti, questo è soprattutto ammirevole.
Ad Achille, per esempio, possiamo paragonar Bràsida (2) e qualche
altro, e Pericle a Nestore e ad Antenore (3) — e ce n’ò parecchi — e così
potremmo trovare dei confronti per altri. Ma un uomo che sia stato per
originalità come costui, e lui e i suoi discorsi, nessuno non lo
troverebbe nemmeno a un dipresso, per quanto cercasse, nè tra i
presenti, nè tra gli antichi, a meno che non lo paragoni a quelli che dicevo,
a nessun uomo, ma ai Sileni e ai Satiri, lui e i suoi discorsi.
XXXVII. — Giacché, a proposito, anche questo ho dimenticato di
dirvi da principio, che anche i suoi discorsi sono in tutto simili ai
Sileni che s’aprono. Infatti, se uno volesse prestare orecchio ai discorsi
di Socrate, gli par- (1) Allusione al v. 362 delle ‘Nuvole’.
(2) Brasida, morto giovanissimo nel 422 a. C. in una famosa bat¬
taglia, nella quale inflisse uno terribile rotta affli Ateniesi presso
Anflpoli, colonia attica sullo Strimone in Tracia da lui tolta ai suoi
fondatori, fu uno dei più eroici e maffnanimi generali spartani.
(3) Antenore, eroe troiano, che ai distingueva per la sua prudenza,
come per prudenza c valore si distingueva Nestore tra’ Greci.
— 81 — rebbero addirittura ridicoli a prima giunta; tali
sono le parole e le frasi di cui si rivestono, pelle di satiro
burlone: non discorre che d’asini da soma e di fabbri e di calzolai
e di conciapelli, e par che dica sempre le st-esse cose con le stesse
parole, sicché qualunque persona ignorante e sciocca può ridere dei
discorsi di lui. Ma chi per caso li 222 veda aperti e vi s’addentri,
prima di tutto li troverà i soli discorsi che entro di sé abbiano una
mente, e poi divi¬ nissimi e pieni d’innumerevoli simulacri di virtù,
ten¬ denti ad altissimi fini, o, per dir meglio, tendenti a tutto
quello a cui deve mirare chiunque voglia essere un uomo veramente
ammodo. Questo, amici, è il mio elogio di Socrate. E
d’altronde, mescolandovi anche le accuse, v’ho detto in che egli mi
offese. Del resto egli non s’è condotto a questo modo soltanto con me, ma
e con Càrmide di Glaucone (1) e con Eutidemo di Diocle (2) e con
moltissimi altri, dei quali si fingeva l’amante, e ne divenne piuttosto 1
amato. E perciò appunto avverto anche te, Agatone, di noli
lasciarti abbindolare da. costui, ma, ammaestrato dai nostri casi, sta’
in guardia e non imparare, secondo il proverbio, come uno sciocco, a
proprie spese (3). XXXVIII. — Quando Alcibiade finì di
discorrere tutti, al dire d’Aristodemo, scoppiarono in una grande
risata per la franchezza di lui, chè si mostrava tuttora innamorato di
Socrate. E Socrate osservò: Alcibiade, tu non sei, mi pare, niente
affatto ubriaco, altrimenti non avresti potuto, rigirando con tanta abilità
il tuo discorso, nasconder lo scopo di tutto quello che hai detto, e
che hai poi accennato di straforo -in fine di esso, quasi che non
avessi parlato unicamente per questo: pei metter (1) Càrmide ora
zio di Platone dal lato materno. Nel dialogo intito¬ lato da lui cl 6
dipinto corno bello dolio persona e d’animo aperto agli studi filosofici.
Aristocratico o partigiano doll’orìstocrazia, cadde nel. combat- tlmonto
ia seguito al quale fu rovesciato il governo del Trenta tiranni.
(2) Eutidemo di Diodo ora un giovano ammiratore di Socrato da non
confonderò col solista omonimo da cui s’intitola un dialogo platonico.
(3) Aeoonno ad un proverbio olio troviamo gu\ sotto varie forme in
Omero e in Esiodo. — S2 — male tra ine e
Agatone, perchè ti sei fitto in mente che io devo amare te e nessun
altro, e Agatone dev essere amato da te e da nessun altro. Ma ti sei
tradito, e tutti hanno visto a che mira codesto tuo (trama satiresco
e silenico. Senonchè, caro Agatone, procuriamo che egli non se ue
giovi punto, ma fa’ in modo che nessuno metta male tra me e te.
E Agatone: Socrate, in fede mia, hai ben ragione, mi pare. E lo
argomento dal fatto ch’egli s’è venuto a sdraiare in mezzo tra me e te
per tenerci separati. Ma non ne caverà nulla, anzi io verrò a sdraiarmi
accanto a te. Benissimo, rispose Socrate, vieni qui, alla mia
destra. O Zeus, disse Alcibiade, che mi tocca di soffrire da
quest’uomo! Vuol sempre e ad ogni costo sopraffarmi, ila, se non altro,
mirabile uomo, lascia che Agatone resti almeno fra noi due.
Impossibile, riprese Socrate. Tu hai lodato me, io, a mia volta,
devo lodare chi mi sta a destra. Se Agatone si sdraierà dopo di te, non
dovrà egli lodare nuovamente me piuttosto che esser lodato da me? Ma via,
non insi- 223 stero, divino amico, e non invidiare a questo giovane
le lodi che voglio farne, perchè sono impaziente di tes¬ serne
l’elogio. Ahi! Ahi! Alcibiade, disse Agatone. Non c’è verso
che io resti qui; cambierò posto ad ogni modo per avere le lodi di
Socrate. Ed eccoci alle solite! Dov’è Socrate, è impossibile
che un altro goda delle belle persone. Vedete ora che pretesto opportuno
e plausibile ha saputo trovare, perchè Agatone vada a mettersi accanto a
lui! XXXIX. — A questo punto, dunque, Agatone si levò per
andare a sdraiarsi a lato a Socrate. Ma, ad un tratto, ima numerosa
brigata di nottambuli avvinazzati giunse davanti alla porta-, e trovatala
aperta, perchè qualcuno era uscito, si cacciò nella sala e prese posto
a tavola. Allora il chiasso divenne incredibile, e tutti, senz’alcuna
regola, furon costretti a bere disperatamente. Erissimaco, Fedro e
qualche altro, diceva Aristodemo, andarmi via; egli fu preso dal sonno, e
rimase un gran perché le notti eran lunghe, ne S1 tratto
a do ’ . « oa nto dei galli. E destatosi, *-*• " TJu .o „ se
no er.no andnft «de elio h U ‘ ^tofane e Socrate rimanevano au-
soltanto Agatone, AJq ^ ^ verg0 destra, da coni desti , So ’ ora te
discorreva con loro. Di che una gran donassero, Aristofane non
ricordava — Costi > c qonneòchiare, e prima cadde addormen
cominciarci <■■ ,, minutar del °iorno, Agatone. iiiiSBESii
naia e «Topo, siiinmbrunire, tornò a casa a riposare. uno dei
" aeiia oitu ° 8oelto più tardi da Aristotele a sede
della sua scuola. rz„thvohro. Apologià,
Crito, Phneilo (K. Bonghi) . . .1,. 2 50 l Mn t O i »e- 0 ; 0 I ? n ^ P 0
hnni sulla vita d, Platone . . . . . . . > 0 I» '£..fed5sicr-.tè
» n " il Fellone • • • ent ,; r ii, curante H. Ottino .........
1 20 ® e “*^®ffTni CÌr ° ‘ An “ b “ i ‘ “ •" K,l ”. SI; . .
> 2 40 Libri IV, V, ' 1 .> 0 75 Li ber > Al
Jri rimedia), curante H. Ottino.> H — _ Institut.o Cyrt^C P c 1
q uìi i h (prossima pubblio a zwnt). - 11 Gerone, e cor» Colon0i
ourlHÌt e E. De March. . ® Sofocle* “Tt? ì>e Marchi).
1 S°Cchtnie?curante S. .. Traduzioni di Autori Latini.
„ V Enitalamio per le nozze ili 'fetide c l'eleo. Carme 1.X1V.
Catullo 0. v Ri ‘moento e traduzione poetica di 1. Gironi ... L. 1
20 'lesto latino, c.i J _ p 008ie scc lte voltate in prosa
italiana, cor- Catullo, libali»^ Vtoerzo i Se00 „da edizione. . .
.. > . o0 redato di noto da/-.. „ uorro gallica e civile
volg.,nauti da CM ‘ te c-Ugoni SS bmg;.aifchc e sferiche per cura
di G. Pinzi _ commentari sulla guerra gallica ... ■.>
_ Commentari “ u R“XTett£e piti 'comunemente studiate negli istituti
__ “""“•Soi."Traduzione di VzfcUhcorredata -
'■ ^TnSi’eJ'rivcdut’a'mi cmeUita suil’ediz. Tei.tiiicriuna da T. Gironi (
_ Dei Doveri (gli Uiìzi) .*.> ‘2 — La Vecchiezza e
l’Amicizia .• • • • * * a- x g Pollini . • • > 1 “ Scinione. Testo
eversione pe cu » . . . . > l 20 8 - 5 50 5 —
- Il «agito cU^o^iono T^to e g- - L’orazione a difesa di T.
A., a Capitani ; traduz. e noto di Z. Canni > Cornelio N. - De
vite degli eqooULnn C 1 t ^ ^ note storiche, lllolo- Fedri). —
Favole voltate in lingua la"™! .1 . s , edizione . . . • >
gicl.e, geografiche e mitologici e da Atm rm^ Q ^ . . . >
- Le favole nuovo recate in v( ;^ 1 (la o. L. Mabil: Livio T.
— La Storia romana, tradotta na .> l,ibri I-H riveduti da T.
Gironi. .> Libri XXl-XXIl id. . - • ’ l 20 1
— da !.. Andreozzi. {In ristampa)- fji r0 „i. con note. >
1 Fasti; volgarizzamento poetico d. i. . . Libri 1. II,
Ut £ UMli; . « , . • • > Libri iv^V 1 ^ 1 vi • • •
.• • ‘ tro ; nionotu. 'lesto latino e traduzione
to^A.-Trin»mmu8V\T* , ; • ‘.V sia,«nini *. > 4 - 4
50 4 50 l 80 2 20 2 20
"«uiBnao scoile; ioni»» w Tibullo. Catullo e Properaio.
a 0 . / Vrtw.5-C? , S? , !h SSutS"., 1 . K«1J« *
«* Le imprese di AU-h-u» 1 poetico d. f. Girci,. e > viratila p
m 1,11 Buoolieu ; '•o'K,n,fAf“"' i r s ., lix | 0 n>- * .
.1 ; fllnlnma 0 dhltterpi ih rtó di' opere e ani
Lm-iiif. (tradotta da Caro) coti not' • n ftr bone gariz/iuneuti di
Virgilio, u cura «li * . voi- l 20 6
G.
B PARAVIA & C. Traduzioni di Autori Greci
Aaaertonle ed Anacreontiche. — Traduzione letterale con riguardo alla
co-* struzione-o brevi note per 01. Aurenghi: Edizióne espurgata .
. L. 0.80 Demostene — Le tro Orazioni contro Filippo; traduzione
letterale con ri- J._ guardo alla costruzione o note per Ol. Aurenghi . .
. . . . > l 50 — Lo Olinticho; traduzione letterale italiana con
riguardo alla costruzione o note per 01. Auronghi.. . > 1
50 Kschllo. — Le Eumenidi, dramma. Traduzione letterale con
riguardo alla costruzione 0 uote di 01. Aurenghi.> 1 60
Esiodo. — Le opere e i giorni. Traduzione di C. Mazzoni ( jìroasima
pub¬ blicazione). filala. — Eo Orazioni contro Eratostene c
contro Agorato; traduzione lct- teralo con riguardo alla
costruzione e note poi 01. Aurenghi . . > 1 50 _ j j0 Orazioni
(XXIV e XXV): per un cittadino uccusuto di moueoligar- chiche — Fer
un invalido; traduzione letterale, coti riguardo alla co¬ struzione, e
note di Ul. Aurenghi.0 90 Omero. — Canto VI dellTliado; colloquio
di Ettore e di Andromaca. Tradu¬ zione letterale e noto per 01.
Aurenghi.> 0 60 Iliade; canto I, La peste - L’ira. Trad. letterale
e noto per 01. Auronghi > 0 60 — Odissea ; canto I, Concilio
degli Dei - Esortazione di Atena a Telemaco. Traduzione letterale e
note per Ol. Auronghi . . 0 60 — L’Odissea tradotta da Pimientonte,
con note di X. Festa.> 8 — Platone». — I dialoghi. Nuovo
volgarizz. di GL Me ini, con argoiuonti e note: Il Olitone, ossia
dello azioni l in ristampo,). L’Eutitxom*, ossia del Santo.> 0
75 Apologia di Socrate.> 1 50 Il Fedone, OEsìa della
immortalità dell’amiPft.> 3 50 Il r elione. Ubala uuiiu mimui
imiia ucii ... . « — Il Critone; traduzione letterale italiana con
riguurdo alla costruzione o noto per DI. Auronghi.> 0 75
— Apologia di Socrate; traduzione letterale, italiana con riguardo alla
co¬ struzione e noto per 01. Aurenghi.v ...... » S — r~
Il Fedro, Traduzione di E. Martini..> 5 50 — Il Convito.
Traduzione di B. Martini .> b 50 Senofonte. — Anabasi 0
spedizione di Ciro, traduzione di F. Aaibrosoli > 3 — ^ a
> 3 25 > 1 — > l 60 Mollnori Mi
—; Brani scelti di poemi omerici è dólPErieide nelle migliori
iitO/lllTt/ln! I Kt I ■ r. i\ 1-1 » biuuufiiuin immilli! ..
1 Oi*j “* Crestomazia degli autori grooi e latini nelle migliori
traduz. italiane . > lo —; Botiertl'G, —■ La eloquenza greca.
Voi. I.>4 60 Vita ili Pericle — Epitomo, nigonmuto © noto Vita
di Usila — Apologia prr l uccisione di Eratostonn, argomento e noto —
Orazione contro Erntostono, argomento © noto *— Orazioni» contro AvÀrnth
nmninanfi. 1» nnit> — vii» ft’Tsn, ■AUMENTO
Prezzo L. 5,50 Carlo Alberto Diano. Carlo Diano. Diano. Keywords: errante
dalla ragione, emendato, il segno della forma, il simposio ovvero dell’amore,
Mario l’epicureo – homosocialite – forma, segno, convite, Orazio, Virgilio,
filosofia roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Diano” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690429192/in/photolist-2mS1rKF-2mQi1gy-2mPXDFp-2mPNfYo-2mPKHfm-2mNsjFh-2mLJPUG-2mLMaMX-2mPxhsE-2mKGXJq-AKm2wa-BxbiQ5-iaPo9Z-BfCsgw-iaPpsv-iaP9LN
Grice e Dionigi – intorno al Cratilo
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Barletta). Filosofo. Grice: “I like Dionigi; for one, he
wrote on Cratylo, which I love!” – Grice: “In Plato’s Cratylo there’s possibly
all the vocabulary you need to understand Peirce! As if Plato foreshadows C. W.
Morris!” -- “Postmodern Italians like Donigi, and they created a cocktail in
his honour! His philosophising on Socrates philosophising with Cratilo on
semeiosis proves Whiteheads’s dictum that all pragmatics is footnotes to Grice,
and all Grice is footnotes to Plato!” Si laurea a Barletta. Il suo primo
saggio, sotto Althuser, Bachelard. La "filosofia" come ostacolo
epistemologico. Insegna Bologna. Centrale, nella sua riflessione, e Nietzsche
(Il doppio cervello di Nietzsche), analizzato sia in chiave ermeneutica che
logico-filosofica. Anche Bataille e un lucido bilancio di Marx ("L'uomo e
l'architetto”). Il processo di ripensamento della sinistra italiana lo vide di
nuovo impegnarsi in prima persona. Si accostò poi alla filosofia analitica e
alla svolta "linguistica", vista come approfondimento della critica
della metafisica. Le saggi si concentrano sull'ermeneutica ("Nichilismo
ermeneutico”), sulla semiotica, segnatura, semantica antica (Nomi Forme Cose.
Intorno il “Cratilo” di Platone) e soprattutto sul pensiero di Wittgenstein (Definite
descriptions – descrivere -- La fatica di descrivere. Itinerario di
Wittgenstein nel linguaggio della filosofia), del quale condivideva pienamente
l'esigenza di ripensare il linguaggio (segnatura) come la "cosa
stessa" della filosofia. “Cocktail
Dionigi” e un documentario contenente testimonianze di alcuni dei maggiori
pensatori italiani su Dionigi, tra i quali Berardi, Bonaga, Picardi, Eco, Cacciari,
Marramao. Altre opere: Bachelard. La
"filosofia" come ostacolo epistemologico, Il doppio cervello di
Nietzsche, Bologna, Cappelli Editore, Nomi Forme Cose. Intorno al Cratilo di
Platone, La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio
della filosofia: “Un filosofo tra Platone e il bar” – cf. Speranza, “Grice: un
filosofo tra Aristotele e il pub”. su
ricerca.repubblica, Cocktail Dionigi. The
development of Plato’s “Cratilo”. Commentaries on the Cratilo nella filosofia
romana antica. Cicerone e il Cratilo. Κρατύλος -- Sulla correttezza --
dei nomi. Personaggi: Socrate, Cratilo, Ermogene. Il Cratilo è un dialogo di
Platone. In esso è trattato il problema del linguaggio, o meglio, della “correttezza”
-- dei nomi o espressioni. Protagonisti del dialogo sono Socrate, Ermogene e
Cratilo. La maggior parte dei filosofi concorda sul fatto che venne
scritto principalmente durante il cosiddetto periodo di mezzo di Platone. Incontro
tra Socrate, Ermogene e Cratilo. Formulazione del problema e delle due tesi
sulla ‘correttezza’ – corretto – lo corretto – di una espressione o nome.
Socrate incontra Ermogene e Cratilo, che stanno discutendo attorno al problema
del ‘corretto’di una espressione e viene messo a parte da Ermogene delle teorie
di cui sono sostenitori. Cratilo afferma infatti che una espressione e “per
natura” – physei -- ossia rispecchia realmente il reale; Ermogene crede invece
che l’espressione e non naturale, ma arbitrario (lo naturale, physikos;
l’arbitrario – thetikos --. deciso dall’uso e dalla convenzione.
Confutazione della tesi di Ermogene: Una espressione racchiude in sé qualcosa
della cosa (il reale) a cui si riferisce. Socrate comincia a confutare la tesi
di Ermogene, mostrando che una espressione non e solo convenzioni, ma anzi
rappresentano un qualcosa della cosa o del reale a cui si riferiscono; contiene
cioè una qualche caratteristica che la rende perfetta nell'adattarsi alla cosa
descritta. Lo dimostra il fatto che esistono un discorso vero e un discorso
falso. Poiché l’espressione (A, B) è parte del discorso (A e B, S e P), è
evidente che l’espressione utilizzata nel discorso vero deve essere ‘corretta’.
Quella usata nel discorso falso non lo e. Colui che ha deciso l’espressione, il
legislatore, uomo sapiente (the master) ha infatti rivolto la sua attenzione
all' ‘idea’ o concetto (implicatum) dell’espressione, adattandolo poi a questa
o quella necessità descrittiva, adoperando sillabe e lettere differenti. Il legislatore
crea una espressione solo corretta, basandosi proprio sulla natura della cosa,
del reale. Ha qui inizio una sezione etimologica. Vengono presi in
considerazione l’espressione di dèi come “Tantalo” e “Giove” e viene
parallelamente sviluppato un eguale ragionamento sull’espressione delle qualità
dell'uomo, come l' “anima” o il “corpo”. In seguito si passa ad analizzare il
‘corretto” dell’espresione degli astri, dei fenomeni naturali. Il ragionamento
si dilunga sulle qualità morali dell'uomo. Il corretto di una espressione
si misura in base al corretto degli elementi che lo compongono, le fonemi Dopo
questa disquisizione Socrate spiega ad Ermogene che l’espressione fino ad
adesso analizzato e una espressione composta (complexus). Questa caratteristica di essere un compost
(complexus) la rende suscettibili di un'ulteriore indagine: quella degli
elementi che lo compongono, come le fonemi. Le fonemi, o, più in generale,
l’elemento morfo-sintattico che forma l’espressione (“Fido is hairy-coated”,
Fido was hairy coated, Fido and Rex ARE hairy coated – l’espressione, deve infatti
riprodurre l'essenza della cosa, del reale, giacché è al reale che si riferisce.
Inizia qui l'analisi di alcune fonemi come rho e lambda. Cratilo si oppone a
questa tesi di Socrate. Sostiene che una espressione è sempre giusta, corretta,
propria, vera, perché è della stessa natura delle cose che descrive. Una sbagliatura
non è una espressione. Socrate comincia a confutare la tesi di Cratilo. Non è
possibile infatti dire che l’espressione e il reale a cui si riferisce siano la
stessa cosa. L’espressione “Fido is hairy coated” e il fatto che Fido is hairy
coated e proprio hanno qualcosa in comune, così come un ritratto di Alcebiade
racchiude qualcosa d’Alcebiade che reproduce. Tuttavia non sono due cose
uguali. Se si ammette questo fatto (e Cratilo, seppur poco convinto, lo fa)
bisogna allora ammettere anche che esistono sbagliatura e l’espressione
corretta, vera, giusta. Del resto un ritrattista può nelle intenzioni riprodurre
Alcebiade e poi essere dissimile. Cratilo contesta ancora a Socrate il
problema della conoscenza tramite il linguaggio. Se l’uomo conosce e apprende
il reale attraverso l’espressione, è evidente che non potrebbe esistere nessuna
conoscenza se l’espressione non fosse corretta, vera, giusta, propira, cioè se
l’espressione non fossero della stessa natura delle cose. Socrate sostiene
allora che un legislatore, all’adopere una espressione, non è detto che avesse
un'opinione giusta corretta vera del reale. Il legislatore infatti non poté
apprendere attraverso l’espressione, perché ancora non era stata inventata (cf.
muon). È possibile allora che abbia fatto dell’errore e ciò è dimostrato dal
fatto che una espressione puo non essere corretta, giusta, vera – atomo, anima,
ecc. Esiste un modo migliore per conoscere: non attraverso l’espressione, ma
attraverso il reale; solo il reale puo non essere contraddetto, mentre l’espressione
si presta a molteplici interpretazioni. La possibilità di una conoscenza (opinione
vera e giustificata) e del corretto dell’espressione risiede nella stabilità
del reale. Poiché la natura è stabile, e rimane sempre uguale, allora è
possibile denominarla con precisione. Cratilo si mostra poco convinto e
alla fine si allontana da Socrate insieme ad Ermogene. Ermogene
simboleggia la concezione sofistica del linguaggio. Per il sofista, a partire
dal italico Protagora, se “l'uomo è misura di tutte le cose”, ogni tipo di
espressione si adatta a seconda delle condizioni poste dall'uso. L’espressione
“Fido is hairy-coated” è puramente arbitraria – convenzionale. E possibile che
non c'è nulla in comune tra una espressione ed il reale (traspassa la fase iconica).
Tuttavia l'uso comune fra il mittente e il recettore ha permesso
quest'accettazione (arbitraria da parte del mittente) e si reputa ‘corretto’
spiegare che Fido è ‘hairy-coated (shaggy)’. Tuttavia ugualmente bene andrebbe
l’espressione "scoiattolo" o "cicala" giacché non sussiste
nessuna somiglianza tra l’espressione (“shaggy”) e il reale
(hairy-coatedness). Cratilo simboleggia invece la concezione naturale
(pre-iconica) della communicazione. Esiste un'assoluta identità tra espressione
e espressum, explicatura ed explicatum, implicatura ed implicatum, profferenza
e profferito. L’espressione è vera sempre, perché racchiude in sé la stessa natura
che pervade il reale segnato per il segno che e primariamente iconico. Ogni
espressione è un “indizio” (index, traccia, segnale) di conoscenza, di una
conoscenza meravigliosa, divina, quasi sacrale. Il segno è giusto perché il
primo legislatore a segnare il segnato fu come un dèo che, essendo perfetto,
assegna un segno (fa un segno – significa) perfetti al segnato. Una sbagliatura
non e un segno; Non tutto e un segno --. Platone fonda la sua concezione
della communicazione sull'ontologia. Per Platone è immediatamente evidente che
esista un segnato al di fuori del segno; è il segnato stesso a cui il segno si
riferisce. Bisogna infatti che esista un segnato perché esista una segnabilita.
Senza questo segnato, senza quest'essenza, rimarrebbe inutile segnare, giacché
non si dovrebbe indicare “nulla” con il segno, perché non ci sarebbe nulla da
indicare. Platone allora comincia dal Cratilo ad elaborare una teoria dell’idea
immutabile: di un'essenza stabile nella natura, che rimanga uguale ed
inalterata nel tempo e che renda valida la segnabilità. Più volte Platone fa
riferimento alla figura del legislatore e a quella del dialettico. La figura
del legislatore è la figura di colui che adopera il segno per riferirsi al
segnato. Si utilizza il termine legislatore in senso molto ampio, intendendolo
sia come uomo sia come divinità, secondo la concezione naturalistica di Cratilo.
Tuttavia si è visto come Socrate alla fine dubiti della infallibilità del
legislatore, poiché egli ha assegnato anche un segno errato. La figura del
dialettico rappresenta invece la nuova concezione del linguaggio elaborata da
Socrate. Secondo Cratilo non esiste altra conoscenza al di fuori del segno.
Platone invece è convinto che la vera conoscenza sia al di là del segno,
nell'essenza stessa del segnato. Se il legislatore è colui che crea il segno
sulla sua opinione riferendosi alla natura del segnato, il dialettico conosce
il segnato e in maniera approfondita e, di conseguenza, sa quale segno attribuire
al segnato (H2O). Tale segno (H20) sarà per forza corretto. Genette,
nell'opera Mimologie. Viaggio in Cratilia, parte dal discorso di Platone per argomentare
l'idea di arbitrarietà del segno. Secondo questa tesi, sostenuta da Grice con
il suo “Deutero-Esperanto” e il nuovo “High-Way Code”, il collegamento tra il
segno e il segnato non ha necessita di essere naturale (“A segna che p” no
implica “p”). Le idee sviluppate nel Cratilo, benché datate, storicamente sono
state un importante punto di riferimento nello sviluppo della prammatica. Sulla
base del Cratilo Licata ha ricostruito, nel saggio Teoria platonica del
linguaggio. Prospettive sul concetto di verità (Il Melangolo), la concezione
platonica della semantica, in base alla quale il segno avrebbero un legame
naturale, una fondatezza essenziale, col loro segnatum. Sedley, Plato's
Cratylus, Cambridge. Bibliografia ̈ Ademollo, ‘The Cratylus of Plato. A
Commentary’, Cambridge.. Gaetano Licata, Teoria platonica del linguaggio.
Prospettive sul concetto di verità, Genova: Il Melangolo, Luigi Speranza,
“Platone e il problema del linguaggio” seminario. Lettura e commentario di
testi di filosofia antica. testo completo in italiano e lingua greco antico. Traduzione
integrale del Cratilo su filosofico.net, su intratext.com. Il testo greco
presso il Perseus Project, su perseus.tufts.edu. Sedley, Plato's Cratylus, in Zalta
(a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of
Language and Information (CSLI), Università di Stanford. Bibliografia su Cratilo.
Dialoghi di Platone I tetralogia Eutifrone Apologia di Socrate · Critone ·
FedonePlato-raphael.jpg II tetralogiaCratilo · Teeteto · Sofista · Politico III
tetralogia Parmenide Filebo Simposio (o Convivio) Fedro IV tetralogia Alcibiade
primo · Alcibiade secondo Ipparco Amanti V tetralogiaTeage · Carmide · Lachete
· Liside VI tetralogia Eutidemo Protagora Gorgia Menone VII tetralogia Ippia
maggiore Ippia minore Ione Menesseno VIII tetralogia Clitofonte La Repubblica
Timeo Crizia IX tetralogia Minosse · Leggi · Epinomide · Lettere Opere spurie
Definizioni Sulla giustizia Sulla virtù Demodoco Sisifo Erissia Assioco
AlcioneEpigrammi. Linguistica Categorie: Opere letterarie in greco antico Dialoghi
platonici Opere letterarie del IV secolo a.C. CRÀTYLVS PLATONIS, VEL DE RECTA NOMINVM
RATIONE: TRANSLATVS Ficino Florentino, ad Petrum Medicem uirum clariſſimum. A
MARSILIO ec HERMOGENES. CRATYLVS, SOCRATES. Is igitur sermonem nostrū et cum
hoc Socrate conferamus: CRAT. Vo: Io equidem, si tibi uidetur. HER. Cratylus
hic ô Socrates, rebus singulis ait natura inesse rectam nominis rationem, neqid
esse nomen, quod quidã ex constitutione vocant, dum vocis suæ particulam quandā
pronunciat, sed rectam rationem aliquam nominū & græcis et barbaris eandé
omnibus innatam. Percontor itags ipsum, num revera Cratylus sit eius nomen.
Ipfe fatetur. Socrati vero quod nomen, inquam:Socratesait.Nónne cæteris
omnibus,inquã,id eft nomen quo quenquocamus.Illenõ tibi tamen ait Hermogenes
nomen eſt,nec etiã ſi omnes homines teita uocarint. Dumýobfecro ut ſciſcitanti
mihi quidnamdicat aperiat, nihil prorſus declarat, sed me ludens, simulatſeſe
aliquid uerſareanimo,quali nõnihil hac de re intelligat,quod li uellet
exprimere,cogeret meidipfumfateri,eadēý dicere quæ ipſe dicit. Quamobrem
libenter ex te audirem, siqua ratione Cratyli uaticiniâ potes conījce se.libentius
tamen fencentiam tuam denominum rectitudine,fiquidem tibiplacet,audi
rem.soc.Hipponici fili Hermogenes,ueteriprouerbio fertur. Pulchra eſſe cognitü
Prouerbia e difficilia.Atquiilla nominū notitia haud parua res eft.Equidem ſi
ex Prodico illa quin quaginta drachmarum demonſtrationě iam olim audiffem, in
cuius traditione etiã hæc inerant,ut ipſeteſtatur, nihil prohiberet quin tu
ſtatim nominū rectitudiné intelligeres. cam porrò nun audiui, fed
illamdrachmæunius duntaxat. Quare quid in his uerû ſit, neſcio,inueftigare
autem tecum ſimul &cum Cratylo paratus ſum.Quodautem dicit ti bi noneſſe
reuera nomen Hermogenes,quod à lucro dicitur, mordetteputo quaſi pecu niarum
auidus ſis, & impos uoti. Verum,ut modo dicebam, diſficilia hæc cognicu
ſunt. Oportet autem rationes utring in medium adducendo perquirere,utrum ita
sit ut dicis ipse, an potius ut Cratylus ait. HER.Enimuero ô Socrates,licet frequenter
cum hoc cær terisc permultis iam diſputauerim,nondum tamen perſuaderimihi
poteft aliã eſſe no minisrectitudinem, conuentionemipfam conſenlionemě.Mihi
quidē uidetur quod cungnomen quis cuig imponit,id eſſerectů.Acſi rurſus
comutat,aliudó imponit, ni hilominus o primum, quod illi ſuccedit nomen rectấexiſtere,
quemadmodüſeruis no mina cómutare solemus: nulli quippe rei natura nomē
ineſſe,fed lege &uſu illorum qui fic uocare conſueuerunt.Quod quidem ſi
aliter ſe habet,paratus ſum non à Cratylo tan tum,uerumetiã àquouis alio
diſcere ac audire.soc.Forte'aliquid dicis Hermogenes: Conſideremusitap.quodcũq
imponit quis cuinomen uocato, id illi nomen effe af feris:HER.Mihi ſane'ita
uidetur. Soc.Et ſiue priuatus uocet, ſiue civitas. HER. Affero. soc. Quid vero
si ipſerem aliqua vocem, veluti fi quem nunc hominem vocamus, ego “equum” nominē,
quem'ue equum, hominē: publice quidem erit eidē homo nomen, pricatim “equus”,
&priuatim rurſus homo, publice “equus”. Ita loqueris: HER.Ita uider.soc. Diciterum
num aliquid nuncupes vera loqui, aliquid loquifalſa.HER. Equidem. Soc. Nónne
illa quidem uera erit orario,hæcaūtoratio falſa: HER.Ita prorſus. So c.Illa
uero Quæ oratio oratio quæ existentia dicit ut exiſtűt, vera est,quæ ut no
exiſtűt, falsa: HER.Certe. soc. uera, quæ Est autem hoc,oratione,ea quæ ſunt,
& quæ non ſunt,dicere?HER.Idipfum.soc. Ora- falfa cio quæ uera eſt,utrum
tota quidem eft uera,partes non uerærher.Imò&partes ueræ. soc. Vtrữ partes
magnæ ueræ,exiguæ uero particulæ fallæ,an ueræ ſunt omnes. HER. Omnes arbitror.soc.Habes
orationispartem aliquã minorēnominer HER.Nequaç, Orationis hęceſ pars minima.so
c.Etnomen quidē hoc pars orationis ueræ.H ER.Proculdubio. pars minio soc.Pars
utiq uera,utais ipſe.HER.Vera.soc.Pars autem falfa.HER.Aio. soc. Licet ma eſt
nos ergonomen uerű, & nomen falſum dicere, fiquidē & orationem.HER. Quid
prohibet, men soc. Quod quis cuiq nomen esse ait,id & cuiq; nomen eft? HER.
Idipſum. soc. An etiam quotcungquis nomina cuique tribuit,totidem erunt:ac
etiam quandocuno tri buit HERM. Haud equidem habeo Socrates, aliquam præter
hanc nominis rectitudinem am rerum ipſas effe dinens,utuidelicetliceatmihi
quidē alio rem uocare quodipfe impoſuinomine,tibiay tem alio quod tuimpoſuifti.
Ita equidem in ciuitatibus uideo eorundem ppria quædam haberinomina, &
Græcis ad alios Græcos,& Græcis ad Barbaros. soc. Animaduerta. musHermogenes,utrum
resipilaita se habere tibiuideantur, utpropria rerum apudu Sententia numquenq
effentia fit, quemadmodum Protagoras tradidit: rerum omnium dicens ho Protagoræ
minem effemenſuram, ita ut qualiamihiquæq uidentur,talia & mihiſint: item
qualiad circa eflenti big& tibi talia. An potius quædam eſſe putes, quæ
effentiæ ſuæ quandã habeant firmita rém.HER.QuandogóSocrates,dubitansad hæc
deductusfum, quæ tradit Protagoras. Ita tamen effe haud fatis mihi perſuadeo.soc.
Nunquid & ad hoc aliquando es dedu ctus, ut tibinequaquam uideretur aliquem
eſſe hominem omnino malum: her. Non per louem.imò fæpenumero ita fum
affectus,utexiſtimarem hominesnonnullosomni nomalos effe, & quidem
plurimos.soc. Prorſus autem boninulliadhuc cibi ufi funt HER. Admodum pauci.
soc. Viſi ergo ſunt aliqui.HER. Aliqui.soc. Quaratione hociudicaschac ne omnino
quidem bonos eſſe,omnino prudêtes: prorſus vero prauos imprudentes omnino:
HER.Mihi fane'ita uidetur.soc. Si Protagoras uera dixit, eſto hæcipfa
ueritas,ut qualia quæą cuiq uidentur,talia ſint fieri'ne poteft,ut alij hominum
prudentes ſint,imprudentes alí:HER.Nequaquam.soc.Atqui hæc, ut arbitror,tibi
omnino uidentur,cum uidelicet prudentia quædam & imprudentia fic,Protagorā
baud omnino uera loquipoffe.Neqenim alter altero reuera prudētiorerit,fi
quæcuiquiden Sententia tur,cui uera erunt.HER.Ita eft.Atneqz
Euthydemoaffentiris, utarbitror,dicenti om Euthydemi, nia omnibus eſſe
ſimiliter ac ſemper.Nec enim ali boni,alí mali effent,fiſemper & æ
nibuselle û que omnibus & uirtus ineffet & prauitas. HER. Vera
loqueris. soc. Ergo fineqom. militer, ac nia omnibus inſunt ſemper ato
ſimiliter,ne cuiq proprium unumquodq, cõſtat res femper quæ effentiam quandam
firmam in fe habent,ne® quo ad nosneæ ànobis per imaginationem ſurſum deorfumą
diſtractæ, fed fecundum feipras quoad ipfarum elfen tiam utnatura inftitutæ
ſunt permanentes.HER. Idem mihi quoq uidetur Ô Socrates. soc.Vtrum res ipfæ ita
natura conſiſtunt,actiones autem illarum non ita,ſed aliter: an & actiones
ipfæ fimiliter quædam rerum fpecies ſunt:HER.Et ipfæ omnino. soc. Er go
actiones ipfæ fecundum naturam ſuam,non ſecundum opinionem noftram fiunt.
Quemadmodum finosrem quampiam diuidere ftatuamus,utrum ſic diuidēdares quæ que
eft,utnos uolumus, & quo uolumus: an potius ſi unumquodqs diuidamus ſecun
dum naturam qua diuidere & diuidioportet, item eo quo ſecundum naturam
diuiſio fieri debet,diuidemus utiqrecte, & aliquid proficiemus,ac recte
iftud agemus: Sinau tem præternaturam,aberrabimus,nihilg proficiemus? HER. Mihi
quidem ita uidetur. soc.Atqueetiam ſicomburere aliquid aggrediamur,non fecundum
omnem opinio nem comburereoporter,fed fecundum opinionem rectam. hæc autem eſt
qua ratione naturaliter quode comburi debet atæ comburere,& quo debet. HER.
Vera hæcfunt. soc.Nónne eadem decæteris ratio: HER. Eadem.Soc. Annon &
dicere una quæ dam operationữeſt: HER.Eft plane.soc.Vtrum rectedicet, qui ut
ſibi dicendum ui detur, ita dicitran potius qui ita dicit,utipſa rerum natura
dicere diciç requiritiet fi quo natura exigit,eo & dicat,aliquid dicendo
proficiet:ſin aliter,aberrabic:nihilós efficier. HER.Ita equidem
utais,exiſtimo.soc.An non dicendipars quædam est nominare: & quinominant, loquuntur
quodamodo? HER.Omnino.soc. Etnominareactio quæ dam eft: quandoquidem &
dicereactio quædam circa res eft. HER. Prorſus. soc.A. Ationes autem nobis
apparuerunthaud ad nos reſpicere,fed propriam quandam ſui ha bere naturam. Her.
Est ita.so c.Nominandű itaq; ea ratione qua rerum ipſarum natu. ra
nominareacnominaripoftulat,& quopoftulat,nõ autem pro noftræ uoluntatis
arbi trio,liftandum eſt in his quæ dicta ſunt. HER. Sic eſt.s o c.Ato ita
aliquid peragemus, nominabimusý,aliter uero nequaquam. HER. Apparet. soc. Quod
incidendum eſt, aliquo incidendű.HER. Aliquo.soc. Etquod texendữ, aliquo certe
texendű, quodue perforandum,aliquo perforandū.HER.Plane.so c.ltem quod
nominandũ,aliquono minandum.HER.Sic oportet.soc. Quid illud,quo aliquid perforareoportet?
HER. Terebrum.soc.Quid quo texere: HER. Radius pecteng. soc. Quid quo nomina. Reč
HER.Nomen.soc.Beneloqueris,ideog inſtrumentum aliquod nomen eft.HERErt Eft.soc.Siquærerē
quod inſtrumentū eſt radiuspectený,reſponderes quo teximus: HER.Non
aliud.soc.Texentes uero quid facimus, an non fubtegmen & ſtamina con fuſa,radio
diſcernimus. HER.Iſtuc ipſum.so c.Idem de terebro ac cęteris reſpondebis: HER. Idem.soc.Potes
& circa nomen ſimiliter declarare, quid facimusdum nomine Nomen, res ipfo quod
inſtrumentū eſt,aliquid nominamus. HER.Nequeo.so c.Nűquid docemus tias docen's
inuicem aliquid,acres ut ſunt diſcernimus. HER.Nempe. soc. Nomen itaqrerű ſub
di diſcernen Itantiasdocendidiſcernendig inſtrumentū eſt,ficutpecten &
radius ipſe telę.HER.Sic diğinftru eft dicendű.soc.Radiusporrò textorių eſt
inſtrumentū.HER. Quid nir'sOCR.Texcor mentum icaç radio ac pectinerecte
uterur,recte,inquā,ſecundű texendirationē.Ille uero quido cet,nomine Pombaur,
& recte,recte uidelicet ſecundű docendipropriâ rationē: HER. Cer te.soc.
Cuius artificisoperebene Pombaurtextor,quando radio pectineś Pombaur: HER. Fabrilignari.
soc.Quiſque'nelignarius faber,an potius quiartē habet? HER.Quiha.
betartē.soc.Cuius item opere recte perforator Pombaur? HER.Aerarijfabri.soc. Num
quiſqz eſt faberærariusè an potius quihabet artem: HER.Quiartē. soc.
Ageergo,dic cuius opere ipſe doctorutatur,quotiesnomine uticur.HER.Neſcio.soc.
Allignare & hocneſcis: quis nobis traditnomina quibus utimur.Her.Ignoro
& hoc.soc. Nónne lex tibiuidet nobis nominaſtatuiſſe HER. Videtur. soc.
Ergo legislatoris Pomba opere doctor,quádo nomineipfoPombaur.HER.Opinor.soc.
Códitor legis quilibettibiæque uidetur,an quiarte eſtpræditus.HER.Arte
præditus.soc. Quarenö cuiuſcunq uiri eſt Hermogenesnomen imponere,uerũ cuiuſdam
nominữautoris. hic autem etiam, ut ui detur,nominữ inſtitutor,
quirarioromniartifice interhominesreperit.HER.Apparet. Soc. Animaduerte obſecro,
quô reſpiciens nominü inſtitutor,nomina rebus imponit: imòſuperiorű exempla
dýjudica,quò reſpiciens faber radium pecteng cõficit.nonnead tale aliquid quodad
texendum natura fit aptum: HER.Prorſus. soc. Siin ipſo operera dius hic
frangatur, utrum alium iterű fabricabit ad fracti iſtius imaginēžan potius ad
ſpe ciem ipfam reſpiciet, ad cuius exemplar radium qui fractus eſt,fecerat: HER.
Adipſam ut arbitror, speciem.soc. Nónneſpeciem ipfam merito ipſius radij
rationé,ipſum pra dium maximenominabimus: HER.Opinor.soc. Siquãdo oportet
cõficiendæ ueſtite nuiuelcraſſiori lineęſiue laneę,ſiue cuiuis alteriradiữ apparare,
radios singulosoportet ſpeciem radīj ipſius habere:qualis uero cuiqznaturaliter
eſt accómodatiſſimus,talem ad opus peragendű,ut natura
poftulat,adhibere.HER.Oportet ſané.soc.Eadem de cætè ris inſtrumétis eftratio.Nam
quod natura cui & congruit; instrumentũadinueniendum eſt,atq id
illiattribuendű,ex quo efficitno qualecunq uult quifabricat, ſed quale natu ra
ipſa exigit. Terebrum nam cuiæ accommodatum ſcire oportetin ferro perficere.
HER. Patet. soc. Radium quinetiam singulis competentem in ligno. Her. Vera hæc
ſunt.soc.Quippeipfa rationenature alius radius telæ alteri competit, & in
alijs eodem modo.HER. Sane. soc. Oportet quoguir optime, ucillenominum
inftitutor nomen Quomố no natura rebus ſingulis aptű in uocibus & fyllabis
exprimat, ad idý reſpiciés quod ipſum minabit qui nomen eſt, ſingula nomina
fingat,atque attribuat, li reuera nominum autor eſt futurus. recte nomi Quod
ſinonñſdem ſyllabis quiſq nominum conditornomen exprimit,animaduerten dum eſt,
quod neq fabriomnesærarñ eodem in ferro id faciunt, quoties eiuſdem gratia idem
fabricant inftrumentum. Verum quatenus eandem ideam attribuunt, licet in alio,
& alio ferro,eatenus recte ſe habet inſtrumentum,ſiuehic,fiue apud Barbaros
fabricēt. Nónne; HER.Maxime. soc.Nónne & eodem modo cenſebis,donec
inſtitutor no minum quiapud nos eſt, & qui apud Barbaros, nominis speciem
cuim cõpetentem tria buunt,in quibuslibet fyllabis nihilo deteriorem efle unű
altero in nominibus imponena dis: HER. Equidem. SOCR. Quis cogniturus eſt utrum
conueniens radij species cui cunqueligno fitimpreſſar num faber qui efficit: an
textor uſurus. HER. Probabile eft ô Socrates,magis eữ quieſt uſurus,
cognoſcere.soc. Quis lyræ fabricatoris opereuti tur:nonne ille qui fabricantem
inſtruere poteft, & opus recte'ne an cótra factâ fit,iudia care: HER. Omnino.soc.Quis
ergo: HER.Cithariſta.soc.Quis autem opere ſtructo. ris nauiữ.
HER.Gubernator.soc.Quis item nominữ conditoris operioptime præſides, bit, &
expletû dijudicabit & apud Græcos & apud Barbaros: Nónne & quiuteſ:
HER. Is certe.so c.Annõ is eſt qui interrogare ſçitç HER. Iſte. $ 0 c.Idem quog
reſpondere, HER nabic zi HER. Nempe. $ o c. Eum uero qui interrogare ſcit ato
reſpondere,aliumuocas i diale Dialecticus nouit recte cticum: HER.Dialecticum
profecto.socr. Fabri ita opuseſt temonem facere guber impofita no natore
præcipiente,li bonus futuruseſt temo. HER. Apparet. soc. Nominum quoq au
minarebus torisnomen, monentedialectico uiro, ſi modo recte ponenda ſunt
nomina. HER. Vera ſint, necne hæc funt. Soc. Apparet ergo Hermogenes haud leue
quiddam,utipfecenſes,nominis impoſitionem eſſe,neæ id effe imperitorum
&quorumuis hominum opus.NempeCra tylus uėra loquitur,cum nomina dicit
natura rebus competere,neg unum quemuis eſſa nominum autorem, sed illum
duntaxat quiad nomen reſpicit, quod natura cuiq conue. nit, pofteag ſpeciem eâ
literis ſyllabisq inſerere. Her. Neſcio Socrates qua ratione his quæ
dixiſti,lit repugnandã:forte'uero non facile eſt ſubito fic perſuaderi. Videor
autem mihi hâc in modumtibi potius aſſenſurus,fi oftenderis quam dicaseſſe
natura rectano. minis rationem. soc. Equidem ô beate Hermogenes,adhucnullam
dico, ferme'nama è memoria excidic quod dixerā suprà, meuidelicet
hocignorare,uerum una tecum per quirere. Nunc aucem mihi &tibi limul
inueftigantibus hoc duntaxat præter ſuperiora compertõeſt, rectitudinem aliquã
natura nomen habere, nec quemlibetpoffenomen rebus accommodare.Nónne:
her.Valde.soc.Conſiderandum reſtat, ſi noſſe deſide. ras, quænã ipſius ſit
nominis rectitudo,id eftratio recta. Her. Deſidero equidem.soc. Animaduerte
igitur. HER. Quauia inueſtigandâmones. soc. Rectissima estô amice, consideratio,ab
his qui ſciūt hæc perquirere,oblatis pecunis, & gratöjs inſuper actis:hi
uero ſophiſtæ ſunt, quibus frater tuus Callias multis erogatis pecunijs, ſapiês
euafiffe ui detur.Poftquam uero in res paternas iusnon habes,reliquũ eſt
fratrem ſupplex ores, ut te doceatnominârectitudinem quam à Protagora didicit.
HER.Quàm abſurda hæcel Veritas no, ſet petitio Socrates, fi cum illam Protagoræ
ueritatem nullomodo recipiã,ea quæ ex uc men ſcripci,ritate illa
dicuntur,alicuius precí æſtimarē.soc.Acuero ſi tibi hæc non placent,ab Ho aut
ironicũ mero cæterisý poetis est diſcendum. HER. Quid de nominibus, & ubi
Homerus ô Socrates,tradic:so c.Paſimmulta, maximauero & pulcherrimaſuntilla,in
quibus diftin guitcirca eadem quæ nomina homines, &quæ dö ipfi inducunt.
Annoncenfes ipſum in his magnificum alíquid & mirandumde recta ratione
nominữ tradere: Constat enim deos nominibus illis ad rectitudinem ipfam uti,
quæ natura conſiſtunt. Annon putas: HER. Certe equidem fcio,fiqua dij
uocant,recte eos admodum nominare. Verum quæ nam ista: Soc. An ignoras quod de Troiano
flumine, quod ſingulari certamine ca Vul cano pugnauit, inquit: quod Xanthứdijuocant,
uiriScamandrum.HER.Scio. SOCR. Annoncenſes magnificum quiddam cognitu
eſſehoc,qua ratione rectius fit flumen il lud Xanthű, quam Scamandrâ nominare. Item
fi uis, animaduerte &iftud, quod auem eandem dicit Chalcidem quidêa dřs,
Cymindin uero ab hominibus nominari. Leuem cognitionem hanc putas,ut fciat
quanto rectius fit eandem auem Chalcidem quam Cy mindin nuncupare, uel Batieam
aros Myrinen, alias permulta &apud huncpoetam &apud alios talia: Verum
iſtarữrerum inuentio acutius ingenium quam noſtrũ exigit. Scamandrius autē
&Altyanax quid ſignificent,humano ingenio, utmihiuidetur, com
prehendi,facile & percipi poteſt,quam rectitudinem eſſeHomerusuelit in his
nomini bus quibus Hectoris filium nuncupat. Scis ea carmina quibusinfunt,quæ dico:
HER. Omnino.soc. Vcrum iſtorum nominâ putasHomerum exiſtimaſſe conuenire magis
puero, Aſtyanacta'ne,an Scamandriã: HER. Ignoro. soc. Sicautem conſidera:liquis
te interrogaret, utrữ putes fapientiores rectius nomina rebus imponere, an
minus ſapien. tes,reſponderes ucią ſapientiores.HER. Sic certe.soc.Vtrũmulieresin
urbibus sapientiores eſſe tibi uidenč, an uiri: quantı ad genus attinet. HER.
Viri.so c.Neſcisquod in quit Homerus, Hectoris filium a Troianis Altyanacta,a
mulieribus Scamandriū nuncu patum: quandoquidem uiri illum Aſtynacta uocare
conſueuerűt. Her. Videtur, soc. Nónne Homerus Troianos uiros fapientiores, quam
mulieres eorũ exiſtimauit: HER. Arbitror equidem. SOCR. Aſtyanacta
igiturrectius quàm Scamandrium nominatum - esse cenſuit, HER.Apparet.SOCR. Animaduertamusquam
ipſe denominationishuius cauſam affert, Solus enim, inquit, ciuitatem ipſis
cutatus eſt amplas mænia. Quapro prer decet, ut uidetur,protectoris filium
nominare &svavaxta, id est regem urbis, urbis, inč,eius, quam pater ipſiusſeruauit;ut
inquit Homerus. HER. Idem mihi quocuider: Soc.Quod aức hoc maxime;porrò
&ipfe nondum fatisintelligo, ô Hermogenes. Tu vero percipis: HER. Nõ
perlouem.soc.Arqui & Hectori ó boneuir,nomen ipfeHo meras impoſuit. HER.
Quamobrem: soc.Quoniã mihi uidet id nomen Hector Aſtya sactieſſequamproximum:
ferme'enim idemſignificant, putanta Græciutraq hæcno mina regiaeffe. Cuiuſcunæ
enim quis avaş, id eſt rex extitit,eiufdem eft & fxTue,id eſt
poſtelfor.Conftat enim dominari illi,pofliderecſ, & habere.An forte'nihil
tibidicere ui deor meg fallit opinio, quaHomeriſcientiam circa nominum
rectitudinem, ceu per ue ftigia quædam attingere cöfidebam: HER.Nullo modo, ut
arbitror. forte enim nonni hil actingis. SocR.Decet,utmihiuidetur, leonis filiū
leonem ſimiliter nominare, equi filium equum haud certe dico, liquid
tanquammonſtrum exequo nafcatur aliud quid dam quám equus:fed cuius generis
ſecundum naturam eſt quod naſcitur, hoc dico.Sies nim bouis fecundum naturam
filius equũ gignit,non uitulus qui naſcit, ſed pullus equi nus eſt
nuncupándus.Et fi equus præter naturam gignit úitulum,non pullus equinus di
cendus eſt hic,fed uitulus. Neqetiam ſi ex homine alia proles quam humana
producit, quodnaſciturhomo uocari debet.Idemg eſt dearboribus,dešcæteris omnib.
iudican dum.Probas hæc: HER.Probo equidem.soc.Obſerua me nequid defraudem.
Eadem quippe ratione,fiquis exrege naſcitur, rex eſt nominandus: in alíis uero
& alíjs ſyllabis idemlignificari,nihil intereſt, neck referc ſiue addatur
litera aliqua,ſiue etiã ſubtrahatur, donec eſſentia reiſignificatæ in ipſo
nomine dominacur.HER. Qui iſtucais:'soc. Nihil mirum nouum'ue dico, uerű ita ut
in elementis fieri cernis, ſcis enim quod elementora nomina dicimus,ipfa uero
elementa nequaç, quacuor duntaxat exceptis.dicimus enim &utonów, o fixpou
& whéya. Cæteris autem tam uocalibus quam non uocalibus alias addentes
liceras,ut Båtte 4.7.c. nomina conſtituimus,atq;ita proferimus. Verum quo uſg
elementi ipſius uim declarată inſerimus, conuenit nomen illud uocare ipſum quod
nobis fignificet elementum, ut in Bizu apparet, ubi additis 8. 7.éc, nihil
obftitit quin in tegro nomine natura elementiilliusoſtenderetur, cuiusnominum
autor uoluit:uſquea deo ſcite literisnominadedit. Her. Vera mihi loqui
uideris.soc.Nónne eadē derege ratio erit: Erit ex regerex, ex bonobonus, ex
pulchro pulcher, &in cæteris omnibus fimiliter ex quolibet genere alterữ
quiddam tale,niſi monſtrữ fiat, eademq dicendano: mina.Variare autem licet per
fyllabas,ut uideantur homini rudi,quæ ſunteadem,eſſe di Gería. quemadmodữ
pharmaca medicorũ coloribus &odoribusuariata ſæpe cã eadem fint,nobis
diuerſa uidentur: Medico aūt uim pharmacorũ conſideranti eadem iudican tur,neß
eum additamēta perturbant. Similiter forte qui eſt in nominibus eruditus, uim
illorum conſiderat,neq; eius turbaſiudicium, liqua litera addita eſt, uel
tranſmutata,uel dempta, uelin alijs literisac multis eadē uis
nominisreperitur.Vteanomina quæ fuprà diximus, Altyanax &Hector, liceras
omnino diuerſas,præter folum habent, idem ta menſignificant. Item quod &exémolis,
id eſt,princeps ciuitatis dicitur, quam literarum communionẽ cum duobus
ſuperioribushabet: Idem nihilominus infert. Multaq; ſunt alia, quæ nihil aliud
quam regem ſignificant. Multa præterea ſunt, quæ exercitus du cem
ſignificant,ut čys, worém cedoOMG,.Alia item quæ medicinæ profefforem declarant,ut
ictportas, a xecik @ poro. Aliaó permulta reperiri poflunt,fyllabis &
literis diſcordantia, ui autem fignificationis penitus conſonantia. Sic ne
& ipſe putas, an alia ter: HER. Sic certe.SOCR. His profecto quæ fecundum
naturam fiunt, eadem tribu enda ſuntnomina.HER. Omnino. SOCR. Quoties uero
præter naturam hominesali quifiunt in quadam fpecie monftri, uelut quum ex bono
pioq uiroimpius generatur, quigenitus eft,non genitoris nomen ſortiri debet,
ſed eius in quo ipfe eft generis:quem admodum ſuprà diximus,ſi equusbouisprolem
generet,non equum eiusfilium,fedbo uem denominandum.HER. Siceſt. Socr. Homini
igitur impio ex pio genito, non pa rentis, sed generis nomen attribuendum. HER.
Vera hæc ſunt.soc.Neque igitur6tocosia Agy, id eft Deiamicum, nex uygoitzoy, id
eſt Dei memorem, uel talem aliquem huiuſmo diuocarefilium talem decet, Ted
cótraria ſignificantibus nominibus appellare, ſi modo recte nomina inſtituta
effe debent.HER. Sic prorſusagendum ô Socrates. soc. Profe dio Oreſtinomen
recte,o Hermogenes,uidetur impoſitum, fiue aliqua ſors illi nomen dedit, liue
poeta quidā, ferinam cius naturã agreſtē &moncanã nomine eo ſignificās. HER.Sic
apparet,Socrates.soc. Viderur &patri eius ſecundum naturam nomen esse. HER.
Apparet.soc. Apparet utiq talis efTe Agamemnon,utſibi laborandũcenſeat,to
lerandumý, &in ijs quædecreuit,per uirtutem
perfeuerandã.Argumentũuerotoleran tiæ ſuæ apud Troiam tanto cum exercitu
perduratio prębuit. Quod igitur mirabilisper feuerantia uir hic fuerit, nomen
ſignificai Agamemnon, quali ayasos 967 oli ümrovlu. Fortè uero &
Atreusrecte eft nominatus.Nexenim Chryfippi, & crudelitas aduerſus Thyeſten,noxiữ
perniciofumo illum demonſtrant.Vnde cognominatio parumperde clinat, & clam
innuit,ut non quibuslibet naturam huius uiri declarent:his autem qui no minum
periti ſunt, ſatis Atrei ſignificatio pater. Dicitur enim ſecundum erogès,
afeger's atypów, quaſiindomitus, inexorabilis, noxius contumeliofusq fuerit.
Videtur & Pelopi nomen haudab re tributum. Hominem quippe quæ prope ſunt
uidentem,nomen iſtud congrue significat. HER. Cur illi id conuenit: socR.
Quoniam in Myrtilicæde, utfer tur, prouiderenihil potuit, nec eminus pſpicere
quãta toti generi ex hoc calamitas im mineret. Quæ enim antepedeserant, &ad
præsentia tantum respiciebat, hoc autem eſt prope aſpicere: quod & fecit,
cum Hippodamiæ coniugium omniconatu inire conten dit. Vnde Pelopinomenawines,
id eft,prope,& ontos, quodad uiſionem pertinet. Tan talo quinetiam nomen
natura ipſa uidetur impofitum, ſi uera ſunt quæ circunferuntur. HER. Quænam
iſta: soc. Quoduiuentiadhuc illi aduería plurima &grauia contige
runt,tandemý patria eius omnis fubuerſa eſt. Defuncto præterea faxum in caput
immi. net, ſors certe duriffima. hæcprorſuscum nomine congruar, perinde ac fi
quis nomina re THION to you,id eft, inteliciſſimű uoluiffet, fed paulo locutus
obſcurius, pro Talancato Tantalum poſuifler. Taleutiæ nomen fortuna eius
aduerſa ipſorumore gentium præ buiſſe uidetur. Quinetiam patri eius loui recte
nomen eſt indicum,nec tamen facileco. gnitu.Eftenim uelut oratio quædam louis
nomen, quod quidcm bifaijā partientes,par tim una,partim altera parte utimur.
Quidamfive, quidamdia, uocani. Quæpartes in unumcópofitæ, naturam dei ipſius
oftendűt, quodmaxiinedebernomen efhcere por ſe. Nulla enim nobis cæterisomnibus
uiuendimagis cauſa eſt, quam princeps, rexo omniữ. Quapropter decens nomen eſt
hic Deus fortitus, per quem uita íemper uiuent bus omnibus ineſt.Sectum autem
in duo eft unum, ut diccbam,nomen,in diæ uidelicet ata awa. Hinc Saturnifilium
cum quis audiat, forte inſolentem contumelioſumópu tarit. Verű probabile
eft,magnæ cuiuſdam intelligentię piolem louem elle. Quod enin Hóp - dicitur,non
puerum ſignificat,ſed puritatem mentisipfius, & fynceram integria tem. Est
aurem is opavo, id eft, cæli filius,ut fertur. Quippeafpectus ad ſupera merijo
z pane uocatur, quafi opacz zecvw. Vnde affirmant,o Hermogenes, 17 qui
derebusiutli mibusagunt,puram mentem adeffe, & recevo, iure nomen
impofitum.Siautem genealo giam deorum ab Hefiodo traditam mente tenerem, &
quos horum progenitores indu. cic,recordarer,haudquaq ceſſarem oftendere
tibérecte illis nomina infcripta fuiffe,quo ad huius fapicntie periculü facerem,liquid
ipſa proficiat peragator, & an deficiatnecne, quæ mihi tam ſubito ignoro
equidem unde nuper illuxit. HER. Profecto mitttiden som Ô Socrates iliareorum
quinumine capitatur, protinus oracula fundere. soc. Reor equidem,ô
Hermogenes,hanc in me ſapientiam ab Euclıyphrone Pantij filio emanalie. Illi
fiquidem aſtiti a matutino affiduus,auresó porrexi. Patet igitur eum deo plenú
non modo aures meas beata ſapientia impleuiſle, uerumetiam animum occupalle.
Sic utico agendum arbitror, ut hodie quidem utamur ipfa, & reliqua quæ ad
nomina pertinet, ini dagemus. Cras uero,fiin hoc conſenſerimus,excutiamuscam,
expiemusý,aliquem par ſcrutati,ſiuefacerdotem, feu ſophiſtam qui purgare hæc
ualeat. HER. Probo hæc maxi. me Socrates. libentiſſime nang quæ de nominibus
reſtant, audirem. soc. Ira prorſus agendum. Vnde igitur potiffimum exordiendű
iudicas,poftquam formulam quandam præfcripfimus,ut pernoſcamusſi etiã nomina
nobis ipía teſtantur non caſu quodama. » ata fuiſſe,uerum rectitudinem aliquam
continere:Nomina quidem heroum atq;homi / num nos forte deciperent. horum nang
multa ſecundum cognomenta maiorum pofita) ſunt, & fæpe nequağ conueniüt,
quemadmodã in principio diximus.Multa uero ex uo ') to homines nomina
tribuunt,ut UtuXidmW, owciQ, Itópinoy, alia “ permulta.Talia itaq )
prætermittenda cenſeo.decens eñconſentaneumg maxime reperire nos quæ in rebus
ſempio Lempiternis &naturæ ordine cõſtitutis recte ſunt poſita. Nam circa
iſta in condendis no minibus ftuduiffe maxime decet.Forte'uero ipſorūnonnulla
diuiniore quadam poten tač humanaſunt inſtituta. HER. Præclare mihi loqui
uideris,ô Socrates. soc.Nonne pareſtabipfisdíjs incipere,rationemý inueſtigare
qua bcos uocati ſunt: Her.Nempe, soc.Equidem ita conício.Videnturutiq mihi
Græcorű priſci deos ſolos putaffe eos, quos etiam his temporibus Barbarorű
plurimiarbitrantur, solem, luna, terrram, stellas, calum. Cum ergo hæc omnia
perpetuo in cursu esse coſpicerent,ab hac natura moldatu få nominalle
uidentur,deinde &alios animaduertêtes omneseodem nominenuncu pale.Habeoquod
dico uerifimile aliquid, nec'ne HER. Habetcerte. soc. Quid poft hac
inucftigandum: Conſtat de dæmonibus heroibusø &hominibus quærendum eſſe,
HER. Dedæmonibusprimum. soc. Proculdubio Hermogenes.quidlibi uultdæmo. nun
nomen animaduertenum aliquid dicam.HER.Dicmodo.soc.Scis'nequos Hes Liolus
claipovas effe inquit, HER.Non.soc.Nec etiam, quod aureum genus hominum zitin
principio extitiſſe? HER.Hoc equidem noui. Soc. Ait enim ex hocgenerepoſt
przſentis uitæ fara fieri dæmones ſanctos,terreſtres,optimos,malorũ
expullores,& cu licdes liominum.HCR. Quid cum: soc.Nempe arbitror uocare
illum aureum genus; no ex auro conſtitutū, ſed bonum atos præclarum.quod inde
conſcio, genus noftrum fereum eſſe dicit. HER. Vera narras. Soc. Annon putas ſiquis
nunc ex noſtris bonus fc,aureihunc generis ab Heliodo æftimari? HER. Conſentaneum
eſt.soc. Boni autem anj sprudentes: HER. Prudentes. $ o c.Idcirco,ut
arbitror,eosdæmones præcipuenup cupat,quia fapiêtes d'ahuontsó erant.Et ex
noſtraiſtud priſca lingua nomen exiſtit. Qua obrem &is, & cæteripoetæ
permultipræclare loquuntur,quicunq aiunt uidelicet,poft quambonusaliquis uita
functus eſt, maximam dignitatem præmiumý ſortitur,fic & dæ monſecundum
ſapientiæ cognomentūIca & ipfe affero dæmuova, id eſt ſapientemom- nem efle
hominem, quicung ſitbonus,eumódæmonicum effe,id eſt felicem,uiuenten » acc
defunctũ, recteý dæmonem nũcupari.HER Videor. mihi ô Socrates, in hoctecum s
maxime conſentire. soc. newsautem quid lignificar: Id nequaſ inuentu
difficile.paur lo enim heroumnomen ab originediſtac,indicans generationem
illorum čre WTO manaſſe. HER.Qua rationeid ais: s o c.Anignoras ſemideos heroas
effe: HER. Quid tum: soc.Omnesutiq heroes uel ex amore deorũ erga mulieres
humanas, uel amore uirorum erga deas ſuntgeniti.Prætereaſi hocfecundã priſcam
Acticorum linguam con fideraueris,magis intelliges.reperies enim quòd pauliſper
mutatū eſt nominis gratia ex UTO,undeſunt heroes geniti:quod'ueaut hincheroum
nomen eſt ducium,aut ex eo quòd fapientes,rhetores fuerunc.facundi uidelicet,
& ad interrogandữ diſſerendűó promptiflimi,ziedy Aang dicere eft:Quare,ut
mododicebamus,Attica uoce heroes the tores quidam,&
diſputatores&amatori uidentur. Vnderbetorum ſophiſtarum gee nusheroica
prolesexiſtit. Verum nõ iſtud quidem difficile cognitu,imò illud obfcurű,
quamob cauſam homines ävbewmoinominantur.habesipfe quid afferas: HER.Vndeid
habeābone uir: Quin ſi reperire quoquo modo poffim,nil cotendo, ex eo quòdtemo
lius facilius“ quammereperturum ípero.so c.In Euthyphronis inſpiratione
confider se mihiuideris.HER.Abſc dubio.soc.Ec merito quidem confidis.Nam belle
nimium mihi nunc uideor cogitafle,ac periculü eſt niſi caueam,nehodie ſapiêtior
quam deceat, uidear euafiffe. Attende ad ea quædicã. Hoc in primis circa nomina
animaduertere de serves cet, quòd ſępe literas addimus,lepe ctiam demimus pro
arbitrio,dum nominamus, & a cuta ſæpenumero tranſmutamus,utcum dicimus dicíres:
hoc ut pro uerbo nomen nor bis foret,alterum, inde excerpfimus, & pro acuta
fyllaba media, grauem pronūciamus. Jn alijs quibuſdam literasinterſerimus,alia
uero grauiora proferimus. HER. Vera refers. soc.Hoc & in ävegen O côtingit,utmihi
quidem uidetur.Nam ex uerbo nomen con ftitutum eſt,uno a excepto,grauiorig fine
effecto.HER.Quomodo iſtud ais 's o c. Itak" hominis nomen illud
ſignificat, quod cætera quidem animalia quę uident,non confide rant,neq;
animaduertunt,nec contemplantur: homoautem & uidet ſimul &contemu
platur,animaduertito quod uider.Hincmerito solus ex omnibus animátibus
homočvrse @puro eſt nuncupatus, qualiaabeau contemplans,quæ ön WT5, id est,
uidit. Quid poft ce haqquæram:Anuidelicet quodlibenter perciperem HER:
Maxime.SOC. Succede D teftas reſtatim ſuperioribusmihi uideturdeanima &
corpore cõſideratio.Nam anima& cor pusaliquid hominis funt.HER.Sine
cótrouerſia.soc.Conemurhæcquemadmodū ſu: periora diſtinguere. Quærendum
primodeanima putas, utrecte Luxá nominata fuerit deindede corpore: HER:Equidem.soc.Vtigitur
ſubito exprimarn quod primumm. hinunc ſe offert,arbitror illos qui
ſicanimāuocitarunt,hocpocillimum cogitaffe, quod » hæc quoties adest corpori,
caula est illi uiuendi, reſpirandi,& refrigerandi uim exhibês: 9 & cum
primūdelierit quodrefrigerat,diffoluitur corpus,& interit.Vnde fuxlu noni
21 naffeuidentur,quaſi awatúzov, reſpirando refrigerans.Atuero, si placet, fifte
parumper. Videor mihi aliquid inspicere probabilius apud eos quiEuthyphronem
ſequütur,nım iftud quidem aſpernarenf,ut arbitror, & durû quiddã eſſe
cenferent. ſed uidean hoc ibi sit placiturű.HER. Dicmodo.soc. Quid aliud
animatibiuidetur corpus continae, uehere, & utuiuat & gradiatur
efficerer HER. Nil aliud.soc. Annon Anaxagoræ ce dis,rerum naturam omniẩmente
quadam & anima exornari ſimul & contineri: HIR. Credo
equidem.soc.Pareſt igitur eam potentia nominare quelw.quæ quan,naturan, oxa
& xe, id eft uehit & continet.politius autem fuxó proferſ.HER.
Siceſtomninoji detur & mihiiſtud artificiofius effe.soc. Eft
profecto.Ridiculum aữc quia apparere, si ita ut pofitüfuit, nominaret. Quod
uero pofthoc ſequiſ corpusnonne owua nücupis: HER.Certe.soc. Atquiuidełmihiin
hocnominepauliſper ab origine declinari. nen. pe corpushoc animæ omua, sepulchrâ
quidam eſſe tradunt:qualiipfa præſenti in tempo se ſic ſepulta:ac etiam quia
animaper corpus omualvd,ſignificat quæcung ohelwa lign ficare poteſt.idcirco
& rivec iure uocari. VidenturmihiprætereaOrpheiſectatores no mēhocobid
potiſſimữpoſuiffe,q anima in corpore hoc delictorũ det pænas, & hocci:
cũſepto uallo claudatur,uelut in carcere quodā,utolor ferueſ. Effeitac
uolunthoc ita utnominat,animęoãu ce ſeruandigratia clauſtrữ, quoad debita quæQ
expendar,neq literam aliquã adăciendam putant. HER.Dehis fatis dictum ô
Socrates,arbitror. Veri denominibusaliquorû deorum poſſemus ne ita
utdeloueactum eſt,conſiderare,fecun dum quam rectitudinēnomina lint impoſica:
soc. Per Iouem nos quidē ſimentem ha beremus Hermogenes,precipuũrectitudinismodấarbitraremur,faceri
nihil nos de dijs cognofcere,ne deipſis inquam, neq deipſorīnominibus quibus
iplifeuocant. Con ſtar enim illos quidem ueris ſenominibusnuncupare.Secundâ
uero recte denominatio nis modum exiſtimo, utquemadmodülex in uotis ftatuit
precarideos, quomodocung nominarihis placet,ita & nos ipfos uocemus,tanğ
nihil aliud cognoſcētes.Recte não, utmihiuidetur,eft decretū.Quare, li uis,ad
hanc inueſtigationēpergamus,primo quidē díjs præfati,nosnihilde iplis
conſideraturos: neq; enim poſſe confidimus:fed de homini bus potius, qua
potiſfim opinionecirca deosaffectinomina ipfis inſtituerunt. Hoceñ à diuina
indignatione procul.HER.Modeſte loquiuideris ô Socrates, atqita prorfusa
gendum.soc. Nónneà Vesta fecundum legem incipiendű. HER. Sicutim decet. soc.
Quaratione éstav hanc nominatam dicemus HER. Per Iouem haud facile iftud inuen
9) tu.soc.VidenturprobeHermogenes priminomināautores non hebetes quidā fuisse,
verum acuti fublimium rerum inueſtigatores HER. Quamobrem: soc. Talium quo
rundam hominum inuentione nomina apparent impofita.ac ſi quisperegrinaconlide.
retnomina,nihilominus quod
ſibiuult,unumquodq;reperiret.quemadmodőhocquod nos días, eſſentiam
nominamus, quidam golov nuncupant,alij wvia.Primo quidem ſecundum alterum nomen
iſtorum,haud procula rationeuidetur rerum effentiam ésiav uocari. & quia
nos quod efteffentiæ particeps ésiav uocamus,ex hocrecte éstæ poffet
denominari.Superioresnoftriquondam šriav,tola uocabant.Quinetiã ſi quis facrorí
ritusanimaduerterit,exiſtimabit ſic eosputaſſe quihæc poſuerűt.Etenim ante
deosom nes Veltæ facra faceredecet eos, qui effentiam omnium Veſtam
cognominarunt. Qui item wola nominarunt,hifermeſecundâ Heraclitum cenfuerüc
fluere omnia femper, nihilo conſiſtere.Cauſam igitur & ipſorum originem
ducem ipſum wow, quod impel lit.quaproptermerito ipſum wola impellentēcauſam
nominari.Dehis hactenusitalic dictų,uelut ab ijs quinihil intelligunt.Poft
Veftam aất, deRheaato Saturno conſidera reconuenit,quanğ de Saturninomine in
ſuperioribus diximus.Forte'uero nihildico. HER.Curnam ô Socrates: soc. O
boneuir,ſapientiæ quoddam examen animaduer ti. HER. Quale iſtud: soc. Ridiculum
dictu.habet tamen nonnihilprobabile.HER: Quid ais: & quo pacto probabile.so
c.Infpicere mihiHeraclitum uideor,iã pridem ſa pienter nonnulla de Saturno Rhea
tradentem, quæ & Homerus dixerat. HER. Quid iftud ais:'s o c.Ait enim
Heraclitus fluere omnia,nihilo manere,rerum ipſarum pro - ce greflum amnis
fluxuicomparás,haud fieri poffe inquit,utbis eandem in aquam temerou
gas.HER.Vera hæcſunt.soc.An uidetur tibi ille ab Heraclito diſſentire, qui
aliorum a deorum progenitoribus inſeruitRheam atą Saturnữ:Nunquid putas temere
illum no mina iſtis impoſuiſſe.Quin & HomerusOceanum deorum originem
inſtituit, & The tyn genitricem.Idemouoluit,utarbitror, &
Heſiodus.Aitpræterea Orpheus, Oceanű primum pulchrifluum cõiugium inchoaſſe,
quicum Tethy germana ſeſua commiſcuit. Vide ő maximehæc inuicem cõfonant,omniağ
in opinionēHeracliti redeunt. HER. Viderismihialiquid dicere Socrates. Tethyosautem
nomēhaud fatis quid ſibiuelit, in telligo.soc.Hocutißidem
fermeſignificar:quoniam fontis nomēeſt reconditů.Nam doctons & xlsus,id eſt
ſcaturiens & tranſiliens,fontis imaginem præ ſe ferunt, ex utrif queuero
hiſce nominibusnomen tudúceſt compoſitum. HER.Hoc quidem belliſi mum eſt ô
Socrates.soc..Quid ni? Verum quid deinceps:Deloue profecto diximus. HER. Siceſt.soc.Fratres
autem eius dicamusNeptunum atq Plutonē,nomeno aliud quo ipfum
uocant.HER.Prorſus.soc. VideturNeptunusab eo qui primum nomina uit,idcirco
mooddãy uocatusfuiſſe, quia euntem ipſum marisnatura detinuit,nec pro,
grediultra permitit,ſed qualiuincula pedibus ipfius iniecit.Maris ita principem
rood @ væ uocauit, quaſi qosideouov, id eſt pedum uinculũ.& uero decoris
gratia forte adie ctum fuit. Forſitan nő hoc fibiuult,fed pro ar, a primo fuit
pofitum, quafi dicat mom sidós, id eftmultanofcens Deus,Fortaſſis ab eo quod
dicitur códy, id eft quatere,okwu ideft quatiens eſtnominatus, cuiw & d
fuitadiectū. Plutonem autem quali zašto, id eſt diuitiarī datorem dicimus,
quoniam diuitiæ ex terræ uiſceribus eruuntur:& dxs uero multitudo
interpretatur, quali addis, triſte tenebroſum'ue. Atæ hocnomen horrentes
Plutonem uocitant.HER.Tuuerò quid fentis Socrates. soc. Videnturmihi homines
circa potētiam Deiiftiusmultifariam errauiſſe,eumg exhorruiſſeſemper,cum minime
deceat.Porrò quiſ ex hocpertimeſcit,quòd nemo poftquam defunctus eſt,hucredit,
quod'ueanimanudata corpore,illucabit.Cæterum hęcomnia & regnum & nomen
hư ius dei,eodem tenderemihiuidentur.HER.Quo pacto:soc.Dicam quod fentio. Dic
age. Vtrữ horũualidiusuinculâ eft ad quoduis animal alicubidetinendű,
neceſſitas'ne, an cupiditas? HER.Longeô Socrates,præſtat cupiditas.soc.Annõ
plurimi,&dw quo tidie ſubterfugerent,niſi fortiſſimo uinculo eos
quiillucdeſcendunt,uinciret: HER. Vi delicet. Soc. Quare cupiditate quadam
eos,utuidetur,potius ő neceffitate deuincit, fi modouinculo
nectitfortiſſimo.Her.Apparet.soc.Nónne rurſus multæ cupiditates funt
HER.Multę.so c.Ergo uehemētiſlimaoñiữ cupiditate nectit eos, fimododebet
inſolubilinodo conectere.HER. Certe.soc.Eft'neuehemētiorulla cupiditas, ş ea
qua quiſcrafficitur,dum alicuius conſuetudinemeliorem feuirūſperat euadere:
HER.Nul..“ lamehercle Socrates.so C.Hacdecaufa dicendűHermogenes,neminem
hucillincuel lereuerti,nec etiã Syrenesipfas, imò & eas & cæterosomnes
ſuauiſſimis Plutonis ora tionibusdemulceri.Éſtý,utratio hæcteſtat,deus is
ſophiſta proculdubio diſertiſſimus & ingentia confert his quipenes ipſum
habitãtbeneficia, qui uſ adeo diuitñs affatim abundat,uttantanobis bona
ſuppeditet,unde & Pluto eſt nuncupatus. Annõ philoſo. phitibiuidet officium,
q nolithominibus corpora habentibus adhærere, sed tūc demữ admittateos,
cũanimus illorum eft corporeis omnibusmalis cupidinibus* purgatus:
Excogitauitnempehic deus hacratione fe animosmaxime detenturũ,ſi uirtutis eos
aui ditate uinciret. Eosautem quiftupore & infania corporis
ſuntinfecti,nepater quidem Plutonis Saturnus ipfe,fuis illis uinculis coercere
ualeret,fecumý tenere.HER.Nonni hil loquiuiderisÔ Socrates.soc.Longeabeft
Hermogenes utnomē& dos, quali cudes id eft trifte tenebroſum'uefit
dictâ,imoab eò trahiturquod eft sid qvac, id eſt noſle omia pulchra.Ex hoc itaq
deus ifteà nominữ conditore &dys eſt nấcupatus.HER.Quid præ terea dicimusde
Cereris nomine, Iunonis“, Apollinis & Minervæ,Vulcanig &
Martis,cæterorumýdeorum: soc. Ceres quidem dwuktor nuncupatur ab ipſa
alimentorī largitione, quaſi didolæ pektyg,hoc est exhibensmáter. Kex uero,id
eſt Iuno, quali fatá, id eft amabilis,propter amorem quo Iupiter in eam
afficit.Forte'etiam ſublimeſpectans quihoc nomen inſtituit,aeram,spav denominauit,
& obſcurelocutus est, ponensin fine principiữ quod quidem
patebittibi,finomen illud frequenter pronüciaueris. DefélQKT say,id eſt Proſerpinam,&
denómwnominare nõnulliuerent,propterea quòdillis ignota eſt nominum rectitudo.
Enimuero permutantes degregóvlw ipsam considerant,graue id illis apparet.
hocautēdeæ ipsius sapientia indicat. Sapientia utic eft quæ resfluentes
attingit,& aſſequi poteft.Quamobrem gegéraqemerito dea
hæcnominaretur,propter fapientiam, & Encolu, id eſt contacta, qepomlis, id
elt eius quod fertur, ueltale aliquid, Quocirca adhæret illi ſapiens ipſe édes,
quia ipſa talis eſt.Nunc autem nomen hocde. clinant,pluris facientes
prolationis gratiam ueritatem, utqepiqastav nominēt. Idem quoq circa Apollinis
nomen accidir. nam pleriq id nomen exhorrent, quasiterribile ali quid preſeferat.Annõ
noſti:HER.Vera penitus loqueris.soc.Hocaūt,utarbitror,hu ius dei potentięmaxime
cõuenit.HER. Quarationeso c.Conabor sententia meam ex primere.Nullű profecto
nomen aliud unum quatuorhuiusdei potentijs reperiri conue nientius potuiſſet,
quod & cöprehenderet omnes, & iplius quodammodo declaret musicam,
uaticinium, medicinam, & sagittandiperitiam. HER. Aperias iam.Mirum quiddã
nomen effe id ais.soc.Congrue quidem compoſitõeſt, conſonatý,utpote quod ad de
um pertinet muſicum. Principio purgatio purificationesø & ſecundum
medicinam,& ſecundum uaticinium,item quæ medicorum pharmacis peraguntur, ac
uatum incanta tiones expiationes, lauacra, & afperſiones, unum
hocintendunt, purum hominem & corpore & anima reddere. HER. Sic omnino.
soc. Nónnedeus qui purgat, ipse erit aro aówn & Ösp núwy,id eft abluensa
malis, solvens,q Apollo ipfe ſignificat? HER. Abſque Tubio.soc. Quatenusitap
diluitata soluit, uttaliū medicus, åpnvwy merito nuncupa tur. Secunda vero
divinationem uerumg &moww, id est simplex, quod idem eft, recte more
Theſſalicorűnominarehuncpoſſumus.hinempe omnes deum hunc ámró uocãt. Quatenusaấtási
Boda wy, id eft ſemper iaculando arcu uehemens eft,ás Badawy dicipo teſt,hoc
eſt,perpetuus iaculator.Secundữueromuſicam, dehoc eſt cogitandū quemad modum de
eo quod dicit & nórolo & « xomis,id eftpediſſequus,comes, & uxor,
in qui. bus& ur & in alijsmultis, idem quod ſimul ſignificat.Hic quoq
&& zónas ſignificant uerfionem quæ ſimul & unaperagitur, quam
cöuerfionem dicamus.Ea in cælis eft,quæ per eos fit quos sónos uocamus:in cantu
uero & quovia, quam dicimus ovuqwricw. Quia in his, uttraduntmuſicæ &
aſtronomiæ periti,harmonia quadā ſimulomnia cõuertunt. Hicaấtdeusharmoniæ
præfidet omonwy,id eft fimuluertenshæc omnia,& apuddeos & apud
homines.Quemadmodum igitoorkeudoy & Oxóxosniv, id eft ſimuleuntem &
ſimul iacentē,uocauimus anonovlov & KOITIY, o in « permutantes, ita
Apollinem nomi navimuseum qui erat &Mortondy, altero a interiecto, quia
æquiuocũfuiſſetduro cum no mine.quod & his temporib. ſuſpicati pleriq, ex
eo q non recteuim nominishuius ani maduertűt, perindehocmetuunt, ac si
perniciem quandã fignificaret.Sed reueranomen hocomneshuiusdei uires
cõplectitur, quemadmodūſupra diximus. Significat eſlim plicem,perpetuũiaculatorem,
expiatorē & conuertentem.Muſarā uero & muſicæno men,ab eo quod
dicitpães, id eft inquirere,indagatione & ftudio ſapientiæ tractõelt.
agtá,id eſtLatona,à manſuetudine dicit,quia fic edereuwy, id eſt prompta &
expofita & Tibens ad id quodpetit quiſqs exhibendű. Forte'uero ut
peregriniuocãt:multinamga, tú nomināt, quod nomen tribuiſſe uident,quia non
rigida illi mens,ſed mitis,ideo agli, quali neopress,id eftmos lenis &
mitis ab illo cognominat. opruis, id est Diana, ex eo quòd aprejés, quali
integra modeſtaciz sit propter uirginitatis electionē. Forſitā etiã qua
fiageplisoge,id eft uirtutis conſciã,uocauit nominis inftitutor.Fortaffis etiã
dicta eft'Ar temis,quafi apo u des Chocous,id eft quafiilla cõgreſſum oderit
uiricum muliere.Vel enim propterhorâ aliquid,uel propteromnia huiuſmodinomen
eſt inſtitutű.HER: Quidue ro dióvvoos & espositor's O.Magna petis Hipponici
fili.Atqui eſtnominâ ratio his díjs inpoſitorâ gemina,ſeria uidelicet &
iocoſa.Seriã quippe ab alñs quære,iocofam aứcni hil prohibetrecenſere. locoſi
fanè & difunt: Dionyſuso eft didòs i ciroy id eſt uinida tor, qual tor,
quafi nobivuosioco quodã cognominatus. Vinum autem merito uocari potest oto 18s
quod efficiatut bibentes pleriq mentealienati,oisdocevouü exay, ideftmentem
habe rele putent.DeVenere Hefiodorepugnarenon decet,ſed concedere propter ipfam
ex dogo, hoc eſt ex ſpuma, generationē đopoditlw uocari.HER.Acuero Minerua, ô
Socra tes,Vulcanūča & Martem,cum fis Atheniēlis,ſilentio nõ
præteribis.soc.Haudquais decet.HER.Non certe.soc.Alterâ quidem eius nomen
quamobrē ſit impofitũ, haud difficile dictu.HER.Quod: soc. Palladē eam
uocamus.HER. Planè.soc.Nomen hoc cenſendum eſt à faltatione in bello ductum
fuiſſe.porro uelfefe,uel aliud à terra attolles re ſeu manibusaliquid
efferre,dicimus cámay, & wameat,id eſt uibrare,agitare & agitari,&
ſaltare, & ſaltationem perpeti.HER.Ablo controuerſia,Palladem hac ratione
uocamus,acmerito.Her.Alterű eiusnomē quo pacto interpretaris: so c. állwaữ quæris:
HER. Id ipsum.soc. Grauiushocamice: vident prisci å blwaw exiſtimare,quemad,
modum hiquihis temporibusin Homeri interpretationibus ſunteruditi.Nam iftorum
plurimiHomerữexponuntåbwaw tano mentem cogitationemg finiſſe. Et qui nomi na
inuenit,tale aliquid de illa fenfiffe uidetur,imò etiam altius eam
extollēs,utDeimen tem induxit, perinde ac fi diceret sleovõu, hoc eftutens æ
pro y externo quodam ritu, s uero & o detrahens,fortè'uero non ita, ſed
IGavónas, id eft,utpote quæ diuina cogno ſcat,præ cæterisomnibus deoroli, id
eſt diuina cognoſcentē, uocauit.Neqab re erit,li di xerimus uoluiſſe
illũappellareeam klovólw, qualiipſa in more intelligentia fit. Ipſe poſt modữ,uel
eciam pofteriores in pulchrius,ut uidebat,aliquid producendo,Athenean de
nominarunt.HER.Quid de Vulcano quem aquusov nominãt: so'c. Quidais:Num ge
neroſum ipſum páso- isogæ,id eſt luminispræfidem quæris? HER.Hâc quæliffe
uideor. soc.Hic utcuiq patere poteft, quiso eft,& x ſibiuendicat.Vnde igas
id est,lu minis preſes eſtdictus.HER. Apparet: niſitibiquoq modo adhucaliter
uideaf.s o c.An neuideatur aliter de Marte,interroga.HER.Interrogo.soc.Siplacet,õpys,
id eft Mars, dicitur fecundâ ãgger,id eſt maſculã, & av dogov,id eſt forte.
Quinetiã fi uolueris ob na turam quandãaſperam,duram atq inuictã,immutabilemý,
quod totumägøæby appella tur,ogy uocatum fuiffe,hoc quo & Deo
penitusbellicoſo cõueniet.HER. Prorſus.Soči Deosiam mittamus per deos obsecro.Nãdehis
diſſerere uereor.Adalia uero quecung uis,meprouoca,ut
qualesEuthyphronisequiſunt,noueris.HER.Faciam utpetis,ſi unű deme
quæfiuero.meliquidē CratylusHermogenē eſſe negat. Inueſtigemus ita quid épus,id
eft Mercurii nomen fignificet,ut fiquid ueri hicloquit,uideamus.soc. équis, id
eſtMercurius,adſermonēpertinere uidetur, quatenus égjelw rús eft,hoc eſt
interpres & nuncius, furtiuús inloquendo ſeductor,ac uehemens concionator.
Totum id circa fer monem uerfatur.profecto quemadmodum in fuperioribus diximus,
kedy ſermonis eſt uſus.Sæpeuero dehocHomerusait £ukcal, id eft machinatuseſt. Ex
utriſq igitur no. men huius dei componit,tum ex eo quod loquieſt,tum ex eo
quodmachinari & exco gitare dicenda, perindeac ſi nominis autornobis
præciperet: Pareſt, ô viri, ut deum illa quiaipfufukcal, id eſtloquimachinatus
eſt, sipíulw uoceris. Nos aấtarbitratiſice legan tius eloqui, éguli uocamus. Quinetiam
ies, ab eo quod apdu, id eſt loqui, nomen habet, propterea quod nuncia eſt. HER.Probemediusfidius
Hermogenē elleme Cratylus ne gauilfe uidetur. Adorationis enim inventionem
hebes ſum.Soc. Conſentaneâ quoc amice, wową biformem filium efle Mercurî.HER.Qua
rationer'soc. Scis quòd fermo # aw,id eftomne ſignificat,circuitý & uoluit
ſemper,eſtó geminus uerusuidelicetac fal ſus: HER.Equidem. soc. Annon id quod
eſt in ſermoneuerum,leue eftatæ diuinâ, ſu praç in dñshabitans.Contrà quod
falſum,infrà in hominữmultis,afperű ato tragicũ: Hincenim fabularum comenta
& falfa & plurimacirca tragicam uitam reperiunt.HER. Sic eft
omnino.soc.Merito igitur quiefttaw, id eft totâ nuncians, & æs monasy, id
eſt femper uolutans,7 dezóros biformisMercurij filiusdiceret, ex ſuperioribus
partibus lenis ac delicatus, ex inferioribus aſper atok hircinus.Eftg
Panuelipſe ſermo,uel ſermo nis frater,fiquidem eſt Mercurij filius.Fratrem uero
fratri limilem effe quid mirum:Ce terüiã o beate, ut & paulo ante rogabā,
ſermonem dedñshunc abrumpamus.HER.Ta. les quidem deos,li uis,mittamuso
Socrates,huiuſmodiuero quædam percurrere quid prohibet.Solem,lunam,
ftellas,terram,ætherem,aerem,ignem, aquam, ver & annum: D soc. Multa funt
acmagna quæ poftulas. Sicamen gratum tibi futurum eſt,obfequar. HER.Pergratum
plane.soc. Quid primum poſcis: an utipſenarrabas in primis stov, id eft folem; HER.Profecto.soc.Manifeſtius
id fore uidetur,li Dorico nomine quis uta tur.Dorici enim asoy uocant,ato ita
uocatur ſecundữ &nizdv, id eſt ex eo quodcongre gat in unum homines,cum
exoritur. Item ex eo quod circa terram &scina, id eſt ſemper
reuoluitur.Præterea quia uariat circuitu ſuo quæ terra naſcuntur. Variareautem
& duo. agy idem eft. HER. Quid uero de anlws, id eft luna,dicendum:
soc.Nomen hocui detur Anaxagoram premere. HER.Cur.soc. Quoniam præ se aliquid
fert antiquius, quod ille nuperdixit, quodlunaà fole lumen haurit.HER.Quo
pactors o coenas idem eſt quod lumen; HER. Idem. SocR.Lumen hocperpetuo circa
lumen voy & güvoy eſt id eſt nouum ac uetus,limodo Anaxagoriciuera
loquuntur:nam circûluſtranseam con tinue renouatur, Vetusautem eſtmenſis
præteritilumen.HER.Vtig.soc.Lunam qui dem odavalav mulcinominant. HER.Certe.
soc. Quoniam uero lumen nouum acue tus ſemperhabet,merito
uocarideberetadægurteoddam Nunc autem conciſo uocabulo ahavice uocatur. HER.
Dithyrambicum nomen hoc eſt, ô Socrates. Verum uave, id eftmenſem:& äspe
quomodo interpretaris. soc. Menſis quidem várs recteab vas. atroce, id eſtàminuendo,
iure nuncuparetur. Astra uero & sectic, id eſt coruſcationis co gnomentum
habent. « Soekautem quia au o ads avasosqe, ideft uiſum ad fe conuer. tit,
ánæspon á dici deberet, nunc cõcinnioriuocabuloaspauinominal. Her.Vnde no men
trahil mie& idap, id eft ignis & aqua:'Soc. Ambigo equidē,uideturg
autMuſa meEuthyphronisdeſeruiſſe, authocarduum quiddam effe. Aduerte obſecro
quò confu giam in omnibus quæcunq dubito. HER. Quonam: soc. Dicam tibi.ſcis
ipſe qua ratio ne wüe nominat: HER.Non hercle.soc. Vide quid dehoc ſuſpicer.Reor
equidêmul ta nomina Graecos a Barbaris, eos preſertim quiſub Barbaris ſunt, habuiſſe.
HER. Quor ſum hæc.soc.Siquis rectam iſtorũ impoſitionem fecundum græcã uocem
quærat,non ſecundum eam qua eſt nomen inuentũ nimirum ambiget.HER. Verifimile
id quidem. soc. Vide itaç nenomen hoc quebarbaricum ſit.neo enim facile eft
iſtud græcæ lin guæ accomodare, conſtataita hocPhrygios nominare parum quid
declinantes, & ý. dwg & xuías,id eft canes,alia permulta. HER. Vera hæc
sunt. soc. Ergo distrahereiſta nihil oportet, quandoquidem deipſis nihil dicere
quiſquã poteſt.Quapropter nomina illa ignis & aquæ huncinmodum reñcio
kázautēſic eft dictus Hermogenes, quia quæ circa terram ſunt, deed,id
eſteleuat.uel quia aega, hoc eft ſemperfluit,uel quia eiusflu xu
ſpiritusconcitatur.Poetæ quippe flamina aktasnuncupant.Forte igitur aer dicitur
quali avocTócow, agzóſſow id eſt ſpiritus fluens, uel fluens flamen, dedica
præterea fic exponendum arbitror, quoniã đa dicirca ãégæ pêwy, id eft ſemper
currit circa aerem fluens, quocirca čeddeks dicipoteft.gæ autē, id eſt
terra,planius fenſum exprimit,ſigara dicatur.yaa enim recte görkodea, id
eltgenitrix dicipoteft,utait Homerus.Nãquod gazdan dicit, genitum in
re,inquit.Quid reftat deinceps. HER. Ver & annus, ô Socra tes. soc. Spore
quidē, id eftueris temporapriſca & Attica uoce dicendaſunt,ſi uis quod
conuenienseſt,cognoſcere. Horæ nanquocant, quia ief80, id eſt terminant hyemem
atçæftatem uentosca & fructus ex terra nafcentes. giveau tos aất &
čnos, id eft annus,idem effe uidet.Quod eñ in lumen uiciſlim educit,quęcung
naſcunifiunto exterra,ipſum in ſeipſo examinat & diſcernit,annus eft: &
ut ſupra louis nomen diximus in duo ſectű, ab aliquibus Pavæ,ab alijs diæ
uocari,ita & annữ quidam giardy yocant,quia in ſeipſo, quidā quia
examinat.Integra uero ratio eft ipfum q in ſeipſo examinat.Vndeexo ratiõeunanominaduo
ſelecta funt.quòd eñ limuldicit,co giairū étolov,id eft in ſeipſo examinās,
diſtinctum dicitur griaunos, & £70s, id est annus. HER. Atuero Ô
Socrates,iam longe pgrederis.soc.Longiusequidēin philoſophia uideor euagari.
HER. Quinimò. soc.Forte'magis cöcedes.Her.Verum pofthancfpeciē libentiſlime
contêplarer,qua rationerectenomina iſta præclara uirtutūſint impofira,ut
ogórkas,id eft prudentia,cuir as, intelligentia, xacoou's,iuftitia, ac reliqua
huius generisomnia.so c.Haud conte. mnendum genus nominū ſuſcitas,ô amice.
Veruntamen poſto leoninā pellem ſum in dutus,haud deterreridecet,imò præclara
ipfa,utais,nomina prudentiæ,intelligentię,co gitationis ſciêtiæ
cæterorūphuiuſmodicõliderare.HER.Quin profecto prius deſiſtere nullo mododebemus.Soc.
Ædepolnõmalemihide eo conijcere uideor, quod modo conſiderabam,antiquiflimos
uidelicet illos nominữ autores, ut & fapientiâ noftrorum plurimis
accidit,ob frequentem ipfam in rebus perueftigandis reuolutionem, præter
ceteros in cerebri vertiginem incidiſſe:quo factum puto utres ipsæ proferri
& vacillareil lis apparerēt.opinionis autem huius caufam.haud interiorem
uertiginem,ſed exterior? cc ipfarum rerű circuitum arbitrātur:quas ita natura
habere ſe putāt, ut nihil in eis firmum. ZE & ftabile fic,fed fluantomnesferanturo,&
omnifariam agitentur, ſemperø gignantur.PC & defluant. Quod quidem in his
nominibus, quæ nuncrelata ſunt, conſpicio. HERM.CC Quo pacto Socrates.soc.
Haudaduertiſti superior nomina rebus qualidelatis, fluentibus, &
iugigenerationetranslatis impofita fuiſſe: HERM.Nă ſatis percepi.soc.Prins
cipio quod primûretulimus,ad aliquid huius generis attinet.HERM. Qualeiſtud:
soc. apórnois,id eſt prudétia eft,qopás a govórous, id eſt lacionis &
fluxus animaduerſio. Signi ficare quog poteſt,recipere övnou dopás,id eſt
lationisutilitatê.Tádem circa ipfam agita tionem uerſatur. Quinetia liuis yvaus
id eft cogitatio fignificat govis várnoip,id eft gene rationis
cõliderationem.you cû quippecõſiderare eſt. voxois autem, id eft intellectio,
eſt réov čois,id eft nouideſideriũ.nouas uero res eſſe,ſignificat eas fieri
ſemper.atqß hoc deſi derare & aggredi animum indicat qui nomēillud
inuenitvsotow.principio nang vósois, nõdicebatur,fed pro,duo se proferēda
erant,ut rebois, quafivéov, id eſt noui toisappe. titio & aggreſſio.ow
poowy,id eſttemperātia illius quodmodo diximus Opornotus, id eſt prudêtiæ,falus
& conſeruatio eft. udtskun,id eſt ſcientia,ab eo quod inftar & fequit
tra &tum eſt,quafi res fluentesſolas animusperſequatur,inſtetø &
comitetur:at negexmo tra poſterior,neæ præcurſioneſicprior.Quare&
interiecto shylew uocare decet ouisas tanquam fyllogiſmus,id eft ratiocinatio
quædam eſſe uidetur.Cum autem owibrac dici tur,idem intelligiturac fi diceretur
etiska. Nam oftendit cum rebusanimum congre dirogix, id eft fapiêtia,agitationis
eft tactus.Obſcurius autem, & alieniushoc à nobis. Verum animaduertendữeſt
in poetis, quotiesuoluntaduentantem aliquem & irruen tem exprimere,ovulo.id
eſt erupit,profiljjt,dicere.Quin & illuftricuidam apud Lacedæ. moniosuiro
nomen erat oös,id eſt præpes.Sic enim Lacedæmones cõcitationis impe tum
indicant. Qualiitaqomnia perferantur,huiusipſiusagitationis, quę eo quod oos di
citur,ſignificatur,iniqw,id eft tactum perceptionem aſophia demonſtrat..yglóxid
eſt bonum cuiufqsnaturæ « y« sóy,id eft mirabile,amabile,delectabile
ſignificat.Enimuero poſtos fluuntomnia,partim celeritas, partim tarditas
ineſt.Eft igiturnon omneuelox, fed ipſius aliquid « y « soy.Quod quidēayasov
ipfius& yali nomine declaratur.ductoo uby, ideft iuſtitia,quod xaiov oubsou
ideſt iuſti intelligentiam importet, facile conijcere pol fumus. Quid autem
ipſum singu op fibi uelit, difficile cognitu.Videtur autem huculoa multis quod
dictum eſt cocellum,reliquum uero dubium.Etenim quicung totum mobile arbitrantur,
plurimum agitari ipſum exiſtimāt,per omnealiquid permanare quo fingula fiant,
quod'ue tenuiſlimum fit & uelociſſimum.Nec enim per omniadiſcurrere polle,nifiadeo
tenuelit ut nihil possit obliſterepenetráci,& adeo uelox, ut cæteris quafi
ſtancibus utatur.Quoniam uero gubernatomnia, dlačov, id eſt diſcurrens &
permanans, merito dinglov eft appellatū, x uno politioris prolationis gratia
interiecto. Hactenus quod modo diximus, inter plurimosconftat hoceffe
iuftum.Ego autem Hermogenes urpo te diſcēdideſiderio flagranshæc omnia
perfcrutatus ſum,& in arcanis percepiquod hoc ipſum iuftum ſit, &
cauſa.quo enim res ipfæ fiunt,hoc eſt caufa:proprieś ita uocariiſtud debere
quiſpiam tradidit.Cum uero ab his iam auditis iftis nihilominus diligenter ex.,
quiro quid ipfum iuftum ſit, quando quidem ita fehabet, uideor iam ulterius
quam decet exigere, & caueam,utdicitur,uallūý ſupergredi.Satis enim
femperrogaſſeme & audiſ- Prouerbia fereſpondent,meg uolentes explere alius
aliud afferre conantur,neo ultra coſentiunt. Quidam ait iuſtű hoc, folem
effe.Solâ quippe folem diſcurrendo calefaciendog omnia gubernare. Cum uero hoc
alacer cuiquam qualipræclarum audierim, refero, ftatim ille meridet, quærito
nunquid exiftimem post solis occaſum iuftűnihil hominibus superef le: Percontanti
itaq mihiquid ille fentiret,ipfum ait ignem iuftâ exiſtere.neqid cogni tu
facile,quarealius,inquit,nõignem ipſum ſed ipſum potius innatum
ignicalorē.Alius hæc omnia pro nihilo habet.eſſe enim iuſtā mētem illâ quâ
induxit Anaxagoras. Dominam certe illam fuapte natura,necalicuimixtam exornare
omnia inquit, per omnia pe netrantem.Hic quidem ô amice in maiorēambiguitaté
fum prolapſus, quàm antea dum nihil deiuſtitia ſclſcicabar.Cæterű utredeamus ad
id cuiusgratia diſputaus,nomēillicale propter hæc, quale diximus,eft tribucũ.her.
Videris Ô Socrates, ex aliquo audiſſe hæc, nec ex tua officinaruditer
deprompſiffe. soc. Quid alia: HERM. Non ita.s o c.Atten de igitur;
forte'nançsin reliquis te deciperem, quali quæ afferam non audierim.Poſtiu ftitiam
quid reſtare avdgíay,id eft fortitudinēnondum peregimus.iniuſtitia faneobſtacu
lum eiuseſt quoddilcurrit per omnia, dvd piæ in pugnauerfatur.pugna in rebus fi
quidē fluunt nihilaliud fluxusipfe contrarius. Quapropter fi quis d ſubtraxerit
ex nomine hocadipiæ,nomen quod reftat aveia, opusipſum declarat. constat planè
quòd non flu xus cuiuſqz contrarius gom id eſt fluxus,fortitudo eft,fed
oppoficus illi quipræter iuſtum ficfluxui.Neqzenim aliterfortitudo eſſet
laudabilis.žeệw autem,ideft mas, & civip,uir à ſimili quodã
ducâtoriginē,ſcilicet ab ävw gom,id eſt ſurſum fluxu.pusuero,id eſtmulier,
quafi jová, id eſt fæcunda & generatrix,bãiv,id eft fæmina.cn? Begrãs,id
eſt papilla dici tur,oxå saấcuideturHermogenes dici,quia retraçúc, ideft
germinare pullulareg facit,ut irrigans ea quæ irrigantur.HERM.Sicapparet,ô
Socrates.SOCR.Idride,id eſt uireſcere, adoleſcere, floreſcere,augmentum'iuuenum
repræſentat, quaſi uelox quiddam & fu bicum, quod innuitille quinomen
conflauit ex leiv, id eſt currere, & &Ma, id eft faltare.
Animaduertismeuelui extra curſum delatâ,poftquãplana ac peruia nactus ſum: Mul
ta quoqz ſuperſunt quæ ad ſeria pertinere uident.HERM.Veraloqueris.soc. Quorữu
num eft utuideamus quid de xuwid eſt ars importet. HERM. Prorſus.SOCR.Nonnehoc
şuu vä, id eſt habitum mentis oſtendit, ſi z demitur,interſerifautêomediữ inter
x & v,& interv & nézován: HERM. Aridenimiū Socrates &
inculte.soc.Anignorasbeateuir no mina uetera diſtracta iam effe,atq cõfuſa à
ſermonis tragiciſtudioſis,elegantiæ gratia ad« dentibus & fubtrahentibus
literas,ac partim tēporis diuturnitate, partim exornationis& ftudio undiq
peruertēcibus ucecce in na rów,id eft fpeculo, abſurdű eft ipliusaddi “ tamentū:
Talia certe,ut arbitror,faciâtquioris illecebras pluris æſtimantő ueritatem.
Quamobré cũ multanominibus ipſis adiecerint,tãdem effecerűt, utnemoiam nominūdu
fenfum animaduertat.Quemadmodãdum o qizæ,id eſtmõſtrum quoddã proferunt,cūcl
oqiya pronunciare deberēt,ac cæteramulta. Profecto fidareturcuiş arbitratu ſuo
& de mere& addere,magna utic eſſet licentia, & quodlibetnomē cuiæ
rei unuſquiſq tribueu ret:HERM.Veranarras, so CR.Vera plane, ſed enim
mediocritatem quandam aros decorum ſeruare te decet præsidem sapiętem.HERM.Outinam.soc.Atqui&
ipſe,o Her mogenes, opto uerum ne exacta nimium diſcuſſione, uir felix,
exquiras, neuim meam prorſus exhaurias.Afcendam quippead ſupradictorum apicen:
posto post artem cõli. derauerimus Myjavlw,id eftmachinationéexcogitationemg
ſolertem. Videtautem li gnificare idem quodmultum pertingere &
aſcēdere.Componitur ergo ex his duobus, púxos, id eſtlonge & multum, &
dvey,id eft aſcendere,penetrare,pertingere. Sedutmo. do dicebam, adſummam
dictorum perueniendum eft, quærendum quid nomina iſta significant, opeta, id est
uirtus, & xcxiæ,id eft prauitas.Alterum quidem nondum reperio, alterum
patere uidetur.Nam ſuperioribusomnibus conſonar,nempetanquam eancom nia:Kards
sok,id eſt male uadens:xariæ,id eft,prauitas erit. quarecum animamale adres
ipfas accedet,communiter praua dicetur. proprie uero acmaximeprocedendihæcfa.
culcas inoshiq,id eſt timiditate patet, quam nondum declarauimus.
prætermiſimuse nim.Oportebatautem continuopoft fortitudinem ipfam inferre.Multa
inſuper alia prę teriſſeuidemur.ddníc ſignificat durum animæ uinculum.domés
enim uinculum eſt.nian uero forte quiddam durumg ſignificat.quare
timiditasuehemensacmaximum eſt ani mæ uinculum: quemadmodum & exeíc,id eſt
defectus inopia, dubium,malum quiddã eſt,ac fummatim quodcuną progreſſus ipfius
impedimentum,idé male progredi uide tur oſtendere,in ipſa uidelicetmotione
impediri atą detineri. Quod cum animaſubit, prauitate plena dicit.Quod ſi illud
prauitatis nomen talibus quibuſdam cõpecit,contra rium osti,id eſt uirtus
ſignificabit.In primis quidē facilē agilemą progreffum, deinde folutum &
expeditū animæ bonæ impetum effe oportet. Quamobréabloaz impedimēto obſtaculog
és béov,id eſt ſemperfluens iure cognominari poffet adgfútn.fortè uero &
αριτίω degerli uocatquis,quia litaliftas aép&TUTTys,id eftmaxime eligendæ.
Verum colliſo uocabulo obetxdenominatur.Forſitan mefingere dices:ego autem
aſſero, ſimodo no men illud prauitatis quod retuli,recte eſt inductum,recte
quoc & iſtud uirtutis nomen induci.HERM.Arranów,id eftmalum,per quod in
ſuperioribusmulta dixiſti, quid ſibi uult: so c.Extraneum quiddam per louem,ac
inuétu difficile. Icaq ad hoc etiam machi namentum illud fuperiusafferam.HERM.
Quid iſtud: SOCR. Barbaricum quiddam & hoc esse dicam.HERM.Probeloquiuideris.soc.Cæterum
hæciam fi placet mittamus, nominauero iſta menon & degeóv, id eſt pulchrum
& turpe, conſideremus. Quid degepon innuat, fatis mihipatere
uidetur.Nempecum ſuperioribus conuenit. uidetur quinomi na ſtatuit,paſſim
agitationis impedimentum uituperare.utecce,és igorri zion pouw, id eft femper
impedientifluxum nomen dedit aegóggow. Nuncuero collidentes degsów
appellant.HERM. Quid nonoy, id eſt pulchrum: soc.Hoc cognitu difficilius,
quanquam ip ſum ita deducitur,utharmoniæ duntaxat & longitudinis gratia
ipſum æ ſit productum. HERM.Quo pacto: soc. Nomen hoc cogitationis cognomentum
quoddam esse videtur. HERM.Quiiſtud ais:'soc. Quam tu cauſam appellationis rei
cuiuſ cenſes: an nó quod nominatribuit: Herm.Omnino.so c.Nónne causa hæc cogitatio
est veldeorũ, vel hominum,uel amborum: HERM. Nempe.soc.Ergo xaréoa,ideft
quoduocatres, & kxaóv,idem accogitatio ſunt.HERM.Apparet.soc. Quæcunq mens
& cogitatio a gunt,laudanda ſunt:quæ non,uituperanda.HERM.Prorſus.soc. Quod
medicinæ par. ticeps,medicinæ opera efficit:quod fabrilis artis,fabrilia.Tu
vero quid fentis? HERM. Idem.soc.Pulchrum ita pulchra.HERM.Decet.so c.Eft autem
hoc,ut diximus,cogi tatio. HERM.Maxime.soc.Nomen ita @ hoc naróv, id eſt
pulchrum,merito erit pru dentiæ cognomentum,talia quædam agencis, qualia
affirmantes pulchra eſſe,diligimus. HERM. Sicapparet.SOCR. Quid ultra generis
huius reftat inveſtigandum: HER M. Quæ ad bonum & pulchrum
ſpectant,conferentia uidelicet, utilia, conducibilia, emo lumenta,horum
contraria. soc. Quid our popov,id eſt conferens ſit,ex ſuperioribus ip
ſeinuenies. Nam nominis illius quodad ſcientiam attinet, germanum quiddam appa
ret.Nihil enim præ ſe ferc aliud quam qopav,id eſt lationem animæ ſimul cum
rebus, quæ ue hinc proueniunt,uocari orredoporre & ovu qopa, id eſt
conferentia,ex eo quod fimul circumferuntur.Herm. Videtur.soc.Losdantov autem,id
eft emolumentum: 7 koše dos,id eſt lucro.xopdos uero,li quisv prod nominihuic
inferat, quod uult exprimit. Ná bonum alio quodam modo nominai. Quod enim
omnibus xopavuutui, id eſt miſcetur diffuſum per omnia,hanc ipfam eiusuim
fignificansnomen illud excogitauit pro vap ponens,ac Kopdo pronunciauit. HERM.
Quid autem vorzask,id eft utile soc.Vides tur Ô Hermogenes,non ſicut
cauponeshoc utuntur, idcirco Avantasy uocari, quia avesa a whece despaúx, id
eſt ſumptusuitat & minuit:uerum quia cum velocissimum sit, res ftareno
finit,neq permittit lationem réao-,id eft finem progreſſionis accipere atæ
ceffare: ſed ſoluitfemper ab illa fugató,fi quis terminusfuperueniat, ipfamós
indeſinentem immor talemg præbet.hac rationebonum avame18yuocatū arbitror.ipſum
enim motionis aú ou do río, id eft foluens terminum,avandou uocari
uidetur.coénomoy uero, id eſt con ducibileperegrinum nomēeſt, quo ſæpenumero
Homerus eſt uſus. Eftauté hocaugen difaciendio cognomētum.Her.Quid de horâ
contrarijs eſt dicendûrsoc. Quæ per ne gationem iſtorum
dicuntur,tractarenequaquam oportet.HER.Quænã iſtar'sOc.co.uk gogov,kiw deres
davandés,axopdes.HERM.Vera loqueris.s o c.Sed Brabopov & yusão s, id eft
noxium & damnofum. HERM. Certe.soc.Braboooy quidembacitou tou how effe
dicit,id eſt quod uult& nav, id eſtimpedire & coercere:pšu id eft
fluxum:hocautem passim uituperat:quodő uultanlay góp pouw, recte bonomopou
appellaret.uerum ornatus gratia Brabopón arbitrornominatū. HERM.Varia
tibifuboriâtur,ô Socrates,nomina.at quimihi uideris in pralentia, quali Palladiæ
legispraeludiữ quoddã præcinuiſſe,dum no men Bracoitopöy pronunciares. so.Nõego
in cauſa ſum Hermogenes,fed quinomēip ſum inſtituerunt.HERM. Vera loqueris.
Verum Cauãdoquid: soc. Quid effe debeat {#ubades dicam Hermogenes: & uide
uere loquar,quoties dico quod addētes ac de mētes literas lõge nominū ſenſum
uariant,adeo ut ſæpe exiguâ quidmutantes, cótraria ſignificationéinducãt.quod
apparethoc in nomine dear,id eſt opportunữ. uenithocnu permihiin mētem deeo
quod di& urus ſum cogitanti.Recēs eſt profecto uoxnobispul chra
illa,coegitý côtrarium ſonare nobis d'top & {mps&d ov,fenſum ipſum
cõfundens.Ve tus autem quid nomen utrung uulc, explicat. HERM. Qui iftucais:
soc.Dicam equi. dem.haud præteritmaiores noſtrosfrequentero & d
utiſolitos,necrariusmulieres,quæ maximepriſcam uocem feruant.Nunc autem pro
uelipfum & uelx adhibent, produe. ro (quali hæcmagnificentius quiddam
ſonent.HERM.Quo pactorsoc. Vtecceuetu ftiſſimiuiriin op'a diem
uocabant,pofteriores autem partim čuopov,partim su'épow,co cant.HERM.Vera hæc
funt. soc.Scis igitur uetufto illo nomine tantum mentem eius quinomen impoſuit
declarari.Nam ex eo quod imeipzory, id eſt deſiderantibus homini bus
gratulantibus etenebris lumen emicuit,diem inopor cognominarunt. HERM.Ap
paret.so c.Nunc autem illa tragicisdecantata quid ſibiuelit suopa,nequaquam
intelli. gas.quanquam arbitrantur nõnullispopov dici,quod kuopa,id eftmāſueta
quæg efficiat. HERM.Itamihi uidetur.soc.Neq te fugitueteres Puyóv,id eft iugum,
dvozov uocauiſ fe.HERM.Planè.soc.Enimuero luzów nihil aperit.at d'voyou,divoiy
dywylw,id eſt duori conductionem ligandi ſimul gratia,monftrat.Idemø
eftdemultis alijs iudicandű.HER. Patet.soc.Eadem rationediopita pronunciatum
cótrarium nominum omniâ quæ ad bonum ſpectant oſtendit.porro boniſpecies
exiſtens,déondeouós,id eft uinculum quod dam & impedimētum proceſſionis
effe uidet,tanquam Bag Bopo,id eftnoxij affine quid dam.HERM.Icamaximeapparet,ô
Socrates.Soc.Verum nõſicin nomineueteri, quod ueriſimilius eſtrecte inſtitutum
fuiffe, quàm noftrum. Nempe cum ſuperioribus bonis conſenties,fi pro 4,1 uetus
reſtituas.Nec enim deby;ſed toy bonum illud ſignificat,quod ſemper nominūlaudat
inuentor:Atą ita fecũipſenõdiſſidet, imòad idem ſpectat,d'ion, quali δίομ, ώφέλιμομ,
λυσιτελών, κάρδιαλέον, αγαθόν, συμφόβου, εύπορου, ideft facile ad pro,
greffum.uniuerſü hocdiuerlisnominib.innuit aliquid per omnia penetrās, omniaq
pe rornans,idő ubiq laudatü: qd uero obftat & detinet, improbata. Quinetiã
nominehoc {Butãds,liyeterű mored profpoſueris,apparebit tibinomen iſtud
disutisè boy, id eft li ganti fiftentiç quod pergit,impofitum.unde &
Musãdes cognominandum eſt.Herm. Quid ádura,númy, uslupia,uoluptas
ſcilicet,dolor, cupiditas, Socrates, & huius generis reliqua: soc.Haudnimis
obſcura mihi uidentur Hermogenes, šidbvi,id eſt uoluptas lir quidem actionis
illiusnomen eſt, quæ adóvgay, id eſt utilitatem emolumentumo tendit duero
adiectum facit,ut pro eo quod eſt sova,údova proferatur.Ajax, id eftdolor,à
Stanús Gews,id eſtdiſſolutione corporis trahi uidetur.Nam in huiuſmodi paflione
corpus diffol uitur.xvíc, id eſt triſtitia, quod impeditigio,id eft
ire,demonftrat.& aguda, id eft crucia tus,peregrinum nomen uidetur,ab
ängdvö dictum.éduig,id eft dolor & afflictio,ab güdlü Oews,id eft
ingreſſionedoloris denominatur. HERM. Videtur.so Cårigoló,id eftmoe ror languor,lationis
grauedinem tarditatemg ſignificat. ãxto enim onuselt.ioy uero pergens.xapod
uero,id eſt lætitia gaudium,à diazúrews,id eft profuſione, & progias,id eft
facilitate,poas, id eſtmotionis animæ,dicitur. Tosalesid eſt delectatio,ab
toptivs,id eft oblectamento ducitur.Topavoy autem à trom,id eft inſpiratione
delectationis in animā Quaremerito uocaretur égaršv,id eſt inſpirans. Temporis
autem interuallo ad Top Arvo deuentum eſt.cuqpoouis,id eſthilaritas &
alacritas, quam ob cauſam dicatur,aſſignareni hil opus.Nam cuicp patet hocnomen
trahiab eo quod dicitur eü, id eſt bene. oum @ opeally id eft unaſequi
qualidicat animabeneres affequi.Vnde cu poporubs uocarideberet:ta men Bagooutlw
appellamus.Sed neg difficile est assignare quid üsgutta, id eſtcupidi. tas
ſibiuelit.Nomen quippehocuim tendentem in Ovuoy, id eft animam & iram &
fu rorem oftendit. Ovuós autem à lúoews& toews,id eft flagrantia, feruore,&
impetu animę. proindeiupo,id eft fuauis & blandaperfuſio,dicitur,jm,id eſt
fluxu animam uehemen ter alliciente.ex eo enim quodiulio ga,ideft
incitatusrerumgappetens fluit,animam uehementerattrahitpropter impetum ſiue
incitamērum fluxus.ab hac tota uiHimeros eſt nuncupatus.Præterea Pothos
uocatur,id eſt deſiderium, quod fane'præfentem fuaui tatem nõ reſpicit,
quemadmodū iuepo,fed abfentem ardet. Vnde wale_diciturqualiá wóvrG,id eft
abſentis cócupiſcentia.Idem ipſe in id quod gratñeſt animinixus,præ ſente co
quod cupitur iuopo,abſente wólo denominatur.iews autem, id eſt amor,quia
doga,id eft influit extrinſecus,neg propria eſt habēti gas,id eſt fluxio ilta,fed
infuſa per oculos. Quapropterabcogar,id eſt influere,čopo, id eft influctio,amor
ab antiquis no ftris appellabat,nam opro wutebantur.nuncautem épwsdicitur,wproo
interpoſito. Ve. rum quid deinceps conſiderandum præcipis?HERM. dlófæ, id eft
opinio,& talia quædã, undenomen habentisoc.déke,uel à diwa,id
eſtperſecutione dicit, qua pergit & pro ſequituranima,conditionem rerum
inueftigans:uelà tófo Borm,id eft arcus iactu. uides turautem hinc
potiusdependere.oinois, id eft exiſtimatio,huic confonat. oftendit quip pecioiy,id
eſt ingreſſum animæin unumquodß conſiderandum,oioy,id eſt quale fic:quê admodum
& bons,id eft uoluntas a Borá,id eſt iactu dicitur: & Bóns, id eſt
uelle, pro pter ipſum attingendinixum ſignificat etiamélis,id eſt cupere:&
Bonbuch, id eſt cõſu lere.Omniahæcopinionem fequentia,Boras ipfius, id eſt
iactus & nixus imagines eſſe uidentur.quemadmodum contrarium, &
boniæ,id eſt priuatio uoluntatis,defectusquidã conſequendiimpos apparet, quali
non contendat, neq etiam quod intendit,uult, cupit, inueftigat,adipiſcatur.HERM.Frequentiora
hæc congerere uideris, ô Socrates. Quare finis iam fic fauence deo. Volo tamen
adhuc,ávéyxlu & Exšonoy,id eſt neceſſarium & uo luntarium
declarari.Nempe ſuperioribusilta ſuccedunt.socRéxóozoy equidem eft si noy,id
eſtcedensneg renitens,hocfiquidem nomine declaratur zinoy lestorti, id eſt ces
denseunti, quod'ue ex uoluntate perficitur. avayeccoy uero, id eſt neceſſarium
& obfi ſtens,cum præter uoluntatem ſit,circa errorem infcitiam
uerſabitur.deſcribiturautem ex proceſſu ſecundum neceſſitatem, quoniam in uia
aſpera denſa inceffum prohibent. Vndeavaysazov dictum eſt,quali per &
yroscop,id eſt per uallē uadēs.Quouſ uero uiget robur,ne deſeramus. Quamobré
interrogaamabo, ne deſiſtas. HERM. Ecce rogo quæ maxima ſunt& pulcherrima:«
aksaa,id eft ueritatem, & fordo,id eftmendacium, & öy,id eft ens, &
quareid quodehicagimus,övoua,id eft nomen,dicitur.SOCR. Quid vo casmaksa:
HERM.Voco equidem inquirere.so c.Videtur nomen hoc ex sermone illo conflatum,
quo dicicuröv, id eſt ens esse,cuiusnomen inquiſitio eſt. Quod clarius certe
comprehendes in eo quod dicimus óvojasóy, id eſt nominandum. hic enim
exprimitur nomen quid ſit, entisuidelicet inquiſitio. &ikbļa uero ficut
& alia componiuider.Nam diuina entislatio,nominehocincluditur,ankódæ, quaſi
exiſtensOscarx,id eft diuina que dam uagatio.Foido- autem contrarium
motionis.Rurſushic uſurpatur agitationis obs ftaculum, quod'ue ſiſtere
cogit.Nam à reboudw, id eſt dormio dicitur. 4 uero adiectum ſenſum nominis
occulicouuero & Xoia, id estens et essentia,cum & rx66ą, id eſtueritate,
congruunt: fic apponatur.namrov,id elt uadens ſignificat.Atdrøv id eſt non
ens,quidam nominant xxcov, id eſt non uadens. HERM. Hæcmihiuideris, 6 Socrares,
fortiter admo dum discussisse. Verum si quiste perconteturquæ fitrecta iſtorum
interpretatio, quæ di cuntur čov, id eſt uadens:géov,id eft fluens,doww,id eſt
ligansac detinens, quid illi potiſſi. mum reſpondebimus: habes'ne: Socr. Habeo
equidem.profecto nuper ſuccurrit no bis aliquid, cuiusreſponſione quicquam
uideamur afferre. HERM. Quale iſtud: soc. Viquodminimecognoſcimus,barbaricum
eſſe dicamus. fortè enim partim reuera talia ſunt: forte'uero partim, ac
præſertim nomina prima,temporum confuſione infcru. “ tabilia.Etenim cum paflim
uocabula diſtrahantur,nihilmirum eſſet ſi priſcalingua cum Ç noſtra
collatanihilo à barbarica uoce differret. HERM.haud alienum eſtà ratione quod a
dicis. Socr. Conſentanea quidem affero, non tamen idcirco certamen excuſationem
uideturadmittere.Sed conemur hæc diſquirere, ato ita conſideremus: fiquis
femper uerbailla per quænomen dicitur,quæreret,rurſus illa per quæ dicuntur
uerba, ſciſci taretur, pergeretob ita perquirere,non'ne qui refpondet,
defatigari tandem & renuere cogeretur: HERM.Mihiſane'uidetur. S O CR.
Quando ita quireſponſum denegar, merito ceſſabit: An non poftquam ad nominailla
peruenerit, quæ cæterorum ſunt& ſermonum & nominum elementarHæcutio fi
elementa funt,ex alñsnominibus com pofita uiderinon debent.quemadmodum ſupra
& yalóy,id eſt bonâ diximus, ex « y så, id eſtiucundo amabilio, &
805,id eftueloci compofitum.gooy rurſus ex alijs conftare di cemus,illağ ex
alijs.ſed poftquam ad id peruenerimus quod ultra ex alíisnominibusno
coſtituitur,merito nosad elementű perueniſfe dicemus,nec ulteriusbocin alia
nomina, referendum. HERM.Scite mihiloquiuideris.soc. Annon ea de quibuspaulo
ante in terrogabasnomina eleméta funt oportet rectam illorõrationem aliter quam
reliquorum inueftigare. HER. Probabile id quidem.soc.Probabile certeHermogenes.
Supe riora itaq omnia in hæcredacta uidentur:ac ſi ita ſe res
habet,utmihiuidetur, rurſusage hic unamecum conſidera, neforte delirem dum
rectam primorum nominum rationem exponeretento. HERM. Dicmodo. ego nang pro
viribus meditabor. soc. Arbitror equidem in hoc tecõſentire,unam efferectam
& primi& ultiminominisrationem, nul lumğ illorum eo quod nomen est, ab
alio diſcrepare.HERM.Maxime.so c.Etenim om 2 nium quæ ſuprà retulimusnominum
recta ratio in hoc cõſticit, ut qualis quæ res litin 7) dicaretur.HERM.
Proculdubio. soc. Hocutio non minus prioribus quam pofteriori. bus competere
debet sinomina fucura sunt.HERM. Prorſus.so-c.Atquipoſteriora no. minaper
priora hocefficere poterant.HERM. Apparet. soc. Primauero quibus alia nõ
præcedunt, quo pacto quam maximeres ipsas nobisoftendēt, ſi nomina effe debet:
Adhoc mihireſponde. ſiuoce & lingua caruillemus,uoluiffemusgres inuicem
declara re,nonneperindeac nuncmuti,manibus capite & cæterismembris
ſignificare tenta uiſſemus? HERM. Haud aliter Socrates, soc. Ergo supernữ
quippiam ac leue demon. ftraturi,cælum uerſusmanum extuliffemus, ipſam rei
naturam imitantes: inferiora uero & grauia deiectione quadã
humiinnuillemus. quinetiã currentem equũuelaliud quic quam animalium
indicaturi,corporum noftrorum geftus figuras ad illorum ſimilitudi nem
quamproximequiſo finxiſſet.Herm.Neceſlariû quod ais eſſemihiuidetur.soc.
Huncinmodűutarbitror his corporis partibus ostensum eſſet, corpore videlicet
quod quifq monstrare voluerat imitante. Herm. Ita certe.soc. Postquá uero uoce,
lingua, & ore declarare uoluimus, nónne ita demum per hæcoſtenſio fiet,li
per ea circa quodli bet,facta fuerit imitatio: HERM.Neceſſarium puto. soc.Nomen
itaq eſt, urapparet, imitatio uocis, qua quiſquis aliquid imitatur,per uocem
imitat & nominat. HER.Idem mihi quoq uidetur.soc. Nondum tamen recte dictum
existimo. HERM.Quamobrē: Soc. Quoniam hos ouiū & gallorum cæterorum
animalium imitatores fateri cogere. murnominare eadem quæ imitantur.HERM.Vera
loqueris. SOCR.Decereid cenſes: HERM. Nequaquam sed quænam ô Socrates imitatio
nomen erit: s o c.Non talisimi. tatio qualis quæ permuſicam fit,quamuis uoce
fiat,nec etiã eorundem quorum & mu. fica imitatio eſt,nec enim permuſicam
imitationem nominareuidemur. Dico autê ſic: Adeſtrebusuox & figura colorø
plurimus. HERM.Omnino.soc.Videturmihiſiquis hæcimitetur,neq circa imitationes
iftas nominandifacultas cõfiftere.hæfiquidem ſunt partim muſica, partim uero
pictura.jnonne.HERM. Plane. soc. Quid ad hoc: nonne essentia eſſe cuiq putas,
quemadmodú colori & cæteris quæ ſuprà diximus: an nõ ineſt
coloriacuocieſſentia quædam,& alijs omnibus quæcunc essendi appellationefundi.
gna: HERM. Mihi quidem uidetur. soc. Siquis cuiuſą eſſentiam imitari
literisfylla. biscß ualeret,nonne quid unumquodo fit declararet: HERM.
Maximequidem. Soci Quem hunc eſſe dices: ſuperiores quidem partim muſicum,partim
pictorem cognomi nabas,hũcuero quomodouocabis? HERM. Videturhicmihiô Socrates
quem iamdiu quærimus nominandiautor. soc. Siuerum hoc eſt,conſiderandum iam
denominibus illis quæ tu exigebas, pess, ideſt fluxu,igra,id eſt ire, géoews,
id eſt detentione,utrumli teris ſyllabisą luis reuera effentiam
imitantur,nec'ne.Herm.Prorſus. soc. Ageuidea musnunquid hæcſola
primanominaſint,an fint & alia præterhæc. HER.Alia equidem arbitror. Soc.
Consentaneum est cæterum quis diſtinguendimodusunde imitari incir
pitimitator:Nónne quãdoquidem literis ac ſyllabis eſſentiæ fitimitatio,
præſtatprimu elementa diſtinguere: quemadmodum qui rhytmis dant operam,
elementorum primo uiresdiſtinguunt,deinde fyllabarum tanium,rhythmoscandem
iprosaggrediuntur,pri usnequaquam. HERM. Vtiq.soc.Annon ita &
nosprimooportetliteras uocales die ſtinguere,poftea reliquas ſecundum
ſpecies,mutas & femiuocales: Ita enim in his erudi ti uiri
loquuntur.acrurſus uocales quidem,non tamen ſemiuocales, & ipſarű uocalium
ſpecies inuicem differentes.Etpoftquam bæcbene omnia diſcreuerimus,rurſus
induce, renomina,conſiderareg ſi ſuntin quæ omnia referuntur,quemadmodum
elementa,ex quibuscognoſcere licet& ipfa, & fi in ipſis ſpecies
continentureodem modo ficutiner lementis.His omnibusdiligenter cogitatis,Icire
oportet afferre secüdum fimilitudinem unumquodą,ſiueunum uniſit admouendum, ſeu
mulcą inuicem commiſcenda:ceuph Storesctores similitudinem volentes exprimere,
interdum purpureum duntaxat coloré adhi bent,interdum quemuis alium colorem,
quandoq multoscômiſcent,ueluti cum imagi nem uiri quam ſimilimam effingere
uolunt,uel aliud quiddãhuiuſmodi, quatenus ima goqueo certis coloribusindiget. haud
ſecus & noselementa rebusaccomodabimus,& unum uni, quocunq egere maxime
uideatur:oumbona “, id eſt coniecta conficiemus, quas ſyllabasuocant. Quas
ubiiunxerimus, ex eisö nominauerba constituerimus, rur fusex nominibusac
uerbismagnum iam quiddam & pulchrum & integrum conſtrue mus:&
quemadmodum totum ipſum compoſitum pictura animal uocat, ita noscontes xtum
huncintegrű; orationem uel nominandi peritia,uel rhetorica fábricatam,uel alia
quauis quæ id efficiatarte.Imòno nos iſtudagemus.modūnamą loquendo tranſgref
fus fum, quippe ueteres ita conflarunt,fi ita eſt conſtitutum.Nosautem
oportet,fimodo artificiofe conſideraturiſumus,ipſa omnia fic diſtinguentes,
fiue ut conuenit primano mina & pofteriora ſint poſita,ſiue non,ita
excogitare.Aliter autem cõnectere uidendű eft ôamice Hermogenes,ne forte ſit
error.Her. Forte per louem ô Socrates. soc.Nun quid ipfe cöfidis ita te posse
diſtinguere:Ego enim mepoſſe diffido. HEŘ.Multo igitur magis ipſe
diffido.soc.Dimittemus igitur?an uis utcun @ ualemus experiamur,et ſi pa rum
quid horum noſſe poffumus,aggrediamur,ita tamen utfuprà,dis præfati:ucq illis
ediximus,nihil nosueriintelligentes opiniones hominūdeillis conñcere:ita &
nấcper gamusnobiſipſi ſimiliter prædicentes, quod fi quam optime diſtinguenda
hæc fuiffent, uel ab alio quopiam,uela nobis,ſic certe diſtinguereoportuiſſet:
nuncautem,ut fertur, puiribus ifta nostractare decebit.Admittishęc'uel quid
ais.HER. Sic prorſusopinor. soc.Ridiculum uiſum iri ô Hermogenes,arbitror, quod
res ipfæ imitatione per literas fyllabas a factamanifeſta fiát.Neceſſarium
tamen:nec enim meliushochabemus quic quam,ad quod reſpicientes deueritate
primorum nominū iudicemus:niſi forte quemad modum Tragiciquoties ambigunt,
cõmentiris quibuſdam machinamentis ad deosco fugiunt,ita & nos ocyusrem
expediamus,dicentes deos primanominapoſuiſſe, & idcir corecte inſtituta
fuiſſe.nunquid potiſſimusnobis hic fermoran ille,quod ipſa a barbaris quibuſdam
accepimus:Nobis quippe antiquiores ſuntbarbari,uelquòd ob uetuftatem ita ea
diſcerninequeuntut & barbara: Tergiuerſationeshæ ſunt, & belliſſimæ
quidem, illorum quicunq nolint derecta impoſitione primorum nominû reddere
rationem. Ete nim quiſquis rectam primorā nominum rationem ignorat, ſequentium
cognoſcerene quit.hæcporrò ex illis declaranda ſunt,illa autē is ignorat. quin
potius neceffe eft fequê tium peritiam profitentem,multo prius & abfolutius
antecedentia comprehendiffe,por feq oſtendere,aliter autem ſciredebet fe in
fequentibus deliraturũ.an aliter ipſe confess HER.Haud aliter Socrates.soc.Quæ
ego ſenſideprimis nominibus, inſolentia ridicu lag admodum eſſe
mihiuidentur,eaç tecû, ſi uelis, comunicabo. Siquid uero tumelius
inueneris,mecum & ipſe comunica. HER. Efficiam.fed diciam forti animo.
soc.Princi pio ipſum g uelut inftrumentum omnismotuseſſe uidetur.Curautem
motuslivrosap pelletur,non diximus.patet tamen quoditors,id eftitio eſſe
uult.Non enim » quondam, fedeutebamur.principiữautē ab liay, id eſtire,
quodperegrinum nomen eft,& igra,id eſtire ſignificat.Quare fi priſcum
eiusnomen reperiatur in uocem noftram translatum, recte i'eois appellabitur.Núc
autem ab kiau nomineperegrino, & ipfiusy conmutatione, & vipſius
interpofitionelivyoisnuncupatur.Oportebat autem sidingoy uel any dicere.
súčas,id eft ftatio,negatio ipfius iga, id eft ire eſle uult, ſed ornatuscaufa
séas denomi natur.Elementū itaq ipſum qopportunűmotusinſtrumentum,utmodo dicebā,uiſum
eſt nominum autori ad ipfam lationis fimilitudiné exprimendā: paflim itaggad
motus expreſſionē utitur.In primo quidem ipſo jau & goñ, id eſtfluere,
fluxuğ per literampla tioně imitatur,deinde in touw,id eft tremore,& baya
aſpero.item in uerbis huiufmodi, kódy percutere,&gaver uulnerare, oʻúrdy
trahere, @ gúndu frangere eneruareg, kopuerto siddy incidere,pêué du uacillare,
irritare, & circumuerſare. Hæcomnia ut plurimâperpad fimilitudinémotionis
effingit.Mitto enim quod lingua in hac litera pronunciadamini meimmoratur, quin
potius cocitatur. Quocirca ad iſtorũ expreſſione iplo s potiſſimữ uſus fuiffe
uider. Vfus eft &, scilicetiota, ad tenuia quæ per omniamaximepenetran
tia.idcirco igra & icadou, id eft ireprogredió per o imitatur. Quéadmodū
per 4.0, quæ E literæ uehementioris fpiritus ſunt,talia quædam nominum autor
exprimit, fuzeów frigt dum, (soy feruens, osoatare concuti, & communiter
aconoy, concuſſionē quaffationem: quoties uehemens quippiam &fpiritu plenum
imitari uult nominum inftitutor, tales utplurimum literas adhibet.Quinetiam
ipſiusd cõpreſſionem aco,linguæ & uelut ha. rentis retractionem,peropportunã
exiſtimaſſe uideturaduinculi&ftationis potentiâ exprimendam.Etquia in a
proferendo maximelingua prolabitur, idcirco per hoc uelur ex fimilitudine
quadam nominauit nga, id eſt lenia & órcdaerah labi, & noMūdeslie
quidum,Ascrapov pingue, cætera huiuſmodi.Quiauero labentem linguam y remoratur
eo interiecto formauityhioggoy lubricum, gauxudulce, yrādes uiſcoſum,
luculentum. Animaduertens quo&ipfius v ſonum imoin gutture detineri, eo
nominauit so výdby & te gutos, id eſtąd intus eſt,& quæ
intrinfecusſunt, utres per literas repræſentarer.Ipſum uero w,meyer@,id eſt
magno tribuit &ipſum % ukus,id eſt longitudini, quoniamma. gnäliteræ
ſunt.in nomineautem spozzinoy, id eft rotundum,ipfo o indigens, o ut pluri
mummiſcuit. Eadem ratione cętera ſecundum literas ac ſyllabas rebus ſingulis
accom modare uidetur nominum autor,ſignữnomenoconſtitués,ex his deinde ſpecies
iamre liquas per ſimilitudinem conſtituere.Hæc mihi Hermogenes recta uidetur
effe nomina ratio, niſi quid aliud Cratylus hic afferat. H ER.Etenim ở
Socrates,fæpemeturbat Craty lus hic, uc à principio dixi,dum eſſe quandã
afferit rectam nominû rationem, quæ uero sit, non explicat, utdiſcernere
nequeam utrum de induſtria, nec'ne adeòfit obſcurus. In præſentia igitur Ô
Cratyle,coram Socrate dicas, utrum placeant ea tibi quæ Socrates de
nominibuspredicat,an preclarius aliquid afferre poffis:quodfi potes,adducas in
me dium, ut uel a Socrate diſcas,uel nos ambos erudias. CRAT. Videtur'netibi
Hermoge nes facile eſſe tam breui percipere quoduis atque docere,nedum rem
tantam, quæ maxi mum quid demaximis æstimatur. HER. Non mihi per louem, quinimò
ſcite loquutum Heliodum arbitror, quod operęprecium ſit paruum paruo
addere.Quare fi quicquamli cet exiguum perficere uales,ne graueris, fed &
Socratem istum iuua,& me insuper.de. bes enim.soc. Equidem ô Cratyle,nihil
eorum quæ ſupra comemoraui;aſſererē.Nem peutcunq; uiſumeſt, cum
Hermogenehocindagaui. quocirca aude fi quid melius ha bes, exprimere,tanquã ſim
libenter,quod dixeris,ſuſcepturus.Neqz enimmirarer liquid tu
hiſcehaberespræclarius. Videris porrò &ipfe talia quædã conſideraffe,
&ab alijs di diciſſe. Siquid ergo præstantius dixeris, me interdiscipulos
tuos circa rectam nominā rationem unum connumerato. CRAT. Certe mihi ô
Socrates,utais, curæ hæc fuerunt,ac forte diſcipulum te efficerem.Vereortamen
ne contrà omnino ſe res habeat.Conuenic mihi nuncidem erga te dicere,
quodaduerſus Aiacem in ſacris Achilles inquit.Genero. Iliadosi fe,ait,Aiax
Telamonie populorũ princeps, omnia mea ex ſententia protulifti.Ita cu quo queô
Socrates, nostra exmente uaticinari uideris, fiue ab Euthyphrone fueris inſpira
tus,ſiue Muſa quædam tibipridem inhærens nuncte protinus concitauerit. soc. O
uir bone Cratyle, ego quoß fapientiam meam iampridem admiror,neq nimis
confido.qua re examinãdum quid dicam,exiftimo.Namaſeipſo decipi grauiſſimum
eſt.nimis enim 2 periculoſa res eft, quum ſeductorabeſt nunquam ſemperdeceptum
proximecomita, tur.Oportetitao superiora
frequêter animaduertere, & utpoeta ille ait, ante illa retros
conſpicere.Atqui &in præsenti videamus quid à nobis sit dictum. Rectam
diximus no minis rationem, quæqualisquæqres fit, oftendit.Nunquid ſufficienter
eſſe dictâ afferi mus: CRAT. Ego quidem aſſero.soc. Docendi igitur gratia
nomina ipfa dicuntur: CRAT. Prorſus.soc. Annon & artem eſſe hancdicimus,
& ipfius artifices: CRAT. Maxime. soc.Quos.CRAT.Quos à principio tu legum
&nominum conditores co gnominabas.soc.Vtrum hanc artem ſimiliter atą alias
ineſſe hominibus, an aliter arhi tramur:Idautem eft quoduolo.pictores quidam
deteriores ſunt,quidam pręſtantiores? CRAT.Sunt.soc. Nónne præſtantiores opera
ſua pulchriora faciunt, figuras uidelicet animalium: cætericontra:
Aedificatoresquoq ſimiliter partim pulchriores, partim tur piores domos efficiūt:
CRAT.Sic eſt.soc. Nónne et legum ipsarī autores partim opera suapulchriora, partim
turpiora efficiunt: CRAT.Haud ampliusiftud admitto.soc. Non ergo leges
aliæmeliores,deteriores aliæ tibiuidentur.CRAT.Non.soc.Nec etiã nomen
utapparet, aliud melius,aliud deteriusimpoſitum arbitraris. CRAT. Negiſtud. soc.Ergo
omnia nomina recte poſita ſunt. CRAT. Quecunqueuidelicet nominaſunr. soc.Quid
de huius Hermogenisquod ſupra dictum eſt,nomine:Vtrum dicendű non effeilli
iftud impoſitum,niſiquod équo geridews,id eft Mercurijgenerationis illicompe
car:Animpoficum quidem,non tamen recte:CRAT.Nec impofitum eſſe ô Socrates,
arbitror,fed uideri.eſſe autem alterius cuiusdā nomen, cui natura inest quæ
nomine con cinetur.soc.Vtrum nequementicur quisquis Hermogenem eſſe eum
dicit:Nec enim hoc eft dubitandum, quin eum dicatHermogenem eſſe,cum non
fit.CRAT. Quaratig ne id ais: so c. Nunquid ex eo quod non datur dicere falſa,ſermo
tuus conftat, & circa id uerſacur.permulci nempeô amice Cratyle, & nunc
prædicant, & quondam aſſerue runt.CRAT.Quo pacto ó Socrates,dum dicit quis
quod dicit quod non eſt dixerit; An non hoc eſt falla dicere,quæ nõ ſunt
dicere: soc.Præclarior hic fermoamice,quam con dicio mea & ætas
exigat.Attamen mihi dicas,utrum loqui falſa non poſſe aliquis tibi ui
detur,fariautē pofle? CRAT.Neq fari.soc.Acetiam nec dicere,nec apppellare, falu
tare:Quemadmodum liquis tibi obuiushoſpitalitatis iure manu te prehendens dicat
Salue hoſpes Athenienſis, Šmicrionisfili Hermogenes.illeloqueretiſta,uel fari
dicere tur,uel diceret,uel falutaret,appellaretę ita, non te quidem,ſed hunc
Hermogenem,aut nullum: CRAT.Videtur mihi ô Socrates,incaſſum hæc iſte
uociferare.so c.Šat habeo. utrū uera uociferat,qui ita clamat, an falſa: Anpartim
uera, partim falſa: Namhoc quo queſufficiet.CRAT. Sonare huncego dicam feipfum
fruſtra mouentem, ceu fiquis æra pulſer.soc.Animaduerte Cratyle,utrum quoquo
modo conueniamus.Nõne aliud no men, aliud cuius nomen eſt,effe dicis: CRAT. Equidem.
soc. Etnomen rei ipsius imita tionem quandam effe: CRAT.Maxime omniū. So
c.Etpicturas alio quodam modo re rumquarundam imitationes: CRAT. Certe.so c. Ageuero,force'ego
quid dicas, non fa tis intelligo,tu autem forſitã recte loqueris.poffumus has
imitationes utraſą &picturas & nomina rebus his quarű imitaciones
ſunt,attribuere,nec'ne: CRAT.Poſſumus. SOC. Adverte hocin primis,nunquid poffit
aliquisuiri imaginē uiro, &mulieri mulieris tri buere, & in alijs eodem
pacto: CRAT.Sic certe.soc.Num &contra,uiri imaginem mu lieri,& mulieris
uiro: CRAT. Ethoc. soc.An utræquediſtributioneshuiuſmodirectæ sunt:
uelpotiusaltera,quæ cuiæ proprium fimileg attribuit: CRAT.Mihi quidem uide
tur.SOC.Ne igitur ego actu cum ſimusamici,in uerbis pugnemus, aduerte quod
dico. Talemego diſtributionem in imitationibus utriſqz tam nominibuső picturis
rectã uo co. & in nominibus nõrectam modo,fedueram. Alteramuero
diſsimilisipſius tributio nem illationem non rectam,& in nominibus præterea
falſam. CRAT. Atuide ô Socra tes,nefortè in picturis duntaxat id contingere
poſſit,ut quis male diſpertiat, in nomini bus autem minime,fed neceſſariū ſit
recte femper adſcribere.soc.Quid ais: quo ab illo hoc differt: Nonefieri poteſt
ut cuipiam uiro quis obuius dicat,hæctua figuraeſt, oſten datók illi forte'uiri
illius figuram, forte'etiã mulieris: Oftendere,inquam,ſenſibus oculo rum
offerre.CRAT.Certe.soc.Nónneiterum ut eidem factus obuiam dicat, nomen id tuum
est. Imitatio quippe aliqua nomen est,quemadmodũ & figura. Dico autéita.Nón
ne licebit illi dicere,nomen hoctuum eft: deinde in aurē idem
infundere,fortè'eius imi tationem dicendo quod uir eſt,forte' uero fæminæ
cuiuſdã generis humani imitationē, dicendo quod mulier: Non uidetur tibihoc
aliquãdo fieripoffe: CRAT.Concedere ti bi uolo, o Socrates,licefto.soc.Recte
facis amice.acſi id ita fe habet, controuerſia iam tolletur. Porrò si in his
huius modi quædã partitio fit, alterâ uereloqui,alterữloqui falſa uocamus.Si
hocaccidit, & poſſumus non recte nomina diſtribuere, & quænon propria
funt cuic reddere,fimiliter in uerbis aberrare licebit.Sinautem uerba nominağ
ita con gerere datur, necesse est et orationes similiter. Oratio
quippe,utarbitror, eſt uerborum &nominum cõpoſitio. Quid ad iſta Cratyle:
CRAT. Quod & tu.probe namg loqui ui deris.soc. Quinetiã si prima nomina ad
literas ipſas quadã imitatione referimus,cótin. gere poteſt in his quemadmodã
in picturis,in quibusaccidit ut congruas omnes figuras coloresg;
adhibeamus.Item (ut non omnes,fed partim ſuperaddamus,partim ſubtraha mus,plura
& pauciora exhibeamus. Nõne fieri hoc potest? CRAT. Proculdubio.so..
Quicóuenientia oſia tribuit,pulchras literas & imagines reddit.Quiuero
addit,uel au fert,liceras quidem ac imagines &ipſe facit, fedmalas,CRAT. Nempe.
soc. Qui autem per literas ac syllabas rerum eſſentiam imitatur,nónne eadem
ratione fi comperētia om nia tribuit,pulchram imaginem efficit: Idautem nomen
exiſtic.finautem in paucás defi, ciatuelexcedat,imago quidem efficietur, sed
non pulchra:Quamobrem nomina quæ. dam beneinſtituta erunt, quædam contra.CRAT.
Forte. soc.Forſican ergo nominum hicbonus erit artifex,illemalus.CRAT.Profecto.soc.Nónne
huic nomen erat nomi numcõditor: CRAT.Plane.so c.Erititag in hocquemadmodū in
cæteris artibus con. ditor nominum bonus unus,alius uero non bonus,limodo
fuperiora illa inter noscon ftant. CRAT. Vera hæc funt. Verum cernis ô
Socrates, quotiens has literas « & B & quoduis elementorű nominibus per
artē grammaticamattribuimus, ſiquid auferimus, ueladdimus, uel etiam
permutamus, quod nomen quidem ſcribimus;non tamen recte, imò uero id nullo modo
fcribimus,quin potius ſtatim aliud quiddã eſt,cũ primum horű aliquid
patitur.soc.Videndű Cratyle,ne force'minusrecte hoc pacto conſideremus. CRAT.
Quo pacto:so c. Fortaſſis quæcune aliquo ex numero conſtare uel non cõsta
reneceſſe eſt,idquod ais perpetiuntur, quemadmodūdecem,autquiuis alius numerus.
Nam quilibet numerus quocûç additouel ablato,alius ſtatim efficitur. Fortè uero
qua litatis cuiuslibet & imaginis haud eadēratio eſt, ſed diuerſa. Neg enim
omnia imago ba bere debet quæcũą illud cuius imago eſt, li modoeſt imago
futura. Animaduerte num aliquid dicam.Anduoquædam hęcerunt,Cratylus uidelicet,
& ipfius imago, ſiquis deo rum nõmodo colorem tuum figuramß expreſſerit,ut
pictores ſolent,ſed interiora quò que omnia fimilia tuis effecerit,mollitiem
eandem,caloremý,motum,animā, fapientiā; &ut breui complectar,talia prorſus
effinxerit omnia,qualia tibiinſunt: Varum, inquá, alterum iſtorum Cratylus
erit,alterum Cratyli ipsius imago:AnCratyli potius gemini: CRAT.Cratyli ô
Socrates, ut arbitror, duo.soc.Cernis amicealiam imaginis rationem eſſe
quærendam, quàmillorum quæ paulo ante diximus.'ne cogendum effe liquiduel
additum,uelablatum fuerit,ut non ampliusſit imago Annonſentis quantã deeſt ima
ginibus,ut eadem habeantquæ & illa quorû imagines sunt: CRAT. Equidem.soc.Ri.
diculum aliquid Cratyle exnominibus contingeret his quorum nomina ſunt, fi
prorfus illis fimilia redderentur.Gemina quippe omniafierent, neutrumą
illorūutrum effetpo tius dici poffet,res'ne ipſa annomen. CRAT. Vera loqueris. soc.
Ingenueitaqz fatearis o uirgeneroſe,nominum aliud bene,aliud contra pofitum
effe:nec cogas omnes literas continere,adeò ut penitus tale fit, quale & id
cuius eft nomen:ſed mitte literá quoq mi nus congruam afferri quãdoq:ſi literam,
&nomen ſimiliter in ſermone: ſi in fermoneno men,ſermonem inſuper nequaq
connenientem rebus tribui, et rem ipsam nihilominus nominari diciç,quoad rei
ipſiuscuius fermo eft figura,inſit: quemadmodü in elemento rum nominibus quæ
nuper ego &Hermogenes comemorauimus,lirecordaris. CRAT. Recordor equidem,soc.
Benehercle igitur quandocung hocinerit, quamvis non om nia conuenientia prorſus
adſint, dicetur.bene quidem, cum omnia:male uero, cum pau ca.Diciitap ô
beate,mittamus,nequemadmodû qui in Aegina noctu circumuagãtur, fero iter
peragūt, ita &nos hoc pacto ad res ipfas reuera ſerius quàm deceat,
perueniſſe uideamur,uelfalutem aliam quandã exquiras rectam nominis rationem,nec
confitea. ris declarationem rei literis ac fyllabis facta,nomen effe.Porrò ſi
ambo hæc dixeris, tibi ipfe conſtare &conſentire non poteris. CRAT.
Viderismihi probeloqui ô Socrates.at que ita pono.soc.Poſtquam de his
conſentimus, quod reſtat diſcutiamus.Si bene no men poſitum eſſe debet,oportere
diximus literas fibi cõuenientes ineſſe. CRAT. Plane. soc.Conuenit autem ut
literæ rerum fimiles inſint. CRAT. Omnino. soc. Quæigi tur recte ſunt poſica
ita pofita ſunt.Siquid autem non recte poſitum eſt ut plurimum qui demex conuenientibus
ſimilibusý literis conſtat, fi quidem imago eſt.habet auté & ali quidnon
conueniens,propterquod non rectâ eſt,nerecte nomen eſt inſtitutű,Sic'ne an
aliter dicimus:"CRAT.Nihileft ô Socrates,utarbitror,contendendã:neq enim
mihi placet,utņomen quidem eſſe dicatur,non tamērecte poſitű. soc.Vtrum hoc
tibi non placet,quodnoměreiipfiusdeclaratio lit:CRAT. Placet.soc.At vero nomina
partim ex primis constituta esse, partim esse primanon probedictâ
putas:CRAT.Probe.soo Enimuero prima ſi quorundā declaraciones effe debent,
habes'ne modû commodiore quo id fiat, qa li talia fiát,qualia illa funt quæ
declarari volumus:Anmodus iſte pocius ei bipla. i biplacet,qué Hermogenesalijý plurimi
tradunt,quòd uidelicet nomina conuentiones quædam lint ijs qui ita
coſtituerunt,acresipfa præcognouere,aliquid referentes:rectas nominis ratio in
cõuentioneconſiſtat,nec interſit utrum quis ita utnunc ftatutű eſt de cernat,
an contra:ut uideliceto, quod nunc o paruũuocatur, o magnum cognominetur, wuero
quodmodow magnum, w paruum dicatur: Vter iftorum magis tibimodus pla cer: CRAT.
Pręſtatomninoô Socrates,fimilitudine referre quod quis oftendere uult, quouis
alio. soc. Scice loqueris.Nõnelinomen rei ſimile eſt,neceſſe eſt elemēra ex qui
bus prima nomina cõponuntur,natura ipſa rebus eſſe fimilia: Sic autem dico: an
aliquis quandox picturā iz ſupra diximus,rei cuiuſquã ſimilem effinxiſſet,niſi
colores ipfi qui bus cõſtatimago,efTentnatura reiillius ſimiles quam pictoris
ſtudium mitatur: Anno impoſſibile: CRAT.Impoſſibile plane.soc.Eadem
rationenomina ipſanun alicuius fimilia fierent,niſi illa quibus nomina
cõponuntur, limilitudinem aliquam haberent ea rum rerű, quarum nomina
imitationes ſunt. Ea vero quibus conſtant nomina, elemen ta funt.CRAT. Sane.
soc. lam tu ſermonis eiuseſto particeps,cuiusnuperHermoge nes.An
rectediceretibi uili ſumus, quod ipſum plationi,motui,aſperitati congruit?
CRAT.Rectemihi quidem.soc.Ipfum aūta leni & molli, accæteris quæ
narrauimus: CRAT. Profecto.so c.Scis'ne quod idem,id eſt aſperitasipſa nobis
quidē oxigpótys uo icatur, Eretrienſibus uero oxi spóryg: CRAT.Vting.soc. Vtrữambo
hæclp& o, eidem fimilia uidentur,idemg oſtendűc tam illis per ipliuse
determinacionē,quam nobis pero nouiſſimű,uel alteris noſtrum nihil referunt:
CRAT. Vtriſą plane demonſtrant. soc. Vtrum quatenus fimilia ſuntp & o,uel
quatenus diſſimilia: CRAT. Quatenus fimilia. soc. Nunquid penitus ſimilia
ſunt,ad lacionē æque ſignificandā: quin & ipſum a inie ctum,cur non
contrariū aſperitatis ipſius ſignificat: CRAT. Forte'non recte iniectữeſt ô
Socrates, quamadmodūea quæ tu in ſuperioribus cum Hermogenehoc tractabas,dum
&auferebas &inferebas literas ubimaximeoportebat. Acrecte mihi facere
uidebaris. &nunc forte pro 1, s apponendű eſt.so.Probeloqueris. Quid uero
nuncuc loqui nihil percipimus inuicé, quando quis orangón pronunciat: nec tu
quidnuncego dicã, intelligis: CRAT.Intelligo equidem propter
conſuetudiné.soc.Ouir lepidiſſime,cum confuetudinem dicis, quid aliud præter
conuentionem dicere putas. An aliud conſuetu dinem uocas, quàm quodego cum id
pronuncio,illud cogito,eu quoc quod ipſe cogítē percipis:Nonhocdicis: CRAT. Hoc
ipsum.soc.S;id mepronunciante cognoscis, per mne tibi fit declaratio,ex
diſſimili uidelicet eius quod ipſe cogitans profero: quãdoquide ipſum,
diſſimile eft eius quo tu ordygótym, id eſt aſperitatem úocas. Si hoc ita ſe
habet, profecto ipfe ad id teipfum aſſuefacis, & ex hac conuentione rectam
tibi nominis ratio nem proponis,poſtộ tibi idem tã diſſimiles of ſimiles literæ
repræſentãt propter ipfum conſuetudinis & conuentionis acceſſum.Sinautem
conſuetudo conuentio minime fit; haudadhuc recte dici poterit ſimilitudinē eſſe
declarationem, imò cõſuetudinem dicere oportebar. Siquidē ex
ſimilitudine&diſſimilitudine conſuetudo declarat, Hisaricco ceffis,ô Cratyle
nempe ſilentiñ tuum pro cõceſſioneponam) neceſſe eſt conſuetudině cca aliquid
conuentionēģconcere,conferreġ ad eorû quæ ſentimus& loquimur expreſſio
nem.Nam ſi uelis,optime uir,ad numerorũ conſiderationem defcendere, quo
pactoſpe ras, adeò propria reperturű te nomina ut ſingulis numeris ſimile nomen
attribuas, ſi no permiſeris cõcefſionem tuam, conuentionemý autoritatê aliquam
circa nominū ratio nem habere: Mihi quidē et illud placet,ur nomina quoad fieri
poteſt, rebus fimilia ſinta Coc Vereor tamen neforte,utdicebatHermogenes,
tenuis quodãmodoſic iſtius ſimilitudi nis uſurpatio, cogamurg & oneroſa
hacre,cõuentioneuidelicet uti, ad recta nominum rationem:quoniã tunc forte pro
uiribus optime diceretur,cum uel omnino,uel maxima ex parte ſimilibus,id eſt
cõuenientibus diceremus,turpiſſime uero cữ contrà. Hocautē poft hæc inſuper
mihi dicas: quã nobis uim habētnomina, quid'ue pulchrâ perhec effi. cinobis
afferimus:'CRAT.Doceremihi quidē nomina uident,ô Socrates,idý fimplicia ter
aſſerendű, quòd quiſquis nomina ſcit, & res itidē ſciat.so. Forte ô
Cratyle,tale quid cuc dam dicis, q cũnoueritaliquisquale ſitnomē,eſt aūt tale
qualis &res exiſtit, rem quoq ipſam agnoſcet, quandoquidē nominis eft res
ſimilis. Arsaūtuna eadem eſt omniüin cor ter ſe ſimiliū.Hac ratione
inductusdixiſſe uideris; quod quiſquis nomina cognoſcit, res ecc quoghi quoq
ipfas agnoſcet.cRAT.Veraloqueris.soc.Age,uideamus quismodus docenda rum rerum
iſte ſit,quem ipſenuncdicis, & utrum alius prætereaſit,hic tamen potior ha
beatur,uel alius præcerhuncnullus. utrum iſtorum pocius arbitraris: CRAT. Hoccerte,
quòd nullusuidelicet alius ſit,fed hic folus & optimus.soc.Vtrum uero &
resipſas ita reperiri cēſes,ut quicung nomina reperit,ea quoq quorum nomina
ſunt,inueniat: An quærendum potiusalium modum quendā,hunco
diſcendű.CRAT.Maximeomniale cundum iſtahuncipfum & quærendű &
inueniendum. soc.Age,ita conſideremus,ô Cratyle: ſiquis dum res
inueſtigat,nominaipſa ſequitur,rimatur; quale unãquodą uule elle,uides maximum
decepcionis pericula ſubit:CRAT. Quo pacto: soc.Quoniam qui principio
nominapoſuit, quales effe resopinatus est, talia quoq nomina,ut diceba
mus,effinxit.Nonne itar CRAT.Ita prorſus. Soc.Siergo illenõrecteſenlit, &
ut ſenlie inſtituit,nõne & nos fequentes eius ueftigia deceptos iri
exiſtimasť CRAT.Haud ita elt imòneceffe ſciencem fuiffe illum quinomina
poſuit.Aliter autem,ut iamdudâdicebam, nomina nequaſ effent.Euidentiſlimoautem
argumento id eſſe tibipoteſt, haudà ueri tate aberrauiffe nominum autorē,quòd
ſimale ſenſiſſet,nequaq libiita omnia conſona. rent.An non aduertiſti &
ipfe, cum diceresomnia in idem tendere 'soc.Nihil ifta obo. neCratyle,ualet
defenſio.Quid enim mirum eft, li primodeceptus nominâ institutor, se quentia
rurſusad primum ui quadã traxit,& ipfi conſonare coegit:Quemadmodücirca
figuras interdűexiguo quodam primo ignoto falſof exiſtente, reliqua deinceps
multa Circa prin, inuicem conſonant. Debetenim quiſo circa rei cuiuſ principium
ſtatuendű differere » cipium ſta, multa,diligentiſſime conliderare,utrum recte
decernat,nec ne. quo quidem fufficiens tuendă diſ ter examinato,cætera iam
principium fequidebent, Miror tamen,fi nomina libímet con i ſereremulta gruunt.
Conſideremus iterum quæ ſupra retulimus. diximus profecto ita nomina effen.
oportet tiam ſignificare qualiomnia currat,ferant & defluant.
Ita'nelignificare cenſes? CRAT. Ita certe. & recte quidē.soc.Videamusitaqs
ex illis aliqua repetentes. Principio nom hocwrshug,id eſt ſcientia ambiguum
eſt,magis a ſignificare uidetur, quod istory,ideft fiftit in rebus animam, ĝ
quod cum rebus pariter circumfertur:rectiusos eſſe uidetur, ut principium
eiusutnuncüdishulu dicamus, per e ipſius eiectionem, & pro 4, 5 potius
adijciamus. Deinde Bébajok, id eſt firmum dicitur, quoniam badoows & scotas,
ideft firmamenti, et status potius quam lationis est imitation. Præterea igoelæ
ad forte ſignifi cat quod isgor t powi, id eft ſiſtit fluxum, & ipſum
nisov,id eſt credendum, isaw, id eſtfira mare omnino ſignificat.Quinetiã
uykusid eſtmemoria,oftendit prorſus quod in anima nõagitatio eft,fedpovni,id
eft quies,ſtabilise permanſio. Atquifiquis nomina ipſaobler ueta écueapariæ
& ovuqoça,id eft error & cótingentia caſus,idem uidebuntinferre,quod
owens & ufiskur, id est intelligentia at scientia, & cætera nomina quæ
præclarisſunt rebus impoſita.ltem cualíc & cronacíc, id eſt inſcitia &
intêperantia,proxima hisui dentur.icuclic quidē importareuidetur,&cket demi
loves aegear, id est simul cum deo eun tis progreſſum. cronæriæ uero omnino
quandam ipfarum rerum arodubiav,id eft perſe. cutionem atq cogreffum.At ita quæ
rerum turpiſſimarű nominaeffe putamus,nomi num illorû quę circa pulcherrimaſunt,
ſimillimauidebuntur.Arbitror & aliamultare periri poffe,fiquis ad hæc
incumbat, ex quibus iterum iudicabit nominữautorêno cur rentes delataso res,imò
ftabiles indicare. CRAT.Verūtamen multa o Socrates ſecundi agitationis
ſignificationē uides illum conſtituiffe.soc. Quid agemusô Cratyle: Nun quid
fuffragiorû calculorum inſtarnomina ipſa dinumerabimus: at ad hancnormă derecta
ratione nominū iudicabimus,ut ea tandem uera ſint,quibus significationes plu
rium nominum fuffragantur: CRAT.Haud decet. soc. Non certe amice. Sed his iam
omiſſis,redeamus illuc unde digreffifumus.
Dixiſtinuper,firecordaris,neceffariñelle, illűquinomina ſtatuit,prænouille ea
quibus nomina tribuebat:perſtasadhuc in ſenten tia,nec'ne'CRAT. Adhuc.so
c.Nunquid & illum quiprimanominapoſuit,nouiſicais dum poneret: CRAT. Nouiſſe.soc.Quibusex
nominibus resueldidicerat,uel invene rat, quando necdâ primanomina fuerāt
inftitutar cum dicta ſit impossibile esse resuelig vuenire, uel diſcere,niſi
qualia nominaſint,didicerimus,uelipfinosinuenerimus. CRAT: Videris mihinonnihil
ô Socrates, dicere. soc.Quo igitur pacto dicemus eos ſcientes, nomina
poſgillexuellegum & nominü conditores ante poſitionem cuiuslibet nominis
extitille extitiffe, eosý res antea cognouiffe,fiquidem nõ aliter quam ex
nominibus diſcires por finer"CRAT. Reor equidem Socratesueriſsimum eum
effe fermonem quo diciturex.co cellentiorem quandam potentiam quam humanam
primarebus nomina præbuiffe, quo neceffarium lit ut recte fuerint diſtributa.
soc. Nunquid putas cótraria libijpfipofuif-cc ſe nominum autorē li dæmõ aliquis
ueldeusextitit: an nihiltibi fupra dixiffe uidemur: CRAT.Forte'nondum alterum
iftorum nomina erant. soc. Vtraigitur erantuir opti me; num quæ ad ftatum
uerguntian quæ ad motum potius Neq enim, utmodo dixi
mus,multitudineiudicabitur. CRAT.Sic decet Socrates.soc.Cum itaque diſſentiant
contendanto de ueritate inuicem nomina, & tam hæcquàm illa uero
propinquiora effe feafferant,cuiusadnormam dijudicabimus.Quò nos uertemus: Nec
enimad alia no mina confugiemus, quia præterhæcnulla. Verum alia quædam præter
nomina quæren da funt,quæ nobis oftendantabſque nominibus,utra iſtorum uera
ſint, rerum uidelicet monſtrantia ueritatem. CRAT.Itamihiuidetur.soc.Si hæc
uera ſunt Cratyle, pof ſunt,utuidetur, res line nominibus percipi. CROT.
Apparet. soc. Per quid potiſsi mum aliud fperas res ipfas percipere:Nónne per
quod conſentaneum ac decenseft: pet mutuam illarum communionem, fcilicet
fiquomodo inuicem cognatæ sunt, & perse ipsas maxime. Quod enim aliud eft
ab illis, aliud quiddam non illas significat. CRAT. Vera
loquiuideris.soc.Dicobſecro nonne iam fæpe conceſsimus,nomina quæ recte pofita
funt,fimilia illorum eſſe quorum ſuntnomina,rerão imagineseffe: CRAT. Con
ceſsimus planè.soc.Si ergo licetrespernominadiſcere, acetiam per ſeipfas, quæ
præ ftantior erit lucidiorý perceptio:Num si ex imagine cogitetur et imago ipſa
utrum re cteexpreſſa fit, & ueritas cuiushæc eftimago: Anpotiusfi ex
ueritate tam ueritas ipſa. quàmipſius imago,nunquid decenter imago ad eam
fueritinſtitucar CRAT. Siexueri tate.soc. Qua ratione res vel per doctrinam vel
per inventione comprehendendęſint; iudicare, maioris quàm meum ac tuūſit, ingenñ
opus esse uidetur. Sufficiat autem nunc internos conftitiffe quod non ex
nominibus,immoex ſe ipſis potiusdifcendæ quæren dæg ſunt.ERAT. Sicapparet ô
Socrates.soc.Animaduertamus & hocpræterea,në mulra hæcnomina in idem
tendentia nosdecipiant, cũ quiilla impofuerunt, currere om nia semper
flueresputauerint,ato ea cõſideratione poluerint:uidenturnempemihiita
exiftimaffe:quorû camēopinio fi talis extitit,falſahabêda eſt.profecto
illiuelut in quan dam delapfi uertiginem, & ipfi uacillant iactanturcs,
& nosin eadem rapientes immer gunt. Cõlidera uir mirifice Cratyle quod ego
sæpenumero fomnio, utrum dicendû est: esse aliquid ipſum pulchrum ac bonum,&
unum quodas exiſtentium ita,nec ne.CRAT. Mihiquidem ô Socrates eſſe uidetur.so
c.Illud igitur ipſum cõſideremus, non ſi uul cus quidam aut aliquid taliú
pulchrum eſt, quippe hæc omnia fluunt:ſed ipſum pulchrữ dicimus,nonneſemper
tale quale eſt perfeuerat: CRAT. Neceſſe eſt.soc. Nunquid possibile eft ipſum
recte denominare si ſemper fubterfugit, acprimo quid illud fic dein de quale
ſit dicereruelneceſſariû eſt,dum loquimur aliudipſum ftatim fieri,iugitero dif
fugere,nec tale amplius eſſe: CRAT. Neceflarium.soc. Quo pacto aliquid illud
erit, quod nunquam eodem modo ſe habet: Sienim quandoq eodem modo fe habet, eo
in tempore minimepermutatur:fin autem ſemper eodémodo ſe habet;idemg exiſtit,
quo modo tranfituelmouetur, cum ideam ſuam non deferat: CRAT. Nullo pacto: so
ca Præterea ànullo cognosceretur. dum enim cognitura uis ipsum aggrederetur,
aliud alie numosfieret.quare quid ſit aut quale cognoſcinõpoffet.nam
cognitionulla ita réper cipit, utnullo modo fe habentem percipiat. CRAT. Eft ut
ais.soc. Sed ne cognitio nem ipfam effe affirmandẫeſt ô Cratyle ſi
deciduntomnia,nihilg permanet.Sienim co gnitio ex eo quod cognitio eſtnon
decidit, permanebit semper, ac ſemper eritcognitio irautem cognitionis
ſpeciesipſa diſcedit,ſimul & in aliam cognitionis fpeciem delabe tur,neæ
cognitio erit.Quod fi perpetuomigrat, ſempernon erit cognitio. Aro hacra.
tionenew quod.cogniturum eſt,nec quod cognoſcen lum,ſemper erit. Sinautem fem
per eſt quod cognoſcit,eft quod cognoſcitur,eft pulchrű,eft & bonum, eſtý
deniq exi. Itențium unűquod & quæ in præſentia dicimus,fluxus lationis
ſimilia non uidentur.Vtrum uero hæcita ſint,an ut dicebantHeraclitiſectatores,
alijg permulti,haud facile di ſcerni poteſt.Nec hominis ſanæmentis eft feipfum
animumg luū nominibuscredere; & autorem nominum sapientem asseverare, atqz
ita de ſeipſo rebus omnibus maleſen 9 ) tire,ut pPomba nihil integrum firmumą
exiftere,ied omnia uelutfictilia fluere atg conci. v dere, &quemadmodum
homines deſtillationibus capitisęgrotantes,fimiliter quoqres w ipsas affici
iudicet, adeo ut deſtillatione et fluxu omnia comprehendantur. Forteộ Cratyle
ita eſt,forteetiã aliter:forti animo &diligenti ſtudio inueftiganda res
eſt.neqením fácile aſſentiendum.Iuuenis adhuces, arque tibi fufficitætas. Et
liquid inveneris inda gando, mihi quog impartiri debes. CRAT. Nauabo operam
Socrates. Ac certe {cito meetiam in præfentia non torpere,immocogitāti mihi et multa
animo reuoluenti mul tomagis ita ut dicebas ipse, quam ut Heraclitus,res ſeſe
habere uidentur.soc.Dein ceps amice poftquam redieris me docero. Nuncautemut
conſtituiſti in agrum perge. Atqui & Hermogenes hicte comitabitur. CRAT. Fietutmones
Socrates.Verum tu quoque iam de his cogita. IL CRATILO
/ DELLA. RETTA INVENZIONE/' DE' NO MI f ,
... (/ /M ERMOGENE CRATILO z SOCRATE a
vuoi tu ancora, che noi communichiamo il parlar nostro con Socrate? c*. —
Se il pare a te. ehm. — O Socrate, Cratilo dice, che ai ritrova in
qualunque degli enti per natura la retta invenzione del nome, nè
aia nome quello, onde convenendo alcuni il chia- mavano, mentre
proferiscono certa particella della sua Toce: ma sia naturalmente certa
retta invenzione di nomi la medesima in tutti e Greci e Barbari. Sicché
io Io addimando se daddovero sia Cratilo il nome di lui, o nò: ma
egli confessa esser questo il suo nome. Or So- crate dissi io, qual nome
tiene egli? di Socrate disse: non hanno tutti quel nome, col quale
chiunque il chiama da noi: nondimeno disse egli uon è il tuo no- me
Ermogene, nè se ancora tutti gli uomini ti chia- massero cosi. E mentre
io lo addimando, e desidero sapere, che cosa dica, non mi dichiara
affatto niente: ma beffandomi, simula di aver nell’ animo alcuna
cosa, 1 \ l I
r Digitized by Google™ )•*«{(
come egli intenda non so che d’intorno a questo, i! che se volesse
esprimer niartifVstnmfcnte, farebbe che io confessassi, e dicessi lo
stesse, che egli si dice. La- onde udirci da te volentieri, se in qualche
maniera tu potessi congetturare il vaticìnio di Cratilo. Anzi
udirei molto volentieri la tua opiuione intorno alla retta in-
venzione de* nomi, se ti fosse in grado, soc. — 0 Ermo- gene, figliuol di
Jponico, è proverbio vecchio, che sia malagevole da conoscer in qual
guisa se ne stiano le cose belle. Or la notizia de’ nomi non è picciola
di- sciplina. In vero se io avessi udito già molto tempo da Prodico
quella ostentazione di cinquanta dramme, nella cui dottrina ancora era
questo, come egli ne rende testimonianza; niuno impedimento sarebbe,
che tu non conoscessi incontinente la verità intorno alla retta
invenzione de’ nomi.' Ma ora io non I’ . ho udita ma si ben quella d’
una. dramma. Per la quale cosa; non sò quello che d’ intorno a queslavi
sia di vero: ma sono prrsio ad investigar, inlteoie. con
essd.tecoj.èfcon Cratilo. In quanto poi dice, else tu non abbia'
versi mente nome ErmOgene, io sospetto, che egli motteg» gì; perchè
egli forse pensa, che tu sia -desideroso del- lo acquisto de’ danari, e
impoleule.seinjpre ad otieuer- li: ma come ho detto poco, f», egli è
difficile, «Ite ciò si conosca. Or fa misticri, da tutte due le porli
spoe- tando iu meszo le ragioni, che si investighi se sia cosi,
come tu di o piuttosto come dice Cratilo. e»m.— E pur o Socrate, tuttoché
spesso io abbia disputato già con / Digitized by
Google tostai, « con altri molti* tuttavia non ancora mi
pos- so persuaderò, che altra ai.» la rotta invenzione del no- me,
phe lo assenso, e il consentimento; perciocché a me pare, clic quel sia
nome retto, il quale impone chiunque a ciascheduno, e se di nuovo il
mutasse, e altro ne ponesse, non meno del primiero quello, che Si
trasportasse sarebbe nome retto, come siamo noi soliti di cambiare i nomi
a servi, non vi essendo per jialura a ninna cosa il nome! ma per legge, e
secon- do la usanza di coloro, che furono soliti cosi chia- marli.
Il che se sia. altrimenti, io sono apparecchiate .ad impararlo, o adirlo
non solamente da Cratilo; ma da qualunque altro, soc.—. O Ermogene
peravvepto- ra tu dì alcuna cosa: ma consideriamola. Quello che
porrà alcuno, con cui chiama qualunque cosa, sarà egli, il nome di
ciascuna cosa? ehm. — A me pare, soc. — O se il privato, o la città
il dicesse? uh. — Lo assentisco. soc. — Ma che, se io chiamassi
qua- lunque degli enti, come per esempio, se quello, che al
presente chiamiamo uomo, chiamassi cavallo, e uo- mo quel, che cavallo:
pubicamente sarà egli il nome all' uomo, privatamente cavallo; e di nuovo
privata- mente uomo, cavai lo puiilicnmenle Parli così tu? erm. —
Tosi mi pare. soc. — Or mi dì questo. Chiami tu alcuna cosa il dir il
vero, e il Tabu? erm.— In vero sì. soc. — Non lia quella vera orazione:
ma quest* orazione falsa? erm. — Così affatto, soc.— Quei par- lar
poi, che die* le cose, che sono quali son esse ai »
ìli h rero: ma falso quello, che non come sono? n», —
Cosi è. soc. — Adiviene egli questo, che col par- lare si dicano le cose,
che sono, e che non so- no? ehm. — Si. soc. — Il parlar che è vero mi
di, se è vero tutto, non vere le parti? ehm.— Nò: ma le parti
ancora, soc. -- Dimmi, le parti grandi saranno vere: ma le picciole nò,
oppur tutte? exm. — Io mi stimo tutte, soc* Puoi tu dire altra parte piu
pic- ciola del sermone, che il nome? erm In modo nin- no,
essendo questa la minima parte, soc.— .Ed an- cora si dice egli
peravventura il nome parte della ve- ra orazione? erm. - Senza dubbio,
soc.— Veramente parte vera, come è, tu di. erm.— Veramente, soc.—
E la parte del falso, non è ella falsa? erm. — Lo di- co si. soc- —
Dunque è lecito dir nome vero, e no- me falso, se si dice ancora la
orazione. erm. — In che modo nò? soc. — Dunque quel nome, che
chiun- que dirà, che in alcun si ritrovi, sarà egli il nome di
ciascheduno? erm — Si. soc.— Peravventura quanti nomi dice alcun, che
abbia chiunque, tanti saranno essi? e allora, quando egli li dice? erm,
—Per certo, o Sncrate: io non ho alcuna retta invenzione di
no- / t me, fuor che questa, in modo, che non sia
lecito a « me con altro nome chiamar la cosa, che con quello, che
io ho imposto, nè a te con altro, che con quello, elle le imponesti. Cosi
per certo io veggo nella città, * che si hanno alcuni propri nomi delle
medesime co- se, e fra Greci in verso ad altri Greci, « in verso a
i \ • Qigitized by Google ) 5
< Barbari, «oc. — Or rediamo o Ermogene, se pare a te, che
gli enti se ne stiano in questo modo; che ognun di loro tenga la propria
essenza, come diceva Prota- gora, dicendo egli esser 1’ uomo misura di
tutte le co- se in modo, che quali qualunque cose mi paiono, tali
io le abbia; similmente quali tu, e tali le ti abbi; o pensi piuttosto
che siano alcune cose, le quali tenga- no alcuna fermezza della sua
essenza, eem. — Alcuna volta, o Socrate, dubitando sono condotto a
quello, che dice Protagora: per tanto non mi persuado a ba- stanza,
che se ne stia egli cosi. soc. — Ma che? set tu ancora alcuna volta
condotto a questo, che non li paia in modo niuno, che alcun nomo sia
cattivo? erm. — Per Giove nò; anzi spesse volte cosi sono disposto,
che io stimo, che alcuni uomini siano al tutto catti- vi, e molti, soc.
—Ma che? non ti è parso ancora, che siano molti uomini buoni? erm. —
Molto pochi, soc. — Nondimeno pare a te vero? erm. — A me si. soc.
— In che modo poni tu questo? forse cosi, che i molto buoni siano molto
prudenti, e i rei al lutto molto imprudenti? ebm. — In vero a me pare
cosi, soc. — Se Protagora diceva il vero, e se ò questa la ventò,
che quali qualunque cose pareranno a ciasche- duno, tali siano; è egli
possibile, che altri di noi sia- no prudenti, altri imprudenti? ebm. —Per
certo nò. soc. — E come io penso ti pare ad ogni modo che Protagora
non possa al tutto parlar il vero, essendovi «erta prudenza, e imprudenza,
perciocché non sareb- Digitized by Google be
veramente l’uno dell’ altro piò prudente, se le cose, che paiono a
chiunque, le tenesse ciascheduno per vere. IBM -Cosi è. Ma nè ed Eutidemo
' assenti- sci, come io penso, che dice, che tutti abbiamo tutte le
cose similmente, e sempre, perchè cosi' non smeldio. no altri buoni,
nitri cattivi, se sempre, e pariménte si ritrovasse in tulli e la virtù,
e la malvagità! ehm; —Tu palli il vero, soc.— Dunque se nè tutte le
rose si ritrovano sempre in tutti, e simiglmutcìiiente; uè
qualunque cosa è propria di ciascheduno, manifesto è, rise siano le cose
quelle, che tengono in su stesse certa essenza ferma, uè sono in quanto a
noi tirate in diverse parli, nò da noi con la imaginazione e in
suso, o in giuso: ma stabili secondo se stesse in quan- to alla loro
essenza, come sono 'ordin. ite dalla natu- ra. uu. — Cosi ini è avviso,
elio se ue stia questo. *oc Dunque mi di, se le còse se ne stanno
si per u«-. torà, ma non nella stessa guisa lu loro azioni o
eziandio esse azioni sono una certa specie degli enti? esm. Ani
cora esse ad ogni modo. soc.— Dunque le azioni sa tonno secondo la
natura loro, non secondo la nostra opinione, come per esempio, se noi si
mettessimo a divider alcuno degli enti, forse sarebbe qualunque co-
sa d» dividersi ila noi come vorremmo, e coti che ci a„ gradissi.? o più
tosto, se volessimo partire quafuo/pio cosa secondo la natura, con cui fa
mislieri che S‘ I 1 al f lisca, e sia partita; parimente con cui secondo
l« tura ti dee fare il partiraento; invero la dividerei»»**
• * Digitized by Google ) 7
< *io« bene, e si farebbe «la noi alcun profitto, e questo
si operetébbe bene; ma se cóntro la natura travieremmo nè si
farebbe niente «la noi? erm Così mi pare. soc. — E se ci mettessimo
ancora àd ffhbrugiiir alcuna cosa: non fa nilstieri, chieda sì ‘ablmigi
secóndo Ogni opi- nione: ma sibbene secondo la reità opinione/ Qué-
sta è poi quella, onde qualunque cosa naturdlòientc è atta ad
abbrugiarsi,' é di abbruciare, e con cui nai turalmente ne era atta, erm
— Queste cose son vere, soc. — Non si ritrova la stessa maniera d’intorno
al- le altre cosi? ehm La medesima sì. soc— Anco- ra il dire
non è egli forse una certa delle azioni, ehm. -r Certo si. soc. — Or dirà
bene chi così dice, co- irne li par di dire . 5 o piuttosto dii in colai
guisa di- ce, come ricerca la natura del dire, e che si dica? e- se
eziandio dicesse con cui ricerca la natura, in dicendo farebbe alcun
profitto, altrimenti 1 . travierebbe egli, nè farebbe nulla? ehm. —In
vero io stimo co- sì, cometa di. soc.- Dunque il nominar "è
particella di dire; perciocché nominando si fanno i‘ ragionamenti;
erm Ad ogni modo. soc. — Dunque e il nomina- re è 'certa azione, se
ancora il dire era certa azione; d' intorno alle cose? erm.-Così è. soc.—
Or le azio- ni ci par vero di non risguardar a noi: ma di tene.- ré
certa propria lor natura. ehm. - Così è. soc — Sicché è da nominarsi in
quella guisa, onde la natu- ra delle cose ricerca di nominate, e che si
nomini, • con cui, ma uon secondo lo arbitrio deWolcr no-
’ ì ) « ( atro, se ti ba a dire alcuna cosa
concorde alle cosa dette. Ed in colai guisa facessimo noi alcun
guada» gno, e nominaressimo: ma altrimenti nò? krm.— Co- sì mi
pare. soc. — Or dimmi ciò, cbe era da ta- gliarti, diciamo noi cbe era da
tagliarsi con alcuna cosa? erm.— Con alcuna si. soc. —E ciò, cbe si
doveva tesser da tessersi con alcuna cosa? e ciò, che era da forarsi, con
alcuna cosa si dovea egli forare? erm. — Al tutto. soc.—Sim il niente
ciò, che nominar si dovea, era da nominarsi con alcuna cosa? ibi*.—
Si- soc. —Ma che era quello, con cui f«cea mistieri, che alcuna cosa si
forasse? erm. — La trivella? soc. — Che è quello, con cui fa mistieri,
che si tessa? erm. — La navicella, soc. — E che con cui si nomi-
ni? erm. —Il nome, soc.— Tu parli bene. Dunque e il nome è certo
stromento. ss**. — E’ si. soc. — Dunque se io cercassi quale stromento è
la navicella • o non sarebbe d' esso quello, con cui si tesse? erm.
Così è. soc. — Or tessendo, che facciam noi? o non separiamo la trama, e
gli stami confasi? ehm.— Que- sto stesso, soc. — Or potrai tu dir così
della trivel- la, e delle altre cose? erm. —Lo stesso, soc. —Puoi •
tu ancora dir similmente d* intorno al nome ciò, che facciamo
mentre col nome, che è stromento, nominia- mo alcuna cosa? erm.— Nò il
posso nò. soc.— For se di compagnia insegniamo noi mente, c
dividiamo le cose, come sono? erm.— Per certo, soc. — Sicchò il
nome è certo stromento di insegnare, • divide» 1* (
ì, Digitized by Google )9<t
sostanza, come !a navicella della testura erm. — 1 lassi a dire in
colai guisa, soc — La navicella è ella stru- mento acconcio al tesserei 1
ehm, — • In che modo nò. soc. — Per la qual cosa il tessitore si vaierà
bene della navicella, dice bene, secondo la maniera del tessere: ma
chi insegna, egli si vaierà del nome, e bene, dico bene secondo la
maniera propria dello insegnare, ehm.— Per certo, soc.— Dell’ opra di
quale artefice si vaierà bene il tessitore, quando si vaierà della
navicella? erm.— Di quella del legnaiuolo, soc. — E egli chiunque
legnaiuolo, o piuttosto chi tiene P arte? erm. —Chi tiene l’arte, soc. —
Similmente del- l’ opera di cui il foratore si vaierebbe bene,
quando si valesse della trivella? erm.— Del maestro del me- tallo.
soc. — E forse chiunque maestro di metallo? o chi tiene l’arte? erm. —
Chi tiene l’arte, soc. — ' Stiano le cose cosi. Dell’opera di cui il
dottor si vaie- rebbe, qualora si servisse del nome? erm.— Nè ciò
pos- so dire io. soc. —Ancora non puoi tu dir questo. Chi ci dà i
nomi, dei quali ci serviamo? erm. — Per certo nò, i soc. - Non pare a tè
peravventura, che la legge sia quella, che ci dà i nomi? erm. —
Appari- sce. soc.— Dunque il ■> dottore si vaierà dell’ opra del
legislatore, quando del nome si vaierà, erm. - Io penso si. soc.— Pare a
te, che ognuno egualmente sia facilor di leggi, o chi è dotato di arte,
erm.— Il dotalo delP arte. soc. — Si che o Erinngene non è.
ufficio di qualunque uomo lo imporre i nomi; ma 1 Cr.
Digitized by Google ) *° ( di certo autor di
nomi e costui è come apparisce ii legislatore, il quale fra gli artefici
si fa raro appresso agli uomini, ehm. » Apparisce, soc.— Deh
conside- ra, ove riguardando il legislatore impone i nomi, e *
considera dalle cose antedette ove riguardando il le- gnaiuolo fa la
navicella? non ad una cosa tale, che da natura sia al tesser acconcia?
ehm. — Al tutto, soc.— Ma che? se nell’ opera si rompesse la
navicella, mi di se fabbricherà egli un’ altra di nuovo alla somi-
glianza della rotta, o piuttosto alla specie risguarde* rà, secondo il
cui esempio avrà fatto la navicella,' che si ruppe? erm. — Alla
specie, come io stimo, soc. — Dunque chiameressimo noi meritamente la
spe- cie la navicella? erm. — Io penso si. soc. — Se fa mestieri
alcuna volta, che si apparecchi la navicella per fornir la veste, o
qualunque altra cosa di filo, e di lana sottile, o grossa, bisogno è, che
tutte le navicelle tengano la specie della navicella; e quale
naturalmente è a ciascheduna cosa accommodatissima, tale si usi al fornir
l’opera, come il ricerca la na- tura, erm. — Iti vero fa mislieri. soc. —
La medesi- ma ragione è d’ intorno agli altri stromenti concios-
siachè è da ritrovarsi quale stromento si confaccia per natura a
qualunque cosa, ed è da darsi a lei, con clii si fa ella, uon quale vuole
chi fabbricai ma quale è ella per natura. Perchè fa mistieri, come
ap- pare, che si sappia accommodar a qualunque cosa ciò, die
naturalmente acconcia al ferro, erm. — Cosi si. Digitized by
Google « > »• ( soc. — ‘Più-
oltre nel legno la navicella confacevole a ciascheduna. e*m. — Egli è
vero. soe. — Percioc- ché. secondo la ragione della natura altra
navicella si confà ad altra tela, e nell’ altre nella medesima
guisa, ehm* — Veramente, soc. —Fa mistieri ancora -ottimo uomo, che il
posìlor dei nomi proferisca un nome per natura acconcio nelle voci, e
nelle silla- be a tutte le cose, e riguardando a quello stesso di
cui è nome, formi qualunque nome, e gli attribui- sca, se daddovero dee
esser positor proprio di nomi. Che se non con le medesime sillabe
qualunque po- citor di nomi esprime il nome, fa mistieri, che noi
sappiamo, che nè tutti i fabri ciò fanno nel ferro per la stessa ragione;
qualora fabricauo il medesimo stro- xnento: ma nondimeno in quanto gli
attribuiscono la stessa idea, in tanto se ne sta egli bene, tutto
che in altro e iu altro ferro; o qui si fabrichi egli, o fra
barbari non è egli cosi? ehm. -a. Si. soc. — Dunque islimerai tu ancora
nel medesimo modo finché il po- sitor dei nomi, ebe è fra noi, e fra
barbari concede una specie di nome convenevole a qualunque cosa in
qualunque sillaba, che 1’ uno dell’ altro non sia punto peggiore nell’
imporrei nomi. ehm.— In vero si. sqc. — Chi è per conoscer se sia
impresso in qua- lunque legno una specie convenevole di navicella?
fpr&e il, legnaiuolo, che la fai o il tessitore, che se ne dee
servire? ehm. — O Socrate, gli è verisimile, die la conosca molto piu,
chi se ne dee valere, soc. — Dunque chi si servili
dell’opera del Tacitar dell* lira? non colui Torse, che benissimo saprà
esser so* prastante alla cosa Tatta, e conoscerà Tatta che sia, se sia
Tatta bene o no? ehm. — Al tutto, soc. — Chif hm. «■ Il citarista, soc. —
Chi poi dell'Opera di co- loro, che Tanno le navi? erm.— Il governatore,
soc. — Chi eziandio benissimo sarà soprastante all’opra del
Tacitar delle leggi, e Tornita la giudicherà e qui, e Tra barbari? non chi
se ne dee servire? ehm.— Cosi è, soc, *- O non è egli d* esso chi sa
interro* gare? ehm. — Costui si. soc, — Il medesimo che sa- prà
risponder ancora? ehm. — Si certo, soc. — Or chiami tu altro che
dialettico chi sa interrogar, e rispondere? ehm. Non altro; ma lui. soc.
—Siche è Tattura di lignaiuolo il Tabbricar il timone esscn* do
soprastante il governatore, se è egli per dover esser buono, ehm,—
Apparisce, soc.— Ancora come è avviso, è opra di positor di nomi il nome,
cui è soprastante 1’ uomo dialettico, se sono per doversi por bene
i nomi. ERM.-*Que$te cose son vere. soc. — Dunque, a Erraogene,
corre rischio, che non Ha cosa lieve, come tu stimi, il por dei nomi, nè
Tat- tura d’ uomini bassi, e vulgari. Per certo Cratilo par- la il
vero, dicendo, che i nomi per natura siano nel- le cose; nè sia chiunque
autore di nomi: ma colui solamente che risguarda al nome, che è in
ognuno per natura, e sia possente di por la specie di lui nelle
lettere, e nelle sillabe, ehm. — O Socrate, io I
I Digrtized by Googlp >« 3 (
non so in che modo sia da opporsi alle cose che tu di: ma
peravventura non è cosa agevole il per* «cadérsi cosi allo improviso: ma
mi è avviso, che io ti sarei piuttosto per ubidire in questo modo, se
di- mostrassi quale da te si dica, esser la retta natura del nome.
soc. —In vero, o beato Ermogene, non di- co alcuna: ma tu ti sei scordato
di ciò, che io di- ceva poco inuanzi, cioè, che io non la
conosceva! ma, che io la considererei insieme con esso teca. Al
presente poi questo solamente si è fatto chiaro oltre alle antedette a
me, e a te di compagnia in- vestigando, che Certa retta invenzione per
natura tenga nome, nè chiunque sappia adattar bene esso nome a
qualunque cosa, non è egli così? rum. — ■ Grandemente, soc— Dunque
rimane da Considerarsi se tu desideri di conoscer quale sia la retta
inven- zione del nome, ehm. — In vero la desidero sapere, soc. r-
Dunque cobsidcra. erM.— In che modo adun- que fa inistierì, che si
consideri? soc.^O umico rot- tissima. è la considerasione; ricercandosi
questo da coloro, che sanno con 1' offerir danari, e col il ren-
der loro grazie’ oppresso. Or d’essi sono i sofisti, coi quali Calia tuo
fratello pare, che sia riuscito sag- gio, pagati molti danari, ma poiché
non hai, che fare nella robba patema, rimane, che tu supplichevole
preghi il fratello, che ti insegni la retta invenzione di questétàll
cose, che Protagora egli imparò, erm. — O Socrate, quanta sconvenevole
sarebbe questa Digitized by Google ) *4 t
dimanda, se non prestando aiuto alla verità di Pro* tagora amassi
le cose, che si dicono con tal verità, quasi degne di alcuna
considerazione, toc. — Ma se a te non piacciono elle, si dee imparar da
Omero, e dagli altri poeti. erm. — O Socrate, e che è in che luogo
ne dice Omero dei nomi? soc. — Per tut- to molte cose: ma grandissime e
bellissime son quel- le, onde distingue d’intorno a quei nomi, che
in- troducono gli uomini, e i Dei, o non istimi tu, che egli d’
intorno a questi dica alcuna cosa magnifica, e maravigliosa della retta
maniera dei nomi? essen- do manifesto, che i Dei chiamano rettamente
quei, che son nomi naturalmente, o no il pensi tu? ikm. — In vero
io so certo, se i Dei ne dicono alcuni, che essi lr~cbiamano bene; ma
quali di tu questi? soc. — O non sai tu ciò, che si dice del fiume
tro- iano, che con vulcano combatte a singoiar battaglia, il quale
i Dei chiamano santo, gli uomini Scaman- dro. ehm. — Il so. soc. — Che
dunque? non istimi tu certa cosa grave il conoscer in che modo sia
meglio, che si chiami quei fiume santo piuttosto, che Scarnan- do?
ma se vuoi considera questo, che il medesimo dice dell’ uccello, che i
Dei chiamano Calcidei ma gli uomini Cimindi. Tu stimi vii disciplina il
sapere quanto sia meglio, che si chiami il medesimo uccello
Calcide, che Cimindi, o Bracia, e Mirine, e molti al- tri tali, detti da
questo poeta, e da altrui? ma le. invenzioni di queste cose peravvenlura
superano le Digitized by Google ) «5 (
forze nostre. Cii cbe poi signifìchioo Scamandrio, e Astiane si può
comprender, come mi pare da inge- gno amano, e apprendersi agevolmente
qual retta in- venzione vuole Omero, che sia in questi nomi, co*
quali chiama il figliuolo di Ettore: perciocché tu cer- tamente sai, ove
si ritrovano questi versi, che io di- v co. a**. — Ad ogni modo,
soc, — Dimmi, pensi tu, che di questi nomi stimi Omero che
peravventura pili convenisse Astianate al fanciullo, che
Scamandrio? vrm. — Io no il posso dire. soc. — Or in colai mo- do
considera, se alcuno ti addimantlasse, se tu pen- sassi che i piò saggi
ponessero i nomi meglio alle cose, o i manco saggi, erm. —Chiaro è, che
io ri- sponderei i piò prudenti, soc.— Dimmi, se le don- ne nelle
città pare a te, che siano piò prudenti, o gli uomini? per dir tutto il
genere? erm.— Gli uo- mini. soc. — Dunque tu sai, che dice Omero, che
il figliuolo di Ettore era chiamato da’ Troiani Astiaua. te, dalle
donne Scamandro, poiché gli uomini lo chia- mavano Astianate. erm.— Apparisce,
soc.- Dunque eziandio stimava Omero, che gli uomini Troiani fos-
sero piò saggi, che le lor donne, erm. — Io lo sti- mo. soc. - Dunque
stimò, che egli si chiamasse, me- glio Astianate, che Scamaudrio. ehm. -
Apparisce, soc Consideriamo qual cagione egli apporti di que-
sta denominazione, perchè dice egli, che solo difese loro la città,
e le ampie muraglie. Per la qual co- sa, (come pare) conviene# che si
chiami il figliuolo Digitized by Google 1 » 6 (
del Salvatore, cioè di colai, che il padre di lai sai* va va, come
disse Omero, erm. ■— A me pars soc. — Per qual cagione? perciocché o
Ermogene, nè io lo intendo ancora bene: ma lo intendi tu? erm. —
Per Giove nò. soc.— O uomo da bene ancora Ome- ro pose ad Ettore il nome.
erm. — Perchè? soc. — • Perchè mi è avviso, che questo nome si assomigli
ad Astianate; e essi nomi si assomiglino a Greci: dimo- strando
quasi il medesimo, cioè che ambidue que- sti nomi siano regali;
perciocché di cui sarà al- cuno re, dello stesso sia ancora possessore;
essen- do manifesto, che egli lo signoreggi, e possegga, e abbia. O
peravventura non pare a te, che io dica niente? e m' inganna la opinione,
onde mi confida- va, come per certi vestigi, di toccare la opinione
di Omero d’ intorno la retta invenzione dei nomi? erm. -* In modo niuno,
come io penso: perchè^forse tu tocchi alcuna cosa. soc. — Egli conviene,
come a me pare, che si chiami similmente leone il figliuol del
leone, il figliuol del cavallo cavallo; non dico, se alcun’ altra cosa
fuor che il cavallo (come mostro) nasoesse dal cavallo: ma quel mi dico,
del cui genere secondo la natura è ciò, che nasce, se il cavallo
na- turale partorisse il figliuolo del bue vitello contro natura,
non sarebbe da chiamarsi poliedro: ma vitello, nè eziaodio se dall'uomo
altra prole si producesse, che umana, ciò che nascesse si dovrebbe
chiamar no* aio. 11 medesimo è da giudicarsi degli alberi, e delle
1 Digitized by Google ,) x 7<
altre cole tutte, o non pare ancora a te? erm. — A me par si. soc.
— Tu dì bene-, perciocché guardati, che io non ti inganni in alcun modo;
conciosia, che secondo la stessa , ragione eziandio se alcuna cosa
na- scesse da re, sarebbe da chiamarsi re, non importan- do che si significhi
lo stesso in queste, e in quelle sillabe, o se vi si aggiugni alcuna
lettera, o se an- che la vi si levi; mentre la essenza della cosa
dichia- rata nel nome signoreggi./, erm — Come dì tu cote- sto?
soc. — Io non dico oiuna cosa meravigliosa, o nuova: ma siccome tu sai,
che diciamo i nomi degli elementi: ma non essi elementi, eccettuatine
sola- mente quattro, cioè b N E fi ma «1 rimanente, co- sì vocali,
come mutoli, tu sai che aggiugnendovi al- tre lettere, li proferiamo
formando i nomi: ma iinchè inferiamo la forza dichiarata dell’ elemento
conviene, che quel nome si chiami ciò, che egli si dichiara, nor-
me per esempio il B, vedi i che il T aggiunte non impedì che con lo
intero nome non si dimostrasse la natura di quello elemento, di cui volle
il positor del nome, siffattamente non li è prestato fede di aver
po- sto bene i nomi alle lettere, erm.— Tu mi pari di parlar il
vero, soc.— Dunque fla la stessa ragion ancora d’intorno al re.
Perciocché sarò alcuna volta il re dal re, il buono dal buono, dal bello
il bello, e le altre cose tutte similmente da qualunque genere certa
altra pro- genie, e sarebbono da dirsi gli stessi nomi, se non ci
facesse mostro. Egli è lecito, che in modo si va- I
) 1 ® ( riino per sillabe, che sia avviso all’ nomo rosse,
che le cose, che sono le stesse siano diverse tra loro, co- sì come
le medicine dei medici variate con colori, •ed odori spesse volte essendo
le medesime, pare a noi, che siano diverse: ma dal medico considerata
la virtii loro, sono giudicate le stesse; nè il perturbano le cose
aggiunte. Similmente peravventura chi è eru- dito d’intorno a nomi
considera la virtii loro nè si perturba il giudició di lui, se vi è
aggiunta alcuna lettera o trasmutata o levata, o se in altre, e
motte lettere si ritrova la stessa virtii del nome. Come quei nomi,
i quali di sopra abbiamo detto Astianate, e Ettore hanno le lettere ad
ogni modo diverse, fuorché il sol T, non pertanto significano il
medesimo... Mei medesimo modo ciò che si dice prencipe di città, qual
communicanza di lettere tiene egli con li due antedetti? nulladimeno
significa il medesimo, e molti altri vi sono, i quali nient’ altro
significano, che il re. Oltre ciò molti sono, che significano il
capitano dell’esercito, come altri ancora, che dichiarano il
professor dell^medecina. E si possono ritrovar mol- ti altri discordanti
nelle sillabe, e nellj lettere: ma accordatisi al tutto nella virtù, del
significare, par egli che così sia, o pur nò? zrm.— Così certo, soc.
— Or a queste cose, che si fauno secondo la natura sono da darsi gli
stessi nomi, ehm. — Adognimodo, soc. — Ma qualora alcuni uomini si fanno
contro la natura in certa specie mostri, come quando sì
Digitized by Google ' ) *9 < genera l’empio dall’
uomo buono, k pio; ohi è gene* rato non dee sortire il nome del genitore-
ma di quel genere, nel quale ei si ritrova, come diami di cent-
rilo; se il cavallo generasse la prole del bue, non sa» rebbe da
chiamarsi il figliuolo di lui cavallo: ma bue* mm.— C osi è. soc. -Dunque
all’uomo empio generato dal pio, bassi a dare il nome del genere. ehm.—
Queste cose sono vere, soc.— Dunque non conviene, che si chiami un
figbuol tale, amico di Dio nè ricordevole di Dio, nè alcuna cosa
siffatta: ina con ' nomi il contrario signi- ficanti se pur i nomi deono
conseguire la retta in- venzione. sbm. — Cosi al tutto o Socrate è da
farsi* soc.— Come ancora Oreste, o Ermogene, corre rischio» che sia
ben messo, o se alcuna sorte H pose il no- me, o alcun poeta; con quel
nome significando la dì lui natura ferina, selvaggia, e montana, erm. —
Cosi apparisce, o Socrate, soc. — Àncora è avviso, che il parere di
lui tenga il nome secondo la natura, erm. — Apparisce, soc.— la vero tale
appar egli, che sin Agamennone, quale pare che si affatica, e
sopporta» imponendo fine alle cose, le quali parvero da termi-
narsi per la virtù. Argomento poi della sua toleranza ne diede il durar
sotto Troia con tanto esercito. Dun- que che questo uomo sia stato buono
nella perseve- ranza, il nome di Agamennone lo significa. 1$ perav-
ventura eziandio Atreo se ne sta bene, conciosia, che la uccisione di
Crisipo, e la crudeltà intoruo a Tie- sse sono tutte le cose daouosc, e
perniciose in verso' ) 00 { alla virtù, onde la
denominazione del nome declina un tantino, ed è gelata in modo, che non
dichiari .^chiunque la natura di questo nomo: ma cui som» periti di
nomi si mauifesta bastevolmente la signi- ficazione di Atreo; perchè esso
nome è posto bene in- ogni luogo secondo 1* intrepido. Ancora pare
che il nome di Felope non sia dato a lui fuor di propo- sito,
significando questo nome, che sia degno di que- sta denominazione chi
vede le cose dappresso, zbm.— • In che modo? soc. — Come si dice nella
morte di Mirtillo contra di lui, che egli non abbia possuto pro-
veder niente, nè da lunge vedere di quanta calamità fosse ripieno il
genere tutto, riguardando alle cose, che gli erano innanzi a piedi, e
solamente alle pre- senti. Ciò poi è il veder dappresso, il che ei
fece avendosi aiTaticato con ogni sforzo di accompagnarsi in
matrimonio con Ipodamia. Appresso penserebbe ognuno, che il nome Tantalo
li sia stato posto bene, e secondo la natura, se sono vere le cose, che
si rac- contano di lui. erm. — Quali sono coteste? soc. — Che a lui
ancora vivente moltissime cose avverse, e gravi avvennero, il fio delle
quali si era, che tutta la patria di lui si vogliesse sossopra. Più
oltre, lui mor- to gli sta sopra la testa un sasso, per certo,
durissima sorte. Tutte queste cose adognimodo si confauno col nome,
non altrimenti, che se alcun l’avesse volato nominar pazientissimo: ma
avendo parlato alquanto oscuramente, abbia posto Tantalo per Talantato-
In Digitized by GoogLe ) c vero
pare, che un tal nome la fortuna di lui avversa lì abbia dato col rumor
della gente. Anzi che bene si applicò ancora il nome a Giove padre;
nondime» no egli non è agevole da conoscersi» essendo «1 no» 1 me
di Giove qual certa orazione, il quale in due par- ti partendo, in parte
si vagliamo d’nna, in parte del» l’altra parte, chiamandola. alcuni
altri, le quali per» ti in uno poste, dimostrano la natura di Pio, il
che dee poter fare il nome massimamente; non avendo noi, nè tutti
gli altri niuna maggior cagione di viver, che il prencipe, e re di tutti-
Dunque avviene, che si nomini bene in cotal guisa, essendo ‘Dio, per cui
ca» gioite il viver si ritrovi sempre in tutti i viventi. Es- sendo
poi uno il nome, è in dtfe parti partito, come io dico. Questo poi
essendo fìgliuol di Saturno clù all’ improviso l'udisse penserebbe cosa
insolente. M* è ragionevole, ehesia prole Giove di certa grande in»
telligenza; perchè quello, che si dice non significa fanciullo; ma
purità, e incorruttibilità deliamente di lui. Egli è poi, come si dice,
figliuolo del cielo; con- ciossiachè lo aspetto alle cose di sopra
meritamente sidee chiamare con questo nome, come all' alto ris-
guardi onde, o Ermogene, affermano coloro, che trat- tano delle cose
sublimi, cheavvegna una pura mente, e a lui si ponga bene il nome del
cielo. Or se io tenessi a memoria la geneologia scritta da Esiodo: e mi
ricor- dassi quali egli introducesse i progenitori loro, in niuu
modo non cesserei di dimostrarti, che fossero ) » (
«scritti loro i nomi bene, finché facessi la provi» di questa
sapienza, se ella faccia alcun profitto, e alcu- na cosa fornisca e se si
dubiti, o nò, la quale io non se certo, onde poco fa mi sia venuta cosi
allo ìmproviso. za»*— In vero, o Socrate, pare a me, che t« alia
similitudine di coloro, che sono da divinità rapiti, mandi fuori oracoli.
soc.— O Ermogene, io stimo, che. questa sapienza si cagionasse in me da
Eu- tifrone figliuolo di Panzio; poiché assiduo gli era in- stami
dal matutino, e li porgeva gli orecchi. Sicché é manifesto, che egli
pieno di Dio, non solamente abbia ripieni di sapienza beota gli orecchi
miei? ma occupato t'animo ancora: io stimo veramente, che si abbia
a fare in cotal guisa. Che si vagliamo -oggi di lei, e si investighi da
noi il rimanente, che pertiene a nomi: diman poi, se in ciò converremo,
la man- deremo fuori, e la mondaremo con diligenza, ricer- cando
alcun o sacerdote, ovver sofista, che sia buono a purgar queste cose,
bum.— O Socrate, io approvo questo si, perchè molto volentieri udirei
ciò, che ri- mana d'iutorno a nomi. soc.— Al tutto si dee fare
cosi. Dunque ove giudichi tu principalmente, clic si abbia ad
incominciare; poiché abbiamo prescritta Certa legge per conoscere, se
eziandio gli stessi nomi ci attestino, che non siano stati fatti a «uso:
ma con- tengano alcuna invenzione? i nomi dunque degli croi* C
degli uomini peravventura ci inganaereb- bono, essendo molti di questi
posti secondo le do Digitized by Google I
nominazioni de’ maggiori, e spesse volte non conven- gono in modo
niuno, come abbiamo detto nel prin- cipio. Molti nomi poi pongono gli
uomini quasi pel* voto, come e altri molti Per la qual cosa io
stimo, che siffatti siano da tralasciarsi: ma è cosa verisimì- le
si, che noi ritroviamo i nomi posti bene, e natu- rali intorno «Ile cose,
che son sempre, convenendosi mollo, che qui si abbia a cercare
diligentemente la maniera del por i nomi: ma peravventura alcuni dì
loro sono stati posti ancora da certa potenza più di- vina, che umana.
ehm.— 0 S ocrate, tn mi pari dì parlar eccellentemente. soc.« Non è egli
cosa con- venevole lo iucominciar da Dei, considerando in qual
guisa sono stali chiamati i Dei bene con questo stes- so nome? erm.-E
verisimile. soc.-In vero cosi io so- spetto; mi par certo, che i primi
de’ Greci abbiano pensato quei soli Dei, i quali eziandio sono
stimati in questi tempi da molti ,!«' barbari il sole, la luna, la
terra, le stelle, il cielo. Dunque quasi, che essi ve- dessero tutte
queste cose essere in un perpetuo corso, da questa natura è avviso, che
ic si abbiano nominate,* poscia osservandone altri; le abbiano chiamate
tutto con lo stesso nome. Ciò, che io mi dico tiene egli al- ®uua
verisomigliauza, oppur nò? ««.-Appar molto, soc — che si ha poscia ad
investigare? ehm E ma- nifesto, che si dee cercare de’ demoni, e
degli eroi,» degli uomini. $oc.- De’ demoni? o Ermogene, conside-
ra veramente se ti è avviso, che io ti dica alcuna co-' Digitized
by Google ( sa intorno a ciò. che si vuole inferire il
nome de* demoni, ehm.— DI pure. soc. — Sai tu dunque quali si dica
Esiodo, che siano i demoni? * km— Non inten- do. soc.— Nè eziandio, che
egli dica essere stato de- gli uomini primieramente il genere dell' oro?
erm. — Solio sì. soc.— Or dice d’intorno a lui, poiché la
sorte coprì questo genere, che altri si chiamano de- moni puri,
terrestri, ottimi fuggatori di mali, e guar- diani di uomini mortali,
erm.— Che poi? soc. — Per certo io stimo, che egli chiami genere d’ oro,
non fatto d’ oro: ma buono ed eccellente, e di ciò ne fo la
congettura, dicendo egli, che il genere nostro sia del ferro, ehm.— Tu
narri il vero, soc.— O non pensi tu, se al presente alcun de’ nostri
fosse buono, «he egli si stimerebbe da Esiodo del genere dell'oro?
erm. — E cosa verisimile, soc- — Or sono alcun' altra cosa i
buoni, che prudenti? erm— Prudenti. soc Sì che come io penso
chiama quelli demoni principalmen- te; perchè erano prudenti ed
intelligenti, e pervenne questo nome dalla nostra lingua antica.
Perlaqualco- sa ed egli, e qualunque altri poeti molti parlano be-
ne, che dicono, che poiché alcun buono si parte di vita, prende in sorte
grandissima dignità e premio, e si fa demone secondo la denominazione
della pru- denza. Così mi affermò ancora, che sia ogni uomo pru-
dente, il qual è buono, e sia egli demonio, e viven- do, e morendo, e si
chiami demone bene. erm.— Mi pare o Socrate, che io consento d’intorno a
que- Digitized by Googl ) *5 ' sto con esso
loco, soc.— Poi, significa egli? ciò non è molto malagevole da
considerarsi, essendo poco di* stante il nome degli eroi, dimostrando che
la gene- razione loro sia derivata dall’ amore. erm. — In che modo
dì tu questo? soc.— O non sai tu, che sono se-, midei gli eroi? erm.— Che
dunque? soc. — In vero tutti sono generali, avendo o Dei portato amore
a donna mortale, o mortali a Dea, oltre ciò se consi- dererai
queste secondo la vecchia lingua degli Ate- niesi il saprai maggiormente;
perciocché ti dichiare- rà che si è mutato nn tantino per causa del
nome, onde so«o fatti gli eroi, o che egli significa gli eroi, o
perchè furono savi, e retori, e facondi, e al dispu- tare acconci,
essendo bastevoli allo interrogare. Sicché quello, che poco fa noi
dicevamo, dicendosi gli eroi nella vece attica pare, che gli eroi siano
atctmr relo- ri, e che interrogano e amano; onde il genere degli
eroi si fa genere di retori e de' sofisti: ciò poi non è malagevole da
intendersi: ma più oscuro quello, per qual cagione Si chiamino gli uomini
gf$pcTrol’ P uo * tu dire il perchè? ersi. —Uomo dabbene dove avrei
io questo? anzi se io potessi ritrovare alcuna cosa, uon 1’ affermerei,
pensando, che tu meglio di me sa- resti per ritrovarla, soc. — Egli mi è
avviso, che tu ti confidi nella ispirazione di Eutifrone. erm. —
Senza dubbio, soc.— E meritamente tu ti confidi; percioc- ché
troppo bellamente ini pare ora di aver pensato, ed è pericolo (se io non
mi guardassi) che no» pares- 3 Cr. Digitized by
Google - ) 98 ( ® e °gg>> c h® io fossi
divenuto piti saggio, che non si converrebbe. Or non considera ciò, che
io dico; perciocché conviene primieramente, che si consideri questo
intorno a nomi, che spesse volte aggiugniamo lettere, e ne leviamo,
nominandole fuori della nostra inleuziope, e mutiamo le acutezze, come
quando dicia- roo Alì <p'lAo$. Da questo nome, affine egli ci
servi per lo verbo, caviamo poscia fuori l’uno I, e per la sillaba
del mezzo acuta pronunciamo la grave, in al- cuni altri framettendo le
lettere, e altre più gravi pro- ferendone. erm — Tu riferisci il vero.
soc. -.Questo come a me pare adivietie ancora al nome degli
uo- mini; essendosi il nome formalo dal verbo, fuori, che uno A, e
fatto grave nel fine. srm. — Come di tu questo? soc. — Cosi. Egli
significa questo nome o’ ivoSt cioè di nomo; perchè le'altre fiere non
con- siderano, nè osservano, nè contemplano alcuna delle cose, che
veggono: ma l’uomo incontinente, che vede (e questo significa 1’
oTTùiTTs) e vede, e contempla, e considera ciò, che ha veduto. Quindi
meritamente l’ uomo solo di tutti gli animali è chiamato,
consideran- do ciò che vide. Che da te poscia addimanderò io?
quello peravyeutura, che io udirei volentieri? erm. — Si. soc. —
Dunque mi è avviso, che incontinente succeda alle cose antedette la
considerazione dell’ a- nirua e il corpo alcuna cosa dell’ uomo. erm.
—In che modo nò? soc. — Ora sforziamoci di distinguere ancora
questo come le antedette, pensi tu, che iunan- Digitized by
Google ) *7 i zi si. ql>bia a cercare dell’
Miima, come sia ella chia- mala bene? poscia del corpo? erm.— In vero si.
soci —Dunque acciò io subitamente esprima quello,' che ora mi si
offerisce primieramente, io : stimo che Colo-i ro, che' cosi chiamarono
l’anima abbiano ciò pensato principalmente, che questa quante Tolte è col
corpo si è-, cagione, che egli viva, dandoli la virtù del ri-
spirare, e rifrigerandolo; e come prima lo abhando-t nera quello, che il
refrigera, eglisi scioglie, e Sene muore, onde pare, che 1’ abbiamo
chiamata, quasi ri- frigerante: rtȈ se, ti aggrada fermati alquanto. Mi
par divedere alcuna cosa più di questa probabile presso coloro, : i
quali seguitano Eotifrooe; perciocché sprez- zerebbono essi questa, come
io penso, e la dimostrereb- bono certa cosa molesta: ma vedi, se ciò ti
sia per dover piacere, erm. —Dì pure, soc.— Qual* alt+a cosa pare a
te, che contegno il corpo, e il guidi, e faccia, che egli v;va, e vadi
intorno* che 1? anima? eatu.ij-' JNient’ altro? soc. — Ma che? non credi
tu ad A nassa-' gpra, che la natura di tutte le cose sia lo
inieMetto,- e l’anima che l’adorna e contiene?. > erm. — Così
si.' soc. — Dunque ben fia, che a quella potenza si applichi questo
nome (pvvgyjnj, cioè contenente la naturai ma si può chiamare ancora
ornatamente. ' erm. — Così è ad ogni modo, e mi pare, che questo . sia
di» quello' più artificioso- soc.— E verameute, anzi par. certo co-
sa ridicolosa, se si nominasse, come le fan posto.: brw” —Or, che
dobbiamo dir api ciò, che segue? soc.— . 3 * Dlgitized
by Google >18 ( Tu dì del corpo? brm.-Sì. soc. —
Questo a me pa- re in molti modi, se alcun declinasse un tantino.
Perciò, che alcuni dicono, che egli sia all’anima se- polcro, quasi ella
sia sepellita in questo tempo pre* sente, e anco perchè 1’ anima col
messo del corpo significa qualunque cose può significare per questa
ca« gione è chiamato ancora bene. Nondimeno mi Rav- viso, che gli
settatori di Orfeo abbiano posto questo nome principalmente a questo
fine; perchè l'anima iti questo corpo dia la pena de’ delitti, e sia
chiusa iti questa siepe, e trincea affine servi imagine di prigio«
ne. Per la qual cosa vogliono, che sia questo cosi; come è chiamato un
chiostro per custodir l’ anima fin, che purghi qualunque debiti; nè
pensano, che vi si abbia a tralasciar pure alcuna lettera, ehm — Or,
O Socrate, mi pare, che d’j intorno a questo si sia detto
bjBstevolmetite: ma de’ nomi de* Dei potressimo forse noi considerare,
come si è fatto di Giove, secondo qual retta invenzione fossero posti i
nomi loro? soc. Per Giove sì, o Ermogónè; se noi avessimo
intellet- to sarebbe una maniera buonissima il confessare, che iton
conosciamo niuna cosa d’ intorno a' Dei, dico nè d’ intorno ad essi, nè
a’ nomi loro, co’ quali si chiamano; manifesto essendo, che essi si
chiamino coi veri nomi: ma la seconda maniera della retta inten-
zione si è, che così come ordina la legge, che si pre-i ghino i Dei ne’
voli comunque aggrada loro di esser chiamati; così ancora noi li chiamiamo,
quasi da noi ’ c Digitized by Google
)>*9 ( non si conosca niun' altra cosa. Perchè si è
deterrai. ■nato bène, come mi pare. Per la qual cosa, se ti
pia- ce, consideriamo quasi avendo detto innanzi a Dei, che da' noi
non sia per conoscersi niuna cosa d’ in- torno a loro? ‘non confidandosi
noi di esser possenti: ma piò tosto- d' intorno agli uomini oon che
opiniti- ne principalmente intorno a Dei disposti posero lóro
i nomi; essendo .ciò lunge da riprensione. fi erm. O '
Socrate; egli è avviso, che tu parli modestamente, c facciasi da
noi in cotal guisa. .Dunque incominciamo .alcuqg ,co$a da Veste. secondo
le legge.- bum. —Cosi veramente conviene, spc.a-t, Q ual cosa porrebbe
dir alcuno, che considerasse chi la si chiamò Veste? erm. -Io
pon penso per Giove, «bis ciò siaagevole do ri- provarsi. som— O
firnwgene buono. In vero par bene, che i. prinp autori , de’, nomi non
siano «tati certi grò*, solqni; ma investigatori sottili di cose Sublimi.
11» — Perchè? sac— Perchè , mi pare cheil por de' sto- mi sia
stato di . certi uomini siffatti, *' se d leu n consi- derasse i nomi
forestieri^; non tnanbo ritroverebbe ciò, che qualunque significasse,
come eziandio in qae- sto, il qual noi chiamiamo essenza, alcuni sono,.'
che il chiamano altri di nuovo. Primieramente secondo l’uno
di questi nomi,, ,non ^ ovviso^ che si fofamrai forte lontano dalia
ragione la essenza deilè Icosè, e perchè noi chiamiamo ciò, che è
partecipe dS essenza; per questo si potrebbe nominar Itene; perchè
parte, che ancora noi anticamente,, chiamavamo già
Digitized by Google ))3o(< >?rÌ* o6(rf«fc-
Appreso »e «leu* considerali* isàcrifieà, stimerebbe, che; c^»l cqn|i
derisero doloro, ( «bfc .li, & posero;, perciocché è vcrisùniU
iunanM-4-iWtt». • i-, I>«i^ che facessero i sacrifici a Veste
chi denominarono la essenza di tutte le cose.- ma quanti di;, nuovo
,la.fthia- marono ùaiOCV, stimarono quasi di mlovo secondo E-
ratlito, che sempre scorressero tutte le cose, e Piente •Don si fermasse.
Danqoe la cagione, 'e la origine lo- ro fosse, chi le spingesse. Sicché
meritamente si chia- mi la cagione, che spinge. D’ intorno 1 0 questi fin
qui siane detto in .colai guisa, come da coloro, Che' 'non
intendono piente. Dopo Veste con-vien, Che si Iconst- deri di Rea e di
Saturno,* tuttoché de! nome di Sa- turno abbiamo detto di sopras-hiB
forse, chef io noti died nulla. EHM.-Perchè, o Socraté? soc.— O
uomo dabbene, ho considerato certo esime di' sapienzd. ■erm.— -Q
uale é eglit socv-Cosd'dS dirsi ridfirolosa niol- -U>, fiondimene
'«Urn®, che tenga ‘àfeuno probabil cosà. k*m.>— Q uale n’-è dessa?
soc.— Mi pàrvedere; che E- • radilo già. molto nani chiaramente aldune
cose sag- gio, che si fecero nel tempo di Saturno e dì Rea, fe
quali eziandio si raccontavano da Omero, ehm.— ‘■Co- me- di tu cotestoì
soc. — Eradito dice, che scorrano tuttéalacose, e, non si fermi nulla; e
assomigliandogli -.enti al flusso d’ un- fiume, dice non esser
possibile, che nei medesimo, fiume tu possa entrar due volte. ehm.—
Q uesto A vero. soc. J— O ti par egli, che colui da praclito dissentisca,
il quale pose Rea e Saturno \ Digitized by
Google ) Si < IVa progenitori degli altri Dei?
dimmi, pensi tn, che egli abbia posto temerariamente i nomi ad ambi
lorò delle flussioni; come ancora Omero dice, che l’Oceano sia la
generaeione de' Dei, e la madre Tele; e il me- desimo, come pare, volle
ancora Esiodo. Oltre ciò db ce Orfeo, che l’Oceano primo abbia dato
incominciai mento alle nozzi; che corrono bene, avendosi accom-
pagnato con Tele sua sorella. Dunque considera come si confacciano
insieme queste cose, e tendano tulli al- la opinione di Eraclito, erm — O
Socrate* pare a me che tu dica alcuna cosai ma non intendo
bastevolmente ciò, che inferir si voglia il nomedi Tele, soc.— E
non- dimeno significa quasi questo stesso, che sia un nome
ricondito di fonte; perciocché quello, che corre, e sì spinge è un
simulacro di fonte, e d’ arnbidue questi nomi è composto il nome erm.— O
Socrate, questo è bellissimo, soc.— In che modo nò? ina che
poscia? di Giove abbiamo detto veramente, ehm. Così è. soc.—
Or diciamo de’ fratelli di lui Nettuno, e di Plutone e dell'altro nome,
col quale è chiamato' da loro. erm. — Al tutto, soc. — Egli è avviso, che
Net- tuno da chi primieramente il nominò, sia perciò sta. to
chiamato* Troa-g/ofiàlt, perchè mentre egli cambiava, «1 ritenne la
natura del mare, uè permise, che se ue andasse più oltre: ma se li fe
quasi legame a piedi. Sicché chiamò Dio 7T0<retc/là>lùX, il prencipe
di questa virtù, come TTOff/c/lefffiolf OVTK, cioè legame di
piedi: ma l’E vi fu trasmesso forse per ornamento, ftla per-
I Digitized by Google 9 »M
avventura non si vuote egli inferir quatto.- ma in vé- ce di E si
diceva primieramente «on due LL come se dicesse fa ttoAAc
bÌ</IÓto<tTov$*ov, ci °è* che qua» si sia Dio coguitore di molte
cose. Peravveotnra dal ctteu, cioè dal movere fu nominato èa-g/ar, cioè
mo. venie, cui si aggiunse poi il P e il OeilD. Or il no» me di
Plutone fu nominato secondo il compartimento delle ricchezze, cavandosi
etle dalle viscere delta ter- ra. Il nome poi ac/|»J, pare, chela
moltitudine gliele abbia dato quasi t ò AeuAtSt c ' 0 ^ cosa invisibile,
e di questo nome avendo onore il chiami Plutone. , eia. — Or in che
modo pare a te, o Socrate? soc. — A me pare, che gli uomini in molti modi
abbiano errato intorno alla potenza di questo Dio, e lo abbiano
avu- to sempre in orrore, non convenendosi punto, teraen • dolo
chiunque; perchè morto una fiata sta sempre qui- vi; e ancora, perchè
l'anima del corpo spogliata cola se ne vi ella. Alla perfine tutte queste
cose, e il re- gno, e il nome di questo Dio mi pare, ebe tendano al
medesimo, enti. — In che modo? soc.— Ti dirò ciò, che mi pare. Perchè
dimmi, qual di questi due è le- game pili forte al tenere in qualsivoglia
luogo qua- lunque animale, la necessiti forse, o il desiderio? erm.
— Di gran lunga, o Socrate, avanza il desiderio, soc. — Pensi tu dunque,
che molti non fuggirebbono lo inferno; se egli non legasse coloro, che
quivi di- scendono con un fortissimo legame? srm.— C hiaro è. soc.—
Sì che li lega, come pare, con certo desiderio, \
Digitized by Google ; ) 33 ( -« non con neoesiità, se
pure li annoda co* legsmh fortissimo, erm.— Apparisce, soc.— Sicché di:
n«o?0 sono molli i desideri? «a*i.— -Molti si. • soó. -Dunque
li annoda colla grandissima cupidità, se pur li dee contenere col
grandissimo legame. <rm.— Per certo, soc.— Or vi è «gl* alcuna
cupidità maggiore* che quan- do alcun con altrui accompagnatosi, pensi di
dovere esser uomo migliore per causo di l’uJP «aat. — O So- crate,
iti ninn modo per Giove, soc. — Forte per questa cagione hassi a dire, o
Ermogene, che nien di colà se ne voglia' ritornar qni, nè iè stesse
sirene, anzi e esse, e gli altri tutti siano addolciti; cosi belle
parole sa formar lo inferno, eéttrt apparisce, ed è questo Dio, come
testifica questo parlare Sodala per- fetto; e a colóro apporta gran
benefidi, che abitano presso lui, e dà loro cotanti beni; siffattamente i
egli di ricchezze abbondante in qael luogo, onde ancora di quà ebbe
il nome di Piatone, o non ti pere officio di filosofo il non volersi
accostare agli nomini, che hanno i corpii ma il riceverli allora
finalmente, quan- do l’animo loro é purgato da tutti i mali, e da
de- sideri, che sono d’ intorno al corpo? per certo pensò questo
Dio di dover tener in questa maniera gli ani- mi, se li legasse col
desiderio della virtìit ma chi so- no infetti da stupore e da pazzia di
corpo, nè il pa- dre Saturno sarebbe possente di raffrenarli con
quei suoi legami, e di tenerli seco. efcM.-O Socrate, pa- re, che
tu parli alcuna cosa. soc. — O Ermogene, è ' >34 (
forte lontano, che il nome sia quali imminato invisi- bile, ansi ai
cava dal conoscer tutte le cose belle. Per la qual cosa -da ciò è questo
Dio chiamato idei facitore de’ nomi. erm. — Stiano lé cose cosi.
Che diciamo noi pili oltre del nome di Cerere, di Giuno- ne, di ’
Apolline, e di Minerva, ’e di Vulcano, e di Marte, e del rimanente de’
Dei? soc.— Cerere si chiama Jt«T« -rnvc/lótr/l! rriff èj\a>if(is dal
dopare gli alimenti, crtte/loti<r<X d$ (isp, c '°* quella, che dà
quasi, madrq: ma Spx, Cioè Giunone, come gp«r*TlC>. c ‘°,è certa
amata, così come si racconta, che Giove amata l’ebbe. Ancora risguardqqdo
all’alto peravveulura chi ordini) questo nome, denomino l’aere e parlò
oscurar mente, ponendo ci principio nel fine, il che ti si
farà manifesto, se spesso pronuncierai quel nome di Pro- serpina,
ed enroAAtav temono alcuni 'per quello di no- minare, che è ignota: loro
la retta invenzione de’ np; mi: perciocché mutando considerano la
<pgp(j-£<pótfW, e ciò loro par cosa grave. Ciò poi dimostrai c
h® Dea sia sapienza. In vero la sapienza fìa quella, che tocca, e
palpa le cose, che scorrono, e lepuòcopse; guire. Per la qual cosa
Qepé'lTCUpX, questa Dea meri- tamente si chiamerebbe per la sapienza,
toccamente di quello, che scorre, o alcuna tal cosa. E però lo
inferno, essendo sapiente è congiunto con lei per es- ser. ella siffatta.
Ma ora schivano questo nome, stiman- do più la grazia del proferimento,
chq la verità: in modo, che la nominino (pepp&QXTyxi- M
medesime Digitized by Google >3U ancora
adìviene intorno al nome dì A polline, avendo molti in orrore questo
nome, come porti seco alcuna terrihil cosa, o no il conosci tu? ehm.— Il
Conosco *ai, e tu di il vero. soc. -Ma ciò, come mi è avviso,
è posto benissimo rispetto alla potenea di Dio. erm. In che modo?
soc. — Sforzerommi di esprimere il mio parere, in vero non si
avrebbe possuto ritrovare un’ altro nome solo più convenevole -alle
quattro po- tenze, di Dio, di maniera, che le tenesse tutte, e in
un certo modo dichiarasse la musica, il vaticinio, la 1 I T u ' '
, medicina, e 1’ arte del saettare. Or di, per- chè mi
è avviso, chp,tu dica un nome strano,, soc. — Anzi egli è conveuevolmente
addattato; essendo Dio musico; perciocché la purgagioue primieramente,
e le mondazioni, che si fanno colla medicina, e col vaticinio;
ancora le cose, che si torniscono col- le medicine ’ de’ medici, e gli
incauti degli indovi- ni, C le purificazioni, i lavacri, egli spargimenti
pos- sono questo solo, cioè di. rendere 1’ uomo puro, e del corpo e
deU’aniina; non è egli cosi? erm. — Cosi ad ogni modo, soc.— Dunque sarà
colui il Dio, il qual purga e lava chi libera da mali siffatti, ehm.—
Senza dubbio, soc — Per la qual cosa in quanto lava, e li- bera
come medico di tali inali; è meritamente chiama- to liberatore. Ma
secondo la indovinazione, e il vero, e il semplice, essendo una stessa
cosa il possiamo anco- ra nominar bene secondo il costume de’ Tessali.
Per l * certo tutti costoro chiamauo questo Dio ,
semplice: ma Digitized by Google I ) 35
r perehè sempre imbroca il sogno con l'arte del saettare,
sempre percuote-, si può dire perpetuo percotente. Se- condo la musica
poi, si ha a pensar di costui come di chi si dice, che segue alcuno; e
della moglie, per- chè 1 ’ A dimostra, come in altri molti luoghi il
con- giuogimento, e qui ancora significa 1 * accompagnamen- to
delle conversazione, e intorno o cieli, i quali chia- miamo «7 TÓAovff, «
significa eziandio 1 * armonia, che è nel canto, la qual ai chiama
concordanza. Perchè d’intorno a queste cose, come dicono i periti di
mn- •sica e di astronomia, si rivoglie egli con Certa armonia.
•Questo Dio poi è soprastante all’armonia volgendo insie- me tutte
queste cose, e appresso agli uomini, e~a'ppresso V Dei. Dunque così come
T J y o^oa/Afii/Sor, Kffì opó- JtO<T«V, 0, °® va insieme, e chi giace
nello stesso let- to abbiamo chiamato «kuAovSov, X ai SttOITtY, ca-
blando l’ O nell’ A, così quello abbiamo chiamato ■Apollo, il quale era
o’fXOTTCÀàv, frammesso l’altro L: perchè sarebbe stato equivoco
col duro nome. Il che ancora a questi tempi avendo sospettato alcuni •
per quello che non considerano bene la virtù del nome, così il
temono, come significasse certa corruzione. Ma daddovero questo nome
abbraccia- tutte le virtù di questo Dio, come di sopra detto abbiamo;
conciossia, che il significa semplice, perpetuo, ‘ percotente,
lava- tore, e insieme conversante. Il nome poi delle mu- se • della
musica i cavato da quello ebe si dice . « Digitized
by Google ) h ( c '°® cercare i come è avviso, e
co* la inve- stigazione, e con lo studio della sapienza. Latona si
dice dall* mansnetndine dèlia Dea, perchè sia pronta; ed esposta, e
presta al dar ciò, che chiunque ricerca. Ma peravventura, come chiamano i
peregrini perchè molti nominano il qual nome pare che lì sia
stato dato, perchè non abbia ella la mente rigida: ma, mite, perciò
si denomini qiwaì Aitò» ì$6$, cioè costume piacevole e mite
$prt[ìl(, cioè Diana per quello che s ‘ a quasi integra, e modesta
per lo desiderio della virginità, ancora lo institutore del nome la
chiamò peravventura quasi òlfSTÌi iffTO p«tj cioè chi conosce virtù
eziandio è detta forse SpTeyttS, quasi £; TÓV «fyoTOV TOt OtVcApài
«’»7V- I ctiKi, cioè che ella abbia avuto' quasi in odio il
con- giungimento dell’uomo colla donna essendosi ordina- to il
nome,'o per alcuna di queste 1 cose, 0 per tutte di siffatta sorte, erm.—
Ma che Airfrtfd'O? g'(pp o</IÌTt cioè di Dioniso e Venerei soc.
— O figlinolo di Iponi- co, tu addimandi gran cose. Or è doppia la
maniera de* nomi imposti a questi Dei, 1* una seria, 1* altra
giocosa. Dunque da certi nitri ricerca fa seria: ma la giocosa niuna cosa
vieta, che non si racconti: percioc- ché sono ancora i Dei de’ giuochi
amatori, e sarò uno Al'orvtrog i J\l<Aoùs to'» ODO», cioè Dioniso
mini- atratore divino, quasi cognominato' JU<A\jtvv<roS, nel
Digitized by Google J38 ( giuoco. Ma ti può
meritamente chiamar vino; perché faccia, che molti, i quali beono essendo
alienati di mente, pensino di avere intelletto qh al&S^xl VOÙV
»v«<» tò» TTt*óv3fi>v roti : ttoAAoÙs, d’onde
meritamente si può chiamar obi pensa avere intelletto. D’ intorno a
Venere non è cosa degna, che si contradica ad Esiodo: ma si conceda, che
si chiami &QfO<AiTH TSt T«V «iJ>poù 7 évetrw, ci°é per la
generazione della spama. MM.-Or, o Socrate, non trapasserai sotto
silenzio Minerva, e Vulcano, e Marte essendo ateniese, soc.— Non conviene
itKolcun mo- do. ehm.— Per certo nò. soc. — Egli non è malagevo- le
da dirsi, perché sia posto l’uno de’ nomi di lei. Kit».— Quale? soc.— Per
certo noi là chiamiamo Palla- de. ehm.— Si certo. sac^-Or istimando noi,
che 1» sia posto questo nome dal saltar fra le arme, lo sti- meremo
bene, come io penso, perciocché lo inalzar se stesso, o altra cosa in
alto, o da terra, o colle ma- ni il diciamo TróAAetif, e thxAAe adii,
Xfid àpX B ^* t • • - * <. vi v XK< c ‘°® cr °ll
are » e crollarsi, e saltare, e patire il salto, ehm.-— Così è. soc
— 'Dunque in colai guisa la chiamano Pallade. ehm.— E meritamente;
ma 1’ altro suo nome, in, che modo lo di tu. soc.— Cer- chi tu tÒ .
À9NV&? ( ehm.— Questo stesso, soc.— Que- sto è piu difficile, o
amico, pare che gli antichi sti- mino £$ come costoro, che a questi tempi
sona dotti d’intorno ad Omero. Perciocché di costoro mal-
Digitized by Google ) 39 < ti
interpretando il poeta dicono, che òt$tlVoiV «- TOV yovv, Kx\ JÌIXVOIXV
TTSTTOIHkÌvÓCI, abbia fatto la stessa mente e il discorso, e chi fece i
nomi pare, che abbia considerato alcuna cosa tale d* intorno a lei:
anzi ancora dall’ alto innalzandola, la introduce come intelligenza di
Dio, qnasi dica, che questa sìa 5eovÓo, cioè quella, che intende Dio,
valendosi dell* X in luogo del y secondo certo rito forestiero;
levan- done appresso lo j e il ma peravventura nè a que- sto
modo: ma come, che ella diversamente dagli altri intenda le cose divine
la chiamò ^eoto'nif, cioè inten- dente le cose diyine. Uè fìa fuori di
proposito se di. remo, che egli 1’ abbia voluta chiamare rf$oVÓtf
quasi essa sia intelligeuza d’ intorno a costumi. Egli dopo, o coloro
ancora, che vennero poscia come era avviso tirandola nel meglio, come
credettero la de- nominarono Atene, ehm.— Che di Yulcauo, il quale
è nominato ÌQxHnotf in che modo dì tu? soc.— Ocer- ehi tu il
generoso intelligente di lume? ehm. — Cosi mi e avviso, soc.— Costui come
può esser manifesto a ciascuno è tpoÙffT Off, e si attribuisse lo
onde è * . t . v i detto £ Qxi$TQS- ehm.— Apparisce se
eziandio non ti paresse pra altrimenti, soc.y- Ma acciò non mi
paia cosi addimanda di Marte. ERM.-Addimand,o. soq, —Se li piace
KfltTOt TP Xf>ps, y, cioè Alarle, si dice se- coudo il maschio è
«MpetOtfjiCioè forte. Più «lire sft Digitized by Google
) 4 » ( la vorrai, che egli aia stato chiamato per
certa aspra natura, dura, e invita, e immutabile, la qual si chiama
ttppXTOI, questo ad ogni modo convenirli al Dio guer- riero. xrm. — A d
ogni modo. soc. — Deh per li Dei lasciamo oggimai i Dei, temendo io di
disputar di lo- ro: ma proponimi qualunque altre cose tu vuoi, af-
fine tu conosca quali siano i cavalli di Eutifrone. un. — Farollo
addiinandandoti ancora una cosa di Mercurio poiché Cratilo nega, che io
sia Ermogene, sicché tentiamo di considerar ciò che significhi
éppw$, cioè il nome di Mercurio: affine conosciamo, se egli dica
alcuna cosa. soc. — E nondimeno g’pgyg, cioè Mer- curio pare che sia
intorno al sermone in quanto è i/tfmete, Iteti sryeAof, noi) tò
nhu'juKÓne, k«ì to xTxrnXoi s’r ih * <?» x*ì tò ciipopxaTinòv,
cioè interprete e nuncio, e ha nel parlare lo ingannar
furtivamente, e versa nella piazza. Tutto questo tratta- to versa intorno
alla virth del parlare. Per certo come abbiamo detto dianzi yò etpeil, ®
usanza di parlare.* ma spesse volte dice Omero di costui e’p scorro
, cioè machinò egli. Dunque d’ ambidue si compone il nome di questo
Dio, si di quello, che è parlare, sì di ciò cbe è il ntachinare e 1’
investigar le cose da do- versi dire, così come 1’ autor del nome ci
ordinasse. O nomini, è cosa decente, che voi chiamiate quel Dio, il
quale ha machinalo il parlare: ma noi al presente it chiamiamo gpjiìy,
pensando di abbellire il nome: an- » Digitized by
Googl ) 4« f zi, e ipi$ pare che sia chiamata da
sip$u per quello, che era messaggera, erm.— Per Giove pare, che
Cra- tilo abbia negato bene, che io non sia Ermogene, es- sendo io
grossolano alla invenzione del parlare, soc. t- 0 amico, egli è ancora
verisimile, che ir fax figliuol di Mercurio. sia di due forme, erm. - In
che modo? soc.— Tu sai, che il sermone significa il tutto, e at-
tornia, e versa sempre, ed è doppio, cioè, vero e fal- so. erm.— In vero
sì. soc. — Dunque la verità di lui è cosa piana e divina: e di sopra
abita fra Dei: ma la falsità al basso fra la turba degli uomini, ed è
aspra e tragica: perciocché qui si ritrovano molte favole e falsità
intorno la vita tragica, erm. — Così è ad ogni modo, soc.— Meritamente
adunque egli, che significa il tutto, e sempre versa, sarà di due forme figliuolo
di Mercurio nelle parti di sopra molle, e delicato, nel- le inferiori
aspro, e caprino, ed è pane, o il Sermo- ne, fratello di sermone, poi che
è figliuolo di Mercu* /rio. Non è poi maraviglia che il fratello sia al
fratello somigliante. Alla perfine, o beato, dipartiamoci da’ Dei,
il che io poco fa diceva, erm — -O Socrate da questi tali sì, se il piace
a te: ma quale impedimento ti tie- ne, che non racconti di questi altri?
cioè del sole, della luna, delle stelle, della terra, del cielo,
dell'ae- re, del fuoco, dell’acqua, della stagione, e dell’anno?
soc. — Sono molte, e grandi le cose, che tu mi coman- di; non per lauto
dovendoti esser ciò grato, ti ubidirò. ) 4 * ( ikm —
Per cerio tu mi Tarai cola graia. »oc. — Che chiedi tu prima? o vuoi tu
forse, come hai detto, che discorriamo dei soie. erm. — Invero si, soc.—
Questo è avviso, che potrebbe esser più chiaro, se alcun si valesse
del nome Dorico, chiamandolo i Dorici et\Ì0i ed in cotal guisa è chiamato
secondo xktÌ TO à\i- £s/V e li TOCvyópoòs XìlSp ÓttoIs, C1 °è per quello,
che riduce gli uomini insieme quando nasce : ancora Kfltl "TÙ
TTepì tW «et EtAitv, per quello ched’ intorno alla terra si rivoglie
sempre. Piu oltre perchè varia col suo giro le cose, che nascono nella
terra, il variar poi, è lo stesso, erm. — Ma che si dee dire d»
<reÀÌvt)J, della luna? soc. — Pare, che questo nome premi Anassagora,
erm.— Perchè? soc.— Perchè dimostro alcuna cosa vecchia, il che egli poco
fa di» ceva traendo la luna il lume dal sole, erm.— In che modo?
soc.— Il c-e’A CCS, P er cer to, e la luce è lo stesso* erri.— E’ si.
soc.— Questo lume perpetuamente è d’ in- torno alla luna y£ov, hx'i
BVVOf, cioè nuovo e vecchio, se pure gli settatori di Anassagora parlano
il vero, conciossia che attorniandola di continuo la rinova: ma
vecchio è egli il lume del mese passalo? brm.— Vera- mente. soc.— Molti
chiamano la luna o-sAxtCclxt, erm.— Per certo sì. soc Ma perchè
tiene sempre il lume nuovo, e il vecchio, meritamente si dovrebbe
chiamare <rgAA*eyveo«6t«. Ora poi spezzato il voca- Digitized
by Google > 43 ( bolo si chiama <rgA<m
tot. tMt.—O Socrate, questo nome è ditirambico: ma come interpreti tu
T< j r Cioè il mese, e T * forpx, cioè le stetle? soc.-ll mese
si chiamerebbe bene yg/j, T0 ^ ynuoìfBxu cioè dal sminuirsi: ma pare, che
le stelle abbiano la denominazione di òffTfflnr?S , cioè del folgore
: «TTfMnri poi, perchè a se rivoglie gli occhi si do- vrebbe dire
aTpoì’Jtì: ma ora con vocabolo più ao- concio si chiama ònTTpentì. erm.—
Onde ne cava.il nome "jrSp, nxì TÒ ic/l&p, cioè il fuoco e
l’acqua? •oc.— Dubito veramente del fuoco, e corre rischio, o che
la musa di Eutifrone mi abbia abbandonato, ossia questo cosa difficilissima.
Dunque considera qual «na- chinazione io introduca, d' intorno a tutte
siffatte co- se, nelle quali io dubito, erm.— Quale? soc.— Dirpl?
loti. Perchè rispondimi, potresti tu dirmi, perchè si chiami fuoco, erm.—
Per Giove nò. soc.— Considera ciò, che io sospetti d'intorno a questo: in
vero io sti- mo, che molti Greci abbiano avuto molti nomi da'
Barbari, massimamente coloro, che sono a* Barbari •oggetti, erm.— A che
queste cose? soc. — Se alcun cercasse secondo la voce greca la retta
imposizione di questi, non secondo quella, dalla quale ha origine
il nome, sai tu com’ egli dubiterebbe? erm.— Verisi- 1 mente si. soc —
Sicché vedi che questo nome * 7 ^, non sia alcun nome barbaro, non
essendo agevole lo 4 * ) 44 < accommodarlo
alla lingua greca, e manifesto è, che declinando alquanto, i Frigi
lo nominino incoiai guisa, TÒ vJìtof K«ì T«£ KÓKX? KtÒ »
cioè l’acqua, ei cani, e altri molti nomi. ehm. — Questo sì è vero,
soc.- Dunque non fa raistieri, che si usi violenza a quelle cose, poiché
d’ intorno ad esse non potrebbe alcuno dirne niente. Sicché in que-
sto modo io rifiuto quei nomi di fuoco, e d’acqua: ma lo c('ip, cioè 1*
oere è cosl dell °» 0 Errao B ene » l ,erchè crfpsi T« «TTÒ T*S
ci0è S0lleva Ci6 ’ Cbe è d ’ ia * torno alla terra, o perché scorre
sempre, o perché si genera lo spirito col flusso di lui, conciossiachè
chia- mano » poeti tHrxs, gli «Pi» - '!'- Dunque si dice aere
peravventura, quasi *7TI(ev(iflCTÓppoi/V , «STOppov» , cioè corso di
spirito. Ma del cci$epeC >° sospetto in questa tal guisa, perchè
sfóttei, cioè sempre scorre, scorrendo intorno all* aria, perciò
meritamente si può chiamar fatfripo 7* <Aa cioè la terra
maggiormen- te significarebbe ciò che si vuole se alcun la
nominasse 7«?«V, perchè •ysvl/VITeipflC S1 P u ° cbiamar bene »
cioè genitrice, come dice Omero. Conciossiachè ciò che si dice yeyiwi,
diss’egli 7S76V?<r3*i, c,oè l ’ esser fatto, ehm. — Si stiano le cose
cosl. soc. — Che ci rimane dopo questo? erm. — Le stagioni, e
l’anno, o Socrate, soc.— upxi, cioè le stagioni, sono da dirsi
Digitized by Google > 45 ( colla voce
vecchia, e Ateniese, se tu vuoi conoscer quello, che è convenevole,
essendo elle ore .upctt, c '°è perchè determinano il verno, e là state, e
i venti, e i tempi, per li fruiti, che nascono dalla terra, e de-
terminando esse, meritamente ore si chiameranno. ilici t/TOff po«* e
sTO?> cioè l’anno pare che sia lo atesso; perciocché quel che a
vicenda manda in luce qualunque cose nascono e si fanno, e le essamina
ia se stesso, e discerne è l’anno, e come di sopra di- cemmo, che
’l nome di Giove era segato in due, e si chiamava d’alcuni « d’altri a/#
cosi ancora chia- mano qui l’anno altri evi flfUTÒy, perchè in se
stesso, . ^ ■ f ^ altri ajoS, perchè essaraina. Ma ia
ragione intera è, che chi .esamina se stesso, si chiami ia due
maniere essendo uno dj modo che da un parlar solo si fac- ciano
dpepomi,eVl «t/TÒ», e bT-OSì cioè anno, ehm — O Socrate, tu te ne vai
luoge oggimai. soc.-In vero mi è avviso di far progresso nella sapienza,
ebm.— Ansi si. soc. — Per avventura il concederai maggiormente,
xaw.— Hor dopo questa specie Volentieri contemplerei, in che rpodo questi
nomi eccellenti di virili siano po- sti bene, come (ppóvn<ris, cioè la
prudenza anwdcns, la intelligenza, JitKCltOffvvì 1* giusti®!», e il
rimanente di queste sorte, soc.— O amico, tu susciti una sorte di
nomi da non dispreizarsi; tua nondimeno, poiché mi sono vestito della
pelle del Icope, noa conviene, M<5 ( . che io mi
spaventi, anzi consideri, come è avviso, i no* mi della prudenza, della
intelligenza, della opinione, della scienza, e delle altre cose
siffatte. EnM.— -Non dobbiamo veramente cessar innanzi in modo
veruno, soc.— Nondimeno per cane non mi è avviso di far mala
congettura d’intorno a quello, che al presente io ho considerato, cioè
che questi antichi autori di nomi, come adivien ancora a molti de’ nostri
savi, siano ca- duti fra gli altri nella vertigine dell’intelletto per
la frequente rivoluzione nell’iuvestigar, come se ne stiano gli
enti, e poscia pari loro, che le cose vadino intorno, c si portino da
ogni modo. La cagiou poi di questa opinione stiman essi non la passione
interna, che è presso loro: ma, che esse se ne stiano così per na*
tura, e in loro non vi sia niente di fermo, e istabi- le; ma scorrino
tutte, e siano portate, essendo ripiene sempre d’ogni portamento, e
generazione, e ciò mi dico considerando tutti i nomi, che ora si son
detti, kbm — I n che modo di tu, o Socrate? non hai consi* derato
per avventura essersi posti i nomi pòco fa dct* ti alle cose, che quasi
si portano, e fluiscano, e si facciano, erm. — Non li appresi
bastevolmente.' soc — Primierameute ciò che abbiamo riferito dinanzi
ap- partiene ad alcuna cosa di questa sorte, ehm. — Quale è
cotesto? soc.— E £ <ppóvw<r/J, c *°è prudenza, es- sendo ella
(popi? xotf poi? vÓltO'lt?, c *°è intelligenza di portamento, e di
flusso. Ancora si potrebbe imagina- Digitized by Google
) 47 < re, che significasse o»»<m <P0fXÌ, c ‘ oè
nlI1 ‘ tà d: P or '‘ lamento; nondimeno versa ella intorno alla
agitazione. Anzi se vuoi *7»a(X» cioè la opinione significa
al tutto 701»? (TX6 i4»IF KOCÌ l/àima'ir, cioè considerazio-
ne di genitura; essendo lo stesso il i/apit e <rK 0 Trei», cioè il
considerare: ma se vuoi lo stesso g’ V0»<rU, cioè la intelligenza è
tov 160 U Ciri?, cioè de** 4 ! 0 ' rio di cosa nuova; che poi siano gli
enti nuovi, si- gnifica, che essi ai faccian sempre, e dimostra,
che ciò desideri, e prenda a far l’animo, chi pose quel no- me f 0
Hri$ : perchè da principio non si diceva vonaif: ma erano da proferirsi
due in vece di g come quasi Veoe <r IH, cioè appetito di cosa’ nuova:
tracppotri/VU, cioè la temperanza è salute, e conservazione di quello, che
ora abbiamo considerato, tppovtreaf, cioè della pru- denza: gTriffTItfi»,
cioè 1® scienza è tratta da ciò, che insta e segue, quasi segditi, e
insti, e accompagni I' animo le cose sole, che scorrono, nè per dimora
sia ultimo, nè primo col corpo correr innanzi. Sicché fa mi- stieri
fraroettendo 1 ’ g, si nomini eTr/ffTHfiEVDV, cioè prudenza: (ri/VKa’/f
d* nuovo cosi parerebbe esser sil- logismo, ciò certo discorso. Ma
conciossia, che si dica < rvtìevxt si intende lo stesso: come se si
dicesse 8 Tr/ffT«ff 3 (XI, perchè il dice che concorra
l’animo colle cose, aotpl'a, cioè ,a sapienza significa <
Digitized by Google > 48 < < popvf e<pct i
rye<r9c(l, ctoi i* toccar il portatnento. Ciò poi è egli pih oscuro e
istrano: ma da’ detti de* poeti ci abbiamo ad arricordare qualora
vogliono e- sprimere alcuno, che si avvicini, o se ne venga coti
empito, dicono ga-t/,9», cioè usci con empito, anzi fra Lacedemoni ancora
sol/?, cioè veloce era il nome di certo uomo illustre, significando in
colai guisa i La* cedemoni 1’ empito veloce. Dunque la sapienza
significa TKUTHS T*9 cpopocs e’TTOCtpUf, cioè tatto di questo
portamento ; quasi siano portati gli enti : e pure TO «7«3oV, cioè il
bene di tutta la natura significa Tffl ccyxtncò, c *°è *1 mirabile,
perciocché scorrendo li enti vi si ritrova in loro la prestezza e la
dimo- ra. Dunque non è ogni cosa veloce: ma di lei alcuna cosa
xyocaTOVt *1 4 ua * ^ ene s * dichiara col nome dell’ «7«<ttov,
«/IntaioffW*, eTr», c '°è * a S ,ustiz * a possia- mo fare agevolmente
congettura, che sia tosto questo nome 7-5 tou
c/ltK0t'/o!/ffl/V6ff8l,.cioè nella intelligen- za del giusto: ma è
malagevole da conoscersi quel che è giusto-, parendo fine a certo
termine, che sia ciò conceduto da molti: ma si dubiti poscia.
Perchè chiunque stima, che sia in moto il tutto sospetta, che la
maggior parte di lui sia certa cosa tale, la qual non sia altro, che
capire; e per tutto questo sia alcu- na cosa, che scorra, con cui si
facciano tutte le cose che si fanno, e sia ella velocissima e tenuissima,
per- Digitized by Google ) 4M eh è non
potrebbe altrimenti discorrer per tatto L’en- te, se tenuissima non
fosse, in guisa, che niente in penetrando le possa far resistenza, e
velocissima in modo, che se ne serva delle altre cose quasi
stabili. Dunque perchè ella governa c/luoi/, cioè discorrendo per
tutte le altre cose, meritamente è addimandata c/I/kociov framesso uno y
per causa di più leggiadro proferimento. Fin qui ciò, che dicevamo poco
fa, si confessa da molti, che sia il giusto. Or io, o Errao- gene,
ardendo di desiderio d’ imparare, ho tutte que- ste cose investigato
sccretamentc, quasi questo sia il giusto e la cagione; essendo quella la
causa, per la quale si fa alcuna cosa, e si disse da alcuno, che in
colai guisa si debba chiamarla. Ma tutto che io abbia udito questo,
tuttavia ritorno ad addimandare. Dun- que, o ottimo, che è il giusto,
poiché se ne sta egli cosi? a me par già di ricercar piu oltre di
quello, che si conviene, e salir fuori della fossa; perciocché
dicono che io a sufficienza ho addimandato e udito: e in volendomi empire
sì sforzano di dir chi una, e chi un’ altra cosa, nè convengono più
oltre. Altri dice, che questo giusto si è il sole, poi che egli di-
scorrendo sopra la terra, e riscaldandola governa il tutto. Ma quando io
riferisco questo ad alcuno, quasi io mi abbia udito cosa eccellente,
incontinente egli mi ride, e ricerca se io stimi dopo il tramontar
del sole avauzar agli uomini niente di giusto. Sicché pre-
, * Digitized by Google )5o(
gradolo, che di nuovo dica ciò, che sia il giusto, di* ce,
che è il fuoco: nè questo è agevole da conoscer- si: altri poi dice non
il fuoco: ma pii» tosto il calo- re innato nel fuoco: altri di queste
tutte se ne ride: ma dice, che il giusto sia quella mente, la quale
A* nossagora introduce. Per certo, dice egli, che ella sia
imperatrice, c adorni tutte le cose; penetrando ella per tutte, nè
mescolandosi con alcuna cosa. Qui, o amico, sono sdrucciolato in
ambiguità maggiore, che prima, mentre io procurava di saper qual fosse
il giusto. Dunque alla fine pare, che questo nome sia po- sto per
queste cagioni a quello, d’ intorno al quale noi consideravamo. erm.-0
Socrate egli è avviso che tu abbia udito questo da qualcheduno, nè
cavatolo rozzamente dalla tua officina, soc. — Ma che dell al- tre?
ERM.-Non molto, nò. soc. - Dunque attendi: perchè forse io ti ingannerei
d’ intorno alle altre co- se, quasi io le riferisca, non avendole udite.
Che ri- mane dopo la giustizia? non ancora come stimo ab- biamo
raccontato eivJìplxV, c *°è f° rlezza » p erc ‘ oc * chè la ingiustizia è
lo impedimento di ciò, che dis- corre: ma 1’ et\iJ\pix dimostra quasi,
che si nomini nel combattimento. Ma che il combattimento sia
nell’ente s’ egli scorre, non è altro, che il contrario flusso. Per
la qual cosa se alcun leverà via il J\ da questo nome av
«/lp/<«, » nome che rimane * V P lX dÌChlara 1* opera stessa. Dunque è
manifesto, che non a qualun- / Digitized by
Google );5« c que io», cioè flusso, il- contrario
flusso èforhaxa: ma 'quel flusso Che corre oltre il dovere; perchè bon
al- trimenti sarebbe lodévole la fortezza. Or pò affli* cioè
il maschio, e S XV» f, ci ° ò l ’ uom ? lrae l ’ 0ti ‘ gine da certa cosa
somigliante p j iva pó», c,oe dal flusso di sopra. Ma <p UV », cioè la
donna, mi par che voglia esser *yoV») cioè genitura: po yxf poi
cioè Temine pare, che sia stato detto da $»AÌ£, cioè dalla mammella. B
egli poi avviso, o Ermogene, che $n\n «« dica, perchè fa pgS«A6tr<XI,
c,oè B ene ‘ rare e pullulare come quelle coie che si irrigano?
xkm.— Còsi apparisce, o Socrate, soc. — E pure p o 5otA— Xciv cioè il
germogliare mi par, che rassomigli it * ' ; ‘ .J '
crescer de’ giovani, facendosi esso veloce, e alt im- proviso; il
che accennò colui, che formò il nome cavò T0\i reìv, cioè di <
Sorrere e «AAso-3«i, c ‘ oè di saltare, consideri tu, che io sono portato
come fuori del corso, poiché ho ritrovato piana e agevole la via?
eziandio rimangono molle cose, le quali paio- no pertenere al serio?
ehm.— Tu di il vero. soc. 1 ..... Di cui una, si è, che
vediamo ciò, che si voglia si- gnificare cioè l’arte, erm .— Ad ogni
modo. soc. — Non si dimostra egli é^tVfOV, . l’ abito della
men- te quasi ej^ovo», cioè avente mente, se si levi il p, e si
fraraetti 1’ o fra il e il y, e f ra '* » e il *? >**\L
■è**»— Troppo aridamente, o Oberate, ed incivilmente. 1 •oc t-r-Q
non sai tn, uomo beato, che i nomi, i quali prim|erjqjentf furono posti,
siano stati celati, da cip tragicamente li vogliono narrare; aggiugnendo
essi per eleganza, e levandone via lettere, e parte per lun- ghezza
tempo, ® parte per desiderio di ’ ornamento 'rivoltandoli" ■ da
tutte le parti , come per esempio tV TcS Hpctfaipa, c,oi nello specchio,
non parola te disconvenevole che si siaframesso il pa? per certo
tali cose fanno, come io stimo, chi prezzano, pih * vezzi della bocèa,
che la verità, per la qual cosa fra* mettendo molte cose a’ primi nomi,
alla fine fanno, che niun uomo intenda ciò, che si voglia il nome,
come mentre proferiscono T»y aai'y’yce, cioè certo li i ; .-i
• » f'iitij n sì . T ' *17 mostro, dovendosi pronunciare
<r<t>/'yot, e "tolte altre ' ! " V », i !.• T I,
. sose. ZBM,— ciò, o Socrate se ne sta veramente cosi, soc.—
Ma se si concedesse di nuovo ad ognuno secon- do il suo volere di
aggingnere e levare a’ borni, gran- de in vero sarebbe la licenza: e
chiunque darebbe qualunque nome a ciascheduna cosa, za»*.— Tu narri
il vero; ma si conviene, come io penso, che da tè presidente savio, si
servi certa mediocrità e decoro. irm.— I o il vorrei si. soc.— E ancora
io, o Ermo’gene, il desidero con esso téco: ma no il nctìncarè, ò
Uòmo félice, coi» troppo eSsata investigazione, affine non annichili
al tutto k virtù mia: perciocché io me ne vengo alla cimjt delle cose
antedette, poiché dopo 1 Digitized by Google
J-*! •- )53X arte avremo considerato
|iSJ<^«rÌT, cioè la machinazio-< ne, perchè P 8re ■ me. Che Sia
segno f oj) ecw7l, cioè delio aseender rooho*, perfchè'
significo flttOf, cioè lunghezza, vrpo? T<#TroXv, Cioè appresso
al molto. Dunque il nome ^l|^flCy»,.conje egli si com ; - pone da questi
due k«Ì TOÙ àtUÌI, :cìoè di lunghezza, e ascesa. Ma come ora
diceva, 4 da perve- nirsi alla cima della cose dette, e da ceròarai ciò,
che significhino questi nomi «psT*, cioè virtù,- e netti Oli cioè
vizio: .ora V uno nou il ritrovo ancorai l’altro par manifesto,
confacendosi eoa tutte le cose ante* dette, perciocché quasi scorrano le
cose ciò che fìa KftK£>£ iti, cioè è scorre malamente > sari nati
i/ct, cioè vizio. Ed il proceder malamente che si fa nell’ anima
inverso alle cose, ritiene massimamente la de- nominazione del vizio; ma
il hxkù)$ (Si'XI, cioè il prò* cèdere malamente ciò, che egli si sia,
pare a me che si dichiari ancora nel nome t/fgiA/oe, cioè nella
timi- dità, la qual non ancora abbiamo dichiarato; aveodo* la noi
tralasciata; facendo mistieri che la si conside- rasse dopo la fortezza.
Appresso ci è avviso di aver tralasciato molte altre cose. Dunque it«/ls
l A/«x signi- fica il forte legame dell* animai perciocché 7 -$
Aistf è certa forza. Si che J\ei\ix, cioè la timidità è il gran-
dissimo legame dell'anima, così come ancora j xitopix. Digitized
by Google )>S4C cioè il dubbio è male,, e ,
sommariamente qualunque impedimento del. progresso. Questo dunque pare,
che dimostri x,Ò K*k5s ì«»*», cioè l’ andar male senza mo- versi, e
con impedimento; la proprietà quando l*. ani- ma tiene si riempie di
vizio, che $e quel nome di mal- vagità compatisse ad alcune cose
siffatte, il contrario significherà virtlt. Primieramente significando
abbon- danza, e poscia che il flusso dell' anima buona sia sempre
sciolto. Perlaqualcosa quello- che è senza re- tto tiono e impedimento xò
CÌ<r%B T6>£ Itati ÌKfl»Aw- /eoa, cioè che sempre scorre ha avuto,
come è avviso, questa denomufazióne. Si che stà bene, che al- cun
lo chiami À&ippé frtf, 4°*** 8em lj re fluente. Ma peravvèntura lo
può chiamar alcuno oupgx&y, quasi, che qtiesto abito sia da elèggersi
massimamente. Ora Spezzalo il vocabolo si chiama «psT». D *rai lu
forse, che io finga: ma io mi affermo, che se pur quel nome dì
viziò, che io ho riferito è introdotto bene, che an- cor bene si
introduca questo nome di virtù, erm — Ma che si vuole T Ó KfltRf,
cioè >* raa,e i P er *° quandi sopra hai detto molte cosef soc. —
Certa cosa strana per Giove, e malagevole da ritrovarsi. Si che ancora
a questo io apporterò quella machinazione. ehm. — Qual macbina'zionef
soc Il dire, che questo ancora sia certa cosa barbara. ERM.-EgH è
avviso, che tn parli bene. soc. -Alla fine lasciamo oggimai questi da
par- Digitized by Google 1 55 ' te,
se il ti piace: ma tentiamo d* sedere In die modo se ne stiano bene
ragionevolmente questi nomi TÒ K*A<fr, >t«ì TO edxpoi, cioè
di bello e di turpé. Or ciò, che significa oiìc^pat m > par manifesto,
per certo egli conviene con gli antedetti: perciocché mi è avviso,
che chi ha posto i nomi biadimi ciò, che iro- pedhce e ritiene dal corso
gli enti* e ora pose il nome ocel TW povv a ciò, che sempre
impedis*. se il flusso ocsiaryoppovt. Ma ora «pezzato il
nome, lo chiamano cthry^p 0». Che si vuole il’ kccAov, cioè’
il bello?* soc. — Ciò è via pih malagevole da co- noscersi, dicendosi che
questo solamente per causa di armonia, e di lunghezza sia derivato, donde
sì trasse. érm. — In che modo? soc. — Questo nome pare, che sia
certa denominazione di discorso. ' erm. Come di tu questo?
soc. — Qual cosa stirai tu, che sia stata causa della denominazione di
qualnuqne degli enti? o non ciò, che diede i nomi? erm.— Ad ogni
modo, soc Dunque questo sarò discorso o dei Dei, o degli
uomi- ni, o di ambidue. erm.— Per certo si. soc. — Dunque 70 KKÀOV»
ret Trp«7(jiflCTflf, cioè quello, che chiama le cose, e xò k«AÒ? sono lo
stesso, che discorso. erm.— Apparisce, soc. — Dunque qualunque cose fa
di nuovo la meote, e il discorso sono degne di. lodi.- ma quelle,
che no, sono da biasimarsi. erm.— Ad ogni modo. soc. -Dunque ciò,
che è alto al medicare fa > 56 ( le opre della
medicina, ciò che è atto all’ arte del legnaiuolo quelle, che sono
proprie di lei: ma tu co- me >1 potresti dire? ehm.— Cosi. soc. — Si,
che ezian- dìo il bello, le cose belle? ehm.— Fa certo mistieri.
soc Poscia è questo egli il discorso, come diciamo noi? erm.
— Si certo, soc. — Si che questo nome di bello, meritamente fa la
denominazione della pruden- za operante certe cose siffatte, le quali abbracciamo,
dicendole belle, erm.— Cosi apparisce. soCi-Quale altra cosa
..oltre al genere di lei rimane da investi- garsi? e*m. — Quelle che
riguardano al buono e al bello, cioè quelle, che conferiscono, e sono
utili e ci giovano, e ci sono di guadagno, e le contrarie a que-
ste. soc.-Ciò, che sia quello che conferisce, tu il ri- troverai
considerandolo dalle cose antedette, parcndj» certo germano di quel nome,
che peritene alla scien- za , non dimostrando egli niun’ altra cosa ,
che 7HV Ò(piX(pQp XV TUS flBfCt T6IV '7rpOC'yjiffTOV, cioè il
portamento dell' anima insieme colle cose, e quelle che quinci provengono
sono chiamale < pjpoVTK K«( ffl jpupopX, cioè giovevoli per
quello, che sono insieme portate intorno. e»m— Apparisce. soc.-Il
K <xp</l*XeoV poi. ci° è *l ueUo che dà * l gUad8 ' gno *jrà
toDksHovS, cioòdal guadagno: ma M pJ\oS esprime ciò, che vuole, se
inserisse alcuno in questo nome il V per lo J\ nominando il buono in
certo altro modo: perchè K gppftlWT«l, cioè si mescola scorreudo
\ Digitized by Google .) 5 7 ( in.
tutte le cose li pose il nome, significando questa sua virtù;
fraroeltendo il J[ per lo y t il proferì xèpcAo£. jsBM.-Che poi il
Av<tìàeAov», cioè l’utile? soc.— Pare, o Ermogene, che non si ragliano
di questo, co. me i mercatanti, perciò sia chiamato e «¥ X'JTCùAÌm,
- perchè schivi, e isminuisca tÓ XVxAu^X, cioè le spese: ma perchè
essendo velocissimo non lassa, che Je cose si fermino, nè permette che il
portamento ri- cevi TSÀOJ, c '°è il fine del progresso, nè si fermi
e cessi.* ma se alcun ternane si imponesse, Io svorreb- be sempre
da lui, e il. renderebbe incessabile e im- mortale, in colai guisa io
stimo, che il buono sia chiamato Al/fflTeAotio», perchè ha chiamato
-j-q 7*15 !.. .* Il ,* - ' . ''VI < . (popis Avo» TO
T6À0S, cioè quello, che scioglie il fine del portamento, à^eAipo»
P°'i cioè *1 giovevole è nome forestiero, di cui Omero spesse fiate si
serve. Ma questa denominazione è dello accrescere, e del fa- re.
erm. — Che si ha a dire de’ conlrarii loro? soc. — - non fa in verun modo
mistieri, che di quelli si trai- ti che si dicono per la negazione di
questi. erm Quali sono d’essi, soc.- A<ri[Upopov *i*ì XV 6
)<p sAÓj, ucci ÌAvafreAs$. srm— T u parli il vero. soc. —
'AAAx fiAxjÌBpoi kxi ^Kp/atc/llS, cioè >1 nocivo, e il dannoso .
erm, — Per certo . ■ soc. — Ed il fiAxfiepov, dice sia t 0 fhAxvyov TO»
poD, cioè ) 58 ( quello che nuoce si corso, t* J\g
jSAatT'yOI, TO jSot/ÀOfievoV cnrrei», cioè quello, che vuole
impedire. e cnTTBIV Reti c/leTlf, c '°è impedire, e il legare di
nuovo significa lo stesso, e questo biasima per tutto. Dunque ciò, che
vuole ecmeil K«ì cAell’ T 0 £>6v Aofteroi I ttntTBlV po0\ l si
chiamerebbe bene fiovXonr- TepOV, nia P er ornamento io stimo, che sia
stato no- minato /JActjSspoV. — O Socrate, vari nomi se ti
vanno nascendo di sotto via, e mi pare al presente, che tu abbia
cantato innanzi certa quasi ricercata del- la legge di Pallade, mentre
proferivi il nome jJot )- .1 AaTTTepoJ/V. soc.-,0
Ermogene, io non sono cagio- ne. - ma chi posero il nome, ehm,— Tu di il
vero: ma che sarà poi il £uji/£c/|ef, c '°è dannoso? soc. — Vedi, o
Ermogeue, ciò, che debba essere e vedi quahto daddovero io parli, qualora
io dico, che aggiugnendo essi, o ^minuendo le lettere, alterano dì
gran lungo il senso de’ nomi» in modo, che cam- biando certa picciol cosa
facciano alcuna volta, che significhino cose contrarie, il che. apparisce
in questo nome Jisovjl, cioè opportuno. Ciò poco fa in pen- sando
quello, che io sono per dire, mi e venuto in mente. In vero noi abbiamo
nuova quella voce bella, e ci sforzò a suonare il contrario TO c/l/o» K*ì
TÒ confondendo il senso ma certo nome vecchio Digitized by
Google f i s 9 ( dichiara quello, che ai
voglia, e i‘« no e allro me. eem. — Come di t„ cotesto? soc—Dirolloli, tu
sai che , magg.on nostri erano aoliti di vaierai molto del I e del
A, e maggiormente le donne, le qu.fi mmn . t tengono si la voce
vecchia, ma ora in vece del , vii aggiungono ovver I* g o 1* ma in luogo
del J il o come queste suonino alcuna cosa più magnificamente.
che modof soc.— Come per esempio gli uo - rntm antichissimi eh,
amavano T| ; y . cioè il giorno: ma altri poscia il chiamano é^ p J
t e » presenti ^ epxr , erm.— E gli è vero. soc.-Dun-’ qne tu sai,
che con quel vecchio nome si dichiara so. la mente la mente di colui, che
pose il nome; percioc- ché eh, amarono il giorno S(lepxv> perchè da|Ic
^ bre s, faceva il lume agli «omini «*/ povìjlt , Che
,1 desideravano , e si allegravano . IZ “, AP / arÌSCe * S0C ' ~ Ma
° ra in ”0* ninno non intenderesti , q ue , , cbe voglia
«..tato nelle tragedie, benché stimano alcuni, che si d,c * Wépct,
perchè faccia egli qualunque cose ,u{ po( cioè mansuete, ehm. - Così mi
pare. soc. - Nè ti * occulto, che abbiano chiamato i vecchi ^ 1070
* cioè ,1 giogo t,yQ Vt ' erm — Per cert0( soo _ Ma ye
raraeme T0 ' tyyfo aoa dimostra niente: ma j 0V70t )
fio ( dimostra s'neK# T»? J\oaeu$ 65 *m «7^7*»,*' cioè
il conducimento di due per causa di legare, e lo stesso si dee giudicar
di molti altri, erm. — E mani- festo. soc. —Nel medesimo modo il to
J\&ov cosi pro- ferito dimostra il contrario di tulli i domi; che
ris- guardano si bene; perchè certo essendo il idea. •
* del bene, pare che sia c/ÌSO'piOf, cioè legame e impe-
dimento del progresso » come certa cosa germana TO jSÀKjSspOÙ, cioè al
nocivo. erw: — Ó Socrate, cqs'i appar si. soc. — Ma non già incoiai guisa
nel no- me vecchio, il quale è yerisinaile, che meglio sia; sta-,
to ordinato del nostro, per certo tu coovenirai coj beni antedetti, se
per lo g renderai lo / t come anti-r ' 4 camente si
diceva; non significando c/|èov : ma J\lói quel bene, il quale è sempre
lodato; dall/ inventore dei nomi; e in siffatta maniera non discorda egli
eoa seco, anzi pare che sia lo stesso t/Isoy, KCtì (à ftov,
kx'i A.t/<r/ TeAow, it«ì nepo'ltfAsuv, K«ì uyx- 0OV, K*ì
<rviUpspov, K x) BV-KOpor Tutto questo uni- verso significa con
diversi nomi alcuna cosa, che ador- na, e penetra per tutto, e questo è
lodato: ma biasi- malo ciò, clic ritiene e lega. Anzi se in questo
nome porrai secondo la usanza dei vecchi il J\ per lo £ ti
parerà egli posto giti JlovVTl TO ÌOV, cioè a chi lega, e ferma ciò, che
cantina, onde auco- Digitized by Google ) 6 . (
ra è do 1 nominar»! J \iynSJ\s(. «tto.-Che, o Socrate «dèi
\wnn,£'jn8vyilXI, cioè del piacere, del do- lore, e della cupidità, e del
rimanente di cotal sorte? 'soc. — O Ermogene, non mi paiono troppo
oscuri; per- ciocché a’c/lov», cioè il piacere ha questo nome,
dimo- strando quella azione, la quale tende alla ov*cr/V, Cioè «dia
'utilità: ma il J\ aggiunto fa, che in vece di tjuello, che è|,op» si
proferisca Dc/bA.», ryv7r#, cioè il dolort pare che si nomini da^^At/ireaff
to? <r&'ft«T0W cioè dallo scioglimento del corpo; dissòlvendosi
egfi con cosi fatta passione, e xVÌX cioè * a tristezza è
quella, ■ , , ■ / che impedisce 7o teVXl, cioè l’andare
A^ye e/l£i>v, cioè il cruciato par nome forestièro detto da oc^yeiVOV'
oJlvì/n poi, cioè il dolore, e FaSlitione si denomina da e Vc/lu—
&BCo$ THS Al/TT»?, c! °è dall’ entrar del dolore, erm. —Apparisce,
soc.— a ‘yJtiJlÒV, cioè il dispiacere chiaro è ad ognuno che e
assomigliato il nome alla gra- vezza del portamento, ma ^ctpx cioè
l’allegrezza, e la letizia par, che sia chiamata da J\ loc^vireus, c '°è
dall* facilità evTTOpixs cioè del movimento dell’anima. Si cava T }
p'M St cioè il diletto da Tg/>4.t?, cioè dal di- lettevole; maT-gp^j^ydaTÒ
rspJWoy da JìtXTÌS £pr\-e&)$, cioè dalla inspirazione del
diletto aell’auinia. Sicché meritamente si chiamerebbe tpTrrovi,
' ) ( cioè inspirante; ma dal progresso del tempo il è
di- venuto a t«/>TTV 0». Per q ual cagione si dica cioè
l’allegrezza e vigoria non è bisogno renderne con- to, essendo manifesto
a chiunque trarsi questo nome da efò, che si dice èv TOÌS TrpxypLXXI
TtV ffvp Hpepsa<pXI, cioè perchè l’anima si porti bene con le
cose, onde si dovrebbe chiamare et/tpEfOtrufl, nom- dimeno l’appelliamo tvtppotTOVIV.
Egli non- ,è poscia • • difficile d’assegnar ciò che si voglia i'juSvpHX,
cioè il desiderio, conciossiache questo nome dimostri la for- za
tendènte Bnr ) T jy et/fxòv, cioè all’ira; ma $^9' cnrò TI? Bvaeus, *xì
leaeas, cioè dal furore, e dall’ ardore dell’anima, ipepoS e/)è poi cioè
il desiderio fu chiamato rÒ [ia\t<rTX sAkovtj t*V oj-t/jc.»» pò,
cioè dal flusso, che tira l’anima massimamente, perchè da quello
che ìepieVOS pel, cioè incitato' corre, e desi- dera le cose e tira in
colai guisa grandemente l’anima, J\lX TtV etri r TtS pois, P er lo
empito, ovver incita- mento del corso. Da tutta questa forza è chiamato
"ipLBpoS, Oltre ciò è chiamato -j^oBos, cioè desiderio; perchè
ve. raraenle non risguarda la soavità presente come fytg/JOl/, ma
di quella vede che altrove si trova, ed è assente, pnjle si dice ttoSos,
'* quale quando è presente ciò che si desidera si chiama 'ipitpos, «sente
votQS, sptaS, Digitized by Google )63 ( poi
cioè l’amore: perchè eitrp$i 6%a$6V, c '°è influisce dal di fuori nè è
proprio questo pon f cioè corso di chi il tiene: ma per gli occhi infuso.
Sicché si chiamava l’amore dagli ontichi nostri da gg-pg??, cioè
dall’in- fluire tapo$, Cl0 ^ in rt uen * a » valendosi doì dell’ o
per Ma ora si dice gpaj per lo cambiamento del o nel & Or che
ordini tu, che si consideri di poi? erm.— J\o%X, c ' 0 ^ * a °P* n ' one
> e certe altre si fatte cose, onde hanno esse i nomi? soc.*-Si
dice J\o£oc, o da cioè dall’investigazione, con la qual ca- mbia, e
segue l’anima investigando la coudizion delle cose, o da -j-jy TO^OU
JèohìSt cioè da ^° scoccar del- l’arco: ma quinci pare più tosto, che
dipenda, | omeri J, cioè la stimazione a ciò consona, assomigliandosi
all* entrar dell’anima in qualunque cosa, il qual dichiara ciò che
sia qualunque degli enti, cosi come e jgot/A*, cioè lo volontà si dice da
»l*Ho scoccare, • TO £0VÀE<r8*<, cioè a volere P er ,0 sr
°"° del toccamento, significa ancora $<f>lecr$ttl, c,oè
ll desi ' derare, e j?ovAst/«<rS«l, cioè 11 con8Ì 8 1,,re ’
Tulte t l ue * «te cose seguenti la opinione pare che siano simula-
ci T«J jgoÀ»5 del ,iro ’ come '* conlrario » «jSowAi*, cioè il scoccar a
falli apparisce certo, difetto impo- tente *1 percuoter, come non abbia
tocco il segno, nè conseguito ciò che voleva, e di cui si consigliavo,
e Dìgitized by Google mr
desiderava. zrm;-P6fc, chè tto metti- insieme questi nomi più
frequenti, si che ornai facciasi fine favoren- doci Dio. Oltre di questo
desidero, che mi sia dichia- rato ciò che sia oCVXV.il, e 6X0U<r(0V
cioè la necessità^ e il volontario? soc. — Or to' gKOi/fftOV, cioè il
vo- lontario TO 61 K 0 V, K«ì ft« ocrf ITl/TTOt/V, Cl °è chi ced^
nè contrasta, ma ubidisce a chi camma sarà dichia- rato con questo nome, che
si fa secondo il volere. Ma TO av«7K«tOV cioè il necessario, e il
rimanente essendo fuori della volontà verserà intorno allo errore, e
alla ignoranza, è assomigliato t5 K 0 !T ÒtTot Sc'/VH TCopstOC,
cioè al camino, che è nelle valli, perchè essendo esse malagevoli, e
aspere a passarsi, e dense (V^stTOt/ JeVflft, ritengono dal caulinare.
Quindi dunque fu peravventurà chiamato avcc'yxcclov cioè necessario
assomigliato al cam- mino che si fa per valle. Ma fin che abbiamo possanza
non ci manchiamo sicché ne ancora tu non voler cessare: ma interrogami.
ebm. — Ora io addimando quelli, che son grandissimi, e bellissimi
tdv T6 Oi\^^BlXV, c ‘° & >- • • > l la verità
e t 0 cioè la bugia, e to oy, c,oe l’ente, e 0V0fi« cioè il nome di
cui ora trattiamo, per- chè tenga questo nome. soc. — Chiamami tu pcc!
ecrBxt, alcuna cosa? ebm.— In vero chiamo lo investigar^,- soc. —
Egli è avviso, che questo nome sia generato da quel sermone, onde si dice
esser oy, cioè l’ente, di cui il Digitized by Google
) $5 * nome è investigaiipnfc, il che, pii»,, chìqramat^
con^- prend erai. Per cert,o In quello che, noi; t}icjwò TOtì voj
Utr O-TOl/, cioè nominato esprimendosi qui ciò, che sia no*
•® es ‘ <x\nBelX pòi cioè la verità pare che sì eorapongi ancora
come gli altri, perciocché il 'portaménto ‘cfivi- . a-ji'
•»!*.? no «n, > dell’ente par che si
dica con questo nome QÒpx, w«>; i.i ri ■ ’ r i otatf ;oq[ no«' r
ft. r ql« essendo quasi flst« Oliffflt «A», c,oe certa >
div,na in' ,n t>. et «MI scorreria: ma il
>J,sV(/|o5, c ‘°è bugia, £ al portamento. Perciooehèdi nnovo si
disprèggi* quello, che vien’ ritenuto, e costretto; a star quieto* ed è
asso» migliàio T<) f ? K*9*v^óy<rl, cioè ai * hi dòrmonoi
uid lo 4, aggiuntò occhila il senso del nome, ov pòi e 0 t/tì"
ioti cioè l’ente, e la essenza si confanno con «Aot/^st, c
'°^ ó! .. ,1. 1 1 tip II .10105 5 ; ‘"Iti» eoi
vero, gettando via il / perchè significa iptfp ( C'oè lo andante, e
di nuovo' tq 6K0V il wn C*U e » come il nominato alcuni
oi/Ktov> cioè che 'non va. sart.— Q Socrate, mi è avviso, che rimilo
fortemente' tu abbi» ventilato questi nomi: 'ma se alesili) li
addiniandassè di questi t# tOV, TO p’eOV,KO U Tft (Httl/V tosse U
retta loro interpretazione, che principalipenle 1» ris* ponti eremo
noi ? i 1 tieni tu forse? soc. — Teugolo certo. In vero poco fa .tei
sovvenire un non. so che, coir la cui risposta pare a noi di risponder
alcuna cosa, san» — Qualej è cotesto? soc.— Che diciamo, chesia
Barbarei ciò, che non conoSeijdno,- perchè forse sono daddovc-
>«( re io parte tali, e malagevoli da ritrovarsi i
nomi pfi- mieri per. l’antichità; perciocché «torcendosi i nomi per
tatto, non sarebbe maraviglia niuna, «e la voce an- tica colla nostra pareggiata
non fosse niente differen- te dalla voce Barbara, erm. — Non e fuor di
proposito ciò, che tu db soc.— Dunque io apporto cose veri- simili,
non per tanto perciò pare, che la contesa am- metta la scasa: ma
sforziamoci di investigarli, e con- sideriamo in colai guisa, se alcun
sempre cercasse quei verbi, per li quali si dice il nomò, e di nuovo
pro- curasse di saper quelli, per li quali si dicono i ver- bi, nè
ciò facendo cessasse, forse non sarebbe egli ne-, eessario, che alla fine
si stancasse il. rispondente? brm. — À me par si. soc.— Dunque quando
cesserà merita- mente colui, il qual nega la risposta? o non quando
a quei nomi pervenirà, i quali sono quasi elementi del rimanente, cioè
de’ sermoni e de’ nomi? in vero se in colai guisa ne stan' essi, non dee
parer piò, che d’al- tri nomi siano composti, come per esempio
abbiamo detto poco fa che to otyxS OV, cioè d bene fosse com- posto
da ecyxtTTOv, cioè del mirabile, e $ov, tì °à del veloce 3eOV P°* cioè il
veloce, diremo noi che co- sti d’altri, e essi da altri: ma se alcuna
volta a quello perveniremo, che più oltra non si forma d’altri
nomi, meritamente diremo noi di esser pervenuti allo elemen- to, nè
piò oltre faccia mistieri, che’l riferiamo ad al- tri nomi, bum.—' T u mi
parj di parlar bene, soc.— O Digitized by Google
)}&] { • non sono quei nomi elementi» i quali tu ora
addì- mandi? e fa egli bisogno che altrimenti si consideri la retta
interpretazione? sbm.— Ciò è verisimile, soc. — Ve- risimile certo, o
Ermogene. Per la qual cosa tutti gli antedetti pare, che siano a questi
ascesi, e se ciò se ne sta cosi come mi pare, or di nuovo considera
con esso meco afline per avventura non impazzisca, men- tre tento
di dichiarare la retta inlenzion dei primi no- mi. zbm. — Di pure,
perciocché io vi penserò secondo il potere, soc.— Io stimo veramente, che
in questo tu assentisca, che una sia la retta invenzione di qualun-
que nome, e del primo, e dell’ultimo e niun di loro in quanto nome discordi
dall’altro, ehm.— Si. soc. — E nondimeno la retta invenzione de’ nomi, i
quali poco fa riferito abbiamo, voleva esser certa tale, che
dichia- rasse, quale si fosse qualunque degli enti, ehm.— Senza
dubbio, soc.— Questo veramente non dee convenir manco o primieri, che agli
ultimi, se sono per dover esser nomi, ebm.— Al tutto, soc. — Ma gli
ultimi no- mi, come è avviso, potevano fornir questo per li pri-
mieri. ebm. — Apparisce, soc. — Stiano le cose jcosì. Or i primi, a quali
altri ancora sottoposti non sono, in che modo secondo ’I possibile, ci
dichiareranno gli enti, se deono esser nomi? rispondimi a questo. Se
non avessimo voce, nè lingua, e avessimo voluto dichiarar
Vicendevolmente le cose, non avremmo tentato noi co- si, come i muli al presente,
di significarle colle mani, coll* tetta, e col rimanente del corpo? ibm.-
Non al- i ;> i iiit k ' ci : •» Digitized by
Google ! !>«M Ili menti, o Socrate,
soc. — Ma, come io penso, se voles- si ni o dimostrar il supremo, e il
lieve inalzeremo le •mani in. verso al cielo, la stessa natura delle cose
imi- tando: ma se le inferiori, c gravi le rivoglieremo alla terra;
pia oltre dovendo dimostrare un cavai corrente; o alcun altro animale, tu
sai, che da noi si sarebbe fin- to i gesti de’ corpi nostri, e le figure
quanto più presso alla loro somiglianza. erm.— Ciò, che tu dì mi
pare necessario, soc. — la questo modo, com’io penso, con lo imitar
il corpo, si sarebbe con queste parti di cor- po dimostrato quello, che
chiunque avesse voluto di- mostrare. erm. —Così certo, soc. — Ma poiché
voglia- mo dimostrar colla lingua, e colla bocca, nou si fa cosj
finalmente la dimostrazione da queste se per esse d’in- torno a qualunque
cosa si fa la imitazione? erm. — Io penso necessario, soc. — Sicché, come
apparisce, è il nome imitazione di voce di quella cosa, la qual
imi- ta, e nomina chi imita con la voce, erm — Il mede- simo mi
pare ancora si sia detto bene, erm — Perchè? soc.— Perchè saremmo
costretti a confessare, ohe ques- ti imitatori di pecore, e di galli, e
d’altri animali no- minassero le stesse cose, de’quali si imitano.
*hm.-— Tu pnrli il vero, soc.— Non pare a te, che stia ben questo?
erm. — A menò: ma o Socrate; qual’ imitazione sia il nome? soc.— Non tal
imitazione, qual è quella che si fa per la masica tutto che si faccia
colla voce: nè delle stesse ancora delle quali la musica eziandio è
imitazione; non dicendo noi, conio è avviso, la imi ta- llone per la
musica. Ma così mi dico, li trova egli Digitized by Google
iti quaizfnqtre cosavoce, *v figura, e in motte color an- cora?
twm^kd wgnf modo.'- SOC. — Dunque se alcuno queste imitasse, intorno a
queste imitazioni non si ri Irorarebhe io facoltÒdel nominare, essendo
altre d’esse la musica, 1 altre lo dipintura; non è egftì 1 cosi?
va*». — Veramtfhte. soc, — Che a questo? non pensi ta, che
qualunque coso tenga còsi la essenza, come if Colore, e le altre cose,
che abbiamo detto dianri? o hon si ritrova egli* ntìl colore, e nello
vóce certa essenza e in qualunque altre cose, che so n degne della
denominazio- né dell’essere? ehm.— A me parsi, soc. — Che duh"
que è se alcun fosse possente di imitar con lettere, e con sillabe la
essenza di qualonqdé còsa; non dichia* rerebbe egli ciò, che fosse qualunque
'Cosa, o pur nò. soc.— Qual diresti tu, che potesse far
questo? tu gii antedetti' parte chiamavi' mùsici, parte dipintori:'
ma costui, come il Chiamerai tu? "e»w\— Mi par, o So- crate, che
egli sia l’autore del nominare 1 , ’ ! il quale già molto cerchiamo, soc.
— Se questo ò vero, ò-òggimni da cònbiderarsi d’intorno à quei nomi, che
1 ; tu ricer- cavi pouj, c ioò del flusso, levai dell’andare,
a-^e<reo£ della retenzionc, se daddovero imitino la essenza,
ovver nò colle lellere, e colle sillabe loro, ras:.— Al tutto, sóc.
— Or vediamo se questi soli sono i nomi primie- ri, o ne siano ancora
altri molti, In vero io sti- mo degli altri, soc.— E cosa
verosimile. Allo perfine, qual maniera sia della divisione, onde
incomincia ad I i Digitized by
Google ) 7° C( imitare, chi imita, non giova
egli primieramente, eh* » distinguano gli dementi; poiché si fa la
imitazione dell’essenza con lettere, e con sillabe? come chi si
maneggiano d’intorno a ritmi, distinguono primiera- mente la virtù degli
elementi, poscia le sillabe e in colai guisa, se ne vengon essi alla
considerazione de' ritmi, e non prima, ehm. — Così è. soc. — Onon fa
pri- mieramente mistieri, che ancora noi distinguiamo le let- tere
vocali, dopo il rimanente secondo le specie, cioè le mutole, e quelle,
che non rendon suono? parlando- ne iu colai guisa gli uomini eruditi, e
di nuòvo le non vocali: nondimeno non al tutto senza suono? e le
specie vicendevolmente differenti delle vocali: e poi- ché avremo ben
diviso tutti questi enti: di nuovo fa mi- stieri ebe popiamo i nomi, «
consideriamo se sono quelli, ne’ quali si riferiscono tutte le cose come
elementi, da' quali eziandio lecito è, che essi si veggano e se si;
contengano in loro nel medesimo modo le specie, co- me negli elementi.
Considerale bene queste cose tutte,' fa mestieri, che si sappia apportare
qualunque di loro, secondo la somiglianza; n se una aduna sia
daappor-. tarsi, o molte da mescolarsi, come i dipintori in va-
lendo assomigliare alcuna volta applicano il color pur- pureo solamente,
altra volta qualunque-altro. colore, al- tra volta ne raescolauo molti,
conta quando vogliono figurare la imagine somigliantissima all’uomo, o
al- tra siffatta cosa in quanto ciascuna imagine ha bisogno di ogni
colore, non altrimenti ancora uoi accommo- Digitized by
Google > V •( deremo gli elementi alle cose,
e l’uno all’uno, ove ps- rosse, che facesse bisogno, fornendo Ta
cioè i segni, i quali son detti sillabe. Le quali poiché
avre- mo congiunte di compagnia, e di loro formati i nomi, e i
verbi, di nuovo fabricberemo de’ nomi e verbi cer- ta gran cosa, e bella,
e intiera. E così come si ft li con la dipintura l'animale, così qui
chiameremo orazione fabricata, o colla perizia del nominare, o colla
retlorica, o con qualunque arte, che ciò si faccia, anzi non faremo
questo avendo noi in parlando trasgredito la misura pet* ciocché i vecchi
cosi composero, come si è ordinato.' Ma fa a noi mistieri, che
investighiamo tutti questi in cotal gnisa, se pur siamo per considerarli
artificiosaroeo- l«, distinguendoli così, o se siano posti i primi
nomi come conviene, e gli ultimi, ovver nò: ma lo annodarli al
rimanente è da vedersi o Ermogene amico, che per avventura, non sia
errore, nè secondo il dovere, zaii - Peravveutnra si per Giove, o
Socrate, soc.- Che don- que ti confidi tu di te stesso di poterli
distinguer in questa maniera? perchè io mi diffido potere, ehm— lo
mi diffido molto piò. soc.-— Dunque li dobbiamo lasciar noi? o vuoi tu,
che comunque siamo possenti faccia- mo esperienza, e incominciamo se si
possa da noi co- noscer certo poco di queste cose, dicendo davanti
a* Dei così, come poco fa abbia lor detto, che noi non conoscendo
nulla di vero, congetturiamo le opinioni degl, uomini d’intoriv, ad essi:
cosi al presente anco- ra seguitiamo, predicendo parimente a noi stessi,
che ) r*'C •« fosse atil cosa chfe si
distinguessero o d’alcun altro* * 4 * noi, cosi sarebbe mistieri, che si
dividessero: ma .ya» come si dice, converrà, che noi trattiamo que*
sto, secondo il potere, ti par egli posi, o come di tu? erm.— C osi forte
mi pare, soc.— O Ermogene, io sti- mo, che sarebbe per parer cosa
ridicolosa, che le cose •i facessero manifeste con la imitazione fatta
per le let- tere, e per le sillabe; nondimeno necessario è, non a-
vendo noi niente di questo miglioro, al qual riferen- do giudicassimo
d’intorno alla verità d e> noroj primieri, se peravventura, come i
tragici, qualora dubitano ri- corrono alle machinazioni innalzando i Dei,
cosi an- cora noi non, ci . espedissinv* tosto questo dicendo; che
da’ Dei siano posti * primi nomi, perciò siano stati or- dinati be«e.
Duuqne questo parlare sarà egli ottimo presso noi, Oiquello che gli
abbiamo ricevuti da alcuni barbari, essendo i barbari di noi .più
antichi, o per la vecchiezza non li possiamo discernere cosi come i
nomi barbari ancora. Questi sono schermi, o leggiadri al di chiunque non
vogliono render la diffinizione della imppaiaiono retta de’ primi nomi:
perciocché chiunque non tiene la retta diffinizione de'prirui nomi, non
può conoscer i seguenti. Questi per certo sono da dichia- rarsi da
quelli,, de’ quali non è alcuno, che ne sappia nulla. Anzi chiaro è, che
chi fa professione della pe- rizia de* seguenti, abbia compreso gli
antecedenti inolio prima, e perfeltissimamente li possa dimostrare,
ma altrimenti dee sapere, che egli sia per prender errore
Dìgitized by Google ) 7* ( ne’ seguenti; c
siimi tu in ultra guisa? ehm.— N on al- trimenti, o Socrate, soc.— Le
cose dunque, che io sento d’intorno a' primi nomi mi è avviso, che sinno
cose ingiuriose, e ridicplose, e se vorrqi con esso teco le
conferirò: ma se tu ritroverai cosa migliore, eziaudio tu Con esso meco
la' comruunicherai. erm.— Farollo; ma dì oggimai con fidanza; soc.—
Dunque, primiera- mente jl p pare a me, che sia come stromento del
movimento tutto: ma perchè tenga questo nome non l’abbiamo detto: ma
.phiaro è, che vuol esser (eirtS", cioè andata; perchè non si
valevamo noi, per lo- adie- tro del jj- ma dell' 8) egli significa il
principio {la it/str. cioè t'andare, il qual è nóme forestièro; è
egli' lo f e yJj : ‘il j r r j ■ . v ' . r cioè lo
atiflarè.- Sicchè^sè 41 prifnt? nóme* di luì si ri- trovasse iraspaptalb
nella voce nostra, bene Ye-rtC si chiamerebbe.' Ora poi chi' K/6/V
nome fòre- stiero, e dal riiutaniento del « e' dal frammettersi
il * , , ‘ y si chiama Ma faceva bi so gii oidio qi
dices- , • !•' • ' ir. t>-| ii -, j — se k ieiveei?,
ovver eitr/j, * c/|s <xrxais, c,oè *° stare h ;•«..» . ;, v
"T A'vumsori'.moi . ! vuol esser negativa di temi, cioè
dell’audare: ma per 'fiiijs qfeoa •••unric yi. H causa
di oruainento si , chiama Di >080^0 il p elémento, parve come
ora diceva* opportuno stromento del moto all'autore de’ nomi per esprimer
la somiglian- za del, portamento perla qual.cqsa'uso il p pec tutto
alia espressione del movimento.- Primieramente T £ 6
Cr. Digitized by Google I )
74 ( p e 6 1 V K«ì poti, cioè ne Ho scorrere, e nel flusso
imita il portamento per la lettera p poscia nella voce •jrpoy.n
cioè tremore, e nel Ypxyjs.1, cioè nell’aspero, ancora nelle parole di
colai sorte ^poveiV >1 percuoter, Spxvsiy il romper fpln$iy il tirare
SpvTTT&lV rompere, xeji«T t? tagliare in pezzi pspjSeiy,
vacillare, tutti questi per lo pili figura per lo p conciOssiache, io la
lingua nel proferir questa lettera non ritarda niente, anzi pili
tosto si commove. Sicché egli è avviso, che si abbia servito del p
principalmente alla espressione di que- ste cose. Eziandio in tutte le
cose tenui penetranti massimamente per tutto si ba servito del t;
laonde imita per lo / jofapjCI, KCc'l 70 UcBx, cio « l’andare, e il
far progresso, come ancora per lo q e ^ e e £ le quali lettere sono di
spirito pili veemente. Cose si fatte ci esprime l’ autor del nome, come
per esem- pi 0 TO 1° C08a fredda yo ( 90V , la bogliente, 70
<rele<r9xi, i 1 commoversi, e al tutto <rej<r{iov, cioè la
commozione; e qualora l’ordinatore de’ nomi vuol imitare alcuna cosa
spiritosa per lo pili impone let- tere si fatte. Oltre ciò la strettezza
del </| del y, e il tirar in dietro della lingua come attaccata, pare
che sia estimata molto opportuna alio esprimer la potenza del legame,
e dello stare, e perchè nel proferir il ^o- KiaBxmt y.x\ia'7ct ÌVKÙ77X,
sdrucciola la lingua •1 ^ • \ Digitized by
Googl ) 75 ( • massimamente, perciò con questo come da
certa somi- glianza nominò TfltTfiAfi tot * e cose piacevoli, e
«TOUTO «A/<r0#/veiV lo sdrucciolare, e T0 \nrxpov «1 grasso
H«< TO KoAAà^le?, cioè quello che ha virtù di con- glutinare, e le
altre cose di sì fatta sorte. Ma perchè il «y ritarda la lingua, che se
ne scorre, imitò to V A/o-J^.o» >1 lubrico, T0 «yA^KU *' doIce
tt*ì J^Aottà- cAbs, e il viscoso. Di nuovo avvedendosi
dell’interno * suono del p con lui nominò to 6»dlov,
K«tì TO 6VT0J, cioè le cose interne, qnasi assomigliando le opre
alle lettere- poi diede ja fts'yotAw, cioè al grande e t£ p*K6l, c
*°è “Ha lunghezza perchè sono lettere gran- di: ma ffTpq'y'yuA^ c *°ù
rotondo, avendo egli biso- gno dell’ o, per lo più nel nome lo mesoolò. E
nella stessa guisa 1’ autor del nome pare, che si sforzi di ac-
commodar a qualunque ente segno, e pome secondo le lettere, e le sillabe,
e da questi poscia comporre il ' rimanente delle specie secondo la
somiglianza. O Er- mogene, mi pare che questa sia la retta
interpretazio- ne de’ nomi, se non apportasse Cratilo alcun’altra
co- sa. ehm. — E pure, o Socrate, spesse volte mi trava- glia
Cratilo, come ho detto da principio, mentre af- ferma, che vi sia alcuna
retta interpretazione di no- mi: ma nondimeno quale ella si sia non la
dice chia- ramente in guisa, che io non possa conoscere se egli
volontariamente lo faccia, o pur nò; cosi ne parla sem- 6 *
) 7 6 ( prc d'intorno ad essi. Dunque, o Cratilo,
dimmi ora alla presenza di Socrate, se ti piace il modo, con cui
egli ne parla d’intorno a’ nomi,' o Se tu puoi dire io altra miglior
guisa, il che se puoi il dirai a line, che o da Socrate tu impari, o
ammaestri nmhidue noi. ca. — Ma che, o Ermogeuc? ti par egli ogevol cosa
rap- prender in cosi poco tempo, c lo insegnare qualun- que cosa
noti che una cotanta; la qual d’intorno alle grandissime è stimata certa
grandissima cosa?’ ersi.— Per Giove nò, anzi io stimo, che Esiodo abbia
par- lato bene, che utile sia l’aggiuguer il poco al poco. Sicché
se tu sei possente al fornire alcuna cosa se ben picciola, no il
ricusare: ma giova a Socrate, ed a me appresso, dovendolo tu fare, soc.—
In vero, o Crati- lo, nè io stesso affermerei niuna di quelle cose,
le quali dianzi ho raccontato. Ma iu quel modo, che mi parve ho ciò
considerato con Ermogene. Laonde pren- di ardir in esprimere, se hai
alcuna cosa migliore, co- me io sia per ricever volentieri ciò, che
dirai: non- dimeno nè mi meraviglierei se tu potessi dire alcuna
cosa di queste migliore, parendo a me, che tu abbia considerato siffatte
cose, e imparatele da altrui. Duo- , que se da te si dirà alcnna cosa
eccellente; mi an- novererai fra tuoi scolari intorno alla retta
investi- gazione de' nomi, cr.— Per certo, o Socrate, questo tu di,
mi fu a cuore, e ptravvenlura ti farei scolare, nondimeno dubito, che la
cosa se ne stia incontrario ad ogni modo, perchè mi sovvieue di dir in
certa ma- Digitized by Go 5 > 77 (
niera lo stesso in verso a te che disse Achille ne’ sa- crifici in
verso od Aiace. O Aiace, nato di Giove, fi- gliuolo di Telamone, re di popoli,
tu hai proferito tutte le cose secondo il mio parere. Ancora tu, o
So- crate, pare che indovini secondo la mente nostra, o essendo tu
inspirato da Eulifrone, o ritrovandosi in te alcun’ altra musa, il che ti
era ceialo innanzi, soc. — O Grati lo, uomo dabbene, ancora io ammiro
già molto la mia sapienza, nè mi confidi troppo. Sicché . io stimo
che sia da considerarsi da nuovo ciò clic io mi dica, essendo gravissima
cosa lo ingannarsi da se stesso; perchè come non fia cosa grave,
quando non è poco lontano: ma sempre presente chi è per ^ingannare?
sicché fa mislieri, come è avviso, voglicr- si spesso alle .cose
antedette, e come dice il poeta, tentar di guardar innanzi, e indietro
parimente. Or al presente vediamo ancora ciò che si è detto. Ab-
biamo detto retta int» rpetrazione di nome ciò, che dimostra quale sia la
cosa. Mi dì, dobbiamo dir noi, che qitesto si sia detto bastevolmente? in
vero io l 'af- fermo. soc — Dunque si dicono i nomi percausa
d’inse- gnare? eh.— Al lutto. , soc.— Dunque dobbiamo dir noi, che
questa ancora sia arte, e mietici di le.? er.^Sì. soc. Quali? cn— Quelli
che da principio tu chiamavi facitori di nomi. soc. — Mi di, possiamo dir
noi, che questa arte sia negli uomini parimente come le al- tre, o
altrimenti? questo è poi quello, che io voglio I
dire. Sono egli alcuni dipintori peggiori, altri piti eccellenti?
ce. — Sono il. soc. — Non fanno gli ec- cellenti 1’ opere loro più belle,
cioè gli animali? in- contrario gli altri? ancora i muratori fan essi
pari- mente le case parte più belle, parte più turpi? ca. — Cosi è.
soc.— Gli autori eziandio delle leggi non fanno essi l’ opere loro parte
più belle, parte più turpi? ce. — Questo non mi par no. soc.—
Dunque non pare a te, che altre leggi siano migliori, altre peggiori?
ca. — Per certo nò. soc. — Nè anco come apparisce stimi, che altro nome
sia posto migliore, altro peggiore, cr.— Nè questo, soc.— Dunque
tutti i nomi sono posti bene. cr. — Quanti sono nomi, soe. — Che
del nome di Ermogene che si è detto di sopra? come dobbiamo dir noi, che
a lui non sia po- sto nome, se non, cheli compatisca
spfiov'yGVEO'EflJ, cioè, che sia della generazione di Mercurio? o
che sia posto: ma non bene? cr. — O Socrate, non mi è avviso, che
ancora gli sia stato posto: ma paia si: ma che sia d’altrui questo nome,
dì cui è la natu- ra ancora, che significa il nome. soc.-Dimmi, non
mentisce chiunque dice, che egli non si diea Ermo- gene non essendo da
dubitarsi, che egli non si dica Er- mogene non essendo, cr— In che modo
di tu questo? soc. — Forse perchè non è lecito al tutto il dir il
falso? e si suol significar poi questo il tuo sermone?
( Digitized by GoOgle > 79 (
perciocché, o amico Cratilo, sono alcnni ancora, che il dicono al
presente, e il dicevano già. ca.— Per- ché, in che modo, o Socrate,
mentre dice alcuno ciò, che dice, dirà egli quello, che non è? o non
è egli il dire il falso,, dicendo le cose, che non sono? ,soc.-0
amico,questo parlar è più eccellente di qnelche ricerca la condizione, e
età mia; nondimeno dimmi se paia a te; che alena non possa parlar il
falso: ma il possa dir sì. ca. — Nè dire, soc— ■ Nè ancora dir- lo,
nè chiamarlo? come se alcuno fattosi incontro prendendoti per la mano
iosegoo di ospitalità dices- se, Dio ti salvi, o Ospite Ateniese Ermogeoe
figliuol di Smicrione; parlerebbe egli questo, o si direbbe che
parlasse; a direbbe questo, o saluterebbe in colai gui- sa non te:, ma
Erraogene, o ninno? ca*— O Socrate, mi pare che costui gridi, ciò in
vano, soc. — Que- sto mi basta, dimmi grida il vero chi cosi grida,
o il falso? o parte il vero, parte il falso? perciocché basterà
eziandio questo. ca. — Io direi, che questo tale strepitasse,
indarno movendo se stesso, come se alcun battesse i rami. soc. —
Considera, o Cratilo, se in alcun modo conveniamo, non diresti tu forse;
che sia altra cosa il nome, altra quello, di cui è il no- me? cr.—
Veramente. soc. — Dunque confessi tu, che ’1 nome sia certa imitazione
della cosa? ca. — Sopra il tutto, toc —Dunque e le dipinture in certo
altro modo dì tu, che siano imitazioni di alcune cose? ca.— Per
certo sì. soc.— Or dimmi, perciocché forse i» non ) 80 ( ..
.. intendo, quel, che tu di.- ma tu peravventura parli bene;
polressiroo noi dispartire,, e portare ambedue queste imitazioni, e dipinture,
e quei nomi alle co- se, di cui sono imitazioni, o nò? cr.~ Possiamo si .
1 soc.— Or. questo considera primieramente, se potesse' alcuno
attribuire la imngi.ne dell'uomo all'uomo, e alla donna quella della
donna, e le altre nel medesimo modo? cr. —Così certo, soc. — Dunque iu
contra- rio ancora la imagine dell’uomo alla donna, e della donna
all’uomo? cu. L- E questo, soc. — Or ambe- due questi compartimenti son
forse elli, retti? ovver^ l’un di essi? cn. — L'uno dì. soc. — Quello
pen- so io, il qual dà il proprio, C simile a ciascheduno. cb, — A
me par sì. soc. — Dunque acciò tu e io es- sendo amici, non contendiamo
nelle parole, conside- ra ciò, che io djco. Io chiamo retto (
compartimento una cosa siffatta in ambedue le imitazioni e negli
ani- mali, e nei nomi: ma ne* marni non solo, retto: ma vero. Ma
l’altro conducimento, e portamento dal dis- simile non retto, e appresso
falso ne’ nomi. cr.—O So- crate redi che ciò peravventura possa solamente
ca- der nelle dipinture, che alcuno compartisca male: ma non nei
nomi: ma sia necessario che sia sempre bene. soc. — In che modo di tu?
d’intorno a che è questo da quelle differente? non è egli forse
possibi- le, che nd alcun uomo fallósi alcun incontro dica, *
questa è tua figura, e peravventura a lui dimostri la figura di lui
peravventura anche di donna. Dico es* Digitized by Googlè
) «» ( . sfcr il dimostrare 1* offerire a sensi degli
òcchi.' c».’ <*- Per certo. : soc. Ma che? di nuoto’ fattosi
all» stesso incontra dica, questo è il tuo nóme, essendo il nome
certa imitazione, cosi come la Figura; ma dico in colai guisa. Forse non
fia lecito a Ini di di- re questo è il tuo nome? poscia infondergli il
mede- simo nelle orecchie, peravventura dicendo la imita- zione di
lui, che egli è uomo, e forse la imitazione di- alcun genere umano
dicendo, che è donna? non pare a te: che ciò sia possibile, e si possa
fare al- cuna tolta? cr. — Te il voglio conceder, o Socrate,’ e
così sia. soc. — O amico, tu fai bene, se ciò se ne sta in cotal guisa,
perciocché al presente non fa’ mistieri, che d’ intorno a questo si
contrasti. Dunque sequivi,si ritrova on certo tal compartimento; l’
uno chiamiamo parlar il'vero, l’altro parlar il falso, e se questo
così se rie slà egli, ed è lecito, che non si conipartnno i nomi bene, nè
si rendano a qualunque i propri: ma alcuna fiata quelli sì, che non
sono propri; sia lecito parimente, che si l'accia questo neU le
parole. Ma se possiamo poner i verbi e i no- mi in cotal guisa, necessario
è, che similmente si póbgano ancora le orazioni, essendo esse, come
io penso componimento di .questi, o come di tu, o Cra- tilo? cr. —
Così parendomi, che tu dica bene. soc. — Dunque se assomigliamo i primi
nomi alle lettere con certa imitazione, pnò avvenire d’ intorno a
que- sti come nelle dipinture, che si diano confacevolt
Digitized by Google >8 M tatti ì colori, e le
figure: e medesimamente non li aggiungiamo tutti; ma parte, e parte ne
leviamo, a Li dimostriamo, e più , e manco, non è egli possibil
questo? cr. — Possibile sì. soc. — Dunque chi tutte le cose rende
concordanti, rende le lettere belle, e le imagini: ma chi ne leva,, o ne
aggiugne fa egli lettere ancora, e imagini: ma cattive, cr. — Per cer-
to. soc. — Ma che? chi imita poi la essenza delle cose per lettere, e per
sillabe, non fa egli forse la imagine bella secondo la stessa ragione, se
convene- voli rende tutte le cose? questo poi è il nome: ma se
mancasse poco, o vi aggiugnesse alcuna volta, si farebbe egli la imagine:
ma nou bella? sicché alcu- ni nomi saranno ordinati bene, altri in
contrario? cr. «. Peravventura. soc. -—Dunque fia questi peravven-
tura buon artefice de’ nomi, quegli cattivo? cr. — Ve- ramente. soc.
—Orerà costui facitor de’ nomi. cr. — Veramente, soc. — Dunque per Giove,
fia forse in questo come nelle altre arti, che sia un buon fa-
citor di nomi, l’altro cattivo, se pur fra noi conve- niamo nelle cose
antedette, ca. — Questo è vero: ma vedi tu, o Socrate, qualora diamo
queste lettere 1’ x o il fi, e qualunque elemento a’ nomi con l’arte
della grammatica, se li leviamo alcuna cosa, o li aggiu- gniamo, o
eziandio mutiamo, che da noi si scrive il nome, nondimeno non bene: anzi
egli non si scrive affatto.- ma incontinente è cosa diversa, se li
adiviene Digitized by Google ) 83 (
alcuna di queste cose. soc. * E da vederti, o Cratilo» che
peravventura non consideriamo bene, in cotal gai* sa considerandolo, cn.—
Iti che modo? soe.— PeraV- ventura quantunque cose, le quali necessario
è, Che siano, o non siano da alcun numero ciò patirebbo- no, che tu
di come il dieci, o qualunque altro nu- mero, che tu vuoit che se tu ne
levassi alcuna cosa, o la aggiugnessi, incontinente si farebbe diversa:
ma non è questa peravventura la retta maniera di alcuna qualità, nè
di tutta la imagine insieme: ma il con* trario; nè al tutto bisogna, che
la imagine tenga itt se qaalunqne cose lien quello, di cui è imagine,
sé pure è per dover esser imagine, e considera se io di- co alcuna
cosa. Saranno forse queste due cose, cioè Cratilo, e la imagine di lui,
se alcun de’ Dei non sola* mente esprimerà il tuo colore, e la figura,
come so- gliono i dipintori: ma farà eziandio tutti gli interiori
somiglianti a’ tuoi: la stessa tenerezza, é il calore, il moto, 1* anima,
la prudenza, e per abbracciar in po- che parole, tali affatto farà tutte
le cose, quali in tè sodo? dimmi questa tal cosa forse sarà ella
Cratilo» è la imagine di Cratilo? o due Cratili? CB.—Due Cra- tili,
o Socrate, come io penso. soc. — Vedi tu, o amico, che è da cercarsi
altra retta maniera di ima* gine, che di quelle cose, che abbiamo poco fa
det- te? nè si abbia a sforzare-, se alcuna cosa si aggiu- guesse,
òri levasse, che prh imagine non siti? 0 boa ti avvedi tu quanto manchi
aHe imaginì, che ‘tenga- ) m do te stesse cose, che ha
quello, di cui sono imft* gini? ,ca. — Veramente, soc. — O Cratilo,
nvvenireb- be da’, nomi alcuna cosa ridicolosa d’intorno a que- ste
cose, di cui sono nomi; se si rendessero loro somiglianti al tutto,
perciocché si fnrebbono doppie tutte le cose, nè si potrebbe dir qual
fosse l'una, o l’ altra di toro, forse la cosa, o il nome* cr. — Tu
parli il vero. soc. — Dunque, o uomo generoso, con fidanza permetti, che
altro de’ nomi sia posto be- ne, altro nò; nè voler far forza, che egli
abbia tutte le lettere,, acciò sia tale, quale è quello ancora di
cui è nome: ma permetti, che porti una lettera manco confacevole, e
se lettera, parimente è uomo nell’ora- zione, e se nome, che si porti
eziandio appresso nel parlar sermone non confacevole alle cose, e
niente manco si nomini la cosa, e si dica finché si ritrovi la
figura di ciò, di cui è il sermone, come ne’ nomi degli elementi, se tu
li ricordi, quello che poco fa io, e Ermogene dicevamo, ca. — la vero mi
lo ri- cordo. soc Dunque bene; perciocché quando vi farà
questo, benché non si ritrovino tutte le cose coufacevoli; nondimeno si
dirà ben la cusa quando saranno tutte: ina inale quando poche. Sicché
per? mettiamo, o beato, che si dica, acciò come coloro, che iu
Egina vanno vagando di notte forniscono tar- di il viaggio,, così paia,
che iu questo modo noi per- veniamo alle cose piò lardi da buon senuo del
do- vere; o ricerca alcun altra retta maniera d’ intorno /
Digitized by Google ) 85 ( al nome; nè
confessar tu, che sia nome la dichiara- tone della cosa fatta con
lettere, c con sìllabe: per- chè, se queste due cose dirai, tu non potrai
accorda- re, e convenir con te stessei. ex. — O Socrate, tu pari di
parlar bene, é cosi io assentisco, soc. - Poi- ché d’intorno a questo
Convenimmo si ventiti da noi il rimanente. Se dee esser il nome posto
bene, di- ciamo far mistieri, che si ritrovino lettere a lui de-
centi. ce — Per certo, soc. — Convien poi, che let- tere siano simili
alle cose, cm —"Sì. sOc. — Dunque quelli nomi, che sono posti bene,
cosi son posti: ina se alcuno non « posto bene, perawentura per lo
piu sarà di lettere convenienti, e somiglianti, se do- veri esser
iniagine; terrà poi ancora alcuna cosa noci convenevole, per la quale non
sarà buona, nè fatte bene: diciamo noi in cotal guisa, ovver
altrimenti! ***■ ” ® Socrate, io penso; che non faccia mistieri,
che contendiamo, non mi piacendo, -che si dica esser nome, nondimeno non posto
beile.- soc.J- Forse non-' piace a te, che il nome aia -dichiarazione di
'cosa! CJt — Mi pisce sì.' suo. —Ma' pensi tu', che non W sia detto
bene. Che parte siano i nomi de’ primi compo- sti, e parte siano i
primi?' cu. — A me sì. - soc—Or se deooo esser i primi significazioni di
alcune cose, hai tu forse più commoda maniera, onde si 'faccia
questo, che se si facessero tali, quali son quelle, coi se, le quali
vogliamo, che si dichiarino? o piultosttf ti piace, questa maniera, la
quale è detta da Erbo* 1 ) 86 (
gene, e da altri molti, cioè, che i nomi siano certi componimenti,
e dichiarino a chi composero le cose, e le conobbero innanzi, e ne sia
questa la retta ma- niera del nome, cioè il componimento, nè
imporli, se componga alcuno cosi, come si è oro composto, 0
incontrario? cioè come l ’ o picciolo, il quale ora o picciolo si
addimanda, si nominasse o grande: ma l’& f che al presente si dice o
grande, si dicesse o pie • ciolo? qual di queste due maniere piace a tef
ca.— Adognimodo, o Socrate, importo, che alcun dichiari con
somiglianza ciè, che vuole dimostrare: ma non con qualsivoglia cosa, soc,
— Tu parli bene. Dun- que non è egli necessario, essendo il nome simile
al- la cosa, che gli elementi, dei quali si compongono 1
primi nomi, per lor natura siano alle cose somi- glianti? ma così dico, o
si sarebbe fatto da altri la dipintura alcuna volta, la quale dianzi
abbiamo det- to simile ad alcuno degli enti: se i colori, di cui si
fa la iraagine non fossero per natura somiglianti a quella cosa , la
quale è imitata dallo studio del di» pintore? « è egli impossibile? ca —
Impossibile certo, soc. ~ Nel medesimo modo non si farebbouo i nomi
somiglianti mai ad alcuna cosa, se quello, di cui si compone i nomi non
tenesse alcuna somigliànzà di quelle cose, di cni sono i nomi imitazioni.
Quello poi, 'di cui si compongono i nomi, sono gli elemen- ti.
cr.-* Veramente, soc.— Oggimai fatti partecipe di quei sermone, del quale
ne è partecipe Ermogene pò- Digitized by Google >*
7 < co fa. Or dimmi, ti è egli avviso, che noi diciamó
bene. Che il p coovehisse al portamento, al moto e alla asprezza, o non
bene? CR.-Bene sii soc. — Ma A piano, e a! molle, e alle altre cose da
noi nar- rate? cr — V eramente. soc — Sai tu dunque che Io P
: chiama da noi ffKÀ*pOTl£; ma da Eretriesi
<rKAty>0T«£?. CR--Corto si. *oc.— Dimmi , se questi due p e+ paiono
somiglianti allo stesso, e dimostrano il medesimo cosi loro per la de-
terminazione del p f come a noi per lo ultimo o non significa
niente agli noi di noi? cr -Anzi il significa agli uni e agli altri, boc
— Forse in quonto sono somiglianti il p e il o in quanto
dissomigliane ti? ca— In quanto somiglianti, soc.— Dunque ìn quan-
to sono simili in ogni luogo? CR.-Peravventura al si- gnificare almeno il
portamento, soc. 0 il \ frames- so ancora dimostra egli il
contrario dell' asperità? CR—Peravventura, o Socrate, non è framesso
bene, co- me quelle cose, le quali tu trattavi dianzi con Ermo-
gene, mentre e levavi via, e ponevi le lettere ove massimamente facea
mislieri. E tu mi parevi dì far be- ne, e ora hassi a por forse il p per
lo soc. — Tu parli bene: ma che? al presente quando alcuno
prò- nuncia <rKÀ»/>oif, come dicevamo, non ci intendiamo
tranci? nè sai tu ciò, che io al presente mi dica? cr,- 0 amicissimo, per
usanza lo so veramente, soc. ) 88 ( Quando tu dì
usanza, pensi tu dir cosa diversa dal componimento? chiami tu altro
usanza, che quando 10 pronunciando questo, e considerando quello,
tu co- nosci, che io considero; non dì tu questo? cr. — Que- sto
stesso, 'soc. — Dunque se tu conoscessi questo pro- nunciandolo io, li si
fa per me la dichiarazione, cr. —Così è. soc. — Cioè dal dissimile
ili quello, che io pensando proferisco, poi che è dissimile il \ a
quel- lo, che tu chiami <rn?iHp OTUTflC, cioè asprezza, e se ciò
se ne sta così, che altro ha egli se non, che tu I con te stesso
sii convenuto? e ti si fa egli la retta tnaniera del componimento? poiché
cosile simili, co- me le dissimili lettere li dimostrano lo stesso ,
con- seguendo lat usanza , e il componimento ma se la usanza nou
fosse componimento, nou si potrebbe , dir bene ancora, che la
somiglianza fosse dichiarazio ne: ma usanza; poiché, come pare, la
dichiara colla si- militudine, e con la dissomiglianza. Ma, o Cratilo
poi- ché noi concediamo questo ( couciossiachè, io pongo 11
tuo silenzio per concessione) è necessario, che la usanza, e il
componimento appartenga alla dichiara- zione di quello, che considerando
diciamo, percioc- ché, se tu ottimo uomo volessi discender alla
cousi- derazione de 1 ' numeri; donde penseresti tu di poter ap-
portare nomi somiglianti a qualunque numero, se non permettessi, che la
concessione c componimento tuo tenesse alcuna autorità intorno alla retta
maniera do' X Digitized by Google
) »9 < nomi? eziandio mi piace, che i nomi in quanto è
pos- sibile, siano simigliatiti alle cose; dubito nondimeno, che
peravventura, come diceva Ermogene, sia in c^rto snodo lubrica la
usurpazione di questa somiglianza, e siamo sforzati a valersi ancora di
questa cosa trava gliosa, cioè del componimento d’intorno alta retta
ma- niera de’norai: percbè secondo il potere peravventura si
direbbe allora bene, quando si dicesse o con tutti, o similmente con la
maggior parte, cioè con conve- nevoli: ma sozzamente quando in contrario.
Or ciò ap- presso a questo dimmi, qual forza tengano appressa noi i
nomi o qual cosa beilo affermiamo, che si fac- cia da noi col mezzo loro?
cb.—O Socrate, pare a me, che insegnino i nomi, e ciò sia molto semplice,
cioè che chiunque sa i nomi, eziandio sappia le cose. soc. — O
Cratilo, tu peravventura dì alcuna cosa siffatta, che quando conoscerò
alcuno quale sia il nome (essen- do egli tale, quale ancora si ritrova la
cosa ) eziandio conoscerò la cosa, poiché è la cosa somigliante al
nome; essendo un’arte, e la stessa di tutte le cose tra loro somiglianti*
Da questa ragione indotto pare, che tu abbia detto, che chiunque conosce
i nomi, ancora conoscerò le cose stesse, cr. — Tu parli il vero,
soc.— Or vediamo qual sia questa maniera della dottrina de- gli
enti, la quale ora tu dì, e se piu oltre ve ne sia d’altra, nondimeno sia
questa tenuta migliore; o fuor di lei, non ve ne sia niun’altra, in qual
di questi due snodi pensi tu? ex.— Cosi io stimo, che nou ve oc
6 Cr. Digitized by Google ) 9 ° (
sia d’altra; ma questa sola, e ottima- soc. -Ma dimmi se questa
stessa sia la invenzione degli enti, che chi ba ritrovato i itomi, abbia
ritrovato ancora le cose, «li cui sono i nomi? o faccia ni isti
eri, che .altra maniera ' •„ r .1! i - . • • c si
cerchi, e si ritrovi; e questa si impari?, ca. — Sopra tutte le cose è da
cercarsi questa maniera, e ritrovarsi, soc. — Or, o Cratilo consideriamo
si, se a!cun mentre investiga la cose segue i nomi, considerando
quale dee esser ciascheduno. Consideri tu forse, che non sia
piccini il pericolo di non restar ingannato? cu. — in che mi'do? soc.—
Perché chi da principio pose i nomi quali stimò egli, che fossero le
cose, eziandio tali nomi pose, come diciamo, non è egli cosi? ca. —
Cosi affatto, soc. — Dunque se egli non pensò bene: ma li pose quali lisi
stimò, che pensi Ju, che sia per avvenir a noi, che lo seguitiamo? altro
forse, che di re- star ingannali? cn.— O Socrate, chi sà, che questo
non se ne stia cosi: ma sia necessario, che' quegli. sia Stato
scientifico, che pose i nomi, altrimenti come un pez- zo fa diceva, non
sarchbono nomi. Questo poi ti può esser di evidentissimo argomento, che
non traviò dalla verità l’au(o e del nome? che se avesse avuto rea
opi- nione, in moilo niuno tutte le co e non si accorderei)- bono
in colai guisa appresso di lui o non considera- vi ancora tu quando
dicevi; che tolti i oomi tendes- sero nello stesso? soc.— O buon Cratilo,
non vai niente questa difesa, perchè non è cosa sconvenevole, se da
.principio ingannalo ['ordinatore de* naini, tirò di uuq- \
Digitizecf by Google ’) s« f ^0 »
seguenti nbini con ceria fona si primo, e I* sforzò ad accordarsi seco,
come intorno alle figure, ri- trovandosi alcuna volta la prima figura
ignota e falsa, I* • . .'X.TTi « • : . . 1 : • le
rimanenti poscia essendo molte conviene, che inste- me Si
accordino; conciossiachè ciascheduno dèe dispu- tar molte cose' intorno
al determinare il principio di (]ualunque!tCOsa, e considerar
diligenlissimainente se il principio è supposto bene o nò, il che
bastevo) men- te esaminato, le altre cose ornai lo deono seguire.
Non- dimeno mi maraviglio, se i nomi couvegnano con loro stessi.
Perciocché considereremo da capo le cose di- nanzi da noi narrate, come,
che i pomi ci significhino la essenza, quàsi che l'universo vada, si
porli e scorra. Stimi tu fórse, che èssi significhino in cotal guisa,
o altrimenti.!^ cr.-— Cosi sì, e il significan bene. soc. — Sicché
consideriamo se assumendo alcuna cosa da loro. Primieramente questo nome
CTIffTtlftdt, c ‘°*“ di scien- za, come é egli ambiguo, e pare, che più
tosto signi- fichi, 0T / larniTìv etri tùìs Trptryftoctri rnv
cioè che ferma l'animo nostro nelle cose, che sia egli portato
intorno con esse, ed è meglio, che di- ciamo il principio di lui, come
ora, che gettando l’g dir TriffTtljiltV, ma frammettiamo in vece
del g il /. Pos- cia il jSsjSa/GV, cioè il fermo; perchè è imitazione
fix- o-eas Ttvog, hoc) (TTCUreas, c»°è di certo stabilimen to, e
state, che del portamento. Più oltre g’ tO’TOpt* Digitized by
Google ) 9» I Significa per certo questo, che
ciò, che poti» le 1 ™* ‘l corso e TOTTWTO», c*òè quello che sf ha a
credere, significa ad ogni modo tffTXV, c *°è «l fermare. Poscia) j
xytiym, cioè la memoria dimostra certo ad ognuno, che è nell'anima poM, c
'°è fermezza: me non agitazione: come per esempio, se alcuno rolesse
seguire i nomi 0 apiXpTix, ttfltt « ffV[I(pOpX, c * oè 1 ® errore, e la
calamiti; parerebbe di inferire lo stesso, che si riferisce -jr»
e-vvsirej sa) 6Trt<rT»ft», cioè *“ intelligenza, e la scienza, e gli
altri nomi, che posti sono alle cose serie. Ancora £ ec^x 3 ix, xaì rf
XKOfiKfflX, cioè la ignoranza, e la intemperanza paiono simili a
questi; perciocché £ xpixBtX pare, che sia 7-01/ x^ixBsu tOVTOS TTOpelx,
cioè il progresso di chi se ne va in- sieme con Dio: ma cctLOXxrix P are
•* tulto certa «KOÀov- glg' cioè conseguenza alle cose. Ed in colai
guisa quei, che noi pensiamo nomi t^i sozzissime cose pa- reranno
somigliantissimi a quelli nomi, che sono in- torno alle cose bellissime,
eziandio stimo, che si po- trebhono ritrovare d’altri molti, se a ciò
alcun atten- desse; onde penserebbe di nuovo, che l’autor de’ no-
mi significasse non cose correnti, e portate: ma per- manenti. cb. —
Nondimeno o Socrate tu vedi, che la maggior parte de* nomi significavano
in quel modo, «oc.— Che è dunque questo 0 Cratilo: annovereremo
\ Digitized by Google f )
93 { forse ì nomi qual suffragi, e sassettif e consisterli ?»
questo la retta maniera, cioè quat di queste due gui- se de' nomi paia di
significar pili, e questa sia la vera* Non convien nò. soc. — O
amico in modo miuno. ÌOr qui' lasciamoli:' ma consideriamo, se in
cotal guisa ci assentissi, •ovver nò. Dimmi non confessavamo noi
poco la, die -coloro, che ponevano i nomi nel Te città GrCche, e Barbane
fossero ■positori de* 1 nomi, é Ifarte, che ciò poteva ftossC de' nomi
postricé? cr — Al tutto slr «oc.— Or dimmi tu, chi pose i primi nomi,
"cono* scevan essi Ié còse, 1 cui ponevano i nómi, o non le
co- noscevaSo? 10 c*>. — Io penso, '0 Socrate, che Ie^etìno 1 -
scesseroi s oc;— Per certo, o amidó Crétìlo, non essèit* do essi
ignorami; cir.— Non rtìi 2 5 sdt.-iR'itòd niamo di nuoi-o colà,
Ondò si '^ipàrtimriro. Perciò po- sto fa dicesti-, se tu li raccordi';
èli® era tìeeessario,' che «hi poneva' i’WóWii conOSctìsè'Ié^'cbse/'cui
'tl penevai dimmi pare à- tu ancóra' ; cosV; hòP 'cit.4-Eziatf*
diO si; "stìd.'— ‘PeTavventura dllu'J'che chi pose i 'priì ini
nómi, cbuoscendòH 'H ponessé. '■ cA.- Conoseèndòlk soci— .Da’ quàlì homi
' avrebbe egli'imparato, o ritrova- to le cose,- ! sé Otti a fossero
ancora 'pósti i primi no- mi! e di nhdVo'tfibiamD nóij èhè sià’ Còsa
impossibi- le di ritrovar lé' èòSéj o impararle altrimenti, che im-
parando i nhiéi/’ ò per noi quàlì siWo 1 ritrovandola CR.— O SOcràte,’fnf
è avviso, che lÓ~dìcà alcuna cosa, toc-— Duriqóe io che ‘modo
‘dirémo''%iòi che essi sa- pendo abbiano posto ? ‘nomi! ossiatro dati
facitari dd’ )&< Domi insanii che si
ponesse qualunque nome, e abbia! solessi conosciate, le cote innaoti, nou
potendosi) «Ile «llmnenli imparare, che co’ oprm? c«.— In vero: io
pen- so, Soc Fate, che questa sia_ verissime ragiono, d’iniorjse
questo, che certa .potenza maggior dell utnaud sia stata qneHa, che
pn»e,^pri#»i homi ;fl!e cote, 4t maniera die aia necessario, chiosai tfi
pestiano bm»f.3,»«c.-4.Posc»a penti tu, che Fautpr de’ nptni li* abbia
ppsli contras ri a se stesso, o se fu egli alcun dtnipoe p Dio? o
pare fi r te, che di sopra da noi nop ,^;jgi»(deUo,aicn> te? ca. — Ma
chi sa, che gli altri j nqmj; non fossero di questi, soc. — Quali d*
questi due p , ottimo uomo e^ano. es s > forse di quelli* che, si
rifulgono olio sta? Io? o di quelli pi u,. tosto, che al mpviinputfe?
[ilrciocchè nou ancora si giudicheranno colla moltitudine seaon r
do , quello chq poco^a abbianao ^ttos ; ,^tf^CÌ0si con»- yjenfj p
^oprate. i u ^o«i e:dV cendo parje di essi .e^er siglili ajlfl. 1
.flfr fermando di so sa il^ medepi 6 &P ' ’.'U ‘ <d i
r torniremo noi?, ©, a chop^vfln^d^ -pgvfthè fcerlp #4 allri
nomi, da .qufstft <K»n;flSftr^rqgjq^»jjii^#r jepdpup. d’oltrg ma
( c^iarp g 8 »,qfe4 'WW HO fi. Cerca rp, perle, altpp c«tSf,^C.,^i
0 9hiM r W n 9 TO%- nifeste ^enaft^qiRijop. ci ^mustrer^ngp ^^Ojit*;,
de- gli epti^cjoè qapLdt questi due, , <y*.,-n-Coj. si . mi .parer,
Mfij-gp C‘V- 0 -i9f* l lKj c .3Bfia«lé ^.coy tf( guisa.pqssiappo,, comp
pa^iip^arj^ gli enti _5.eBXf «pmL. «h-rApjptfjjcp. sof.T^P^r- mezzo di
qual t)r Digitized by Google / )
95 ( tra cola pensi tu principalihénte, che ih possami * tip*
prender cose, è forse per mezzo di alcun’ altra, che per quella, che è
convenevole, e giustissima per U Vicendevole tomunicanza loro, Cioè se in
qualche mo- do sono insieme in parentela congiunte, e per toro
stesse msssimàtneute? perciocché quello, che è diver* ib da lord divèrsa
cosa significa ‘ non quelle. cu.*- A - me pare, che tu dVil vero.
ioc.-'-Deh d\, non abbia^ tìio noi conceduto già molte volte, che siano :
i nohàiy i quali Spn posti bene ‘similissimi a quelle‘‘Cose, d'i
cup Son nomi*, e imagini loèo? ’ Cr. -< Per certo l'abbiamo
conceduto, soc.— Dunque se lecito; è di imparar le' Cose per li nomi,i e'
per loro-stésse ancora, qual sa-' rebbe apprensione ‘più eccellente, e
più chiara: Corse' se dell’imiigine si imparasse, esprimendone ella
'beilo' la verità di oui è ella imagine, o più. 'tosto dalla ve^
rilà còsi ella, eome la imagine di 1 lei, se essa fosse fatta
Convenevolmente? ‘ Cri— Mi par ' necessario dalla verità- 1 Sòc.— Egli
Rppar fattura d’ingegno maggiore' del mio e del tuo, il giudicare in che
modo siano da • comprendersi le cose, o per dottrina, o per
invenaio- ne. Basterà poi al presente, che siamo fra noi- conve».
nuti, che elle non siano da impararsi,’ ie da cercarsi/ i da' nomi: ma
per loro stesse più tosilo.;' er.-i*Cos«i «p*v perisce, o Socrate, sóc.—
Appressò- considenaino/anco- ■« ri' questo, acciochè questi molti nomi
nello stesso/ tercw! denti ‘boa ci ingannino, avendo pensato, ehi fi
posero,/ •he Mute le cose corressero scazp(é, e . socrressi.ro, ci
Digitized by Google I Ì9 «f
«on quella considerazione «tendali polli, parendo • me, che
essi abbiano pensato in colai guisa. Ma se a caso, non se ne starebbe
egli eoa). In vero essi quasi sdrucciolati in certa vertigine vacillano,
e ai travaglia, no, e nello .stesso tirando noi, ci alludano. Perchè
con- sidera, o Cratilo, uomo maraviglioso, che io spesse voi* te
sogno, se è da dirsi, clic sia alcuna cosa il bello, e il buono, e Cosi
qualunque degli enti, oppur uò? ca. — O Socrate a me par si. aoc.— Dunque
consideriamo questo, se alcun viso, o alcuna delle cose silTalte
sia bella, parendo, che scorrino tutte: ina quello, ebe di-, ciomo
bello non persevera sempre tale, qu.de è egli?, c*.— Necessario è. soc. —
Dunque è possibil forse, cha, egli si denomini bene, se (ugge sempre, e
primieramen- te si dica ciò, che egli sia, poscia quale sia? o
neces- sario è mentre parliamo, che egli si faccia altro incon-
tinente, e si fugga, nè più sia tale? cr.— Egli è neces- sario. soc,— In
che modo sia quello alcuna cosa, ; che non se ne sta mai nella stessa
maniera? percioc-,. cbè se alcuna volta se ne sta nello stesso mod'>,
chia- ro è, che non si muta niente in qui 1 tempo, «die «c do sta
cosi: ma se slà sempre uella stessa guisa, ed è il medesimo, in che
maniera si potrebbe mutare, o mo- ver non diseostaudosi punto dalla sua
idea? cr.— tu modo ninno, soc.— Più oltre uè alcuno si conoscereb-
be facendosi altro e diverso incontinente, che se no ; vico quello, che
l’ idee conoscere. Sicché non si po- trebbe conoscer più, che, < quale
si sia, o come si ri- J Digitized by Google
trovai*®, ♦ per certo niiina c<jgoÌRÙ)taat$anosce 1* co*
sa, la quii conosce, non stendo ella;inalcuo modo» cu.— figli è coese tei
dii i socy7rMe,nè.onAOW* 0 CraltlPià verisimiln che sùdice
c©gi»iaioDe,,8e si nantanp tulle le cose, -e «ente^sù-ffetow-iChèise la
cognizione ppo ca« desse da quello, onde è cognizione, si f cr m erebbe
SCO* 1 * pre,* e sarebbe sempre qognixione. Ma;se essa Specie anr Cora
di cognizione 'Si' dipartisse, in altea^pecie passe* rebbe -insieme
ilicognitionenè cogniaìone starebbe» che sta' pdrileteamewtfe si 1 mutai
non sia sempre cognizione» d di ^aéSta' ragiorte,; no® 'sarài eli# nè
ciò», che» & per cò'dtfscel^i ttè fciè, éh« è r -per" dovérsi
poposoere: ma se ditèmprè'queito che conosce, >ed è qoelio ohe si
co* no sa e, «d è il bello, ed anche il buono, ed èoquàl*iB4 qnc
degli enti, non mi pare che ciò che diciamo al presente sia simile al
flusso ed al portamento. Or se questo se ne slà egli cosi, o come
dicevano i settatori di Eraclito, e altri molti non si può discerner
agevol* mente, non è ol^jtrid’qaaqèirfbf, jhp intelletto fidar se
stesso, e l’animo suo a’ nomi e raffermar sapiente l’ootore del nome; e
in colai guisa dispreggiar se stes- so e gli enti, quasi, che niuna cosa
sia vera: ma scor- rano, e cadano tutte, conHMewfcne; e qual gli
uomi- ni malati delle distillazioni della testa giudichi, che
iimilmeule si dispongano le cose stesse in modo, che si tengano tutte
dallo scorrimento, o dal flusso. Perav- veutura o Cratilo egli è cosi
peravventura è altrimenti ancora. Dunque egli si dee investigar questo
con aui- Mo fòrte, e heriefaron dovendoti ammetter ^erolmen-
te: perciocché ancora tu sei giovane, e ti à beetetole la età, e se
ritroverai alcuna cosa iti investigante), ezian- dio la dei Compartire
con esso meco. ca.— O Socra- te, io vi attenderò e saprai certo, che
ancor io al pre- sente non sto senza considerazione; anzi in
pensando,, e in rivolgendomi molte cose per l’animo, pere a me, che
se ne stieno elle maggiormente in quel modo, che. come Eraclito' diceva,
soc.— Da qui innanzi o amico poiché sarai ritornato, mi insegnerai: ma
qra come sei. apparecchiato vattene al campo; perchè ancora Ermo*
gene ti accompagnerà, ci.— -Si farà, o Socrate, come, tu ammonisci.' ma
d’intorno a quello aforzati ancora tu di considerare. Roberto Dionigi. Dionigi. Keywords: in torno al
cratilo, ermeneutica, svolta linguistica, cratilo, linguaggio, la forma del
linguaggio, forma logica. Nietzsche. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dionigi” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51766594608/in/dateposted-public/
Grice e Disertori – la tensione
dell’arco e il volo della freccia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trento). Filosofo. Grice: “I like
Disertori; especially his ‘studi platonici’ on the archer, and, ‘under the sky
(or is it heaven – ‘cielo’ is a trick) of Saturn!” Frequenta il Ginnasio liceo
Prati. Si iscrive poi a Firenze e quindi si trasferisce a Genova, dove si
laurea con “Fisio-patologia del sistema nervoso centrale”. Si trasferisce a
Milano e si specializza in neurologia e psichiatria con Besta. Torna a Trento,
dove esercita la libera professione: la carriera pubblica e ospedaliera gli era
preclusa in quanto privo della tessera del Partito Nazionale Fascista. Antifascista da sempre, negli anni quaranta
partecipa attivamente alla Resistenza, incontrando fra gli altri Reale,
Pacciardi, Battisti, Bacchi, e Manci. -- è costretto a riparare in Svizzera.
Finita la guerra ritorna in Italia e, a Trento, diventa primario nel reparto di
neurologia dell'ospedale Santa Chiara e docente sia di neurologia e psichiatria
a Padova, sia di socio-psichiatria e criminologia a Trento. Pubblica più di 300 saggi di filosofia. Per tutto il secondo dopoguerra si occupa
attivamente di politica, ricoprendo la carica di presidente regionale del
Partito Repubblicano. Diventa inoltre presidente della Croce Rossa.Altre opere:
“Il libro della vita”; “Trattato delle nevrosi”; “De anima”; “Trattato di
psichiatria e socio-psichiatria”; “Sfida al secolo, 1975. La collezione si
trova già chiaramente ordinata e organizzata dal Disertori stesso, con un ricco
carteggio con scienziati, personalità politiche e del mondo della cultura,
documenti sull'attività scientifica e pubblicazioni; cronache e materiali
raccolti durante i viaggi; recensioni alle sue opere e materiali di ricerche
scientifiche. Coppola, Passerini,
Zandonati. SIUSA. G. Coppola, A. Passerini e G. Zandonati, Un
secolo di vita degli Agiati. “Sotto il segno dell'uomo” Beppino Disertori. Atti
del convegno di studio, Trento, Palazzo Geremia, Pensiero e opera letteraria di
Beppino Disertori, Manfrini, Calliano (TN), L. Menapace et al., Note
biografiche, R. Bacchi et al., Biografia, Accademia del Buonconsiglio, Trento, Raccolta
di scritti di Disertori. 1923 - 1927 (con documentazione fino al 1981) Fascicolo,
carte 108 2 Studi scientifici del periodo svizzero 1943 - 1945
Fascicolo, carte 131, opuscoli 10 3 Raccolta di articoli e scritti di
Disertori rilegati in volume denominata "Zibaldino" 1944 - 1961
Fascicolo, carte 103 4 "Saggi nel cassetto" 1945 - 1985
Fotocopie rilegate in 3 volumi di scritti inediti di Disertori volumi 3 5
"Il libro della vita" 1952 - 1957 Traduzione in inglese di
alcuni capitoli de "Il libro della vita" ad opera di Nicola Lubimov.
Contiene anche: alcune lettere a Disertori di Lubimov relative al lavoro di
traduzione Fascicolo, carte 360 32 6 Scritti di Beppino
Disertori rilegati in volumi 1954 - 1984 Minute dattiloscritte rilegate
in volume. - "Scritti vari vol. II", 1954 - 1963 - "Scritti vari
vol. IV", 1964 - 1972 - "Scritti vari vol. VI, 1972 - 1978" -
"Scritti vari vol. VII" 1978 - 1980; contiene anche carte sciolte del
vol. VIII (1980 - 1984) Volumi 4 7 "Trattato di
psichiatria" [1965 - 1980] Minuta dattiloscritta e a stampa con
ampie correzioni e integrazioni del "Trattato di psichiatria e
socio-psichiatria", scritto con Marcella Piazza e pubblicato a Padova:
Liviana, 1970. Bozze a stampa con correzioni dell'edizione in spagnolo, Buenos
Aires: Libreria El Ateneo Editorial, 1974 Fascicolo, carte 681 8 Raccolta
di scritti, discorsi, relazioni ed appunti di Disertori riguardanti argomenti
vari 1979 - 1988 Fascicolo, carte 559 33 serie 7
Recensioni e documentazione relativa agli scritti di Beppino Disertori, 1930 -
1985 Unità archivistiche 30 Contenuto Raccolta di recensioni a opere di
Disertori 1 "Gandhi" 1930 Recensioni relative all'opera
"Gandhi: pensiero ed azione" (Trento: Disertori, 1930) Fascicolo,
carte 5 2 "Saggio di fisiologia del liquido cerebro-spinale"
1935 - 1936 Estratti e recensioni relativi al "Saggio di fisiologia del
liquido cerebro-spinale" (Roma: Pozzi, 1935) Fascicolo, carte 23 3
"Encefalite" 1936 - 1940 Recensioni e articoli di giornale
relativi ad alcune pubblicazioni di Disertori sull'encefalite Fascicolo, carte
41 4 "Liquor" 1937 - 1942 Recensioni relative a
"Saggio di fisiologia del liquido cerebro-spinale" (Roma: Pozzi,
1935) Fascicolo, carte 43 34 5 "Sulla biologia
dell'isterismo" 1939 - 1970 Estratti, recensioni e articoli di
giornale relativi a "Sulla biologia dell'isterismo" (Reggio Emilia:
Poligrafica reggiana, 1939) Fascicolo, carte 91 6 "Il libro della
vita" 1947 - 1975 Estratti, recensioni e articoli di giornale
relativi a "Il libro della vita" (Verona: Mondadori, 1947) Fascicolo,
carte 45 7 "Trattato delle nevrosi" 1950 - 1975 Estratti,
recensioni e articoli di giornale relativi al "Trattato delle
nevrosi" (Torino: Edizioni scientifiche Einaudi, 1956) Fascicolo, carte
335 8 "Itinerari pitagorici" 1954 - 1973 Recensioni e
documentazione varia relativa all'opera "Itinerari pitagorici"
(Trento: TEMI, 1954) Fascicolo, carte 109 9 "Parapscicologia e
ipnosi" 1956 - 1978 Estratti di riviste e articoli di giornale
riguardanti la parapsicologia e l'ipnosi Fascicolo, carte 60 10 "De
anima" 1960 - 1962 Recensioni e ritagli di giornale relativi al
"De anima: saggio sulla psicologia teoretica" (Milano: Edizioni di
Comunità, 1959) Fascicolo, carte 85 35 11 "Mazzini
filosofo" 1961 - 1974 Recensioni e ritagli di giornale relativi a
"Mazzini filosofo: nel centenario dell'Unità" (Trento: TEMI, 1961)
Fascicolo, carte 61 12 "Trattato di psichiatria" 1962 -
1977 Estratti, recensioni e articoli di giornale relativi al "Trattato di
psichiatria e socio-psichiatria" (Padova: Liviana, 1970) di Disertori e
Marcella Piazza Fascicolo, carte 231 13 "Pellegrinaggio in
Egitto" 1963 - 1968 Recensioni e documentazione varia relativa
all'opera "Pellegrinaggio in Egitto" (Venezia: Pozza, 1965)
Fascicolo, carte 50 14 "Timeo" 1965 - 1968 Recensioni
dell'opera "Il messaggio del Timeo" (Padova: CEDAM, 1965) Fascicolo,
carte 77 15 "Esperienza dell'India" 1966 - 1973
Recensioni relative a "Esperienza dell'India" (Vicenza: Pozza, 1966)
Fascicolo, carte 38 36 16 "Personalità caratteropatiche"
1966 - 1982 Estratti di riviste e recensioni relative alla pubblicazione di
"Le personalità caratteropatiche submorbose e tetratologiche"; con
Marcella Piazza (Padova: Liviana, 1967) Fascicolo, carte 121 17
"Cronaca di un safari" 1968 - 1970 Recensioni relative a
"Cronaca di un safari" (Venezia: Pozza, 1967) Fascicolo, carte
65 18 "La montagna di Vishnu" 1968 - 1974 Estratti,
recensioni e articoli relativi a "La montagna di Vishnu: taccuini di
viaggio nel sud-est asiatico e nell'Uganda" (Vicenza: Pozza, 1971) Fascicolo,
carte 28 19 "La sfinge olmeca" 1968 - 1972 Recensioni
relative a "La sfinge olmeca: note di viaggio in Messico e Guatemala"
(Vicenza: Pozza, 1968) Fascicolo, carte 75 20 "Trattato di
psichiatria e socio-psichiatria" 1970 - 1973 Estratti di riviste,
recensioni e documentazione varia relativa a "Trattato di psichiatria e
socio-psichiatria", scritto con Marcella Piazza (Padova: Liviana, 1970)
Contiene anche: dispense del Convegno nazionale di psichiatria sociale
(Bologna, 1964) Fascicolo, carte 322 37 21
"Parkinson" 1972 - 1978 Recensioni relative a
"Fisiopatologia e terapia del morbo di Parkinson e dei parkinsonismi:
contributo teorico ed esperinza con l- dopa" (Padova: Liviana, 1972)
Fascicolo, carte13 22 "La via delle perle" 1973 - 1975 Documentazione
varia, tra cui alcune lettere, relativa a "La via delle perle: note di
viaggio in Birmania, Borneo, Giappone, Cina esterna, golfo del Siam"
(Vicenza: Pozza, 1973) Fascicolo, carte 37 23 "Sfida al
secolo" 1975 - 1982 Recensioni e articoli di giornale relativi a
"Sfida al secolo: la natura, l'uomo, il tessitore" (Padova: Liviana;
Trento: TEMI, 1975) Fascicolo, carte 80 24 "La stagione
dell'infanzia" 1977 - 1981 Estratti, recensioni e articoli di
giornale relativi al contributo "La stagione dell'infanzia" (Forlì:
Cooperativa industrie grafiche, 1963) Periodici 10, carte 41 25
"Luci d'autunno" 1979 Recensioni relative a "Luci
d'autunno: diari, taccuini di viaggio, saggi, poesie" (Trento: TEMI,
1978). Contiene anche: 3 lettere di Flaminio Piccoli e Silvano Demarchi
Fascicolo, carte 48 38 26 "Il monolito dei
fulmini" 1981 - 1982 Recensioni relative all'opera "Il monolito
dei fulmini: (note di viaggio in Sud America)" (Vicenza: Pozza, 1981)
Contiene anche: 3 lettere di Diego Prò e Beniamino Condini Fascicolo, carte
23 27 "La tensione dell'arco" 1983 - 1985 Recensioni
relative all'opera "La tensione dell'arco e il volo delle frecce"
(Abano Terme: Piovan, 1982). Contiene anche: lettera con recensione di Aldo
Capasso Fascicolo, carte 53 28 "Poesie" 1985 Recensioni
di poesie di Disertori Fascicolo, carte 3 29 "L'ombra
eleusina" 1985 Recensioni relative all'opera "L'ombra eleusina:
studi su l'arte e la cosmovisione di Gabriele d'Annunzio" (Abano Terme:
Piovan, 1984) Contiene anche: 2 lettere a Disertori di Lidia Ratti e della
Fondazione Il Vittoriale degli Italiani Fascicolo, carte 9 30 "Sotto
il cielo di Saturno" 1985 Recensioni relative a "Sotto il cielo
di Saturno" (Trento: TEMI, 1984). Contiene anche: 1 lettera a Disertori di
Giovanni Graffer Fascicolo, carte 5 39 serie 8
Documentazione raccolta a fini di studio e relativa all'attività accademica ,
1936 - 1990 (con documentazione dal 1904) Unità archivistiche 13
Contenuto Dispense relative a studi, scritti e ritagli di giornale 1
Documentazione varia relativa al Movimento Federalista Europeo 1944 -
1946 Fascicolo, carte 337 2 "Cronaca su conferenze" 1948
- 1990 Appunti di Disertori per conferenze e articoli su argomenti vari
Fascicolo, carte 130 3 "Psichiatria sociale" [1960 -
1965] Dispense di psichiatria sociale relative a problematiche socio-economiche
Fascicolo, volume 1, carte 61 4 "Criminalità" [1960 -
1965] Dispense relative a criminalità, obiezione di coscienza, diserzione
Fascicolo, carte 86 40 5 "Riabilitazione"
[1960 - 1965] Dispense riguardanti terapie di riabilitazione Fascicolo, carte
67 6 "Stupefacenti, leggi" [1960 - 1970] Testi di leggi
riguardanti gli stupefacenti Fascicolo, carte 68 7 Dispense e
documentazione varia relative all'attività accademica 1967 - 1975 La
documentazione è relativa ad esami e tesi di laurea. Contiene anche: alcune
lettere di studenti a Disertori riguardanti le tesi di laurea. Fascicolo, carte
234 8 Relazione di Disertori e Marcella Piazza 1979 circa Copie
della relazione presentata al seminario di neuropsichiatria, psicologia e
filosofia a San Miguel de Tucuman (Argentina) nell'ottobre 1979 Fascicolo,
carte 368 9 "Attività in Sudamerica" 1977 - 1979
Fascicolo, carte 103 10 Raccolta di scritti di Mario Pincherle
[1980 - 1989] Fascicolo, carte 362 41 11 "Lavori
neurologici" 1981 - 1984 Estratti di riviste e dispense relativi a
studi di neurologia Italiano Fascicolo, 17 opuscoli 12 Relazioni e
dispense [1930 - 1970] Contributi vari relativi a terapie farmacologiche
e note informative di case farmaceutiche Fascicolo, carte 215 13
Miscellanea 1952 - 1981 (con documentazione dal 1904) Contiene anche: 2
autografi di Gabriele D'Annunzio inviati a Gerolamo Rovetta; scritti di
Marcello Disertori e ritagli stampa con anche articoli sulla scomparsa del
padre Marcello; manoscritto "Elementi di fisica per le classi inferiori
delle scuole medie", compilato dai professori Vittorio Magnago e Arcadio
Emmert Fascicolo, carte 150, volume 1 Beppino
Disertori. Giuseppe Disertori. Disertori. Keywords: la tensione dell’arco e il
volo della freccia, libro della vita (why do we live?), il messagio di Timeo,
itinerari pitagorici, pitagora e aligheri – tensione dell’arco, volo – eraclito
– platone – politeia di Platone – Grice on Plato’s Republic – plato carmide e
la medicina – dell’anima – psicologia teoretica -- sul segno dell’uomo, de
anima. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Disertori” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51717066030/in/photolist-2mN4tWf-2mN1mod/
Grice e Dòdaro – il
convito, ossia, tracce di un discorso amoroso – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Bari). Filosofo. Grice: “Dòdaro is an interesting one – totally cryptic of
course! It is as if he were Nowell-Smith, Austin, and Donne, combined into one!
Recall Nowell-Smith’s challenge to Austin: “Donne is incomprehensible,” “He
surely ain’t!” Costretto a riparare a
Turi per sfuggire ai bombardamenti. A Bari si legò a Maglione, Castellano,
Piccinni e, assieme allo zio Silvio, prendeva parte agli incontri artistici e
letterari del caffè-pasticceria Il Sottano (in quegli anni frequentato da Moro,
Albertazzi, Scotellaro, Bodini, Calò ecc.), fondato da Scaturchio, e agli
incontri di Laterza e del circolo La Scaletta di Matera. Nello stesso periodo
conobbe Nazariantz, il quale rappresentò per Dòdaro una sorta di guida, fu lui,
infatti, a introdurlo per la prima volta agli incontri del Sottano dove ebbe
modo di stringere amicizia con Bodini, Calò, Scotellaro. Abbandonò presto Bari,
tentando una prima fuga a Parigi, città in cui sarebbe tornato a vivere altre
volte, prima di tornare a Bari per poi trasferirsi a Lecce. Altre tappe, prima
del trasferimento a Lecce, furono Milano e Bologna. Divenne allievo di Morandi,
presso l'accademia, infatti, prime espressioni della sua attività artistica
furono la pittura, praticata per una manciata di anni, e il teatro, poi diluito
nelle successive esperienze poetiche e narrative. Come pittore produsse alcuni
quadri in cui all'informale materico univa le combustioni, applicate, di fatto:
Verri riporta in suo intervento: arriva con la novità dei colori
"bruciati". Di questo ciclo di opere faceva parte "Svergognato
incantesimo di barca", che gli valse, successivamente, la segnalazione
presso il premio "Il maggio di Bari". Prima del trasferimento a
Lecce, lavora presso l'ufficio stampa della Fiera del Levante, a stretto
contatto con Fiore, figlio di Tommaso, venendo influenzato dal meridionalismo.
Sempre nel clima della Fiera del levante, strinse un ottimo legame con Tot. Al
suo arrivo a Lecce riallacciò i rapporti con Bodini e Calò, oltre che con Suppressa,
conosciuto in occasione del premio Il Maggio di Bari, entrò, inoltre, in
contatto con quelli che sarebbero stati poi suoi amici e compagni artistici:
Durante, Massari, Candia, Pagano. Ebbe frequentazioni con Bene e strinse
importanti sodalizi amicali e letterari con Verri, Gelli, Caruso, il quale, in
corrispondenze private, ebbe modo di rinominare la loro amicizia e
collaborazione come il "sodalizio Caruso-Dòdaro". A Leccesi rese
protagonista, con Candia, di un grande falò in cui i due bruciarono tutti i
quadri realizzati fino a quel momento. Per quanto riguarda l'opera pittorica "Svergognato incantesimo di barca",
insieme a pochi altri, si salvò dal falò perché all'epoca custodito presso la
casa dello zio Silvio. Dopo questo iniziale periodo di ricerca e
sperimentazione, abbandona la scena artistica per circa vent'anni, anni in cui
si dedicò allo studio intenso nel tentativo di scoprire il perché del
linguaggio, rompendo il silenzio con la fondazione del Movimento di Arte
Genetica con sede a Lecce, Genova e Toronto. Con tale movimento, rintracci
l’origine dell’italiano o romano nel battito materno ascoltato in età fetale,
teorizzando il romano o italiano come una congiunzione volta a rifondare la
dualità dell’essere umano non un regressus ad uterum, bensì la coppia, la
dualità, ovvero la dimensione originaria della comunione con l’altro e come lutto,
annodandolo alla mancanza di Lacan. Il movimento si doterà di due riviste:
“Ghen”, giornale modulare ideato da Dòdaro con sede a Lecce, e “Ghen Res
Extensa Ligu” con sede a Genova e diretta da Mignani. L’idea del modulo come
unità di misura sarà alla base della struttura modulare di “Ghen” oltre che
della concezione dello spazio, mutuata sempre dagli studi sulla dimensione pre-natale,
fino a sfociare nel manifesto "Incliniamo l’orizzonte”. L’italiano o il
romano diventa una congiunzione, una dichiarazione onomatopeica in cui si
alimentava il trionfo del lutto e la mancanza. L’orizzonte diventa orizzonte
mediale: poesie per i treni, per gli altoparlanti e più in là romanzi in tre
cartelle, romanzi su cartolina, collane spaginate, poesie e poesie visive da
proiettare per le strade, poesie per internet, net.poetry, narrazioni su
leaflet, romanzi da muro-narrativa concreta, romanzi di cento parole da
pubblicare in store, nelle vetrine dei negozi. Al Movimento di Arte Genetica
aderirono, o ruotarono attorno alle sue riviste e attività, un numero considerevole
di autori provenienti dalle sperimentazioni poetiche e poetico-visive,
performative, sonore, plastiche: Miccini, Marras, Mignani, Fontana, Munari,
Fiore, Dramis, Perfetti, Pagano, Gelli, Noci, Greco, Lorenzo, Marocco, Massari,
Miglietta, Center of Art and Communication (Toronto), Giorgio Barberi
Squarotti, Toshiaki Minemura, Xerra, Sicoli, Souza, Alternativa Zero,
Experimental Art Foundation (South Australia), Block Cor (Amsterdam),
Genetet-Morel, Lepage, Martini, Valentini, Restany, Etlinger, Caruso, Verri,
Miglietta, Nigro ecc. Con la nascita del movimento di Arte Genetica,
avvia una personale riflessione sull'oggetto-libro e le sue modalità fruitive,
avviava il progetto "Archivio degli operatori pugliesi", per una
catalogazione degli operatori estetici e culturali. Crea e anima «il centro di
ricerca 1.4.7.8. (strutturato, nel nome, sulle coordinate della Classificazione
Decimale Dewey, ad indicare i percorsi di ricerca: filosofia, linguistica, arte,
letteratura), ospitato dalla Libreria Adriatica di Lecce, e con il quale
coinvolge numerosi operatori del territorio (docenti universitari, il gruppo
Gramma, il Centro ricerche estetiche fondato a Novoli da Greco e Lorenzo, il
gruppo Oistros di Durante e Santoro, gli autori del gruppo di Arte Genetica da
lui fondato ecc). Ha diretto la casa editrice Conte di Lecce, ha fondato a
Lecce, il movimento letterario New PageNarrativa in store. La sua attività letteraria
ed editoriale è stata caratterizzata da
uno spiccato senso per la formazione di gruppi e la ricerca di autori da
lanciare, rappresentando sul territorio pugliese un autentico volano per
operazioni di ampio respiro che andavano spesso a coinvolgere autori del
panorama letterario internazionale. Idea e dirige una mole notevole di
collane editoriali volte al rinnovamento dell’oggetto-libro, fra queste:
«Scritture» (Parabita, Il Laboratorio), «Spagine. Scritture infinite»
(Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) scritture di ricerca formato
poster, spaginate, «Compact Type. Nuova narrativa» (Caprarica di Lecce,
Pensionante de' Saraceni) ovvero romanzi in tre cartelle, «Diapoesitive.
Scritture per gli schermi» (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni)
scritture di ricerca da proiettare, «Mail Fiction» (Caprarica di Lecce,
Pensionante de' Saraceni) romanzi su cartolina, «Wall Word» (Lecce, Conte
Editore,)tradotta in giapponese ed esposta all’Hokkaido Museum of Literature di
Sappororomanzi da muro, ovvero collana di narrativa concreta, «International
Mail Stories» (Lecce, Conte Editore), «Internet Poetry» (Lecce, Conte Editore)
una delle primissime esperienze italiane di net poetry, «Walkman Fiction.
Romanzi da ascoltare» (Lecce, Argo), «E 800 European Literature», in 5 lingue
(Lecce, Conte Editore), «Pieghe narrative» (Lecce, Conte Editore), «Pieghe
poetiche» (Lecce, Conte Editore), «Pieghe della memoria» (Lecce, Conte Editore),
«Foglie nude» (Doria di Cassano Jonio), «Locandine letterarie» (Lecce, Il
Raggio Verde), «Romanzi nudi» (Lecce) in unico esemplare, «Carte letterarie»
(Lecce, Astragali), «792 Mail Theatre» (Lecce, Astragali), «New Page. Narrativa
in store», (Lecce) narrativa breve, poi anche poesia e teatro, in cento parole,
collana che guarda alla comunicazione pubblicitaria con i testi applicati su
crowner, pannelli cartonati in uso nella comunicazione pubblicitaria, ed
esposti in store, nelle vetrine dei negozi. Nell'ambito della poesia
verbo-visiva e del libro-oggetto, è presente in numerose manifestazioni di
«Nuova scrittura»: Ma il vero scandalo è la poesia. Un salto di codice,
Ferrara, Ipermedia; Attorno a noi poeti in gruppo, Strudà (Lecce), Ospedale
psichiatrico; Dentro fuori luogo, Casarano, Palazzo D'Elia; Centro
internazionale Brera, Documenti di gestione alternativa. Appunti sulla Puglia,
Milano, Chiesa San Corpoforo; Artigianare '81, Lecce,1981; Cercare Bodini, Bari
/ Lecce, Ab origine, Martina Franca; Parola fra spazio e suono. Situazione
italiana, Viareggio; Le brache di Gutenberg, Caruso, Visco, Livorno; Far libro.
Libri e pagine d' artsta in Italia, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Il
segno della parola e la parola del segno, Milano, Mercato del sale, Breton et
le poeme-objet, Ugo Carrega, Milano, Mercato del sale, Le porte di Sibari,
Sibari, Visibile Language. Numero speciale sulla poesia visuale. Sezione
Italia, E. Minarelli, USA; Cartoline d'artista, Livorno, Belforte, Terra del
fuoco. Intersezioni per Adriano Spatola, QuartoNapoli, La parola dipinta.
Rassegna di poesia visuale, Belluno, Comune di Gallarate Civica galleria d'arte
moderna. Casa d'EuropaSede di Gallarate, Pagine e dintorni, Libri d' artis ta, Gallarate,L.
Pignotti, “La poesia visiva”, L'immaginazione (Lecce), S-covando l'uovo,
Firenze, Terra del fuoco, QuartoNapoli, Musei Civici di Mantova, Poesia totale.
Dal colpo di dadi alla Poesia visuale. Mantova, Sarenco, Palazzo della Ragione,
Archivio libri d' artista. Laboratorio 66, G. Gini e F. Fedi, Milano, È
presente in Musei, Biblioteche, Archivi. Tra i più importanti: Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze“Libri e pagine d'artis ta”con l’opera Mar/e
amniotico, 1983; Galleria d’arte moderna di Gallarate, con le opere Mourning
Processes. The word, 1991 e Processi di lutto. Notizen: dis, 1991; Museo S.
Castromediano di Lecce, con l'opera Matram psicofisica, Archivio Sackner, Miami
Beach, e Archivio Della Grazia di nuova scrittura, Milano, con varie opere;
Hokkaido Museum of Literature, con la collane “Wall Word”, nteramente tradotta
in giapponese; Imago mundi-Visual poetry in Europe (Fondazione Benetton, ) ecc.
Altre opere: Dichiarazione onomatopeica (Lecce); Progetto negativo (Lecce,);
Disianza Congiuntiva (Livorno); Disperate Professore (Parabita); dis/adriatico
(Caprarica di Lecce); Tracce di un discorso amoroso (Caprarica di Lecce);
Compact Type. Nuova narrative Con A. Verri, (Caprarica di Lecc); Sconcetti di
luna (Caprarica di Lecce); Mail Fiction. Free Lances Con A. Verri(Caprarica di
Lecce); Navigli (Caprarica di Lecce); Void Fiction (Sibari,); Street Stories
(Lecce)tradotto in giapponese(SapporoJapan); Parole morte. Dead Words (Lecce);
L’addio alle scene (Lecce); Antonio Verri. Schegge del contestocon M. Nocera
(Lecce); 18 i titoli pubblicati su leaflets (Lecce), 16 «Pieghe narrative» e 2
«Pieghe poetiche»: “Pieghe narrative”: Vento, vento, I colombi della clausura,
Il figlio dell'anima, La Balilla, Graziato, Il monumento, Dove volano i
gabbiani, La mimosa, Ricordanze zigane, Franco, Joe Cocker, All'ombra del
grande vecchio, Reparto «P», Il tradimento, 27 marzo, L'esame. “Pieghe
poetiche”: Rosa virginale, Il solista; Dichiarazione d'innocenza (Lecce); 7 i
«Romanzi nudi», titoli in unico esemplare (Lecce, Dis, Era d’autunno, Il falò, L’Objet
trouvé, Silenzi, Why, Ballata migrante, Uscita in marasma (Lecce); Di viole.
D’incanti. Astragali teatro (Lecce ); New Page: In un bosco di frammenti
(Lecce), La parola tramava (Lecce); Le prime notti stellate (Lecce)
interrogatorio violento (Lecce, ) I suoi ramaggi (Lecce, ). Grigiori dell’anima
(lecce, ), Di un solstizio d’amore (Lecce, ), Maria la magliaia (Lecce, ),
Teresa. L’Altrove, (Lecce, ), La mer. Ma mère (Lecce, ), Una notte senza stelle
(Lecce). Le distese di grano, (Lecce), Gastronomia da asporto (Lecce), Una sua
lettera (Lecce), Trincee matricali (Lecce), Compagno d’accademia (Lecce). Tra i
gabbiani (Lecce), Cioccolatini di Chicago (Lecce), Cantata duale (Lecce). La
tromba dell’altrove (Lecce), Il nipote violoncellista (Lecce); ‘Operatori
culturali contemporanei in Puglia. Archivio storico divulgativo, Lecce); “Ambivalenze
genetiche”, Ghen (Lecce) ora in “Genetic Ambivalencie”, Art Communication
Edition, Toronto-Canada) “Links”, Ghen (Lecce), “Il complesso di Edipo e quello
di Caino”, Quotidiano (Lecce); “I processi di lutto. La Weltanschauung ghenica”
in, La parola tra spazio e suono. Situazione italiana, Viareggio, “Codice yem:
le origini del linguaggio, ovvero la rifondazione della coppia”, Ghen (Lecce) (ora
in Regione Puglia, Creatività e linguaggio. Atti del Convegno, Maglie); “Dis-astro”,
in A. Massari, Dis-astro. Loos, Lecce, “L’area inter-media”, in F. Gelli,
Transitional Objects. Mutter Fixerung, Lecce; “Ipotesi interpretativa del
fenomeno droga, formulata da una coscienza che opera nella poetica. Della
scissione. Della prevenzione” in Tossico-dipendenza: progetto di lotta per gli
anni ’80Centro studi giuridici M. Di Pietro. Convegno. Lecce; “Mater
externata”, in L. Caruso, Mater: poesia. Madre e signora dell’acqua, Lecce;
“Lontananze genetiche. Ad cantus enclitico”, in Manifesto mostra gruppo
Ghen, Milano; Progetto negativo, Galatina (ora in Ab origine. Presenze pugliesi
nell’arte contemporanea, Roma-Bari); “La letterarietà di Caruso”, in E. Giannì,
Poiesis: Ricerca poetica in Italia, Arezzo; “La poesia totale di Spatola. Il
convegno di Celle Ligure”, On Board, Lecce; “Wall Word: parole da muro, romanzo
da muro”, in F.S. Dòdaro, Street stories, Lecce; “Dodici haiku. Dodici punti di
rilevamento”, in E. Coriano, A tre deserti dall’ultimo sorriso meccanico. Three
deserts from the shadow of the last mechanical smile, Lecce; “Una pagina
diversa, up to date”, in Pieghe narrative, Lecce; Schede d'arte contemporanea. Implicatura
e Mappatura schedografica degli Autori contemporanei, Lecce; “L’ampliamento
della flessione”, in Archivio libri d’artista. Laboratorio 66, Milano; “Le
anime narranti di Alberto Tallone”, in Alberto Tallone. Manuale tipografico,
Alpigiano (Torino), New Page (Lecce); L'ortografia è morta. L'apparato
pausativo, in New Page (Lecce). Francesco Aprile, Già così tenera di folla, in
Intrecci, Napoli, Oèdipus, Edoardo, un
cavaliere senza terra, su bit. Antonio Verri, Edoardo, Un cavaliere senza
terra, su bit. Francesco Aprile, Poesia
qualepoesia/06: Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce, su Puglia
libre, Testi di teoria letteraria/editoriale, su utsanga. Archivio di nuova scrittura, su verbo visual
virtuale.org. Cantata duale, Imago
mundi-Visual poetry in Europe, su imagomundiart.com. Antonio Verri, Una stupenda generazione,
SudPuglia, Antonio Verri, Edoardo, un cavaliere senza terra, SudPuglia, Francesco
Aprile, Già così tenera di folla, Napoli, Oèdipus, Francesco Aprile, La parola intermediale:
lineamenti di un itinerario pugliese, in Aprile F.-Caggiula C., La parola inter-mediale:
un itinerario pugliese, Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Aprile, Fra parola e new media, in Aprile
F.-Caggiula C., La parola intermediale: un itinerario pugliese (atti del
convegno), Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo,
Cristo Caggiula, Intersezioni asemiche nel movimento di Arte Genetica,
in Aprile F.-Caggiula C., La parola intermediale: un itinerario pugliese,
Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Visual
poetry: A short anthology, in utsanga, L'ortografia è morta. L'apparato
pausativo, in utsanga, Testi di teoria letteraria/editoriale, Codice Yem, le origini del linguaggio: ovvero
la rifondazione della coppia, in utsanga, Letterarietà di Caruso, in utsanga,
La poesia totale di Spatola/Il convegno di Celle Ligure, in utsanga Francesco
Aprile, Il rapporto Dòdaro-Verri attraverso la critica, in utsanga Francesco
Aprile, Dal modulo all'internet poetry, in utsanga, Aprile, L’Arte Genetica, in
utsanga, Aprile, New Page: Narrativa, Poesia, Teatro, Scavi in store, in
utsanga, Aprile, New Page: la poiesi come approccio etnografico, Cavallino, Biblioteca
Gino Rizzo, Aprile, New Page, collana di critica letteraria, Sondrio, Edizioni
CFR, Intervista a Vincenzo Lagalla,
Francesco Aprile, in utsanga Lamberto Pignotti, Introduzione, L'addio alle
scene, Lecce, Argo,ora in utsanga Lamberto Pignotti, Rebus, iper-rebus. Parole
da vedere, immagini da leggere, in utsanga, Caruso, Frammento, in utsanga
Julien Blaine, Omaggio alla "O" in Francesco Saverio Dòdaro, in
utsanga Ruggero Maggi, Dedica, utsanga Alessandro Laporta, cercarlo dove non
appare, in utsanga, Mignani, Ghen against again. Risarcimento dei supporti o
della signatura dei segni, in utsanga Egidio Marullo, F. S. Dòdaro. L'ultimo
mentore, in utsanga Omaggio, in
utsanga Cantata plurale, materiali 01,
Caprarica di Lecce, Utsanga. AP01-L0T30R0 g lift rhe mi
domandate, U-» [U quello che « svista, mi Inon son pre
molto ch’io mi trovavo a risali Filerò, in città-, ed
ecco, . j.^^-jania da staimi riaonosctoo J d.=«o ^ ^ H,,e-
’ 1 fu/rirt™ 't-irràT ,t punto poco fa, che ^ guita tra Agatone
contarmi la conversazione seg e Socrate e Alcibiade ® ‘j discorsi,
sai, di allora parte al convito ^S)> ^ perché me gli Amore; o
che vi si disse C ^ ggntiti da Fe- rapportati un altro che g detto
che nice, figliuol di Filippo (7)> B
28 Convito li conoscevi anche tu. Ora,
egli non nii dir nulla di chiaro. Sicché ridimmeli tu tu sei
proprio quello a cui si conviene rifèr’'''^ discorsi deir amico tuo. E
per prima cosa, ' mi — domandò — a quella conversazione t-r;
_ Ed io gli risposi : — Si vede davvero, che di¬ te ne ha
fatto il racconto, non t’ha rapporta/' nulla di chiaro, se tu credi che
la conversazióne della quale mi chiedi, sia succeduta da poco tanto
che io ci avessi potuto essere. ’ Ma si. 0 come mai,
Glaucone, — dissi io ; — o non lo sai, che sono anni parecchi che Agatone
non è più tornato qui? Mentre da quando io ho dimesti¬ chezza con
Socrate,' e ho fatto mia cura di sapere giorno per giorno ciò ch’egli fa
o dice, non sono ancora passati tre anni: Prima giravo a caso di
qua e di là, e immaginandomi di far qualcosa, ero l’uomo più misero del
mondo, non meno di te ora che credi di dover fare qua¬ lunque altra
cosa piuttosto che filosofare. E lui — Non celiare, — disse: ma
dimmi: quando ebbe luogo quella conversazione? Ed io Mentre
eravamo ancora ragazzi —■ risposi quando Agatone vinse per la prima
solta nella gara della tragedia, il giorno dopo e ie egli e i coristi
celebrarono il sacrifizio di ringraziamento (8). Un gran
pezzo, dunque, si vede. Ma chi 'Socrate stesso? B niVff-' ^
~> ■“ 1“cl medesimo che a Fe- un certo Aristodemo, Cidateneo, un
omet- 73 29 !h“”" ^
adatta a a‘s _ in t^'^'' ’ „ ai auei discorsi, C
““'?'cosi »»'!»”■“> ''"'“rircipio, "O" P"?.
f. com« 'i'“''° "' ’^" t nUssario che io h siccità’
Se duirque ta ^, >50 quanto alla sprovvista. Cli 'O. ^
! fuor di misura; ment q gente 1 discorsi, e in ispecie a e,
me. e ; acca e d’affari, e 1. ne ru , 1 sento
compassione ,,uUa. E forse, pare di far qualcosa 1 gtimate me uno
sfor- c>»-.-"*jtrc-cdi«e il vero-, ,e lunato; e
credo, c ^-«do ma lo so. non die io di voi non lo credo, ni
amico dici Sei sempre lo stesso, Apollodor ^
sempre male e di te nic esimo ^^iseri, da par propriamente, die tu
£ di dove :ratciii fuori, conlinciando * • io ti sia
venuto il soptamm ^osi dnvvero ; ma cer
50 Convito ne’ discorsi; aspro con te e coa-1!
. .... fu- con Socrate. " ‘“'o fuorci,(, ^
APOLLODORO E Già s’intende, carissimo; perchè ia e di
me e di voi, sono furioso e deUro^*” AMICO Non mette conto,
Apollodoro, qugsj- ora di ciò; però, quello di cui
t’abbjan°”'"-‘^ chiesto, fòlio e non altrimenti, ma raccontac'i
T discorsi si fecero. II APOLLODORO
Furon su per giù di questo tenore. Ma piut¬ tosto (9) mi proverò a
raccontarvi ogni cosa dal principio, come quello fece a me.
Egli, dunque, mi raccontò, d’essersi incontrato con Socrate, lavato
(io), e anche calzato, cosa che a Socrate non succedeva spesso (ii);
e d avergli domandato dove s’avviasse così rim¬ bellito; e quello
gli rispondesse: A cena da Aga- Olle. oiche ieri a’ sacrifizi del
ringraziamento 0 scansai, per paura della gente; ma gli pro-
son ^ d» un bello Ma'em' è il tur, r- disse, —che
sentimento tato? (12) mudare a una cena non invi- ^d m
— disse ..* . vuoi. ■'•sposi: Quello che tu perchè
noi’si mm? fiFtese — anche proverbio, sicché dica che
buono P^r guerriero, C ”? aue«o '»■=“" ,otetò il
ré*'»'"'’” ^ ^he io, Socrate, cor presentarmi,
f»"''“£i,.» “"’= “Tcinvuó di un ,a- ‘r;.«ona di
P““.““°,ó- Guarda tu d,e m. D uomo, non mvi^ ^hì;, quanto a *0^,6
rveici non inviuro, bensì italo da te. __ ^^nsuUerem V »»
,::t:;tdi'ci6 “he .«=0,0 , dire, su, an- III
Scambiate che si furono queste narono. ' Ora, Socrate
^soenava, siero, fermandosi per istrada, ^ ® che gli
ordinava di andar pure innanzi. trovò quando fu giunto alla casa di
Aga o , aperta la porta, e gli venne”incontro caso
ridicolo (i6). Perchè gh ^ Un ragazzo e lo condusse dove e »
32 . Convito i giacere, e ii colse, che stavano per
nf- cenare (17). E appena Agatone T j disse : O Aristodemo,
tu arrivi in punt°°^ '"'sto nare, s’intende, insieme con noi.
venuto per qualche altra cosa, rimettila Anche ieri t’ho cercato per
invitarti ^ m’ò riuscito di vederti in nessun luogo (ìst come mai
non ci conduci Socrate? ' Ed io — disse — mi voltai addietro e non
• • in nessun luogo Socrate che mi seguisse; Si risposi che io ero
venuto appunto con Socrate invitato qui a cena da lui. ’ Hai
fatto bene — ripigliò Agatone, ~ lui dov’ è ? Dianzi, egli
era per entrare dietro a me - 0 dov’è? Son tutto stupito.
Ragazzo, o non t’affretti a guardare,—riprese Agatone — e non ci
meni qui Socrate? e tu, Ari¬ stodemo, dice, sdraiati accanto a
Erissimaco, IV < E, mentre il ragazzo gli lavava i
piedi (19), perchè si mettesse a giacere, un altro dei ragazzi,
raccontava, tornò annunziando, che questo So¬ crate, ritiratosi nel
vestibolo della casia accanto, se ne stava li fermo, e per quanto lui lo
chia¬ masse, non era voluto entrare (20). 0 che strana cosa
tu dicil — disse Aga¬ tone. 0, dunque, non lo chiami da capo (21) e
non seguiti? Ma nientaffatto lasciatelo stare.
— riferiva d’aver detto; —anzi Perchè lui ha quest’usanza-;
33 D
dovunque si trovi, ..•'‘“‘ira («"’"■ Ja las»»“'°
ripresa 1» "’fs"-» » 1 dStènoùUsi. iP»: ■“ M»
"'’ÈbbePe.«Sf he vói volete, gi»e*“ tg»'°"'=7urittura
?rleervi-, il dte io «on siedili fate COMO ìSSU’’^’ .
epoi mai • invitati da voi, 'C’ppe»” *'T *S°ve 11- eSble»" a
l°to'- ìttateci iti ssi principiarono a c, raccontava,
ess p ^„atone pm ^ m Socrate "°^X'"socrate, ma
Aristo- è '■r^ór óhft.ie.ilopo «hmd»S‘“ .oaonlope™'*
,„a ,emte; s era tanto lungo, con ^ Aratone- si. che a
mezzo della . Qua, So¬ piva solo a giacere ti ^ e _ disse
idea sapiente, che vXlo; giacchi. ^
?::róhtóvó.a,euti-ip™'"'““"” " mosso. ^
S.,rebbe pur bene, — dis- • Socrate sede, e — Sa V -Agatone ,
se la saptcì . rete dal più P''™ t ,ei Wechtol l’«‘l“i'r tdo
ci tocchiamo; come p,u „„ filo di latta, scotte ^ P'“ ^ j rosi,
io 0 (,4). Chi, se 1'“'’= “*: forchi di molta ;o molto lo starti a
’ ^jj,|,j,pito da te. Ila sapienza io sarò, pcn sarebbe tti,
la mia, quando j. siccome un so- -hina c disputabile, g'^c rigoglio
la mentre ò splcmhda e pien, ^ 1., ITONE, Voi.
/-Vt Convito tua, che da te ancor giovine ha
sf„i COSI gran Juce ed ha brillato diana^'® co pm d. trentantila
Elleni per testiSo?'* Tu sei un impertinente, Socrat ^’ 5 ).
‘ Agatone; —se non che questa dell^. f'^Ose . quistione che
decideremo anch’essr qui a poco (26), prendendo Dioniso^” ce (27);
ora, per prima cosa, mettif^'^'^ “ a cena. 176
_ Dopo ciò, raccontava, Socrate si mettessi- giacere ; e
quando lui e gli altri ebber finito a - cenare, facessero le libarioui, e
cantato l’innò all Iddio, e compita ogni altra cerimonia ('28') si
voltassero al bere; ma qui Pausania principisi a parlare in questo tenore:
Bene sta, amici — disse — come faremo a bere fi p,u a comodo? Io vi
so dire in ve- ità che mi sento molto aggravato dal bere di
cri.*' "POSO, e cosi, vate ’ ’ g'^^chò jeri ci
era- bere •! in che modo potremmo bere fi pm a
comodo. bene rispose : — Di ciò tu dici certo nel
bere"“''"'^. ‘comodità •li jeri ' vocile io sono degli
annaffiati ■^euiiieno ^^“tito Erissimaco figliuolo di
uùa cfsf ~ bene davvero; si sente in fnr,,'”* ‘f°gna sapere
da voi, come per bere Agatone? c 35
_ neanclie io ^rispos^^' ^
f““^oC.„.„--rep«‘'>®Sre’p« (tra» per me e po ne
una . ^„3tra, P .entissrmt ne rci''’^ • se v°' ’ ' } •
ntianto a nor > „ ci alto. perche, q^t^n ^i m t
strac"'''Socrate e aU’altra, :>:rradatto ^'7:,n."to,
delP-i, si chiamerà dunque, li arante^ o 1 altra. • g-i senta
vogha ? a eh nessuno tie’fcse^ Olfo vi.», ? r*= sia
vai.™- ^ * ° aire la medicina La ta«o
%5lS'3sri-" giorno innanzi. j^pse Fedro
acanto a me, " di obbedirti, prendendola parola massime,
in . ;';^bediranno anche gh altri, medicina; ma ora ti odo se
si consigliano bene. unti di non Sentite queste della lor rm-
fare dell’ubriacarsi il ^ piacere ( 29 )’ nionc, ma di bere cos
VI ^ poiché s’e Or bene, - ripigliai ^'"'^^'"Jo^.pole,
e non a deciso che ciascuno beva q _ pp’ altri sia nulla di
forzato, fo dopo E 77 5 6
Convito proposta; cd è che si congedi la son • trata or ora;
lei suoni per conto suo"^''® piace, alle donne di dentro, e noi si
n’ ° il nostro tempo a conversare. E su qn^p getti, se siete
contenti, ve lo proporrei•’ AI che tutti diceva acconsentissero c
1°' tasserò a fare la sua proposta; sicché Eriss' riprendesse: — II
principio del mio disco^r! conforme alla Menalippe di Euripide (30) • h
> non è mia, bensì di questo Fedro qui, la / che son per dire.
Fedro, di fatti, se'ne lag sempre meco. Non è intollerabile, dice, 0
Eris'' siraaco, che ad altri Dii si sian composti da’ poeti inni e
peani (31), e all’Amore, che è cosi antico e cotanto Iddio, nessun poeta
mai, di tanti che B ce n’è stati, abbia composto un elogio; aiui se
vuoi guardie a quei bravi sofisti, scrivano’ si, gli elogi di Ercole e di
altri eroi in prosa per esempio l’eccellentissimo Prodico (32); è
questa è anche meno da stupire, ma io stesso mi sono g.à imbattuto in un
libro d’un sapien- l’mTfA’ lodato soprammodo per c drpcV
simili cose tu ne ve- conto 'Tiolte.(33). Fare un cosi gran
al mond ^ l’Amore, nessun uomo <i“esto inneggiarlo fino
a così! (ir') n ' Uu tanto Iddio trascurato «n ragione
’ Fhk^ ^'PPosgio (36) e\l'l"’-'° „ P‘*'’e, che
nelli „ ^ ^ ‘ e insieme mi ''°1 che siamo occasione s’addica,
a . se pare eli l’ecidio. Sic- =>nchca voi,
c’intratterremo 37
Erissi"'^‘'°;rLrto l^on ti direi di ó»®.ri»' Ù™^™ì di
niente sostengo di «ot j, Agatone c ® ,U amore U?-»
.-^„fone. t,e sostengo u. . . ^gaiuL^v- - ^ '°’ fi di
cose di Vende, Aristofane, ! e neanche, /,8), nè alcun altro
E Mutto Dioniso e A to 1 ^^unque la par¬ afa io vedo qui. f
Jo l'ultimo CsiaP-VP-ritrimi avranno detto ,.tiPlU
Clic . Ug auDiuiiw ;’n.« rie peri P« iranno detto nsto-
se non che, _ , Su via, con bbastanz» oa (S)’ ,uona
fortuna C39;> P 'Amore. . assentirono tutti, e fe- A
ciò anche gh Però, di tutte cero lo stesso invito di Aristodemo si
ri- le cose che omscun > „,ia, di cordava appuntino,
t° P_^ P^^ tutte quelle che npet* _ ' ehe a me parve di
memoria e i discorsi d quelli c fossero tali, un per uno (.qOA
178 VII discorso di FEDRO , a-,co
raccontava che E per il primo, come dm , Fedro
cominciasse a un n maravighoso tra grande Iddio fosse l’Amore, e
mar 3 ® • r* Convito gli
uomini e tra d;: 7 '“ B 1 essere tra i più antichi T
la- g’^ Amore ni vi sono, ni si citano j, ''S'"itotì di
nè prosatore nè poeta; Està prima fosse il Caos, dice, nni I
^ terra Dal largo petto, d'ogni cosa sede' In eterno sicura e
Amor ( 42 ). Afferma, che dopo il Caos queste dn.
nascessero, Terra e Amore. Pannenide che la Generazione (43)
Pnraissimo l’Amor di tuttiquanti Iddìi pensò. ^ con
Esiodo s’accorda Acusileo ; da tante i'chiss°“''''"'-
antichissimo. Antichissimo, poi, com’egli è. ci è causa dei
nulfa^dr ’Op eli certo, non so di un appena giovine giovi
più diunorr”!-^^' ^ all’amante viro di tri ^^PPoichè
ciò che deve ser- '’ene Qiip f * intera vita a chi sia per
viverla la ricchezza” Parentela, nè gli onori, nè
benencll’nn* ^ "'ont altro può insinuarlo cosi tiuesto? La'”°
come l’Amore. Ora, che è egli 'azione nei brutti, l’emu- * nè
privato qualità nè C‘tlà nè privato • ' v—*.. «u,. ijuam.i
*■> c belle Opere pui S^ado di compiere grandi i o ' ac è
tróv affermo che un uomo ^ *°"crarla da ^ qualche brutta
cosa ti senza difendersi per vi 1/9 39
Convito hcri«.''° ^ dagU amici nc n^c- che egli
soprattutto da E li^ ,/da ^i-U’amato, che ^ Q^to
vediamo neh , d esser feria' Pantano, n.i Sechi:, se
aie« > ‘" vi »'* '(•«f ts. P"*» Ji
»■"»>•;. iiez^a esercito si c P modo di reg
T^’non ci i-orc di quello di co- n uS»‘■“‘‘"tre I
Sauendo gli 11 ” ' i;c=r;bbcro, s.o pe, dire, li
accanto a„ ^mjni tutti quanti ( 44 )- Idre in ponW S'' esser sdsro disertsre
i,è un nonio che * ■’/.e'» lo ammetterebbe Vsr» » * he
eWrrrrriue nitro i 1.,,. persoir» "direbbe morire più
volre^ ; prima che questo, ^ in un pencolo I serro,
«bbnmlo"«r^„"„” „ ehe aon dargli ajuto, no .^g^be d’un
divino l’Amore di per se P di pm va- spirito di virtù
da che Omero B lorosa indole (46). E, coraggio m dice
(47), nvere un Idd P^ ^p,,ato taluni croi, questo 1 An da lui
negli amanti. Vili fi sono disposti a E si, che
soli . 8 " “"Xe uomini, r"»”*'’ morire per
sli-^i"?''^'’testimonianza, quanto le donne. E di ciò ( 4 ^) ‘
,-,inla di Pelio, che basta, agli Elleui Alceste Sglmola
40 Convilo C sola consenti a morire per il marito s
pure aveva padre e madre; i quali essa, pe°f d’amore, tanto superò
nell’affetto da farl-°*^^‘^ rere estranei al figliuolo, e non
appartenen lui che per il nome. E per aver compiuto a ^ st’atto,
parve n’avesse compiuto un cosi bei[' agli uomini e agli Dei, che, avendo
pur niohi compiuto molti e belli atti, ad assai ben pochi det tero
gli Dei quest’onore, di ricondurne quassù l’aninia daH’Inferno, ma la sua
la ricondussero D compiaciuti dell’atto suo. Tanto anche gli Dg;
pregiano sopra ogni altra l’osservanza e la virtù di Amore (49). Invece,
Orfeo, figliuolo di lagro, lo rimandarono via dall’inferno a mani
vuote mostrandogli un fantasma della donna per la quale era
disceso, anziché dargli questa stessa, poiché, come un citaredo che era,
s’era chiarito di animo molle, e gli era mancato l’ardire di morire
di amore come Alceste, anzi s’era inge¬ gnato d’entrare vivo nell’inferno.
Sicché per questo gl’inflissero una pena, e lo fecero mo- E rirc
per mano di donne (50); in quella vece Achille, figliuolo di Tetide,
onorarono e man¬ darono alle isole de’ beati (51) ; perché egli,
sa¬ puto dalla madre, che, se avesse ucciso Ettore, sarebbe morto,
dove, non uccidendolo, avrebbe, tornato a casa, finito vecchio i suoi
giorni (52), 80 osò prescegliere, andando in ajuto a Patroclo
amante suo e traendone vendetta, non solo mo¬ rire per lui, ma soprammorire(53)
^ lui già uscito * causa gli Dei, soprammodo anci essi
compiaciuti di lui, l’onorarono partico- rmente, perchè egli aveva tenuto
in cosi gran 41 Conv‘‘<’
racconta fia- Bd Escbf "^\„,ante di i o^di Patrono
era te?'®? col d>*’‘=’ non solo -j^n. :!^àoi^^\fdcgy^
^ZXo^to, come dice %eUe> giovi»® ^Lhe‘-llE>cio»o’'^”°
:> “ amare; per6 0""°‘n arato >1“““ „uage
dell’amante, an :.3"‘ ''“mv *0 a f r»“''”ri 17) E
P« “? Setok de’beati. - » S^te^idS ret ato e in morte
W). IX Di questo tenore /“ùssero termi altri
ehe „. , dopo im ei li saltando recr- ,sìrieordav.gran ta m.
’.j^„,l, dicesse, a il discorso di t'ausa oisoonsQ m
DlSCUi<e2>v \ e ci si sin lon bene, o
Eetoo- ^ P-'J,èssere ,osto il soggetto f ^ i,re Amore. Foi plicemcnte
invitati ad elog^^^^^e bene , ma %e l’Amore fosse uno^^^ ,gU uno,
0, e’ non è uno. or , n lSi
Convito coiivieii meglio dire prima qual^ i • amndi io
„,i sforzerà a corregge^ cloanrc quale Aurore bisogna lodare P-i»;
,n erodo degno dell'Iddio. Perche ,m’,f‘“"•d. che Afrodite non è
senza Amore PP'=''^o fosse una, uno sarebbe Amore- due C6o), anche
due è necessità che ^ siano ( 60 . E come non son due le De ? più
antica e senza madre, figliuola di Ciel„ appunto nominiamo celeste -
l’altra da Giove e Dione, che appuntò chiamTainr^l gare (62).
Quindi, è necessario, l’Amore J deU’una, chiamarlo a buona ragione
volcrare ^1° leste l’altro. ^ Ora, gli Dei si devono bensì
lodare tutti (6A- pure, ci si deve provare a dire le qualità
sortite da ciascuno dei due. Imperocché (64) ogni azione ha questa
natura; di per sè nè buona è ne cattiva. Ciò per esempio che noi
facciamo o il bere 0 il cantare o il discorrere, son cose di cui
buona non è per sè stessa nessuna; ma ne -tra, per il modo com’è fatta,
riesce tale; perche fatta bene e rettamente diventa buona,
così appunto l’amare im ^ buono c degno d’elogio;
quello che bene incita ad amare (65). L’Amore,
veracemente •icello con cui ^ veracenii quello
CC IL X adunque dell’Afrodite volgare
è vo gare, e opera a caso; ed esso è amano gli uomini abbietti.
Amano cUc i S'O'. iricoo 1*^ ^ piuttosto
I costo^°''%i che più stoUa- c P‘='^ ^àrdavtdo che a
sod- o non ng^'^^'^Xintenù. Onde Dtr' i,e P°^^°\orc, se V
occasione, sen'-"'’"'^ ,cUo di cn' ' il contra-
fa"”®’ //>! ^Perocché es ^p\\’altra, e p.<-
oca ( 67 ) „„iH nascita sua celeste da contro
>’A'".“'%Tfe«,mto, .00 ■"“t'p *
"“"tési" 0 poi cruna e „,aschio (68) > P appunto
si rivol 5°"'"'° li lascivia ( 69 ) •• prediligendo
"““dtscl.io 8Vispi.“^Tme8'lo «lofo , fc per natura pw
forte iigenaa. ^ ^l'^^^^rnte riconoscere jelh ‘T afooo®
i,c“oaiotcn- 1> t®""' “Scindono gii “'"“?„'lata.'>r>-
“ Sfitto,SO«g.-J»;jSrrro««» pcchò q»o»i. frisoUtto 0
ot»« ad amare, sono P““""„„„,e l’intera '.to. col
tancinllo e vvere n co orto e non gii,dopo «'f»;»;” “óra di senno
,0. come giovine, co P uotsi di corsa prendersi beffe di 1». = 'ol
,,,o, fan altro. Vi dovrebbe ““'' "on fosse i" «“ *
cMli non si amino r afffncbl n^^,,^ ^ a cosa spesa di mo ta
cuta^ P .poanto a ' "0 fine dei tandnlli dove 6»“ ’ ora.
> e virtù d’animo e d. corpo
Convito mettono essi questa legge a sè proprio volere;
se non che bi‘sogneS‘ lor cotesti amanti volgari, come appunta ,82
il pm che per noi si possa, a non . libere (73). Chò essi son
quelli volto l’amore in vituperio, tanto che tal dire che turpe
cosa sia il gratificare T ti C74). E dicon così, avendo l’occhio V
di cui vedono l’intempestività (75) ed poiché, di certo, nessun atto
compiuto ordin mente e conforme alla legge potrebbe co.rrT gione
arrecare biasimo. E appunto (76) la legge (77), che governa 1
amore nelle altre città, è Exdle ad intendersi poiché nei!
concetto uno solo ; ma qui (78) varia. Dappoiché nell’Elide e nella
Beozia e dove non sanno ragionare, unica legge è questa che
é bene gratificare gli amanti, e nessuno^ nè giovine nè vecchio, direbbe
che sia male ; af¬ finchè, credo, non abbiano a durar fatica a per¬
suadere i giovani con ragioni, inabili come'sono ^ ragionare (79) ;
invece, in molti luoghi di Ionia, c m molti altri è riputata cosa turpe,
tra quelli lutti che son soggetti a’ barbari (80). Di fatti, Ira 1
arbari, per ragione delle tirannidi, si reputa ^ turpe questo, e così
ancora ogni studio di sa¬ pienza e di ginnastica (81). Poiché quivi,
m’im- giova a chi governa, che si gene- o alterigie grandi nè
amicizie d’offnt g^giiarde, quello che, non meno prattuttn
l’Amore so- ’^sperienzrfirr^^^' ii^parato per ini anche
di qui; chò l’amore di 45 ^ -.rnona- Cosi
dove disciolse la lor sig ^^^^fjcare gli salda, di cosa sia
il g ^,.^,,c7.^a r SSo delUsoverchlena jiriaa^'’ '
l’hanno effemminatezza dei dei quella vece, dov^_ a sia
in ^n«n V.cposto hanno (84)- "fo di quelli che cosi dispo^
p., bella, e com XI I,uperocchè (85)
chi nJii bello r amare aper ottimi,
:s„!esop„«»«o>£frs C 80 -. e ancorché sieno pm cabile
incoraggia- "altra parte, chi -a nqualcosa mento
da tutti, (87) un innamo- dibrutto; c che il co brutto, e la
rato par bello, non cO q lode, legge ha dato licenza a chi j
quah, ;?ndo sia per conquistar^ ;«^\,„que altra chi
osasse fare per correr raccoglierebbe ca da '“'dfppoUtó, s= P“
''^ i maggiori biasimi,-•• , q q averne u di cavar
denaro a qualc^'^J^ ^solvesse fido (90) o un altro g^Jo I 9 amati,
1 a fare quello che g > un quali nelle lor richieste ‘
dormite sulle implorazioni e giuramenti C 9 i)
B D 46 (94), e servono ""
' servo tollererebbe serv,v ^ dagli ann-ci
e’daC,''' sua adulazione e abL ‘^“elli vJ monendolo e arr^
^“'^'ezione fq.x '“Petatid! f-- «li cosrreT"'' “«*=
■.?«>- «li i- P=rn.«„ Sr,^ «me a q„dIo che effetti L
' ^«to. E il pii, tecribile“"r'"“ '■'"“S a
meno dice )a geme, s„,o J,,? “■”' 'l«, co». gli_ Dei perdonano, se
trasgredisci poiché giuramento Afrodisio i f^( 96 ).
CosihannoefhDefri,°"""°"«‘- licenza accordato a
chi ama ogni legge di qui. Da questo lato terrebbe, che
nella citf\ nn«t* ’• ' ““*1“®’ “«o n- e l’amore7-
‘'"''«simo e amore e il mostrarsi amici agli amanti. Ma
Jlh VV’ P^dri, preponendo peda- S g I C97) 3 gh amati, non
permettono che di¬ scorrano cogli amanti (98), e i coetanei e gli
amici (99) \ itnperano quando vedano succedere qualcosa di simile, e i
vecchi, d’altronde, non inter icono cotesti censori, nè Ji biasimano,
come se non dicessero giusto, uno, che per opposto ^ardi^ a tutto
ciò, stimerebbe che qui una simile cosa si reputi bruttissima. Ebbene, la
cosa, credo IO, sta così ; non è a mi solo modo ; eh’ è ciò e ie s
è appunto detto in principio, eh’essa non sia bella nè brutta; ma fatta
bellamente bella, ruttaniente brutta (100). Ora, bruttamente è,
belT^ ° gratifichi un malvagio e in malo modo; niodo^'^'^p'^* quando un
uomo probo e in probo malvagio è quell’amante volgare, che
47 Convi‘0 „on L» i « r<‘>'"^^' „;, la
»ìia. P»''"'^ * ' 1*** • /Ilfscors* f fprmo Ip IpfTffC
l> ' nresto, perchè s' L' r esser preso p
crrutinitore, * truuo 1 esse p scruti tempo — Aprp da
denari e ua- P l ' òl il lasciarsi prendere da s, sgo-
;;Ucii è brutto, sia eh (loa) non menti e non resista, s^ e
par disprezzi. senza dire che da cJ sia nè ferma nè
stabile, s .^^Ha i «sauna nobile “rbellan.entc deve
leiTge nostra una sola y Dappoiché a noi Saio gratificale
"n.i (io,) d questa è la legge; ^'f°"^^Vrervitù verso
l’amato servire spontanei qualunq ^^ulazione, cosi s’è
concluso, che non ,està non vitupe- un’ altra servitù sola spon *
oggetto- rcvole, quella che ha la v'rtn p
48 Convito XII Chò appunto ò
ammesso n quando uno si risolva a niH ^ ‘ii noi , perchè egli creda
di diventa^r^m" ài',''- di lui o in sapienza o in qualun
^ virtù (104), questa servitù spontanea no" pur
essa brutta, nè sia piaggeria ?• ?" "«P- queste due
leggi, - quelf ch^ regf/? « dei fanciulli e quella che regge
Pai sapienza e di ogni altra virtù (foj) IT4 correre al medesimo,
chi voglia che to™^?' Il compiacere l’amato all’amante. Chè qual?
insieme s’incontrino l’amante e l’amato, ree nt ciascuno la sua legge -
quello che qualunque servizio egli renda agli amati che lolompTc!
ciono, giustamente lo renda, questo, che a chi sapiente lo faccia e
buono, qualunque ufficio egli presti, giustamente lo presti (106), e
l’uno, po¬ tente d’intelligenza e d’ogni altra virtù, ne dia, a tro
manchevole in coltura e in ogni altra sa¬ pienza, ne acquisti (107), —
allora si, queste due concorrendo in uno, egli accade, e sol- tamo
cosi, che bello sia il compiacere l’amato all amante, ma in altro caso no
(108). In que¬ sto, persino il trovarsi ingannato non è punto 85 •
ùi ogni altro, o che tu sia ingannato 0 ^,0. ti porta bruttura.
Perchè, se uno che a\- ricco avesse per ragion di ricchezza
perto*i?'"'^°’ ^™vasse deluso per essersi sco- n^en brutto^-^'^^
Povero, non perciò gli sarebbe ’ perchè un siffatto uomo dà a di-
B 49 I anin .0 suo. a>ep« perché
buono c P .j„y;ore egU stesso, diluì diventare
Lll’»'"'^ ' poi deluso, P bello l’ÌBga’^’^°’ anche
questi da a divede^_^^^ ^ I,£t«0 V P™"“ “ ^T'r^
''^.1 diventare mighore 5 ^-^.^ontro, e la ‘ • ter
chicchessia; e quest . bello per *'. ?ella cosa di tutte.
Cosi, £ di virtù comptacere ^ Celeste, I '"Questi
ù r Autore della D 1 di gran pregio alla \ amante ' ài
.Uri»"-»" sopra dì st q“»"“ ' volgare. E qaesK
sono dell’ultra Deu.d ^ all’improvviso sono, 0 Fedro, le ’ ^
er la mia parte. intorno all’a\more IO t arreco p „
aiacchè i sapienti Fatto pausa assonanze - avrebbe
m’insegnano a fare di q a. ^ere Aristofane; dovuto, disse
Aristodemo discorre ^ se non che gli era o per _ p ^ altra causa
venuto il • ^aco il medico: -- di parlare, sicché disse ^ ^^i — O
EriS’si- questi giaceva nel letto op cessare (m) maco,
il dover tuo e ^naié il singhiozzo, o di P^^' Erissimaco
rispose; non mi sia cessato „..rché parlerò m E io farò
tutteddue le cose, l ^ Platone, Voi. ì X- so
Convito n'» ™cc, c sato, in vece mia, p „pi , SP'onao
li . guarda se il f P» che ì« jg r«. nendo ,1 fiato per „„
peaaetto .t”S' E gargarismi coll’acqua. Se "o. fa'^
lascia vincere, e letichi il naso e starnutisci ; e quando
®ol- qiiesto una volta o due, ti cesserà molto forte. _
O parla d„„,re Stofane — io farò così. ^n- XIII
Discorso di Erissimaco Ed Erissimaco principiò a dire : —
Dunque, siccome Pausania, prese bene le mosse del di- i86 scorso
suo, non l’ba compiuto a dovere, mi par necessario che io mi deva provare
a metter la fine al discorso. Di fatti, che l’Amore sia duplice,
pare a me si sia distinto bene; però, eh’esso non risieda soltanto negli
animi umani nè abbia soltanto i belli per oggetto, ma molti altri
siano gli oggetti suoi, e risieda anche altrove, nei corpi, cioè,
di tutti quanti gli animali, e nelle piante della terra, e per dir cosi,
in ogni cosa che viva, a me pare averlo appreso dalla medicina, 1
arte nostra, come grande e maraviglioso Iddio egli sia, c a tutto si
distenda e per le umane e le divine cose(ii2). E comincierò a dire
dalla medicina, anche per fare onore all’arte. La natura dei corpi
ha il duplice amore aneli’essa, cd è questo: il sano nel corpo e
l’ammalato Convito 5 * .-no per consenso
di tutti, cosa diversa e dissi- rnile- e il dissimile desidera ed ama
cose dissi¬ di i • sicché altro è l’amore che ha sede nel sano.
-Itrò t quello che nell’ammalato. Siccome, dunque, secondo ha detto
or ora Pausama e bene gratificare i buoni tra gli uomini, male i
Snaiosi; e cosi anche ne’corpi é bene grati¬ ficare quanto v’é di buono e
di sano in ciascun Spo e si deve, - e questo fe ciò che si chiama
arte medica - e invece male il gratificare quanto v’é di cattivo e di
morboso, e gli si ^^«ve far brS 0 amore, questi è l’uomo sopra tutu
inten¬ derne d medicina. E chi sa farli mutare, in modo dm in
ricambio di un amore si acquisti J • Mi; ;n cui l’amore non sia, ma
bi- tro, e in farcelo nascere, o, quando sogni generarlo. ,
-uesti sarebbe davvero un valente artenc • i,- ip rose che vi
sono di "f7^°^n-unaanù l’altra (lU)- nemicissime,
e la -nnnste il freddo 0 „ «U»™»»'» 'X(UI), = 'vi» vi.
«-sr aX « tra tali „„asti(ii7) PO^ti ed pio(n6),
secondo la L credo, dico io, è T ,.a\rco.«» r=
gìnnaSca O'ii e l’agricoltura. La musica poi.
Convito' per poco che ci si badi, si vede chi. stesso tenore,
come forse anche p ’deiu .87 dire;chè, quanto alle parole, egh^n ”
me bene. Giacché dice che l’uno si accorda con sé, come armonia
lira (119). Ora, é grande assurdità 17 ° «i' un’armonia discordi n
rieri,,: j. “"’c, che B discordanti.
tuttora derivi da cose tu Se non che forse voleva
dir sto, eh’essa nasca dall’ acuto e grave discordi; priiTiii e
dopo consenzienti per opera dell* * musicale; ché, certo, armonia non
nascerebb"^ dall’acuto e grave discordanti tuttora; ché ar¬
monia é consonanza, e consonanza é un con¬ senso; ora, consenso è
impossibile che provenga da cose discordanti, finché discordano; e quello
d’altra parte, che discorda e non consente, è impossibile che armonizzi :
appunto come il ritmo nasce dal veloce e dal lento, discordanti da
prima e poi consenzienti. In tutte queste cose é la mu¬ sica quella
che mette il consenso, come in quelle altre la medicina, generandovi un amore
e con¬ cordia vicendevole. Sicché la musica, alla sua volta, é
scienza dell’amoroso nell’armonia enei ritmo (120). E nella composizione
stessa dell’ar¬ monia e del ritmo non è punto difficile discernere
l’amoroso, né costì v’è il duplice amore (121): ma quando bisogni usare
del ritmo e dell’armonia cogli uomini (122), sia componendo, — che
e quello che chiamano niclopea — sia usando ret¬ tamente di melodie
e metri (123) composti (124) ciò che s’é detto educniione (^12^) —
qui c é la difficoltà e c’ é bisogno di buono artefice. Poiché
torna da capo lo stesso discorso, che gl> Convito
fine che diventino più uomini J non son tali in tutto (126),
perbene quelli che « tenerlo caro, e bisogna_ gffceleste,
l’amore della ce- E invece quello di Polimnia(i 28 )
leste Musa Ci 7 j> jj deve amministrar con t il volgare, n
qnm ci col<»a bensì cautela a chi 3’, ?n-eneti punu incon-
11 nostrale gran cosa l’usar tinenza, i-ome nei -scinte
dall’arte della rettamente nè colga il piacere .cucina,
per modo e nella musica : dJsrdS’1=“-™-'^ ■“ X.IV
^'^enl^l^X'ddu^qtes\e indura-^ JlTrquando le co^
caldo e il freddo, coll’altra, e for- in un «''^“^■‘'^“.''““'
ontempéranza sapiente. nVmo un’armonia e una coma ^ vengono
apporta ne ^ pinate, e agli uoniiiu c ‘ «nrln in quella vece
non fanno punto diventa il più fo«e rumore infetto di molte
cose c fa nelle stagioni dell ann ^ jogUono esser generate
danno. Di lam» P malattie diverse d. ..di cagiom.
d.■"<>, “ le piade; c 1» tanto negli aiiiniali c _gù« miscono
dal brinato = 1= '';„"„*Labpr0PP“^^^^ V accesso e
disordine risp 54 Convito amorose,
la cui scienza de' jielle stagioni degli anni si' c1h;‘ as^i ^
Di pu. ancora, ci sacrili.! tutti e presiede I arte divinatoria, p
■ ® a cui vicendevole comunione degli dei'èoar'a non hanno altro
oggetto, se non Pose. risanamento (i 30) di Amore. Chè “ >'
suol generarsi, quando uno non grati£ ordinato, e onora e venera in
ogni suo questo, ma l’altro (131), si rispetto o VIVI 0 morti, si
rispetto agli Dei; dove aT punto è commesso all’arte divinatoria di
vigilare gli amori (132) e sanare; sicché, da capo, 1>arie
divinatoria è operatrice di amicizia tra gli Dj! c gli uomini mediante la
scienza di quali tra le propensioni amorose di questi tendono al
le¬ cito (155) e quali all’empietà (i 34). Cosi molteplice e
grande, anzi, in breve, una universale potenza ha ogni Amore; però la
mag¬ gior potenza la possiede, si presso noi e si presso gli Dei,
quello la cui sodisfazione è nel bene ac¬ compagnato di sapienza e
giustizia (135) ; esso appresta ogni felicità, e ci mette in grado
di convivere gli uni cogli altri e diventare anche amici agli Dei,
migliori di noi. Ora, ancor io (136) forse nel lodare Amore tralascio
molte cose, non però di proposito. Ma se ho trala¬ sciato qualcosa,
spetta a te, Aristofane, di sup¬ plire; o se tu hai in mente d’elogiare
l’Iddio in qualche altro modo, e tu 1’ elogia ; ché ti é anche
cessato il singhiozzo. Q.UÌ, Aristofane, presa la parola,
cominciò) raccontava, a dire: Si, è appunto cessato, non
Convito ' • file io ali abbia applicato lo star-
■: richiedi iili roihoti e ptent, quii l tr ;Ó Lrnu.0 (.,7).
Pd"» ‘ ’W'” ho dppliccto lo su,™». “ «c nW - g«»“p
» 1“"“ d"' ';“';'i "™“rl sV 'per cominci»™ »
P»*'" >“ ' Tu burli, man ^ ^j^ella al discorso tuo,
’^ioTcX Vdire' qualcosa di ridicolo, mentre ^ avresti potuto
parlare bene, E Aristofane, ridendo, "P istare
Erissimaco, e sia per non a farmi che me n esca
SI stanno per . che sarebbe un gua- rg“o to’S;.™ »>i»
«'“» _ e or» cedi di f“p 'dj ('»>
r:.:o„rpdrrr.rm-.p».Mn.»»d stare. XV Discorso di
Aristofake cominciò a dire E in vero, ménte di discorrere
in Aristofane — lO q^jella che tu e una maniera diversa
^ pare che gh Pansini» «die fitto. pottor» uomini non
abbiano pu Convito di Amore, chè. se l’avessero
con,„ mnakato in onorsuo i maggiori '""fcbbcf, e
celebrato i maggiori sacd£i, noS che di tutto questo non gli si fa
SI dovrebbe fare più che altra cosa / D Perchè è, tra gli Dei, il
più amico dcel essendo soccorritore loro, e medico di ^ dalla cui
guarigione deriverebbe la felicur giore al genere umano. Io, adunque, mi
sCf^ . a dimostrarvi la potenza di lui, e voi ne sarct maestri agli
altri. Ma vi bisogna per prima cosi intendere la natura umana, e i casi
di essa. Ab antico, di fatti, la natura nostra non era quella
medesima d’ora, bensì diversa. Chè da prima E erano tre i sessi umani,
non due, come ora, ma¬ schio e femmina; ma vi se ne aggiungeva un
terzo, partecipante di tutteddue questi, del quale resta oggi il nome, ma
esso stesso è scomparso. Allora, di fatti, v’era e la specie e il
nome uomo-donna che partecipava di tutteddue, ma¬ schio e femmina ;
ora non ne resta che il nome a vituperio (141). Di poi, l’intera figura
(142) di ciascuna persona era rotonda, colle spalle e i fianchi
tutt’intorno, e di mani n’aveva quat¬ tro, c gambe quante le mani, e sul
collo tondo due visi, simili da ogni parte ; su ciascuno poi de’
due visi posti 1’ uno di rincontro all’ altro una ‘90 sola testa (143), e
quattro orecchi, e due mem¬ bri, e il rimanente, quale da ciò si può
con¬ getturare. Camminava poi si ritto, come ora, per il verso che
voleva, e si quando si metteva a correre, reggendosi sulle sue otto
membra andava via lesto facendo la rota, a modo di 57
Convito quelli che, \MssT,'’poi.«=^"° ^
s"’ "Xchè il Maschio fu in origine pro- tre e
siffatti, p , della terra, e il terzo genie del sole, ^ ^^eddue,
della luna, giac¬ che partecipava “ d’i quello e di que- sta
(145)- "^^gVianza co’loro progenitori, cammino, per ® ®
terribili per forza e per Sicché in principio grandi e
assalirono gli Dei. XVI r .litri Dei si
consultarono Sicché Giove e g i ^ stavano che cosa occorresse
loro^dj in dubbio ; che nc a fulminarla nt di farne
J“"P^""^^^bhero scomparsi insieme come t celebrati dagli
uomim; e gli onori, e 1 ‘ imoerversare. Infine, „ea„d,=
volevano If “f 'X" ,4 _ E' mi pa- Giove si formò a fané. uomini
esi- re — disse — avere un LholffU?). cessino stano e
insieme, P"ra - disse - H spar- dalla petulanza. Giacdr
tirò ciascuno m dtie, ^ noi per- ranno pib deboli, e
mstenmj^^^^.^^^^^^^ diritti ché cresciuti di nunier^ , . ^j^e
conti- sopra due gambe. Ght P Convito
58 luiino a imperversare, e non vogliano stare quilli, e io,
— disse, — li segherò da capo**''' due, sicché cammineranno sopra una
gamba s 7 saltellando (148). E detto questo, tagliò gli ° ® mini
per il mezzo, come quelli che tagliano ] sorbe per salarle 0 quelli che
tagliati le povj E col capello (149): e a quelli che tagliava, co¬
mandava ad Apollo (150) di girargli il viso, c metà del collo dalla parte
del taglio, peròhù r uomo, guardando il taglio fatto di lui, si
con¬ ducesse con pili misura; il resto lo medicasse. E Apollo
girò il viso, c col tirare da ogni parte la pelle verso il ventre, come
si chiama ora, vi fece, a modo delle borse a nodo scorsoio, una
sola bocca, c la legò nel mezzo del ventre, tgi quello che si dice ora
l’ombelico. E le altre grinze — ve n’ era rimaste tante — le spianò,
e rassettò le costole, servendosi di un istrumento, su per giù come
quello dei calzolai nello spianare sulla forma le grinze delle pelli, e
ne lasciò al¬ cune poche, nel ventre e nell’ombelico, per ri¬ cordo
dell’antica jattura. Or bene, quando la creatura umana fu tagliata per il
mezzo, ciascuna metà desiderando l’altra le si faceva incon-
gittandole attorno le braccia, e av¬ viticchiandosi runa all’altra,
poiché si strugge- H vano di risaldarsi, morivano di fame e d’ogni
altra sorta d’ozio per non voler fare nulla l’unO senza dell’altro. E
ogni volta che una delle metà morisse, e l’altra sopravvivesse, la
soprav¬ vissuta ne ricercava un’altra c le si avviticchiava) 0 che
s’imbattesse in una metà d’una intera onna, — quella ^i^g chiamiamo
donna 59 „ Mio,. Giove, „„ «omo; 0
“ ° I o '' ^ «li* • oerchc sino avendo»® oonip pudende,
pej "°rfn terra, come le che me- Sin^e, così sul
negli nlm, diante quelle la femmina (i 5 S) niediame
.tll’abbraccio. se un uomo con questo fine, eh onerasse, e la
specie s> imbatteva J^ttesse maschio con esistesse,
e se im ^^are insieme, maschio, venisse 1°’'° ^ a operare.epren-
e smettessero, e si rnolg dulia vita. D
XVll 1 \\ Tini è un contrasse" Ciascuno, dunque,
come le gno (156) d’un uomo, ulte eia- sogliole (157);
uno due. S inten scuno cerca il contrassegno insieme
uomini che sono come un taglio di qu che allora si chiamava
i(omo-ioM«a, son ‘ di donne e i piti degli adulteri da questo sess
son proveiiun; e così q^- "sesso , Convito
6o sono taglio di donna, le non badano di molto a^Ii
uomini queste, ma hanno piuttosto il cuore alle donne ed il sesso loro è
quello da cui prò. vengono le tribadi, aitanti poi sono taglio di
maschio, vanno dietro al masclùo ; e sinché sono ftnciulli, come
particelle che sono di maschio, amano gli uomini e si compiacciono di
giacere - con questi e tenerli abbracciati, e son costoro ’ i
migliori fanciulli e giovinetti, chè non v’è nature più virili di loro. E
v’é chi afferma, che questi sieno degli svergognati! bugiardi; non
è già per svergognatezza che cosi fanno, ma per ispirito di ,baldanza e virilità
e ma- sciiiezza, appetendo il simile a sé. Una gran prova n’è
questa; soltanto costoro fatti giovani rie¬ scono uomini (159) da
attendere agli affari pub¬ blici E diventati maturi, mettono amore ai
fan- li ciulli, c di nozze o di far figliuoli non si danno pensiero
di per loro, ma la legge ve li costrin¬ ge (160); quanto ad essi, son
contenti di vivere gli uni cogli altri senza ammogliarsi. Sicché un
siffatto uomo diventa addirittura amante (i i) di fanciulli od amato,
appetendo sempre nei due casi quello che gli è congenere. Ora, poi,
quando C un amante di fanciulli, o chiunque altro s ini
colla sua propria metà di prima, allora è una maraviglia come si
struggano di amicizia e m trinsichezza ed amore, tanto da non volere,
per cosi dire, separarsi gli uni dagli altri neancie per un minuto.
E questi son coloro, che riman gono insieme l’intera vita, e non
saprebbero neppur dire, che cosa mai vogliono che per opera
dell’uno succeda all’altro. Giacché non pn'"'
6i T) t Siòn” r- insien''® . .v, ciascuno
dei esprimere, Lm"^ralcos’ altro, cbe tjo ^ ^-ee
‘^’ 'Tl nrc%ti"‘="^°/' eoel’instr'if^''""
„ia ha £ se Elesto, cogl in cnimm sopra di > {.
rnai, niano, si domandasse ^ ’ onera del- I.icceda
all’altro? ^ ^ ^^^^^dasse da incerti della risposta,
^.^^nrel’uno nello stessissimo luogo n nt notte -
potervi lasciare l’un liqnefarvi e eoa- chè se desiderate °
nhe siete, diven- ^ilarvi insieme, ,n tiate uno, e
sinché > morti, comune come uno " \i,m invece di due
anche laggiù nei reg ^^^^^date. se è questo morti uno solo
(i6 ^^ddisfatti, quando lo che ’ inmo bene, che, sentito ciò,
nessuno, proprio nessun darebbe di avere strerebbe di volere
altro, . ^ desiderava pure propriamente sentito qu ,j, ^to
diventare da un penzo, unito e fuso coll ^to di due
uno. E la causa nò questa, cne , nostra natura era si
desiderio, adunque, e all. d;\ nome amore. eravamo uno;
E prima d’ora, come dico, i ora, poi, per la malizia nostra,
sia 52 Convito paniti di casa dalla mano di
Dio, come i- Arcadi da quella dei Lacedemoni (163). Sicchfc^ '
cogli Dii non ci si conduce come si conviene*^ v’è da temere, che si
possa essere segati da capo’ e si vada attorno, come le figure delineate
dj rilievo sulle tombe (164), tagliate per il me^o dei nasi,
diventati a modo di dadi cotisunti. Anzi per questa cagione bisogna che
ogni uomo esorti B ogni altro a condursi piamente verso gli Dei,
perchè alcune si sfuggano, altre si conseguano delle cose, a cui Amore è
guida e capitano. A cui nessuno faccia nulla in contrario ; — e fa
in contrario chi s’inimica gli Dei ( 165 ) — giacché diventati
amici dell’Iddio e rimpaciati con lui, ci succederà di ritrovare- e
incontrare i propri amati nostri, il che ora accade a pochi. Ed
Erissimaco non mi s’immagini, per canzonare il mio discorso, che io parlo
di Pausania e di C Agatone; forse, anche loro sono di quelli, e
tutteddue maschi da natura ; se non che io parlo di tutti, e uomini e
donne; chè così la stirpe nostra diventerebbe felice, se dessimo
perfezione all’amore, e ciascuno s’incontrasse nel proprio suo
amato, tornando nell’antica natura. E se l’ottimo 6 questo, è necessario,
che di quanto è oggi in poter nostro, ottimo sia quello che più vi
si avvicina. E ciò è il ritrovare un amato, fatto secondo il proprio
cuore. ^ Del che, se s’inneggia autore un Iddio, Amo¬ re è
quello a cui a ragione spetterebbe l’inno. Amore che ci è di moltissimo
giovamento nel presente, poiché ci riconduce nel proprio, e ci dà
le maggiori speranze per l’avvenire, — se però noi
65 ,i .-.età v=W sii a»
Só-'r-' xvin j» il mio discorso •
tr.rno ad Amore, di'crs ^ ^ canzonatura, t ‘„%c p-»g*;». "r,
‘=’’' ■''“ir- .„d,c a pari»"" °
P'""-"" quelli che rimangono P ^ Socrate,
rimangono, di fatti, § , _ raccontava che Ma io taro a tuo
n»do^ j,, ,1 „o rispondesse Enssimaco ^P ^^p^ss,
discorso sono valenti in cose che Socrate e A^a dovessero es-
d’amore, temerei g'"^" ^-ose oramai si sere impacciati
a ’ ‘ ^ro fiducia, son dette e cosi perchè E Socrate
rispose; dóve sono «94 tu te la sei quando avrà discorso
,ira..uraro(.66), perché io mi turbi, ° che il teatro (167)
sia in grande aspettazion me, che io debba discorrer bene. ^ _
Sarei d^avvero uno smemorato, Agatone, soggiunse Socrate, — se,
avendo visto 1 raggio e Palterczza con cui tu sali su pa^ co
insieme cogli attori, e guardi in accia ^ gran teatro, quando tu devi
rappresentare 1 64 Convito componimenti, e non ti mostri
sgomento un poco, ora credessi, che tu ti debba a cagione di questi
pochi che siamo Ma che ! — riprese Agatone — non mi cred
Socrate, cosi pieno del teatro, da ignorare ne che a un uomo di mente
fanno più paura n persone di senno che molte senza (169).
Certo, Agatone, non farei bene, — ripigliù So crate, — se pensassi
di te nulla men che gentile Anzi io so bene, che se tu t’imbattessi
in-persone che tu reputassi sapienti, ne saresti in maggior
pensiero che della folla. Ma, bada, che noi non si sia già di quelle;
perchè noi ed eravamo in teatro e facevamo parte della folla. Però, se
tu t’imbattessi in altri sapienti davvero, ne sentiresti tu
rossore, quando tu credessi di fare qualcosa di brutto? (170) o come
l’intendi? Dici il vero — rispose l’altro. E della
folla tu non ti vergogneresti, se tu credessi di fare qualcosa di
brutto? Dove Fedro, raccontava, interloquendo— Caro Agatone
mio, — dicesse — quando tu risponda a Socrate, non gl’importerà più nulla
di nulla, di quello che qui succeda comunque succeda, purché abbia
soltanto con chi conversare lui, spe¬ cie con un bell’ omo. Ora, Socrate
io lo sento conversare volentieri ; ma a me è necessario aver cura
dell’elogio di Amore (171), e riscuotere da ciascun di voi il suo discorso.
Dopo sodisfatto ddio ciascuno conversi poi quanto vuole. Ma
tu parli bene, Fedro, — disse Agatone — c niente m impedisce di parlare ;
non mancherà poi occasione di conversare con Socrate.
•s 7 64
‘.v«mponÌ!n,tntt, Convito > c non li
mostri ‘T pocoi ohi credessi, chr f.® r®"*®
,, ^<^“^chc:t;Td:vTiÉ^ cagione di questi pochi che l- ^
^WÈÉ iS^. . •MucheJ—rbrese Agatont’' Socrate, cOS\ rneno del
teatro, da'i'!" ' f^. -cheuun nòmo di munte.(anno p®, '
itrn> ''.ihr rt» \ ^ P'I Jf m Futdjo che:
molte- -ci Jo. A.-atc-uc, nonfiiiti htne, - nv'l ,>
-.MJ.S - se p*s«*«I di :c nalla uicn chè£ - t so bc«^ , cho se tu
l’imbattessi- • fe?:tB r.epntf. -i rapanti, ne Sare.sti
inV,.’-1 r^’ero che deiia folla. M.s, bada- die .UU fiJ, d! c,
parchi noi cl tuati-0 e fflceaamo parte della folla. Petò,fc.,r» ^
•t’iaib.ittcssì M :iln-it;.»p{cnti davvero-, nc scw.h»- tu t-o$.sore,
quando in crcdtssi di -fare quaì. -li brullo? (170) o come
rintendi? rtk'ci 11 Tcro — rispose Taltro. . il - • j-
. .in f>>}lii tu non ti vergognerusti, t* •* ti i di f.)ro qualcosa
d! brutta? » 4 -’’ l odro, raccontava, inierioquetido->~‘
<S^’j^'t‘UO, -- dicesse — quando tu ris;- V v^:Tàfé. jpon priuaporteri
più nulla^ji ' • f iUo che ani succeda coinunqyu .^ucc '•M
,-i.!: «hb abbia s-^tanto con.chi convcrj.at5glui5^sj^^' • ::;con
un bairomo. Ora, Sgcirate/lo converj^ret'oitn litri ; ma a me è
jiccessarww^^ «tra ik'ir elogia di'Amore (tyt) ^ erlscuoicr
-ciascun di voi il suo disco^-'; .C>opc?»C^*^ l'Iddio clascuuci
conversi poi qyaj 4 l? J Ma in p,i. li bene,.Fedro, c
niente m’impedìsfc di parlarci nph-manv: , poi occasione di cons*etsare
cori .Socrate. ’ Convito
65 95 „ ni AGVrONE Discorso
o’ priwa ha? discorso T’c'ct 72 >
■P^'^°""^’%arabbiano l’ldd\o poi dire Cn ^ non ,. .. ^o
dei beni, pvand gli uomini nup\e essendo i
--“"'Chiusi l’Iddio; r/ntsuno l’ba di n tutti cotesti
beni ^%*ure, d’ogGi lode go quale di quali cose E cosi
è g^Jf egli u discorso sia 075; ^ • stesso quale eg
bello, egli ^^/osiff^to. D P^ ge d più giovine degli Dei, g
foggu di 'quesm suo tratto eg smsso, P ,e,oce b fuga la
vecchiaia, P dovere ci arrii almeno assai pih pres p aver a
a’ fianchi. Ora, P neanche di lontano, iu odio e non le si
acco , ^ ^ ^^^6) ; -b E sempre co’ giovani usa e « sempre
bene sta 1’ antica "oute»- . consen col simile
s’accompagna ( questa non ziente con phio in conscio,
che lui g- c di lapeto O?»)- 5 Platone, Voi. hX. ►
* 66 Convito C vanissimo
tra gl’ Iddii c gio\ gli antichi fatti intorno agh Parmenide dicono
(179), esse di Necessità, e non di Amore, se pur sero
il vero; chò non si sarebbero viste ‘ tazioni e legamenti vicendevoli ed
altri violenti atti, se Amore fosse stato tra lor^b^’ ® amicizia e
pace, come ora, dal di che sopra i Numi regna. Dunque giovine eguT
P e oltreché giovine, delicato (180): solo un poetà gli fa difetto quale
Omero, che mostri la deli¬ catezza di lui. Ché Omero afferma, che
Dea Ate sia e delicata, almeno delicati sieno i piedi di lei,
poetando (181) : I piè di lei son delicati; e il suolo Non
tocca; dei mortali ella sui capi Cammina. Ora, è buono
argomento a mostrare la deli¬ catezza sua, ch’ella non sul duro cammini,
ma E sul tenero (182). E lo stesso useremo noi argo¬ mento a
provare di Amore che delicato egli è. Che nè cammina sul suolo, nè sui
crani i quali punto teneri non sono, ma nelle più tenere cose e
cammina e dimora. Perocché nelle indoli e ne¬ gli animi degli Dei e degli
uomini la dimora pone, e nè in tutti gli animi del pari, ma dove in
uno s’imbatta d’indole dura, va via; dove di tenera, vi s’accasa.
Poiché egli, dunque, e co’piedi e con ogni sua parte è a contatto delle
più tenere g(5 tra le tenere cose, è necessario che delicatis¬ simo
sia. Sicché giovanissimo è e delicatissimo, e di giunta fluido di forma.
Ché non sarebbe 6 ? B Co’ivilo ^
neU’en- U»»' (■«!?'. C»«o *« s»p» o^. iorf“"”“ ,
M«, ‘l“‘''?Si AmP« pos*'"''’ ,jvveoen='^ „nso di ^ guerra
sempre. .!•"■ °«P»“ “ T Wer. d=irM» "* chè f
del colore, “ ad anima e ctó.a So.e o cta ' K' I
soggetto la Amore; e dove f ner£, non s’accoppa A ,
Todoroso loco sia, 1» P fiorito c ou perniane-
j iiMddio e basta sin Orbene, della 0'“““‘‘Jella vlrtì
d’A»ore qui e molto resta a g U principalts- conviensi
dopo quella P ^ offesa nt sinio è. cito Amore ^ ^,84>
di Dio o a Dto nc * -tUre eo'U stesso, s Perché nfc per violenza
non tocca ^ qualcosa patisce; - eh ^ volontario i; in
tutti il servigio ' ^ jj^ reme (t 5) > assente a volente, h
legSh , giustizia, affermano che giusto sm- ^ ^i^sinaa.
Peroc; è provvisto di temperanza ora^^^^. ^ ^esidern chè si
consente che vince P^^^^ non sia temperanza, e che p gè sono da me
, v’abbia piacere «essuno- O < ^ questi è forza che
sien soverchiati 68 Convito soverchi :
ma se piaceri e desidp •• D 197 t.(iò6).
E quanto a coraggio adr^°P^^tut pure Are contrasta » (187). Chi «
n«(, Amore, ma Amore Are possied^'^am^ Afrodite, secondo è fama
(188) • or ’l • di tiene in poter suo il posseduto é più coraggioso
d’ogni altro, debbe esli certo il più coraggioso di tutti
(189)^'?®5' della giustizia e temperanza e coraggio dS'r? d.o s’è
toto; resta ddk sapiens,; ; SI può, bisogna provarsi a non
ometterla (looT E da prima, perchè io per la mia parte lodi l’LÌ
nostra, come Erissimaco la sua, poeta è l’Iddio sapiente per modo che
rende tale altrui; al¬ meno diventa poeta, « ancorché pria fosse di
Mm privo » (191), quello cui tocchi Amore. Il qual suo tratto ci si
addice usare a testimonianza che Amore, in somma, è artista buono in ogni
crea¬ zione che attiene alle Muse (192); dappoiché le cose, che uno
o non ha o non sa, non mai le da¬ rebbe ad altri, nè le insegnerebbe ad
alcuno. Oltreché la creazione degli animali tutti, chi vorrà
contradire, che non sia sapienza d’Amore, quella per cui opera gli
animali tutti e nascono e cresco¬ no? Ma nel magistero delle arti, non
sappiamo, che quello di cui questo Iddio si sia fatto maestro,
rinomato è riescito ed illustre; quello, cui Amore toccato non abbia,
oscuro è rimasto? L’arti del saettare e del sanare e del divinare Apollo
(193) trovò, guidato da desiderio e da amore (194) > sicché
anche questi discepolo saria d’Amore, c le Muse ne appresero musica, ed
Efesto l’arte 69 « Zi‘^^ ’ le cose dCo'
amore, s m c ' • onpoirto 1 _ • ft-i genererò, vive
d'.C ''chfe^rn brutte..^ ’‘jf di bellez5-a. priircipro ^
o- ;ndc> ■,„„onzi, _An SI narra (,19 ai
bellez^-'*'’ — , principro u- -- »"«• ■' inna®'. si ^ ;
terribili eventi, -t^ecessità % « i“nsi s» ^
;«/»« ts -s"' Vantare Amore, es- o Fedro, a
\ ^ e ottimo, dipoi 1 sr: Ji*"'" ,. ., mar
cairn»,‘‘='"'““ „ ai,caco, . »s> D attesti
<i’0B”i „■ empie che cl at- vttOta, e d'ogni mgunate degli
tttt. tmelia, egli. ’S"ttnSsero, aeUe «e cogli
altri instttttl che s, «o ,gli m. ezaa „ei coti, nel saenfien g,
benevolenza • inspira, selvatichezza sband .^^^i^ordioso ai
largo, di “lenabile, buoni (zoo), a sapm ^ custodito d
bile-, invidiato da chi n F . ^ ^ dilettosa, na’rlcco, di
re»').'’»'*''';,"'?» grazie, di brama, i ^ ; m trav g >
tore dei beni, timoniere, ' paure, in pencoli, m ^°^tore ottmm,
di I marinaro, commilitone 7 ° Convito
quanti gli Dii c uomini adorm bellissimo e ottimo, che ad
ogni'?,?"'’ seguire innepiando e prendendo pa?? canzone, eh
egli, molcendo ]’intellel gli Dn e degli uomini, canta (203) ‘«'ti
auesto discorso, dice, o Fedrh sia parte offerto in voto all’Iddio,
dove di s^T dove di misurata seriet.^, in quanto ir, perato (204).
’ .XXI 198 duando ebbe finito Agatone, tutti, disse
Ari¬ stodemo gli astanti esclamassero, che il giovi- netto avesse
discorso in maniera degna e di sé e dell’Iddio. Sicché Socrate, volto ad
Erissi- maco, dicesse : O figliuol d’Acumeno, ti par egli che un
timore da non intimorire m’intimorisse poco fa (205) e non fossi invece
profeta nel dire quello che io ho detto dianzi, che Agatone avrebbe
parlato mirabilmente ed io mi sarei trovato nel¬ l’imbarazzo ?
DeU’una cosa — rispondesse Erissimaco — mi pare che tu l’abbia
indovinata, che Agatone par- B lerebbe bene; ma che tu ti troveresti imbaraz¬
zato, non lo credo. E come, beat’uomo — ripigliasse Socrate —
non mi troverei imbarazzato cosi io come chiun¬ que altro, che dovesse
prendere la parola dopo la recita di un cosi bello e svariato discorso ?
E il rimanente non ò stato altrettanto maraviglioso; tua sulla fine,
quella tanta leggiadria di vocaboli ' ® __ me.
di clràdo di dir nulla, scndr'^- non sarò “ ^^^i^zza, per
poco - s> ^-’Cia ^lla vergogna, se C sono t'^g?
Vaiscorso m’ha rrchu- 100’’'*= \ia. Giacchi-_ occorso 1 caso
d’ Omero (ao/b (;ìo8) Agatone lanciasse^ e nu fa-
Gorgia, E ho capito >»''X
s.»->^r:“'?dS”.■<■■•’"^ ■ “ 1 stato davvero ndmo , q
p^^te rSHiSSi che D
Sa";=S==S lualunQue cosa. biso'^ni dire il ' ì, _
m’immaginavo, che o "ila cosa, quale si s-^nto; pd, scelto
del ; che questo fosse 11 ^ia acconcio vero il meglio,
«pot ° ^ ,He avrei di E presumevo gran c del ino scorso
bene, ^^^ 200 ). Invece, si vede d di lodare ogni cosa ( 9) ^ era
gì- cose V’ha “1 VVt 'nenzognere, età cosa^^a mila.
Giaccnc s - f. , ‘ v Amore, o dascuno di noi paia di lo razzolando
a che lo lodi, n »1'P““° X cono ed A« ° ■• . ogni patte, e
tale, e aotote i c affermate eh egli 72
B Convito :rj.r ^"T™' “"n
b=|,.S”i-l.£- M» io noncoò»c;:o'rn,“H''“* ' chè non lo
conoscevo, mi so°no"i!°''"'®’P !" r°I ?ì»*»
“"''io all, M “,S” V 3 (zio), questo modo; non
nma chè la lingua ha promeslò” la Adunque, addio elogio; che
ì„ odare a questo modo ; non potrei. plT""" lete, il
vero, si, non ricuso di dirlo di nr^®' e non rispetto ai discorsi vostri
perché S. rida dietro. Ora, tu, o Fedr^'^guarj™f discorso COSI ti
fa prò ; sentir dire il vero di Amore c n quei vocaboli e quella
giacitura di senteme che mi verrà per prima alla bocca. E a
questo, raccontava, Fedro e gli altri Pili- virassero a parlar pure nel
modo, che a lui pa¬ resse di dover fare. Ebbene, Fedro —
Socrate riprendesse — per¬ mettimi anche, che io faccia qualche piccola
inter¬ rogazione ad Agatone, affinchè prima io mi abbia C alcune
concessioni da lui, e poi, così, discorra. Ma si, lo permetto; —
rispondesse Fedro — interroga pure. Dopo di che oramai Socrate
avesse cominciato, su per giù, di qui. XXII Di certo,
Agatone caro, tu ti sei introdotto bene, m’è parso, nel tuo discorso col
dire che prima bisogni mostrare quale egli è, l’Amore, poi
E 7 ^ . . „vi va a gen'O . Q^^^sto in ogni
altra ,re Ji . via, esposto qnaW HS»-
°'S’e.WB"’'^“Teg'''“^''’'‘"'r? D up questo ■• t- ^8 ^ nulla ^
D f»'*. L>»' di q0»'*“ “ *d,c o di »« ma ad’a^f jj
padre e cgir P. ondere a dolere. fp^rfi' ° 5““ t ma'drd
del pat>’ • ^ . p anche a questo. ^ jjspondinti ■
Assentiss ^ . y^^sse gallo ciò I Or bene, -- tu intenda me„
poche altre cose^ P ^^^.«dassi : O 'r;srid^c;.-o.t-e,,o,.tr
'qualcuno o no? ^ Rispondesse, c D’un fratello o
_ Dicesse di si. __ domandasse
dis^SSSaSrsulVatttore.^^^^^^^^ * Di^qualcosI ciottissimo-
.^„gesse So- tanto questo. 1 lo desidera o “O ^
Di certo — r'sp'^ 74 Convito
Ora, desidera egli e ai sesso della cosa che desidera"^
j. sedendola? ^ nr,-,-. ama;, 'aoti
Pos. B V D Non possedendola, par
naturale Guarda-riprendesse Socrate natura e, non sia necessario,
che dera desideri ciò di cui è manchevoI ^ desidena dirittura,
quando non ne l "“''■o role. Tu non puoi, Agatone,
immagi„are“’'‘'’^*’'- 5 aia necessario a mw • ^ Quanto
grande, es- paia necessario a me; o a te pare? E
anche a me — dicesse. Dici bene : vorrebbe forse chi è ser grande,
o forte chi è forte? Impossibile, dietro l’intesa.
Perchè, appunto, non sarebbe-manchevole di tali qualità chi le
ha. Dici il vero. Percliè, se uno che è già forte,
volesse esser forte — ripigliasse Socrate, — e veloce uno eh’è
veloce, e sano uno eh’è sano... giacché qual¬ cuno potrebbe credere, che
queste e simili qua¬ lità, quelli che son tali e le hanno,
desiderano quelle stesse che hanno; sicché questo io lo dico,
peichè non ci lasci trarre in inganno — or bene, costoro, Agatone, se tu
la intendi, devono pure avere nel presente ciascuna delle qualità
che hanno, o le vogliano, o no, e queste, oh citi mai le
desidererebbe? (212). Però, quando uno di¬ cesse : Io che son sano,
voglio anche esser sano; ed io che son ricco, voglio anche esser
ricco, c desidero appunto queste cose che ho, — noi gli risponderemmo —
Tu, amico, che possiedi ricchezza e sanità e forza, vuoi possederle
anche 7 > o » tu le l’^'-
.,,,o qtiello eh e ^JpSesse ' V untare ^ ^ O non t in
proi^“’ Z che non si ^ ancora t P^ aò l^!^ il
inantenerntt pe r ksic^®’ j presente? '‘*■‘0° «no --
*'’°“‘'Tchi«nque altro il 1 “»'' ^ E questi, Lello che non tiene
desUeri tuttavia, desi ■ J „on ha e t mano e al cui h
manchevole. ”.e egli d i desiderio e Vamotc- ‘n”Sr-
-tSse. ^ ,„cr.te-ri.ssu- ^LLvia.-coimlnd-Socm^^ mianio quello
d. OT poi, di co in primo luogo, e u di cui patisca
difetto Si - affermasse. ^ ^^ente, Jt che Ora, per
^etto che l’Amore sia. tu nel tuo discorso hai „,ente im
Anzi, se vuoi, te giù questo; che Tu hai detto, credo
,assetto per via d agli Dei le cose ^ ^i bruttezza non
amore di bellezza-, g‘a detto su p potrebb’ essere
amore. giù cosi? rispondesse Agatone- Si che l’ho detto
- risp 201 76 Convito
^ par]: da galantuomo . e, — ora, se è rnci ,>^ 4 )
Socrate; — ora e» "““*0 (^214) Acconsentisse. “ '
«on s’è rimasti d’arr« a CIÒ di cui è in difetto, e che “«0
am Si - dicesse. >ia? É in difetto, dunque, di
bellezza a non l’ha? ^aiore, ^ Necessariamente —
affermasse Che dunque? quello che è in difetto di 1,, lezza, e non
possiede bellezza per ness^ì^"' oh lo dici tu bello? ^
^sunmodo^ No davvero. Ebbene convieni tu ancora, che
Amore sia bello, s’egh è cosi? E Agatone — Risico, — dicesse
- 0 Socrate, di non avere inteso nulla di ciò che ho dettò
dianzi. Eppure hai squisitamente parlato, Agatone - C
Socrate ripigliasse. — Ma dimmi ancora una pic¬ cola cosa: il bono a te
non pare anche bello? A me si. Se, adunque, Amore
difetta di bellezza e se bontà è bellezza, anche di bontà, dunque,
esso difetterebbe? Io — rispondesse — non saprei come
con¬ tradirti; sicché sia pure come tu dici. Alla verità,
amato Agatone — concludesse — ^ tu non puoi contradire; chè a Socrate non
i punto difficile. 77 Convito
e U discorso in- ^ « io giorno d» Dio- £
ora „ r-he sentii nn ^ ^ ,rno iteXe cose, e una ^
" Tdeila peste, fece, col àP“^''\gli Ateniesi, pt'ttj ^tardasse loro
di olia agli _ .ricrifizio. cbe la_n^e m quella appunto cit
^ g, eh’essa jgcianni,qu ^ ^ discorso, outi fra ose d’antore,
punti cou tenne, lo, roverò a ripetervel , p Agatone,
nu P c g’intende, Ag ■"' e il «#■> *' “impano la via.
teogo» “ .1 modo che tu hai ape VTcorrere chi l’Amore J
facile £ fcriiua discor ^ che P . ?! lco.,amo si.
quello,^» ■-t°iroono,e,io-og»^'^=„,es.^ Tma Agaldno a me,
*'^"“"Èlei, cose che ora Ag bellezza. _
f'"'do me'còlle stesse ragioni con cui^t^^^^ sSo cosmi,
«., ne n°d^o. come l'inmo^“;r= tinta; ò brutto,
adunque, ^.^p^tto? ” D lei-'' o°-“/;Sp ciré non s.a belio,
rese — o credi, clte 4 brutto? Icbba necessariamente
esser Certissimo. 203 O
anche quello che rante? o non senti, che tra sapienza e
ignoranza Coni E che mai? L’opinar
rettamente e senz’essere • di dar ragione, non sai — dice — V"
sapere; poiché come sarebbe mai coV^-"°'‘ naie la scienza? E neanche
é ignoranz'"''"®' che apporsi al vero, come mai sarebbe
ranza? L’opinione retta è appunto cosi'®,?' cosa di mezzo tra intendere e
ignorare ’ Dici il vero — risposi io. B Non forzare,
dunque, ciò che non è bello a esser brutto, o ciò che non è buono,
cattivo. E ! così anche l’Amore, poiché tu stesso convieni che non
é buono né bello, non credere per ciò che deva essere brutto e cattivo,
ma una cosa di mezzo — dice — tra questi. Eppure, — diss’io —
si conviene da tutti, che é un grande Iddio. Da tutti quelli,
intendi tu, che non sanno o da quelli che sanno? Da tutti
quanti a dirittura. E lei ridendo — O come, Socrate, — disse
— converrebbero che è un Iddio grande coloro, i 0 quali dicono
ch’egli non è neanche un Iddio? Chi costoro? — dissi io.
Uno tu — rispose — e uno io. E io domandai : Come mai dici tu
questo ? E lei — Facilmente — rispose : perchè, dimmi ; tutti
gli Dei non dici tu die sono felici (216)? O che ardiresti tu dire,
che alcuno degli Dei non sia felice? 79
Coiiviio ^ _ ^ io no " possiedono 'A'„ oo»v.n»to,
*= » Di non to’ desidera, appunto, «a'^" ,4 e
boto"'' eoo ■« "““t in dite»»’ 0 come
‘Tni^ r^nt:” oto aneto » A»- To'^aedi un Dio? .
dissi■ .sarebbe maiVa^more? Che, dunque,
tortale? r*f;“'''ltpto''e-un eto di metto Come prima V
"" rti!«to,Dio.i’’»>^ inno B il demoniaco e
un il mortale. - diss’^- E quale possanza ^gU ^ei
D’intetpmte '.«““f oni, degU um," nomini, agli uomn ^
n^^jjjjii, deg’^ smettendo preghi ^^rrifizh . . pgr mandi e
rieambii de. a fb ,,„i, nenipm pe t nel meato tra gl’ n
20 *^ Convito modo che il tutto resti
colleentr. simo. Attraverso di lui pasfa “'r? I na tutta
quanta e quella de’ sacS" ' saenfizu c le iniziazioni. Dio non
si ^ ì ■ uomo; però ogni conversazione e coll Dei cogli uomini, sia
desti, sia addormì° per mezzo del demoniaco che la si fa p‘> ^ i
che è sapiente in simili cose, è uomo d ^ ^ chi è sapiente in
ogni altra cosa o dUrr'^'°' mestiere, ò un manuale. ^ urte 0
(li 0^a,di questi demoni , 1 Amore è un ,
1 ~ ^ CS^i ò suo padre - dissi io - e chi suà ve ne
son molti e diversi : E chi madre ? É lunghetta —
risposi — a narrare; pure te 10 dirò. Quando nacque Afrodite, gli
Dei cele¬ brarono un banchetto, e v’era cogli altri Poro 11
figliuolo di Meti (218). Quando ebber cenato, ecco che arriva Penia per
accattare, perchè era luogo di scialo; e girava attorno alle porte.
Ora, Poro briaco di nettare, — chè il vino non c’era
peranche, — era entrato nell’orto di Giove, e vi s’era, sopraffatto dal
sonno,-addormentato; sic- C chè Penia, macchinando per la miseria sua
di avere un figliuolo da Poro, gli si mette a giacere accanto e
concepisce Amore. Ed è per questo che l’Amore diventò seguace e ministro
di Afrodite, perchè fu concepito nel giorno natalizio di lei, e
insieme è di sua natura amante del bello, poi¬ ché anche Afrodite è
bella. Perciò come fi¬ gliuolo di Poro c di Penia, l’Amore s’ebbe
questa sorte ; prima eh’ egli è sempre povero, c tutt altro che delicato
c belio, come i più cre¬ dono, anzi duro, e squallido e scalzo, e
senza 8i D 10 + .
dormendo avanù |°«* r nò oi i-sofist* ’ ^ e\io stesso
g' mudre e p Inta ^ada bene (3^9)del padre, '“T
rVa" »- Ìe<l»»"“ ?‘Sero Aii«>'''"‘"“ Chi
h t*'"’ « ''‘®"°”ret=“° e -- “.“ ^TXìSn:
““Se.' tr“fi- "S>s;=.»“»sri'S-“‘‘° Sf'“
:.,.eh..o.e.- 0„ _ disse - ^ V»e -li ‘ ole- „„ raBSs».
q»e ^ apP»'» ^jd't»"»'!”’ um e altri, e d q cose pmbell
^rio clic Amore sla filosofo, P 6 Platone, Voi-
l-^- B 82 Convito egli sia
un che di mezzo tra sapiente e • rante. E di ciò gli ò causa anche
la sua; perchè lui viene, si, da padre sapiente'*^'’!? molti
ripieghi, ma da madre non sapiente e se ripieghi. Questa, dunque, è,
amico SocrateT natura del demone; e l’aver tu ritenuto Amore fosse
quello che tu hai detto, è stata una C svista da non doverne fare le
maraviglie. credevi, come a me pare congetturando dalle tue parole,
che Amore fosse l’amato, non gii l’amante. Perciò, credo io, l’Amore ti
appariva bellissimo. Chè di fatti l’oggetto dell’ amore è il
veramente bello e il delicato e il perfetto e il beato ; invece, quello
che ama, presenta un’ altra idea, quale l’ho discorsa.
XXIV Ed io ripigliai — Sia pur così, forestiera: chè tu parli
bene. Ma se è tale l’Amore, di che uso è agli uomini? D
Q.uesto, Socrate — rispose — mi sforzerò d’in¬ segnartelo ora. Dunque è
tale l’Amore, e nato a questo modo, ed è, come tu dici, amore di
bellezza. Ora, se uno ci domandasse — O So¬ crate e Diotima, che è egli
mai l’Amore di bel¬ lezza? Ma lo dirò più chiaro cosi: — Chi ama la
bellezza, che ama egli mai? Ed io risposi — Che la diventi
sua. La risposta — dice — desidera quest’ altra in¬
terrogazione : Qjuello, a cui la bellezza diventa sua, che n’avrà
egli? io A rispondo'' 1' uundo, si sei- ^
i. 8'*'“ f p sé '«■'*! S bello e li down-
'.rd;iééoo>d,'“rs«"^“'’*'““ . Socrate, su.
diventi suo ^ Snti suo, che n’avrà ,.,,nriparpihage-
aos 3 sarà felice. ^ ^ possesso del bene ' Di fatti. --
dtsse domandare son feli<^'‘ ' vuole esser felice; an«
Trite ^bbia qui termine. "^'’dIcì la rquesto amore,
credi Ora, questa vo uomini, e eh ? -noTav t
"empfe il bene? o come tutti desiderino di avi. dici tu?
_ _ , rnmune a tutti. Cosi - dissi to __ ^-jsse lei — non dt-
0 perchè mai, Socrate lo clamo che tutti diciamo che
amano stesso e sempre, ma di alcuni e di altri no?
._anche io. Me ne maraviglio -- dissi ^ noi. Ma non te
ne maravig i i^ chiamiamo sceverando una specie e .^ig q nome
t col nome del tutto, ass g nomi. amore; e per le altre
usiamo al Come che? - poUsis (aai) ^ Come questo. Tu sa
atto eh cosa di molto comples B
c D E 84
Convito causa che una cosa qualunque passi dal
n sere all’essere, è poiesis; sicché le operazic^"^ pendenti
da qualsiasi arte sono poieseis operatori poieiai tutti. ’
Dici il vero. Eppure, tu lo sai — dissé, — non si
chiamano tutti poietai, ma hanno nomi diversi; e una par tirella
della poiesis sceverata da tutte le altre quella che ha per oggetto la
musica e i metri’ si domanda sola col nome dell’intero: giacchi
questa sola .si cloiama poiesis, e poieiai quelli che possiedono questa
particella. Dici il vero — diss’ io. Ora è appunto cosi
dell’ amore ; la somma n’ è ogni desiderio del bene e dell’esser felice
(224); ma quelli che vi si avviano per un’altra delle molte vie,
del guadagnare, poniamo, o dell’eser¬ citarsi in ginnastica o del
filosofare, non si dice che amino nè che sieno amanti; invece,
quelli che mirano a una sua specie, e a questa pongono il cuore,
prendono il nome dell’intero, amóre e amare e amanti. Risichi
— diss’io — di dire il vero. E v’é — disse — un certo discorso, che
quelli amino i quali cercano la metà di sé stessi (225) ; ma il
discorso mio dice, che l’amore non sia nè della metà nè dell’intero,
quando, amico mio, non si trovi essere un bene; dappoiché gli uomim
si tagliano volentieri e mani e piedi, quando le membra lor proprie le
credano malandate. Giac¬ ché non è il proprio, credo io, quello che
ciascun uomo ha caro, se già uno non chiami pròprio il bene, altrui
il male ; comecché non sia altro iciò no-'nspos“°-
te P»' 20& <”'r'di iri - S*pu6 di»
s'”'P'‘' dtól- j„e aggl»«8«« - ‘'sTiv. aSS'ffSdd -
di £ non . sempre ^ Verissimo — x:^v
I Ora, poiché l’amore^ ^fo^zo^^dT^chi'vi corre I riprese lei —. la
cura chiame- • dietro, in che modo e m q ^o sai rcbbe
amore? che opera e mai q tu dire? . ^isgi — taato, o Diotima,
Non t’ammirerei- di« ^. per la tua sapienza, m- « q
parare appunto questo. ^ . l’opera é par- Ma te lo dirò io -- tisp
j-ome torire nel bello, nei rispetti deir anima.
l’indovino; che mai Ci vuole — diss io vuoi tu dire? hlon
‘^°™P^^“-egherò pih chiaro. Ma io-disse lei -telo spiega
D 207 86 ^
Convito Oh uomini — disse — tutf corpo e nell’anima,
e la natura nostra ha desiderio di" """ '''*
partorire nel brutto non può 0 E cosa divina è questa - e^in’
siO tale, questo è inmtomi;, il co»"”* .'2; rare Ora.
l’uno e l’al„„ j succedano nel disarmonico. E il *'*’'•« cht monico
da tutto quanto il divino bello. Sicché Bellezza é Moira
ed’Flir°"Ì.^'‘^ alla generazione. Perciò, quando la? pregna s’
accosta al bello, diventa ilare gioia sdilinquisce e partorisce e genera
i qu? ! invece al brutto, si rannuvola e per il dolore •
raggomitola (229), e si raggrinza e non genera' ma, poiché vieta al feto
d’uscire, se ne sente male e qui appunto è la causa che la creatura
pregna e già smaniante è presa da ansietà molta alla vista del bello,
perchè questo libera da gran doglia chi lo possiede. Giacché Socrate, —
dis¬ se l’amore non è del bello, come tu credi. Ma e
che? Della generazione e del parto nel bello. Sia pure
— diss’io. Certissimo — rispose lei — ; ma 0 perchè della
generazione ? Perchè la generazione è un gene’ rato sempiterno, e, per
mortale, immortale (230, Però, dietro quello che s’ è convenuto, è
neceS’ sario che dell’immortalità l’amore senta si desi derio, ma
accompagnato dal bene, s’esso èamotf dell’ aver seco il bene sempre.
Sicché, conformi a questo discorso, è necessario, che l’amore anchi
dell immortalità sia amore. 87 Convito
,pnti dunque, mi dava . nesti insegnami’’ ’ J A,more; nfS
S,i. o Socrate. '8”' "ia mi ‘>»®”taesto .mote e iel
deM- : sia causa di 0 ° violenta disposi- it'*, O non „•
jllorchè deside- *'"1 enttano gU ““.t “'ti q».»» i «olaf''.
^ S8rlS’m«reomotosamenm^“;' ifcoSattere i per proprio
. . p si a venir meno aeiw qualun- quealtro atto? ^ facciano
per virtù di “';'“''’-o' S # animali, qoale d c
raziocinio, o g rnsi? Lo sai tu dire ^ struggersi d’amor
saprei. Ed io da capo diss ^ ^ai di- in cose dimore, se
non mteod, J'^'^^Ma^ppunto per J^j 2 so''chrho bisogno ■or
ora, io vengo da te, peretóso ^ di maestri. Ma dimmela m e di
tutt’ altro nelle cos amor Ebbene, se tu credi eh P ^ pib
vohe» sia di quello che abbiamo c ^^.^a il » non te ne
^ale cerca essere, P L discorso, la natura m ‘gitale (231)-
quanto può, sempre o8 88 Convito
può solo per questa via, per la via dell razione (232),
perchè lascia sempre un n'^”'^' invece del vecchio ; giacché anche nel
tratt'o°'^° tempo che ciascun animale si dice vivere e rare il
medesimo, come, per esempio uno T fanciullo insino a che sia diventato
vecchio t detto il medesimo ; però è cliiamato il desimo,
quantunque non conservi mai b st ig stesse cose, ma parte si rifaccia
sempre giovine parte alcune cose le perda e nei capelli c nella,
carne e nelle ossa e nel sangue e in tutto quanto il corpo. E non solo
nel corpo ; ma anche nel- l’anima il tratto, i costumi, opinioni,
desiderii, piaceri, dolori, paure, tutte le disposizioni siffatte
non sono mai presenti le stesse in ciascuno, ma quale nasce e quale muore.
E, cosa più bizzarra ancora, le cognizioni non solo alcune nascono
c altre muoiono, e non siamo mai neppur rispetto alle cognizioni i
medesimi, ma anche ogni sin¬ gola cognizione è soggetta allo stesso.
Giacché quello che si dice meditare, ha luogo perchè la cognizione
va via; dimenticanza, di fatti, è di¬ partita della cognizione :
meditazione, invece, ingenerando una cognizione nuova in luogo di
quella che se n’è ita (233), salva la cognizione tanto da parere la stessa.
Chè a questo modo tutto il mortale si salva, non col restare sempre
in tutto e per tutto lo stesso, come il divino, ma col lasciare quello
che se ne va e invecchia, qualcos’ altro nuovo, quale esso era. Con
que¬ sto mezzo o Socrate — dice — il mortale par¬ tecipa della immortalità,
così il corpo come ogni altra cosa: impossibile (234) in altro
modo., 89 . „»r n.»'* 08 “ r,o • siacchè
per .8» xxvn me nc . ««ito q»““
*!“I!°;dio-s»pi“- dubi»^*^’ . j^.dare all’ amor stupore,
“ •'?irfagio'^‘'''°^^”'''^°-h aie io ho uoiuim» . ^ niente ci
i>j.jnore del di- o come si struggono d amor concependo ccn^^ e
di ventare rin ‘ ^ eterno, lasciar di se g ^gnl
pericolo e son pronti per e consumar le so- norto a
Patroclo « ^f^no, se non avessero figliuoli per salvar loro il reg
creduto, die _ una immorta ppuiito conser- • a; loro,
come apF _anzi> rimasta memoria ^j^vvero — ’ viamo
noi oraf i io credo. >> per imniortal virtù
Convito e per siffatta «gloriosa fama,,
, cosa, tanto più, quanto mieiin sono dell’immortale
innamorar pS Ora quelli — disse —, che so ^ poralmente,
si voltano piuttosto" allff^ diventano amorosi a questo modo e
diante la generazione dei figliuoli, ’ ^ « Immortai vita,
insin che il tem,^ ^ « Procurando », ^urì, secondo
credono, 209 B e felice e
ricordata; i pregni invece nell’anima... giacché vi sonopu,
quelli — dice — , che concepiscono nelle anime anche più che nei corpi,
le cose che all’anima s addice e concepire e partorire. E oh! che le
SI addice? La sapienza e ogni altra virtù, cose appunto di cui sono
generatori i poeti tutti, e quanti v ha artisti che si dicono inventivi:
però d ogni intendere — dice — il maggiore e il più bello è quello
il cui oggetto sono gli ordini delle città e delle case, a cui si dà nome
di temperanza e di giustizia (236). E quando poi uno, essendo
divino, sia da giovine pregno di tali cose nel- 1 anima, e, giunta l’età,
desideri oramai di par¬ torire e di generare, cerca, credo io, anche
lui, girando attorno, il bello in cui generare ; giacché uel brutto
non genererà mai. Sicché, come pre¬ gno eh’ egli è, si compiace de’ corpi
belli piut¬ tosto che de’ brutti ; e quando s’incontri in una Della
anima e generosa e di buona natura, si compiace, e di molto,
dell’insieme, e subito con 9 ^ Convito ^
, honda in „ ^he studii prò- ^ ersona poomo buon venuto
^ette a educarlo.^ ^„„,ersando con della beila ^15 di cui
era ^ntan° credo, e gener {Ìa.pa^^;\cnin> "
^'^to insieme con quella, %< e alleva il ^ggior comunanza
jU^^^’:,rcbe una molto gVi um "’f figlinoi' (ai?)- !
poicbt in pm cbe e amicir-ia prn accomunati. '‘
immortali ftgbn®^’ " ^ lui nascessero nTe avrebbe caro .^ando
e a D ■ chet: 0 se ti piace, ".f " ^.^eutone,
salvatori d ^ I lasciò Licurgo m L 1 EUade. ^ I
tcedemone, 0, per Solone per la g^n ! E presso di voi °"°;Xi
valenti uomini in altri ' aione delle leggi, ed altr ^ . ^^^.bari,
luoghi parecchi, e tra g^^f/^.ueratori di virtù autori di molte e
belle «per , ^ furono si. eretti per via di tali
5 umani sinora a nessuno. XXVllI E ,ta qui, qu““
A”"' cui i.. coi torso, So««“.’!''y„ìtivo (oi® “ k; ma
in quello P"''“ 210
D 92 Convito queste, quando uno procede
bene IO non so se tu saresti capace. Te dunque, io — dice, — e ci
metterò tuttrirb*®"*’ voglia ; e tu provati a tenermi dietro, se ti
• Giacché — dice — chi vuol mettersi per la via a simile impresa,
deve cominciare da gì ad andare incontro ai bei corpi; e da quando
chi lo guida, lo guidi rettamente, ama'r*'*’ uno di quelli (2J9), e quivi
generare bei pensieri^ e di poi intendere, che il bello di
qualunque corpo è fratello con quello di un altro corpo- e se
bisogna andare in cerca di ciò eh’è bello in genere (240), sarebbe una
stolteaza grande non riputare una e medesima la bellezza su tutti i
corpi; e quando abbia inteso questo, renderlo amatore di tutti i corpi
belli, e rallentargli quello struggersi violento per uno solo,
facendoglielo sprezzare e tenere a vile; e di poi reputare la
bellezza nelle anime più preziosa di quella nei corpi, di maniera che, se
anche uno, ben fatto di animo, abbia del rimanente poca venustà
(241), egli se ne contenti e lo arai e n’abbia cura e partorisca
pensieri e ne cerchi di tali, che fac¬ ciano migliori i giovani; affinchè
da capo e’sia costretto a contemplare il bello negrinstituti e
nelle leggi, e vedere com’esso è tutto connatu¬ rato con se medesimo
(242) ; c dopo gli instituti lo meni alle scienze perchè di novo veda la
bel¬ lezza delle scienze ; e guardando ormai a un bello già
copioso, non sia, servendo al bello in una singola cosa come domestico,
un’abbietta e me¬ schina persona, che s’attacca alla bellezza d’un
fanciulletto 0 d’un uomo o d’un instituto unico. 9 ?
dclbcUoccontcm- . - discorsi e ma rivo''°
“'torist^^ filosofia infinita, smo k>' CV'
>VTeS»cWto,n<.n;.s»’-ga fcf.a J- *e SU sc.c« *
r^‘'’';Su -'SS. E gù, E •. ctato educsito sin qui
alle cose Qgpetti, pressoch srs* “"ss “qSii» “pp””®’.
° • rrp<;ce nfe scema, e a y e ora no, tncii cresce
u^i-»i-tn ne or*^ j. verso e per e brutto in un JJ nt
bello in un ”spu«o g neanche il bello qua bello e qua brutto come
un si presenterà alla sua . p ^tecipa il corpo, visS 0
mani o nient’ altro cm par neppure come un discorso ^ ^.^,erso, m
u^ ^ c eppure come m qual ^ ,ieio o m animale, per
esempio, uniforme s altro, ma esso stesso di P belle tutte
stesso in sempiterno, e che partecipanti di esso pe
periscono, ess queste altre si generano uà patisce
diventa punto maggior 211 1
94 Convito C D
E 2 nulla. Sicché, quando uno, per aver
am fanciulli nel buon modo, risalendo dallp .. * quaggiù
cominci a vedere cotesto bello all si può dire che tocchi la meta.
Giacchi sto è nelle cose di amore procedere o essT^' condotto bene
da altri ; movendo da’belli sensu^ di quaggiù salire sempre sempre
attratto dal bello di lassù, montando come per gradini, da uno a
due e da due a tutti i bei corpi e dai bei corpi ai begl’ instituti e dai
begl’ instituti alle belle di¬ scipline, e dalle discipline terminare in
quella disciplina, che di altro non è disciplina se non
appunto di quel bello ; e conosca terminando ciò che ò per sè bello
(244). Questo, se altro mai, — disse l’ospite di Mantinea, — è il punto
della vita, degno che l’uomo ci viva, contemplando il bello in sè;
il quale, quando tu una volta lo veda, non ti parrà da metterlo nè con
oro, nè con veste, nè con bei fanciulli e con giovanetti, che
vedendo tu ora sei tutto sgomento, e sei pronto, e tu ed altri molti, se
possibile fosse, guardandoli, questi amati vostri, e vivendo sem¬
pre con loro, a non mangiare nè bere, ma solo contemplarli e stare
insieme. O che cosa — dice — pensiamo, che debba essere, se uno
abbia la sorte di vedere il bello per sè, sincero, puro, inmisto, e
non già ripieno di carne umana e di colori e d’altra molta inezia
mortale, ma possa riguardare esso il divino bello di per sè uni¬
forme? (245) O credi tu, — dice — che sia spre¬ gevole la vita dell’uomo
che guardi colà, e quello contempli sempre e stia insieme con esso?
O non intendi — dice —, che quivi soltanto, ri-
9> con coi C il W'“> "" „“n
immagini di »■«<■, li non vp.ra. , Kiio con * a .W,
..aa'»'" ' li parto*" ” " ma vitti vera, tocc^^ una
virtù vera e ncca il ^di diventare amico di ““ ^
^'riisse aVf anche gli ^1“*» r 70 di persuader *_ potrebbe da
nessuno siffatto non si p ""TC aiuto all’ umana
u«umj^. Moro. '■"'"‘‘'•«“'“J’l'onoro io atasso
(a4«). uomo onori Auu°" esercito soprattutto e c
nelle cose di am^ ^ ^^.omio la v’esorto gh ^e a tutto mio
pot«e. potenza (H?) discorso tu ritienilo C Or bene, o
,d Amore’, se no. detto, se ti piace, m ^^^ba. e tu dagli
quel nome, che XXX Finito ch’ebbe
raccontava, lodassero , parlando aveva a dire qualcosa, perch
jq ecco all'im- alluso al discorso di lui- q sentire
provviso la porta del au yseiù da^ un un gran rumore come i ^
una flautista, banchetto, e si ode ^ '^^ „g 22 Ì, non andate Sicché
Agatone dicesse. o entrare se a vedere? e se è uno di casa
213 9 ^ Convito no, dite, che
nbbiamo finito di ber • E di li a poco si udì nellS,,,! ci :0
frarlirìn urlando SI riposa di Alcibiade
briaco fradicio, che domandava dove è Agatone, e ordinav^'j tasserò
da Agatone. Sicché la flautista reggeva e alcuni altri della compagnia^
j tarono da loro ; e, coronato di una coróna f di edera e viole e
tutto coperto il capo dì infinità di nastri (248), lo fermarono sulla
po''*'* ed egli disse: Amici, vi saluto; un uomo, bria*’ proprio
fradicio, lo pigliereste con voi a bere 0 ce ne dobbiamo andar via, dopo
avere soltanto coronato Agatone, eh’ è quello per cui siamo ve¬
nuti ? Giacché -io — dice — jeri non ci potetti essere, ma vengo oggi,
coi nastri in capo, perché dal mio capo quello del più sapiente e deh
più bello io ne recinga (249). Forse, riderete di me perché son
briaco? Ombè, io, quand’anche voi ridiate, pure so bene che dico il vero.
Ma dite su, a questi patti entro o no? Beverete 0 no con me? E qui
tutti strepitarono e gridarono che entrasse e si sdrajasse, e Agatone ve
lo in¬ vitò: ed egli, condotto dalla sua gente, venne; e, poiché a
un tempo si levava di capo i nastri come per incoronarne altri, non
s’accorse di So¬ crate, che pure gli stava davanti agli occhi, ma
si messe a sedere accanto ad Agatone in mezzo tra Socrate e questo ; —
giacché Socrate s’era tirato da parte per fargli posto (250): — c
cosi sedutoglisi accanto fece riverenza ad Agatone e lo coronò. E
Agatone qui disse : Ragazzi, le¬ vate le scarpe ad Alcibiade, perchè si
metta a giacere in terzo con noi. Sicuro — rispose Alci-
compagno no jo’ .uj è questo te Socrate, e al •e-
- voltato»' f ^ &"<r6 "" Dunque, da
capo L«'°. ii! 5°““'“ Tkf”' '» P““’ “”"l Pi qui
sdtaU'^®.^,improvviso dove meno '"'ffpoi ti sei messo a
g^ace^ ^P''lcaJto ad Ma tanto hai a«o o qua dentro. _
uarda luauti sono q Agatone — disse, ^& E Socrate,
cerchi: l’amore che to P . nii vieni in aiuto ; P un affar
fili è diventato per m , m- :;rDifatti, dal tempo <^e
m *or..o '»i. “"„rp«-a D ”' dTco”o«“re Ln o-,»no V
sto nessuna, ne di c invidioso fa cos qui ingelosito di ^
"“"J.peri, e poco manca strabiliare e mi copr Addosso.
Guarda, che non mi metta le m^n dunque, che non faccia un
d ,na metti pace tra ° ^el furore di costui lenza, difendimi
tu, perd è addirittura e del suo innamoram -pigliò Alcibiade:
Pace fra te e me ^ jto io ti g^»«' no davvero. Se non ehejer
p,,te girerò poi; ora, Agatone questa testa qui L
nnstri, P»cM .0 «e J maravìglìosa di ’ oronaw 'e. nien«*=
pioverà, che io 1'“ “f ji,cofii, noi sol¬ ete viiiee tuni gli
7 Platone, Vo/- 9 ^ Convito tanto dianzi,
come tu, ma sempre renato. ’ ho E qui, prese i nastri,
ne cinse So mise a giacere. XXXI E quando si fu
sdraiato: Su via, amici disse — a noi ; mi sembrate gente che non T
ancora bevuto; questo non va, bisogna bere; cllè cosi è l’accordo nostro.
Or bene, io scelgo a re del bere, insino a che voi abbiate bevuto
ab¬ bastanza, me stesso (251). Agatone porti, se v’è, un gran
tazzone. O piuttosto non occorre- porta qua, ragazzo, quel bigonciolo
(252) J vedendo che conteneva più di otto cetili. E riempitolo,
tirò giù tutto prima lui; poi, ordinò, che si mescesse a Socrate, e
insieme disse: Con Socrate, amici, l’invenzione non mi giova a
nulla; questi può bere quanto uno vuole, e non v’è caso che si
ubriachi mai. E Socrate, quando il ragazzo gli ebbe mesciuto, bevve. Qui
Erissima- co, — Che modo è questo — disse —, Alcibiade ? cosi nè
discorriamo di nulla sul bicchiere, nè c’intoniamo un canto; oh! berremo
proprio come assetati ? E Alcibiade di rimando : O Erissi- maco,
ottimo figliuolo di ottimo e sapientissimo padre, salute. E anche io a te
— rispose Eris- simaco; — ma che s’ha egli a fare? Il piacer tuo ;
giacché ti si deve obbedire. Un medico vai solo uomini molti ( 253
); 1 sicché comanda ciò che tu vuoi.
t) 99 Convito „ • a tS»aS» 'TSsfAS::
°» ‘T .Coe ’l‘»”‘> Ti Tjo che «»» fu W»
So»»"-»""”*' parli bene; però bad , non hanno
di fronte a discorsi ^ aguale. E insieme, bevuto, può non esser p S
gocrate ha b-ruomo. appunto «>« addosso. , __ disse
Socrate? Ti vuoi chetare Alcibiade -, non Affé di
Posidone - "P‘P^ f non v’ è ci metter bocca; che io in faccia
a te, no nessuno al mondo che o crei. Ebbene, tu fa’
cosi, — riprese i. se tu vuoi, loda de_? S’ha a fare.
Come dici -ripetè Alcibiade ^ Erissimaco ? Che io dia *
lo gastighi davanti a ^ che hai tu O tu — interruppe Socrate
• ^ per il capo? Mi loderai per canzo farai?
r\ir<S W vprn. Convito
An^i, il vero Io permetto, e t! dirlo. *1 comando d-
Son pronto — disse Alcibiade - • ’ Se io dico qualcosa di non
vero ^osl a mezzo, se vuoi, e di che quella 6 giacché di
proposito bugie non ne .“Sia; = '5 però le cose io le dico, secondo
mi c. . in mente l’una dall’altra, non ti stup°*’’’'““° non è punto
facile, a un uomo in quesm lo spiegare alla lesta e per ordine
roriginar°à XXXII B c
Socrate, amici, io mi proverò a lodarlo cosi per via d’immagini. E forse
questi crederà, che io lo canzoni; ma l’immagine in verità avrà per
suo motivo il vero, non lo scherzo. Io dico dunque ch’egli è
somigliantissimo a cotesti (254) Sileni esposti negli studii degli
scultori, che gli artisti fanno con zampogna o flauti in mano;i
quali aperti in due mostrano aver dentro imma¬ gini di Dii. E dico per
giunta, ch’egli s’assomigli a Marsia il Satiro. E, che tu sia di aspetto
simile a questi (255), neanche tu, Socrate, ne faresti questione
(256) ; ma come tu somigli anche nel resto, sentilo ora. Sei tu petulante
o no? Ché, quando tu non lo confessi, presenterò testimoni. Ma non
flautista forse? Anzi molto più niira- bile (257); l’altro, di fatti,
attraeva gli uòmini colla potenza, sì, della sua bocca, ma
attraverso istrumenti, e anche ora, chi suona le cose di ui,
giacché quelle che Olimpo sonava, io le D lOI
Convito . o di Marsia, .f^eseguisca un buon ,
cenate di quello, o fi ^ causa, Si ““ uno si »»'* l’S
’ta'bisogno degli Di' ;^ono, f\u gli vai tanto innanzi,
d’iniziazioni. ^«ieni quel medesimo che senza istrumen . c y
Almeno, noi, S.0 =0» f““ “« uii™- Ti quando si ode
discorrer^ ^i dicitore anche nulla, vi so dire, a un
altro, non ne impor te, o un altro nessuno; • gè anche chi li
reciu che reciti i discorsi tuo , ^na sia proprio un
uomo a P^ ^ restiamo sba- d„„L d ua uomo o se non lorditi 0
'"“““V,, per briaco, vi rac- velessi passare addinttur p
cornerei con giumme»»; fpoSsento tuttora, risentito dai suoi
Che, quando ><= '’SÌ'"'“ ^ XìltnSmi àendo Pericle
e altri buoni parlatori, io ero anima mi ma non provavo
nulla di sim , “siTer^nrTa’i “r^esto Marsia gui mMtanno pib
volte fatto tale renili, non sacrate, tu non dirai ai6
nel mio stato. E ciò, o S , , mscienza che non sia vero.
E che, se volessi prestare sforza ma mi seguirebbe il
medesimo. I 102
Convito a convenire, che, con tanti mancamenti , trascuro
me, e attendo agli aflfari Sicché io, turandomi le orecchie si
Sirene, mi fo forza (261) e fuggo vir°'”^ invecchiare seduto accanto a
costui quest’uomo m’ò seguito quello che nessuno ere-
derebbe di me, vergognarsi di uno. Io di solo mi vergogno. Giacché
sento dentro di non poter contradire, che non bisogni far
quello a che lui mi esorta; ma poi, appena io mi son staccato da lui,
ecco, la voga dell’aura po polare mi vince. Sicché io lo scanso e lo
fuggo- e quando lo vedo, mi vergogno di ciò che si t caduto
d’accordo. E tante volte io vedrei vo¬ lentieri che non fosse più tra gli
uomini; ma d’altra parte, se ciò accadesse, so bene che me ne
rincrescerebbe assai più, per modo che di que¬ st’uomo io non so che mi
fare. XXXIII Dunque, dalle sonate tanto io che molti
altri abbiamo provato tali effetti, da questo satiro. Il resto,
sentite da me, com’egli è simile a quelli a cui l’ho raffigurato, e la
potenza ch’egli ha, come sia maravigliosa. Perché siate ben
persuasi che nessun di voi lo conosce ; ma ve lo scoprirò D io,
giacché ho cominciato. Voi vedete che So¬ crate ha tenerezza pei belli, c
gira loro sempre d intorno e n’ è tutto fuori di sé come mostra la
sua figura (262); e non è da Sileno cotesto? Eccome 1 Giacché e’se l’é
avvolta per di fuori’ "“'"ù Sto» scolpi»; »»
B 8 “'» ''°' o>‘‘“s"r- . %A rhe son levai'- «ì^rp e
noi altri Ma quapi» canzonare la ^ ^ erto, io non so
se si mette sul seno ed t • p jo gl* qualcuno ha visto
t s'rnulaar^^^„ ^ ho visti una volta, doversi far m
aurei e bellissimi e m ^;,enendo tutto 50 della mia
bellezza, che sul seno si fo^s^ ^ inaspettato c una mia lo
giudicai un guada S P . modo, ,„„„„a "«"tS,.; d'
«pptendera .«.o ci 6 : compiacendo Socrate ore i che costui
sapeva, già ^ Sicché, con ! ne tenevo non vi so <\ solito
di ' CS4) " ursenza uno accompagna- d- allora io
P». ^,o^.a B toro e me no “i™,“ ' ° bone attenti, e se
dire tutta f sbàttimi. Adunque, io mentisco, tu, bocrate,
^ me ne stavo, amici, ^ meco nei di¬ devo eh’ egli sarebbe su
i o * amato scorsi che un innamorato questo non a
quattr’occhi, e ne 8° 5^0^52 meco come ne fu nulla, proprio nu s ,
. _ era solito, e dopo, passata cou me tutta .
103 D 2l8 Convito
nata, se n’andò. Di poi lo . ginnastica (265); troverò quivi il
bL" ^ ' ;->g-avo. Ebbene fece ginnasdcrt ’'"’■«’-
lottò spesse volte, senza che ci fo« nessuno. E che s’ha a dire? No
un passo avanti. Poiché non venivo" nessuna di queste vie, mi parve
cheV*^^^'^'^ dovesse assalirlo alla gagliarda, e una voir°u‘ nn ci
ero messo, non smettere, ma oramai che affare é questo. Sicché lo
inlv a cenare meco, tendendogli un agguato propri! come un
innamorato all’ amato. E neanche 0 • diede retta subito; pure col tempo
s’arrese. Ora la prima volta eh’e’ci venne, volle, finito dì
cenare, andar via. E per quella volta io ebbi vergogna e lo lasciai
andare; ma la seconda, fatto il mio piano, dopo che ebbe cenato,
con¬ versai con lui molto avanti nella notte, e sic¬ come voleva
andar via, col pretesto che fosse tardi, lo forzai a rimanere. Ora egli
si mise a riposare sul letto vicino al mio, su cui aveva ce¬ nato,
e nella stanza non v’ erano altri a dormire, fuori di noi. E, sin qui, è
un discorso da potersi fare a chiunque (266) ; ma di qui avanti non
mi sentireste parlare, se, prima, dice il proverbio, il vino non
fosse veritiero coi fanciulli e senza 1 fanciulli (267) : e poi mi pare
ingiusto, una volta che mi son messo a far l’elogio di So¬ crate,
di nascondere un suo superbissimo atto. E per di più l’effetto del morso
della vipera ha luogo anche in me. Giacché raccontano, che la
persona che l’ha provato, non vuol dire com’ egh‘ k stato, se non
a’morsicati, poiché questi soli Convito _ j -inno e
compatiranno, 'siccht i -r. £ o-» -> 105
do- ite"‘^^^‘‘”s°to'’fare e dire doloroso (jorso
fl P potesse essere fTX ‘'“°"®.°e'-e'morso da discorsi ‘
me gli s‘ ^ ' no neggio d’una vipera, ffamio operare Agatoni,
Ens- ,rte vedendomt davmi Aristofam- simachi, Pausami,
^nsto ^^^jj^inarlo, _e Socrate stesso, che ^ e dal delirio
tanti altri? (268) Che sen. della filosofia siete m voi
B xxxiv Poiché, dunque, amici, p^^ve^ che
io ; i ragazzi furono usciti, a P lon dovessi pigliarla larga
con ^jgsi; libera quello ^^tto - quello rispo- Socrate,
dormi? ^ Che cosa?- se - Sai tu che cosa ho ^ciso
disse. A me — diss to » „ g ti vedo esitare innamorato «ùo degno '
questa di- a farmene parola. tJr , grande il
sposizione-, io ritengo . g y’è altro che non compiacerti
anche melò e se D
319 Convito ti faccia bisogno della sostane-, „
amici miei. A me nulla è di . ° deei: quanto diventare il migliore
che iT'' ''‘"4 CIÒ io credo, che nessuno mi sìa aium à
di te. Ora, a non compiacere un tua fatta io mi vergognerei assai
più dav ° persone di senno, che non davanti alla ge stolidi a
compiacerlo (270). — E lui^ . ebbe ascoltato, con aperta ironia, e
proL°io'’" è solito, rispose: — O caro Alcibiade rTw m realtà
di essere un uomo non dappoco : cade che sieno vere le cose che tu dici
di’ v’è in me una potenza per cui tu potresti diven¬ tare migliore
; una infinita bellezza tu avresti scorto in me, e superiore di molto
alla venustà eh’ è attorno a te. Sicché se tu, avendola vista,
tenti di accomunarti con me e barattare bellezza con bellezza, non è
piccolo il vantaggio che tu pensi di prendere sopra di me, anzi in
cambio dell apparenza tu cerchi di acquistare la realtà del bello,
e pensi di barattare davvero « oro con ferro » (271). Ma, beat’uomo,
guarda meglio; che io non sia nulla e tu t’inganni. Appunto, la
vista della mente comincia a vedere acuto, quanto quella degli occhi prende
a scemare del vigor suo; ora tu sei ancora lontano da questo. — E
io, sentito ciò — Quanto a me — ripigliai —, le mie disposizioni son
quelle, nè se n’ è detto nulla diversamente di come penso : decidi poi tu
come tu credi meglio per te e per me. — Ma di ciò — riprese tu dici
bene ; sicché a suo tempo ci consiglieremo insieme e faremo quello che
ci parrà il meglio cosi in questa, come in ogni 107
Convito cpntite e „ _ Ora io. P'' “'lomTsaW'.'’*®
loi”' “reaovo aver lanca» ni la- fi'"' /'“Vr“iu. 5o réti
C Latori' P‘“jJ era <1 ly™ le mairi alvino
(attorno a q ^ cosi l’m^era no • £b- ffrtrbtare aire,
::tiot-r:it:'t'rpt venustà mia e la P __ ^ giudici ( 273
) che valesse qualcosa fJ / x\o di Socrate — chè voi siete affidigli
Dn. affé delle giacché sappiate, che 1 , dormito con
Dee, mi levai da ^ avessi dormito Socrate, “ to
maggiore. I con mio padre 0 coi xxxv Ora
i^oPO f ■ *'par;» ; rr lataft e la -e^po-a ' U co^» di
lai, io che m'ero “"rX;°,„ai, goanto come non credevo ?orcr }^conn^.
l^^^niera che a saviezza e fortezza d’animo? Dima 10
non sapevo, come ad » neanche vedevo I rinunziare alla sua compag ’
. ^ conoscevo ^ 11 modo di conciliarmelo. invulnerabile
bene, che al denaro egli mezzo da ogni parte che Aiace al
ferro (274), e 1 io8
'invito con cui solo credevo che si ni era sfuggito di
mano. SiLSf P^end zato, e fatto schiavo da quest’uo'° ’‘nbaf“‘ mai
nessuno da nessun altrui- <:ome casi m-aran ,„.i seguì»
cenimo tuttedduela compagna f' quivi fummo compagni di
mensa cominciare, non solo nel durar ‘le mi vinceva, ma in
ogni altra cosa ogni volta che - son casi che succedonot'’^““- ra -
intercettati in alcun posto, eravamo os^oT- a rimanere senza cibo, gli
altri, quanto Tre? stervi, non valevano un ette. E d’altra narto •
banehetti , non c’ era chi sapesse goderne Se ® lui, cosi 111 tutto il
resto, come anche nel bere- e non ci ha gusto —, s’ei v’era costretto,
vinceva tutti (276); e quello che è più maravighoso, Socrate briaco
non c’ è uomo al mondo che l’ab¬ bia visto mai. E del resto mi pare che
di ciò s avrà la prova subito. Q.uanto poi a resistere al freddo e
là gl’inverni sono terribili (277) — fece cose mirabili in tanti altri
casi, e una volta, essendo gelato come peggio non si può, e tutti o
non uscendo fuori, o, se pure, coperti tanto da fare stupire, e calzati e
coi piedi rinvoltati in feltri e pelli di pecora, ecco lui, con un
tempo di quella sorta, se n’esce con un mantello come quello che soleva
portare anche prima, e scalzo camminava per il ghiaccio meglio che gli
altt* calzati. I soldati lo sogguardavano come uno che li
sprezzasse. CoiifVÌ‘° 109 D
" 'tee e tollerò l’uom forte or che merita di sentirlo.
Ve- „ giorno all’esercrto^ m un r un pensiero
stett r! iJettendo,epof ;;teri E Csniesse. nta ^
/nomini se n’accor- g;; maravigliati ^l^'^^tuminando
qualcosa. ente dall’t^lba J r^g), - poicltè era se- finirla'
alcuni Joni (,27 J __ era » io--' a’estate — 1 \nsieroe
per spiare, se lui sa all'aria fresca, e si, in ^ ghette
•ebbe stato ritto ^ non si fu levato ritto, sino a che non ^
^ j^ra al sole (279)» il sole; di poi, fatta la preg. baua-
se n’andò via. E ’ - giusto che gh si glie-giacche questo men^^
, renda -, quando accadd ^ „es- generali dettero la_
palma PP^^^ nou sun altro uomo '"i salvò ^ volle
abbandonarmi ferito. '50 Socrate, c le armi c me. E j». S»»"“ ’ si
desse la sin d’allora dichiarai a g rimp^vero palma a te, e
di ciò tu n avendo i gene- e non dirai che io «tentisco- e
co¬ vali riguardo al mio gta facesti premura lendo dare la
palma a endessi io e non anche piò dei generali che i* F
no Convito 221 tu.
Ancora, amici, valse templar Socrate, quando ] in fuga da Delio
(281); g sente a cavallo, lui da f sbaragliati già tutti, egl
Lachete, e io m’imbatto per li à esorto subito a star
di buon animo loro di non abbandonarli. Or hf’no crate mi dette più
bello spettacolo che in p ■ dea — giacché quanto a me stavo meno in
pa?' per essere a cavallo — prima, in ciò ch’egb perava di molto
Lachete, quanto all’essere p«- B sente a sè; poi a me pareva, o
Aristofane,- sai, la tua frase — che anche li egli camminasse come
qui, « in sussiego e guardando di scan- cio » (282), sbirciando
tranquillo, e lasciando scorgere a tutti, persin da molto lontano,
che, se uno lo toccherà, e’ farà difesa ben gagliarda quest’ uomo.
Perciò se ne andava via sicuro e lui e l’altro; giacche quelli che in
guerra mo¬ strano questa disposizione, non li toccano, sto per
dire, neppure; invece quelli che fuggono C alla dirotta, questi sì,
gl’inseguono. Ora, di molte altre cose e mirabili uno po¬
trebbe lodare Socrate, però in altre parti si po¬ trebbe forse dire lo
stesso anche di altri, ma quel non essere simile a nessuno nò tra gli
antichi nò tra i presenti, questo a me par degno di ogni
maraviglia. Giacché Brasida (283) e altri uno se li potrebbe figurare
come fu Achille; e come D d’altronde fu Pericle, così Nestore e
Anteno¬ re (284) ; t ve ne sono diversi ; e gli altri uno se li
potrebbe figurare del pari (285) ; ma uno fatto in
originalità, e lui e i suoi f ;tono. P“/““ ‘S ù.
r‘*'^"‘Jbe’ neppn^® a meno che non si as- ^ -^non a
nessun uomo, ma ;22 . vho tralasciato sinora-,
che Glacchèquesto to somigliantissitni a. E nche i
discorsi di 1 volesse Sileni che s’aprono. prima gli pat'
jS.«p ‘ ■‘r'” tts^òl p»°'p ' >' rebbero da ridere, tal
propriamente di I So»i 1“„S i “t Satiro petulante, p
sempre e calzolai e ’ ^^lodo, sicché ogni per- stesse
cose nello smss ^^.^aerebbe sona inesperw e priva 3,
beffa dei suoi discon . rima le vede aperti (286) e p
j^^nno lì „ov«à i soli .<!■?'“' in sè «pia poi
dmn®n» ' „.i,o an« di simulacri di Virtù, conviene meditare
con mira a tutto per bene, a chi voglia essere una p
lodo Queste, o amici, son . quelle di Socrate; e in
<^he egli m’ha cui lo biasimo, v ho questo sol- B
offeso. E, in fede nnn.non ^^^^.^ne tanto a me, ma anche ^ ^
tantissimi e ad Eutidemo di Diocle (28?^
112 Convito altri, ai quali lui dando ad intendere di v
1 essere ramante, se n’è fatto l’amato in camk-'^ d’amante. È
appunto quello che dico anche*° te, Agatone; non ti lasciare ingannare da
lup ma ammaestrato da’ casi nostri, tienti in guardia* e non
imparare, secondo il proverbio, come un ragazzo (288), a tue spese.
XXXVIII C Quando Alcibiade ebbe finito di parlare, si
fece, raccontava, un gran ridere della franchezza con cui egli si dava a
divedere tuttora inna¬ morato di Socrate. E Socrate — O Alcibiade —
disse—,tu non sei per niente briaco, mi pare; altrimenti non ti saresti
provato, rigirando il di¬ scorso con tanta finezza (289), ad occultare la
causa per cui hai detto tutte queste cose ; e l’hai messo poi come di
passaggio, in fine, quasi non D avessi detto ogni cosa per metter male
fra me e Agatone, giacché, a parer tuo, io devo amar te e nessun
altro, e Agatone deve esser amato da te, e da nessun altro al mondo. Ma
ti sei fatto capire; chè cotesto tuo dramma satirico e Sile- nico
s’è scoperto. Ma, caro Agatone, ch’egli non ne profitti punto; anzi, fa
proposito, che te e me non ci separi nessuno. E Agatone ri¬ spose:
Certo, o Socrate, tu risichi di dire il E vero: e lo argomento anche da
questo ch’egli s’è messo a giacere fra te e me, appunto per
separarci. Or bene, egli non ne profitterà niente affatto; anzi, ecco, mi
levo e mi metto a giacere Hi Convito __ —
disse Alcibiade , q proposto Jm’ba a dare lascia,
to"'" Iffarnii in wtto. Ma se ^ d' lomo che Agatone
si lodato niirabd u^'!: Socrate ^ ■u capo nie, in uomo,
lascia ria me? (^9°^ ^ ’ onesto giovinetto che sia re e
non invidiare ^ f^pto desiderio di lodato da me; chè . y, -soggiunse
Aga- tone -, no^ mai. di mutar posto, risoluto, ora
P" siamo alle sohte esser lodato da g^^ate, b mtpos-
rispose Alcibiade , P belle per sibila a chiunque altro di g
persuasivo sene. E »«' «»« p^cUi «stm » ha trovato e
con clie u giaccia vicino a lui xxxi^ 1 Agatone,
dunque dar a sdraiarsi accanto S ^ue .ir improvviso s
i, uscita di uno, si [ porte; e trovatele aper P ^ ^ g,^eerc,
l fecero avanti m ver . ^i a bere vino I c tutto andò
sossopra e SI tu o ^ B Platone, Voi. IX. quello
che dicessero, Aristodemo dichiarasse? non ricordarsene nel resto; poiché
non v’aveS D assistito da principio, e sonnecchiava ; ma la
som? ma, diceva, era, che Socrate li costringeva a convenire, che
appartenga allo stesso uomo il saper fare tragedia e commedia, e chi per
virtù d’arte (291) sia autor tragico, sia anche comico; del che
costretti a consentire, senza seguire gran fatto, prendessero sonno, e
prima si fosse ad¬ dormentato Aristofane, poi, a giorno fatto, Aga¬
tone. Quanto a Socrate, dopo averli messi a dormire, si levasse e se ne
andasse via,— e lui, com’era solito, lo seguisse —; e andato al
Liceo (292), lavatosi, vi si trattenesse come al¬ tre volte, il rimanente
della giornata, e trat¬ tenutosi cosi, andasse poi la sera a
riposare a casa. Francesco Saverio Dòdaro. Dodaro. Keywords: tracce
di un discorso amoroso, mappatura, signature, segnatura, cantata duale, cantata
plurale, cantata duale, origine del romano, edipo, caino, mancanza di Lanca,
communicazione inter-mediale, communicazione inter-mediale e luto, immagine e segno,
senso, sensibilia, visibilia, Freud, Jakobson, Levi-Strauss, Magritte, “silenzo
silenzo silenzo silenzo” Catullo poema rima ritmo batto cuore figlio madre
padre orale genitale ma-ma etymology of ‘altro’ – Hegel on conscience of ego
and conscience of alter, Sartre on ‘nous’ and love affair – infinito – lingua a
codice – codice come ripetizione – ripetizione dei suoni del cuore – ontogenesi
ripete filogenesi – commune, vacuum del ventre della madre, etimologia di
termine chiave, fonema, unita etica, unita emica, Speranza, Schultz, unita
emica come classe di unita etica – criterio: un accordo o codice di relevanza –
l’intenzione del mittente. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dòdaro” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51766439354/in/dateposted-public/
Grice e Donà – sessualità – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Venezia). Filosofo. Grice: “Well, Donà has philosophised on
almost anything – I drank wine; he philosophises on it – ‘bacchiana,’ he calls
it – he has also philosophised on ‘eros’ for which he uses the very Italian
idea of ‘sesso.’ – And he has also punned with ‘di-segnare’ – ‘di-segno’ – In
sum, a genius!” Si laurea a Venezia sotto Severino, presso la Facoltà di
Lettere e Filosofia dell'Venezia, iniziai a pubblicare diversi saggi per
riviste e volumi collettanei, partecipando, lungo il corso degli anni ottanta,
a diversi convegni e seminari in varie città italiane. A partire dalla fine
degli anni ottanta, collabora con Massimo Cacciari presso la cattedra di
Estetica a Venezia e coordina per alcuni anni i seminari dell'Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici di Venezia. Sempre a partire dalla fine degli anni
ottanta, inizia la sua collaborazione con la rivista di architettura
Anfione-Zeto, della quale dirige ancora oggi la rubrica Theorein. In quegli
stessi anni, fonda, con Massimo Cacciari e Romano Gasparotti, la rivista
Paradosso. Negli anni novanta, invece, ha insegnato Estetica presso l'Accademia
di Belle Arti di Venezia. Attualmente insegna Metafisica e Ontologia dell'arte
presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di
Milano. È inoltre curatore, sempre con Romano Gasparotti e Massimo Cacciari,
dell'opera postuma del filosofo Andrea Emo. Dirige per la casa editrice
AlboVersorio le collane "Libri da Ascoltare" e "Anime in
dettaglio" ed è membro del comitato scientifico del festival La Festa
della Filosofia. Ha scritto diversi saggi e articoli per riviste, settimanali e
quotidiani di vario genere. Collabora con il settimanale
"L'Espresso". Attività musicale In qualità di musicista, dopo
aver esordito, ancor giovane, con Giorgio Gaslini e con Enrico Rava, forma un
suo gruppo: i Jazz Forms, di cui è leader. In seguito sviluppa il suo
linguaggio trasformando l'idioma ancora bop dei primi anni in una scrittura più
articolata in cui entrano in gioco elementi tratti dalla musica rock e da molte
esperienze etniche maturate nel frattempo con diversi gruppi musicali. Si
esibisce in diverse città italiane con un sestetto, in cui ad accompagnarlo
sono una chitarra, una batteria, un basso, delle percussioni e una tastiera.
Nasce così il Massimo Donà Sextet. Suona con musicisti che sarebbero diventati
protagonisti della scena musicale italiana. Suona in jam session anche con
alcuni padri storici del jazz, come Dizzy Gillespie, Marion Brown, Dexter
Gordon e Kenny Drew. Riprende a suonare professionalmente e forma un nuovo
gruppo: il Massimo Donà Quintet, con il quale si esibisce in Italia e
all'estero. Il quintetto diventa quindi un quartetto; che è la formazione con
cui Donà suona da almeno tre anni. A tutt'oggi il nostro ha all'attivo ben
sette CD incisi con suoi gruppi. La sua etichetta di riferimento è sempre la
"Caligola Records", il cui responsabile artistico è Claudio Donà,
fratello di Massimo e importante critico musicale jazz. Altre opere: “Il
'bello, o di un accadimento. Il destino dell'opera d'arte” (Helvetia, Venezia);
“Le forme del fare” (Liguori, Napoli); “Sull'assoluto (Per una
reinterpretazione dell'idealismo Hegeliano” (Einaudi, Torino); “Aporia del
fondamento” (La Città del Sole, Napoli); “Fenomenologia del negative” (Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli); “Arte, tragedia, tecnica” (Raffaello Cortina
Editore, Milano); “L' Uno, i molti: Rosmini-Hegel un dialogo filosofico” (Città
Nuova, Roma); “Aporie platoniche. Saggio sul ‘Parmenide’” (Città Nuova, Roma); “Filosofia
del vino” (Bompiani, Milano); Magia e filosofia (Bompiani, Milano); Joseph
Beuys. La vera mimesi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Milano); Sulla
negazione, Bompiani, Milano); Serenità: una passione che libera, Bompiani,
Milano); La libertà oltre il male” (Città Nuova, Roma); Il volto di Dio, la
carne dell'uomo, con Piero Coda, AlboVerosio, Milano); Dell'arte in una certa
direzione” (Supernova, Venezia); “Filosofia della musica, Bompiani); Il mistero
dell'esistere: arte, verità e insignificanza nella riflessione teorica di Magritte”
(Mimesis, Milano); L'essere di Dio. Trascendenza e temporalità” (AlboVersorio,
Milano); Dio-Trinità. Tra filosofi e teologi” (Bompiani, Milano); Arte e filosofia”
(Bompiani, Milano); “L'anima del vino. Ahmbè, Bompiani, Milano); “Non uccidere”
(AlboVersorio, Milano); L'aporia del fondamento, Mimesis, Milano), “I ritmi
della creazione” (Bompiani, Milano); La "Resurrezione" di Piero della
Francesca, Mimesis, Milano); Il tempo della verità, Mimesis, Milano; Non avrai
altro Dio al di fuori di me” (AlboVersorio, Milano); “Il conciliabile e L'inconciliabile.
Restauro Casa D'Arte Futurista Depero” (Mimesis, Milano-Udine PANTA decalogo” (Bompiani, Milano); Filosofia.
Un'avventura senza fine, Bompiani, Milano); Comandamenti. Santificare la festa”
(il Mulino, Bologna Abitare la soglia.
Cinema e filosofia, Mimesis, Milano-Udine); “Eros e tragedia, AlboVersorio,
Milano); “Il vino e il mondo intorno. Dialoghi all'ombra della vite” (Aliberti
Editore, Reggio Emilia Figure
d'Occidente. Platone, Nietzsche e Heidegger” (AlboVersorio, Milano); “Le verità
della natura, AlboVersorio, Milano”; “Filosofia dell'errore” – errore vero, la
verita come errore relative – “Le forme dell'inciampo, Bompiani, Milano); “Parmenide.
Dell'essere e del nulla” (AlboVersorio, Milano); “Eroticamente: per una
filosofia della sessualità” (il prato, Saonara (Padova) Misterio grande. Filosofia di Giacomo
Leopardi, Bompiani, Milano); “Pensare la Trinità. Filosofia europea e orizzonte
trinitario” (Città Nuova, Roma Erranze
(Alfredo Gatto), AlboVersorio, Milano); L'angelo musicante. Caravaggio e la
musica” (Mimesis Edizioni, Milano-Udine); “Parole sonanti. Filosofia e forme
dell'immaginazione” (Moretti & Vitali, Bergamo J. Wolfgang Goethe, Urpflanze. La pianta
originaria; Albo Versorio, Milano); La terra e il sacro. Il tempo della verità,
Luca Taddio, Mimesis, Milano); Teomorfica. Sistema di estetica” (Bompiani,
Milano); “Sovranità del bene. Dalla fiducia alla fede, tra misura e dismisura,
Orthotes, Salerno); “Senso e origine della domanda filosofica, Mimesis,
Milano-Udine); “La filosofia di Miles Davis. Inno all'irrisolutezza” (Mimesis,
Milano-Udine); “Dire l'anima. Sulla natura della conoscenza” (Rosenberg &
Sellier, Torino); “Tutto per nulla. La filosofia di William Shakespeare” (Bompiani,
Milano); “Pensieri bacchici. Vino tra filosofia, letteratura, arte e politica”
(Edizioni Saletta dell'Uva, Caserta); “In Principio. Philosophia sive
Theologia. Meditazioni teologiche e trinitarie, Mimesis, Milano-Udine); “Di
un'ingannevole bellezza. Le "cose" dell'arte” (Bompiani-Giunti,
Milano); “La filosofia dei Beatles” (Mimesis, Milano-Udine); “Un pensiero
sublime: saggi su Gentile” (Inschibboleth, Roma); “Dell'acqua” (La nave di
Teseo, Milano); “Essere e divenire: riflessioni sull'incontraddittorietà a
partire da Fichte” (Mimesis, Milano-Udine); “Di qua, di là. Ariosto e la
filosofia dell'Orlando Furioso” (La nave di Teseo, Milano); “Miracolo naturale.
Leonardo e la Vergine delle rocce” (Mimesis, Milano); "Arte e
Accademia", in Agalma; New Rhapsody in blue, Caligola Records; For miles
and miles, Caligola Records; Spritz, Caligola Records; “Cose dell'altro mondo.
Bi Sol Mi Fa Re, Caligola Records); Ahmbè, Caligola Records; Big Bum, Caligola
Records; Il santo che vola. San Giuseppe da Copertino come un aerostato nelle
mani di Dio, Caligola Records
Iperboliche distanze. Le parole di Andrea Emo, Caligola Records. Il
mistero della bellezza svelato da Massimo Donà. Intervista Alberto Nutricati,
in L'Anima Fa Arte Blog e Rivista di Psicologia Video-intervista sul mistero
dell'esistenza, su asia. "Arte e Accademia", in Agalma, Wikipedia
Ricerca Mascolinità assieme di qualità, caratteristiche o ruoli associati a
ragazzi o uomini Lingua Segui Modifica La mascolinità (o il genere maschile) è
un insieme di attributi, comportamenti e ruoli generalmente associati agli
uomini. La mascolinità è costruita socialmente e culturalmente,[1] anche se
alcuni comportamenti considerati maschili, come indica la ricerca, sono
biologicamente influenzati.[1][2][3][4] Fino a che punto la mascolinità sia
influenzata biologicamente o socialmente è oggetto di dibattito.[2][3][4] Il
genere maschile è distinto dalla definizione del sesso biologico
maschile,[5][6] poiché sia i maschi che le femmine possono esibire
caratteristiche maschili. Nella
mitologia greca Eracle è uno dei massimi simboli di mascolinità. Gli standard
di mascolinità variano a seconda delle diverse culture e periodi storici.[7] Le
caratteristiche tradizionalmente, culturalmente e socialmente considerate
maschili nella società occidentaleincludono virilità, forza, coraggio,
indipendenza, leadership e assertività.[8][9][10][11] Il machismo è una forma di mascolinità che
enfatizza il potere ed è spesso associata a un disprezzo per le conseguenze e
la responsabilità.[12] Il suo opposto
può esser espresso dal termine effeminatezza.[13] Uno dei sinonimi maggiormente
usati per indicare la mascolinità è virilità, dal latino virche significa
uomo. Contesti storici e culturali Modifica
L'interpretazione ed il riconoscimento della mascolinità variano all'interno
dei diversi contesti storici e culturali. Nell'antichità era prevalente
prendere a modello l'uomo d'arme[14]; la figura del dandy, tanto per fare solo
un esempio, è stato considerato un ideale di mascolinità nel XIX secolo, mentre
è considerato al limite dell'effeminato per gli standard moderni[15]. Le norme tradizionali maschili, così come
vengono descritte nel libro del Dr. Ronald F. Levant intitolato
"Mascolinità ricostruita" sono: evitare ogni accenno di femminilità,
non mostrare le proprie emozioni, tenere ben separato il sesso dall'amore,
perseguire il successo e raggiungere uno status sociale più elevato,
l'autonomia (il non aver mai bisogno dell'aiuto di nessuno), la forza fisica e
l'aggressività, infine l'omofobia (disprezzo per il frocio, il finto
maschio)[16]. Queste norme servono a riprodurre simbolicamente il ruolo di
genere associando gli attributi e le caratteristiche specifiche creduti
appartenere di diritto al genere maschile[17].
Lo studio accademico della mascolinità ha subito una massiccia
espansione d'interesse tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90, con corsi
universitari che si occupano della mascolinità passati da poco più di 30 ad
oltre 300 negli Stati Uniti[18]. Questo ha portato anche a ricerche riguardanti
la correlazione tra concetto di mascolinità e le varie forme possibili di
discriminazione sociale, ma anche per l'uso che del concetto se ne fa in altri
campi, come nel modello femminista di costruzione sociale del genere[19]. Natura ed educazioneModifica Competizione sportiva, scontro fisico e
militarismo sono caratteristiche della mascolinità che appaiono in forme analoghe
in quasi tutte le culture del mondo. La misura in cui l'espressione della
propria mascolinità possa esser un fatto di natura o il risultato di
un'educazione (e quindi appartenente all'ampio spettro del condizionamento
sociale) è stato oggetto di molte discussioni.
La ricerca sul genoma umano ha dato importanti informazioni circa lo
sviluppo delle caratteristiche maschili ed il processo di differenziazione
sessuale specifico per il sistema riproduttivo degli esseri umani: il TDF sul
cromosoma Y, che è fondamentale per lo sviluppo sessuale maschile, attiva la
proteina chiamata "Fattore di trascrizione SOX9"[20] la quale aumenta
l'ormone antimulleriano che reprime lo sviluppo femminile nell'embrione. Vi è ampio dibattito poi su come i bambini
sviluppino a partire dalla realtà corporea una propria identità di genere; chi
la considera un fatto di natura sostiene che la mascolinità è inestricabilmente
collegata al corpo umano maschile, ed in tale visione diventa qualcosa che è
legato al sesso maschile biologico, cioè all'apparato genitale maschile il
quale diviene così l'aspetto fondamentale della mascolinità[21]. Altri invece suggeriscono che, mentre la
mascolinità può essere influenzata da fattori biologici, è anche però
ampiamente costruita culturalmente; la mascolinità non avrebbe quindi una sola
fonte d'origine o creazione, ma sarebbe anche associata a certi condizionamenti
sociali. Un esempio di mascolinità socializzata è quella rappresentata dallo
spuntare della barba, cioè dall'avere peli sul viso: l'adolescente che viene
considerato e trattato da uomo a partire dal momento in cui comincia a
radersi[22]. Mascolinità
egemonicaModifica Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Maschilismo. Esempio di maschio poco più che adolescente
con corpo muscoloso. Nelle culture tradizionali la maniera principale per gli
uomini di acquistare onore e rispetto era quello di arrivare a mantenere
economicamente la propria famiglia assumendone al contempo anche il comando e
la leadership[23]. Raewyn Connell ha etichettato i tradizionali ruoli e
privilegi maschili col termine di mascolinità egemonica, cioè la norma
maschile, qualcosa a cui tutti gli uomini dovrebbero aspirare e che le donne
invece sono scoraggiate dall'adottare: "Configurazione del genere come
prassi che incarna la risposta accettata al problema della legittimità
patriarcale... che garantisce la posizione dominante degli uomini e la
subordinazione delle donne"[24]. Il
Dr. Joseph Pleck sostiene che una gerarchia di mascolinità tra gli uomini
esiste in gran parte nella dicotomia riferita all'orientamento sessuale tra
maschio eterosessuale e non-maschio omosessuale e spiega che "la nostra
società utilizza la dicotomia etero-omo come simbolo centrale per tutte le sue
classifiche di mascolinità, distinguendo i veri uomini dotati di virilità da
quelli che invece lo sono solo per finta"[25]. Kimmel[26] promuove questo
concetto, aggiungendo però anche che il tropo "sei gay" indica che
uno è innanzitutto privo di mascolinità, prima ancora d'indicare un maschio
attratto da persone del proprio stesso sesso. Pleck conclude sostenendo che per
evitare la continuazione dell'oppressione maschile sopra le donne, sopra gli
altri uomini, ma anche sopra se stessi, debbono essere eliminate una volta per tutte
le strutture ed istituzioni patriarcali dall'auto-consapevolezza maschile. CriticheModifica Si tratta di un argomento
dibattuto la questione se i concetti di mascolinità seguiti storicamente
debbano ancora continuare ad essere applicati. I ricercatori hanno rilevato un
corrente di critica alla mascolinità, dovuta al rimodellamento dei valori
contemporanei, ai gruppi femministi più attivi che hanno assunto per sé certi
ruoli tradizionali appartenenti alla mascolinità, all'ostilità culturale che la
società d'oggi ha in certi casi posto sui cosiddetti valori maschili, ed infine
anche alla promozione della mascolinità nella donna abbinata ad un pressione
rivolta agli uomini per femminilizzarsi.
Le immagini di ragazzi e giovani uomini presentati nei mass media
possono portare alla persistenza di concetti nocivi alla mascolinità; gli
attivisti per i diritti degli uomini sostengono che i media non prestano una
seria attenzione alle questioni relative ai diritti maschili e che gli uomini
vengono spesso dipinti in una luce negativa, soprattutto nella
pubblicità[27]. Scholar Peter Jackson
scrive che le forme dominanti di mascolinità possono essere di sfruttamento
economico e di oppressione sociale. Egli afferma che "la forma di
oppressione varia dai controlli patriarcali sui corpi delle donne e dei diritti
riproduttivi, attraverso le ideologie di domesticità, femminilità ed
eterosessualità obbligatoria, alle definizioni sociali del valore del lavoro,
le presunte maggiori abilità naturali del maschio e la remunerazione
differenziale del lavoro produttivo e riproduttivo "[28]. Il lavoro meccanico in fabbrica è associato
con la mascolinità tradizionale. Nozione di mascolinità in crisiModifica Un
discorso sulla crisi della mascolinità è emerso negli ultimi decenni, sostenendo
l'ipotesi che il concetto di mascolinità si trovi oggi nella civiltà
occidentale in uno stato di più o meno profonda crisi[29][30]. La crisi è anche stata spesso attribuita alle
politiche conseguenti al femminismo in risposta sia al presunto dominio degli
uomini sulle donne, sia ai diritti attribuiti socialmente sulla base del
proprio sesso d'appartenenza[31]. Altri
vedono il mercato del lavoro in costante evoluzione come fonte della crisi
della mascolinità, la deindustrializzazione e la sostituzione delle vecchie
fabbriche con nuove tecnologie ha permesso ad un numero sempre maggiore di
donne di entrare in questo mercato competendo alla pari con gli uomini,
riducendo al contempo la necessità e domanda di forza fisica[32]. Tendenze contemporaneeModifica L'operaio edile, esempio moderno di
mascolinità. Anche se gli stereotipi effettivi siano rimasti relativamente
costanti, il valore collegato alla concetto di mascolinità maschile è in parte
cambiato nel corso degli ultimi decenni, ed è stato sostenuto che la
mascolinità è pertanto un fenomeno instabile e mai raggiunto in modo
definitivo. Secondo un documento
presentato all'American Psychological Association: "Invece di vedere una
diminuzione dell'oggettivazione delle donne nella società, si è recentemente
verificato un aumento nell'oggettivazione di entrambi i sessi... Uomini e donne
possono limitare la loro assunzione di cibo nello sforzo di ottenere quello che
considerano un corpo attraente sottile, in casi estremi portando anche a gravi
disturbi alimentari"[33]. Sia gli
uomini che le donne più giovani che leggono riviste di fitness e di moda
potrebbero essere psicologicamente danneggiati dalle immagini perfette di
fisico femminile e maschile che vedono: alcune giovani donne e uomini si
esercitano eccessivamente nel tentativo di raggiungere ciò che essi considerano
una forma corporea più attraente, che in casi estremi può portare a disordine
dismorfico del corpo (dismorfofobia) o dismorfismo muscolare (anoressia
riversa)[34][35][36]. TerminologiaModifica
I concetti di mascolinità sono variati a seconda del tempo e del luogo e sono
soggetti a costanti cambiamenti, quindi è più appropriato parlare di
mascolinità al plurale che di una singola tipologia di mascolinità[37]. Note
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Bromance Bushidō Castro clone Comunità ursina Femminilità Indice di mascolinità
Leather Patriarcato (antropologia) Sessismo Twink (linguaggio gay) Collegamenti
esterni Modifica
The Men's Bibliography, bibliografia completa sulla mascolinità. Boyhood
Studies, bibliografia sulla mascolinità giovanile. Practical Manliness, sugli
ideali storici della mascolinità applicati agli uomini moderni. The ManKind
Project of Chicago, supporting men in leading meaningful lives of integrity,
accountability, responsibility, and emotional intelligence NIMH web pages on
men and depression, sulla depressione maschile. Article entitled "Wounded
Masculinity: Parsifal and The Fisher King Wound" Il simbolismo storico che
si riferisce alla mascolinità, di Richard Sanderson M.Ed., B.A. BULL, sulla
narrativa maschile. Art of Manliness, sull'arte mascolina. The Masculinity
Conspiracy, critica mascolina online. Future Masculinity, corso di critica
sulla mascolinità. Controllo di autoritàThesaurus BNCF 48856 · LCCN( EN )
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statunitense Privilegio maschile privilegio
sociale degli individui maschi derivante solamente dal loro sesso Wikipedia Il contenutoMassimo Donà. Dona. Keywords:
sessualità, eroticamente, per una filosofia della sessualità. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Donà” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51764600477/in/dateposted-public/
Grice e Donatelli – esperienza – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo. Grice: “I like Donatelli – his titles can be too expansive, like the
one about ‘philosophy and common experience,’ as a subtitle, which incorporates
the all too controversial notion of experience simpliciter!” L’etica, la sua
storia e le problematiche contemporanee sono al centro dei suoi interessi.
Studia a Roma, dove ha conseguito la laurea e il dottorato. Insegna alla Luiss
Guido Carli. Insegna a Roma. La sua ricerca spazia dalla ricognizione dei
classici dell’etica alla filosofia morale contemporanea. Si occupa della
riflessione sulla vita umana, in bioetica e nel pensiero teoretico e politico,
e del pensiero ambientale. Nel dibattito bio-etico ha difeso una concezione
laica delle istituzioni. La sua proposta si situa nella filosofia di ispirazione
wittgensteiniana (Cavell, Diamond, Murdoch) che fa incontrare con i temi del
pensiero democratico e perfezionista nella scia della filosofia di Mill. Dirige
la rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica (il Mulino). È membro di
numerosi comitati, tra cui del comitato scientifico di Bioetica. Rivista
Interdiscliplinare ed Etica & Politica. Altre opere: “Filosofia morale.
Fondamenti, metodi, sfide pratiche” (Milano, Le Monnier, Il lato ordinario della vita. Filosofia ed
esperienza comune” (Bologna, il Mulino,
Etica. I classici, le teorie e le linee evolutive, Torino, Einaudi); “Quando
giudichiamo morale un’azione?” (Roma-Bari, Laterza); Decidere della propria
vita, Roma-Bari, Laterza); “La vita umana in prima persona duale” (Roma-Bari,
Laterza); “Manuale di etica ambientale” (Firenze, Le Lettere); “James Conant e
Cora Diamond, Rileggere Wittgenstein, Roma, Carocci); “Mill, Roma-Bari,
Laterza); “Virtù” (Roma, Carocci); Immaginazione e la vita morale, Roma,
Carocci); La filosofia morale, Roma-Bari, Laterza); Wittgenstein e l’etica,
Roma-Bari, Laterza);Etica analitica. Analisi, teorie, applicazioni” Milano,
LED,I destini dell'etica Bioetica e
progresso morale dell'Italia, su
ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica. Bioetica Consulta di bioetica The Italic branch
consists of Latin on the one hand and of the Urabrian-Samnitic dialects,
on the other. Latin, with which the little known dialect Sf
Falerivwas closely related, is known to us from about 300 B. C. onwards.
So long as the language was confined to Latium, there existed no
dialectical differences of any importance. The contrast bet- ween the
popular and the literary language, which had already arisen at the
beginning of the archaic period of literature (from Li vius Andronicus to
Cicero), became still sharper in the classical period, and the further
development of the former is almost entirely lost to our observation
until the Middle Ages, when the popular Latin of the various provinces of
the Roman empire meets us in a form more or less changed and with a
rich development of dialects (Romance languages: Portuguese, Spanish,
Catalanian, Provencal, French, Italian, Raetoromanic and
Roumanian)*). We shall only consider the development of the Latin of,
antiquity. Cp. Corssen Uber Aussprache, Vocalismus und
Betonung der lateinischen Sprache, 2 vols., Leipzig 1858. 1859, edit.
2., 1868. 1870. R. Kuhner Ausfiihrliche Grammatik der lateinischen
Sprache, 2 vols., Hannover 1877. 1879. F. Stolz and J. G. Schmalz
Lateinische Grammatik, in Iw. Muller’s Handbuch der klass. Altertumsw. II
(1885) p. 127 — 364. The Umbrian-Samnitic dialects are known to a
certain extent through inscriptions, which for the most part belong to
the last centuries before our era , and through words quoted by Roman
writers. We are best acquainted with Umbrian (Breal Les tables Eugubines,
Paris 1875, Biichelor Umbrica, Bonn 1883) andOscan (Zvotaieff Sylloge
inscriptionumOscarum, PeterSburg-Leipzig 1878). Of the Volscian, Picentine*
Sabine, 1) Cp.* Budinszky Die Ausbreitung der lat. Sprache uber
Italicn und die Provinzen des rSmisohen Reiches, Berlin 1881, Cirober in
the Archiv fur lat. Lexikographie I 35 ff., 204 ff. g
KeUio;^ 9 Aequiculau , Yestinian, Marsian, Pelignian and
Marrucinian dialects we have only very scanty remains (Zvetaieff
In- scriptiones Italiae Mediae dialecticae, Leipzig 1884). All
*tliese dialects were ^forced •into the background at an early period
by the ifitrusion of Latin. The Sabines, who received citizenship
in 267 B. C., seem to have been the first to become romaniscd. The s^west
to give way was Oscan, which in the mountains did not perhaps become
fully extinct for centuries after the Christian era. Cp.
further Bruppacher Osk. Lautlehre, Zurich 1869, Endoris Yersuch einer
Formenlehro der osk. Sprache, Zurich 187L Piergiorgio Donatelli. Donatelli. Keywords: esperienza,
let’s cooperate (cooperiamo), let’s make the strongest utterance; let’s trust
each other; let’s be relevant (siamo relevanti), let’s be perspicuous (siamo
perspicui), prima persona, prima persona duale – noi – nostro – numero nel
verbo greco: singolare, duale, plurale, Mill,
virtu, Conant, ambi, both – the dual – Both conversationalists must
cooperate towards a mutual goal. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donatelli” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51765277371/in/dateposted-public/
Grice e Donati – il fra – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Budrio). Filosofo.
Grice: “I like Donati; most of what he says is very basic, and he says it
from what he thinks is a scientific perspective – but then he writes about
morality and you start to wonder – anyhow, his central concept is that of
reflexitvity, which he multiplies into goal-centred, rule-centred,
means-centred, and value-centred – Since my oeuvre dwells on rellexivity I feel
a lot of affection for Donati and his approach!” Nella sua filosofia occupano
una posizione centrale la tematica epistemologica inerente alla ri-fondazione
della ‘sociologia filosofica’, re-interpretata alla luce della "svolta
relazionale”. Su tali basi, vengono svolte l'analisi del concetto di
‘cittadinanza’, del fenomeno associativo della società civile e della politiche
di welfare state nelle società altamente differenziate; l'analisi del ruolo
dell’istituzione sociale che emergono dai processi di morfo-genesi sociale, in
particolare nelle sfere di terzo settore; l'apertura di una nuova prospettiva
negli studi sul capitale sociale e sui processi di “riflessività” in rapporto
alla legittimazione di nuove forme di democrazia deliberativa. L'elaborazione
di una ‘sociologia filosofica relazionale' è andata di pari passo con la
fondazione filosofica di un nuovo e più generale ‘paradigma relazionale' che si
pone come superamento della contrapposizione fra realismo e costruttivismo, fra
l’individualismo o intersoggetivismo metodologico e olismo o collettivismo metodologico.
Questa prospettiva porta alla elaborazione di nuovi concetti come quelli di “critica
della ragione relazionale” e bene relazionali, come soluzioni rispettivamente
dei problemi inerenti a idiosincrasie culturale e alla mercificazione del
welfare nelle società. L'etichetta "sociologia filosofia relazionale"
viene usata, oltre che da Donati, da vari filosofi. Emirbayer ha scritto un
‘Manifesto di sociologia relazionale' elaborato in maniera del tutto
indipendente rispetto a Donati. Crossley usa la medesima etichetta. Alcuni
studiosi assimilano la sociologia relazionale alla network analysis (Crossley, Mische
), altri tracciano delle differenze fra questi due modi di intendere l'analisi
della società (Donati, Terenzi, Tronca). Indipendentemente dalla filosofia di
Donati, esistono gruppi e reti di sociologia relazionale in vari paesi, tra cui
il Canada (si veda il sito della Canadian Sociological Association,,
l'Australia (si veda il sito della Australian Sociological Association,). In
Italia, gli filosofi vicini a Donati si riconoscono nel network Relational
Studies in Sociology,). Donati ha prodotto numerosi saggi di carattere
teorico ed empirico. Propone una teoria generale per l'analisi della società:
la “sociologia filosofica relazionale”. Insegna a Bologna, direttore del Centro
Studi di Politica Sociale e Sociologia Sanitaria). Presidente dell'Associazione
Italiana di Sociologia. Direttore dell'Osservatorio Nazionale sulla Famiglia.
Ha fatto parte del comitato scientifico di Biennale Democrazia. Fondatore e
Direttore della Rivista “Sociologia e politiche sociali”, editore FrancoAngeli.
Membro del Comitato Scientifico della Rivista "Sociologia", Istituto Luigi
Sturzo, Roma. Ha ricevuto il riconoscimento dell'ONU come membro esperto
distinto nel corso dell'Anno Internazionale della Famiglia. Premio Capri San
Michele per "Pensiero sociale
cristiano e società post-moderna" (Ave, Roma). Premio San Benedetto per la
promozione della Vita e della Famiglia in Europa. Attraverso la sua filosofia,
Donati mostra con specifiche indagini empiriche in che modo la società possa
essere conosciuta e interpretata come una semplice “relazione sociale” diadica
-- e non come un prodotto culturale. La sociologia relazionale (o teoria
relazionale della società) viene per la prima volta esplicitata con “Introduzione
alla sociologia relazionale”. Questa “Introduzione” è nata come una sorta di
“Manifesto della sociologia relazionale”, anche se da allora pochi se ne sono
accorti. I punti essenziali di quel Manifesto sono varie. La sociologia
relazionale consiste nell'osservare che una società, ovvero qualsiasi fenomeno
o formazione sociale (la famiglia, una impresa o società commerciale, una
associazione, una società nazionale), la società globale, non è né una idea (o
una rappresentazione o una realtà mentale soggetiva) né una cosa materiale (o
biologica o fisica in senso lato), ma è una relazione sociale – una
intersoggetivita. L’intersoggetivo è né un “sistema”, più o meno pre-ordinato o
sovrastante i singoli fatti o fenomeni, né un prodotto di una azione soggetiva,
ma un altro ordine di realtà. L’intersoggetivo è relazione. L’interosggetivo è
fatto di una relazioni fra un soggetto S1 e un soggetto S2, che distinguono la
forma e i contenuti di ogni concreta e specifica “diada. L’intersoggetivo – la
relazione intersoggetiva -- deve essere concepito non come una realtà accidentale,
secondaria o derivata dall’altre entità: il soggetto S1 e il soggetto S2),
bensì come un levello ontologico differente sui generis, appunto,
‘l’intersoggetivo’. Affermare che “la società è relazione” può sembrare quasi
ovvio, ma non lo è affatto ove l'affermazione sia intesa come presupposizione
epistemologica generale e quindi si abbia coscienza delle enormi implicazioni
che da essa derivano. Ogni filosofo parlano dell’intersoggetivo della relazione
di una diada fra soggeto S1 e soggetto S2 (Aristotele: ogni uomo e politico,
Marx, Durkheim, Weber, Simmel, Parsons, Luhman, Grice), ma quasi nessuno ha
compiuto l'operazione che viene proposta dalla sociologia
relazionale: partire dal presupposto che “all'inizio c'è la relazione”,
ossia che ogni realtà sociale emerge da un contesto di relazioni e genera un
contesto di relazioni essendo essa stessa ‘relazione sociale'. Ciò non
significa in alcun modo aderire ad un punto di vista di relativismo. Si tratta
esattamente del contrario: la sociologia relazionale si fonda su una ontologia
dell’intersoggetivo relazionale, e dunque su una ontologia dell’intersoggetivo
della relazione che vede nella relazioni il costitutivo di ogni realtà sociale
seconda la loro propria natura. La sociologia relazionale e una forma del relazionismo
filosofico. Per l’intersoggetivo (la relazione) intende l’intersoggetivo nel
spazio-tempo, dell'inter-umano, ossia ciò che sta fra un soggetto agente S1 e
un soggetto agente S2 chi collaborano, o cooperano. e checome tale costituisce
il loro orientarsi e agire reciproco (o riflessivo, al modo di Grice), per
distinzione da ciò che sta nel singolo attore individualo o collettivo considerati
come poli o termini della relazione. Questa «realtà dell’intersoggetivo – che
Donati chiama ‘il fra’ -- fatta insieme di due soggetti che collaboron, è la
sfera in cui vengono definite sia la distanza sia l'integrazione dei due
soggetti che stanno in società: dipende da questo ‘fra’ – fra tu e me -- (la
relazione sociale in cui le due soggetti si trovano) se, in che forma, misura e
qualità le due soggetti può distaccarsi o coinvolgersi rispetto agli altri
soggetti più o meno prossimi, alle istituzioni e in generale rispetto alle dinamiche
della vita sociale. La teoria relazionale della società ha elaborato nuovi
concetti che sono stati utilizzati non solo da filosofi, ma anche in altri
campi, come il diritto, la legislazione sociale, l'economia. I concetti originali
elaborati da Donati sono varie. Il concetto di ‘privato sociale’ e applicato in
molte leggi dello Stato italiano. Il concetto di ‘cittadinanza societaria è
stato utilizzato dal Consiglio di Stato (Sezione consultiva per gli atti
normativi, Adunanza, N. della Sezione: in importanti deliberazioni. Il concetto
di ‘beni relazionali’ è stato ripreso in campo economico da filosofi come
Zamagni e Bruni. Il concetto di un ‘servizio relazionale’ è stato ripreso nella
legislazione regionale e nazionale in Italia, anche in relazione alla buona
pratica nelle politiche familiari analizzate con le ricerche svolte per
l'Osservatorio nazionale sulla famiglia. Il concetto di ‘lavoro relazionale’ e
il concetto di ‘contratto relazionale’ sono importanti. Il concetto di ‘welfare
relazionale’ e usanto in buona pratica nei servizi alle famiglie (utilizzato
dal Centro studi Erickson). Il concetto di ‘differenziazione relazionale’ si
applica in particolare alla problematica della conciliazione fra lavoro e
famiglia. Il concetto di una critica della ‘ragione relazionale’ e dato come
una possibile soluzione ai problemi dei conflitto. Il concetto di capitale
sociale come relazione sociale con una ridefinizione degli studi sociologici si
applica nel capitale sociale. Il concetto di "riflessività
relazionale" si applica per superare il concetto puramente soggettivo di
riflessività come mera riflessione interiore. Il concetto di "genoma
sociale della famiglia" s’applica nella evoluzione. Ha affrontato una
serie di tematiche di ricerca il cui sviluppo è ancora in corso. La prima e più
estesa riguarda la tematica della sociologia della famiglia. Si vedano I saggi
di Donati, Lineamenti di sociologia della famiglia. Un approccio relazionale
all'indagine sociologica, Carocci, Roma, Donati, Manuale di sociologia della
famiglia, Laterza, Roma-Bari). Si vedano anche i Rapporti Cisf sulla famiglia
in Italia, per gli aspetti applicativi: Sociologia delle politiche familiari,
Carocci, Roma, è il più recenteDonati "La famiglia. Il genoma che fa
vivere la società", Soveria Mannelli, Rubbettino. Un'altra tematica è
quella della salute: si veda Donati Manuale
di sociologia sanitaria” (La Nuova Italia Scientifica, Roma); Sui giovani e le
generazioni nella società dell'indifferenza etica: “Giovani e generazioni.
Quando si cresce in una società eticamente neutral” (il Mulino, Bologna); Sul
cittadinanza e welfare: La cittadinanza societaria, Laterza, Roma- Bari); Sul
welfare state e le politiche sociali, “Risposte alla crisi dello Stato sociale”
(Franco Angeli, Milano); “Lo Stato sociale in Italia: bilanci e prospettive”
(Mondadori, Milano); “Sul privato sociale o terzo settore e la società civile:
Sociologia del terzo settore” (Carocci, Roma); sulla società civile: “La
società civile in Italia, Mondadori, Milano; Generare “il civile”: nuove
esperienze nella società italiana, il Mulino, Bologna); Il privato sociale che
emerge: realtà e dilemmi, il Mulino, Bologna, Sul lavoro: Il lavoro che emerge,
Bollati Boringhieri, Torino); I rapporti fra sociologia relazionale e pensiero
sociale cristiano: Pensiero sociale cristiano e società post-moderna, Editrice
Ave, Roma, La matrice teologica della società, Rubbettino, Soveria Mannelli. Sul
capitale sociale: Donati, Terzo settore e valorizzazione del capitale sociale
in Italia: luoghi e attori, FrancoAngeli, Milano, Donati, I. Colozzi, Capitale
sociale delle famiglie e processi di socializzazione. Un confronto fra scuole
statali e di privato sociale (FrancoAngeli, Milano). Attraverso queste saggi,
la sociologia relazionale ha sviluppato un nuovo quadro teorico e ne ha
dimostrato la validità sia sul piano della ricerca empirica, sia sul piano
delle applicazioni concrete (in termini di legislazione e di programmi di
intervento sociale). La conoscenza sociologica che la sociologia relazionale
intende perseguire non rifiuta a priori nessuna teoria, né vuole “unificare”
tutte le teorie sotto un'unica bandiera, ma tutte le prende in considerazione e
le valuta per mettere in evidenza quelle verità, anche parziali, che ciascuna
di esse contiene. Tuttavia, perché di solito una teoria offre una visione
limitata, se non riduttiva della realtà, la sociologia relazionale è in grado
di inserire ogni teoria in un quadro concettuale più ampio, nel quale ritrovare
le verità parziali ad un livello più elevato, coerente e consistente di conoscenza
della realtà sociale. Terenzi, Percorsi di sociologia relazionale,
FrancoAngeli, Milano,. Luigi Tronca,
Sociologia relazionale e social networks analysis. Analisi delle strutture
sociali, FrancoAngeli, Milano.Enzo Paci, Dall'esistenzialismo al relazionismo,
D'Anna, Messina-Firenze. Per un nuovo welfare locale “family friendly”: la
sfida delle politiche relazionali, in Osservatorio nazionale sulla famiglia,
Famiglie e politiche di welfare in Italia: interventi e pratiche. I, il Mulino, Bologna, Politiche sociali e
servizi sociali di fronte al modello sociale europeo: lo scenario del “welfare
relazionale”, in C. Corposanto, L. Fazzi, Il servizio sociale in un'epoca di
cambiamento: scenari, nodi e prospettive, Edizioni Eiss, Roma, Quale
conciliazione tra famiglia e lavoro? La prospettiva relazionale, in Donati,
Famiglia e lavoro: dal conflitto a nuove sinergie, Edizioni San Paolo,
Cinisello Balsamo, La valorizzazione del capitale sociale in Italia: luoghi e
attori Donati, I. Colozzi, FrancoAngeli, Milano, Altre opere: “L'enigma della
relazione” Mimesis, Milano); “La famiglia. Il genoma che fa vivere la società”
(Rubbettino, Soveria Mannelli); “Sociologia della riflessività. Come si entra
nel dopo-moderno, il Mulino, Bologna); “I beni relazionali. Che cosa sono e
quali effetti producono (Bollati Boringhieri, Torino); “La matrice teologica
della società, Rubbettino, Soveria Mannelli); “Teoria relazionale della
società: i concetti di base, FrancoAngeli, Milano); “La società dell'umano,
Marietti, Genova-Milano); “Il capitale sociale degli italiani. Le radici
familiari, comunitarie e associative del civismo” (FrancoAngeli, Milano); “Oltre
il multiculturalismo. La ragione relazionale per un mondo comune, Laterza,
Roma-Bari); “Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari); “Sociologia
delle politiche familiari, Carocci, Roma); “Il lavoro che emerge. Prospettive
del lavoro come relazione sociale in una economia dopo-moderna, Bollati
Boringhieri, Torino); “La cittadinanza societaria” (Laterza, Roma-Bari); Teoria
relazionale della società, FrancoAngeli, Milano, 1991 La famiglia come
relazione sociale, FrancoAngeli, Milano, La famiglia nella società relazionale.
Nuove reti e nuove regole, FrancoAngeli, Milano); “Introduzione alla sociologia
relazionale, FrancoAngeli, Milano); “Risposte alla crisi dello Stato sociale.
Le nuove politiche sociali in prospettiva sociologica, FrancoAngeli, Milano); “Famiglia
e politiche sociali. La morfogenesi familiare in prospettiva sociologica,
Angeli, Milano); “Pubblico e privato: fine di una alternativa?” (Cappelli,
Bologna). Der Dual ist ein Numerus, der sich in indogermanischen wie
nicht-indogermanischen Sprachen findet. Die indogermanistisch zentralen
Sprachen Altgriechisch und Altindisch haben diesen Numerus in allen
flektierenden Wortarten; andere Sprachen haben ihn nur in einer Wortart. Die
Minderheitensprachen Ober- und Niedersorbisch pflegen den Dual bis heute. Auch
im Bairischen gibt es noch formale Dualrelikte. Das Buch bietet eine
Darstellung der einzelsprachlichen Dualsysteme in der Indogermania und
Rekonstruktionen der Dualsysteme der Zwischengrundsprachen und des
Ur-Indogermanischen. Neben dem genealogischen Vergleich wird auch der
typologische Vergleich mit Dualsystemen anderer Sprachgruppen wie etwa Finno-Ugrisch,
Semitisch und Bantu angestellt. Der Leser gewinnt so einen Überblick über die
Entwicklung einer typologisch markierten grammatischen Kategorie und einen
Einblick in die kognitiven Prozesse, die zum Werden und Schwinden des Duals im
Wandel der Sprachen führen. Rezensionen "" Salvatore Scarlata
in: Kratylos, 60. Jg. (2015), 66ff "" Georges-Jean Pinault in:
Bulletin de la Société de Linguistique de Paris, 108/2 (2013), 141ff
"" Marc Pierce in: Journal of Historical Linguistics, 4.1 (2014),
133ff "" Bohumil Vykypel in: Linguistica Brunensia, 60 (2012),
289-290, URL: http://hdl.handle.net/11222.digilib/118249 ""
Remo Bracchi in: Salesianum, 74 (2012),2, 408f "" Rosemarie
Lühr in: Germanistik, Bd. 52 (2011), Heft 1-2, 53f [314]Duale (linguistica) numero
grammaticale Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce
sull'argomento grammatica è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo
le convenzioni di Wikipedia. Il duale in linguistica è una delle possibili
realizzazioni della categoria morfologica del numero grammaticaleche può essere
espressa tanto nel nome (sostantivo e aggettivo) quanto nel pronome e nel
verbo. Benché sia meno diffuso di singolare e plurale, il duale è presente in
molte lingue del mondo. Esso è presente nelle più antiche lingue
indoeuropee, come il sanscrito o il greco antico, nel lituano, nello sloveno
moderno, nel friulano e anche nelle lingue semitiche, come l'arabo - che ne fa
tuttora uso nelle sue varietà moderne, sia pure limitatamente al nome -
l'ebraico e nell'egizio. Il duale è frequente per indicare parti doppie
del corpo, per esempio le mani, le narici, le gambe, ma nelle lingue che lo
possiedono non è raro il suo uso anche per indicare oggetti a coppie o
semplicemente coppie di oggetti o persone casuali: due persone, due anni, ecc.
("duale occasionale"). Mentre in francese, in tedesco, in
italiano o in spagnolo, tutte lingue che non presentano la forma duale se non
per tracce come per esempio in italiano ambo, si è soliti anteporre al sostantivo
plurale l'aggettivo numerale che ne indica la quantità esatta (due uova, due
amici, ecc.), nelle lingue che posseggono il duale questo può bastare per
indicare una quantità pari a due. Per esempio in arabo sanah "(un)
anno", sanatayn "(due) anni". La mu'allaqa di Imru l-Qays,
una delle più famose poesie arabe, esordisce con un imperativo duale: Qifâ,
nabki... "fermatevi (voi due) e piangiamo...", riferimento al fatto
che il poeta si rivolgeva a due suoi compagni. Bibliografia Modifica
Albert Cuny, Le nombre duel en grec, Paris, Librairie C. Klincksieck, 1906
Charles Fontinoy, Le duel dans les langues sémitiques, Paris, Les Belles
Lettres, 1969. Marco Molinelli, Il numero duale nel greco antico, Roma, 2009.
Matthias Fritz, Der Dual im Indogermanischen, Heidelberg, Carl Winter, 2011.
Voci correlateModifica Grammatica Morfologia (linguistica) Portale
Linguistica: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di linguistica Ultima
modifica 5 mesi fa di Salvatore Talia PAGINE CORRELATE Numero (linguistica) categoria
grammaticale Grammatica lituana regole della lingua lituana
Articoli del greco antico Wikipedia Il contenuto. Grice: “In my seminars I
explained explicitly that we would be dealing only with conversational DYADS!”
Grice: “This was my nod to the Old Latin dual!” – Grice: “Austin used to say
that no distinction is too fine, or too nice. The origin of the Latin fifth
declension out of the dual number – We can provide an EXPLANATION of the
appearance of the Latin fifth declension (e stems) as a result of the LOSS of
an earlier dual inflection, whose main feature is the suffix jk (full grade ej)
. The dual character of the Latin -ies (series) forms can be demonstrated on
the basis of their ‘semantic’ development. The dual number in the Indo-European
languages. The most ancient Indo-European languages had three number
categories: the singular, the dual, and the plural. In the Indo-European
languages, the dual number was typically used for NATURAL PAIRS (‘oculi’, the
‘same’, two hands), sometimes also for an accidental or artificially arranged
pair (‘two men’ (andre), two horses pulling one carriage, two oxen in one yoke),
and possibly for two objects of the SAME kind (two fires, two lime trees).
Elliptical usage of the dual is also attested, ‘two fathers’, as when Homer
refers to ‘Ayax and his brother’ or Latin ‘octo, ‘eight’, originally, or
literally, two sets of four finger-tipes Wackernagel, Campanile, Malzahn,
Clackson). The degree of preservation and PRODUCTIVITY of the dual in the
Indo-European languages differ considerably. Traces of the dual in Latin. The
dual number as a separate CATEGORY was presumably lost by Latin and the other
Italic languages already in the pre-historic period (Buck). Lat. ‘duo,’ ‘two’
< IE duwo < PIE duwo-hj (Tagliavini). Lat. ‘okto’ ‘eight’ < IE okto,
‘8’ < PIE hkekto-h0. Lat. viginti, ‘twenty’ (< IE wiknti < PIE
dwi-dknt-ih), literally, ‘two tens.’ A few Latin forms – ambo, duo -- have a
specific inflexion which may be the result of the transformation of the dual
form within a declension. Thus we have masc. nom. ‘ambo’ , duo; gen. ‘amborum’,
duorum; dative-ablative ‘ambobus’, duobus; and acc. ambos/ambo, duos/duo. Lat.
masc. ‘ambo’. The inflection of ‘ambo’ and ‘duo’ keeps the original dual ending
in the nominative. It does not show the dual ending in the other four cases –
where it adops the regular PLURAL ending. Here we have a case of an ADAPTATION
(SUBSTITUTION_of the dual inflection by the plural inflection. Traces of the
dual number in Latin are restricted to ‘ambo’ , ‘both’, and the numerals (‘duo,
octo, viginti) – while some have traced other dual forms in declesions –
Danielsson). The question of a dual form, e. g. ‘Pomplio,’ (Lat. Pompilio, nom.
du. ‘two of the Pompilius family’), attested in epigraph CIL I 30: M. C.
POMPLIO NO. F. DEDRON HERCOLE = ‘Marcus and Gaius Pompilius, the sons of
Novious, gave (this) to Hercules.’ The interpretation of the form POMPLIO as
dual may be implicatural rather than semantic. The form POMPLIO need not be a
dual form -- it may be just the
nominative singular with the final s by custom omitted when there is a formal
agreement with the second prae-nomen, though belonging to both. Dual endings in
the Indo-European languages. In proto-Indo-European hl forms the basic dual
ending, which may have a strong form (ehl or hle) in animate nouns. It is
assumed that the numeral ‘two’ has the form ‘duwo-ehl’ (literally, ‘two
persons, or animals’), which later develops into the masculine form. IE ‘duwo,
m. Latin for some time kept the dual ending -e (PIE ejl). The loss of the dual
causes the proto-Latin forms ending in -e (once dual forms) to generate a
separate group: a fifth declension. From a variant dual ending -e, the -e-
would have to have formed in the oblique cases. The genitive dual ending in
Indo-European is -es (PIE ejls gen. du). Both a dual inflection with -e (gen.
du. -es) and -e (gen. du. -es) would have ensured the stabilization of the
feature -e- after the loss of the dual number in the Italic languages. The
cause of the loss of the dual number in Latin. Most probably, the loss of the
dual as a separate CATEGORY takes place within the a- stem and the -o- stem
declensions. In the nominal paradigm, a specifically Latin innovation causes a
change in the infection system. This innovation is the loss of the old plural
ending -os, which are well attested in the other Italic languages, along with
the adaptation of the enings of the PRO-nominal system -oi -- whence Latin
‘-i.’ – cf. nom. sg. m. -os > -us. Nom. du. M. -o (ambo, octo, duo). The
PLURALISATION of the dual in the -o- stem declension happens largely without a problem – providing
you keep a Griceian ‘eye’ – Cf. ‘pater,’ father. nom. sg. m. pater; nom. du. m.
‘patere’. nom. pl. m. ‘pateres’. As Austin pointed out to me, the loss of the
dual in the Indo-European languages suchas Latin did not happen solely via the
good old pluralisattion of the dual form, but also by way of a
‘singularisation’: i. e. the dual inflection is re-fomed into the SINGULAR
inflection. This way of the elimination of the dual number is very much
attested in Latin, in all the forms ending in -ies, for example. Then we have
the dual forms of the Lat. viginti type. The Latin cardinal number ‘viginti,’
‘twenty,’ is a remnant of the dual number. ‘Viginti’ represents the IE
archetype wiknti nom. acc. du. ‘twenty’, from PIE dwihl-dknt-ihl, literally,
‘two tens’. Since, unlike ‘duo,’ it represents a numeral higher than 4 – and
all Latin numerals from ‘quattuor’ up to ‘mille’ did not decline --, ‘viginti’
simply keeps the shape of the nominative dual. Some dual forms with no singular
form underwent a singularization (or sometimes a collectivization). As a result
of such an adaptation, the dual is re-constructed morphologically, and
re-interpreted pragmatically via implicature. This singularization (but
sometimes collectivization) of a dual form creates the need to establish a
declension. The literally DUAL character of some Latin expressions ending in
-ies may be explained through a detailed pragmatic calculation. Pierpaolo
Donati. Donati. Keywords: il fra, relazionalismo, internal conversation,
l’intersoggetivo, realta fra, il fra, fra tu e io, intersoggetivismo
metodologico, communicazione come realta fra, implicatura, reflessivita,
reciprocita. Ambidue. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donati” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51764407872/in/dateposted-public/
Grice e
Dondi – l’astrarium – iter Romanorum – Colonna giulia – la Colonna del
circo neroniano di Buschetto -- petrarca – filosofia veneta -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Chioggia). Filosofo. Grice: “I like Dondi and I like a watch chain!” Figlio
di Jacopo, studia filosofia a Padova. Insegna a Padova. Si trasferì a Pavia. Dopo
un periodo a Firenze, vi ritorna come filosofo di corte dei Visconti. Insegna a
Pavia. Scrittore di rime, amico e
corrispondente di Petrarca, fu anche tra i pionieri dell'archeologia. In
occasione di un viaggio a Roma, descrisse e misura monumenti classici, copiò
iscrizioni e trascrisse i dati rilevati nel suo ‘'Iter Romanorum'’. La sua fama è legata soprattutto all'astrario
da lui progettato a Padova e costruito a Pavia, dove, era conservato, nel
castello di Pavia, presso la biblioteca Visconteo-Sforzesca. L'astrario è un orologio astronomico che
mostra l'ora, il calendario annuale, il movimento dei pianeti, del Sole e della
Luna. Per ogni giorno sono indicati l'ora dell'alba e del tramonto alla
latitudine di Padova, la "lettera domenicale" che determina la
successione dei giorni della settimana e il nome dei santi e la data delle
feste fisse della Chiesa. L'orologio astronomico (o astrario) di Dondi è andato
distrutto, ma è ben conosciuto perché il suo ideatore ne dette una particolareggiata
descrizione nel saggio “Astrarium”, trasmesso da due manoscritti. Si tratta di
un congegno mosso da pesi, di piccole dimensioni (alto circa 85 cm, largo circa
70), racchiuso in un involucro a base eptagonale. Grazie ad una serie di ingranaggi
l'astrario riproduce i moti del Sole, della Luna e dei cinque pianeti. Esso indicava
anche la durata delle ore di luce alla latitudine di Padova. Come misuratore
del tempo esso, oltre all'ora, indicava (forse per la prima volta tra gli
orologi meccanici) anche i minuti, a gruppi di dieci. La presenza di trattati
di astrologia nella biblioteca di Dondi fa sospettare che la progettazione sia
stata influenzata da astrologi antichi. L'orologio astronomico che si può
tuttora ammirare sulla Torre dell'Orologio, Padova, in Piazza dei Signori, è
una copia non dell'astrario di Dondi, ma dell'orologio costruito dal padre
Jacopo. Secondo la tradizione sarebbe stato Dondi ad introdurre a Padovala
gallina col ciuffo, oggi nota come gallina padovana. In realtà, il giornalista
padovano Franco Holzer in una sua ricerca ha potuto stabilire che non vi è
documentazione alcuna che attesti che Dondi abbia mai avuto contatti con la
Polonia o che l'abbia mai visitata. A lui è dedicata una delle statue che
adornano il Prato della Valle, a Padova. Il Circolo Numismatico Patavino gli ha
dedicato una medaglia commemorativa opera dello scultore bellunese Massimo
Facchin. A Giovanni De'Dondi è dedicata la ballata iniziale di Mausoleum.
Siebenunddreißig Balladen aus der Geschichte des Fortschritts del poeta tedesco
Hans Magnus Enzensberger. Altre opere: Rime, Antonio Daniele, Neri Pozza,
Vicenza); “Astrarium, E. Poulle, CISST); Opera omnia Jacobi et Johannis de Dondis,
corpus pubblicato sotto la direzione di Emmanuel Poulle. Padova. Andrea Albini,
Op. La Biblioteca Visconteo Sforzesca, su collezioni. Musei civici.pavia. Andrea
Albini, L'astrario di Giovanni Dondi, su Museoscienza. Ricerche d'Archivio
riguardanti la famiglia Dondi dall'Orologio. Di Franco Holzer. Andrea Albini, Machina Mundi. L'orologio
astronomico di Giovanni Dondi, Create Space, Astrario, Gabriele Dondi
dall'Orologio Università degli studi di Padova. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Replica in scala 1/2 dell'Astrario,
su clock maker. Replica in scala ¼, su pendoleria. com. VII.
(D i Cjiovauui Odo ndi òalf'Otcfcgto, TTtedico eli ^Padova, e Dei
uiouumeutv antichi da fui «animati a ctonia, e di afcuui »ceitti
inediti def medesimo. rt A FILIPPO
SCHIASSI CAHOMCO MILLA CHIESA MAGGIORE DI BOLOCRA, E
PROFESSORE DI archeologia bella criverbitì. JL u non ignori
certamente , o amatissimo Schiassi, cum io faccia di le gran cubitale per
la somma erudi- zione archeologica che possedi , e per la forbitezza
dello scrivere latino , nella quale con pochi vai distinto ; e co-
me poi io non sia ad alcuno secondo nell'osservanza ed amore verso di te
per le doti singolari dell'animo tuo. In verità io ho sempre desiderato
mi fosse pòrta occa- sione di farti noto pubicamente questo mio volere ;
ma quella mi fallì maisempre, o, a meglio dire, non ebbi mai
ardimento di abbracciarla, parendomi da non do- versi indirizzare a te
cose che non fossero parlo d'in- gegni maturi, fra' quali per fermo non è
da riporsi il mio. Tuttavolta altre ragioni m'inducono ora a prendere
contrario divisamento . Il perchè, in arra di rispetto e di
Digìtized by Google — G
benivoglienza, ho deliberalo di spedirti questa Lettera in- torno a
Giovanni Dondi , e publicarla intitolata al tuo nome ; indotto anche da
ciò , che in essa circa V obelisco vaticano , della cui traslazione tu di
fresco con scienza e perizia ne hai scritto . ho io allegate alcune cose
, dalle quali appare essere ora per la prima volta manifesto come
il medesimo nel medio -evo sia stato atterrato , e non guari appresso di
bel nuovo ristabilito, non altri- menti come sono di comune consentimento
i più accre- ditati scrittori delle cose passale: de’ quali in
ispezialità qual sia il giudizio da tenersi tu puoi decidere. Io
in- tanto a te sottometto di tallo cuore e senza cerimonie la mia
opinione , qualunque ella siasi: ritieni poi , che con animo a tc per
intiero affezionatissimo mi dispongo a ciò fare. V enezia 5
Dicembre 1818. Digitized by Google
ms v>die Francesco Petrarca abbia scritto di
Giovanni Dondi suo amico non meno con verità die con ma-
gnificenza, essere egli stalo d'ingegno sì sublime e po- tente, che ito
sarebbe alle stelle, se rattenulo non lo aves- se lo studio della
Medicina 0),Jo capiranno coloro spe- cialmente, i quali siano a giorno
come il medesimo siasi reso distintamente celebre nelle scienze
medi- che, filosofiche ed astronomiche ; c, di più, conosca- no
come in altre discipline, a dir vero non comuni, fosse egli oltre l’
usato erudito. Fu peritissimo ancora in scienza morale, nella cognizione
dei monumenti antichi, e nel linguaggio delle Muse italiane : le
quali cose, come disse Celso in altra occasione, quantunque non
costituiscano il Medico, tuttavolta lo rendono più atto alla Medicina
(Lib. I.), e fanno sì che abbia a primeggiare fra i dotti del suo
tempo. Ed in vero, che non si possa lare un pieno uso della
Medicina nella maggior parte delle malatie del corpo, se quelle
dell’animo del pari non si curino, è chiaro di già abbastanza per
concorde dottrina degli antichi e recenti filosofi, suffragata dalla
sperienza. Intorno a ciò sono manifesti i sentimenti di Aristote-
le, d’ Ippocrate, di Galeno, e di altri ; come pur anco (1)
Lib. XVI. Lettera III. a Francesco Sancse.data in luce a Venezia nel
1501. Digitized by Google — 8 —
ne fanno chiara prova quelle cose che sopra lo slesso argomento ci
hanno lasciato in appresso uomini sa- pientissimi. Che poi da
un’accurata osservazione degli anti- chi monumenti, e dalla lettura delle
iscrizioni ne ven- gano singolari ajuti onde conoscere più
diffusamente l’ arte medica, ce lo dimostrano le Opere dei valenti
in quella, cioè di Girolamo Mercuriale intorno alla ginnastica, il quale
trattò anche del sito più salubre alla costruzione delle fabbriche e
circa gli strumenti chirurgici ; di Giannantonio Sicco e di Andrea
Baccio intorno ai bagni termali ; di Tomaso e Gasparo Bar- tolini
sopra l’ antico puerperio : ai quali libri se ne potrebbero facilmente
aggiungere altri di tal fetta, cioè di Pietro Bellonio, di Lorenzo
Gioberti, di Mar- siglio Cagnato, di Tomaso Reinesio, di Giovanni
Ro- dio, di Carlo Patino, di Carlo Sponio, di Daniele Gu- glielmo
Trillerò, di Carlo Federico Ilundertmarki, di Antonio Cocchi, e di altri
; cosicché niuno deve maravigliarsi del progetto di Tomaso Bartolini
nel comporre l’ Opera intitolata Antichità necessarie ad un Medico,
del cui apparecchio, in appresso incenerito dalle fiamme , lo stesso
autore ne diede breve com- pendio in una Dissertazione stampata in Hafnia
l’ an- no 1670 sopra l’incendio della biblioteca. Le
moltissime sue lodi, scritte in prosa ed in ver- so, ci fanno ampia
testimonianza che lo studio della poesia giova a meraviglia per fecondare
e ricreare l’ ingegno, per aggiungere fregio alla lingua ed allo
stile, e per fare acquisto di altre doti richieste ad un uomo di lettere
; nè vi sarà al certo chi ignori che i Digitized by
Google — 9 — Medici versati nella medesima n’
andrebbero stimati da più che gli altri, e si leggerebbero con più di
di- letto le Opere loro. Noi conosciamo ancora che gli stessi
scrittori dell’arte medica, distinti fra gli anti- chi, Ippocrate ed
Areteo, succhiarono da Omero il loro bello ; il primo de’ quali fu detto
da Eroziano uomo omerico quanto allo stile ( Glossar . Hippocr.
Praef. pag. 7, edit. Lips. 1780); e Trillerò fa vedere che al
secondo giovò d’ assai la lettura dello stesso autore ( Opuscula medico -
philologica, Tom. 1. pag. xxi): il che chiaro apparisce parimente di
Galeno e di altri. Ec- cellente si è la cura posta da Tomaso Bartolini
nel trattare che fece di questo argomento nella Disserta- zione
intorno ai Medici - poeti, publicata in Hafnia l’anno 1669; ed ora se ne
potrebbe formare un sog- getto con assai più di splendore. Sono poi da
tenersi in gran conto quelle cose che furono scritte da Giro- lamo
Fracastoro, uomo grande nell’ una e nell’ altra facoltà, a Girolamo
Amalteo, medico non meno che poeta celebre del suo tempo; cioè andare di
gran lunga errati coloro i quali avessero per niente la poesia, e
la stimassero cosa incompatibile colla Me- dicina: che anzi dichiara
apertamente con Andrea Navagerio, essere inetti a toccare il fondo di
ogni scienza, o a gustare appieno le bellezze di qualsiasi arte
meccanica, coloro i quali andassero privi e man- canti di vena poetica
(Fracast. Opera edita Corniti, an- no 1739, Tom. II. pag. 105-106). Dondi
per colti- vare l’ animo in questi studj, indotto dall’ esempio ed
intrinsichezza del Petrarca, il quale nei medesimi avea tocco l’ apogèo
della gloria, consegnò allo scritto Digitized by
Google 4 « — 10 — monumenti
non dubj di questo studio, commettendoli ai posteri ; ma quelli inediti,
ed appena conosciuti in un codice cartaceo di quella età, posseduto un
tempo dallo stesso autore, toccò per avventura a me solo di vederli
presso Roberto Papafava, figlio d’Albertino, fregiato della primaria
nobiltà fra i Padovani e Patri- zio Veneto, il quale mi onorava di
singolare cortesia; nel qual codice io stesso ho letti gli scritti
inediti del Dondi senz’ altro giudizio od altro ordine, da quello
in fuori con cui qui li riporto. Vi sono nel codice ‘28 Lettere
intorno a diversi argomenti, scritte dal Dondi a varie persone ; cioè :
1. Al Petrarca. Si protesta tornargli a grande vantaggio 1’
amicizia di lui, per arricchirsi a perfe- zione della morale filosofia ;
il che osserva essere as- sai conforme all’ insegnamento di Seneca nella
Let- tera <08 a Lucilio intorno al conversare co’ filosofi. Nel
dipartirmi da te (scrive egli) ne riporto ogni giorno frutti novelli , e
alla tua presenza mi si ricrea V animo d' insolita gioja. 2.
A Giovanni dall’Aquila fisico (Padova il di 1 9 Luglio 1374). Annunzia e
mostra allo cordoglio per la morte del Petrarca, d’ improviso avvenuta la
notte antecedente. « E morto un personaggio unico, a dir
vero, ed » ammirabile tra i pochi di ogni età; ma a’ nostri »
giorni il solo, a mio giudizio, che v’abbia su tutta » la terra, e da non
potersi trovare in qualsivoglia » parte di essa: uomo da essere ricordalo
e tenuto a » venerazione da tutti i secoli. Fatale disgrazia e la-
» grimevolc a tutto il genere umano, ma assai più Digitized
by Google — Il — » amara a buon diritto all’
Italia , della quale non » senza gran merito egli n’ era amante perduto,
e in » ogni circostanza partigiano caldissimo ; sopra tulli » per
altro a me e a te, ai quali era legato con nodo » strettissimo d’ amore e
di singolare benevolenza. » Mancò un uomo senza dubio grande, ottimo,
soavis- » simo, amantissimo di noi ; ma non per altro cessò » del
tutto, poiché anzi diede principio a vita miglio- » re, richiamato dall’
esiglio alla patria : se vero è » che gli offici di questa vita mortale,
la Religione di » continuo venerata e studiosamente coltivata,
l’opera » assidua agli sludj unicamente onesti e lodati, dieno «
fidanza di alcun premio nella vita a venire. » 3. Ad Antonio
Leniaco, uomo di singolare ingegno. 4. Ad Argentino (Arsendino)
da Forlì, e a Pa- ganino da Sala padovano, Dottori in legge.
5. A Guglielmo Ravenna, fisico. fi. 7. A Geminiano, fisico
del Marchese Cesa. f*. A Gasparo (Broaspina) di Verona.... c
Hai pòrto materia, nella quale mi ricordo di » essere stato titubante
aneli’ io, mentre scorreva la »> Lettera a Lucilio di quell’
eccellente e tutto nerbo » Anneo, maestro mio e tuo, e di tutti i buoni
amici » in generale. » A Gasparo, che lo dimandava di quelle cose
che Seneca scrisse nella settima Lettera a Luci- lio sopra gli spettacoli
dei Romani, gli dà spiegazio- ne abbastanza chiara, come portavano quei
tempi sì riguardo alla materia, come pur anco alle parole; vi
adoperò eziandio dell’arte critica a motivo delle scorrezioni del testo,
per colpa in gran parte della Digìtized by Google
'z — 12 — ignoranza degli
amanuensi, e dell*' audacia di coloro che vi posero mano alla
emendazione. 9. A Bartolomeo Mazio di Verona, fisico egregio.
10. A Francesco Petrarca (Padova il dì 14 Ot- tobre 1370. Una lunga
Lettera circa il metodo di vita da seguirsi dal Petrarca, la quale i
precettori del Se- minario di Padova avendo ricevuta da me, che la
trascrissi dal codice soprallegato, non dal Marciano, come porta
l’edizione, aggiuntane un’altra del Pe- trarca al Dondi, fu da loro data
alle stampe nel 1 808. 1 1 . A Lombardo Serico, cittadino
padovano. 1 2. Al frate Guglielmo da Cremona, teologo. Fa
vedere gl’ ingegni degli antichi di gran lunga supe- riori ai moderni sì
in fatto di lettere, come ne fa chiara testimonianza il Petrarca, non
meno che ri- guardo alle opere famose delle arti più belle, col-
l’esempio alle mani di un insigne scultore soprafatto di ammirazione alla
vista di monumenti antichi. 1 3. Ad Antonio Leniaco, cittadino
veronese. 14. A Giovanni Cremona, maestro nelle arti li-
berali. 15. Ad un suo intimo amico, uomo singolare ed
egregio. 16. A Bernardo Caselle, cittadino padovano. 1
7. A Guglielmo Aromatario. 18. 1 9. A Paganino da Sala, Dottore in
legge e uomo di milizia. Con queste si congratula della di- gnità
di Cavallicre conferita di fresco a Paganino; così per altro, che ne fa
di molto più stima dell’onore ottenuto dall’ alloro in Diritto civile,
dal quale egli traeva di già vantaggio e lode. Digitized
by Google — 13 — *20. A Nicolò Alessi,
Protonotario e Vice-Can- celliere del Signore di Padova. 21.
22. Ad Andreolo Arisio Cremonese. Biasima e si fa beffe della scarsezza
che v’ è nelle biblioteche di Francia dei libri specialmente di Filosofìa
morale, di cui era tenuto a giorno per lettere di Arisio cola
dimorante. 23. Al frate Guglielmo, Vescovo di Pavia.
24. Ad Albertino Salso, precettore di Fisica. 25. A Giacobino
Angarano di Vicenza. Data in luce in uno all’ Opera del Pondi intorno
alle Fonti calde nel Territorio padovano, al Maestro Giacomo
Vicentino, fra i Trattati di vari autori circa i Bagni, stampati a
Venezia Panno 1553, pag. 94. 2C. Ai Professori direttori di
Medicina e delle Arti nello Studio di Padova. Fa loro avere un
libro da lui composto, del quale dà contezza con queste parole: »
Ricevete un Trattatello che vi darà per » ispiegato P ordine oscuro di
Galeno nella distinzione » delle disposizioni dei corpi umani, il quale
ei ri* » strinse con brevità nel libro di Microtegno, asse- n gnandovene
le reali differenze fra quelle, tranne » poche che vollero accennare sin
qua di volo altri » espositori, ma in molte colle relative differenze.
» 27. Al maestro Guidoni (di Bagnolo) in Venezia, nomo
egregio, fornito di molto sapere e virtù. Pado» va, 20 Dicembre
1360. 28. A Pasquino Cappelli, cittadino cremonese.
Intorno a Pasquino, Cancelliere di Giovanni Ga- leazzo Visconti
Principe di Milano, ne fece parola Pietro Lazerio nelle Miscellanee
cavate dai libri ma- Digitized by Google
— li — noscrilti nel Collegio Romano dei Gesuiti, Tom. I.
pa- gina 1 03. Pasquino avea fatto richiesta delle Lettere scritte
dal Dondi a diversi ; e Dondi si argomenta a tutt’ uomo per dissuaderlo
che quelle Lettere non erano tali che meritassero a pezza le sue
dimande. Poscia scrive molle cose circa i rotti costumi degli
uomini del suo tempo, degne alla scorza di un va- lente filosofo.
Queste Lettere sono piene a ribocco di sentenze morali, siccome
quelle che furono composte da un au- tore che metteva ogni cura nel
leggere le Opere di Seneca, e ne avea anche dilucidate le di lui Lettere
a Lucilio, con annotazioni allegate circa alle medesime da
Gasparino Barzizio nel suo Commentario, da me veduto scritto a mano.
Di qual desiderio ardesse il Dondi di vedere mo- numenti antichi,
ne fa aperta testimonianza il viaggio di lui a Roma, ad unico oggetto di
venire in pieno conoscimento dell’antico e nuovo stato della città.
Del qual viaggio non rimane alcuna traccia dalla publica autorità confermata
; tuttavolta ho letto io stesso nel codice manoscritto, di cui feci
menzione di sopra, le annotazioni dello stesso Dondi intorno ai
principali monumenti dell’ antichità nel viaggio e nella dimora che
fece a Roma circa l’anno 1375, esaminati, credo io, da lui
appassionatamente ; delle quali annotazioni ei fa fede così dal principio
: « Ilo riportato queste » cose scritte in lettere quando fui reduce da
Roma. « Non è prezzo dell’opera il rescrivere qui le anno-
tazioni del Dondi, nelle quali v’hanno anche difetti di scritturazione,
potendosi avere alla mano scrittori Digitized by
Googte — 15 — famosi per molto sapere, i quali
ci hanno chiarito dei medesimi monumenti con mollo più «li accuratezza
e dovizia. Ci piace di riportare qui sotto la prima sol- tanto, la
quale versa circa l’ obelisco valicano, poi- ché mollo è stimala per
singolare novità, facendoci vedere un distico da nessuno, per quanto io
sappia, riportato, c del quale importa se ne faccia ricerca. Quella
poi suona così : In Roma La colonna Giulia a quattro
lati, che si eleva di costa a S. Pietro, ha di grossezza presso l’
estremità di mezzo, lunghesso ciascun lato, otto piedi all’ in-
circa ; di altezza poi, secondo un buon calcolo, ascen- de a 00 piedi,
ossia a dieci pertiche. Ma un prete ac- casalo lì vicino affermò che un
tale l’aveva misurata con uno strumento ad ombra , e la trovò di
brac- cia 45. Martino (0 nella Cronaca dice che la sua lun- ghezza
va a un dipresso a 120 piedi; ed Eutropio afferma la stessa cosa.
Svetonio poi dice eh’ è di pie- tra di Numidia. E vi sono poi ne’ suoi
due lati lettere incise di tal maniera: Divo Cnesari Divi
Julii F Augusto Ti Cacsari Divi Augusti F Augusto Sacrimi.
(1) Intorno alle antichità romane sogliono premettere alcune cose
più memorabili di Martino Polacco, Cronicista dei Pontefici e
degl’imperatori, specialmente nei codici ma- noscritti. Quelle poi che
trovansi aggiunte come tratte da Eutropio e da Svetonio, falsamente vengono
loro attribuite. Digìtized by Google —
ir» — Al di sopra della mela di questa colonna Giulia vi sono
scolpili questi due versi: Ingenio Buzeta tuo bis quinque
puellae Appositi s manibus itane erexere columnam. Plinio {Hi
storia Nat. Lib. XVI. Cap. XL., e Li- bro XXXVI. Cap. IX.), e Svetonio
(nella Vita di Claudio, Cap. XX.) dimostrano apertamente che l’in-
signe obelisco sia stalo trasportato dall’Egitto a Ro- ma per comando di
Cajo Caligola ; e in séguito, mes- sa a fondo da Claudio nella
costruzione del porto di Ostia la nave su cui era stato trasportato, la
più me- ravigliosa di quante mai si fossero vedute solcar ma- ri,
il medesimo sia stato collocalo nel circo di Ne- rone ; ned è da entrare
in forse che il medesimo, fre- giato di quella cospicua iscrizione ne’
due lati, non sia quello stesso che sempre fu tenuto per l’obelisco
vaticano. Di questo attestano tutti gli scrittori più accreditati, che
non sia mai stato mosso da dove per la prima volta fu inalzato, nè in alcun
tempo atter- rato, fino a tanto che, volendolo Sisto V. Pont.
Massi- mo, l’anno 1586 fu trasportato dal luogo, dove pri- ma era
posto, mediante un congegno di macchine ma- ravigliose di Domenico
Fontana del contado di Campo Novocomese, nella piazza di S. Pietro, dove al
giorno d’oggi si trova. Di tanto unanimemente ne stanno mallevadori
in particolar modo Angelo Decembrio, Poggio Fiorentino, Mafeo Vegio,
Francesco Alberiino, Pietro Angelio Bargeo, Onofrio Panvinio,
Bartolomeo Marliano, Filippo Pigafelta , Andrea Palladio, Ber-
nardo Gamuccio, Michele Mercato, Famiano Nardi- I
Digìtized by Google — 17 — nio, Kirhero,
Domenico Fontana , Giampietro Bello- rio, Carlo Fontana, Filippo Bonanno,
Angelo Maria Bandinio, Francesco Milizia, Cancellieri©, Winckel-
manno, Fea, Giorgio Zoega; l’ultimo dei quali, che ci diede un’ Opera
perfettissima sopra gli obelischi, impressa a Roma l’anno 1797, come a
nome di tutti gli altri scrisse di quello con facondia (pag. 612):
« Questo dei romani obelischi il solo superstite alle » rovine della
città, si tenne in piedi nel Circo vati- » cano fino a tanto che
l’architetto Domenico Fonta- » na, per comando di Sisto V. Pontefice
Massimo, lo » trasferì nella piazza di S. Pietro. » Quindi non è da
prestarsi credenza a Ciampinio, a Molineto, a Vitlo- rellio, a Ficoronio,
a Marangonio, a Guattanio, e a pochi altri, i quali affermarono che il
medesimo era di già abbattuto e steso al suolo allorché si fece la
sua traslocazione sotto il Pontefice Sisto V. nel 1 586. Tuttavia,
giudice e testimonio il Dondi, ora ci si para innanzi all’ impensata il
distico da tempo scol- pito sopra l’ obelisco, dal quale non fuori di
propo- sito n’ è lecito far congettura eh’ esso avesse incon- trata
cogli altri la stessa sorte, e poscia nel medesi- mo sito, dove dapprima
era posto, sia stato di bel nuovo inalzato ; ovvero, se non fu ritrovato
intiera- mente abbattuto e steso a terra, fosse almeno così
piegato, che il suo inalzamcnto si avesse a tenere in conto non
altrimenti che di fatto assai meraviglioso, e da tramandarsi con lode
alla memoria dei posteri per mezzo d’ un monumento cospicuo cesellalo a
Ro- ma ; al quale in séguito, come sarà a vedersi dalle cose che
qui sotto si diranno, se ne aggiunse un altro Digitized by
Google — 18 — di simile a Pisa. Per verità,
tostochè lesesi questo distico, ci ricorre alla memoria quel tetrastico
sopra quella grandissima mole di marmo, tradotta per mare ed
inalzata il secolo XI. dalle mani di dieci fanciulle, per il sommo
ingegno del chiarissimo architetto Bu- scheto; il quale tetrastico si
vede scolpito nel medesi- mo tempo sopra il di lui sepolcro, che
fronteggia il tempio maggiore di Pisa, e parla così : Quod
vix mille boum possent juga junctn movere , Et < fuod, vix poluil per
mare ferve ralis, Busketi iiisu, quod crat mirabile vini ,
Dena puellarum turba levabai onus. Del qual tetrastico,
siccome è noto, furono fatte tante e così scipite interpretazioni, che il
fatto delle dieci fanciulle si spacciò per una favola ; quasi che
quelle parole non si potessero applicare all’ inalza- mene della gran
mole, portato a termine per opera di Buscheto con tale perfezione, che
dieci donzelle colle sole loro mani sarebbero state da tanto a quel-
l’ impresa, e che a loro in certa guisa sembrasse do- versi attribuire la
grande erezione. Pare che P opi- nione popolare abbia condotto in errore
tutti coloro che di questo fatto hanno discorso per iscritto ; cioè
che il contenuto in quei quattro versi accennasse alle macchine costrutte
da Buscheto nella fabbrica del tempio pisano ; perchè il medesimo, ma in
altri versi, vi si leggeva in lode di Buscheto sulla facciata di
quel tempio, cominciato l’ anno 1 063, e condotto a fine nel volgere
dello stesso secolo. Per quanto poi si sa, nessuno avrebbe sospettato se
sia da intendersi lo stesso intorno al lavoro eseguito in Roma.
Digitized by Google — 19 — Se non
che quelli che giudicano imparzialmente de’ fatti, e sono di parere che P
obelisco nel medio- evo sia stato atterralo, e poco dopo novamente
inal- zato da Buschelo, sembra ciò possano fare senza tac- cia di
errore, se specialmente considerino che tutti quegli aggiunti,
rappresentati ab antico colle stesse parole intorno al trasporto dell’
obelisco sopra una nave d’ una meravigliosa grandezza, e la maniera
stessa adoperata nel suo secondo inalzamento, acqui- stano insieme
chiarezza e fede ; altrimenti non veggo quello che se ne possa dire di
vex*o e di ragionevole su questo fatto. Che P obelisco sia stato fermo in
pie- di almeno sino all’anno -1053 presso la Cappella della
Basilica Vaticana, nel qual luogo sino dal principio era stato posto , è
chiaro dalla Bolla di papa Leo- ne IX., per Li quale viene confermato il fondo
ai Ca- nonici della Basilica medesima, nel cui terzo lato (dis- se)
corre un'altra via dall'aguglia che si nomina Sepol- cro di Giulio Cesare
; colla qual denominazione sol- tanto apparisce sia stato in uso nel
medio-evo d’ indi- carsi questo monumento ( Collezione delle Bolle
della Basilica Vaticana di Roma, i 747, Tomo I. pag. 25). Dagli
anni succedenti a quel medesimo secolo fino al 1084 tennero dietro quei
lagrimevoli tempi, ne’ quali per la discordia di Enrico IV. e Gregorio
VII., che tra loro si combattevano, toccò a Roma di patire
moltissime calamità, nonché assedj, incendj, smantel- lamenti e
distruzioni di fabbriche anche in quella parte che si chiamava Città
Leonina, in cui stava l’obelisco: le quali cose tulle noi leggiamo testimo-
niate publicanienle da scrittori di quell’età, c di già
Digitized by Google — 20 — scritte da
storici accurati d’ Italia di tempo posterio- re nei loro divulgati
lavori, senza che mai ne accada per avventura di vedere da essi fatta
alcuna menzione dell’ obelisco ; onde sorge qualche probabilità,
che ad esso pure sia toccata in quel tempo la medesima disgrazia
d’essere rovesciato. Questo certamente cade ora in taglio di osservare,
che niuno di quelli de’quali abbiamo gli scritti circa le antichità di
Roma, o di quelli de’ quali abbiamo le collezioni da gran tempo
date in luce delle antiche iscrizioni, ha fatto mai cen- no del distico
intorno a Buscheto; non pure eccet- tuato lo stesso Petrarca, che
sappiamo aver egli stu- diosamente esaminato gli antichi monumenti, e
del- l’ obelisco aver fatto parola soltanto secondo la voce del
popolo ( Epislolae familiares , Lib. VI. Ep. XI. pa- gina 199, edit.
Genev. 1601). Noi pertanto andiamo debitori al Dondi, siccome a quello
che forse primo di tutti ci diede una giusta conoscenza del
tetrastico pisano, e la notizia della mole insigne ultimamente
alzata in Roma, la quale è di moltissimo vantaggio per far conoscere la
storia delle arti meccaniche del medio- evo in Italia : soggetto di un
voluminoso ed utilissimo scritto. Un silenzio così durevole
ed universale non può essere di certo a molti senza ammirazione ; ma
ove essi considerino che l’ obelisco di bel nuovo inalzato era
stato a cielo scoperto bersaglio delle ingiurie dei tempi per il giro di
quasi tre secoli avanti il Dondi, e che mostrava quel distico a lettere
sfuggevoli, seb- bene ab antico scolpite, difficili alla lettura per
la sconvenienza del sito, talché siasi preso Buzeta per
Digitized by Googl — 21 — Buscheto ; e
che finalmente nel secolo XV. le medesi- me erano del tutto scomparse,
non avranno più luogo sì fatte meraviglie. Senza dubio Angelo Decembri
o 11011’ Opera ripiena di scelta erudizione e poco cono- sciuta,
scritta circa la metà di quel tempo, intitolata hibri selle di polizia
letteraria , c data ai tipi in Augu- sta l’anno 1540 (pag. cui.) in
foglio, ce lo rappre- senta tanto ridotto a mal termine, che non dee
fare stupore sia esso sfuggito a’ curiosi indagatori degli an-
tichi monumenti, ed abbia indotto Guarino Veronese a parlare in tal
foggia: « Quel lato eh’ è posto a Mez- » zogiorno viene corroso ogni dì
più dai continui va- » pori dell’ Austro e dalle procelle ; e i geometri
e gM » architetti tutti del nostro tempo ne trovarono tanto » di
logoro, che ritengono sia scemato da imo a som- » mo quasi duecento
libre. » E il Cardinale Pietro Bembo nel Dialogo ad Ercole Strozio
intorno la zan- zara di Virgilio e le favole di Terenzio, impresso
la prima volta a Venezia l’ anno 1 530 con altre sue Ope- rette,
mette in bocca a Barbaro Ermolao questi delti : « Appena si può
descrivere a parole la grave colpa » che hanno i Romani per quell’
obelisco vaticano, » i quali, quasi invidiando che sopravivesse una
qual- » che opera alla nostra età, cui lunghezza di anni o » durata
di tempo non valesse a distruggere, adope- » rarono sì che fosse quasi
tolto alla publica vista per » mezzo di ammonticchiati rottami e murate
easu- » pole. » Ma che il Dondi si abbia procurato colle
osserva- zioni sulle romane antichità cognizioni per dare a buon
diritto lodi secondo le azioni, n’ è prova la Let- Digitized
by Google — 22 — lera diciottesima a Paganino
Sala, decoralo poco in- nanzi della dignità di Cavalliere : nella quale
difende che la scienza delle leggi è da tenersi in maggiore
estimazione che l’arte militare, scrivendo: « Che il » Senato e il popolo
romano avessero operato secondo » questo parere di Cicerone, lo attestano
alcune fac- » ciate, le quali sino al giorno d’ oggi si conservano
» nella città scolpite in marmo, alcune delle quali, *) nè m’ inganna la
mia memoria, ho lette io stesso, » dove vengono anteposti in ordine di
scrittura gli » uomini famosi in pace per consiglio a quelli che »
travagliarono nella guerra. A’ piedi della rupcTar- » péa si conserva uno
splendido arco trionfale di » marmo, che tiene inscritti due grandi
uomini, vale » a dire Lucio Settimio e Marco Aurelio, sopra cui «
dopo una lunga serie si offrono a lettera alcune » cose in proposito, le
quali, tienle a mente, sono » queste: Ob rem publicam restitulam
itnperiuinque » populi romani propagatimi insignibus virlutibus
eorum » domi forisque. Ecco preferirsi il publico interesse »
consolidato per senno alla conquista dell’imperio, » e i grandi in pace
a’ grandi in guerra, quantunque » senza dubio l’ una e l’ altra sia cosa
gloriosa. Così » il titolo di Dottore avuto per scienza in Diritto
ci- » vile, colla quale si amministrano bene in pace i » publici
affari, si giudica doversi anteporre al titolo » di Condoiliere
d'eserciti , colle armi de' quali si gover- ni nano le cose al di fuori.
» Posciachè il Dondi ebbe osservate le rovine della romana antichità,
nella Let- tera duodecima al frate Guglielmo da Cremona ne scriveva
in tal modo : « Quantunque poche ne sieno Digitized by
Google — 23 — » rimaste delle opere degli
antichi ingegni, pure se » alcune qua e là se ne conservano, vengono
ricerca- » te, esaminate, e tenute in gran pregio dagli appas- »
sionati in tal genere; e se vorrai mettere a para- » gone queste dei
giorni nostri con quelle, ti sarà » chiaro come gli autori di quelle
sieno stati più av- » vantaggiati dalla natura e dall’ ingegno, e più
dotti » nel magistero dell’arte. Parlo di edifizj antichi, di »
statue, di sculture, e d’altre cose di simil fatta, » alcune delle quali,
con diligenza osservate dagli ar- » telici di questa età, li fanno dare
nelle meraviglie.» Nella qual Lettera stessa, dopo di avere trattato
dif- fusamente sulla eccellenza degli antichi, aggiunse an- che le
seguenti cose, spettanti allo studio degli anti- clii monumenti : « Io
avrei credulo che tu ti avessi » occupato con piacere a leggere di quando
in quan- » do scritti di tale specie, o almeno alcuni dei prin- »
cipali tra essi, ed in quelli ne avessi considerato in >■ molte parti,
non senza stupore, i costumi e le azio- » ni dei tempi andati : perchè se
vorrai con giustizia » raffrontare quelli con questi che di presente
cono- » sciamo, sarai costretto a confessare che la giustizia, » il
valore, la temperanza e la prudenza hanno avuto » certamente un seggio
luminoso nei loro animi, e » dall’ impulso di quelle virtù si hanno
procacciato » alcun che di magnifico a gran lunga superiore alle »
più larghe mercedi. Del resto, prova di ciò sono » quelle cose che,
ordinate una volta per onorare » gloriose intraprese, durano ancora nella
città di » Roma. Conciossiachè sebbene molle e delle più pre- »
ziose ne abbia mandalo a male il tempo, e di alcune
Digitized by Google — 24 — » sieno
mostrate soltanto le rovine, che ci presen- ti tano alcune tracce di ciò
che per lo innanzi erano; » tuttavia quelle poche e a meraviglia stupende
che » ne restano, sono più che bastanti onde fare testi- » monianza
che coloro i quali le decretarono, non » poteano essere che dotati di
somma virtù, e che co- « loro a’ quali venivano dedicate ad eterna ed
onore- » vole ricordanza doveano avere operato gesta ma- » gnanime
e strepitose. Voglio dire statue che, fuse » in bronzo o scolpite in
marmo, durarono fino al » giorno d’ oggi ; e mollissimi pezzi sflagellati
a tor- li ra, ed archi trionfali di pietra di gran lavoro, e co- li
lonne storiate di memorabili imprese, ed altre cose » moltissime di tal
genere, messe alla vista di tutti » onde onorare personaggi illustri o
per avere sta- li bilita la pace, o scampata la patria da
sovrastante » pericolo, o disteso il dominio sulle vinte nazioni. »
E siccome mi sovviene eli’ io vi leggeva con molto » mio compiacimento,
così voglio sperare che tu pu- lì re, passandovi sopra qualche fiala, le
avrai con- » siderale, e fatto sovr’ esse alcun segno di meravi- »
glia, ed avrai detto per avventura teco stesso : Que- ll ste per fermo
sono prova d’ uomini grandi. » Resta che a fornire l’ elogio del
Dondi io lo di- mostri anche amante dello studio poetico, onde sia
manifesto com’ egli abbia occupato un luogo cospicuo fra i Medici del suo
tempo. Anche i meno esperti di tali cose sapranno che delle sue
composizioni italiane una sola ne fu data alle stampe, indirizzata al
Pe- trarca, la quale con altre dello stesso autore suolsi vedere
congiunta, e ne fu fatta memoria nel Diziona- Digitized by
Google — 25 — rio degli Academici Fiorentini
della Crusca. Ma nel codice manoscritto, di cui sul principio ho fatta
men- zione, se ne leggono quaranta del genere di quelle che con
vulgare vocabolo è invalso chiamare Sonet- ti. Queste trattano di varj
argomenti, e specialmen- te dell’ amore alla virtù, della malvagità dei
costumi del suo tempo , della lode e del biasimo di alcuni Principi
allora regnanti, di città vedute nel suo viag- gio per Roma, di risposte
ad amici; e di amorose as- sai poche, ben diversamente da quello che
portava il suo secolo. Le poesie volgari del Dondi furono
scritte a mes- ser Francesco Petrarca, e a quelli amatori delle Mu-
se che a lui erano legati in istrelta amicizia ; cioè a Gasparo
Broaspitia veronese, a Francesco Vanozzi, a Melchiore e Benedetto
parimente veronesi, a Bar- tolomeo Pace padovano, al frate Guglielmo da
Cre- mona, a Giovanni di Venezia suo condiscepolo, a Bartolomeo
Campo, e a Giacomo Castellione Aretino. Il Dondi visitando la tomba del
Petrarca in Arquà scrisse forse il primo di tutti su tale argomento una
composizione, imitato poscia da uomini dotti d’ogni nazione e d° ogni
tempo ; cosicché coll’ andare degli anni io ho raccolto versi in gran
copia sopra questo soggetto, i quali potrebbero uscire in luce con
gene- rale approvazione. La poesia usata dal Dondi non è sempre
sciolta e facile; tuttavia è fornita di gravità e di eleganza: gli
piaque di framischiare sovente versi latini ai volgari, come sappiamo su
IP esempio degli antichi poeti es- sersi usalo fare da alcuni moderai con
vano sforzo. Digitized by Google — 26
— Nella sua giovinezza atlendeva con piacere a verseg- giare,
come scrive a Guglielmo da Cremona: Già nella vaga elade de’
prim’anni Mi piaque udir e dir talvolta in rima, Benché
con grosso stile e rude lima : Poi che l’alma vestir di miglior
panni Mi piaque più, perch’io conobbi i danni Dei persi di,
lasciai la via di prima. Prendendo quel che piu prezzo si
stima Con maggior cura e studiosi affanni. I codici scritti a
penna assai di rado ci offrono versi del Dondi, ed io ne ho veduti se non
pochissimi in due soltanto: uno de’ quali trovasi nella Biblioteca
del Seminario di Padova, un tempo posseduto dal Facciolati ; l’ altro
squarcialo, e mal difeso dalle in- giurie dei tempi, fu da me rinvenuto
poco fa nell’ul- tima stanza della Basilica di S. Marco in Venezia,
e portato nella Biblioteca regia : il perchè non dee pa- rere fuori
di ragione eli’ io ponga qui appiedi di que- sta Lettera, come per
saggio, sei componimenti volgari di esso Dondi. Da tutto il
fin qui detto risulta, che presso i giu- sti estimatori degl’ingegni il
Dondi andò fornito di tanta e sì svariata dottrina, che v’ ha onde
tenerlo del tutto eccellente fra i pochi periti in Medicina del suo
secolo, e che perciò non ho gettato inutilmente il tem- po e la fatica
nel farlo riconoscere per tale. Venezia, il ‘20 Novembre
1818. Digitized by Google SONETTI
INEDITI DI MESSEK GIOVANNI DONDI
I. Se’l veder torto del vostro Giovanni Mira la region
terrestre ed ima. La gente ricercando in ogni clima,
Ebrei, Latini, Greci ed Alemanni, Regni comuni, e sudditi a’
tiranni ; Al mal son pronti, e per quel si sublima, Spenta è
virtù, e la fortuna opima Col vizio sta su gloriosi scanni. Ito
è il tempo che fu col buon Augusto, Rari son quei che per virtù
guadagna; Astuzia e frodo regna con bugia. A cui dunque direm
del calle angusto, Per qual si va con la virtù compagna?
Degno è del mal così lagnarsi pria. Digitized by Google
' > — 28 — II.
Oli puzza abbominabil di costumi! Oli maledetti dì di
nostra etade! Oli gente umana senza umanitade! Più che
senza splendor oscuri fumi! Convien che ’l mondo in breve si
consumi. Poiché giustizia ed innocenza cade; E sol quell’arte
e studio par che aggrade. Per qual l’un l’altro offenda, inganni e
schiumi. Qual’ cieli infortunati, qual’ figure. Qual’
mimiche stelle o gravi segni In ogni nostro ben or s’è disperso?
Quanto beate fur più le nature Nell’imperio d’ Augusto,
quando ingegni, Virtute e pace ebbe l’Universo!
III. Cantra insolenliam Fenetorum inferentium
guarani Amino Paduae. Se la gran Babilonia fu superba,
Troja, Cartago, e la mirabil Roma, Che ancor si vede, e
quell’ altre si noma. Ma dove sletler pria stan selve ed erba;
Digitized by Google — 29 — E se
altra possa fu mai tanto acerba A metter sopra altrui gravosa soma.
Tutte san già quant’ogni orgoglio doma Al fin colei clic a sè vendetta
serba. Però qualunque è maggior signoria Dovrebbe rifrenar
con più misura Fraterna di giustizia sua potenza; Di aver con
suoi minor consorte pia. Non arrogante, ingiuriosa e dura,
E temer sopra sè dal Ciel sentenza. IV.
Cum visitasset sejiulchrum Domini Fraudici PelrarcUae in A
rquada. Ilei sommo cielo con eterna vita Gode P alma
felice tua, Petrarca ; Quindi di sodo sasso in nobil’ arca La
terrena caduca parte uscita. La fama del tuo nome già gradita
Sonando va con gloriosa barca, Di vera lode e d’ogni pregio carca,
Per l’Universo in ogni canto udita. Nelle scritte sentenze tue si
vede La gentilezza dell’ingegno divo, E qual sii stato in
cattolica fede. Digitized by Google — 30
— Forò chi anco t’ama non è privo Ancor di te; c chi
morto li crede Erra, ch’or vivi e sempre sarai vivo.
Y. Joannes ile Domiti socio et eoiuliscipulo tuo Joanni
de Fenetiis studenti in Medicina, qui tcripseral eidem quondam
tmlgares rhythmos. Le tue parole mi par belle tanto,
E sì bene ordinate tutte quante. Qual se dette le avesse o
Guido o Dante, Ovvero esaminate in ogni canto. Però quando
fra me mi penso alquanto, Parmi che tu non sei molto distante Da
color che tu imiti, buon rimante, E che han vestito di quell’arte
il manto. Ond’io ti prego che scrivi talvolta, Sì che
svegli il mio piccol ingegno, Per te sottratto dalla turba
stolta. Onor ti renderò, che sei ben degno. Più che’l
fanciul al maestro ch’ascolta. Guardando a te col balestriere <0 al
segno. (t) Così il codice. Digitized by
Google — 31 — ' • +
VI. Dica contra chi vuol: il saper vale Più che
il folle ardimento, cd ogni schiera Produrrà a torto quantunque sua
fiera: Per ragion giusta, dee terminar male. E chi per van
conforto d’altrui sale Oltra quel che convien a sua maniera. Degno
è che non governi ben bandiera, Nè ben cavalchi alcun sotto sue
ale. Adunque imprenda pria quei che non sanno, E non ardisca
saltar di leggieri ; Contra s’alza a baldezza di vesciche.
Chè chi è corrente ha più volle le fiche, E scaccomato in mezzo il
tavolieri, Sì ch’ei riporta la vergogna e ’l danno.
^ . .tK*rCP Dìgitized by Google
odiatene di »oti 3oo esemplati. • .. i
-> Digitized by Google BUSCHETO di Isa Belli Barsali
- Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972) Condividi
Pubblicità BUSCHETO (Busketus, Buschetto, Boschetto). - Si
ignorano l'origine e gli estremi biografici di questo architetto attivo a Pisa
tra il terzo venticinquennio del sec. XI e i primi del XII. Compare in due soli
documenti certi, del 2 dic. 1104e del 2apr. 1110 (pubblicati dal Pecchiai), e
come operarius di S. Maria. Fu l'ideatore del progetto della cattedrale pisana
e come tale infatti è ricordato ed esaltato, nel paragone con Ulisse e con
Dedalo, nell'iscrizione che si legge sulla sua tomba collocata nella prima
arcata a sinistra della attuale facciata (trasferitavi da quella primitiva):
"Non habet exemplum niveo de marmore templum. / Quod fit Busketi prorsus
ab ingenio". Una più tarda iscrizione elogiativa aggiunta sul sarcofago in
occasione del trasferimento della tomba dalla vecchia alla nuova facciata (al
tempo cioè dell'architetto di quest'ultima, Rainaldo) esalta del B. soprattutto
le capacità tecniche: "Quod vix mille boum possent iuga iuncta movere / Et
quod vix potuit per mare ferre ratis / Busketi nisu quod erat mirabile visu /
Dena puellarum turba levabat onus". Accenti assai simili aveva un'epigrafe
romana, ora scomparsa, trascritta da G. Dondi (1375), che celebrava un
"Buzeta" per aver nuovamente eretto l'obelisco nel circo neroniano:
"Ingenio Buzeta tuo bis quinque puellae / appositis manibus hanc erexere
columnam". Questa somiglianza di tono nelle due epigrafi, pisana e romana,
indusse il Morelli a proporre l'identificazione di "Buzeta" con
Buscheto. Non risulta certo che sia da identificare con il B. che compare
nel 1076 e 1078 in due atti della canonica del duomo di Pistoia (L. Chiappelli,
Storia di Pistoia..., Pistoia 1932, p. 159). Per altre ipotesi (B. del fu
Giovanni giudice dei signori di Ripafratta, Monini, pp. 10-14), basate su
documenti presunti (10 febbr. 1100 e 1105) o per documenti (Pecchiai, p. 20)
poinon rintracciati (13febbr. 1104 e 18 luglio 1105), si veda Scalia (pp. 514
s.). ADVERTISING I lavori della cattedrale pisana, iniziati nel 1063 al
tempo del vescovo Guido da Pavia, proseguirono, sostenuti da donazioni, tra cui
quelle di Enrico IV e della contessa Matilde, per tutto il secolo XI e i primi
decenni del secolo seguente. Papa Gelasio II nel 1118 consacrava la cattedrale,
forse non ancora del tutto compiuta. Dopo questa data, l'edificio venne
ampliato con il prolungamento a ovest del corpo longitudinale della chiesa, di
circa quindici metri, che portò di conseguenza alla costruzione dell'attuale
facciata (per il Sanpaolesi nel secondo quarto del sec. XII. Per le fondazioni
della prima facciata si veda Bacci, 1917). L'individuazione, ovviamente
fondamentale, dell'attività di B. nella parte più antica del duomo, ha avuto un
lungo iter critico. Alla luce degli studi recenti è da credere che il B. progettasse
e iniziasse la costruzione in età ancor giovane, proseguendone poi la fabbrica
fino al primo decennio del sec. XII. Molte ipotesi sono state avanzate
sui tempi e i modi della fabbrica del duomo durante la direzione di Buscheto
(Dehio-von Bezold; Salmi, 1938;Sanpaolesi). Una documentazione indiretta aiuta
solo parzialmente. Accettando l'ipotesi del Burger (1953), che l'epigrafe con
data 1085 murata sulla porta della pieve nuova di S. Maria del Giudice (Lucca)
vada riferita al completamento dell'abside di questa chiesa - anteriore
stilisticamente alla sua facciata - il1085verrebbe ad essere anno ante quem per
il completamento di una parte dei lavori al duomo pisano attribuibili a B.,
dato il rapporto esistente tra il duomo di Pisa e l'abside della pieve nuova di
S. Maria del Giudice: la chiesa del contado lucchese sarebbe anche il più
antico edificio derivato dalla cattedrale pisana. I forti pilastri
interni all'incrocio del transetto delineano le dimensioni della cupola e
autorizzano a ritenere che B. progettasse anche questa parte (Sanpaolesi),
anche se poi è possibile che i lavori si protraessero. La cupola originaria -
poggiante su un tamburo con monofore ad archetto e su trombe coniche venute in
luce durante i restauri del secondo dopoguerra - indica rapporti con
l'architettura del Mediterraneo orientale e della Sicilia. Un problema
aperto è quello della forma della facciata di B., forse già compiuta nel 1118
quando fu consacrata la chiesa, certo già esistente quando nella chiesa fu
tenuto un concilio nel 1136, e disfatta probabilmente dopo la costruzione della
nuova. Ipotesi ricostruttive possono trovare appoggio nell'esame analitico e
comparativo di alcune facciate di chiese pisane (S. Frediano di Pisa, la pieve
di Calci già aperta al culto nel 1111, la pieve di Vicopisano) e lucchesi (le
due pievi di S. Maria del Giudice), tutte in contatto con la cattedrale pisana.
Queste facciate mostrano una ricorrente tipologia ad archi ciechi su due
ordini, che si presenta in logico e armonioso rapporto con quella soluzione ad
archi ciechi che compare nei fianchi del duomo di Pisa. Il linguaggio di
B. non è certo riconducibile ad una tradizione locale, ed è estremamente colto.
Accettando l'ipotesi di identificazione con il "Buzeta" dell'iscrizione
romana, il soggiorno a Roma illuminerebbe sul sottofondo classico della sua
cultura: l'impianto dell'edificio e i grandi colonnati basilicali, i capitelli
foggiati ad imitazione dell'antico, la quasi completa assenza di decorazioni
figurate rivelano infatti la conoscenza e lo studio delle opere romane; è
significativo che anche il neoclassico Milizia ne notasse "le proporzioni
del tutto non... spregevoli" e la "sodezza". Nello stesso tempo
B. è a conoscenza dell'architettura lombarda e dell'architettura orientale, dalla
bizantina all'araba. Contatti e rapporti culturali sono d'altronde superati in
una unitaria visione di grande respiro, che fa di B. uno dei massimi architetti
dei secoli XI e XII. La cattedrale pisana è capostipite del romanico
pisano. All'opera di B. e del suo continuatore Rainaldo si rifece non solo la
generazione a loro più vicina, ma una folta scuola, estesasi nella Lucchesia,
nel territorio fiorentino, e nelle zone politicamente o commercialmente in
rapporto con Pisa (in Sardegna e in Puglia), scuola che ne mantenne alcuni
tratti essenziali, pur modificandosi nel tempo e nei diversi centri.
Fonti e Bibl.: B. Maragone, Annales pisani, in Rerum Italic. Script., 2 ediz.,
VI, 2, a cura di M. Lupo Gentile, pp. 1 ss.; R. Sardo, Cronaca pisana, a cura
di O. Banti, Roma 1963, pp. 7 ss.; G. Dondi, Iter romanum (1375), in Codice
topografico della città di Roma, a cura di R. Valentini-G. Zucchetti, IV, Roma
1953, p. 68; F. Milizia, Mem. degli architetti antichi e moderni, Parma 1781,
p. 112; A. Da Morrona, Pisa illustrata, Pisa 1812, pp. 119, 147, 148, 175, 362;
I. Morelli, Operette, II, Venezia 1820, pp. 285 ss.; R. Grassi, Descriz.
Stor.-artistica di Pisa, Pisa 1836, Parte storica, p. 124; Parte artistica, pp.
22 ss.; G. Rohault de Fleury, Les monuments de Pise au Moyen Age, Paris 1866,
pp. 48 ss.; G. B. De Rossi, Inscriptiones christianae Urbis Romae, I, Romae
1880, p. 330; G. Dehio-G. von Bezold, Die kirchliche Baukunst des Abendlandes,
I, Stuttgart 1884, pp. 230 ss.; S. Monini, B. pisano, Pisa 1890; P. Schubring,
Pisa, Leipzig 1902, pp. 17, 34, 44, 74; A. Venturi, Storia dell'arte italiana,
III, Milano 1903, pp. 835 ss.; J. B. Supino, Arte pisana, Firenze 1904, pp. 4,
20-22, 32, 37, 44; P. Pecchiai, L'opera della Primaziale pisana, Pisa 1906, pp.
20 ss.; R. Papini, Pisa, I, Roma 1912, p. 4; Id., La costr. del duomo di Pisa,
in L'Arte,XV (1912), pp. 344 ss.; P. Bacci, Le fondaz. della facciata del sec.
XI nel duomo di Pisa, in Il Marzocco, XXII (1917), n. 35; P. Tronci, Il duomo
di Pisa, a cura di P. Bacci, Pisa 1922; M. Hauttmann, Die Kunst des frühen
Mittelalters,Berlin 1924, pp. 83, 84, 714; M. Salmi, L'architettura romanica in
Toscana, Milano-Roma s.d. (ma 1927), pp. 11, 12, 14, 15, 16, 17, 24, 40 n. 26;
P. Toesca, Il Medioevo, I, Torino 1927, pp. 467, 548 ss., 660 n. 39, 1127; S.
Guyer, Der Dom zu Pisa und das Rätsel seiner Entstehung, in Münchner Jahrbuch
der bildenden Kunst, IX (1932), pp. 351 ss.; M. Salmi, La genesi del duomo di
Pisa, in Boll. d'arte, s. 3, XXXII (1938), pp. 150 ss.; H. Thümmler, Die Baukunst
des XI. Jh.s in Italien, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, III (1939),
pp. 183-188; C. L. Ragghianti, Architettura lucchese e architettura pisana, in
Critica d'arte, s. 3, VIII (1949), n. 2, pp. 168 ss.; S. Burger, L'architettura
romanica in Lucchesia e i suoi rapporti con Pisa, in Atti del Seminario di
storia dell'arte, Pisa-Viareggio 1953, pp. 126 ss.; P. Sanpaolesi, La facciata
della cattedrale di Pisa, in Riv. dell'Ist. d'archeol. e storia dell'arte,
V-VI(1956-57), pp. 254 ss. e passim;Id., Ilrestauro delle strutture della
cupola della cattedrale di Pisa,in Boll. d'arte, s. 4, XLIV 1959), pp. 100-230;
S. Burger, Osservazioni sulla storia della costruzione del duomo di Pisa, in
Critica d'arte,VIII (1961), pp. 28 ss.; R. Barsotti, B. e Rainaldo, in
Cattedrale di Pisa. 1063-1963 (catal. della mostra), Pisa 1963, pp. 12-14; R.
Delogu, Pistoia e la Sardegna nell'architettura romanica, in I
Convegnointernaz. di storia e arte,Pistoia 1964, pp. 86 ss.; G. Scalia, Ancora
intorno all'epigrafe sulla fondazione del duomo pisano, in A G. Ermini, Spoleto
1970, pp. 483 ss.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 289, s.v.
Busketus. Wikipedia Ricerca Circo di Nerone Circo scomparso della Roma
antica Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce o sezione
sull'argomento siti archeologici d'Italia non cita le fonti necessarie o quelle
presenti sono insufficienti. Circo di Nerone (o Vaticano) Sito archeologico
Roma Nero Circus.jpg Ricostruzione del Circo di Nerone in un disegno di Pietro
Santi Bartoli Civiltà Civiltà
romana Utilizzo Circo
Localizzazione Stato Città
del Vaticano Mappa di localizzazione Wikimedia | © OpenStreetMap Il circo
di Nerone era un impianto per spettacoli dell'antica Roma lungo 540 metri e
largo circa 100, che sorgeva nel luogo dove oggi si trova la basilica di San
Pietro in Vaticano, in una valle che correva da dove si trova la parte sinistra
della basilica fino quasi ad arrivare al Tevere. L'area dei Carceres, da dove
partivano le bighe, era situata nel punto dal quale la Via del Sant'Uffizio
lascia piazza Pio XI, mentre quella del lato curvo va rintracciata qualche
decina di metri dopo l'abside della basilica di San Pietro. Storia Modifica
L'opera, iniziata da Caligola e completata da Nerone, era stata costruita
all'interno della villa di Agrippina Maggiore, villa che alla morte della madre
di Caligola passò in eredità a Nerone. Nel circo privato dell'imperatore
si tenevano corse di cavalli, bighe e quadrighe, molto popolari a Roma, tanto
che in alcune occasioni l'imperatore, che normalmente vi assisteva solo con la
sua corte, fece aprire le porte del circo al popolo romano. È probabile che
l'impianto non dovesse contenere più di 20.000 spettatori. Qui ebbero
luogo, forse per la vicinanza all'adiacente necropoli, alcune esecuzioni dei
cristiani giudicati colpevoli di aver causato il grande incendio di Roma.
Nerone, secondo Tacito, aggiunse lo scherno al supplizio. Come avvolgere gli
uomini con pelli di animali perché fossero dilaniate dai cani, o inchiodarli
alle croci, o destinarli al rogo come fiaccole, che illuminassero l'oscurità al
termine del giorno. Nerone aveva offerto i suoi giardini per lo spettacolo, e
vi aveva organizzato giochi circensi, mescolandosi alla folla in abito d'auriga
o guidando un carro da corsa. In tal modo si aveva pietà di quei condannati,
benché colpevoli e meritevoli del supplizio, perché venivano sacrificati non
per l'utilità pubblica ma per la crudeltà di uno solo.[1] Il circo fu
abbandonato già verso la metà del II secolo d.C. e l'area fu suddivisa e
assegnata in concessione ai privati per la costruzione di tombe appartenenti
alla necropoli. Tuttavia pare che fino al 1450 ne sopravvivessero ancora molti
resti, distrutti con la costruzione della nuova basilica vaticana.
L'obelisco, che era posto al centro della spina del circo, era stato per volere
di Caligola trasportato fin qui da Eliopoli, dove si trovava nel Forum Iulii.
Qui rimase fino a che nel 1586 papa Sisto V lo fece spostare al centro di
Piazza San Pietro. L'area dove sorgeva anticamente il Circo di
Nerone. Note Modifica
^ Publio Cornelio Tacito, ''Annales, XV, 44. Voci correlate Modifica Basilica di San Pietro in
Vaticano Via Cornelia Altri progetti Modifica
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su circo di Nerone Controllo di autorità VIAF
( EN ) 312597053 Portale Antica Roma Portale
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PAGINE CORRELATE Necropoli vaticana Ager Vaticanus Via Cornelia Strada romana
antica Wikipedia Il contenutoGrice: “I thought it was a good idea of the
Anglo-Normans to retain the Anglo-Saxon idea of ‘time’ (as stretch – a rather
English root – cf. German ‘zeit,’ our ‘tide’ --, and borrow from Latin,
‘tempus’, which gives us ‘temporary’, as I use in my ‘Personal Identity,’but
also ‘tense’ – This tense is better than by vice/vyse, since vice and vyse are
both cognate with violence. But tense and tense are not. One is cognate with
Latin tension. The other is just a mispronounciation of Fremch ‘temps,’
Latin/Roman ‘tempus’ – So as Cicero would have it, it’s ‘tempus’ we should care
about!” -- Giovanni Dondi dall’Orologio. Giovanni De Dondi. Dondi. Keywords: l’astrarium,
Leibniz’s Law, time-relative identity, total temporary state (Grice: “I’m
thinking of Hitler”); Wiggins, Myro, The Grice-Myro Theory of Identity,
sameness and substance, Mellor, filosofia del tempo, Prior, Creswell, Mellor –
logica cronologica, ‘tense logic’ ‘tense implicature’ -- “iter romanorum”. Refs:
Luigi Speranza, “Grice e Dondi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691596318/in/photolist-2mQzBiv-2mKAsyK-2mKNWFh
Grice e
Dorfles – implicatura del kitsch – filosofia Italian – Luigi Speranza (Trieste).
Filosofo. Grice: “Must say my favourite Dorfles is his ‘artificio e natura,’ on
the doryphoros!”. Nato a Trieste nell'allora Austria-Ungheria da padre
goriziano di origine ebraica e madre genovese, si laurea a Trieste. Si dedica
allo studio della pittura, dell'estetica e in generale delle arti. La conoscenza
dell'antroposofia di Steiner, acquisita grazie alla partecipazione a un ciclo
di conferenze a Dornach, orienta la sua arte pittorica verso il misticismo, denotando
una vicinanza più ai temi dominanti dell'area mitteleuropea che a quelli propri
della pittura italiana coeva. Isegna a Milano, Cagliari e Trieste. Fonda il
Movimento per l’Arte Concreta (vs. arte astratta). del quale contribuì a
precisare le posizioni attraverso una prolifica produzione di articoli, saggi e
manifesti artistici. Prende parte a numerose mostre in Italia e all'estero:
espone i suoi dipinti alla Libreria Salto di Milano e in numerose collettive, tra
le quali la mostra alla Galleria Bompiani di Milano, l'esposizione itinerante, e
la grande mostra "Esperimenti di sintesi delle arti", svoltasi nella
Galleria del Fiore di Milano. Risulta componente di una sezione italiana
del gruppo ESPACE. Diede il suo contributo alla realizzazione dell'Associazione
per il Disegno Industriale. Si dedica quindi in maniera pressoché esclusiva
all'attività critica. Con la personale presso lo Studio Marconi di Milano,
torna a rendere pubblica la propria produzione pittorica. L'arte non prescinde
dal tempo per esprimere semplicemente lo spirito della Storia universale, bensì
è connessa al ruolo delle mode e a tutti gli ambiti del gusto. Considerevole è
stato il suo contributo allo sviluppo dell'estetica italiana, a partire dal
Discorso tecnico delle arti, cui hanno fatto seguito tra gli altri Il divenire
delle arti e Nuovi riti, nuovi miti. Nelle sue indagini critiche sull'arte
contemporanea si è sovente soffermato ad analizzare l'aspetto
socio-antropologico del fenomeno estetico e culturale, facendo ricorso anche agli
strumenti della linguistica. È autore di numerose monografie su artisti di
varie epoche (Bosch, Dürer, Feininger, Wols, Scialoja). Pubblicato due volumi
dedicati all'architettura (Barocco nell'architettura moderna, L'architettura
moderna) e un famoso saggio sul disegno industriale (Il disegno industriale e
la sua estetica). è il primo a vedere tendenze barocche nell'arte moderna
(il concetto di neobarocco sarà poi concettualizzato da Calabrese) riferendole
all'architettura moderna in: Barocco nell'architettura moderna. Contribuisce al
Manifesto dell'antilibro, presentato ad Acquasanta, in cui esprime la valenza
artistica e comunicativa dell'editoria di qualità e il ruolo del lettore come
artista. A Genova si occupa anche del lavoro di Costa. Partecipa alla
presentazione del libro Materia Immateriale, biografia di Costa, Miriam
Cristaldi, di cui Dorfles ha scritto la prefazione. L'editore Castelvecchi ha
pubblicato Horror Pleni. La (in)civiltà del rumore, in cui analizza come la scoria
massmediatica ha soppiantato le attività culturali; Conformisti e Fatti e
Fattoidi. Pubblica un inedito d'eccezione, “Arte e comunicazione”, in cui mette
la teoria alla prova con alcune applicazioni concrete particolarmente rilevanti
e problematiche come il cinema, la fotografia, l'architettura. è uscito
Irritazioni: un'analisi del costume contemporaneo, uscito nella collana Le navi
dell'editore Castelvecchi. Con la sua ironia ha raccolto le prove della sua
inconciliabilità con i tempi che corrono. Nel saggio c'è una critica sarcastica
e corrosiva all'attuale iperconsumismo. NComunicarte Edizioni, pubblica 99+1
risposte di Dorfles nella collana Carte Comuni. Un'intervista "lunga un
secolo" con la quale il critico ripercorre la sua vita e alcuni incontri
d'eccezione: da ISvevo a Warhol, da Castelli a Fini. La Triennale di
Milano ospita la mostra "Vitriol, disegni" Aldo Colonetti e Luigi
Sansone; V. I. T. R. I. O. L. è un
simbolo alchemico, acronimo del motto rosa-crociano “Visita Interiora Terrae
Rectificando Invenies Occultum Lapidem”. Assieme ad artisti e autori come
Anceschi, Enrico Baj, Marchesi, Mulas e Niccolai, partecipa al numero
quattordici di BAU.. Muor e a Milano, nella sua casa di piazzale
Lavater. Zio di Piero Dorfles, critico letterario della trasmissione televisiva
Per un pugno di libri (il padre di Piero, Giorgio, era fratello di
Gillo). Tra i riconoscimenti ricevuti: Compasso d'oro dell'Associazione
per il Design Industriale, Medaglia d'oro della Triennale, Premio della critica
internazionale di Girona, Franklin J. Matchette Prize for Aesthetics. È stato
insignito dell'Ambrogino d'oro dalla città di Milano, del Grifo d'Oro di Genova
e del San Giusto d'Oro di Trieste. È stato Accademico onorario di Brera e
Albertina di Torino, membro dell'Accademia del Disegno di Città del Messico,
Fellow della World Academy of Art and Science, dottore honoris causa del
Politecnico di Milano e dell'Università Autonoma di Città del Messico. Palermo
gli conferì la laurea honoris causa in Architettura. Ricevette dall'Cagliari la
laurea honoris causa in Lingue moderne. Onorificenze Cavaliere di gran
croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana nastrino per uniforme
ordinariaCavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica
italiana, Di iniziativa del Presidente della Repubblica» Medaglia d'oro ai
benemeriti della cultura e dell'arte nastrino per uniforme ordinaria Medaglia
d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte. Altre opere: “Barocco
nell'architettura moderna” (Studi monografici d'architettura, Libreria Editrice
Politecnica Tamburini, illustrazioni); “Discorso tecnico delle arti, Collana
Saggi di varia umanità, Pisa, Nistri-Lischi,Il pensiero dell'arte, Milano,
Marinotti); “L'architettura moderna, Collana serie sapere tutto, Milano,
Garzanti); “Le oscillazioni del gusto e l'arte moderna” (Forma e vita, Milano,
Lerici); “Il divenire delle arti, Collana Saggi, Torino, Einaudi, ed.
accresciuta, Torino, Einaudi; Collana Reprints Einaudi, Bompiani); “Ultime
tendenze nell'arte”, Collana UEF, Milano, Feltrinelli); XXVII ed., UEF, Milano,
Feltrinelli); “Simbolo, comunicazione, consume” (Torino, Einaudi, Il disegno
industriale e la sua estetica, Bologna, Cappelli, Kitsch e cultura, in Aut Aut,
Nuovi riti, nuovi miti” (Torino, Einaudi, Milano, Skira, L'estetica del mito
(da Vico a Wittgenstein), Milano, Mursia, Kitsch: antologia del cattivo gusto,
Milano, Gabriele Mazzotta Editore); “Artificio e natura” (Torino, Einaudi); Milano,
Skira, Le oscillazioni del gusto. L'arte d'oggi tra tecnocrazia e consumismo, Torino,
Einaudi, Milano, Skira, “Senso e insensatezza nell'arte d'oggi, ellegi
edizioni, L'architettura moderna. Le origini dell'architettura contemporanea; I
quattro grandi: Wright, Le Corbusier, Gropius, Mies van der Rohe); Dall'espressionismo
all'organicismo razionalizzato, dall'ornamented modern al brutalismo, ai più
avveniristici tentativi attuali, I Garzanti, Milano, Garzanti, Dal significato
alle scelte, Torino, Einaudi, Massimo Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi,
Il divenire della critica, Collana Saggi, Torino, Einaudi); “Le buone maniere,
Milano, Mondadori, Mode & Modi, Collana Antologie e saggi, Milano,
Mazzotta, II ed. riveduta, Mazzotta, Introduzione al disegno industriale.
Linguaggio e storia della produzione di serie” (Torino, Einaudi, L'intervallo
perduto, Collana Saggi, Torino, Einaudi, Milano, Skira, I fatti loro. Dal
costume alle arti e viceversa, Milano, Feltrinelli, Architettura ambigue. Dal
Neobarocco al Postmoderno, Bari, Dedalo, La moda della moda, Collana I
turbamenti dell'arte, Genova, Edizioni Costa & Nolan, La (nuova) moda della
moda), Costa & Nolan, Elogio della disarmonia: arte e vita tra logico e
mitico” (Milano, Garzanti, Milano, Skira, Itinerario estetico, Milano, Studio
Tesi, Itinerario estetico. Simbolo mito metafora, Luca Cesari, Bologna,
Editrice Compositori); “Il feticcio quotidiano” (Milano, Feltrinelli, Massimo
Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi, Intervista come auto-presentazione,
con VII tavole di Giulio Paolini, Collana Scritti dall'arte, Tema Celeste
Edizioni, Preferenze critiche. Uno sguardo sull'arte visiva contemporanea, Bari,
Dedalo, Design: percorsi e trascorsi” (Design e comunicazione, Bologna, Lupetti,
Fulvio Carmagnola, Lupetti, Conformisti, Roma, Donzelli, Fatti e fattoidi. Gli
pseudo-eventi nell'arte e nella società, Vicenza, Neri Pozza, Massimo Carboni,
Roma, Castelvecchi, Irritazioni. Un'analisi del costume contemporaneo, Collana
Attraverso lo specchio, Luni, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi, Scritti di
Architettura, L. Tedeschi, Milano, Mendrisio Academy Press, Flavia Puppo,
Dorfles e dintorni, Milano, Archinto, Lacerti della memoria. Taccuini intermittenti,
Bologna, Editrice Compositori, L'artista e il fotografo, Verso l'Arte, Conformisti.
La morte dell'autenticità, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi, Horror Pleni.
La (in)civiltà del rumore, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi); “Arte e
comunicazione: comunicazione e struttura nell'analisi di alcuni linguaggi
artistici” (Milano, Mondadori Education, Inviato alla Biennale, A. De Simone,
Milano, Scheiwiller, 99+1 risposte, Lorenzo Michelli, Trieste, Comunicarte Edizioni,
Movimento Arte Concreta, Luigi Sansone e N. Ossanna Cavadini, Milano, Mazzotta,
Poesie, Campanotto Editore, L'ascensore senza specchio, Quaderni di prosa e di
invenzione, Milano, Edizioni Henry Beyle, Kitsch: oggi il kitsch, Aldo
Colonetti et al., Bologna, Editrice Compositori, Arte con sentimento. Conversazione,
Marco Meneguzzo, Collana Polaroid, Milano, Medusa Edizioni, Essere nel tempo,
Achille Bonito Oliva, Milano, Skira, Gli artisti che ho incontrato, Luigi
Sansone, Milano, Skira, La logica dell'approssimazione, nell'arte e nella vita,
Aldo Colonnetti, Silvana, Estetica senza dialettica. Scritti, al, Luca Cesari,Milano,
Bompiani, Paesaggi e personaggi, Enrico Rotelli, Milano, Bompiani, La mia
America, Luigi Sansone, Milano, Skira; "Interviene Gillo Dorfles", in
alterlinus "Calligaro: parole e immagini", in Preferenze critiche,
Dedalo, "Né moduli, né rimedi", in Agalma, "Disarmonia, asimmetria, wabi,
sabi", in Agalma, "Feticcio", in Agalma, "Barozzi", in Da Duchamp agli Happening.
Il Mondo di Pannunzio e altri scritti, Campanotto Editore, Traduzioni Rudolf
Arnheim, “Arte e percezione visive” (Milano, Feltrinelli, Rudolf Arnheim,
Guernica. Genesi di un dipinto, Milano, Feltrinelli); Addio a Gillo Dorfles:
«La mia vita infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone», su corriere. Aldo
Cazzullo: la mia vita infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone, Corriere
della sera, 1 il Redazione, Novità formali e riesumazioni di precedenti esempi,
il contemporaneo è un linguaggio nuovo di un sapere condiviso, QM, su quid
magazine, biografia sul sito delle Edizioni Il Bulino, Galliano Mazzon, Mostra
antologia: Civico Padiglione d'Arte Moderna, MMilano, Civico Padiglione d'Arte
Moderna, Mostra antologia di Galliano Mazzon: Civico Padiglione d'Arte Moderna,
Milano, Luciano Caramel, Arte in Italia, su Dioguardi Gianfranco, Processo
edilizio e progetto: vecchi attori alla ricerca di nuovi ruoli, Milano: Franco
Angeli, Studi organizzativi. Fascicolo, Corriere della Sera, Cfr. la raccolta
degli scritti raccolti in Architetture Ambigue: Dal Neobarocco al Postmoderno,
Dedalo, Bari Di Giovanni Marilisa, Il corpo, nuova forma: la “body art”; Cheiron:
materiali e strumenti di aggiornamento storiografico. Lecta web, arte e
comunicazione. Vitriol Triennale, Sussidiaria: GPS/GaPSle Forbici di Manitù
(BAU14). Celeste Prize BAU 14 Antonio Gnoli, Gillo Dorfles, il rivoluzionario
critico d'arte, La Repubblica, Bucci,
Morto, critico poliedrico. Corriere della Sera, Addio ad Alma Dorfles, signora
di cultura, Il Piccolo, Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su
Quirinale, dettaglio decorato., su Quirinale, Intervista su conoscenza.rai.
Sergio Mandelli, Capire l'arte contemporanea su youtube.com Gillo Dorfles,«Mi
sveglio, lavoro. Amo il vino», in Corriere della Sera, Aldo Cazzullo, la mia vita infinita da Francesco Giuseppe
agli smartphone, in Corriere della Sera.
Wikipedia Ricerca Natura insieme degli esseri viventi e inanimati
considerato nella sua forma complessiva Lingua Segui Modifica Ulteriori
informazioni Questa voce sull'argomento scienza è solo un abbozzo. Contribuisci
a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti del
progetto di riferimento. Per natura si intende l'universo considerato nella
totalità dei fenomeni e delle forze che in esso si manifestano, da quelli del
mondo fisico a quelli della vita in generale. Paesaggio naturale
Storia del concetto Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Natura (filosofia). Il termine deriva dal latino
Natura e letteralmente significa "ciò che sta per nascere": a sua
volta deriva dalla traduzione latina della parola greca physis Il
concetto di natura come una totalità che va a comprendere anche l'universo
fisico è una delle molte estensioni del concetto originale; sin dalle prime
applicazioni di base della parola φύσις da parte dei filosofi presocratici,
esso è entrato sempre più nell'uso corrente[1]. Questa concezione è stata
riaffermata con l'avvento del moderno metodo scientifico negli ultimi
secoli. Natura e ambiente Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Ambiente (biologia). I boschi fanno parte
del gruppo della Natura. La "natura" può riferirsi alla sfera
generale delle piantee degli animali, ai processi associati ad oggetti inanimati,[2]
al modo in cui determinati tipi di forme esistono ed ai cambiamenti spontanei
come i fenomeni meteorologici o geologici della Terra, la materia e l'energia
di cui tutte queste realtà sono composte. Viene inteso come ambiente naturale
il deserto, la fauna selvatica, le rocce, i boschi, le spiagge, i mari e gli
oceani, e in generale quelle cose che non sono state sostanzialmente modificate
dall'intervento umano, o che persistono nonostante l'intervento dello stesso.
Ad esempio, i manufatti e le trasformazioni umane in genere non sono
considerati parte della natura, venendo preferibilmente qualificati come una
natura più complessa. Più in generale, la natura comprende i seguenti
contesti e dimensioni della realtà: Terra Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Terra. Ulteriori informazioni Questa voce
sull'argomento ecologia è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo
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La Terra è il luogo primigenio degli esseri umani, che ospita la vita come da
noi concepita e conosciuta. Sulla sua superficie si trova acqua in tutti e tre
gli stati (solido, liquido e gassoso) e un'atmosfera composta in prevalenza da
azoto e ossigeno che, insieme al campo magnetico che avvolge il pianeta,
protegge la Terra dai raggi cosmici e dalle radiazioni solari. La sua
formazione è datata a circa 4,54 miliardi di annifa.[3] Vita Modifica Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento
in dettaglio: Vita. Piante Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Piante. Le piante (Plantae Haeckel, 1866) sono
organismi unio pluricellulari, che comprendono tutti i vegetali, soggetti a
nascita, crescita, riproduzione e decesso.[4] Animali Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Animali. Ulteriori informazioni Questa voce
sull'argomento ecologia è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo
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Gli animali comprendono in totale più di 1.800.000 specie di organismi
classificati, presenti sulla Terra dal periodo ediacarano. Il numero di specie
via via scoperte è in costante crescita, e alcune stime portano fino a 40 volte
di più la numerosità accertata[5]. Delle 1,5 milioni di specie animali attuali,
900 000 sono appartenenti solo alla classe degli Insetti.[6] Ecosistemi Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Ecosistemi. Una tempesta. Gli ecosistemi
sono costituiti da una o più comunità di organismi viventi (animali e
vegetali), e da elementi non viventi (abiotici), che interagiscono tra loro;
una comunità è a sua volta l'insieme di più popolazioni, costituite ognuna da
organismi della stessa specie. L'insieme delle popolazioni, cioè la comunità,
interagisce dunque con la componente abiotica formando l'ecosistema, nel quale
si vengono a creare delle interazioni reciproche in un equilibrio
dinamicocontrollato da uno o più meccanismi fisico-chimici di retroazione
(detti anche "feedback"). Carl Troll, nel 1939, dall'esame di
alcune serie storiche di foro aeree, notò che gli ecosistemi mostravano una
tendenza ad aggregarsi in configurazioni unitarie (denominate principalmente
Macchie, Isole e Corridoi). Ricordando la dizione di Alexander von Humboldt,
Troll chiamò tali formazioni "paesaggi". Ipotesi Gaia Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Ipotesi Gaia. L'ipotesi Gaia è la teoria,
inizialmente avanzata da James Lovelock nel 1969, ma già anticipata da Giovanni
Keplero nel diciassettesimo secolo, secondo la quale tutti gli esseri viventi
sulla Terra contribuirebbero a comporre un vasto ed unico organismo (chiamato
Gaia, dal nome della dea greca), capace di autoregolarsi nei suoi vari elementi
per favorire a sua volta le condizioni generali della vita. Naturale e
artificiale Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Natura e artificio. Il concetto più tradizionale
della natura, che può essere usato ancora oggi, implica una distinzione tra
naturale ed artificiale: con "artificiale" si intende cioè che è
stato creato dall'opera o da una mente umana. A seconda del contesto, il
termine "naturale" potrebbe anche essere distinto dall'innaturale,
dal soprannaturale e dall'artefatto.[7] Bottega dello scultore,
miniatura del XV secolo che raffigura l'opera umana di modifica degli elementi
e degli arredi naturali Le difficoltà nella definizione stessa della
naturacomportano un'ambiguità nel rapporto tra uomo e natura.[8] Alle volte il
concetto è usato in senso derivato per riferirsi a quelle zone create
dall'uomo, ma dove grande spazio è riservato alle popolazioni vegetali e
animali. Si può parlare ad esempio della natura di una foresta, anche se coltivata
e sfruttata da secoli. In tal caso ci si riferisce a una modalità di gestire
l'ambiente da parte degli umani, piuttosto che all'assenza di intervento
umano. L'idea di natura è stata rielaborata dalla cultura urbanache ha
formulato la mitica nozione di barbarie per definire tutto quanto si pone al di
fuori della civiltà. Il fatto che il termine «selvaggio» venga usato da un lato
come sinonimo di «naturale», dall'altro per denotare certi atti come
particolarmente violenti o efferati, mette in evidenzia una certa tendenza
ideologica, piuttosto inconsapevole, a considerare parte della natura come
estranea alla culturadominante, come qualcosa di primitivo se non di
malevolo.[9] Paradossalmente accade anche che, in altri contesti, la parola
«naturale» possa venire usata nel linguaggio corrente come sinonimo di
«normale», «legittimo» o «logico», come la fonte cioè dei principi più retti
dell'uomo civilizzato.[10] Lo sviluppo della scienza e della tecnologia
negli ultimi due secoli è stato a sua volta in gran parte accompagnato da una
certa contrapposizione ideologica tra uomo e natura; la conoscenza viene
generalmente considerata uno strumento di dominio della natura piuttosto che un
mezzo per vivere in armonia con essa. L'epoca moderna ha visto d'altra parte lo
sviluppo della teoria della legge naturale, che pone in risalto i diritti
dell'uomo, il quale sarebbe stato dotato dalla natura di prerogative
inalienabili; in tale contesto si fa riferimento ad una natura umana senza
implicare necessariamente l'appartenenza ad una natura ancestrale.[11]
Tutela della natura Modifica
Lo sfruttamento del suolo e il problema dello smaltimento dei rifiuti procede
di pari passo con la crescente urbanizzazione. La crescente industrializzazione
ed urbanizzazione del pianeta ha posto il problema della conservazione della
natura in forme nuove e sempre più urgenti. Agli ambienti naturali si sono
andati via via sostituendo paesaggi artificiali, che oltre a distruggerne
l'amenità, ne hanno alterato la loro peculiare storia ecologica.[2] Sin
dalla preistoria l'uomo è intervenuto a modificare il paesaggio naturale,
attraverso disboscamenti e l'introduzione di colture e animali di importazione,
con grave danno per la flora e la fauna locali, oltre che di quelle non addomesticabili.
Ma è stato soprattutto a partire dalla rivoluzione industriale che l'umanità si
è dotata di mezzi molto più invasivi, che deturpano gli ambienti fino a
provocarne spesso la desertificazione.[2] Fra le principali cause della
distruzione della natura vi sono: inquinamento, ed emissioni di gas
serra; sfruttamento delle risorse naturali, deforestazione, agricoltura
intensiva con uso di pesticidi, pescamassiccia; estinzione di numerose specie
viventi; ignoranza dell'ambiente biofisico, mancanza di cultura ecologica. Alle
alterazioni della natura ha contribuito inoltre la crescita esponenziale della
popolazione umana, soprattutto nei paesi del Terzo Mondo.[2] Con la
ricerca scientifica si riesce soltanto a rimediare per lo più parzialmente ai
danni, cercando di razionalizzare lo sfruttamento del suolo, arginare la
diffusione dei parassiti e limitare l'inquinamento. Per il resto, la lenta
crescita di consapevolezza dell'importanza di tutelare la natura nei paesi
industrializzati ha portato a provvedimenti come l'istituzione dei parchi
naturali, sin dal XIX secolo.[2] Dopo la seconda guerra mondiale sono
sorte alcune organizzazioni internazionali per la difesa della natura come
l'IUCN, il WWF, l'UNESCO, l'UNEP. Dagli anni ottanta le varie nazioni del pianeta
hanno iniziato a partecipare a delle conferenze su scala globale per trattare
soprattutto dei problemi del clima, con risultati di scarsa efficacia.[2]
Note Modifica ^
Frédéric Ducarme e Denis Couvet, What does 'nature' mean?, in Palgrave
Communications, vol. 6, n. 14, Springer Nature, 2020,
DOI:10.1057/s41599-020-0390-y. URL consultato il 7 febbraio 2020 (archiviato il
7 febbraio 2020). ^ a b c d e f Natura, su treccani.it. URL consultato il 24
dicembre 2018 (archiviato il 27 dicembre 2018). ^ ( EN ) William L. Newman, Age
of the Earth, in U.S. Geological Survey's Geologic Time, 9 ottobre 1997. URL
consultato il 7 marzo 2012(archiviato il 23 dicembre 2005). ^ Pianta, su
treccani.it. URL consultato il 27 dicembre 2018 (archiviato il 28 dicembre
2018). ^ Baccetti B. et al, Trattato Italiano di Zoologia 2º vol, pp. 9-10,
1995 ISBN 978-88-08-09366-0 | ISBN 978-88-08-09314-1 ^ ( EN ) Insect Species,
su infoplease.com. URL consultato il 27 dicembre 2018 (archiviato il 3 ottobre
2012). ^ John Rawls, Lezioni di storia della filosofia morale, cap. 3,
Feltrinelli, 2004. ^ Guido Viale, Un mondo usa e getta. La civiltà dei rifiuti
e i rifiuti della civiltà, Feltrinelli, 2000, p. 169 e segg. ^ Franco Brevini,
L'invenzione della natura selvaggia. Storia di un'idea dal XVIII secolo a oggi,
Bollati Boringhieri, 2013. ^ Simone Pollo, La morale della natura, cap. 4,
Laterza, 2008 ^ Sergio Belardinelli, La normalità e l'eccezione: il ritorno
della natura nella cultura contemporanea, Rubbettino, 2002. Voci correlate Modifica
Ambiente naturale Ecologia Filosofia della natura Ipotesi Gaia Natura
(filosofia) Naturalismo Scienze naturali Altri progetti Modifica Collabora a Wikiquote Wikiquote
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o manuali su natura Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file sulla natura Collegamenti esterni Modifica natura, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata natura, in Dizionario di
filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata ( EN
) Natura, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su
Wikidata ( EN ) Opere riguardanti Natura, su Open Library, Internet Archive.
Modifica su Wikidata ( EN ) Natura, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton
Company. Modifica su Wikidata Frédéric Ducarme e Denis Couvet, What does
'nature' mean?, in Palgrave Communications, vol. 6, n. 14, Springer Nature,
2020, DOI:10.1057/s41599-020-0390-y. Controllo di autorità Thesaurus
BNCF 6277 · LCCN( EN ) sh85090277 · GND ( DE ) 4041358-5 ·BNF ( FR )
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, JA ) 00571314 Portale Ecologia e ambiente
Portale Scienza e tecnica Ultima modifica 3 mesi fa di Egidio24 PAGINE
CORRELATE Ecosistema porzione di biosfera delimitata naturalmente
Ecologia branca della biologia che studia le interazioni tra gli organismi e il
loro ambiente Ecosistema terrestre Wikipedia Il contenuto Wikipedia Ricerca
Madre Natura personificazione della natura Lingua Segui Modifica Ulteriori
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necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Ulteriori informazioni Questa
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suggerimenti del progetto di riferimento. Madre Natura è la personificazione
della natura. Joseph Werner, Diana di Efeso come allegoria
della Natura, 1680 circa Caratteristiche Modifica
Madre Natura, figura dal trattato Atalanta Fugiens (XVII secolo) Essa (a volte
conosciuta come Madre Terra) è la comune personificazione della natura
focalizzata intorno agli aspetti di donatrice di vita e di nutrimento,
incarnandoli nella figura materna. Immagini di donnerappresentanti madre
natura, o la madre terra, sono senza tempo. In età preistorica le
dee erano venerate per la loro associazione con la fertilità, la fecondità e
l'abbondanza agricola. Le sacerdotesse mantenevano il dominio di vari aspetti
religiosi delle civiltà Inca, Algonchina, Assira, Babilonese, Slava, Germanica,
Romana, Greca, Indiana e Irochese per millenni prima dell'inizio delle
religioni patriarcali. Talvolta viene indicata come la sposa di Padre
Tempo. Voci correlate Modifica
Grande Madre Gea Tellus Mati Zemlya Pachamama Altri progetti Modifica Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Madre Natura Ultima
modifica 7 mesi fa di 5.90.13.8 PAGINE CORRELATE Teteoinnan dea azteca della
guarigione, e dei bagni di vapore. Madre Russia personificazione
nazionale della Russia Padre Tempo personificazione del tempo
Wikipedia Il contenutoGillo Dorfles. Angelo Eugenio Dorfles. Dorfles. Keywords:
filosofia del kitsch, “Artificio e Natura, natura, artificio, communicazione,
mito, simbolo, segno, linguaggio, interpretazione, semiotica, disarmonia, Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Dorfles” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51714639082/in/photolist-2mMR3uj-2mLJvTo-2mLH4oV-2mLJwvR-2mLMBfw-2mLD1cJ-2mLH3QA-2mLJBQd-2mLCZMW
Grice e
Doria – filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo. Grice:
“I love Doria: a nobleman who should be sailing off Portofino, is writing a
‘progetto di metafisica’ after discussing the ‘filosofia degl’antichi’ – you
HAVE to love him! Plus, he philosophised WHILE sailing!” Figlio di Giacomo e
Maria Cecilia Spinola, appartenente alla nobile casata dei Doria Lamba dalla quale
provennero ben quattro dogi della repubblica di Genova, ha un'infanzia
travagliata segnata a cinque anni dalla morte del padre. L'uscita dalla famiglia
delle tre sorelle lo fa rimanere solo con la madre che influenza negativamente
il suo carattere melanconico ma vivace, il suo desiderio di virtù e Gloria. La
madre, che egli accusa esser stata de' miei errori la prima e principal cagione,
si era disinteressata del figlio limitandosi ad affidarne l'educazione a
filosofi bigotti che lo fano crescere con la paura delle malattie e della
morte, che gli viene indicata dai suoi educatori gesuiti come un positivo
castigo all’uomino re. Divenne quindi vivace e grazioso nelle
conversazioni affabile con tutti, facile e condiscendente con gli amici e allo
stesso tempo pieno di sé e fatuo divenendo un Petit Maitre disinvolo e alla
moda, e prende per idea di virtù vera ed esistenta ogni vanità e molte volte prende
con l’idea di virtù il vizio ancora! Pieno di sé e fatuo. Compì con la madre il
“grand tour” – Firenze, Capri, Girgentu -- dei ‘viri’ ben nato dal quale ne
usce libero dall’inibizione religiosa, ma con un nuovo abito di un anima
viziosa, la quale lo fa mirare come idea di virtù la rilassatezza nel senso, la
prepotenza con i deboli e la vendetta. Tornato a Genova, la trovò bombardata
dal mare dalle navi di Luigi XIV. In quell'occasione conosce il conte di Melgar
che l’avvia nell’arte militare e lo introduce nel giro del patriziato
mondano. Innamoratosi fortemente di una meritevole donna che muore poco
tempo dopo, cadde in depressione e per distrarsi dal dolore riprese i suoi
dispendiosi viaggi. Ridotto in ristrettezze economiche si reca a Napoli per
recuperare certi suoi crediti ma dove lottare per districarsi dalla palude di
leggi e cavillose procedure al punto che si mise a studiare filosofia con un
certo profitto per ottenere dal tribunale quanto gli spetta. La sua fama
di spadaccino gli fa guadagnare la simpatia del patriziato napoletano che
ritiene massime di cavagliero che fusse atto di disonore e di vergogna il non
punire un uomo a sé inferiore quando si ha da quello qualche offesa ricevuto, e
che il perdonare generosamente fusse vergogna. Ma poscia era massima d'estrema
vergogna il non chiamare a duello un nobile a sé uguale quando da quello
si era qualche offesa ricevuta. Si diede quindi a duellare per qualsiasi
puntiglio cavalleresco tanto da essere messo in prigione aumentando così la sua
fama di duellista e vendicativo presso la nobiltà locale. Comincia a
disgustarsi di questa sua vita fatua e falsa trasformandosi in filosofo
metafisico ed entrando nella cerchia degli intellettuali cartesiani e
gassendisti che caddero sotto l'attacco della Chiesa preoccupata che il loro
sensismo approdasse a un conclamato materialismo. La posizione della Chiesa fu
esplicitata dal grande processo contro gl’ateisti, quegli intellettuali che si
erano illusi di poter modernizzare la dottrina cattolica. Si schierò con
questi frequentando il salotto filosofico Caravita che si era già battuto
contro l'Inquisizione e che era divenuto il centro di diffusione della
filosofia cartesiana. Qui il Doria ebbe modo di conoscere il protetto di
Caravita, quel Giambattista Vico che scriverà del genovese che «fu il primo con
cui poté cominciare a ragionar di metafisica» nella quale si intravedevano
«lumi sfolgoranti di platonica divinità. Per organizzarsi contro le polemiche
dei tradizionalisti, sostenuti dalla Chiesa cattolica, il Caravita pensò di
fondare un'associazione di intellettuali modernisti che, dopo diverse
difficoltà, finalmente vide la luce col nome di Accademia Palatina e che
annoverava fra i 18 soci fondatori anche Doria che pronunzia in quella sede
lezioni concernenti la teoria politica (Sopra la vita di Claudio imperadore)
dove sostene la superiorità della nobiltà per virtù e non per nascita, e dove
contestava la base valoriale dell'aristocrazia fondata sull'uso delle armi
(Dell'arte militare, Del conduttor degl'eserciti, Del governatore di piazza,
Della scherma). La guerra, scriveva Doria, non e un privilegio della nobiltà di
spada ma un'attività che richiede l'applicazione di una tecnica e il comando
affidato a ufficiali competenti nel dirigere l'animo umano (Il capitano
filosofo, Napoli) Pubblica la Vita civile e l'educazione del principe,
criticata da alcuni per alcuni fraintendimenti sul pensiero di Cartesio. Non ha
inteso il Cartesio, o ad arte ne tronca
o perverte il senso. Critica la politica di Tacito e Machiavelli sostenendo che
questa va basata non sopra l'idea degli uomini quali sono ma sulla virtù, il giusto
e l'onesto». Lo Stato anda guidato, come dettava l'insegnamento platonico, dal
filosofo facendosi così sostenitore, secondo le nuove idee riformatrici che
cominciavano a circolare in Europa, di un assolutismo moderato nel Regno di
Napoli. Doria cominciò ad interessarsi a temi scientifici mandando alle stampe
le sue Considerazioni sopra il moto e la meccanica de' corpi sensibili e de'
corpi insensibili (Augusta) e una Giunta d iM. Doria al suo libro del Moto e
della Meccanica. Opere queste, dove si critica il metodo di Galilei e si mette
in discussione la distinzione cartesiana fra res extensa e res cogitans in nome
del principio neo-platonico dell'Uno immateriale, che non ebbero il successo
sperato e vennero anzi aspramente criticate da più parti. Divenne un
personaggio ambito da nobili e femmes savantes che lo invitavano nei loro
circoli culturali dove riceve numerosi attestati di stima. Per ricambiare le
nobili dame, sue discepole, pubblica i Ragionamenti ne' quali si dimostra la
donna, in quasi tutte le virtù più grandi, non essere all'uomo inferior. La
donna ha gli stessi diritti naturali dell’uomo e puo governare e fondare grandi
imperi ma non e adatte fisiologicamente a formulare leggi per le quali occorre
una sapienza storica e filosofica. Cartesio infatti aveva errato nel credere
che Dio avesse dato a tutti eguale abilità per intender le scienze, mentre iddio
non ha ugualmente a tutti gli uomini distribuito e perciò vediamo che molti non
son capaci nelle scienze. Quindi la donna che egli ammirava moltissimo e che lo
ricambiavano con tante lodi, deve tuttavia accontentarsi di poter dirigere lo
stato ma non puo essere legislatrice. Un rapporto questo con l'altro sesso che
rimase problematico per Doria che non volle mai sposarsi ritenendo il
matrimonio una legge dura che non trova precisa corrispondenza nella teologia.
Si considera ormai un filosofo metafisico e mattematico che adottando il
platonismo ha pressoché distrutto li saggi di filosofia del signor Giovanni
Locke ed in parte ancora la filosofia di Renato Des-Cartes. Compiva un
capovolgimento delle sue convinzioni moderniste passando nel campo degli
antichi quando il suo Nuovo metodo geometrico (Augusta) e i Dialoghi ne' quali s'insegna
l'arte di esaminare una dimostrazione geometrica, e di dedurre dalla geometria
sintetica la conoscenza del vero e del falso (Amsterdam), furono aspramente
criticati da parte della rivista Acta eruditorum. Ancora più aspre le
contestazioni ricevute a Napoli che gli costarono un sonetto denigratorio che
così recitava. Di rispondere a te nessun si sogna /de' nostri, e strano è assai
che Lipsia mandi/ risposta a un uom che 'l matto ognun lo noma. Illustrazione alla recensione pubblicata
sugli Acta Eruditorum al Capitano filosofo. Gl’Oziosi, dove profuse tutte le
sue energie nel criticare i moderni, seguaci del pensiero filosofico di Locke,
dell'Accademia delle scienze di Celestino Galiani che aveva detto di lui «il
Doria ha ristampato tutte in un corpo le sue coglionerie. Con l'avvento del re
riformista Carlo III di Borbone nel Regno di Napoli, si trova completamente
isolato col suo platonismo pratticabil che continua a difendere scrivendo “Il
Politico alla moda”. Si rendeva ormai conto di come fosse irrealizzabile il suo
ideale di un governo ad opera del concetto di “sovrano virtuoso” e di “filosofe
legislatore.” Il magistrato, il capitano, il sacerdote e tutti gli ordini che
governano hanno diviso la filosofia dalla politica per unire alla politica la
sola prattica; ormai i principi scriveva vogliono governare lo stato colla
politica del mercadante, e non con la politica del filosofo. Constatava come vi
fosse ormai una generale crisi dei valori perché in questo nostro tempo si
corre dietro solamente alla perniciosa filosofia di Locke e di Newton e si
pratica solamente la politica mercantile. Completamente ignorato dall'ambiente
intellettuale, Doria malato e in difficoltà economiche muore indicando nel suo
testamento la volontà che fosse pubblicata a spese di un suo cugino, a saldo di
un debito da questi contratto, l'opera “Idea di una perfetta repubblica”.
Quando il saggio e infine edito fu condannato dai revisori ad essere bruciato
per il suo contenuto contro Dio, la religione e la monarchia. In realtà
contesta il celibato ecclesiastico, l'indissolubilità del matrimonio, la
castita, l'eternità delle pene inflitte ai dannati e l'ideologia etico-politica
dei gesuiti. Il governo perfetto doveva essere a imitazione di quello
della Roma repubblicana, perché posto il governo in mano agli uomini, è forza
che sia moderato da un magistrato ordinato alla difesa del popolo contro la
tirannia. Gli unici a esecrare il rogo del saggio furono proprio i giuristi
napoletani difendendo i libri di quel savio e cordato vecchio di Doria, di cui s'infama
la venerata memoria. E al centro del saggio “La distruzione della fiducia e le
sue conseguenze economiche a Napoli”. Si argumenta che il governo nell'azione
di depredazione del Regno di Napoli ha spogliato i loro sudditi della virtù e
della ricchezza, introducendo al posto loro ignoranza, infamia, divisione e
infelicità. Altra azione, che si rivelerà in seguito disastrosa per la società
napoletana e in genere per il Mezzogiorno, fu lo smantellamento dei rapporti
inter-personali di fiducia tra le diverse classi, necessari per lo sviluppo dei
commerci e dell'iniziativa privata e l'introduzione di una cultura dell'onore
attraverso l'infoltimento dei ranghi nobiliari, il rafforzamento dell'Inquisizione,
l'inasprimento della segretezza dell'attività di governo, l'incremento delle
cerimonie religiose e di devozione ritualizzata, l'aumento della diseguaglianza
davanti alla legge e infine l'indebolimento apertamente perseguito del rapporto
armonioso che si era creato in passato tra i diversi ordini del Regno: tutto
ciò al fine di scoraggiare, minando la fede pubblica, l'ascesa di una classe
imprenditoriale-commerciale che avanzasse i propri diritti e rompesse
l'equilibrio dei poteri tra la corte e il patriziato locale che gli spagnoli
intendevano mantenere. Tutti questi fattori, lesivi di quel rapporto di fiducia
tra le classi necessario per l'avvio e il consolidamento dell'attività di co-operazione
e di intrapresa economica, non tarderanno a produrre effetti duraturi sulla
società meridionale, non solo a livello mentale-culturale, e di converso a
livello economico, costituendo uno dei fattori prodromici dell'arretratezza
socio-economico-culturale del Mezzogiorno d'Italia. Altre opere: “Considerazioni
sopra il moto e la meccanica de' corpi sensibili, e de' corpi insensibili, In
Augusta [i.e. Napoli?, Daniello Hopper); “Considerazioni sopra il moto e la
meccanica de' corpi sensibili, e de' corpi insensibili. Giunta, In Augusta
[i.e. Napoli?, Daniello Hopper; Dialoghi, Amsterdam, Esercitazioni geometriche,
In Pariggi, Duplicationis cubi demonstration” (Venezia); “Discorso apologetico”
(Venezia); “Soluzione del problema della trisezione dell'angolo” (Venezia);
“Vita civile” (Napoli, Angelo Vocola. Pierluigi Rovito, Dizionario Biografico
degli Italiani. “L’arte di conoscer se
stesso, in De Fabrizio, Manoscritti napoletani. Autobiografia, in Cristofolini,
Opere filosofiche, R. Ajello, Diritto ed economia, Vita civile, ed. Augusta, S.
Rotta in Politici ed economisti del primo Settecento. Dal Muratori al
Cesarotti, V, Milano-Napoli, L'arte di conoscere se stesso. Eugenio Di Rienzo,
GALIANI, Celestino in Dizionario Biografico degli Italiani, V. Ferrone, Scienza
natura religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento,
Napoli, Manoscritti, La Politica mercantile, Manoscritti, Idea di una perfetta
repubblica "accorato" Ajello. Segnatamente: Del commercio del Regno
di Napoli, in E. Vidal, Il pensiero civile di Paolo Mattia Doria negli scritti
inediti, Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma; Della vita civile,
Torino; Massime del governo spagnolo di Napoli, V. Conti, Guida, Napoli Contenuto
nel volume miscellaneo Diego Gambetta, Le strategie della fiducia, Einaudi,
Torino, D. Gambetta, Pierluigi Rovito, «DORIA, Paolo Mattia», in Dizionario
Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roberto
Scazzieri, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero Economia, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Giulia Belgioioso, Il Contributo italiano
alla storia del PensieroFilosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,.
E. Vidal, Il pensiero civile di Paolo Mattia Doria negli scritti inediti,
Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma. fondatore di Roma e
primo » re de' romani. Romolo fu il primo re de' romani
, e padre della romana republica; uo- mo primieramente d'
ardentissimo a- nimo e per le armi grande : e così fatto certamente
l' aveva disposto la for- tuna a quello che dovea seguire. Per la
cui opera, in tra tante minaccie di vicini , di spinose montagnie
surgesse il fondamento dello 'mperio che do- vea crescere infino al
cielo. Perchè non si potea porre sicuramente tanta grandezza in
debole fondamento, sì gran cosa richiedea terra salda e duca d'
alto animo. E così fu : che dove prima a pena fu assai erba per lo
armento d' Ercole , e dove prima a pena solea essere assai fronde
per le capre di Faustulo, in quello luogo puose la fortezza di
tutte le terre e la somma signoria delli uomini. Dun- que costui
con Remo suo fratello ( e insieme con Rea Silvia, la quale fu
chiamata Ilia , madre senza dubio ) creduto o fitto figliuolo di Marte,
in- contanente com' elio nacque provò la crudeltà di Amulio re
delli albani , e non solamente contro alla madre, ma eziandio
contro a sé e contro al suo fratello. Dal quale Amulio fu coman-
dato eh' ellino fossero gittati in Te- vere: e a caso elli furono
liberati, o che fosse per divina provedenzia, la qual cosa è lecito
di credere dello imperio che dovea essere sì grande, quella
provedenzia apparecchiante non sperato cominciamenlo alle grandis-
sime cose. Soperchiando il fiume a caso le ripe e non potendosi
andare a quello , furono gittati quelli fanciulli presso alla ripa
; e, partendosi li fami- gliari del re, i quali li avevano
git- tati, rimasono salvi. A questo luogo, tratta dal pianto di
questi fanciulli, venne una lupa ( o eh' ella fosse vera o ch'ella
fosse cosa finta, dell'una e dell' altra è nominanza ), e , com'
ella avesse compassione, venne a que- sto luogo: del cui latte elli
furono nutricati , traendo con li labri il latte delle tette della
detta fiera, infino che furono trovati da Faustulo pas- tore del
re, il quale di sopra ave- mo nominato, e la lupa similmente,
essendo discresciuto il fiume; e in fino agli anni della pubertà coli'
amore del padre furono nutricati. Ma allora più di dì in dì il suo
vigore si mo- strava e per effetto diventava famoso ; già erano
cari da ogni parte e am- piamente erano terribili , ogni cosa ar-
divano; già il suo notricatore, per le opere informato, cominciava a
fer- marsi in quella openione ch'egli aveva pensalo, cioè quelli
essere figliuoli del re. Questo celato per alcuno tem- pò, finalmente
apparve: preso Remo da' famigli del re e datogli pena, per
consolare la ingiuria fu dato a Numi- tore suo avolo per parte di madre
, nel cui terreno tramendue i frategli avevano fatte correrie. Il
quale vedu- to, non mosso ad ira, com'è usan- za, per l' ingiuria
ricevuta, ma mosso verso di quello con una nascosa dol- ciezza, e
udito ch'elli erano due, consi- derato da l'una parte l'etade di
quelli, da l' altra l' aspetto nobile e non di pastori, vennegli a
memoria i suoi nipoti ; e , dimandando pianamente delle,,
circostanzie, avea trovato poco meno che costui era l' uno de' suoi
nipoti , e di questo non dubitava : però elio il teneva in più libertà, e
non come preso ma come suo , come ve- ramente elio era. E questa
era più diritta via a distruzione del re, per- chè manifestato a
Romolo non sola- mente la condizione del presente stato del
fratello, ma la nazione di tramen- due nascosta infino a quello
tempo; ammonendoli colui, ch'era tenuto pa- dre,
ch'elli non erano suoi figliuoli ma erano di schiatta reale ; e,
spostali per ordine l' ingiuria di quegli e con questa l'ingiuria
di suo avolo e di sua madre, fatto Romolo più animo- so ,
conosciuto il fatto , dispuosesi non solamente a liberare il fratello,
ma vendicare sé e '1 fratello e l'avolo e la madre, non
manifestamente perchè era dispari in possanza , ma piana- mente
mandati alcuni giovani di qua e di là, i quali si trovassono a una
ora nella casa del re. Così disposti gli agguati, e a tempo accorrendo Remo,
corsono contra Amulio, il quale non si guardava e non pensava sì
fatto pericolo. Morto Amulio, Numitore fra- tello di quello, e
innanzi cacciato da lui, fu ristituito nel regno, essendo allegro,
non meno per la condizione de'trovati nipoti, che per avere acqui-
stato il nonne sperato regnio. Da poi, perchè elli erano di grande animo,
e '1 regno di suo avolo gli pareva piccio- lo, lassarono Alba
all'avolo; e, aman- do il luogo della sua puerizia ovvero del suo
pericolo , procurarono di fon- dare nuova terra in quello luogo. E
così, per buono agurio, edificarono aspera e, acciò ch'io dica più
pro- priamente, pastorale casa in sul monte Palatino; e fu posto
alla terra il no- me di Romolo solamente, essendo vinto il fratello
nello agurio: il quale nome fu temuto poi al mondo da li popoli e
dai re. Poi , o che tra quelli fosse nata discordia, o che fosse
per- chè egli avesse dispregiato il coman- damento del fratello,
Remo, avendo passato il nuovo muro, fu morto; o che fosse per cupidità
della signoria, o per rigore di giustizia , la credenza è varia
nelle cose antiche. Romolo, avendo presa la signoria, ordinò sa-
crifici della patria e forestieri, e prese abito di re e ornamenti, e
ordinò dodici littori, e compuose nuove leggi. Solo a fermezza del
popolo e fonda- mento di pace e di concordia tre cose
sommamente li pareva di provedere : il consiglio , e io accrescere
della co- minciata città, e la durabilità; per- chè era in picciola
terra pochi abi- tatori , e per questo gli era speranza di
brevissimo tempo , mancando la cagione del generare de' figliuoli.
Dun- que primieramente furono eletti cento antichi al Senato
(chiamando questo ordine dalla etade, perchè il nome de' padri fu detto
dallo amore e da la cura della republica); secondo, intra due
boschi fu posto uno tempio chia- mano asilo ( i greci il chiamano
San- to), il quale stando aperto, grande turba incontanente venne
di vicini paesi; la terza cosa parea che si do- vesse fare con
matrimoni ( perchè soli i maschi non poteano durare se non una
etade); la qual cosa , perchè era negata da' vicini superbamente e
vi- tuperosamente, fecesi per forza e per ingegnio. Perchè in
questo mezzo, non mostrando l'ira e il dolore d'es- sere rifiutato,
il re apparecchiò di fare solenni giuochi a Nettunno , e coman- dò di
fare dinunziare il dì per li po- poli vicini. II quale poi che
sopra- venne, molti maschi e femmine delle terre vicine a Roma
vennero per ve- dere i giuochi, e non meno per cu- pidità di vedere
quella nuova terra quasi nata di subito. Nel mezzo de' giuochi,
essendo ogni uomo attento con gli occhi e con l'animo, dilibera-
tamente furono prese tutte le fanciulle, non a fine di sua vergognia, ma
di tenerle per mogliere e per avere fi- gliuoli. Dunque confortate
con buone parole, tra lo isdegno e le lacrime, pel- le lusinghe di
quegli li quali l'aveano prese, prima Romolo, e poi gli al- tri ,
una per uno ne tolseno per mo- glie: e questo fu cagione e comin-
ciamento di molte battaglie. I padri e i parenti di queste fanciulle,
lamen- tatisi della forza e della malvagità de' suoi osti, dai
quali ellino, invitati a giuochi , erano stati offesi per gravis-
sima ingiuria, incontanente uscirono fuori della terra e tornarono
a casa; e, moltiplicando le lamentanze, aggra- varono l'offesa, e
pigliarono l'arme e apparecchiaronsi di fare la vendetta. E di
lutti i popoli si fece una rau- nanza a Tito Tazio re de' sabini,
per- chè questi avevano più possanza e aveano ricevuto più ingiuria.
Ma per- chè la presuntuosa ira non può indu- giare né ricevere
consiglio , e perchè l'apparecchiamento alla guerra parea pigro per
rispetto dello ardore dell'ani- mo, ciascheduno, non aspettando
l'uno l'altro, andarono alla battaglia. E in- nanzi a tutti i
ceninesi con l' oste cor- sero nel terreno de' romani : contro ai
quali venendo Romolo, mise in rotta i nimici, e uccise Acrone, re
di quelli , venuto alle mani con lui in singolare battaglia; e, con lieve
as- salto, prese la terra di quelli , la quale era impaurita per la
morte del re e per la fuga del popolo. E, tornando a Roma
vincitore, portò in Campido- glio l'armi del re. e edificò lo primo
tempio in Roma e sacrificollo sotto il nome di Giove Feretrio (
dove i capitani de' romani non portavano, quando erano vincitori,
se non la preda de' capitani vinti in singolare battaglia, la quale
elli chiamavano « grassa robarìa» ) ; dunque in quello luogo egli
appiccò l'armi del morto re, per esempio del tempo da venire, rado ma
grande dono di quelli che venieno dietro. I secondi che corsono nel
terreno de'romani furono gli aten- nati; e questi furono vinti e
perde- rono la terra: ma per prieghi.di Er- silia, moglie di
Romolo, la quale era una di quelle sforzate che portava a gli
orecchi del re i prieghi e i desi- deri dell'altre, ricevuti a
misericor- dia, vennero ad abitare a Roma. Da poi i crustumini ,
movendo elli la guerra , furono vinti leggiermente , crescendo ogni
dì la virtù di Romo- lo; e, venuti a Roma quelli ch'erano vinti,
crescendo Roma per li danni de'nimici. Fu più a fare colli sabini,
i quali quanto più tardi tanto più maturamente si moveano: presa
la rocca di Campidoglio, per tradimento d'una donzella figliuola di
Spurio Tar- peo ( il quale era castellano della delta rocca, dal
quale ancora è nominato quel monte in mezzo di Roma), fu dubiosa
battaglia, combattendo quelli dal luogo di sopra. Nella quale bat-
taglia mancando Osto Ostilio , il quale fue arditamente per la parte de'
ro- mani infino ch'elio potè, la gente de' romani tutta si cessò in
dietro, cac- ciando indietro eziandio Romolo il quale li
contrastava. E elli, non speran- do già più della forza umana,
dirizzan- do al cielo le armate mani, chiamando Giove com' elio
fosse presente, pre- gando o che gli togliesse la vergo - gaia del
fuggire vilmente, o eh' elli fortificasse gli abbattuti animi de'
suoi con celestiale aiutorio, fece voto di fare in Roma uno secondo
tempio a Giove Statore , secondo che piace agli scrittori; e, quasi
ricevuta la promis- sione dal cielo, fatto più ardito ri- storoe
con sollecita mano la battaglia già caduta, dicendo a'suoi
chiaramente che Giove comandava così. Per questo la sua gente,
seguendo lo esempio del suo re e il comandamento di Gio- ve, tornò
contro a'nimici, da' quali non speravasi ch'egli tornassino; e
combattendo innanzi a gli altri aspra- mente Romolo , essendo già mutata
la condizione della battaglia, quelli che incalzavano cominciarono
a fuggire. Intra i quali Mezio Curzio (secondo dopo il re de'
sabini , uomo famosis- simo e in quello di 'nanzi a tutti gli altri
in fatti e in virtù molto ardito) non sostenne il furore. Una
palude, ch'era presso, fu pericolo e salute a lui, nella quale
spaurito il suo ca- vallo furiosamente saltò con grande paura de'
suoi, ma confortandolo elli e mostrandogli la via, uscì fuori: e di
questo nacque il nome di quella palude, cioè «lago Curzio».
Uscitone fuori costui, gli animi crebbono a' suoi, e ancora,
bene che con varia fortuna contro a' sabini, corsono in- sieme. E,
sendo in questo stato, la pietà trovò via di non sperata pace.
Combattendo dall'una parte i mariti, da l'altra parte i padri, vennero
tra questi quelle eh' erano state sforzate; e , non considerando sé
essere femmi- ne , non temendo il pericolo, con prie- ghi pieni di
lagrime e misero abito, pregarono che fosse posto fine alla guerra
; e se voleano pure andare dietro , volgessono le spade più tosto
contro a quelle, le quali erano ca- gione della guerra , che,
uccidendosi insieme , bruttassono se di presente e per lo tempo a
venire bruttassero li figliuoli di quelle (dall'una parte essendo i
figliuoli, dall'altra essendo i nipoti) e dessono eterna infamia a
quelli che ancora non poteano pecca- re. Dall' una parte e dall' altra si
pie- garono gli animi e l'ira s'abbattè e, che maraviglia è a dire,
subitamente nell'una oste e nell'altra fu arrestato il romore
dell'armi e il gridare de' combattitori, sì umile ammirazione era
intrata per quelle rabbiose menti! E non potè lungamente stare
nasco- sta: le affezioni mutate incontanente uscirono fuori , e lo
riposo seguì a la pietà , e la pace seguì al si- lenzio; la
concordia fu fatta toccan- dosi i re le mani, e Roma maravi- gliosamente
crescette per lo venire de' sabini. E non meno crebbe Y amo- re
dell'una parte e dell'altra verso di quelle valenti donne, e innanzi a
gli altri di Romolo, il quale rendè loro grandi e debiti Onori.
Ancora restano due guerre. L' una colli fìdenati li quali, temendo
la potenzia della si- gnoria di Roma , la quale cresceva , e
avendola sospetta , per sé fecero la pruova che gli altri aveano fatta.
En- trando elli nel terreno de'romani come nimici , Romolo li andò
incontro , e puose il campo non lungi dalla terra de' nimici ; e ,
mostrando maliziosa- mente temere , condusse i nimici nelli
agguati : e di questo fu una non pro- veduta paura e uno subito
fuggire, in tanto che , mischiati insieme i vinti e i vincitori, le
guardie delle porte appena discerneano i suoi cittadini da' nimici;
e, entrati dentro , fu presa la terra. L'altra guerra fu con quelli
da Veio, li quali si mossono per amore de'fìdenati e per odio de'
romani, e questi, vinti in campo, e guasto il paese, dimandando pace,
fecero trie- gua per cento anni, perdendo parte del suo terreno.
Questi furono i co- minciamenti di Romolo , questo fu il corso di
sua vita e l' ordine de' suoi fatti ; per li quali, appresso quella
sal- varla generazione d' uomini e non ancora assai ammaestrati
animi del vulgo, egli meritò essere creduto ave- re alcuna divinità
per lo padre e per se. Uomo al quale non mancò animo né ingegnio-,
in battaglia glorioso, in casa savio: ordinò centurie del po- polo
e di cavaglieri, acciò che in ogni tempo di pace e di guerra elio
fosse niuno nega ch'elio non fosse inolio amato. Le opinioni
di questa cosa sono varie. Alcuni dicono ch'elio fu por- tato in
cielo e posto nel concilio delli dei, ma questo è gran salto a uno
uomo armato e gravato di peccati, bagniato di sangue e ignorante
del vero Iddio e della via del cielo; ma lo ardente e non temperato
amore sì fa credere ogni cosa. Dunque, ache- tata la tempesta,
essendo risposto da' senatori ( eh' erano stati d'intorno ) al
popolo ( disideroso di vedere il suo re e a pruova cercandolo ) eh'
elio era andato in cielo, affermando uno eh' e' lo aveva veduto, fu
creduto. E quello fu Giulio Proculo (uomo di grande nominanza
appresso a' suoi , secondo che si trova, e di grande san- titade e,
che manifesto è, di gran no- bilitade, come colui che, nato di re
albani, venne a Roma con Romolo e fue cominciamento della giente
de' Giuli); il quale, ardito di venire in palese, diede parola
d'allegrezza al popolo eh' era in tristizia , dicendo che in
quello medesimo dì Romolo, di- scéso da cielo in abito più che
d'uo- mo , era stato con lui, affermando eh' 3II0 aveva comandato a
lui (con gran- de tremore non ardito di guardare la sua faccia )
questo , cioè eh' egli dicesse a' suoi cittadini che onorassi- no
l'arti delle battaglie, essendo certi che ogni potenzia umana è
diseguale alla sua in fatti d'arme; e che la sua città, così piace
alli dei, sarà capo e donna di tutte le terre: e, dette queste
parole, levatosi da gli occhi montò in cielo. E queste cose furono
credute a Giulio il quale le contava e giurava, e lo dolore della
morte fue mitigato con lo consolamento della divinità, e l'ira, la
quale il popolo aveva concetta per la morte di sì caro re, fue
umiliata: così ogni uomo cre- de leggiermente quello ch'elli desi-
dera. Ma altri pensano che fosse morto da' senatori , veduto il buon
destro per la tempesta del tempo, e ch'elli il nascosono nel
pantano della palude, acciò che non apparisse alcuno segnio della
sua morte. Questa, chente dice Livio , è oscura fama , ma , come
piace a chiarissimi scrittori, certamen- te è vera; bene che, come dice
quello nel medesimo luogo , quell' altra fu nobile per
l'ammirazione dell'uomo e per la presente paura. Puossi forse
credere ancora quello che alcuni hanno pensato , eh' elio non fu portato
per divinità in cielo né in terra morto come uomo, ma eh' elio fu
morto per la lempestade e per lo furore della saetta (la cui forza
è ineffabile, e l' operazione è nascosa ) ; e questo es- sere
avvenuto a tutti quegli erano con lui, i quali, quanto elli erano
più presso , tanto erano smarriti più e impauriti. E la libertà è
di molte ma- ni nelle cose dubbiose , ma la verità è una sola, e
questa è profondamente nascosta della morte di Romolo come in molte
altre cose. Paolo Mattia Doria. Doria. Keywords: co-operazione, duelo –
duel, the duelists, cooperation – il sensismo, roma repubblicana, la
aristocrazia romana, Romo, Romolo, aristocrazia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Doria” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691226301/in/photolist-2mRXUKj-2mRgKq7-2mPsU62-2mPtnaL-2mNaHiH-2mLLZRD-2mLQc9e-2mLGvyP-2mKM3FF-2mKN88B-2mJd7nN-CjPzzS-BUZFh1-nZbmsv-o9VHCk-oae7Tt-o87Jj5-o8SgHN-nRMzbN-nRKeFQ-o5N5fn
Grice e
Dottarelli – l’implicatura di Musonio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bolsena).
Filosofo. Grice: “I like Donatelli; he is an Etruscan, from Balsena, and it’s
only natural that he is obsessed with the one and only Etruscan philosopher,
Musonio!” Si è formato alla Facoltà di Filosofia dell'Perugia, dove ha studiato
con Cornelio Fabro e si è laureato con una tesi sul dibattito epistemologico
del Novecento (K. PopperFeyerabend, I. Lakatos, T. Kuhn) sotto la guida di
Massimo Baldini. Si è poi specializzato in Filosofia all'Urbino, dove ha avuto
come maestri Italo Mancini e Pasquale Salvucci, con cui ha discusso una tesi
sulle implicazioni epistemologiche della filosofia di Immanuel Kant. Ha
insegnato nei Licei ed è stato docente a contratto di Filosofia della scienza,
Filosofia morale, Bioetica nelle Università della Tuscia, di Macerata e
Firenze. Ha sempre coniugato il lavoro didattico e di ricerca con
l'impegno civile. Per 13 anni consecutivi è stato Sindaco della città di
Bolsena (VT). Eletto la prima volta nel 1986, con una lista civica di sinistra,
è stato successivamente confermato nel 1990 e nel 1995. Dal 2005 al ha ricoperto il ruolo di Direttore generale
della Provincia di Viterbo e in tale veste, oltre al coordinamento e alla
sovrintendenza della gestione complessiva dell’Ente, ha avuto la responsabilità
diretta della formazione e organizzazione delle risorse umane, del percorso di
certificazione EMAS, del processo Agenda 21 locale e del progetto Arco Latino,
strumento per la definizione di una strategia integrata di sviluppo dell’area
del Mediterraneo. Con Pasquale Picone, filosofo e psicoanalista junghiano, nel
2004 è stato cofondatore della Società Filosofica Italianasezione di Viterbo,
di cui è attualmente vicepresidente. Nel
ha costituito il Club per l’UNESCO Viterbo Tuscia, di cui è
presidente. I suoi interessi teorici si sono rivolti all'epistemologia,
all'etica, alla filosofia politica e alla pratica filosofica. In Popper e il
gioco della scienza ha svolto un'analisi critica dell'epistemologia
falsificazionista, mostrando come l'ultimo Popper, pur rendendosi conto della
coerenza dello sviluppo evoluzionistico della propria epistemologia, arretrasse
e resistesse dal trarne le estreme conseguenze, restando fedele al paradigma
del razionalismo critico, difendendolo sino in fondo, ma con ragioni sempre più
deboli. Nei suoi lavori su Immanuel Kant (Kant e la metafisica come scienza,
Abitare un mondo comune. Follia e metafisica nel pensiero di Kant) ha
evidenziato sia il proposito kantiano di fondare come una scienza rigorosa la
metaphysica generalis, prima parte della metafisica come era intesa nella
tradizione razionalistica tedesca, sia il carattere che viene ad assumere la
metaphysica specialis, dopo la critica: un pensare congetturale e analogico che
è anche prassi, vita. In questa prospettiva la filosofia kantiana viene
valorizzata per la sua peculiare dimensione "cosmica", come «scienza
della relazione di ogni conoscenza e di ogni uso della ragione umana con lo
scopo essenziale di essa», e viene ricollegata alla filosofia come era
praticata soprattutto nell'antichità: arte di vivere, esercizio spirituale. Il
filosofo pratico, il maestro di saggezza tramite l’insegnamento e l’esempio, è
così «l’autentico filosofo», che, nel quadro della complessiva ed originale
riorganizzazione kantiana dell’orizzonte utopico di derivazione platonica e
rousseauiana, diventa esso stesso un ideale regolativo, al quale colui che più
si è avvicinato è stato Socrate, per via della sua esemplare coerenza di vita.
In Freud. Un filosofo dietro al divano, il lavoro del fondatore della
psicoanalisi viene letto come un episodio della lunga tradizione che ha
interpretato la filosofia come "medicina per l'anima". Il rapporto di
Freud con la filosofia si nutre di una profonda ambivalenza: da un lato
un'irresistibile attrazione; dall'altro quasi la necessità di rassicurare se
stesso e gli altri su una propria «incapacità costituzionale» (Autobiografia,
1924) alla pura speculazione e sulla sua ferma volontà di sottrarsiproprio lui,
formidabile affabulatoreal fascino delle narrazioni filosofiche. La riflessione
di Freud non trascura nessuna delle dimensioni fondamentali della ricerca
filosofica. Neanche quella teoretica, volta a costruire visioni complessive
dell’uomo e del mondo; quella che gli appare la più rischiosa, perché la più
astratta, la più esposta alla frequentazione della metafisica e della
religione, sempre in procinto di cadere nella trappola della verità assoluta.
Più a suo agio Freud si sente invece nel lavorare lungo un'altra linea
d’impegno tradizionale della filosofia: la riflessione critica sui saperi e
sulle pratiche umane. Nell'opera di smascheramento dei meccanismi con cui le
ideologie e le prassi individuali e sociali ammantano la loro miseria “umana,
troppo umana”, le potenzialità della psicoanalisi si esprimono al meglio.
Masecondo l'interpretazione di Luciano Dottarellila fatica intellettuale di
Freud trova la propria collocazione più appropriata nella dimensione della
ricerca filosofica che interpreta se stessa come un’attività in cui l’uomo si
dedica alla cura e alla fioritura di sé, alla coltivazione della propria
umanità. Questa dimensione della filosofia come arte di vivere è stata
approfondita da Luciano Dottarelli attraverso la ricostruzione della vita e del
pensiero del filosofo stoico Musonio Rufo nella monografia su Musonio
l'Etrusco. La filosofia come scienza di vita. Testimonianza della vitalità
della tradizione culturale etrusca in epoca romana, la filosofia di Musonio è
espressione significativa di quel crogiolo di idee ed esperienze di ricerca
della felicità che è l'ellenismo della tarda antichità, in cui si rispecchierà
poi la civiltà medievale e soprattutto quella umanistico-rinascimentale.
Musonio ha dato il tono di fondo all'impegno prevalente nella tradizione
filosofica della Tuscia: ricerca di una scienza di vita, studio di perfezione,
imitazione di Dio, àskesis, esercizio per sviluppare la conoscenza e la
coltivazione di sé, finalizzata alla fioritura dell’autentica esistenza umana.
L’adesione del filosofo di Volsinii allo stoicismo è decisamente sotto il segno
di Socrate: la filosofia può proporsi come arte regia in quanto, in primo
luogo, è arte di governare se stessi. L’ideale dell’autosufficienza del saggio
si traduce nella predilezione per l’agricoltura, come attività più appropriata
per il filosofo. «La terra in effettiaffermava Musonioricambia con i frutti più
belli e più giusti coloro che si prendono cura di essa, dando molte volte tanto
quel che riceve ed offrendo grande abbondanza di tutto quanto è necessario per
vivere a chi ha la volontà di faticare: e tutto questo con decenza, nulla di
ciò con vergogna». Ad un analogo sentimento di appartenenza al cosmo e ad un
profondo rispetto per gli altri esseri umani e per tutti i viventi, sono
ispirate anche le sue riflessioni sui rapporti sociali, sulla schiavitù, sulle
donne, sulla nonviolenza, sull'alimentazione, sul vestire e sull'abitare.
Riflessioni che Musoniosecondo la concorde testimonianza dei contemporaneiseppe
tradurre con coerenza esemplare in una efficace pratica di elevazione
spirituale, diretta a coinvolgere, insieme, il corpo e l’anima. Sobrietà,
rispetto, universalità e condivisione sono le parole di riferimento di una
visione etica che anticipa in modo sorprendente istanze fondamentali della
moderna sensibilità ecologista. La visione della filosofia come arte di
maneggiare gli assoluti è approfondita nel libro Maneggiare assoluti. Immanuel
Kant, Primo Levi e altri maestri. «La filosofiasostiene Luciano Dottarelli anche
quella più incline a farsi coinvolgere nell'impresa di estinguere la sete
dell’assoluto, contiene in sé, nella propria vocazione alla ricerca di una
comune verità mediante il dialogo, un antidoto indispensabile al rischio
distruttivo che può annidarsi in ogni tentativo umano, tanto umano di cogliere
la totalità, l’infinito, Dio. Anche le grandi tradizioni religiose, quelle che
da secoli sono impegnate a tracciare sentieri, trovare parole, celebrare
liturgie per saziare la fame di assoluto che agita il cuore e la mente degli
uomini non possono fare a meno di intessere un intenso dialogo con questa
tradizione di ricerca, soprattutto nei momenti cruciali, quando diventa urgente
addomesticare i dèmoni che una frequentazione inadeguata del sacro può evocare.
Dèmoni che portano il nome di fanatismo, intolleranza, totalitarismo e di cui
la storia degli uomini alla ricerca della verità assoluta, della totalità
autentica ed incondizionata, dell’esperienza integrale è purtroppo costellata.
La consapevolezza che anche la filosofia non possa dichiararsi storicamente
innocente, non cancella ma spinge a ritrovare sempre di nuovo la vocazione più
profonda di quest’originale forma di esercizio spirituale: una ricerca
appassionata del bene e della verità, capace di resistere alla suggestione del
possesso compiuto e di mantenersi in quella apertura alla possibilità
dell’errore che è presidio di autentica libertà per sé e per gli altri».
Altre opere: “Il gioco della scienza” (Massari); “Metafisica non scienza”
(Massari); “Abitare un mondo comune: follia e metafisica nel pensiero di Kant
(Introduzione al Saggio sulle malattie dell’anima di I.Kant” (Massari); “Utopia
e ragione come luoghi del incontro dell’ego ed il tu”, in Le ragioni della speranza” (La Piccola
Editrice); “L’assoluto e il relative” (Il Prato); “Musonio” (Annulli Editori); Freud.
Un filosofo dietro al divano, Annulli Editori,
Riverberi Di Tuscia e d’altro, Annulli Editori); “La farfalla dell’anima
e la libertà, Armando Editore. ETRUSCO MUSE® CHIUSINO
DAI SUOI POSSESSORI PUBBLICATO CON AGGIUNTA DI ALCUNI
RAGIONAMENTI DEL PROF. DOMENICO VALERIANI E CON BREVI
ESPOSIZIONI DEL CAV. ai© smagata PARTE
PRIMA. POLIGRAFIA FIESOLANA A SUA ECCELLENZA IL SIG.
MARCHESE ANGELO CHIGI LUOGOTENENTE GENERALE E
GOVERNATORE DELLA CITTA’ E STATO DI SIENA CAVALIERE DELLA LEGION D’
ONORE DI FRANCIA CONSIGLIERE INTIMO ATTUALE DI STATO, FINANZE E
GUERRA CIAMBELLANO DI S. A. IMP. E REALE IL GRANDUCA DI
TOSCANA PRESIDENTE DELL’ ACCADEMIA DEI FISIOCRITICI E DELLA
DEPUTAZIONE DEL PIO DEPOSITO DI MENDICITÀ’ CHE LO SPLENDORE
DELLA FAMIGLIA NOBILISSIMA DA CUI DISCENDE CON TANTE EGREGIE
DOTI SOSTIENE ED ACCRESCE E DELLE ARTI LIBERALI CULTORE E
FAUTORE CALDISSIMO SI MOSTRA QUESTA RACCOLTA DI ETRUSCHI MONUMENTI
CHIUSINI CANDIDAMENTE E CON GIOIA 0. D. C. GLI
EDITORI P. B. C. C. F. S. C. A. M. P.
F. D. ri si trova itna mirabile abbondanza di marmi
finissimi con¬ sistenti in colonne antiche di granito nero e dell’ Elba
e d’Egitto, di granito rosso del più compatto, di cipollino
orientale, e d’altri marmi duri e fin anche di breccia d’ E- gitto, di
che va ricca ed ornata la cattedrale, ove son po¬ ste in uso con
antichissimi capitelli di gusto squisito. Anche sparsamente per la città
s’incontrano in copia marmi duri o eretti in usi decorativi o depositati
a parte e non ancora posti in opera. Non mancano monumenti di romana
scultu¬ ra di raro pregio in basso e tondo rilievo, tra i quali
splen¬ de un sarcofago colla caccia di Meleagro, ed una assai bella
testa di Augusto nel palazzo episcopale, e nelle case P aolozzi. Le
antiche iscrizioni lapidarie son pur frequenti per la città sparsamente.
E poi sorprendente il numero dei sotterranei che s’incontrano sotto le
fabbriche del paese, e sono per ordinario eseguiti di ben connesse pietre
quadra¬ te assai grandi. Rieca è pure la città di avanzi di fabbri¬
che antiche romane, parte delle quali si giudicano bagni. Ed in vero non
sembra che di tali pubblici comodi mancar do¬ vesse un paese, ove si
trovano s or genti ab b ondantis s im e di acqua potabile, e delle quali
non ha guari e stata fatta bel¬ la scoperta dal nobile sig. Flavio
Paolozzi, in alcuni spa¬ ziosissimi sotterranei, da luì aperti, ove non
ancora si è osato avanzarsi attesa la co nfu sione dei loro sentieri
nu¬ merosi e feraci di sorgenti, che per via di canali antichi di
piombo somministravano per quanto apparisce, acque ab¬ bondanti e perenni
all' antica città. Ma ciò che maggiormente sprona la curiosità
degli eru¬ diti è il visitare nel territorio di Chiusi gli etruschi
se¬ polcreti, dove fu trovato quanto di più mirabile conserviamo
nei nostri musei, mentre non senza una qualche almen lon¬ tana emulazione
col famigerato sepolcro di Porsenna eretto un tempo in questa nostra
patria, presero i suoi citladini etruschi l'esempio di rendere le lor
tombe in vario modo as- PREFAZIONE ?
J-Ja dovìzia dì antichi monumenti d’arte nell' etrusco cit¬ tà di
Chiusi nostra patria, non ha guari trovati, e nei nostri musei custoditi,
ci ha fatto sospettare che saremmo giusta¬ mente ripresi, qualora tal
dovizia si tenessè fra noi mede¬ simi inosservata ed inutile all’
incremento della scienza ar¬ cheologica. A ciò credemmo sufficiente
riparo di offrir li¬ bero accesso a chi volesse que’ monumenti osservar
con a- gio nelle nostre private collezioni. Ma riflettendo poi che
la più gran parte degli eruditi, cui non è dato il potersi reca¬ re
personalmente a Chiusi, restavan privi del bene di co¬ noscere questo
ramo speciale di etruschi monumenti: cosi a sodisfare anche questa
numerosissima classe di eruditi, non crediamo che trovar si potesse
miglior divisamento di quello da noi già compito, di far disegnare con
fedeltà mas¬ sima i monumenti più ini ere s santi, che possediamo, e
quin¬ di a nostre spese farli incidere in rame in dugento sedici
tavole distribuiti , raccomandandone l'edizione al cavalier Francesco
Inghirami. A tale nostro invito egli non solo ha cortesemente aderito c
oli’ ine arie ar s ene per nostro conto, ma si è compiaciuto inoltre di
venir più volte da Firenze a Chiusi per confrontare i disegni coi
monumenti originali ,• e ci ha fatto inoltre il dono da noi gradito delle
brevi in- terpetrazioni che abbiamo apposte a ciascun monumento ,•
al che abbiamo aggiunto anche alcuni ragionamenti, donatici
dall’egregio sig. prof. Valeriani nostro concittadino. Chi ha per
le mani l’ opera che ora pubblichiamo, non creda già di conoscere, p e'
suoi rami, tutti i monumenti an¬ tichi di Chiusi, mentre n’ è assai più
dovizioso il paese. Qui ì ti dì quei di
Tarqui ni a, fo rse perchè ne fu inventore un di-' verso
architetto• Nell’annoverar che facciamo de monumenti antichi più
insi¬ gni di nostra patria, non è da pretermettersi che in vicinan¬
za della città rèsta sotto una collina di tufo breccioso verso l Oriente
un cimitero antico di cristiani, eh’è noto sotto la denominazione di
Catacombe di s. Mus tio la Vergi¬ ne e Martire, inclita patrona della
città e della diocesi- Questi sotterranei non solo servivano alla
sepoltura de’ cri¬ stiani, e in specialità dei martiri, ma nel giorno di
festa e nel natalizio dei Santi vi si raccoglievano per celebrarvi
i divini misteri, ivi oravano, ivi stavano refugiati nel mag¬ gior
impeto della persecuzione, a scansar la rabbia dei ti¬ ranni, come
descrive un nostro concittadino che di tali sot¬ terranei h a ragiona to
eruditissimamente, L'abbondanza delle cristiane iscrizioni che spettano a
questorispettabile sot¬ terraneo, notante dal prelodato relatore, lo
rendono anche più degno dell'attenzione d'ogni erudito. Il libretto che
a memoria di ciò egli ha scritto con somma eleganza e dot¬ trina,
dove si trova incisa inclusive la piant a dell 1 2 ampio sotterraneo,
oltre le iscrizioni ivi adunate e illustrate ',e l’altro libretto di non
inferior merito, scritto da vari eru¬ diti, circa il già nominato
monumento sepolcrale del Pog- gio al-moro 1 , forma insieme colla
presente opera l’ informa¬ zione di quanto crediamo ess er su ffidente ad
erudire i cul¬ tori dell' archeologia circa le antichità osservabili di
Chiu¬ si nostra patria. 1 Pastumi, Relazione di un antico
cimitero di cristiani, in vicinanza della città di Chiusi con le iscri¬
zioni ivi trovate. Montepulciano 1 833 - 2 Sepolcro Etrusco
Chiusino illustrato nelle sue epigrafi dal Prof. Gio. Batt. Vermigliolì, con
l’aggiunta di una memoria del sig. Giuseppe del Rosso sulla parte
architettonica dello stesso monumento ed una lettera del sig. Dolt.
Francesco Orioli. Sta anche negli opuscoli del Vermigliolì ec. Voi. IV,
Pe¬ rugia 182S, pag. 5 . VII
sai magnifiche e ricche d' oggetti d'arte. Si è reso celebre fra
gli altri l ipogeo situato in un possesso della g ra ridu¬ cale fattoria
di Dolciano, il quale conserva in se stesso un antico modello rarissimo
di fabbrica etrusco, perchè a dif¬ ferenza degli altri scavati nel tufo,
questo vedesi edificato di travertini tagliati regolarmente, e situati
senza cemen¬ to m volta arcuata di tutto sesto, e da varie urne
cinerarie occupato, le quali hanno in fronte sculture vaghissime ed
epigrafi etru s che, dalle quali resulta essere stato questo se¬ polcro a
più famiglie comune. Altri non meno importanti ipogei scavati nel
tufo si os¬ servano in varie pendici del monticello, sul quale era ed
è tuttora la nostra città. In alcuni di essi, con animo di so¬
disfare Valtrui erudita e commendevole curiosità, i proprie¬ tari
lasciarono in parte i monumenti meri facilmente amovi¬ bili, acciò sia
noto come e con quali riti vi fossero deposi¬ tati fin da quando ve li
posero gli Etruschi. Fra questi ipogei, mediante le nostre indagini
fin ora sco¬ perti, due soli noi trovammo scavati regolarmente nel
vivo tufo m guisa di camere e dipinti : l’uno aperto nel maggio del
1827 in un podere chiamato P o gg io-al-moro , l altro nel maggio del 1 8
3 3 in alt ro podere detto il C olle , le cui pit¬ ture son riportate in
quest’ opera. Pare che lo stesso pittore li dipingesse ambedue, ma l’
ultimo aperto si conserva assai meglio, forse perchè l’adiacente suolo è
men’ umido . I sog¬ getti quivi dipinti son pure i me des imi in amb edue
gl’ ip 0 gei ; nòdi {feriscono granfatto, si nello stile, si. nel metodo
del dipinto, e sì nel s og g ett o iv i Ir att ato dalle pitture
dellegrottecornetane, che si altamente sono state encomiate . E probabile
che in questi due sotterranei dipinti vi fossero depositati oggetti
di prezzo ragguardevole, e perciò dagli stessi antichi deru¬ bati, perchè
non vi è stato trovato quasi nulla, specialmente in quél sepolcro che
l’ultimo è stato scoperto. È poi sin¬ golare, come i soffitti intagliati
nel tufo sieno più elegan- lei il loro cognome anche gli altri re
etruschi, cosi esprimendosi quel dotto ed ingegnoso poeta .
Nomina videbis, modo namque Petulcius idem, Et modo sacrifico
Clusius ore vocor. Questa già potentissima città, che fu detta
Camars nella lingua dei nostri padri, ( il qual vocabolo però significa
lo stesso che il più moderno Clusium, imperocché le dué voci ca, e mar, o
mars, che lo compongono, vengono interpe- trate, chiuso dalle paludi );
Che la nominarono pure Chiamarle, e Camarsoli , Tito Livio, Eutropio , ed
Antonio Sabellico, diede luogo a molte dispute fra gli eruditi per
determinare se annoverar si dovesse fra le dodici antiche città etruschs,
capi di origine-, ma le ragioni addotte in contrario non montano a nul¬
la di fronte all’ unanime consentimento di tutti i più accreditati scrittori
antichi, e moderni, che lo affermano. Ed lo sorto persuaso che non
manchino autorità bastanti a provare, che non solo ella fu una delle
dodici città capi d’ origine, delle quali era composta la famosa, ed
antichissima confederazione etnisca re¬ sidente a Fiesole, che risale per
autorità di molti gravissimi scrittori, a 2o5o. an¬ ni circa prima dell
era volgare, ma che avesse puranco l’ onore di tener lunga stagione lo
scettro sii tutta l’Etruria, come lo afferma il dottissimo Dempstero, che
sostiene avervelo ella tenuto per 5qo anni di seguito- Di fatti
anche Virgilio, parlando di Chiusi -, nomina un suo re chiamato Osi- nio,
la cui età è molto antica, essendo quello stesso che trovassi impegnalo
nel¬ le guerre eli ebbe a sostenere il Frigio Enea in Italia, contro
Turno, ed i Ru¬ llili , prima di stabilire i suoi penati in questa bella,
e da tutte le straniere na¬ zioni ambita penisola. Ma anche molto avanti
che quel Troiano quà navigasse, aveva avuti Chiusi i suoi regnanti,
poiché si annovera Osinio trentesimo sesto * dei regi Etruschi. Ciò che
basta a togliere l’onore della fondazione di tal città, a Tirreno, a
Telemaco, e a Clusio . Che poi continuasse Chiusi a fiorire in
potenza, ed in ricchezze, ed anzi Salisse ognora a maggior altezza nell'
una e nelle altre, dai tempi troiani fino a quelli in cui fu scacciato
dal trono Tarquinio Superbo, ne fanno chiara fede gli storici, ed. i poèti.
Imperocché Tito Livio nel secondo libro della prima deca, narra che i
Tarquinii espulsi da Roma, eransi rifugiati presso Larte Porsena re di
Chiusi. Ed aggiunge lo stesso storico, al luogo citato, che giudicando quel
va¬ loroso monarca nobilissima impresa per lui l’ includere quella
metropoli nei suoi domimi, mosse a quella volta con poderoso esercito
grandemente inanimito con¬ tro i Romani, ed avendo posto il campo sul
Gianicolo, cinse la città et asse¬ dio, e tanta costernazione vi sparse,
che mai prima d’ allora sì gran terrore aveva invaso il senato, ed il
popolo romano . Cotanto formidabili erano in quel tempo le genti
chiusine, e sì grande e temuto suonava per le terre italiche il nome di
Porsena . DELL’ ANTICA CITTA DI CHIUSI
RAGIONAMENTO DEL PROFESSORE li impresa malagevole
assai quella di rintracciare le origini delle antichissime città
italiche, i cui fondatori si perdono, per lo più, nel buio delle età favolose .
E quanto furono esse più cospicue, e più potenti, per valor d'armi, e per
senno dei loro abitanti, per sapienza, e per arti belle, tanto cresce la
difficoltà di poterne rinvenire con sicurezza , e fissare i cominciamenti
• Avvegnaché i poeti singolar¬ mente, seguiti poi dagli storici ancora,
assumendosi l' incarico di celebrarne i pregi, e cantarne le lodi, pare
che siansi fatto uno studio esclusivo di nasconderci il vero. Questa
sorte pertanto è comune con molte altre anche alla nostra famo¬ sa
Chiusi. Tuttavia, benché io non dissimuli a me stesso, che ben
aspro e certamente il cammino, in che sono entrato , e tale forse ancora
da non trarmene fuori senza pericolo di smarrirmi tra vìa -, pure non so
astenermi, spintovi da quel caldo amor patrio, che mai non tace negli
animi bennati, dallo scrivere alcuna cosa intorno alla città di Chiusi .
E tanto più volentieri lo faccio, m quanto che pubblicandosi un'Opera ove
non sono raccolti che antichi monumenti chiusini , non giudico
disdicevole che vi si legga, cosa fosse nei vetusti tempi quella si
splendida, e si rinomata città. Lasciando pertanto da parte , come,
e quando cominciasse ella ad esistere, se Tirreno, o Telemaco ne ponesse
le fondamenta, come pretesero alcuni scrittori, o sivvero Classo re degli
Etruschi, che si vuole da altri che fosse figlio di un secondo Tirreno, e
se ne riguarda come il fondatore esso pure, ( ed io lo direi meglio
arnpliatore, e ristauralore della medesima, benché s’ ignori in qual
secolo ciò avvenisse ) , egli è fuor d' ogni dubbio che questa città risale
ad una remotissima origine . Lochè peraltro discoprire volendo, e
stabilir con cer¬ tezza, sarebbe lo stesso che mettersi a navigare in un
mar senza sponde. Per lo che, scenderò ad epoche meno lontane, e
più certe, quando già la città di Chiusi teneva ampio dominio sull'
antica Etruria. Mentre pare da un distico che si legge nel primo libro
dei Fasti d Ovidio, che prendessero da Elr. Mas. Chius. Toni . I. 5
4 —- zo coll' uccisione del Console Lucio Cevìlio , e
di 3 ooo soldati, furono dalla valida l'esistenza dei Chiusini obbligati
ad abbandonarne l'impresa, e spingersi a sciogliere il freno ai loro
furori contro Roma. Lo che narrasi da Lucio Floro nel primo libro della
storia romana , e possono consultarsi ancora su questo pro¬ posito,
Diodoro Siculo, e Polibio. Ne fa pure un cenno Plutarco nella vita di
Numa Pompilio, e ne parla più a lungo in quella di Camillo . Anche
la risposta , che lo storico di Cheronea fa pronunziare con barbara
confidenza da Brenna condottiero dei Galli, agli ambasciatori romani, che s'erano
a lui recati per chiedergli ragione a nome del Senato, del suo procedere
verso i Chiusini, infestandone i possessi, disertando i campi, e
minacciando la città, ne fa viepiù chiara testimonianza intorno alla
celebrità, ed opulenza della me¬ desima, essendosi cosi espresso quél
fiero conquistatore. Ci fanno manifesta in¬ giuria i Chiusini, come
coloro che ambiscono di possedere una estensione di compagne, molto
maggiore di quella che possono coltivare, e superbamente ri¬ cusano di
concederne una porzione a noi forestieri , che siamo in gran nume¬ ro , e
poveri. Circa la fertilità poi dell’ agro chiusino, leggasi Plinio
libro 18°. capo 7 °, ove ne loda il frumento, cosi per la qualità sua,
come per la quantità che ne produceva. E Marziale erasi prima di lui nell
ottavo epigramma del i 3 .° libro espresso in tal guisa « Imbue plebejas
clusinis pultibus ollas jj. Moltissime altre autorità di antichi
scrittori avrei potuto raccogliere , onde mettere in più chiara luce, ed evidenza,
la grandezza, e V opulenza della città di Chiusi iti remotissimi tempi,
la potenza dei suoi re, il valoroso coraggio, e l'operosa industria dei
Suoi abitanti, t libertà del suo territorio, e lo splen¬ dore che la rese
tanto famosa per lunga serie di secoli ,• ma stimo che bastino le già
riferite, ed i pochi cenni che ne ho dati, per farne concepire, a, chi
vorrà leggere questo ragionamento, una giusta, e non umile idèa. Nè
poteva d’altronde dilungarmici gran fatto, attesa V indole di quest'
Opera, e la bre¬ vità della periferia , cui ho dovuto perciò ristringermi
nel comporlo. Mi contenterò dunque di aggiungere, che venendo
puranco ad epoche a noi più vicine, dopo lo smembramento dell impero
romano per opera dei Longobardi, ebbe Chiusi, benché decaduta immensamente
dall’ antico suo lustro, il titolo di Ducalo; leggendosi presso Anastasio
bibliotecario in s. Zaccaria, verso l’an¬ no 742 dell’ era cristiana, che
Liutprando mandò ad ossequiarlo il suo nipote Agiprando, 0 come leggesi
in altro codice Adelprando, duca di Chiusi. Il qual fatto viene riferito
egualmente dall’ autore dell’ Etruria Regale. Ed anche giunta la
citta di Chiusi all estrema sua umiliazione, rimase ogno¬ ra città
vescovile, come lo è tuttavia, e fregiata di assai privilegi . E si legge
in un manoscritto che tratta di cose etnische, e conservasi nella
libreria Rondoni JlcJlklh che circa l'anno 676 di nostra salute n' era
vescovo un tal Teodosio. Ricavasi pc-i dal decreto di Gregorio, cap. 9.°
delle costituzioni, che l' anno 3
II qual fatto confermano, oltre Polibio, Dionisio d’ Allea mas so , ed
altri Storici, anche sant’ Agostino nella sua Città di Dio , Sidonio
Apollinare, Chili- diano, Orazio Fiacco, Marziale, Tzétze , e molti
altri. Nè parrà strana una si gran potenza dei chiusini, ed una
tanta opulenza , a chiunque facciasi a riflettere ai magnifici e sontuosi
edifizi, dei quali Chiusi adornavasi. E basterà riferire a questo
proposito la descrizione del labennto fattovi costruire dallo stesso
Porsena, perchè gli servisse di sepolcro, e che si legge in Plinio al
capo decimo terzo del libro trentesimo sesto , ove riporta, co/n’ ei
dice, le parole stesse di Marco V àrrone . Fu sepolto , scrive
egli, questo monarca, sotto la città di Chiosi ove erasi fatta inalzare
una tomba di larghe pietre quadrate, e compresa da quattro lati, o muri,
ciascuno dei quali estendevasi per trecento piedi in lunghezza , aven¬
done cinquanta di altezza. Nell’ area interna di nove mila piedi,
raggravasi un inestricabile laberinlo, nel quale chi si fosse introdotto
senza un gomitolo di filo, non avrebbe potuto ritrovare la strada onde
uscirne. Ergevansi poi sopra il vasto quadrato cinque piramidi, quattro
negli angoli , ed una nel mezzo, larghe alla base, ciascuna setlantacinque
piedi, ed alte centocinquanta. Slava nella cima dì ognuna di esse un
grosso globo di bronzo, sovrappostovi un petaso, dal quale scendevano
varie catene, cui vedevansi sospesi dei campanelli mobili, e sonanti
quand’ erano agitati dal vento, come raccontasi pure del tempio di Do-
dona. Sulla cima delle grandi piramidi ne sorgevano altre quattro alte
cento piedi', sopra le quali era praticato un piano, ed in esso pure si
alzavano altre cinque maggiori piramidi, che secondo gli annali degli Etruschi
veduti da f ar¬ ro nc, erano tanto alte, quanto il rimanente dell’
edifizio . Ora domando io : a qual potenza, ed a quanta ricchezza
doveva esser sa¬ lita la città di Chiusi, onde concepir potesse un suore
, e condurre ad effetto la superba idea di fare erigere una fabbrica di
questa sorte, per servirsene* di sepoltura , quando ancora si voglia
credere esagerato un tal racconto ! E veramente, o esagerazione, o
stranezza vi è certo, nella surriferita descrizione, giacché è più
agevole il disegnare quelle piramidi sulla carta, come saviamen¬ te
riflette anche il Pignotti, che il trovar la maniera di farle stare in
piedi. Tuttavia però , benché debbasi ridurre la cosa a più
ristretti, e più giu¬ sti limiti', conviene non pertanto ammettere, che
la tomba di Porsena fosse una fabbrica sorprendentissima, e tale da
superare di gran lunga quanto di più grandioso fece ammirare V umana
vanità nei trascorsi tempi, o si ammira pu¬ re nei nostri, presso le
altre nazioni, se non per altro per la singolarità della sua costruzione,
e per la gigantesca sua mole-, poiché tal cose possono ingran¬ dirsi
bensì dai narratori di esse, ma inventarsi non mai. Nè meno
splendida è da credere che fosse la nostra città, nè inferiore la sua
potenza 284 anni più tardi, quando scesero in Italia i Galli Senoni■
Avvegna¬ ché avendola quei barbari cinta d’ assedio, dopo aver battuti i
Romani ad Arez- 5
iig8, il pontefice Innocenzo III scrisse al vescovo di Chiusi, benché se
ne taccia il nome nel luogo donde ho tratta questa notizia. E
finalmente narrano, il Surio tomo l\ , e 1 ‘ Usuando nel Martirologio,
che il dì 3 di luglio, imperando Aureliano, vi conseguirono la palma del
martirio i santi Mustiola cugina dell' imperator Claudio ed Ireneo diacono,
i cui corpi so¬ no esposti alla venerazione dei fedeli nella stessa città
1 . i Non solamente gli antichi monarchi , ed i grandi
Chiusini avevano le loro tombe gen¬ tilizie ; ma le private famiglie
eziandio , e queste più c meno grandiose, a seconda del¬ la propria
condizione e ricchezza, come ne fan fede tutti quegl ’ ipogei, che
sortosi in buon numero dissepolti finora . E non di¬ spiacerà ,
cred ’ io , agli amatori delle cose etrusche , il sapere in qual modo
discopronsi cotali sepolcreti . Nei trascorsi tempi era stato
il solo caso l'au¬ tore di simili ritrovamenti , poiché ì conta¬
dini arando la terra si abbattevano di tempo in tempo in alcuno di essi,
senza cercarne. Ma da varii anni a questa parte , la cosa ha
cangiato d 3 aspetto e si è determinata la maniera di rinvenirli a colpo
sicuro , ed eccone il metodo . Avendo osservato alcuni
signori Chiusini, co¬ me , e dove erano situati gl ipogei
discoperti dal caso, pensarono di fare dei tentativi, sag¬ giando
il terreno , per discoprirne degli al¬ tri espressamente cercandoli , ove
se ne ri¬ scontrasse del sovraimpostoj ed i primi saggi \ per
essi sperimentati, sortirono un felicissi¬ mo effetto .
Questi diedero loro animo a procedere ai secon¬ di , e quelli ai
terzi , e così ad altri di ma¬ no in mano . Di modo che nel corso di
pochi anni se ne scoprirono in tal quantità , che alcuni dei
sullodati signori , come fra gli altri, Casuccini, e Sozzi, arricchirono
, o formarono di pianta, ragguardevoli collez- zioni , di urne
funebri , vasi , specchi mistici, idoli , sitale , scarabei, ed altre
interessan¬ tissime anticaglie. Le quali collezioni si vanno pure
di giorno in giorno aumentan¬ do , mediante i nuovi scavi che si
continua¬ no sempre a fare con caldissimo amore di patria ,
e senza risparmio di spese. La qual cosa, se e lodevole in un governo, lo
è mol¬ to più nella condizione privata . Che al nascimento
del cristianesimo, ed al tem¬ po della propagazione di esso , fosse
Chiu¬ si tuttavia una rispettabile città , e fra le prime ad
abbracciare la fede evangelica, si deduca ancora da quanto sono per dire
. Nelle catacombe che si trovano situate alla distanza di
circa un mezzo miglio dalla cit¬ tà medesima , e delle quali fanno menzione,
V Ughelli , il Boldetti , ed altri, essendosi di recente intraprese delle
escavazioni , che si vanno proseguendo con ardore, sono stale
riaperte molte strade, ove si è rinvenuto un numero considerevolissimo di
sepolcri murati a più ordini , che saranno ben presto for¬ malmente
aperti. Nei quali, se per mancan¬ za di autentiche non si potrà asserire
con sicurezza che vi siano siati sepolti corpi di Santi Martiri ,
non può dubitarsi però che abbiano servito di tomba ad individui
della primitiva cristianità . In alcuni di essi trovati
discoperti si è osser¬ vato essere state deposle in ciascuno le
ossa d{ due o tre individui : lo che mostra ad evidenza che fosse
grande in quei tempi il nu¬ mero dei cristiani in Chiusi , venendo
ciò infermato dall ’ essersi colà diretti dalla stessa Roma,
diversi seguaci della nuova re¬ ligione , fra i quali la surriferita
Vergine Mustiola, e dall 3 avervi spedito l* imperatol e Aureliano
un suo Prefetto per nome Par¬ do A promano, affine di perseguitarvi i
Cri¬ stiani -, e non pochi di essi vi subirono il martino , come t
due santi nominati qui sopra . 8 le anime
goduto dopo ch’elleno son separate dal corpo. Furon varie presso gli
antichi le maniere di figurare un simile godimento, e noi vediamo
frequentemente nelle pitture dei vasi fittili, e ne’bassirilievi alcune
imbandite mense, i cui commensali starinosi lautamente bevendo a! suono
di piacevoli strumenti, poiché prevaleva presso di loro la massima che il
premio concesso alle anime beatificate era il godimento di una eterna
ubriachezza. Al pari dissoluta sembra l’altra massima degli Etruschi i
quali fanno consistere tal beatitudine nel libero consorzio di ogni
senso, per cui si vedono replicatissime pitture nei vasi etruschi d’un
satiro ed una menade, ai qual soggetto si dà nome di baccanale. Men
dissoluta è 1’ im¬ magine del Chiusino scultore antico di quest’ara, ove
al suono di variati stru¬ menti ci rappresenta una mimica danza,
replicato soggetto nelle sculture più an¬ tiche di Chiusi a . Il rilievo
di questa è bassissimo, al pari dell’antecedente, e il disegno è
parimente un terzo del suo originale. TAVOLA VI. JSum.
j. Tra le molte immaginette in bronzo che trovaronsi nelle terre degli
Etruschi rappresentative della Speranza se ne incontrano alcune alate come la
pre¬ sente. Le ragioni che mossero questi popoli ad ammettere le ali alla
Speranza, son da me dichiarate nello spiegare i Monumenti etruschi, non
meno che il si-' gnificato della veste che tiene scostata dal fianco K
Qui soltanto ripeterò breve¬ mente, che gli Etruschi hanno spesso confuso
la Speranza colla Nemesi, dando all’ una ed all’ altra le ali Ma la
Speranza, a differenza di Nemesi, contrae la veste per aver più spedito
il passo, onde mostrare con quanta ansietà 1’ attende chi spera 5 . La
mano elevata suole averè altresì qualche simbolo o significato, ma di
questa nulla diremo per esser guasta; e solo avvertiremo esser questo
disegno uguale in grandezza al suo originale. JSum. 2 . Lo
scarabeo rappresentato in questo num. 2 , ha una figura scolpita
rozzamente al segno da mostrare una sola gamba, sebben sia nuda in tutto
il corpo. Il petto è delineato in guisa che addita esser donna,- e
qualora interpetrar si volesse quel che tiene in mano, direbbesi non impropriamente
un pomo gra¬ nato, sicché il combinare con tutto ciò l’atto di stare
assisa ci potrebbe far cre¬ der che fosse Euridice o Proserpina, entrambe
dimoranti all’ inferno, dove figu¬ rasi assiso chi vi è destinato, per
mostrar cred’ io la stanchezza di quella dimora. Così Teseo condannato
all’ inferno fu non solo così rappresentato dagli Etruschi 6 , 1
Ivi, ser. i, 4i2. 5 Ivi, Ragionamento ìv , p. 17 5 , sq., e cap. u,
2 Micali, Monuments ant. pour l’ouvrage inlilulé p- 110. sq.
l'Italie av. la dommation des Romains, pi. xvih, 6 Lanzi, Saggio di
lingua etrusca, tom 11, tav. Vili, 3 Monum. Etruschi; ser. nij p.
202, sq. n. 2, p. lai» 4 Ivi, p. ao 5 .
ETRUSCO 2D2IL2.1
S&TftiL2 TAVOLA I. Non vi è soggetto che abbia
tanto occupato il genio degli artefici scultori nei monumenti ferali,
quanto i Dioscuri. Noi vediatno soventi volte nei cassoni mortuali i
simulacri di quei due giovani allegorici, posti simmetricamente alle due
estremità delle cotriposizioni , senza che abbiano colle composizioni
medesime nessuna connessione storica o favolosa ivi posti manifestamente
non solo per ornamento, ma per allusione speciale al passaggio dalla vita
alla morte, e nuovamente dalla morte alla vita’, come dicevasi dai
Gentili che i Dio¬ scuri ebbero da Giove il vicendevole dono della
immortalità 3 . Or poiché il pre¬ sente bassorilievo è in un’ara di
quattro facce, ove da ognuna di esse ripetesi a guisa d’ornato il
soggetto medesimo di due giovani equestri, e poiché questo monu¬ mento è
stato ritrovato in una tomba sepolcrale, così non credo erronea 1’ in-
terpetrazione ch'io dò a tal soggetto dei due Dioscuri, ripetuti
simmetricamente per ogni faccia dell’ara. Il rilievo della scultura è
bassissimo, eseguito in pietra tofacea, la quale si lavora con molta
facilità per esser fragile. Il disegno è un terzo dell’ originale.
TAVOLE li, III, IV, e V, È frequentissimo al pari
dell’antecedente soggetto quello che l’osservatore trova in queste 4
Tavole distribuito, non altro ivi raffigurandosi che il gaudio mistico
dal- i B. rii. del Mus. Borgia riportato dal Millin ,
Galler. Mythologique Pian, lxxx, n. 53o. Co¬ ri , Inscript. Antiq. in
Etruriae urbi bus ex- iati., Pars ni, Tab. x. et xGxrti, 2 Inghirami,
Monumenti Etruschi, Ser. n , p. 479» 62 7• 3 Ivi, ser.
i, p. 55, ser. 11 , p. 627 , 477 • r
nuovo negli oggetti ferali
l’augurio di prosperità che i vivi facevano ai morti, nella fiducia che
godessero una vita migliore *. L’ altezza di questo vaso è un terzo dell’
originale. tavola IX. Ecco un saggio dei tanti vasi di
bronzo che si trovano a Chiusi. La grandez¬ za del disegno è pari a
quella del suo originale , ed ha ornamenti siffatti, che non disdirebbero
ad un’opera di fusoria dei migliori tempi dell arte; specialmente se
consideriamo quel manubrio a cui si leggiadramente vien data la forma d
un giovine in atto di riposo. TAVOLA X. Un altro
genere d’ utensili tutto diverso dai fin qui esposti, occupa la Tav. X,
ove pure è diverso in tutto lo stile del disegno che ne traccia la
rappresen¬ tanza; talché sarei per dire che altri fossero gli artefici e
la scuola di scultura, altra quella di plastica, altra quella di fusoria,
altra quella gliptica, altra quella di grafito in Chiusi, e che tutte
separatamente si vedono in queste dieci tavo¬ le. Nel presente disco
manubriato di bronzo rappresentansi fuoi d ogni ub io i Dioscuri:
soggetto ripetutissimo in simili oggetti, che perciò diconsi spec chi
mistici; e su questi e su quelli ho scritto abbastanza, ragionando dei
Menu menti etruschi *. Uno dei giovani colla mano portata in alto accenna
il cielo, l’altro l’inferno col braccio al basso: attitudine che a
meraviglia esprime 1 al tei - ila loro posizione, come dicemmo spiegando
la tavola prima. Onde qui mi resta da notar brevemente, che questi
mistici utensili si trovano tra i cadaveri come un amuleto relativo al
transito delle anime da questa all’ altra vita. TAVOLA XI.
Una gran parte di figure in bronzo quasi esattamente simili alla presente
si trova in vari musei d’ Etruria ; e poiché io ne vidi alcune che
sostenevano un gran disco con una incassatura al lembo di esso, così mi
detti a credere che in an¬ tico siano stati specchi di toelette, il cui
disco lucido era probabilmente incastra¬ to nella ghiera del disco di
bronzo ade r ente alla anzidetta figura, che gli servi¬ va di manico 3 ,
e della grandezza di questo disegno, eh'è uguale al bronzo ar¬ chetipo.
Non è dunque inverisimile che essendo questo un vero specchio da toe¬ lette,
sia quel manico dal quale è retto, la figura di Veneie. 3 Ivi, tav.
vii. g ma descritto in simile attitudine anche
da Virgilio *. La stessa Euridice si vede rap¬ presentata all’inferno
sedendo per terra, in atto d’esser liberata da Orfeo * 11 pomo granato
nelle mani delle persone infernali è superstizione che usavasi anche tra
gli Etruschi, rappresentati nei coperchi delle loro urne cinerarie 3 . Ma in
tanta goffaggine chi decide? Num. 3. Lo scarabeo di questo num.
sarà spiegato con altro d'ugual soggetto. TAVOLA VII.
' ‘ mrriensa varietà di forme che s’incontra nei vasi sepolcrali, ve ne
son 1 • j C | 6 ^ 6r °® n ' r ‘o uar do meritano d'esser fatte conoscere
coi rami per la H’ r t0 s ‘ n S°^ ar ‘ ta ; e per quanto non potremo in quest’opera
dar ■ 0 °. °o nuna di esse, pure non sapremmo astenerci dal farne
conoscere le più a™’- 3 ' H t0 r >r *. nc T a ^ menl:e riguardo alla
utilità che queste nuove forme pos- caie a e aiti meccaniche, ed al
miglioramento degli utensili domestici. t . . Pj ente ,n questa VII
tavola figurato è di terra cotta di color rosso, si- rorrisn 3
m6nte sn P ra a ^ tr ' quattro vasetti insieme uniti al disotto, ed ai
quali • . . n on° quattio fori nel recipiente maggiore praticati, onde
potrebbero ntrodurvs. quattro diversi liquidi, come si vede
chiaramente nel disegno supe- rate " 6 ^ ° recc liette c ^ e
servono di manichi nel vaso di mezzo sono trafo- che ' C ° me Se V1
fo8Se P assa t a una cordicella per appendere tutta la macchinetta, per
ques o aggiunto sembra essere stata di qualche uso. tavola
Vili. annoverare preSeiUe è da re P u tarsi antichissimo, qualora
non vogliasi mento eli occh' imi ^ tlV0 delIe antiche opere
plastiche. I profili con gran ’ g a Ì a pert.ss,m. ne. volti che vi
son modellati, e quei veli che hanno nera anche^nfll* *' mm< \
tnche Sono caratteristiche di grande antichità. La terra sa che tende al
ern ° 6 tenuta P er mater ia di antica manifattura. La forma stes-
Quegli animali m ° St ™ Ua 8:11810 non raffil)at ° dal progresso
dell’arte. Ses^r r^ neOrHanOllC0r P°’ C0Ì1 ’ 6SSer S6nZa °^ tt0
"1*^ indicano tav XII eiarrh' T ™ tUr ‘ A j ma del significato loro
dò cenno spiegando la mina in’ una « 6 ^ una leonessa o tigre che
sia, con la coda che ter- sta sull’ fi A r Pe ’ f ebbeS ‘ quest
animale riguardar per un mostro. Il gallo che , , ° e vaso e un au o ur
^° pel morto che fu cornane fra gli Etruschi e dei ,»], ho trattato anche
altrove i. Solo ,ui r.m.L.o " i Virgil. Aeneid., lib. vi, y.
6iy. l Monum. etruschi cit , «er. vi, l,v. C5, n. i. Etr. Mas.
Chiùs. Tom. I. 3 Ivi, ser. vi, lav. Ha, unni 4 Ivi,
ser. i, p. 3 I0 . P- I#?. RAGIONAMENTO
II SULLA LINGUA ETRUSCA O e egli è vero, come nessuno
può dubitarne, che le lingue sono molto più antiche di tutti i monuménti
delle nazioni, sarà vero del pari che lo studio delle medesime, e
particolarmente lo studio comparativo, possa contribuire più di ogni
altra cosa, a rintracciare con sicurezza le origini dei popoli, le loro
affiliazioni, ed i loro mescolamenti, non meno che le divisioni, e
successive riunioni di essi, e le varie peregrinazioni, cui sono i
medesimi andati soggetti nel corso dei tempi. Ed infatti, chi non vede a
primo colpo d'occhio, per esempio, osservando la gran somiglianza che
passa fra i primitivi vocaboli della lingua samscritica, con altret¬
tanti dell antica persiana, della greca, della teutonica, della illìrica, e
della la¬ tina, che tutte queste lingue, o debbono procedere in prima
origine da un medesimo, fonte od esservi stato in epoche da noi
lontanissime un mescolamento, o per emigra¬ zioni o per cagion di
commercio, di tutti quei popoli che le parlarono ? Oltre di che,
sarebbe veramente un voler andare a ritroso, pretendendo che possa
dipendere dalla semplice casualità un lavoro così metafisico, e così
profonda¬ mente pensato, quale è quello dei significamenti dati ai
vocaboli di antichissime lìngue, e che furono parlate da popoli tanto
lontani fra loro per geografica posi¬ zione e tanto differenti per
indole, per costumi, e per usi religiosi, e civili, piuttosto che
attribuirlo , o ad una sorgente comune, o ai mescolamenti dei varii popoli
in remotissime età, per qualunque cagione, ed in qualsivoglia maniera
siano questi avvenuti. Ciò premesso, e venendo a parlare più di proposito
dell’ etrusco, dirò liberamente che non giungono a persuadérmi nè punto
nè poco ì sistemi formati, e adottati finora dagli archeologi, intorno a
questo antichissimo, e presso che del tutto perduto idioma, benché io professi
una profondissima stima per ognuno di essi. E vaglia il vero, benché il
Cori, ilMajfei, il Guarnacci, il Dernpstero, gli accademici di Cortona,
ed il chiarissimo Abate Lanzi, abbiano fatto ogni loro sforzo per
diradare le tenebre nelle quali giaceva involta la nazione etrusca, e piu
ancora la sua lingua, e ci abbiano aperta colle opere loro una strada
onde poter fate nuovi passi, e nuove scoperte in questa interessantissima
parte della antiquaria, non possiamo tuttavia dissimulare, che le oscurità
non siano peranche grandissime, e singolarmente intorno alla lingua,
primo fondamento di tali studii, e unica face atta ad illuminare le
nostre archeologiche indagini, sulla origine, sulla remotissima
antichità, sui monumenti, e su qualunque vogliasi oggetto, nguar ante
questa nazione perduta. E benché ancora, dopo quei celebri nomi-
TAVOLA XII. 1 1 Nell' esporre questo
pregevole vasetto di terra nera a quattro anse con coper¬ chio, mi fo
pregio di riportare la notizia che annettono al disegno gli zelantis¬
simi editori di quest’ opera del Museo etrusco chiusino. « Si crede, essi
dicono, che i vasi di questa terra non siali cotti, ma solamente
disseccati al sole, poiché infondendovi dell’acqua li compenetra, e si
disfanno. Cotal genere di vasi non si son trovati fin ora che a Chiusi e
nei suoi contorni ». Questa è la loro avvertenza. L’ animale che vi
si vede espresso è chimerico a rammentare i mostri caotici che
precedettero l’ordine della natura. In dimostrar ciò non mi estendo,
perchè abbastanza scrissi altrove onde far conoscere la frequenza di
simili soggetti cosmo¬ gonici >, espressi dagli antichi nei monumenti
sepolcrali. Avverte chi ha fatto eseguire’questa tavola, che sotto al
vaso è copiato un ornato d’oro dalla parte anteriore, il doppio dell’
originale, e sotto è disegnata la parte posteriore di esso, della
grandezza del monumento, ed aggiunge che le due sfingi rappresentatevi
sondi un lavoro mirabilmente finito e minuto. ISCRIZIONI FUNEBRI ETRUSCHE
Quanto saviamente dichiarasi dal eh. pr. Valeriani nel secondo suo dotto
ra¬ gionamento che segue, mi dispensa dall’onere di spiegare le
iscrizioni fu¬ nebri che trovansi nei cinerari etruschi di Chiusi, perche
scritti in una lingua perduta. Tuttavia quel barlume che le moderne
indagini dei dotti sopra di essa ci fan vedere, sarà posto a profitto
dall' eruditissimo sig. prof. Vermigiioli il più meritamente accreditato
in simile materia, onde in fine di quest’opera trovisi qual¬ che notizia
di queste iscrizioni funebri chiusine, che ove lo concede lo spazio vi si
distribuiscono, senz’ altro dirne per ora. \ V* : IHd-M 3 Pi -O J
I- :ian 0qm v : Pi +i fì® 11 • A? 3 d-flq = i anq V
>/ di. yfìMRY/\ IV. 33 =3 Dliaq => --1 Mti™ V V
- , Mooum. Eu.. set. , p. 585 , 5 9 3 , set. m. P . 346, 36»
>4 dì^ìosamcnte remota , dice il Pejleuttier
nella sua storia dei Celti, gli antichi popoli di questo nome, o i
Cello-Sciti, la cui lingua se non è primitiva in un senso assoluto,
10 è per lo meno relativamente a quasi tutte le lingue conosciute, sì
furono sparsi da una parte nell Asia occidentale, e dall altra nell
Europa, si estesero in quest ul¬ tima regione, gli uni al Settentrione, e
gli altri lungo il Danubio. La posterità di questi poi rimontando quel
fiume, pervenne in seguito alle sponde del Reno , le quali oltrepassò, e
riempi delle sue numerose popolazioni tutto l’ intervallo che si
estende dalle Alpi ai Pirenei, e ai due mari. Laonde ovunque la lingua dei
Cel¬ ti mescolandosi agl’ idiomi indigeni, formò delle combinazioni, ov’
ella dominò sen¬ sibilmente . Ed anche in quei contorni che aveva trovati
deserti, o dai quali aveva fatto scomparire gli abitanti, il celtico si
conservò nella sua purità originale. Alcu¬ ni secoli dopo la popolazione
sempre crescente di questi Celti, o Galli, li costrinse a passare i
Pirenei, e le Alpi. In Italia, dopo avere occupato da prima tutto il
paese posto al piede delle montagne, eglino si estesero di mano in mano,
nel- l'Insubria, nell’Umbria, nel paese dei Sabini, in quello degli
Etruschi, degli Osci, dei Sanniti, ed in tutto il resto della penisola al
dì qua del Garigliano ■ Nel medesi¬ mo tempo alcune colonie greche
approdarono all’ estremità orientale d’Italia, e vi formarono degli stabilimenti.
Lasciami poi ben presto le sponde del mare , e spingendosi sempre avanti,
incontrarono finalmente i Celti, che continuavano pure dal canto loro ad
avanzarsi ancor essi • Dopo alcune guerre, poiché questo è sempre
11 primo caso dei due popoli che s incontrano j sì riunirono nell’ antico
Lazio, e non vi formarono più che una sola società, che prese il nome di
popolo lati¬ no. Allora le lingue delle due nazioni si mescolarono
insieme, e si combinarono con quelle dei primitivi abitanti. Nè bisogna
dimenticarsi di osservare che in quest' amalgama aveva il celtico un gran
vantaggio . Il Greco, che non era allora, o a grandissima distanza,
la lingua di Omero , di Platone, doveva dal canto suo il nascimento ad un
miscuglio di mercatanti fenìci, d’ avventurieri di Frigia , di Macedonia
e d’ llliria, e dì quegli antichi Celto-Sciti, che mentre i loro
compatriotti si precipitarono in Europa, eransigettati sull' Asia
occidentale, donde erano discesi in seguilo fino al paese che fu poi la Grecia.
Eravi dunque del celtico alterato nel greco, che si combinava di nuovo col
cel¬ tico. Dalla qual moltiplice combinazione nacque la lingua latina,
che rozza nella origin sua. ripulita poi, e perfezionata col tempo,
divenne in fine la lìngua di Teren¬ zio, di Cicerone, di Orazio, e di
Virgilio. Ed è questa medesima lingua latina, che dopo un si bel regno
terminato con un sì lungo e tristo tramonto, veniva ad amal¬ gamarsi
ancora un’altra volta col celtico : sorgente comune dei barbari dialetti
dei Goti, dei Lombardi, dei Franchi, e dei Germani, per divenire poco
tempo do¬ po la lingua di Dante, di Petrarca, e di Boccaccio. Per tali
considerazioni, e per* quelle già riferite in questo ragionamento, io
credo che si debba battere un cammino diverso da quello che si è battuto
finora dagli archeologi, nell’ investigazioni in¬ torno gli antichi
Etruschi , ed al loro linguaggio. E non già perdi’ io abbia la
i3 nati dì sopra, molta gratitudine dobbiamo avere ai
Signori, Vermiglìolì, Zan- noni, Mleali. Orioli, Ciampi, e più
particolarmente all’ infaticabile cav• In- giurami, per i tentativi che
tutti questi hanno fatto, onde aggiungere dal canto loro nuovi lumi,
affine di condurci vie più addentro nei penetrali delle cose etrusche,
non ci siamo non pertanto finquì partiti, quanto alla lingua, dal punto dove
era¬ vamo cinquanta, o sessanta anni, per non dire quasi un secolo
addietro. Nè qui sarebbe per avventura fuor di proposito lo
stabilirese la nazione etru¬ sco debbasi avere assolutamente nel numero
delle perdute, e nel caso affermativo determinare il come, e il quando
sia questo avvenuto, oppure considerare la dob¬ biamo come trasfusa nella
romana , o combinata con tutte quelle che invasero a piu riprese V
Italia. Ma siccome cotali ricerche mi farebbero deviar troppo dallo scopo
che mi sono prefisso in questo discorso, e mi trarrebbero troppo in
lungo, cosi le serbo ad altro tempo, e ad altro lavoro. E per
istringermipiù dappresso al mio soggetto, dovremo noi riguardare la
lingua etnisca, o come primigenia, e indi genia dell antica Etruna,o come
proveniente da altro più vetusto idioma italico-, o sivvero come un
composto di più dialetti stranieri, combinati coll’indigeno, quali sa¬
rebbero, il pelasgo, il lidio, il celtico, il greco antico, il traco-frigio, ed
altri, qua por¬ tati a diverse epoche dalle varie colonie che si venneroa
stabilire nelle nostre belle contrade. Riflettendo che tutti gli
archeologi, i quali procacciarono di rischiarare questa materia
oscurissima, hanno ben poco, o nulla concluso finora circa V i.n-
tell/genza dell antica favella dei nostri padri, e quelli che pretesero di
trarla dall’ Oriente senza alcun altro soccorso, e quelli che la vollero
derivare dai Greci e i fautori dell antico latino $ pare che ne inviti la
sana critica, e ne sproni il buon senso, a tentare un’ altra via, per
vedere se si giungesse finalmente a scio¬ gliere questo famoso nodo
gordiano. Ed io penso che giovandosi di quanto si può raccogliere di
antichissimo italico , donde procede in gran parte il vècchio latino, non
trascurando il greco , per le ragioni che svilupperò altrove, e ricorrendo
pure ai dialetti annoverati qui sopra , si possa con sicurezza avanzare
qualche passo, e forse ancora giungere a fissarne un compiuto alfabeto ,
e quindi a bén leggere, ed intendere, tutto quello che ci rimane di
etrusco. Imperocché, sia che abbia ve¬ ramente esistito una lingua
primitiva, della quale tutte le altre non siano che deriva¬ zioni, e
prodotti, o sia che le diverse popolazioni umane siensi fatta da
principio, ciascuna la sua lingua, e che per moltiplicate combinazioni, e
dopo una lunga serie di secoli, questi diversi idiomi particolari siano
venuti, per cosi dire, a fondersi in un idioma generale, che in seguito
poi siasi diviso, e suddiviso di nuovo, in lingue, e in dialetti diversi,
vi sono pochi argomenti più degni dell’ at¬ tenzione del filologo, e del
filosofo ad un tempo, di queste formazioni, di queste se¬ parazioni e di
queste riunioni dì linguaggi, che indicano le principali epoche della
formazione, della separazione, e della riunione dei popoli. L’
idioma Latino che disparve al nascere dell' Italiano, era stato in una
molto recondita antichità il prodotto di una simile rivoluzione. Quando
ad un' epoca prò- i6 TAVOLA XIII.
Porgiamo alla considerazione dello spettatore in questo disegno la più
grande ur¬ na in marmo che siasi fin ora trovata nei moderni scavi di
Chiusi, misurando in lunghezza circa 4 braccia. Ha nel cornicione
superiore una lunga iscrizione etni¬ sca, ma disgraziatamente dipinta, e
non conservata come desiderar si potrebbe per l'intelligenza compita,
quantunque da quel che resta comprendesi essere un aggregato di nomi
famigliari e nient'altro. Vi corrisponde la rappresentanza della scultura,
ove si vede la moglie che dal marito congedasi, o questo da quella per
girsene all’altra vita. Una Furia come addetta al ministero delle anime ’,
ab¬ bracciando la donna par che indichi esser lei la defonta, e non 1’
uomo che il soggetto ivi appella. Infatti contiene il coperchio dell’urna
una donna, come vedremo. Termina la composizione con altre due Furie, una
delle quali è pronta a ricever l’anima alla porta infernale per dove
passavasi quindi agli Elisi a ; e le altre cinque figure intermedie non
altro significano a mio credere che parenti,e forse an¬ che estinti
antenati, de’quali siansi voluti rammentare i nomi nella iscrizione.
Forma questo bel monumento e rarissimo in Etruria uno dei principali
ornamenti del Mu¬ seo Casuccini di Chiusi. * TAVOLA
XIV. Ecco il coperchio in marmo dell’ urna già osservata nella
Tavola antecedente. Quivi e una donna mutilata in parte, come esser
sogliono le sculture sepolcrali visi¬ tate dai primitivi cristiani, ed in
quella occasione depredati quei loro sepolcri; ma pure non sempre del
tutto, e infatti si è trovato in Chiusi qualche ornamento d’oro uguale
alla collana che riccamente scende sul petto di questa defonta, la quale
è succinta , come esser sogliono le protome delle donne. Ha in mano un
pomo gra¬ nato, conforme davansi a chi si portava all’ inferno. 3 .
T A V O L A XV. Quando si volesse dare una interpetrazione a
quest’oscuro soggetto in bassori¬ lievo, si potrebbe dire essere il
giovane Astianatte genuflesso sul larario, in atto di venire immolato al
furore di Pirro. Il monumento è un’urna di terra cotta non molto
conservata. 1 Monum. Etr., ser. i, p. 191, 229. a Ivi, p.
177, »46. 3 Ivi, ser. 11, p. 229, a 3 o. i
5 stolta presunzione di credermi più perspicace, e più istrutto di
quei dottissimi, che si affaticarono in clamo su questo istesso
argomento-, ma solamente perchè il tentar nuove strade in materia cotanto
astrusa, è permesso a chi che sia, partico¬ larmente quando tutte quelle
tentate finora, non sono opportune a condurci a buon porto . E perché è
pur vero che non di rado toccò in sorte ad uomini di mediocre ingegno e
sapere, il discoprimento di ciò che rimase lungamente occul¬ to alle più
profonde, e costanti ricerche di sapientissimi osservatori.
Protesto peraltro ampiamente d’esser pronto ad abbandonare la mia
opinione su questo proposito, quando i dotti me ne oppongano un’ altra
più plausibile, e più idonea allo scopo cui è diretta. Essendo io scevro
affatto di ogni particolare affezione per essa, ed alienissimo da
qualunque spirito di sistema, nè altro cercando che la ve¬ rità . Avvegna
che, una delle cause positive, anzi la principale, a mio credere, che
abbia così ritardalo, ed impedito la scoperta del vero in questa materia, è
stato senza dubbio lo spirito di sistema, portatovi da ciascuno di quegli
archeologi, che vi eser¬ citarono con particolari indagini il proprio
ingegno, ostinandosi, e forzandosi per ogni maniera, a derivare da un
solo fonte la Unga etnisca. Idifatti, niente è più fu¬ nesto ai veri
progressi delle scienze, nè più contrario al discoprimento della verità,
di quello che lo sia uno spirito sistematico. Imperocché tutto allora si
sconvolge, si contorce, si altera, anche senza avvedersene, per trarlo
comunque al proprio si¬ stema, adattarcelo, e farlo a diritto o a torto,
convenire con quello . Ma chi adopra in tal guisa, non và altrimenti in
cerca del vero, e si affatica soltanto a rinvenire ciò che egli si è
preventivamente immaginato di dover trovare. Cosi, tutti coloro i quali pretesero
di far venire gli Etruschi da una colonia di Cananei, o di altri
Orientali, crederono di vedere perfino la forma delle lettere etnische,
in quella delle ebraiche, e più specialmente delle cosi dette
sanimaritane, benché non ve ne fosse la minima idea. E t.enevansi tanto
più sicuri del fatto loro, in quanto che usarono i nostri an¬ tichi padri
condurre la loro scrittura da destra a sinistra , come gli Ebrei, i
Samma- rilani,ed altri popoli dell’Oriente.ISè mancarono di viepiù confermarsi
in tale opinio¬ ne, osservando alcune voci etrusche, simili, o
provenienti dai dialetti semitici-, quasi che fossero queste argomento
bastante a costituire la identità di origine dell' etru¬ sco con quelli,
e non sapessero tutti ifilologi, che s’incontrano delle voci simili di
suono, e di significato ancora, in quasi tutte le lingue conosciute, senza
poter giungere a provare per questa via, che l una derivi con sicurezza
dall' altra, e tutte da un fonte comune. Mentre sono tali somiglianze ,
ed analogìe, il prodotto di quei mescolamenti, dei quali ho parlato in
principio. E con tanta maggiore facilità debbono essersi mischiate, e
combinate non poche voci orientali all’ etrusche, per lo commercio
singolarmente dei Fenici coi nostri antenati, in epoche da noi remotissi¬
me, come altrove si è detto-, insegnandoci concordemente gli antichi
scrittori quanto in ciò valessero gli Etruschi, o Tirreni, e come
signoreggiassero i due mavì che circondano Italia, cui diedero perfino il
nome. i8 si vede nel manico è il sole, come io
spiegherò meglio in seguito, e l'atto del¬ le mani e dei piedi che
volgesi in alto, in basso e per ogni senso, è simbolo della ge¬ nerale
influenza dei suoi raggi, cbe si spargono in giro TAVOLA XX. Gli
ornamenti a bassorilievo che circondano questo vaso non hanno un signi¬
ficato diverso da quei che vedemmo alle Tavole Vili, XII, XIII, e XIX, ed
è perciò inutile ripetere ulteriormente il già detto. TAVOLA
XXI. M’ immagino che la figura qui espressa, e ripetuta più volte in
molti vasi trovati nei sepolcri, possa esser Marte, il quale significar
vi debba, che il tempo in cui domina quel pianeta è l’autunno, come in
altri monumenti se ne vede l'in¬ dizio i 2 , e questo tempo vi si
rammentava per la ricorrenza del suffragio delle anime 3 , al quale
oggetto erano istituite feste ed offerte ; o forse rammentasi la deità
degl’itali primitivi. TAVOLA XXII. Sono assai numerosi
gl’ idoli femminili in bronzo di piccola dimensione pari al presente, eh’
io credo essere stati nominati comunemente dagli antichi gli Dei Lari, o
Penati, o Geni tutelari, e Giunoni 4 , quando, come questa statuetta,
erano femmine; e dice vasi che ogni donna aveva la sua Giunóne per
protettrice 5 . TAVOLA XXIII. Il gusto dei Greci, come
ricaviamo dalle opere loro trovate in Ercolano e Pompei, era d’inventare
ornamenti per le suppellettili anche non attinenti al fa¬ sto ed al
lusso, dove introducevano con molto genio ed ingegno animali ed uma¬ ne
figure : genio che si propagò per l’Italia, come vediamo nelle opere di
Chiu¬ si ,• di che abbiamo un bell’ esempio nei due manichi di bronzo
incisi in questa XXHI Tavola, un de'quali ha un mascherone bizzarramente
travisato con fo¬ gliami, fiori ed una barba assai schersosamente spartita.
Bella è parimente l’im¬ magine dell’altro manubrio disegnato di faccia e
di profilo, dove si vede un anima- i Monumenti etr., ser. 11, Tay.
xc, pag. 762. 4 Monumenti etr., ser. 1, p. 279. % Ivi, ser. vi,
tay. F2, num. 3 , p. 17 5 Yirgil. Aneid. 1 . ili, v. ifij , Ovid., fastor.
xi 3 Ivi, ser. j, p. 1 47 » 5x2, 544 * y* 4 ^ 5 .
TAVOLA XVI. 17 > ^ notabile che i coperchi delle
urne in terra cotta sieno di miglior modello eh esser non sogliono quelli
scolpiti in pietra N’ è chiaro esempio questa re- combente figura che
servì di coperchio all’ urna precedentemente esposta. Ognun vede quanto
il panneggiamento sia più ragionato nelle pieghe di quel che osser¬ vammo
allaTav. XIV ove ne reputammo l’urna spettante a ricca matrona. Chi sa che
il lusso de marmi non prevalesse in tempo della maggior decadenza delle arti
? TAVOLA XVII. La muliebre figura qui esposta fu
eseguita in fragile pietra tofacea e trovata acefala in un sepolcro,
colla particolarità che il collo è vuoto come anche il torso, ed è servito
per deposito d umane ceneri e d J ossa cremate, che vi si trovarono al- 1
aprir della tomba, ove la statua era sepolta. Il significato non è facile a
penetrarsi, ma dal pomo che ha in mano, e dall atto sedente, non sarebbe
fuor di proposito il congetturarne che fosse una Proserpina, la quale
riceve unitamente col suo con¬ sorte Plutone le anime che scendono al
Tartaro. Difatti anche al Museo Pio de¬ mentino vedonsi que’ due numi
sedenti a . TAVOLA XVIII. La singolarità dell’ esposto
monumento esige che se ne mostri anche la parte avversa alla già veduta.
Ivi più chiaramente si nota che a formarne il magnifico sedile concorrono
i simulacri di due sfingi, le quali assai frequentemente s’incon¬ trano
in monumenti ferali; poiché la sfinge reputavasi animale chimerico infer¬
nale 3 , e perciò attamente posti ad ornar la sedia della divinità che attende
alle anime trapassate da questa all’ altra vita *. TAVOLA
XIX. La frequenza dei volti velati che vedonsi ne’yasi di terra
nera, come in questo, non lasciano luogo a porre in dubbio se siano o nò
rappresentanze di larve o Lemuri, cioè delle anime 5 , ed il gallo che
sovrasta al vaso, pare, come ho detto altrove 6 , indubitato simbolo del
buon augurio di felicità nella futura vita, che a quelle anime
predicevasi dai superstiti viventi. La figura con faccia larvata che
1 Monum, etr., ser. ni, p. 4 io, e ser. vi, Tav. 4 Ivi, ser. v, p.
a;8. X 3 , n. 3, p. 3 a. 5 Ivi, ser. i, pag. ai, 52 . 2
Visconti, Mus. P. Clem. Voi. li. Tav- 1, a. 6 Ved. p. 9. 3 Monum.
etr. «er. i, p. 582. Etr. Mas. Chius. Tom, I. 3
RAGIONAMENTO III SULL’ ALFABETO
ETRUSCO -Uopo che gli uomini ebbero trovato coll’ uso naturale
degli organi della parola, un mezzo facile di comunicare i loro pensieri
ai presenti, cercarono, e trovarono in seguito, quello di parlare agli
assenti, e di rammentare a se stes¬ si, ed altrui, ciò che era stato
pensato, e detto da loro, e da altri, e ciò an¬ cora di che erano
convenuti insieme. La prima cosa pertanto che si presentasse loro allo
spirito in questa ricerca, furono le figure geroglifiche ; ma colai segni
non erano abbastanza chiari, e precisi, nè abbastanza univoci, per adempire
lo scopo che avevasi in mira, di fissare cioè la parola, e di farne un
monumento più espressivo del marmo, e del bronzo. Il
desiderio dunque, ed il bisogno di compiere questo disegno, fecero final¬
mente immaginare quei particolari segni, che noi chiamiamo lettere ognuna
del¬ le quali fù destinata a notare uno dei suoni sémplici, che formano
le parole', la riunione dei quali segni, è ciò che dicesi alfabeto.
Volendo però risalire fino alla prima origine dì questo maraviglioso
ritrovamento, rischieremo sempre di smarrirsi senza riparo, in un mare di
oscurità, e d’incertezze, e circa V epoca in cui giunsero gli uomini ad
un si nobile discoprimento, e circa la nazione che prima di ogni altra vi
pervenne. Lasciando perciò da parte la ricerca di quello che io
giudico moralmente impossibile a rinvenirsi, volgerò le mie indagini a
cosa più certa, od almeno piu probabile, qual e la quistione, se gli
Etruschi, od i Greci fossero i primi a far uso di una cosi bella, ed
utile invenzione. E qui pure siamo costretti a navigare, presso che senza
bussola, m un ampio pelago, sparso di profondis¬ simi vortici, d'
orribili mostri, e di scogli assai pericolosi. Imperocché, se molti
dotti sostennero, e sostengono tuttavia che i Greci so¬ no anteriori agli
Etruschi nell’ uso dell’ alfabeto, e vengono riguardati come i maestri di
essi, in qualsivoglia arte o scienza, non è per altra parte minore il
numero, nè di minor momento V autorità di quelli, che citar si possono
per sostenere il contrario. Perlochè io aderisco a questi ultimi,
sembrandomi la loro opinione più ragionevole , e più giusta, ed i
sostenitori di essa persuadendomi colle loro ragioni, ciò che non
giungono a fare i propagatori del grecismo, ad onta ancora di tutte le
parole greche, o grecizzanti, che s’ incontrano ad ogni pas¬ so in quasi
tutti i monumenti etruschi, discoperti finqui, avvegnaché intorno a
>9 le mostruoso, che per aver motivo d'
essere attaccato al vaso figura di morderlo. Sotto è un Ercoletto
giovane, che tiene la mano alzata, vibrando la clava in segno di recar
danno e morte, ed ha cinti i lombi colla pelle di leone, simboleggiando
di non curarsi della generazione ’, come è proprio d’Èrcole quando figura
il sole iemale. Difatti rispetto ai viventi è il sole che loro apporta la
vita coll’universale tepore della natura in primavera, e porta danni o
morte col raffreddamento del tempo iemale. Qual simbolo può dunque esser
più adattato a decorare un sepolcro, che quello dove rammentasi la
vicendevole transizione dalla vita alla morte ? Lo scarabeo di cui
si vede f impronta ha inciso un centauro con un fanciullo sul dorso,
forse Chirone col giovane Achille che dicesi da taluno essere stato affi¬
dato a quel mostro per riceverne la puerile educazione 3 . TAVOLA
XXIV. La rappresentanza di questo specchio mistico sarebbe forse
difficile ad inter- petrarsi, qualora non fossene venuto a luce un altro
di quasi ugual soggetto. In quello vedesi Giunone sedente in atto di
porgere ad Ercole la mammella, perchè ne succhiasse il latte, il chè
succede alla presenza di Mercurio 3 . Sappiamo infatti che Giove bramava
che Ercole per ottenere l’immortalità, benché nato da mortai femmina,
sorbisse almeno latte divino, onde per uno dei soliti inganni frequen¬
tissimi nella mitologia, Giunone gliel porse senza avvedersene 4 . Mercurio vi
si crede introdotto, per attestare ad Ercole d’aver egli pure profittato
di tale argu¬ zia, per entrar fra gli Dei, benché nato da Maia donna
mortale . Qui non è espresso l’atto di Giunone per allattar Ercole,
ma pur vi si vede Mercurio che si fa noto col suo cappello, e par che
accenni d’ aver profittato egli stesso dell’espediente che suggerisce ad
Ercole, il quale gli sta davanti. Ha la clava , in mano ed un piede
elevato, indicando che salir deve all’ immortalità 3 per opera di Giunone
6 eh’ è fra loro. fli8v«q :ian8 j v :ioj vi. j a 11 y fi j 1
:i n tnq r = o 4 vii. 1 f\ il 8 4 Y d : fi m 3 4 t :42 vili.
■•-ifi n t v t :o 4 .• in i n q n o n lx - -4/nm-rfl4
itntnqfl .-4sa x. § Monumenti etr. ser. v, p. 3 a. 2
Galleria Omerica Tom. ii, Tav. cxxi, pag. 2,4. 3 Schiassi, De
pateris ariliquor.ex schedis Blan¬ dirli Sermo ed epislolae tab. x.
4 Diodor., Sic. Bibliot. bist. lib. il, p. 198. 5 Mon. etr.
ser.n, Tavv. lxxu, lxxìii, lxxiv, lxxv, 6 Zarinoni, Lettere di
etrusca erudizione pubblicate dall’ Inghirami, Tom. 1, p *6.
22 pure in ogni tempo di tracciare nello stesso modo le loro
scritture. E tutti, c/uesti ultimi specialmente, furono sempre uniformi
in questo, ad eccezione degli Etiopi soli, e degli Abissini, che sebbene
parlino, e scrivano un dialetto semi¬ tico, scrivono tuttavia da sinistra
a destra, come gl’ Indiani, ed i segni delia¬ co alfabeto hanno un valore
sillabico, come gli alfabeti indiani, ed anche il ti¬ betano , ciascuno
dei quali segni porta seco, in certo modo incorporata una vocale , e
forma una sillaba. Ciò che non accade in nessuno degli alfabeti europei,
e neppure nel giorgiano, e nell 1 armeno, che vengono pure delineati da
sinistra a destra. Laonde non pare poi tanto strana V opinione di quelli,
i quali pensarono, che gli Etruschi propriamente detti, fossero discesi
in prima orìgine da una colonia, o emigrazione asiatica. Ma di ciò
altrove. E se i Persiani, ed i Turchi scrivono da destra a
sinistra, benché la lin¬ gua dei primi venga dalle Indie, e quella dei
secondi dalla Tartaria, ciò procede dall’ aver tanto gli uni, che gli
altri adottato i caratteri arabici, ed al tempo stesso la religione del
borano. Quindi tenendo in conto di cosa sacra i suddetti caratteri, non è
da maravigliarsi nè punto nè poco, se essi non abbiano ardito dì
alterarli, nè quanto alla primitiva lor forma, nè quanto alle maniere di
rap¬ presentarli colla scrittura. Ché del resto ben diversi riscontratisi
gli antichi carat¬ teri persiani chiamati zendici, e pelvici, come assai
differenti ritrovatisi, e pel modo di scrìverli, e perla loro forma,
ofigura, quelli dei Tartari. Ciò premesso o siano stati gli
Etruschi i ritrovatori dell’alfabeto che porta il loro nome, o l’abbiano
composto di più antichi alfabeti italici, o V abbiano derivato da al¬
trove, come pare dai nomi stessi che portano le lettere del medesimo, benché
sia diffì¬ cilissimo, e forse impossibile a provarsi, per mancanza di
documenti sicuri, il come, ed il quando abbiano ciò fatto-, è peraltro
fuor d’ogni dubbio, che i Greci non lo comu¬ nicarono loro, e non furono
per conseguenza i loro maestrì.Che anzi è da credere che sia accaduto
tutto al contrario, e che gli Etruschi, nazione mitissima, e poten¬
tissima in età molto remote, e quando la Grecia era tuttora barbara, e
selvaggia, 1’ abbiano comunicato ai Fenici per via di commercio, e che da
quelli passasse ai Greci, se vogliamo ammettere ciò che sostengono quasi
tutti gli antichi scrittori, cioè, che Cadmo facesse loro il dono del primo
alfabeto. Del qual Cadmo scrive Plutarco nei Simposiaci iib. 9 quist. 5,
che quel sapiente pose Z'aleph, o alpha per prima lettera del suo
alfabeto, perchè cosi chiamasi il bue nella lingua dei Fenìci, il quale
animale non è da stimarsi nè secondo nè terzo fra le cose neces¬ sarie
all’ uomo ■ come pensò Esiodo. Circa poi al grecismo, che
s’incontra nell’ etrusco, e nell’Etruria, e circa le arti greche, che vi
si osservano, come ancora in altre parti dItalia, ne parlerò a lungo in
un discorso, che tutto si aggirerà intorno a questa materia,
esclusivamente da ogni altro oggetto. E proverò allora, che l’idioma
degli antichi Etruschi è nel suo fondo tutt' altra cosa che greco;
dimostrando ad un tempo, in qual modo, e 21 questo
grecismo sian da dirsi alcune cose eli io riserbo ad un altro
ragionamento. Ma ritornando al titolo del mio discorso, cosa è V
alfabeto etrusco? É que¬ sto un prodotto indigeno dell’ antica Etruria, o
sivvero vi fa trasportato da altra parte del mondo? E se qua venne da
estranei lidi, chi fu mai quel be¬ nefico straniero , che fece all ’
Etruria un dono cosi prezioso ? Ed in questa supposizione, passò egli ai
nostri antenati dall’ Oriente, oppure dall’ antica Gre¬ cia ? O si
compose egli forse degli elementi di più antichi alfabeti italici, o di
questi, e del pelasgo fra loro mescolati, e confusi ? E se vi fossero
ragioni bastanti a dichiararlo prodotto indigeno, a quale epoca
rimonterebbe l’ antichità sua , ed a quale ammettendo che sia frutto
straniero , e per qual mezzo per¬ venne ai padri nostri ? A
tutte queste quistiom, che possono opportunamente esser mosse intorno al
tema che ho tra mano, io mi studierò di rispondere, quanto meglio e più
con¬ cisamente per me si potrà, e come sarà possibile rispondere, in
qusto breve ra¬ gionamento, m una materia cosi oscura, e difficile • E
circa alla prima quistio- ne, l alfabeto etrusco, quale noi lo possediamo
presentemente, non è certo una cosa diversa dall antico alfabeto greco,
ma sono anzi talmente somiglianti fra loro, se tolgasi il rovesciamento
delle lettere nell’ uno di essi, da doverli giudi¬ care al confronto,
senza timore d’ ingannarsi, la stessa cosa-, sia diesi riguar¬ di la
forma delle lettere, o si consideri l uso delle medesime, Nè giova opporre
a questa asserzione, la maniera di scrivere degli Etruschi da destra a
sinistra, avvegnaché usavano di fare lo stesso anche gli antichi Greci,
prima dell’ età di Pronapide, che si pretende essere stato il maestro di
Omero. Che anzi esser potrebbe credi io, una tale particolarità, un
argomento favorevole agli Etruschi, per crederli i ritrovatori del loro
alfabeto• Al che si aggiungerebbe forza non poca, considerando l
antichità loro, più recondita assai di quella dei Greci. E più
ancora verrebbe avvalorato, e confermato un tale argomento, che gli
Etruschi, cioè, siano stati eglino stessi gli autori del loro alfabeto,
riflettendo che i medesimi continuarono in ogni tempo a scrivere, ed
anche sotto la domi¬ nazione dei Romani, da destra a sinistra-, lo che
non avvenne dei Greci, iquali cangiarono metodo, e presero a condurre la
loro scrittura da sinistra a destra. Ora è più ragionevole il credere,
che il rovesciamento degli elementi alfabetici, e del modo di scrivere,
siasi operato da chi l’apprese da altri, che da chi ne fù l inventore. E
questo rovesciamento di scrittura presso i Greci, vuoisi fis¬ sare, come
di sopra accennava, ai tempi omerici, o di Pronapide. A questo
argomento però se ne potrebbe, per avventura, opporre un altro, di¬ cendo
, ché giusto appunto perchè gli Etruschi scrissero sempre conducendo, e
tracciando i caratteri da destra a sinistra, non debbono riguardarsi come i
ritro¬ vatori del loro alfabeto, ma convien credere che lo abbiano
ricevuto da qualcuno dei popoli asiatici, e particolarmente di quelli
così detti semitici., ì quali usarono T-;,-
I Per la qual cosa , mi pare che dopo tutto quello che ho
detto finqui ', si possa rispondere alle questioni proposte in questo medesimo
discorso, che V alfabeto etrusco non è venuto dal greco, ma bensì questo
da quello j che desso non è pri¬ mitivamente indigeno dell’ antica
Etruria, quanto ai suoi elementi, i quali furono quà portati da una
emigrazione antica, in tempi tanto reconditi da non poterne fissar V
epoca precisa, e che s’ ignora chi ne fosse il primo inventore, e chi lo
portasse il primo fra noi. Sulla qual primitiva derivazione asiatica dell'
alfa¬ beto etrusco, in età da noi remotissime , dettero un ragionamento a
parte, che verrà pubblicato in seguito in quest’ opera stessa. Ciò
peraltro non vuol già dire, che anche la lingua etnisca sia una lingua
del tutto asiatica, come la giudicarono troppo leggermente alcuni
filologi, sebbene asiatici si riscontrino l’ antico culto, e la maggior
parte dei riti religiosi, e civili degli Etruschi. Or qui farebbe
di mestieri combattere, e confutare tutte le opinioni contrarie ; nè io
sarei alieno dal prendermi un tale assunto, se i limiti prescritti a questi
ragio¬ namenti, nei quali non deve olt repassare , per l’indole dell'
opera cui son destinati, la periferia di poche pagine di stampa per
ognuno di essi, me lo concedessero. Non potendo ciò fare, nel modo che si
converrebbe, mi ristringerò ad aggiungere quanto segue, e mi terrò per
ora contento di questo. Il Cori, il Majfei, ed il Mazzocchi
confrontando gli alfabeti punico, e celtibe- ro, o cantabro coll’etrusco,
dicono che vi trovarono minore analogia, quanto alla forma dèlie lettere,
che coll’ ebraico. Il Donati poi che fece la stessa cosa nei suoi Dittici
seguitando le osservazioni , che avevano già fatte prima di lui a questo
proposito, l’ Aquila , Teodozione e San Girolamo, scrive nell’ opera sua
intorno alle iscrizioni, che quelle così dette Cizzie, sono riguardo ai
caratteri, mollo si¬ mili alle etnische j e lo stesso dice ancora del
marmo Sanvicense conservato in Osford, che vuoisi più antico della guerra
troiana, e dei caratteri incisi sulla lamina bustrofeda di bronzo,
riportata dal prelodato Majfei nella sua Critica Lapidaria, non meno che
di quelli sulla colonnetta del Museo Nani di Venezia, giudicata
pelasga-tirrena , benché fosse ritrovata a Mitilene . Questi
monumenti, che si credono tutti scrìtti in greco antico, e per essere
questo mollo simile all’ etrusco, specialmente circa la forma delle
lettere, sono stati quelli che hanno fatto mettere in campo, o
convalidare l' opinione di coloro, i quali pensarono che il greco antico,
é l'etrusco fossero la stessa cosa, e che per giunta alla derrata, la
lingua dei nostri antenati sia nata dal greco. Senza avere peraltro mai
pensato a provare, che i Greci, ed il loro alfabeto fossero più antichi
degli Etruschi. Il Gori,fra gli altri, stabili come un assioma, che
la lingua etrusco era greca in non differiva da quella che nel dialetto,
nella quale opinione fu seguito dal Lanzi, e da altri. Ne si avvidero, nè
lui stesso , nè i suoi seguaci, che i Pelasghi, i lirrem, i Pladani, i
Lidii, gli Arcadi, e gli Ausonìi, sono £3
perchè s J introdussero nell' etrusco, e nèll' Etruria propriamente
detta, quel gre¬ cismo, e quelle arti. Che in quanto alla somiglianza, ed
anche identità dei ca¬ ratteri etruschi, e greci antichi, sii di che
fondarono finora il loro più valido argomento tutti gli archeologi
fautori del grecismo, per asserire che l' etrusco , ed il greco antico
sono in ultima analisi la medesima lingua, è il più frivolo, ed anche il
più ridicolo ragionamento, che immaginar mai si possa, Avvegnaché, vale
lo stesso che se io ragionassi cosi: gl’ Italiani, i Francesi, i Fiamminghi,
gli Spagnuoli, i Polacchi, i Portoghesi, ed altri popoli d' Europa, come
gl'in¬ glesi, i Dalmati, e gli Olandesi, si servono dello stesso alfabeto
per iscrivere le loro lingue, dunque tutte quelle lingue sono la stessa
cosa. Ma quante furono in antico le lettere dell’ alfabeto etrusco,
poiché essendone stati pubblicati finora dagli antiquari fino a tredici,
o quattordici, chi ne conta un numero maggiore, e chi minore ; ed il
laborioso, e dotto abbate Lanzi ne ammette venti nel suo ? Si deve
credere che fossero sempre in egual numero , oppure che venisse questo
accresciuto a più riprese, e ad epoche diverse, come si narra essere
avvenuto dal greco, il quale fù condotto fino al numero di ven¬ tiquattro
lettere, benché non ne avesse che sedici nel suo principio ? E non sa¬
rebbe questa una ragione di più, onde confermare ciò che accennava poc
anzi, che l’ alfabeto, cioè, facesse passaggio dagli Etruschi ai Fenici,
e da questi ai Greci, osservandosi ancora che nessuno degli antichi
alfabeti italici oltre¬ passò mai il numero di sedici lettere? Difatti
nei piu antichi monumenti, fra i quali nessuno vorrà contradire che siano
da riporsi gli atti dei fratelli Ar- vali, non se ne contano che sedici
sole. Di più non trovandosi mai usato l o nelle epigrafi antiche
veramente etni¬ sche , riscontrandosi questa lettera fra quelle degli
altri monumenti italici pa¬ rimente antichi, come pure fra le prime
sedici dell alfabeto greco, cosi detto cadrneo, sì può dubitare se gli
Etruschi ne avessero neppur tante in prin¬ cipio, e cresce sempre più la
probabilità della mia asserzione. Secondo t enciclopedico Plinio,
le lettere dell alfabeto cadrneo furono le se¬ guenti . cioè: ab r a
eikamnoiipstt. Alle quali poi ne aggiunse quattro Palamede, che sono, e 3
$ x. E finalmente Simonide lo accrebbe di altre quattro, cioè, zìi va. E
pare anche ben naturale, come fù pure osservato dall’ erudito filologo
francese Sig. Letronne, che quei primi sedici caratteri siano stati
inventati avanti agli altri, perchè rappresentano i sedici tuoni elementari,
o semplici, ché formar si possono colla bocca umana, sia per
intuonazione, o per articolazione. Mentre gli altri caratteri aggiunti a
questi, ed usati negli alfabeti dei differenti popoli, esprimono, o delle
gradazioni di quei suoni prin¬ cipali , o la riunione eli più
articolazioni in una sola . Di maniera che ognuno di essi può essere più,
o meno esattamente decomposto nei primitivi suoni eh’ egli contiene
. 26 Che s’è regola di sana critica di
non prestar fede agli antichi poeti, in tutto ciò che narrano di
sovrumano, e di misterioso, lo è del pari di rintracciare il vero anche
in mezzo alla favola, che viene giustamente definita dai sapienti, il
velo deila verità, e della storia. Ipoeti dell’ antichità, ché erano più
istruiti di tutti gli uomini dell’età loro non inventarono, come si crede
male a proposito, le fa¬ vole, ma bensì adornarono con finzioni la storia
. Rimossele quali finzioni, è co¬ sa ben facile di rinvenire la verità,
nei più notabili avvenimenti per essi nar¬ rati, e abbelliti.
Cosi la pensava S. Agostino nel lib. della Città di Dio, al cap. i3. E ci
av¬ verte il Vossio nell’ aureo suo trattato De fatione studiorum, che
non si dicono favolose le antiche età, perchè sia falso ciò che di essici
vien riferito dagli scrit-, tori, ma perchè la storia di quella ci è
pervenuta insieme colle favole mista, e confusa. XI.
XII. XIII. XIV. XV.
XVI. XVII. XVIII. XJX. /u M :
oj : ntriq r : oqflj v/r 3Hfl Jiiffl -1 = q/i j/r n# j a ■■
san/urn/Mq/i V/13 : q A : D l = irnoai 4 /ini AD
Jfìlmq 3E : Am 34t : 44 -1V84flHMI3:3Hiq3®:q/1 4/mmq vo • IHltfl 4
14 : I ?434 : I \IA8 JAMAJll V A'! vq 1 : U434 .- A» n 33
XX. 4fl mif A4 : Al 3 f ■25
tutti popoli anteriori ai Greci, e che trovansi tutti amalgamati cogli
Etruschi nelle età più lontane. Perlochè convien dire che siano gli
Etruschi stessi, i quali portino diverse denominazioni, dalle diverse
provincie dà loro abitate, nelle quali era divisa l’antica Etruria. E
come oggi i Fiorentini, i Senesi, i Pisani, i Lucchesi, ì Magellani, i
Casentinesi, e simili, sono tutti Toscani, cosi pure nei più reconditi
tempi gli Umbri, gli Enotrl, gli Aborigeni, e tutti gli altri anno¬
verati di sopra, erano Etruschi. Silio Italico lib. a. 0 chiama
Ausonia la Lombardia. Ed Eliano lib. 8.° del¬ la Varia istoria, crede che
gli Ausoniifossero i primi abitatori di Italia-, men¬ tre Pirgilio nel
io. 0 dell’ Eneide, li confonde con quelli che popolavano questa bella penisola
sotto il regno di Saturno . Servio poi commentando un tal passo, dice che
gli Ausonii furono sì dei primi popolatori cì Italia , ma non già i primi
di tutti, nei soli. Ed ecco perchè alcuni scrittori hanno compreso sotto
il nome di Ausonia tutta l’Italia. Ora tutti i surriferiti
popoli, non esclusi neppure i Latini, che molti autori vo¬ gliono che
fossero diversi, e dagl Italici propriamente detti, e dagli Etruschi,
ripeto¬ no la loro prima origine da una colonia, o emigrazione qua venuta
dall’Asia, in tem¬ pi forse al di là di quelli che da noi son detti
storici. Lo che fu negato acre¬ mente da altri per la sola ragione di
potere stabilire, che i Greci furono i primi coloni di Etruria, e che vi
s’introdussero insieme con essi, le arti e le scienze, e perfino la
cognizione dei segni alfabetici. Ma non potendosi negare, senza offen¬
dere il senso comune, che queste regioni erano popolate molti secoli prima
che i Greci le conoscessero per via di commercio, e vi spedissero in
seguito delle co¬ lonie, conviene di necessità ammettere, che i Greci non
furono i primi abitatori d’Italia, e per conseguenza neppure di Etruria,
e molto meno insegnarono loro a parlare. Quando peraltro non voglia
credersi, ché i popoli italici, e gli Etru¬ schi, fossero tutti muti
prima dell’ arrivo dei Greci fra loro. Laonde cade, e si an¬ nulla il
sistema dei fautori del grecismo. Macrobio infatti ammette un
diluvio, non già ai tempi di Deucalione, e di Ogi- ge, ma bensì a quello
di Giano, ch’ei qualifica per primo re di tutta l'Italia. E Dionisio
d’Alicarnasso, che è sempre in contradizione con se stesso, dopo avere
scritto che i Pelasghi furono i primi popolatori d! Italia, che 5oo anni prima
di Giano ne scacciarono i Siculi, e che gli Enotri eransi prima dei
Siculi stabiliti nell’ Umbria, pretende poi di darci ad intendere, e
farci credere, che Giano pre¬ cedesse la venuta di Enea in Italia di un
solo secolo, e mezzo. Ma se il cosi detto secolo d’ oro, ossia il secolo
della pace, e della giustizia, fu secondo Vir¬ gilio, ed altri scrittori
antichi, quello in cui regnarono Saturno, e Giano, que¬ sto non può
essere stato posteriore all’ età di Noè, e de'suoi figli, che dietro gli
insegnamenti paterni, calcarono essi pure la via della giustizia, e coltivarono
tutte le virtù sociali. Etr • Mas. Chius. Tom. I.
3 4 28 nemico se gli Dei, per
suggerimento di Nettuno, non lo avessero voluto sal¬ vo 2 . Or non vedi
qui pure Achille che tenendo lo scudo lungi da se, pone mano alla spada ?
Non vedi il Tanato che quasi obbrobriato volge il tergo alla pugna col
suo martello sugli omeri, per mostrare che morte non avea luogo in quel
con¬ flitto, perchè ad ogni costo dovevasi Enea salvare alla gloria
d’Italia? Questo dise¬ gno è una quarta parte del suo originale in marmo
d’ alto rilievo. TAVOLA XXVIII. Qui si mostrano i due
laterali scolpiti del cinerario che è nella Tavola antece¬ dente.
Nell'uno e nell’altro sono rozzamente indicate due porte, che rappresen¬
tano, credo io, le infernali, alla custodia delle quali stan vigilanti due
ministri del Tartaro. La figura femminile al num. 2 è visibilmente una
Furia, come dichiaralo quella face che regge con ambe le mani; di che
detti altri cenni 3 ; la virile col mar¬ tello sugli omeri è il Tanato,
altrimenti detto Cliarun tra gli Etruschi \ e confuso col¬ l’Orco,
ministro anch’egli di morte e d’inferno, che spesso incontrasi nei
monumenti antichi d’Etruria 5 , e non già tra quei de J Greci, nè
de’Romani cosi rappresentato. La testa eh e nel mezzo, serve per
coperchio ad un vaso di terra cotta, di che dovrò trattare altrove; ora
avverto che questa è la terza parte del suo originale : TAVOLA
XXIX. Affinchè I’ urna cineraria già esposta si mostri compita, fa
d’ uopo di non disgregarne il suo coperchio, dove si vede un seminudo
recornbente con una pa¬ tera in mano, nell’attitudine stessa che vedonsi
rappresentati gli Etruschi a men¬ sa. Nè la patera disdice a chi cena,
mentre vedesi usata a convito dai commen¬ sali 6 . La veste che in parte
copre il recornbente è detta sindone, pure usata ai conviti 7. La nudità
della persona indica 1’apoteosi, di che altrove dò conto 8 . TAVOLA
XXX. Il frammento di scultura segnato in questa tavola, è un tufo
tenero, e del genere di quello notato nelle prime cinque tavole della
presente collezione Chiu- sina. Orchi mai crederebbe, che nella tomba
dove fu ritrovato non vi fossero gli altri frammenti, che ne componevano
l’ara intiera? chi crederebbe che que¬ sta sorte di monumenti in tenera
pietra arenaria si trovino quasi costante- 1 Id. v. a 85 ,
*8, Id. V. 2 ^ 3 , 294» 3 Ved. 1 * spiegazione della Tav.
xm. 4 Monumenti elr. ser. i, p. a 34 - 5 Mono. etr.
ser. i, p. 44 » 73 , 74, 264, 284. 6 Ivi, ser. vi, tav. F. num. 2
. 7 Ivi ser. i, p, 395. 8 Ivi ser. n,j>. 628.
TAVOLA XXV. 27 Nelle urne di
Volterra parventi ripetuto questo soggetto medesimo, ed ivi spie¬
gandolo, avventurai l’interpetrazione di un fatto tebano, del quale io stesso
poco andai persuaso, nè ora saprei meglio dire. Vi suppongo Anfiarao
nell’atto d’aver tagliata la testa di Menalippo, che Tideo, sebben
ferito, aveva già ucciso; e gliela portò, per cui da Tideo medesimo fu
commessa l’atrocità di aprir quel cranio, e divorarne le cervella. In
ogni restante ancora son simili queste due sculture, sebbene men rozza
l’urna di Chiusi ■. Questo disegno è una quarta parte del mo¬ numento
originale di marmo in bassorilievo. TAVOLA XXVI. Quanto
la frequenza delle rappresentanze di avvenimenti ferocie marziali, co¬ me
quei della tavola antecedente, fan giudicare l’etrusca nazione d’umor
malin¬ conico 3 , altrettanto voluttuosa e molle giudicar si dovrebbe dal
presente grup¬ po che appartiene alla scultura antecedente, per esser
quella un’urna cineraria, questa la di lei copertura . Credo per altro
che l’uno e l’altro soggetto non dal¬ l’indole degli Etruschi abbia
origine, ma da loro massime di religione, dove dicevasi che la vita era
un irrequieto contrasto, e la morte conduceva ad un vero godimento, il
quale non sapevasi esprimere che mediante la soddisfazione dei sensi 3 .
TAVOLA XXVII. Mentre il fasto orientale sfoggiava in lusso
degli abiti, l’eroismo dei Greci ca- ratterizzavasi col mostrarsi a nudo
• Tra i guerrieri di questo bassorilievo ne vedi uno vestito , e in
questo caso potrebb' esser troiano, e tra i Troiani credilo Enea, che
soggiacque a mille peripezzie di grave cimento, senza però mai soccombe¬
re , perche gli Dei, per quel che ne dicono Omero \ e Virgilio 5 , avean
desti¬ nato ch’egli regnar dovea sopra i superstiti Troiani, e sopra i
figli dei figli, e sopra quei che appresso erano per venire da loro.
Difatti racconta specialmente Omero che Achille, cosa strana ! si
sgomentò nel combattere con Enea, e tenendo discosto da se lo scudo,
cercava di sottrarsi ai colpi vibrati da quell’eroe 6 ; ma poiché questi
a vicenda contrattosi colla persona, e copertosi collo scudo evitava
l’assalto dell avversario ', come nel bassorilievo mirasi espressa la
figura che ne occu¬ pa la parte media, Achille allora pose mano alla
spada, ed avrebbe trucidato <il 1 Monum. etruschi, Ser. 1, Tav.
lxxxiii, p. 666. 5 Virgil, Aeneid. ]. ni, y . 97, 98. 2 Ivi, p-
667. 6 Homer. Iliad. 1 . xx, v, 261, 26a. 3 Ivi, ser. v, spieg.
della Tav. xlv. 7 Ibìd. 278. 4 Homer. Iliad. lib. xx, v. 307, 3 o 8
. 5o fu detta di lui consorte. Se consideriamo i
due nomi spettanti ai due pianeti Ve¬ nere e Marte, potremo giudicare la
figura terza per un Saturno, altro pianeta. Nè da ciò si allontanano i di
lui attributi, poiché ad esso rompetesi, non solo quella barba prolissa
che gli orna il mento, ma eziandio quelle fronde, e ger¬ mogli, o gemme
di vegetabili che gli cuoprono il capo, attributi propri di sì an¬ tico
nume, non meno che la spada falcata da lui sostenuta '. Queste tre deita
e pianeti possono appellare all j oroscopo di un’ anima che nella stagione di
pri¬ mavera passa agli Elisi, di che altrove do più esteso conto a . 11
vaso contiene altre tre figure che saranno spiegate nella Tavola seguente.
TAVOLA XXXIV. Ecco le altre tre figure che vedonsi nel b.
rii. del vaso esposto nella Tav. antecedente. L’interpetrazione
dottissima scrittami di esse dal eh. sig. dott. Maggi, merita d’esser
nota preferibilmente a qualunque mia congettura. Egli dichiara in quel
mostro una Gorgone, o un Tanato: in quell’ uomo con testa ferina un
Minotauro: nell’uomo alato che sta nel mezzo un Mercurio. La totalità della
com¬ posizione credesi dal dotto interpetre allusiva al tempo nel quale facevansi
le an¬ nuali commemorazioni delle anime. Quindi la figura larvata è da
esso giudicata il Male personificato in un mostro, come fecero gli
Egiziani del loro Tifone; mentre credevasi che prevalesse il male all’
entrare dell’ autunno . E questi nel tempo stesso il Charun degli
Etruschi che fingevano orridamente larvato, e di te¬ sta grossa. Indicano
quelle mal collocate sue ali che la morte raggiunge l’uomo ancorché
fuggitivo da essa, di che l’interpetre dà ragioni che appagano. La se¬
conda figura è da esso dichiarata per quel Mercurio, che occupato nell’ uffizio
di accompagnar le anime, ha deposti gli emblemi che lo distinguono per
ministro dei numi. Giudica poi la terza mostruosa figura esser il
Minotauro allusivo al centauro o centauri celesti, piuttosto che al
figlio di Pasifae; e qui pure dà ra¬ gione in qual modo leghi la dottrina
delle anime colle favole dei centauri autun¬ nali. Nota egli che il fiore
sia un anemone significativo del sole passato ai se¬ gni inferiori, per
cui sopravviene l’inverno, vale a dire il male che da ciò risente la
natura, e quindi anche le anime come credevasi,- tantoché quel mostro con
testa gorgonica rappresenta parimente il sole iemale. Gli uccelli sono, a
tenore del di lui parere, siderei, anch’essi spettanti ai segni
inferiori, e indicanti la via lattea che percorrevano le anime nel
passaggio loro alle sfere celesti. Da ciò conclude che tutta la
rappresentanza sia una spece di geroglifico significativo dell’autunno,
cioè del tempo in cui le anime dovevan esser suffragate. Egli palesa d’
aver tratta questa interpetrazione dallq mie opere 3 . i
Bianchini, Stor. universale,cap. li, §x ,p. 84 * >, pag. i8t, lettera al
dott. Maggi, a Inghirami, Lettere di etnisca erudizione, Tom. 3 Lettere
cit., p. 174, lettera del Dott. Maggi. 2 9
mente mutilati? Eppure è così; nè ciò farà tanta sorpresa, se
consideriamo che anche i vasi fittili sepolcrali si trovano spesso rotti
dagli antichi. Sarebbe forse ella mai una ferale cerimonia liturgica
? Qui osserviamo ancora un vasetto in pietra arenaria, tre quarti
men grande del suo originale; ed è simile a quei che prima dicevansi
lacrimatorii, e che ora si dicono unguentari 3 , perchè si vedono in mano
di chi versa unguenti sul rogo 3 , nè questo è dei comuni per la gran
somiglianza coi vasi egiziani dell’uso stesso. TAVOLA XXXI.
Notiamo questi recipienti con volgar nome di bracieri, mentre per tali
si tengono quei che sono atti a contener brace, ed insieme i vasi escari,
e culi¬ nari. Ma l’originale qui copiato a metà di grandezza, non fu vero
braciere, nè veri escari quei recipienti che vi si contengono, mentre
l’uno e gli altri sono di fragile terra cruda, non atta a resistere
l’effetto del fuoco . Io suppongo essere stati adoprali nei riti funebri
i veri bracieri di bronzo detti anche borni, usati a bruciar vittime, e
profumi. Quindi al termine della funebre cerimonia in luo¬ go di lasciar
questi nel sepolcro, come lo esigeva il rigore del rito, altri bracieri
di semplice figura, e formalità, perchè di terra non cotta, sostituivansi a
quelli. Il pollo che vi si vede nel mezzo, è consueto simbolo di buon
augurio, che vedemmo altrove 4 . Le varie teste che ornano l’utensile han
pur esse il si¬ gnificato medesimo relativo alle anime, come in altre
occasioni ho notato*. TAVOLA XXXII. Serve la tavola
presente a mostrare qual fosse la forma esteriore del bra¬ ciere o
escaria, o estia che dir si voglia, la quale vedemmo nella parte ante¬
riore disegnata nella tavola antecedente. Le sfingi e larve che vi si vedono
ap¬ poste, sono analoghe all'uso ferale di questi monumenti 6 .
TAVOLA XXXIII. Questo vaso ch’è una quarta parte
dell’ariginale, è della solita pasta nera con ornati, e figure a
bassorilievo i, le quali sono in questo disegno della loro naturai
grandezza, e ne occupano tutto il corpo. Ivi son ripetute tre volte. La prima
di esse figure indubitatamente è un Marte; e in conseguenza la donna che
gli è dap¬ presso, quantunque priva di attributi, può credersi Venere,
che nella mitologia 1 Museo Chiaramonii Tav. xxv. 5 Pollux. 1 . i,
segm. 3 . 2 Paciaudi, Monuoi. peloponues. Voi. u, p. iSo 6 Motium.
etr. ser. i, p. aao. 3 V e d. p. ij, 7 V’cd. la spiegazione della
Tal. ini. 4 ivi. RAGIONAMENTO IV.
SUL GRECISMO CHE S’INCONTRA NELL' ETRUSCO , SULLE ARTI GRECHE
OSSERVATE IN ETRURIA, E SULL’ ORIENTALISMO CHE RIDONDA PER TUTTA
ITALIA- Era involta l’origine degli Etruschi in ima impenetrabile
oscurila fino dal tempo in cui scrivevano i più antichi storici che noi
conosciamo. Lo che fa certamente gran maraviglia, quando si riflette all’
esteso dominio di quel popo¬ lo, sì celebre, e sì potente, che aveva una
Casta sacerdotale, e possedeva tempo immemorabile un particolare
alfabeto, ed era più avanzato nella civiltà di tutte le altre nazioni di
Europa. E ciò molto prima dei Greci, pensino, e ne scrivano in contrario,
i dotti compilatori della Rivis a Lungo. Tutto quello poi, che noi
sappiamo della sua susseguente istoria, e c e e suìistituzioni, non ci è
stato trasmesso che dalle nazioni contemporanee , giac¬ che gli scritti
degli autori etruschi, sono periti da lunga età. E le loro iscriA ni
scolpite sul marmo, e sul bronzo, non sono finora più intelligibdi per noi,
i quello che lo siano i geroglifici egiziani. Ma se
dunque la lingua etrusco, non è in prima origne la stessa che a greca
antica, con piccola diversità di dialetto, come pretendevano, il Gori, e
i suoi fautori, e più modernamente l industriosissimo Abbate Lanzi, e
tutta la sua scuola. Se i Greci non furono i maestri degli Etruschi, in
qual modo, riprendono quelli di contraria opinione , s J incontra cosi
frequente il grecismo nell' etrusco, e si osservano cosi comunemente le
arti greche in Etruria . ben rispondere a queste domande, sono da premettersi
alcune considerazioni, che verrò qui brevemente esponendo.
Ridonda in primo luogo, nell’ etrusco , il grecismo, per una ragione
oppo¬ sta diametralmente a quella predicata , e diffusa fin qui dagli
archeologi, cioè, perchè furono gli Etruschi ad un’ epoca assai
recondita, i maestri dei Greci, i quali riceverono da essi, e dagli
Egiziì, le prime nozioni della scrittura, per mezzo dei Fenici, come
altrove accennammo. Questi elementi però non erano in prima origine
prodotto indigeno della Etruria, ma v’ erano stati trasportati da
una più antica emigrazione asiatica. _ . Osservansi poi, in
secondo luogo, in ogni parte di Etruria, ed anche nel resto dell’ antica
Italia, gli avanzi delle arti greche, perchè quella vivace, ed ingegnosa
nazione, che aveva il talento e V attitudine di perfezionare , non me-
3 TAVOLA XXXV. Quando si
trova nei monumenti Mercurio che ha sulle spalle un ariete, se gli dà il
nome di Crioforo, e cosi nominavasi la di lui statua venerata in Lesbo,
che avea scolpita Cakmide, a significare ch'era il dio dei pastori, come
crede¬ va la plebe, mentre altri asserivano eh’ aveva liberato quei di
Tanagra dalla peste, girando tre volte in forma espiatoria intorno alla
città, con un montone sulle spalle. Ma il vero senso, benché mistico di
quell’atto, è la congiunzione del sole col segno dell’Ariete, per
cooperare allo sviluppo della generazione, median¬ te la quale son
rivestite le anime d’utnana spoglia, per cui cred’io che talvolta il nume
vien espresso con lubriche forme. Il religioso cerimoniale degl’idoli
por¬ tava in fatti che l’ariete o lo stesso nume si rappresentasse nelle
patere libato¬ rie per onorare i morti 1 . Questa pittura è nel mezzo d’
una tazza di ter¬ ra cotta, che ha di più il pregio d’essere scritta, ove
peraltro non leggesi che un saluto di buon augurio ad Erilo Eprìo;
K«)oe. tavola xxxvr. Di questa muliebre figura non mi
occorre dir molto, per esser già nota mediante l'estese notizie e
congetture che ne detti altrove ». Io la giudicai rap¬ presentativa della
divinità presso gli Etruschi, giacché ne monumenti de'Greci non si trova
mai, e la dissi una Nemesi Dea ch’ebbe origine in Asia, e per¬ ciò munita
di pileo frigio, e di doppie ali, onde mostrare la velocità del suo corso,
per cui le si vedono altresì le scarpe. Ha in mano un simbolo eh' io
giudicai allusivo alla natura prolificante w*, »««•//>, mentre gli Etruschi
tennero la narura e la divinità per una cosa medesima. La corona che
l’attornia è di frassine, vegetabile sacro a Nemesi. Tutto il monumento,
eh’è uguale in grandezza al suo originale, è un disco di bronzo assai
frequente tra i monu¬ menti etruschi, lucido nella parte avversa, e
manubriato in sembianza di specchio; e poiché se ne son trovati alquanti
nelle ciste mistiche, ove Clemente Alessan¬ drino dice esservi stati
riposti gli specchi unitamente ad altri simboli mistici, così li chiamai
ordinariamente specchi mistici 3 . i Monumenti etr. ser. ti, p. 1
56 . a Ved. la ser. 11 , di quell’opera. 3 Ivi p. 109.
34 dispregiarsi l'etimologia , quanti 1 ella è
sobria, e ragionata ,) comincerò da quelli delle lettere dell’ alfabeto .
1 quali non avendo alcun significamento in greco , e portandone uno
analogo alla loro posizione,ofigura, o suono, negl’ idiomi asia¬ tici, è
ben facile a comprendersi da chicchesia, che non dalla Grecia, ma dal- l’
Asia derivar debbono la propria origine. E vaglia il vero: Alpha ,
per esempio, significa principe, primo, principio, e sìmili, in più dialetti
asiatici, e precisamente in quelli cosi detti semitici, nei quali si
pronunzia aleph , o alepha, e per contrazione alpha, cui pare che fosse dato
un tal nome per essere la prima lettera dell’ alfabeto, Beta,
che viene da beth, betha, suono imitato dal belare delle pecore, e pe¬ rò
sempre inalterabile nella sua naturale Semplicità, checche ne ciancino in
con¬ trario i grammatici, i quali pretendono di farcelo pronunciare bita,
ed anche più barbaramente vita, vale una sorta di casa, per la
somiglianza che ha questa lettera colla casa stessa, nell’ Alfabeto
semitico . Gamma viene da ghirnel, gamia, gamal, che vuol dire
carnelo, ed imita col¬ la sua forma la gobba, o le gobbe di quell’
animale. Cosi delta deriva da da- leth, o deleth , deletha, e per sincope
delta, e significa porta, cui somiglia pu¬ re nella figura. E cosi ancora
epsilon fu presa dalla he semitica, e trae la sua denominazione dal suono
che si manda fuori nel pronunziarla. La zeta, deriva dalla zain,
quasi ziian, che vale un’ arme, perchè somiglia nella sua forma ad un
dardo. E cosi percorrendo l’ intiero alfabeto. La quale opinione
acquista una forza tanto maggiore, in quanto che si os¬ serva, che gl'
ingegnosissimi Greci, non hanno neppure nella loro lingua, che è si
ricca, un vocabolo indigeno per nominare la più bella, e la più maravi-
gliosa di tutte le cose create, qual è il Sole. Imperocché la voce , elios,
di cui si servono per nominarlo, non è altro chela pura semitica, el, o
eloab, inflessa alla greca . E significando essa, fra le altre cose,
anche Dio nel suo primitivo idio¬ ma, si vede il perchè si propagasse
ancora in Grecia, come altrove il culto del Sole. A maggior
conferma poi del mio assunto, ecco una serie di nomi, presi qua, è là
senza scelta, ed appartenenti a cose assai diverse fra loro, come a dire,
divinità , eroi, fiumi, monti, città, provincie, popoli, edifici!, e
simili, i quali tutti sono evi¬ dentemente orientali, avendo nelle lingue
asiatiche, un significato, mentre non ne contengono alcuno nei linguaggi
degli altri paesi. Lo che viene a provare ad un tempo, che i Greci non
sono i ritrovatori della loro mitologia, e che altro non hanno fatto che
foggiare un infinito numoro di ridicoli Dei, prendendo per cose reali ì
sim¬ boli degli Orientali, e le loro allegorie, e parabole .
ti. facile infatti avvedersi, che Pale, la quale presiedeva alle feste
rurali in Ita¬ lia, e Pallade, che mentre era la Dea della guerra, e
delle arti, insegnava la conve¬ nevole cultura agli Ateniesi, non sono
che un soggetto medesimo, sotto due nomi di¬ versi ; ì quali però vengono
entrambi dalle voci semitiche, palai , e pillai, che signifi¬ cano,
regolare i cittadini , e da pillali, che vuol dire ordine pubblico .
33 no che l'industria di farsi suoi gli altrui
ritrovamenti, mandò a più riprese, come tutti sanno, colonie in Italia,
le quali vi fecero pure lunga dimora. Queste colonie pertanto,
riportarono nelle nostre contrade, più belle, e più gentili quelle arti
mede¬ sime, che ne avevano prima trasportate, grossolane, e rozze alla
terra natale, i loro predecessori. Ora, siccome andrebbe grandemente
errato il giudizio di colui, che vedendo un italiano vestito alla
parigina, o all’inglese, volesse inferirne, che quella foggia di
vestimento sia invenzione italiana, cosi è di quelli, che tutto voglio¬
no attribuire ai Greci, perchè i monumenti che ci rimangono dei nostri
antenati, sen¬ tono più, o meno del greco stile , e della greca
maniera. Nè vale opporre, che mancandoci le autorità degli antichi
scrittori, onde fian¬ cheggiarla, e provarla, fa d’uopo rigettare una
tale opinione. Imperocché, ove sia¬ mo privi di monumenti scritti, che
bastino a provare un assunto di questa specie, è giuoco forza ricorrere
al senso comune, e farsi scudo del raziocinio ; i quali valgono m ultima
conclusione più di qualunqué autorità degli scrittori, trattandosi dei
non contemporanei. Ora questo senso comune, e questo
raziocìnio, rafforzati da un gran nume¬ ro di nomi, ( oltre quelli dell
alfabeto, e dei suoi elementi ), di fiumi, di montagne, di città, di
provincie , di divinità, di eroi e simili, ci attestano altamente, e
chiara¬ mente ci dicono, che dessi non possono esser venuti che dall’
Asia, perchè sono asiatici, e tutti ritrovano il loro significamento negli
idiomi di quella parte di mondo. Ed essendo questi medesimi nomi per la
maggior parte assai più antichi di tutti i monumenti, e di tutte le
storie che finqui si conoscano , non si può negare di ammettere, che se
asiatici non furono i primissimi abitatori di Italia, e per con¬ seguenza
di Etruria, tali però debbono essere stati assolutamente, quelli che
insegnarono agli Etruschi l’arte Ai scrivere, e ne volsero gl’intelletti alla
cultura delle arti necessarie alla vita, e delle utili, e dilettevoli
discipline. E perchè non paia ai nan dotti in tali materie, ed agli
imperiti delle lingue orientali, che io mi tragga dalla propria Minerva
siffatte opinioni, così contrarie alle già invalse, ed approvate dal
maggior numero degli archeologi, che scrissero sull’ Etruria, e sugli
Etruschi, è necessario che io venga esponendo, le opportune prove di
quanto asserisco, ai miei lettori. Perlochè, senza veruna pretensione
all' infallibilità delle mie asserzioni, eccomi pronto alla dimostrazione
delle medesime. E tralasciando di riferire in questo ragionamento tutte le
tra¬ dizioni, non mai interrotte dai tempii più reconditi fino all’ età
nostra, le quali dicono essere stati gli antichi Etruschi nazione
cultissirna, e potentissima, mi ristringerò a quella che c’istruisce aver
eglino attinti i primi lumi della loro civiltà, da una colonia, o
emigrazione proveniente dalle parti orientali, che furono la cuna del
genere umano, e di ogni sapere •, e non già dai Greci, che erano a quei
tempi, se pure esìstevano , del tutto incolti, e selvaggi. Venendo
pertanto all’ etimologia dei suddetti nomi, ( che non è sempre da Etr.
Mus. Chius. Tom. 1. ^ libio, e Tolomeo, dalbascuenze pitsà,
equivalente a schiuma, perchè situata, secondo Rutilio, vicino al fiume
Ausuro , e sull’ Arno, Quam cingunt geminis, Arnus, et Ausur
aquis. Orvieto, chiamato Herbanum da Plinio, prende il nome dalle
celtiche voci herd, e baun che vagliano terra alta. E di là scendendo
verso Roma , incontrasi non lon¬ tano dal Tevere il lago Vadimone, o
all’etrusca Vadimune, oggi lago di Bassano, alle cui acque attribuisce lo
stesso Plinio, fra le altre qualità, vis qua fracta solidan* tur; la qual
salutifera proprietà è significata dalla prima parte del suo nome, chea
vateded equivale in celtico ad utile,proficuo,e simili. Angiunge poi lo
scrittore medesi¬ mo che era quel lago riguardato come sacro, perchè
sotto l immediata protezione di non so qual deità ; lo che viene espresso
dalla seconda parte del nome ch’ei porta, cioè, mund, o più dolcemente
mun che corrisponde difesa, protezione, e tutela. Trovavasi poi al
mezzodì di tal lago Fescennio, luogo celebre per le sue osceni¬ tà , e le
quali sono indicate dal nome, essendo gitisi’ appunto licenza, sfrenatezza ,
il significamento di quello ; e però ne cantarono, Orazio
Fescennina per hunc inventa licentia morena, e Catullo, Ne diu
taceat procax Fescennina licentia; Oltre di che, il
celtico wels-hein, latinamente Fescennium, s’ interpetra bosco di Venere.
Nomina Tito Livio, Fanum Voltumnae, oggi Viterbo , e credesi
comunemente che questa Voltumna fosse una divinità. Difatti il Dempstero
la reputa la prima fra tutte le etnische, e Banier V annovera frale
campestri. Ma è da credere che Voltumna, venga dalle due voci volt e tun,
e per questo il Fano prendesse il nome non già dalla divinità, ivi
adorata, ma dal luogo ov’ era posto, poiché significa colle percosso dal
fulmine,o colle fulminato. Cosi pure, Auno , famoso Ligure,
ausiliare di Enea, quando venne a stabilirsi in Italia, e che trovasi
descritto nell'undecimo libro dell’ Eneide, come paurosissimo nello
scontro colla valorosa Camilla, significa precisamente pauroso, timido in
lìn¬ gua armorìca, uno dei dialetti indo-scitici. E Cupavone, che andò
pure col suo na¬ viglio in soccorso di Enea, si traduce capitano di mare,
come Taro,,f ’interpetra gran fracasso, o che fà gran fracasso, rovinìo,
o danno, ed ognuno di leggeri comprende, quanto ciò si convenga ad un tal
fiume romorosissimo , e precipitoso . Iasio viene da iasesc, che
vuol dire, longevo, antico, e ben corrisponde all’idea, che ce ne danno
ipoeti, come Capi deriva da capasci, uomo libero, traendosi da ca- pasc,
libertà. Laberinto procede da labiranta, che vuol dire torre, palazzo;
Tritto- lemo da triptolem, che vale l’apertura dei solchi, Celeo da celi,
vaso, ordigno, mas¬ serizia, e però disse Virgilio , Virgea preterea
Celei, vilisque supellex . Palilie, ossia la festa degl’istituti, e
delle leggi, derivada palilià, c he significa l’or¬ dine pubblico, o da
peli], che vale moderatore/Iella cosa pubblica, il primo in Isaia,
55 Penati, è voce che deriva da penisi!, luogo
interno, o intimo , e la cui radice è penàh, che vale penetrare; tutte le
quali significazioni convengono benissimo a quel¬ le familiari divinità
degli antichi Romani. E Levana deità latina essa pure, è la medesima che
Lucina , la quale sostenta i nati di fresco, e deriva da Jevanàh, che
vuol dir Luna. La Parca, non è cosi detta a non parcendo, come
pretendono i Grammatici, e gli Etimologisti latini, ma bensì da parech,
che vale rottura , perchè tronca essa il filo della vita; come Cerere, da
gheres, spiga matura, e Cibele, da chebel partorire. Difatti quella prima
è la dea delle messi, e viene riguardata la seconda come la madre di
tutti gli Dei . Osservo il Passeri, che Venere, detta Venus dai
Latini, era parola sconosciuta ai Greci, i quali esprimono questa pagana
divinità, colle voci Sfpofarv, topo, Afroditi, o Afaodite, Kipris,
Kitereia. E fu per lungo tempo ignota anche ai Romani, come attesta
Macrobio nel primo libro dei Saturnali. Afferma poi Earrone che il no¬
tile di questa Dea , non conoscevasi fra gli stessi Romani, nè greco nè latino,
neppure sotto ire. Ed aggiunge Pausatila nel suo primo libro, che era
ignoto agli antichi Gre¬ ci, e che lo aveva trasportato fra loro Egeo
dalla Fenicia, e dall’isola di Cipro. Gli Etruschi però conoscevano
benissimo una tal Dea , eia chiamavano Vendra, come rilevasi da un antico
specchio mistico . E la sua origine sente dì ebraico, avvegna¬ ché,
ben-thara vuol dire figlia del mare perchè tbara significa umidità, dal
qual vocabolo fecero i Grecite**, tharas figlio di Nettuno. Quindi furono
dette Tbarso quasi tutte le città marittime, e tarsisc, il mare, il lido,
un porto. Dalla stessa vo¬ ce ben, che si cangia spesso in ven, per le
regioni a tutti note, furono composti mol¬ ti nomi di Dee, come quello
della Bendit degli Sciti, di Bentasicima figlia di Net¬ tuno presso
Filostrato, ed altri. Nè vennero da una sola parte, e nomi, e riti,
e costumanze asiatiche in Etruria, ed in tutta Italia, ma per più e
diverse vie: peri oche non da un solo linguaggio asiatico trar si debbono
le spiegazioni dì questi nomi, ma da più, e diverse lingue, e dialetti di
quella famosa contrada. Quindi tutti i celtici, e tutta la gran famiglia degl’
idio¬ mi così detti indo-scitici, possono esser messi utilmente a
contribuzione, come altra volta accennammo per la retta intelligenza
dell’ etrusco, e per interpelrare gli anti¬ chi monumenti del nostro
paese-.Dal che viene a dimostrarsi , che il dotto, ed acuto padre
Rardetti, non aveva poi tutti i torti, di che altri volle troppo leggermente
ag¬ gravarlo . Ma riprendiamo la nostra disamina . Liguria,
nome di quel tratto di paese, detto la riviera di Genova, fu cosi detta
da Liguria voce bascuenze,che vuol dir soave. E si formarono probabilmente
da questa, il verbo latino, ligurire, che significa mangiare soavemente,
o mangia¬ re cose soavi, e il nome greco liguros che vale anche
soave. Pisa, cosi chiamata , o per la figura dell’ antico suo
porto, che si trarrebbe da pi* se ,che vale in dialetto lidio porto
lunato, o se fu detta Pissa, come la chiamano Po -
TAVOLA XXXVII. II nudo idoletto in bronzo che in questa Tav.
si espone davanti e da tergo, nella grandezza medesima dell’originale,
con altri similissimi a questo, sparsi pe'mu- sei, forma soggetto di
mature, ma non per anche fruttifere riflessioni degli archeo¬ logi , che
se per un lato vi ravvisano una gran somiglianza coi monumenti egiziani
da far sospettare che sian idoli venuti d’Egitto in Etruria, atteso
specialmente il costume e f acconciatura anteriore e posteriore
de’capelli; dall’altra non concepi¬ scono come gli Etruschi abbian potuto
ridursi a mendicare manifatture d’Egitto,men¬ ti'’ erano essi medesimi
famigerati artefici; nè la storia ci addita in conto veruno un traffico
simile tra le due sì disgregate contrade. È vero che Strabone veduti i
lavori d’ambedue le indicate nazioni, li giudicò di un medesimo stile,
simile a quello dei Greci antichi ma par ch’ei ciò riferisse allo stile
dell’arte, e non al costume delle figure . In qualunque modo peraltro si
volesse risolvere l’obiezione, qui non sarebbe luogo opportuno di
estendervi. L’altro bronzo che rappresenta una fiera testa di lupo,
servì probabilmente per ornato nel manubrio d’ un arme da taglio.
TAVOLA XXXVIII. Ebbero gli antichi una singoiar cerimonia
religiosa, alla quale davano il nome di Jettisternio, consistente in un
convito che si faceva nel tempio, o nel sacro recinto, dove si
apparecchiayano le mense ed i letti, perivi stendersi i devoti che lauta¬
mente mangiavano in onor degli Dei, ma vi si preparavano ancora altre mense
ed altri letti, dove si deponevano le statue dei medesimi numi, a’quali
porgevan vivan¬ de, come se fossero stati realmente Ior commensali =. È
dunque probabile che il pre¬ sente rudere antico facesse parte d’un di
que’Ietti che preparavansi per le statue, i quali si potevano usare a tal
uopo di qualunque grandezza. L’ornato stesso di un seguito di figure
tutte ugualmente recombenti, con tazze in mano, come stavasi a mensa, fan
so¬ spettare delbanalogìa di rappresentanza coll’uso accennato del
rudere, ch’èdi pietra arenaria, una terza parte maggiore del presente
disegno. Lo stile a parer mio si mostra imitativo piuttosto che ingenuo
d’un’ antichità non poco lontana. TAVOLA XXXIX. É già
noto all osservatore il nome e 1’ uso di questo mobile, per le ta¬ vole
antecedenti, al cui proposito dissi che \non veri foculi, ma figure di
ì Monum. etr. ser. m, p. 4 oi. a Liv. 1 . v, § 1 3 . Laurent,
de prond.et coena vet, c. zi, conviv. vet. c. 4 *
37 cap. 28 , il secondo in Giobbe cap. 3i. E Pamilie, festa
che veniva dopo la raccolta, ed il cui significato e 1 uso moderato della
lingua , da dove s introdusse presso i Gre¬ ci il costume di fare
esclamare e rivolgere al popolo le parole «pi« yWoias tamnete glossas.
cioè , troncate le lingue, astenetevi dal parlare, derivansi da pa-mul, la bocca
circoncidere, o da pamylah, circoncisione della bocca. E siccome era questa
una ottima lezione morale per rendere gli uomini sociabili, e felici,
così tutte le piccole società dei congiunti, o d’altre persone che vivono
insieme, furono dette fatniliae, e da noi famiglie. Camilla è
voce pretta etrusca, dicono Servio, e Festo, e significa ministra degli
Dei . Sia pur vero, ma in idioma orientale significa un tal nome, ciò che
dissero i Latini serva a manu; o filia a rnanu , giacché cam vaia mano,
ed bill figliolanza , come osservò Eccardo al titolo 23 della Legge
Salica. E filia a manu, o serva a manu e una espressione convenientissima
alle giovinette , che metter dovevano le mani in cento cose, essendo
destinate a servire. Tarconte , autore secondo le favole di
Tarquinia, fratello di Tirreno, o disceso da lui, che sopraintese a
dodici città, il che non è bagattella ,fà secondo la verità storica un
valoroso soldato, che avendo difesa la sua gente, venne denominato lo
scu¬ do 5 tale essendo ilsignificamenlo del gallico tarcon, o
dell’armorico targad. E finalmente, Tages , o Tagete , che narrano
esser saltato fuori fanciullo, dalla terra che sfavasi arando, che fu
alla nazione etrusca il primo maestro delVaruspicio, che il senatore
Buonarroti lo ha creduto espresso nella tavola 45 fra le aggiunte al
Dempstero, non può venire che dalla voce asfcia, tag, la quale significa
giorno. E pare che gli Etruschi volessero fare intendere con questa
figura, o parabola, che i giorni, p come noi diremmo il tempo, aveva loro
insegnato l aruspicina, o l'arte di antiveder l avvenire. Avvegnaché di
simile parlare figurato , sono ripiene le pagine degli scrittori sacri, e
profani. Dei quali basterà nominar qui, tralasciando gli altri, David,
Pindaro, Tullio, e Virgilio. E siccome dice lo stesso Pindaro che
le ore avevano insegnato agli uomini molte delle antiche arti, così
poteva secondo gli Etruschi, aver loro il giorno insegnato l aruspicina-,
Imperocché scrive il prelodato Tullio, che opinionutn commenta del etdies,
naturae iudicia confirmat; E Virgilio cantò, Turne, quod optanti,
divum permittere nemo Auderet, rolvenda dies en attullit ultro.
Domanderò ora ai dotti, se dopo la spiegazione da me data a tanti
nomi dei quali potrebbe estendersene il numero per centinaia , e
migliaia, sia possibile che una fortuita combinazione, possa rendere così
ragionevolmente corrispondenti i loro significati, agli usi, ai tempi, ai
luoghi, ed alle circostanze degli oggetti per essi indicati.
4 ° va spossato di forze; e incontro a lui, come narra Omero i
Troiani e gli Achei si tagliano a vicenda gli scudi e le targhe i 2 ». Il
berretto asiatico, del quale il recombente è coperto in questa tavola,
mostra più manifestamente che altrove la sua qualità di Troiano, e perciò
mi confermo nel crederlo Enea. Gli altri corpi che vedonsi rovesciati a
terra, fan fede che il fatto accade in un campo di batta¬ glia; e nel
tempo stesso più che bellezza, dà merito al monumento quella ric¬ chezza
di lavoro, che ne’tempi dell' arte in decadenza preferivasi al bello, che n’è
il vero pregio. TAVOLA XLII. La ricchezza colla
quale vedemmo decorata di scultura l'urna cineraria in marmo, il cui
disegno è stato presentato nella tavola antecedente , tre volte più
piccolo della di lei grandezza, non potette appartenere che a persona
qualificata e facoltosa. Ciò si verifica nell'osservarne il coperchio in
questa tavola disegnato, sul quale riposa un giovine riccamente vestito,
decorato di onorifiche insegne, quali sono principal¬ mente 1’ anello e
la corona di alloro che ha in mano, il torque che gli orna il còllo , ed
un ricco balteo che dall' omero sinistro gli scende al destro fianco. La corona
che ha in capo non è di semplice onore, ma gli spetta come recombente a
convito: posi¬ zione che viene affermata dalla tazza che ha in mano, come
usa chi sta a mensa. TAVOLA XLIII. É stato ragionato
dagli antichi di una guerra delle Amazzoni, la quale ha non poco del
favoloso 3 , come lo prova inclusive la diversità colla quale è narrata,
ma nella varietà della favola v’è gran concordia tra i mitologi per
introdurvi i cavalli 4 . Or poiché veri combattimenti antichi a cavallo
non si conoscono descritti dagli au¬ tori de’tempi omerici, o poco dopo,
così non resta che quel delle Amazoni, o con gli Argonauti 5 , o con gli
Ateniesi 6 , che incontrisi nei monumenti, come approvato tra le
rappresentanze dell’antichità figurata. Dunque intendo di calcar le
massime consuete spiegando il presente bassorilievo per un Amazone
equestre, la quale com¬ batte con un militare a piedi, sia pur costui un
eroe degli Argonauti seguaci di Erco¬ le, o un Ateniese del seguito di
Teseo. La Furia con face in mano è spesso introdotta nei combattimenti
anche dai tragici greci 7. L’urna cineraria in marmo originale misura
quattro volte questo disegno. La semplicità dello stile caratterizza questo
bas- i Iliad. cit., v, 45 1. a Inghirami Galleria
omerica, Iliade Tav. lxxiv, Voi. i, p. 146 3 Monumenti etr.
Ser. in, p. 23 1 4 Diodor. Sic. 1 . iv, cap. xvi. 5
Monum. etr. Ser. cit. p. 2 43 * 6 Ivi p. 234. 7 Ivi,
Ser, 1. p. 269, 3 i 6 , 477 » 534 » 5 ^ 9 » 568 .
3 9 essi erano quei che si trovavano entro le tombe di
Chiusi, perchè essendo di terra non cotta, potevan soltanto servir per
figura in qualche sacra cerimo¬ nia 1 2 . Ecco pertanto in questo disegno
uno de’ veri foculi, o thimiateri qualora questo braciere sia stato in
uso per cuocer vittime, percb’è di bronzo, e per ciò capace a resistere
all' azione del fuoco, siccome anche i vasi e gli al¬ tri arnesi da
cucina, che vi si trovarono dentro. Anche la sua grandezza eh’è due terzi
maggiore di questo disegno, attesta della capacità d’essere stato ado-
prato. L’indefessa gentilesca superstizione ci fa supporre, che non a caso
fosse un tale utensile ornato dal Capricorno, ripetuto nei quattro suoi
angoli, mentre ogniun sa che quel celeste segno fu oroscopo di fortuna,
che tennero per loro im¬ presa Cesare Augusto, l’imperatore Carlo V, e
Cosimo I Granduca di Toscana 3 4 . Quell'animale vi sta dunque in luogo
del gallo che vedemmo nell’altro foculo già rammentato 3 .
TAVOLA 2L. La forma di questo foculo di terra nera e non
cotta permette che se ne osservino distintamente i vasi da cucina e da
tavola ivi contenuti. Le replicate teste d’ariete ivi affisse, nonlascian
dubbio che il vaso non sia fatto espressamente per uso sacro, ed allusivo
a Mercurio; il quale presedeva alle libazioni, come il mediatore delle
preci che gli uomini porgevano ai numi 4. Oltredichè ci è noto, che alle
anime, come anche ai numi infernali, facevasi olocauso d’un ariete di
color nero 5 ; ed io vidi a questo proposito vari bassi altari nel museo
etrusco di Volterra, ornati di teste d’agnelli, co¬ me il foculo qui
esaminato. TAVOLA XLI. In un bassorilievo trovato a
Chiusi, ove sembrommi di vedere il medesimo sog¬ getto che nel presente,
all'occasione d’averlo dovuto spiegare, scrissi quanto appres¬ so. «
Quando Venere e Apollo ebber sottratto Enea dalle furibonde armi del
prode in guerra Diomede, allora Febo immaginò di lasciar combattere a
sazietà i Troiani coi Greci, sostituendo ad Enea l’idolo, 9 1’ ombra di
lui 6 . Questa poetica immagine del combattimento di due partiti per un
fantasma, fu cara oltremodo agli Etruschi, mentre ne vediamo la
rappresentanza in diversi dei lor cinerari, dove si osserva il simulacro
d’Enea caduto a terra per la percossa del sasso gettatogli da Dio¬ mede,
in atto di cercare una qualche difesa nella trista situazione in cui si tro-
1 Ved. Tav. xxxi, xxxn, p. 29. 5 Virg. Aeneid, 1 . vi. v- 2 4 L Varrò ap.
Geli. 2 Inghirami, Im, e R. Palazzo Pitti, p. 88. !• iu, c.
11. 3 Ved. Tav. xxxi. 6 Ilomer Iliad. 1 . v, v. 449. 4
Monuin. etr: ser. n, p. 4 2 mostra in questa
Tavola il disegno rappresentatovi, non potea meglio esprimere in esso un
tale avvenimento, poiché dipinse Peleo qual destro giovine preparato alle
nozze, in atto di tenere stretta la ritrosa Teti, che quasi è per coprirsi ’J
volto col ve lo per l’onta di quell'atto. Peleo eseguì ciò per consiglio
di Chirone divenuto il di lui suocero con quelle nozze. A lui davanti
Peleo conduce la sposa, quasi che gli do¬ mandasse assenso della unione
maritale, mentre il centauro coll’atto di stender la mano dimostra l’annuenza
paterna dell’imeneo. È superfluo il sospettar ch’altra favola sia
rappresentata in questa pittura fuor che quella di Peleo e Teti davanti a
Chirone, mentre lo attestano le iscrizioni che vi si leggono setie teaes
kipos, e quindi un no¬ me proprio di Nicostrato coll’aggiunto consueto
nikoztpatos kaaos. Le figure qui ri¬ portate son alte la metà di quelle
che vedonsi nella pittura del vaso originale, che ha fondo nero , con
lettere dipinte in bianco appena visibili. TAVOLA XLVII.
I vasi che han la forma come il presente sogliono avere altresì tre
manichi, ed una sola fronte ornata a figure; questo a differenza degli
altri è dipinto da due parti, una delle quali è descritta nella Tavola
antecedente, f abra, che dir si potrebbe la parte opposta del vaso, a
causa della inferiorità della esecuzione del disegno, è la qui delineata,
ed il vaso tracciato sotto di essa è poco più della decima parte
dell’origi¬ nale, in fondo nero con figure rosse. 11 vecchio calvo che
sta nel mezzo a due donne in atto di correre o di ballare, è tema
comunissimo anche ad altri vasi. Ma in uno di essi, per quanto appresi da
S. E. il principe di Canino esimio possessore e cogni- tore di tali
pitture, uno di essi, io diceva, manifesta con epigrafe il nome del
vecchio Tindaro, dal che si dedurrebbe essere una delle donne la figlia
Elena danzante con una delle sue compagne nel tempio di Diana, dove fu
rapita da Teseo, e portata in Atene: tema che ora m’avvedo essere più
chiaramente espresso nel vaso che io inserii nell’opera dei Monumenti
Etruschi *, e che dissi allusivo al corso degli astri a , e che ora
maggiormente confermo per la relazione di quel ballo e di quel ratto con
la guerra dei Dioscuri onde riprender Elena, con altri simili tratti di
quella favola, i quali non significano in sostanza che un continuo levare
e tramontare degli astri 3 , e delle combinazioni loro con la luna: nome
che in greco porta con poca varietà an¬ che Elena Selene da sto» la
risplendente, e aiUn la luna *. TAVOLA XLVIII. La
figura di questa Tavola è dipinta nella grandezza medesima in una tazza
di terra cotta con giallastro colore su fondo nero, il cui aspetto ha
tutti i segni del sati— 1 Ser. v. Tav. ix. 3 Ivi, ser. n, p. 4 g 8
. 2 Ivi, ser v, p. 87, li 4 , 4 Ivi, p. 567.
sorilievo non distante dai buoni tempi dell’ arte; e se la figura
equestre compa¬ risce alquanto piccola, fu condotto a sì ingrata licenza
lo scultore nel volervi introdurre delle figure a piedi e a cavallo
protratte ad un'altezza medesima, e che tutte empissero il fondo sul
quale son collocate . TAVOLA XLIV. Prima di coricarsi a
mensa usarono gl’italiani dei primi tempi di Roma di spo¬ gliarsi
de'propri abiti, e prendere un manto che dissero veste cenatoria o
sindone, colla quale in parte avvolgevansi e in parte potean restare a
nudo, per aver le brac¬ cia più libere all’azione di prendere il cibo,- e
così coperti dieevansi dai latini semi- amidi, ma quell’uso fu
abbandonato e non tardi, ond’è che da Erodiano fu addotto come affettata
imitazione delle antiche statue Di tal costume par che serbi memo¬ ria la
figura della Tavola presente che giace sul coperchio,spettante all’urna in
mar¬ mo che antecedentemente abbiamo veduta.Dell'iscrizione sarà dato
conto a suo luogo. TAVOLA XLV. Il vaso che qui si mostra
un terzo più piccolo dell' originale, è di que’soliti di terra nera che
si trovano a Chiusi, nè potrassi mai supporre che siano d’altra fàbbrica
fuori della chiusina, poiché oltre la terra nera e non cotta che vi si
adopra- va più che in altre officine, hanno essi vasi certe forme, una
delle quali è la pre¬ sente, che mostrano un carattere del tutto
originale ed unico, sì nelle sagome, sì negli ornati. TAVOLA
XLVI. Accenna Omero essere stata volontà degli Dei,che Peleo
togliesse Teti per moglie, quantunque Dea; mentre quell’eroe non avrebbe
volontariamente aspirato ad una unione sì eminente 3 . Apollodoro ne
spiega più minutamente il successo, e dalla di lui narrazione par che
abbia origine questa pittura. Era fama che Giove unitosi con Teti, da cui
restò incinta d'Achille, ne procurasse 1’ imeneo posteriore con Peleo,
quantunque mortale 3 . Quindi soggiunge Apollodoro, che il centauro Chirone
con¬ sigliò Peleo ad impadronirsi della ninfa divina con sagace
destrezza, nè lasciarla an¬ dare, per qualunque forma ch’ella avesse
presa . La insidiò difatti Peleo, e quantun¬ que la Dea si trasformasse
in acqua, in fuoco, ed in bestia feroce, egli ritennela finché non ebbe
ripresa la di lei primiera forma di ninfa. Il pittore del vaso di cui si
i Monum. Etr. ser, i, p. 3^6. 3 Scol. ap. Heine lliad. Iib. xm, v. 35o ,
Tom. v H-imer. lliad. lib. xxiv, v. 538. vi, p. 635.
Elr. Mas . Chius. Torti. I . G
ragionamento y SUGLI ETRUSCHI
Disputarono lungamente frà loro gli scrittoli, come abbiamo accennalo,
in¬ torno all’ origine degli Etruschi, e fabbricarono su questo soggetto
tre sistemi di¬ versi. Volevano, per esempio, alcuni che eglino fossero
un popolo uscito dalla Gre¬ cia, ed una colonia di Pelasghi, mentre
sostenevano altri che erano Lidii, e veni nano dall’ Asia, ed altri
finalmente affermavano essere i medesimi originarli di Italia. La quale
ultima opinione è ragionevolissima, e noi la crediamo la vera. I
moderni poi hanno superato gli antichi nel numero delle ipotesi, e dei
sistemi-. Imperocché il Maffei,col Mazzocchi, ed il Guarnacci, li fanno
venire dalla Fenicia, il Buonarroti dall' Egitto, il Pelloutier, il
Bardetti, ed il Frerst, dai Celti. Li cre¬ de Guglielmo de Humboldt I
anello di comunicazione frà i Latini, e gl’ Iben, lad¬ dove Niebuhr
riguarda la Rezia come la primitiva lor sede. Ed in fine il Mailer suo
discepolo, adottando un termine medio, ammette un popolo primitivo di
Etruria, eh’ ei chiama Rase ni con Dionisio d Alicarnasso, e sulla cui
origine lascia la qm- stione indecisa, benché creda d’ altronde, che
questi Raseni si mescolassero coi Pe¬ lasghi, qua venuti colle loro
colonie di Lidia. Ora questa moltitudine d’ipotesi antiche-, e
moderne, da altra causa non possono cèrtamente procedere, che, oda troppa
leggerezza, e precipitazione nell’ esaminare i monumenti dei nostri
padri, o da impremeditato sistema in coloro, che ne presero a scrivere, o
dal più nocivo di tutti i sistemi, V amore di parte. Per poco infatti che
vi sifaccia attenzione, e si vogliano mettere alla prova, non è difficile
a chicchesia di ac¬ corgersi, che q.essuna di quelle ipòtesi, e nessuno
di quei sistemi, contiene elementi che bastino a diradare il buio che
involge le cose etnische, ed a spiegare, anche probabil¬ mente i
monumenti che ci rimangono di quella illustre nazione. Scegliendo
peraltro da ciascuna di quelle ipotesi, e da ognuno di quei sistemi, ciò
che vè di più ragionevole, e di più giusto, e formandone un insieme, vi si
troverà, se il giudizio nostro non và errato, quanto fà di mestieri, per
portar piena luce e spiegare con ogni chiarezza, e senza replica, tutto
quello checi rimane di etrusco. Stabiliremo dunque frattanto, che
furono gli Etruschi un popolo particolare d’Ita¬ lia, indigeno di questa
bella penisola, che ebbe, com è naturale, una lingua sua pro¬ pria ; la
quale non è la. Stessa che la greca antica,, come dimostrammo nel
precedente ragionamento, e che anzi ne differisce mollissimo, anche per
sentimento del prelodato Mailer. Col quale aggiungeremo, a conferma di
quanta asseriamo, che inori>', dei loro
43 ro: orecchie ircine, barba prolissa,naso simo e coda di
cavallo.L'otre vinaria ove stas¬ si assiso è pure suo speciale attributo.
L’iscrizione letta come qui rappresentasi, poco giova ad intenderne il
significato panaitios iupos kacos . Non oso farvi emenda, mentre non
avendo io veduto il monumento, non posso nè asserire, nè porre in dubbio
se questa sia la vera lezione. Quando non vogliasi azzardare il supposto
che la terza lettera dell’ ultima voce sia nell’ originale un p, per cui
avremmo due volte ripetuta la voce bello, come in altri esempi si vede,
potremmo almeno pensare ad una omissione dell’asta che del c ne dovea
formare unir, e la voce significativa di pernicioso potrebbe alludere al
vino, quando n’è fatto abuso. Nè nieu dubbie si mostran le altre voci, a
meno che vogliansi leggere ««<05 che sarebbe un saluto al dio Pan
l’autore della universale natura. Ma tali dubbie iscrizioni debbonsi a
mio parere consegnar colle stampe alle indagini di quelli ellenisti che
in particolar modo si occupano dei vasi dipinti e scritti.
Epigrafi tratte dal museo Oasuccini, come le altre venti già stampate, scolpite
in urne di travertino, o segnate in urne di coccio. XXI.
xxn. xxin. XXIV. xxv. VI
:fì\u il AH : 43 :4flHfYf = fln-iq/iDvnas : ma : qd
>- tv -7 bifidi) : dfiUfVf: V13M :
lllfttqfi : 04 :4fi0qfl4 : dfidfVf : liHblqfi : 43
#filflfiOmfiq ; invddfi : O4 > /in fio
XXVI. Doppia epigrafe 4fi Sopra
il coperchio filfin8dV3 Nell’ orlo del coperchio
Iffifliqa : ignqfiq : 04 XXVII. Jfi 1 -r fi
sic om 131 : lantqfi : I O q fi 4 xxvin.
fiinvi-nai : firmo filflfl031 6 *
46 il nome di quei nuovi coloni, e non quello dei primitivi
alitanti. Imperocché , trovan¬ dosi, prosegue lo stesso Mailer, nella
Tavole Euguhine, la parola Tursee, con quelle di Tuscom , e di Tuscer, è
impossibile di non conchiudere, che dalla radice Tur si sono fot mali
Tursicus, Turscus, e Tuscus, come dalla radice Qp, deriva- ronsi Opscus,
ed Oscus; Di maniera che Tuprìvoi o Tv eP moi e Tusci, non sono che le
forme asiatiche, ed italiche di un solo, e medesimo nome • Che del
resto, un argomento per noi fortissimo, atto a dimostrare oltremodo remo¬
ta la civiltà degli Italioti, e singolarmente degli Etruschi, ricavasi pure da
tutti que¬ gli antichi scrittori, i quali parlano della cosi detta
Confederazione etnisca residen¬ te a Fiesole, e da tutti quei Gronólogisti,
che ne fissano lo stabilimento a lobo anni prima dell’era volgare ; dei
quali vedasi, fra gli altri, il Sìg. de Long-Champs, nei suoi Fasti
universali. Lo che ci fa credere che gli abitanti dì questa regione,
avessero già acquistale fino diallora, non ordinarie nozioni di politica
teoria. Ed infatti, benché la voracità dèi secoli, e più ancora la
feroce ambizione , e la crudele prepotenza romana , ci abbiano invidiate
le storie etnische, ed anche la maggior parte dei monumenti di quel popolo
celebratissimo ■ Benché la vanità sen¬ za limiti dei Greci, sia venuta,
per giunta alla derrata, ad involgerne di puerili, e ridicole favole,
perfino il nome, non che le azioni dei nostri antenati, per quella loro
presunzione stoltissima , di far credere che tutte le altre nazioni del mondo,
non fu¬ rono nulla , in paragone di loro ; esistono pure tuttavia in
Etruria delle costruzioni, che gli eruditi chiamano Ciclopèe , perchè non
hanno il carattere, nè fenicio, nè egi¬ zio, e che sono per conseguenza
indìgene , le quali sfidano da quattro mila anni a questa
parte,gl’insulti degli uomini e gli urti del tempo, e stanno a conferma
di quanto asserimmo qui sopra, circa la suaccennata civiltà, e
straordinaria potenza, ed energia degli Etruschi . E tali sono, fra le
altre, le mura di Volterra, e di più altre città dell’ antica Etruria, le
quali sono formate di enormi macigni, senza alcun cemento, resi fermi
soltanto dal proprio peso- Mal epoca della colonizzazione, della
quale parlammo di sopra, non si può fissa¬ re che per approssimazione. La
quale peraltro credè il Mùller, già citato più volte, che coincida colla
emigrazione dei popoli, e che fosse cagionala, e prodotta da quella, e se
la ragiona cosi- Gli Umbri, dice egli, e lo ripetono pure i compilatori
di Edimburgo, erano potenti nella contrada, di cui presero possesso i
nuovi coloni. I quali ebbero a sostenere lunghe, e sanguinose guerre,
prima di spossessarli delle trecento città, che eglino occuparono, al
dire di Plinio lib. terzo, cap. decimo nono, nel paese che fu più tardi
chiamato Etruria. E poi fuori di ogni dubbio che gli Etruschi si
estesero dalla parte del Mez¬ zogiorno, fino alle sponde del Tevere, ed
anche al di là nel Lazio, come lo prova il nome di Tusculo, o Tusculano.
E dietro le tradizioni popolari, quello stesso Tarconte, al quale si
attribuisce la fondazione delle dodici città di Etruria, con¬ dusse anche
dodici colonie al di la degli Appennini, e vi gitlò le fondamenta di
45 Dei, non sono quelli che s' incontrano presso gli Elleni,
e che trovatisi nelle dottrine dei Sacerdoti Etruschi, molti punti,
affatto diversi dalla greca teologia. E ripeteremo ciò che altrove
dicemmo, che la sorte, cioè, di questa nazione, pare che fosse quella di
essere debitrice dei suoi primi progressi nella civiltà, non ad una tribù
greca, o mezza greca, siccome crede lo stesso Mailer, e con esso lui i
dotti compilatori della Rivista di Edimburgo ; ma bensì ad una
emigrazione asiatica, più antica dei Greci medesimi come abbiamo assento,
ed in parte ancora provato nel precedente ragionamento. Nè punto
esiteremo d affirmar qui, che la lingua etnisca, o ella non fu mai
scritta nella sua purità primitiva, e scevra di ogni mescolamento di stranieri
vocaboli, o se pure lo fu in lontanissima età, non è fino a noi pervenuto
alcun monumento scrit¬ to, il quale ce ne possa far fede. E ciò
sosteniamo con tutta franchezza, perchè quelli conosciutifinqui, sono
tutti composti, senza veruna eccezione, di un rnescuglio di vo¬ ci, prese
ad imprestito, per la maggior parte, da ognuno di quegli antichissimi
lin¬ guaggi, e dialetti, che nominammo nei ragionamenti già pubblicati in
quest' opera stessa. Di che daremo una sicura prova in altro discorso a
questo solo scopo diretto. Sul proposito però dell' essere, o non
essere gli Etruschi una tribù greca , o mez¬ za greca, è molto curiosa la
novelletta che vanno ripetendo, il prelodato Mùller, e con esso ancora i
surriferiti Compilatori della Rivista edimburghese, ove dicono che i
Toscani attribuivano eglino stessi, nelle loro nazionali leggende, la
propria civiltà alla marittima città di Tarquinia, e nominatamente a
Tarconle. I quali due nomi altro non sono, secondo essi , che due
variazioni di Tirreni . Ma questa è una greca invenzione, ed anche di
moderna data, in confronto della remota cultura degli Etruschi, ed è
similissima a tante altre dello stesso calibro , dai medesimi Greci ac¬
creditate, e spacciate per fatti, intorno all’origine di tutte le più celebri
nazioni del- l antichità . Ed aggiungono i medesimi autori, che
sbarcarono precisamente a Tar¬ quinia , e colà stabilironsi da prima,
quei terribili Pelasglii di Lidia, i quali porta¬ vano seco le arti, e le
scienze, che avevano già apprese o nella patria loro , o nei loro viaggi
-, credendo di poter cosi conciliare maggior fede al loro racconto circa
la primitiva civiltà degli Etruschi. Al venir dunque di si
fatti coloni, secondo quell' eruditissimo prussiano, e quei dotti
inglesi, vide per la prima volta 'questo barbaro paése, degli uomini coperti
di bronzo, equipaggiarsi a suono di tromba per la battaglia. Udì allora
per la prima volta , l acuto squillo della tibia lido-frigia ,
accompagnare i sagrifizii, e fu testimo¬ ne della rapida corsa delle
galere a cinquanta remi, Siccome però la tradizione passando poi di
bocca in bocca , non conosceva più limiti, cosi tuttala gloria del nome
toscano, anche quella che non apparteneva prò- priameiife ai coloid, si
attaccò a Tarconte discepolo di Tagete, o d e ! tempo, come dicemmo nel
precedente discorso, riguardandolo quale autore di urlerà novella, e
migliore, nella storia di Etruria. Ed i popoli vicini, vale a dire , gli Umbri,
ed i Latini ; diederq a questa nazione, che incominciò allora ad
accrescersi, ed estèndersi 48 Nè credo che allia
torlo il MiMer, attribuendo alla preminenza di questi ultimi sul mare
inferiore, la mancanza delle colonie greche, sulla costa setten¬ trionale
della Sicilia, ove al tempo di Tucidide, non eravi che Lnera. Il timo¬ re
degli Etruschi, chiuse per lungo tempo ai Greci, il passaggio dello stretto
di Reggio- E non avvenne che dopo V epoca in cui ebbero acquistata i
Focesi una potenza navale, che fu dato loro di esplorare entrambi i
mari. Ma la rivalità non tardò molto a manifestarsi frà i due popoli,
i quali cércarono d'impadronirsi dell’ isola di Corsica . E gli Etruschi
uniti ai Cartaginesi, disfecero i Focesi. Furono pero meno fortunati
nelle loro guerre marittime coi Borii di Guido e di Rodi che avevano
formalo uno stabilimento a Lipari. Finalmente 474 anni avanti Gesù
Cristo, il popolo di Ciana in Campania, avendo dichiarata la guerra ai
Tirreni, chiamò in suo soccorso Gerone tiranno di Siracusa , che li
disfece completamente, e liberò, dice Pindaro nella prima Ode pizia, la
Grecia dalia schiavitù. E difetti uno scudo di Bronzo trovato nelle
rovine di Olimpia nel 1817 , porta questa iscrizione = Gerone, figlio di
Dimmene, ed i Siracusani, hanno consacrato a Giove queste spoglie dei
Tirreni vinti a Clima = . Ammesso pertanto che furono gli Etruschi
un antichissimo popolo d’ Italia originario dello stesso paese,
conchiuderemo questo breve ragionamento, colle riflessioni
seguenti. L° Che di necessità ebbero essi, linguaggio, usi, Leggi,
costumanze, arti, scienze, e religione loro particolari, e proprie,
benché dovessero i primi progressi nella civil¬ tà ad una emigrazione
asiatica, in un epoca quasi impossibile a stabilirsi con
precisione. Il.° Che per conseguenza, fra le altre cose , che qui
per brevità si tralasciano , i vasi dipinti di terra cotta, come quelli
neri, ed altri, di qualunqueforma, e grandezza, siano essi aretini, o
chiusini, o campani, sono genuinamenee etruschi, e non altro che
etruschi. Benché sia piaciuto agli Archeologi di chiamarli vasi greci, e più
mo¬ dernamente ancora italo-greci. Le quali denominazioni hanno dato loro
quei dotti , perchè vi si scorgono, come pure nelle urne cinerarie, e nei
sarcof agi, disegnate e di¬ pinte, o scolpite, a basso , e a gran
rilievo, rappresentanze, o storie e favole greche; ovvero che tali
divennero dopo essere state prima etnische, e perchè vi si leggono pa¬
role greche, o che alle greche somigliano. Come se non potessero essere nel
mondo due diversi idiomi i quali abbiamo alcuni vocaboli comuni ad
entrambi. Conforme fu sa¬ gacemente osservato, dal dotto, e perspicace
sig. principe di Canino apag .20 del suo Museo Etrusco. Campani poi faron
detti, eziandio tali vasi, perchè se ne fabbrica¬ vano . e se ne trovano
nella Campania, che fu pure colonia etnisca, come si dicono chiusini, ed
aretini, da Chiusi, e da Arezzo, ove esisterono speciali fabbriche dei
medesimi ■ E sul proposito del sig. principe di Canino, sono assai
dispiacente di non aver letto prima d’ora quel suo dotto e giudizioso
lavoro, perchè avendovi riscontrate al- 47
altre dodici città. Lo che serve a trovare che l Etruria della valle del
Pò, fu colonnizzata dall' Etruria del Mezzogiorno. La.
medesima tradizione di dodici colonie, viene ripetuta sul proposito dello
stabilimento degli Etruschi in Campania-, Ed il Miiller suppone che quelle
co¬ lonie fossero realmente etnische, contro , l’opinione di Niebuhr suo
maestro, il qua¬ le pensa che elleno fossero fondate dai Pelasghi
Tirreni, confusi cogli Etruschi, a cagione dell’identità del nome.
In ogni caso però, sembra allo stesso Miiller, che la popolazione etrusco
della Campania, non debba essere stata molto considerabile, perchè vi
prevalse il dia¬ letto Osco, e perchè non si è mai trovata in tutto quel
tratto di paese, una sola iscrizione veramente etnisca . Laonde convien
credere, prosegue egli, che quel fertilissimo paese, immerso nel lusso, e
nella mollezza , esercitasse la sua fatale in¬ fluenza sugli Etruschi,
che vi si erano stabiliti, mentre furono obbligali ad abban¬ donare il
possesso delle ricche pianure di Capua ai Sanniti, colà discesi dalle
loro montagne. Io non saprei qui sottoscrivermi all’opinione
del dotto archeologo prussiano, sembrandomi troppo debole la ragione che
egli adduce, per ìstabilire che fosse piccolo il numero dei coloni
Etruschi della Campania, quella cioè del dialetto Osco rima¬ stovi
dominante, poiché potrebb’ essere ciò avvenuto anche dall' avervi quegli
ospiti soggiornato per breve tempo , oppure da un riguardo che poterono
benissimo avere i Vincitori verso i vinti. Di che abbiamo avuto un
esempio noi stessi nelle nostre contra¬ de al tempo dell’ Impero
francese. E certamente gli Etruschi, non erano cosi feroci, come i
Romani, i quali ebbero l’inumanissimo orgoglio di togliere perfino la
lingua ai popoli che avevano l’infortunio di cadere sotto il loro giogo
di ferro : ( checché ne cantino in contrario ifanatici loro lodatori .) E
se è permesso di paragonare le grandi cose alle piccole, quando sono
dello stesso genere , dirò in appoggio della mia supposizione, che anche
i Chinesi soggiogati già da piti secoli dai Tatari Mant- sciu, hanno
conservato, e conservano tuttavia dominante il proprio idioma, benché
soggetti ad una dominazione straniera. Oltre di che, viene ad accrescersi la
for¬ za del mio ragionamento , riflettendo che era ben facile, e naturale
il conservare nel¬ la Campania il linguaggio del paese, altro non essendo
il medesimo, che un dia¬ letto della lingua Etnisca. Sembra
poi cosa provata , e da non controvertersi, che i Tirreni dopo il loro
sta¬ bilimento in Italia, esercitassero per lungo tempo la pirateria, e
che si rendes¬ sero così famosi nelle pianure della Grecia, ma è peraltro
assai difficile a deci¬ dersi, se una tale accusa debba applicarsi a
Tirreni del mare Egeo, oppure ai Tirreni Etruschi', I quali possedendo
dei buoni porti sui due mari, conserva- ronsi la dominazione dell’uno, e
dell' altro, e si resero formidabili, non solamen¬ te alle navi
mercantili, colle loro corsare, ma eziandio alle altre potenze, coi loro
navali armamenti. 5o TAVOLA XL1X. A
molti sarà nuovo ed inatteso questo singoiar monumento,- ma non a chi ha
scorsa la mia Opera su i Monumenti Etruschi ove alla ser. VI, e precisamente
alla Tavola G5 ne ho dati a luce due inediti, nè finallora da nessun
altro mostrati, In seguito si videro esibiti ripetutamente nelle Opere
del eh. dot. Dorow '. Io dissi di quelli, come pur di questo ripeto,
esser vasi di terra nera, al cui orifizio è soprap¬ posto per coperchio
un capo umano, ed a suo luogo spiegai come que’recipienti do- vean
simboleggiare il mondo, ed il capo sovrimpostovi la divinità che Io
governa dall’ alto de’cieli \ Ma poiché questa specie di vasi trovasi nei
sepolcri, cosi potremo credere che i soprimposti capi rappresentino deità
speciali, cosicché se avrà barba un di essi, come quello che pubblicai
altra volta 3, si potrà dire un Bacco infernale, mentre nel presente
monumento dov’ è un capo imberbe, ed alcune protuberanze che dan segno di
petto femminile ravviseremo una Proserpina. Se il vaso qui esposto avea
ceneri umane, di che non posso giudicare dal solo disegno ch'io vedo di
questi monumenti chiusini, in quel caso direbbesi che le braccia,
avvingendone il recipiente, indicano il patrocinio che la divinità dovea
prendere di quel morto ritornato nel ca¬ os della materia mondiale. Dico
tuttociò brevemente perchè in queste materie mi sono esteso altrove
abbastanza. Qui aggiungo l'osservazione che molti vasi uguali a questi,
ma in pietre di varia specie trovatisi nei sepolcri egiziani e in gran parte
an¬ che dipinti nei papiri, nelle casse e nelle pareti delle tombe; e dai
capi che hannovi soprapposti di forme varie 4, si ravvisano per figure
delle principali deità egiziane, Questo vaso in terra nera è due terzi
più piccolo dell’ originale . TAVOLA L, È tuttavìa non
risoluta questione se figure simili alla presente, cioè che abbiano lunga
barba, corona in testa, abito lungo fino ai piedi un manto sugli omeri con vaso
in mano, ed attorniate da sermenti d’edera o di vite, è questionabile, io
diceva, se dir si debban figure di Bacco o d'un qualche di lui
sacerdote.È altresì cosa degna d’osser¬ vazione che l’occhio qui
eseguito, non come dalla natura umana si mostra, è poi di¬ segnato
precisamente come si vede nelle figure de’ vasi di Grecia di Sicilia , e
di tutta 1* Italia meridionale, ove trattisi di pitture che affettino
qualche arcaismo nel loro stile, e specialmente ove le figure sono come
qui di color nero sul fondo gialla- 1 Dorow , Voiage archeologique
dans V a °cienne xbtrurie avec xvi Planches. 1 Voi. io 4 -° P- 46,
Paris. 1829. Notizie intorno ad alcuni Vasi. Etruschi Pesaro 1828 in
8.°. 2 Monumenti Etruschi, ser. 11, p. 47 1 2 > ser. v f
p. 490» ser - Vi* Tav. G 5 , p. 4 ^. 3 Ivi, ser. vi, Tav. G 5 num.
1, 3 . 4 Ivi * ser. vi, tav. N4, num. 1 , e P4. numm.
1 , 2. 49 cune opinioni, che mi
paiono le più giuste, e ragionevoli in questa materia, e le quali si
accordano con quelle da me emesse nei precedenti ragionamenti, mi sarei fatto
un dovere di render nolo al Pubblico molto prima, quanta sodisfazione io
ni abbia di trovarmi d'accordo con un uomo di tanto ingegno e di tanta
dottrina . III. 0 Che si avvicina al delirio l'ostinarsi ancora a
voler credere opere greche i suindicati vasi, perle sopra esposte
ragioni, e perchè se ne rinvennero alcuni persi¬ no nell' Attica, ed in
altre parli della Grecia, i quali sono peraltro in piccolissimo numero,
in confronto a quelli discoperti in Etruria , e nelle altre parti d'Italia.
Ed una tal foggia di ragionare, è simile a quella di chiunque osservando
per T Italia, o in Francia dei lavori di porcellana della China, e del
Giappone, pretendesse di sta¬ bilire, che quei lavori sono italici, o
francesi, solo perchè si trovano in Francia, ed in Italia.
IV. ° Che non è meno strano, per non dire assurdo il pretendere di
togliere agli Etruschi l’ onore di tali manifatture, per farne dono ai
Greci, perchè s‘ incontrano molti dei suddétti vasi che hanno
elegantissima forma, e sono disegnati pure, e di¬ pinti con un gusto
squisito. Quasiché gli Etruschi non avessero fatto che comparire sulla
faccia del globo terrestre, e ne fossero subito scomparsi. Oppure, avendovi
di¬ morato per lunga serie di secoli, lo che non hanno saputo negar loro
neppure i più furiosi partigiani dei Greci, fossero stati poi forniti di
tale, e tanta stupidità, da non saper migliorare, ed anche condurre a
perfezione, le loro invenzioni, come fanno tutti i popoli del mondo
V. ° Che non si vorrà sostenére finalménte, che le arti non pvesserò
presso gli Etruschi, come presso tutte le incivilite nazioni, che le
coltivarono, diverse epoche, cioè quella della primitiva rozzezza,
qxiella del miglioramento, e quella della perfezione, come quelle del
decadimento, e della successiva barbarie. Nè saprei addurre, per ri¬
vendicare questa usurpazione fatta dagli archeologi ai nostri padri, più bella
prova, e più convinciente ragione dì quella prodotta dallo stesso signor
Principe di Canino, apag. ig dell’opera citata qui sopra. Cioè, che i
vasi dipinti non sono sicuramente greci perchè i Greci stessi non se ne
sono vantati giammai. Ed è ben gloriosa per gli Etruschi una tele
invenzione, conforme riflette pure il prelodalo scrittore, perchè fu¬ rono
essi i primi ad iscoprire colla meditazione, e colle più profonde indagini, che
per eternare le tradizioni dei popoli, più del marmo, e del bronzo, è
valevole Iùmile terra cotta, perchè ella sola passa a traverso alla fuga
dei secoli senza altera¬ zione veruna . XXIX. |
XXX. | jflniiia : 3 n iq 3© ■ or 248v8 in
gran travertino che serviva di porta ad un sepolcro amq&o :
ofl janqoai Etr. Mus. Chiut. Tom. I. 7
52 ha sulle spalle, e come questo riferir si debbe
all’autunno l'accennai spiegando altri vasi chiusini analoghi a
questo TA VOLE LUI, LIV, LV, LVI. Le quattro
tavv.LlII, LIV, LV, LVI sono impiegate a mostrare un bel monumen¬ to di
pietra tofaceadella figura d’ut) cubo, della grandezza due volte maggiore
del disegno qui ripetuto, e che mostra quattro lati scolpiti con figure a
rilievo as¬ sai basso, come sono gli altri monumenti di simil natura
trovati a Chiusi. Io non saprei dire se ara sia questa, oppure altare, o
foculo, o base, o altr'oggetto qualunque, perchè non vedendone io che i
disegni non posso da essi giudicar¬ ne con fondamento. Esaminiamone le
sculture che si vedono in quattro lati del cubo. È fuori di dubbio che
qui si tratta di riti funebri, e d'ultimi uffici di pie¬ tà resi ad un
morto, che vedasi steso sul feretro alla Tavola LUI. Il fanciulletto eh’
è in piedi presso a quel letto di morte ha un tale atteggiamento di
dolore, che non saprebbesi meglio immaginare dal più sagace dei nostri
artisti, brattan¬ to c’insegna che tenevasi per atto di duolo il porre le
mani al capo. Infatti nel quadro medesimo compariscono due altri astanti
colle mani portate al capo ugual¬ mente, ma ben si ravvisa che l'atto è
suggerito più da formalità che da quel vi¬ vo dolore che esprime il
giovanetto probabilmente figlio dell’estinto, di cui qui si rappresentano
l’esequie. Un simile atto, e da uomini similmente abbigliati, è pure
nella pietra di memoria perugina da me pubblicata *, ove rappresentasi
ugual¬ mente la funebre cerimonia che praticasi all’ occasione di un
morto. Espressiva è parimente la prefica a capo al letto, in sembianza di
strapparsi per dolore i capelli, mentre ì’uonio che al cadavere è più
vicino, alza le mani probabilmente per espressione pure di dolore, mista
però di sorpresa. Una figura eh’è ulti¬ ma nella composizione, suona le
tibie con certa bocchetta che legavasi agli orec¬ chi o al capo in giro.
Un tal suono in occasione di funebre cerimonia non cre¬ do che andasse
esente da superstizione tuscanica, passata ai Romani ancora, men¬ tre
credevasi di poter porre in fuga gli spettri coll'armonia della musica 1 2 3 ,
e così allontanare quelle malie dalle quali avevano opinione che le anime
restas¬ sero consacrate alle deità infernali 4 : superstizione peraltro
che manca nel mo¬ numento perugino indicato. Dietro al
tibicine alla Tavola LIV vediamo quattro uomini armati di bastoni, che in
mano di Etruschi non è improbabile che siano augurali, ancorché non
1 Lettere di etnisca erudizione. Tomo i. p. 190. e seguente Tav.
xi. 2 Monumenti etruschi, ser. vi, tav. Za, e Lanzi
Della Scultura degli antichi e vari suoi stili Tav. ìv.
3 Ved. Luciano pitato dal Ma ilei nella sua me¬ moria sulla
religione dei Gentili nel morire ; Osservazioni letter. Tom. 1, art.
ìx. 4 Tacito, Annali 1 . 1. ap, il Mafie! cit. p. 287 .
5i stro 1 2 . Una tale osservazione
unitamente con altre può essere di non poco rilievo per indagare
l’origine primitiva dell’ uso di porre siffatte stoviglie dentro i
sepolcri. TAVOLA LI. A chi ha buon gusto peri lavori di
metallo sarà gradevole il conoscere la forma singolare e del tutto nuova
non men che bella di questo vasetto di bronzo, di¬ segnato nella
grandezza medesima dell’originale. Apparentemente dovea contenere de’
liquidi, e perciò l’intelligente artefice operò per modo che tutto
vicorrispondesse l’ornato. Ecco là un uccello aquatico sopra una pianta
quadrifoglia palustre, il che serve di pomo al coperchio: ecco là una
conchiglia lacustre che serve di borchia a! manico : ecco là infine i
lunghi manichi formati in guisa di colli d’uccelli aquatici come del
becco loro nel quale han termine si rav visa. TAVOLA Llf.
Il vaso di terra cotta di color rosso che vedesi rappresentato nella
parte superiore di questa LII Tavola, è già noto per la frequenza colla
quale si trova nelle collezioni di simili antichi oggetti. Par che i
Gentili 1’ usassero per lucerna; ed alternativamente colle lucerne
trovasi difatti nei sepolcri, ma in esso valutavano anche la forma di
barca e di recipiente, alludendolo a certa favola d'Èrcole eli’ebbe in dono del
sole un vaso, col quale varcò l'Oceano. Come poi si applicasse al vaso
qtìi esposto l’indicata favola è cosa inutile ch’io lo ripeta, dopo
averne sufficientemente parlato nell’ opera de’Monumenti Etruschi % dove
ne ho riportati alcuni di varie forme *. L’iscrizione che è sul manico
suole indicare il figulo, o la fabbrica figulinaria. Il Vaso al
disotto in questa medesima tavola è di que consueti chiusini di color
nero sì nella superficie che nell’interna sua pasta. Questa qualità di vasi
aver suole dei bassirilievi, che girano attorno ripetendosi ogni quattro
o sei figure, perchè fatti colle stampe. Bisogna convenire della gran
somiglianza tra quella manifattura, e le cose egiziane. Vedo nella prima
figura femminile l’atto d’alzare un’uccello, così nelle figure egiziane
dei calendari vediamo elevare per la testa, o calare al basso tenuti per
la coda animali, che indicano il sorgere o calare abaco dei segni zodiacali.
Dell’uomo che segue con bastone in mano io non saprei dir cosa che avesse
inoppugna¬ bile sostegno. Ben potrò dire che a lui segue la chimera colla
doppia testa di leone e di capra, ch’io mostrai altre volte 4 esser
composto di segui celesti. E poi chiaro il centauro qual cacciatore, che
porta la preda appesa al suo frassine che 1 Moni;memi etr. Ser. v.
Tav. lv, p. 5i 2 Ser. li, p. 359, 36 i , 3 62. 3 Ivi
ser. vi, Tav. E 4 , F^. 4 Monurn. etr. ser. w, p. 38 a.
54 TAVOLA LtX. Vogliamo credere che
nella statuetta in bronzo qui rappresentata di naturai grandezza sia da
riconoscersi una Minerva per 1’ usbergo del quale vedesi arma¬ ta? Del
piccol mostro pure uguale in grandezza all’originale in bronzo, non fo
parola, poiché probabilmente dagli editori di quest’opera ne saran pubblicati
dei simili, ch’io vidi vari anni indietro a Chiusi. Il vaso è
de’soliti che trovansi per tutta 1 Italia meridionale, con figure gial¬
lastre in campo nero, la cui gola soltanto a una pittura che vedremo nella
ta¬ vola seguente, mentre è monocromo, ed ha tre manichi, d una forma
essatta- mente ripetuta molte volte coi medesimi accessori nei ricchi
scavi di Canino, e d’altre parti d’Italia. TAVOLA LX.
Io non mi persuado come il mito delle Amazoni combattenti, sì ripetuto nei
vasi fittili di tutta l’Italia, come si vede in questo, non abbia una qualche
allu- sione religiosa, come ho supposto trattando altre volte questo
medesimo soggetto. Si vedono in fatti sempre come qui le Amazoni a
cavallo , ed i loro avversari sem¬ pre a piedi, ed in positure di
soccombenti al conflitto, colle ginocchia piegate >. Eppure se alle
favole che trattano delle Amazoni dovessimo ricorrere per Spie¬ garne il
mito, noi le troveremmo sempre vinte o da Ercole, o da Teseo, o da
Achille . Io non vedo in quel mito che 1’ allegorìa del contrasto e del
dominio del tempo in cui si trattiene il sole nei segni inferiori del
zodiaco, ma siccome troppo lungo sarebbe il mostrar qui di tale allegorìa
lo sviluppo, così rimando chi legge ad altri miei scritti, ove trattai
lungamente di questa materia a . Questa è la pittura del vaso, la
cui forma vedemmo nella Tavola antecedente, e che vien riportata nella
grandezza di due terzi del suo originale. xxxi. /uif/mDajmjaa
xxxii. jfliDnaD : an/d-nit/ìi : Yfl xxxm. i/ìvjad
anfl-uitfl'i ; or xxxiv. j/qnqai ; vJDfi : ofl XXXV,
V433 : J lf d Galleria Omerica Tom ii,Tav cLxxxvni.p.
137. : VJlDfl : 31 : Vfl Veil. Mommi, etr. agli
articoli A magoni. 53 abbiano la
forma di lituo, come osservansi nel monumonto perugino. Infatti ad essi
spettava il presagire che l’anima del defonto fosse passata in luogo di
riposo; di che se non troviamo prove di antichi scrittori, certamente ne
conosciamola pratica presso gli Etruschi, per mezzo del più volte citato
monumento perugino, dove inclusive il vestiario di quegli auguri muniti
di lituo è simile a quello di costoro che qui hanno in mano le verghe,
eh' io dissi augurali. Dopo gli augu¬ ri vengono immediatamente nella
Tavola LV le prefiche, donne prezzolate che a suono di tibia cantavano
lamenti, e piangevano la perdita del morto ed in mo¬ do sconcio e forzato
strappandosi le chiome e perquotendosi, mostravano cordo¬ glio di quella
disgrazia. Quel che sia rappresentato nell’aggregato di figure della
Tavola LVI non mi è possibile il dichiararlo nè mi è concesso d’ azzardare
quelle congetture che può immaginare a suo grado ugualmente chi
l'osserva. tavola evie Questo bronzo in tutto uguale al
suo originale fu anticamente uno specchio dall’opposta parte, come lo
attesta lo specular pulimento che vi si trova. Qui nel suo quasi
insensibile concavo, invece di grafito ha soprapposta una lamina
cesellata a bassorilievo, e in fondo una cerneria, forse adattata all'adesione
del manico . lo vi ravviso Bacco, il quale ha sulle spalle
una face, che tale vedrehhesi qua¬ lora fosse intiero il monumento,
poiché ve ne sono altri esempi 3 . Egli si appog¬ gia ad un altro nume
significativo della forza creatrice dalla quale dipende Bacco il demiurgo
artefice del mondo, che il trae dal disordinato e tenebroso caos per
virtù concessagli dal creatore, e vi porta luce con la sua face, non men che
or¬ dine armonico, indicato da quella ninfa che precede i suoi passi ,
arpeggiando la lira: cosmogonica rappresentanza che in cento guise
ripetesi nei monumenti an¬ tichi, e della quale ebbi luogo di trattare
altrove 3 , TAVOLA LVIII. Sebben questa bella tazza sia
di bronzo, pure se ne usavano dagli antichi anche di terra cotta d ugual
forma e lavoro, come si vedono in Volterra nel museo del pubblico, ed in
quello del Sig. Cinci. Il disegno qui esposto è soltanto un terzo minore
del suo originale. Il pezzo aggiunto lateralmente fa vedere l’acconciatu¬
ra di testa ch’è dalla parte opposta del recipiente. i Fest. in
sua voc. Lecil. Sat. xxn. » Monum. etr. ser. vi, Tav. Y, n.
i. 3 Ivi, ser. ii, p. 563 , 564 , 6oo, 728, ser. v, p. 3 a,,
ser. vi, Tav. Y, n. 1 . W' Principe di
Canino, ed altri già se ne conoscevano, dissotterrati a diverse epoche,
ed in luoghi diversi ■ . , .. Diodora Siculo poi descrive nel
libro quinto, dietro Possidonio le mense degli Etruschi imbandite due
volte al giorno, le loro drapperie ricamate , le loro coppe eli oro , e
d’argento, e le loro falangi di schiavi. Al cui quadro aggiunge Ateneo
nuovi tratti, e. mostrano chiaramente le figure giacenti nei sarcofagi,
che gli aggiunti di pm- gues, ed obesi, dati dai Romani per isclierno
agli Etruschi, non erano suggeriti dal¬ la malizia nazionale soltanto. E
Roma prese ad imprestito dall'Etruria i combatti¬ menti dei gladiatori,
benché sembri che l’uso orribile d’introdurli nei conviti, e nei
banchetti, appartenga sopratutto agli Etruschi della Campania, e specialmente
a quelli di Capua. ...... Altrìbuisconsi però agli
antichi Etruschi anche alcune invenzioni nella musica, e singolarmente
rapporto agli strumenti di essa, poiché non havvi autore, ch'io mi sap¬
pia, il quale pretenda che questa nazione abbia discoperto qualche modo
particolare di tale scienza, benché le venga accordata in essa qualche
celebrità , egualmente che nella plastica ; E non già come piace ai
compilatori della rivista edimburghese , per¬ chè e Aino erano vicini ad
un popolo, il quale essendo estraneo ai Greci, era costretto ad imprestar
loro tuttociò che riguardava il miglioramento, o l'abbellimento della vi¬
ta pubblica, e privata , mentre avvenne appunto il contrario.
Benché non si possa decidere dietro alcun monumento storico, se dovessero
gli Etruschi a se medesimi, oppure al commercio che ebbero coi Greci,
dopo che già le arti erano giunte ad un certo grado di perfezione fra
loro, i successivi progressi, fatti dai medesimi nella scultura, e nella
statuaria, pur tuttavia ciò che dicemmo in altro ragionamento intórno
all’ anteriorità degli uni, o degli altri, rende quest'ultima sup¬
posizione molto probabile. Ma egli è però certo, che se questo rapporto esistè
per qualche tempo fra gli Etruschi, ed i Greci, non fu mai dì una grande
intimità. Lo stile toscano nelle arti presenta sempre qualche
rassomiglianza con quello de¬ oli Egiziani-, E le opere più perfette di
questa nazione , hanno tutta quella durez¬ za, e quella mancanza di vita,
e di espressione, che qualificano la scultura greca, an¬ che prima che
Fidia accendesse la sua immaginazione alle descrizioni omeriche di Giove,
e di Minerva, e che avesse Prassitei e espresso col marmo l'ideale ch’egli
si era fatto della bellezza. Lo che prova essere stati i Greci i
perfezionatori, e non gl'in¬ ventori di quelle arti che si dicono belle ;
E viepih si conferma che i medesimi furono in antichissimi tempi i
discepoli degli Etruschi. non già i maestri, come pretendono i nostri
grecomani. Al contrario, in tutta quella parte dell arie ove il
meccanismo senza vero gemo può mungere alla perfezione, gli Etruschi non
la cedono in verun modo ai Greci stessi, biella maggior loro
raffinatezza. Ed un poeta Ateniese riferito da Ateneo nel primo libro dei
Dipr.osqfisti, celebra le opere etnische in metallo, come le migliori m tal
genere ; Facendo egli probabilmente allusione alle coppe, alle lampade, ai
candela- RAGIONAMENTO VI. QUALI FOSSERO LA
VITA POLITICA, E DOMESTICA, LA RELIGIONE ED IL GOVERNO DEGLI
ETRUSCHI, E QUALI ARTI, EGLINO COLTIVASSERO PRINCIPALMENTE Ma
chi pensasse il pone sieroso tema, E 1 omero mortai che se ne
cerca, Noi hiasmerebbe, se sott’ esso trema. Caute Par.
c. 23 - -— . ^-=-x jgj> — . ,— 1\ on è certamente
agevole impresa quella di ritrarre i costumi domèstici di un po¬ polo,
che non ha trasmesso alla posterità veruna immagine di se stesso nelle
pro¬ duzioni letterarie. E tali appunto sono gli Etruschi, della cui
prosperità nazionale pare che sia stata la primaria base l'agricoltura,
che veniva si ben favorita dal loro suolo, e dal loro clima, e che sembra
avere in ogni tempo fiorito in questo paese, quando i benefizii della
natura non sono stati distrutti da un cattivo governo, o da una assurda
Legislazione, Tuttavìa però , non ha mai goduto V Etruria centrale, come
la Campania, di una spontanea fertilità ■ Fu d'uopo ognora che
spiegassero i suoi abitanti la loro industria, e la loro destrezza, per
adattare la cultura alle diverse qualità del terreno, che s incontrano in
questo paese, e per arrestare le mondazioni del Pò nelle provinole che
circondano l Adriatico, e che ne furono parte nei tempi antichi.
I primitivi costumi degli Etruschi erano semplicissimi, se vogliamo
credere al- 1‘ istoria, la quale ci dice che la conocchia di Tanaquilla
fosse conservala lungo tempo a Roma nel tempio di Sanco ; E pare che un
passaggio di Giovenale nella sa¬ tina sesia, ci mostri la stretta
rassomiglianza che passava fra le virtù domestiche delle donne romane
degli antichi tempi, e quelle delle donne etnische. Nè ciò desterà maraviglia
a chi sappia, che i primi abitatori dì Roma, non eccettuato il suo
fondatore, non furono altro che Etruschi, della cui energia, e del cui
nazionale carattere, for¬ mano al parer mio una sufficiente prova, le
grandi loro conquiste, la loro destrezza, ed il loro coraggio nella
navigazione. Ma quando il commercio, e la conquista nelle parti
meridionali d’Italia, ebbero condotto la ricchezza fra loro, gli Etruschi
se ne impossessarono coll’avidità di un popolo mezzo barbaro ed il lusso
invece d‘ introdurre fra essi il raffinamento, e l’ele¬ ganza delle
maniere, non vi portò che un vano splendore, ed un gusto disordinato per
ì sensuali piaceri, come rilevasi anche dalle pitture di alcuni vasi, delti
male a propo¬ sto italo-greci, dei quali ne ha discoperti un gran numero
nei suoi scavi il signor 58 La forma del
governo etrusco, ove riunivansi l’ aristocrazia , ed il sacerdozio, im¬
pedì efficacemente al genio di quella nazione , di prendere lutto il suo
naturale svi¬ luppamelo. Imperocché ai Lucomoni, ossia alla nobiltà
ereditaria, aveva rivelato Tagete, ed il tempo, gli usi religiosi, che si
dovevano osservare dal popolo, col potere di Applicarli nella maniera che
paresse loro la piti propria aperpetuare il loro mono¬ polio esclusivo, e
tirannico-, E per rapporto poi al potere civile, formavano questi
medesimi Lucomoni il corpo governante di tutte le città di Elruria. Nei primi
tempi si parla di re, non già dell’ intiero paese, ma bensì di stati
separati, ed il cui potere- era senza dubbio limitatissimo da quello
dell’ alta aristocrazia-, E questi re senza po¬ tere, spariscono ben
presto intieramente, come più tardi nella stona greca, e romana-, Mentre
che in Etruria , non sorge alcun ordine corrispondente ai plebei, per
rappre¬ sentare V elemento popolare della Costituzione. E
molto difficile di poter fissare con esattezza i privilegi del gran corpo della
Casta potente-, Ed il Miiller inclina per l'opinione, e mi pare eli abbia
dato nel segno,che icol¬ tivatorifossero i servi dei proprietarii del
suolo, come furono in tempi a noi piu vicini i Penasti in Tessaglia, e gl
Iloti a Sparta. É cosa certa difatti, che esistesse una classe simile in
Etruria, ma non è però probabile eli ella comprendesse una gran parte della
popolazione, non essendovi altro argomento, al quale appoggiare questa, ipotesi
con¬ trastabilissima, se non quello che i clienti di Roma fossero servi
dei Patrizn. Tuttavia però è fuori di ogni dubbio che l aristocrazia
etrusco teneva gli ordini inferiori in una dipendenza politica, e che per
questo non pervenne quella nazione, al grado di po¬ tenza, a cui avrebbe
potuto giungere-, Ma la sua prosperità prova ad un tempo che non era
governata neppure affatto tirannicamente. Non sembra nemmeno che l’agitas¬
se lo spirito della democrazia, fino al punto di risvegliar dei timori, ed
eccitare la se¬ verità della casta governante ■ Le insurrezioni di cui
parlano gli storici, sono attri¬ buite espressamente agli schiavi.
Era l'antica Etruria fertile di grani, e particolarmente di quel farro
che i Latini chiamarono far, ed anche odor, la cui farina forniva il
puls, che noi diremmo polenta, o polenda e che era l’ordinario nutrimento
degli abitanti di questa parte d’Italia. Il ferro delle sue miniere, e
specialmente quello dell Isola d'Elba era celebre per la sua purità-, E
forniva pure la stessa isola anche del rame per le monete, e perle opere
di bronzo, tanto comuni fra gli Etruschi. È poi molto probabile, anche
secondo il Miiller, che eglino facessero un commercio di ambra, che loro
venisse dal Settentrione. Il precitato Miiller, che è come
abbiamo detto uno degli Scolari di Niebuhr, và discutendo con moli
acutezza nell’ opera sua, la natura dei rapporti che esisterono nei primi
tempi di Roma, e fra i Romani, e gli Etruschi. E si accorda col suo
maestro a preferire alla tradizione che fa di Servio Tullio unfiglio di
schiavo I origine etrusco di quel principe , menzionato dalli Imperatore
Claudio nel suo discorso sull’ammissio¬ ne dei provinciali nel Senato, il
cui testo fu discoperto nel secolo decimo sesto in ta-
57 òn, ed ai tripodi, e simili, giacché
discopronsigiornalménte alcune di tali opere egregiamente eseguite.
Si spiega però facilmente la differenza che incontrasi fra le opere degli
Etruschi, e quella dei Greci col carattere della religione dei due
popoli. Imperocché la religione dei Greci conti Univa potentemente al
perfezionamento delle arti plastiche, ove quella degli Etruschi, in ciò
che le appartiene in proprio, non ha niente che risvegli, e che trasporti
V immaginazione dell’ artista. Pare anzi che ella favorisse efficacemente
una opinione, che noi ritroviamo del pari nella teologia dei popoli
settentrionali, ed in quella degl’Indii, ed è questa: che gli Dei erano
eglino stessi, come pure il sistema, al quale presiedevano , gli effetti
di un potere che non iscorgevasi che a lunghi inter¬ valli nella
produzione degli esseri, e che assorbiva tutto ciò che aveva crealo, per
crearlo di nuovo. ’ 1 simboli di questo potere erano gli Dii
involuti della teologia etnisca, i cui nomi rimanevano ignoti e non erano
oggetto di un culto popolare, ma che Giove stesso con¬ sultava. Gli Du
consenti poi, che erano dodici, sei di ogni sesso, presiedevano alt or¬
dine delle cose esistenti, e ricevevano degli omaggi, e dei sagrifizii.
Manifestatasi la loro intervenzione negli affari umani, più che in altra
maniera con presagi di grandi disgrazie, che dovevano essere allontanate
con espiazioni sanguinose, e crudeli. Ma se da un Iato potè la moralità
guadagnare qualche cosa dalla religione etrusco, che non corrispondeva in
verun modo alla mitologia ridente, ma licenziosa dei Greci, la poesia e
le arti dell altro, vi dovettero indubitatamente scapitare non poco . Lo
stesso difetto d immaginazione viva e disinvolta caratterizzava la
dottrina etrusco dell immortalità dell’anima.■ Il loro mondo sotterraneo,
non era altroché un Tartaro senza Eliso . La superstizione non formò in
nessuna parte del mondo, un sistema più completo che in Etrucia, senza
eccettuarne neppure le Indie, e t Egitto Le regioni del cielo erano
divise, e suddivise in modo che ogni prodigio poteva ave¬ re la sua
spiegazione precìsa. Ifenomeni dell’atmosfera, il tuono soprattutto, ed i
lampi, erano osservati, e classati comma minutezza, che avrebbe potuto
fornire oli elementi, aduna vera scienza, se gli osservatorifossero stati
veri filosofi, e non Sa¬ cerdoti. Ma nel fatto t osservazione di quei
fenomeni, non servi ad altro che ad accrescere la servitù della moltitudine,
a quelli che reclamavano la co'nu- zioné esclusiva dei mezzi coi quali
potevano placarsi gli Dei sdegnati contro il genere umano .
Non è necessario di avvertire, che la filosofia nel senso greco di
questaparola, va¬ le a dire lo studio libero dell’uomo della natura, e
della provvidenza, era ignota agli Etruschi, benché non si possano negar
loro le cognizioni pratiche, col mezzo delle quali eseguivano le belle
opere d'Architettura, e di Idraulica, che vengono ad essi attribuite
dagli antichi scrittori, i quali parlano delle cose etnische senza
prevenzio¬ ne veruna , e senza spirito di parìe . Elv. Mas.
Chius. Tom I. 8 Go tavola lxi.
Quanto sia malagevole scioglier l’enigma che nelle strane loro figure
chiudono le pietre incise in forma di scarabei, ben potrebbero dirlo e il
Caylus, e il D’Han- carville, ed altri chiarissimi ed eruditissimi
ingegni che in vano vi si applicarono; e quantunque in gran parte non
mostrino significato nessuno che ragionevol¬ mente si presti alle
indagini dell’erudito, pur taluni, ancorché pochi, han con¬ trassegni da
non permettere che siano annoverati tra i soggetti capricciosi insi¬
gnificanti e per conseguenza inesplicabili. Nello scarabeo di n. 1
ci guidano con qualche indizio 1 epigrafi, che sebbene sconce come le
figure alle quali si vedono applicate, pure danno adito a ragionarvi
sopra non senza qualche fondamento. Quantunque le lettere siano di forma
etrusca, pure nèson disposte all’uso inverso come scrivevano gli Etruschi,
nè presentano voci che dirsi possano etnische, ma ritengono un misto di
paleografia, e glossologia, che par¬ tecipano dell'antico greco e
dell’antico latino. Qualora non vi fosser lettere direbbesi che vi si
vede Vulcano assiso sulla sua pesante incudine in atto di ascoltar le
preghie¬ re della consorte sua Venere a prò d'Enea, come ne dà sospetto
lo specchio femmini¬ le che tiene in mano, la donna è la libera di lei
nudità. Che le lettere esprimenti pa¬ role tronche vi si conformino lo
congetturo dal potervi leggere fex, quasi ephestus ch’era nome grecamente
dato a Vulcano anche dagli antichi Latini. Segue 1 altro bisillabo vev,
che se crediamo sformata l'ultima per una v, potremmo leg¬ gervi la voce
Venus con poca difficoltà. Ed in vero quella barba, che in un mo¬ do sì
sconcio si volle accennare all’uomo sedente, dà qualche idea del rozzo
co¬ stume praticato dal marito di Ciprigna, che qui si vede contro a lui
con assai studia¬ ta, sebben antica maniera d’acconciarsi la testa per
viepiù sedurre il manto a compiacerla nell’ inchiesta delle armi pel
figlio Enea : soggetto non raro nella glittografia, dove l’artefice
Vulcano è sempre assiso, e Venere che incontro a lui si trattiene a
pregarlo, sempre in piedi. Quando si voglia credere che la composizione
incisa in questo scarabeo num. 2 abbia un qualche significato allegorico,
e non sia stato fatto a solo oggetto di mostrare lo sgradevole assalto
dato da un leone ad un cinghiale, potremo cre¬ dere che stiano i due
animali a rammentare due precipue situazioni del sole nel cielo, dalle
quali ne avviene il calor benefico dell'estate, e 1 importuno freddo
nell’inverno. Infatti è il segno del Leone che domina in estate , e che abbatte
colla forza dei raggi solari quei mali che alla natura cagiona 1 ingrato
e sterile, inverno significato dal porco, di che ho^scrittu molto nel
trattare dei Monumenti etruschi 1 . 1 Ved. ser. 111, p- 3 j 7
- vote eh bronzo a Lione ; Il quale
pretende che il vero suo nome fosse Mastarna, e che foss e compagno di un
capo dicosi detti Condottieri, o mercenarii toscani. Il fatto si è
che la voce etrusco Mastarna, vale imbrattato, ossia di sordida origi¬
ne,^ corrisponde cosi a quanta ne dice la tradizione. Ma mentre JMebuhr si
allontana intieramente dalla storia, supponendo che Tarquinio il vecchio
fosse uno di quei Latini pnschi da ha immaginati, pensa il Mailer eh’ei
fosse veramente etrusco, e che traesse il suo nome da Tarquinia, ( e lo
pensiamo noi pure,) il cui dominio estendevasi allora dalla parte del
mezzogiorno, fino alla città di Roma, che erane anche dipendente in quel
tempo . I compilatoli della Rivista edimburghese non credono che
questa opinione sia ba¬ sata sù fondamenti abbastanza solidi, benché paia
loro più probabile di quelle di lebuhr, per sostituirla ai racconti della
storia comune ; E non sanno comprendere neppure, come dei fatti
accompagnati da circostanze sì ben precisate, quali sono quelle
dell'esistenza di Servio Tullio, e deiTarquinii, del loro paese, e dello stato
loro possano cangiarsi tutto ad un tratto in un simbolo di etnisca
supremazia. Lo che peraltro non desterà nessuna maraviglia a chiunque sia
meglio di loro istrutto delle antichità etnische, e conosca più a fondo
che essi non conoscono, l’universalità dello spinto simbolico di quei
remotissimi tempi. E comunque sia poi la cosa, checché si debba pensare
eh tali supposizioni, il fatto vero si è che Roma fu conquistata dagli
Etruschi sotto la condotta eli Porsetto re di Chiusi, come lo provò, sono
già molti anni, Beau- foit, disvelando gli artifizii , sotto i quali
avevano procuralo i Romani scrittori di nascondere questo colpo
umiliante. Oltre di che, furono, come abbiamo già detto, anche i
fondatori, ed i primi abitatori di Roma, una truppa dibanditi toscani.
Ma circa ad un secolo dopo il regno di Porsena, vennero gli Etruschi
umiliati essi pure dai Celti, e da altre barbare genti, che si resero
padrone di tutto ciò che eglino possedevano sulla riva meridionale del Pò
fino a Bologna, e che occuparono anche. Roma, benché temporanamente. I
Romani però, vincitori dei Galli, e cosi più fonnidabih che mai, non
tardarono molto a conquistare, e colonizzare quella parte i ’truna, che
si estendeva al mezzogiorno della selva Ciminia; Ed anche laCam- pania
eia caduta allora sotto il potere dei Sanniti, e tutte le provinole etnische al
set¬ tentrione degli Apenninì, erano rimaste sotto la dominazione dei
Galli. Tentarono indarno gli Etruschi, dopo la gran disfatta, che
ebbero presso il Lago Va di mone, oggi di Bussano, di chiamare in loro
soccorso i mercenarii Galli, poiché furono battuti di nuovo, perchè le
loro temporarie confederazioni, non poterono oppor¬ re una efficace
resistenza, contro la disciplina, che la vittoria aveva già organizzata
nelle armate romane; Eia potenza di quel popolo celebre, e valoroso per sì
lunga se¬ rie di secoli, rimase intieramente abbattuta,prima delle guerre
di Pirro, e di Annibale. * 62
del cielo, di che ho trattato in altre mie opere '. Le colonne ed i vasi
che son sepolcrali rammentano le ceneri degli avi, presso i quali fu
ucciso l’infelice Lao- medonte assalito da Ercole nplia sua patria presso
le lor ceneri. Questo disegno è una quinta parte della grandezza
che ha 1’urna di marmo. TAVOLA LXIV. La rozzezza della
scultura di quest’umetta in pietra tufacea che nel suo origi¬ nale è
soltanto doppia di questo disegno, non permette ad ognuno di ravvisarvi
il soggetto che a me sembra esservi espresso. Imperocché io vi scorgo nella
fi¬ gura equestre un’Amazone, di che ho non lieve indizio nel berretto
che le co¬ pre la fronte, e quindi in ogni restante della composizione,
che non differisce dalle già esposte alle tavole XLIII, e LX.Qui v'èuna
circostanza che ne scopre sempre più l’allusione a soggetto ferale, ed è
1’ albero significativo d’ombra, e privazione di luce : luogo insomma
dove passano i mortali dopo il periodo vi¬ tale assegnato loro dalla
natura in questa terra 3 . TAVOLA LXV. Un pregio
singolare di questi bassirilievi di pietra tofacea è in qualche modo
Tesser tutti chiusini, e d’uno stile che può dirsi unico in questo genere di
antichissimi oggetti d'arte. Quel di Perugia ch’io riportai con esattezza
alla Tav. Z 2 della ser. VI de’ Monumenti etruschi, è inferiore nell’esecuzione
forse per difetto della cattiva scélta nella pietra eh'è molto più tenace
di quella chiusina, e più assai porosa, ed a luoghi affatto spugnosa.
L’originale di questo che abbiamo sott’oc- chio non è che per metà
maggiore del suo disegno. Si vede assai chiaramente esservi
rappresentata una processione religiosa. La prima figura che ha semplice
manto, e non veste lunga è dunque un uomo che ha in mano una gran foglia,
dalla quale argomento esser questa una pompa sacra, mentre in tali riti
portavansi le foglie, e se ne danno persuadenti ragioni, ch’io esposi altrove 3
. Segue la figura di una donna che per essere assai danneggiata non se ne
sa il destino, Do¬ po è una figura con bastone in mano,molte delle quali
vedemmo già nelle tavole scor¬ se 4 . Ma siccome tien dalla sinistra mano
un uovo , così potremo in qualche modo congetturare che la pompa della
quale quel seguace fa parte sia espiatoria, e perciò analoga al defonto,
presso al quale quest’ ara è stata trovata. Poco sappiamo di una tale
superstizione, ma ci è noto che all'uovo, dedicandolo ad Ecate infernale,
1 Ingliirami, Monum. etr. ser. i, p. 5 g 5 , e Gal- leria Omerica
Tom. n, tav. cxciv, p. j 54 * 2 Monumenti etr. ser. v, p. 44 l 2
* 3 Ivi, p. 254 , sq. 4 Ved. le tavole 11, lii, iv, V
, xxxvni, lui , LIV, LV, Lvi.
6i TAVOLA LXII. L’Amorino qui espresso è copia
d’un bronzo grande quanto il suo originale, eh’è d’una bellissima patina
verde. Non saprei giudicare dal solo disegno, che m’è sottocchio, qual ne
sia l’azione, e quale il significato di essa, onde mi limito ad osservare
che l’acconciatura di testa, non meno che lo stile assai molle, e sì
vistosamente lontano da quel rigido, che vedemmo nei già esaminati
bassirilievi chiusini, mi fanno giudicare quest’idoletto per un opera
eccellente degli Etruschi, allorché sottoposti ai Romani praticaron le
arti ne’tempi di Adriano. TAVOLA LX11I. Leggendo lo
storico Diodoro ho incontrato un avvenimento d’Èrcole, che mi sembra
molto analogo a quanto si rappresenta in questo bassorilievo. Narra
quello scrittore che tornato Ercole insieme cogli Argonauti alle spiagge
troiane, ove avea lasciati in deposito a Laomedonte la vinta Esione ed i
cavalli di Diomede, invia suo fratello Ifito, e Telamone a riprendere il
deposito affidato a quel re; ma il perfido ne ricusa la restituzione, ed
oltraggia i messaggi. Allora gli Argo¬ nauti muovono contro Laomedonte e
contro i Troiani suoi sudditi, e dopo un vivo combattimento trionfano.
Ercole sopra d’ogni altro fa prodigi di valore, ed uccide di sua propria
mano il re Laomedonte ' . Tanto basti a ravvisar qui E avveni¬ mento or
descritto . Ercole ha in mano la spada per uccidere il perfido
Laomedonte che h». già ghermito pei capelli, nè può altrimenti evitare il
colpo fatale di morte. La pelle di leone che si annoda sul di lui torace
lo manifestano per Ercole, seb¬ bene usi spada e non clava. Laomedonte
altresì fassi noto al berretto asiatico proprio dei Frigi e Troiani in
modo speciale, come ripetuti esempi ne dò nella Galleria omerica 3 . Il
bastone pastorale gli è posto in mano dall’ artista ad oggetto di
aumentarne la distinzione, come spettante alla famiglia di Dardano, eh io
dissi altrove 3 essere stata distinta per la sua occupazione di guardare
gli armenti de suoi antenati, non meno che per la singolare bellezza
della quale furono adorni i di lei componenti. Difatti qui Laomedonte si
mostra bellissimo e delicatissimo, in pa¬ ragone del robusto Ercole, e
dell’altro eroe eh’è degli argonauti combattenti in quella occasione con
Ercole. Le due Furie con face rovesciata, ripetutissime nelle urne
etnische, non hanno un positivo ed intrinseco rapporto col fatto.
L'altare serve soltanto di espressio¬ ne per mostrare che il paziente
altro scampo non ha che reclamare la protezione 1 Diod. Sic. Bibl.
hist. c. l, p. 29J. 3 Galleria Omerica, Iliad-, Tom. 11, p. i 43 .
2 Voi, 1, Tav. xcv, p. 81. t : 4 le
arche racchiudevano oggetti sacri di mistica rappresentanza, non visibili ad
ogni profano. Il vaso dipinto con queste donne che staccano in giallastro
su fondo ne¬ ro, fu, cred’io, venerando per gli oggetti contenuti nella
cesta, piuttostochè per le donne che la portano. TAVOLA
LXIX. Nell’interna e concava parte duna tazza di terra cotta vedesi
dipinto con fon¬ do nero un sacrifizio, che mostra, cred’io l’atto del
camillo, o vittimario di cuo¬ cer le carni della vittima sul fuoco acceso
nell’ara o foculo, mentre il sacerdote che sembra di Bacco è pronto a
farvi una libazione, versandovi parte della sacra bevanda. Dalla bassezza
di quell’altare, pare che l’atto religioso fosse diretto al culto di
Bacco stigio, che pregavasi perchè fosse favorevole ai morti; come
difatti la tazza dov’è questa pittura fu posta come le altre in un sepolcro.
TAVOLA LXX. È invero assai singolare il bronzo num. 1 che qui
presentiamo in disegno nella dimensione del suo originale, come si può
riscontrare nel privato e ricco museo del sig. capitano Sozzi di di
Chiusi dov’esiste. Non è del tutto nuovo per altro; ed io vidi un idolo
lungo due piedi e sottile nel museo di Volterra tutto nudo, e colle
braccia aderenti al corpo, senza nessun emblema. Il Gori che lo illu¬
strò, gli dette nome di Lare domestico ridotto più grande e piu maestoso
della specie umana, oppure un dei Lemuri che credevansi ministri del
Genio malo, ossivvero lo stesso Genio malo, che da Plutarco si dice esser
comparso a Bruto in aspetto più grande di quel ch’esser suole l’umana
specie 4 . lo crederei che più convenientemente confermar si potesse esser
quest’idolo chiusino un Lare dome¬ stico, forse anche Lemure, pei lumi
che ce ne dà Plutarco, giacché Tesser vestito e l’aver patera in mano
tanto converrebbe ad un Lare, quannto sconverrebbe ad un semplice Genio.
Lo stesso Gori ha posti nella sua collezione altr’idoletti che hanno la
qualità speciale d’esser più lunghi delle dimensioni spettanti all’umana
specie, ma che l’espositore per bizzaria dichiarò con nomi speciali = , senza
dar¬ ne sodisfacente ragione. I bronzi notati di numm. 2 e 3
sono le due estremità d’un manubrio di qual¬ che vaso usato probabilmente
per sacri riti, come lo mostra la testa d’asino che ne compone la
superior parte, mentre si tien per ovvia la notizia che questo 1
Plutarc. de animi tranquillitate, ap. Gori, Mus. Etrusc. Voi. i, Tab.
cim, Voi. n, p. 23 i. 2 Gctì, Mus. etr. Tom, tab. v.
63 si attribuiva una virtù
espiatoria 1 . La figura virile ultima non ha caratteristica veruna che
la distingua. Da un lato, cred'io, di questo cippo o ara che sia,
v’è un’auriga nell'atto di guidare il suo carro alla corsa : istituzione
antichissima rammentata inclusive da Omero % fra gli onori compartiti da
Achille all’ombra di Patroclo. TAVOLA LXVI. Sorprenderà
gli archeologi la novità di questa lucerna fittile che porta effigia¬ to
un centauro colle ali non più veduto, ch’io sappia. Ma cangerà la
sorpresa in persuasione, tostochè richiamerà alla memoria quanto dissi
altrove rapporto al¬ la composizione siderea di untai mostro; di che
ripeto qui soltanto qualche leg¬ gierissimo cenno. Dissi pertanto che
stando alle dottrine d’Ipparco, il Centauro si compone di un cacciatore,
o per meglio dire della costellazione che in antico aveva il semplice
nome di un dardo, e dell’alato cavallo sidereo che dicesi Pegaso 3 . E
poiché questo rappresentasi per metà soltanto nel davanti, così inventarono
di aggregare il restante del cavallo, o sia la posterior parte al
cacciatore arciere. E siccome il Pegaso composto dal Centauro è figurato
con ali, così non è fuor di proposito il trovare in questo arciere colla
caccia in mano la posterior parte del cavallo Pegaso colle ali che
formano il distintivo del destriere abitatore del Parnaso. TAVOLA
LXVII. Il vaso rappresentato in questa Tavola due terzi più piccolo
del suo origina¬ le è di terra cotta di naturai colore, a differenza
d’altro simile qui pure esposto alla Tav. XL1X, eh' è di terra nera. E
poi singolare in questo il veder le braccia staccate dal vaso e fermate
con delle cuciture di fil di ferro agli orecchi o manichi di esso vaso, e
pare che abbiano tenuto qualche cosa nelle mani che soglion esser
traforate . Un indizio di barba rasata ce lo fanno credere un Bacco. Per
ogni restante si legga quanto dissi alla Tav. XL1X. TAVOLA
LXVIII. Fu costume frequentissimo nei sacri riti del gentilesimo
l’introdurvi le fem¬ mine canefore, o cistofore ma specialmente in
Etruria, e i monumenti ci mo¬ strano come un tal uso invalse qua nei
tempi antichissimi, come Io mostra il famoso vaso d’argento di Chiusi da
me riportato altrove 4 . Quelle ceste, o picco- i Suid. in VOC.
Excctjjv. a Galleria Omerica Toni, n, lav. ccxvu # 3
Monumenti etr. ser. v^av. lyii, p* 561. 4 Ivi, ser. ih,
Ragionamento vii. RAGIONAMENTO VII.
SULLA VERA SITUAZIONE TOPOGRAFICA DI V1TULON1A ANTICHISSIMA SEDE
DELL J IMPERO ETRUSCO. AffdS'v’tffzoufft yap y,<x.i nohU «c
rirep av^pwirdi, A. A. . li ori aveva torto lo spiritoso, e
bizzarro filosofo di Samosata, quando scriveva nel suo dialogo intitolato
Caronte, che le città muoiono come gli uomini. Imperocché nel¬ la stessa
guisa che si perde la memoria di moltissimi di questi, così perisce la
ricor¬ danza di non poche di quelle. Nel cui numero è da riporsi con
tante altre, la famosa Vitulonia , prima capitale dell’ Impero Etrusco,
della quale sì scarsamente lasciaro¬ no scritto gli antichi, e sì
vagamente , e con grande incertezza ne parlano i mo¬ derni. Trovasi
infatti accennata dagli uni e dagli altri, quella già potentissi¬ ma, e
ricca città, con molta dubbiezza, e circa la vera sua topografica situazione,
e circa l’estensione del suo circuito, e perfino riguardo al modo di
scriverne il nome . Avvegnaché Plinio, lib. 2 cap. io3, chiama Yvi
ulonii, e Vetuloniensi i suoi abi¬ tanti, e Silio Italico nomina Vetulonia
la città stessa , mentre avvi qualche altro au¬ tore, che la dice
promiscuamente Vetulonio e Vetulonia. Quanto poi alla sua
topografica situazione, pare anche dal passo del precitato Plinio,
ch’ella fosse come era difatti, vicina al mare -, poiché sebbene al tempo
di quello scrittore già più non esistesse da lunga data, nondimeno la
memoria della sua situazione , e della sua grandezza sussisteva tuttavìa
nella tradizione dei popoli etru¬ schi . Ed il Cluveno ,lib. ila colloca
egli pure non lontano dal mare , e nelle vicinan¬ ze delle paludi
caldane, confondendo però, per quanto mipare, le Caldane volterra¬ ne, o
i Guadi volterrani, colle Caldane della Fiora, che sono tutt’altra cosa.
Che sorgesse però nei contorni di quel pareggio, non è da mettersi in
dubbio, giacché leggiamo in Dionisio di Alicarnasso, lib. 3, che al tempo
di Tarquinio Pri¬ sco , quand’ egli guerreggiava contro i Latini, i
Sabini, e gli Etruschi propriamente delti, fecero legaper andare contro
il medesimo, le cinque popolazioni seguenti, cioè, i Chiusini, gli
Aretini, i Volterrani, i Rosellani, ed i Vètuloniensi , che Plinio al già
citato libro terzo nomina con ordine inverso. Nè senza ragione è da credere,
che quei due gravissimi scrittori nominassero i popoli, piuttosto che le
città dei medesimi, perchè Vitulonia era stata distrutta molli secoli
prima della fondazione di Roma, come congettura il dottissimo Dempstero,
il quale crede ancora giudiziosamente, che perciò si di rado ne abbiano
gli autori fatta menzione.
65 quadrupede spettò a Bacco 1 o a Vulcano a . Nell'uno e
nell’altro supposto converreb¬ be 1’ unione loro aiCabiri, che furon
detti e figli di Vulcano 3 ,ed apportatori del culto di Bacco in Etruria
E Una tale osservazione mi farebbe credere i Cabiri o Dioscuri quei due
giovanetti sedenti e con berretto in testa, che trovansi nel- 1’
estremità inferiore del manubrio medesimo . E tanto piu me ne persuado ,
in quanto che molti bronzi ritrovati in Etruria hanno Bacco unito ai
Cabiri 5 . Nè si allontana da questa congettura lo stesso lor gesto che
addita il cielo, mentre stan¬ no coricati per terra, giacché tale
additamento del cielo e della terra è lor pro¬ prio in molti antichi
monumenti dell’arte 6 . TAVOLA LXXI. Il bronzo di questa
Tavola veduto da due parti mi vien descritto di un la¬ voro squisitamente
condotto per la sua esecuzione, al che si può aggiungere il pregio
dell’arte che splende anche nella giusta, non men che bella proporzione
della figuretta che qui si vede per metà maggiore del vero. Io la credo una
di quelle Giunoni, o genii delle donne che tenevansi nei larari dal
gentilesimo. TAVOLA LXXII. La pittura di questo vaso
consiste in tre figure femminili, che avendo in ma¬ no delle aste armate
di punte, corrono sfrontatamente luna presso l’altra. Così narra Euripide
che Penteo al di lui ritorno in patria udì che la madre di lui con altre
donne Tebane aveano abbandonato il proprio albergo, e n’eran gite sul
mon¬ te Citerone a celebrar le feste di Bacco , piene di lascivo furore
7. XXXVI. ■ÌR<S>° 1 U : VI I q 3 : aìlflNS
XXXVII. J/ìttq A J : ÌV1V : J33 XXXVIII.
tfntnqf\ ■■ jmn/qo XXXIX. jfjvm/dn •• ©nq/i
XL R13D J/ilflllV 1 Monutn. etr., sei:, u, p.
56. 2 Milli» , Peintures de Vases ani. , Tom. 2 3 , not.
(6). 3 Monum. etr., ser. n, p. i52. 4 Ivi, p. 693,
713. Etr. Mus. Chius. Tarn. 1. 5 Ivi. Ved. la
spiegazione delle Tavole txvvn i, p. e ixxvui. 6 Ivi,
tav. xlÌx, e sua spiegazione. 7 Euripide nelle Baccanti atto primo
scena iv in principio. 9 9 68
vono discorso anche intorno alle sue terme, ed al suo anfiteatro,
celebrandone le ime , e 1‘ altro. Scrive La-Martiniere che le
rovine dì questa città ritengono tuttavìa t antico no¬ me, e che si
chiamano Vetulia,ree/ che concorda coll'Alberti-, e si legge in una nota
del precitato Cluverio, che Vitulonia era situata fra Populonia, e la
torre dì San Vin¬ cenzo, presso alle paludi caldane, ed il fiume Linceo,
detto oggi la Cornia. La quale opinione pare appoggiata da quel passo del
sullodato Plinio, lib. 3 . cap. 6; ove nomi¬ na insieme ì Tarquiniesi, i
Tuscanesì, i Vetuloniensi, i Veientani, i Visentini, ed i Volterrani,
cognominati etruschi, com’egli si esprime. Molte altre citazioni, ed
altre notizie avrei potute raccogliere ed aggiunger qui, riguardanti la
nostra Vitulonia, ma le ho tralasciate per brevità, e penso che siano
anche troppe le già addotte, per dimostrare quanta confusione, e quanta
incertezza si riscontri negli autori, ogni volta che ne fanno
parola. Ad onta però di tanta confusione, e di tanta incertezza
degli scrittori antichi, e moderni intorno a Vitulonia, per cui è
sembrato ad alcuni archeologi , non solamente difficile ma eziandio
impossibile di poterfissare, ove sorgesse un giorno quella primiti¬ va
sede dell impero Etrusco, quandi esso estendevasi a tutta l Italia; io voglio
non per- tanto tentare in questo ragionamento di stabilirlo. E voglio in
questo tentativo mettere a profitto le belle, e ricche scoperte di vasi
etruschi, e di altre anticaglie, fatte negli anni 1828, e 1829
dall'egregio signor prìncipe di Canino nelle sue terre di questo nome, e
giovandomi ad un tempo dei lumi sparsi da quel chiarissimo scrittore,
illu¬ strando gli uni , e le altre, e per cui viene ora meritamente
lodato in questa materia, come il più benemerito promotore della gloria
dei nostri padri. Tralasciando pertanto di rintracciare, lo che
sarebbe ricerca inutile, e vana, se Vitulonia/bwe edificata da Tarconte,
come pretendono alcuni autori, o dal celeste Ogige, il quale come vuole
non so qual poeta, Itali® Tuscas pelago descendit ad oras,
dove torreggiò Vitulonia, o finalmente lo fosse dagli Etruschi, regnando
su di essi, come piace ad altri quello stesso Giano Velo che istituì, per
quanto si dice, il culto di Vestà, e le Vestali nelle nostre contrade,
diede il suo nome al Gianicolo, combattè per tre anni coi Celtiberi, e
finalmente li vinse, e li sottomise alla sua dominazione: quello stesso
infine, che consacrò , giusta le tradizioni, una gran selva a Crono nelle
vicinanze appunto di Vitulonia, il cui nome potrebbesi interpetrare stagno, od
acqua incostante, passerò in quella vece a determinarne subito la
topografica situazione. Circa la quale io credo che non possa
rivocarsi in dubbio, quanto il sullodato si¬ gnor principe di Canino ne
ha detto nel primo volume del suo Museo etrusco , par¬ lando inparticolar
modo della sua Necropoli; E sono persuaso che ella sorgesse ve¬ ramente
nel luogo da lui supposto, e descritto. Bifalti la prodigiosa
quantità di vasi etruschi di sommo pregio, e di somma bel¬ lezza, e nei
quali sono rappresentate favole, o storie anteriori alla fondazione di
Ro- 6 > Crede Ermolao
Barbaro, che Orbetello occupi ora il sito dov era una volta Vilu- lonia,
lo che non può essere. E VAlberti scrive che ai suoi tempi chiamavasi Veletta
, o Vetulia, il luogo ove fu Vitulonia; laddove altri sostengono, che
altro in oggi ella non sia ché un luogo deserto, distante tre miglia dal
mare, fra Populonia, e Pisa. E nonmancano neppure di quelli che
confondono Populonia stessa con Vitulonia, benché fossero per località,
per età e per potenza paranco , l’una ben distinta dall' altra. Jf
erudito Guarnacci poi, dice di non poter determinare neppur egli, ove giaces¬
se questa famosa, ed antichissima città, perché sì conosce, secondo lui,
solamente il nome della medesima, ignorandosi però del tutto, a qual
distanza precisa fosse ella situata da Volterra, e dal mare ■ Ma Annio da
Viterbo nelle sue note agli Equi¬ voci, di Senofonte, afferma esservi un
colle chiamato Vetuleto, e lo afferma con qual¬ che probabilità, per
l’età sua, sul quale crede che fosse situata altre volte Vitulonia. E
pensa che dopo la rovina di questa, gli restasse un tal nome. Il medesimo poi
ne deriva Vetimologia del nome da due parole araniee , che verrebbero a
significare, ca¬ po di molte città; ciò che non sarebbe disconvenevole a
Vitulonia,- ed aggiungendo, quello che in molti altri scrittori si legge
paranco, che essa godeva il privilegio di ammettere i forestieri alla
cittadinanza volterrana , come ancora la privativa in età più remota, di
dare i fasci, e le insegne reali, la qual cosa indica essere stata la me¬
desima al disopra di Votterrà. Non di meno il chiarissimo Passeri
nel suo trattato della Numismatica etrusca ; la crede colonia dei
Voltérrani, benché ciò non possa essere accaduto, se pure voglia¬ mo
ammettere che avvenisse in alcun tempo, se non dopo la sua decadenza, e totale
ro¬ vina, e dopo il successivo ingrandimento dell'altra. Mentre quando
eraVitulonia nel suo pieno splendore, e capo di potente impero, è ben
ragionevole il credere che succedesse tutto il contrario . Lo
stesso Silio Italico, citato disopra, chiamò la nostra Vitulonia splendore
della Meonia gente, alludendo probabilmente a quei Lidii che si dicevano
venuti a stabi¬ lirsi in Etruria, e principalmente in quella regione-, e
la disse ad un tempo inventrice dei Fasci, delle scuri, dei Littori,
della Sedia Curale, e della pretesta, come pure le attribuisce il merito
di avere adattata l'enea tromba agli usi guerrieri-, cantando nell’
ottavo libro delle guerre puniche. Meoniosque decus Vetuionia
gentis, Bissenos hoec prima dedit precedere fasces, Et
junxit totidem tacito terrore secures: Et princeps Tyrio vestem
prsetexuit Ostro; Hasc altas eboris decoravit honore curuies
, Heec eadem pugnas accendere protulit sere. Esistono
infatti antiche medaglie, riferite dal prelodato Passeri, ed anche dal
Guarnacci, coll epigrafe Vetiunia , e coll’ emblema della scure, o bipenne,
insegna dei Magistrati etruschi, e precisamente di quella città. Ed
alcuni gravi scrittori mo- 70 Messina, e fuori
ancora dItalia per fiancheggiare le inaudite millanterie di quei me¬
desimi Greci, e loro forsennati seguaci, riprodurrò qui una opinione singolare,
ma vera, e che mi pare che siastata sostenuta anche dal Vico ; e dirò che
le Muse ebbe¬ ro origine in Italia, nell’infanzia, per cosi dire, del
mondo. Ed aggiungerò, che da questa bella penisola emigrando, pèr quelle
vicissitudini, che modificano , e fanno cangiar di aspetto continuamente
a tutte le cose umane, passarono in Arcadia, colle prime colonie italiche
di Pèlasghi Tirreni, che erano indigeni di questo de¬ lizioso paese,
favorito in ogni tempo sopra di ogni altro dalla natura, per tutte le
arti dilettevoli, e per tutti gli ameni studi. Ed andarono ad invadere, é
popola¬ re la Grecia, e la Tracia, selvagge allora ed incolte, dove
ebbero poi nome, e culto per opera di Anfilone , di Lino, d’Eumolpo, e d’
Orfeo, ma vi si erano condotte da prima coi sunnominati Pelasglii-Tirreni
, pastori ad un tempo , e poeti. Da dove ritornarono più tardi in queste
benedette contrade in compagnia di Evandro, e non ne partirono mai più-,
ad onta di tutte le devastazioni e di tutti i flagelli, che vi portarono
gli stranieri, i quali ne fecero in tutte le età il primo oggetto delle
loro ambiziose conquiste . E persuaso come io sono , che Vitulonia
dettasse in remotissime età le sue leggi agli Italioti, potentissimi
allora sovra ogni altra nazione, da quei luoghi medesimi, nelle cui
vicinanze riscontrasi la grande necropoli, discoperta \dal signor
principe di Canino, come Roma le dettò loro, e all’ universo, in altri
tempi, dall alto del Campidoglio, terminerò questo mio ragionamento,
ripetendo con Virgilio, Purpureos spargain flores, animasque
parentum His saltelli accumulem donis. Mà non voglio
però dar fine al medesimo, senza rivolgere brevi parole al si¬ gnor
compilatore dal Ballettino archeologico di Roma, per pregarlo col dovuto
rispetto, a volersi compiacere di farmi comprendere cosa mai ha preteso di
di¬ re, quando ha scròto a pag. 226, N" 12, del medesimo, con
franchezza più che cattedratica ,■ « Contribuiscono ad illustrare qualunque
parte delle antichità dell' Etruria le utilissime lettere d’ etnisca
erudizione che si pubblicano dal ca¬ valiere Inghirami; siccome allo
stesso tendono nel modo loro particolare, le ingegnose conghietture del
signor Principe di Canino, é quelle di simil genere del professor
Euleriani, premesse ai fascicoli del Museo chiusino » perchè seb¬ bene io
confessi ingenuamente : che mi rifugge t animo alt idea, che debba venire
un Oltramontano ad insegnare a noialtri Italiani, a conoscere le cose
nostre, e quelle dei nostri padri, mi sarà tuttavia gratissimo di potergli
ren¬ dere pubblica testimonianza di avere imparato qualche cosa da lui,
come non poche me ne insegnarono altre volte, e di vario genere, ì
Dempsteri, gli Acker- blad, gli Zoega, che qui nomino a titolo cìi onore,
ed altri ancora che per bre¬ vità si tralasciano.
e 9 ma, e vi si osservano
costumi anti-romani ancor essi, dal medesimo dissotterrati nelle sue campagne
della Cucumella, e Cannellocchio , mostra ad evidenza, che tanta ric¬
chezza di vasi dipinti, non poteva appartenere che alla Necropoli di una città
gran¬ dissima ed opulentissima, e capo di potentissimo impero. Nè i tre
ponti dallo stesso discoperti sulla Fiora cosi l uno all altro vicino,
servir potevano ad altro che a mette¬ re in comunicazione fra loro le due
parti di questa medesima città ; E questa non po¬ teva esser che V
itulonia , se ben si voglia riflettere alla sua località, dietro quello
che si legge negli scrittori antichi, e moderni, benché alquanto
oscuramente, intorno alla situazione di quella metropoli. Che
se qualche ultra-greco si ostinasse ancora a sostenere il contrario, è
pregato a considerare un poco meglio i monumenti dei nostri antichi, e
singolarmente quelli dissepolti nelle terre di Canino, ed anche a porre
maggiore attenzione quandi egli legge le opere degli antichi, e son di
parere , scorgerà facilmente timpossibilità di provare il suo
assunto. In quanto poi al predicare la civiltà italica molto anteriore
a quella della Gre¬ cia, noi non abbiamo fatto altro in ultima, analisi,
che riprodurre quanto era sta¬ to opinato nello scorso secolo dai
dottissimi archeologi, e filologi italiani, e stranieri, assai giudiziosi
e non greco-mani, Dempstero, Buonarroti, Maffei, Cori, Guarnac- ci,
Bocliart, Mazzocchi, Lami .Bourguet, ed altri ancora : E più modernamente
dal¬ li eruditissimo poliglotta Acherblad, dall’illustre Gaetano Marini,
e dal celebre Ennio Quirino Visconti, prodigio d’ingegno, e di dottrina,
anche a giudizio dei più dotti Francesi. La quale opinione,
propagata da tutti i surriferiti grandi uomini, che trovasi confermata
nelle memorie dell'Accademia delle iscrizioni di Parigi, e che fu messa
in piena luce da quella mente straordinaria del Vico, è poi quella stessa
riprodotta, e commentata dal sullodato signor Principe di Canino, nei
varii articoli del precitato primo volume del suo Museo etrusco, dopo che
la riscontrò comprovata dai Monumenti da lui discoperti, negli scavi
fatti eseguire nelle sue terre. Nè di poco momento è per me, onde
viepiù confermarmi in questa opinione che mi è divenuta certezza, t
autorii a del profondo archeologo romano Girolamo Amati , uomo di somma
perspicacia, e dottrina, e nelle italiche antichità versatissimo, e che
la sostiene egli pure . Che del resto la iattanza impudentissima
dei Greci , è dei grecomani, circa la ci¬ viltà, e le arti italiche, non
è nuova in queste contrade, sapendo ogni mediocre erudito, che per
rintuzzarne soltanto la vanagloriosa ciarlataneria, pose mano Catone a
scri¬ vere i suoi libri dèlie origini, e si mostrò grandemente sdegnato,
perche nessuno si fosse alzatOkprima di lui a rigettar loro in faccia si
nauseanti, e boriose pretensioni, e si grandi sciocchezze. Ora
dunque, animato dal medesimo amor patrio, e stimolato da eguale sdegno,
per le tante inezie che sf vanno ripetendo ogni giorno a piena bocca, dalli
Alpi a Etr. Mus . Chius. Torri. /. 10 TAVOLA
LXX 1 II. Quando Venere e Apollo sottrassero Enea, come inventa
Omero alle furi¬ bonde armi del prode in guerra Diomede, allora Febo
immaginò di lasciar com¬ battere a sazietà i Troiani coi Greci,
sostituendo ad Enea l’idolo, o popolarmente parlando, l'ombra di lui.
Questa poetica immagine del combattimento de’due par¬ titi per un vano
fantasma fu cara oltremodo agli Etruschi, mentre ne vediamo la
rappresentanza in molti de’lor cinerari, un de’quali eh’è in marmo, fu da
me inserito nella serie che ho data de’monumenti omerici della Iliade 3 ,
similissimo a questo ch'è di terra cotta due terzi soltanto maggiore del
presente disegno, men¬ tre quel di marmo è due terzi maggiore di questo
modellato in creta. Vi si ve¬ de pertanto il simulacro d’Enea caduto a
terra per la percossa del sasso getta¬ togli da Diomede, in atto di
cercare una qualche difesa nella trista situazione in cui si trova,
spossato di forze. Intorno a lui si tagliano a vicenda gli scudi e le
targhe Troiani ed Achei. L’originale in terracotta era dipinto a vari colori,
ma ora svaniti. L’ iscrizione è soltanto dipinta in color di porpora, e
rammenta, come sapremo a suo luogo, il nome del morto, le cui ceneri
chiudeva l’urnetta. TAVOLA LXXIV. Un licenzioso stuolo
di baccanti si offre allo sguardo dell’.osservatore della tav. presente,
e ci avverte esser questa la pittura d’un vasetto ch’è rappresentato alla
tav. LXX 1 X num. 1, e frattanto si verifica la massima comunemente
inval¬ sa per esperienza, che tre quarti dei vasi fittili dipinti hanno
soggetti bacchici. Questo ha figure nere su fondo rosso ed è il
vasetto originale tre volte mag¬ giore del disegno dato alla tav.
suddetta. TAVOLA LXXV. La statuetta di Venere che orna
quest' ago crinale grande al pari del pre¬ sente disegno è adattatissima
a dar compimento ad un utensile di muliebre de¬ coro. È singolare il
vedere nei Monumenti etruschi la Venere quasi sempre co¬ perta
negligentemente in una sola gamba. Io vi ho spesso, ravvisato il velo del
quale son coperte agli occhi della nostra penetrazione moltissime delle operazio¬
ni della natura: osservazione che dovette esser propria specialmente degli
Etru¬ schi, i quali si magnificano come studiosi della filosofia
naturale. Proporrei ancora il sospetto che l’ago crinale fosse un simbolo
mistico, e per tal cagione posto nel i Iliade lib. v, v. 449*4^ l
- 2 Tom. ì, Tav. lxxiv .
7 » Non credasi però mai da
alcuno , che io ni" altlia la stolta pretensione di non essere
criticato, ché anzi mi reputerò sempre ad onore ogni critica fatta a
dovere, Ma quando venga questa in mal tempo, e con peggior garbo, met¬
terò sotto gli occhi di chi vorrà leggermi, il seguente epigramma.
Censura sapiens, et doctus acutnine gaudet : Stultus at
insano carpere dente solet. Ex tribus his titulis, quem vis, tibi
delige lector: Sic sapiens, doctus, stultus et esse potes.
XLI. VIDflDMU 433433 XLII. 4/mvfl4i
•• flnoai ; qn-i XLEL ••••• -.43 : F\\F{- 1/1-1 :
43 XL1Y. 4 /ÌOq/ : i4 : 4/RttYf : intblq/d : 41
XLV. m3iifl4 ; ìi n/qi : 43H3vi : nnn o
XLY1. •.•.•.lamvfliflm : finn o XLVII.
ni asiaq'D : 4flim#ì4 : intn.q/a : 433 xLvm.
4/aifn/qi3i lantqfl = ioqfiN XLIX. ■ninni ■■ m Y
131 : 4An#isa : ianq3i : no L. 1 nxnn\ M3f
: laUfVf : flitifl© ! Al disopra del copercìiio. a Siccome
finisce il lembo del coperchio pare che abbiano continuata la
parola al di sopra del coperchio della stessa urna. I
74 (lutto nell'arte, mentre qui la Furia infernale esce di
sotto terra; come nel teatro. Se quest’uso non è molto antico, non
potremo reputare antichissime neppure queste sculture ove tal uso è
imitato. L’urna è due terzi più grande del presente disegno. TAVOLA
LXXVIII. Il soggetto di questo rozzo vasetto non è che un
baccanale. Il vecchio bar¬ bato e nudo rappresentar dovrebbe un satiro,
mentre a centinaia s'incontrano i satiri nei vasi che trovansi nei
sepolcri, e le lor mosse costantemente bizzarre, come acche la lor nudità
costante, non permettono di separar questa virile figura dal coro
satiresco di Bacco. Ma la rozzezza del lavoro accompagnato da negli¬
genza; fece dimenticare al pittore di aggiungere alla sua figura la coda equina
che a’ satiri non manca mai. La donna eh’ è dalla faccia opposta del
vasetto, non può essere per conseguenza che una baccante . I circoli che
in buon numero si vedono attorno alle due figure sono un enigma finora
inesplicato. La grandezza delle figure è uguale a quella dell’uomo
barbato. La pittura è giallastra in fondo nero. TAVOLA LXXIX.
I tre recipienti che occupano questa tavola son vasi con pitture in parte
ne¬ re e in parte giallastre, che si mostrano separatamente dai loro
vasi, e che ve¬ dremo in seguito coi respettivi loro richiami. Ma il vaso
segnato di numero 2 ha soltanto una pittura a parte, l’altra di minor conto
si vede qui in piccolo.Io vi ravviso due degli Efebi davanti al
ginnasiarca, il quale ha verga in mano insegno che istrui¬ sce e comanda.
Tali erano gli esercizi del ginnasio, dove la gioventù s’istruiva negli
esercizi del corpo e dell’animo ; e gran parte delle pitture de’vasi han simil
sog¬ getto nella parte opposta ad altra, che aver suole qualche
rappresentanza mitolo¬ gica o simbolica, come in questo vaso, dove si
vedrà Ercole accolto dal centauro Eolo. Queste favole cred’io avevano un
senso misterioso, e la gioventù s’istrui¬ va nell’iutelligenza di quel
senso non a tutti palese, per cui ne’ vasi comparisce nel tempo medesimo
l’istruttore e 1 istruzione che rnostravansi con quelle pitture.
TAVOLA LXXX. Questo, pare a me, eh’esser possa il momento in
cui Ercole passando dal monte Foloe per andare a cercar del cinghiale
d’Eriinanto, trattenutosi dal cen¬ tauro Folo figlio di Sileno e della
ninfa Mitra, fu ricevuto nel modo il più ospi¬ tale che potevasi. Ercole
ebbe desiderio di bere del vino. Folo ne avea soltanto in un vaso eh’era
stato dato da Bacco ai centauri in comune, e perciò non ar¬ diva
d’aprirlo. Ma Ercole incoraggillo a deporre ogni timore, ed apri egli
stesso 7 ^ sepolcro dov' è stato
trovato . Dissi altrove difatti, che si venerava in Roma l'ago crinale
della Madre Idea custoditovi fra le cose fatali, da cui facevasi
dipendere la stabile conservazione dell'impero ’. Le
oreficerie degli Etruschi, di che presentiamo qui un saggio, esser so¬
gliono di uno squisito lavoro. I due pezzi superiori pare che siano stati usati
a formare una collana, poiché di simili ornamenti vedonsi le belle
collane scolpi¬ te al collo delle matrone che si trovano giacenti sopra i
coperchi delle urne 3 . Ciò sia detto per disinganno di coloro che
trovando nella Grecia altri ornamenti muliehri lavorati in oro con una
perfezione e con un gusto simile a quei dei nostri Etruschi, ne dedussero
che di Grecia si facesse smercio in Italia di tali bi¬ gotterie; ma
poiché la forma dei due pezzi superiori trovasi ripetuta soltanto nelle
sculture d'Elruria,e non in quelle di Grecia, così non abbiamo pruove che
usas¬ sero tali ornamenti fuor dell’Etruria , nè che non si potessero
quivi anche eseguire. TAVOLA LXXVI. Tra le infinite
bizzarrie che vennero in testa ai figuli per variar le forme dei vasi,
che servirono per ornar le ceneri dei sepolti, questa che presentiamo qui
non è certamente delle men singolari. Il suo nome suol essere d' un ciato
quando ha forma d’un corno potorio; ma in figura di gamba non avendone io
mai in¬ contrati , per quanto abbia veduti moltissimi vasi sepolcrali,
non saprei certamente quei che possa dirsene. La sua grandezza è due
volte maggiore di questo dise¬ gno. È della solita terra nera di Chiusi,
ed ha vernice nera assai lucida che lo cuopre d'uu color solo. In
generale questi eran vasi da bere usati col rito, che dovevasi affatto
votarne il recipiente, per cui non era necessario di tener questi vasi in
piedi, ma suolevano star discenti sulla mensa. TAVOLA LXXVII.
La tragica morte di Eteocle e Polinice è soggetto che fu caro agli
antichi Toscani che lo elessero soventemente per ornarne i loro sepolcri.
Qualche mossa, qualche ornato,lo stile medesimo della scultura, fan
vedere che vi fu comunicazione tra la scuola di Volterra e quella di
Chiusi. Il costume della Furia eh' è fra i due moribondi più che altro
manifesta la probabilità di questa mia opinione; come si ri¬ scontra dai
paragoni che posson farsene 3 . Altrove notai parimente 1 ’ uso teatrale
di far comparire, non già dalle scene i soggetti infernali, ma dal palco
medesi¬ mo, quasi che sorgessero di sotto terra ^. Un tal uso vedesi
esattamente intro- 1 Monum. etr. , ser. li J p. 5o. 2
Ved. la Tavola xiv. 3 Monum. etr. ser. i, Tavv. lv , lxvii, lxxiv.
4 Ivi, p- 75, 355. 7 6 TAVOLA
LXXXIII. II vasetto che primo si presenta in questa tavola è di
terra nera, uguale in tutto al disegno. Le teste velate son così ripetute
nei vasi sepolcrali chiusini, che io non dubito di confermare il già
detto, nel supposto che siano indicative di larve Ci vien fatta peraltro
notare 1 ’esattezza del lavoro, non meno che la per¬ fetta conservazione
del monumento. Ai numm. 2, e 3 si osserva un anello d’ oro eh’ è in
proprietà del sig. capi¬ tano Sozzi. Il lavoro, per quanto mi si elicerà
finissimo e di grandezza in tutto eguale all’originale. È stato, per
tanto riportato in doppia grandezza l'incavo che tien luogo di pietra
anulare, perchè meglio si osservi lo stile elevato di quel lavoro. I due
animali, il leone cioè e la sfinge potrebbero essere interpetrate pel
pas¬ saggio del sole dal solstizio estivo all’autunno , mentre quel
mostro con corpo di leone e testa e petto di donna non altro pare che
indichi, sennonché il sole che uscito dal segno del Leone ardentissimo
passa in quel della Vergine, ove co¬ mincia a perdere l’estiva sua forza,
per cui si assomiglia a una femmina 1 2 3 . TAVOLA LXXXIV.
La galante forma del vaso n. 1 non è comune fra quelle usate dai Greci
. L’impasto della terra è tutto nero, ed in luogo di figure dipinte ha
dei bassiri- lievi minutissimi, da’quali, come da una doppia fascia, è
circondata la più larga parte di esso . In una delle nominate fasce al n.
3 stanno assisi due uomini con veste talare, in atto di voler dispensare
delle corone, che ricevon coloro i quali stanno in piedi. Sotto alla
lorsedia è un uccello, che secondo le moderne interpe- trazioni dei
geroglifici egiziani, come dissi altrove ? , significa la casa dello
spar¬ viere, eh’è pur simbolo della divinità; e in conseguenza la casa o
regione del cielo, sul quale stabilite si vedono le figure sedenti del
nostro bassorilievo. Por¬ gono esse dunque delle corone ai guerrieri, in
premio di aver combattuto. Le sfingi nei sepolcri le ho sempre
credute indizio del tempo nel quale passa il sole dai segni dell’
emisfero superiore a quello inferiore 4 , che dicevasi regno dei morti 5
, e per tal memoria credo esser poste le sfingi nella fascia num. 4 - Nel
bassorii. n. 2 v’è un uomo sedente che ha in mano Io scettro, e ad esso
presentasi un individuo munito di lancia che probabilmente significa
un’anima che passando ad altra vita domanda il premio delle eroiche sue
virtù' 6 , accennando non altro che il tempo di tal passaggio, come ho
provato anche altrove? in quest’Opera. 1 Monum. etruschi, ser. i }
p. 20. 2 Ivi , ser- i, Ved. la spiegai, della Tav. lxviii.
3 Lettere di etnisca erudizione Tom. 1 , p. 191 . 4 Monum
etr. , ser. v, p. 590 : 5 Lettere cit. p. 189 . 6
Vedasi tutta la mia lettera scritta al dottor Mag¬ gi nel Tom. delle
lettere, cit., p. 181 . 7 Ved. la pag. 5i , e 52 .
;5 quel vaso dov’era, come
appunto si vede in questa pittura. I centauri tratti colà dall’odore del
vino vennero in folla alla cantina del centauro Folo, armati di grosse
pietre, un de quali è qui rappresentato in dietro ad Ercole in atto di
scagliarliela ; e forse è Anchio , o Agrio che furono uccisi da Ercole, perchè
i primi ardirono d’entrare in quella caverna 1 . Questa pittura con figure
giallastre è inetà del suo originale. TAVOLA LXXXI.
In questo bassorilievo ravviso Paride, il quale mentre viveva oscuro ed
ignoto sul monte Ida tra i pastori, scendeva talvolta alla città di
Troia, ove segnalavasi in tutti i giuochi e combattimenti che vi si
facevano, ed in essi riportava la palma sopra ogni altro concorrente,
inclusive sopra Ettore e su gli altri suoi fratelli, che sde¬ gnando d'
esser vinti da un ignoto pastore meditarono di assalirlo ed ucciderlo. Ma
Paride allora si dette a conoscere per loro fratello, e cosi fu salvo. Qui
Pari¬ de è nudo come si compete ad un atleta, ed ha lunga palma sugli
omeri, qual vincitore in competenza coi fratelli che invidiosi lo
guardano, e meditano la di lui perdita, istigati a tanto misfattto dalle
Furie infernali che loro si fanno dappresso. 11 ginocchio che Paride
tiene sull’ara significala protezione divina eh’egl’ implora da Venere,
come ho detto altre volte a , e 1 ’ ottiene; mentre Priamo suo padre, a cui
si palesò, lo ristabilì nel suo rango 3 . Il disegno è una terza parte
dell’originale. TAVOLA LXXXII. Chi mai trovar potrebbe
in questo vaso un gusto greco? Anzi a rettamente parlare diremo esservi
un fare eh'è tutt'altro che greco. L’ornamento del piede partecipa delle
scannellature che sì frequenti ravvisiamo nelle opere dell'Egitto. In
ogni restante v'è una originalità singolare. I mostruosi animali a
bassorilie* vo che ne ornano il corpo son frequenti in questi vasi
chiusini di terra nera, ed io li tengo sempre per quelli animali caotici
che ad oggetto di rammentare la pili antica delle orientali cosmogonie ne
ornarono i sepolcri, di che ragionai anche altrove L La donna che serve
d'apice a! coperchio del vaso, in quanto al disegno non è molto dissimile
da quelle dipinte in giro nel vaso della Tav. LXXII, come ancora in
riguardo al costume dell’abbigliamento. Questo è dunque l’antico etrusco
stile, o l imitazione di esso, come resulta dal paragone della indicata pittura
pur tro¬ vata in Chiusi, ma di stile totalmente greco. Or s’io ripetessi
qui pure, come ho detto altrove 5 , che i Greci lavorarono vasi in
Etruria, e quindi anche i nazionali ma in uno stile del tutto differente,
non ne avrei forse in simili esempi le prove? 1 Diodor. Sicul., iv,
12 . Nonn, Dionis. xiv, 379 . intit. l’Italia avanti il dominio de’Romani p.i
29 . 2 Monum elruschi, ser.[i,p. /{Q 3 i 4 ^ 5 , 1^628, 693. 4
Monum. etruschi ser. v, Tav. lx. 3 Ved.le mie Osser.sopra i
raonum.ant.uniti all’op. 5 Ivi ser. v, Introduzione p. xxjx.
;8 droni perfino del tuono, e del fulmine, i
quali peri loro sorprendenti, e terribili ef¬ fetti , somministrarono in
ogni tempo e in ogni dove abbondante materia alla super¬ stiziosa
credulità dei popoli ■ Giammai però, nè presso alcun’altra nazione, ebbe
la scienza tonilruale, efulguraria tanti cultori, come presso gli antichi
Etruschi, nè mai se ne fece altrove uno studio così costante, come nell’
Etruria propriamente detta, e con successo così, favorevole.
Ma i sacerdoti etruschi, dopo avere immaginata una scienza profonda, e
difficile, sui tuoni e sui fulmini, trovarono ancora il modo di renderla
terribile e spaventevole al volgo della loro nazione. Imperocché,
stabilita la distinzione tra ifulmini di consi¬ glio quelli di autorità e
di decreto, tra i postulatorii, i monitorii, i confermatorii', gli
ausiliarii, gli ospitalieri, ed i fallaci, i pestilenziali, i micidiali i
minacciami, ed i rea¬ li, e simili, ne fabbricarono ancora una spece di
Diario, ossia Rituale. Del quale, per darne una idea ai nostri lettori,
ne riporteremo qui uno squarcio, tradotto in italiano. Questo
Rituale adunque, o Diario tonitruale, e locale secondo la luna coni essi
lo chiamavano, fu tratto, per quanto ne dicono le tradizioni, parola per parola,
da Publio Nigidio Figlilo, dagli scritti sacri di Pagete ; Ed è riportato
da Giovanni Lidio nel suo libro dei prodigi al cap. xxvu, pag. 101, dell
edizione fattane a Parigi nel 182 5 ,per cura di Carlo Benedetto
Tinse. Ecco in qual maniera si esprime il sullodato autore, al
luogo citato, su tal pro¬ posito . Se egli è manifesto che gli antichi
sapienti etruschi prendessero in ogni di¬ sciplina augurale per guida la
luna, poiché secondo il corso di quella espongonsi qui appreso anche i
segni tonitruali, e fulgorarli, rettamente farà chiunque si sce¬ glierà
per duce in questa scienza le stazioni lunari, Laonde quinci dal cancro,
e quindi dal novilunio, istituiremo la diurna cognizione dei tuoni,
secondo i mesi lunari. Dalla quale passavano i Tusci, o sacerdoti
etruschi ad insegnare le osservazioni locali, anche intorno ai luoghi
percossi dal fulmine. E pare che il principale di tut fi i col¬ legi di
questi Tusci risiedesse a Fiesole, leggendosi in Silio Italico Adfuit et
sacris interpres fulminis alis, Faesula . Incominciando
poi il Diario , o Rituale fulgurano, e tonitruale etrusco, dal pri¬ mo
giorno lunare del mese di giugno, dice cosi. Se tuonerà nel'primo giorno
della luna di giugno , vi sarei abbondanza di biade, eccettuato l'orzo,
ed i corpi umani sa¬ ranno attaccati da perniciosi morbi ; E se tuonerà
nèl secondo, le donne partoriran¬ no piu facilmente, ma peri ranno le
greggi, e vi sarà abbondanza di pesci. Tuon andò poi nel terzo sara il
caldo secchissimo per modo, che non solamente gli asciutti pro¬ dotti
della terra, resteranno inariditi, ma si abbruceranno ancora gli umidi e i
verdi. Laddove se tuonerà nel quarto, l’aria sarà talmente coperta, di
nubi, e sì piovosa, che le biade periranno per la putrida umidità. Se
tuonerà nel quinto giorno, sarà dinfausto presagio alla campagna, e si
turbe¬ ranno tutti quelli, che presiedono ai villaggi, ed ai piccoli
castelli, e borghi ; Se nel K
RAGIONAMENTO Vili, E IX SULLA SCIENZA
TONITRUJLE, E FVLGURARIA DEGLI ETRUSCHI rpày.[x«Tcc re Fai
$u<rto> oyìav è?s7rovv;'7av ( oi Svpfavot ) sm' Aererò» 9 stai ra 7repe
t»jv xepavvosxomav sarà to*vt&>v àv.S'peomav e^et^yacavro. Diod.
Sic. lib. 5 , p. 3 l 6 . B^ovrat xaS' v7rvous ayyèXwv èics Xòyot,
Astrampsycb. de Sonili. interp. F_Ja superstizione, il più funesto
di tutti i flagelli che affliggessero mai, in qualun¬ que regione, ed in
qualunque età, Ì umana specie, facendola gemere sotto il giogo più duro,
e più pesante di quanti ne seppero immaginare, e fabbricare, la tirannide
più scaltra, e il despotismo più sospettoso, mescolando ognora profanamente,
per me¬ glio abbrutirla, ed opprimerla, il venerando nome di Dio, alle
loro malvagità le più enormi, fu sempre, e presso tutti i popoli della
terra, il maraviglioso ordigno, e l’ef¬ ficace strumento, onde si valsero
gli astuti, ed i tristi, a danno dei semplici, e dei buoni, ed i potenti,
é gl’ippocriti, per dominare i deboli, e farsi giuoco dei creduli-
Questa Furia pertanto, esecranda, e crudele, la peggiore di quante ne racchiude
nel suo seno lInferno, che ha percorso sotto varie vestimenta, e con diverso
aspetto, tutta la superficie della terra, è quella che fece risuonare di
strani ululati , e di que¬ rule grida le selve di Marsiglia, pei riti
sanguinari di Teuta, le foreste di Norim¬ berga, per quelli d'Irmensul le
montagne della Scandinavia, per placare l ira di Thor o la vendetta di
Odino, e le pianure della Perside, onde rendersi propizio Ari- mane ; ed
è pure quella medesima, che tinse di umano sangue le rive di Aulide , e
della Tauride, fece scorrer vermigli itessalonìci torrenti, e quelli d Irlanda,
acce¬ se gli orrendi roghi di Lisbona, e di Spagna, desolò le Americane
contrade, e co¬ perse in una sola notte la Francia intiera, di spavento e
dì lutto. Questa Furia spaventevole che prende tutte le forme, e
che le varia poi in mille guise secondo i climi diversi, ed atteggiandosi
ancora nel percorrere in ogni direzio¬ ne la terra, secondo le differenti
passioni, e la varia indole dei popoli, ebbe anche presso gli antichi
Etruschi, influenza grandissima, e prepotente dominio. Nè avrebbe, potuto
accadere diversamente in una nazione, ove la casta sacerdotale, o i
collegi dei Tusci, facevansi , come in Egitto, e nelle Indie Orientali,
una privativa dell istru¬ zione, e di tutte le cognizioni letterarie e
scientifiche . Ora questa medesima Erinni,invadendo l’antica
Etruria, e facendone in cèrto modo suo nido, signoreggiò in singoiar
guisa gli spiriti dei nostri antenati, prevalendosi anche presso di loro,
di tutti gli strumenti opportuni al suo scopo. Laonde s impa- Etr. Mus .
Chius. Tom. 7 . 11 ri 0 8o
o/o dal fulmine aneli essi, come facevano i loro maestri. Quindi allorché
esso partiva dall' Oriente, ed avendo toccato leggermente alcuno , ritornava
da quella parte, era questo il segno di una perfetta felicità . Non
traevasì peraltro nessun augurio del ful¬ mine, quandi esso altro non
faceva che strepito. Quelli poi che sembravano promettere lene , o male,
erano presi per contrassegni della protezione, o della collera di Dio .
Laonde V erano fulmini di cattivo augurio , dei quali potevasi peraltro
allontanare il presagio, come dipendeva dalla volontà degli uomini il
procurarsi quello dei ful¬ mini di augurio favorevole , per mezzo di cerimonie
religiose, e di offerte. Ve n era¬ no poi altri, di cui non era dato ai
mortali di rimovere la minaccia, per via di al- cuna espiazione.
Brasi introdotto pure fra i Romani, come insegnavasi in Etruria , che
romoreg- giando il tuono dalla parte destra, annunziava sempre qualche
cosa di felice, e che era di funesto presagio allorchéfacevasi sentire
dalla parte sinistra. I luoghi colpiti dal fulmine divenivano sacri anche
pei Romani, come tali divenivano per gli Etni¬ schi, e non era più
permesso d!impiegarli ad usi profani. J i s inalzavano allora de¬ gli
altari al dio Tonante, e gli Aruspici avevano cura di consacrarli col
sagrifizio di una pecora, dal cui nome venivano detti bidentali. Anche
gli alberi fulminati do¬ vevano essere purificati, ed una certa classe di
sacerdoti delti strufertarii facevano in tale occorrenza un sacrifizio
colla pasta cotta sotto la cenere. Se dobbiamo prestar fede a P
ausonia gli abitanti della città di Seleucia adorava¬ no il fulmine, che
eglino riguardavano come la loro divinità suprema. Cantavano inni in suo
onore, ed il culto di esso era accompagnato da singolarissime cerimonie.
Ma è da credersi che il fulmine altro non fosse , se non se il simbolo di
Giove, che adoravano quegli idolatri come essendo il padrone degli Dei
. Nella Mitologia erano i Ciclopi che fabbricavano entro la fucina
dell’Etna i ful¬ mini al padre degli Dei, e servivansi per comporli, e
temprarli delle seguenti mate¬ rie. Mescolavano insieme i terribili lampi,
lo strepito spaventevole, le striscianti fiammé , lei collera di Giove s
ed il terrore degli uomini. Il fulmine però non era l’attributo
esclusivo di Giove. Nell’opera di Ralle in¬ titolata Ricerche sul culto
di Bacco, stampata a Parigi nel 1824, domo primo pag. 61, si legge che
Proserpina ingenerò Zagreo, cioè Bacco, colla testa ornata di cor¬ na, il
quale da se solo, e senza veruno esterno aiuto, s inalzò al trono di suo
padre, e trattò il fulmine colle mani ancora infantili. E nella
descrizione delle pietre incise del gabinetto Stoscliiano parla il
IVinkelmann, a pag. 234 , di una corniola, rap presentante Bacco con
diversi attributi, ed un Satiro, ai piedi del quale vede si il ful¬ mine.
Anche Luciano, e Nonno panopolita, come pure molti monumenti antichi an¬
no il fulmine per attributo a Bacco , Tutte le grandi divinità del
paganesimo , avevano due caratteri distinti: Luna generale •, ed era
quello del primo principio, dotato della forza, e della potenza uni- v
ersale, e l’altro particolare, che ciascuna di quelle divinità riceveva dalle
funzio- , 79 sesto s ingenererà
un insetto nocino nelle mature biade, e se nel settimo regneranno
dei morbi, senza però che ne molano molti, e le secche biade cresceranno,
mentre s’ina - ridiranno le umide , e verdi, . Tuonarldo nel
giorno ottavo sarà annunzio di grandi piogge, e della morte del frumento,
nel nono significherà che dovranno perire le greggi per l'incursione dei
lupi, e nel decimo che vi saranno frequenti morti, ma che tuttavia l'annata
sarà fer¬ tile;Mentre se tuonerà nelVundecimo, annunzierà innocenti
calori, e letizia alla re- pubblica , e se nel duodecimo accadeva lo
stesso Quando tuona nel giorno decìmotèrzo, minaccia la rovina di
un uomo prepotente, nel decimoquarto, indica che l’aria sarà
eccessivamente calda, e non dimeno sarà lie¬ to il provento delle biade,
con gran comodità di pesci fluviali, ma i corpi cadranno in languore; E
se poi tuonerà nel decimoquinto i volatili saranno affetti da incomodi
nell estate, e periranno le bestie natanti. Se nel decimo sesto
giorno tuonerà, non solamente minaccia diminuzione dell'an¬ nona, ma
anche guerra, e verrà tolto dimezzo un uomo floridissimo; Se tuonerà nel
dectmo settimo, vi saranno calori grandissimi, e mortalità di topi, di talpe e
di locu¬ ste i E non pertanto l’anno apporterà abbondanza e stragi al
popolo romano. Tuonan¬ do nel decimottavo , minaccia calamità ai frutti,
nel decimonono moriranno gli ani¬ mali nocivi agli stessi frutti, e nel
ventesimo minaccia dissezioni al popolo romano. , Quando tuona nel
ventunesimo giorno, indica penuria di vino, buon provento del¬ ie altre
raccolte, e gran copia di pesci-, nel ventesimosecondo presagisce un
calore dannoso, e nel ventesimoterzo dichiara letizia, allontanamento di
mali, e fine di morti. E così nel ventesimoquarto annunzia abbondanza di
tutte le cose, e nel vente¬ simo quinto significa che vi saranno guerre,
e mali innumerevoli. Finalmente se tuonerà nel giorno vigesimo
sesto , il freddo nuocerà alle biade, nel vigesimo settimo, i primati
della repubblica avranno da temere di andare incontro a perigli per parte
dei soldati, nel vigesimottavo, sarcivvi libertà di biade, mentre
tuonando nel vigesimonono , le cose della città si troveranno in migliore
stalo, e nel trentesimo, vi saranno per breve spazio di tempo spesse
morti. E così di tulli gli altri mesi. Allafine poi dell’ultimo mese, a
pag. i 55 viene osservato, che Nigidio oiu- dico che questo Diario
tonitruale, non fosse generale, ma per la sola città di Roma. Nè ciò
parra fuori di proposito , a chiunque facciasi a riflettere che i sacerdoti
etru¬ schi, erano solili vendere a caro prezzo la loro scienza , a tutti
quelli che ambivano di farne acquisto, e singolarmente ai Romani, che
ebbero cominciamento da u na ciurma di banditi d Etruria, e ne divennero
poi gli emuli, quindi i nemici, e final¬ mente i padroni, ed
oppressori. Impararono però ben presto anche i Romani a fare la
distinzione fra i fulmini lan¬ ciati il giorno, e quelli che lo erano
nella notte-, E credevano che partissero i primi dalla mano di Giove, ed
i secondi da quella di Summanno, la qual dottrina è tutta etnisca. Dopo
questa distinzione, non tardarono molto a trarre ogni sorta di presa-
m 82- p. e. gl' Iotorti, i quali
sono quelli che tracciano cadendo una linea tortuosa, nei quali sono
prima di tutto da ammirarsi,al dire di essi, la loro natura, e la
difficol¬ tà di contemplarli ; Ed aggiungevasi dai medesimi libri, che
non lutti producono i medesimi effetti, neppure quelli che vengono
formati, secondo loro, dall' aria, e dal concorso delle nubi. E vi si
trovano più altre osservazioni di questa, e di altra spe¬ cie, che sono
pure riferite da Lidio a pag. 171, cap. 44 • Afferma anche Arduino
che i Tusci attribuivano a noveDei la facoltà di scaglia¬ re i fulmini, e
che ne distinguevano undici specie diverse j E per viepiù persuadersi che
eglino riguardavano come cosa di grande importanza la scienza dei fulmini,
leg¬ gasi anche Seneca, lib. 2.° cap. 32 , 33 , e seguenti, delle
questioni naturali, ov’ egli descrive prolissamente tutta la lor
dottrina, e tutta la loro scienza sui fulmini, ed an¬ che intorno alla
divinazione per mezzo dei medesimi-. Lo che tocca pure Cicerone nel libro
primo della divinazione. Censormo poi al capitolo xi, pag. 69 , De die
natali, loda esso pure i libri rituali degli Etruschi. I
medesimi Etruschi avevano eziandio alcune singolari opinioni per impedire
che i fulmini cadessero in certi luoghi, piuttosto che in altri. E cosi,
leggiamo nei Geo- ponìci, o scrittori delle cose rustiche, lib. 1 , cap.
16 , che sotterrando in un campo la pelle di un ippopotamo, ivi non cadrà
il fulmine-, E nel lib. 8.°, cap. xi, è soggiun¬ to , con una sentenza di
Zoroastro « affinchè nè i tuoni nè i fulmini facciano svanire i vini »
dopo di che si prosegue cosi • Il ferro sovrapposto ai coperchi dei dogli ,
e delle botti, allontana qualunque danno possano cagionare ai vini i
fulmini, e i tuoni. Osservazione la quale fa un poco ai calci colla buona
fìsica, ma ciò non monta. Co¬ si la spacciavano i Tusci ! Certuni poi vi
sovrapponevano alcuni rami di alloro , i quali dicevano essere giovevoli
in ciò, per contrarietà di natura, e qui avevano ra¬ gione . Nei suddetti
libri sacri, e rituali dei Tusci, incontratisi ancora altri nomi da ti ai
fulmini, oltre quelli già riferiti in questo ragionamento. Imperocché altri ne
chia¬ marono Fumidi, altri Candidi, altri Irruenti, ed altri Presteri,' E
ciò dicevano essi di aver istituito, perchè producono diversi effetti.
Quindi soggiungevano che gli Ardenti sono quelli che si dicono Presteri,
e quelli senza fuoco son chiamati Tifoni, laddove i più languidi son
detti Enifie. Diconsi poi Egide quelli che noi diremmo Prefratti, o rotti
prima, i quali sono portati da un igneo globo • Donde avviene che V
etnisca tradizione, mette le Egide intorno a Giove, quasi insinuando che l’aria
è la causa cosi della procella, come del fulmine, e della concussione del
tuono . Quando il fulmine romoreggiava fra il giorno, e la notte,
solevano chiamarlo i Romani fulmen prevorsum , e dietro gl’insegnamenti
degli Etruschi attribuivanlo a Giove, ed a Summanno. Gli Scandinavi, ed i
Celti, abitanti delle parli settentrionali d’Europa',credevano che i
rimbombi dei tuoni fossero cagionati dai colpi di clava, coi 1 È
cosa degna di osservazione il vedere che gli Scandinavi, ed altri popoli
del Setten¬ trione facessero essi pure uno studio par ¬
ticolare sui fulmini , sui baleni, e sui tuoni , e che avessero formato
di ciò una scienza come gli antichi Etruschi, giacche rAnnua-
8i ni, alle quali l'aveva
ridotta il sistema del politeismo. Elleno avevano per attributo il
fulmine, sotto il primo rapporto, ed è ciò che si ritrova presso tutte le
nazioni an¬ tiche. I libri degli Etruschi contenevano secondo Pliniolib.
2.° cap. 52 , nove Divi¬ nità che lanciavano i fulmini -,fEd attribuivano
a Marte quelli che producevano de¬ gl' incendii. Eravi a
Milon in Egitto, un tempio dedicato a Nettuno fulminante, per testi¬
monianza di Ateneo, lib. 8.° E Sidonio Apollinare chiama lo stesso Nettuno
Giove Tridentifero, in questi versi, Sacra Tridentiferi lovis
hic armenta profundo Pharnacis immergi! genitor,- Mentre
Stazio nel primo libro dell' Achilleide, lo chiama ii secondo Giove.
Apollo veniva spesso rappresentato, secondo il Golzio, colle ale ed il
fulmine j. E si vede su molte medaglie romane colla testa coronata di
lauro, ed il fulmine in mano. Sofocle nell’Edipo Tiranno, v. 47 J, e
Plinio, lib. x, cap. 2. 0 , parlano pure di Marte fulminante, come si
vede su diversi monumenti antichi. Vulcano lanciava aneli’esso il
fulmine, secondo Virgilio, e Nonno nelle Dioni¬ siache, ed alcune
medaglie dell isola di Samo, lo rappresentano cosi. Vedesi poi il Dio
Pane col fulmine, su due piccole figure romane in bronzo, e ne parla
Ateneo nell ’undecitno libro dei Dipnosofisti. Cibele si vede
spesso rappresentata col fulmine, e lo portavano pure Minerva, e Giunone
,• E quest’ultima era collocata a Cartagine sopra un lione, tenendo il
fulmi¬ ne sulla destra, e lo scettro sulla sinistra-, Mentre della prima
dice Virgilio : Ipsa lovis rapidum jaculata e nubibiis ignem.
Finalmente lanciava il fulmine lo stesso Amore -, E questo Amore
Kspmvofofos, cioè laudante il fulmine, era scolpito sullo scudo di
Alcibiade, secondo l’Epigramma 228 dell’Antologia greca .
Molti poi sono i generi degli stessi fulmini. Insegnavano i Tusci, e lo
riferisce anche Plinio, che quelli i quali vengono asciutti, non ardono,
ma disperdono, e che gli umili non bruciano mainfoscano.Quindi ne
annoveravano un terzo genere,chiama¬ to chiaro', i quali sono di una
natura veramente mirabile, imperocché asciugano , p. e. le botti, piene
di vino o di altro liquido, lasciandole intatte , e non iscorgendovisi
alcun vestigio per ove le abbiano vuotate . Di più, l’oro, l'argento, ed il
bronzo, ven¬ gono da tali fulmini liquefatti entro gli scrigni o nei
sacchetti, ove suino riposti, senza arderli in verun modo, e neppure
abbronzargli, ed anche senza guastare il si¬ gillo di cera col quale
siano stati chiusi. Si racconta che Marcia principessa roma¬ na fu
colpita da uno di questi fulmini, essendo gravida, il quale uccise il feto
che ella portava, ed essa poi sopravvisse senza verun altro incommodo ; E
narrasi anco¬ ra nel prodigi Catilinarii del Municipio Pompeiano,che
Marco Erennio Decurione fu percosso da un fulmine in giorno perfettamente
sereno. Oltre questi generi di fulmini, ì libri dei Tusci ne
contenevano ancora altri, come, Etr. Mai. Chius. Tom. I. 12
84 trar nel cielo: opinioni uscite tutte quante dalle
dipinture allegoriche delle antiche rivoluzioni del nostro globo.
I Brasiliani, ad ogni scoppio di tuono, riguardano tremando il cielo, e
sospiran¬ do ; E credono che sia il loro Agnian, o lo spirito maligno,
che minacci di percuoter¬ li. Almeno cosi ci assicura il viaggìator
Cereal. In Circassia, i piartele tuona, escono gli abitanti dai villaggi,
e dalla città, e tutta la gioventù si mette, al dire di Taver- nier nei
suoi viaggi, a ballare, e cantare in presenza dei vecchi. Le quali
danze, e le quali cantilene, se non furono funebri, o guerriere nel loro
principio, bisogna dire che la gioia di quei popoli sia fondata sull' idea che
il tuono sia di un felice presagio. Idea conforme ancor questa a quella
dei Persi, e di un gran numero di popoli antichi, ì quali credevano che
il fulmine rendesse sacro tuttocio che toccava-, E ciò perchè presso i
Magi era il fuoco temblèma della Divinità, conforme si può vedere eruditamente
provato dal Signor La [fide, nell opera da lui composta sulla
religione dei Persiani, cap. primo. Presso i sunnominati Circassi,
un uomo ucciso dal fulmine è giudicato avere ri¬ cevuto da Dio un gran
favore : E se il fulmine stesso è semplicemente caduto sulla sua casa,
egli e tutta la sua famiglia sono nutriti per un anno a spese del pubblico
. Era opinione degli antichi idolatri, che Giove punisse, non già
con volgari ga- stighi, ma bensì fulminandoli, tutti gli spergiuri. E
però si legge in Aristofane, nh. w Si i z* tw-wtmSt ~ h cioè « Imperocché
Giove scaglia questo fulmine vera¬ mente mirabile, contro gli spergiuri .
Ad onta però di queste popolari credenze, non mancavano tuttavìa di
quelli, che le schernivano, e se ne ridevano di tutti i volgari ti¬ mori
. Difatti Luciano, nel Timone, riprendendo timprudenza di alcuni uomini,
che spergiuravano in dispregio dei Numi, subindicò il timore del fulmine
dìcen o che que sta specie di mortali , temono più una lucerna spenta ,
che la caduta di uri fulmine , e di esserne colpiti. s™» w »
«cuy»:. ™ ™ ^ 5 T0= «fawoo vale a dire: pertanto alcuni di quelli
che spergiurano, temerebbe piuttosto una lucerna spenta, che
Infiamma di quel fulmine domatore di tutte le cose. I Romani , che
al dire di Cicerone, presero auspicia et sacra ab Ltruscis, e secon¬ do
Valerio Massimo derivarono tutti i semi della religione dall Etruria, e noi
ag¬ giungeremo francamente, anche ogni demento di civiltà , fecero
passare un gran numero di etruschi Numi a Roma . Quindi provano con buone
ragioni, ed autorità . il Dempstero, ed il Gori, che erano presso che
infinite le divinità adorate dai nostri maggiori, e che la più gran parte
presero domicilio in Roma. Laonde chiameremo temerarie, e stolte le
critiche mosse da alcuni Archeologi più moderni, contro quei te
alla prima percossa che hanno dal fulmime, non dispiacerà ai nasini lettori il
vedere mes¬ cle nessuno animale è arso , o acceso dal te qui a confronto
le supersituom tomtrual, r7 . > . ... P f u l vararle desìi
Scandinavi, ed altri setten- fulmine , se non e morto, e simili.
ejiu 0 uiun 5 t ■ j ] , . t j’ /-.p trionali con Quelle desìi
cinlichi Etruschi sui' Lasciando ora da parte quanto siano tali os•
inori un / & servazioni consentanee alla buona fìsica , 1 °
stesso proposito» 83
quali il loro Dio Thor percuoteva ì Giganti. Il qual linguaggio è lo
stesso che quel¬ lo dei moderni Persiani, i quali credono che le stelle
cadenti siano colpi di fulmini, che gli Angioli scagliano nelle altre
regioni, contro i Demoni, che si forzano di rieri- rio tonitruale
di quelli , ha molta somiglian¬ za col Diario fulgorale, e tonitruale di
questi. Si legge infatti in Olao Magno, lib■ i, cap. 3i della
sua storia delle genti, e della natura delle cose settentriouali , cne i
tuoni di gennaio significano che i venti soffieranno con mag¬ gior
gagliardia del solito, e che sorgeran¬ no le biade più dritte , e grandi.
Quelli di febbraio annunziano una grande mortalità e singolarmente
di quelli che vivono nella delizia. E quelli di Marzo indicano
gagliar¬ di venti , e che vi dev’essere gran fertilità in quell
anno , e straordinario strepito nei giudizii . Indicano i
tuoni di aprile che cadrà una piog¬ gia conveniente elle biade 9 e che la
campa¬ gna sara abbondante in tutto il corso del¬ l'anno, mentre
quelli di maggio significano tutto il contrario, cioè, penuria di
biade, ed una formidabile carestia di tutte le co¬ se. Presagiscono
poi quelli di giugno una piu abbondante fertilità, benché predi
cono al tempo stesso infermità spaventevoli. 1 tuoni di
luglio annunziano abbondanza di frumenti , ma distruzione di legumi 9 e
di frutti . Predicono quelli di agosto che gli uomini converseranno
pacificamente fra to¬ ro 9 ma vi saranno malattie pericolose 9 E
quelli di settembre denotano fertilità in quel- Ialino , nel quale però
sovrastano guerra, sedizioni , e morti . 1 tuoni di ottobre
sono qualificati coll’epiteto di portentosi, perche indicano grandi
tem peste in mare , ed in terra ; quelli di novem¬ bre, benché
raramente tuona in tal mese , promettono fertilità nell'anno seguente.
E quelli finalmente di dicembre significano ab¬ bondanza di tutte
le cose , ed una giocon¬ da conversazione degli uomini fra loro .
Altre osservazioni dei settentrionali sui ful¬ mini , sui lampi, e
sui tuoni portano quanto segue. Quando nell’estate per esempio,
tuona più che non lampeggia, significa dover sof¬ fiar venti
da quella parte, e per lo contra¬ rio se balena più che non tuona, deve
cader molta pioggia. Quando lampeggia essendo il cielo sereno
, vuol dire che vi saranno pioggie , e tuoni 9 e farà un tempo da
inverno E tali co¬ se poi saranno gravissime, ed atrocissime quando
questi lampi , e questi tuoni verranno da tutte le parti del cielo. Ma se
balenerà soltanto dalla parte ciV Aquilone indicherà pioggia nel
giorno seguente j E se i lampi verranno dal punto preciso del
Settentrio¬ ne 9 soffieranno venti. Lampeggiando dalla, parte di
Austro , di Coro 9 o f avonio , es¬ sendo serena la notte , significherà
che de¬ vono venir pioggie, e venti da quelle mede¬ sime
parti. Dicevano ancora i settentrionali, che i tuoni che
scoppiano la mattina di buonora annunziano venti e quelli che si sentono
nel mezzogiorno predicono una grossa pioggia . Aggiunge¬ vano poi
essere imjjortantissimo il sapere da qua! parte vengono i fulmini , e
dove si dirigono. Imperocché sono crudelissimi quel¬ li che
partendosi dal settentrione vanno ver¬ so l Occaso , e sono di ottima
natura quan¬ do ritornano finalmente a quelle parti dalle quali
sono venuti , perche quando vengono da quella parte del cielo
d’ond’ebbero ori¬ gine, e poi ritornano alla medesima, presa¬
giscono allora una somma felicità da quel¬ la parte di mondo 9 rimanendo
però infelici tutte le altre . E finalmente altre curiose
osservazioni aggiun¬ gevano intorno a quest’articolo , come, che la
notte piu che il giorno lampeggia senza tuo¬ ni , che la natura ha dato
il privilegio al- l’ uomo di essere rare volle ucciso dal ful¬
mine, e che se questo accade talvolta , è as¬ sai più conveniente, e
pietoso ufficio il sot¬ terrare quel morto , che il bruciarlo . Che
te ferite dei fulmini sono più fredde che tutte le altre, che le
bestie moiono istantaneamen- 86
parla Cicerone nel primo della divinazione-, nè fa diuopo osservare il
diverso inalzar¬ si della fiamma, o lo scrosciar della medesima, nè lo
scoppiettar dell incenso, delle quali cose scrisse, secondo Stazio, un
tal Tiresia, famosissimo augure etrusco. J\è occorre tampoco far
menzione, per esaltare Tetnisca sapienza, di ciò che osserva fra gli
altri Seneca , Uh. n, cap. 4 1 delle quistioni naturali , circa l avere i
medesimi fatta anche la distinzione tra i fulmini prodotti nelle nubi, é
nell'aria, d onde scende¬ vano in terra, e quelli che prodotti nella
terra slanciavansi in alto, e verso le nubi medesime, giacché queste, e
molte altre simili cose trovansi narrate, e raccolte da vari
autori. Ma non sono però da passarsi sotto silenzio alcune memorie
di Plinio, Ub, n, cap. 3 .°, ove narra distesamente in due capitoli, le
opinioni degli Etruschi, appog¬ giate ad una ragionevole fiolosofia,
circa lessenza, o la natura, e circa le diverse specie di fulmini da essi
distinte. Conferma ivi quel sapientissimo scrittore ciò che abbiamo qui
sopra accennato, che vengono cioè i fulmini, tanto dalle nubi, quanto
dalla terra, ed assicura aneli esso, che trovavansi negli scritti etruschi,
nove, o più probabilmente undici specie di fulmini, delle quali ì Romani
loro figli, e discepoli, non ne avevano osservate, e mantenute che due.
Il che viene a confermare sempre piu il detto di Cicerone, che quei
superbi conquistatori, ed oppressori del mondo, ebbero dagli Etruschi non
solamente lorigine, ed i riti religiosi, tutti quanti ne usarono mai, ma
eziandio la civiltà. Egli osserva pertanto particolarmente, la
diversa natura, e diversi singolarissimi effetti dei fulmini, che dal
cielo provengono, e di quelli che dalla terra sono prodotti-, ed avverte
ad un tempo, che queste osservazioni furono trasportate, e trascritte
negli annali romani, aggiungendo inoltre che vi erano pure le maniere ed
i riti per chiama¬ re i fulmini, ed impetrarli dal cielo, come fece forse
Porsernia, che con un fulmine così ottenuto , ed accompagnato da un
mostro chiamato Volta, devastò, come dicono, le campagne dei Volsinii. Ei
dice di più, che in questa scienza era dottissimo Nu- ma Pompilio, e che
avendolo poco bene imitato Tulio Ostilio , fu arso da un fulmi¬ ne-, E
che per questo fra i diversi nomi che per l'etnisca disciplina furono dati a
Gio¬ ve, di Statore, di Tonante , Feretrio, e simili, s'incontra pure
quello di Elido, o Evocatore. E finalmente che si prevedono in tal guisa
le cose future, benché sia te¬ merità il credere, che si possa comandare
alla natura, o sforzarla . Il medesimo autore osserva poi, come il
baleno sia piu veloce del fulmine , e del tuono , e come perciò il
fulmine stesso debbasi prima vedere, che udire. Circa le qiiali
osservazioni di Plinio intorno alla scienza tonitruale, e fuigurari a
degli Etruschi, vi sarebbero da fare molte fisiche riflessioni, se l indole
dell opera per la quale sono scritti questi ragionamenti, lo
comportasse. E sul proposito di questa scienza etrusca, nella quale
dice il sullodato Plinio essere stato peritissimo il re ISuma, ascoltisi
anche Ino Livio, lib.t, il quale lo chiama non solamente dotto nelle arti
peregrine, ma eziandio nella tetrica , e trista
85 due dottissimi scrittori ; Colle
quali critiche pretendono di negare, che per esem¬ pio , un tal Nume, non
abbia potuto aver culto in Etruria, perchè si cede adorato net Lazio, ed
m Roma ,; Avvegnaché dovrebbe piuttosto aver luogo la congettura contra¬
ria, come saviamente rifletteva il sapientissimo Guarnacci .
Imperocché, dovrebbe dedursi che se una tale divinità si vede adorata in
Roma e nel Lazio, è ben ragionevole il credere, che abbia prima avuto
culto in Etruria- quando si voglia riflettere, che una colonia etrusca
erano i Latini, e che lo stesso fondatore dell Eterna Città, coi suoi
primi abitanti, non furono altro come anche altrove accennammo, che una
banda di fuorusciti Etruschi. c he se poi igrecomani,
sottilizzando, ed ostinandosi ognora più a volere irrefra¬ gabili prove,
e quasi ancora la fede di battesimo, come diceva il prelodato Guarnac-
ci, che un tale idolo, od un tal monumento qualunque, sia veramente etrusco , e
non greco, nè romano ; Oltre che si può risponder loro che queste prove
intrinseche , non le hanno d’ordinario neppure le cose veramente greche,
e romane, e che l'anti¬ quaria iti genere si aggira sulle asserzioni
degli antichi autori, i quali ci hanno la¬ sciato scritto, dove i vani
Numi, e i diversi riti abbiano avuto l’originario loro culto-, Si può ad
essi aggiungere ancora che ve una probabilità, la quale confina colla
cer¬ tezza, che dove un si gran numero d’idoli, di vasi ed altri
monumenti di ogni manie¬ ra, sono stati trovati, siano stati pur
lavorati. Ed essendo imedesimi stati dissotter¬ rati negli scavi
etruschi, ed indicando una grandissima antichità, e mollo superiore alla
civiltà greca, e romana , è irragionevole , ed assurdo il credere, che i soli
Gre¬ ci , e Romani li abbiano dappertutto disseminati. Ed
anche a ciò che dice il chiarissimo signor Vermigliali, il qlude pretende
( . E roga ime di Admeto e di Alceste) che i monumenti italici più sono
antichi, e più grecizzino, ed al contrario latineggino maggiormente,
quanto più si avvicinano all epoca del dominio romano in Etruria, come
pure che gl’itali antichi spesso aspi- cassero, si può rispondere cosa
che sarà di scandalo agli Archeologi pedanti i quali non sanno, o non
vogliono trarsi fuori della traccia segnata dai loro prede¬ cessori
abbiano essi fatto bene , o male. Ed è questa : ,o,m , ere l e
osservazioni del sullodato filologo perugino, perchè la lingua greca è
figlia della vetustissima etnisca in quanto alle sue radicali, benché ne
differisca grandemente nelle infles- Stoni, édi Greci sono scolari degli antichi
Etruschi, ossiano Pelasghi Tirreni, in¬ digeni d Italia, i quali andarono
in remotissima età a colonizzare , e popolare la Tra¬ cia eia Grecia,
come m altro ragionamento accennammo . In quanto poi alle aspira¬ zioni
degl Itali antichi, procedono queste dall’orientalismo, che ridonda in ogni
dove in Italia, e che vi fu introdotto in tempi da noi oltremodo lontani
da una colonia orientale, coi primi elementi della civiltà, come pure
asserimmo nel quarto di ave Sti ragionamenti medesimi. " e ~
Ma torniamo ai fulmini ed ai tuoni. Non occorre citar qui i libri fatali
degli Etruschi , ricordati da Tito Livio, hi. V, nè i fulgorali, e gli
aruspici, dei quali j3 Etr. Mus . Chius. Tom. J,
88 TAVOLA LXXXV. Chi mai
oserebbe di qualificare l’avvenimento qui espresso, non vedendovisi che
due militari pronti alle difese e alle offese, senza ravvisarvi ne 1 inimico,
ne ogget¬ to veruno che sia motivo di questa loro disposizione al
combattimento? Ma siccome questa pittura è nel mezzo d’una tazza, intorno
alla quale sono altre figure giallastre, come questa, in fondo nero, così
tenteremo di trarre da quellequalche argomento a cognizione di
questa. TAVOLA LXXXVI. Un corpo esanime steso al suolo,
presso cui stanno alcuni combattenti che ne scacciano altri in costume
diverso, mi richiama alla mente l’avvenimento del corpo di Patroclo,
contrastato fra i Greci e i Troiani,e finalmente ottenuto da quelli
coll’espul¬ sione di questi '.Non vi sono caratteristiche assolutamente
variate tra combattenti e combattenti, a dichiarar Greci gli uni, e
Troiani gli altri,ma pure la totale nudità dei primi li fa credere
eroi,che la Grecia rappresentar suole in tal guisa 2 ;mentre gli altri
tre hanno in testa un berretto: uso asiatico e particolarmente dei Frigi
3 .Hanno essi pure nella clamide che indossano un segno d'abbigliamento,
che raramente onon mai tra¬ scurasi nelle figure asiatiche, per quanto io
abbia nei monumenti antichi osservato. L'uomo steso al suolo qual corpo
morto, è altresì nudo del tutto, e inconseguenza spettante ai Greci, cqme
difatti era Patroclo il caro amico di Achille, che fu ucciso in guerra da
Ettore, secondo Omero l . Probabilmente anche i due guerrieri dipinti nel
mezzo della patera, e che vedemmo nella tavola antecedente,son due Greci alla
custo¬ dia e difesa del corpo di Patroclo, ch'è dipinto nel fregio della
tazza medesima. Infatti essi vedonsi armati,ma nudi,giusta il costume
greco eroico,siccome dicemmo. Qui le figure son ridotte un terzo più
piccole di quelle che vedonsi nella tazza originale,ove sono di color
giallastro in fondo nero. TAVOLA LXXXV 1 I. Qualora mi
si conceda esser probabile la interpetrazione dell’antecedente rappre¬
sentanza della morte di Patroclo, e del contrasto tra i Greci e i Troiani, per
ottenerne il cadavere, non mi sarà negata fiducia nella supposizione
eh'io son per proporre, che in questa pittura, la qual fa seguito
all’antecedente, vi siano espressi gli o- nori funebri che furon resi
dall’amico Achille a quell’estinto eroe, e particolar- i Galleria
oraer. Iliade, Voi. 11 , Tavole cxcix , 3 loghirami, MoDum. etr. ser. 11 , p.
45°- cc, cci, ccn. 4 Lib. xxn, v. 34 - a Plot., Vii.
Alexand. I? disciplina de vecchi Sabini ( che erano Etruschi
), di che non vi è stata mai veruna cosa piu incorrotta, e veneranda. E
dicendo che lo stesso Numa era dotto anche nei liti peregrini, si deve
intender qui di quelli di Samotracia, che erano i idrici , e tri- sti dei
Pelasghi, Tirreni, Etruschi ancor essi, come altrove dicemmo , e lo
abbiamo ripetuto pocanzi; E che i Romani riguardavano come peregrini,
perchè tali erano divenuti per loro, essendo in tempi da essi lontani,
passati dagli Etruschi ai Samotraci . La scienza dei quali
riti possedè Porsenna, e molto prima di lui anche Dardano, il quale
portossi in Samotracia pel solo oggetto di conferire con quei sacerdoti, e
per introdurre poi in Troia una religione del tutto ponforme a quella dei
suoi antenati, che era l Etnisca. E si noti, che il medesimo Tito Livio,
e tutti gli antichi scrittori ci fanno sapere che il più volte nominalo
Numa Pompilio fu religiosissimo, e propa¬ gatore in Roma di ogni pia
istituzione ; Ove non altro ei propagò certamente, che riti
etruschi. Ed ecco una erudita chiacchierata sulla scienza
tonitruale, e fulguraria degli Etruschi. La quale potrebbesi ancora
condurre più a lungo, ed arricchire di più al¬ tre peregrine notizie su
questa recondita disciplina, se non fosse il già detto più che abbastanza
pel nostro scopo. Ma come e quando mai, e per quale sovrumana poten¬ za ,
andarono a mancare queste, e tante altre superstizioni, stabilite , ed
inveterate nel mondo, radicatissime nei cuori degli uomini, e venerate, e
temute in tutte le re¬ gioni della terra aliar conosciute? In qual modo cessarono
i terrori e la paura, onde avevano saputo gli antichi sacerdoti, di
concerto sempre cui Despoti, invadere gli spiriti dei mortali, tenuti
ognora da essi, a bello studio nella cecità, nel timore e nel¬ la più
profonda ignoranza con mille misteriose ambagi, e con mille disperate
minac¬ ce? Scomparvero tutte queste tenebre, e caddero tutti questi
arcani e portentosi ordi¬ gni, al comparire della luce Evangelica. Al
comparire di quella legge, t unica fra quante ne vide l'universo, che
introducesse la vera libertà, e la vera eguaglianza fra gli uomini. Al
comparire di quella legge in somma, che mette, davanti a Dio, a livello
del più temuto tiranno, e del più potente monarca, anche il più infimo
del popolo . In urna di marmo LI. : flnoai
; qflj LII. • . • J3 : M : 43 un. fm
\iflj : miai : janavi : armo LIV. . • : iaruv/Hflm ;
f\nn o Nell’orlo d’un vaso cinerario di terra cotta
LV, mtvfl Jtiat v/rji 9° TAVOLA XC.
È questo idoletto in piccolo, quello che dissi esser l'altro,
rappresentato più in grande, e con alquanta varietà nelle Tavole XLIX, e
LXVII di questa raccol¬ ta, essendo il presente di grandezza simile al
suo originale. Ma la di lui picco¬ lezza, e 1 non esser vuoto, non
permette che si riconosca per un cinerario, sic¬ ché fu tenuto soltanto
pel nume che riceve, abbraccia e protegge gli estinti, che nati dalla
materia terrestre tornano dopo la morte in seno alla terra, o per meglio
dire alla natura mondiale, della quale Bacco era il nume tutelare. E poiché
mi si dice che piu d uno di tali idoletti si trovarono in uno stesso
sepolcro, da ciò argomento che speciale fu nel sepolto la venerazione pel
nume da questa im¬ magine rappresentato. Al numero 2 si vede
un fregio in bassorilievo che ricorre in giro in un va¬ so dei consueti
chiusini di terra nera, e non v’è differenza in misura tra l’ori¬ ginale
e la copia. Il significato mi sembra lo stesso dei precedenti lavori di
si- mil genere. Vedo ancor qui come altrove la Chimera, e credo che l’oggetto
so¬ stenuto in mano dagli uomini sia, come nei calendari egiziani, lo
Scorpione si¬ dereo. Aoterò di passaggio a tal proposito che il famoso
torso egiziano in ba¬ salto, che un tempo fu del card. Borgia, pubblicato
dal eh. Lenoir alla Tavola VI del forno [, num. g si vede come qui una
figura con Io Scorpione tenu¬ to per la coda, e dietro a se v’è parimente
il leone con la coda che termina in un serpe, e con la Capra sul dorso,
nè spiegasi differentemente che pei segni delle celesti costellazioni. Si
vuol peraltro che nella Capra sopra del Leone si ravvisi il trionfo del
Capricorno sopra il Leone, e probabilmente i due serpen¬ ti che nel
nostro bassorilievo si manifestano, saranno quei che dominano il cie¬ lo
nel tempo dell'indicato trionfo. A tal proposito, gli astronomi osservano,
che mentre il Capricorno comparisce al nostro Zenith, la Vergine si
mostra sotto il segno dello Scorpione , o del domicilio di Marte 3 : e
difatti sì nel monumento chiusino, che nell'egiziano comparisce una figura
che ha in mano uno scorpio¬ ne, se non che nell'egiziano si mostra
femminile quella figura, che qui per la sua nudità, par eh esser debba
maschile, ma ciò non si manifesta con sufficiente chia¬ rezza. Che i
cavalli abbian luogo in simile rappresentanza relativamente ai Ca¬ valli
siderei, già me n espressi altrove abbastanza,, ove mostrai principalmente
es¬ sere il cavallo sidereo un paranatellone del levare eliaco dello
Scorpione J . 3 Lettere di etnisca erudizione . Tom. i, pag.
i85. 1 Lenoir, Nouvelle explic. des hieroglyphes a ivi.
Tom.i, p. io4- % mente il giuoco del pugilato col cesto, che
Omero 1 * pone il secondo tra gli spettacoli dati in onore di Patroclo
nel di lui funerale 3 4 . Nei vasi, che negli annali dell’istituto di corrispondenza
archeologica si dicono panatenaici, vedonsi a lato dei combattenti, col
cesto come qui, degli uomini coperti d'un manto con braccio scoperto, e
dall'in- terpetre attamente chiamati rabdofori 3 , i quali assistendo a
quel giuoco hanno in mano una verga biforcata, similissima a questa dei
presenti i . Le due ultime nude figure una soccombente all’altra
prevalente, ancorché senza cesti alle mani, mo¬ strano che i pittori
aggiungevan talvolta delle figure e dei gruppi a capriccio, ad oggetto d'empir
lo spazio che doveasi dipingere. Se però consultiamo i più mo¬ derni
sentimenti degli archeologi, troveremo-ammessa pure l’ipotesi, che una
fi¬ gura umana stesa per terra presso alcuni combattenti, ascrivere si
debba, unica¬ mente ad alcuno dei contrasti gimnici, senza ricorrere al
particolare avvenimen¬ to di Patroclo per isvilupparne il significato 5
. TAVOLA LXXXVIII. Un sacerdote di Bacco ed una Menade
con dei vasi libatori formano il sog¬ getto di questa pittura, e son
frequentissimi quanto altri mai nei vasi fittili di¬ pinti , onde potremo
giustamente ripetere col Lanzi che di cento vasi tornati a luce, novanta
contengono soggetti bacchici. È singolare il tirso eh’ entrambe le figure
sostengono, mentre ha un'armilla che nei tirsi non è comune, ma nem¬ meno
del tutto insolita, senza che per altro s’intenda qual n'era l'oggetto.
TAVOLA LXXXIX. Nell’oscurità di questo soggetto non altro
saprei ravvisarvi che il celebre gre¬ co Capaneo estinto sotto le mura di
Tebe. Altrove pure narrai come questi van- tavasi che avrebbe presa Tebe,
volesse Giove o non volesse, ma provocati gli Dei con tali bestemmie, ne
accadde che mentre il primo dava la scalata, Giove non lasciò compier
l’impresa, e con un fulmine Io precipitò dalla scala e lo uccise 6 . Or
io noto che qui si vede una scala squarciata dal fulmine, un uomo
rovescia¬ to che dall’alto cade a terra, e dietro a lui le mura forse di
Tebe, dove stanno alla guardia militari tebani. Le altre figure si
possono intendere pel restante del¬ l’esercito, eh’è spaventato, e
stramazzato a terra per lo spavento del fulmine. L'urna in marmo è cinque
volte maggiore di questo disegno. i Iliad. lib. xx.111,11. 65
a. a Galleria omerica Iliade Tom. u, p. 18*. 3 Voi. n,
p. 218. 4 Ivi, lav. xxi, io, 6. xxu, 8. 6. 5 Gerhard,
Annali dell’istituto di corrispondenza ardi. Tom. in. p. 54 Anno 18 3 i
- 6 Monumenti etr. ser. i, Tav. tav. lxxxvil. #
mv XLIV, e altrove, mentre altri sono come il
presente eseguiti in forma di vasi con capricciosi ornamenti, rivestiti
per lo piu da fogliami, e con iscrizioni latine, come pur qui si legge,
indicando il nome di Lucio Aulo Carino. Io stesso nel¬ la mia dimora in
Chiusi vidi molti monumenti e rottami di essi, di stile greco e romano e bellissimi.
TAVOLA XCV. Nell’interno d’ una tazza di terra verniciata in
nero, si vedono queste due figure di color giallastro; e sono, per quanto
mi sembra, d'uno .stile perfet¬ tamente simile a gran parte di quelle pitture
monocromate dei vasi italo-greci. Vi si rappresenta un suonatore con
cetra e plettro , in atto di attendere dalla Vittoria il premio del suo
valore, e credo che ciò alluda ai pregi morali dell’ani- ma, che negli
estinti son premiati nella vita futura; e perciò soggetti simili ed
analoghi a questo si trovano frequentemente dipinti nei monumenti che
pone- vansi nei sepolcri, ma ora corrono altre opinioni.
TAVOLA XCVI. Se aver vogliamo un esatto conto d’ogni figura
eh’è in quest’ urna di mar¬ ino, il cui disegno qui è un ottava parte del
suo originale, non saprei se potes¬ simo riescirvi con plausibile
disimpegno. Ma se consideriamo che gli artisti ob¬ bligati a trattare
nelle opere loro un qualche mitologico soggetto, eran poi costret¬ ti ad
ornarne tutto lo spazio del marmo che formava il primario lato dell’urna
sepolcrale, ancorché il soggetto da loro scelto non richiedesse tante figure,
quante ne occorrevano ad ornare lo spazio determinato, noi troveremo
irreprensibile lo artista che abbonda in figure, ancorché non richieste
dal soggetto che tratta, co¬ me ne somministra un esempio assai chiaro il
bassorilievo di questa Tavola. Io vi ravviso Ulisse in atto di adoprare
il suo arco, il qual potea dalle sole sue ma¬ ni esser teso, ed uccide i
proci di sua moglie Penelope, i quali dilapidavano le di lui sostanze.
Egli ha un berretto appuntato, eh’ è la consueta causia che lo di¬
stingue come famoso viaggiatore del mare ’. Sta con un ginocchio sull’ara,
mostran¬ dosi protetto dai numi 3 nella difficile impresa d’esterminare
egli solo coll'aiu¬ to del figlio Telemaco i tanti suoi nemici. La
colonnetta sulla quale solevansi tener degli idoli domestici, mostra
ch’egli è già penetrato nell'interno della sua casa, mentre le colonne
doriche vedute nella parte opposta danno indizio che lo avvenimento
accade nella sua reggia. La forza ch’egli mostra di fare col braccio
destro per tendere un arco, fa ben ravvisare ch’ei solo poteva piegarlo a
forza. i Inghirami, Monum. etr. ser. 1Ì1, p. 19. %
Ved. p. 6i, e sq. e Monum. etr. ser. 1, p. 353 . 9 *
W' TAVOLA XCI. Qui si mostra nuovamente un ago, o
spillo crinale in oro di un lavoro de¬ licatissimo, considerando che nel
suo capo segnato num. 1, della misura stessa di questo disegno, vi è il
lavoro che portato in grande, si vede al min. 2 , il cui ornato è di
semplice bizzarrìa. Il monumento di numero 3 si rende assai singolare,
per essere una di quelle solite fermezze che in luogo d esser di bron¬
zo, come se ne trovano a centinaia, è doro, e rarissima. Si è creduto da taluno
che queste fermezze servissero a chiudere il cadavere nel lenzuolo d
amianto dove bruciavasi, ed in tal guisa è stata trovata ragionevole
l'indifferenza che tali fer¬ mezze siano in maggiore o minor numero in un
sepolcro; e se questo è, noi reputeremo più che altri opulente il morto
presso al quale è stata trovata questa fer¬ mezza d’oro. Il numero 4 è
similmente d’oro, e credesi frammento d'una collana . TAVOLA
XCII. II pregio di questo monumento consistendo principalmente
nella iscrizione dalla quale è circondato, così attenderemo di conoscerne
1 interpetrazione per ope¬ ra del cultissimo Vermiglioli che unitamente
alle altre del Museo chiusino, ce le pie- para per darcele tutte di
seguito in quest’ opera stessa. TAVOLA XCII 1 . I
Centauri, che nel calendario del gentilesimo, servirono a notare il tempo
d’autunno, in cui celebravasi coi misteri la commemorazione dei morti -,
hanno servito altresì d'ornamento adattato alle lor cassette cinerarie,
come qui si ve¬ de, figurandovi uno di tali mostri che avendo rapita una
delle donne invitate alle nozze d’Ippodamia la difende dai Lapiti, che
vogliono rivendicarla . TAVOLA XCIV. II disegno del
vaso che qui presentasi la metà più piccolo del suo originale in marmo
statuario,ci fa sicuri che in Chiusi, dove stato trovato, fiorirono due
scuole assai diverse di scultura; funa etnisca, 1 altra romana, giacche si
trovano recipienti eseguiti per l’uso medesimo di riporre ceneri di umani
cadaveri, gli uni in forma quadrangolare a modo di cassetta, con
bassirilievi di figure e con etiu- sche iscrizioni, come ne abbiamo fatti
vedere in quest opera alle Tavole XIII, 1 Inghiraroi, Mommi, etr
aer. i, p. 1 47» ^44- 9 94
TAVOLA XCIX. Sa mai v’ha luogo all’interpetrazione di queste due
statuette di bronzo num, i e 2, i cui disegni sono grandi quanto i loro
originali, potrei avventurare che 1 una di a. i fosse d’Apollo laureato
in fronte e con tazza in mano, comesi vede altrove nei vasi dipinti
'ri’altra n. 2. diMercurio conpetasoin testa,sostenendo con la sinistra
ma¬ no una sacca o borsa ,ch’è propria di questo nume, come tutelare del
commercio a . La corniola che qui mostriamo al num. 3 , ci fa
istruiti quanto dagli antichi fosse apprezzato il gruppo delle tre Grazie,
che vediamo ripetuto in un modo medesimo in tanti luoghi e in tanti tempi
diversi. La dimensione della pietra è misurata dall'ellisse num. 4-
TAVOLA C. Fu posto in ridicolo il Gori celebre antiquario di
cose etrusche, perchè fat¬ ti disegnare una quantità d’idoletti in bronzo
che si conservano nella R- Galle¬ ria di Firenze i * 3 , pretese dare a
tutti loro un nome speciale , formandone una serie di etrusche divinità
senza rammentarsi che soggiogati gli Etruschi, signo¬ reggiarono i Romani
in questo nostro paese, ove introdussero colle lor colonie artisti e
culti sacri tutti lor propri. Perch' io vada esente da simil taccia non
mi costringa l'osservatore a dare un nome all’idoletto di bronzo che i
sig." edi¬ tori del Museo chiusino han posto al num. ì, 2 della
Tavola C, che nel dise¬ gno trasmessomi per la incisione trovo notato
esser della grandezza medesima dell'originale come pure l’altro di num. 3
. È grave danno per la scienza antiquaria che dai collettori di antichi
monu¬ menti non facciasi caso nessuno della maniera come questi si
trovano sotterrati, dal che non pochi lumi trar si potrebbero per la
storia dell’arte, non men che dei riti sacri presso gli antichi. N’è
prova la figura che trovo disegnata al num. 3 di questa Tav., mentre si
scorge di un arcaico stile ben diverso da quello che spet¬ ta alla figura
superiore . Or se questi idoletti furon sepolti promiscuamente fra loro
in un sepolcro medesimo, potremo frale supposizioni lecite ammettere che
la figura di num. 3 sia eseguita ad imitazione dell’ antico stile , e
contempora¬ neamente all'altra modellata certamente quando nell'arte era
noto uno stile assai più perfetto . Dopo varie mie riflessioni sul
significato di queste donne che in piccol bronzo trovansi frequenti negli
scavi d’Etruria, restai perplesso nelle due i Tishbein, Pittare
de’ Vasi antichi posseduti dal cav. Hamilton. Tom. i, Tav. 8, 9 .
» Visconti, Museo Pio dementino Voi. 1, Tav. r. 3 Museum etr.
exhiben» insigne veterum Etru- scorum monumenta aereis tabulis cc,
edita et illustrata . 4 Maffei, Osservazioni letter Tom. ir ,
p. *61. 93 L
uomo già rovesciato per terra, che vedasi nel sinistro Iato dell’urna rispetto
al riguardante, fa conoscere già incorniciata la carnificina dei proci. 11
giovine che vibra la bipenne sopra un armato può significar Telemaco, il
quale si presta in aiuto del padre alla strage di quei malvagi. La Furia
infernale tra le colonne della reggia attamente manifesta il terrore di
sì lugubre azione che scompiglia la casa reale d’Ulisse.I due combattenti
al sinistro fianco di quell’eroe son figu¬ re, a mio credere,
arbitrariamente dall'artista introdotte ad empire un vuoto che restava
senz’esse nel suo bassorilievo, come ho detto poc’anzi, ed anche in occa¬
sione di spiegar la Tavola LXXXV1I. TAVOLA XCVII. Mi
sia permesso di rimettere ad altro miglior Edipo, ch’io non sono, d’in-
terpetrare qual fosse l’intenzione degli antichi Gentili nel rappresentare
questo , come pure mill’ altri idoletti di bronzo, che trovansi nello
scoprire antichi se¬ polcri. Io posso dire soltanto essermi noto che
innumerabili erano gl’idoli dagli antichi tenuti nei larari come dissi
poc’anzi 1 . Ma non so poi quel che signi¬ fichino gran parte di essi,
come il presente, nè per quali superstizioni passasse¬ ro nei sepolcri,
qualora non sieno stati considerati che per semplici bronzi at¬ ti a
dissipare i maleficii 2 . TAVOLA XCVIII. L’Arpocrate
fanciullo inetto e silente, perchè non compiutamente ben forma¬ to,
significativo del sole ibernale, è il soggetto che in questa piccola
statuetta uguale al suo originale in bronzo si rappresenta. Fu
antichissimo in Egitto, e ne conserva nel fior di loto, che ha in capo,
il segnale, ma introdotto a’tempi de’To- lomei fra i Greci e fra i Romani
formossene una divinità pantea 3 con forme non altrimenti egiziane,
fingendolo un Amore, perchè da questi nasce lo sviluppo della natura
produttrice , per cui gli posero in mano il corno dell’abbondanza che attender
dobbiamo dallo sviluppo del calor solare, passato il tempo d’inverno.
Il vasetto di terra cotta è parimente rappresentato di misura uguale al
suo originale, ed è dipinto a figure nericcie con fondo giallastro
pendente al bian¬ co, o piuttosto d’un bianco abbagliato, ed è d’un
genere che gli archeologi con¬ vengono di nominare maniera egiziana 4 ,
sì perchè vi si vedono strane figure sul gusto di quella nazione, e sì
ancora perchè in Egitto si trovan similissimi a questi. i Ved. la
Tavola uxi. a Monum. etr., ser. i, p. 3 i 6 . 3
Iablonski Pantheon Aegyptior. lib. u, cap. vi, Etr. Mus. Chius.
Tom. 1. § 7* s q- 4 Gerhard, Annali dell istituto di
corrispondenza archeologica voi. in, anno i 83 i, p. i4>
*4 orecchi, piedi e coda di cavallo, con busto
virile: aggregato non comune in Sìmili fantastiche figure, delle quali
ebbi luogo di trattare estesamente altrove, dandole per simboli autunnali
II vaso che ha in mano quel mostro non è che un emblema di più per
indicare la stagione d’autunno, allorquando s’empiono tali olle di vino.
La donna che gli è dappresso è una Tiade seguace di Bacco. II perchè poi
la unione di queste due figure significasse il passaggio della razza umana
dalla vi¬ ta rozza e disordinata, alla virtuosa e civile per opera di
Bacco e dei suoi misteri, è argomento sul quale scrissi altrove
abbastanza per darne il conveniente sviluppo a . Delle due figure ,
che qui sotto al num. 2 si vedono riportate nella misura di un quarto più
piccole dell'originale, dipinte nella parte opposta di questo vaso, non
saprei indovinarne il significato, tranne il supposto d'un’armatura da un
giovane ottenuta nel passaggio all’ età virile i . Il disegno del vaso è
ridotto alla grandezza di un quarto del suo originale .
TAVOLA CIV. Questo mistico specchio non può spiegarsi che
mediante l'osservazione di molti altri, nequali per ordinario si trovano
insieme dei numi o eroi di opposta na¬ tura o potenza. Spesso vi sono
espressi Dioscuri, la cui consueta combinazione fu da me assai esaminata
in altre mie carte , ov’io li mostrava in sostanza 4 espres¬ sivi di due
contrarie potenze, le quali concorrevano, secondo i Gentili alla for¬
mazione e conservazione del mondo 5 . Qui pure è Teti e Giunone
perpetuamen¬ te nemiche fra loro, di che ho pure altrove ragionato 6 .
Che la donna seduta sulla pistrice sia Teti lo mostra chiaro un frammento
d una tazza etrusca, dove la fi¬ gura medesima ivi dipinta ne porta il
nome scritto. Che la donna opposta sia Giunone lo prova Io scettro che
impugna. tavola cv. Il manico doppio di bronzo qui
espresso nella grandezza del suo originale num. 1 mostrasi attaccato da
un lato ad una testa femminile di nessuna significazione, e dall altra ad
una maschera scenica virile, nel che manifestasi quanto fossero vaghi gli
Antichi di variare ornamenti, giacché non altro che il capriccio può
a\erli dettati, come qui li mostriamo, per ornarne un vaso di bronzo.
Possiamo frattanto tener per sicuro che gli artisti di Chiusi non furono
di meno elevato genio degli ercolauesi nell’eseguir le opere loro
metalliche. Del bronzo in figura di masche¬ ra di cui vedu qui il disegno
n. 2 , nulla so dire ad istruzione di chi l’osserva. 4 Monumenti
etr., ser. 11. 5 Plutatc. de Iside et Osir. in prineip.
6 Galleria omer. voi. 1, tav. xxxix. opinioni o di assegnar loro il
nome di Speranza o quel di Giunone *, invocata dal femminil sesso in loro
tutela. Ma chi non sa che la Speranza, e la Fortuna, os¬ sia la fiducia
di migliorar sorte nel mondo, era l’oggetto primario del culto gen¬
tilesco d’Italia? 5 TAVOLA CI. Il bassorilievo della Tavola
presente è un’urna di marmo due terzi maggio- giore di questo disegno.
Qui, a parer mio, si rappresentano i due strettissimi amici Oreste e
Pilade nel pericoloso momento d’essere a Diana immolati, per l'uso
barbaro ordinato da Toante in Tauri, che li stranieri a quel lido
approdati dovevano essere immolati a Diana tutelare del luogo <. Varie
tragedie si scrisse- sero dagli antichi su questo soggetto, taluna forse
delle quali dichiarava Oreste d’età più avanzata che Pilade, o l’età di
questo più avanzata di quella dell’altro, e perciò Pilade più prudente,
per cui cred’io, qui è l’uno imberbe, l'altro, barbato. Le donne che vi
si vedono sono le sacerdotesse di Diana, che vicine al di lei altare
stanno con i coltelli pronte ad immolare li sconosciuti stranieri. Le
teste umane posate sull’ara medesima vi son per indizio della consuetudine
di quel barbaro sacrifizio. Per simil modo vedonsi tali teste pendenti ad
un albero presso l’altare di Diana, ove pure Oreste e Pilade son condotti
al crudo supplizio in un sarcofago del palazzo Accoramboni di Roma, e
recato in luce dal Winkelmann . TAVOLA CII. Questa
Pallade in bronzo della gradezza dell’originale è come ognun vede, d’un
gusto squisito. Nè vorremo negare, che sia di toscanica officina , giacché è
tro¬ vata a Chiusi, quantunque lo stile dell’arte ivi usato direbbesi
comunemente gre¬ co , o del buon tempo romano. Oltre di che possiamo
additar quest’idolo col ge¬ nerico nome di Lare, vale a dire un di quei
che i Gentili tenevan chiusi per loro devozione in alcuni armadi delle
lor case col nome di larari. E dicevansi anche patellari, come Plauto li
appella 6 , perchè avevano, come il presente, e co¬ me altri riportati in
quest’Opera i, piccole patere in mano, in segno di doman¬ dare ai devoti
le prescritte libazioni agli Dei. TAVOLA CIII.
Riconosco per un satiro il mostro dipinto nel vaso num. i, perchè vi si
vedono 1 Ved. p. 8. 5 Antichi momim. inedit. N°. 1 44 *
2 Ved. p. 18. 65 . 6 PJautoap. Inghirami Monum etr. ser. il. p. 3
2* 3 Plinio. Nat. Hist. lib. n, cap. vii, § v, p* 73- 7 Ved. Tavv.
un, lxx. 4 Euripide, Ifigenia in Tauri nell’argoin. greco.
L opposto lato del vaso che porta l'antecedente pittura ha
similmente dipin¬ te quattro figure ammantate, insegno, secondo alcuni 1
, di precettato silenzio, co¬ me sembra che non ricusi di ammettere
modernamente uno de’ più attenti ed eruditi interpetri di tali stoviglie,
3 o secondo altri della palestra e del bagno 3 , e gli ultimi che ne
scrissero, notarono in tal circostanza, che riguardo ai bagni è assai più
comune il vedere i loro utensili posti per dare indizio della palestra,
che il trovar particolari espressioni della loro struttura. Quindi argomenta
che i gio¬ vani avviluppati nel manto e forniti degli arnesi atti al
bagno si mostrino di là partirne onde recarsi alla palestra 4 . Io
peraltro che soglio dare al significato di tali pitture maggiore
importanza, mentre le vedo sì ripetute da tutto il pagane¬ simo, dove fu
in uso il seppellir vasi coi morti-senza neppure distruggere l'opi¬ nione
modernamente invalsa, che significhino esse unicamente il passaggio dei
giovani dai bagno alla palestra, proporrei altresì l’opinione, a parer mio non
re- pugnante, che il vedersi in mano degli efebi gli strigili che
usavansi a purgar la cute da ogni sozzura dopo il bagno, denotasse l’uso
delle virtù catartiche, me¬ diante le quali veniva un’ anima virtuosa a
purgarsi d’ogni viziosa impurità, e far¬ si degna della celeste
beatitudine. Erano infatti virtù somiglianti insinuate nei ginnasi dai
precettori, che in segno di loro autorità non meno che della disci¬ plina
dottrinale che da lor comunicavasi agl’iniziati, e del silenzio che loro
impo- nevasi circa i precetti religiosi dati colla massima segretezza,
tennero, come qui, un bastone in mano 5 . Io dunque vedo nel vaso in
complesso, l’immagine della bea¬ titudine in quel convito eh'è
daH’anterior parte di esso già esposta antecedente- mente, e la occulta e
misteriosa via di conseguirla nel significato degli strigili che hanno in
mano i giovani qui espressi davanti ai loro precettori, e inistago- ghi.
Leggo nel disegno di questa incisione mandatami da Chiusi esser le
figure, rosse in fondo nero la metà dell’originale. TAVOLA
CVIII. Ho il piacere di dar termine alla prima parte di quest’opera
sul Museo chiu¬ sino, con un monumento de'più interessanti che vi siano
stati esibiti, sì per la perfezione del suo disegno, come anche per
l’epigrafi, dalle quali vanno indicate le figure di deità che vi si
contengono. Quest’ultima qualità che rende il mo¬ numento assai pregevole
alla considerazione degli eruditi, voglio dire 1’ essere 3 Ivi, e
Gerhard Rapporto intorno ai Vasi Voi- centi. Sta negli Annali dell’
istituto di corri» spondenza archeologica , voi. m, anno i83i r
primo fascicolo, Monumenti, p. 4 Gerhard , 1. cit. 5
Monum. etr. ser. v, p. 3o. 97 TAVOLA CVI. Fin
ora sanasi detto esser qui rappresentata un agape o cena funebre, col¬ la
quale si terminavano gli estremi onori che rendevansi agli estinti
qualificati, ed a così giudicare ne moveva per ordinario il trovar vasi
con tali pitture vi¬ cini sempre ai cadaveri ‘.Per simile analogia
solevasi dire ancora esser quel con¬ vito, accompagnato da piacevole
melodia, una immagine del godimento riserba¬ to alle anime virtuose negli
Elisi dopo la morte, come promettevasi agli iniziati nei misteri del
paganesimo a . Ma nel momento attuale corre opinione che non altro in
pitture tali debbasi ravvisare, se non che domestiche mense ed allegrez¬
za sociale, senza frammischiarne l'allusione a varun culto religioso 1 2 3 .
Rifletto pe¬ raltro che sfio spiego nel metodo primitivo, cioè
l'allegorico, la mensa priva di commestibili, posso ripeter, come dissi
altrove, non esser l’anima suscettibile di pascolo materiale, essendo la
sola mensa un sufficiente segnale del godimento 4 . Se il pittore ebbe in
animo di rappresentarci con questa pittura non altro che una domestica
cena, dirò che la composizione resta incompleta per mancanza dei cibi,
indispensabili ad effettuare l’azione del mangiare. Spiegai altrove
simbolicamente anche Patto, come è qui, ripetutissimo in al¬ tre pitture,
di una tazza sostenuta da un commensale cori un sol dito 5 , ove dissi
che a tenore d’ una dottrina platonica le anime che debbono scendere in
questa terra si trovano in uno stato il più leggero possibile, e quindi situate
nel¬ la più elevata parte del mondo; e conchiusi esserla tazza del
recombente signi¬ ficativa del recipiente del nettare per uso de'numi
alzata da lui per simbolo del- Panima sì per la sua elevatezza, e sì
ancora per la leggerezza che mostra uel- l’esser sostenuta con un dito 6
. E qui mi giova il notare altresì che nessuno dei tre recombenti mostra
di bere alle tazze da loro sostenute, nè v’ è alcun va¬ so da cui
rilevisi essere state empite onde bere . Non ostante anche le moder¬ ne
opinioni hanno tal peso che meritano considerazione, ed io mi son fatto
un pregio di esporle qui non volendomi caricare del giudizio sulla
preferenza delle une sulle altre. Leggo nel disegno di questa incisione
mandatomi da Chiusi es¬ sere la metà de! suo originale, e le figure di
colordi rosa. 1 Vermiglio!!, Lezioni elementari di archeologia
Voi. i, lez. •vm, § 6, p. 126. Monum. etruschi ser. v, p. 4y8 .
2 Monum etruschi, ser. v, p. 898. 4 ^°* 3 Annali dell
istituto di corrispondenza archeol. Voi. ili, anno i 83 i, Gerhard,
Monumenti Rapporto intorno i vasi volcenti, p. 5y. Raf¬
faello Politi, descrizione di due vasi fittili gre¬ co siculi
agrigentini i 83 r. Ved, bullettaio del¬ l’istituto di corrispondenza
archeol. num. xi, 6. novembre 1 83 1. 4 Monumenti etruschi
ser. v, p. .874. ò Milli», Peintur. de \ases ant. tot». 11. PI. 58
. 6 Monumenti etr. ser. v, p. 376. W" . ■
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99 scritto, mi costringe a tenermi in assai ristretti
limiti nel ragionarne, poi¬ ché i nientissimi sigg. TÌ editori di quest'opera
destinarono con savissima sceltala illustrazione della parte epigrafica
di tali monumenti al prof. Vermiglioli esper¬ tissimo quanto altri mai di
sì difficile scienza. A sodisfar dunque soltanto la sollecita
curiosità di chi osserva il monumento qui esposto mi permetto di accennar
di volo, esser questo uno specchio misti¬ co di que’tanti che trovatisi
storiati nei sepolcri d’Etruria, e solamente lisci in quei della
Magna-Greeia, ed in esso esservi quattro figure di deità cioè la Parca,
Apollo, Venereletea o libitina, e Giunone; e presso le indicate persone i nomi
lo¬ ro scritti in etrusco. /3DIVM moiran nome della Parca ripetuto in
altri di que¬ sti manubriati dischi 1 * . V4-1/3 Aplun nome chiarissimo
d’Apollo, ed altresì ri¬ petuto io vari specchi etruschi 3 . HVT34 Letun
Venere letea o libitinia , o Proserpina, che il Gerhard ha così bene
illustrata per una Dea infernale, non di¬ stinta però dalla luna 3 , per
cui cred’io qui si vede connessa in amplesso con Apol¬ lo considerato come
il sole. Ecco dunque per la prima volta incontrato negli specchi mistici
il nome di quella donna che sì ripetutamente vi si vede rappre¬ sentata,
e che per Venere libitina azzardai nominarla tal volta anche prima del¬
la presente ed importante scoperta 4. In fine AH 4/3 0 Talna eh’è nome
altresì ripetuto nei mistici dischi, e che io sostenni con lungo
ragionamento esser signi¬ ficativo di Giunone 5 quantunque disgiunta dai
consueti simboli di questa Dea, men¬ tre qui ha lo scettro che la •fanno
indubitatamente conoscere per la regina degli Dei unitamente con Giove
che n’era il supremo loro imperante. Ma una più sodisfacente
interpetrazione dell'etrusche parole qui riferite debbesi attendere
dall’erudito Ver¬ miglio]/', al quale, come io dissi disopra, è
destinata. In urna figulina LVI. i flit
a a = flnflo ) f\XF\Y\M LVH. AlAtlqAD :
1SUfflM : lOqfld In urna figulina lviii.
CO -A < l#q vn : im : fìURO
Idem LIX. | M433 : VfflDt : 33
r Ì433 : VA LX V-ÌV# : VD
flitmao i Monumenti etruschi ser. 11, p. 389. a
Ivi, p. a 84 - 3 Gerhard, Venere Proserpina illustrata, p. i 5 ,
e 76, ved. Nuora collezione d’opuscoli e notizie di
scenze, lettere ed arti, pubb. dal cav. Fr. In- ghirami tom. iv, p. 536
, 4 Monum. etr. ser. 11, p. 44 <a, 744, e ser. v,p. 193. 5
Ivi p. Sol. FIXE DEL VOLUME PRIMO >XIV
A'JfVlI JILìXX 11IXXX làaBaHBBsasaasa
XXXZ'/Z/. «♦- A'/AZY.Y (IX XUI m ;_i lira
vz. 7 ’ LII fC) i
Ouj/ IsUcAenni. eli/ T £,J\ T. L/A' • ■* * :* :■
- ■3TT J ^ JCZ/Z
z,Jirv: - T» z^rjrji-'. IXX3TT 'X tea
T^reiir. ■'ir**:-Jàz-j:. amiBft'igwpcj
&r. CJI. v ~ Luciano Dottarelli. Dottarelli. Keywords: l’implicatura
di Musonio, Musonio, Etruscan influence on Roman philosophy, Why Roman
philosophy is not Greco-Roman – The Etrurian connection. Etrurian as ‘antique’
– Etrurian as exotic for Indo-European Aryan Latins (Romans). Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Dottarelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51715431956/in/photolist-2mMV7by-2mLLuG7
Grice e Duni – della costume, o sia, sistema di dritto
[sic] universal – il diritto romano universalisabile -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Matera). Filosofo. Grice:
“I like Duni; but of course he errs, as Kant does – for how can a ‘sitte’ a
mere costume, become ‘universal’ – yet that’s the oxymoronic title of his
tract, ‘scienza dei costume, ovvero, diritto universale’. Figlio di Francesco,
maestro di cappella della cattedrale di Matera, e fratello dei compositori
Egidio Romualdo ed Antonio, nell'ambiente familiare impara la musica scrivendo
anche alcune composizioni da gravicembalo, pur se non seguì le orme dei
fratelli maggiori in campo musicale, e fu avviato agli studi religiosi nel Seminario
della città di Matera. Si laurea in Napoli. Torna a Matera dove aveva già
intrapreso la pratica di avvocato presso la Regia Udienza e dove, chiamato da Lanfranchi,
fu insegnante presso il Seminario; lo stesso Palazzo del Seminario divenne in
seguito sede del Liceo Classico di Matera, che fu a lui intitolato. Dopo la
morte del padre, lascia Matera trasferendosi dapprima a Napoli e
successivamente a Roma. Presso
l'Università degli Studi La Sapienza fu docente di diritto canonico e di diritto
civile, e pubblica un Commentarius in cui esponeva la dottrina giuridica del
codicillo, con una dedica a Benedetto XIV che in seguito lo sostenne nella sua
nomina alla cattedra universitaria; a Roma entrò in contatto con le opere di Vico,
del quale divenne un convinto sostenitore. Eleggendo Vico a suo maestro, si
propose di realizzare un programma di diritto universale come fonte di tutte le
leggi e costumi umani. Partendo dalla sua formazione cattolica, crede in Dio
creatore del mondo e suo legislatore, e non distinse l'etica e la
giurisprudenza considerandole integrative in quanto tendenti allo stesso fine,
cioè a dare il senso della vita, e quindi facenti parte entrambe della filosofia.
Nacque così il “Saggio sulla giurisprudenza universale”; sua opera
fondamentale, dedicato al promotore della politica riformatrice del Regno meridionale,
il ministro Tanucci. Il “Saggio” indica esclusivamente nel vero il principio
unitario delle conoscenze umane, a cui ricondurre anche la fondazione delle
scienze morali. Il bene o vero morale (Cicerone e buono), che differisce dal
vero metafisico perché comporta anche l'elezione volontaria del vero
conosciuto, si esprime come onestà e come giustizia. La morale propone
l'honestum, cioè il bene secondo coscienza, e opera dall'interno, invece il
diritto indica la via per andare al giusto, regolando i rapporti tra gli
individui o soggetti e quindi la vita sociale. Successivamente al Saggio, scrisse
un'opera sul rapporto tra filosofia e filologia nell'ambito della storia di Roma,
ed in seguito una Risposta ai dubbi proposti da Finetti in cui polemizzava
contro Finetti difendendo la memoria del Vico. Pubblica a Napoli la “Scienza
del costume o Sia sistema del diritto universale”, dedicata a Antonelli, in cui
prosegue l'opera iniziata con il Saggio. Opere: “De veteri ac novo iure codicillorum
commentaries; “Saggio sulla giurisprudenza universale”; “Origine e progressi
del cittadino e del governo civile di Roma”;
“Scienza del costume o sia sistema del diritto universale”. LA A falſa comune opinione adotta ta co me
un'affioma dai Politici, che le So cieti Civili naſcono colla forma di Governo
Monarchico, diede occaſione non meno agli antichi, che moderni Scrittori della
Storias Romana di formare di queſta Nazione tutt ' altra idea di quella, che fu
realmente. I vo caboli di Re e di Regno appreſi nel ſenſo di quei tempi, in cui
viſſero gli Storici, quando già fioriva in Roma la Monarchia, gli traſportarono
a credere, che il Governo cominciaſſe fin dal tempo di Romolo colla, forma
Monarchica. Taluni peraltro convinti da’ fatti contrari della Storia furono
obbligati a confeflare che ne' primi tempi di Roma quantunque regnaffe la
Monarchia, pure.que Ita non poteſſe dirá alſoluta ma che folle accom DI ROMA.
17 accompagnata, e mifta di Ariſtocrazia, ' é, Democrazia; ' e che in
conſeguenza i Patrizi inſieme co ' Plebej rappreſentaſsero qualche dritto nel
Governo, di cui peraltro la ſomma foſse preſso de' Re. L'Idea adunque che tam
luni Scrittori fecero del Governo di Roma fin dal fuo nafcere, fu di
conſiderare Romolo co'ſuoi Succeſsori o per veri Monarchi; o per Monarchi, che
aveſsero comunicato parte dell'amminiſtrazione ai due Ceti di Patrizi, e Plebej,
riputando i Patrizi e Senatori, come Ceto di Cittadini illuſtri ricchi e favj,
im piegati dai Re nelle cariche più gelofe del lo Stato, ed i Plebej per Ceto
anche di Cit tadini ma ignoranti e vili, che ſerviſsero per le faccende
ruſtiche, e per la guerra; e che aveſsero qualche parte anche ne' pubblici
affari. Venne, come diſi, tal falfa opinione fo ſtenuta da quel comune errore,
che tutte le Società Civili non poſsano altrimenti comin ciare, fe non con la
forma Monarchica, non fapendo eſli immaginare con qual altra for ma di Governo
poſsa mai unirli, e comporli Tom. II. B un > 7 18 DEL GOVERNO CIVILE un Ceto
di famiglie a convivere tra loro, ed a formare un corpo. Imperciocchè, dico no
efli, non è poſſibile di concepire il prin cipio di tal unione, ſenzachè
qualcuno di eſſi, o per violenza, o per fraudolente ambizione induca gli altri
alla di lui foggezione e Si gnoria; tantoppiù che non ſi faprebbe in al tra
maniera immaginare, come i Padri di fa miglia, i quali prima di entrare in
Società Ci vile, facendo ſenza dubbio la figura di Mo narchi nella propria
famiglia, pofsano ſenza il mezzo della violenza, o dell'inganno, ab bandonare
la propria Signoria col foggettarfi al Governo Civile. Su queſta mal fondata,
opinione incontrandoſi nel fatto della Nazio ne Romana, in cui intefero parlare
di Re, e di Regno nel ſenſo appreſo di Monarca, e Monarchia non dubitarono
punto di defi nire il Governo fotto Romolo, e Tuoi fuccef fori per Monarchico.
Ma poichè i fatti ſteſſi della Storia realmente non s'uniformano all ' Idea di
una perfetta Monarchia, furono co ftretti ad ainiettere una Mon: irchia mitta
di Ariſtocrazia inſieme, e Democrazia. Tutte DI- ROMA. 19 Tutte le ragioni
politiche, che ſogliono ads durſi dagli Scrittori nel pretendere, che le So
cietà Civili non poſſano altrimenti nafcere che colla forma Monarchica, fono a
mio giu dizio tanto lontane dal dimoſtrarla, che anzi provano tutto il
contrario, cioè, che la unione de' Padri di famiglia, nel comporre la Società
Civile, debba neceſsariamente pro durre forma di Governo Ariſtocratico, e non
Monarchico; poichè fe effi non fanno im maginare, come tali particolari
Monarchi di famiglia poſsano ſoggettarſi alla pubblica, Podeſtà ſenza frode o
violenza di qualcuno di loro, io al contrario non ſo concepire,.come tal
violenza o frode d' un ſolo por fa eſser valevole ad obbligare un Ceto in tiero
di Padri di famiglia avvezzi a ſignoreg. giare in caſa propria per ſoggettarſi
al Mo narca, Qualunque voglia figurarfi la frode o la violenza d'un folo, egli
è chiaro che tali mezzi non faprebbero indurgli a foffrire di buon animo un
totale cambiamento di con dizione, quanto, lo è il paſsare da quella, in cui
trovavanli di Signori aſsoluti, a queſta di B 2 fud 20 DEL GOVERNO CIVIL E
fudditi, trattandoſi di cambiare condizione in tieramente oppofta; ed ognun fa,
quanto rin.: creſce al Signore il paſſare di fatto dallo ſta to di comandare a
quello di ubbidire. Che ſe mi diceffero, che ciò nafce dalla violenza, cui non
ſi può reſiſtere, io gli riſpondo, che nei naſcimenti delle Repubbliche la for
za d'un ſolo non è, ne può eſſere parago nabile alle forze unite di tanti Padri
di fa miglia, quanti converranno ä formare la So cietà. Sicchè tanto è fupporre,
che la forza d'un folo baſti per opprimere gli altri, quan to è dire, che molti
non fiano in grado di vincere la violenza d' un folo; ciò che o non è affatto
poſſibile, o almeno lo potrà eſſere in qualche caſo troppo raro, e ſtravagante;
ma la ſtravaganza e la rarità non può in durre un ſiſtema generale. Quindi il
preten dere, che le Società Civili debbano necella riamente cominciare colla
forma di Governo Monarchico, è lo ſteſso, che fupporre la violenza, o la frode
d' un folo maiſempre ſuperiore alla forza, ed alla deſtrezza di mol ti; e ciò
non baſta, perchè biſognerebbe an che > DI ROMA. 21 1 che ſupporre, che al
numero di molti non fc gli preſenti mai occaſione favorevole per re fiftere, e
liberarſi dall' uſurpato potere di un ſolo; cioche realmente s’oppone ad ogni
no ftra immaginazione. Se poi vorranno fingere, che dopo la violenza, o frode
uſata dal Mo narca per ſoggettare gli altri, poffa ſeguire il compiacimento
degli ſteſſi ſoggetti, forſe perché il Monarca ſia dotato di virtù tali, che
baſtino ad innamorargli, oltreché une tal ſupporto non ſi può ammettere
general, mente, incontra il maſſimo oſtacolo di non poterſi concepire, come gli
Uomini avvezzi a dominare poſſano cosi preſto invogliarſi della condizione
oppofta di ubbidire per qualunque ammirazione di virtù nella perſona del Moia.
narca. Ma poi non è poſſibile il concepire nel Monarca virtù degna di
ammirazione preſo co loro, che naturalmente, non fanno ſpogliarli di fatto del
proprio carattere di dominare, ſenzaché entrino almeno a parte della pub blica
amminiſtrazione; fe pure non vogliamo fingerli per Uomini affatto ftolidi ed
alieni dalla maſſima delle Umane paſſioni. B 3 Qui 22 DEL GOVERNO CIVILE Qui
potrei co ' monumenti pervenutici de gli antichiſsimi Popoli dimoſtrare col
fatto l? inſuffiſtenza di un tal ſentimento dei Politici col riconoſcere nelle
origini delle Nazioni tutt altra forma di Governo, che la Monar chica; e che
laddove eſli ſuppongono, che la Monarchia ſia ſtata la prima a forgere nel le
Società Civili, fi troverà maiſempre l'ulti tima a venire dopo l' Ariſtocrazia,
e Demo- ' crazia; perché la naturalezza delle Umane vicende è tale, che i Padri
di Famiglia nel formare la Società Civile dovendo decadere da quella podeſtà
afloluta, che eſercitavano in Caſa, cercheranno di cedere il meno che ſia
poſſibile dell'antica Signoria; poichè l'Uo mo per natura non fa mutarſi di
fatto da, uno ſtato ad un altro direttamente oppoſto al primo, e perciò quando
trovali nella contin genza di dover paſſare da una condizione ſuperiore all'
inferiore, procura ſempre di paſſarci per gradi, e non di ſalto. Quin di è, che
fe vogliamo ragionare a ſeconda, dell'idee Umane, dobbiam dire, che tali Pa dri
di famiglia qualora li vedranno obbligati dalla DI R O M A. 23 dalla neceſſitii
di laſciare la Monarchia del ta loro famiglia, ſebbene converranno vo lentieri
in Società Civile per trovare mag gior ſicurezza coll'erezione della poteſtà
pub blica compoſta di forze unite, e per confi gliare ai vantaggi, e comodi
della vita; pu Te non ſi diſporranno mai a cedere dell'anti ca poteſta, fe non
quanto biſogna per reg gerſi il Corpo Civile, e quanto meno liane poflibile di
quella dominazione, che lafciano. Or la forma di governo, che dovranno fce
gliere, farà certamente l'Ariſtocratica, come quella, in cui fi cede il meno
dell'anticas Signoria, formandoſi una Podeſtà pubblica che riſiede nondimeno
preſſo gli iteſi mem bri, che la compongono, e nel tempo ſtello col Governo
Ariſtocratico ſieguono a ſignorega giare ſul Volgo, e ſulla Plebe, che ſi ricovera
ſotto la loro protezione. Che ſe poi vorremo fare un' efatto giudizio, come
coll' andar del tempo dall'una forma di Governo ſi fuol para ſare all'altra,
poſſiamo qul accennare breve. mente, che ſtabilitaſi la Societ: Civile nella
ſua origine colla forma Ariſtocratica, che dee ellere 1 B 4 priva d'ogni dritto
Civile i Indi l'oppreſſo 24 - DEL GOVERNO CIVILE eſsere la prima a naſcere, gli
Ottimati na turalmente faranno traſportati dall’amor pro prio ad opprimere, e
tirannizzare il Volgo, o ſia la Plebe, che ricoverandoſi ſotto la lo ro
protezione, per ſoſtentare la vita, rimane Volgo creſciuto in numero, maſſime
col mez zo della procreazione, pel deſiderio iſpiratoci dalla Natura di
fottrarci dall' altrui tirannia, cogli ammutinamenti e ſedizioni cerca di li
berarſene; e quindi avviene, che dall' Ari ftocrazia ſi paſſa alla Democrazia.
Finalmente il Popolo tutto reſo partecipe del Governo, naturalmente ſi divide
in fazioni, le quali agi tandoſi continuamente tra loro, non trovano altro
ſcampo per ſalvarſi dalle guerre Civili, che di ricoverarſi ſotto la Monarchia.
E que Ito ſembra il corſo ordinario e naturale delle Origini e de' progreſſi
delle Nazioni tutte uniforme altresì alle memorie pervenuteci del le
antichiſſime Nazioni. Ma per non partirci dal noſtro argomento, ci conviene di
fermarci ſull' eſame del Go verno Civile di Roma. E ſulla prima fa duo po DI
ROMA: 25 po di ſviluppare dalle tante incoerenze, che troviamo nella Storia,
quella prima forma di Governo, che venne iſtituita ſotto Romolo nel naſcimento
della Città Romána. Dicia ino adunque, che la prima forma diGover no iſtituita
fin dal tempo di Romolo tanto è lungi, che fofle ftata Monarchica, o miſta di
Monarchia, che anzi ſi riconoſce chiaramen te Ariſtocratica delle più feverè,
che mai li poſſa immaginare, come realmente lo furono le Nazioni tutte nei loro
forgimenti. E pri mieramente l'efferſi attribuita a Romolo, e ſuoi Re
fucceffori la Monarchia, nacque fo vratutto, come diſli, dalla falſa
intelligen-. za della voce Rex, col di cui nome vennero chianati tutti quei,
che da Romolo fino al la creazione de' due Conſoli Annali ebbero la cura di
preſedere, e far da Capi del Se nato regnante. La voce Rex nei tempi, in cui
gli Storici, come Livio e Dioniſio 'com pilarono la Storia Romana, fu
certamente appreſa in ſenſo di Monarca, come temps, in cui fioriva. la
Monarchia e con un tal Suppoſto non ſapendo neppur eſi immagina. re 26 DEL
GOVERNO CIVILE re altra forma di Governo nel naſcimento della Città Roinana,
andarono a credere, che o in tutto, o in parte regnaſſe la Monarchia. Ma ſe
vogliamo inveſtigare la vera originaria fignificazione della voce Rex,
troveremo, ch'ella viene da reggere, e ſoſtenere, e che propriamente dinotava
un Capo e Dace del la Repubblica, e non un Monarca di pode Atà aſſoluta. La
ſtella eſpreſſione di Rex tro viamo uſurpata in tutte le altre Nazioni, di cui
ci è pervenuta la Storia; ma il Governo del le niedeſime non ſi può attribuire
a Monar chia ſenza ſmentire i fatti medefimi, dai quali ſcorgeſi, che tali Re
altro realmente non era no, che Capi, e Duci delle Repubbliche: per che inſieme
colla perſona del Re troviamo i Senati, da cui definivanfi gli affari pubblici
dello Stato. Soleaſi per altro diſtinguere l' incombenza dei Re in pace ed in
Città da quella, che rappreſentavaſi in guerra; poi che qualora erano in
piegati a far da Capita ni Generali a comandare l'eſercito, ſpiega vano
certamente una podeſtà affoluta, come quella, ch'è troppo necelaria nel Capitan
Gen DI ROMA 27 Generale per lo buon regolamento delle fac cende militari. Trattaſi
in guerra di porre in eſecuzione all'iſtante le opere militari, le qua li non
ſoffrono dilazione, e richieggono la più rigoroſa ſegretezza per forprendere
l'ini mico, ed in conſeguenza i Re in guerra per natura dell'impiego medeſimo
ſpiegavano po teſtà aſſoluta, perchè non giova di eſercitarſi colla dipendenza
dal volere degli altri, è maf fimamente de' Cittadini, come lontani e che non
poſſono eſſer preſenti alle diſpoſizioni mi Jitari, e perciò non ci dee far
maraviglia, fe per conſigliare al pubblico bene fafi co ſtumato di concedere al
Re, quando coman da in guerra, una poteſtà indipendente e Monarchica. Ma di
qualunque carattere ftata foſſe lae poteftà dei Re in guerra, non dobbiamo con
fonderla colla podeſtà da effi loro praticata in pace e nel Governo Civile
dello Stato. In fatti Tacito narrando i coſtumi degli antichi Germani ci fa
ſapere che prello tali antis chi Popoli ſi diſtinguevano i Re propriamen te 1
28 DEL GOVERNO CIVILE te detti nel ſenſo di reggere la Repubblica dai Capitani
Generali; poichè i primi fi eleg gevano dal Ceto degli Ottimati e. Signori, ed
i ſecondi fi ſceglievano tra quei, che li erano reſi celebri pel valore, ' I Re,
dices egli, ſi eleggono dal Ceto de' Mobili, e per Capitani Generali ſi
ſcelgono i più celebri nel valore; Ma i Re non rappreſentano pode fà libera ed
illimitata (a ); quanto a dire che la qualità di Re preflo gli antichiſſimi
Germani non produceva poteſtà fuprema, e Monarchica, tuttoche Tacito gli aveſſe
at tribuito il nome di Rex. Dioniſio parlando degli antichi Re della Grecia
fcrive, che i Re delle antiche Greche Nazioni, preffo di cui il Principato era
ereditario, o pure elettivo, governavano col conſiglio degli Ottimati, come lo
atteſtano Omero, e gli antichiſſimi Poeti. Nè quei tali antichi Re eſercitavano
il Prin cipato con poteſtà aſſoluta, come veggiamo a tempi (a ) Tacit. de
moribus Germanorum 9. VII. Reges ex nobilitate, duces ex virtute fumunt. Nec
Regi bus infinita, aut libera poteftas. DI ROMA. 29 tempi noftri (a ). La voce
Rex adunque nell' originaria ſignificazione Latina dinotava une Capo di
qualunque Ceto, o di Repubblica, e non un Monarca z e queſto Capo qualora
veniva deſtinato a comandare in guerra; al lora fpiegava la poteſtà aſſoluta;
Ma nei tem pi poſteriori, quando le Nazioni pervennero allo ſtato di Monarchia
fi ritenne la ſteffa voce Rex, che paſsò a ſignificare il Monarca, quan to a
dire, che il nome di Rex attribuito a Romolo, ed agli altri Re ſucceſſori, non
può eſſere un argomento per definire il Governo Monarchico nel naſcimento della
Città Ros mana. Parliamo ora ad eſaminare i fatti narratici dagli Storici, dai
quali unicamente dipende lo ſchiarimento di queſto articolo. Dioniſio, il quale
a differenza degli altri s'impegna a de (a ) Dioniſio Antiq. Rom. lib. 2.
Graecanici Reges çerte, qui haereditarium Principatum fumerent, quolve Populus
fibi ipfe praeficeret, confilium habebant ex Optimatibus, ut Homerus, &
antiquitlimi quique Poetarum teftantur.. neque (ut fit in noſtro feculo )
veteres illi Reges ex ſui tantum animi fententia poo feſtatem exercebant. 30
DEL GOVERNO CIVILE deſcriverci minutamente l'origine del Govere no Civile ſotto
Romolo, febbene non ſeppe, formare un' eſatto e coſtante giudizio della forma
del Governo, pure ci ſomminiſtra ba. ftanti lumi, onde poſſiamno ſcovrire il
vero. E ſulla prima introduce un allocuzione fatta da. Romolo ai ſuoi Compagni
ſul propoſito di doverſi ſtabilire una forma di Governo che foſſe più utile, e
più atta per tener lon tana la Città dalle fedizioni Civili, e per di fenderla
dagl' inſulti dei Popoli eſteri. E qui ci rappreſenta Romolo per Uomo ben
iltrutto ed erudito delle Nazioni Greche, e delle Barbare, delle forme del loro
Governo della difficoltà nello ſcegliere la migliore; indi gli conſiglia a
riflettere maturamente l' affare, affinchè poteſſero riſolvere, se piutto fto
voleano ubbidire a un ſolo, o pure a pochi, moſtrandoſi pronto e pieno di
moderazione a ſeguire il loro volere (a). Dopo una ſpe cio (a) Dioniſio antiq.
Rom. lib. 2. Quum autem diffi çilis fit earum (vitae uempe rationum ) electio,
juf lit DI ROMA. 31 ciofa allocuzione i compagni di Romolo te. nendo conſiglio
tra loro, non dubitarono di preſcegliere la forma del Goveno Regio in perſona
dello ſteſſo Romolo, non ſolamente perchè l' aveano ſperimentata la migliore
per quanto l'aveano inteſo approvare dai loro Maggiori, ma perchè giudicavano,
che con una tal forma di Governo ſi otteneffero i due maſimi vantaggi, cioè la
libertà propria, e · l' impero preſſo degli altri (a). Da un tal racconto ognun
vede, che Dio. nilio fit eos re per otium conſiderata dicere, NUM UNI RECTORI,
AN PAUCIS PARERE MALINT. Etenim, inquit, quamcumque Reipublicae formain in
ftitueritis, ad eam recipiendam paratus fum, nec principatu me indignum
cxiſtimans, nec detrcaans imperata facere. (a) Dioniſio loc.cit.Illi,
communicato inter fe con filio, reſponderunt in hunc moduin: nobis nova Reid
publicae forma non eft opus; nec a majoribus proba tam, & per manus
traditam mutabimus, fed & pri fcorum conlilium fequimur, quos non ſine
inſigni prů. dentia illam Reipublicae formam inſtituiſſe credimus, &
praefenti fortuna contenti ſumus; cur enim illam in. cuſemus, quum fub Regibus
contingerint nobis bona, quae apud homines habentur praecipua, LIBERTAS ET
IMPERIUM IN ALIOS Haec eft noftra de Republica fententia &c. 32 DEL GOVERNO
CIVILE niſio compoſe tali narrazioni piuttoſto allas maniera, com'egli avrebbe
penſato di fare, che con quella, che Romolo realmente ufaf ſe preſſo i lnoi
compagni'. E tralaſciando di riflettere le tante improprietà di ſimile allo
cuzione, in cui ci propone Romolo per Uo mo iſtrutto delle Barbare, e delle
Greche Na zioni, anzi delle varie forme del loro Gover no; quando al contrario,
come dimoſtraremo a fuo luogo, i Romani per molti ſecoli fu rono affatto
ſconoſciuti ed ignoti, mallime alle Greche Nazioni, ci giova quì di notare
quell'eſpreſſione, che il Governo Regio po tea loro conſervare il pregio della
libertà, il quale certamente non ſi può ottenere colla Mo narchia preſa nel ſuo
vero fenfo di podeſa d' un ſolo aſſoluta, ed arbitraria; poiché an che ſul
ſuppoſto d'un Monarca dotato della più retta politica ę ſaviezza, e di coſtumi
i più ſublimi ed innocenți, il Popolo non può godere altro pregio di libertà,
ſe non quello, che deriva dalla rettitudine dell'animno dalla ſaviezza del
Monarca medeſimo; mais non ſi può pretendere ſotto la Monarchia di 1 DI ROMA.
33 godere il dritto e la libertà di reſiſtere, ed oppora al di lui ſentimento e
comando; poiché la forma Monarchica, come tale, racchiude la fuprema poteſtà
preſſo di una folo; e tutto il reſto del popolo potrà fo lamente eſercitare
quell'autorità, che pia ce rà al Monarca di comunicargli; ficchè ſi conſidera
allora ' tale autorità come dipen dente e ſoggetta maiſempre al voler del
Monarca e non libera del popolo, che l' eſercita per comando del Principe. Ed
ecco cheDioniſio leffo finora ci propone il Gover no Regio non già in ſenſo di
Monarchia, ma di Capo e Duce d ' un ceto d' Uomi ni, che intendono d'eſser
membri del Go verno medeſimo, per eſſere anch'eſſi a par te della libertà di
comandare. Siegue indi Dioniſio a narrare la diviſione del Popolo in Tribù, e
Curie, inſieme colla egual partizione de' campi, e de' terreni tralle Curie; e
poi paſſando alla diviſione de' Ceti fatta in Padri e Plebe, nel riferire il
carat tere che i Patrizi doveano rappreſentare nella Repubblica, chiaramente ci
atteſta, Tomo II. С che 34 DEL GOVERNO CIVILE che ai Patrizi apparteneva la
cura dei Sacri, l'eſercizio de' Magiftrati, l'amministrazione della Giuſtizia,
ed il Governo della Repubblica unitamente con Romolo (a ). Ę poco dopo narran
do l'erezione del Senato dal Ceto de? Patrizj replica lo ſteſſo, cioè, che
Romolo avendo ri dotto le coſe in buon ordine, immediatamen-: te creò dal Ceto
de' Patrizj i Senatori, i quar. li doveſſero ſeco lui amminiſtrare la Repubbli
64 (b). E queſta ' erezione di Senato l'affomi glia alle Repubbliche delle
antiche Nazioni Greche ſulla teſtimonianza di Omero, e di altri Poeti Greci,
che fanno menzione di fimi li Senati regnanti, cui preſedeva il Re, il qua le
per altro facea da Capo e Duce, in ma niera $ (a) Dionifo loc. cit. Romulus
porro poftquam difcre vit potiores ab inferioribus, mox legibus latis praefcri
plit, quid utriſque faciendum effet: ut Patricii facra curarent, Magiſtratus
gererent, jus redderent,SECUM REMPUBLICAM ADMINISTRARENT. (b ) Dioniſio loc.
cit. Ceterum Romulus poftquam haec in decentem ordinem redegit, confeftim
decrevit Se fatores creare, ut ellent, QUIBUS CUM ADMINI STRARET REMPUBLICAM.
DI ' ROMA. 35 niera però, che il Governo della Repubblica riſedelle prello il
Senato compoſto degli Ot timati, come per l'appunto furono i Patrizi di Roma
(a). Indi riferiſce le particolari in combenze attribuite a Romolo, come Capo
del Senato, cioè, che prello di lui eſſer do veſſe la principal cura dei
Sacrifizj e del le coſe Sacre: che doveſſe aver cura delle Leggi e de' Coſtumi
Patri; che ſi riſerbaf ſe il giudizio per gli delitti più gravi, e de' minori
ne giudicaſſero i Senatori; che foſſe di ſua incombenza di convocare il Senato
ed il Popolo tutto, colla prerogativa di dover eſſere il primo a profferire il
ſuo ſentimento, ma che le determinazioni del Senato dovef ſero dipendere dalla
pluralità dei fuffragi; e finalmente, che poteſſe ſpiegare Poteſtà aſſo luta in
guerra (b), Paſſando poi a ſpiegare, C 2 qua (a) Dioniſio 796x it. Graecanici
Reges certe > qui hereditarium Principatum fumerent, quoſve populus fibi
ipfe praeficeret, conlilium habebant ex Optimatibus, ut Homerus &
antiquiſſimi quique Poetarum teſtantur &c. (b) Dioniſio loc.cit. His
conſtitutis, honorcs, & potefta tes in fingulos Ordines diſtribuit. Regi
quidem eximia mune 36 DEL GOVERNO CIVILE quale eller doveſſe l'autorità del
Senato, fcri ve, che gli affari del Governo ſi doveſſero dal Re proporre al
Senato, preſo di cui non di meno doveſſe riſedere la potefta fuprema di
decidere col mezzo della pluralità dei ſuf fragj, ſoggiungnendo inoltre, che un
tal fix ſtema di Governo folle ftato appreſo dalla Repubblica dei Lacedemoni, (fempre
col falfo fuppofto, che Romolo in tali tempi aveſſe avuto cognizione de' Papoli
della Gre cia ) in cui i Re non erano Monarchi, nè Die {potici del Governo, ma
ſemplici Capi del Senato il quale fpiegava la fuprema pote ftate munera fuerunt
haec: Primum, ut Sacrificiorum, & re liquorum Sacrorum penes eum eflet
principatus, per quem çumque gereretur quidquid ad placandos Deos attinet;
deinde uit legum ac conſuetudinum Patriarum haberet cuſtodiam, omniſque Juris,
quod vel natura di&ar, vel pacta & tabula fanciunt curam ageret; utque
de graviſſimis delictis ipſe decerneret, leviora permitteret Senatoribus,
providendo interim, ne quid in judiciis pece caretur; utque Senatum cogeret,
Populum in concio nem vocaret, primus fententiam diceret, quod pluçi bus
placuiſſet, ratum haberet. Haec Regi attribuit mu nia, & practerea fummum
in bello Imperium, DROMA. 37 (be neppur ftà nell'amminiſtrazione della
Repubblica (a ). Da tutto queſto racconto di Dioniſio non v'è chi pofſa negare,
che Romolo non eb l'ombra, della poteſtà Monarchica; poichè colla coſtituzione
del Senato la poteità ſuprema riſedeva preſſo il Senato medeſimo, e preſſo gli
Ottimati; e che tutto quello, che fu attribuito alla perſona del Re, conſiſte
va nel fare da Capo del Senato Regnante col la ſemplice prerogativa di poter
proporre gli affari, e di eſſere il primo tra i Senatori 2 profferire il ſuo
fentimento; ma che la poteſtà di determinargli riſedeſſe preſſo il Ceto dei
Senatori, in maniera che le determinazioni ſi coſtituivano colla pluralità de'
Suffragj, a cui il Re medeſimo dovea foggiacere; ciocchè non ſolamente eſclude
ogni idea di Monarchia, ma C3 ci (a ) Dioniſio loc. cit. Senatui vero
dignitatem ac po teſtatem hanc addidit, ut is s de quibus à Rege ad ipſum
referretur, de his decerneret, & ferret calculum, ita ut ſemper obtineret
plurium ſententia. Id quoque a Laconica Republica defumtuin eſt; Lacedaemonio,
rum cnim Reges non erant fui arbitrii, ut, quidquid vellent, facerent; fed
penes Senatum erat tocà publi cæ adminiftrationis poteftas. 38 DEL GOVERNOICI V
ILE ro ci manifeſta chiaramente una perfetta Ariſto crazia compoſta di Senatori,
i quali furono eletti dal Ceto nobile de' Patrizj. Egli è ve che il Re di Roma
ſpiegava la poteſtà aſſoluta ſoltanto in guerra; ma queſta, come dicemmo, non
toglie, nè s’ oppone alla for ma del Governo mero Ariſtocratico, perchè in
tutte le Ariſtocrazie troviamo tal poteſtà ſuprema nella perſona del Capitan
Generale, per la ragione di non poterſi altrimenti eſer citare con felice
effetto il comando del Du ce dell' Eſercito: E qui giova d' oſſervare, che
ſebbene nelle Ariſtocrazie il Capitan Ge nerale faccia ufo di poteſtat aſſoluta
in guer ra; pure la dichiarazione della guerra, e tut to ciò, che appartiene al
ſiſtema generale di eſercitarla, dipende dal volere dello ſteſſo Se nato
regnante, quatito a dire, che tutta live poteſtà ſuprema del Capitan Generale
ſi ridu ce ad eſeguire gli ſteſſi ordini del Senato éd a riſolvere all'iſtante
da ſe medeſimo ciò che non ſoffre dilazione, e l'attendere l'ora colo del
Senato ſarebbe inutile e dannoſo Del rimanente la forma del Governo ſi diſtin
gue ITDI ROMÀ. 9. 39 gue non già dall'uſo della poteſtă, che ſi eſercita in
guerra, ma dalla ragione delle pubbliche determinazioni, le quali, qualora
dipendono dall' arbitrio di quei pochi, che compongono il Senato, ci manifeſtano
chiara mente l'Ariſtocrazia, e non la Monarchia, anzi neppure un miſto dell'una
è dell'altra; perchè la coſtituzione d'un Capo del Senato, ſempreche tutte le
pubbliche determinazioni ſono riſerbate alla pluralità de' Suffragj dei
Senatori s non ſi può aſcrivere, che ad un più ordinato regolamento del Senato
mede ſimo, come avviene in tutti i Ceti di per fone, in cui vi ſia un Capo, il
quale ſembra effer neceſſario, affinchè ſia meglio regolato il Corpo intiero di
quei, che lo compongo ño; ma non già che la coſtituzione del Capo vaglia à
mutare o alterare in minima parte il fiftemå del Ceto medeſimo. So bene, che
anche nelle Monarchie fogliono eſſervi i Se nati, maſlime de Grandi dello Stato
ma cali Senati ſono di gran lunga diverſi da quello, che fu ſtabilito in Roma
forto Romolo; poi chè il Monarca talvolta ſuole commettere a C4 quals 40. DEL
GOVERNO CIVILE 0 qualche Geto di Perſoné la deliberazione de gli affari, o
pubblici, o privati; ma tali de liberazioni non oltrepaſſano i confini d'un
mero configlio, ſicchè rimane maiſempre al Monarca la facoltà di approvare, di
repu diare la deliberazione; quanto a dire, che la determinazione dipende
maiſempre dall' arbitrario fuo volere e non dai ſentimenti dei ſuoi
Conſiglieri; ragion, per cui nelle Mo narchie ſi trovano talvolta ſtabiliti
tali Ceti di perſone, che ſogliono aver nome di Con ſiglieri del Monarca.
All'incontro il Senato di Roma era compoſto di perſone, di cui ognu na ſpiegava
uguale autorità a quella di Ro molo per le pubbliche determinazioni, e queſta
tal ſorta di Senato Regnante è quel la propriamente, che coſtituiſce la vera
forma di Governo Ariſtocratico. Quindi pof ſiamo francamente affermare, che dove
re gna la Poteſtà fuprema nel Senato, ivi non vi può eſſere neppur l'ombra
della Monar chia, ed al contrario dove regna la Monar chia, ivi non può eſſervi
Senato di poteftà ſuprema; perchè l'una e l'altra forma di Go verno DI ROMA.
4.1 3 come verno non ſi diſtinguono in altro, ſe non che nella Monarchia la
poteſtà fuprema riſiede in un folo, e nell' Ariſtocrazia in molti. Ma per eſſer
meglio convinti d'una tal ve rità, ci conviene di eſaminare con maggior
diſtinzione quel Capo di Poteítà, che riguar da lo ſtabilimento delle Leggi, il
quale più d'ogni altro fa diſtinguere la Monarchia dal? Ariſtocrazia, ſecondo
che venga eſercitata da un ſolo, o da molti, è che ſecondo il ſenti mento di
tutti i Politici ſi conſidera la maſſima nell' amminiſtrazione dello Stato. In
fatti tra tutte le pubbliche deliberazioni la più ſpecioſa ed importante è
certamen te quella, che diceſi poteſtà Legislativa; poi chè lo ſtabilimento
delle Leggi, come quel lo, che più d'ogni altro riguarda l'intereſſe e la
pubblica tranquillità, è il punto più ge lofo, che poſſa eſſervi nel
regolamento del le Società Civili, e come tale ci manifeſta, e ci fa
diſtinguere ad un tratto la Monarchia dall'Ariſtocrazia. La ragione ſi è,
perchè pre ſcriver la Legge allo Stato altro non è, che obbligare e ſoggettare
tutti i particolari mes 42 DEL GOVERNO CIVILË membri del Corpo Civile alla
cieca obbedien za di ciò, che la Legge comanda; e perciò ñon li può riconoſcere
poteſtà più ſublime di quella di poter comandare la Legge. Or fen za biſogno di
ſoggettarci ſu tale articolo ai ſentimenti degli Storici; qualora ci riuſciſſe
di dimoſtrare, che la Poteſtà Legislativa di fat. to riſedeva non nella perſona
di Romolo, ma preſſo l'Ordine del Senato regnante, non ci rimarrà luogo da
dubitare, che l'iſtituzio ne del Governo folle di forma mera Ariſto craticào É
qul fa d’uopò di ricorrere alla narrazio ñê del Giureconfulto Pomponio nella
Legge feconda de Origine juris į ove impreſe con particolari cura à trattare
dell'origine delle Leggi Romane · Ci fa egli ſapere, che ſul principio il
Popolo Romano ſi regolava ſenzos leggi certe e determinate; ma che tutto ſi go
Bernava col mezzo della dutorità del Re (a). A tal (a ) L. 2. 9.1. de Orig.
Juris: Et quidem initio Ci vitatis noftrae Populus fine lege cerca, fine jure certo
pri DI R O M A. 43 A tal narrazione di Pomponio gl' Interpreti del Dritto
Civile, valutando aſſai più la di lui Autorità, che quella di Dioniſio li
dettero a credere che realmente il Governo iſtituito fotto Romolo folle itato
Monarchico, poichè (dicono eſli ) ſe ne primi principi della fonda zione di
Roma al dir di Pomponio non v'era no leggi ſtabilite, e determinate, ma tutto
li regolava collº autorità del Re, ne liegues neceſſariamente, che la forma del
Governo cominciare dalla Monarchia. Ma io non sò, come tali Interpreti poſſano
formare da quelle parole di Pomponio un tal giudizio, quando dall' altre, che
ſeguono, li dimoſtra il con trario. Indi (fiegue Pomponio ) eſſendoſi ing
qualche maniera ingrandita la città, dicéſi, che lo ſtesſo Romolo aveſſe diviſo
il Popolo in trenta parti, chiumate CURIE a motivo, che allo primum agere
inſtituit, omniaque manu Regis guber nabantur. NellePandette Fiorentine leggefi
MAŇU A REGIBUS GUBERNABANTUR ma de ciocchè fregue, e dall' eller direito il
diſcorſo di Pomponio alla perfona di Romolo, dee fi piuttosto abbracciare la
lezio ne volgata, omniaque manu Regis gubernabantur. 44 DEL GOVERNO CIVILE
allora Spediva gli affari della Repubblica coi ſentimenti, e colle
determinazioni delle medeſime Curie; ed in tal maniera promulgò egli alcune
leggi dette CVRIATE, come fecero altresì i Re ſuoi ſucceſſori (a ). Or fe folle
vero, che Romolo cominciaſſe a governare la Città colla fornia Monarchica,
dovrebbe eſſer falſo, che lo ſteſso Romolo indi ſtabiliſſe la Repubbli ca degli
Ottimati, con attribuire al Senato l' Autorità ſuprema di diſporre degli affari
pub blici per mezzo della pluralità de' Suffragi. Nè vale il ſupporre, che
Romolo regolaſſe, la Città coi ſentimenti delle CURIE di puro conſiglio, quafi
che ſi riſerbaffe l'arbitra rio volere di ſeguire, o di ripudiare tali fen
timenti. Imperciocchè lo ſtello Pomponio chia ramente s'eſprime, che gli affari
ſi determi navano per Sententias partium earum, che in buon (a ) Poftea
au&a ad aliquem modum Civitate ipfum Romulum traditur, Populum in triginta
partes divififfe, quas partes Curias appellavit, propterea quod tunc
Reipublicae curam per Sententias partium caruni expediebat; & ita leges
quaſdam & ipfe Curiatas ad Populum tulit. Tulerunt & fequentes Reges.
DI ROMA. 45 buon latino non poſſono ſignificar Configlio; ed oltracciò le Leggi
ſi chiamarono Curiato non per altra ragione, fe non perchè le de terminazioni
venivano preſcritte co' ſentimens ti delle ſteſse Curie, e non dall' arbitrario
vo lere di Romolo. Egli è vero, che tali Leggi coll'andar del tempo furono
anche dette Regie a cagion che ſi proponevano dai Re ne' Co mizj Curiaci; ma
poichè tutti gli Storici con vengono nell'affermare, che gli affari li de
terminavano dalSenato a relazione degli ftelli Re, come Capi di quella adunanza,
non ci dee far maraviglia, ſe le Leggi ſi foſſero dette anche Regie; perchè
venivano propoſte dal Capo del Senato, cui ſi dette il nome di Re. Dunque fe
vogliamo credere più a Pompó nio, che a Dioniſio, pure ſiamo obbligati
coll'autorità dello ſteſſo Pomponio di ammet tere ne' tempi di Romolo l '
Ariſtocrazia, u non la Monarchia; perché altrimenti non ſi potrebbero comporre
le prime colle ſeguen ti parole del Giureconſulto. All'incontro egli farebbe
coſa ridicola il ſupporre, che pri ma di ſtabilirſi le leggi certę, Romolo go f
ver 46 DEL GOVERNO CIVILE vernaſse da Monarca, e che poi iſtituiſſe l'
Ariſtocrazia; e quando anche potefle'aver luogo una tal fuppoſizione, non
dobbiamo at tenerci a quel che foſſe ſeguito, prima che ſi dalle una certa
forma al Goveșno, la quale non fi dee ripetere, fe non dal tempo, in cui la
Città preſe i ſuoi certi regolamenti. Ма,per meglio chiarirci di tal verità,
con „ viene di riflettere, che quella eſpreſione di Pomponio, cioè, che fu i
principi della cit tà non v'erano leggi certe, ma che tutto ve niva regolato
coll'autorità di Romola, non può ſignificare forma di Governo Monarchi co, come
è itata appreſa dagl' Interpreti. E qut fa d 'uopó d'inveſtigare la vera
ſignifi çazione di quelle parole, Omniaque manu Regis gubernabantur. La voce
Manus, è vero, che per traslato • ſtata anche appreſa da' Latini in ſenſo di
poteftà (a); pure non hanno 1 (a ) I Latini quandą apprefero la voce Manus in
senſo di POTESTA', s' avvalſero di quelle locuzioni IN MANU ESSE, HABERE, IN
MANUM CON VE DI ROMA, 47 hanno mai detto gubernare manu in ſenſo di governarc,
colla poteſtà; nè mai trovaremg gubernare, o regere, o altre fimili parole in
ſieme colla voce manu, per ſignificare poteſta nel governo, Molto meno può
adattarſi alla voce manus la ſignificazione di arbitrio, o la diſpotiſmo, come
piacque ad altri Inter preti; perché un tal difpotiſmo altro non è, che poteft
fuprema, ed indipendente; ma comunque ſi apprenda tal poteſtà, ſiamo pur troppo
ſicuri, che nel linguaggio latino quel gubernare many non ſi può apprendere in
ſen ſo di poteft. In queſta eſpreſſione adunque di Pomponio la voce manus deeſi
riferire a tutt'altra intelligenza, che a quella di po teſtà; e poichè tal voce
è ſtata anche appre fa dai Latini in ſenſo di forza, e di valore di corpo, o
d'animo, come la troviamo in tan te locuzioni (a), non poſſiamo fpiegare il
detto VENIRE > DARE, MANU MITTERE fimili. (a) Nel fenſo di FORZA, VALORE, E
CO RAGGIO i Latini han detto MANUS MILITARIS, MA 48 DEL GOVERNO CIVILE detto di
Pomponio, ſe non nel ſenſo d ' ef ferli in quelle prime origini della Città re
golati gli affari colla forza, col valore, e col la guida di Romolo, come
quegli, che tra quelle poche perſone, che ſi unirono ſeco lui nella fondazione
della Città, facea la fi gura di Capo e Duce. E queſta intelligen za ci fa
intendere altresì tutto il compleſſo del racconto di Pomponio; poichè,
dic'egli, che ne' principi il Popolo vilfe ſenza legge certa, fine lege serta,
fine jure certo; perché prima di ſtabilirſi moltitudine cale di abitanti, che
formafle un corpo abile a comporre una Società Civile, non v'era biſogno di
formare leggi e regolamenti pubblici, ma tutto re golavaſi con quei medeſimi
coſtumi, fecon do i quali erano ſtati educati quegli ſteſli, che unironſi con
Romolo; e perciò dice Pomponio, che ſi vivea ſenza Leggi certe, perché MANUS
ARMATA, MANUM CONSERERE, IN JICERE, INFERRE MANUM ALICUI REI IMPONERE, MANU
DOCERE, e fimili. E noz Italiani abbiamo ritenuta l'eſpreſione di MANO RE GIA
per hgnificare la forza legittima dello Stato di pronta, e spedita eſecuzione.
D'L ROMA. 49 perchè allora la Legge era la voce mede ſima del Capo dell'unione,
il quale poteva occorrere ad ogni diſordine. Ma quando poi crebbe la
moltitudine degli Abitanti, allora biſognava di ſtabilire le Leggi, non poten
doli regolare un Corpo Civile colla fola voce parlante del Duce. In fatti le
Leggi certe e ſtabilite altro non ſono, che voci mute di chi governa; e ſiccome
per regolare i pic coli Corpi può baltare la voce parlante di chi gli regge,
cosi moltiplicataſi l'unione degli abitanti, e pervenuta al grado di formarli
un Corpo conſiderabile richiede neceſariamente lo ſtabilimento di Leggi certe,
le quali pre ſtino l'uffizio della voce medelima di quel Ceto, preſso di cui
riſiede la pubblica pote ftà. Ciò ſuppoſto, fino a tanto che Roina ven ne
abitata da piccol numero di perſone, la vo çe parlante di Romolo baſtava per
regolare gli affari; ma moltiplicatoſi il numero, fi do vette venire alle
determinazioni delle Leggi certe, non potendoſi altrimenti ſoſtenere un Corpo
Civile. Ma prima di ſtabilirfi tali Leg gi non poſſiamo ſupporre, che Romolo co
Tom. 11. D man 50 DEL GOVERNO CIVILE mandaffe coll'arbitrario fuo volere;
perchè lo Steffo Po mponio ci aficura, che quando ci fu biſogno di stabilire le
Leggi certe, furono queſte determinate colla pluralità de' fuffragi delle Curie,
o ſia del Senato; e poichè non è poſſibile l'immaginare, che il Governo per
coså breve tempo dipendeſse dal voler del Mo barca, e che immediatamente poi
paffalle nella poteſtà Ariſtocratica, perciò dobbiams conchiudere coll'
autorità dello ſteſſo Pompo nio, che fin dal principio la Città fu eretta colla
forma del Governo Arittocratico. Ne G può conoſcere altra divertità tra quel
tempo, in cui fi vivea ſenza Leggi certe, e quell' altro, che venne
immediatamente, in cui furo no ftabilite le Leggi, fe non che in quello la
poteſtà degli Ottimati ſpiegavafi colla voce parlante di Romolo, manu Regis,
laddove in quefto il Senato fpiegava la ſua poteſtà colla voce muta delle
ſtabilite Leggi; ma l' uno e l' altro tempo riconobbe la medeſima forma,
Ariſtocratica; Quindi è ancora, che quelle locuzioni di Pomponio ſine Lege
certa, fine's jure certo, non si poſſono apprendere, come fecea DIROMA. 51
fecero alcuni Interpreti, quaſiché il regola mento in quel tenipo folle vario
ed inco ftante, perché non ſi può fingere ſocietà di Uomini, che vivano ſotto
un yario fiftema di Regolamento, ma ſi debbono riferire a quella intelligenza,
che meritano, cioè che tutto veniva preſcritto a voce ſecondo le opportu nità
delle contingenze, che ſpiegavali col mezzo di Romolo loro Capo; perché non v '
era biſogno ancora di ſtabilirſi leggi certe, come figui poi colla moltiplicazione
degli abitanti, Siegue Pomponio a narrare, che eſéndoli diviſo il Popolo in
trenta Curie, coi di cui ſentimenti li determinavano gli affari, allo ra
cominciaffero a ſtabilirli le. Leggi cere te, che furono perciò dette Curiate,
come fecero altresi i Re fuoi fucceffori: Et ita le ges quafdam cuo ipſe
Curiatas ad Populam tri lit, tulerunt eam fequcntes Reges: 1 qut gł Interpreţi
del Dritto Romano per ſoſtenere la fognata Monarchia di Romolo caddero in
tun'al tro equivoco nell'apprendere l'eſpreſſione di Pomponio di ferre legem ad
populum in fente D2 d'ef 52 DEL GOVERNO CIVILE d'eſſerſi comandate le leggi da
Romolo, e dai Re fuoi fucceffori. E febbene una tale interpretazione ſi oppone
direttamente a cioc. chè lo ſteſſo Pomponio riferiſce nelle parole antecedenti,
cioè che il governo della Re pubblica ſi amminiſtrava per mezzo de' fen timenti
delle Curie: propterea quod tuma Reipublicæ curam per ſententias earum partium
expediebat; pure abbagliati da quel guberna bantur manu Regis, ſi videro
obbligati a rico noſcere nella perſona di Romolo e degli al tri Re la poteſtà
fuprema di comandare le leggi. Siminaginarono dunque, che lo ſta bilimento
delle Curie non toglieva al Re la poteſtà Monarchica, poichè febbene il Sena to
interveniva nelle deliberazioni dello Stato, pure i ſentimenti delle Curie ſi
debbono ri ferire piuttoſto a ragion di conſiglio, e che in conſeguenza la
poteſtà di comandare le Leggi riſedeſſe preſſo di Romolo, e ſuoi Re ſucceſſori.
Or (dicono eſli) ſe la poteſtà di co mandare le Leggi, al dir di Pomponio, fpie
gavaſi dal Re, ne ſiegue, che la forma del Governo debbafi attribuire anzi a
Monarchia, che, DI ROMA che ad Ariſtocrazia. Ma io non só intendere con qual
fondamento poſſano afcrivere l'e ſpreſſione latina di ferre legem ad populum al
fenſo di comandare, e preſcrivere la legge, quando al contrario egli è coſa
notiſlima pref fo i Latini, che il ferre legem nella ſua vera intelligenza
ſignifica ſemplicemente il propor re la legge per determinarji, o ripudiarſi, e
non il preſcriverla, e comandarla; anzichè qualora dagli Scrittori Latini al
ferre legem fi aggiligne ad populum, ad plebem, e ſimili, non v'è eſempio, che
foſſe ſtata mai tal lo cuzione appreſa in ſenſo di comandare la leg ge al
Popolo, alla Plebe, ma ſempre nel ſen ſo di proporla, per determinarſi dal Ceto
del Popolo, o della Plebe (a ). E quando la lega ge propoſta veniva coi
fuffragi ſtabilita v preſcritta, allora diceaſi lex juſſa, condita; ſic chè
altro era il ferre, altro il jubere legem; il ferre fignificava proporre, ed il
jubere pro D 3 pria (a ) Vedi Briſſonio de Formulis lib. 2. cap. 17. 2 109. il
quale traſcrive i laoghi degli Scrittori Latini ſu sale articolo DEL GOVERNO
CIVILE priamente dinotava la determinazione, o sia le juffione della legge. Tra
gli altri Scrittori Latini ſono innumerabili i luoghi di Livio, in cui cgli îi
avvale dell' eſpreſsione di ferre legem, o pure rogationem, nel ſuo vero ſenſo
di propar re, e non già di comandare, e ſoprattutto quando riferiſce le
pretenſioni de' Tribuni del la Plebe, in cui fa uſo della voce ferre ine fenſo
ſempre di proporre o promuovere, e lis mili, e non mai di preſcrivere, o
comandare, perchè i Tribuoi della Plebe non aveano altra facoltà, fe non quella
di promuovere, e di eſporre le petizioni del Ceto plebeo, e non già di
comandarle. Ma per eller convinti di queſto vero ſenſo ſecondo l'originaria fua
fi gnificazione baſta un luogo folo di Livio, in eui eſpreſamente ſi addita la
differenza tra "! ferre, e jubere legem. Racconta egli, che pell'anna 372.
il Senato -ordinà, che ſi fosſe pro poſto al Ceto plebeo la deliberazione d'
intimark la guerra a' Popoli di Veletri. I Patrizi co nofcendo d' eſſerſi
laſciata più volte impunitra la ribellione de' cittadini di Veletri, decreta
rono, che al più preſto che fosſe poſſibile, ſi pro poneffc DI ROMA SS
ponefe,al Ceto plebeo l'affare d' intimarye loro la guerra, e che propoftafi
una tal delibera zione tutte le Tribù conſentirono a coman dare', e determinare
una tal guerra. E qui Livio eſpreſſamente fi avvale della voce fer re, quando
parla di proporſi l'affare al Ceto plebeo, e della voce jubere, quando
riferiſce la juffione della guerra ſeguita coi fuifragj di tutte le Tribù (a ).
Egli è vero, che l' eſpreſ Gone di ferre legem é ſtata poi dai Latini tra
ſportata anche a fignificare la promulgazione della legge in quelle locuzioni
Lata lex eft, e limili; ma neppure "la trovaremo uſurpata in queſto ſenſo,
quando ci ſi aggiugne ad Populum, ad plebem c. perchè allora ritie ne l'
originaria ſignificazione di proporre, e non di promulgare (.b). Comunque però
fi D4 ap (a ) Liviv lib. 6. Cap. 21. Id Patres rati contemptu accidere, quod
Veliternis Civibus ſuis tamdiu impuni ' ta dete &tio effet, decreverunt, ut
primo quoque rem pore ad populum FERRETUR de bello cis indicen do...... Tum, ut
bellum JUBERENT, latum ad Populum eft; & nequidquam diffuadentibus Tribu
nis Plebis, omnes Tribus bellum JUSSERUNT. (b) Tum ut bellum juberent, LATUM AD
PO PULUM EST. Livio loc. cit. 56 DEL GOVERNO CIVILE apprenda, o in ſenſo di
proporre, o di pro mulgare, egli è fuor di dubbio, che non mai può ſignificare
juffione è determinazione della legge. Ciò ſuppoſto, per ritornare ora a
Pomponio, ognun vede, che le di lui parole: Et ito leges quaſdam & ipfe
Curiatas ad populum tue lit; tulerunt ex Sequentes Reges non pofſono
apprenderli nel ſenſo, che Romolo, e gli altri Re aveſſero preſcritte le leggi
Curiate ſe non vogliamo tacciare il Giureconſulto per ignorante del linguaggio
latino, ma quel tu lit ad populum deeſi riferire a quella facoltis che riſedeva
ſoltanto preſso la perſona del Re, di proporre gli affari pubblici in Senato,
ed in conſeguenza le leggi, la di cui juffio ne nondimeno dipendeva dal
fuffragio delle Curie medesime per fententias earum partium, e non
dall'arbitrario volere del Re; e le leg gi fi diſſero Curiate non per altra
ragione, ſe non perché vennero preſcritte, e comandate dalle Curie, e non dal
volere del Re, quan tunque egli come. Capo del Senato, e come riconoſciuto per
lo più abile e favio trai Senapa " DI ROM A 57 Senatori godeſſe la facoltà
di proporre cioc chè gli ſembrava più eſpediente per l'ottimo regolamento dello
Stato; ma' una tal prero gativa fu fpiegata' altresì dopo il diſcaccia-, mento
de'Re dai Conſoli, dai Tribuni mili tari di poteſtà Confolare, dai Ditcatori, e
da altre Magiſtrature di ſublime autorità, le quali tutte proponevano al Senato,
alla Plebe, al Po polo tutto, le determinazioni degli affari pub blici, e
maſſime delle leggi; niuno però fin è ſognato finora di aſcrivere la forma del
Go verno ſotto i Conſoli a Monarchia, perchè la ragione di Capo d'un Popolo
ſenza carat tere di poteſtà aſſoluta non può produrre Monarchia, fe non
vogliamo confondere ! idea del Governo Monarchico coll' Ariſtocra tico e
Democratico. winno Conchiudiamo adunque. Gli Scrittori chepiù degli altri ci
narrano con qualche diſtinzione la forma del Governo tenuta ſotto Romolo, fo no
Dioniſio, e Pomponio. Il primo ci de fcrive chiaramente la coſtituzione del
Senato, dal di cui arbitrio dipendevano le determina zioni degli affari e
l'intiero regolamento dello 58 DEL GOVERNO CIVILE dello Stato, ciocchè eſclude
di fatto ogniom bra diMonarchia in perfona di Romolo. Il fecondo non ſolamente
non fi oppone a quan to riferiſce Dioniſio, anziché ce lo conferma più
chiaramente, prima col riferirci, che nel naſcimento della Città non v'erano
leggi cer te e preſcritte, ma che tutto regolavaſi col conſiglio e guida di
Romolo, ed indi cot narrarci, che creſciuta in qualche maniera la moltitudine
degli abitanti, fu neceffario di venirli allo ſtabilimento delle leggi certe.
Quali leggi inſieme col reſto de' pubblici af fari, eſſendoſi diviſo il Popolo
in trenta Cu rie, furono preſcritte col fuffragio delle me defime; ragion, per
cui fi diſsero leggi Cum riate; e che finalmente la prerogativa di Rom molo,
come Capo del Senato, fi riduceaus alfa - facoltà di proporre predo il Ceto de
Se natori ciocchè gli ſembrava opportuno per determinarli gli affari dal Senato
medeſimo per ſententias carum partium. In fomma, che Je leggi col reſto delle
pubbliche determinazia -ai fi ſtabilivano colla juſsione delle Curie, o fia del
Senato, non si può negare per l'alt torita DI ROM A. 1 59 torità di Pomponio,
di Dioniſio, di Livio, e di tutti gli Storici, i quali concordemente combinano
ſu tale articolo. Il determinarli gli affari per ſententias delle ſteſſe. Curie
e de Senatori, in buon latino non può fignifica re pareri confultivi, ma
juſsione per mezzo della pluralità de* fuffragi. Quel tulit leges ad populum
attribuito a Romolo, ed ai Re fuc celori, altro non contiene, che la facoltà
del Re nel proporle, e non già nel comandarle, e prefcriverle. Dunque dai detti
degli ſteffi Storici siamo convinţi, che la forma del Gom verno iſtituita fatto
Romolo non ebbe nep pur l'ombra dellaMonarchia, perché doves vi è Senato,
preffo di cui rilieda la poteftà. ſuprema di decidere gli affari dello Stato,
ivi non vi può regnare il Monarca. E per ultimo troviamo nella Storia Civile di
Romaun fatto incontraſtabile, che di ſya natura ci dimoſtra, quanto foffe
lontano dalla Monarchia il Governo Civile iſtituito foto Romolo. Egli è troppo
noto il dritto di Pa tria poteſtà, che eſercitavaſi in Caſa dal Citta dino
Romano ſulla ſua famiglia ſenza limiti, @fen. 60 DEL GOVERNO CIVILE 3 e fenza
la minima dipendenza dal Re, o dal Senato. Non intendā io qui di quella potefta
patria praticataſi nei tempi poſteriori, e maf fime fotto gl’Imperatori, ma di
quell'affolu to Impero Paterno eſercitato fin dalla fonda zione di Roma, e che
dai Decemviri fu tra-. ſcritto nelle xir. Tavole, come riferiſce Dio-, niſio (a
). Era certamente la Patria poteſtà di quel tempo fornita d'un aſſoluta
dominazio ne ſulla ſua famiglia, finanche verſo i pro prj. Figli, fovra di cui
il ' Padre eſercitava dritti di vera Monarchia, com'era l'effer di ſpotico
della vita, e della morte loro (b), eltre dell'arbitraria facoltà di poterli
vende re, in manierachè dopo la terza vendita i Fi gli di liberavano dal
diſpotiſmo Paterno (c). Or queſto dritto Patrio, che con vera efpref fione (a)
Antiq. Rom. lib. 2. (b ) Sull' autorità di Dioniſio gl' Interpreti del dritco
Romano compoſero quel capo di legge delle mit. Tavole con quelle parole: ENDO
LIBERIS JUSTIS VITAE NECIS VENUM, DANDIQUE POTE STAS EI ESTO. (c ) SI PATER
FILIUM TER VENUM DUIT, FILIUS A PATRE LIBER ESTO: altro capa delle? DI ROMA. 61
fione da Valerio Maſſimo (a) e da Quintilia no (b) venne detto Patria Majeſtas,
fu eſerci tato dai Romani non ſolamente dal teropo della promulgazione delle
XII. Tavole, ma fin da’ pri ra, delle xir. Tavole riferito da Ulpiano tit.
10.5. 1. E Dionifio loc. cit: Romanorum autem legislator (inc tende di Romolo )
omuem ur breviter dicam, pour teſtatem patri dedit in filium, idque toto vitae
tem pore, five in carcerem eum detrudere; five fla gris caedere, five vinctum
ablegare ad ruſtica ope five necare libeat, etiamli filius tractet Rempue.
blicam, etiamfi Magiftratus gefferit maximos, etiamſi fudii erga Rempublicam
laudem fit promeritus. Jux ta hanc certe legem illuſtres viri pro roftris
favente plebe concionantes in Senatus invidiam, fruenteſque aura populari,
detracti e ſuggeſto, abducti ſunt apa tribus, poenas daturi ex ipforum
fententia; quos, duin per forum ducerentur, nemo adftantium eripere poterat,
non Conſul, non Tribunus, non ipſa turba, cui tuin adulabantur, licet omnem
poteſtatem ſua minorem exi ftimans. Taceo, quot viri fortes necati Gnt. a patri
bus &c.... Nec contentus hanc poteſtatem parentibus dediffe Legislator
Romanus, permifit etiam vendere fi lium.. Majorem largitus poteſtatem patri in
filium, quam hero in mancipiuin; lervus eniin ſemel venditus, deinde libertatem
adeptus, in poſterum fui juris eſt; fi lius vero a patre venditus, fi liber
fieret, rurſum fub ра tris poteftatem redigebatur; iterum quoque venunda tus,
& liberaçus, fervus patris crat tertiam demum yendiționem eximebatur e
patris po teſtare & c. (a) Lib. 7. Cap. 7. (b ) Declamat. 378., ut ante?
poſt 62 DEL GOVERNO CIVILE primi tempi di Roma, poichè Ulpiano (a ) afferma
d'ellerli introdotto moribus, cioè, non per legge ſcritta, ma per antichillimo
coftu me Patrio; Dioniſio (6) lo riferiſce ad una legge di Romolo; e Papiniano
(c) l' attri buiſce ad una legge Regia. Ma Ulpiino a mio giudizio l'indovina
meglio di tutti, coll' affermare d'eſerli tal dritto di Patrią poteſtå ricevuto
per coſtume; e la ragione ſi è, perchè una tal poteſtà diſpotica del Padre di
famiglia dobbiamo fupporla nata inſieme col la coſtituzione delle Famiglic
medefime, e prima che quefte conveniſſero a formare So cietà Civile, ſicchè troyandofi
tal coſtuine già introdotto nello Stato di famiglie, natu ralmente fu
conſervato e ritenuto dalle Fa miglie, che convennero con Romolo nella fon
dazione di Roma. In fatti tal coſtume trovali quaſi uniforme in tutte le
Nazioni ne'loro for gimenti per le chiare teſtimonianze degli an tichi (a) L.
8. de his, qui ſunt fui, vel alieni juris. (b ) Loc. cit. (c ) Collar. leg.
Mofaic. tit. 4. ). 8. DI KO MA. 63 3 tichi Scrittori (a ). E ſebbene Triboniano
(b ) credette, che folle queſto dritto proprio de' Romani, pure s'inganno,
forſe dall' avere of fervato, che ne’tempi, in cui i Romani eſer citarono
queſto dritto con aſſoluta poteſtà, e. nel maſſimo ſuo rigore, l'altre Nazioni
l'avea. no già raddolcito con ridurlo a limiti più be. nigni ed umani, come
avvenne altresì pref fo gli itefli Romani, mallime fotto gl'Im peradori, nella
di cui età la poteità Patria decadde in buona parte dall'antico fuo ri gore.
Comunque sia, quanto al preſente ar gomento çi baſta di potere afficu are colla
tea ftimonianza di tanti Scrittori, che il Diſpo tilmo Patrio fu eſercitato
da'Romani fin dai primi tempi di Romolo. Qui cade in acconcio di riflettere
ciocche gli Storici ci narrano dell'accuſa d'Orazio per aver ucciſa la Sorella
in atto, che ritornava trion (a) Ariftotele Nicomache lib. 8. cap. 10. Cefare
lib. 6. de bell. Gill. cap. 9. Plutarco in Lucullo · Giustiniane Novel la 1 34
• (b ) Inf. lib. 1. tit. 9. 1. 2. 64: DEL GOVERNO CIVILE trionfante per la
vittoria contro i Curiazi. Dioniſio fembrami', che racconti il fatto al ſai
meglio di Livio, allorchè cinarra l'accuſa, e'l giudizio d'Orazio, in cui non
fa men zioné né del Giudizio de' Duum viri, nè dell' appellazione propoſta da
Orazio al Popolo, che ſono le due circoſtanze che fi leggo no in Livio (a ); ma
ſemplicemente ci rac conta, che füll'accuſa propoſta da taluni con tro Orazio
al Re Tullo, il Padre di Orazio, oltre di aver dichiarato di non meritare fuo
Figlio la minima pena, pretendeva, che un tal giudizio apparteneſſe
privativamente alla di lui cognizione, tractandoſi d'un fatto acca duto tra i
ſuoi figli, e che in confeguen za per dritto di poteſtà Patria dovea egli ef
fere il giudice di queſta Cauſa (b). Ma il Re per una parte credeva anch'egli
di doverli af fólann (a) Lib. 1. cap 26. (b) Dioniſ. Antiquit. Romanarum lib.
3. Pater contra patrocinabatur filio, acculans filiam, & negans eam
dicendam cædem, fed poenam verius, poftulabatque fibi de fuis malis permitçi
Judicium ut qui ambo rum effet Pater. 2 • Í Ř OM Å 68 folvere Orazio io
benemerenza della vittoria ed in conſiderazione dell'inſulto di parole fat to
dalla Sorella al Fratello in tempo, che aſpettava dà lei piùcche da ogni altro
lode, ed applauſo per un'opera egregia preſtata alla Pa tria; è molto più à
cagione, che il Padre preſſo di cui rifedevå fecondo i coſtumi di que' tempi
l'indipendente poteſtà di giudica re ſulle perſone de propri Figli fi era
dichia rato d'averlo già adoluto (a ).Dall'altra parte il Re temeva il tumulto
Popolare eccitato dagli emuli, ed inimici d'Orazio. Tra tali dubbiezze pensò di
prendere l'eſpediente di rimettere la cognizione della Caufa al Popo lo, il
quale confermò il giudizio Paterno con affolvere l' accufato Orazio. Un tale
rac conto è molto più verifimile di quel; che ci narra Livio fúl giudizio de '
Duumviri, e dell' appellazione propoſta da Orazio al Popolo; poichè in que'
tempi l'Impero Paterno eras Tomo 11. E nel (a ) Dioniſ. loc. cit. Praeſertim
patrc quoque ipſum abfolvente, quem potiſſimum Filiae ultorem jus * natura
fecerar: 66 DEL GOVERNO CIVILE nel ſuo miglior vigore; nè il Re fenza of
fendere le leggi del Patrio Impero potea to gliere il giudizio di queſta Cauſa
dallauto gnizione del proprio Padre, e tasferirlo ai Duumviri, e molto meno in
ſimili Cauſe era permello al Popolo di prenderne cognizio ne in pegiudizio del
dritto Paterno; Ma la contingenza ſtraordinaria d ' eſſerſi mella, la Città in
rivolta per queſto fatto, produſela neceflità di ſedarſi il tumulto
coll’eſpedien te politico di rimettere l'affare al giudizio del Popolo, e l'
Impero privato del Padre dovette cedere alla ragione della pubblica
tranquillità... E quindi intendiamo ancora la ragione, per cui Dioniſio riferiſce,
che que Ita fu la prima volta, in cui il Popolo preſe cognizione d ' un
giudizio Capitale (a), non gia perchè prima di queſto tempo non aveſſe mai il
Senato giudicato di delitti capitali, come (a) Pion. lor. cit. Populus autem
Romanus tum pri mum Capitalis Judicii poteftatem nactus, compro bavit Patris
fententiam Juvenemque abſolvit a cac dis crimine, DI ROMA.. 67 come ſe prima
non foſſero mai accadute con tingenze fimili o fe al Senato, che gode vala
ſuprema poteſtà del Governo folle mancata fino allora quella di poter giudica
re di delitti Capitali; Ma l'eſſere ſtata que. fta la prima volta, in cui
eſercitoſli dal Po polo il dritto di giudicare d ' un delitto Ca pitale, deeſi
riferire al fatto particolare, di cui ſi trattava, cioè alla poteſtà di
giudicare d'un Figlio di Famiglia contro il ricevuto ca ſtume dell'Impero
Paterno, a cui privativa mente ne apparteneva la cognizione. Or per tornare al
noſtro propoſito diciamo, che fe que? Scrittori, i quali s'immaginarono, che
Romolo infieme coi Re ſucceſſori fpiegaro no carattere di Poteſtà Monarchica,
aveſsero fat to oſſervazione ſull'Impero Patrio, e familia re praticato da ’
Romani fin dalla fondazione della Città, ſi ſarebbero accorti dell' impof
ſibilità di poterſi unire inſieme Monarchia, Civile prello del Re, e Monarchia
familiare preſſo i privati Cittadini; poichè chi dice Monarchia familiare
prello de' privati Citta dini cfclude ogni ombra di Monarchia preſſo E 2 il 68
DEL GOVERNO CIVILE ma dello il Re; e la ragione ſi è, perchè fe i Padri di
famiglia ſenza la minima dipendenza non folamente del Capo del Senato fteſſo
Senato regnante erano gli aſſoluti Mo narchi dell'intiera loro famiglia, ſia de
' figli, fia dei fervi, e famoli, come mai poſſiamo figurarci, che tali
Monarchi familiari foſſero nel tempo ſteſſo ſoggetti alla Monarchia Ci vile?
Chiamaſi Monarchia Civile quello fta TO, in cui tutto l'intero Corpo Civile in
tutte le ſue faccende pubbliche e private trovali ſoggetto all'autorità fuprema
d'un folo che comanda. Or chi non vede la manifeſta diſſonanza e contradizione
nel ſupporre il Ceto 'de' Cittadini fornito di po* teftà ſuprema, ed
indipendente nella fua fa miglia, é foggetto nel tenipo Ateſo al Mo narca? E
come mai poſſono fingerfi unite in ſieme poteſtà fuprema, e foggezzione? In
tutte le Società Civili, ove regna la Monar chia, non trovaremo mai poteftà
familiare in dipendente dal Monarca, perchè l'una eſclu de direttamente l'altra.
In fatti tali poteft:s private in perſona de' Cittadini non pollonio altri 3 1
1 1 DI ROMA. 69 altrimenti eſercitarſi, fe non in quelle Socie tà Civili, che
ſiano governate colla formas Ariſtocratica perchè tal forma di Gover no
ſolamente può comportare diviſioni di po teſtà pubblica, e privata; pubblica
preſso il Ceto degli Ottimati e privata preſo le perſone particolari degli
ſteſſi rappreſentan ti della Repubblica, i quali ſpiegano la po teſtà pubblica,
quando uniti inſieme com pongono l'autorità regnante, e la privata, quando
ſeparatamente regolano gli affari para ticolari delle loro famiglie: Or quanto
tal diviſione di poteftà pubblica, e privata è comportabile call' Ariſtocrazia,
altrettanto fi oppone direttamente alla Monarchia veggiamo colla ſperienza, la
quale coſtan temente ci atteſta, che la Monarchia non mai ammette un tale
impero paterno nelle famiglie, come in fatti avvenne preſſo i Ro mani in tempo,
che la Repubblica cadde nella poteſtà aſſoluta del Monarca. Ne poſliamo
figurarci, che la poteſtà fa niliare de' Romani foſſe ſtata in qualche ma niera
ſubordinata alla poteſtà pubblica; pero E 3 chè 9 come / 70 DEL GOVERNO CIVIL E
ché ſono troppo chiare le teſtimonianze de gli Storici, come abbiam veduto,
dalle quali Siamo a ſacurati, che l'Impero Paterno de' Romani in que' tempi
avea carattere di po teſtà aſſoluta; ed indipendente; e quando al tro mancaffe
il dritto vite e necis, e di vendere i propri figli ci dimoſtra chiaramen te,
che non potea eſſere un dritto ſubordina to; poichè i dritti ſubordinati, e
dipendenti riconoſcono neceffariamente certi confini, ol tre de' quali non lice
di eſercitarli; ma qualo ra ſi tratta di dritto ſulla vita, ch' ċ l'ulti mo
termine di ogni poteſtà aſſoluta ſi poſſa uſare ſulle perſone, ceſsa ogni
ſoſpetto di ſubordinazione; ed oltracciò colle chiare teſtimonianze degli
Storici ſiamo convinti, che l'impero paterno di fatto fu eſercitato da’ Romani
ſenza la minima dipendenza del la poteſtà pubblica. Dunque non abbiam cam po da
fuggire da quel dilemma, cioè, che o fi dee ammettere per punto di Storia certa,
che quei Padri di famiglia eſercitavano poteſtà fuprema in caſa, e non poſſiamo
fingere poteſtà Monarchica Civile; o fe vogliamo nega DI ROMA. 71 negare tal
poteſtà familiare ai Padri di fami glia, allora ci ſi chiude affatto la ſtrada
di fapere la Storia Civile di Roma; perchè fe voglianio mettere in dubbio i
punti di Sto ria confermatici concordemente da tutti gli Scrittori, non ſiamo
più in grado di dar fe de a tutto il reſto. Grice: “Unfortunately, Duni, being
the elitist he is, spends more time on the monarchy than the republic, and
focuses on the concept of ‘citizen.’ Wikipedia
Ricerca Imperativo categorico concetto della filosofia kantiana Lingua Segui
Modifica L'imperativo categorico è il principio centrale nella filosofia morale
di Immanuel Kant, così come dell'etica deontologica moderna, altrimenti
chiamata legge morale. Immanuel Kant Introdotto nella Fondazione
della metafisica dei costumi (1785), potrebbe essere definito come lo standard
della razionalità da cui tutte le esigenze morali derivano.
DescrizioneModifica Secondo Kant, gli esseri umani occupano uno speciale
posto nella creazione, nella quale la moralità può essere definita come somma
ultima dei comandamenti della ragione, o imperativi, da cui ciascun uomo deriva
tutte le altre obbligazioni e i doveri. Egli definì un imperativo come una
proposizione che dichiara una certa azione (o anche un'omissione) essere
necessaria. Mentre la massima è un principiosoggettivo, l'imperativo categorico
è invece un principio oggettivo; l'intenzione è poi il fondamento intrinseco
della massima. L'etica di Kant si riferisce a massime e ciò a cui attribuisce
grande importanza è l'intenzione. Un imperativo ipotetico costringe
all'azione in determinate circostanze: se io desidero dissetarmi devo
assolutamente bere qualcosa. Un imperativo categorico, d'altro canto,
denota un'assoluta e incondizionata richiesta: un "devi"
incondizionato, che dichiara la sua autorità in qualsiasi circostanza, entrambi
necessari e giustificati come un fine in sé stesso. È meglio nota nella sua
prima formulazione: "agisci soltanto secondo quella massima che, al
tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale"[1] ma esistono
altre due formulazioni dello stesso imperativo categorico: "agisci
in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni
altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo."[2] e
"La volontà non è semplicemente sottoposta alla legge, ma lo è in modo da
dover essere considerata auto-legislatrice e solo a questo patto sottostà alla
legge."[3] Kant espresse estrema insoddisfazione per la cosiddetta filosofia
popolare dei suoi tempi, credendo che non avesse potuto mai superare il livello
degli imperativi ipotetici: una persona utilitarista direbbe che l'omicidio è
sbagliato perché non massimizza il bene per il maggior numero di persone, ma
questo è irrilevante per coloro i quali sono interessati solo nel massimizzare
risultati positivi solo per sé stessi. Conseguentemente Kant argomentò
che i sistemi di morale ipotetici non possono convincere all'azione morale o
essere visti come base per giudizi morali verso altri, perché gli imperativi
sui quali si basano si rifanno troppo pesantemente a considerazioni soggettive.
Egli presentò un sistema di morale deontologica basata sulle richieste degli
imperativi categorici come alternativa. Natura del concettoModifica Dal
punto di vista di Kant un atto morale è un atto che sarebbe giusto per
qualsiasi tipo di persona, in circostanze simili a quelle nelle quali un agente
si trova nel momento di eseguirlo. La facoltà che ci permette di prendere
decisioni morali è chiamata ragion pratica pura, che è in contrasto con la
ragion pura (la capacità di conoscere) e la semplice ragion pratica (che ci
permette di interagire con il mondo dell'esperienza). La guida alle
azioni determinate dall'imperativo ipotetico ha un uso strumentale: ci dice
cosa sia meglio raggiungere per i nostri obiettivi. Non ci dice, in ogni caso,
niente circa i fini che dovremmo scegliere. Kant, viceversa, considera il
giusto essere antecedente al buono come importanza assoluta; infatti sostiene
che il buono raggiunto ha una irrilevanza morale. La giusta moralità non
può essere determinata con riferimento a niente di empirico o sensuale; si può
determinare solo a priori, con ragion pratica pura. La ragione, separata
dall'esperienza empirica, può determinare il principio secondo il quale tutti
gli obiettivi possono essere determinati come morali. È questo principio
fondamentale della ragione morale che è conosciuto come imperativo
categorico. La ragion pratica pura, nel determinarlo, determina cosa sarebbe
necessario intraprendere senza riferimenti ai fattori contingenti empirici.
Questo è il senso in cui la meta etica di Kant è oggettivistapiuttosto che
soggettivista. Le questioni morali sono determinate indipendentemente dal
riferimento al particolare soggetto che viene loro posto. È per il suo
essere determinata dalla ragion pratica pura, piuttosto che dal particolare
empirico o dai fattori sensoriali, che la moralità è universalmente valida.
Questa morale universale è considerata come un aspetto distintivo della
filosofia morale kantiana e ha avuto un grosso impatto sociale sui concetti
politicie legali dei diritti umani e dell'uguaglianza sociale. Libertà ed
autonomiaModifica Kant vide l'individuo umano come un essere razionale
autocosciente con una scelta di libertà "impura": La facoltà di
desiderare in base a concetti, nella misura in cui il motivo determinante della
sua azione va individuato in lei stessa e non in un oggetto, si chiama facoltà
di fare o di non fare a piacimento. In quanto legata alla coscienza della
capacità della sua azione in vista della produzione dell'oggetto, essa si
chiama arbitrio, mentre se è priva di questo legame, il suo atto si chiama
aspirazione. La facoltà di desiderare, il cui motivo determinante interno,
quindi anche il gradimento, è da cercare nella ragione del soggetto, si chiama
volontà. La volontà è quindi la facoltà di desiderare considerata non tanto
(come l'arbitrio) in rapporto all'azione, quanto piuttosto in rapporto al
motivo determinante dell'arbitrio in vista dell'azione. Inoltre non ha di per
sé in verità alcun motivo determinante, ma, in quanto può determinare
l'arbitrio, la volontà è piuttosto la ragione pratica stessa. Nell'ambito della
volontà può rientrare l'arbitrio, ma anche la semplice aspirazione, in quanto
la ragione può determinare la facoltà di desiderare in generale. L'arbitrio che
può essere determinato dalla ragione pura, si chiama libero arbitrio. Quello
che si lascia determinare soltanto dall'inclinazione (impulso sensibile,
stimulus), sarebbe arbitrio animale (arbitrium brutum). Al contrario l'arbitrio
umano è tale da venire sì sollecitato dall'impulso, ma non determinato, e non è
dunque puro di per sé (prima di acquisire la prerogativa della ragione), ma può
essere determinato ad agire dalla volontà pura. Immanuel Kant, Die
Metaphysik der Sitten, 213 (Metafisica dei costumi, tr.it. a cura di Giuseppe
Landolfi Petrone, testo tedesco a fronte, Milano, Bompiani, 2006, pp.
25-27) Per poter considerare una volontà "libera",
dobbiamo intenderla capace di influenzare il potere causale senza essere essa
stessa causata a fare ciò. Ma l'idea dell'essere di un libero arbitrio
"senza legge", vale a dire un volere che agisce senza alcuna
struttura causale, è incomprensibile. Dunque, un libero arbitrio dovrebbe agire
sotto leggi che esso dà a sé stesso. Sebbene Kant ammise che non vi
potesse essere alcun esempio concepibile di esempio di libero arbitrio, perché
un qualunque esempio ci mostrerebbe solo come una volontà come ci appare — come
soggetto alle leggi naturali — in ogni caso argomentò contro il determinismo.
Propose che il determinismo fosse inconsistente dal punto di vista logico: il
determinista afferma che A ha causato B, e B ha causato C, che A è la vera
causa di C. Applicato al caso della volontà umana, un determinista
potrebbe discettare sul fatto che la volontà non ha un potere causale perché
qualcos'altro ha causato la volontà di agire come ha fatto. Ma tale
argomentazione semplicemente assume cosa si era prefigurato di dimostrare; che
la volontà umana non è parte della catena causale. In secondo luogo Kant
sottolinea che il libero arbitrio è intrinsecamente inconoscibile. Poiché
dunque anche una persona libera non potrebbe avere la conoscenza della propria
libertà, non possiamo usare le nostre sconfitte per trovare una prova del fatto
che la libertà esiste o l'assenza di essa. Il mondo osservabile non potrebbe
mai contenere un esempio di libertà perché non mostrerebbe mai una 'volontà'
come appare a "se stessa", ma solo una 'volontà' che è soggetta alle
leggi naturali imposte su di essa. Ma alla nostra coscienza appariamo come
liberi: dunque trasse le conclusioni che per l'idea della libertà
trascendentale questa sarebbe, libertà come presupposto della domanda
"cosa sarebbe necessario che io faccia?". Questo è ciò che ci
dà base sufficiente per definire la responsabilità morale: il razionale e il
potere dell'auto-realizzazione dell'individuo, che egli chiama "autonomia
morale": «la proprietà che la volontà ha di essere una legge per essa stessa».
Buona volontà, dovere e l'imperativo categoricoModifica Dacché considerazioni
dei dettagli fisici dell'azione sono necessariamente legati alle preferenze
soggettive di una persona, e potrebbero essere attivate senza l'azione del
volere razionale, Kant concluse che le conseguenze che ci si attendeva di un
atto sono esse stesse neutrali moralmente, e quindi irrilevanti alle delibere
morali. L'unica base oggettiva per un valore morale dovrebbe essere la
razionalità della buona volontà, espressa in riconoscimento del dovere
morale. Il dovere è la necessità di agire in rispetto della legge dettata
dall'imperativo categorico. Poiché il suo valore morale non scaturisce dalle
conseguenze di un atto, la sorgente della sua moralità dovrebbe essere semmai
la massima sotto la quale l'atto è eseguito, senza rispettare tutti gli aspetti
o le facoltà del desiderio. Un atto può dunque avere un contenuto morale se, e
solo se, è eseguito con riguardo verso il senso di dovere morale; non è
sufficiente che l'atto sia consistente con il dovere, deve essere intrapreso in
nome dell'adempimento del dovere. NoteModifica ^ Immanuel Kant,
Fondazione della metafisica dei costumi, in Scritti morali, traduzione di
Pietro Chiodi, Torino, UTET, 1995, p. 79 (BA 52), ISBN 88-02-01835-9. ^
Immanuel Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, in Scritti morali,
traduzione di Pietro Chiodi, UTET, 1995, pp. 88 (BA 66-67), ISBN 88-02-01835-9.
^ Immanuel Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, in Scritti morali,
traduzione di Pietro Chiodi, UTET, 1995, pp. 91 (BA 70), ISBN 88-02-01835-9.
BibliografiaModifica Orlando L. Carpi, Il problema del rapporto fra virtù e
felicità nella filosofia morale di Immanuel Kant, Bologna, Edizioni Studio
Domenicano, 2004. Voci correlateModifica Etica Imperativo ipotetico
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Critica della ragion pratica testo filosofico di Immanuel Kant Imperativo
ipotetico termine Fondazione della metafisica dei costumi Wikipedia Il
contenutoEmanuele Duni. Duni. Keywords: costume, o sia sistema di dritto
[sic] universale, diritto universale –
diritto filosofico -- Vico, filologia, Roma, universalita – Cicerone e buono.
Cicerone e onesto – Cicerone dice la verita, il diritto romano universalisabile
--. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Duni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691454043/in/photolist-2mLMxLY-2mKC3nj-2mKNdog
Grice e Duso – Romolo e compagnia – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Treviso). Filosofo. Grice:
“While Duso is right that Hegel makes constitution and freedom analytically
connected, the Romans didn’t! -- Grice: “My favourite Duso is his study of
Hegel on freedom and the constitution – but Duso, who could have drawn from
‘diritto romano’ doesn’t!” Studioso dei concetti della politica moderna e
riconosciuto per i suoi interventi su Althusius e sul giusnaturalismo. Studia a
Padova. Si laurea con “Hegel interprete di Platone” (cf. “L’influenza di Hegel
su Platone”). Assistente di Storia della filosofia e Professore di Storia della
logica. Insegna a Padova. Dirige un Gruppo di ricerca sui concetti politici. È
stato membro della redazione delle riviste "Il Centauro" e
Laboratorio politico. Membro della Direzione della rivista "Filosofia
politica", membro fondatore dell'associazione "Centro di ricerca sul
lessico politico europeo", insieme a Roberto Esposito, Alessandro Biral,
Adone Brandalise, Nicola Matteucci e altri. Fonda con alcuni colleghi il Centro
Inter-Universitario di Ricerca sul Lessico Politico e Giuridico Europeo
(CIRLPGE), con sede presso l'Istituto suor Orsola Benincasa a Napoli, di cui è Direttore.
Ha tenuto corsi di Storia della Filosofia politica, di Filosofia politica e di
Analisi dei Linguaggi e dei Concetti Politici a Padova. In occasione della sua
ultima lezione "ufficiale", gli allievi del gruppo di ricerca
padovano sui concetti politici hanno edito in suo onore il volume
"Concordia discors”. Il 27
maggio l'Universidad Nacional de San
Martín gli conferisce la laurea honoris causa per il suo lavoro accademico in
quanto "costituisce un fondamento teorico indispensabile per comprendere
l'attualità" -- è tra i principali fautori italiani di una riflessione sui
concetti del politico, che si inserisce nel solco della Begriffsgeschichte
tedesca di Brunner, Conze, Koselleck. Nei confronti di quest'ultima il gruppo
padovano coordinato da Duso ha elaborato una originale linea di ricerca
caratterizzata in modo duplice dalla filosofia: in primo luogo in quanto i
concetti che si affermano e si diffondono con la Rivoluzione francese sono
esamila loro genesi, che avviene nell'ambito delle dottrine del ‘contratto’sociale
e dei sistemi di ‘diritto’ naturale; ma soprattutto perché filosofico è il
movimento di pensiero di chi pratica una storia concettuale consistente
nell'interrogare e mettere in questione (nel senso dell'elenchos socratico) il
concetto (‘diritto’, ‘ius’, ‘uguaglianza’, ‘libertà’ ‘potere’ ‘democrazia’) che
sono in genere ritenuti ovvii sia nel dibattito intellettuale, sia nella lotta
politica. La storia concettuale consiste in questo modo nel comprendere la
genesi, la logica e le aporie dei fondamentali concetti politici. "Storia
dei concetti" (Begriffsgeschichte) compare per la prima volta nelle “Vorlesungen
über die Philosophie der Geschichte” diHegel. Stanti le caratteristiche di quel
testo, non si sa se ‘Begriffsgeschichte’ sia di conio hegeliano, o non
piuttosto frutto di interpolazione. Esso allude ad una delle tre modalità
storiografiche discusse da Hegel, ed in particolare alla "storia
interpretativa" (“reflektierte Geschichte”), che indirizza la storia
generale o storia del mondo o storia universale (“Weltgeschichte”) alla
filosofia, da un punto di vista universale. Quest'uso della
“Begriffsgeschichte” resta senza seguito. La tradizione storico-concettuale
evolve invece, tra il XVIII secolo ed il XIX, nell'alveo della lessicografia
filosofica. Nella riflessione di Duso,
la filosofia politica da una parte coincide con il lavoro critico della storia
concettuale, e dall'altra tende, sulla base delle aporie emerse, a trovare
linee di orientamento per un nuovo pensiero della politica. In tal modo viene
messa in questione la modalità generalmente accettata di pensare la politica,
che ha la sua radice nello sviluppo teorico che va dalla nascita della
sovranità sulla base del concetto di ‘libertà’ ai concetti fondamentali delle
nostre costituzioni democratiche, in particolare ‘sovranità del popolo’ e ‘rappresentanza
politica’. Il lavoro critico sul concetto ha perciò una sua ricaduta nella
messa in questione del dispositivo formale sia della ‘democrazia
rappresentativa’ che della ‘democrazia diretta’, e nel tentativo di pensare la
politica mediante nuove categorie. Altre
opere: “Hegel e Platone, Padova; Contraddizione e dialettica nella formazione
in Fichte, Argalìa, Urbino; Weber: razionalità e politica Arsenale, Venezia; La
politica oltre lo Stato: Carl Schmitt Arsenale, Venezia; Il contratto nella
politica (Il Mulino, Bologna); Filosofia politica e pratica del pensiero: Eric
Voegelin, Leo Strauss e Hannah Arendt” (FrancoAngeli, Milano); “Il potere. Per
la storia della filosofia politica modernaCarocci, Roma (disponibile su cirlpge);
“La logica del potere. Storia concettuale come filosofia politica” (Laterza,
Roma-Bari (Polimetrica, Monza (disponibile su cirlpge); “La libertà nella
filosofia classica tedesca. Politica e filosofia tra Kant, Fichte, Schelling e
Hegel (ed. con G. Rametta), Milano, FrancoAngeli); “La rappresentanza politica:
genesi e crisi del concetto, Franco Angeli Milano, cirlpge)(Duncker &
Humblot, Berlin, 2006 (disponibile su cirlpge); “Oltre la democrazia. Un
itinerario attraverso i classici” (Carocci, Roma); Sui concetti giuridici e
politici della costituzione dell'Europa (ed. con S. Chignola), FrancoAngeli,
Milano, Polimetrica, Monza; Ripensare la
costituzione. La questione della pluralità, (ed. con M. Bertolissi e Antonino
Scalone), Polimetrica, Monza, (disponibile su cirlpge) Storia dei concetti e
filosofia politica, (con Sandro Chignola), FrancoAngeli, Milano; Come pensare
il federalismo? Nuove categorie e trasformazioni costituzionali (ed. con A.
Scalone), Polimetrica, Monza
(disponibile su cirlpge). Santander, Il concetto di ‘libertà’ e
costituzione repubblicana nella filosofia politica di Kant, Polimetrica,
Monza, (disponibile su cirlpge)
Ripensare la rappresentanza alla luce della teologia politica, in «Quaderni
fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», (centropgm.unifi) Libertà
e costituzione in Hegel” (FrancoAngeli, Milano,
Parti o partiti? Sul partito politico nella democrazia rappresentativa,
in «Filosofia politica» cirlpge); “Buon governo e agire politico dei governati:
un nuovo modo di pensare la democrazia? (A proposito di Rosanvallon, Le bon
gouvernement), in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno»,
centropgm.unifi. libri scaricabili
gratuitamente in formato dal sito del Centro Interuniversitario di Ricerca sul
Lessico Politico e Giuridico Europeo. Nello stesso sito sono disponibili
inoltre altri saggi dello stesso autore.
Carl Schmitt Georg Wilhelm Friedrich Hegel Johann Gottlieb Fichte
Roberto Esposito Alessandro Biral Adone Brandalise Gianfranco Miglio. CIRLPGE:
Sito Ufficiale. Wikipedia Ricerca Romolo primo
leggendario Re di Roma Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg
Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Romolo (disambigua).
Romolo Brogi, Carlo (1850-1925) - n. 8226 - Certosa di Pavia - Medaglione sullo
zoccolo della facciata.jpg Romolo e suo fratello Remo da un fregio del XV
secolo, Certosa di Pavia. 1° Re di Roma In carica753 a.C.[1] - 717 a.C.[2]
Predecessore carica creata
SuccessoreNuma Pompilio[3][4] NascitaAlba Longa, 24 marzo del 771 a.C.[1]
MorteRoma, il 5[5] o il 7 luglio del 716 a.C.[2] Casa realedi Alba Longa
DinastiaRe latino-sabini PadreMarte[1][6][7] MadreRea Silvia[1][7]
ConsorteErsilia[8] FigliPrima e Avilio Romolo (in latino: Romulus, in greco
antico: Ῥωμύλος, Rōmýlos; Alba Longa, 24 marzo 771 a.C.[1] – Roma, 5[5] o 7
luglio 716 a.C.[2]), gemello di Remo, è il nome della figura leggendaria a cui
la tradizione annalisticaattribuiva la fondazione di Roma e delle sue
principali istituzioni politiche, nonché il ruolo di primo re della città e
l'origine del toponimo.[1][9] La sua storicità è oggetto di dibattito da parte
degli studiosi dall'inizio del XIX secolo, così come l'inizio della tradizione
letteraria sulla sua figura. Di origini latine-Sabine, figlio - a seguito
di un rapporto estorto con la forza - del dio Marte e di Rea Silvia,[7]figlia
di Numitore, re di Alba Longa,[1] secondo la tradizione fondò Roma tracciandone
il confine sacro,[7] il pomerio, il 21 aprile 753 a.C..[10] In tale occasione
uccise il fratello gemello Remo, reo di aver varcato in armi il sacro confine
[10]: tale fratricidio è stato sovente evocato come segno violento della
necessaria unicità del potere regale. Una volta costruita la città sul colle
Palatino, egli invitò criminali, schiavi fuggiti, esiliati e altri reietti a
unirsi a lui con la promessa del diritto d'asilo. Così facendo Romolo popolò
cinque dei sette colli di Roma, rapendo poi le donne ai vicini Sabini della
città di Cures, così da dare delle mogli ai suoi uomini. Ciò provocò una guerra
tra i due popoli, che alla fine si risolse con una pace con i Sabini che
poterono insediarsi sul vicino colle del Quirinale con il loro re, Tito Tazio,
che condivise con Romolo il potere per cinque anni.[11][12] Romolo divise
il popolo tra coloro che potevano combattere e coloro che non potevano farlo.
Scelse 100 tra i più nobili cittadini per formare il Senato, tanto che i loro
discendenti andranno a costituire l'élite nobiliare della Repubblica. Romolo
istituì anche i comizi curiati, a cui spettava il compito di ratificare, tra le
altre cose, le leggi. Romolo condusse, quindi, diverse guerre di conquista. A
lui risale la divisione della popolazione patrizia nelle 3 tribù di Tities,
Ramnes e Luceres - a loro volta suddivise in dieci curie ciascuna - le quali
dovevano in caso di pericolo fornire all'esercito romano un contingente
militare costituito da cento fanti e dieci cavalieri, per un totale complessivo
di 3 000 fanti e 300 cavalieri.[13] Dopo aver regnato per poco più di 37 anni,
Romolo, secondo la leggenda, fu rapito in cielo durante una tempesta. Secondo i
suoi stessi desideri, una volta morto fu divinizzato nella figura di Quirino,
dio sabino venerato sul Quirinale.[14][15]. LeggendaModifica Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Romolo e Remo. Origini
familiariModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Enea, Alba Longa, Rea Silvia e Marte (divinità). Secondo la leggenda
Romolo e Remo erano figli di Marte e di Rea Silvia, sacerdotessa vestale figlia
del re di Alba Longa, Numitore, diretto discendente di Enea.[4] Romolo era
quindi per parte materna di stirpe reale albana. Plutarco racconta che un certo
Lucio Taruzio, matematico, astrologo ed amico di Marco Terenzio Varrone
(l'autore del De lingua Latina), aveva calcolato il giorno esatto in cui i due
gemelli furono concepiti (24 giugno del 772 a.C.) e nacquero (24 marzo del 771
a.C.).[1][16] Dopo la fuga da Troia, Enea giunge nel Lazio e viene
accolto dal re Latino, che gli fa conoscere sua figlia Lavinia. Enea se ne
innamora, ma la fanciulla era già promessa a Turno, re dei Rutuli.[4] Il padre
di Lavinia ascolta le intenzioni di Enea ma temendo una vendetta da parte di
Turno si oppone ai suoi desideri. La disputa per la mano della fanciulla
diventa una guerra, a cui partecipano le varie popolazioni italiche, compresi
Etruschi e Volsci; Enea si allea con le popolazioni di origine greca stanziate
nella città di Pallante sul Palatino, regno dell'arcade Evandro e di suo figlio
Pallante.[17] La guerra è molto sanguinosa (subito muore Pallante ucciso da
Turno), e per evitare ulteriori vittime si decide che la sfida fra Enea e Turno
dovrà risolversi in un combattimento tra i due "comandanti" e
pretendenti. Enea ha il sopravvento, sposa Lavinia e fonda la città di Lavinium
(l'odierna Pratica di Mare).[4]Ben diversa la versione di Livio nei capitoli 1
e 2 del I libro della sua "Ab Urbe Condita" (il titolo è traducibile
dal latino con "dalla Fondazione di Roma"). I Troiani nel loro
peregrinare arrivano nell'agro Laurente e dopo uno scontro Enea addiviene a un
patto d'alleanza con il re Latino e ne sposa la figlia, Lavinia, e fonda la
città di Lavinio dal nome della moglie. Dal loro matrimonio nasce Ascanio.[4]
Turno, re dei Rutuli, a cui era stata promessa in sposa Lavinia, dichiara
guerra ai Latini, come si chiamano le genti del luogo dopo il patto. I Latini
hanno la meglio ma Enea muore combattendo. Infanzia ed
adolescenzaModifica Romolo e Remo allattati dalla Lupa dipinto di Rubens,
ca.1616, Roma, Musei capitolini La lupa, Romolo e Remo, nella monetazione
romana del II secolo a.C.. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Lupercale. Dopo trent'anni, Ascanio (detto anche Iulo) fonda una
nuova città, Alba Longa,[18] sulla quale regnano i suoi discendenti. Molto
tempo dopo il figlio e legittimo erede del re Proca di Alba Longa, Numitore,
viene spodestato dal fratello Amulio,[18] che ne costringe la figlia Rea Silvia
a diventare vestale e a fare quindi voto di castità.[4][19] Tuttavia il dio
Marte s'invaghisce della fanciulla e la rende madre di due gemelli, Romolo e
Remo.[20] Il re Amulio ordina l'uccisione dei gemelli, ma il servo incaricato
di eseguire l'assassinio non ne trova il coraggio e li abbandona alla corrente
del fiume Tevere.[4][6][21] La cesta nella quale i gemelli sono stati adagiati
si arena sulla riva, presso la palude del Velabro tra Palatino e Campidoglio in
un luogo chiamato Cermalus,[22] dove si trovava il fico ruminale.[6] Qui i due
vengono trovati e allevati da una lupa (probabilmente una prostituta, all'epoca
chiamata anche lupa, di cui si ritrova oggi traccia nella parola lupanare) e da
un picchio (animale sacro per i Latini) che li protegge, entrambi animali sacri
ad Ares.[23] Li trova poi il pastore Faustolo (porcaro di Amulio) che insieme
alla moglie Acca Larenzia li cresce come suoi figli.[4][21][24] Una volta
divenuti adulti e conosciuta la propria origine, Romolo e Remo fanno ritorno ad
Alba Longa, uccidono Amulio e rimettono sul trono il nonno Numitore.[4][25][26]
Fondazione di RomaModifica Roma attorno all'anno della sua fondazione,
nel 753 a.C. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Fondazione di Roma, Roma quadrata, Roma antica e Septimontium. Romolo e Remo,
non volendo abitare ad Alba Longa senza potervi regnare almeno fino a quando
fosse stato in vita il nonno materno, ottengono il permesso di andare a fondare
una nuova città, nel luogo dove erano cresciuti. Romolo vuole chiamarla Roma ed
edificarla sul Palatino, mentre Remo la vuole battezzare Remoria e fondarla
sull'Aventino. È lo stesso Livio che riferisce le due più accreditate versioni
dei fatti: «Siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non
poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei che proteggevano
quei luoghi indicare, attraverso gli auspici, chi avessero scelto per dare il
nome alla nuova città e chi vi dovesse regnare dopo la fondazione. Così, per
interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino e Remo l’Aventino.[27]
Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo.[27] Dal momento che a
Romolo ne erano apparsi il doppio quando ormai il presagio era stato
annunciato,[28] i rispettivi gruppi avevano proclamato re l’uno e l’altro
contemporaneamente. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla
priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti. Ne nacque
una discussione e dal rabbioso scontro a parole si passò al sangue: Remo,
colpito nella mischia, cadde a terra. È più nota la versione secondo la quale
Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena
erette [più probabilmente il pomerium , il solco sacro] e quindi Romolo, al
colmo dell’ira, l’avrebbe ammazzato aggiungendo queste parole di sfida: «Così,
d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura.» In questo modo
Romolo s’impossessò da solo del potere e la città appena fondata prese il nome
del suo fondatore.» (Livio, cit., I, 7 , Garzanti 1990, trad. di G.
Reverdito) Regno (753 - 716 a.C.)Modifica Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Rex (Roma antica) e Lex regia. Plutarco narra
che una volta seppellito il fratello Remo, morto nello scontro che precedette
la fondazione della città, Romolo fece venire dall'Etruria esperti di leggi e
testi sacri che gli spiegassero ogni aspetto del rituale da attuare. Fu scavata
una fossa circolare attorno al Comizio e deposte offerte votive per ottenere il
favore degli Dei. Romolo però aveva bisogno di più abitanti per popolare la
nuova città, e così accolse pastori latini ed etruschi, alcuni anche d'oltre
mare, Frigi affluiti sotto la guida del suo avo Enea, oltre ad Arcadi arrivati
sotto quella di Evandro.[29] «Dopo la fondazione Romolo riunì uomini
errabondi, indicò loro come luogo di asilo il territorio compreso tra la
sommità del Palatino e il Campidoglio e dichiarò cittadini tutti coloro dei
vicini villaggi che si rifugiassero lì.» (Strabone, Geografia, V, 3,2.)
Ogni abitante portò una piccola zolla di terreno e la gettò, mischiata alle
altre, nella fossa chiamata mundus, che costituiva proprio il centro della
città. Fu poi tracciato il solco primigenius tutto intorno alla città, i cui
confini ne rappresentavano il pomerium, racchiuso all'interno delle mura
"sacre".[30] Quindi Romolo chiese al popolo quale forma di
governo volesse per la città appena fondata[31], e questo rispose che avrebbe
accettato Romolo come proprio re.[32] Ma Romolo accettò la nomina solo dopo
aver preso gli auspici favorevoli del volere degli dei, che si manifestò con un
lampo che balenò da sinistra verso destra.[33] Dal ratto delle Sabine
alle guerre di conquista nel Latium vetus Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Storia delle campagne dell'esercito romano in
età regia e Latium vetus. Romolo, divenuto unico re di Roma, decise per prima
cosa di fortificare la nuova città, offrendo sacrifici agli dèi secondo il rito
albano e dei Greci in onore di Ercole, così com'erano stati istituiti da
Evandro.[34]; successivamente dotò la città del suo primo sistema di leggi e si
circondò di 12 littori.[35] Con il tempo Roma andò ingrandendosi, tanto
da apparire secondo Livio "così potente da poter rivaleggiare militarmente
con qualunque popolo dei dintorni". Erano le donne che scarseggiavano.[36]Questa
grandezza era destinata a durare una sola generazione se i Romani non avessero
trovato sufficienti mogli con cui procreare nuovi figli per la città,[37]
nonostante Romolo avesse proibito di esporre tutti i figli maschi e la prima
tra le figlie, tranne che fossero nati con delle malformazioni.[38]
«[...] Romolo su consiglio dei Senatori, inviò ambasciatori alle genti vicine
per stipulare trattati di alleanza con questi popoli e favorire l'unione di
nuovi matrimoni. [...] All'ambasceria non fu dato ascolto da parte di nessun
popolo: da una parte provavano disprezzo, dall'altra temevano per loro stessi e
per i loro successori, ché in mezzo a loro potesse crescere un simile
potere.» (Livio, Ab Urbe condita libri, I, 9.) L'intercessione
delle Sabine, olio su tela di Jacques-Louis David, 1795-1798, Parigi, Musée du
Louvre. La gioventù romana non la prese di buon grado, tanto che la soluzione
che andò prospettandosi fu quella di usare la forza. Romolo, infatti, decise di
dissimulare il proprio risentimento e di allestire dei giochi solenni in onore
di Nettuno equestre,[4] che chiamò Consualia(secondo Floro erano dei ludi
equestri[36]) e che si celebravano ancora al tempo di Strabone.[4] Quindi
ordinò ai suoi di invitare allo spettacolo i popoli vicini: dai Ceninensi, agli
Antemnati, Crustumini e Sabini, questi ultimi stanziati sul vicino colle
Quirinale. L'obiettivo era quello di compiere un gigantesco rapimento delle
loro donne proprio nel mezzo dello spettacolo.[4] Arrivò moltissima gente, con
figli e consorti, anche per il desiderio di vedere la città nuova.[36]
«Quando arrivò il momento stabilito dello spettacolo e tutti erano concentrati
sui giochi, come stabilito, scoppiò un tumulto ed i giovani romani si misero a
correre per rapire le ragazze. Molte cadevano nelle mani del primo che
incontravano. Quelle più belle erano destinate ai senatori più importanti.
[...]» (Livio, Ab Urbe condita libri, I, 9.) Terminato lo spettacolo i
genitori delle fanciulle scapparono, accusando i Romani di aver violato il
patto di ospitalità.[2][39] Romolo riuscì a placare gli animi delle fanciulle
e, con l'andare del tempo, sembra che l'ira delle ragazze andò affievolendosi
grazie alle attenzioni ed alla passione con cui i Romani le trattarono nei
giorni successivi. Anche Romolo trovò moglie tra queste fanciulle, il cui nome
era Ersilia. Da lei il fondatore della città, ebbe una figlia, di nome Prima ed
un figlio, di nome Avilio.[40] Tutto ciò diede origine ad una serie di
guerre successive.[36] Dei popoli che avevano subito l'affronto furono i soli
Ceninensi ad invadere i territori romani, ma furono battuti dalle schiere
ordinate dei Romani.[41] Il comandante nemico, un certo Acrone fu ucciso in
duello dallo stesso Romolo, che ne spogliò il cadavere e offrì gli spolia opima
a Giove Feretrio, fondando sul Campidoglio il primo tempio romano.[41]Eliminato
il comandante nemico, Romolo si diresse contro la loro città che cadde al primo
assalto,[2][42]trasferendone, poi, la cittadinanza a Roma e conferendole pari
diritti a quelli dei Romani.[43] Gli stessi Fasti trionfali celebrano per
l'anno 752/751 a.C.:[44] «Romolo, figlio di Marte, re, trionfò sul popolo
dei Ceninensi (Caeniensi), calende di marzo (1º marzo).» (Fasti
trionfali, 2 anni dalla fondazione di RomaFasti Triumphales : Roman Triumphs.)
Tale evento era, invece, avvenuto secondo Plutarco, basandosi su quanto
raccontato a sua volta da Fabio Pittore, solo tre mesi dopo la fondazione di
Roma (nel luglio del 753 a.C.).[45] Dopo la vittoria sui Ceninensi fu la volta
degli Antemnati.[2][46] La loro città fu presa d'assalto ed occupata, portando
Romolo a celebrare una seconda ovatio.[8] Ancora i Fasti trionfali ricordano
sempre per l'anno 752/751 a.C.:[44] «Romolo, figlio di Marte, re, trionfò
per la seconda volta sugli abitanti di Antemnae(Antemnates).» (Fasti
trionfali, 2 anni dalla fondazione di RomaFasti Triumphales : Roman Triumphs.)
Rimaneva solo la città dei Crustumini, la cui resistenza durò ancora meno dei
loro alleati.[2] Portate a termine le operazioni militari, il nuovo re di Roma
dispose che venissero inviati nei nuovi territori conquistati alcuni coloni, i
quali andarono a popolare soprattutto la città di Crustumerium, che, rispetto
alle altre, possedeva terreni più fertili. Contemporaneamente molte persone dei
popoli sottomessi, in particolar modo i genitori ed i parenti delle donne
rapite, vennero a stabilirsi a Roma.[8][46] Il Latium vetus con le
città elencate in questo capitolo di Caenina, Antemnae, Crustumerium, Medullia,
Fidenae e Veio. L'ultimo attacco portato a Roma fu quello dei Sabini del
Quirinale,[2][47] nel corso del quale si racconta della vergine vestale,
Tarpeia, figlia del comandante della rocca Spurio Tarpeio, la quale fu corrotta
con dell'oro (i bracciali che vedeva rilucere alle braccia dei Sabini[48]) da
Tito Tazio e fece entrare nella cittadella fortificata sul Campidoglio un
drappello di armati con l'inganno.[8][49][50] L'occupazione dei Sabini della
rocca, portò i due eserciti a schierarsi ai piedi dei due colli (Palatino e
Campidoglio), dove più tardi sarebbe sorto il Foro romano,[51][52] mentre i
capi di entrambi gli schieramenti incitavano i propri soldati alla lotta: Mezio
Curzio per i Sabini e Ostio Ostilio per i Romani. Quest'ultimo cadde nel corso
della battaglia che poco dopo si scatenò,[53] costringendo le schiere romane a
ripiegare presso la vecchia porta del Palatino. Romolo, invocando Giove e
promettendo allo stesso in caso di vittoria un tempio a lui dedicato (nel Foro
romano),[52]si lanciò nel mezzo della battaglia riuscendo a contrattaccare e ad
avere la meglio sulle schiere nemiche.[54][55] Fu in questo momento che le
donne sabine, che erano state rapite in precedenza dai Romani, si lanciarono in
mezzo alla battaglia per dividere i contendenti e placarne la collera.[13][56][57]
«Da una parte supplicavano i mariti [i Romani] e dall'altra i padri [i Sabini].
Li pregavano di non commettere un crimine orribile, macchiandosi del sangue di
un suocero o di un genero e di evitare di macchiarsi di parricidio verso i
figli che avrebbero partorito, figli per gli uni e nipoti per altri.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 13.) «Là mentre stavano per tornare a
combattere nuovamente, furono fermati da uno spettacolo incredibile e difficile
da raccontare a parole. Videro infatti le figlie dei Sabini, quelle rapite,
gettarsi alcune da una parte, ed altre dall'altra, in mezzo alle armi ed ai
morti, urlando e minacciando con richiami di guerra i mariti ed i padri, quasi
fossero possedute da un Dio. Alcune avevano tra le braccia i loro piccoli... e
si rivolgevano con dolci richiami sia ai Romani sia ai Sabini. I due
schieramenti allora si scostarono, cedendo alla commozione, e lasciarono che le
donne si ponessero nel mezzo.» (Plutarco, Vita di Romolo, 19, 1-3.) Con
questo gesto entrambi gli schieramenti si fermarono e decisero di collaborare,
stipulando un trattato di pace, varando l'unione tra i due popoli con comunanza
di potere e cittadinanza,[4] associando i due regni (quello di Romolo e Tito
Tazio),[57] lasciando che la città dove ora era trasferito tutto il potere
decisionale continuasse a chiamarsi Roma, anche se tutti i Romani furono
chiamati Curiti (in ricordo della patria natia di Tito Tazio, che era Cures)
per venire incontro ai Sabini.[13][58] Contemporaneamente il vicino lago nei
pressi dell'attuale Foro romano, fu chiamato in ricordo di quella battaglia e
del comandante sabino scampato alla morte (Mezio Curzio), Lacus Curtius,[13]
mentre il luogo in cui si conclusero gli accordi tra le due popolazioni, fu
chiamato Comitium, che deriva da comire per esprimere l'azione di
incontrarsi.[59] Qualche anno dopo Tito Tazio fu ucciso a Lavinium e
Romolo, che non reagì al fatto con alcuna azione militare, rimase unico
regnante della città.[4][60]Successivamente Romolo riuscì prima a conquistare
Medullia, poi a battere Fidenae[2][60] installandovi 2.500 coloni,[61] a farsi
amici ed alleati i prisci Latini,[62] a battere gli abitanti di Cameria (sedici
anni dopo la fondazione[63][64]) ed infine sconfiggere la potente città etrusca
di Veio,[2][41] sottraendole i territori dei Septem pagi (ad ovest dell'isola
Tiberina) e delle Saline,[64] in cambio di una tregua della durata di cento
anni.[65] Questa fu l'ultima guerra combattuta da Romolo.[66] Istituzioni Modifica Romolo, uccisore di
Acrone, porta le sue spoglie al tempio di Giove dipinto di Jean Auguste
Dominique Ingres, 1812 Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Lex regia, Senato romano,
Gentes originarie, Tribù (storia romana) ed Esercito romano. Al regno di Romolo
si attribuiscono i primi ordinamenti romani. Sembra, infatti, che per prima
cosa organizzò l'esercito, sulla base della popolazione adatta alle armi.[67]
Successivamente istituì un'assemblea, formata da 100 Patres, mentre i loro
discendenti furono chiamati patrizi, a cui diede il nome nella sua globalità di
Senato (Senatus da senex per la loro anzianità).[2][35][68][69] A lui si
attribuisce l'istituzione del diritto di asilo, a quanti erano stati banditi o
fuggivano dalle città vicine; la circostanza si può ricollegare all'esigenza di
popolare la città. Gli si attribuisce anche il fenomeno del patronato dei
patrizi nei confronti dei plebei che gli facevano da garanti e protettori in
cambio di favori conosciuto anche con il termine clientela. Tito Livio
racconta che in seguito alla pace stipulata con i Sabini di Tito Tazio (con il
quale regnò in assoluta armonia, fino a quando quest'ultimo non fu assassinato
a Lavinio[60] cinque anni dopo l'inizio del loro regno congiunto[11]), essendo
raddoppiata la popolazione, non solo furono eletti altri 100 Patres tra i
Sabini, e raddoppiati gli effettivi dell'esercito (ora composto da 6 000 fanti
e 600 cavalieri),[70] ma divise anche l'intero popolo in tre tribù:[69] i
Ramnes, i Titiesed i Luceres, a loro volta suddivisi in dieci curie ciascuna,
attribuendo ad esse i nomi di trenta donne.[13] Plutarco racconta che i due re,
Romolo e Tazio, non tennero un consiglio comune tra loro, ma ognuno deliberava
prima separatamente con i propri 100 Patres, e poi si radunavano tutti insieme
in uno stesso luogo per deliberare.[71] Plutarco racconta che Romolo,
inorgoglitosi dei successi conseguiti contro tutte le popolazioni limitrofe
alla città di Roma, con grande arroganza abbandonò la precedente tendenza
democratica, per sposare un modello di monarchia assoluta, opprimente ed
intollerabile.[66] Egli indossava un mantello purpureo e una toga bordata di
porpora, dava udienza su di un trono, attorniato da alcuni giovani, chiamati
celeres (una forma di guardia del corpo reale da lui creata),[72][73] ed era
preceduto da alcuni littori, che respingevano la folla con dei bastoni a difesa
del rex.[35][74] In effetti si tratterebbe di un'istituzione già presente nelle
città etrusche, dalla quali fu probabilmente ripresa ed introdotta in Roma in
epoca storica. Si racconta, inoltre, che, quando il nonno Numitore morì,
a Romolo spettasse il governo della città di Alba Longa, ma egli preferì
affidarne l'amministrazione al popolo, attraverso un suo magistrato che
eleggeva annualmente,[75] e così insegnò anche ai cittadini più potenti di Roma
a desiderare di vivere in una città senza un rex, autonoma.[75] Infatti a Roma,
da quando Romolo aveva mutato il suo atteggiamento da democratico a dispotico,
i cosiddetti patrizi, pur partecipando alla vita pubblica, portavano solo un
"titolo" onorifico ed un prestigio apparente, riunendosi in Senato
più per abitudine che per esprimere un parere. Di fatto tutti si limitavano ad
obbedire agli ordini di Romolo, avendo un unico privilegio: quello di essere informati
per primi sulle decisioni de re, rispetto alla moltitudine.[76] Plutarco
aggiunge che Romolo coprì di ridicolo il Senato, distribuendo personalmente ai
soldati la terra conquistata in guerra e restituendo gli ostaggi ai Veienti,
senza aver preventivamente consultato ed ottenuto l'assenso da parte dei
senatori.[77] Prime forme di diritto privato romano Modifica Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in
dettaglio: Diritto romano. A Romolo si fa tradizionalmente risalire
l'introduzione della proprietà terriera privata a Roma, con l'atto, legato alla
fondazione della città, di attribuire ad ogni gens un heredium di terra, che
sarebbe poi passato in proprietà agli eredi.[78] Romolo stabilì anche una
legge secondo la quale una moglie non potesse lasciare il marito. Al contrario
la donna poteva essere ripudiata se tentava di avvelenare i figli, di
sostituire le chiavi di casa o in caso di adulterio. Nel caso in cui fosse
stata ripudiata per altri motivi, il marito era tenuto a versarle una quota del
suo patrimonio e ad offrirne una seconda al tempio di Demetra. Chi ripudiava la
propria moglie era, infine, tenuto a sacrificare agli dei Inferi.[79][80]
Curioso che Romolo non stabilì alcuna pena contro i parricidi, ma definì
parricidio tutte le forme di omicidio, come se il parricidio fosse un delitto
impossibile da compiersi.[81] Festività e riti sacri Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Religione romana, Festività romane e Mitologia
romana. Sabini e Romani, una volta uniti sotto Tito Tazio e Romolo,
parteciparono alle rispettive feste e riti sacri, senza eliminare nessuno di
quelli che ciascun popolo aveva fino a quel momento celebrato singolarmente. Al
contrario ne istituirono di nuovi, come i Matronalia,[82] i Carmentalia[83] ed
i Lupercali.[84]Romolo decise di accogliere i rituali dedicati ad Ercole, unico
tra i riti non romani da lui accettati,[85] e sempre a lui (o al suo
successore, Numa Pompilio)[3][4] è inoltre attribuita l'istituzione del culto
del fuoco, con la creazione delle vergini sacre a sua custodia, chiamate
Vestali.[86][87] Calendario romuleo Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Calendario romano. La tradizione afferma che
Romolo avrebbe istituito per primo il Calendario romano (un calendario lunare
con inizio alla luna piena di marzo, costituito da 10 mesi - 6 mesi di 30
giorni e 4 mesi di 31 giorni, per un totale di 304 giorni; i restanti 61 giorni
di inverno non venivano assegnati ad alcun mese). Va altresì segnalato che
altri storici come Eutropio, sostengono possa essere stato il suo successore
Numa Pompilio.[88] Questo fu un argomento molto dibattuto dagli storici del
tempo (da Tito Livio a Dionigi d'Alicarnasso o Plutarco) poiché alcuni di loro
affermavano trattarsi di un calendario piuttosto disordinato, dove i mesi
variavano da 20 giorni a 35 giorni. Morte, sepoltura e deificazione Modifica
Dopo trentotto anni di regno,[89] secondo la tradizione (all'età di
cinquantaquattro anni[89]), Romolo venne assunto in cielo[90] durante una
tempesta[2] ed un'eclissi,[91] avvolto da una nube, mentre passava in rassegna
l'esercito e parlava alle truppe vicino alla Palus Caprae in Campo
Marzio.[92][93] L'improvvisa scomparsa del loro fondatore fece sì che i Romani
lo proclamassero dio (con il nome di Quirino,[65][94][95] in onore del quale fu
edificato un tempio sul colle, chiamato in seguito Quirinale[96]), figlio di un
dio (Marte), re e pater (padre) di Roma.[97] Ancora ai tempi di Plutarco si
celebravano molti riti nel giorno della sua scomparsa, avvenuta secondo
tradizione il 5[5] o il 7 luglio del 716 a.C.[2] Sembra anche che, per
dare maggiore credibilità all'accaduto, la tradizione racconta che riapparve al
suo vecchio compagno albano Proculo Giulio,[98] il più antico personaggio noto
appartenente alla gens Iulia. «Stamattina o Quiriti, verso l'alba,
Romolo, padre di questa città, è improvvisamente sceso dal cielo e apparso
davanti ai miei occhi. [...] Va e annuncia ai Romani che il volere degli Dei è
che la mia Roma diventi la capitale del mondo. Che essi diventino pratici
nell'arte militare e tramandino ai loro figli che nessuna potenza sulla Terra
può resistere alle armi romane.» (Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I,
16.) L'evidente somiglianza delle tradizioni, ha indotto alcuni storici a
ritenere che questo racconto abbia ispirato quello relativo alla risurrezione
di Gesù.[99]Nella probabile realtà storica, invece, il primo re di Roma sarebbe
morto assassinato dai Patres durante una seduta del consiglio regio al Volcanal
(ovvero il tempio di Efesto nel Foro romano).[100][101] Si racconta infatti
che, a causa delle continue limitazioni che aveva posto al Senato, organo
divenuto più che altro di facciata ad una forma di monarchia sempre più
"assoluta", soprattutto dopo la morte di Tito Tazio, caddero sui suoi
membri sospetti e calunnie.[77] Il suo corpo sarebbe stato poi simbolicamente
smembrato dai senatori, "a causa del suo carattere troppo duro"[91] e
le sue parti (divise tra gli stessi membri del Senato[101]) sepolte nelle varie
aree componenti il territorio della città. Dietro la leggenda: la realtà
storico-archeologica Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Populi albensese Gentes originarie. La reale
esistenza di Romolo è stata lungamente discussa, ma secondo lo storico Theodor
Mommsensarebbe comprovata dalla presenza tra le gentesoriginarie di Roma (di
cui parla Tito Livio) della gens Romilia, nota da iscrizioni, che è stata
identificata con il clan familiare dei discendenti di Romolo, e che diede anche
il proprio nome ad una delle più antiche Tribù territoriali. Se ne ha conferma
da una glossa di Festo(la 331 nell'epitome di Paolo Diacono, edita da Lindsay),
che riporta appunto l'esistenza di una tribù Romulia.[102] Altri autori
ritengono sia una creazione artificiale, fantasiosa quella di Romolo, pur
riconoscendo nella stessa figura "leggendaria" la sintesi di elementi
topografici, politici e religiosi realmente accaduti, a partire dalla tribù dei
Romili oltre alla figura di Remo, identificabile con l'antico centro di Remuria
nei pressi della Roma quadrata(sull'Aventino).[103][104] Secondo il
linguista Carlo de Simone,[105] i nomi di Roma e Romolo sarebbero collegati ed
entrambi deriverebbero da un termine ricostruito in ruma, al quale la
tradizione romana assegnava il significato di "mammella". Il termine
sarebbe di origine etrusca, perché non ne è stato trovato l'etimo indoeuropeo
(e l'unica lingua non-indoeuropea della zona era appunto l'etrusco). Il termine
sarebbe entrato come prestito nel latino arcaico e avrebbe dato origine al
toponimo Ruma (più tardi Roma) e ad un prenome Rume (in latino divenuto Romus),
dal quale sarebbe derivato il gentilizio etrusco Rumel(e)na[106], divenuto in
latino Romilius. Il Villar, invece, sostiene che il nome Romafosse, molto
probabilmente, il nome preindoeuropeo del Tevere trasferito alla città che esso
bagnava, come accadeva frequentemente a quel tempo.[107] Secondo altre
ipotesi (sempre più smentite dalle campagne archeologiche), i più antichi dei
re di Roma sarebbero figure principalmente simboliche (in particolare sembrano
complementari i primi due, Romolo e Numa Pompilio, che avrebbero introdotto le
massime istituzioni politico-militari e religiose dello stato). La reale
esistenza della figura di Romolo come effettivo fondatore, primo legislatore e
re-sacerdote, è stata rivalutata dall'archeologo Andrea Carandini, sulla base
di moderni scavi condotti alle pendici del Palatino, che avrebbero portato al
rinvenimento dell'area corrispondente alla vera Regia di Romolo, nonché
dell'antico tracciato del pomerio. Ivi sono stati rinvenuti reperti fittili,
resti di una palizzata e di un muro in tufo (derubricato come «muro di Romolo»)
databili con certezza al secolo VIII a.C., circostanza che darebbe conferma
anche dell'esattezza cronologica delle fonti storiografiche latine sull'epoca
della fondazione di Roma e della consistenza del suo rito di
fondazione.[108][109] Inoltre, sulla base di una fonte letteraria, la
scoperta del sito del lapis niger nel 1899 fu associata all'ipotesi di un
possibile sito della tomba di Romolo o di un arcaico luogo di culto a lui
dedicato.[110] A possibile conferma di quanto sopra, nel febbraio 2020
nella zona sottostante alla scalinata di accesso alla Curia è stato rinvenuto
un cenotafio ipogeo databile al VI secolo a.c. dedicato al suo culto,
contenente un sarcofago della lunghezza di circa m 1,50, che alcuni studiosi
hanno ipotizzato possa essere stata la sua tomba [111], mentre altri hanno
escluso tale possibilità. Va osservato tuttavia che la lunghezza del sarcofago,
(corrispondente in modo abbastanza preciso alla statura media degli uomini di
quell'epoca) farebbe pensare ad una funzione di inumazione di un corpo integro,
non delle sue parti. [112] Antenati Modifica
Genitori Nonni Bisnonni
Dio Giove Dio
Saturno
Dea Opi
Dio Marte
Dea Giunone Dio
Saturno
Dea Opi
Romolo
Numitore Proca
…
Rea Silvia
… …
…
Note Modifica
^ a b c d e f g h Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I, 1. ^ a b c d e f g h
i j k l m Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I, 2. ^ a b Floro, Epitoma de
Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 2.1. ^ a b c d e f g h i j k l m n o
Strabone, Geografia, V, 3,2. ^ a b c Plutarco, Vita di Romolo, 27, 4. ^ a b c
Livio, Ab Urbe condita libri, I, 4. ^ a b c d Floro, Epitoma de Tito Livio
bellorum omnium annorum DCC, I, 1.1. ^ a b c d Livio, Ab Urbe condita libri, I,
11. ^ Marcone, p. 19. ^ a b Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 7. ^ a b
Plutarco, Vita di Romolo, 23, 1-3. ^ Strabone, Geografia, V, 3,7. ^ a b c d e
Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 13. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 27-29;
Livio, Ab Urbe condita libri, I, 15. ^ Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum
omnium annorum DCC, I, 1.16-18. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 12, 3-5. ^ Sia
Livio (Ab Urbe condita libri, I, 7), sia Ovidio(I Fasti, I, 470 e sgg.) narrano
di una migrazione dalla città greca di Argo, guidata da Evandro ^ a b Floro,
Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.4. ^ Plutarco, Vita di
Romolo, 3, 3. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 3, 4. ^ a b Floro, Epitoma de Tito
Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.2-3. ^ Varrone, De lingua latina, V,
54. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 4, 2-4. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 3, 5-6. ^
Plutarco, Vita di Romolo, 7-8. ^ Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium
annorum DCC, I, 1.5. ^ a b Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum
DCC, I, 1.6. ^ Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I,
1.8. ^ Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.9. ^
Plutarco, Vita di Romolo, 11, 1-4. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane,
II, 3, 1-8. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, II, 4, 1-2. ^ Dionigi
di Alicarnasso, Antichità romane, II, 5, 1-2. ^ Livio, Ab Urbe condita libri,
I, 7-8. ^ a b c Livio, Ab Urbe condita libri, I, 8. ^ a b c d Floro, Epitoma de
Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.10. ^ Livio, Ab Urbe condita
libri, I, 9. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, II, 15, 1-2. ^ Plutarco,
Vita di Romolo, 14, 2-6. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 14, 7-8. ^ a b c Floro,
Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.11. ^ Livio, Ab Urbe
condita libri, I, 10. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 16, 2-6. ^ a b AE 1930, 60. ^
Plutarco, Vita di Romolo, 14, 1. ^ a b Plutarco, Vita di Romolo, 17, 1. ^
Plutarco, Vita di Romolo, 16, 1. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 17, 2. ^ Dionigi
di Alicarnasso, VII, 35, 4; VIII, 78, 5. ^ Floro, Epitoma de Tito Livio
bellorum omnium annorum DCC, I, 1.12. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 18, 4. ^ a b
Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.13. ^ Plutarco,
Vita di Romolo, 18, 6. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 12. ^ Plutarco,
Vita di Romolo, 18, 7-9. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 19. ^ a b Floro, Epitoma
de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.14. ^ Plutarco, Vita di Romolo,
19, 8-9. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 19, 10. ^ a b c Livio, Ab Urbe condita
libri, I, 14. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 23, 7. ^ Plutarco, Vita di Romolo,
23, 6. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 24, 3-5. ^ a b Carandini 2007, p. 99. ^ a b
Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 15. ^ a b Plutarco, Vita di Romolo, 26,
1. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 13, 1. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 13, 2-3. ^ a
b Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.15. ^
Plutarco, Vita di Romolo, 20, 1. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 20, 5. ^ Plutarco,
Vite parallele, Vita di Romolo, 26, 2. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità
romane, II, 13, 1-4. ^ Plutarco, Vite parallele, Vita di Romolo, 26, 3-4. ^ a b
Plutarco, Vita di Romolo, 27, 1. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 27, 2. ^ a b
Plutarco, Vita di Romolo, 27, 3. ^ Marco Terenzio Varrone, De re rustica,
1.10.2 ^ Plutarco, Vita di Romolo, 22, 3. ^ Dionigi di Alicarnasso, II,
24-25. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 22, 4. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 21, 1. ^
Plutarco, Vita di Romolo, 21, 2-3. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 21, 4-10. ^ Tito
Livio, I, 7. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 22, 1. ^ Dionigi di Alicarnasso, II,
64, 5; II, 66, 3. ^ Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I, 3. ^ a b Plutarco,
Vita di Romolo, 29, 12. ^ O fu ucciso. Appiano di Alessandria, Storia romana
(Appiano), Liber I, II ^ a b Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium
annorum DCC, I, 1.17. ^ Plutarco, Vita di Romolo, 27, 6-9. ^ Floro, Epitoma de
Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.16. ^ Plutarco, Vita di Romolo,
28, 1-2. ^ Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.18. ^
Plutarco, Vita di Romolo, 29, 2. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 16. ^
Plutarco, Vita di Romolo, 28, 3. ^ Giordano Bruno Guerri, Antistoria degli
italiani, Milano, 1997. ^ Dionisio di Alicarnasso, Antichità romane, II, 56,
3-4. ^ a b Plutarco, Vita di Romolo, 27, 6. ^ Paul. Fest. 331 L.: Romulia
tribus dicta, quod ex eo agro censebantur, quem Romulus ceperat ex Veientibus.
^ Plutarco, Vita di Romolo, 9, 4; 11, 1. ^ Piganiol, p. 77. ^ Carlo de Simone.
"Considerazioni sul nome di Romolo". In Andrea Carandini, Paolo
Carafa (a cura di), "Palatium e Sacra via" I. Bollettino di Archeologia,
pp. 31-33, 1995 (2000). ^ Gentilizio Rumelna attestato dall'iscrizione
sull'architrave della tomba 35 della Necropoli del Crocifisso del Tufo, a
Orvieto. Iscrizione databile al VI secolo a.C.: Mi Velthurus Rumelnas. ^
Villar, p. 488. ^ Carandini 2007. ^ Marcone, pp. 22-23. ^ Marcone, p. 38. ^ Il
"sepolcro di Romolo" scoperto nel Foro Romano, su storicang.it. URL
consultato il 24 luglio 2020. ^ Foro romano, Russo: "L'ipogeo scoperto non
è la tomba di Romolo", su rainews.it, 19 febbraio 2020. URL consultato il
20 febbraio 2020. Bibliografia Modifica
Fonti antiche Appiano, Historia Romana (Ῥωμαϊκά), libri III e IV (Versione in
inglese disponibile qui). Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, libri IX-XIII.
Testo originale Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane. Eutropio, Breviarium
historiae romanae (testo latino). Wikisource-logo.svg Fasti triumphales. (Testo
in latino: AE 1930, 60. Versione in inglese disponibile qui). Floro, Epitoma de
Tito Livio bellorum omnium annorum DCC (testo latino), Liber I. (Versione in
inglese disponibile qui). Wikisource-logo.svg Livio, Ab Urbe condita libri
(testo latino) Wikisource-logo.svg; Periochae (testo latino)
Wikisource-logo.svg. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia (testo latino).
Wikisource-logo.svg Plutarco, Romolo. Wikisource-logo.svg Strabone, Geografia
(testo greco) (Γεωγραφικά), V. Wikisource-logo.svg (Versione in inglese
disponibile qui). Varrone, De lingua Latina. Fonti storiografiche moderne A.A.
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Romolo e Remo Fondazione di Roma Gentes originarie Gens Romilia Rex (storia
romana) Età regia di Roma lex regia Flamini Altri progetti Modifica Collabora a Wikiquote
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FULL-BLOWN contractualist!” Grice: “’May’ only has one sense – it may rain, you
may run. Credibility and desirability modalities are not Fregeian senses! ‘may’
is aequi-vocal. In Latin it is more obvious, since there is only ‘possum’ for
‘I may’. ‘Can’ is of course a solecism!” Giuseppe Duso. Bepi Duso. Keywords:
Plato-Hegel, Aristotle-Kant – Plathegel, Ariskant – zoon politikon – contratto
sociale – democrazia – repubblica – il primo contrattualista cita Aristotele –
Contratto nel diritto romano – aporia della rappresentazione – concetto di
politica, concetto di soveranita – concetto di potere – io posso – concetto di
liberta – la filosofia politica italiana – l’influenza di Fichte nell’idealismo
rivoluzionario del risorgimento --. Regime di governo – storia del concetto –
aporia del concetto -- Welsh philosopher
Geoffrey Russell Grice, modalita, verbo modale, verbo servile, verbo
aussiliare, puo, posso, possiamo. Modalita aletica o doxastica (posso passarti
la sale) e deontica (puoi ma non puoi – you can but you may not --. Contract,
pact, compact. Foundations of morality – contract in ethics, meta-ethics, politics,
meta-politics. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Duso: zoon politikon” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51763550735/in/dateposted-public/
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