llanouna
contradanza, e poi si mettono a ridere guara dandosi uno con l'altro. Il
libertinaggio in vita tutti a ballare il vallz, e con cið la dif fusione del
potere, dei beni, dei lumi , e della civiltà si rende asfatlo completa.
Frattanto a r riva il Disinganno accompagnato dal Cervello, prendono a calci la
Filosofia, mandano all'o spedale dei maiti i filosofi liberali, e così fini sce
la comedia. Gli spettatori nelritornare a casa vanno dicendo:èstata troppo
lunga. FINE. 143 > 702960 INDICE DEL LE III. La Libertà.
VI.La Sovranità VII. La Costituzione VIII. Il Governo. X. La Rivoluzione
XI.IPoleri XIV.La Patria. XVI . Conclusione. La Città della Filosofia. Scena
Prima La Filosofia ed il Cer vello. Scenaseconda— La Filosofia,ilCervel Scena
Terza -- La Filosofia, il Cervello , ScenaQuarta- LaFilosofia,ilCervello 23
Scena'Quinta LaFilosofia,ilCervel lo,l'insegnamentoe l'incivilimento» 116
FINE. CAPITOLO PRIMO.La Filosofia. Pag. 11 » mampu XIII. La Civiltà. e la
Giustizia MATERIE >> 83 » 91 14 II.La Società. )) 17 ivi 49 54 58 52 64 C
» 96 » 101 » 105 » 128 lo e ilGoverno. 14.^ ^ » » 45 IV. L'Uguaglianza . V. I
Dirilli dell'uomo 30 34 40 IX. La Leggiltimità. >> XII.Le Opinioni. XV.La
Indipendenza e la Proprietà . Scena Sesta -IlCervello,laFilosofiae il Cullo 116
>> 75 94 M. DROSTE- dellaPacefralaChie sa e gli Stati gr. 8.
Considerazioni sulla rivoluzione del 1848. Sulla scomunica controgliusurpatori
del dominio ecclesiastico- E sul monopolio universitario. gr. 4. tonio Parenti.
gr. 41. M
Leopardi. Keywords: 1150. – the coding of a name. The philosophical
Leopardi. The Leopardi fascista – interpretazione fascista da Gentile
dell’ultra-filosofia di Leopardi – l’ultrafilosofia di Leopardi padre. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Leopardi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689805879/in/photolist-2mN8ym7-2mMSyLM-2mLP9qE-2mLP3hz-2mLExs3-2mKQ5j7-2mKNNqN-2mKPQMm-2mKC3nj-2mKCnei-2mPNG7N-2mKEPJE-2mKDwcr-2mKEJsY-2mKDLrD-2mKjsJY-2mKbfaU-2mKiTu1-2mJq2uE-2mJd7mv-2mJd7kD-2mJ7Kmy-2mJfkMq-2mJgmew-2mJfkPu-2mJbSzH-2mJbSX6-2mJd7mf-2mJgmcC-2mJbSYD-2mJbSXr-2mJfkQb-2mJbSZf-2mJfkPj-2mJgmf8-2mJgmeG-2mJbSXm-2mJd7nN-2mKbTKy-2mKgHKe-2mJfkPe-2mJfk8z-2mJfkMk-2mJgmcx-2mJfkN2-2mJgmdu-2mJgmdK-2mJ7KkB-2mJe9QJ-2mJ4GHU
Grice e Lettieri – implicature – filosofia
siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Messina). Filosofo. Grice: “Lettieri rightly contrasts sensualism in the
practical sphere of reason as ‘egoism’ – my ‘principle of conversational
self-love’ – but focuses on benfeficence, and solidarity – as ‘rational’ – my
principle of conversational benevolence, -- or conversational helfpfulness.” Grice:
“I like Lettieri for two reasons: he uses ‘diritto razionale’ which we at
Oxford don’t! – He cherishes the ‘dialogo filosofico’ as a genre as we
Aristotelians at Oxford don’t – he wrote one on ‘l’intuito’ – While he wrote on
‘sensualism,’ he also explored the idea of ‘man’ and ‘ragione,’ or ragiun, as
he put it in his vernacular!” Insegna a Messina. Presidente della Real
Accademia Peloritana dei Pericolanti. Molto apprezzato da Mamiani, Gioberti e Galluppi. Saggi: “Il
sensualismo” Dissertazione (Messina, Capra); “La fisiologia calunniata di materialismo”
(Messina, Nobolo); “La potenza del pensiero” (Palermo, Console); “Etica e diritto
naturale” (Messina, Amico); “L’intuito: dialogo filosofico” (Messina, Arena); “L'omu
nun avi l'usu di la ragiuni -- cicalata di lu professuri cav. A. Catara-
Lettieri (Messina, Amico); “Introduzione alla filosofia morale e al diritto
razionale, -- Grice: “I like the idea of ‘rational’ right!” (Messina, Amico); “La
cognizione del dovere -- poche nozioni dirette all'operaio e ad ogni classe di
cittadini” (Messina, Amico); “Ricordi storici intorno al movimento filosofico
in Sicilia” (Messina, Amico); “L’uomo” Pensieri” (Messina, Amico); Via
Lettieri, Messina. Lettieri basis his moral system on rationality – solidarity,
beneficence and all the conversational principles appealed by Grice find room
in Lettieri’s system – ‘dovere verso l’altri” o “il prossimo” – The fundamental
one is that of equality, as when Chomsky says that competence is an ideal
natuve speaker with another one --. Grice: “Lettieri would hardly consider
hiseself an Italian philosopher, seeing that he wrote a trattarello on
‘filosofia in Sicilia’ meaning that Italy does not belong to him, nor does he
belong to her!” – Antonio Catara
Lettieri. Antono Catara-Lettieri. Antonio Catara-Lettieri. Lettieri. Keywords:
implicatura. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Lettiere: la ragione conversazionale” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690264580/in/photolist-2mKG7Nh-2mKCUJb
Grice e
Liberatore – implicatura – L’ULIVO DELLA PACE -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Salerno). Filosofo.. Grice: “One could write a whole dissertation
– especially in Italy: their erudition has no bounds – about Liberatore’s
choice of the sign being conventional, ‘ramo d’olivo’ = pace. It’s so obscure!
Aeneas held one, against the Phyrgians – but did the Phyrgians know? And if
Mars is often represented wearing an olive wreath, one would not think there is
a ‘patto’ between Aeneas and the Phyrgian commander about that!” Grice: “I like Liberatore – a systematic
philosopher, as I am! His logic has the expected discussion on ‘sign.’ A
conventional sign he says is a branch of olive ‘signifying’ peace – as opposed
to smoke naturally meaning fire – As a footnote, one should note that in Noah’s
days, the signification of the dove was ALSO natural – although not strictly
‘factive’ – but then not ALL smoke (e. g. dry ice smoke) signifies fire, as
every actor knows!” “Ma il difetto molto
comune degli Economisti è il mancare di giuste idee filosofiche, e con ciò non
ostante voler sovente filosofare.”Entra nel collegio dei gesuiti di Napoli e chiese
di far parte della Compagnia di Gesù. Insegna filosofia. Fonda a Napoli “La
Scienza e la Fede” con lo scopo di criticare le nuove idee del razionalismo,
dell'idealismo e del liberalismo, dalle pagine del quale veniva sostenuta una
strenua battaglia in favore del brigantaggio, interpretato come movimento
politico contrario all'unità d'Italia, ovvero: "La cagione del
brigantaggio è politica, cioè l'odio al nuovo governo". Fonda “La Civiltà”
per diffondere Aquino. Uno degli estensori dell'enciclica Rerum Novarum di
Leone XIII. Studia Aquino. Pubblica “Corso di filosofia”. Membro dell'Accademia
Romana,. Combatté il razionalismo e l'ontologismo, così come le idee del
Rosmini. Sostenne che il brigantaggio fu la legittima resistenza di un
popolo a una conquista non solo territoriale, ma soprattutto ideologica. Difensore
dei diritti della Chiesa e studioso dei problemi della vita cristiana, delle relazioni
tra Chiesa e stato, tra la morale e la vita sociale. I filosofi della sua
scuola mettono in evidenza a acutezza dei giudizi, la forza degli argomenti, la
sequenza logica del pensiero, la stretta osservazione dei fatti, la conoscenza
dell'uomo e del mondo, la semplicità ed eleganza dello stile. All'inizio Professore
era giudicato da molti nella Chiesa cattolica il più grande filosofo dei suoi
tempi. Si riteneva che vivesse santamente, e si scorgeva in lui un profondo
spirito religioso. Considerato uno dei precursori del personalismo
economico.
Saggi: “Logica, metafisica, etica e diritto naturale, e in
particolare: “Dialoghi filosofici” (Napoli); “Institutiones logicae et metaphysicae”
(Napoli);“Theses ex metaphysica selectae quas suscipit propugnandas Franciscus
Pirenzio in collegio neapolitano S. J. ab. divi Sebastiani Quinto” (Napoli); “Dialogo
sopra l'origine delle idee” (Napoli); “Il panteismo trascendentale: dialogo” (Napoli);
“Il Progresso: dialogo filosofico” (Genova); “Ethicae et juris naturae elementa”
(Napoli); “Elementi di filosofia” (Napoli); “Institutiones philosophicae” (Napoli);
“Della conoscenza intellettuale” (Napoli); “Compendium logicae et metaphysicae”
(Roma); “Sopra la teoria scolastica della composizione sostanziale dei corpi” (Roma);
“Risposta ad una lettera sopra la teoria scolastica della composizione sostanziale
dei corpi” (Roma); “Dell'uomo” (Roma); “La Filosofia di Alighieri”; In Omaggio
a Aligh. dei Cattolici ital. (Roma); “Ethica et ius naturae” (Roma, Typis
civilitatis catholicae); “Lo stato italiano” (Napoli, Real tipografia Giannini);
“Della composizione sostanziale dei corpi” (Napoli, Giannini); “L'auto-crazia dell'ente”
(Napoli); “Degl’universali -- confutazione della filosofia di Rosmini-Serbati”
(Roma); “Principii di economia politica” (Roma, Befani); “La proposta
dell'imperatore germanico di un accordo internazionale in favore degl’operai”;
“Le associazioni operaie”; “Dell'intervenzione governativa nel regolamento del
lavoro”; “L'Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII”; “De conditione opificium”;
“La civiltà cattolica spiega nei dettagli il clima di "difesa" in cui
la chiesa si sente. Il ritorno ad Aquino dov’essere orientato alle sue dottrine
originarie. Convinto che dopo di lui ben poco di nuovo ha prodotto il pensiero
umano. Brigantaggio. Legittima difesa
del Sud. Gli articoli della "Civiltà Cattolica" introduzione di Turco (Napoli, Giglio); “Per
l'atteggiamento arroccato in difesa della Chiesa vedi ad esempio Sillabo # La "cupa
scia" del Sillabo V. Nardini, Manca
di verità e si oppone ad Aquino la soluzione di un alto problema metafisico
abbracciata da Liberatore” (Roma, Pallotta); “Lettere edificanti della
provincia napoletana della Compagnia di Gesù, in La Civiltà cattolica, Civiltà
cattolica:, antologia G. Rosa, [ma San
Giovanni Valdarno] ad ind.; G. Mellinato, Carteggio inedito Liberatore Cornoldi
in lotta per la filosofia di Aquino (Roma, Volpe, I gesuiti nel Napoletano,
Napoli, Dezza, Alle origini del tomismo, Milano, Devizzi, La critica all'ontologismo,
in Rivista di filosofia neo-scolastica, Mirabella, Il pensiero politico di ed
il suo contributo ai rapporti tra Chiesa e Stato, Milano, Scaduto, Il pensiero
politico ed il contributo ai rapporti tra la Chiesa e lo Stato, in Archivum
historicum Societatis Iesu, Giuseppe Rossini-Serbati, Roma G. Rosa, Storia del
movimento cattolico in Italia, Bari ad ind.; Lombardi, La Civiltà cattolica e
la stesura della "Rerum novarum". Nuovi documenti sul contributo, La
Civiltà cattolica, Dante, Storia della "Civiltà cattolica", Roma Nomenclator
literarius theologiae catholicae, Grande
antologia filosofica, Milano, C. Curci, Compagnia di Gesù La Civiltà Cattolica
Rerum Novarum Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana., presentazione del libro su La Civiltà Cattolica
e il brigantaggio. Segno è generalmente tutto ciò, che alla potenza conoscitiva
rappresenta alcuna cosa,da se distinta.Perciò taldenominazione ben
siaddicealconcetto,ilquale,come sièdetto,esprimeal vivo e rappresenta alla
mente l'obbietto, intorno a cui si aggira . M a il c o n c e t t o è i n t e r
n o a l l ' a n i m o ; e p e r p a l e s a r s i d i f u o r a h a b i sogno
di un segno esterno.Questo segno esterno consiste ne'vo i
caboli;iqualitratuttiisegoi ottennero la preminenza iq.or CAPO PRIMO
ARTICOLO I. 11 dine alla manifestazione delle cose , che internamente
conce piamo. C o s ì il t e r m i n e m e n t a l e , c i o è il c o n c e t t
o , e d il t e r m i n e o r a l e cioè il vocabolo , convengono tra loronella
generica ragione di segno.Ma sidifferenziano grandemente nella ragione
specifica. I m p e r o c c h è , p r i m i e r a m e n t e il c o n c e t t o è
s e g n o n a t u r a l e ; il v o cabolo è segno convenzionale.Dicesi segno
naturale quello,che di per sè e per sua natura mena alla cognizione di un'altra
cosa; c o m e il f u m o , p e r e s e m p i o , r i s p e t t o a l f u o c o
, e g e n e r a l m e n t e o g n i effetto,
riguardoallacausa.Dicesisegnoconvenzionalequello, che arbitrariamente o per
patto vien destinato a dinotare alcuna c o s a ; c o m e il r a m o d ' o l i v
o si a d o p e r a p e r 3.°Iltermineorale, benchè prossimamentesignifichiilcon
cetto,nondimeno medianteilconcettosignificalostessooggetto. A n z i , p o i c h
è d a c h i p a r l a è a d o p e r a t o p e r d i n o t a r e il c o n c e t
t o n o n subbiettivamente m a obbiettivamente, cioè in quanto è espres- sione
della cosa percepita;ne segue che,quanto alla significazio ne,esso
siconfondequasicolconcetto,dicuiècome lavestee l'esterna apparizione. E però la
Logica a buon diritto tratta per 12 > Ora niunvocaboloèdisuanaturaconnessoconundeterminatocon
cetto ; e però tanta varietà di loquela si scorge presso le diverse n a z i o n
i . A l c o n t r a r i o , il c o n c e t t o d i p e r s è e n e c e s s a r
i a m e n t e r a p presental'obbietto,essendoneuna naturalrassomiglianza;epe
rò il discorso mentale è lo stesso appo tutti. Inoltre il concetto è segno
formale;ilvocaboloèsegno istrumentale.Ad intendere q u e s t a d i f f e r e n
z a , è n e c e s s a r i o o s s e r v a r e , c h e il v o c a b o l o p e r
m e narci alla conoscenza della cosa significala, ha mestieri d'esser prima dạ
noi compreso. E perd appartiene a quel genere di se gni ,a cui può applicarsi
la seguente definizione :Segno è ciò che, conosciuto,adduce
allaconoscenzadiun'altracosa.Ma delcon cetto non è così:giacchè esso,senza
bisogno d'esser prima cono sciuto ,col solo attuare la mente , ci mena alla
conoscenza del l'obbietto, sicchè questo appunto sia ilprimo ad essere diretta
mente percepito. Ciò di leggieri apparisce, tanto solo che si con sidericheilconcettononpuòpercepirsi,senon
percognizione riflessa e pel ritorno della mente sopra sè stessa. Laonde quello
che sipercepisce per prima e diretta cognizione, non può essere essoconcetto,ma
necessariamenteèunaqualchecosadiversadal medesimo.A dinotarepertanto una
taldifferenza,venne intro dotta la distinzione del segno formale e del segno
istrumentale Viene in quarto luogo l'abuso del linguaggio che è il mezzo
dato all'uomo per esternare ad altrui gl’interni con cepimenti
dell'animo.L'apalisi de'vocaboli è ordinariamente un grande aiuto allo spirilo
per rischiarare le idee,merce chè essi sovente tengonchiusisottolalorospoglia
iconcelli comuni dell'uomo. Ma accade altresì che si arroghino più
diquellochelorodiragionsicompele,etentinonondies. sere esaminali e giudicali
dall'intellello,ma manciparselo e deltargli legge acapriccio.Per quattro
maniere principalmente i vocaboli introducono falsi concetti nell'animo.Prima
per la loro ambiguità e confusione. Imperocchè ci ha delle voci d'incerlo
significato, le quali han bisogno d'esser delermi. nale nel senso in cui si
tolgono , altrimenti ingenerano con : cetto vago e mal fermo da cui procedon
poi fallaci giudizii. Tale è a cagion d'esempio la voce natura,laquale suol
pren dersiadesprimereorl'essenzadiunacosa,orilmondosen sibile; or l'autore
dell'universo, or lull'altro a lalento di c o foi
chel'usa.Parimenteleideesignificatepe'vocaboliso vente sono assai complesse e
complicate ;e pero ove non bene sirisolvanoperviad'analisine’loroelementi,son cagioneche
siformiun assaiconfusoedinformeconcetto.Secondo,tal volta i vocaboli vengono
adoperati a significar mere negazio ni o prodotti arbitrarii della immaginativa
,o semplici astrazioni dell'animo ; come la voce cecità,fortuna,centauro,
località, e somiglianti.Oravvienecheperdifettodidebitaconsidera zione si cada
nella credenza ch'esse esprimano cose positive e reali si nell'essere che nel
modo onde sou concepite.Ter. zamente , ivocaboli delle cose immateriali son
formati d'ordi nario per analogia presa dagli obbielli materiali,equindi av
viene che talora si confondano le une cogli altri.In quarto Juogo ne'nomi
derivati sebbene spesso l'origine e l'elimoa Jogiadel
vocabolocoincidecolsensoinchecomunementesi prende, tuttavia non rade volte se
ne dilunga. Nel qual caso per mancanza di allenzione può avvenire che l'una
coll'altro si scambi.A queste cause può aggiugnersi lanovità de'voca boli di
che taluni stranamente si piacciono, e l'uso incostante che fanno di quelli
stessi che fuor di ragione introdussero.La H i l o s o f i a p e r q u a n t o
p u ò n e l l ' a d o p e r a r e il l i n g u a g g i o n o n d e v e
scostarsi dall’uso comune,nè cambiare a capriccio il senso delle voci ricevute
o da sè stessa una volta determinale. 13. Da ultimo una indebila applicazione de'mezzi
di co noscenzaè radicemalnalad'errore.Accadeciòinprimadal non bene distinguere
con quali facoltàdebba l'oggetto.con cepirsi;come a cagion d'esempio in chi con
la fantasia volesse comprender ciò che allrimenti non si può che con
l'intellelto. Dippiù si bada talora più alla vivacità e felicità della rappre
sentanza, che alla fermezza delmotivo che spinge all'assen so. E così le cose
che vivacemente e prestamente feriscono l'animo più di leggieri si ammettono
che allre non fornite di questa dote, ma più salde per forza di
argomenti.Inoltre si procede temerariamente a giudizii senza prima considerare
se l'obbietto è debitamente proposto giusta le leggi e le c o n dizioni volute
dalla natura .Quinci le fallaciede'sensi,lo scam biarsi per i principii proposizioni
arbitrarie, il formare as siomi illegittimi, ildedurre conseguenze erronee da
sofistici ragionamenti.E perciocchèloschivarquestimalirichiedela 35
36 conoscenza del dritto cammino che deve tener la mente per le vie del
vero, passiamo a traltar diligentemente questa m a teria, alla quale
premettiamo ilseguente articolo,che ad essa valga come d'introduzione. Cum
animi nostri sensus cogitationesque animo ipso la teant , nec per sese ceteris
patefiant ; h o m o , qui ad societatem cum aliis coëundam enascitur, idoneis
mediis a provido naturae Auctore instructus est, ut ideas suas aliis, quibuscum
vivit, m a nifestet. Haec media signa quaedam sunt ; sic enim nominan tur
quaecumque ad res alias innuendas sive natura sive volun tate sunt
instituta.Ompibus vere signis, quibus conceptus nostros 28 LOGICAE De
idearum signis. PARS PRIMA 29 et affectus animi patefacimus,
maximopere vocabula praestant. Etsi enim suspiria , gemitus , nutus, sensa
animi nostri signifi cent; minime tamen id efficiunt eadem facilitate,
perspicuitate, distinctione ac varietate, quae vocabulorum propria est. Q u a m
quam non diffitear gestuum loquelam , si vivax sit, vehementius commovere ,
propterea quod imaginationem vividius feriat, et rem veluti ponat ob oculos.
Vocabulum definiri potest : vox articulate prolata ad ideam aliquam
significandam . Ex quo intelligitur , ope vocabulorum proxime et immediate
conceptus, vi autem conceptuum ipsa ob iecta significari. 6. Ad originem
sermonis guod spectat, nemini dubium est quin , etsi vis loquendi ingenita
nobis sit , verborum tamen determinatio ab arbitrio generatim pendeat. Secus si
quodlibet determinatum verbum determinatam rem natura sua innueret; qui fieri
posset ut verbum idem apud diversas gentes , quibus certe eadem natura inest, non
idem exprimat ? De hoc nulla est controversia; at quaestio in eo est utrum
absolutae necessitatis fuerit ut sermo aliquis primis hominibus a Deo
communicaretur, an homo sermocinandi tantum virtute ornatus sermonem ipse
repererit vel saltem reperire potuerit. Qua de re in contrarias sententias
philosophi distrahuntur.Nonnulli enim non modo pos sibilitatem , sed factum
etiam tuentur, atque hominem sermone destitutum sermonis auctorem fuisse
autumant.Alii id neutiquam evenire potuisse arbitrantur , cum sermo sine usu
intelligentiae. efforinari nequeat , et ad usum intelligentiae sermonem necessa
rium esse putent. Equidem sic existimo :ad absolutam possibilitatem quod at
tinet, hominem per se potuisse ex insita propensione et facultate loquendi,
quam accepit, determinatum sensum vocibus quibus dam tribuere,etsicspontesua
efformaresermonem .Quid enim repugnasset ut homo rem sensibus occurrentem nutu
aliquo com mopstraret aliis, atque ex innata viloquendi sonum syllabis qui
busdam distinctum proferret et ad commonstratam rem signifi candam libere
determinaret ? Expressis autem rebus sensibilibus, ad insensibiles
significandas gradatim pervenire impossibile sane non erat; cum ad has
exprimendas nomina quaedam ex rebus ; 30 LOGICAE
materialibus, propter analogiam , quam homo inter utrasque per spicit,
transferri facile potuissent. At si non de absoluta et abstracta possibilitate,
sed de f a cto loquimur , rem aliter contigisse certum est. N a m ex sacris
litteris indubie colligimus elementa sermonis primo homini a Deo tributa esse ,
quantum saltem sufficeret ad domesticam societa tem , in qua ille conditus est,
retinendam . Cuius rei congruen tia vel inde patet, quod si, ut supra dictum
est, ad divinam pertinuit providentiam opportuna scientia instruere protoparen
tem ; hoc multo magis de usu sermonis dicendum sit,cuius longe maior necessitas
imminebat. An sapienter cogitari poterit totius generis humani parens et
magister , qui quasi principium et fun damentum constituebatur futurae
societatis civilis et sacrae,sine actuali copia illorum mediorum , quae ad
munus hoc adimplen dum tantopere requirebantur? Accedit, quod eruditorum
vestigationes, qui de origine lin guarum tractarunt, huc tandem concludendo
devenerunt, ut omnes linguae tamquam dialecti linguae cuiusdam primitivae ,
quae perierit, habendae sint. At si sermo inventio esset h u m a na, singulae
familiae, quae diversis populis originem dederunt, linguam sibi omnino propriam
atque ab aliis radicitus discrepan tem creavissent. 7. De utilitate vero, quam
ex sermone pro rerum intelligen tia mens capit , permulta fabulati sunt
philosophi quidam , in primisque Condillachius.Putarunt enim illum esse
necessarium ad analysim et synthesim idearum habendam , nec sine ipso ideas ge
nerales efformari posse.Quin etiam eo progressi sunt,ut dicerent ipsam
intelligentiam nonnisi ex usu loquelae progigni. At enim haec esse ridicula
optimus quisque iudicabit, modo cogitet non posse loquendi usum concipi nisi
iam antea intelligentia subau diatur. Non enim quia loquimur intelligimus, sed
viceversa quia intelligimus loquimur. Unde bruta,quia intelligentia carent, id
circo loquendi facultate privantur. Quod si intelligentia e ser mone non pendet
, poterit illa quidem suis uti viribus ad ideas sive dividendas sive
componendas sive etiam abstrahendas, quin idcirco sermo velut causa aut
instrumentum adhibeatur. Sed de hac re fusius erit in Metaphysica disputandum
. Vera igitur emolumenta sermonis his continentur : I. Prae
terquam quod ad ideas communicandas inserviat, ac proinde ve luti vinculum sit
societatis ; intellectui subvenit, quatenus loco phantasmatum verba ut signa
sensibilia in imagioatione substi tuit. II. Memoriae opitulatur ad ideas semel
habitas revocan das. III. Mentis attentionem figit detinetque in obiecto , quod
exprimit , quae secus ad alia contemplanda statim raperetur. IV. Mentis
opificia conservat, efficitque, ut illa postquam con templationis suae partus
vocabulis scriptura exaratis ad retinen dum tradiderit, soluta curis ad nova
speculanda impune progredi possit. Hae potissimum utilitates e sermone in
hominem profi ciscuntur ; ceterae, quae a nonnullis nimium exaggerantur, sine
fundamento ponuntur, et animo humano sunt dedecori. Denique ad dotes loquendi
quod attinet, sermo sit perspicuus, usitatus, brevis; non ea tamen
brevitate,qua obscurior sententia fiat; sed ea , q u a m rite descripsit
Tullius , ubi inquit brevitatem appellandamessecum verbum nullum
redundat,velcum tantum verborum est, quantum necesse est 1. ANTICHITÀ PER
L'INTELLIGENZA DELL'ISTORIA ANTICA E DEGLI AUTORI GRECI E LATINI DELL'ABATE
DECLAUSTRE TRADUZIONE DAL FRANCESE. TOMO III. Wwwna IN VENEZIA CO'TORCHI DI
GIUSEPPE MOLINARI ED. M. DCCC. XXVII. 1 MITOLOGICHE SLIEHE HE
KOS WIEN HOFBIBLION KA + ! 1 1 eeeeeeeeexe erele cele ;egliAteniesileeresserodellestatue.Ellafuancora
piùcelebra ta presso i R o m a n i , i quali le innalzarono il più grande ed il
più m a goificotempiochefossein Roma.Questo tempia, le cui rovineed anche una
parte delle volte restano ancora io piedi, fu cominciato da Agrippina,eposciacompiuto
da Vespasiano.Scrive Giuseppe, che gl'imperadori Vespasiano e Tito deposero nel
tempio della Pace le ric chespoglie,cheaveanolevatealtempiodi Gerusalemme.In
questa tempio della Pace siadunavano quelli che professavano le belle arti per
disputarvisopraleloroprerogative,acciocchèallapresenzadella dea
restassebanditaqualsivogliaasprezzapelleloro dispute.Questotem. pio fu rovinato
da un incendio al tempo dell'imperator Commodo.
PressoiGrecilaPacevenivarappresentata in questa maniera.Una donoaportavasullamanoildioPluto
fanciullo.PressoiRomanipoi sitrovaperordinariorappresentatalaPace cop un ramo
di ulivo PACIFERA.InunamedagliadiMarcoAurelioMinervaviene chiamata pacifera ; e
in u n a di Massimino si legge Marte puciferus , qmegli,o quella che porta la
pace, PACTIA.SudditodeiPersiani,alriferired'Erodoto, essendosi ricoperato a
Cuma città greca,iPersiani non mancarono di mandare a d i m a n d a r l o , a c
c i o c c h è l o r o f o s s e c o n s e g n a t o n e l l e m a n i. I C u m
e i f o . dea P Pace.IGreciediRomanionoravanolaPacecome unagran qualche
volta colle ali,tenendo un caduceo,e con un serpente ai piedi,
Ledannoancorailcornucopia,el'ulivoèilsimbolo della Pace,eil
caduceoèilsimbolodel MercurioNegoziatore,peradditarelanego. ziazione,da cui n'è
seguita la Pace.In una medaglia di Antonino Pio tiene in una mano un ramo di
ulivo, e colla sinistra dà fuoco ad alcu di scudi,e corazze, j P A
L A M E D E .Figliuolo di Nauplio re dell'isolad'Eubea,coman daya gli Eubei
nell'assedio di Troja. Vi si fece molto stimare per la s u a p r u d e n z a ,
p e l s u o c o r a g g i o , e d e s p e r i e n z a n e l l' a r t e m i l i
t a r e ; e d i . cono che insegnasse ai Greci il formare i battagliopi, e lo
schierarsi. Gli attribuiscono l'invenzione di dar la parola delle
sentipeļle,quel la di molti giuochi,come dei dadi e degli scacchi,per servire
di trat tenimento ugualmente all'ufficiale e al soldato nella noja di up lungo
assedio. 4 ΡΑ 1 CHE tott an que 9 be 8Q CO 32 ti 8 $1 AL sto fu çerp
ipcontapepte ricercare l'oracolo de'Branchidi, per sapere come doveano
contenersi;el'oracolorispose,cheloconsegnassero.Aristo
dico,unodeiprincipalidellacittà,ilquale noneradiquestoparere, o t t e n n e c o
l s u o c r e d i t o , c h e și m a n d a s s e u n ' a l t r a v o l t a a d
i n t e r r o g a r e l'oracolo,ed eglistessosifecemettere nelnumero
deideputati.L'o. racolo non diede altra risposta, che quella avea data prima.
Poco sod disfatto Aristodico, penso nel passeggi. The branch of ‘ulivo’ is
represented in the reverse of a coin of Antonius Pius --. Matteo Liberatore.
“Segno e cio che, conosciuto, adduce alla conosence di un’altra cosa” – cf.
Eco’s tesi su Aquino. Liberatore. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Liberatore” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689405106/in/photolist-2mPvmTf-2mGnP2f-2mKBHiL
Grice e
Liceti – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Rapallo).
Filosofo. Grice: “Liceti is a
fascinating philosopher; must say my favourite of his oeuvre is “Geroglifici,”
which as he knows it’s a coded message – the old Egyptian priests kept this
‘figurata’ away from the plebs!” – Grice: “Alice once wondered what the good of
a piece of philosophy is without ‘illustrations;’ surely Liceti’s beats them
all!” Allievo ed erede di Cremonini. Nacque prematuro (6 mesi), venendo
alla luce su una nave presa da tempesta lungo le coste tra Recco e Rapallo.
Sempre secondo la tradizione orale suo padre, un medicoo, lo mise in una
scatola di cotone dentro un forno, come si faceva per far schiudere le uova,
inventando così il prototipo della moderna incubatrice. Dopo aver compiuto i
primi studi letterari a Rapallo, venne inviato a Bologna per compiere e
approfondire gli studi legati alla filosofia. Insegna a Pisa. Padova, e
Bologna. Ascritto ai “Ricovrati” (oggi
Accademia Galileiana di scienze, lettere ed arti). Quando comparve in
cielo una cometa, si riaccese una controversia analoga a quella suscitata dalla
stella nova ma questa volta le difese
della teoria aristotelica furono assunte dal Liceti ed il compito di
attaccarla, partito ormai Galileo, fu assunto dal suo successore sulla cattedra
di matematica, Gloriosi, che se la prese appunto col Liceti. Questi rispose
pubblicando un suo De novis astris et cometis, in cui, oltre a difendere
Aristotele, critica i moderni scienziati, tra i quali anche Galileo, ma con
espressioni molto rispettose e lusinghiere. A questo scritto Galileo fece
rispondere dal suo amico Guiducci col Discorso sulle comete.» Srisse
numerose opere di filosofia, tra le quali “De monstruorum causis, natura et
differentiis”, (Padova), con aggiunte di
G. Blaes, nei quali riprese le soluzioni aristoteliche sul problema delle
anomalie genetiche, e “De spontaneo viventium ortu” nei quali sostenne la
generazione spontanea degli animali inferiori. Altri testi importanti per
la ricerca furono “De lucernis antiquorum reconditis” apprezzato da Berigardus,
e la “Silloge Hieroglyphica, sive antiqua schemata gemmarum anularium>” Trattò
inoltre la questione dell'anima delle bestie nel “De feriis altricis animae
nemeseticae disputationes” Le sue opere furono chiaramente ispirate ad
Aristotele, in particolare gli studi sul problema della generazione vivente e
sul cosmo, entrando talvolta in contrasto con Galilei, specialmente per quanto
riguarda la struttura dei cieli e della Luna, che Liceti considerava una sfera
perfetta e trasparente la cui luminosità non era un riflesso della luce solare,
ma veniva generata al suo interno.Al centro di questo dissenso cosmologico,
c'era, infatti, il tentativo di spiegare il fenomeno luminescente della pietra
di Bologna, che Liceti considera un frammento di materia lunare. Alcuni scritti
del Liceti rimasero inediti a causa delle ampie discussioni riportate sulle
novità astronomiche del XVII secolo. Nella congerie immensa dei suoi
scritti e commenti va notata la difesa della pietas d'Aristotele; quella pietas
così vivacemente messa in forse alcuni anni più tardi dal platonicissimo
cappuccino Valeriano Magno, che tacciò d'ateismo il sistema dello Stagirita. Il
Liceto invece disserta «de gradu pietatis Aristotelis erga Deum et homines», e
nell'opera sua «Philosophi sententiae plurimae, fidelium auditui durae,
salubribus explicationibus emollitae, ad pias aures accommodantur, illaeso
genuino sensu Aristotelis». E ad epigrafe dell'opera sua si compiace del
distico Vulgus Aristotelem gravat impietate, Licetus Doctorem purgat. Numquid
uterque pius? La città di Padova ed Spinola di Roccaforte resero omaggio al
filosofo facendo erigere una statua in marmo scolpita dallo scultore padovano
Rizzi. A Rapallo, sua città natale, vi è dedicata una via nel centro
storico. Gli è stato dedicato il cratere “Licetus” sulla Luna. Saggi: “De
centro et circumferentia”’ “De regulari motu minimaque parallaxi cometarum
caelestium disputationes”Vtini, Nicola Schiratti, Vicetiae, Domenico Amadio,
Francesco Bolzetta Encyclopaedia ad aram mysticam Nonarii Terrigenae, Patauii,
Gaspare Crivellari“Allegoria peripatetica de generatione, amicitia, et
privatione in aristotelicum aenigma elia lelia crispis. Ad aram lemniam
Dosiadae, poëtae vetustissimi et obscurissimi, encyclopaedia, Parisiis: apud C.
Cottard “Ad Syringam publilianam encyclopaedia, Patauii, Pasquato, Bortolo, “Ad
Epei Securim Encyclopaedia Genuensis philosophi, ac medici, Bononiae, Monti, “De
centro et circumferentia, Vtini, Nicola Schiratti, “De luminis natura et
efficientia, Vtini, Schiratti, “Litheosphorus, siue De lapide Bononiensi lucem
in se conceptam ab ambiente claro mox in tenebris mire conservante, Vtini, Schiratti, “Ad alas amoris diuini a Simmia
Rhodio compactas, Patavii, Giulio Crivellari,“De lucidis in sublimi ingenuarum
exercitationum liber, Patauii, Crivellari “De Lunae Sub-obscura Luce prope
coniunctiones, “Hieroglyphica, Patavii, Sebastiano Sardi, “Hydrologiae
peripateticae disputationes, Vtini, Schiratti, Ad syringam a Theocrito Syracusio
compactam et inflatam Encyclopaedia, Vtini, Schiratti, Baldassarri, La pietra
di Bologna da Descartes a Spallanzani. Sviluppo di un modello scientifico tra
curiosità, metodo, analogia, esempio e prova empirica, Nel nome di Lazzaro.
Saggi di storia della scienza e delle istituzioni scientifiche, Garin, La
filosofia, Milano, Vallardi, Questo testo proviene in
parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera
del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, Caspar
Bartholin, Institutiones anatomicae, Lugduni Batavorum, Jean Riolan, Opuscula
anatomica nova, in Id., Opera anatomica, LPombaiae Parisiorum, Bartholin,
Epistolarum medicinalium centuria I et II, Hafniae (lettere); Vesling,
Observationes anatomicae et epistolae medicae, Hafniae, lettere al Liceti; Dallari,
I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio Bolognese, Bologna ad ind.;
Edizione nazionale delle opere di Galilei, Firenze ad indices; Acta nationis Germanicae
artistarum, Rossetti, Padova, ad ind.; Rossetti, AGamba, Padova, ad ind.; Giornale
della gloriosissima Accademia Ricovrata, A: verbali delle adunanze, Gamba, Rossetti, Trieste ad ind.; Salomoni, Urbis
Patavinae inscriptions, Patavii Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Patavii, Tiraboschi,
Storia della letteratura italiana, Modena, Renan, Averroès et l'averroïsme,
Paris Taruffi, “Storia della teratologia” IBologna, Favaro, Amici e
corrispondenti di Galilei, Gloriosi, in Atti del R. Istituto veneto di scienze,
lettere ed arti, Favaro, Saggio di dello
Studio di Padova, I, Venezia, Ducceschi, L'epistolario di Severino, in Rivista
di storia delle scienze mediche e naturali, Castiglioni, Storia della medicina,
Milano, Ducceschi, Un epistolario inedito di dotti padovani in Atti e memorie
della R. Accademia di scienze lettere ed arti in Padova, Alberti, La prima
incubatrice per prematuri, in Minerva medica varia, G. Boffito, Battaglia di
marche tipografiche di Bella e l'ultima
memoria scientifica dettata da Galilei, in La Bibliofilia, Pesce, La
iconografia di Liceti, in Genova. Rivista mensile del Comune, Geymonat, Galilei,
Torino, Rossetti, L'ultima opera di Liceti in un manoscritto inedito della
Biblioteca del Seminario vescovile di Padova, in Studia Patavina, Bertolaso,
Ricerche d'archivio su alcuni aspetti dell'insegnamento medico presso l'Padova,
in Acta medicae historiae Patavinae, Ongaro, Contributi alla biografia di Alpini,
Tomba, Gli originali di Galileo in Physis, Ongaro, L'opera medica di Liceti, in
Atti del Congresso di storia della medicina, Roma, Ongaro, La generazione e il
"moto" del sangue nel pensiero di Liceti, in Castalia,Rizza, Peiresc
e l'Italia, Torino A. Simili, Una dedica autografa di Galilei a Liceti e il
clima delle loro concezioni scientifiche e relazioni epistolari, in Galileo
nella storia e nella filosofia della scienza. Atti del Symposium internazionale,
Firenze-Pisa, Firenze Mirandola, Naudé a Padova. Contributo allo studio del
mito italiano, in Lettere italiane, Castellani, Marangio, I problemi della
scienza nel carteggio con Galilei, in Bollettino di storia della filosofia
dell'Università degli studi di Lecce, Marilena Marangio, La disputa sul centro
dell'universo nel "De Terra" di Liceti, Soppelsa, Genesi del metodo
galileiano e tramonto dell'aristotelismo nella Scuola di Padova, Padova, Agosto
et al., Rapallo, Berti, Galileo e l'aristotelismo patavino del suo tempo, in
Studia Patavina, Ongaro, Atomismo e aristotelismo nel pensiero medico-biologico
di Liceti, in Scienza e cultura, Galilei e Morgagni, Padova. Brizzolara, Per
una storia degli studi antiquari in Studi e memorie per la storia dell'Bologna,
nZanca, Liceti e la scienza dei mostri in Europa, in Atti del Congresso della
Società italiana di storia della medicina, Padova, Trieste, Padova Re, "De
lucernis antiquorum reconditis": il capolavoro calcografico di Schiratti,
in Ce fastu? Lohr, Latin Aristotle commentaries, Firenze, Basso, erudito ed
antiquario, con particolare riguardo agli studi di sfragistica, in Forum Iulii,
Basso, "Fortasse licebit". La marca tipografica di Schiratti e l'impresa
accademica di Liceti, in Quaderni Artisti Cattolici Ellero, Ongaro, La scoperta
del condotto pancreatico, in Scienza e cultura, Poppi, Il "De caelesti substantia"
di Ferchio fra tradizione e innovazione, in Galileo e la cultura padovana, Santinello,
Padova, Kristeller, Iter Italicum, I-VI, ad indices. TreccaniEnciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. sapere, De Agostini, Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Al von Ruff. Fortunio Liceti. Beerbohm:
“Send me a letter; I live in Rapallo.” “How should I address it.” “Beerbohm,
Rapallo” “Do not worry, there is only one Rapallo.” “Vico Fortunio Liceti,
Rapallo” – “Statua a Fortunio Liceti da Rizzi, Spinelli Roccaforte, Padova. Liiri
Primi Cafiu fixdecim. o... . f JADXHn'AI : I N'D E X
xstril.minnstiiiUAiTiO Stjftdsb iupon LIBRORVM- ET CAPITVM Ratfatiainquatuor
librosDehis, quidiuvi- P uunt fine alimento. P1?- 1, Liber Pnmus.in quo
eaptobatiffimisautonbusaf feruntur obferuationes eorum, qui vitra biduu . ab
omni obo .potuque abftmuere. Abttincntiae vana: intra fepumam diem conclu-
.ffaec. Caputprimum. Abfimenu, a iepfmoad decimum diem extenfj. Abftmentixi
decimo ad vigefiraumdieraprotc- fe.cap.£. . . Abftinentij ad menfem produAfe.
cap.4. Abttincntiae a primo ad tertium menfem produ- . Ax.cap.J. © . . .
Iehmium populorum Lucomonaead quinque me .'des quotannis mire produftum. cap.d.
Abftinentia Oftimeftns in muliete Patauina. c.7. Abftinentia pueli* Tufer ad
feitumdecunum- Spiritusnonaliaere.cap.<5. Aerem in mitto viuente non ali
aere intrinlecus quoraodocunqucattraAo.cap.7. lenem in mitto non abfumerc
acrcm.cap.8. Partes animalis 4 przdommio aereas non ali aere infpirato.cap.p.
nui) . . Aerem hunc, quem inffiramus, non efle alendo & creari c “ 'i*t.
fpintus.cap. Ad nutricationem metaphoricam non femper cd- fequi veram ; 51
Rondelctij difficilis alfertio. cap. 11. ... Soluuntur argumenta.quibus.
nititur pnor opinio, menfem protradla. cap. 8. Abftinentix ad duos annos
produAx.cap.51. Ablhncntix ad tres annos protenf*. cap.i«. Hiftoria puellae
Spirenfis quadriennium abftinen- . tiscap.it. . - Abftinentt* a quarto ad
duodecimum annum de- duAx.cap.11. Abftinenn* vitra duodecim annos longifiime
pro duA* varia exempla.cap. 1 3 Abftinenti$diuturnaeincertotemporis fpatioad- ’
i' mentr.cip.14. Difficultatem negotij nos retrahere non debere a •
propofito.cap.1 j. Curanteomniaoporteatnosaliorumdogmatade
Chatnxleontcm,acViperasnonahaerecap.19. propol i t c tpeudere. cap. 1 d
Librifecundi Capita CCXXU. Prxfatio.inqua omnesaliorum opiniones exami- nand*
breui catalogonumerantur. Liber Iccundus.tn quo examinantur (apientum vi rorum
opiniones de natura , & caudis tam diu- turni lciumj. Prima opinio
Argenteoj ,& aliorum cxiftimantiu abftmcntcs nomos nutriri aere inlpirato.
cap. 1. Cancmlcucm, & Manucodiatam apud Indos non alucrc.cap.ao. . .
Secunda opmio Medici Clariflimt ex Augento, Si .M a nardo contendentis
abftinentt* ncftrosalf odoribus,fle* exhala tione aerem obfidente c a r
Examinatur propofita fcntenua,&: primum often diturnon elfe in topi acre
vaporem , ac cxhala- tioncm.cap.a». Exhalationem infpiratam vi calori? humant
non pofle cogi in fanguincm.St^ alimentum.cap 1 j Exhalationem non alere
1eiunantcs.cap.14. Expenditurallataopiniodemonttrandoprimum
Nonomnefapidu111alere.cap.1J caloris aAionein 10 humorem non elle conti- nuam
;caqueiugi,nonidco affiduam clfc debe- re nutricationem, cap.i. intus in
animali aereos non efltjfcd igneos. C. J. aimores proprie non ali.cap.4. Spmtus
in viuenni corpore r,ou nutriri.cap. J Odores non alere,quia non funt miftorum
fpccits, prima ratio Arifiotchs aduerfus Pythagoricos c1phcatur.cap.2d. Secunda
ratio Anftotclis demonttrans odores n6 alere , quia per coAioncm a calore non
podint ex odoribus excrementa lcgrcgan.cap.17. b Omne gene- ra,(cd vnicum
ottcnditurj nec ali omnia qiuecu__ que diffluunt in viufnteA^"
reftauritionc indi- gent.cap.13. Acrem ml piratum pon efle miftum , nec adeo ut
fit alendo corpori.cap. 14. Explicantur allata dogmata Galeni de eo quod ctt
ipiritus aere nutriri, cap.i J. Alexandri, Nicolai, Ciceronis, ac
Thcophraflirii- fla confiderantur.de eo , qupd eft att:m alerem fpiritus,&
calorem; & ad A rittotclis, ac Hippo- cratis ccnfuram rediguntur.cap.x tf.
Hippocratis afiettio dc triplici alimento illuftra- tlir.Cap.i7. 0
Olimpiodori.ic Platonicorum dogma 'de horni mbus acre, ac radijs folartbus
enutritis expendi tur.cap.18. * primo noridari trianutrinientorum trrfsT
Omnealimentum,feuexternum,feuinternumco • coqui deberc,coftioneque
aberctementispur- Odorem n aloris ita concoqui non poffe , vcab excrementis
dicatur expurgari quia limplicem, l'eu nutriendo corpori omnino diflimilcm
natu- ram obtineat, cap. 29. Ab odore vi caloris concoqnenris nec tenue, nec
craflum fegregari excrementum.cap.j». Tertia ratio Arillotelisoftcndcns odorem
nonale requiacoftioneacalorenonincraffatur.cajt Quarta ratio, qua Ariftotcles
probae odorem non Ci£,&quandopropemareambulantes falfura*. re fenrianr,
& alsarum faporem quos prope ab- finthii fuccus agitatur.cap, j <S.
Tertia opimo doitiilimi Co/lii prxeeptoris exiftf m.mns abflinente» nofttos
aqua enutrita» cap. 57. primumofle- Propoli ta fententia confideratnr, ac Ari*
ditur ex autorita te Platonis ^Haiqpupoacmrantoins a,lere,
ftotehs,Galeni,&Auicennp cap. 58. Aquamvi
calorisnoncraflefcere,ideoqu-everH ahftinentemalerc.cap 44. Pvrauftas non ali
exhalatione illi connmili crementoarugmeri fine ten^ imminutione, ca.7o.
Plantae non Canemleucm non ali rore, cap.47. Manucodiatain rore non
pafc1.cap.48. Argumentum duci non polle a brutomm alimen- to ad nutrimentum
hominis.cap 49. Quo fcnfu verum fit Quod ftpit nutrit, cap. 50. Exhalationem
acri permiftam 116 efle fapidl c 5 t Exhalationem non efle odoriferam , &
Allomos noneffe,quiodoribusnutriantur,quicqurdFici nusfenfcnt.cap.51.
Democritum , Homerum odonbus vitam libi prorogafle ceu medicamentis , non vt
alimcn- tis.cap.53. Animo delinquentes odotibus recrearr non ut ali- mentis,fcd
vt medicamentis cap.54’ Hippocratis dogma vulgatum de ctlcir nutncatio Aqua
nihil inefle lcntiatur,nec epota ne per odoratum lUuitratur cap 55 * .,;
INDEXCAPI TVM. non poffc in alendi fubflantiam. cap- 59 effealendocorpori,quianonferaturadmem-
Aquamcoflionenonfienfimilemalendocorpo- bra nutrimentis dicau.cap.31. Quinto
confirmat Ariftotcles odorem non alere, quia nonnifi per accidens fertur w
fontem ali- menti. cap. 3 J. Odor effe medicamentum , non alimentum texta ratione
probatur, cap. 34 Ccnfurarefponfionum dcraonftratiombus Antro telicisab
Argcntcnoallatarum.cap.jp. Rclpondetur ad argumenta, quibbs nititur fenten
fupenor, ac primum oftendirur exhalatione de terra Turgentem non ubique pntfto
fuiffe ab- ftinentibus, nec effe milium, cap.jd. Bxhalationetn odore tciro
afferam efle , lapidam ri,vt decet alimentum cap.do. effe Aquam non effe tale
mtftom/juale oportet ali roentum.capdr. Aquam effe vehiculum alimenti,
alimenniracap.dx. Satisfit rationibus quibus nititut & propterea non
aliquot primoque decernitur cur ablhnentium hu- aquam potarent;
quoniarmadpiocualbeihc,afpm^c3- mido inftauretur huraidum Aqua nec plantas
ali,nec aquatdia. campf.tArfu.mcnto, Vium non feruartccaalloroirse
pvarbualnoi:mc*alorem vtcon- humorem non efleaquammecaqueum.cap.d5i Aqua non
reftmn quod aqueume corporibus ef- fluxerit.cap.dd. alimento, &cauf
carnem,5tlac;quxpluatpoftca.cap.39. AquaexAnflotelcquomodofit obigratia,fi
noneffe.cap.37. , . ,a Exhalationem a calore non condenlan. cap.3 Exhalationem
in acre cogi non poffc infanguine Qua ratione potuerit animalia pluere,ac
fpeciatim vitulum,pifces,ranas,atque lemmer. cap 40. Hippocratis dogma
illuftratur de cxhalatrone ve Solis attrafta ex animalium corporibus.cap.41.
Rorem non effe vaporem vi caloris c6crctum,ncc alimentum cicadarum.cap.41.
Mannam non fieri ex vapore vi caloris dentato in aere,nec folam alere poffc ad
Hxbraic* mannas difcnmcn.cap 43. Mei non effe purum rorem concretum, nec tale
quid fine alio nutrimento diu pofle hominem fa ftcrilitatis,& pilobus
affumatur non vere alit cap 67. adeo ex igno, Animatu quomodo
conftituantnuurtriantur aqua_> & aqua,vt moucanlur nigonee,ft vere
alimentum. Hippocrati ; cui aqua cap.<8. Quod ex ciborum folidieofrleumaquam
;& quomodo bis in alimentum nonpondere reljxsndeant Hip- aflumptis excreta
in • quam Quomodo , alimentumnon alat mfi dJutumAri*
inlpirarcdicunturabftinentes,necvtnfquerd6 llotcl1.cap.7t.miftumnutricationi.
aptumac» Rhinuccmvcnto,&aere,autrorenonah.cap4(.
lorcnoftr0.cap.c7asl.oris,etfifummefr.igi.danon efle pofle genus ahmenti.cap.
45. Aquam non fieri . putantis abilincntes ali nec humore vt confumptionem
tingat exungui ad humoris pociati : dequevmfu.lctaip.hdcyr. iccundc coctionis
ex veneno fit, & Ariftoteli ve- ineflecaliduro c.7J. redicatur in aqua
paucaluemndo idoneum.etfi ter- Aquam non efle nmoinftcuarmeat, alij fue
excrementis, renis partibus ‘ cap. 74. HippocratTi'id.icatur potcntiori- Mulla
quomodo folam potantes diutius vi- qua,&L.curaquamabltincntcs fi
uant,qu.momnino , aqua nona- dicaturommumpotulcn Aqua Celfoqua rationenon alat
cap-7d. torum imbrcilhma.li Quarta opinio Bopaiinnincaiti caloris fumrnam imbc-
potuifli aquaob cilhtatcm.cap 77. & oftcnditur neque Expenditur prupoiita
opinio, allata lententia» fubflantia cedit no- & Aquam moflratem
Tolam non eiTe id,quo alantur N I D E X C A P I T V M.
fuffraganteHippocrate^cAriflotelc.cap. iox. Lupi fame vrgente cur terram
comedani,fi ea non alumur.cap.107. Serpentes etfi latentes non ali terra ,
& cu r terram comedere dicantur.cap. 1 04. Bufones terra non vefci communi
,& argumento non efle ad humanum alimentum demonflran- duin dKcaci.cap. 1
05. animantiaimbecillocalorepraedita,cap.80.
Columbicurtunbslateribus,&rubricavcTcantur, Aquam notlratcm non continere
milium , quod fi terra nonaluntur.cap.io4. futficiat fuftinendo calori exiguo,
cap.81. Elephas Ariftoteb quomodo lapidem vorer,ac ter
A(Ira,&cauda;regentesmundumquid,&~quo- ram;
devfuOpi)apudAfianos.cap.107. abdinentescommemoratos,nequeabfolutcqui bus
exilis calor incft.aqua lola diu viuerc,ac nu- triri potTe.cap.78. Rclpondciur
argumentis allatam opinionemco- niumcntibus;ac primum dilquimur an calor ex
aqua fpintum gignat, collibeat , animet. cap-7p. modoinaquamagant.cap.8a.
Aquahacfentiliquomodononnullanutriri dixe- rit Ariftotelcs. cap. 87. An inter
plantarocunum aqua fola nutriatur, cap. 84. Cicadas excrementis non carere, nec
rhintaccm. cap.Sj. Cicadas non ali rorc-cap. 8rf. Rorem non efle aquam Gcco
aflcftam ,vt eo nu- triente aquam dicas nutrire.cap.87. Etfi ros alerct,non tamen
ideo alere polTc aquam. cap.88. Aquamfolamcalore digetlaranon degenerarein
quoddamtertium,quodiitaluncntumplanta- E» fcrro.St lapide vi calcris^c fpiritus
interni,nul Sitim^acfamemclTeapetitumalimenti,vtobicdri,
lumfuccuinalimentareuicducqnccrubiginiim quo fcnlu verum fit: non tamcu ideo
aqua nu- alere.cap. 1 1 7. tnet,quzinlitiexpetitur,cap.5.0.
Terra,&lapidesvtmiftafintjquamnoshabeamus
Sapor,&fuauitasvtIitalimenticonditio,&aqua
cumplantisfimilitudinem;&curvnitertiofi- rum. cap. 89. t fapida, luaui Tjuc
fit, etfi non alat, cap.p 1 . Quomodo Anflotcli pituita dicatur altrc permi-
tia cum cibo puro, ablque eo quod aqua; vum tribuatalendi.cap.pi. Theophraflo
quomodo plantae alantur aqua pura, quxverenonalit.cap.97. Aqua etfi Galeno
dicatur bilelccre, cur infangui- tur, non ideo cx cafblanutrietur.cap.i 17.
QuomodoAnflotcliaquadicatureilepotiusa-
SextaopiniododiillimiMediciopinantisteiunan-
Cameluscurbibiturusfontempedeturbet; Stru-
thiocamelusautemcurtcrram,ofla,lapides, ferrum comedat; an ca digerat fibi in
alimcniu. cap. 1 08. Mures farios',& Armadillos ,Codertofquc Indi- cos non
oflenderc abflincntibus noflris terram ceflblcinalimcntum cap. 109. Lacertum
indicum no ait arenulis, aut lapillis, etfi ijsonuflum ventriculum gerat. cap.
1 1 o. Noii omne mutum humido pingui fcatcrc ; nec omne bumidum pingue
alcrc.cap.i 1 1. Homo terram edeus non alitur luto facto ex ter-
ra,&Taliua/cupituitainventriculoexundante, cap1 ii. 1 ncm,6d" in
alimentum conucru nequeat. c-P4- queumquid, miltum quamaqua,&Jim- , plex
cap.pf. Quomodo inaqua gigni polfint Arifloteli (lirpes, 6t animalia, cui
tamenaqua non alu.cap.pd. Vrricam marinam non ali aqua lola. cap.97. Quinta
opimo Clanfiimi viri putantis abtfinentes commemoratos ab terra clanddlmc
comcla. tesnoflrosaciboquidemomniabflinuifle;at vmi potione vfosj vnde
alimentum fibi compa- raucrint.tap. 1 1 8. Examinatur allata fentenna
oflendendo abflinen- tcs noflros non vlbs , nec enutritos funlcvmo; folumque
vinum alere no pofie partes corpons folidiores ; nec fuificere ad alimentum
multo tempore.cap.t 19. Cap 98. Expenditurallatafententia,oflcnditurqucprimu
Occurriturargumentisprobantibusabflinentcs abflinentcs noflros terra,&
calce non enutritos, cap 99- Terram,& calcem nulb viucnti, ac pnefertim nui
li homini alimento efle pofle.cap. 1 00. Allacc , profcillarquc opinionis
fundamentadiri- noflros folovino enutritos, oflcnditurquc pn- mum quomodo,fi
foio fanguine alimur,lolo vi- no ali non poflimus; quod tamen in fanguinem
verti poteflt licet non abiblute id pronuncian- dumiic.cap.no. milia inter lc
non iint neceflano fimilia. c. 1 14. Vteademfitaniinabbus materia generationis,
alimenti ; vtque mures Thebani e terra nalcan- tui.cap.1 15. Hominis etymologia
non conuinci nobis ortum, itviciumcfolaterraeflevalere,cap.1 6. Cur fi homo a Deo
cx terra fola condi uis efle dica muntur,oflendendoprimumabflinentcsno-
Vinumvtfitlinguisterras: nonomnifanguine., flros non comedille terram , nec ea
nutritos, li- cet appeuilc illam,fuauitcrque comedille pona- tur.cap.101. nos
ah poffc: an vinum fit venenum cicutz , vt fcrtur.cap.iii. De vmi,&
ianguinis mutua proportione Alexan- Abflinentcs non fuifle malo habitu, &
cachexiam non efle abundantiam prauorum fuccorummcc ncccflano femper fieri ab
clu tcrr9.sc prxlercim uoftris iciunantibus,fi qui fuenutcacheducv Vino folo fi
carccratus vixit ad vigmn dies . li fc- dri placitum explicatur, cap. 1 1 s.
Vini, lafiis proportio explicaturi & vtrum ladle lolo totam vitam viuerc
p0flimus.cap.n7. ba nes . NIDEX CAPITVM. nes maxime vtantur Platoni
, & graciles Gale- tia ad alimentum. cap. 143.
no;nontamenabrt.nentesalipotuifle.cap.114
QuomodoexGalenoquisabfquenutrimentoper Alimentum maxime proprium an' folum
ftifficut alendo corpori; vinumque vt fit alimentum ta- le,quod omni viuenti
competat , brutis przfer- tuu,acplanus,cap.1 15. Vlcimum alimentum vule quod
fit; an ex vino fo- lo liat; vtrum omnibus partibus alendis fuf-
fic1at.cap.i2d. yinofedari famem non poflc,fitim pofle; fame fi- inul ac fiti
animal angi non pofle; famemque,ac fitini ad varias partes attinere ;& quid
proprie fit fames,ac ficis explicatur, cap. 1 17. manens ob virium lecons
imbecillitatem diu fuificerepoflit. cap. 144. Abfiincntes an crcuennt; deque
vnguium,ac pilo rumincrementomabftmentcConfolcnunca. cap.145. Fetus in vtero vt
fimul non fiat animal, homo; quid ptoprie fit anteaquam humanam induat naturam;
nos non ali vt aluntur plantz; Arifio- telefquc a crimine liberatur, cap. 1 4d.
Crudiori fucco,& pituitae cur nullum a natura da- tum fit receptaculum, fcd
cum fanguinclaba- tur.cap.147. Hippocrati vinum iedare famem vt medicamen-
tum,nonvtalimentum;Galenoautemvinum OlfauaopimoCardanireferentisabflincntinm.
folum nutrire inter alios liquores, non corpus vmuerfum fufficientcr alere,
cap.i »8. Septima opinio decernens abflinentes noftros ali pituita,St loccis
crudioribus , qui vltcrion calo- ris aftionc'in probum alimentum vertantur;
quod Magni Alberti placitum recepere pluri- mi.cap.isp. Examinatur allata
rententia,oflenditurque prirau abilinentes non fuiffc calore imbecillo, cui
fudi nendo ad multum tempus fola pituita fufficiat. cap.1 5o. Abflinentes nec
pituita craffa.cruditatibufue abu dalfe.ncc enutritos fuiffc. cap. iji.
nofirorum ieiunium in copiam humoris mclan chohci cx lentis, Si eradi,
humoribus exoru. irap.148. Perpenditur Cardani fententia demonfirado cauf
lasdiuturaj abftinentia: redigendas non ede in aerem^ut in reliquias
ingluuici,aut in mclacho ham.cap.i 49. Diluuntur Cardani rationes offendendo
cicadas non aluere; comparatum cx ingluuic non fuffi ccrc ad ieiunium multorum
meiifium,& anno- rum;caudasifiasinabfiinentibusnofinsnon_. concurrere; nec
humorem melancholicum una cumalijsconditionibus propofitis huius abfti- nen
tia: cauffam eflc.cap. 1 5 o Satisfit argumentis communientibus Alberti fen-
tcntiam,&offenditurprimovoracitatemnon
NonaopinioBonamicifiatuentisiciunantcsali neceflimo pendere a frigiditate , nec
effe caufsa colliquamentis internarum partium, cap. ijr.
cruditatum,nechaberelocuminabifinenubus
Perpenditurallatafententiadcmonflrandoabiti- cap. 132. Ablfincntitim cutem noefle
ita euaporationi clau fiim, vt retrocedant femperdenuo vapores in a- •
I11nentum.cap.133. Vndc oriatur naulia, mappetentia,6c. ciborum o- dium ,-an
hfcomnia fuerint in abflinentibus; & vtrum a pituita fedari pofTit appeti
tus,& fiat femper inertia. cap. 1 34. Quo fcnfu Hippocrati, &T Galeno
pituitofi dican tur medum ferre prxter conluetum, &abcs_» vtilitatem
pcrcipcre.cap. t 3 5. Animalia voracia qu* fint Ariflotcli,6t_ quomo- do
abundantia pituita minus cibum decoquat, cap.i ) 6. Hippocrati fines cur
ieiunium tolerent,& quomo do frigidi fiaruantur.cap.137. Auiccnnx vt cibi
ncceffitas fit ad infiaurationem deperditi; vt appetitus dcijciatur,&
ocictur; vt vrii,& latentia bieme alamur, cap. 1 38. Humorem,qui vomitu
reddebatur abftinentibus, nonfuiffcpartemeius,quoalebamur,cap.139. Calorem non
ncccflano icrnpcr abfumcrchumi- dum, necnecellarionifi confumprum humniu
alimentis rellaurctur, vitam Citocxtinftam iri. cap. 140. Semina fiirpium extra
terram non ali humore in- ternopituita:corrcfpondentecap.141 Pullulas pituitz
copiam non indicall'e,qua nutrire nentes noftros non potuiiTc abundare , nec
enu- triri colliquamentis. cap. 132. Explicantur argumenta confirmantia
profcilTani opinionem,5tprimodcccmiturquomcdoexfc mine dixerit Anllotclesfien
languinein,offen- dendo etiam colliquamenta non nccdlario ven tnculum
petere.cap. 1 5 3. An obzli gracilibus fuperuiuantin abfiinentia; id tamen haud
fieri quia illi pinguedine liquata nu trantur.cap.154. Calor na tiuus fime non
intendi offenditur, ficcita te non acui,ncque colliquanuus cfsc in famis, cap.
15 5. In fuinma neccffitatc ali menti colliquamenta non confluere ad
ftomachum,velur adeommuno proraptuanum vmuerfi alimenti, cap. 1 ;d. Quo fcnfu
Arifioteh colliquamcntum liat vt ali- mentum tnconcoifium,& an ventriculus
fitlo- cus ahmenu inconcufli. cap. 157. Quomodo Anftotch diuturna fame
laborantes colltquentur,&colliquamentafi adlocumci- bo deftiuatum
influxerint, pro cibo corpori ap- plicentur: & Plutarchi placitum
expenditur, cap. 158. Qua ratione Hippocrati ventriculus vacuus dica- tur frui
corpore colliquefcentc ; ac partibuscol- liquatishuinoradventriculumdefluat,fi
non alimur colliquamentis. cap. 1 59.
turpuellaGermanica,necabfiinensalia.c-142.
Decimaopinioputantiumabflinentesalimcflrui Appetitus rtlc habeat ad
indigentiam,& mdigen fanguims portione ab vtero materno libi recon-
dita. dita.cap.tdo. Examinatur allata fententia dcmonftrando ieiu-
nantibus alimento non efle menftruura beni- gnum ex vtcro matris comportatum
cap.itfi. Refpondetur argumentis allata; opinionis,demon Arando fetum in vtcro
non litue ; mcnftruum haud fatis ede nutriendis adultis; nec fium pel- lere.
cap. 1 da.. VarioIis,& morbillis origo an fit ex menllruo fan- guine ab
vtero comportato, &_ quomodo, cap.ifj. Vndacima opinio Brafauolz, aliorumque
pu an- num quod circunfcrtur de abfiincntia plurium menfium,V annorum,
fabulofum quid efieo, atque fiAitium. cap. 1 84. Dccimaquinu opinio
exiftimantium abftinente* noftros non clfe corpora viua,fed cadaucn Dae mombus
afliimpta.cap. 178. Cribratur addufta opinio,dcmonftrando pofie cor poraphyficc
viuentia diu viuere fine alimentis; & a Dxinombus aflumpta cibarijs vti
valere cap. 1 79. Refpondetur argumentis allatae opinionis, often- dendo quo
fcnlii Ariftotcli fien non poftit vt vi uatur fine alimento; vtrum alimentis
vti pofiint viuentia zquiuocc, fine anima vcgetali cap. 1 80. Dccimafexta
opinio afferentium abftinentes no- ftros ellc homines, at nonviuere vitam huma-
nam, led Datmomam, quz cibis non indigct,vt ait lamb!ichus.cap. 181. 7.... 8. ...
INDEXCAPI TVM. fumptionem pabuli.cap.t77J Expenditur allata opimo, monftrando
quorum- abfiincntiadiuturnaveraxfuerit, quorum
Libraturadduftaopinio,demonftandoDzmo- mendax, & fabulofa dici potuerit:
qualeuc fit alimentum.cap.i<5j. Soluuntur argumenta profeiflse opinionis du-
fla ex automate veterum, BC iuniorum— cap.irfd.
Caloreminfitumnonrefrigerarialimentisintrin- fecusalfumptis.cap i6-j. Duodecima
opinio Harueti, & aliorum exiftiman tiumprxfatos homines fraudolenter
abftinen- tumfimulaflecapr <58. Examinatur allata opimo,demonftnndoqui dolo
feieinnium fimulauermt ; & qui verea cibis ab- ftinucrint ; pucllxquc
Tufca- hifioria explica- tur. cap. idp. Diluuntur argumenta virorum
fublimium,often- dendo alimentum, refpirationem haud efie ad vitam fimplicitcrnecellaria,
licet eam con- ferucnt.cap.170. Decimatcrtia opinio eiufdem Harueti cum alijs
dicentis huiufmodi ieiunium a fopranatura- li caufia prodire , ac miraculofum
edo cap. 171. nes non pofle in rebus phyficis naturz limi-
tesegredi;necomnibusabftinentibus, clan- deftinum alimentum fubminiArailc cap.
182. Tolluntur argumenta fuperioris opinionis mon- ftrandoquomodoex Iamblicho,
Apuleio Damon poftit dfc caula eorum , qua; perti- nent ad aftiones hominum
admirabiles cap. 183. QuarationeAriftotelifiantfomniafuturorum- prxnuncia,
&t_attiones hominum referantur innaturam, cafum, <V m fizmonium-. cap. 1
84. Quo icnfu cx Ariftotelc alimentum ad animatum referatur, & fit non
fecundum accidens, led per fc: ac vtrum per fe includat ncccilitatem. cap. 185.
Dccunafcptima opinio Apponenfi,&poft eum- Rugcni Baccomj cauflam diuturnx
abftmen- tiz referentis in virtutes aftrorum , nuas vo- cant alij peculiares
influentias, a quibus pen- det tum magnetis conuerfio ad polum, tum— maris
xftus, tum frigiditas in hxc infera, Expenditur allata opinio , monftrando
quale nam miraculofitadfcnbendumieiunium, quale cap.18<5. naturz vinbus.cap.
17,. Satisfit rationibus allata; opinionis, declarando quid fit Hippocrati
Diuinum m moribus ; ablh nentes non omnes pgrotare ; nec feptioue diei
abftinennain effc letalem, cap. 177. Decimaquarta opinio ex Diogene Laertio, ac
De metno fiatuens ieiunantes clam ali eonfueuifie cxlitus ab Angelis cibo
aliquo pretiofifiimo eap.174. Perpenditur adduflt opinio monftrando nonom nes
commemoratos abftinentes enutritos effej czlitus ope A ngelorum clam illis
opumum ali- mentum fuggcrentium. cap. 175. Occurritur allatis rationibus in
oppofitum;& pri- mo explicatur vtrum nutrientis aninuf quiesa fua
operatione fit mors. cap. 1 6. Quomodo Ariftotcli alimentum 110 fumentia ani
malia,&plantzcorrumpantur; Biquaratione
ignisparuusamagnocxtinguatur,finonadcon Ponderatur addufta fententia,
monftrando cauf- lam adeo longi iciunij referendam non efle in-
v1rtutcsaftrorum.cap.187. Diftoluuntur argumenta propoli tx fententix , aC
primum Celn, BC Apponenfis au toritate libra- ta, oftenditur non femper horum
notitiam aes lis auipiciandam efle. cap. 1 88. Influentias non cflecauflas
iciumi.aliorumueeffe ftuum abditorum , ac fpecianm conucrfiones magnetis ad
po!um.cap. 1 9. Diuturnam abftincntiam , marifque fluxum, ac refluxum non;
communicare m ortu a mo- tu, lumine, aut influentijs cxli ; led hunc ab
exhalationibus de terra turgentibus ; il- lam ab alia caufa pendere cap. 19*.
Frigiditatem in his fublunaribus pendere non- abInfluentijs,fedacriorumimmobilitate,vt
verumfitcx Ariftotde.cap.191. b } Decima Dcciitiiofliua opinio decernens
longioris abfti- nentix caudam referendam ede m ly mparhiam complexionis cum
aere,6c. antipathiam cum_, cibis, cap. ipz. ludicium promitur de hac opinione,
offenditur- que hominis temperamentum eam cum acre iympathiam non habere , vt
fine alimentis illo fudineatur. cap ipj. Dilfoluuntur argumenta, quibus
probatur ieiu- nium pendere a fympathia cum aere, & antipa- thia cum
alimentis; odenditurque vi 1'ympa- t hix aerem non pode in alimentum cedere,
ve- nenum vero polle, cap. 1 94. Decimanonaopiniocxiltimantiumdiuturnotem pore
a cibis abdincre proprietatem cdcindiui- dualem.cap.ipy. Penditur hxc opimo,
aperiendo quid Phyfiologo fentiendum (it de proprietatibus occultis tum
fpccificis, tum quoque indiuidualibus appella- tis.cap. 1 pif. Soluuntur
rationes viri egregii, ac demonftratur autorem problematum non dfe A
phrodifxura; cur odor thuris , & rufarum alios male habeat, alios recreet;
alijsaluum loluat.ahjsaddrin- gat; &T Galeni, Thcopraftique dogma expli-
catur. cap. 197. Vigefima opimo Abulenfis, cui tam longa; abfii-
ncntixoneocftexEcdafi quaieiunandum , anima quali ii corpore alienata canfucta
munia non obeat. cap. 198. Eiaminaturallata opinio, demondrando Ecffa- dm non
cdccaudam immediatam longioris ab ftincntix ; ac tandiu ici unantes haud omnes
£c flafimpados fuille, cap.rpp. leant: Porphyrio, & Galeno explicat»
cap.iO<5. Abdincndbusanaliquideffluatecorpore,&quid exire valeat.cap.a07.
Vigcdmateriia Opinio Citefij dicenris diuturne abdmenrix caulfam fuifle
conffnftioncm, fiue comnreffionem vifcerum nihil nutrimenti ad-
mittentium.cap.208. Examinaturo iniopropolita,demondrandocoar ifiationcin
vifcerum iciumj caufsam non ede, atpotiusctfcftum; nulloquemodofamem,fi- ti mue
tollere, fed augere, cap. jop. Satisfit radonibus propoli tx fententix ,
aperiendo quarationearftccinflipeflore,acventremi- nus comedere podit.cap.2 1
o. Vigefimaq uarta opimo Ioannis Langij exidiman tis longum hoc iciunium a morbo
pendere , ni- mirum a tabe iecons, ac ventriculi ffupore, ac
omninoabatrophia.cap.ii 1. Expenditur allata fententia,odendendo caudam cur diu
viuant aliqui fine cibo non ede morbo- lamaffeftionem. cap.ir*. Occurritur
allatis rationibus , declarando difieren tiam iciunij fan£torum,&
prophanorum: non_> femper ex morbo intermitti funiiiones vitx: quxue
operationis lilio morbum fequatur. cap.i tj.
VigelimaquintaopinioQucrcetanireferendsab- ilinenttx caudam in petrificationcm
partium . ventrisimi,&nutricatumaliarumexaere,ac odoribus.cap. 1 14.
Expenditurallata lentenda offendendo longum ieiunium haud ortum ede a
pctnficatione par- tium naturahum,& a nutricatu aliarum cx aere in
vlkiabdinente. cap. 1 1 5. INDEX CAPITVM. Soluuntur allatx rationes hanc
opinionem robo- rantes, de dilcriminc inter Ecdafim,ac fom-
num;VinterEcdafimgrauem,acleuema- gcntes.cap.aoo.
viralianonaerenutrita,necalijsvitamcommu- Vigcfimapriraa opinio Podhij
afferentis homines diu ab alrmemo abdincre , anima illorum pec cataphoram,&
intendorem fomnum vacante a proprijsofficijs. cap.ioi. Examinatur, &
improbatur opinio decernes ab- ftincntiam diuturnam abalto,&t_ profundiori
fomno prodirc.cap.201. Refpondctur ad argumenta de (omni differen- dis, &
de longum tempus dormientibus, cap.ioj. Vigefimalecunda opinio Benedilti,
Montui,& Mercuriales dicendum caudam longi iciunij ede condri&ionem
cutis, pororumque occlu- fionem quidquain ecorpore diffluere non per- uri
ttentem.cap.2a4. Expenditur allata lententia demondrando vfum, ac necelficatem
alimentorum non ede abfolute indaurationcm deperditi, fcd m alium finem : nec
ita meatus omnes occludi pode,vt nihil ef- fluat ccorpore.cap.105. Soluuntur
Beucdifli, & Montui radones , oflen- dendo cur cxlum alimends non egear;
& quo- modo corpora , c quibus nihil effluat, ali va- nicade. cap.j 16.
Vigefimafcxta opinio decernens abdinantes no-
ftrosdiufinecibo,potuqueviuercviherbx, ac medicamendcuiuldamfamem,fiumquepellen
tu.op.a17. Expenditur allata fentenda offendendo abdinen-' tesnodros nullius
hcrbx,autmcdicamenu vir- tute adeo longum pruduxideiciumum. c.x 1 8. Occurntur
argumentis allatam fentenuam corfir- manubus, confiderando naturam
herbarum,& pharmacorum fitmem dumque pellentium cap.a 19. Vigclimaicptima
opinio ex Valeriola referens caudam aiuturnxabdinendxin puram confue
tudmcm.cap.ziO. Expenditur propofita fentenda , offendendo con- tuet udinem non
patere tam longam abffinen- tiatrccap.2 2 r. Satisfit rationibus viri
Clariffimi, offendendo qua rarionemedicamenta,&venenanonagantin_.
aduetos;&quomodofc habeat confuctudo ad cibum, & potum, cap.aaa.
Soluuntur argumenta Quercetani odendendo ab (linentis vilcera naturalia non
fuide petnficata; libri . •* Libri Tertij Capita centum
Prifatio,inqua& difla dicendis attexuntur, tam mitti Diftnbuitur viucnrium
genus m fuas fpccies fupre Ariftotcli mus.cap.r. minem Quomodo fe habeant ad
alimenta propofira vi- cap.2p. ucntiura fpecies vniucrfim. cap.z. Semen
animalium St in vtero, extra vtrmm . femper viuere fine alimento, cap.3. In
animalium mortalium genere aurelias, 8r nym phas appellatas nunquam vllo
alimento vri: co. paraturque generatio infefli ex verme cum ge- Ariflotele in
tex- pofle Ariflo neratione hominis.cap.4. Semen plantarum non tota fui vita,
fed tamen fine alimento viuere.cap.y. Oua diu fine alimento viuere, quamuis non
diu peratione viuere ex definitionibus nflotclepromulgatis,cap. 2. 3 Deducitur
hoc ipfum cx tngefimo De anima, cap.33. o- animae ab A- fexto fecundi vitam
fine alimento viuant. cap.tf Ligna,fcu ramos,&arboresextra humum totam diu
fine Adijcittir his definitio vira in Tamis exarata propofitam iniermiflionem
nis adftruens. cap. 34. naturalibus nutricatio- alimento viuere. cap.7. Stirpes
terra infixas diu, ac fpeciarim tota fine alimento viuere pofle. cap.8.
Brutorum imperfeftioris naturi plurimas hieme Ariftotclihocidemplacuiflcin
Moralium, cap. 33. primo Magnorum diu fine ali mento viuere pofle: ac fpeciarim
icuinio,&ortu brutorum viucnrium intra ioli- diflimos,imperuiofquc lapides
copertorum.c. Aues quampluresdiu abftmere incolumes, c.ro. Pifces diuturnam
tolerareabftincnriam. cap. Tcrrcftrium brutorum perferorum plurima tumumagere
ieiunium. cap.r Homines diu a cibo,potuque abftincrc pofle.c.r Quotuplex,quique
caufla dc propofito nobis in- quirenda fit.cap.14.
Quotuplex,quiquefitcommunisidea vniuerfa- , lilque forma diuturni abfhncntra.
cap. 1 y. E quibufnam fontibus hauriantur argumenta 40. caufla efficiens urqs
abftinentes non ali confirmantia, cap. Homines in diuturno ieiunio nutriendi
Quid.dr' quomodo radicalis cap 41. humoris a calore na- ^nem intermittere pofle
ratione aninra.cap.17. Nos diuabftinctes pofle a nutricatione toto co tf-
penitus prohibere peffit. ponstraiiuociari corporis habita rarione.c. 1 De- d
ifferentia originis xt 8. citra vitfdifpendiuhabitaquoqjrationecaloris.c. jr.
iqualitatum mifli, deque Homines diu pofle nutriendi munere priuari ongtne
radicalis humoris. Differentia cflentu tnum squalitatum eflcntia natiui
calonsfliumidique dicalis explicatur. cap4y. 1 Pofle diuturnam nos agere vitam
citra nutrica- tumex ratione vira, fcu viuentis totius, quod ex anima &
corpore mediante calore conftitui. tur.cap.10. Diu intermini pofle
nutricationem abhomine ra- propofi- tioneipfiusmct nutricationis. cap.11 Diu
pofle intermitti funrtionem alendi ratione peramentorum, miflorumaqualium tcfcunt;
a quibus feiungirur aequalitas humoris primigeni;, Differentia promulgatarum
ipecierum hu , , om- natiui mons quicalorifubditusefledicitur cap.4<5. nino
ratione fpirituum. cap. 1 2. Confirmatur diu fine opera nutneatus viuerepof- fe
homines dc lententia principium autorum, ac pnmum Hippocratis, cap.23.
Nutricatione diu intermitti ex decreto Ocian diu nos pofle 3 nutriendi munere
penes durationcm. cap Qui fitiqualitas impediens confumptionem Celfi.c.14, ad
aures Galeni ex illuftn fentcnria m opere it lotis ait hu- natiui , SC humidi
radicalis reperiri pofle. cap. 49. & humoris naturalia 30. Quomo-
ffir.cap.15, - caloris, ... I tf DEX CAPITvi dicendorum ratio , naturaque
proponitur. LiberTertius,inquoexrei natura difquiruntur caufisephyficx tara
longum ieiunium confti- tuentes,efficientes, conferuantes, terminantes , ac
diftinguetcs cum generarim, tum fpeciarim. fpecies Hominemdiutius nutricatione
intermittere pof- no- 1 6. funflio- diutunra huius abftinentii. ' Aequalitatem
virium in homine diu fcruari pofle. cap. de lc de mente Ariftotelis in y.
problemate prtmit 9. 1 j. diu- frOionis.aif.j6. Ariflotele fuppofuifle,ac
potius exprefle 3. Laurentio nutricationem vira ncceflariam non fe.cap.3p. ef-
Idipfum confirmatur ex eodem Galeno Corrtcli/ fententiam approbante, propofi-
cap. 26. Confirmaturhomincmfine aflione alendi ftercpofle conii- diu de mete
Galeni excorni 1 feOionis. cap.t7_ ' t.a'phor. Operationem virtutis nutririuse
in atrophia ex Auicemra fententia. cap. quoque pnuatum aflionc nutriendi 18. viuere
pofle intextuij.hb.i.dc Confirmatur id ipfum ex eodem tu
14-e1ufdcmoperis.cap.50. Nutricationem inviuente intermitti ho- anima.
teleautorein yltimo problemate dteimtt fOio- rir.cap.51. Confirmatur hominem
pofleabfquenuiricndi dccreuif- fe viuentia funflionem alendi poffeintcruutte-
re,quod ena notauit Auerroes s.dcan. Marcello nutricationem in viucntibus
pofle. cap.38. t. 5.C.37 intermica Colligitur forma, 8^" idea vniuerfaJit
abftincnrra noftrum iciunantium. cap Quptuplex,qu*qile fit vniuerialis riuo
confumpeionem cap.4z. Quotuplex efle pofllt *qualitas in — mifto. cap.4?.
tarum; ra Difcrimen trium earundem xqualitatum ratione leuradicah. squalitas
quantitatis diferera; vnde mnumcry fpecies 47. moris radicalis a calore nanuo.
cap.48. Aequalitatem caloris quoad virtutis in homine cip.46. inter- te- inno-
caloris Quomodo aequalitas virium caloris natiui, <V tu- midi
radicats fit cauda diuturni leiuiuj - cap.51. Quibus pneferrim xqualitas virium
caloris, & hu- moris fit caudilciunij. cap.52. Dcijs,qux perfedeftruu
ntaliam ieiunij caudam, proportionem fcdicct 'firium caloris & humo, ris.ac
fpcciatim de er.tnnkcus accidentibus cap 74 ptio.cap.yj. Proportionem hanc
humidi radicalis ad calorem natiuum,in qua lente humor a calore confutua-
tur,in homine reperiri pofle. cap.54. Commcnfurationcm hanc humidi, &
caloris in_, homine diu feruan pofle. cap.f 5. Proportio hzc natiui caloris
humoris quomo- do Iit: caulla longioris abdinenti*. cap. 5 <5 . Quibus
prxfertim Iit caulfaieium; liare proportio calons ad humorem, cap.57. Quomodo
fe habeant ad inuiccm propofit* du* humeris radicalis pofle datui caudas iciumj
eo- munes omnibus abdinentibus ab mirio enume- ratis. cap. Manifcftaturcxhis
caudis diuturnum hoc ieiu- nium prodcilci rei naturam condderanti. cap.tfo. Confirmatur
hoc ipfum argumento defumpto a lucernis ve tudillimis, qux noftris temporibus
in fcpulchris ardentes reperiu ntur. cap.di
Dexqualiratispropofit*intervirescaloris,&hu- morisvaricratecffcnriali.cap.
<5i. Proportionis inter eadem vitf principia propofit* varietas edentulis.
cap.fij. dunt, in quo non podunt intcrmilTum alimenti vfum repetere. cap.8 1 De
caudis communibus varietatis, feu differentia
rumtemporis,(eudurationismonentislongum ieiunium a fubiefto defumptis. cap. 81.
Dccaudisvarietatis in durahone ieiunij abefB- cienubus,&"
confcruantibus abftinenuam de- promptis. cap.Sj. De caudis varietatis in
duratione ieiunij defum- ptisj finientibus,acterminantibusabdinenttf. cap.84.
Dc fontibus, vnde hauriantur caudae fpeciales va- ...... INDEXCAPI TVM. De
interna cauda per fe pnmo proportionem vi-
DcalteracaudahuiusaHmirabilisieiunij,quanon numcalonsAchumoriseuertente.cap^y.
tollituromnmo,udintardaturhumidiconfum Decaudisperaccidenseuertentibuseandemvi.
numcaloris,&humoris proportionemabftine. tis procreatricem. cap.7<5. De
forma, fiue idea termini Uhus, in quem definit longum ieiumum. cap.77. De
his.qui coft ieiumum lani remanent, atque ad interminum ciborum vlum necedano
redunt. cap.78. De his,qui ex longo iciunio tandem moriuntur cap.79. De his,qui
ex longo iciunio incidunt in sgritudi- ncin.a qua conualefcere poliunt
redeuntes ad caufli: in producendo iciunio. cap. 58.
Aequalitatem,&proportionemcalorisnatiui,&
Dehis,quiexlongioriabdinenriamorbuminci- rix durationis abdinentue quoad
fingulos gra- Quibusabftinenubusaprimogeneretumsqua- dus.cap.85. litatis, tum
proportionis vinum caloris & hu- Diflribuuntur gndus iciunorum penes
durationis moris interni ieiumum ortum duxerit, varietatem incerta capita,
cap.jd. cap.<54. Decaudisabdinenti*intrafeptunaminclude,qui Quibus
abdinentibus longi ieiunij cauda fit e fe- cundo genere tuin squalitatis, tum
proportio- nis,qu* funteum valido calore, cap.dj Quibus longs abdinenti* caufla
fuerit squalitas, <St proportio vinum humoris, calons medio eris in tertio
genere, cap . 66. De difcriinme trium horum grnerum squalita- tis,ac
proportionis virium caloris, humoris in producendo 1c1un10.cap.d7. Decaudis
terminantibus ieiumum generarim. cap.dS. De caud a per fe tollere valente
virium caloris,^ humoris squalitatem, & odendituream non_. elfe calorcm.ncc
humorem,nec animam, fed ex tnnfecus 0ccurlant1a.cap.d9. De caudis per accidens
gcncratim euertentibus x- qualitatem virium caloris, humoris interni cap.70.
Explicantur ex ternx cauffr per accidens xqualita tem propofium deltruentcs.
cap.7 1. Afferuntur caulis interne per accidens euerten- tesxqualiutcm virium
caloris,&' humon; qua rum vna offenditur ellc anima, cap.7:. Enucleatur
altera interna caulla per accidens hu- lu Imodi squali tatem deilruens. cap.
73. efl primus gradus longi ieiunij,inter quas nume ratur fanguims copia in
venofo genere , quam-, protulit Bottonnus mfignis Medicus . cap.87. De caudis
ieiunij ad nonam diem produfti.in qui bus locum habere videtur alienatio ammz a
vi- txmuneribus Ecdadsnuncupata,quamexeo* gitauit Abulenfis.cap.88. De caulfis
abdinenti* ad duodecim dies proroga- te* quarum cenfu non rcmouetur caloris im-
becillius a IXxftiflimo Bonainico piopofita. cap.89. De caudis abdinentix
quindecim dicrum.quaru vna perhibetur ede morbola coadituuo autore Brafauolo.
cap.jo. Dccauilis ieiunij viginri dierum, e quarum nume ro legitur pituitz
copia cum Alagno Albcrto; attexiturquepropomisnoua hidoru longioris abdinenti*
Canonici Leod1cnfis.cap.91. De caudis ieiunij trigrnu dierum, cap.92. De caudis
abdinenti* quadraginta dierum, quas inter numeratur vim pouo; rluxque mirabiles
hidorix longioris ieiunij lupenonbus adijciun- tur ; & fupcrnaturahs,
lanctorumque vnorum abftinentia explicatur, cap.pj. vfum alimentorum, cap. 80.
Dc caudis .... .., INDEX CAPITVM. Decauffisieiuniiblmeflns,intcrquasreponimus
AquamnonideocfTemiliumalendoaptum,quia meatuumcutisadftriaionemcumBencditto,
tuitunonfentiaturiummefrigida,&gufluper & iMontuo.cap.94.
Cecauflisicium»trime(IrisAexplicaturquomo- doammaliaquzdamlinenutneatuptnguclcat:
Adijciturijuc promulgatu noua longiffimi ieiu nij obicruatio. cap. $>5
Decaufia leiunij fcauftns. cap.pd. De caufTis abflinentiz, quz ad annum
integrum- prorugatur.cap.57. De caums abflinctise vitra annum praten fac. cp8.
frater cauflas phy Ii cardudum allatas, tres alias re
pennvalerediuturnihuiusiciuntj procreatri- ccs.cap.pp. Caufiarum propofitarum
ablbnentix comparatio ad inuicem. cap. 1 Oj. c i libri quarti Capita ccnlunt
quinque cipiatur varij liiporis.cap. 1 6. Aquispermilhnnnonedeacrem,cap.1 7. Aqu*terramnoncflepermillam,cuiterne
fapo- res mnnt.cap. 1 8. Aquam motu, ac ventis non incalefccreAcurmo ta dicatur
viua.cap. 1 p. Aqua hieme calida mtfli rationem no habct.c.io. Aquam non
congelalcere,cui nihil iniit caloris, et fi fngotecongelatacalorediffluat,cap.21
Quomodoaquafrigidiffimaquumfit abexterno frigorevertaturinglaciem,cap.22.
Pratcr qualitates aituales de genere accidentis meile cuique elemento
habituales qualitates de genere fubllantias, qux funt forma;,ac differen- tia:
conflitutnccs.cap.i;. Vrqualitatcs aftuofz, ac potiffimum frigiditasin
Praelatio, in qua notatur difficultatum explican-
darumnatura,&agendorumordo. Platonisallcrtuindeelementorumfirapliatatcct
Liber Quartus, in quo enodantur difKcilia,quz ha /fenus explicatis obftare , ac
obi/ci polTc viden- tur. plicatur, cap. 16. Pilees in pifcims ex lapide
eonflruitis no ali aqua; & Ariilotehs locus explicatur de terra, St aqua,
Decere Philofophum de re aliqua ex profeflb tra- nantem tum omnes aliorum
opiniones de pro- politoexpendere,tumilluflnorestantum: vn-
deinnotefeuntferibentiumfines,officia,crimi-
Pifcibusinvafisvitreisconferuatis,finonaqua-y naAconemplationumvarietates cap1.
Dicere Phyfiologo inter expendendas opiniones aliorum,nouasa femctiplb
comminifciAvehit alienas examinare ; exquo putet coguitionum
varietas,irordo.cap.2. 'Alimentum omne a viucntibus neccfiario prodi- , re, nec
ali ferro llruthiocamelum: quo czno a- laturanimal,&planta, cap.;. A
mortuis vt nobis alimenta,jugumenta, & femi- na fuppeditentur apud Hippocratem,
exercita- tio cum acutiffimo Scahgero. cap. 4. Exper inento haud probari aurum
putabile pofle nutrire.cap.y. Hominesfziiololoandiualivaleantvtiiumen-
Eondcletiiratiodenutricareexaere,&aquapen ta.cap.d. Venena in alimentum
nulla ratione poffe conce- dere. cap.7. - f ,Vt homoAomnino animal fuauiter
olere valeat fponte nareric.cap.8. Vtfrigusnoningrediaturoperanaturz; acprzfcr
diturad Anflotclis trutnnain. cap. 57. Qui Nnodo mutatio fit fimplicis in
milium, ac vi- cilfiinA' omnino inter oppolita ; vnde tollitur Olimpiodouratio
probans aquam alere, ca. ;8. Aqua fi non alit, quomodo Annoteli vercdicatut
alimentoefle,acproindeilliusmutatiomorbo-
timvtquxcunqueexputrioriunturacaloregi- ia.cap.;9- gnantur.cap.p. Quomodo aqua
feruens remoto calefaciente fc- metipftin tefngcretcap. 10. Abflinen tes a
cibo, potuque omni prius affligi, 8c mori fiti, quam farne, cap. 1 1 Vt aqua
potabilis calore putrciccre non poffit, at- que amman.cap.i2M Ex putri
fbrmaliter animatum procreari non pof- le. cap.t ;. CyprimsA^alijspifciculis fponte
natis non efle ortum^utviftumexaqualbla.cap.14. Pilees feu frigida nutriri cur
aquafo- Ja viucrc non dicendi, cap, 1 5. , quomodo ex ea ver- materia denfiori
fitintcnfior.cap.24. Aqua: calorem non olfendia pclluciditate.c.15. ' cap. 27.
Pifciumin perforatis nauiculis quodnam fitalimf tum.cap.28.
quidinalimentumcedat.cap.29. Oflrca, mytulos holuturia non ali aqua^». cap.;o.
Lepades,ac mugiles aqua fola non ali. cap. Sardinas,fitaphyasaquanonali.cap.;r.
T Plantas marinas lola non ali aqua. cap.;;. Si vinum,(anguis^ac,cetcnquc
liquores nutriant, nonideoaquamalerc.cap.;4. Anguillas non oriri, nec ali aqua
pnth, fcd ca ali js decaulfisobleitari Ariflotcli.cap.;;. Aquatilia tum
branchias habentia, tum fiflulam flr' fpeciatim tcflacca non ali aqua ex
Anllote- lc.cap. ;d. Niucm non e(Tc aquam mes oriantur, & nutriantur,
lcporefque Plinio. cap.40. Aquam vino additam quomodo Ariflotcles dicat in
vinum mutari,^ vinum in aquam, qu* m- miflumperfcttigencns, atque adeo matimen-
tumconuertinequit.cap.41. ) Lentem paluflrem non oriri, neque nutriri ex a- ' ;
b Quomodo putredo Iit propria miflipafficv&aquf conueniat.cap.4;. ' iui;
Aquam quomodo calor concoquat Hipoocntr, B ca coitione non vertitur in
alimentum,cap-44- quafola.cap.42. ; 1 Vtmx Vtnix efientiam non
habeat terra participem ,ac iptunuiam,exercitatio cura lubuhiiimo Scaligc
ru.cap.41. Qua ratione nix fecunditatem afferat agris, fi ter- ra particeps,
non cft cap 46. Vtputredoablblutc Iit corruptio propnj caloris. _ «P47- Cur
muta imperferta vmentibus in alimentum ce dere non valeant , 6c_ fpeciatim cur
aqua nufia cumalimentis nonalat. cap.«3. Vt alimentum iimplicitcr huuudum efle
opor- teat.cap.49. CurIitioccurratmagi»vinumquamaqua.cap. o 5 Vt litis fit
defideriuin alimenti. can. 5 1. Vtfamesquatenusellleniusindigentis,quem_
anunalcin, dicimus, fit affertto lolius oris ventri culi, non ctiain aliarum
partium. cap.fz.. Vtdolorfamem.aclitimprxcedat vcluti caulfa
nonfubicquaturquafieffertus.cap. 5. 5 Cur pi iguedo.fit^adpes alere non pofiit
cap.54. Vt medulla non Iit alimentum , fed excrementum 0fiium.cap.5j. Ieiuma
per •iccidcns.Sr' apparenter calefacere.ve- rc,ac per fe calorem non
acucrc,licet p>er fe fitim procreent cap. 5 <5. Vt allinentis per fe non
refrigeretur vlla ratione-, calor nauuus.cap.57. Anflotclis difficilis locus
explicatur de refrigerio calor.s ab alimento.cap. 58. Galeno nem alimentum non
refrigerare calortm natiumn, nili per accidens, fed per fcilluin au- gere.
cap.59. Vtalimentis augeatur caloris innati gradus, feu
qualitas;nonfolamateriacalida exercitatio ; cumdortilfimo Fcrnelio. cap.do. Vt
alimentis non pofiit caloris virtus mtfdi abfq; Vt verne melerei de ventrtenld
, inteftinis f» gant alimentum non expertato fine cortioms. cap.7i. Vt folia,
ttores, frurtus, & femina plantarum pars tes vere non fint, fed excrementa
potius, ca.y7. Vt cx co, ouod oua,& femina citra nutricatum vi
uant,colligere polfimus perferta quoque anima lia vitam polle traducere ablquc
alimentorum vfu. cap.74. . ., . ., INDEX CAPITVM, co quod fubicrta calori
materia augeatur. c.d 1 Vt animanutriensartumhabeatimmediatum,&
Curnonfintfrequentioresnofiri abfiinentes, fed proprium, in quo edendo no v tat
ur organo cor» porco.cap.dx. Calorem natiuum in nobis,quin etiam ignis riam-
tnamapudnos,nonindigerencccllariohumo- ris,quo vcluti pabulo nutriatur, cap.
67. Cur calor humorem in milio, & in viuentc prxfer- tim d:palcatur,&
intentum procuret, exercita- tio cum liibtililfiino Scaligcro. cap. 154. Vttn
Ecllali ceffct anima nutriens ab alcndimu- nei4.capd5. Vt Ecftafis non Iit
priuatio munerum animi intcl ligeutis, exercitatio cu virodortiliiino, ex Sca-
ligero.cap.dd. Vehementi fiupore^hjsque plurimis de caudis de 1.
Jertabanimopolleomnesnouones,&habitus, cap. 67.
Vtalimentivfusnonfitadrefiaurationemdeper- di ti,fcd ad auocandum calorem a
cita conlum- tione humons: exercitatio cum Magno Al- crto.cap.(58 . Cur femen
maris in vtero femina: concipientis no alatur.cap.09. Vt IcmcnnonIit
parsanimati,inquoeff.cap.-»o. Vt ou»iubutntancaliat ammata.cap.71 cap.8<5.
raro admodum vilimtur. cap. Vc alimentorum indigentia infit viuenti quatenus
miftumcfi.cap.88. CurabliinentesobxquaJiatemviriumcaloris,& humoris interni
iuonantur,feu non femper to- tam vitam degant in ieiunio,fed plerunque re-
deant ad ciborum vfum. cap.89. Vt agentia fecundum virtutem aequalia inuicenL.
agant.cap.90. VtexGalenolubfiantiacorporis iVomninohu‘ , midum [fubltantificum
dilfipetur a calore nari- uo,non iolum ab adfcititio,cxerciatio cum Car dano,
cap.pi rnojC Vt Ariftoteh calor internus ablumat humidunu, fubfianttficum.cap.91.
Vt cx rei natura non colligatur a calore natiuo no abfunuhumidumfubfiantificum,
<Vprimo quia calor fit anima: inftrumcntum.cap.pj. Vtcalor non ideo dicatur
non confumerc humi- dum quia in miftu elementa non fine in artu fe
cundo,Vquahatibus rtfrartis,fubditil'que for mx luenti compolitum . cap. 94.
Vtcalormfitusnonideononconliimatpartium-, lubfiantiam,quiafitearumtbrma.cap.95.
- Vtcalo- Vt facultas alens pofiit a nutriendi funrtione r1.cap.75. ocia Cur
materia corporis nofiri per alimentum femper non debeat innouan, vt cenfet
Albertus cap. 76 Inhis,quidiuanutriendimunereociantur ftra non cfie ven triculu
m,iecur,& alia membta nutricatui dicata, cap. Vt ratione caloris animal
tiinrtioaem alendi diu intermittere ualeat.cap.78. V piper, pyrethrum, finapi, thapfiaque
fit homi- t ne cahd10r.cap.7p. Vt viuenti non repugnet nutricationem intermit-
tere, fiucvt animal pofiit abfque nutricatu vi- ucre qua viuens cfi. cap. 80.
Vt tini nutricationis formahter non obrteteius pcrauonis intermifiio. cap. 8 1
Vtin atrophia faculas alens penitus ocictur cap.81. o- i Vt cx Galeni fententia
nutriendi funrtio non ' homininccefiaria.cap.87. 1 Vtex Flotini lententia
nutricatio iugis ' debeat in corpore viuenris.cap.84. Vteffcrtui priuatiuo
caufla politiua pofiit, afiign* ri,noTqueid fecerimus in fupenonbus.cap.85. Vt
mors viucntibusconuenut fecundum natura fcu quomodo interitus viuentibus fit
naturalis. 77. 87. , fru- non efie-> Digil qt fit mK cuerti naturae
lr| Calor, definiendo^ non^UfrAr.cap.8*. o Vt calor iniitus igneo pro|
iCrefpondcnscoi cum femetipfo coUlgaturitluod vcgcticficak.re,&hieme
tiamehushabeant.cap.ioi. aa ,.:j) mi Ha.t.gMUlCifsklJlli l"v'i fcwnq..4,.
-..i.-.wfjO, . « .Hi i i .k VViiiUa»: .’t.' W. r .. . «.t»» .V«m .t
{}.{ioli>>* 1. :S utrori''- » . 1 . 1 ) r tluf. tvi. 11 . 5 . un. l M-k
'V' t -'iiklia^.Ohtvn.i,*!* i!,» lRttift j 1? ' m. .j.j.il r.cvt • -.• .1 r4 .1
a» c ii t.ojSjva nm.iinhijjafc. Btiftt remtr.il buUma ttiu^bi' iV. INDEX.CAP1
TVM. min vituentCe fiuniftionecs UDt inirn^» mari cap.8d. Mntehumorem
abfumert.dicatur.BnOoniidoaw» rf.u.bkrAt^natnitii<f«iiciuimn
abKfumnantr.rcanp ti noi Vtabmfito calore corpu* non deftru» ex co qwv mA , :
eadem eiuldem rei poffitefie caulia perl^^ac. Yt accidens,cap.i03. i '
Eftpe&rum.cuiutcaulsas qoi» noujt,cur noniem tione non refp6deat, fit
humiotim. perisidemprocrearevaleatcap.i04. Caloreminnatumradiolihumoriadeocon^»
Perorauototiusoperu.capUtvltimum. i flriM l‘Ut '...ftUi -bvt..:; ana.y,ami»1m«i
“thVt»Ws0'tV.s. t.\11.a.tm.*"'V;^0•. iiontti tJ H» .1 kf.l »bc. • Mi-
>\«i>.tthtij . t .1 Sei.t e«10»rilrurfvht 1 - ? 9* i >v fp wuiMe' 1 •
7^^ **t :.i i** : ir.i * Wv • ...v . t,- 11 v -Ol'-. •e l»i5 •'•{! a.l8-t.
aavttt '»wj.iW'i'i :.!.wtversqiR*t . J.vrf>u iv-ri^s tvnvr.iltbv. .Mti.t
iai’.~*’nmra... ... .. ‘ -1 i* - .i . 1 .e .•Ti-V 1 ' citjh «»03 « • '...'l.i
u4 VUl.tella DtUsfpk vh.l&o tv ' tVSSansUiiV. [ - •x "SlI "y t
.ulmwtviM ««iiir ...kJvT^ •t 'O.i.jt i .«nmr^sk aw mpiv.fi ;.'iti:'.V, .(i .itt
a orf 9 . .0 iu ' te oii. Uk ip.V '. xt^VK. .1.i,ns :ln r*e>.__ r*'. njV-bkit^rjei
iTbk. » .Mbl.t tiUtAiLBi\tVi ••T.^.b.v.n' . \Bo*r»ta t.r.ift.k uiwji. TM5iimv .
nuamiimtifiu .i.tfl.f ,iyi»9;rt * . . .aktVaie. tiV ,! • alqaiir p . n e«n*d
vmtMrVSV. e; VyM 1 .|Tvf. 4-ul:i> I •j.r.bf I t.ini ,'lncril y:«v.:ivl>r^
atrtWb i*W~..pt'. 1 lW"llI ..• ftvftv. t.-... sno.-.vsts^a^i a>
iU»iriSiLBfl' xAuitiilb ’ .ur/i-ii ittr' ,-• n..r ' ' - -~lUlV- 1 tatv.viTuue'
1 . .> jyr*1’ uiuw. - * Oa.A... ,.i1 »4>e» -.*-c tiVa humorem \ .s-u.-ue
. K. INDEX ,i .1 • i/.XIA'*' 'VtrQ\i,' "i'. l 9\a.1 .•' . . r’ .av.iii.pi
iA.ivr1 .As.ftla, . i) ,at ;.. yi juajm.ih. i1"
riumdicaviipfuiacunfuaitreYalcat.0^.1^ AwimtarUiAnti«naV.v,?y.
.«ri*a:£•<> NDEX TITVLORVM , ET CAPITVM OPERIS .
TriumCupidinum;Voluptuofumtyrannidemin Animæ facultas,concupiscibilisvtinanima
vin AmotescurAlatifingantur.cap.IX. Cur Amores Nudifingantur. cap.X. 23 De
Amoristergeminipulchritudine.cap.xi.24 Amor curnoncæcus inSchemate fidus. XII
28 sa,gercnsincacuminevolucrem,& caueam De
fructuarborissapientiæ,nostroinSchema Inter.viros altafapientiaprestantes,efequi
nonvocedocerefintapts, fedtantum, Schema III.Gemme. Sapientium ,sciendi cupidos
edocere valen: tium ,tresesseclasses.cap.xxvij. 7 7
Coruicumvirofapientiæscriptoredetegitur analogia. xxix. 78
SchematisAmorumtriumexplicatioMedica. DevolumineMufices,invnguibusCoruimy ab
Alciato,consideracur. cap.X V . 3 7 Schema IV.Gemma. Explicatio viri eruditi de
Amore nocturnas Ræfatio . Amoris origo mirabilis; a Platone polica 5 7
,de Defrondibus,&Aoribushwnanæsapientiæ. claratur. cap.IV. cap.XXV Amor
voluptuolus veergabellicum,& litera 40
Amorfapiêtiæcúrnudusefictus.cap.xix.41.
Decergeminasignificationeftellæprælucen. Amor sapientiæcuralatus,& quænam
finteius cisin Schemate poni caput viripsallentis. Alæ. cap.*** :43 Quomodo
fapientiæsymbolumsitarboranno 90 pag. 1. . P 36
AmorisEmblemanoftroperfimile,propofitum voce tantumodo docere valeant. 20 43
cap.xxxv. 5 Schema primç Gemma . De arboris 48 in Schemate piata coinparatione
65 cap.V. cap.XI. cap. VII. сар.Хxxiii. 16 busomnibus, cap.VIII, modo fcriptis.
cap.XIII. geminos Amoresprobaspassomexercere, çatirascibilem ,& rationalem,
cap.yl. 12 A m o r cur a veteribus Diuinitatc donatus , Explicatio Schematis ab
incerto propolica consideratur.cap. X I V . Yeiundas. XXXiii. 73 83 38
cap.xxxiv. DepriscisAnulariumGemmarum Sche maribus cxplicandis. C a p .I. Amor
sapientiæcur,præteralas,adhibearetiam brachiamanusquegeminas,quibusfuniculo
riuin impcriolam tyrannidem exerceat. 9 Sapientiam apprehendi ab Animo Doctrinę
H u m a n u s animus crga sapientiam cur se habeat sermone vocali discendi
cupidos crudi. ente :primumque de biformis inferoa parte 32
fticicanentis,repræsentat(1.cap.xxx. Inter viros dostos inueniri , qui non
fcriptis , at 86 Amorsapientiæcureffictusingemmapuellus
Supremamonftriparshunanadeclaratur. vtAmorpusio,corporepusilo.cap.xvi.39
imocens,arq;moribusfimplex.cap.xvij.40. gallumreferente. cap.xxxi'.
pientiacomparatur. cap.xxii. adarboremscientiæboni& malı,dudum a De
fru&uarborisscientiæboni& mali,primæ uæ inParadiso. xxvi. cantilenas ad
amicam personante perpen 62 89 duplicisecollarinaltum..cap.xxi..' 43
LicetiResponsiodeVeterumGemmarumex- Demagnoconatu,ingentiquelabore,quofa
plicationcadcunda.cap.II. Amorisdifferentiætrescxplicatæ.cap.III. 3 13 Cur
Amores ætate pueri fingantur a veteri sedulalectione,acintentaAufcultatione.
Schema II. Gemme. ditur. cap.xxxi. Propria proponitur explicatiode viro fapien.
AmorfapientiæcuringemmafiAusefteffigie DeBarbito,seulyradigitishumanispulfara
pusionis,acinfantis.cap.xviii. Deo inParadiso.creatam . cap.xxiv. cedelincatæ.
cap.xxvii. te , 85 88 Pror PropositoSchematicomparauraliudFabij
SeptentiamViricl.hocsensusunprám,nocon cundiatoris, cap.xxxvj, exterminatione
confiftere, SchemaV.Gemmę. 94 uenire Schematis imaginibus,oftendirur. Propria
Schematis explicatio prior eft, de AmicoveromọitainAmaci& defunctime. 102
De Armışoffendentibus,HeroicoAmoribel licodatis inSchemare. cap.xliv, 133
DeCun&ationebellicaperAmoremftantem ProponiturexpofitiopropriadeamoręCa.
indicata,cap.xli, tofis: cap.xlvi. postulan. Amicumverum inaduerfitate
dignofces, cile fót: vél Tetbydis, aut Veneris Amores:velÆgyptusludens ditur.
cap.Ivii. Prima cxplicatio noftra moralis ,de formola Peleum ,velVencris ad
Anchisen delatione, formofitas, do oscaffo, Şecunda Schematisexplicatio,de
Amico vc cap.lviii, cap,li. 1 107 Pulchramulier,permarevitavagarsadare D
e Amoris bel lici clypeo hieroglyphicum , Cur Amor istebellicusPedes,non
Equesef, Super incrementa Nili. A m i c i d e f u n é t i m e m o r i a f e m p
e r i n c o r d e c o n f e r . raptaproponitur,&adhistoricamfidemrc d i g
i t u r , c a p , l x i. I21 1 131 cap.ly, Amoris bellici, cap.xlii. 134
cap.xliji, cap. xlv, cap.xlix, 139 118 ro , qui dignoscitur in aduersa fortuna,
III I14 cap.lix. Schema X. Gemma, exarmati,pendicur.cap. xxxvii. indignacionem.cap.liv.
Coniugalis Amor armis offendentibusexpolia. 95.
Proprjasententiaproponitur,quæ’est,obocu losooni Schemate noftro proprietares A
m o risirascibilis,fiuemilitaris:primumquede Schema VIII.Gemme. Index Titulorum
, De Amorisbellicivultufæuo,seuero,actan.
ExplicatioSchematisacl.Viropropolita,de cumnontoruo,minaçique. cap.xxxix.99 105
De propriafignificationeGaleæincapito dicitiamMatriş-familias.cap.lvi. Schema
VI.Gemm &. D e A m o r e civili,qui vocatur Amicitia,vta tri muliere,quæ
nimium extra domum vagans ad arbitrium ,vel eft,vel euadit impudica ,
yanda;& Amantemnonredamatum,indi- 143 Propria explicatio G e m m æ
proponitur , d e gnabundumextinguerequam affectionem, Schema VII. Gemmx .
TriconepulchramNympham marinam yo, Aliena Viri cl.explicatio,de A m o r e
monftran . lentematq;lubentemcomplecterte,perqs maria ferentc.cap.lxi.
redamato,syumAmorem extinguente per 129 AmoremHeroicummilitiamagisinconferuatio
Secunduseruditivirisensusexplicatur,& neDucis,&
Exercitusoportuneceleris, & cunctantis,quaminhoftium expenditur,cap.lij.
129 moriam eonseruante, cap,lij, 1 3 9 Opinio,dicenshocesehieroglyphicumAmo
SecundaŞchematisexplicatio,deAmantenon ris concupiscibilis per visam negociofam
corporemilicisgeneratim.cap.xxxviij. 97 DeAmorisbelliciceleritace,perAlaşindica-
ca.cap.xl, CupidineindigneferenteSibifpiculanegari aVenere,proponitur,&
expenditur, filius in Schematę noftræ Gemmulæ , IN Schemą IX.Gemma
Smithi anaexplicatiode Nereideper falum A m i c u s v s q u e a d A r a m
A m i c o illicila 109 140 busanteadeclaratis,Concupiscibili,Ra.
Secundaexplicatiofabulofa,velTethydisad rionali,&
irascibilicontradistinguitur. OpiniopononshocessesymbolumAmorisvo-
TerrinexplicatiophysicadeÆgyprolafciui luptuosi,expenditur,cap. xlvij. 115
entesuperincrementaNiliocap.IX. 141 Rapinapuellasdealiasrespulchrasexponit
Propria declaratio prima de Amico vsque ad Aras., cap.xlviii. Fur & pudica
Maire- familias. piugali,exarmatospiculisoffensjonisperpu
bitrium,velimpudicaeft,velimpudicafa. equo marinoveda,proponitur,& cxpene
Sententia virieruditide puella vere a Tritong 146
tccun&ashumanasresessevanas,proponi-
Secundacxplicatio,deTijroneraptāpuellam tur,&explicaturprimosensu.cap.L.
123 noftratélubvndasasportāte,cap.lxii,146 Tertia 141 &
CapicumOperis. Tertiamoraliseftexplicatio,depiratis,acpræ-
DeorationeMentalisubhieroglyphiconudæ mortali. cap.lxviii. 1 5 9 Propria
Schematisexplicatio,declarans spe tem ,& faciemintergaversain,cumligneum
scipionem. cap.lxxx. De forma templi Delphici inSchemate. De
consulentisDelphicumoraculumbaculo, 193 Mundi Systema,partesquevniuerfuminte.
grantes,explicantur. 200 200 ASTV'S DEV DITVR ASTV. 158
Incognitiviriexplicatioindicataexsenis 168
datotibus,aliisquemaritimaclasserapienti- mulierisgenuflexæ,sedentis,&
vicumque busresalicnas.cap.Ixiv. S e n t e n t i a C l . viri , d e p r i m o q
u a d r i g a r u m i n 180 uentore proponitur ac expenditur.
OraculorumDiuinorumpropriumest,homini, deEricthonioaPallade,ceu
filiofpurio,& tanquam presentes. Schema xij.'Gemma. 163 De
Papauere,simulachrosomni,aquoprima De rupe templo Delphico subiect:.
cap.lxxxiij. cap. Ixxiij. 185 196 cap.Ixv. 166 cap.lxxxvj. > Cap.1xvii. 158
Propriafententiaproponitur:primumquecal sumitexordia,& inquodimidiumsuædura
cap.lxxxij. giliapatratarum,perenneininconftantiam. cap.1xxxiv. cap.lxxi.
cap.lxxii. Proprialententiaproponitur,& confirmatur, impuro proicão.
cap.Ixvi. bus euentusfuturosdemonftrare Schema xv.Gemme.
Alienadeclaratioproponitur,& explicatur. ciarim arborem in lacus propeod
ntem ,& hominiscõsulentisoraculumcumpailijpar De
Papilionc,lignificantebreuitatemhuma- næ vitæ.cap.Ixix. 189 De Simulachro in
templo Delphico. De Canopo ,Deo Aepytiorum ,superante 170 Iouisfiguravesitaptum
Terræhieroglyphicũ. cap.Ixxxviij. OratioVocalisatqueMentalisvnacon pirantes
Pallas nuda ve fignct ignis Elementun . Ixxxix. Deum flectunt,ob
efficaciterexorant. Schema xiv,Gemma. De Mercurij ligno,Elementum Aeris repræ
de.cap.lxxiv. 174 Detribusorandimodisantiquis:ftatario,ad
Beneficij,velabrutisaccepsi,Deumefegratum remuneratorem . geniculato,&sedentario.
cap.Ixxv. decoreftantis,ambabusmanibusDeocor offerentis. Deque antiquo more
tenendi cap.Ixxxj. I91 Pallijmotus in terga declaratur. c.lxxxv. 192
ExplicationoftradeMundi Syftemate,parti tumAquæ.cap.xci. uariælymbolummedium
explicaturdevita Dc Rota,lignantehumanarumactionum,invi. 165 189 205 Schema xi.
Genoma. cap.lxxviij. tionishabet humana vita. cap lxx. De
Vrnasepulchrali,adquamterminantur a&iones omnes humanæ vitæ mortalis.
Schema xij. Gemme. Deum Chaldæorum Ignem , viâorem om. nium aliorum Numinum Gentilitatis.
buiqueintegrantibus,proponitur;primum que Zodiaci declaratur imago , pro toto
Cælo.cap.lxxxvij. 179 D e oraçione Mentali vereres profanos egisse. Facici mira
versio in tergus explicata. Schema xvi. Gemma , corroboratur. cap.xcij. 190 191
153 Voca- DeNepturo,repræsentantetotumElemen D e viribus & proprietatibus
orationis 2 0 2 lis ,a t q u e M e n t a l i s ,D e o A c c e n d o p o r r i g
e n . sentante, cap.XC. Poeta HEROV M FILII NOX £ . autoribus proponitur &
Humanavitaeftmorsvndiquemiserysobfella. cap.lxxix. expenditur. 175 D e oratione
Vocali , fignata per mulieremic. miamittam,quædexteralacinian tenet,fini-
Schema xvy. Gemma, ExplicatioViriCl.re&taproponitur,& latius
ftraserpentemporrigit.cap.Ixxvj. 177 Aras ab orantibus. cap.Ixxvij. 197 Poetabonus,ad
Lgraincanerenescius:vel 207 Propria Schemaris explicatio proponitur , de canere
nescio. cap.xciv. Secunda Schematis explicatio depromitur ex pium
naturagenerica,Proserpinæ Schema Schema xix,Gemm &.
ponendisaprefacilequedislidijstumánimo rum dilceptantium ,tum corporca violen:.
NoftraexplicatiodeDucisexercituumeripli- SacrilegusBrenusadAltaresempliDelphici
ciproprietate. cap.xcvii. Tertia declaratio nultra de Amoris genitabilis
fcibilis,& Rationalis,explicariSchemare. produnturinSchemate.cap.c. mortem
fibimetipfifponteconscisceredebuis, AuroranettensAtheraterris,prouchit oria
diem . Schema xxi,Gemma. Auroradiejnuncia,celeriterorbem terrarum circuit.
cap.ciij. tiabelligerantur, cap.cvii. 235 setranfuerberat. 241
absolute,frustra laboráns. Hesiodo poeta bono carmita sua ad lyram 209 adagio
veçusto de viro fruftra laborante . PRINCIPATVS ANIMALIVM,
Ducisexercituumproprietates: Amorisgenitalisimperiosapotestas, G Amoris tres
differentia, Elementa vitalia. imperiosapotestate. cap.xcviii. vel 248 Ampli il
cap,xcix. cap.xcv . 210 regna benegubernantur, Explicatio viri Cl.de Principatu
animalium . 212 220 2II cap.xcvj. ·212 cap.cx. 216 altronomo Lunæ,liderumque
seruante, cap.cij. phasesob- DeAjacesemetipsuminterficiente,gladiodu dum
abHe&oresibidonato.cap.cxij:247 terramcum Plutoneraptoremanente,totie dem
supracerráapudmatremdegente,my. numSahemapossitintelligi.cap.cix 242 245 dam
fra&tam supplente,affertur,& expen ditur, cap.xciij. Schema xxų.Gemma.
De CererisfiliaProserpina,sexmenses intra Amoris tresdifferentias,Irascibilis,Concupi
213 Elementa viuentium fcracia,& altricia,terna Anonymisententiade Decio
proponitur,& cxpenditur,cap.cviii. obferuatoris hieroglyphicum. Schema xx
Gemme, numpoflicimago Schematis interprecari. 244 Explicatio fabulosa , seu poetica
viri do &i de Schema xvij Gemme. De MercurioCanicipite,Regnum Acgyptium
optimegubernante, cap.cvj. 233 Schema xxiv.Gemench. De
viribusSapientiæ,acEloquentiæincom. Ajaxfurens,obAchillisarmfaibinegata, Schema
xxv Gemma. D e Catone Veicense,semetipfum cõfodiente, Proponitur explicatio
propria ,de Brenno , Proditoremnunquamplacereviroforti,etiam cui sot vtilis
prodirio nesati hoftis, Schema xvij.Gemm...
Explicatiovirido&ideCicada,citharæchor Pulchra fæcunditas ,a terracalore
rapta,fex menfeslaterintraterraviscera,totidem . que fupra terram in aere
degit, C. Sapientia,donEloquentia litigantes,atque pugnantesanimos
apsefaciley,componit. Aftrorum Lunariummotuum ,& phasium
EndymioneaDianaadamato,cap.ci. 219 P r o p r i a S c h e m a t i s e x p l i c
a r i o p r o p o n i t u r d e Gallorum Duce facrilego ,qui semetipsum
confecerit ad Aram Apollinis in templo Index Titulorum ,
thologiacómunisexplicata.cap.civ.227 Propria explicatio de vegetabilium , feu
stir te,fabulisquerepræsentata,cap.cv. 229 Sapientia,& fortitudine,fagaciqueprudentia
De Bruto ,separiter pugione confodiente, D e l p h i c o . c a p . c x i.
Schema xxvi Gemme. De offAuCæsarisaccipientiscaput Pompeij Magni a
proditore,qui virum interfecerat, cap.(Xiu. 224 Schema xxvij.Gemma.
Larma.fiueperfonaDramaticumPoctamoftendit. Sue
prijcisacrificabantvbigfingulisfereDijs vitaprecellentibus, ta vetusta . 238
251 AftNo . 281 Schema xxxiv,Gemma, Schema xxvj.Gemma.
Virtutefortunamsuperari.cap.cxxi. Dc QliadrigainAnulosignatorioPlinijSca
cundilunioris,& RanafignatoriaMecæna 278 cap.cxxiii. eis. cap.cxiv.
tasmaximoperedecet. Schema xxix.Gemme. cultatibusincolumem .
Martialesvirimulierumraptoresprimi,par: Centauricuerentis,& fagitcantis
tergeminum 284 novelfatuplenum,&excrinsecusoleolisi. GenerofasindoleseducaridebereabHeroibus
ujoueperundum. cap.r8011. 258 Lætarineminemoporterefraude;quum& ip- se
consimili capi valeat. cap .cxx. 2 7 5 298 Propriæ fententiæ
declaratio,devitæconcem . cap. CXXV 292 267 & Capitum Operis.
AmpliDominijsplendornonofuseatsideraviro Virumingenio,probitate,fortitudinequepolen?
thiuminbonoPrincipe,Magnoque Mini, Stro,quem taciturnitas atque celeri.
sememergeredefawienrisfortunediffi Gerimis Anulorum insculpiconsucuisse vultus
gemina,fugax,dprocax,mysticerepre. JenialacaleftiSagittario. insigniumvirorum
,adillorummemoriam, cultum ,& imitationem. cap.cxv. 253
DeHominisinAlinumtransformationeper maleficālibidineabutentem.cap.cxvi.255
myfteriumexplicatur,primumquedeScr monishumanidifferentia,& velocitace.
VeterumsaltatioIudicrasupervtresplenos, & extrinfecusvnitosexplicaia. Eodem
Hieroglyphico denotari humanæ vitæ naturam fugacem , geminaquc differentia D e
vererumludicra(alcationesuper vtrem vi. Schema xxxi.Gemms.
PersonamnonattribuiPoetæLyrico,velEpi- ChironCentaurus,vtviruina&uofæfimul&
contemplatiuæ vitæperitumindicet adomnia:jeaprecipueVeneriadpuritatem
coniugý;dfæcunduarem prolisinNuprijs. Schema xxxviii. Gemma. Furum ex rapto
viuentium antiquitus condi Schema xxxir. Genome , De
SacrificioSuisapudantiquos.c.cxix.261 Fraudulentiparifraudecapiuniør: do
Vitecontemplatricisverumacgenuinum hieroglyphicum. Schema xxxix.Gemma.
Gandium& Mærorviciffomfibifuccedunt. Schema xxxiii.Gemme. Anonymi sententia
perpendicur de Psyche Pyralidisalasbabente,ansitAnimesymbo fomquediffamati.
Humani Sermonis ; do bumana vite natura inactuosapariter& incontemplatrice
Schema xxrvii.Gemmt. Furacisrapacitatistypus,& inftrumen. 286
ViroruminfigniumimaginesAnulisinfculpifo: litas,adeorum memoriam ,culium ,
Mulierumraptoresprimos,& paffim fuissevi ros bellicolos. cxxii. imitationem
. LibidinisatqueMagia prauapoteftasingens, Schema xxx.Gemma, virtutis,&
vitijdistinctam ,maximeque libi. dinosam. cxxiv.
coledellepropriumfymbolumDramatici. aprum cducaregenerosa indolisadolcicencs.
cap.cxviii. 260 De Marlyageminatætibiæinucntorcfabula menio latjusexplicato.
Schema xxxv.Gemme. Schemaxxxvi.Gemma. tionesexplicatæ. cap.cxxvi. lum absolute.
cap.cxxvii. platricisintimisattributis. cap.cxxviii:299
AtuosavitaprimafpeciesBigisinludorum
AliaPanosexplicatiodevniuerfoproponitur.• Circensium Schemare currentibus
hieroglyphiceinterpretata. 329 332 Aftuofavitasecundaspecies,Moralis&Actiua
luftaZelotypamulierisindignatio,familjemaeft:
nuncupata,Quadrigarumfpectaculomy. ftice representata. Schema xliv. Gemme .
345 deEquoTroianoproposita,&expensa: PropriaSchematisexplicatio 340
primumque Darctis Phrygij deNaturalicu narratio. piditatesciendi. cap.cxliii.
cap.cxxxviij. 338 . 321 VirorumHeroicavirtutepreftantiumvultus
Potentiorumprædeopulenti:Tellurisoccupatio apudantiquosmerorieacimitationisergo
cap.CXXX1 Dilly's Cretensis Ephemeridum inuentio , 342 400 . communis receptio.
cap.cxxxii. 312 veterum, cap.cxxxiv. 343 cap.cxlv. 328 310 cap. cxliv.
Achillisimagoqualis,& curinSchemace. vltionem , Bigarum cursus in stadio ve
indicet Artificum vitam effe&ricem.cap.cxxxix. cóprehendere
fatagientis.cap.cxxxix. 33 ! ResponsioLicetidenneac formasuisymboli Schema
xli.Gemmik. Sophiftaperimitindocius,adoctisinterficitur in literario mundo .
Quadrigarum cursu signariviram Adiuam, Naturaliscupidosciendiqu.erielatentesrerum
præcipuequeMilicarem.cap.cxxx. 305 que Aduerfushoftesinbelloiusto,dolis S c h e
m a xlij. G e m m a , expenduntur. cap.cxli. paratur,ac desingulistribuscensura
pro mulgatur. cap.cxxxiij. interitus , Schema xlvij. Gemma. pafjem effigiatos.
haberi. a fortioribus: Agraria Legis occafio , do egoAmicitia cogens ad iustam
PerfeisimulacrocurfignaueritAlexander, cur vsiveteresin Numis .
Multiplexænigmatisexplicatio:& primade potentioribus diripientibus aliorum
opes. De Anulis,quos adsignandum habebatMa- gnusAlexander. cap.cxxxvi. Secunda
Schematis explicatio nostra est,de robustioribus,terræ dominium ,acpofsef
PanosHieroglyphica,deSermone,deque Vniuerfo declarata .
TertiaexplicatiopoliticanoftraSchematis,de
terrædistributionemilitibusvi&toribus,per Schema xlv. Gemma . Platonica
Panos explicatio,de conditionibus, Legem Agrariam ,affertur. cap.cxlvii. 348
QuartaSchematisexplicationoftraeftphysi. Auctarium . Schema xlvi. Gemima. ca,de
typo Agriculturæ. cap.cxlviii Hostiumdonfaufpectafempereffedebere.nam . Poetarum&
historicorumcommunisopinio, Veriores fententiæ deSphinge proponuntur
exalijs,cap.cxlij. TertiafententiaPlinij,Pausaniæque de Troia-
110Equoproponitur,& allatisanteacom Arcana Numinis,&
ediftaPrincipumnonime telligentem ,acnonobferuantemmanet Schemaxlij.Gemme.'
cap.cxXXV. vis:Agriculturetypus:Ægyptus: Schema xlvii.Gemma, &
proprianaturaSermonishumanipropo- nitur. cap.CXXXVII. .351
QuintanoftriSchematisexplicacio,deregione 302 327
fionemfibioccupantibus.cap.cxlvi. 346 licerarij. cap.cxl. inuentis ingenia
macerat. Schema x! Gemme . aqueacviribusvtendum . Aliorum
opinionesdeSphingereferuntur,& Propria Schematis explicatio proponitur de
Troiano Equo secundum senfa poetarum Principum,& nonintelligentesoracula.
Index Titulorum, D e Schemate noftri Mercurij Pana fugientem caufas, quibus
inuentiscellat, non 326 Sphinxcurinterimatnonobseruantesedi&a 325 326
Ægypti.cap.cxlix. 353 Postres i 1 & Capitum Operis.
PoftreinaSchematisexplicatioest,deAmici- .
CrucifixiPredicatores,Pifcatoreshominum: ciæ , ad vindictam injuriarum
cxcrcitum.co. ChiorumantiquainHomerumobseruantiapu 357 Explicatio prima Smethiæ
G e m m æ de Crucie cap.clxiii. 373 374 ExplicatioprimæGemmæRhodianæ,rife,
PropriaSchematisexplicariodeMulaThalia rentis obseruatores cæleftium luminumn .
proponitur,& comprobatur.cap.clvii.376 402
Curantiquisacerdotesofferrentaliquandola SecundaexplicatioGemmæ,dehomineforcu
crificiaNuminisedentes,cap.clix. 384 licibello Cælaris Augusti nata ,Belisarja.
411 AfferturgenuinadeclaratioNumi Comitis11 391 Comica lafcime gaudet
fermone Thalia : vel Sccunda noftra Schematis affertur explicatio 399 dia
gentium comparari. Salute patratum . 379 natomarehumanævitænauigante ventose.
406 chariftie Sacramento.cap.clxv• 395 390 394 409 Schema lių.Gemme.
cap.clxxii. cap .clxviii, 377 ad veritatis imaginem . Felicishominis,feu
formuaritypus, Nawigans cum ventis in V'tre conclufis. culo. cap.cxx. 1 1 408
gențis,hieroglyphico, cap.cl. 355 VniuersalisIudicijtypus: Mirabileconuiuium in
Deserto; Virosfapientespublicismonumentisefecolendos Schemą IL.Numifmatis,
Schemą liv, Gemm . De Smithianagemma.cap.clxii, Animopacatofacrificandum,&
fupplicandum, Fructuumatquefrugum vbertatem concors Schema lij. Gemma.
Concordia,& fidedata,feruataquçmirificam Miles
atrocibellafuperftesinærumnofam incidit inopiam fæpiffime. .369
duobuspiscibusmirifice,cap.clxv. QuartacxplicatioGemmæ,deSacrofan&oEu
Schema lvi.Gemma. cundoadarbitrium,fincracionis guberna cap,clxxi, blica.cli,
Comparantur Numismati de-Lazara duo ali NumiabAugustinopropositi.cap.cliv rá
curba in deserto quinque panibus & ExplicatiovirieruditideVenere,loco,&
C u pidineproponitur, cap.clv. Schema LI, Gemma , De Amore fơecundante
criainferaelementa. cap.clxix. apud homines promoucri bonorum ome niumybercarem
,cap.clx, Şchemalvý,Gemma Belisarij,& Horatijpoetæpaupertas,exinfc
Fortiondinis audar facinus,pro Patrie næ calamitatisfere çoinpar exprimitur.
DigreffiodeCicuræmedicamentis,&veneno.
MutijSczuolæRomanigrandefacinus,& inli-
ResponsioLicetideCicutæviribus:& pri mum ,cusnonhabeatvimcxpurgandicor
& EucharistiaSymbolum. fixiprædicatoribus hominum piscatoribus. Schema lv.
Gemmila luftriss,loannisdeLazara,cap.clii. 359 De
sepulchrorumdifferentijs,& Homericu. Secunda explicatio G e m m æ ,finale
iudiciuin mulo, cap,cliii. 364 PoetaComici,Lyriciuelafciuiorisactus, Schema
Ļ.Gemma, Celestium obferuationivacandum animo curis
vacuo,quiescentequecorporeprorsus ExpendunturallarıSchematis imagines,&
sensaViricl.cap.clvi, Aftronomioblernaca,& Aftrologiludicia,vc
exarretieridebcant.cap.clxvii. 398 myftice referentiş.cap.clxiv. 3 9 2
TertiaexplicatioGemmæ ,desaturatainnume dePoerafcuÇomico,feulyricolafciua
fupidoMaria,Terras doAeremfæcundans: carmina pangențe , cap.clviii, gnis erga
Patriam Pictas atquc fortitudo detegiturinGemma cap.clxi. 387 pora çiçuræplanta
:deque duplici genere Cicutarum,cap.clxxii. 413 Sale.
beatmolliendi. cap.clxxviii. etiamproba,plerumque multum nocet fibi , dum
viro coniugi , C u p i d o a u o l a n s a P s y c h c fibi n o n m o r i g e r
a , Amaritudomunuscælitusdatumhumanænaty. raadprocreandasmultasbonasactiones.
Schema lix. Gemma . Q u a t u o r N o u i s s i m o r u m e x p l i c a t i o
in G e m m a D e Mortis memoria , per Anulum Schematis De
secundonouiffimo,quodeftludiciumDei poftobitumhominum ,perperdentiscorum p o f
t l u d i c i u m l u e n d i s a v i t a d e f u n & is p e r perenni poft
obitum , aut purgationem in cælispossidenda,perStellam ,Lunam, & Cicadam
hieroglyphicefignata. 428 PeroratiototiusOperis,Caputvlcimum.440 n quo
agitur de Monftris generatim. Cap. I. ^^^^J^ Onflri varia ftgnijicatio 5 (^^02
propria efi , ac noflri inflituti^. deteoitHr, Cap. 1 1. Monjlri etymologia
vulgaris , quaft res eventnras monjiret^confiitatidr; vem(^propriaproponttur»
Cap.III. DeMonjlroriimHnmanorumrealiexiHentia, Cap. IV. Realts extftentta Monjlrornm
irrationalium natH- ram non eoredientium patefit, Cap. V. OBenditur in
fiirpibus etiam revera MonBra contingere, Cap. VI De Mon''horHmcauffis
generatim ijtiot ^qu^ecjue fint, Cap. VII. MonflrorumcaujfaHnalis generatim
(jtiQtupLex^qucec^He fit. Cap.VIII,
DeMonflrorumcattffaformaligeneratim,quotuplex^quaquefit, Cap.IX.
DeMoniirorumcaufiaejfetiricegeneratim,quotaplex, qu&quefit» Cap. X. De
MonflrorHm caiifiaeffeflricegeneratimtquotupleXiqucequefit, Cap XI. Propria
Alonfiriffeneratim accepti definitioinvefiigatur» Cap. XII. Inventa Monfiri
definitioexplicatur. Cap.XIII.
Monfridivifioinfuasfpeciesfupremasmtiltiplexaffertur,fedaptior eltgitur,. ^tP
J-tl BBIL INDEX LIBER SECUNDUS. In quo fpeciatim agitur de Monftris
tjumanis. PRAFATIO Attexensdi6iisdicenda^&dkendorumordinempromulgans. Cap.
I. ORige^^canjfdMon^fOYPimh^manorumcommHmsqti<e^ "wplexejfe valeat.
Cap, II. Monftrorum in humana f^ecie mutilorum realis exiftentia ex Uiflo-
ricis elicitur, Cap. III. Origo , (^ prima caujfa monBri uniformis mutili
educitur ex propria materits defe^u. Cap. IV. Secunda caujjfa^ C=f orfgo MonHri
mutili oHenditurejfe ex dehilitate, ac defe^uvirtutis formatricis, Cap.V.
Tertiacaufa,(^origoMonBrimutilijlatuiturinangufiiauteri, acloci f(stum
continentis, Cap.VI. ^uartamutiliMonjlricaujfa^(^origoadmateriaineptitudinemredigitUY.
Cap. VIL Q^inta Mon(iri mutiLicaujja^ (£ origo eft ex parente itidem trunco.
Cap. VIII. Sexta cauffa, (3 origo Monflri mutili admorhumfoetus attinere
dicitur, Cap• IX. Monflramuttlaeximaginationisparentumviexoririnonpojfc Cap. X.
Monjiri uniformis excedentis redis exifientia ex hiHoricis item compro- batur,
(tajia, Cap.XI.Monjiriexcedentisnatura, G?caujfa.primaeliciturexparentumphan-
Cap. XII. Secunda cau^a , (^ origo Monjlri excedentis in materics nimio excejfu
ejje perhibetur. CapXIII.
NonomniaA^fonjlraexcedentiaexmateri^srednndantiaexoririiJed
aliquaexcedeniiumfuicaajfamtertiolocoinunamateriaepenuriaobtinere. Cap.XI V.
^jiarta canfa, (^ oriuo Monjlri excedentis infkperfcetattone collocatur, Cap, X
V. .^inta caujja , ^ origo Monjlri excedentis rejolvitur in iteratam ejfu^
Jionem maternifeminis in uterum citrafispeYfQ^tattonem. CapXVI. Sextacauffa, £?
origo Monjtri excedemis pertinet ad anguHiam uteri„ Cap. XVil. Septima caujfi ,
c^ origo Adonftri excedentis exparentibus monjirofts elicitur. C^p XVIII. OUava
origo , ^ caujfa Monftri excedentis in vitio nutricationis confiftcre
perhibetur„ Cap. XIX. Nona ratto , (^ canfja Monftri excedentis monftratnr in
animipajfio* nibus parentes aJJicientibHS : ex^rciiatio cum Cavdano , (^ Parxo.
, Cap, C A P I T U M. Cap.XX»Decimacaujfa3
(^origoMonjiriexcedentisinviolentafKaternicorpo^ ns concnljione reponimr,
Cap.XXI.U/idecimacmjpi, ^origoMon^riexcedentisrefertnradmorhnm foetus, Cap.
XXII. Monjlrorum ancipitis natur^efHbfillentia realis demonflratnr, Cap.XXIII.
Jldonftrianctpitisorigo, C^cauUa.communisinjtntiaturj ermturque prima. ex
?nateriet diverfce dcfe^H, ac excejja. Cap.XXIV. SecmdaAlondrfancipitisorigo,
^caujjaextiteriangufiia, (^de" feSiu virtuttsformatricis explicatur*
Cap.XXV. Tertia Monjtnancipitisorigo , ^cau^ainmorhofmtm, ^ffiperfce' tatiom
deteqitur^ Cap. XXVI. ^iarta Mon^ri ancipitis origo , («? caujfa refertur in
materi<e ine- ptitudinem, ^iteratammaterntjeminis,
(^fanguinisejjluxtoftemaduterum, citra fiperfostationsm, Cap.XXVII.
^intaMonjlriancipitisorigo, ^caujfadepromiturexparentum - corpore Monjlrojb.
Cap.XXVIII.SextaMonjlriancipitisorigoy C^caujfaexvehemeniiparentum
imaginationei (^ vitio nutricationis in faetu enucleatur^ Cap . XXIX, Mofiflri ancipitis
origo , Cs* caujja feptima reponitur in arte, peccata JSfatura^ imitante, ac
nonfine ai^ilio Naturiz operante. Cap,XXX.
Mon^ridijformisexiBentiaexhiHoricispromalgatur. Cap. XX Xh De Monjlri dijformis
natura, ^ caujfis ; primaque illius origo refoU vitur in malam uteri
conformationem^ Cap.XXXII.
SecundaMonjlridijformisorigo,&caujfaJpe5latadmalumjitum placenta nuncupatas
: cujus ufns explicatur, Cap.XXX11/,
TertiadijformisMonfhicaujfa,(^origoexmoladepromitur. Cap.XXXIl^,
,^artaMonjiridiffhrmisorigo,(^canjfaofienditurexmotu, Cap. XXXF. ^^inta Monjlri
dijformis origOj (^ caujfa flatuitur imhecillitas fa- cuttatis difcretricis,
Cap. XXXyi. S.exta origo, (^ caujfa Monjiri dijformis ad nimiam materiie vifet-
ditatem rediaitur, Cap. XXXf^lI. Monflrainformia , dehitammemhrorum figuram non
retinentia^^ reipfa inveniri.
Cap.XXXVlIl.DeAdonflrovuminformiumorigine,&caujfa; qu^primlmde» ducitur ex
imbecillitatefacultatis formatricis. Cap.XXXiX.SecundaMonfirtinformisorigo,
(^caujfj,exanguliiautericolli" gitur. Cap . XL. Tertia informium
monfirorum caujfa , (^ origo in motu inordinato repO" nltur„.
INDEX C^p. XLL ^arta informis Monflri origoi^ caufpi d(?prmiturifi mola^
(^ fLicema , tumore utm^concuTYmie virtHtisform^trkn imhcilliime , acmatem
tertceweptimdifie, Cap. XLII. ^inta informis Monflri orlgo j ($' C(^0jj4 ex
imMgimtio^e parmtum vehementiexi^ltcatHr» Cap,XLIH,SexiatnformisMonftricauffa^
^origoinnsonflrofoparentedete* gttMY, Cap.XLIV.SeptimainformisMonjlriorigQ^
^caajfnrefertmadmenflrmYHm fliixum tempore conceptus, Cap. XLV.
MonjirienormisexiHentiapatefit, Cap. XLVL Monjlra enormia^ & omnino monfira
mn ejfe infantcs candidos e fareKtibus JEihioipibws ortos • necviciffm
iEthiopum moremgros e cmdidis: (^decolore Aadromeds. Cap. XL VIL Monflri
enormis origo , ^ caujfa prima ejje in imaginatione paren» tHmperhibetur:
^miiltadeaureocri^re Pythagorse confiderantHr,
Cap.XLVIILSecundaMonfirienormisaureofemorecaujfa, (^origoreponitur tn
exhalationeigneadecorporeviveniis efliMente,
Cap.XLIX.TertiaMonfirienormisameofemorecaufia, ^origorefblvitHYin morbum
regium, Cap. L. ,^ana Monfiri enormiter pilofi caujfa i (^ origo ex craffitiei
(^ fuligi* num copia extruditptr ; ubiplura de cordepilofo Ariftomenis.
Cap.LL,^intaManflrienormiterpilofiorigo, (^cauffaexparentepariterpih» Jo
petenda eft. Cap. LII. Sexta Monflri enormiter Upidefcentis origo , &
caujja ex intempefiei tic materiae ineptttudine dedudtur^ Cap.LIII.
Mon^rimuilttformtsineademfpeciefnbfMentiapatefit; ubidecapi-' le ytrtli ^
mulieris corpori ajfixo -^ ^ de Hermapbrodttts mira quadam expla" viantur.
Cap.LlV. Monfirimultiformisineademfpecie^muUerisnempeviritecaputha- benits
origo , ej" cauffa prima ex hetero^e»ea feminis natura educitur j ^
defemi» nis'Vulgotnwiafculosmutatts; Qfdemnfculisefieminatis, Cap. LV. Secund.4
canfia ejufdem mo-ftlhi multiformis ^ (^ ori<To excutitur ex de^ jtdu fminis
m^fcpilei Cap- LVI. Tenia Monjiri multiformis in eadsmfpecie origo , (£
cauJfarefertHf i,id pdrentumimairinMionem. CapLVH.^t^ariuorigo,
(^cauffaMonfirimuliiformisineademfpecieadpa^ rent^s conjimilem natnram attinef,
Cap. L V i I L Monfira mnltiformia ^diverfas animulium fpecies in ecdem ge*
nere proxmoreferemta fnonefie figmsnta ^jed in rernmnatura reperiri» -'-
Cap. C A P I T U M. Cap. LIX. J^donjlYt midtiformis diverfas
animaliHmfpecies in eodem geneYepYO^ ximo referentiSy canjfa^ c^ origo frima
depromitur ex apparentia. Cap. LX. Secmida caujfa, G? origo Jkfanflri ,
mtiltiplicis fpeciei animalia referen' tts , ex imbecillitate generantis
pendere demon(lrattir, Cap. LXL Tertia canjfa, Cs* origo Adonflri multiformi
animalium fpecie elicitur ex deirenerata fsminis anima in nattiram alienam.
Cap, LXII. .^arta Aionflri mnltiformis varias animaliam fpecies referentis
origo, (^ cmffa ermtm ex materialifostus principio, Cap. LXIII. ^jtinta Monflri
lotimani hrntalem effigiem habentis orioo , (^ cattjfa ex virtnt is alentis
vitio elicitptr, Cap.LXIV.Ssxtahominismonflroseferinasparteshabentisoritroj
(^caujfain altmentaris materiis. vitio reperitar, Cap,LXV. Septimacanjfa,
(^origoMonflrihitmaniferinameffigiemhabentisex morboelicitur. Cap.LXVI•
O^avacauffa, (^origoMonflrihnmaniybrtitorumejflgieminmem' bris habentiSfjx
imaginatione parentum defttmitHr» Cap. LX V^II. Nona caufja , c^ origo Alonflri
varias animalitim effigies habentis agnofcitnr ex parentzbfis monflrofs, Cap.
LXVIII. Decima catiffa , (3 origo Monflri partes habentisbrtitorum mem-^ bra^
(^ hnmana referentes, explicatur exfeminum miHione, ac nefaria venere. Cap,
LXIX. Dttbitafiones propofltam theoriam. urgentes diluuntur , (3 prima edn^a ex
Ariftotele , alicubi n^gante monjlrtim fieri ex animalibus diverfs fpeciei.
Cap, LXX. AlteradubitatiQ Maniliana, G? Lucretiana diluitur,negans qtiiA
ejfenobiscommunecumferis, (^plantisadinvicem {nam Caftronianam ver^
bistemerefttffttltam,nonautemrationibusinnixam, latedifcujfimusinopett deFeriis
Aitricis Anim3?,difputat. xxv.& xxvi. Cap. LXXl. Tertia dubitatio viri
eximii negantis ex variis fpeciebus poffe ejuid uni tantum parenti congeneum
nafci : Exercitatio cum acutiffimo Delrio. Cap. LXXII . Di^in^le magis
explicatur origo humani monflri ex fera nafcentis, Cap. LXXIII. Vndecima
cauffa, & origo Monfiri y varics fpeciei anirmliumi partes habentis, ex
cacodamonis opera elicitur, Cap. LXXIV. Monflra muhiformia fuijfe conflruUa ex
partibus referentibus animantia diverfl qeneris,
Cap.LXXV.MonflrihttmanimembravHiorumanimaliumhabentisorigo, (^' caujfa prima in
apparentiam refertur. Cap. LXXVL S^cunda Monfira diverp generis origo » (S
cauffa ex imbeciUitatsj vtrtutis generamis colligitur. INDEX
Cap.LXXVII.TertiaMonflridmffigemiorigo, ^emffainMilifatefcrma- tricis repomtnr»
Cap.LXXVI11. ^artacmujfa,c^origoMonflrimnlngemie?cimbecillitatcviv'
tmisfeparatricis dedHcttm. Cap, LXXIX. ^inta caujfa , ^ erigo Monflri
multigenei referturad femims degeneranoncm. Cap. LXXX. Sexta caujfa Monflri
poligenii materice ineptitudo ejfe offenditur. Cap.LXXXI.Septimacaujfa,
^origoMonflrimultigeneidejumiturexdebili- tate virtmis alentisfoetum, Cap.
LXXXII. O^tava caujfa, ^ origo Monflri diverftgenii ex inepto partium alimento educitur,
Cap, LXXXIIL Nona cauffa , ^ origo Monflri multigenii ex morbofostus ad-
ducitur, Cap^ LXXXIV. Decima caujfa, G? origo Monflri multtgenii ex parentum
imagi' natione hauritur. Cap. LXXXV. Vndecima cauflaj Gf origo Monflri diverft
generis adparentes mon^Yofosrefertur, Cap. LXXXVI, Duodecima
cauffa y (^ origo Monflripoligenii habetur infemi- " tiumpermifiione, Cap.
LXXXVII. Decima tertia caujfa originis Medufaei tapitis in ovogallin<s..
Cap.LXXXVIII.Decimaquartacaujfa, (^origoMonjirimultigeniiadvim mali Diemonis
refertur, Cap. LXXXIX. Monftricacodamonis eff.giem referentisexiBentia patefit.
Cap»CX-Monjiricacodamonisejflgiemhabentisorigo, (^caujfaprimadefumi-^ tur ex
parentum imaginatione, Cap.XCI.MonftriDismoniformisalteracaufla,
^origoexplicaturexcauffls prius addu^is. Cap. XCII. Vewv&tio totius operis.Licetus.
Fortunio Liceti. Liceti. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Liceti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690416537/in/photolist-2mKGTYe
Grice e
Liguori – implicatura critica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo. Grice: “Personally, my
favourite of Liguori’s metaphors is ‘the abyss of reason,’ since Speranza has
elaborated on this: it’s Gide’s ‘mise-en-abyme’ no less, which breaks my
principle of ‘conversational perspicuity’ – a mise-en-abyme text is just
untextable!” -- Grice: “Liguori has
studied the metamorphosis of language in one of his philosophical noble
ancestors!” “I like Liguori: he has the gift of the gab for metaphor: ‘i
baratri della ragione,” “la fucina del filosofo,” “l’alambicco dell’anima,” “la
condizione del senso” ‘il razionale dello irrazionale” o “le ragione
dell’irrazionale” “le ambiguita della ragione,” “Trasimaco ha ragione”
“Giustizia e carita” Ritratto. Frequenta il liceo classico presso i padri
gesuiti dell’Istituto Massimo di Roma. Studia alla Sapienza. “Scherzi della
memoria.” Si laurea con la tesi “Lo scetticismo giuridico.” Insegna a Lecce ed
Ostuni. Si dedica alla storia della filosofia. Insegna a Bari, Urbino, Ferrara,
Trento, Salento, Torino, Firenze, Lecce, Cassino, Napoli, e Noceto. Con “E il
vero baratro della ragione umana” – cf. H. P. Grice, “Mise-en-abyme
conversazionale” -- viene riconosciuto
come uno studioso di Kant, Graf, Leopardi, e Cartesio. Tratta Positivismo di Sergi, Lombroso, Morselli e Vignoli; dello
scetticismo di Rensi ponendolo in critica relazione tra Leopardi e Pirandello;
ha scritto di de' Liguori e di Benedictis, detto l'Aletino. Collabora con
l'Istituto Italiano per gli Studi filosofici di Napoli. Ha tenuto rapporti
epistolari con Garin, Bobbio, Augias, Binni, Donini, Ferrarotti e Timpanaro. Fonda
ad Ostuni (BR) il Circolo Culturale “Sic et Non”, cui aderiscono e
collaborano note personalità della politica e della cultura quali Donini, Fiore, Radice, matematico e fondatore e direttore di
“Riforma della scuola” e docenti delle Bari, Roma e Lecce. “Sic et Non” si
impegna in complesse battaglie civili come quella per un dialogo tra marxisti e
cattolici, ed altre incombenti questioni sociali come la campagna per il
divorzio. Stringe intese, oltre che con moti uomini politici e studiosi di
chiara fama, con il gruppo dei cattolici del Gallo di Genova e coi fiorentini
seguaci di Giorgio La Pira, i quali si riunivano intorno alla rivista “Testimonianze”
diretta da Balducci e Zolo, nonché con i ragazzi della Scuola di Barbiana,
diretta da Don Lorenzo Milani. Manifesto editoriale del "Sic et Non"
è la rivista Presenza, da lui diretta, che testimonia questa attività politica
allora pionieristica per una piccola provincia del Sud Italia. I sette numeri
pubblicati della rivista Presenza, e altra documentazione di tale impegno
politico, sono attualmente depositati presso la Biblioteca Comunale di Ostuni
(BR) intitolata a Francesco Trinchera e comunque ampiamente documentati
nell'unico libro autobiografico dello stesso autore. Critica e commenti
sull'opera di Girolamo de Liguori Carteggio con illustri studiosi Bobbio: Il
libro mi pare di grande interesse, per l’ampiezza e la serietà della ricerca su
un tema, se non sbaglio, mai scandagliato a fondo, eppure importante
nell'ambito più vasto della storia della filosofia positiva, della critica
letteraria e della cultura torinese (argomento a me particolarmente caro). Sono
convinto che si tratta di un lavoro di prim'ordine, che rende giustizia a uno
studioso e a uno scrittore (e poeta) che è stato sì, ricordato più volte dai
suoi discepoli, ma è stato poi dimenticato dagli storici. Credo che questo
libro sia un effettivo contributo alla migliore di quel periodo della nostra
storia che la cultura idealistica aveva disdegnato: un contributo di cui
soprattutto noi piemontesi dobbiamo essere grati». Sebastiano Timpanaro: «[…]
Mi sembra, e non lo dico per adulazione, ma con piena sincerità, un'opera di
livello davvero eccezionalmente alto, per la caratterizzazione del protagonista
e di tutto il suo ambiente, per tutto ciò che finora ignoto essa porta alla
luce. E’ venuto fuori cosi un lavoro che molto di rado accade di leggere».
Ambrogio Donini: “Mi pare, ad un primo esame, fondamentale per la conoscenza
del periodo ancora poco conosciuto. Apprezzo moltissimo tale metodo di indagine
e la serietà della documentazione. Uno studio di questo genere è certamente
costato decenni di intensa documentazione». Guido Oldrini: ho letto subito il
volume su Arturo Graf così ricco e con non poco profitto. Quando l’autore, in
un punto se la prende con gli storici della filosofia italiana che trascurano il
Arturo Graf, anzi noni menzionano affatto, mi sento in colpa; e tanto più in
quanto io, studioso della cultura napoletana, mi son lasciato sfuggire quei
nessi di Arturo Graf con Napoli che il volume di de Liguori illustra con tanta
passione». Franco Contorbia: “poche volte accade di fare i conti con un libro
così fatto, stratificato, totalizzante; ad apertura di pagina si avverte
l’impegno, il grado di coinvolgimento appassionato con cui lei ha condotto
avanti negli anni una così impegnativa ricerca peculiare, quasi il centro della
sua esistenza intellettuale, il punto di arrivo (e a un tempo di partenza) di
un confronto che è culturale ma anche morale e politico.La qualità di un tale
lavoro, mi pare, fuori dell’ordinario». Donato Valli: «L’autore ha consegnato
alla critica e alla conoscenza uno studio così complesso da poter essere
considerato un esaustivo panorama della cultura del secondo Ottocento italiano
e non solo italiano]». Recensioni di illustri studiosi Paolo Rossi, “L'autore…
ha fatto emergere un quadro ricco e articolato dove accanto alle ombre brillano
alcune luci importanti». Recensione sulla rivista «Panorama» riguardante
il di de Liguori Materialismo inquieto,
edito da Laterza. Cosmacini, «Il lavoro di de Liguori è largamente meritorio
oltreché ampiamente documentato». Recensione uscita su «Il Corriere della sera»
riguardante il di de Liguori
Materialismo inquieto, edito da Laterza. Marti::Dalle appassionate e diuturne
indagini dell’autore su Arturo Graf e il suo tempo è venuto fuori il ponderoso,
massiccio volume, che ho ricevuto come caro e preziosissimo dono. Davvero
lusinghiera la “presentazione” di un grande Maestro come Eugenio Garin, e
accattivante e simpatica l’”Avvertenza”. Tutto il resto è da leggere».
Recensione al volume di de Liguori su Graf, uscita sul «Giornale storico della
letteratura italiana». Corrado Augias: «Quella di De Liguori è infatti una
storia meridionale che parte da una finzione narrativa di gusto classico ma
così classico da poterla ritrovare in alcuni capolavori tanto celebri che non
vale nemmeno la pena di citarli. Saggi:
“Trasimaco ha ragione” (La Rassegna pugliese); “Giustizia e
carità” “fra filosofia e vita” Ivi “Lo scetticismo giuridico di Rensi” (Rivista
di Filosofia del diritto); “Una moderna enciclopedia del sapere, «La Rassegna
pugliese», II“Efirov e la filosofia italiana, «Problemi», “Un Leopardi anti-progressivo”
(Dimensioni); In tema di materialismo comunista, Ivi, “Gioberti e la filosofia
leopardiana -- momenti del conflitto tra l’ideologia cattolico borghese e la
protesta leopardiana” (Problemi); “Un episodio di solitudine. Rassegna di studi
su Graf,” Ivi “Leopardi e i gesuiti -- appunti per la storia della censura
leopardiana, «La Rassegna della Letteratura italiana», Quel povero “Diavolo” di
Graf, «Giornale critico della Filosofia italiana», Le «Scandalose razzie». Scienza,
politica, fede in Graf Ivi, Scetticismo e religiosità in una rivista militante:
«Pietre» in, La filosofia italiana attraverso le riviste, A. Verri, Micella,
Lecce, “La condizione del senso”; “Per
una riconsiderazione della lettura grafiana di Leopardi” «La Rassegna della
Lett. It.», Il mito e la storia” – “Le ragioni dell’irrazionale in Graf,
«Problemi», Quella «dubitante religiosità». Graf e il modernismo, «Giornale cr.
della fil. It.», Doria tra platonismo e riformismo, «GCFI», Il sodalizio
Labriola-Graf negli anni della loro formazione «Studi Piemontesi», Un anti-cartesiano di Terra d’Otranto: Benedictis,
in, Miscellanea di Storia Ligure, Genova); “Materialismo e positivism -- questioni
di metodo” (Facoltà di Filosofia, Bari); “Aletino e le polemiche anti-cartesiane
a Napoli” (Rivista di storia della filosofia); “L’araba fenice: ossia la
filosofia nella secondaria, «Idee», “E il vero baratro della ragione umana” – “Graf
e la cultura” Prefazione di E. Garin, Lacaita, Manduria, “Le ambiguità della ragione” – cf. Grice:
‘the equi-vocality of ‘reason’ Grice: “Liguori has a taste for unnecessary
plurals: the abysses – the ambiguities -- ” -- «Idee», “Per la storia della
psico-fisica in Italia”; “Il materialismo psico-fisico e il dibattito sulle
teorie parallelistiche in Italia -- Masci e Faggi «Teorie e modelli», “Di una
rinnovata attenzione al materialism” (Idee); “Mito e scienza nell’antropologia
e nella storiografia del positivismo italiano”; “La filosofia tra tecnica e
mito, Atti del Convegno della SFI, Assisi, Porziuncola); Dimensioni», Livorno, Materialismo
inquieto. Vicende dello scientismo in Italia nell’età del positivism” (Laterza
Bari); “Tommasi e la filosofia zoologica di Siciliani, Rileggere Siciliani, G.
Invitto e N. Paparella, Capone, LecceI Presupposti epistemologici e immagine
della scienza in Morselli e Graf, Filosofia e politica a Genova nell’età del
positivismo, Atti del Conv. dell’Associazione filosofica Ligure-- Cofrancesco,
Compagnia dei Librai, Genova, pMaterialismo e scienze dell’uomo; Kant e
la religiosità filosofica di Martinetti, iA partire da Kant; L’eredità della
“Critica della ragion pura”, A. Fabris e L. Baccelli. Introduzione di Marcucci,
Angeli, Milano, Materialismo e scienze dell’uomo -- Il dibattito su scienze e
filosofia, Lacaita, Manduria, La fondazione razionale della fede in Martinetti,
Dimensioni, Livorno, Darwinismo e teorie dell’evoluzione nella prospettiva
monistica di Morselli, Il nucleo filosofico
della scienza, Cimino, Congedo, Galatina, L’immagine della donna nel paradigma
positivistico della degenerazione, Morelli. Emancipazione e democrazia, G.
Conti Odorisio, Scientif. Ital., Napoli, La cultura filosofica in Torino, Rivista
di filosofia», Presupposti torinesi della singolarità filosofica di Martinetti,
«Studi Piemontesi», E’ possibile la
storia dello scetticismo?, “Segni e comprensione»”; “ filosofi delle
bancarelle». Per la critica della storiografia filosofica, «Lavoro critico», Il sentiero dei perplessi -- scetticismo,
nichilismo e critica della religione in Italia da Nietzsche a Pirandello, La
città del Sole, Napoli, La reazione a Cartesio in Napoli, Giovambattista De
Benedictis, «GCFI», La revisione della storiografia sul mezzogiorno, «Segni e comprensione»,
Positivismo e letteratura. Antologia di testi, con Introd. e note, Graphis
Bari, La lezione scettica di Rensi, Critica liberale,- La psicofisica in
Italia, La psicologia in Italia, a cura
di Cimino e Dazzi, Led, Milano, Vignoli e la psicologia animale e comparata,
Ivi, Pensatori dell’area torinese --Percorsi», Quaderni del Centro Frassati,
Torino, Il ritorno di Stratone. Per la collocazione del materialismo
leopardiano, in Biscuso e Gallo, Leopardi anti-italiano, Manifesto libri, Roma,
Kant e le scienze della natura -- in margine alle lezioni kantiane di Geografia
fisica, in Filosofia, Lecce, Lacaita Manduria, Cattaneo, Psicologia delle menti
associate, G. de L., Riuniti, Roma, Antropologia, psicologia comparata e
scienze naturali in Vignoli, «Teorie e modelli», Geymonat, Treccani. Antropologia e tassonomia
in Kant. Da Blumembach a Buffon, Atti del Convegno sulla Geo-fisica kantiana,
Congedo Lecce, Antropologia, psicologia comparata e scienze naturali in Vignoli,
«Teorie e modelli», Cronache di
filosofia del diritto in Italia. Sforza e i suoi corrispondenti, in «Quaderni
di Storia dell’Torino», Per Mucciarelli:
positivismo psicologia e storia, «Segni e comprensione», Geymonat e il
“materialismo verso il basso”, GCFI, Il materialismo di Timpanaro, «Critica
liberale», Lettere di Timpanaro a Liguori,
in Il Ponte, Da Teofrasto a Stratone. L’itinerario filosofico di Leopardi,
«Quaderni materialisti», Labriola e Graf -- Principio e fine di un sodalizio di
vita e di pensiero, in Labriola e la sua università. Mostra documentaria per
settecento anni della “Sapienza” Aracne, Roma, A. Graf, Memorie, Introduzione,
commento e cura, “Gli Arsilli”, Edizioni dell’Orso, Alessandria Un catalogo per
Labriola, «Critica Sociologica», Utilità dell’inutile. Dalla elaborazione
concettuale alla programmazione e alla costruzione di un catalogo, «Itinerari»,
I Gesuiti. Le polemiche sui riti confuciani tra l’Aletino e i missionari
domenicani, «Studi filosofici»,Le «imbrogliate bestemmie germaniche». Moleschott
e la medicina materialistica, «Physis», La fucina del filosofo. «Segni e
comprensione», Filosofia teologia e fisica di Cartesio nella Difesa della Terza
lettera apologetica dell’Aletino, «Il Cannocchiale», Liguori e la filosofia del
suo tempo: Spinoza, Bayle, Hobbes e Locke, «Rivista di Storia della Filosofia»,
“Libido Sciendi”. Immagini dell’empietà nell’apologetica cattolica tra Sei e
Settecento (da Magalotti a Valsecchi), GCFI, Scherzi della memoria. Mappa di un
itinerario non turistico tra politica e cultura in una provincia del Sud, Prefazione
di Ferrarotti; Postafazione di Cumis, Salvatore Sciascia, Medicina e filosofia
in Italia tra evoluzionismo e scientismo. Da Tommasi a Morse, «Il cannocchiale»,, L’ ”il lambicco dell’anima”.
Note sul Mind body problem in Italia nell’età del positivismo, in Anima, mente
e cervello. Alle origini del problema mente-corpo, P. Quintili, Unicopoli, L’ateo smascherato. Immagini dell’ateismo e
del materialismo nell’apologetica cattolica da Cartesio a Kant, Le Monnier
/Università, Le sorelle Vadalà. Quattro storie più una, Romanzo con pefazione
di C. Augias Movimedia, Lecce, Pensatori dell’area torinese tra i due secoli,
in Quaderni Noce, Marco, Lungro di Cosenza, Ateismo e filosofia.
Considerazioni sull’ateismo latente nel pensiero moderno e sul rapporto tra
fede e ragione, «Il Cannocchiale», Le metamorfosi del linguaggio nella
controversistica e nella pratica missionaria, Le metamorfosi dei linguaggi, Borghero
e Loretelli, Edizioni di Storia e
letteratura, Roma, Dannazione e redenzione dell'Eros. Soggetti e figure
dell'emarginazione: la donna come oggetto determinante nella invenzione
cattolica del peccato di lussuria in «Bollettino della Società filosofica
italiana», Le cose che non sono, in
«Critica Liberale», Prefazione di E. Garin, Manduria (TA), Bari,
Roma, Lacaita, Gemoynat Treccani, Le Carteggio privato (corrispondenza
autografa) tra Liguori e i singoli autori citati P. Rossi, Viaggio nel Positivismo, in
Panorama, Arnoldo Mondadori, Girolamo de Liguori, Materialismo inquieto.
Vicende dello scientismo in Italia nell’età del positivism, Bari, Roma, Laterza,
Giorgio Cosmacini, Povero medico condannato al materialismo, in Corriere della
Sera, M. Marti, Recensione a I baratri
della ragione in Giornale storico della
letteratura italiana, Le sorelle Vadalà. Quattro storie più una, [Romanzo],
Prefazione di Augias, Lecce, Movimedia. Dannazione e redenzione
dell’eros. Soggetti e figure dell’emarginazione: la donna come oggetto
determinante nell’invenzione cattolica del “peccato” di lussuria di Girolamo de
Liguori Il Cristianesimo ha maledetto la carne, ha infamato l’amore. L’atto
vario e molteplice nei modi, ma uno nel principio, per il quale le creature si
riproducono e a cui gli antichi avevano preposta una della maggiori fra le
divinità dell’Olimpo, è, agli occhi del cristiano, essenzialmente malvagio e
turpe e la malvagità e turpitudine sua possono a mala pena, nella progenitura
d’Adamo, essere emendate dal sacramento. Il celibato è pel cristiano, se non
altro in teoria, condizione di vita assai più pregevole e degna che non il
coniugio e la continenza è virtù che va tra le maggiori. A. Graf1 Abstract The
paper examines the story of Eros, from ancient Greece to the age of
Enlightenment, and tries to underline relevant connections with other events of
thought and religious traditions as well as European popular customs. The
ideological conflict with Christian ethics and Catholic church is particularly
highlighted thanks to a specific textu- al analysis, particularly during 17th
and 18th centuries. Keywords: Subjects and Figures of Marginalization, Woman
Condi- tion, Ethics and Christianity, St. Alphonsus M. de’ Liguori. 1 A. Graf,
Il Diavolo, (nuova ed. con apparato critico, dopo l’originale, Treves 1889, in
sedicesimo) a cura di C. Perrone, introduzione di L. Firpo, Salerno editrice,
Roma 1981, p. 99. Avverto l’eventuale lettore che lo scritto che segue ha
natura meramente divulgativa e di mera indicazione didattica nei confronti dei
docenti di discipline storico-filosofiche. Nasce dall’assemblaggio di appunti
per il canovaccio di uno spettacolo tenutosi a Parma al Teatro del Vicolo il 3
maggio 2013, dal titolo Eros e Poesia. M’è d’obbligo infine rimandare
sull’argomento che qui espongo, agli interventi di alta e corretta
divulgazione, curati per Rai Educational, di Simona Argentieri, Umberto Curi e
Sergio Moravia, in Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche
dell’aprile 1998. 29 1. Raccolta e catalogazione dei materiali Non
partiamo dalla consueta e abusata presunzione ontologica; non di- ciamo che le
cose sono, piuttosto ci limitiamo, cartesianamente, a scoprire in noi il
pensiero e, col pensiero il corpo e la sua capacità di rapportarci ad altri
corpi attraverso quelli che chiamiamo i sensi. Ci hanno preceduto i
sensi sti: nulla è dentro la nostra mente che non ci viene fornito dai
sensi. E così la fantasia, la logica, la ragione, la fede altro non sono che
gli strumenti più raffinati di un corpo tra i corpi (materia) che, come
l’infima creatura che emette pseudopodi, procede dal coacervato all’ameba e
arriva all’uo- mo, cuspide di presunzione, anelito più che sensata pregnanza di
vita.. Non lasciamoci impressionare dai prodotti di questo strumentario
intellettuale: arti, religioni, presenze invisibili, futurologie improbabili,
paradisi perduti o escatologici disegni, virtualità effimere come sogni, denunciate
già dal fol- le di Danimarca una volta per tutte. Sono sirene lusingatrici di
contro al cui canto ammaliante hanno ancora buona validità i tappi di cera
nelle orecchie usati da Odisseo, navigante curioso, per escludere i suoi
compagni2. Qualcuno sostiene che le cose non sono se non create. Qui noi non
soste- niamo l’inesistenza delle cose: in tal caso dovremmo postulare e
ammettere la trascendenza, laddove noi riteniamo l’oltre una autonoma creazione
(se vogliamo mantenere il termine) del nostro pensiero. Abbiamo raggiunto (a
livello di pensiero puro, non certo di pensiero soggettivo) un tale grado di
evoluzione da creare dal niente, come aveva, in termini tutti romanti- ci,
spiegato Fichte enunciando i tre celebri principi della sua dottrina della scienza!
Ma gli sviluppi delle neuroscienze, in particolare, hanno reso sterili tali
tentativi di esplicazione del reale. Idealismo e religione fanno a gara a
rincorrersi nella loro foga di raggiungere la verità eterna! Meglio perciò
rinchiudere i filosofi nel trittico che si sono costruiti con secolare pazienza
della Metafisica, Teodicea e Ontologia. Che farnetichino in eterno sull’ori-
gine dell’anima, sul rapporto col corpo e sul destino futuro della umanità. Si
potrà, una volta sgombrato il terreno dalla zavorra, procedere in modo più
lineare, ordinato ed onesto alla diagnosi del male di vivere: del nascere e
morire. Tolta di mezzo la pretesa razionalità e la scientificità teologica (e
teleologica) con la sua saccenteria, gli strumenti dei sensi come la fantasia,
la fede, la ragione potranno riprendere legittimamente la loro funzione di
guida o di orientamento. Se partiamo dalla nostra “condizione umana” (senza
scomodare Mal- reau) vera e concreta, viene prepotente in ballo, la nostra
sensualità, prima ancora che la nostra sensitività. Avvertiti da Freud, che va
ascoltato con la 2 Vedi quanto scrive, F. Berto, L’esistenza non è logica. Dal
quadrato rotondo ai mondi impossibili, Laterza, Roma-Bari 2010. 30 dovuta
prudenza filosofica, ci accorgiamo facilmente che è l’eros la molla
privilegiata delle nostre azioni o inazioni. Tanto è vero che sul terreno della
storia è con l’eros che il Cristianesimo ha ingaggiato fin dalle sue prime
origini la sua battaglia aperta, dagli erotici furori degli anacoreti fino ai ra-
ziocinanti dogmatismi teologici dei nostri giorni. Conviene delinearne un breve
profilo. 2. Profilo storico dell’Eros in Occidente. Dal mito di Venere a Maria
Vergine È proprio nel mondo romano, e in quella che gli storici designano come
età tardo-antica, che si compie una storica metamorfosi della mitologia pa-
gana: il suo graduale trasferimento da religione delle classi colte e dominanti
a religione dei campi (pagi = pagani), della plebe rurale. Indicativo tra tutti
il passaggio di Venere, dea della bellezza, dell’amore e della fecondità, da un
canto, a quella di Demonio, Lucifero (portatore di luce), stella del mattino,
per i suoi referenti legati alla sessualità, e, dall’altro, a quella della
Vergine Maria, madre di Gesù Bisogna ricordare che mentre avanza il
Cristianesimo, il mito di Roma non solo permane ma, sotto mutate spoglie,
cresce e si svolge fino ai nostri giorni. Perde la sua valenza politica, la sua
forza sugli eventi immediati ma guadagna nell’immaginario. Entra a far parte
del grande patrimonio del- la memoria collettiva. Ma in tale processo, se perde
i suoi caratteri storici, obbiettivi, acquista una rinnovata immagine
fantastica, rispondente alle esigenze delle masse. Soprattutto il Medioevo
trasforma Roma, i suoi dei, la sua cultura in nuova mitologia sincretica, mista
di elementi tradiziona- li e di apporti nuovi conferiti dalle differenti
popolazioni d’Europa, attinti soprattutto alla nuova fede cristiana che diventa
l’amalgama di germane- simo, usanze barbariche, romanità, orientalismi, ecc.
Roma continuava ad avere un suo primato nell’immaginario o mondo incantato dei
miti e delle leggende3, come l’aveva avuto in quello, storico, politico
culturale e civile. Ricordiamo l’accorato rimpianto di Rutilio Namaziano
Fecisti patriam diversis gentibus unam [...] Urbem fecisti quae prius orbis
erat Nella cultura illuministica, tra Settecento e Ottocento, il mito di Roma
si veste di forme neo classiche. Goethe, Winkelmann, e lord George Byron che 3
Cfr. F. Denis, Le monde enchanté,. Cosmographie et histoire naturelle
fantastiques du Moyen Âge, richiamato da Graf, Miti, leggende e superstizioni
del Medio Evo, 2 voll., Loe- scher, Torino 1892-1893. Ma vedi, dello stesso,
Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medio evo, 2 voll., Loescher, Torino
1882. 31 ne fa la patria ideale delle genti Oh Rome! My country! City of
the soul! The orphans of th heart must turne to thee, Lon mother of dead
impires! Tale trasformazione della mitologia classica, porta con sé
naturalmente un radicale cambiamento della maniera di concepire l’amore e di
vivere l’e- ros. L’amore tra uomo e donna acquista differenti valenze e si
prepara quella teorizzazione dell’amore tutto spirituale che verrà dommatizzato
e praticato per tutto il Medioevo e, nella forma più angelicata e sublime, da
Dante al Petrarca, ...quel dolce di Calliope labbro che amore nudo in Grecia e
nudo in Roma, d’un velo candidissimo adornando, rendeva in grembo a Venere
celeste. Dilagheranno per tutta Europa fenomeni di sessuofobia completamente
ignoti alla società greca e latina, quale ad es. il fenomeno dell’ascetismo.
Sorgerà la figura, del tutto nuova e inconcepibile per il mondo classico,
dell’anacoreta e, d’altro canto, l’immagine del peccato prenderà aspetto dia-
bolico orripilante, venendo a popolare tutta una nuova mitologia di presen- ze
infernali che accompagnano e turbano la vita degli uomini del Medioevo. Molte e
varie le rappresentazioni tipiche della diabolicità mostruosa, frutto, in
particolare, del peccato di lussuria, quali il mosaico nel Battistero di Fi-
renze, opera popolaresca di Coppo di Marcovaldo che tanto impressionò Dante
fanciullo, il poema predantesco di Bonvesin della Riva, Il libro delle tre
scritture o il De Babilonia di Giacomino da Verona e i vari “precursori” di
Dante, fino alle allucinate raffigurazioni de il Giardino delle delizie di
Bosch al Museo del Prado4. Ma che accadeva? Venere, scacciata, veniva
ugualmente a tentare gli sciagurati che volevano sfuggirle, quali monaci ed
asceti; e, come ci ricorda sempre Graf, «invadeva le loro celle ugualmente,
immagine vagheggiata e detestata a un tempo». Siamo nell’epoca delle
tentazioni. Ecco l’autorevolis- sima testimonianza di San Girolamo, il grande
dottore della Chiesa, autore indiscutibile della Volgata, l’edizione ufficiale della
Sacra Scrittura, in una sua lettera alla vergine Eustochia: 4 Si ricordi, P.
Villari, Alcune leggende e tradizioni che illustrano la Divina Commedia,
«Annali delle Univ. Toscane», t. VIII, Pisa 1866, pp. 153 e sgg. Soprattutto,
A. D’Ancona, I precursori di Dante, Sansoni, Firenze 1874, p. 52, in
particolare. Per ulteriori e dettagliati riferimenti, cfr. il mio, I baratri
della ragione. A. Graf e la cultura del secondo Ottocento, prefazione di E.
Garin, Lacaita, Manduria 1986, pp. 228-248. 32 Oh quante volte, essendo
io nel deserto, in quella vasta solitudine arsa dal sole, che porge ai monaci
orrenda abitazione, immaginavo d’essere tra le de- lizie di Roma! Sedeva solo,
piena l’anima d’amarezza, vestito di turpe sacco e fatto nelle carni simile a
un Etiope. Non passava giorno, senza lagrime, senza gemiti e quando mi vinceva,
mio malgrado, il sonno, m’era letto la nuda terra. [...] E quell’io, che per
timor dell’inferno m’era dannato a tal vita e a non avere altra compagnia che
di scorpioni e di fiere, spesso m’im- maginava d’essere in mezzo a schiere di
fanciulle danzanti. Il mio volto era fatto pallido dai digiuni, ma nel frigido
corpo l’anima ardeva di desideri e nell’uomo, quanto alla carne già morto,
divampavano gli incendi della libidine5. E qui l’iconografia sacra ha lavorato
sul santo, riempiendo di San Giro- lami, atteggiati in guise diverse, tele,
altari, absidi, pale, trittici per tutto il medioevo e il Rinascimento. Da
Dürer a Caravaggio, da Cima da Conegliano a Masolino, da Masaccio a Tiziano,
dalle tentazioni di Giovanni Girolamo Savoldo al Perugino, fino alla
compostezza gotico-geometrica di Antonello, ecc.Si assiste ad una evoluzione
storica dell’eros, che si arricchisce, per così dire, dell’idea stessa del
peccato. Simboleggiato dal frutto proibito, l’atto carnale tra Adamo ed Eva nel
Paradiso terrestre viene stigmatizzato come “peccato originale”, una sorta di
marchio che da quel momento in poi mac- chierà ogni creatura. Homo vulneratus
est naturaliter, sanziona definitiva- mente San Paolo! Anche se la dottrina
della chiesa troverà il modo di recu- perare in positivo quella ferita, quella
malattia costituzionale, con il concet- to dell’agape, nel quale l’eros si
diluisce in amicizia includente la mediazione del Cristo. Ma la cosa più sorprendente
è che Venere, simbolo dell’amore carnale, cantata da Lucrezio, poeta epicureo,
come colei che presiede alla bellezza della fecondazione sia di piante che di
animali, e perciò come voluttà d’uo- mini e di dei, subisce nel corso della
storia differenti e impensabili metamor- fosi. Da un canto, come quasi tutte le
divinità pagane, trapassa a popolare la mitologia cristiana di nuove figure
positive e negative, arrivando a iden- tificarsi dapprima con il Demonio in
persona, poi con la stella portatrice di luce, (Lucifero, angelo caduto e
stella del mattino); infine, fattasi mite e mise- ricordiosa, gradualmente
perdendo i suoi più accesi caratteri erotici di beltà voluttuosa, assurge
addirittura al ruolo di Maria Vergine, concepita senza peccato, Madre di Gesù,
figlio unigenito di Dio! Siamo di fronte a un feno- meno storico noto agli
storici e agli antropologi come sincretismo religioso 5 Trad. fedele di Graf da
S. Gerolamo, Epistolae, II, 22, 7, in Patrologia latina, a cura di J.-P. Migne,
Parigi 1879-1970, vol. XXII, pp. 398-399. Cfr. A. Graf, Il Diavolo, cit., pp.
99-100. 33 per cui le divinità pagane continuano una loro vita, si
direbbe più dimessa e quasi nascosta, nei pagi, nelle campagne tra la povera
gente, trasformandosi, e sovente confondendosi, coi santi e le divinità della
nuova religione cristia- na. Ne è un esempio la favola di Tanhäuser, il
cavaliere francone di cui la dea Venere si innamora6. È nel mondo romano in
sfacelo che gli dei di Roma si avviano alla loro metamorfosi (quello che non era
accaduto agli dei ellenici). Da un canto si rintanano nei pagi, nei campi, tra
la povera gente di campagna e ne conti- nuano a propiziare raccolti, a
combattere carestie ad aiutare la gente misera nelle quotidiane disgrazie che
affliggevano gli umili e gli indifesi; dall’altro lato, in questa storica
trasformazione, raccolgono in loro tutto il male ese- crabile del mondo antico:
il turpe, il diabolico, l’illecito, il peccaminoso del mondo romano di origine
greca. Soprattutto l’osceno (ciò che è dietro alla scena e, pertanto, non è
visibile) e il sensuale nei rapporti amorosi. Gli dei pagani si trasformano
così in demoni. Si passa dalla celebrazione dell’amore fisico, cantato dai
poeti, da Ovidio, Catullo (i neoteroi) a Tito Lucrezio Caro, che lo inserisce
nel fluire e divenire dei fenomeni naturali, alla definitiva divaricazione
della sessualità dall’amore spirituale, come aspetti di una pas- sionalità di
differente e contrapposta natura. Si ricordi l’inno a Venere di Lucrezio:
Aeneadum gentirix, hominum divomquae voluptas, Alma Venus, caeli subter
labentia signa quae mare navigerum, quae terras frugiferentes, concelebras, per
te quoniam genus omne animantum concipitur visitqae exortum lumina solis; Ma
ecco come espone Arturo Graf, storico dei miti romani nel Medio- evo, la
sottile trasformazione degli dei di Roma (quelli stessi che Virgilio, guida di
Dante, aveva chiamati, falsi e bugiardi) in divinità o potenze demo- niache
cristiane: I numi che avevano avuto altari e templi non muoiono, non dileguano,
ma si trasformano in demoni, perdendo alcuni l’antica formosità seduttrice,
ser- bando tutti la gravità antica, accrescendola. Giove, Giunone, Diana,
Apollo, Mercurio, Nettuno, Vulcano, Cerbero e fauni e satiri sopravvivono al
cul- to che loro era reso, ricompaiono fra le tenebre dell’inferno cristiano,
in- gombrano di strani terrori le menti, provocano fantasie e leggende paurose.
Diana, mutata in demonio meridiano, invaderà i disaccorti troppo obliosi di lor
salute, e la notte, pei silenzi dei cieli stellati, si trarrà dietro a volo le
6 G. Paris, Legendes du Moyen Age, Hachette, Paris 1903, dove esamina la storia
e la dif- fusione della leggenda (La légende de Tanuhäuser). Fonte delle
varianti della stessa leggenda resta Guglielmo di Malmesbury (XII secolo). Vedi
Graf, Il Diavolo, cit., pp. 143 e sgg. 34 squadre delle maliarde,
istruite da lei. Venere sempre accesa d’amore, non meno bella demonio che dea,
userà negli uomini l’arti antiche, inspirerà ardori inestinguibili, usurperà il
letto alle spose, si trarrà fra le braccia, sot- terra, il cavaliere Tanhäuser,
ebbro di desiderio, non più curante di Cristo, avido di dannazione7. 3.
Scienza, filosofia e fantasia: il pensiero femminile e la ”teoria e pratica
della dimenticanza”. Il rapporto latente tra il sapere e il credere Ogni
proposta gnoseologica parte opportunamente da quelle ben note premesse che
Galileo autorevolmente chiamava le “sensate esperienze”, an- che se le poneva
in relazione con le “certe dimostrazioni”. Così, prudente- mente procedendo,
ogni teoria della conoscenza, pur restando legata alla dimensione
esperienziale, per così dire, non escludeva né poteva escludere l’elaborazione
successiva di ipotesi con l’ausilio della fantasia, della fede, dell’intuizione
oltre che della facoltà razionale con la quale da sempre la mente umana ha
provato ad elaborare i portati sensoriali, di volta in volta vari e complicati.
Proviamo a valutare, ad esempio, non le nostre idee, o i nostri elaborati
razionali ma alcuni particolari sentimenti o pulsioni come l’amore, l’eroti-
smo, o, addirittura, la poesia con cui ci accostiamo ad una persona o ad uno
scenario naturale quale, che so? la volta celeste di kantiana memoria. Gli eroi
greci per comprendere una verità nascosta, scendevano nell’Ade, entravano nel
regno imperscrutabile delle ombre. Da altra prospettiva, sub specie feminae, da
quel che oggi chiamiamo «pensiero femminile», ci viene incontro, spalancandoci
una diversa rinnovata visuale, un modo solitamen- te desueto di scrutare
l’imperscrutabile. Abbiamo davanti un continente dissepolto, il nostro Ade,
tutto da esplorare. È così che – s’è detto e sostenuto da parte delle donne –
«le poesie vivono delle voci narranti che, appassiona- tamente, riflettono su
un passato da abbandonare»:8 Quel che sembrava finito Era nascosto entro i
luoghi del cuore... Da tale prospettiva, in conclusione, «per giungere a tanto
bisognava scen- dere all’Ade», come fa il viaggiatore Odisseo: «provare i
dolori più cupi e le delusioni più cocenti a cui seguono le esperienze».
S’entra così nell’universo del senso fantastico senza ripudiare la possibilità
razionale di elaborare non 7 A. Graf, Il Diavolo, riedizione cit., pp. 52-53. 8
Utilizzo in questo paragrafo, frammettendone brani a mie riflessioni e
commenti, il testo originale inedito, cortesemente messo a mia disposizione,
dalla filosofa della mente G. Bussolati, Teoria e pratica della dimenticanza.
35 più ciò che è nei sensi ma quanto ribolle nella fantasia. Un esempio
potrebbe fornircelo il Leopardi dell’infinito laddove dalla esperienza
sensibile (la sie- pe, il vento, lo stormir delle foglie) che non si lascia
elaborare razionalmente, sale, quasi spinozianamente, ad un sapere più
complesso: una sorta d’amor dei intellectualis che s’apre al mistero sia della
poesia che dell’amore... ...E come il vento odo stormir tra queste piante, io
quello infinito silenzio e questa voce vo comparando e mi sovviene l’eterno e
le morte stagioni e la presente e viva e il suon di lei.... E, ancora, entrando
nel campo intricato del male di vivere, addirittu- ra nelle patologie del
comportamento, delle ossessioni, delle schizofrenie, laddove ci siamo chiesti,
con l’angoscia nel cuore, se questo è un uomo, pro- viamo a proporre la teoria
e pratica della dimenticanza: l’obliviologia. È cer- to come un lavoro di
scavo; ma non abbiamo da riportare al celeste raggio nessuna sepolta Pompei;
non procediamo, in senso freudiano, a rimestare nella memoria, nel sogno,
recuperando oggetti rimossi, tutt’altro. L’oggetto è diventato uno scheletro
che va dimenticato, ritenuto per non posto: mai esistito. La dimenticanza è
dapprima una sola pratica; quasi l’abitudine a dimenticare le chiavi di casa.
Poi assurge a tecnica e, infine a teoria e pratica dell’oblio. Corre, in un
certo senso, parallela alla terapia farmacologica del sonno, indotto da dosi
opportune di psicofarmaci. Si tratta di togliere le fissazioni tramite la
dimenticanza: di riportare il conosciuto agli elementi puri ma allo scopo di
favorire un intervento di maggior forza ectoplasmica sugli oggetti e sugli eventi
esterni, e per eliminare il noto processo di invec- chiamento e, infine, di
morte mentale. Scendendo al piano sperimentale, abbiamo cancellato i
sovraccarichi delle impressioni mnemonizzatrici e fatto sparire le figure
retoriche fanta- smatiche, i “mostri” o “giganti” che si fissano e si ripetono
continuamente, oberando la mente affralita. Dimenticare diventa così l’ausilio
migliore del vivere senza alcun sforzo il presente. Non è la panacea, non si
raggiunge il Nirvana; non si recuperano paradi- si perduti. Si vive
riconquistando un più corretto rapporto col corpo, i sensi, la natura. La
memoria deve servirci, non turbarci. Se è una soffitta ingombra rischia di
confonderci nel suo disordine; dobbiamo far pulizia perché la vita va vissuta
non sopportata E arriviamo infine a una considerazione alquanto complessa ma di
facile comprensione. Quella stessa nostra propensione che chiamiamo fede altro
non è, finanche nella sua forma più umile, che sempre e soltanto costruzio-
36 ne della ragione, in quanto ogni fede presuppone sempre un giudizio
della ragione. Da tale considerazione deriva la plateale conseguenza che la
fede non è altro, alla fin fine, che la nostra visione più o meno razionale
della realtà; pertanto quella fede nel numinoso e nel fantastico che è la fede
re- ligiosa dei fedeli e che alla nostra razionalità più sofisticata ripugna, è
solo un puro e semplice equivoco, imposto dall’educazione, dalle convenzioni e
mai può derivare dalla nostra libera scelta intelligente che in tal modo si
contraddirebbe9. Credere, altro non è che atto razionale; in quanto, rigoro-
samente, non c’è fede senza il sostegno della ragione. Ma, ci si chiede, fino a
che punto? Il limite è il sano buon senso. Oltre c’è la follia e l’assurdo; ma
follia, sempre ed esclusivamente della ragione stessa, unico vero soggetto di
quanto chiamiamo fede! 4. Emarginazione femminile e non. La donna da oggetto a
soggetto di pensiero Da differente angolatura l’oggetto del mistero che
chiamano la verità, si svela gradatamente, di sotto il velame delli versi
strani. Del resto, a ben pensare, quando penso, penso al maschile, ho sempre
pensato al maschile. La storia, la civiltà tutta, occidentale e orientale,
hanno pensato soltanto al maschile. Non solo: per secoli, il vero, il bene, il
bello sono stati visti, si al maschile, ma ancora nella implicita
insignificanza oltre che della donna, di altre figure sociali di grande
rilevanza: del bambino, del disadattato o del diseredato o escluso dalla
comunità, dell’alienato o del demente. Interi uni- versi come continenti
inesplorati si sono schiusi appena abbiamo provato a visitarli. Erano emersi,
nella dannazione dell’inferno dantesco, nei mosaici e negli affreschi
allucinati di Coppo, nei battisteri, nelle chiese medioevali, nelle
allucinazioni di raffiguratori fantasiosi fino al paradosso come in Bo- sch o
in Goja, nei racconti favolosi delle mitiche origini di intere popolazio- 9
Cfr. P. Martinetti, Scritti di metafisica e di filosofia della religione, a
cura di E. Agazzi, Ed. di Comunità, Milano 1976, vol. II, pp. 470-475, dove tra
l’altro si legge: «Anche la filo- sofia è [...] sotto certi rispetti una fede;
in quanto essa è uno sforzo verso l’unità sistematica che in ogni grado
raggiunto si pone come una visione definitiva della realtà; ciò che non può
fare che trasformandosi in una fede razionale; la fede nella dottrina kantiana.
D’altra parte la fede comune non è assolutamente irrazionale; è una razionalità
adatta alla mente comune, ma è una forma di razionalità; non v’è sistema di
dogmi così assurdo che non tenti subito una razionalizzazione [...] Ogni
esposizione d’un sistema di filosofia è, sotto questo riguardo, l’esposizione
di una fede [...] Non ha quindi ragion d’essere la contrapposizione della
ragione e della fede (come qualcosa di irrazionale): la fede è l’espressione
stessa di una formazione razionale; ogni grado della vita razionale in quanto
si esprime, si fissa e diventa una realtà operante, è una fede». Più analitica
esposizione della questione si trova nel mio, Ateismo e filosofia.
Considerazioni sull’ateismo latente nel pensiero moderno e contempora- neo e
sul conflitto tra la fede e la ragione, «Il Cannocchiale», I (2011), pp. 32-34.
37 ni, tramandate oralmente nei miti e nelle leggende che correvano per
l’Eu- ropa come fiumi carsici, uscendo di tanto in tanto al “celeste raggio”,
dove l’oblio di secoli li aveva segregati....Soltanto oggi cominciamo a
prenderne consapevolezza, filosofica e scientifica: scopriamo un nuovo
continente spe- culativo, il pensiero al femminile come rinnovato modo di
guardare la vita, la storia, la natura. Proviamo a riandare di qualche secolo
addietro. Le cosiddette scienze umane ci si erano accostate per via di quel
loro par- ticolare porsi dalla prospettiva del diverso, ma solo l’assurgere di
quell’og- getto alla dignità di soggetto pensante e determinante trasforma del
tutto la prospettiva. La partecipazione del femminile come quella del diverso,
del disadattato alla ricerca della verità completa veramente il mondo storico
della cultura portandolo al suo stadio più alto, fuori da ogni gilepposo pa-
ternalismo o indulgente concessione caritatevole. Del tutto trascurati o
stipati alla rinfusa nella soffitta anodina della eru- dizione, alcuni sprazzi
di consapevole disponibilità al diverso erano emersi già nel passato, in ambito
borghese progressista, presso spiriti particolar- mente sensibili. Ma restava
un fatto isolato che non ha vissuto significanza o storicità. Sentite questa:
siamo nel 1898: E dei disadattati all’ambiente non è giusto parlar con tanto
disprezzo. Ol- trecché esercitano alcune funzioni non esercitate dagli altri,
essi sono un lievito sociale utile e necessario; tengon viva nell’organismo
collettivo un’inquietezza nemica delle stagnazioni prolungate, e non avvien
mutazio- ne alla quale in qualche maniera non cooperino [...] che se i geni
fossero pazzi davvero [...] bisognerebbe riconoscereche i più disadattati fra i
disa- dattati, quali son per l’appunto i pazzi, resero alla misera umanità più
di un buon servigio. Da altra banda è da considerare che un perfetto
adattamento all’ambiente farebbe gli uomini supinamente contenti e tranquilli e
porte- rebbe fine al moto della storia, per la ragione potentissima che chi sta
bene non si muove. Lo direi il vademecum per l’onest’uomo del nostro tempo! Ma
molto an- cora resta da fare: e questa è la vergogna del nostro tempo. La
chiesa cat- tolica ad es., che ha chiesto, solo di recente, con un pontefice
tormentato e disponibile al dialogo, perdono al mondo islamico, ha ancora da
chiedere scusa alle donne, ai bambini, alle coppie di fatto, agli omosessuali,
agli atei, agli agnostici, agli scienziati onesti e laici che dalle dottrine e
dai dogmi della chiesa vengono quotidianamente offesi, respinti e vilipesi.
38 5. I libri proibiti e il rapporto sessuale come “peccato” contro il
sesto precetto del Decalogo Tra i compiti primari che si assunsero al loro
tempo gli apologisti catto- lici e i controversisti, figura subito in primo
piano quello della lotta ai libri proibiti, che è come dire a tutta la prodizione
libraria moderna. Prendo an- cora ad es. emblematico il santo teologo moralista
e dottore autorevole della Chiesa: Alfonso de Liguori. Ne La vera sposa di Gesù
Cristo10, a dimostrazio- ne di quanto possa essere pericolosa la lettura in
genere, sconsiglia alle Mo- nache addirittura lo studio sia della Teologia
Morale che di quella Mistica. Parimenti libri inutili ordinariamente sono, ed
alle volte anche nocivi per le Religiose, i libri di Teologia Morale, poiché
ivi facilmente possono inquie- tarsi con la coscienza oppure apprendere ciò che
lor giova non sapere. An- che nociva può essere a taluna la lettura dei libri
di Teologia Mistica, giacché può essere che ella si invogli dell’orazion
soprannaturale, e così lascerà la via ordinaria della sua orazione solita, in
meditare e fare affetti, e così resterà digiuna dell’una e dell’altra. Vige,
come una sentenza inappellabile, il motto lapidario di San Paolo: Sapienza
carnis inimica est Deo. L’amore del sapere viene paragonato ad un vizio, alla
libidine sessuale: libido sciendi11. Circa i classici del pensiero che pur
contengono delle verità, si domanda con San Girolamo: «Che bisogno hai di andar
cercando un poco d’oro in mezzo a tanto fango, quando puoi leggere i libri
devoti, dove troverai tutt’o- ro senza fango?». La lettura è importante,
fondamentale anche alla via della salute, ma ha dei rigorosi limiti. Quanto è
nociva la lettura de’libri cattivi, altrettanto è profittevole quella de’buoni
[...]. Il primo autore de’libri devoti è lo Spirito di Dio; ma de’li- bri
perniciosi l’autore n’è lo spirito del Demonio, il quale spesso usa l’arte con
alcune persone di nascondere il veleno, che v’è in tali suoi libri, sotto il
pretesto di apprendersi ivi il modo di ben parlare, e la scienza delle cose del
mondo per ben governarsi, o almeno di passare il tempo senza tedio. Con
determinate categorie di persone, l’esclusione si fa radicale. Alle suore
scrive così: Ma che danno fanno i romanzi e le poesie profane, dove non sono
parole 10 Cito dall’ed. Remondini, Bassano, del 1781, pp. 112-121. 11 Vedi
l’uso di tale espressione nella denuncia controversistica cattolica
(aristotelica) della filosofia cartesiana e moderna nel saggio di chi scrive,
«Libido sciendi». Immagini dell’empietà nell’apologetica cattolica tra Sei e Settecento
(Dal Magalotti al padre Valsecchi), «Giornale critico della filosofia
italiana», III/1(2007), pp. 53-85. 39 immodeste? Che danno voi dite?
Eccolo: ivi si accende la concupiscenza de’ sensi, si svegliano specialmente le
passioni, e queste poi facilmente si gua- dagnano la volontà, o almeno la
rendono così debole, che venendo appresso l’occasione di qualche affezione non
pura verso qualche persona, il Demo- nio trova l’anima già disposta per farla
precipitare12. Contro il risveglio delle passioni e contro “la concupiscenza
dei sensi”, i controversisti scagliano i loro dardi infuocati e avviano le loro
sottili disqui- zioni teologiche su quanto vada considerato peccato mortale. Ed
è questo un fardello che la chiesa si porta dietro così come uno ster- corale
si rotola la sua palla di escrementi. L’ossessione del sesso: la cura me-
ticolosa con cui si prova da secoli a disciplinarlo, legittimarlo,
canalizzarlo, evirandolo della sua essenza: la ricerca del piacere e
costringendolo alla sola funzione riproduttiva. Ci serviremo non di un semplice
scrittore di opere di pietà ma di un autorevole moralista della chiesa
cattolica, santo per giunta, dottore della chiesa, uomo di grande pietà e
d’erudizione: che Croce defini- va il più santo dei napoletani, il più
napoletano dei santi. Ecco cosa scrive il nostro moralista sul sesto precetto
del Decalogo e in che modo espone le sue precauzioni con cui anticipa una
minuziosa tratta- zione di quanto potremo chiamare la fattispecie del peccato
mortale. Il peccato contro questo precetto è la materia più ordinaria delle
Confessio- ni, ed è quel vizio che riempie d’Anime l’Inferno; onde su questo
precetto parleremo delle cose più minutamente; e le diremo in latino, affinché
non si leggano facilmente da altri che dai confessori, o da quei sacerdoti che
in- tendano abilitarsi a prendere la Confessione; e preghiamo costoro a non
leg- gere né in questo né in altro libro di quella materia (che colla sola
lezione o discorso infetta la mente) se non dopo tutti gli altri trattati e
quando ormai sono prossimi ad amministrare il Sacramento della Penitenza13.
Affronta perciò subito lo scabroso tema della fornicazione, e dei rapporti
carnali con l’altro sesso con minuta casistica sessuofobica: de tactibus, de
muliebre permittente se tangere, an puella oppressa teneatur clamare, an pos-
sit unquam permittere sua violationem, de aspectis, de verbis, de audientibus
verba turpie, ecc. Ma non manca di precisare: Ante omnia advertendum, quod in
materia luxuriae (quidquid alii dicant de levi attrectatione manus foeminae,
vel de in torsione digiti) non datur par- vitas materiae; ita uti omnis
delectaio carnalis, cum plena advertentia, et consensu capta, mortale peccatum
est. 12 La vera Sposa di G.C., 1760, pp. 113-121. 13 A. M. de Liguori, Istruzione
e pratica per li Confessori, Giuseppe Di Domenico, Napo- li, MDCCLXV, I, p. 333
e sgg., anche per le citaz. successive. 40 Il pio moralista, scaltrito
nella casistica giuridica, sa che bisogna scende- re nei minimi particolari per
trovare la situazione peccaminosa: se grave o lieve o poco rilevante o,
addirittura, del tutto inesistente; perciò distingue gli atti sessuali compiuti
nel matrimonio o extra matrimonium. In situazio- ne extra coniugale, tutti i
toccamenti, oscula et amplexus ob delectatione, mortale sunt. Vi sono numerosi
casi dubbi da esplicitare: ne va di mezzo la salute delle anime, calate in
situazioni mondane sempre diverse e comunque sempre a stretto contatto con le
tentazioni della carne. Ad es., la donna o il fanciullo non peccano se si fanno
toccare secondo la consueta pudicizia dettata dalla simpatia o dalla buona
affettuosa disposizione; peccano invece se non si op- pongono a contatti
impudichi, o a baci insistenti (morosis) e furtivi. E anco- ra: la fanciulla
aggredita allo scopo di usarne violenza è tenuta a urlare ad se liberandam a
turpitudine? Nel caso non invocasse aiuto con la dovuta forza e insistenza lo
stupro si cambierebbe facilmente in consenso peccaminoso. Ma la questione resta
controversa se debba ritenersi consenso il non aver gridato o invocato aiuto,
secondo un’antica sentenza per la quale, praesume- batur puella non clamans
consentiente (p. 335). Perviene infine a definizioni accurate degli atti turpi,
differenziando quelli compiuti naturalmente da quelli innaturalmente. Ecco la
definizione di fornicazione e di concubinaggio, quali peccati mortali:
Fornicatio est coitus intersolutos ex mutuo consensu. Concubinatus autem non
est aliud quam continuata fornicatio, habita uxorio modo in eadem vel alia
domo; [e quella di stupro, come:] defloratio virginis ipsa invita, et ideo
praeter fornicationis malitiam habet etiam injustitiae. Attraverso una
minuziosa casistica quasi boccaccesca, buona – si direb- be - ad arricchire la
documentazione erotica di un romanziere libertino, il moralista passa in
rassegna le svariate forme di rapporti sessuali, da quelle legittime a quelle
addirittura più strane e peregrine, come l’accoppiarsi in luogo sacro, quali
una chiesa, il cimitero, l’oratorio, il monastero, ecc. Pone addirittura questioni
dubbie sulle maniere e le condizioni in cui tale rap- porto potrebbe
verificarsi. Pur ammettendosi il peccato, sorge la questio se si tratti o meno
di sacrilegio. Ad es. «an copula maritalis, aut occulta abita in Ecclesia, sit
sacrilegium?» Vi si potrebbero emanare tre sentenze differenti: una che ritiene
irrilevante la condizione di coniugi, un’altra la situazione occulta (che
l’abbiano fatto di nascosto) e una terza che ritiene essere sacri- lego l’atto
in ogni caso. Addirittura se si tratta di marito e moglie, secondo alcuni
teologi, l’atto consumato in chiesa potrebbe essere scusato, si ipsi sint in
morali necessitate coeundi, puta si ipsi in pericolo continentitiae, vel si diu
in Ecclesia permanere debeant. 41 Il lettore ne trae l’impressione che l’autore
(più che dietro suggerimenti letterari coevi) vada ad estirpare direttamente
dalla vita, dalle lussuriose esperienze dei peccatori, dalle situazione più
impensabili, apprese nelle lun- ghe ore passate al confessionale ad ascoltare
ed a sollecitare le confessioni più intime dei fedeli, tutte le forme, i modi
che la secolare ricerca del piacere ha suggerito di epoca in epoca all’uomo,
dalle più rozze e volgari maniere di accoppiamento fino alle più raffinate arti
di amare e trarre godimento che proprio i libertini del secolo XVIII andavano
perfezionando e praticando in forme sempre più sofisticate. La stessa lingua
latina – ma qui dovrebbe- ro dirla i linguisti – si fa molto particolare fino
all’uso di neologismi non presenti nei classici. Parlando della sodomia
distingue quella propriamente detta da quella impropria ed eterosessuale Coitum
viri in vase praepostero mulieris esse sodomiam imperfectam, specie distinctam
a perfecta. Si quis autem se pollueret inter crura aut brachia mu- lieres, duo
peccata diversa committeret, unum fornicationis inchoatae, alte- rum contra
naturam. An pollutio in ore fit diverse speciei? Affirmant aliqui, vocantque
hoc peccatum irrumantionem, dicentes quod sempre ac sit pollutio in alio vase
quan naturali, speciem mutat. Sed probabilius sentiunt [...] quod si pollutio
viri sit in ore maris est sodomia; si in ore feminae, sit fornicatio inchoata,
et in super peccatum contra naturam ut mox diximus... Arriva addirittura ad
ipotizzare il coito cum femina morta, che non rien- trerebbe nella fattispecie
dei rapporti bestiali ma nella polluzione e in quella che Alfonso chiama
fornicatio affectiva (p. 343). 6. Dalla sessuofobia all’erotismo peccaminoso:
Cortigiane poetesse e libertini filosofi. L’Eros redento Prendiamo due secoli di
storia molto emblematici: il Cinquecento e il Settecento. Dall’Italia delle
corti signorili alla Francia della grande rivolu- zione. Due secoli in cui
l’Eros vive una sua storia illustre, tra cortigiane raffinate poetesse e abati
filosofi e libertini. A dirla franca alla sua maniera sull’eros e a dargli
veste poetica disinibita, ci pensa subito Pietro Aretino: ma sempre da una
angolatura tutta maschile. Nonostante si salvi la dignità della partner che qui
giuoca un ruolo attivo di co-protagonista del rapporto amoroso, in cui l’atto
sessuale si trasforma in una sticomitia drammatica non priva di poetica
oscenità. Soltanto nel petrarcheggiare delle cortigiane, come la soave Veronica
Franco che riceve sotto le sue lenzuola di tela d’O- landa finanche Enrico III
di Valois, la donna trova finalmente il suo primo vero riscatto sul maschio,
con un suo modo raffinato (di alto erotismo) di 42 pilotare la barca
dell’Amorosa Dea; ad esse, tra principi, sovrani, alti prela- ti, pontefici
gaudenti, spetta il compito di riscattare dall’eterna dannazione l’Eros e
fargli recuperare il valore perduto col trionfo del Cristianesimo. Un recupero,
tutto al femminile, del paradiso perduto. Così canta il suo ufficio amoroso,
guidato da Apollo, la dolce Veronica. Febo che serve a l’ amorosa Dea E in
dolce guiderdon da lei ottiene Quel che via più che l’esser Dio il bea, A
rilevar nel mio pensier ne viene Quei modi che con lui Venere adopra Mentre in
soavi abbracciamenti il tiene. Ond’io instrutta a questi so dar opra, Si ben
nel letto, che d’Apollo all’Arte Questa ne va d’assai spazio di sopra E il mio
cantar e ‘l mio scrivere in carte S’oblia in chi mi prova in quella guisa Ch’a
suoi seguaci Venere comparte. Nel Settecento, cui ora vogliam far cenno, sia
pur per sommi capi, le cose stavano in modo ben differente da come ce le hanno
rappresentate quando a scuola ci hanno spiegato quel periodo. I libri del
Marchese de Sade rap- presentano, ad es., una nuova filosofia morale e non sono
la pura e semplice invenzione di tecniche erotiche pervertite, come comunemente
si crede. I recenti studi hanno sfatato quella immagine del divin marchese. “La
filo- sofia deve dire tutto”, egli ha affermato: tutto senza ipocrisie e
fingimenti. Egli non fu né il primo né il solo a sostenere i diritti della
carne, che grida la sua legittima soddisfazione contro le assurde costrizioni
della cosiddetta civiltà. Il celeberrimo sadismo: ricerca del piacere
attraverso il godimento per la sofferenza del partner, ha ben altre origini che
le sole discendenze da Sade. Bisognerebbe intanto rifarsi alle meticolese
ricerche di Jenny Skipp, dell’U- niv. di Leeds, che ha schedato tutti i testi
erotici inglesi del ‘700 scoprendovi come l’uso educativo della frusta e le
sculacciate a pelle nuda sui ragazzi, era praticato dai gesuiti in chiave
educativa e correttiva, ma finiva per confinare molto spesso con l’erotismo
portando addirittura all’orgasmo vero e pro- prio. Nacque un termine:
“orbinolismo” che vuol dire “smania di frustare” (Cfr. Rodez, Memorie storiche
sull’orbinolismo, 1760). Né si dimentichi, oltre la pratica, anche l’elogio
cattolico, presso non solo l’ordine dei gesuiti ma anche di Scolopi e
Salesiani, fatto in termini pedagogici della frusta e della sua frequente
pratica a scopi educativi e correttivi: virga tua et baculus tuus salus mea
fuerunt!.... A tali osservazioni sul costume del secolo va aggiunto che la
proverbia- le sporcizia che caratterizzava il ménage domestico dell’epoca anche
tra 43 le famiglie nobili e abbienti, non era poi così generalizzata. Soprattutto
le donne avevano introdotto l’uso davvero innovativo dell’erotico bidet (che ha
la forma di violino e, al tempo stesso, quella dei fianchi femminili) che
permetteva loro di mantenere igiene e pulizia in quelle parti del corpo che ne
avevano più bisogno. A tal proposito restano molto istruttive le pagine dei
romanzi erotici e libertini, tra i quali spicca Restif de La Breton con il suo
Anti Justine dove si nota l’uso frequente e generalizzato di tale strumento da
toilette, prima e dopo gli incontri amorosi.. Perciò, una volta sfatata
l’immagine stereotipata del Settecento illumi- nistico, astrattamente
razionalista, irreligioso e dai costumi depravati, pro- viamo a riguardare
sotto diversa luce e angolatura, libere da pregiudizi e remore moralistiche e
confessionali, la letteratura erotica e d’amore di quel secolo che, oltre
tutto, fu di Mozart, di Kant, di Bach, oltre che di Voltaire, di Rousseau e di
Goethe e ci lasciò in eredità non soltanto la grande rivoluzione dell’89 ma
anche quella che fu la più colossale e universale summa di sapere moderno:
l’Enciclopedia, ovverosia dizionario ragionato di tutte le scienze, le arti e i
mestieri contro la quale pullularono subito una serie di Anti-Enciclo- pedie
anche da noi in Italia per porre un argine all’avanzata di quelle idee di
libertà e di progresso civile. Il ricordare Leopardi è qui d’obbligo: Così ti
spiacque il vero, dell’aspra sorte e del depresso loco che natura ci diè, per
questo il tergo vigliaccamente rivolgesti al lume che il fe palese... Insomma
lo zelo sessuofobico, la guerra dichiarata all’istinto sessuale porta il
sacerdote, il ministro del culto cattolico, il confessore a scendere nei
particolari della vita sessuale singola e della coppia, sia entro che fuori del
matrimonio: a scoprire i più segreti momenti dell’intimità delle coppie fino a
scrutare e distinguere, entro le fantasie erotiche più raffinate, i comporta-
menti più o meno peccaminosi, cioè conformi a canoni tutti da verificare di
volta in volta (casistica). Una sorta di filo invisibile lega pertanto il pio
cen- sore al libertino e al peccatore o la peccatrice (lo denuncia la stessa
corrente espressione possessiva: il” mio” confessore!) tanto da diventare
complemen- tari, avvincersi in un legame indissolubile fino a non poter più
fare a meno l’uno dell’altro14. Ma il legame tra religiosità e libertinismo,
così come tra l’erotismo e la religione cattolica in particolare, si fa sempre
più stretto fino a dipendere l’uno dall’altro: come, in regime capitalistico,
domanda e offerta. Il cattoli- 14 Cfr., infine, “L’Asino” di Podrecca a
Galantara e le critiche positivistiche e anticlericali alla morale alfonsiana,
Feltrinelli, Milano 1970 (Reprint), pp. 78-79. 44 cesimo deve
disciplinare a suo modo il sesso e, in genere, tutta l’attività e la fantasia
umane; l’eros deve trovare entro una nuova coscienza storica la sua rinnovata
voluttà. Ecco allora il piacere stesso trovar vie differenti rispetto al
piacere degli antichi, allor quando quella ricerca non veniva combattuta, non
era un tabù, anzi era apprezzata come uno dei più ambiti doni della na- tura.
Vengono a far parte del piacere anche i marchingegni e i sotterfugi per eludere
le prescrizioni correnti e i limiti che le norme religiose impongono
dall’esterno. Finanche i pregiudizi - siano di ispirazione cattolica o meno -
diventano materia di raffinato erotismo. L’esecrabile peccato della lussu- ria,
prodotto tipico del Cristianesimo, diventa perciò stesso fonte di piacere (la
Jouissance illuministica), proprio perché vietato e esecrato: soprattutto
quando l’atto viene compiuto di nascosto, cogliendo quello che è diventato,
dopo la mitica cacciata dal Paradiso terrestre, il frutto proibito, il godimen-
to raggiunto di soppiatto e contro la legge o la morale corrente perciò più
seducente e ricercato per la sua illegtittimità! La letteratura è piena zeppa
di esempi e finisce per produrre un genere di scrittura narrativa particolare
che chiamiamo “erotica” o “pornografica”: di libri che s’han «da leggere con
una mano sola», un genere che non si spiegherebbe prima del cristianesimo e
della dannazione dell’eros e del piacere e che va dai canti carnascialeschi al
Decamerone, al Ruzante, all’Aretino, ai poeti dialettali: da Alvise Baffo,
veneziano, al grandissimo Belli, romanesco, al dimenticato Domenico Tem- pio,
siciliano (nato a Catania nel 1750) per arrivare alla letteratura erotica del
romanzo libertino francese in cui confluiscono le innumerevoli forme e modi di
estraniazione, di sogno, di fuga dalla realtà che delineano l’universo fantastico
che sarà la base della letteratura romantica europea e soprattut- to del
romanzo e della grande narrativa ottocentesca e contemporanea, da Balzac a
Flaubert, a Hugo a Dumas, dal romanzo russo al nostro Manzoni, a Zola, a Verga
alla miriade dei narratori dei nostri giorni15. In conclusio- ne, ma in una
maniera tutta nuova, possiamo ritenere avesse davvero visto giusto il grande
saggio napoletano Benedetto Croce, quando affermò che “non possiamo non dirci
cristiani”: se persino l’erotismo è stato – malgré lui - influenzato e
raffinato dal cristianesimo. Se ne stanno accorgendo anche in Francia dove
nacque la letteratura libertina e la illuminata filosofia del piacere: dal
materialista La Mettrie all’esecrato marchese De Sade16. 15 Emblematico, per
quanto qui si va rilevando, il romanzo libertino, non ancora tradot- to, D.A.F.
de SADE, Alina et Valcour, ovvero il romanzo filosofico (1788-1795). 16 Cfr.,
la Mostra: BNF, L’Enfer de la Biblioteque Nazionale. Eros au secret, Paris, 2
dic. 2007-22 mar. 2008. Ricco di 58 titoli, è venuto alla luce un significativo
numero di opere e autori soltanto nel 1983 ad opera di specialisti che li vanno
pubblicando e illustrando. In- tanto segnalo l’originale antologia da: J. O. de
La Mettrie e D. Diderot, curata da P. Quintili, L’Arte di godere. Testi dei
filosofi libertini del XVIII secolo, Manifestolibri, Roma 2006.Girolamo de
Liguori. Liguori. Keyword: “Associazione Filosofica Ligure” – Keywords:
implicature critica, ‘… is the true abyss of human reason” – “il baratro della
ragione conversazionale” – l’anima distilata – il lambicco dell’anima”,
redenzione dell’eros, la lussuria, la degenerazione, la metamorfosi dei
linguaggi – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753408938/in/dateposted-public/
Grice e
Lilla – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Francavilla Fontana).
Filosofo. Grice: “I like Lilla; for one, he ‘revindicated,’ as he puts it, the
philosophy of Vico, which, in Italy, is like at Oxford ‘revinidcare’ Locke!”
Formatosi nelle scuole dei Padri Scolopi aderì alle idee cattolico liberali divulgate
dai filosofi della prima metà dell'Ottocento: Gioberti, Minghetti, Balbo e
Rosmini al quale dedicherà molteplici studi subendone una marcata influenza.
Lascia Francavilla per l'ostentata contrarietà di tutto il clero alle sue idee patriottiche d'ispirazione
giobertiana, manifestate apertamente nel "Programma d'insegnamento
filosofico" pubblicato sul giornale il "Cittadino leccese",
decise di trasferirsi a Napoli ove ebbe modo di confrontarsi con le idee di
Sanctis, Spaventa, Settembrini, Tari e Vera. Si laurea e insegna a Napoli.
Durante questi anni videro la luce "La provvidenza e la libertà
considerate nella civiltà", "Dio e il mondo", e "La
personalità originaria e la personalità derivata" (Nappoli, Tip. Rocco), nei
quali getta le premesse degli studi filosofici e giuridici in cui si cimenterà
per tutta la vita: la storia della filosofia, la filosofia teoretica e la
filosofia del diritto; sviluppando altresì e precorrendo una moderna concezione
del rapporto tra "diritti umani e progresso scientifico" sin da “La
scienza e la vita” (Torino, Tip. G. Borgarelli) -- titolo paradigmatico del suo
saggio – cf. Grice, “Philosophical biology,” “Philosophy of Life” Insegna a
Messina. Furono quelli gli anni più fecondi della produzione scientifica volta
a perfezionare la sua concezione dello Stato, approfondire le fonti rosminiane,
confrontarsi con le teorie evoluzionistiche di Spencer e contemporaneamente
intrattenere contatti epistolari con alcuni fra i maggiori filosofi, giuristi,
patrioti e storici dell'epoca quali:
Jhering, Bluntschli, Roy, Tommaseo, Capponi e molti altri. Saggi: “Kant
e Rosmini” (Borgarelli, Torino); “Aquino” (Torino, Borgarelli); “Filosofia del
diritto,”“Critica della dottrina utilitarista liberale empirica etico-giuridica
di Mill”“Le supreme dottrine filosofiche e giuridiche di Vico ri-vendicate” --
“La pretesa persona giuridica e le funzioni personali degl’enti morali” (L.
Gargiulo); “Della Riforma civile di Spedalieri” (Messina, Amico); “Le fonti del
sistema filosofico di Serbati-Rosmini” (L.F. Cogliati); “Due meravigliose
scoperte di Rosmin-Serbatii: l'essere possibile e l'unità della storia dei
sistemi ideologici, L.F. Cogliati, Il Canonico Annibale Maria Di Francia e la
sua Pia Opera di beneficenza, Messina, San Giuseppe, Manuale di filosofia del
diritto, Milano, Società editrice , Pagine estratte. G. Martucci, Il concetto dello stato Antonio Tarantino, Diritti umani e progresso
scientifico: Polacco, La "Filosofia del diritto” (G.B. Randi); “Filosofia”
(Milano, Giuffré); Tarantino, “La filosofia della giustizia sociale, Milano”
(Giuffré) – cfr. H. P. Grice, “Social justice” in “The H. P. Grice Papers,”
Bancroft, MS. In occasione del conferimento della "Cittadinanza onoraria
(di Messina) alla memoria, su nettuno press.Tarantino, Diritti umani e
progresso scientifico: emeroteca.provincia.brindisi. Martucci,Il concetto dello
stato, su emeroteca.provincia.brindisi.
Treccani, su treccani. Lettere a Jhering. UN FRAMMENTO INEDITO di
G. B. VICO non accordabile col supremo principio della Scienza Nuova
Ilmiolavoro G.B.Vicorivendicato»meritòl'onoredi essere preso in considerazione
dai due più competenti degli stu dii vichiani, ed al giudizio dei competenti
bisogna dare gran peso, perchè effetto di conoscenza bene approfondita sopra un
determinato autore, specialmente se si mira ricostruire la mente di G. B.
Vico.Questi scrittori sono Luigi Ferri (1)e Vito Fornari i quali si trovarono
in pienissimo accordo, tanto da far supporro che fosse effetto di un concetto
prestabilito.L'accordo fu pie nissimo nella prima parte del lavoro di carattere
puramente critico e riconobbero che la rivendicazione delle dottrine filoso
fiche e giuridiche da tutte le fallaci interpetrazioni fatte in Europa Rivista
Italiana di Filosofia; anno XII, Vol. 2. (1) « Quando gli opuscoli hanno
un valore così notevole come quello qui sopra indicato del prof. Lilla , è
giusto segnalarli all'attenzione degli studiosi piuttosto che i volumi di gran
molo o di poca sostanza. Questo lavoro dice molto in poche pagine e il suo
intento è questo: rivedere i giu dizi che sulle dottrine del Vico sono stati
portati in Italia , in Germania e in Francia particolarmente, ricostruire
dietro indagino esatta il concetto di questa dottrina e questo intento ci pare
raggiunto. Il Vico non è sem plicemente un ontologista platonico, come parrebbe
dal giudizio del Gio berti,nè un razionalista kantiano,o piuttosto un
precursoredelKant ,co mesembravaaBertrando Spaventa,nèunpositivistacomo
furappresentatoda altri.Questi apprezzamentirisultaronodall'interpetrazioneparzialeesoggetti
va di qualche parte dei pensieri filosofici del Vico che nelle sue opero non
sono esposti in ordine sistematico , e che l'autore di questo lavoro con grande
dili genza raccoglie e combina riferendo le formole e le parole proprie dell'autore
della scienza nuova sparse nei moltiplici suoi scritti. » era
esauriente e condotta con criterii elevati. La mia interpe trazione sulla vera
mente di G. B. Vico (1)fu riconosciuta vera ed adeguata tanto che il Fornarì
mostrò vivissimo desiderio di veder fecondare quelle supreme linee con
svolgimenti ed appli cazioni. Dominato da tale pensiero concepii il disegno di
scrivere un lavoro di lena, mirante ad un triplice scopo di rivendicare,
illustrare, ed integrare la mente dell'autore della « Scienza Nuova»
Atalescopoindirizzaituttelemiericercheattingendo sempre maggiori lumi dalle sue
opere edite ed inedito e fin anche dai manoscritti che si conservano
gelosamente nella bi· blioteca Nazionale di Napoli. I grandi genii, e
segnatamente il Vico che, come non ha guari, fu appellato da un poderoso
intelletto di una delle più famose Università il più grande filosofo del mondo,
muovono da una idea madre fecondissima ed alla quale rannodava tutte le idee
secondarie e particolari. Uvità ed armonia cioè perfetto organismo è la nota
caratteristica del lavoro dei sommi.Ed io vado riunendo non poche idee per
ricostruire su solide basi quest'opera di architettura gigante e le mie
indagini non ric scono infruttuose, e ne è prova evidentissima questo frammento
inedito dal titolo « Pratica della Scienza nuova . » Non poche censure mosse la
turba dei filosofanti al Vico perchè s'ispirava a concezioni idealistiche
negligentando la pra tica della vita. Tale critica presenta apparenze di verità
tanto che il Vico stesso no rimase impressionato,ma raffrontando dot t r i n e
a d o t t r i n e si c o g l i e il g e n u i n o e l o r o v e r o s i g n i f
i c a t o . L a g r a n d o idealitàdiquestamassima
«lastoriaidealeeternadellenazioni» (1) « Il Lilla ha liberato la dottrina del
Vico da tutte le fallaci inter petrazioni. La sua dottrina che mi pare giusta,
merita di essere più larga mente svolta. » Nel volume delle Onoranze; pag.
29. -4 è una vera esagerazione , e chi si addentra nella
parte riposta del sistema Vichiano si accorgerà che non si possa ascrivere ad
essa une perfetta interpetrazione astratta e specialmente raffrottandola colla
psicologia sociale che sta a base del processo del filosofo napoletano. Bisogna
por mente innanzi tutto alle tre fasi che percorre l'umanità nella sua storica
evoluzione; età del senso, della fantasia, e della ragiono. E molto più alla
dottrina del corso e ricorso delle nazioni, cioè al loro periodo d'infanzia, di
giovinezza e di vecchiaia. Valga ciò a smentire l'assoluto idealismo del Vico
ilquale è puramente immaginario. Tutta la seconda Scienza nuova è derivata
dalla psicologia sociale evoli tiva e tutti i diritti, i costumi, le religioni,
le costituzioni p o litichedeglistatisonoemanazionidiquesto principio.Nelprimo
stadio tutto è divino, gli uomini inselvatichiti hanno un diritto
divino,tuttoprocededagliDei;ilGoverno teocraticorappresen ato dagli oracoli, la
lingua divina per atti muti di religiose cerimonie. In Giove e Giunone si
personifica ciò che si riferisce agli auspicii ed alle nozzo: laGiurisprudenza
è scienza d'inten d e r e i m i s t e r i d e l l a d i v i n a z i o n e ; il
g i u d i z i o d i v i n o , c i o è c h e n e i templi divini,tutte le azioni
sovo invocazioni agli Dei :ogni dritto è divino,ogni pena è sacrificio, ogni
guerra assume carat tere religioso ed ha giudici gli Dei : od il giudizio di
Dio si riduce a duello ed alle rappressaglie : tali categorie sono sim
boleggiate dal lituo, dall'acqua e fuoco sopra un altare. Seguo poi un ordine
di fatti eroici da cui deriva la natura eroica, o dei nati sotto gli auspicii
di Giove, il costumo eroico como quello di Achille, il governo civico o
aristocratico o dei for tissimi, la lingua eroica o delle armi gentilizie o
stemmi.I ca ratteri eroici come Achille ed Ulisse, che personificano tutte le
grandezze e i savii consigli. La giurisprudenza eroica, che stà nella solennità
delle formule della legge, la ragione di stato -5 conosciuta
dai pochi provetti del governo , il giudizio eroico che consiste nell'esatta
osservanza delle formule e precipua mente deriva il feudo dalla proprietà dei
forti. Infine c'è un or dine di fatti umani, cui corrisponde la natura umana
intelligente e perciò benigna,modesta, che riconosce per legge lacoscienza, la
ragione, il dovere, e poi il costume officiale, indi il diritto umano fondato
dalla ragione, il governo umano dettato dalla ragione,lalingua umana, Abbiamo
motivo di credere che il Vico impressionato dalle obiezioni dei contemporanei
vollo dichiarare il supremo princi pio della Scienza Nuova , cioè la storia
eterna ed ideale delle nazioni con questo frammento e senza addarsene
disconobbe l'efficacia positiva della Scienza nuova. Egli dotato di
mente speculativa, pratica e progressiva, non si poteva mai acconciare a
vivere di formule astratte e di umana , il parlare articolato , i
caratteri in telligibili, che la mente umana rivelò dai generi fantastici se
parando le forme e le proprietà dai subietti. La giurisprudenza umana che mira
non al certo, ma alvero delle leggi. L'auto rità umuna che nasce dalla
rinomanza di persone capaci e sa pienti nelle agibili ed intelligibili cose ,
la ragione umana 0 ragione naturale che divide a tutte le uguali utilità. Il
giu dizio umano velato di pudore naturale e mallevadore della buona •fode che
ai fatti applica benignamente le leggi temperandone ilrigore.E
questifattihannoancheilorosimbolinellabilanciache rappresenta le qualità civili
nelle repubbliche popolari, perchè la natura ragionevole è uguale in tutti gli
uomini. Questi tre ordinidifatti riposanointreprincipii, chesono:iltimore,
l'amore , il dolore, simboleggiati dallo altare, dalla pace e dal
l'urnacineraria,ecosì sifondarono loreligioni, imatrimoni e l'immortalità
dell'anima.In questiconcetti siriassume tutta la seconda Scienza nuova. 1 -6 )
(1) Rispettaro tutto quanto i nostri maggiori operarono di grande è la
disposizione più favorevole a quest'opera di conciliazione, ma perchè il ri
spettonon portiadelleideeesclusiveenonsoffochilalibertàdeinostri giudizi verso
lo scopo ultimo della scienza, avvicinata a questo scopo la pro duzione più
perfetta dell'uomo , ci rivela la sua imperfezione , in questo modo
èriconosciutalanecessitàdell'Ideale,perchè fossecriticatoemiglio rato il
presente. Nello spirito del Diritto Romano. -7 puri concetti metafisici,
poichè il processo inquisitivo che egli seguiva aveva un fondamento storico e
dava origine ad un temperato e ragionevole positivismo, pel quale non si poteva
disgiungere la scienza dalla vita.Egli ben vedeva che la scienza fuori la vita
era una vana supellettile intellettuale ,> un giuoco dialettico del pensiero
e non punto proficua al beninteso pro gresso delle nazioni. Esiste un ideale di
perfettibilità , supe riore , ma non indipendente dalla vita , verità questa
intuita dall'antesignano della scuola storica tedesca,da Savignys,ilquale era
ammiratore passionato delle istituzioni giuridiche romane nelle quali vedeva la
più alta manifestazione del progresso giu ridico. Ma fatto maturo di anni e di
senno confessò apertamente che per quanto possono sembrare perfette le
istituzioni romane, pure comparate all'idealità mostrano la loro
incompiutezza.(1) IlVico gittò le basi di una vasta costruzione scientifica
fondata nel processostorico– filosofico.E dàbiasimoaldivorziofraquesti due
processi metodici, in questa memoranda sentenza « Pecca rono per metà i
filosofi perchè non accertarono le loro idee coll’autorità dei filogici;
peccarono per metà i filologi perchè non inverarono la propria conoscenza
coll'autorità dei filosofi». La storia ci rivela il certo, l'origine, le fasi o
gl'incrementi degl'istituti politici, sociali giuridici, e la filosofia rivela
l'ele mento razionale e addita le perfezioni ideali, cui si possono
inalzare;veritáquestaintuitadaBaconedaVerulamin «Ifilosofi, >
dic'egli, scoprono molte cose belle a contemplarsi, ma impossi bile ad
essere attuate, ed i giuristi ragionanı) come prigionieri nelle catene » (1)
Alla mente del Vico si affacciò, un dubbio che poteva presentare questo supremo
principio della scienza studiossi ripararvi con questo frammento inedito. «
Tutla quesť opera è stata ragionata come una scienza puramente spe culativa
intorno alla comune natura dello nazioni:peròsembra per quest'istesso mancare
di soccorrere alla prudenza umana, ond'ella si adoperi perchè le nazioni, le
quali vanno a cadere o non ruinino affatto , o non s'affrettino alla loro ruina
ed in conseguenza mancare nella pratica , qual dev'essere di tutte le scienze ,
che si ravvalgono d'intorno a materie , le quali dipendano dall'umano arbitrio
, che tutte si chiamano at tive. > Anche nella coscienza dei grandi vi sono
delle oscil lazioni sulle loro concezioni. Il Vico nel fram . citato , dice che
la scienza pratica non si possa dare dai filosofi, ma i filo sofi civili e i
reggitori degli Stati possono creare costituzioni politiche e leggi, e
richiamare le nazioni al loro stato di perfe
zione.Nientedipiùvero:lenazionietuttoilmondo moralo creato dall'arbitrio umano
non può ridursi a categorie logiche, non può essere sottoposto alla legge
ferrea della necessità, e quindi la scienza puramente contemplativa o ideale
non può contenere nella sua orbita le leggi relative dei fatti umani. Se
quest'ordine è indipendente dalla necessità logica, può essere (1) Qui do
legibus scripserunt, omnes vel tanquam Philosophi, vel tan quam Jureconsulti,
argumentum illud tractaverunt. Atque Philosophi pro. ponunt multa dictu pulcra
, sed ab uso remoto. Jureconsulti autem ,suae quisque patria legum , vel etiam
Romanorum , aut Pontificiarum placctis
abnoxüetaddicti,judiciosincerononutuntur,sedtanquam evincolis sermocinantur.
Tractatus de dignite et augmentis scientiarum ; VIII, # -8- nuova, 7 >
7 9 solo regolato o disciplinato dalle scienze pratiche ed attive e
non dall'ordine puramente scientifico. Nel capitolo VIII della seconda Scienza
nuova pare che il Vico incorra in un'incoe renza, in quanto si propone di
trattare di una storia eterna sulla quale corre di tempo la storia di tutte le
nazioni con certo originiecerteperpetuità,e poidico chelescienze pratiche
possonoregolarelavita.Ma comesipuòparlared'unastoriaeterna, sulla quale sono
modellate le storie di tutte le nazioni se il mondo morale, con tutti i suoi
fattori , procede dall'arbitrio umano ? Questo ardito disegno del Filosofo
Napoletano racchiude un pen siero riposto. Questa Storia eterna delle nazioni,
modellatrice, esemplatrice di tutte le storie delle nazioni è uno dei più
grandi problemi della Scienza Nuova, che è assai bisognoso di com menti
illustrativi ed esplicativi. In questo capitolo si nasconde una speculazione
alta, e, dirò meglio, vertiginosa. Qui il Vico si rivela come idealista , o
meglio tale appare , poichè nello stabilire un ideale comune a tutte le nazioni
pare che proceda con un metodo astratto e formale, cioè como un ideale fanta
stico di pura creazione del cervello. Parvenza vana inganna trice! Ad un
pensatore meditativo apparisce,com'è infatti, una dottrina a fondo realistico ;
essa non è generata ma è ricavata da uno studio coscienzioso ed accurato dei
fatti. Il diritto naturale delle genti è reale quanto la natura umana, ed è la
fonte di questa dottrina. Secondo la mente del Vico non si potrà revocare in
dubbio l'esistenza d'un dritto naturale, comune a tutti i popoli. Cotal
diritto,comune a tutte le nazioni, ricavasi dalla psicologia sociale , la quale
ci attesta la natura comune sociale dei popoli. Questo argomento
comparativo trova la sua conferma nel fatto irrecusabile che questo diritto
comune,patrimonio di tutto lç genti, non poteva essere stato trasferito o
comunicato da p o polo a popolo, perchè fra loro non vi era,nè era
possibile nes suna comunanza di relazione.(1)Ponendo mente all'esistenza di un
diritto naturale identico a tutti, o perciò universale e necessa rio,non si può
negare un sicuro fondamento all'esistenza d'una sto ria eterna nella quale corrono
di tempo in tempo le storie di tutte le nazioni. Il diritto é uno, come uno è
il tipo umano. Nella varietà dei costumi dei popoli vi è qualche cosa che non
va ria nè si trasforma : dunque uno è il diritto, ed una è la storia ideale
delle nazioni , la quale è fondata sull'unità del diritto. Dunque dalla
medesimezza del costume, sigenera ildirittona turale,e da ciò nasce ildisegno
di una storia eterna delle na zioni Concetto ardito e profondo, poichè in tanto
è possibile una storia eterna ed ideale, in quanto vi è un tipo unico nel di
ritto e nel costume. I grandi genii hanno il presentimento di certe verità che
poscia approfondite dalle venture generazioni acquistano piena coscienza.
Questa divinazione del Vico oggi è rifermata dalla analisi comparativa degli
istituti giuridici e politici , e questa scienza divinata dal Vico è una delle
più belle glorie dei nostri tempi, a cui un forte ingegno siciliano addisse il
suo ingegno e ne abbozzò il primo disegno. E qui si adombrano le prime lince di
un metodo armonico fra il vero e il fatto, fra la Filosofia e la Storia La
Storia dei costumi deve emanare da due cause coefficienti:dall'ordine reale e
dell'ordine ideale,e così si avvera ilgran principio del Vico che « verum et
factum recipro cantur » Ma l'ordine ideale per non essere una chimera deve (1)
Ideo uniformi nate appo interi popoli fra essi loro non conosciuti, debbono
avere un motivo comune di vero. Scienza nuova,libro I. Dignitá XIII.
10 avere un'origine per quanto rimota,ma sempre realistica, non è
fantasmagorico, ma ricavato,o meglio osservato nell'elemento comune che
presenta il costume dei popoli,e perciò non è in fecondo e sterile,ma proficuo
alla vita. (1)Questo branoètoltodalcapitolo * Incoerenze di Giambattista Vico
> del mio lavoro inedito: La mente del Vico rivendicata, illustrata e inte
grata. A riassumere la dottrina giuridica di G. B. Vico è
indispensabile determinare i principi fondamentali dell» scuola
storico-filosofica da Ini splendidamente rappresentata. La
Scienza Nuova è lu riprova più sicura della «lenominazione apposta ; iu
quel lavoro di archi¬ tettura gigante si vede adombrato il disegno
del¬ l’armonia fra i principii razionali e il fatto sto¬
rico. La psicologia sociale è il substratum delle leggi,
delle religioni, delle lingue e di tutti gli altri ele¬ menti della
civiltà. In quella filosofia della storia contenuta in germe la filosofia
del diritto positivo, perchè le costituzioni civili, sociali e politiche
sono conseguenza necessaria della vita, della cultura e dei costumi
delle varie nazioni. Egli divide in tre grandi periodi la storia
civile delle nazioni, cioè l’età del senso, della fantasia e •Iella
ragione, e tutti i fattori deH’incivilimeiito, dalla religione alla
lingua, da questa alla giurisprudenza c infine alla politica rispecchiano
fedelmente le im¬ magini e i caratteri di quei tre grandi
avvenimenti '‘tarici. Anche nell’opera, De universi iurte et prtn-
ùfno et fine uno le ricerche del diritto filosofico som» accompagnate
dall’indagine storica e innumerevoli fi 2
TEORICA DI VICO applicazioni fa al diritto romano, da cui poi si
eleva ai supremi principii giuridici. Questo sapiente
indirizzo trova la ragion di es¬ sere in quel supremo pronunziato del «de
antiquis¬ sima Italorum sapientia » che « verum et factum re-
eiprocantur ». Il fatto adunque deve procedere di conserva col vero,
altrimenti si cade o nel forma¬ lismo astratto o nell’imperiamo
gretto. 2. E con questo criterio il Vico dà biasimo ai filosofi
ed ai filologi; mancarono per metà i filosofi perché non accertarono le
loro idee con l’autorità dei fi¬ lologi, e mancarono per meta i filologi
perchè non avverarono le loro idee con l’autorità dei filosofi. Il
vero e il fatto sono due termini convertibili, e, perchè convertibili,
l’indagine storica trova la sua vera integrazione nei principii di
ragione, e questi hanno il loro fondamento nell’ordine dei fatti
bene accertati. Storia e Ragione sono adunque i due fattori
del diritto filosofico^ e, quando si scinde il fatto dal vero, si
avrà del diritto un’idea esclusiva, incompiuta, o fallace. 3.
Il diritto, secondo il Vico, è un’idea umana, vale a dire un principio
ideale e storico, o meglio un principio ideale che si attua nella storia;
e tanto è vero ciò che mette radice nell’ordine eterno del¬
l’eterna ragione o dell’eterna volontà in quanto prescrive alia volontà
umana Vaequo bono. Secondo questa dottrina il diritto deriva da
due cause coefficienti, cioè : l’utile e l’eterna ragione ; l’una
dà la forma e l’altra la materia: «Utilità» fiiit occasio iuris, honestas
causa». Tutto ciò ri¬ sponde esattamente allo spirito del sistema
vichiano; infatti la plebe, insorgendo contro il patriziato, con¬
quistava i propri diritti, eppure era mossa dalla DigitizedbyGoOgle
TEORICA DI VICO 63 molla dell’interesse
; sicché il progresso morale e civile delle nazioni era occasionato dalle
passioni, «lagli interessi, i quali contribuivano a far ricono¬
scere i principii razionali: « Quao vis veri sen liu- mann ratio virtus
est quantuin cum cupiditate pu- gnat. Quantum utilitates diligit et
exquat, quao nnum universi iuris principium unusque iincs » (1).
L’utile non è per sè stesso né onesto nè turpe, ma pnò divenire
l’uno o l’altro quando è o confonne o disforme alla giustizia.
Ecco dunque come il diritto ha l’anima e il corpo, la materia e la
forma, ed lia un contenuto etico, che « applica nell’utile.
4. E da ciò segue la definizione del diritto: < Igitur iu8 est
in natura utile a eterno, coni- incusu acquale » (2). I punti salienti
nei quali si rias mine la teorica del Vico sono i seguenti :
l’inda¬ gine storica, base della ricerca razionale; conver¬
tibilità. del vero col fatto ; insidenza del diritto nel bene, incarnata
nella formula dell’equo buono : ine¬ renza dell’equo buono nell’ordine
eterno; futilità in quanto è regolata dalla ria veri; l’utile è
materia; e la ragione forma del diritto.Vincenzo Lilla. Lilla. Keywords: implicature,
Vico, Vico ri-vendicato, Vico ri-vendicate, Luigi Speranza, “Grice e Lilla: la
semiotica di Vico” – The Swimming-Pool Library. “Il Vico di Lilla” – The
Swimming-Pool Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690083954/in/photolist-2mPTxJB-2mKFc73/
Grice e Limone – simbolica del
potere – filosofia italiana – Luigi Speranza (Atella di Napoli). Grice: “I like Limone; like me, he has
explored the idea of value in terms of catastrophe – I didn’t. He has explored
the poetics of philosophy – and he has investigated on a concept that Strawson
and I always found fascinating, that of a person!” -- “Che cosa è, nel mondo
umano, la persona?” “Tutto.” “Che cosa è, nel mondo contemporaneo, la
persona?”” Nulla.” Persona e memoria,
Rubbettino. La sua ricerca filosofica si inserisce nel solco del personalismo
comunitario. Si laurea a Napoli e il
Roma. Studia a Parigi e a Châtenay-Malabry, sede dell'Association des
amis d'Emmanuel Mounier, presso la Comunità dei muri bianchi, cui appartenevano
Fraisse, Ricœur, Mounier, Domenach. Insegna a Napoli. I suoi interessi di
ricerca abbracciano aspetti epistemologici, etici, filosofico-pratici e simbolici.
Al centro della sua attenzione teoretica è “la persona”. Fondato la rivista
"Persona” e "Symbolicum" sulla simbolica. Sonda in profondità
l’idea di persona. Là dove la persona non è né la semplice nobilitazione
dell’essere umano in generale, né una singola unità seriale. Della persona si
può dare idea, non “concetto”, perché l’idea è aperta come la vita, mentre il
concetto è chiuso. L’idea di persona, però, non è l’idea di un quid ma di un “quis”
perché la persona è un “chi” non un “che” – That’s why it’s very wrong to call
“the chair is red” as third-person seeing that the chair is hardly a person!” è
l’idea di un’essenza che non può essere separata dalla concreta singola
esistenza, originalissima e dotata di dignità. In quanto idea di un “quis”, la
persona si presenta come l’altro versante del teorema d’incompletezza di Gödel.
Il significato della persona si delinea all’interno di una costellazione in cui
essa: -è realtà singolare e la sua idea; -è prospettiva ontologica sussistente
e la sua verità; -è la parte di un tutto che solo parzialmente è parte, perché
per altro verso si presenta come un tutto, in quanto è irriducibile al tutto e
indivisibile in sé; -è l’eccezione istituente una regola che riesce, e non
riesce, a farsene istituire; -è l’idea di qualcosa che resiste alla possibilità
di essere ricondotto a un’idea; -è l’idea di un appartenere che resiste
all’idea di appartenere. L’essere della persona richiama, a suo modo, il
problema delle antinomie di Russell. Un tale arcipelago di paradossi
costituisce, però, una forza virtuosa che interroga ogni sistema. La persona si
configura come invenzione teorica, paradosso logico e misura epistemologica, e
rappresenta il punto strutturale di base che istituisce la visione del gius-personalismo.
Opere: “Tempo della persona e sapienza del possibile: Valori, politica, diritto
(ESI, Napoli); “Tempo della persona e sapienza del possibile: Per una
teoretica, una critica e una metaforica del personalismo (ESI, Napoli); La
catastrofe come orizzonte del valore, Monduzzi, Milano. Bellezza e persona, su
“Aisthema” “La macchina delle regole, la verità della vita. Appunti sul
fondamentalismo macchinico nell’era contemporanea, in La macchina delle regole,
la verità della vita (Angeli, Milano); Che cos’è il gius-personalismo? Il
diritto di esistere come fondamento dell’esistere del diritto, Monduzzi, Milano.
Ars boni et aequi. Ovvero i paralipòmeni della scienza giuridica. Il diritto
fra scienza, arte, equità e tecnica (Angeli, Milano), Filosofia e poesia come
passioni dell’anima civile. La persona fra potere e memoria in Persona,
Artetetra, Capua. Persona e memoria – cf. Grice, “Personal identity” -- “Oltre
la maschera” il compito del pensare come diritto alla filosofia, Rubbettino,
Soveria Mannelli. Poesia Polifonia d’un vento (Salerno-Roma). Dentro il tempo
del sole (Salerno-Roma). Ore d’acqua (Salerno-Roma). Incontrando il possibile
re (Salerno-Roma). “Notte di fine millennio” (Bari). Fenicia, sogno di una
stella a nord-ovest (Roma). L'angelo sulle città, in onore del figlio (Roma ).
Le ceneri di Pasolini (Pasturana, Alessandria). Aforismi di un impiccato felice
(Salerno). Aforismi del passato duemila: distruzioni per l'uso (Salerno). Ossi
di limone. Aforismi di uno scostumato (Vatolla). Sierra Limone. Dai taccuini
fenici di Er Limonèro (Vatolla). NV. Melchiorre, Essere persona, Fondazione A.
e G. Boroli, Milano Fondazione roberto farina. Giuseppe Limone. Limone. Keywords:
simbolo, simbolismo, la dimensione del simbolo, ventennio, fascismo, simbolica del potere,
mistica fascista, damnatio memoriae, la composita, la simbolica, simbolo,
composito. Strawson, “The concept of a person” – Ayer: “The concept of a
person” – Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Limone: la composita” --. Luigi Speranza, “Grice e Limone: umano e
persona” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752294527/in/dateposted-public/
Grice e Lodovici – la virtù – verso
la meta – la meta è l’origine -- filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi
Speranza (Messina). Filosofo. – Grice: “I like Emanuele Samek
Lodovici – very Italian – his metamorfosi della gnosi is good!” -- samek
lodovici -- one of the two. Emanuele Samek Lodovici Il suo pensiero d'impronta metafisica si
oppone al materialismo e al riduzionismo. Esperto della filosofia di Plotino,
Sant'Agostino e Marx, si occupa dello gnosticismo che a suo parere si trova
ripresentato in diverse filosofie e ideologie dell'età moderna e
contemporanea. Figlio del bibliotecario e bibliografo Sergio Samek
Lodovici, nativo di Carrara, che lo chiamò come suo fratello maggiore, noto
medico e politico. Rimase in Sicilia per breve tempo per poi vivere sempre a Milano.
Scampò a soli cinque anni alla tragedia di Albenga, quando dopo il naufragio di
un'imbarcazione carica di bambini era stato inserito nel gruppo delle piccole
salme, ma il tempestivo intervento di un medico lo salvò. Di formazione e
cultura cattoliche, studiò a Milano dove si laurea con «Filosofia classica e
spiritualità cristiana nel Commento di Sant'Agostino al Vangelo di San
Giovanni». Insegna aTorino. Pubblicò due monografie, una su Agostino (con il
contributo del C.N.R.), e l'altra sulla gnosi moderna, che gli valsero la
cattedra di Filosofia a Trieste. In una
lettera Noce si riferiva così. Nella prima delle sue due opere fondamentali,
Dio e mondo, inizia considerando la grave accusa rivolta da Heidegger alla
metafisica, ovvero di non aver compreso che cos'è l'«essere» e di aver
reificato Dio, di averlo cioè reso una «cosa». Questa critica può essere
legittima ma non nei riguardi della metafisica neoplatonica nella forma in cui
è stata mediata da Agostino. Individua il fulcro di tale metafisica nella
dottrina della «partecipazione» delle idee col mondo, in forza della quale il
rapporto di Dio col mondo è una relazione sostanziale e non oggettualità.
In Metamorfosi della gnosi, delinea una fenomenologia della cultura come
influenzata da una mentalità inconsciamente gnostica. Tale mentalità ha assunto
in sé le tesi dello gnosticismo antico, ovvero la sostanziale negatività del
mondo, la possibilità di redenzione dalla oscurità del mondo attraverso un
sapere salvifico (gnosi) e la possibilità di un redenzione del mondo
realizzata, senza bisogno della grazia divina, dalla sola azione dell'uomo
tramite la politica e/o la scienza. Così nel pensiero gnostico la
finitezza e la creaturalità vengono disprezzate e rifiutate, con l'ambizione di
creare l'Uomo Nuovo e la Gerusalemme terrena. Insomma, sintesi del pensiero
gnostico è quella formulazione che trova il proprio culmine nel «rifiuto di non
poter essere Dio»; in tal modo nella visione gnostica non è più Dio, ma l'uomo
gnostico a identificarsi con l'infinito, sgravato com'è da qualsiasi
limite. Da ciò appaiono evidenti gli obiettivi polemici e critici di ogni
metamorfosi dello gnosticismo rappresentato nelle forme del riduzionismo
antireligioso, del prometeismo marxista, della filosofia radical-relativista
diffusa attraverso i media, della corruzione della memoria storica attuata
anche attraverso la corruzione del linguaggio ed infine nella strategia della
distruzione della famiglia, che è stata potentemente colpita in particolare con
la rivoluzione sessuale e con alcuni tipi di femminismo. Per quanto
riguarda la sua pars construens, Safferma che proprio a partire dalla
post-marxistica crisi del pensiero secolarista gnostico si deve delineare la
necessità di ritornare alla tradizione metafisica, da lui indicata sulla linea
di Platone, Plotino e soprattutto Agostino. In sintonia con l'ermeneutica contemporanea, e
pur evitandone le derive nichilistiche, riconosce la struttura storicamente
condizionante del linguaggio nei confronti dell'esistenza e della conoscenza,
secondo una sua favorita formula per cui «chi non ha le parole non ha le cose»,
e d'altra parte il filosofo riconosce anche la funzione inversa del linguaggio
per cui, oltre che elemento condizionante, esso è anche il mezzo con cui l'uomo
storico può trascendere i vincoli della storia e del linguaggio stesso (i
baconiani «idola fori» e «idola theatri») ed esprimere le verità eterne. Rievoca
la valenza dell'autocoscienza della ragione e delle sue vastissime
potenzialità, sia in bene che in male, e a partire da queste, ne ricorda i
limiti, i fallimenti storici e le costitutive incapacità che emergono
specialmente nel momento in cui essa viene elevata ad una illuministica
idolatria, concretizzandosi nella moderna vita di massa che «ha affermato la libertà politica da ogni
autorità spirituale, finendo per favorire il potere dell’uomo sull’uomo; ha
affermato la libertà dell’amore dalla morale per vanificarlo nel sesso; ha
affermato di lottare contro ogni religione in quanto superstizione, solo per
prepararne una più esiziale, quella della scienza e del successo.»
Piuttosto, una ragione accorta deve, restando autonoma, interagire con la
religione, per corroborarla e giustificarla razionalmente o per cercarvi le
risposte prime ed ultime. Tipica poi del suo pensiero è la «cultura del ricordo», intesa come
cultura non di una memoria archeologica bensì di una memoria che guardando ai
fallimenti del passato possa liberare il presente dalle menzogne ideologiche e
dai progetti utopistici che, ripetendosi nella storia, hanno generato i
totalitarismi del XX secolo, e che oggi producono la dittatura del relativismo
e del nichilismo. Così la memoria assume una funzione spirituale nel senso che «mi rende migliore di quello che sono». La
riflessione è dunque nel complesso di carattere etico-sapienzale, consapevole
che in ogni agire umano si esplica la ricerca della felicità, una ricerca che,
per essere efficace e compiuta, deve però essere immune da qualsiasi utopismo
onirico: è alla luce di questa precisazione che può affermare che «non vi è
nessuna felicità senza virtù, in altre parole non vi è nessuna felicità senza
quell'unica attività che è in grado di rendere l'uomo pienamente umano», perciò
«non si può pretendere che l'acquisto della felicità non passi attraverso lo
sforzo, la lotta, e in ultima analisi la sofferenza», ed è in tal modo che
trovano un senso il limite umano e la sofferenza. Non sfugge al filosofo la
coscienza della precarietà della felicità umana, però questa «ben lungi dallo
spingerci alla tristezza per l'insaziabilità dell'uomo, va tuttavia vistaottimisticamente,
come l'indizio che è un'altra la felicità conforme al livello spirituale degli
esseri umani», perché «ultima hominis felicitas non est in hac vita. Saggi: “
Plotino nel In Johannis Evangelium di Agostino, in Contributi dell'Istituto di filosofia, Vita e
Pensiero, La Lettera ai Galati” in Marcione e Tertulliano, in «Aevum», Milano, Agostino,
in Questioni di storiografia filosofica,
La Scuola, Brescia); Sul processo di Gesù e su Gesù e gli zeloti, Vita e
Pensiero, Marxismo o Cristianesimo, Ares, Sesso, matrimonio e concupiscenza in,
Etica sessuale (Milano); Tra cosmologia e metafisica. Note sul concetto di
cosmo, in “Il demoniaco nella musica, Giappichelli, La felicità e la crisi della cultura radicale
ed illuministica, in La crisi della
coscienza politica e il pensiero personalista, Libreria Gregoniana, “Dio e
mondo: relazione, causa e spazio” (EStudium); “Metamorfosi della gnosi” Ares, Dominio dell'istante, dominio della morte.
Alla ricerca di uno schema gnostico, in «Archivio di Filosofia», Istituto di
studi filosofici, Roma, “La gnosi e la genesi delle forme, in «Rivista di
Biologia», Il gusto del sapere, Universitas); “L'arte di non disperare. Il
gusto del sapere Estratti di L'arte di
non disperare M. Picker, Il mio professore di filosofia, Studi
Cattolici, G. Alabiso, La critica dell'attacco macro-strutturale al cristianesimo,
Catania. Giacomo Samek Lodovici, Profili. Emanuele Samek Lodovici, Studi
Cattolici, A. Sciffo, Le maschere della gnosi, «Avvenire», Gaspare Barbiellini
Amidei, Il filosofo che insegna l'arte della speranza., in «Corriere della
Sera», filosofo che insegna arte_della_co shtml G. Feyles, La battaglia di
Samek, in «Tempi», tempi la-battaglia-di-samek Sergio Fumagalli, Emanuele Samek
Lodovici e Noce: Gnosi e secolarizzazione, Santa Croce, Roma //sergiofumagalli/files/tesi.pdf
G. Taddeo, Verità e diritto, Trento G. Segre,
una vita per la Verità, «la Bussola Quotidiana» /la nuova bussola quotidiana.com/it/archivioStorico
Articolo-emanuele-samek-lodoviciuna vita-per-la-verit- A. Galli, Il ritorno della
gnosi, in «Avvenire», G. Anna, L'origine e la meta. Ares, Milano. Gnosticismo Cattolicesimo, Noce, Voegelin, Mathieu
su Santi, beati e testimoni, santiebeati. Il gusto del sapere Universitas, Documentazione
interdisciplinare di scienza e fede, Gnosi moderna e secolarizzazione nell'analisi”
S. Fumagalli, Pontificia Università della Santa Croce, Roma, “la gnosi come
vero avversario della verità di S. Restelli, sito "CulturaCattolica. Emanuele
Samek Lodovici. Lodivici. Keywords. la virtù, l’amore sessuuale, il sessuale – la sessualita, il maschile, il
machio, il sesso maschile, il vir, virile, virilita. Refs.: Luigi
Speranza, “ Grice e Lodovici” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753706739/in/dateposted-public/
Lodovici: “Giacomo
samek lodovici is the author of a fascinating essay on philosophical
psychology. Figlio di Emanuele Samek Ludovici.
Grice e
Lombardi – la filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo. Grice: “I like Lombardi;
he took seriously my idea of Philosophy’s Longitudinal Uniity, and like
Passmore or Warnock, engaged iin a study of the ‘last hundred years of Italian
philosophy. This shows that his interests on Kant, etc., are Italian-based,
mainly!” Il padre Giovanni fu avvocato e docente di diritto e procedura penale
a Napoli, già allievo prediletto di Bovio, deputato prima e dopo il fascismo,
autore di scritti vari di sociologia. La madre Rosa Pignatari fu nipote di Ciccotti, nella cui casa era cresciuta. Tradusse
alcuni degli scritti di Karl Marx nelle Opere edite dal Ciccotti e la Storia
del movimento operaio di Edouard Dolleans.
Laureato e libero docente in filosofia lavora in filosofia. Pubblica “Il
mondo degli uomini” (Firenze, Le Monnier) Insegna a Roma. Presidente della
Società Filosofica Italiana e (sin dalla fondazione) della Società filosofica
romana, diresse il "Centro di Ricerca per le Scienze Morali e
Sociali" presso l'Istituto di filosofia della Roma. Direttore della
rivista De Homine cui si è affiancato il Bollettino Bibliografico per le
Scienze morali e sociali. Membro dell’Accademia nazionale dei Lincei. Gli fu
conferito il premio nazionale "Benedetto Croce" per la filosofia. Saggi: “L'esperienza e l'uomo.”“Fondamenti di
una filosofia umanistica” (Firenze: Sansoni); “Il mondo morale;”“Feuerbach” (Firenze:
Nuova Italia); “Feuerbach e Marx: “Kierkegaard” (Firenze: La Nuova Italia); “La
libertà del volere” (Milano: Bocca); La filosofia critica, Roma: Tumminelli;
“Il problema kantiano, “Commento alla Critica della ragion pura” Kant vivo (Firenze:
Sansoni); Nascita del mondo modern (Firenze: Sansoni); Concetto e problemi di
Storia della filosofia” (Asti: Arethusa); “Le origini della filosofia” (Asti:
Arethusa); “Libertà” (Asti, Arethusa); “Dopo lo Storicismo” (Firenze: Sansoni);
“Ricostruzione filosofica” (Asti: Arethusa); “La filosofia italiana” Asti:
Arethusa, Il piano del nostro sapere, Asti: Arethusa); “La posizione dell'uomo
nell'universo, Firenze: Sansoni); “Problemi della libertà, Firenze: Sansoni, Filosofia e civiltà” (Firenze: Sansoni, Saggi
Manoscritti inediti Scritti vari di filosofia, Scritti politici Filosofia e
Società, Firenze: Sansoni, Filosofia e Società Firenze: Sansoni, Il senso della
storia” (Firenze: Sansoni); Aforismi inattuali sull'arte” (Firenze: Sansoni); Galileo:
un ante-signano”(Firenze: Sansoni, scritti per l'università, Firenze: Sansoni,
“Continuità e Rottura, Firenze: Sansoni, Una svolta di civiltà, n.d.: ERI, Gaetano
Calabrò, Torino: Filosofia, Atti del Congresso internazionale di Filosofia,
Milano: Castellani & C Editori, Il materialismo storico Atti del Congresso
internazionale di Filosofia; Roma: Fratelli Bocca, Il problema della filosofia
oggi Varie Taccuini di viaggio Dodici canzoni napoletane, su versi di Salvatore
Di Giacomo, Firenze: Forlivesi, Torino: Edizioni di Filosofia, Treccani
L'Enciclopedia italiana. Un contributo significativo per la costruzione della
filosofia italiana contemporanea, Lincei, in Biblioteca di Filosofi, Sapienza Roma.
Franco Lombardi. Lombardi. Keywords: la filosofia italiana, Galilei. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lombardi” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753642979/in/dateposted-public/
Grice e
Longano – dell’uomo naturale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ripalimosani).
Filosofo. Grice: “Longano took ‘naturalness’ so seriously that he would apply
it to anything: ‘man’ (‘uomo naturale’) and morals (‘morale naturale’).” “I
like Longano; he is a systematic logician, as I’m not – therefore he thinks
that to study semantics, which logic is, starts with studying signs – as I did
in my seminars on Peirce – so Longano is the one I was referring when I
mentioned what ‘people were at when they display an interest in natural versus
conventional signs; he also has interesting things to say about my favourite
parts of speech, syncategoremata!”” Figlio di Vito Longano e Dorotea Gentile,
fu allievo di Zurlo, si trasferì a
Campobasso e quindi a Napoli dove divenne allievo di Genovesi. Fece parte della
massoneria ed è considerato un importante esponente dell'illuminismo, fu
sostenitore dello stretto rapporto tra anima e corpo e di una visione dell'uomo
nella sua interezza. Propugnò la rinascita dell'Italia, proponendo un piano di
riforme e il superamento del feudalesimo.
Opere: “Piano di un corpo di filosofia morale; ossia, Estratto d'un
corso di Etica, di economia e di politica” (Napoli,“Dell'Uomo Natural Napoli,
“Saggio sul commercio” (Napoli, presso Vincenzo Flauto, Raccolta di Saggi
economici per gli abitanti delle due Sicilie, Napoli, I, presso Domenico Sangiacomo, II, presso Giuseppe Campo, “Dell'uomo e della
sua morale natural -- Esame fisico, e morale dell'uomo, Napoli, Michele
Morelli, Dell'uomo, e sua morale natural, Della morale naturale, Napoli, M. Morelli,
Dell'uomo Religioso e cristiano, Dell'uomo
religioso, Napoli, M. Morelli, “Logica” Viaggio per lo contado di Molise ovvero
descrizione fisica, economica e politica del medesimo, Napoli, Viaggio per la
Capitanata, Napoli, Domenico Sangiacomo, Il Purgatorio ragionato, F. Lepore,
postfazione di S. Martelli, Campobasso, Palladino, “Philosophiae rationalis
elementa” “De arte logica” (Napoli, “De metaphysica” (Napoli, Orsino); De Jure
humanae, Napoli, Biblioteca provinciale di Foggia; L'anno di Genovesi, su
biblioteca provincial foggia. Gaetano, su webcache .googleusercontent.com A. Rao,
L'amaro della feudalità: la devoluzione di Arnone e la questione feudale a
Napoli” (Guida), F. Rizzo, La civiltà
del Purgatorio: riformismo e anti-clericalismo nella provincia molisana del
XVIII secolo, S. Borgna, su delpt.unina, Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Longano. Longano.
Keywords: dell’uomo naturale, metafisica, logica. Luigi Speranza, “Grice e
Longano: esame fisico dell’uomo” “Grice e Longano: la semiotica” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690378392/in/photolist-2mQHwBB-2mKGGCy/
Grice e
Losano – filosofia del diritto romano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Casale
Monferrato). Filosofo. Grice: “I like Lossano;
his research overlap with that of H. L. A. Hart, but Losano is more interested
in the philosophy and he is obviously more continental, as he should, given the
prominence of Kelsen in the field!” Si occupa di filosofia del diritto e
informatica giuridica. Si laurea a Torino. Insegna a Milano e Alessandria, e
Torino. Si occupa di storia della filosofia del diritto; teoria generale del
diritto; circolazione mondiale delle idee giuridiche e sociali; filosofia
politica; diritti umani; geopolitica; informatica giuridica; privacy;
e-publishing; edizioni di archivi storici. Pubblica un completo panorama
sull'evoluzione della nozione di sistema nel diritto dalla Roma antica ad oggi.
Cura carteggi di Jhering ed opere di Jhering e di Kelsen. Curato l'edizione critica
delle corrispondenza di Roesler. Come informatico giuridico, ha pubblicato un
manualedi informatica giuridica e diritto informatico e un progetto di legge
sulla tutela della privacy; Presidente del "Centro di calcolo automatico”
a Milano. Saggi: “La dottrina pura del diritto” (Einaudi, Torino); La teoria di
Marx ed Engels sul diritto e sullo stato. Materiali per il seminario di
filosofia del diritto” (Milano. Anno Accademicom Cooperativa Libraria Università
Torinese, Torino); “Gius-cibernetica” Macchine e modelli cibernetici nel diritto,
Einaudi, Torino); Libia Materiali sui rapporti fra ideologia ed economia” (Milano.
Anno Accademico Cooperativa Libraria Università Torinese, Torino); “Lo scopo
nel diritto. Einaudi, Torino, Jhering, Lo scopo nel diritto” (Aragno, Torino, Corso
di informatica giuridica, Cooperativa Milano), Corso di informatica giuridica; L'elaborazione
dei dati non numerici, Unicopli, Milano; Il diritto dell'informatica, Unicopli,
Milano Corso di informatica giuridica; Stato
e automazione. Etas Kompass, Babbage: la macchina analitica. Un secolo di
calcolo automatico, Etas Kompass, Milano Scheutz: La macchina alle differenze.
Un secolo di calcolo automatico, Etas Libri, Milano); Invenzioni francesi del
Settecento. Testi originali con 15 tavole dell'epoca, Bottega d'Erasmo, Torino);
I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai diritti europei ed extra-europei,
Einaudi, Torino, I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai diritti europei ed
extraeuropei, Einaudi, Torino, I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai
diritti europei ed extraeuropei, Laterza, Roma Bari, L'informatica legislativa
regionale. L'esperimento del Consiglio Regionale della Lombardia, Rosenberg
& Sellier, Torino Forma e realtà in Kelsen, Comunità, Milano, Automi arabi
del XIII secolo. Dal "Libro sulla conoscenza degli ingegnosi
meccanismi" (Maestri, Milano); Automi d'Oriente. "Ingegnosi
meccanismi" arabi del XIII secolo, Milano Il diritto economico, Unicopli,
Milano); L'ammodernamento giuridico, Unicopli, Milano); Corso di informatica
giuridica: Informatica per le scienze sociali, Einaudi, Torino Il diritto
privato dell'informatica, Einaudi, Torino, Scritto con la luce. Il disco
compatto e la nuova editoria elettronica, Unicopli, Milano, L'informatica e
l'analisi delle procedure giuridiche, Unicopli, Milano, Diritto e CD-ROM.
Esperienze italiane, Giuffrè, Milano, Storie di automi. Dalla Grecia classica alla
Belle Époque, Einaudi, Torino Saggio sui fondamenti tecnologici della
democrazia, Quaderni della Fondazione Adriano Olivetti, Istituto per la
Documentazione Giuridica, Firenze, Kelsen Umberto Campagnolo, Diritto
internazionale e Stato sovrano. Mario G. Losano. Con un inedito di Hans Kelsen
e un saggio di Norberto Bobbio, Giuffrè, Milano, Un giurista tropicale. Tobias
Barreto fra Brasile reale e Germania ideale, Laterza, Roma); “Sistema e
struttura nel diritto: Dalle origini alla scuola storica” (Giuffrè, Milano, Il
Novecento” (Giuffrè, Milano); Dal Novecento alla postmodernità, Giuffrè, Milano
U. Campagnolo, Verso una costituzione federale per l'Europa. Una proposta
inedita. Giuffrè, Milano, "Cedant arma Un giudice e due leggi. Pluralismo
normative, Giuffrè, Milano, Funzione sociale della proprietà e latifondi
occupati, Diabasis, Reggio Emilia, Kelsen, Scritti autobiografici. Traduzione e
cura di Mario G. Losano, Diabasis, Reggio Emilia Peronismo e giustizialismo:
dal Sudamerica all'Italia, e ritorno. M. Rosti, Diabasis, Reggio Emilia, Memoria
dell'Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche,
Accademia delle Scienze, Torino Academia delle scienze editorial memorie morali
Campagnolo, Conversazioni con Kelsen. Documenti dell'esilio ginevrino Giuffrè,
Milano La geopolitica del Novecento. Dai Grandi Spazi delle dittature alla de-colonizzazione”
(Mondadori, Milano); Kelsen Arnaldo Volpicelli, Parlamentarismo, democrazia e
corporativismo” (Aragno, Torino); Alle origini della filosofia del diritto a
Torino: Albini. Con due documenti sulla collaborazione di Albini con
Mittermaier, Memorie della Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze
Morali, Storiche e Filologiche, Accademia delle Scienze, Torino accademia delle
scienze/attivita editorial periodici-e-collane/ memorie/morali I carteggi
di Albini con Sclopis e Mittermaier. Alle
origini della filosofia del diritto a Torino, Memoria dell'Accademia delle
Scienze di Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Accademia
delle Scienze, Torino accademia delle Scienze attivita editorial, periodici-e-collane/memorie
morali Alle origini della filosofia del diritto, Il corso di Alessandro
Paternostro a Tokyo. In appendice: A. Paternostro, Lexis, Torino I La Rete e lo
stato” (Mimesis, Milano); Norberto Bobbio. Una biografia culturale, Carocci,
Roma, Kelsen, Due saggi sulla democrazia
in difficoltà” (Aragno, Torino); “La libertà d’insegnamento in Brasile e
l’elezione del Presidente Bolsonaro” (Mimesis, Milano). Mario Giuseppe Losano. Losano.
Keywords: filosofia del diritto romano -- Luigi Speranza, “Grice e Losano:
storia del diritto romano – what Kelsen never had!” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753178578/in/dateposted-public/
Grice e Losurdo – il ribelle
aristocratico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sannicandro di Bari). Filosofo. Grice:
“Losurdo has contributed to a collection on ‘fatti normativi’ which is
fascinating!” -- Grice: “I like Losurdo:
describing Nietzsche as the aristocratic rebel is genial; he also engages in
some linguistic botanising with his ‘linguaggio dell’impero’: something Romans
and Brits know well – cf. ‘Great Britaiin’ and my little England!” -- losurdo, Italian philosopher, expert not on Grice,
but Nietzsche, “Nietzsche, ribelle aristocratico” -- essential Italian philosopher. Si laurea a Urbino sotto la guida
di Salvucci con la tesi, “La semantica di Rodbertus”. Direttore dell'Istituto
di Scienze filosofiche e pedagogiche "Pasquale Salvucci" all'Urbino,
insegnò storia della filosofia nella stessa università presso la facoltà di
Scienze della Formazione. Inoltre fu presidente dell'hegeliana Società
internazionale Hegel-Marx per il pensiero dialettico, membro della Società di
scienze di Leibniz a Berlino (un'associazione di scienziati che si rifà alla
settecentesca Accademia Reale Prussiana delle Scienze nella tradizione di GLeibniz)
e direttore dell'associazione politico-culturale Marx XXI. Dalla militanza
comunista alla condanna dell'imperialismo statunitense, fino allo studio della
questione afroamericana e di quella dei nativi, Losurdo fu studioso anche partecipe
della politica nazionale e internazionale. Di formazione marxista,
descritto sia come un «marxista controcorrente» sia come un «marxista
eterodosso» e un «comunista militante», la sua produzione spazia dai contributi
allo studio della filosofia kantiana (la cosiddetta autocensura di Immanuel
Kant e il suo nicodemismo politico), alla rivalutazione dell'idealismo classico
tedesco, specie di Hegel, nel tentativo di riproporne l'eredità (sulla scia di
György Lukács in particolare), alla riaffermazione dell'interpretazione del
marxismo tedesco e non (Antonio Gramsci e i fratelli Bertrando e Silvio
Spaventa), con incursioni nell'ambito del pensiero nietzscheano (la lettura di
un Friedrich Nietzsche radicale aristocratico) e di quello heideggeriano (in
particolare la questione dell'adesione al nazismo di Martin Heidegger).
La sua riflessione filosofico-politica, attenta alla contestualizzazione del
pensiero filosofico nel proprio tempo storico, muove in particolare dai temi
della critica radicale del liberalismo, del capitalismo, del colonialismo e
dell'imperialismo, nonché della concezione tradizionale del totalitarismo
(Hannah Arendt), nella prospettiva di una difesa della dialettica marxista e
del materialismo storico, dedicandosi anche allo studio dell'antirevisionismo
in ambito marxista-leninista. Losurdo ha una visione molto critica della
tradizione intellettuale europea del liberalismo, in particolare della
tradizione classica e delle sue origini, sostenendo che pur pretendendo di
enfatizzare l'importanza della libertà individuale in pratica il liberalismo
reale è a lungo contrassegnato dalla sua esclusione di persone da questi
diritti, con conseguente sfruttamento come razzismo, schiavitù e genocidio. Afferma
che le origini del nazismo si trovano in quelle che considera politiche
colonialiste e imperialiste del mondo occidentale. Esaminando le posizioni
intellettuali e politiche degli intellettuali sulla modernità, Kant e Hegel
furono i più grandi pensatori della modernità mentre Nietzsche fu il suo più grande
critico. I suoi lavori, che lui stesso fa rientrare nell'ambito della
storia delle idee, riguardano inoltre l'indagine delle questioni di storia e
politica contemporanee, con una attenzione critica costante al revisionismo
storico e la polemica contro le interpretazioni di François Furet e Ernst
Nolte. In particolare critica una tendenza reazionaria tra gli storici
contemporanei revisionisti riconoscibile nel lavoro di autori come Nolte, che
traccia l'impeto dietro l'Olocausto agli eccessi della rivoluzione russa; o
Furet, che collega le purghe staliniane a una «malattia» originata dalla
rivoluzione francese. Secondo Losurdo l'intenzione di questi revisionisti è di
sradicare la tradizione rivoluzionaria in quanto le loro vere motivazioni hanno
poco a che fare con la ricerca di una maggiore comprensione del passato, ma si
trovano nel clima e nei bisogni ideologici delle classi politiche, come è più
evidente nel lavoro dei revivalisti imperiali Johnson e Ferguson. Fornisce
inoltre una nuova prospettiva su rivoluzioni come quella inglese, americana,
francese, russa e quelle contro il colonialismo e l'imperialismo. Si discosta
anche dalle posizioni elogiative che la maggior parte delle biografie prende
nell'analisi di Gandhi e la nonviolenza. Losurdo volge la sua attenzione
alla storia politica della filosofia moderna tedesca da Kant a Marx e del
dibattito che su di essa si sviluppa in Germania nella seconda metà
dell'Ottocento e nel Novecento, per poi procedere a una rilettura della
tradizione del liberalismo, in particolare partendo dalla critica e dalle accuse
di ipocrisia rivolte a Locke per la sua partecipazione finanziaria alla tratta
degli schiavi. Riprendendo ciò che afferma Arendt in Le origini del
totalitarismo, per Losurdo il vero peccato originale del Novecento è
nell'impero coloniale di fine Ottocento, dove per la prima volta si manifesta
il totalitarismo e l'universo concentrazionario. Controversia degli
storici Losurdo critica il concetto di totalitarismo, sostenendo che fosse un concetto
polisemico con origini nella teologia cristiana e che applicarlo alla sfera
politica richiedeva un'operazione di schematismo astratto che
utilizza elementi isolati della realtà storica per collocare la Germania
nazista e altri regimi fascisti e l'Unione Sovietica e l'esperienza del
socialismo reale e di altri Stati socialisti nello stesso insieme, servendo
così l'anticomunismo degli intellettuali della guerra fredda piuttosto che
riflettere la ricerca intellettuale. Forte critico dell'equiparazione tra
nazismo e comunismo (in particolare quello sovietico) fatta da studiosi come Furet
e Nolte, ma anche da Arendt ePopper, nonché del concetto di «olocausto rosso»,
il suo Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, sollevò un dibattito
sulla figura di Iosif Stalin, sul quale a suo avviso peserebbe una sorta di
leggenda nera costruita per screditare tutto il comunismo. Porta l'esempio che
nel lager vi era volontà omicida esplicita in quanto l'ebreo che vi entrava era
destinato a non uscire più (vi è una despecificazione naturalistica) mentre nel
gulag no (si tratta di despecificazione politico-morale) e nel primo venivano
rinchiusi quelli che il nazismo chiamava Untermensch («sottouomini») mentre nel
secondo (in cui afferma finissero solo una parte dei dissidenti), pur essendo
una pratica da condannare, erano rinchiusi dissidenti da rieducare e non da
eliminare. Losurdo afferma che «il detenuto nel Gulag è un potenziale compagno
[la guardia stessa era tenuta a chiamarlo in questo modo] e dopo l'inizio del
biennio delle grandi purghe che seguono l'assassinio di Kirov] è comunque un
cittadino». Riprendendo anche l'opinione di Levi (internato ad Auschwitz,
secondo cui il lager era moralmente più grave del gulag) e contro Solženicyn
(internato in Siberia e che affermava l'equiparazione della volontà
sterminazionistica),sostiene che pur essendo grave che un Paese socialista nato
per abolire lo sfruttamento usi sistemi imperialisti e capitalisti, il gulag
sia analogo a molti campi di concentramento occidentali (i cui governi hanno
sostenuto e sostengono di essere paladini della libertà), che per certi versi
furono anche più affini al lager in quanto campo di sterminio e non di
rieducazione, riprendendo la storia del genocidio indiano. Egli sostiene anche
che i campi di concentramento e le colonie penali britanniche erano peggio di
qualsiasi gulag, accusando anche politici come Winston Churchill e Harry Truman
di essere autori di crimini di guerra e contro l'umanità pari (se non
peggiori) di quelli che sono stati poi attribuiti a Stalin. Losurdo ritiene
inoltre che i comunisti soffrano di autofobia, cioè paura di se stessi e della
propria storia, problema patologico che va affrontato, a differenza
dell'autocritica sana. Despecificazione politico-morale e despecificazione
naturalistica La despecificazione è l'esclusione di un individuo o di un gruppo
dalla comunità dei civili. Esistono due tipi di despecificazione: La
despecificazione politico-morale (in questo caso l'esclusione è dovuta a
fattori politici o morali). La despecificazione naturalistica (in questo caso
l'esclusione è dovuta a fattori biologici). Per Losurdo la despecificazione
naturalistica è qualitativamente peggiore rispetto a quella politico-morale.
Infatti mentre quest'ultima offre almeno una via di scampo mediante il cambio
di ideologia, questo non è possibile nel caso in cui sia in atto una
despecificazione naturalistica, che è irreversibile in quanto rimanda a fattori
biologici che sono di per sé immodificabili. A differenza di altri pensatori
ritiene quindi che l'olocausto degli ebrei non è incomparabile ed è quindi
disposto ad ammettere in questo caso una tragica peculiarità. La comparatistica
che Losurdo offre a proposito non vuole essere una relativizzazione o uno
sminuire, ma semplicemente considerare l'olocausto degli ebrei come
incomparabile significa perdere la prospettiva storica e dimenticarsi
dell'olocausto nero (l'olocausto dei neri) o dell'olocausto americano
(l'olocausto dei nativi indiani d'America ottenuto negli Stati Uniti mediante la
continua deportazione sempre più a ovest e la diffusione ad arte del vaiolo),
oltre ad altri stermini di massa come il genocidio armeno. Polemiche
riguardanti Stalin Una recensione effettuata nell'aprile del 2009 da Guido
Liguori su Liberazione (organo ufficiale del Partito della Rifondazione
Comunista) di Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, libro in cui
Losurdo critica la demonizzazione di Stalin effettuata dalla storiografia
maggioritaria e cerca di sottrarlo a quella che definisce «la leggenda nera su
di lui», è al centro di una polemica all'interno della redazione del suddetto
quotidiano. Venti redattori inviano una lettera di protesta al direttore del
giornale in cui si critica sia il tentativo di riabilitazione di Stalin
presente nel libro di Losurdo sia la recensione di Liguori (giudicata troppo
positiva nei confronti del libro), oltre che la scelta del direttore del
giornale di pubblicare tale recensione. Il libro riceve delle recensioni
critiche per le sue affermazioni e per la metodologia di lavoro utilizzata.I
critici di Losurdo lo accusano di essere un «neostalinista». Grover Furr,
autore di Krusciov mentì e descritto come un «revisionista storico», un
«revisionista in una ricerca lunga una carriera per scagionare Stalin» e un
«prezioso contributo alla scuola revisionista storica degli studi sovietici e
comunisti», elogia il lavoro di Losurdo, in particolare quello su Stalin, iniziando
un'amicizia reciproca. Nel introduce
Furr a un editore italiano che pubblica la traduzione italiana di Khruschev
mentì, per cui scrive l'introduzione. Aveva già scritto l'introduzione e il
retrocopertina del libro di Furr sull'assassinio di Sergej Mironovič Kirov che
rimane inedito. Negli estratti di un convegno organizzato per rivalutare la
figura di Stalin a cinquant'anni dalla morte critica le rivelazioni
contenute nel rapporto segreto di Nikita Sergeevič Chruščёv, l'allora
segretario generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica. Secondo
Losurdo la cattiva fama di Stalin deriverebbe non dai crimini commessi da
quest'ultimo (paragod altri del suo tempo), ma dalle falsità presenti in quel
rapporto che Chruščёv lesse nel corso del XX Congresso del febbraio 1956. Nella
relazione al convegno dà credito a una delle accuse principali che stavano alla
base della sanguinosa repressione staliniana contro gli oppositori, ovvero
l'esistenza nell'Unione Sovietica della «realtà corposa della quinta colonna»
pronta ad allearsi col nemico. Losurdo ribadisce di non voler riabilitare
Stalin, seppur calato nella sua epoca, volendo presentare solo un'analisi dei
fatti più neutrale e attuare un revisionismo sull'esperienza generale del
socialismo reale ritenuta passata, ma utile da studiare per capire le dinamiche
future del socialismo. Losurdo apparteneva alla corrente del
marxismo-leninismo, ma ammirava anche l'interpretazione che Mao Zedong diede
della pluralità della lotta di classe, da collocare nel contesto
dell'attenzione che rivolge al processo di emancipazione femminile e dei popoli
colonizzati. Vicino prima al Partito Comunista Italiano, poi al Partito della
Rifondazione Comunista e infine al Partito dei Comunisti Italiani, confluito
nel Partito Comunista d'Italia e nel Partito Comunista Italiano (), di cui è
stato membro, fu anche direttore dell'associazione politico-culturale Marx XXI.
Critico del liberalismo, della NATO e dell'imperialismo, in particolare quello
statunitense, Losurdo contestò l'assegnazione del Premio Nobel per la pace a Xiaobo,
considerato un sostenitore aperto del colonialismo occidentale, in particolare
per la sua idealizzazione del mondo occidentale e per aver affermato che ci
sarebbe bisogno di «300 anni di colonialismo. In 100 anni di colonialismo Hong
Kong è cambiata fino a diventare ciò che è oggi. Data la grandezza della Cina,
ovviamente ci vorrebbero 300 anni per trasformarla in quello che Hong Kong è
oggi. E ho dei dubbi che 300 anni siano abbastanza». Saggi: “Auto-censura e
compromesso” (Napoli, Bibliopolis); “La questione nazionale, restaurazione.
Presupposti e sviluppi di una battaglia politica” (Urbino, Università degli
Studi);“La rivoluzione e la crisi della cultura” (Roma, Riuniti); “Lukacs” Urbino,
Quattro venti, Il comunismo e sui critici (Urbino, Quattro venti, La catastrofe
e l'immagine” (Milano, Guerini, Metamorfosi del moderno.Urbino, Quattro venti);
“La tradizione liberale. Libertà, uguaglianza, Stato, Roma, Riuniti); “Tramonto
dell'Occidente? Atti del Convegno organizzato dall'Istituto italiano per gli
studi filosofici e dalla Biblioteca comunale di Cattolica. Cattolica, Urbino,
Quattro venti, Antropologia, prassi, emancipazione. Problemi del comunismo, e Urbino,
Quattro venti, Égalité-inégalité. Atti del Convegno organizzato dall'Istituto
italiano per gli studi filosofici e dalla Biblioteca comunale di Cattolica. Cattolica,
Urbino, Quattro venti, Prassi. Come orientarsi nel mondo. Atti del convegno
organizzato dall'Istituto Italiano per gli Studi filosofici e dalla Biblioteca
Comunale di Cattolica (Urbino, Quattro venti); La comunità, la morte,
l'Occidente. L’ideologia della guerra, Torino, Boringhieri, Massa folla
individuo. Atti del Convegno organizzato dall'Istituto italiano per gli studi
filosofici e dalla Biblioteca comunale di Cattolica. Cattolica, Urbino, Quattro
venti, La libertà dei moderni, Roma, Riuniti, Napoli, La scuola di Pitagora,.
Rivoluzione francese e filosofia, Urbino, Quattro venti); “Democrazia o
bonapartismo. Trionfo e decadenza del suffragio universale” (Torino, Bollati
Boringhieri, Il comunismo e il bilancio storico del Novecento, Gaeta,
Bibliotheca, Napoli, La scuola di Pitagora, Gramsci e l'Italia. Atti del
Convegno internazionale di Urbino, Napoli, La città del sole, La seconda
Repubblica. Liberismo, federalismo, post-fascismo, Torino, Boringhieri); “Autore,
attore, autorità” (Urbino, Quattro venti); Il revisionismo storico. Problemi e
miti, Roma, Laterza, Utopia e stato d'eccezione. Sull'esperienza storica del
socialismo reale, Napoli, Laboratorio politico, Ascesa e declino delle
repubbliche, Urbino, Quattro venti, Lenin, Atti del Convegno internazionale di
Urbino, Napoli, La città del sole, Metafisica. Il mondo Nascosto, Roma, Laterza,
Gramsci dal liberalismo al comunismo critic, Roma, Gamberetti, Dai fratelli
Spaventa a Gramsci. Per una storia politico-sociale della fortuna di Hegel in
Italia” (Napoli, La città del sole); “Hegel e la Germania. Filosofia e
questione nazionale tra rivoluzione e reazione, Milano, Guerini, Nietzsche. Per
una biografia politica, Roma, Manifesto); “Il peccato originale del Novecento,
Roma, Laterza, Dal Medio Oriente ai Balcani. L'alba di sangue del secolo
americano, Napoli, La città del sole, Fondamentalismi. Atti del Convegno
organizzato dall'Istituto italiano per gli studi filosofici e dalla Biblioteca
comunale di Cattolica. Cattolica Urbino, Quattro venti, URSS: bilancio di
un'esperienza. Atti del Convegno italo-russo. Urbino, Urbino, Quattro venti, L'ebreo,
il nero e l'indio nella storia dell'Occidente, Urbino, Quattro venti, Fuga
dalla storia? Il movimento comunista tra autocritica e auto-fobia, Napoli, La
città del sole, poi Fuga dalla storia? La rivoluzione russa e la rivoluzione
cinese oggi, La sinistra, la Cina e l'imperialismo, Napoli, La città del sole, Universalismo
e etno-centrismo nella storia dell'Occidente, Urbino, Quattro venti, La
comunità, la morte, l'Occidente. Heidegger e l'ideologia della guerra (Torino,
Boringhieri); “Nietzsche, il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e
bilancio critico, Torino, Boringhieri, Cinquant'anni
di storia della repubblica popolare cinese. Un incontro di culture tra Oriente
e Occidente. Atti del Convegno di Urbino, Napoli, La città del sole, Dalla
teoria della dittatura del proletariato al gulag?, Marx e Engels, Manifesto del
partito comunista, Laterza, Bari, Contro-storia del liberalismo, Roma, Laterza,
La tradizione filosofica napoletana e l'Istituto italiano per gli studi
filosofici, Napoli, nella sede dell'Istituto, Auto-censura e compromesso nel
pensiero politico di Kant, Napoli, Bibliopolis, Legittimità e critica del
moderno. Sul marxismo di Gramsci” (Napoli, La città del sole); “Il linguaggio
dell'Impero. Lessico dell'ideologia americana” (Roma-Bari, Laterza); “Stalin.
Storia e critica di una leggenda nera, Roma, Carocci); “Paradigmi e fatti
normativi. Tra etica, diritto e politica, Perugia, Morlacchi, La non-violenza.
Una storia fuori dal mito, Roma, Laterza, La lotta di classe. Una storia
politica e filosofica, Roma, Laterza, La sinistra assente. Crisi, società dello
spettacolo, guerra, Carocci,. Un mondo senza guerre. L'idea di pace dalle
promesse del passato alle tragedie del presente, Carocci. Il comunismo occidentale.
Come nacque, come morì, come può rinascere, Laterza. PCI Ancona: cordoglio per la scomparsa, su il
partito comuista italiano, A. Orsi, Scienza e militanza. Un ricordo, MicroMega,
Cordoglio, Il Metauro, Verso, Il linguaggio dell'Impero. Lessico dell'ideologia
americana, Roma, Laterza. Il comunista contro-corrente. Un comunista eterodosso.
Auto-censura e compromesso in Kant, Napoli, Bibliopolis, Hegel e la libertà dei
moderni, Roma, Riuniti, Napoli, La scuola di Pitagora, Lukacs, Urbino, Quattro
venti, Dai fratelli Spaventa a Gramsci. Per una
storia politico-sociale della fortuna di Hegel in Italia, Napoli, La città del
sole, Nietzsche. Il ribelle aristocratico. La comunità, la morte, l'Occidente.
Heidegger e l'deologia della guerra; Controstoria del liberalismo, Laterza, Revisionismo
storico. Peccato originale del
Novecento. La non-violenza. Una storia
fuori dal mito. La non-violenza. Una
storia fuori dal mito, su L'Ernesto, Associazione Marx, Dalla teoria della
dittatura del proletariato al gulag?, in
Marx, Engels, Manifesto del partito comunista, Editori Laterza, Bari David
Broder. Jacobin. Stalin. Storia e critica di una leggenda nera. URSS: bilancio
di un'esperienza. Atti del Convegno italo-russo. Urbino, Urbino, Quattro venti,
Popper falso profeta, Contro Popper, Armando Editore, B. Lai e L.
Albanese. Fuga dalla storia? Il movimento
comunista tra auto-critica e auto-fobia. Il linguaggio dell'impero. Lessico
dell'ideologia, Lettere su Stalin; Stalin. Storia e critica di una leggenda
nera, su sissco. Stalin. Storia e
critica di una leggenda nera. A.
Romano, Canfora e lo stalinismo che non
fa male, ilcannocchiale. In Memoriam, La Città del Sole, Stalin nella storia
del Novecento, R. Giacomini, Teti, Una teoria generale del conflitto
sociale", Intervento al Congresso Nazionale del PdCI. Il Consiglio Direttivo
dell'associazione Marx Il Nobel per la
pace» a un campione del colonialismo e della guerra, il cavallo oscuro della
letteratura, Open Magazine, Open Magazine, H. Arendt Controstoria del
liberalismo A. Gramsci Genocidio indiano Grandi purgh, Heidegger, Marx, Nietzsche
Olocausto, Stalin Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo" - blogspot.com.
Intervista RAI Filosofia, su filosofia.rai. Intervist RTV Svizzera, su you tube.com.
Domenico Losurdo. Losurdo. Keywords: il ribelle aristocratico. Refs.: Luigi Speranza, "Grice, Losurdo, e
Nietzsche, ribelle aristocratico," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51686031459/in/photolist-2mQtVUe-2mKbok1-2mKkkDV-2mKkwnU-2mKbFF3-2mKjqrr-2mKjfuc-2mKfHUx-2mKh7Nd-2mKjW3b/
Grice e Lottieri – bene commune – diritto individuale
– l’eta degl’eroi – la ragione del stato -- filosofia italiana – Luigi Speranza
(Brescia). Filosofo. Grice: “I like Lottieri; he has quoted Hobbes and Hume and
Gauthier from a game-theoretical approach to co-operation, conversational and
other – all very Griceian, if I may mayself so say it!” Allievo di Caracciolo,
studia a Genova, Ginevra e Parigi, su la filosofia di Mosca. Insegna a Siena e
Verona. Da vita all'Istituto Bruno Leoni, un istituto che si ispira alla tradizione
intellettuale di Einaudi e Ricossa, e di cui egli è direttore del dipartimento
Teoria Politica. Cura Leoni. La filosofia di Lottieri si sviluppa all'interno
del liberalismo classico e, grazie allo studio degli autori elitisti, si
delinea quale critica del sistema di dominio iscritto nei regimi democratici
rappresentativi. Mostra l'adesione a tale prospettiva, che rapidamente evolve
grazie al contatto con il libertarianismo. Il suo libertarianismo ottieri metta
in discussione "la psicologia regolamentativa e anti-innovativa del
burocrate", avverso a ogni forma di rischio e cambiamento. Il saggio
sul libertarismo evidenzia l'adesione ai temi classici del pensiero liberale
lockiano e giusnaturalista (difesa della proprietà, del mercato, dell'auto-nomia
negoziale), ma anche il maturare di questioni che sono invece tutte interne al
realismo politico: specie nel confronto con Schmitt, Brunner e Miglio.
Mentre il testo sul rapporto tra economia di mercato e ordine sociale/comunitario
(Denaro e comunità) è una critica della sociologia, a cui è rimproverato di
avere frainteso la natura inter-personale della moneta e delle relazioni di
mercato, il saggio su Leone muove dal pensatore torinese per delineare una
filosofia libertaria anche oltre la lettera stessa dell'autore di Freedom and
the Law. In particolare, in questa fase della riflessione Leoni viene
individuato come uno studioso in grado di dare una maggiore consapevolezza
filosofico-giuridica alla teoria libertaria, fino ad ora elaborata per lo più
da economisti e teorici politici. “Denaro e comunità: relazioni di mercato
e ordinamenti giuridici nella società liberale” (Napoli, Guida) “Il pensiero
libertario contemporaneo. Tesi e controversie sulla filosofia, sul diritto e
sul mercato, Macerata, Liberi “Le ragioni del diritto: libertà individuale e
ordine giuridico” (Treviglio Soveria Mannelli, Facco Rubbettino); “Come il
federalismo fiscale può salvare il Mezzogiorno” (Soveria Mannelli, Rubbettino);
“Credere nello Stato? Teologia politica e dissimulazione da Filippo il Bello a
WikiLeaks” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Liberali e non: (cf. Griceiani e
non.) percorsi di storia del pensiero politico” (Brescia, La Scuola); Guglielmo
Ferrero in Svizzera. Legittimità, libertà e potere, Roma, Studium, Un'idea elvetica di libertà. Nella crisi
della modernità europea” (Brescia, Scuola); ““Beni comuni, diritti individuali
e ordine evolutivo,”Torino, IBL. Nella sua filosofia sull'unificazione europea,
in particolare, è cruciale l'opposizione tra l'armonizzazione spontanea
emergente dal basso e l'unificazione coercitiva. Lottieri identifica quattro
superstizioni o quattro credenze erronee che sotto alla base dei tentativi di
creare un nuovo stato chiamato ‘Europa'. Primo, l'idea che la libertà
individuale e il poli-centrismo giuridico causino tensioni e, in definitiva,
conflitti; Secondo, che il mercato derivi dall'ordine giuridico creato dallo
Stato; Terzo, che l'esistenza di una distinta identità europea esiga la
costruzione di un singolo stato continentale; e quarto, che un'Europa unificata
e più armoniosa e meglio in grado di sostenere lo sviluppo delle sue componenti
più povere. Individuato come uno degl’esponenti di un liberalismo
particolarmente radicale e volto a proporre una sorta di fuga dallo stato:
Dario Fertlio, "Libertari 2001: la grande fuga dallo Stato, Corriere della
Sera. Una disamina molto critica al limite dell'insulto personale di tale
liberalismo libertarian si ha nella recensione che Vitale dedica al volume su
Rothbard scritto a quattro mani da lui assieme a Enrico Diciotti (basato su un
confronto assai franco tra prospettive molto diverse): una recensione che,
rivolgendosi al solo Diciotti, si chiudeva con l'invito per il futuro “ad
occuparsi di un autore più interessante con un autore più interessante” (E. Vitale,
“Rothbard, un Trasimaco piccolo piccolo. E una modestissima proposta”, Teoria politica).
P. Vernaglione, Il libertarismo. La teoria, gli autori, le politiche, Soveria
Mannelli, Rubbettino). Un riferimento garbatamente polemico alle sue posizioni
gius-naturaliste di si trova in D Antiseri (Laicità.. Le sue radici, le sue
ragioni, Rubbettino). La stessa contrapposizione è al fondo di una discussione
tra i due riguardante proprio i contenuti di quel
volume://blog.centrodietica/?p=2005. Questo
saggio e una presentazione completa e approfondita della filosofia libertaria
nelle sue diverse varianti, mentre si evidenzia anche un approccio libertario
ai problemi eco-logici. Ce sono riserve nei riguardi delle tesi libertarie e
dell'ispirazione anarchica della sua teoria del diritto. Nella sua monografia
su Leoni (L'ordine giuridico dei private” (Soveria Mannelli, Rubbettino) pure
Grondona sviluppa alcune critiche nei riguardi dell'interpretazione dello
studioso torinese offerta da lui mentre in maggiore sintonia con le sue posizioni
si trova A. Favaro (“ Dell'irrazionalità della legge per la spontaneità
dell'ordinamento” (Napoli, Scientifiche). Mostra che, contrariamente a
un'opinione diffusa, le distanze fra la concezione del diritto di Leoni e
quella di Hayek sono notevoli. In ogni caso non e Hayek a influenzare Leoni ma
il secondo a influenzare, almeno in parte, il primo. Per un'equilibrata analisi
del saggio si veda: M. Grondona, "Recensione Le ragioni del diritto", Nuova
Giurisprudenza Ligure. Carlo Lottieri. Lottieri. Keywords: bene commune,
diritto individuale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lottieri” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753125078/in/dateposted-public/
Grice e Luca – l’arte d’amare – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Marostica). Filosofo. Grice: “Luca expands on Alcibiades – I have
touched the topic of Alcibiade when discussing eudaemonia, as literally having
to do with the eudaemon – and the expression occurs in connection with
Socrate/Alcibiade -- Grice: “One good thing about Luca is that if my philosophy
revolves around ‘reason,’ his does it around ‘eros’!” -- Frequenta il Liceo
Ginnasio G.B. Brocchi di Bassano del Grappa. Si laurea a Firenze, con la tesi,
“Platone e il problema del linguaggio” con relatore Adorno. È stato incentrato inizialmente sulla
tematica dell’’amore’ nella tradizione greco-romana del Convitto e Fedro. Mmantenuto
però una costante apertura al ‘mythos’ di Omero, nella convinzione che per
quanto differenti possano essere i costumi o gli statuti sociali, rimane un
elemento per così dire “originario”, intrinsecamente umano, nell’approccio con
il desiderio, l’amore, l’amicizia, la sessualità. In Labirinti dell’Eros, pur
sviluppandosi la tematica all'interno di un arco di tempo definito, l’intento
non è quello di affrontare l’argomento nella sua unita longitudinale ma di
esprimere, senza costrizioni di un “per-corso pre-figurato” una distinzione
logico concettuale, attraverso la quale conseguire, almeno, un punto fermo
nell'amatoria. Riguarda anche lo sviluppo della tradizione
pitagorico-platonica, sia nelle sue caratteristiche peculiari ed in rapporto
alla metafisica, sia nell'accezione più ampia rispetto all'esigenza di dare
conto "dei fenomeni" o sensibilia. Si orientata alla tarda produzione
platonica e al pitagorismo di seconda generazione, che vengono analizzati anche
attraverso la cosmologia. Saggi: “Il Simposio, Nuova Italia, Firenze, Platone,
Fedro, Nuova Italia, Firenze, Eros e Epos: il lessico d'amore nei poemi
omerici, L’amatoria, L.S. Gruppo editoriale, Quarto Inferiore (BO); “Platone e
la sapienza antica. Matematica, filosofia e armonia, Marsilio, Venezia, Labirinti
dell’Eros. Da Omero a Platone, con un saggio, Marsilio Venezia. Roberto Luca. Luca.
Luca. Keywords: l’arte d’amare, Ovidio, il convito, I dialogui dell’amore: il
convito e Fedro, l’amore degl’eroi – achille e patroclo – niso ed eurialo – la
filosofia dell’amore nel convito, la morte di Patroclo, la morte di Niso, la
morte di Eurialo, l’eroe tragico, Achille eroe tragico, Eurialo e Niso, eroi tragici,
Enea, eroe tragico, Aiace, eroe tragico, Catone di Utica, eroe tragico, la
morte di Eurialo – la morte d’Eurialo – la pederastia – Eurialo piu giovane da
Niso. Luigi Speranza, “Grice e Luca: amatoria conversazionale: la massima o
principio dell’amore proprio conversazionale e la massima dell’amore all’altro.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Luca” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753506969/in/dateposted-public/
Grice e Lucrezio – alma figlia di
Giove – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pompei). Filosofo. Grice:
“By far the most important concept in Lucrezio’s philosoophy is that of
clinamen that Strawson translates as the ‘swerve.’ It was saved from extinction
by an Italian – as the novel tells you!” Grice: “While Strawson reads it in
Latin, I prefer the version in the vulgar!” – Grice: “And by the vulgar I mean
Marchetti!” Grice: “It’s amazing how well Marchetti interprets Lucezio – there
is a little treatise on Epicureanism in the Lucrezio by Marchetti which is
interesting. A real continuity in Italian philosophy!” -- possibly the most
important Italian philosopher. Seguace dell'epicureismo. Della sua vita ci
è ignoto quasi tutto: egli non compare mai sulla scena politica romana, né
sembra esistere negli scritti dei contemporanei, in cui non viene mai citato,
eccezion fatta per la lettera di Cicerone ad Quintum fratrem II 9, contenuta
nella sezione Ad familiares, in cui il celebre oratore accenna all'edizione,
forse postuma, del poema di Lucrezio, che egli starebbe curando. Ma in
scrittori romani successivi egli viene spesso citato: ne parlano Seneca,
Frontone, Marco Aurelio, Quintiliano, Ovidio, Vitruvio, Plinio il Vecchio,
senza tuttavia fornire nuove informazioni sulla vita. Questo però dimostra che
non si tratta di un personaggio inventato. Un'altra fonte che lo cita è
San Girolamo nel suo Chronicon o Temporum liber, di cinque secoli dopo, in cui,
ispirandosi ad alcuni dubbi passi di Svetonio, ci dice che sarebbe nato morto suicida. Tale dato non concorda
tuttavia con quanto affermato da Elio Donato, maestro di Girolamo stesso,
secondo il quale Lucrezio sarebbe morto quando indossò la toga virile,
nell'anno in cui erano consoli per la seconda volta Crasso e Pompeo. Questo
dato ha fatto propendere a credere che Lucrezio mori nel 55 a.C., all'età di quarantatré anni.
Queste vengono comunemente considerate le uniche notizie biografiche tramandate
direttamente dall'antichità. Ignoto risulta anche il luogo di nascita,
che tuttavia taluni hanno creduto essere Ercolano, per la presenza di un
Giardino Epicureo in quest'ultima città, in particolare, dall'analisi di
numerose epigrafi risalenti all'epoca dell'autore latino, risulta evidente
un'ingente presenza del cognome Carus nell'antico territorio campano, secondo
la critica recente la suddetta indagine prova fermamente (nei limiti del
probabile) le origini campane di Lucrezio. Neppure la sua militanza politica
sembra essere ricostruibile: il desiderio di pace accennato prima non sembra
affatto ricordare il drammatico rancore dell'aristocratico, per altro
solitamente stoico, che vede sgretolarsi la Repubblica e la libertà, ma il
desiderio dell'"amico" epicureo, che vede nella pace e nel benessere
di tutti la possibilità di fare accoliti e viver serenamente. È tuttavia rilevante
il fatto che la sua opera De rerum natura sia dedicata a Memmio, fine letterato
e appassionato di cultura greca, ma anche e soprattutto membro di spicco degli
optimates. Tale era, del resto, il suo desiderio di pace da auspicare
alla fine del proemio della sua opera una "placida pace" per i
Romani. Questo anelito così forte alla pace è peraltro riscontrabile non solo
in Lucrezio, ma anche in Catullo, Sallustio, Cicerone, Catone l'Uticense e
perfino in Cesare: esso rappresenta il desiderio di un'intera società dilaniata
da un secolo di guerre civili e lotte intestine. La scarsità delle fonti
sulla sua vita ha portato molti a interrogarsi persino sulla stessa esistenza
del filosofo, a volte considerato solo uno pseudonimo sotto il quale si celava
un anonimo filosofo per alcuni un amico epicureo di Cicerone, Tito Pomponio
Attico, che si suicidò, o persino lo stesso Cicerone. Secondo lo storico
Luciano Canfora, è possibile ricostruire una scarna biografia di Lucrezio:
nacque ad Ercolano, dove aveva una villa la famiglia nobiliare di un possibile
parente, Marco Lucrezio Frontone) appartenente quasi sicuramente all'antica
famiglia nobile dei Lucretii (qualcuno ne fa invece un liberto della stessa
famiglia). Studiò l'epicureismo proprio ad Ercolano, dove si trovava un centro
della "filosofia del giardino", diretta da Filodemo di Gadara, allora ospite nella villa
di Lucio Calpurnio Pisone, il ricco suocero di Cesare (la cosiddetta "villa
dei papiri"). Avrebbe sofferto di sbalzi d'umore, chiamati oggi
disturbo bipolare, ma non sarebbe stato pazzo, ma di questo umore alterno
risentì il suo lavoro. In disaccordo con le guerre civili, avrebbe lasciato
Roma e non sarebbe morto suicida ma avrebbe viaggiato ad Atene, nei luoghi del
maestro Epicuro, e oltre, essendo forse il suo nome conosciuto da Diogene di
Enoanda, quindi quasi in Asia minore, nelle cui famose incisioni sotto il
portico della sua casa si ricorda un certo "Caro" (nome poco
diffuso), romano, e sapiente epicureo. Non si sa se il poema fosse
diffuso nell'oriente, quindi è possibile che Lucrezio si fosse davvero recato
in Grecia. Lucrezio, spinto da una delusione d'amore, si sarebbe allontanato
lasciando incompiuto il suo poema, affidato forse a Cicerone stesso (che
difatti non parla effettivamente di suicidio ma afferma: «Lucretii poemata, ut
scribis, ita sunt: multis luminibus ingenii, multae tamen artis» ("le
poesie di Lucrezio, come tu mi scrivi, sono dotate di molti lumi di talento, e
tuttavia di molta arte"), ma, forse, senza impazzire e morire (che fosse
suicidandosi o perché assassinato), esagerazione della fonte di Girolamo o di
qualche altro avversario di Lucrezio, e sarebbe stato forse volutamente confuso
dallo stesso Girolamo con Lucullo, onde screditare l'epicureismo. Il
destinatario dell'opera, Gaio Memmio, caduto in disgrazia ed espulso dal Senato
per condotta immorale, andò ad Atene, causando una nuova delusione a Lucrezio,
che, tornato a Roma, sarebbe morto. La
notizia di un "filtro d'amore" velenoso somministratogli da una donna
di facili costumi, amante gelosa di Lucrezio, viene riportata anche da Svetonio
nei confronti di Caligola e della moglie Milonia Cesonia; in questo caso è
apparsa una semplice diceria, e, data l'ispirazione svetoniana (dal perduto De
poetis) del passo di Girolamo su Lucrezio, anche lì sembra essere una
spiegazione semplicistica, dovuta alla poca conoscenza dei disturbi psichici
che si aveva all'epoca (anche per Caligola si parlò, difatti, come per
Lucrezio, di epilessia e malattie fisiche misteriose che l'avrebbero fatto impazzire
improvvisamente, come, nel caso di studiosi moderni, l'avvelenamento da piombo,
oltre che dei detti "filtri"). Se Lucrezio soffrì di un disagio
psichico, che lo avrebbe spinto a cercare sollievo nella filosofia, non fu a
causa di un veleno, e se il suicidio ci fu (il che potrebbe spiegare
l'abbandono improvviso del poema), la causa potrebbe essere stata di natura
politica — come sarà più tardi il caso di Catone Uticense —, ovverosia la
rovina del suo protettore Memmio e della sua cerchia culturale. Virgilio, che
lo rispettava anche se era passato dall'epicureismo, abbracciato in gioventù,
alle teorie pitagoriche, parla di lui nelle Georgiche e nelle Bucoliche,
definendolo "felix" (ossia "prediletto dalla dea Fortuna") e
non "folle". Secondo Guido Della Valle, la V ecloga, che parla della
morte di un personaggio chiamato Dafni (a volte identificato con Cesare, a
volte con Flacco, il fratello di Virgilio), potrebbe riferirsi invece alla
morte dello stesso Lucrezio, definita "immatura e innaturale", cioè avvenuta
per cause traumatiche. Il movente politico e morale del gesto potrebbe essere
la causa del silenzio attorno ad esso e del fiorire di aneddoti per
giustificarlo, dato che non si poteva cancellare la grandezza filosofica di
Lucrezio, con una sorta di damnatio memoriae di solito riservata ai nemici
politici. Essi erano spesso vittime delle liste di proscrizione dei
vincitori, come quella di Marco Antonio che colpirà Cicerone, e molti si
toglievano la vita, in quanto morte onorevole per i costumi romani; Virgilio e
Orazio, estimatori di Lucrezio, facevano parte della corte di Augusto, e
dovevano quindi allinearsi alla linea culturale dettata dall'imperatore,
assertore dell'antica moralità e diffusore della leggenda di Cesare (per cui
venivano cancellate le espressioni scomode di dissenso), e dal suo amico
Mecenate, in cui l'epicureismo, se non sfumato come in Orazio appuntocosì come
ogni opera che non fosse celebrativa del princeps e della grandezza di Roma non
trovava spazio, per cui Lucrezio verrà ricordato solo come grande poeta,
tralasciandone l'aspetto filosofico. Secondo Della Valle, quindi,
Lucrezio si sarebbe tolto la vita come gesto di protesta contro la classe
politica in ascesa, o perché condannato a morte da essa. Lucrezio, per il
periodo in cui è vissuto, personaggio scomodo: gli ideali epicurei di cui era
profondamente intriso corrodevano le basi del potere di una Roma alla vigilia
della congiura di Catilina. In un'epoca di tensioni repubblicane, infatti,
isolarsi dalla realtà politica nell'hortus epicureo significa sottrarsi ai
negotia politici e uscire di conseguenza anche dalla sfera d'influenza del
potere. Le più forti correnti stoiche, ostili all'epicureismo, avevano permeato
la classe dirigente romana in quanto più conformi alla tradizione guerriera
dell'Urbe. L'epicureismo era invece presente anche attraverso il citato
Filodemo e altri in Campania, dove Virgilio avrebbe approfondito la sua
conoscenza dell'epicureismo. Orazio non lo nomina, ma è evidente che lo
conosce, e ideologicamente gli è più vicino di altri. La natura poetica del De
rerum natura fa sì che Lucrezio col suo pessimismo esistenziale avanzi profezie
apocalittiche, visioni quasi allucinate, critiche e ambigue espressioni (Grice),
che accompagnano il poema. Alcuni teologi come San Girolamo ed altri, hanno
dato di lui l'immagine di un ateo psicotico in preda alle forze del male.
Appoggiandosi alla psicoanalisi qualcuno ha sostenuto che in certi bruschi
cambiamenti di immagine e di pensiero ci fossero i sintomi di una pazzia delirante
o di problemi di ordine psichico. In realtà l'ipotizzata pazzia di Lucrezio
appare oggi più plausibilmente un tentativo di mistificazione per screditare il
poeta, così come la presunta morte per suicidio sarebbe stato l'esito di un
modo di pensare perverso, che travia chi lo segue. L'ipotesi dell'epilessia
poi, viene avanzata sulla base dell'arcaica credenza che il poeta fosse sempre
un invasato; elemento quest'ultimo da collegare alla credenza che gli
epilettici fossero sacri ad Apollo e da lui ispirati nelle loro creazioni. Comunque
altri scrittori cristiani come Arnobio e Lattanzio affermarono che egli non
fosse pazzo e che non si fosse ucciso. L'ipotesi della follia e del suicidio
attestata dal Chronicon di Girolamo si fondava su illazioni di Svetonio,
peraltro di difficile verifica. Potrebbe anche esserci stata una confusione
dovuta all'abbreviazione “Luc.,” impiegata indifferentemente nei codici latini
per indicare i nomi di Lucillius, Lucullus e Lucretius. Plutarco scrisse
infatti di un certo Licinio Lucullo, politico, generale e cultore dei piaceri,
che morì dopo essere impazzito a causa di un filtro d'amore. L'errore di
interpretazione dell'abbreviazione “Luc.” potrebbe così aver permesso lo scambio
dei due personaggi. A causa dell'impossibilità di ricostruire i momenti
salienti della sua vita, dunque, il progetto filosofico che egli volle
esprimere è ricostruibile interamente solo dalla sua opera, considerata tra le
più vigorose d'ogni età. Bisogna ora individuare le motivazioni che spinsero
Lucrezio a scrivere il De rerum natura, che fondamentalmente sono due. La prima
è una ragione etico-filosofica, in quanto Lucrezio, affascinato dalla filosofia
epicurea, desiderava invitare il lettore alla pratica di tale filosofia,
incitandolo a liberarsi dall'angoscia della morte e degli dèi. La seconda
motivazione invece è di carattere storico. Lucrezio era conscio che la
situazione politica a Roma peggiorasse di giorno in giorno: Roma era quadro
ormai di continui scontri bellici e conseguenti dissidi; giustappunto egli, con
un evidente positivismo, voleva incoraggiare il cittadino-lettore romano a non
perdere la fiducia verso un successivo miglioramento della situazione. Lucrezio
si proponeva di rivoluzionare il cammino di Roma, riportandolo all'epicureismo
che era stato declinato in favore dello stoicismo. La prima cosa da distruggere
era la convinzione provvidenzialistica stoica e più propriamente romana. Non
c'era un dovere romano di civilizzare "l'orbe terrifero e de le
acque", come farà dire Virgilio alla Sibilla Cumana in un colloquio con
Enea. Non c'è una ragione seminale universale responsabile della vita nel
cosmo, destinata a deflagrare per poi ricominciare un nuovo, identico, ciclo
esistenziale, come voleva la fisica stoica, ma un mondo che non è unico
nell'universo, peraltro infinito, essendo uno dei tanti possibili. Non c'è
quindi nessun fine provvidenziale di Roma, essa è una Grande fra le Grandi, ed
un giorno perirà nel suo tempo. La religione, considerata come Instrumentum
regni, deve essere non distrutta, ma integrata nel contesto del viver civile
come utile ma falsa. Egli afferma fin dal libro I del De rerum natura. Tanto
male poté suggerire la religione. Ma anche tu forse un giorno, vinto dai
terribili detti dei vati, forse cercherai di staccarti da noi. Davvero,
infatti, quante favole sanno inventare, tali da poter sconvolgere le norme
della vita e turbare ogni tuo benessere con vani timori! Giustamente, poiché se
gli uomini vedessero la sicura fine dei loro travagli, in qualche modo
potrebbero contrastare le superstizioni e insieme le minacce dei vati... Queste
tenebre, dunque, e questo terrore dell'animo occorre che non i raggi del sole
né i dardi lucenti del giorno disperdano, bensì la realtà naturale e la
scienza... E perciò, quando avremo veduto che nulla può nascere dal nulla,
allora già più agevolmente di qui potremo scoprire l'oggetto delle nostre
ricerche, da cosa abbia vita ogni essenza, e in qual modo ciascuna si compia
senza opera alcuna di dèi. Lucrezio colpiva direttamente la credenza negli dèi
latini sostenendo che non c'è preghiera che schiuda le fauci di una tempesta,
giacché essa è regolata da leggi fisiche e gli dèi, seppur esistenti e anche
loro composti da atomi così sottili che ne assicurano l'immortalità, non si
curano del mondo né lo reggono; ma la religione deve essere inglobata nella
scoperta e nello studio della natura, che rasserena l'animo e fa comprendere la
vera natura delle cose: infatti l'unico principio divino che regge il mondo è
la Divina Voluptas, Venere: il piacere, la vita stessa intesa come animazione
regge l'universo, ed è l'unica cosa in grado di fermare lo sfacelo che sta
portando Roma alla fine: Marte, ovvero la Guerra.[31] Proprio per questo, egli elogia
Atene, creatrice di quegli intelletti più grandi che hanno illuminato la natura
e quindi l'uomo stesso, ed in ultima istanza Epicuro, sole invitto della
conoscenza rasserenatrice. Non solo, egli stesso si sente quasi un poeta
rasserenatore delle tempeste umane e proprio per questo si sente profondamente
affine ai poeti delle origini, il cui luogo principe è in Empedocle (secondo
infatti per elogi solo a Epicuro) ma con una sola grande differenza: egli non è
portatore di una verità divina fra le umane genti, ma di una verità affatto
umana, universale e per tutti, che attecchirà ben presto per la salvezza di
Roma.[31] Epicuro è comunque, per Lucrezio, il più grande uomo mai esistito,
come risulta dai tre inni a lui dedicati (chiamati anche "trionfi" o
"elogi"): «E dunque trionfò la vivida forza del suo animo. E si
spinse lontano, oltre le mura fiammeggianti del mondo. E percorse con il cuore
e la mente l'immenso universo, da cui riporta a noi vittorioso quel che può
nascere, quel che non può, e infine per quale ragione ogni cosa ha un potere
definito e un termine profondamente connaturato. Perciò a sua volta abbattuta
sotto i piedi la religione è calpestata, mentre la vittoria ci eguaglia al
cielo. Il De rerum natura e un poema didascalico in esametri, di genere
scientifico-filosofico, suddiviso in sei libri (raccolti in diadi),
comprendente un totale di 7415 versi, che illustrano fenomeni di dimensioni
progressivamente più ampie: dagli atomi si passa al mondo umano per arrivare ai
fenomeni cosmici. Riproduce il modello prosastico e filosofico epicureo e la
struttura del poema Περὶ φύσεως di Empedocle (anche un'opera di Epicuro aveva
il medesimo titolo). Secondo i filologi vi sono corrispondenze e simmetrie
interne che corrisponderebbero ad un gusto alessandrino. L'opera infatti è
suddivisa in tre diadi, che hanno tutte un inizio solare ed una fine tragica.
Ogni diade contiene un inno ad Epicuro, mentre il secondo e il terzo libro (in
quest'ultimo è presente anche un'esposizione della sua estetica) si aprono entrambi
con un inno alla scienza. Essendo un poema didascalico, ha come modello Esiodo
e quindi anche Empedocle, che aveva preso il modello esiodeo come massimo
strumento per l'insegnamento della filosofia. Altri modelli potrebbero essere i
poeti ellenistici Arato e Nicandro di Colofone, che usavano il poema
didascalico come sfoggio di erudizione letteraria. Il destinatario e i
destinatari Il dedicatario dell'opera è la Memmi clara propago (I 42), ovvero
il rampollo della famiglia dei Memmi, che solitamente si identifica con Gaio
Memmio. Più in generale, si può dire che il destinatario che l'autore si
prefigge di conquistare è il giovane aperto ad ogni esperienza, che un giorno
prenderà il posto dei politici e attuerà quella rivoluzione propugnata con
tanto fervore da Lucrezio. Ma, almeno con Memmio, egli fallì: da adulto divenne
un dissoluto, fraintendendo il significato di piacere catastematico epicureo, e
fu allontanato dal Senato probri causa, cioè per immoralità. Riparò quindi in
Grecia, dove scrisse poesie licenziose e dove ce lo menziona anche Cicerone
(nelle Ad Familiares), intenzionato a distruggere la casa e il giardino in cui
proprio Epicuro risiedette, per costruirsi un palazzo, suscitando lo sdegno
degli epicurei che fecero istanza a Cicerone stesso di intervenire per
impedirglielo, senza che però Cicerone ci riuscisse. In un simile progetto
Lucrezio scelse di doversi rifare ad un modello di stile arcaico, che vedeva in
Livio Andronico, ma soprattutto in Ennio e in Pacuvio i modelli emuli, per motivi
fra loro quanto meno vari: l'egestas linguae (povertà della lingua), lo vede
costretto a dover arrangiare le lacune terminologiche e tecnicistiche con
l'arcaismo, ancora che proprio Lucrezio, insieme a Cicerone, sia uno dei
fondatori del lessico astratto e filosofico latino, e a colmare e ancor meglio
comprendere l'oscurità del filosofo con la mielosa luce della poesia. Discendendo
più in profondità nelle anguste gole del poema, si notano anche altri problemi
cui dovette far fronte: primo fra tutti, come tradurre parole di pregnanza
filosofica in latino, che ancora non aveva termini confacenti. Finché poté,
egli evitò la semplice translitterazione (ad es. "Atomus" per Ατομος)
e preferì invece usare altri termini presenti già nella sua lingua magari dandogli
altra accezione oppure (come mostrato anche sopra) creando neologismi. Ed è
proprio grazie all'arcaismo che Lucrezio riesce a rendere possibile tutto
questo: infatti era proprio dello stile arcaico il neologismo
"munificenza" ed anche un certo uso (convulso a detta di antichi e
moderni) delle figure di suono quali allitterazioni, consonanze, assonanze e
omoteleuti. Molto importante è anche il fatto che Lucrezio non si limitò a
trasmettere il messaggio di Epicuro con un arido scritto filosofico, ma lo fece
attraverso un poema che, a differenza del rigoroso linguaggio razionale della
filosofia, parla per squarci imaginifici. Sul piano teorico l'opera di Lucrezio
si caratterizza come una puntualizzazione di quella epicurea con alcune
esplicazioni che nel suo referente greco non erano abbastanza chiare. Il
concetto di parenklisis che Lucrezio tradurrà con clinamen mancava di
definizione chiara. Nella Lettera ad Erodoto Epicuro poneva infatti la
parenklisis ma poi parla piuttosto di una deviazione per urto. Il celebre
passaggio del libro II del De rerum natura dice: «Perciò è sempre più
necessario che i corpi deviino un poco; ma non più del minimo, affinché non ci
sembri di poter immaginare movimenti obliqui che la manifesta realtà smentisce.
Infatti è evidente, a portata della nostra vista, che i corpi gravi in se
stessi non possono spostarsi di sghembo quando precipitano dall’alto, come è
facile constatare. Ma chi può scorgere che essi non compiono affatto alcuna
deviazione dalla linea retta del loro percorso? Lucrezio precisa poi
ulteriormente le modalità del clinamen aggiungendo: «Infine, se ogni moto
è legato sempre ad altri e quello nuovo sorge dal moto precedente in ordine
certo, se i germi primordiali con l’inclinarsi non determinano un qualche inizio
di movimento che infranga le leggi del fato così che da tempo infinito causa
non sussegua a causa, donde ha origine sulla terra per i viventi questo libero
arbitrio, donde proviene, io dico, codesta volontà indipendente dai fati, in
virtù della quale procediamo dove il piacere ci guida, e deviamo il nostro
percorso non in un momento esatto, né in un punto preciso dello spazio, ma
quando lo decide la mente? Infatti senza alcun dubbio a ciascuno un proprio
volere suggerisce l’inizio di questi moti che da esso si irradiano nelle membra]»
Per quanto riguarda la sfera del vivente Lucrezio la collega direttamente agli
atomi nel loro processo creativo, scrivendo: «Così è difficile
rescindere da tutto il corpo le nature dell'animo e dell'anima, senza che tutto
si dissolva. Con particelle elementari così intrecciate tra loro fin
dall’origine, si producono insieme fornite d’una vita di eguale destino: ed è
chiaro che ognuna di per sé, senza l’energia dell’altra, le facoltà del corpo e
dell’anima separate, non potrebbero aver senso: ma con moti reciprocamente
comuni spira dall’una e dall’altra quel senso acceso in noi attraverso gli
organi. Lucrezio riprende in maniera radicale la tesi già di Epicuro. La
religione è la causa dei mali dell'uomo e della sua ignoranza. Egli ritiene che
la religione offuschi la ragione impedendo all'uomo di realizzarsi degnamente
e, soprattutto, di poter accedere alla felicità, da raggiungere attraverso la
liberazione dalla paura della morte. Il poema ha come argomenti principali la
lacerante antinomia fra ratio e religio, l'epicureismo e il progresso. La ratio
è vista da Lucrezio come quella chiarità folgorante della verità «che squarcia
le tenebre dell'oscurità», è il discorso razionale sulla natura del mondo e
dell'uomo, quindi la dottrina epicurea, mentre la religio è ottundimento
gnoseologico e cieca ignoranza, che lo stesso Lucrezio denomina spesso con il
termine "superstitio". Indica l'insieme di credenze e dunque di
comportamenti umani "superstiziosi" nei confronti degli dèi e della loro
potenza. Poiché la religio non si basa sulla ratio essa è falsa e pericolosa. Afferma
che sono evidenti le nefaste conseguenze della religione e adduce come esempio
il caso di Ifigenia, dicendo poi che il mito è una rappresentazione falsata
della realtà, come nell'Evemerismo. La religione è perciò la causa principale
dell'ignoranza e dell'infelicità degli uomini. Lucrezio riprende i temi
principali della dottrina epicurea, che sono: l'aggregazione atomistica e la
"parenklisis" (che egli ribattezza clinamen), la liberazione dalla
paura della morte, la spiegazione dei fenomeni naturali in termini meramente
fisici e biologici. Egli opera un completamento di essa in senso naturalistico
ed esistenzialistico, introducendo un elemento di pessimismo, assente in Epicuro,
probabilmente da attribuirsi a una personalità malinconica. Da un punto di
vista ontologico, secondo Lucrezio, tutte le specie viventi (animali e
vegetali) sono state "partorite" dalla Terra grazie al calore e
all'umidità originari. Ma egli avanza anche un nuovo criterio evoluzionistico:
le specie così prodotte sono infatti mutate nel corso del tempo, perché quelle
malformate si sono estinte, mentre quelle dotate degli organi necessari alla
conservazione della vita sono riuscite a riprodursi. Tale concezione atea,
materialista, antiprovvidenzialista e storica della natura sarà ereditata e
rielaborata da molti pensatori materialisti dell'età moderna, in particolare
gli illuministi Diderot, d'Holbach e La Mettrie, anch'essi atei dichiarati e a
loro volta divulgatori dell'ateismo; Lucrezio sarà inoltre seguito da Ugo
Foscolo e Giacomo Leopardi. Lucrezio nega ogni sorta di creazione, di
provvidenza e di beatitudine originaria e afferma che l'uomo si è affrancato
dalla condizione di bisogno tramite la produzione di tecniche, che sono
trasposizioni della natura. Però, il progresso non è positivo a priori, ma solo
finché libera l'uomo dall'oppressione. Se è invece fonte di degradazione
morale, lo condanna duramente. Lucrezio introduce nel III libro del De rerum
natura una chiarificazione che nel mondo latino era stata trascurata generando
non poche confusioni, circa il concetto di “animus” in rapporto a quello di
“anima” «Vi sono dunque calore e aria vitale nella sostanza stessa del corpo,
che abbandona i nostri arti morenti. Perciò, trovata quale sia la natura
dell'animo e dell'anima quasi una parte dell'uomo -, rigetta il nome di
armonia, recato ai musicisti già dall'alto Elicona, o che essi hanno forse
tratto d'altrove e trasferito a una cosa che prima non aveva un suo nome. Tu
ascolta le mie parole. Ora affermo che l'anima e l'animo sono tenuti Avvinti
tra loro, e formano tra sé una stessa natura. Ma è il capo, per così dire, è il
pensiero a dominare tutto il corpo: quello che noi denominiamo animo e mente e
che ha stabile sede nella zona centrale del petto. Qui palpitano infatti
l'angoscia e il timore, qui intorno le gioie provocano dolcezza; qui è dunque
la mente, l’animo. La restante parte dell’anima, diffusa per tutto il corpo,
obbedisce e si muove al volere e all’impulso della mente. Questa da sé sola
prende conoscenza, e da sé gioisce, quando nessuna cosa stimola l’anima e il
corpo. Lucrezio riprende il concetto ellenico di anima come "soffio vitale
che vivifica ed anima il corpo, ciò che i greci chiamavano psyché. Questo
soffio pervade tutto il corpo in ogni sua parte e lo abbandona solo “con
l'ultimo respiro". L'"animus" invece è identificabile col
"noùs" ellenico, traducibile in latino con mens. Dunque animus e mens
paiono essere o la stessa cosa o due elementi coniugati dell'unità mentale.
L'indicazione della “zona centrale del petto” come sede fa pensare al concetto
di “cuore”, ricorrente ancora oggi nel linguaggio comune per indicare la
sensibilità umana, centro dell'emozione e del sentimento. Parrebbe allora che
l'animus sia insieme e conoscenza e emozione, mentre l'anima è soffio vitale. L'angoscia
esistenziale Il De rerum natura è ricchissimo di elementi tipici
dell'esistenzialismo moderno, riscontrabile specialmente in Giacomo Leopardi,
che dell'opera di Lucrezio era un profondo conoscitore, anche se in realtà non
è noto il lasso di tempo in cui Leopardi lesse Lucrezio. Questi elementi di
angoscia hanno indotto alcuni studiosi a sottolineare il pessimismo di fondo
che si opporrebbe alla volontà di rinnovare il mondo a partire dalla filosofia
epicurea; in altre parole, in Lucrezio ci sarebbero due spinte contrapposte;
l'una dominata dalla razionalità e fiduciosa nel riscatto dell'uomo, l'altra
ossessionata dalla fragilità intrinseca degli esseri viventi e dal loro destino
di dolore e morte. Altri studiosi, però ritengono che l'insistenza di Lucrezio
sugli aspetti dolorosi della condizione umana non sia altro che una strategia
di propaganda, per fare emergere più fortemente la funzione salvifica della
ratio epicurea. S'intende, ciechi alla dottrina di Epicuro. Sul luogo di nascita: anche se c'è chi
afferma fosse nato a Roma, si ritiene quasi all'unanimità che fosse originario
della Campania: di Napoli, di Ercolano, o, secondo recenti studi epigrafici, di
Pompei, dove il nomen e il cognomen Tito e Lucrezio sono attestati, e la gens
Lucretia aveva delle ville cfr: Biografia di Lucrezio; o perlomeno vi avesse
abitato a lungo cfr. Enrico Borla, Ennio Foppiani, Bricolage per un naufragio.
Alla deriva nella notte del mondo, cfr. anche la Lucrezio Caro, Tito su
Enciclopedia Treccani Sulla data di
nascita: molti optano per il 98 a.C. o secondo altri 96 a.C. Secondo alcune fonti: Lucretius testimonia
vitae Luciano Canfora, Vita di Lucrezio, Sellerio, o secondo altri 53 a.C., cfr. Paolo Di Sacco,
M. Serio, "Odi et amoStoria e testi della letteratura latina" 1 "L'età arcaica e la repubblica",
Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Sezione 2, Modulo. Testimonianze su
Lucrezio Canfora. Lucrezio, De rerum
natura, Lucrezio, De rerum natura, Enrico Fichera, I "templa serena"
e il pessimismo di Lucrezio: echi lucreziani nella letteratura, Roma, Bonanno
edizioni, G. Lippold, Testo per Arndt-Bruckmann, Griech. u. röm. Porträts,
Monaco. Enciclopedia dell'arte antica
Cfr. Gerlo, Benedetto Coccia, Il mondo classico nell'immaginario
contemporaneo Nel romanzo epistolare di
Tiziano Colombi, Il segreto di Cicerone, Palermo, Sellerio, Nomi romani:
glossario Canfora, Cicerone, Ep. ad
Quintum fratrem, II 9. SLucrezio Canfora, Classici: Lucrezio e il De rerum
natura Aldo Oliviero, Il suicidio di Lucrezio, su lafrontieraalta.com. Ettore
Stampini, Il suicidio di Lucrezio, Messina, Tipografia D'Amico, La risposta di
Virgilio a Lucrezio Guido Della Valle
(Napoli), pedagogista e docente universitario, autore di Tito Lucrezio Caro e
l'epicureismo campano, Napoli, Accademia Pontaniana, Lucrezio in Enciclopedia
Italiana Lucrezio: informazioni
biografiche ibidem La natura delle cose, Milano, Rizzoli, Eneide,
libro VI. La natura delle cose, cit.
supra81. Lucrezio, La natura delle cose,
La natura delle cose. Il De rerum natura
di Lucrezio Introduzione a Lucrezio accesso= Memmio su Enciclopedia
Italiana Lo stile di Lucrezio C.
Craca, Le possibilità della poesia. Lucrezio e la madre frigia in «De rerum
natura» IBari, Edipuglia, Epicuro, Opere, E. Bignone, Laterza Lucrezio, La
natura delle cose, Biagio Conte, Milano, Rizzoli, La natura delle cose, cit. supra271. De rerum natura, Diego Fusaro, Tito Lucrezio
Caro, su filosofico.net. e rerum natura, VTasso segue Lucrezio stilisticamente,
non ideologicamente: vedasi la famosa similitudine del proemio del libro IV, ripresa
nel proemio della Gerusalemme liberate, La natura delle cose, cit. supra, De rerum natura, Mario Pazzaglia, Antologia
della letteratura italiana. Lucrezio,
introduzione Edizioni De rerum natura, (Brixiae), Thoma Fer(r)ando
auctore, De rerum natura libri sex nuper emendati, Venetiis, apud Aldum, In
Carum Lucretium poetam commentarij a Joanne Baptista Pio editi, Bononiae, in
ergasterio Hieronymi Baptistae de Benedictis, De rerum natura libri sex a
Dionysio Lambino emendati atque restituti & commentariis illustrati,
Parisiis, in Gulielmi Rovillij aedibus, De rerum natura libri VI, Patavii,
excudebat Josephus Cominus, De rerum natura libri sex, Revisione del testo,
commento e studi introduttivi di Carlo Giussani, Torino, E. Loescher (importante edizione critica, tuttora
fondamentale). De rerum natura, Edizione critica con introduzione e versione
Enrico Flores, 3 Napoli, Bibliopolis, Traduzioni italiane Della natura delle
cose libri sei tradotti da Alessandro Marchetti, Londra, per G. Pickard. La
natura, libri VI tradotti da Mario Rapisardi, Milano, G. Brigola, 1880. Della
natura, Armando Fellin, Torino, POMBA. Della natura, Versione, introduzione e
note di Enzio Cetrangolo, Firenze, Sansoni, La natura delle cose, Introduzione
di Gian Biagio Conte, Traduzione di Luca Canali, Testo latino e commento Ivano
Dionigi, Milano, Rizzoli, 1990. La natura, Introduzione, testo criticamente
riveduto, traduzione e commento di Francesco Giancotti, Milano, Garzanti (Per
la specifica sul De rerum natura si
rimanda a tale voce) V.E. Alfieri, Lucrezio, Firenze, Le Monnier, A.
Bartalucci, Lucrezio e la retorica, in: Studi classici in onore di Quintino
Cataudella, Catania, Edigraf, M. Bollack, La raison de Lucrece. Constitution
d'une poetique philosophique avec un essai d'interpretation de la critique
lucretienne, Parigi, Les editions de Minuit, 1978. G. Bonelli, I motivi
profondi della poesia lucreziana, Bruxelles, Latomus, Boyancé, Lucrezio e
l'epicureismo, Edizione italiana Alberto Grilli, Brescia, Paideia, D.
Camardese, Il mondo animale nella poesia lucreziana tra topos e osservazione
realistica, Bologna, Patron,. Luca Canali, Lucrezio poeta della ragione, Roma,
Editori Riuniti, Luciano Canfora, Vita di Lucrezio, Palermo, Sellerio, G. Della
Valle, Tito Lucrezio Caro e l'epicureismo campano, Seconda edizione con due
nuovi capitoli, Napoli, Accademia Pontaniana, 1935. A. Gerlo,
Pseudo-Lucretius?, in: «L'Antiquité Classique»,F. Giancotti, Lucrezio poeta
epicureo. Rettificazioni, Roma, G. Bardi, 1961. F. Giancotti, Religio, natura,
voluptas. Studi su Lucrezio con un'antologia di testi annotati e tradotti,
Bologna, Patron, 1989. G. Giardini, Lucrezio. La vita, il poema, i testi
esemplari, Milano, Accademia, 1974. S. Greenblatt, Il manoscritto. Come la
riscoperta di un libro perduto cambiò la storia della cultura europea,
traduzione di Roberta Zuppet, Milano, Rizzoli,
H. Jones, La tradizione epicurea, Genova, ECIG, R. Papa, Veterum
poetarum sermo et reliquiae quatenus Lucretiano carmine contineantur, Neapoli,
A. Loffredo, [1963]. L. Perelli, Lucrezio poeta dell'angoscia, Firenze, La Nuova
Italia, L. Perelli, Lucrezio. Letture critiche, Milano, Mursia, A. Pieri,
Lucrezio in Macrobio. Adattamenti al testo virgiliano, Messina, Casa Editrice
D'Anna, V. Prosperi, Di soavi licor gli orli del vaso. La fortuna di Lucrezio
dall'Umanesimo alla Controriforma, Torino, N. Aragno, G. Sasso, Il progresso e
la morte. Saggi su Lucrezio, Bologna, Il Mulino, R. ScarciaE. ParatoreG.
D'Anna, Ricerche di biografia lucreziana, Roma, Edizioni dell'Ateneo, O.
Tescari, Lucretiana, Torino, SEI,O. Tescari, Lucrezio, Roma, Edizioni Roma, A.
Traglia, De Lucretiano sermone ad philosophiam pertinente, Roma, Gismondi,
1947. Scritti letterari Luca Canali, Nei pleniluni sereni. Autobiografia
immaginaria di Tito Lucrezio Caro, Milano, Longanesi, E. Cetrangolo, Lucrezio.
Tragedia, Roma, Edizioni della Cometa, Tiziano Colombi, Il segreto di Cicerone,
Palermo, Sellerio, 1993. Piergiorgio Odifreddi, Come stanno le cose. Il mio
Lucrezio, la mia Venere, Milano, Rizzoli, Alieto Pieri, Non parlerò degli dèi.
Il romanzo di Lucrezio, Firenze, Le Lettere, Epicureismo Esistenzialismo ateo
Storia dell'ateismo Tito Lucrezio Caro, su TreccaniEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Tito Lucrezio Caro, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Tito Lucrezio Caro Opere di Tito Lucrezio Caro, su Liber Liber. openMLOL, Horizons Audiolibri di Tito
Lucrezio Caro, su LibriVox. Goodreads. De Rerum Natura: testo con concordanze e
liste di frequenza, su intratext.com. Intervista a Luca Canali su passioni e
razionalità in Lucrezio, dall'Enciclopedia multimediale delle scienze
filosofiche, su conoscenza.rai. Analisi critica del pensiero di Lucrezio, su
lucrezio.exactpages.com. V D M EpicureismoFilosofia Letteratura Letteratura Categorie: Poeti romaniFilosofi
romani 15 ottobre RomaTito Lucrezio CaroAtomistiEpicureiFilosofi
ateiLucretiiStoria dell'evoluzionismoPre-esistenzialistiPersonalità
dell'ateismo. Refs.: Lucretius, in The Stanford Encyclopaedia. Alma
figlia di Giove, inclita madre Del gran germe d'Enea, Venere bella,
Degli uomini piacere e degli Dei: Tu che sotto i girevoli e
lucenti Segni del cielo il mar profondo, e tutta D’ animai d'ogni
specie orni la terra, Che per se fora un vasto orror soUngo :
Te Dea , fnggono i venti: al primo arrivo Tuo svaniscon le nubi: a
te germoglia Erbe e fiori odorosi il suolo indnstre : Tu
rassereni i giorni foschi, e rendi Col dolce sguardo il mar chiaro e
tranquillo, E splender fai di maggior lume il ciclo. Qualor deposto
il freddo ispido manto L'anno ringiovanisce, « la soave Aura
feconda di Favonio spira,, Tosto tra fronde e fronde i vaghi
augelli. 34 T. LUCREZIO CARO Feriti il cor da'
tuoi pungenti dardi , Cantan festosi il tuo ritorno, o Diva;
Liete scorron saltando i grassi paschi Le fiere , e gonfi di nuor'
acqae i fìami Varcano a nuoto e i rapidi torrenti: Tal da'
teneri tuoi rezzi lascivi Dolcemente allettato ogni animale Desioso
ti segue ovunque il gnidi. In somma tu per mari e monti e
fiumi, Pe'boschi ombrosi e per gli aperti campi, Di piacevole amore
i petti accendi, E cosi fai che si conservi '1 mondo.
Or se tu sol della Natura il freno Reggi a tua voglia , e senza te
non vede Del di la luce desiata e bella, Nè lieta e amabil
fassi alcuna cosa: Te , Dea, te bramo per compagna all'opra,
In cui di scriver tento in nuovi carmi Di Natura i segreti e le
cagioni Al gran Memmo Gemello a te si caro , In ogni tempo, e
d’ogni laude ornato. Tu dunque , o Diva , ogni mio detto
aspergi D’eterna grazia, e fa’ cessare intanto E per mare e per
terra il fiero Marte, Tu, che sola puoi farlo : egli sovente
D’ amorosa ferita il cor trafitto Umil si posa nel divin tuo
grembo. Or mentr’ ei pasce il desioso sguardo Di tua beltà,
ch'ogni beltade avanza, E che l’anima sua da te sol pende,
Deh ! porgi a lui , vezzosa Dea , deh ! porgi A lui soavi preghi ,
e fa'ch’ ei renda Al popol suo la desiata pace. Che se la
patria nostra è da nemiche Armi abitata, io più seguir non posso
Con animo quieto il preso stile, Nè può di Memmo il generoso
figlio L I B R O l. aS l^egar sé stesso alla comaa
salate. Tu, gran prole di Memmo, ora mi porgi Grate ed
attente orecchie, e ti prepara, Lungi da te cacciando ogni altra
cura, Alle vere ragioni , e non volere I miei doni sprezzar
pria che gl’ intenda. Io narrerotti in che maniera il cielo
Con moto alterno ognnr si volga c giri j Degli Dei la natura, e delle
cose Gli alti principi , e come nasca il tutto ; Come poi -si
nutrichi, e come cresca, Ed in che finalmente ei si risolva :
£ ciò da noi nell’ avvenir dirassi Primo corpo, 9 materia, o primo
seme, O corpo genitale , essendo quello Onde prima si forma
ogni altro corpo: Che d'uopo é pur che’n somma eterna pace
Yivan gli Dei per lor natura , e lungi Stian dal governo delle cose umane
, Scevri d' ogni dolor, d' ogni periglio , Biechi sol
di lor stessi, e di lor fuori Di nulla bisognosi, e che nè metto
Nostro gli alletti, o colpa accenda ad ira. Giacca l’ umana vita
oppressa e stanca Sotto religìon grave e severa. Che mostrando
dal ciel l’altero capo Spaventevole in vista e minacciante Ne
soprastava. Un iiom d* Atene il primo Fu, che d’ ergerle incontra ebbe
ardimento Gli occhi ancor che mortali, e le s’oppose. Questi non
paventò nè eie! tonante Nè tremoto che ’l mondo empia d’ orrore ,
Nè fama degli Dei, nè fulmin torto j Ma qual acciar su dura alpina
cote Quanto s’agita più tanto più splende. Tal dell'animo suo
mai sempre invitto Nelle difficoltà crebbe il desio a
Digitized by Google T. LUCREZIO CARO
a6 Di spezzar pria d'ogni altro i saldi chiostri, E r ampie
porte di Natura aprirne. Cosi vins' egli , e con l' eccelsa
mente Varcando oltre a' confin del nostro mondo, Fu bastante a
capir spazio infinito. Quindi sicuramente egli n’ insegna Gid
che nasca o non nasca, ed in qual modo Ciò che racchiude l' Universo in
seno Ha poter limitato , e tcrmin certo : E la religion
co’pié calcata, L' alta vittoria sua c’ erge alle stelle.
Nè creder già che scelerate ed empie Sian le cose eh’ io parlo ;
anzi sovente L' altrui religion ne’ tempi^antichi Cose produsse
scelerate ed empie. Questa il fior degli eroi scelti per duci
Deir oste argiva in Aalide indusse Di Diana a macchiar l' ara
innocente Col sangue d' Ifigenia , allor che cinto Di bianca fascia
il beLvirgineo crine Vid’ella a se davanti in mesto volto Il padre,
e alni vicini i sacerdoti Celar 1’ aspra bipenne , e '1 popol tutto
Stillar per gli occhi in larga vena il pianto Sol per pietà di lei , che
muta e mesta Teneva a terra le ginocchia inchine. Nè giovi
punto all’ innocente e casta Povera verginella in tempo tale ,
Ch’ a nome della patria il prence avesse All’ esercito greco un re
donato ; Che tolta dalle man del suo consorte Fu condotta
all’ aitar tutta tremante: Non perchè terminato il
sacrifizio, Legata fosse col soave nodo D* un illustre imeneo
; ma per cadere Nel tempo stesso delle proprie nozze A* piè del
genitore ostia dolente I. 1 c n o I. 27
Per dar felice e fortunato evento All' armata navale. Error si
grave Persuader la religion poteo. Tu stesso dall' orribili
minacce De' poeti atterrito, a i detti nostri Di negar tenterai la
fe dovuta. Ed oh! quanti potrei fìngerti anch'io Sogni e
chimere, a sovvertir bastanti Del viver tuo la pace, e col timóre
Il sereno turbar della tua mente. Ed a ragion, che se prescritto il
fine Vedesse l'uomo alle miserie sue. Ben resister potrebbe
alle minacce Delle religioni, e de' poeti. Ma come mai
resister può, s' ei teme Dopo la morte aspri tormenti eterni.
Perchè dell' alma è a lui 1' essenza ignota: S' ella sia nata, od a chi
nasce infusa, E se morendo il corpo anch' ella muoia?
Se le tenebre dense , e se le vaste Paludi vegga del tremendo Inferno
, O s' entri ad informare altri animali Per ^divino voler,
siccome il nostro Ennio cantò , che pria d' ogn' altro colse In
riva d'Elicona eterni allori. Onde intrecciossi una ghirlanda al
crine Fra l'italiche genti illustre c chiara? Bench' ci ne' dotti
versi affermi ancora Che sulle sponde d' Acheronte s' erge Un
tempio sacro a gl' infernali Dei , Ove non 1' alme o i corpi nostri
stanno. Ma certi simulacri in ammirande Guise pallidi in
volto, e quivi narra D aver visto l'imagine d' Omero Piangere
amaramente, e di Natura Raccontargli i segreti e le cagioni.
Dunque non pnr de’più sublimi effetti Digilized by
Googic >8 T. LUCREZIO CARO
Cercar le cause, e dichiarar conviensi Della luna e del sole i morimenti
; Ma come possan generarsi in terra Tutte le cose, e con
ragion sagace Principalmente investigar dell' alma, £
dell'animo uman l’occulta essenza, E ciò che sia quel, che
vegliando infermi, £ sepolti nel sonno, in guisa n'empie D’alto
terror , che di veder presente Parne , e d’udir chi già per morte in
nude Ossa ò converso, e poca terra asconde. £ so ben io qual
malagevol’ opra Sia r illustrar de’ Greci in toschi carmi L’
oscure invenzioni, e quanto spesso Nuove parole converrammi usare,
Non per la povertà della mia lingua Ch’ alia greca non cede , e più
d’ ogn’ altra Piena è di proprie e di leggiadre vocij Ma per la
novità di quei concetti Ch’esprimer tento, e che nuli’ altro
espresse. Pur nondimcn la tua virtude ò tale , £ lo sperato
mio dolce conforto Della nostr’amistà, eh’ ognor mi sprona A
soffrir volentieri ogni fatica, E m’induce a vegliar le notti
intere, Sol per veder con quai parole io possa Portare
innanzi alla tua mente un lume, Ond’ ella vegga ogni cagione
occulta. Or si vano terror , si cieche tenebre Schiarir
bisogna, e via cacciar dall’ animo Non co’ be’ rai del sol, non già co’
lucidi Dardi del giorno a saettar poc’ abili Fuorché 1’ ombre
notturne e i sogni pallidi , Ma col mirar della Natura , e
intendere D’occulte cause e la velata imagine. Tu, se di
conseguir ciò brami, ascoltami. Sappi , che nulla per diyin
volere Digitized by Googl Pad dal nalla crearsi, onde
il timore, Che qaind'il cor d'ogni mortale ingombra , Vano è
del tutto, e se tu vedi ognora Formarsi molte cose in terra e ’n cielo,
nè d'esse intendi le cagioni, e pensi Perciò che Dio le faccia , erri e
deliri. Sia dunque mio principio il dimostrarti, Che nulla
mai si può crear dal nulla. Quindi assai meglio intenderemo il
resto £ come possa generarsi il lutto Senz'opra degli Dei. Or se
dal nnlla- Si creasser le cose, esse di seme Non avrian d'uopo, e
si vedrian produrre Uomini ed animai nel seti dell' acque,
Nel grembo della terra uccelli e pesci, £ nel vano dell’ aria
armenti e greggi; Pe' luoghi culli, e per gl' inculti il
parto D'ogni fera selvaggia incerto fora; Nè sempre ne darian
gl'istessi frutti Gli alberi , ma diversi ; anzi ciascuno D' ogni
specie a produrgli allo sarebbe. Poiché come potrian da certa madre
Nascer le cose, ove assegnati i propri Semi non fosser da ^Natura a tutte
1 Ma or perché ciascuna è da principi Certi creala , indi ha il
natale ed esce Lieta a godere i dolci rai del giorno , Ov'è
la sua materia e -i-vorpi primi: E quindi nascer d'ogni cosa il
tutto Non può, perchè fra loro alcune certe Cose hall l'interna
facoltà distinta. Inoltre ond' è che primavera adorna
Sempre è d’ erlie e di fior? che di mature Biade all' estiv' arsura
ondeggia il campo ? £ che sol quando Febo occupa i segni O di Libra
o di Scorpio, allor la vite Suda il dolce liquor che inebria i
sensi? 3o T. LUCREZIO CARO 5e non perché
a'ior tempi alcuni certi Semi in un concorrendo, atti a produrre
Son ciò che nasce, alJor che le stagioni Opportune il richieggono, e la
terra «I Di rigor genital piena c di succo , Puote all’ aure
inalzar sicuramente Le molli erbette e 1' altre cose tenere ì Che
se pur generate esser dal nulla Potessero, apparir dovrian repente
In contrarie stagioni e spazio incerto , Non vi essendo alcun seme
, che impedito Dall' Union feconda esser potesse O per ghiaccio o
per sol ne' tempi avversi. Né per crescer le cose avrian mestiere
Di spazio alcuno in cui si unisca il seme, i' elle fosser del nulla atte
a nutrirsi : Ma nati appena i pargoletti infanti Diverrebbero
adulti , e in un momento Si vedrebber le piante inverso il cielo
Erger da terra le robuste braccia. Il che mai non succede ; anzi
ogni cosa Cresce, come conviensi , a poco a poco, E
crescendo, conserva e rende eterna La propria specie. Or tu confessa
adunque Che della sua materia , e del suo seme Nasce, si nutre e
divien grande il tutto. S’arroge a ciò, che non daria la
terra Il dovuto alimento ai lieti parti. Se non cadesse a
fecondarle il seno Dal del 1' umida pioggia, e senza cibo Propagar
non potrebber gli animali La propria specie, e conservar la vita,
Ond' è ben verisimile, che molte Cose molti fra lor corpi
comuni Àbbian, come le voci han gli elementi j Anzi, che sia senza
principio alcuna. In somma ond' è che non formò Natura
LIBRO 1. 3l Uomini tanto grandi e si
robusti, Che potesser co’ piè del mar profondo Varcar l’
acque sonanti , e con la mano Sveller dall’imo lor l’alte montagne,
£ viver molt’ etadi , e molti secoli? Tito Lucrezio Caro. Lucrezio. Luigi Speranza, "Grice, Lucrezio, e la natura
delle cose," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia. Luigi Speranza, “Grice e Lucrezio: implicatura atomica”
– “implicatura e composizionalita” – “implicatura elementare” – “implicatura
simplex” “implicatura simplice” “implicatura complessa”, “alma figlia di Giove”
--.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51673686930/in/photolist-2mKntct-2mKruoH-2mJcne3-2mJbUAt-2mJ71Hh-2mJaFBc-2mJ6yhb-2mJaFB2-2mJe98k-2mJ5DsZ-2mJaUwY-2mJe9QJ-2mJe9kv-2mJ4GHU-2mJ9FBp-2mJd9Aw-2mJd9CW-2mJ5yAK-2mJe9PM-2mJe9Qd-2mJ5yx3-2mJaUx9-2mJaUvf-2mJ5yyL-2mJe9Ss-2mKnsD4-2mJ5yxd-2mJaUw2-2mJe9TQ-2mJaUxz-2mJ5yyW-2mJ5yB6-2mJ5h5Z-2mJd9zE-2mJ5yAz-2mJe9RL-2mJ9FAx-2mJe9RR-2mJe9Ra-2mJaUva-2mJ5yxi-2mJ5yz2-2mJ5ywX-2mJaUxu-2mJ5yxt-2mJd9Ar-2mJaUvR-2mJ9FEf-o6cgMk-o6bmyP
Grice e Luporini – i corpi di Vinci
– il leopardi fascita – leopardi fascisti – ultra-filosofico -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Ferrara).
Filosofo. Grice: “I like Luporini; I lerarned from him how silly Austin is when
talking of ‘material object’ – a contradiction in terminis for Kant who uses
‘materie’ very strictly; Luporini’s study of Leopardi is brilliant – and he has
explored the genius of Vinci, which is good!” Si recò a Friburgo, dove
frequenta le lezioni di Heidegger, e poi a Berlino, dove poté seguire le
lezioni di Hartmann. Si laurea a Firenze. Insegna a Cagliari, Pisa e Firenze.
Dopo un in interesse per l'esistenzialismo, aderì al marxismo, iscrivendosi al
Partito Comunista, per il quale fu eletto senatore nella terza legislature. Tra
le altre iniziative parlamentari, fu firmatario di un progetto di legge, "Istituzione
della scuola obbligatoria statale dai 6 ai 14 anni.” Fonda la rivista
Società. Collabora ai periodici
politico-culturali del PCI, Il Contemporaneo, Rinascita, Critica marxista.
Durante il dibattito che, a seguito degli eventi, porta alla trasformazione del
PCI in PDS, si schierò decisamente contro la "svolta" di Occhetto,
aderendo alla mozione "due" di opposizione interna, in un'orgogliosa
difesa e per un rilancio della prospettiva e degli ideali comunisti. Il
marxismo di Luporini si fonda su una critica radicale allo storicismo, sul
rifiuto di ogni concezione finalistica dello sviluppo storico: il comunismo,
quello marxista in particolare, non è assimilabile con la tematica tipicamente
storicista del progresso come traccia dell'evoluzione umana. Egli rifiuta
letture dogmatiche del marxismo e le sue deteriori forme di economicismo e
meccanicismo, ma, pur apprezzando lo strutturalismo di Althusser con cui cercò
di far dialogare tutto il marxismo italiano, non ne condivideva l'anti-umanismo,
in quanto il pensiero di Marx conserva per lui un profondo umanesimo, anche
negli scritti successivi alla "rottura epistemologica" in cui le
strutture, cioè i modelli interpretativi della società, non sono astratti ma in
funzione degli individui concreti, umani.
Nello stesso ambito marxista, tra i suoi obiettivi polemici vi furono
quelle posizioni che proponevano una interpretazione di radicale discontinuità
tra Marx e Hegel, cioè quelle di Volpe e della sua scuola. Centrale è infatti
per Luporini la nozione di “contra-dizione,” la marxiana "oggettività
reale", che lo pone comunque in relazione con Hegel. Marx deve essere
considerato una concezione aperta e complessa, dove materialismo e dialettica
compongono una sintesi mai totalizzante (da qui il suo interesse per
l'elaborazione di Gramsci) e parte fondamentale di una più generale teoria dei
condizionamenti umani. Fondamentale è il
concetto di formazione economico-sociale, espressione già utilizzata da Sereni,
ma in senso storicistico e cioè la possibilità per il marxismo di costituire un
modello per l'analisi degli specifici modi di produzione della società
capitalista, nonché per la previsione scientifica delle sue varie forme. La
legge generale delle formazioni economico-sociali è tratta dall’Introduzione ai
Lineamenti fondamentali di critica dell'economia politica di Marx. La struttura
economica va indagata secondo logica scientifica e bisogna stabilire un
"criterio oggettivo", il momento dominante che condiziona tutti gli
altri assetti produttivi. L'approccio
storico-genetico non è un continuum evoluzionistico come nella tradizione
storicistica, è la fase dell'osservazione e descrizione empirica del fenomeno
dalla sua origine ed è secondario rispetto all'approccio genetico-formale, cioè
all'indagine che permette di stabilire la categoria dominante di una
determinata fase storica della produzione. Il modello de Il Capitale può dunque
aspirare all'universalità, ma anche alla flessibilità di applicazione. La
formalizzazione di un “modello” attraverso il metodo genetico, individua anche
il processo per cui i rapporti di produzione si riflettono in qualcos’altro, la
coscienza dei singoli, le relazioni inters-oggettive (l’inter-azione’) e le
radici stesse della vita morale. È palese così il contrasto di Luporini ad ogni
disegno provvidenzialista e di filosofia della storia e anche in questo si
rende chiaro il rapporto dialettico-oppositivo tra Hegel e Marx. Per quanto
riguarda Leopardi, secondo Luporini, la sua poesia non è permeata solo di
pessimismo, ma ci invita anch'essa alla resistenza attiva. La formazione
filosofica di Leopardi, infatti, illuminista e materialista, permette di
leggere ad esempio, nelle "magnifiche sorti e progressive" de
"La Ginestra", una possibilità di rinnovamento politico-sociale non
in antitesi con la concezione della 'natura matrigna', un compito storico degli
esseri umani altrimenti o comunque destill'infelicità esistenziale. “Filosofia
e politica: scritti dedicati a Luporini, Firenze, La Nuova Italia, Una completa e aggiornata, L. Fonnesu, è stata
pubblicata nel numero speciale dedicato a Luporini di "Il Ponte"
(Firenze). Oltre agli studi sulla storia della filosofia e a un'elaborazione
teorica del marxismo incentrata sui temi etici, si ricordano, fra le sue opere
principali: “Situazione e libertà”
(Firenze, Monnier); “Filosofi vecchi e nuovi” (Firenze, Sansoni); “Spazio e
materia in Kant” (Firenze, Sansoni); “L'ideologia comunista” (Riuniti, Roma); “Dialettica
e materialismo, Roma, Riuniti, Il soggetto
e il comune, Il marxismo e la cultura italiana, in Storia d'Italia, I
documenti, Einaudi. Un'incidenza notevolissima ha sugli studi leopardiani il
suo saggio Leopardi progressivo. Sulle
lezioni di Heidegger e Hartmann vedi l'aneddoto in Intervista in "Repubblica",
E. Sereni, Da Marx a Lenin: la categoria di formazione economico-sociale, Quaderni
di Critica marxista, Realtà e storicità: economia e dialettica nel marxismo, in
Critica marxista, Per l'interpretazione della categoria formazione
economico-sociale, in Critica marxista, Le radici della vita morale, in Morale e società, Riuniti, Roma); S. Lanfranchi,
Dal Leopardi ottimista della critica fascista al Leopardi progressivo della
critica marxista, Saggi critici in Garin, Esistenza e libertà, in Critica marxista,
G. Mele, Esistenzialismo e significato della libertà, Critica Marxista, A. Zanardo,
Un orizzonte filosofico materialistico, in Critica marxista, C. Rocca,
Esistenzialismo e nichilismo «Belfagor», R. Mapelli, Milano, ed. Punto Rosso, Ponte,
Ponte, Convegni Quarant'anni di
filosofia in Italia. "Critica marxista", Il fascicolo contiene gli
atti delle due giornate di studio sulla sua filosofia oorganizzate dalla
Facoltà di Lettere e filosofia dell'Firenze e dalla fondazione Gramsci di Roma,
Feltrinelli. Nella loro maggior parte i contributi riprendono gli interventi al
Convegno promosso dall'Firenze e organizzato dal Dipartimento di Filosofia. Treccani
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Senato della Repubblica; Biblioteche dei
Filosofi (SNS), su picus unica. L'ultima lezione (una grande avventura
intellettuale attraverso il Novecento), su hyperpoli. Sebbene
questo titolo rimandi a questioni di critica letteraria, e di fatto i risultati
della critica leopardiana costituiscano l’oggetto principale da cui muove
questo studio, essi saranno presentati e analizzati nelle prossime pagine
innanzitutto come un ‘documento’ storico : un documento che forse non ci darà
risposte soddisfacenti per comprendere meglio il pensiero leopardiano, ma
contribuirà invece alla nostra riflessione sull’iter culturale e ideologico di
alcuni intellettuali italiani, tra il 1940 e il 1948. Per affrontare il
problema della transizione e tentare di isolare alcuni elementi di continuità e
di rottura, il discorso svolgerà un percorso circolare : partendo dal saggio
pubblicato da Cesare Luporini nel 1947, Leopardi progressivo, al quale, in un
primo momento, si accennerà solo molto brevemente ; seguendo poi un cammino a
ritroso per rintracciare l’itinerario e le origini anche abbastanza lontane del
dibattito – iniziato sin da prima del Ventennio – da cui trae origine questo
testo ; e tornando infine al 1947 e al libro di Luporini, molto noto, anche
fuori dalla cerchia degli specialisti di Leopardi, tanto da esser divenuto un
‘classico’ studiato spesso sin dal liceo1. 2 Scrive Sebastiano Timpanaro
a proposito del titolo scelto da Luporini : « un titolo che per un vers (...) 3
Si tratta del v. 51 della Ginestra, in G. Leopardi, Poesie e prose, vol. I,
Poesie, a cura di M. A. (...) 4 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 64.
2 La scelta dell’aggettivo progressivo, benché avesse un’eco politica
particolare nella cultura comunista del primissimo dopoguerra2, era dettata dal
richiamo letterario alle « magnifiche sorti e progressive » de La Ginestra di
Leopardi3. Ma nella citazione di Luporini l’aggettivo perdeva il sapore
amaramente ironico di quel verso leopardiano ed assumeva invece un significato
totalmente positivo, per indicare una forma di fiducia nel « generale progresso
dell’incivilimento »4 che, secondo il critico, emana dalla lettura complessiva
di una poesia come La Ginestra e, forse soprattutto, da un’attenta analisi
dello Zibaldone di Leopardi. Questa fiducia non risiede però, per Luporini,
nell’individuo, bensì nella moltitudine, ovvero nel popolo e nella sua virtù, e
sfocia in una dichiarazione di solidarietà tra gli uomini tutti, contro la
natura, per un progresso generale della condizione umana. 3 La vivacità
delle reazioni che suscitò il saggio quando fu pubblicato dà una preziosa
indicazione di quanto originale e quanto importante fosse l’interpretazione
proposta da Luporini. Per illustrare l’accoglienza che ricevette è
particolarmente utile la recente testimonianza di Franz Brunetti, che sarebbe
poi diventato professore di filosofia e specialista di Galilei, ma che allora
era ancora al terzo anno di studi della Scuola normale superiore di Pisa, dove
Luporini appunto insegnava. Brunetti ricorda perfettamente il Leopardi
progressivo, la cui lettura creò interesse e agitazione fra i normalisti : ne
discutevano animatamente nei corridoi, nelle stanze e durante i pasti nella
sala da pranzo soprattutto gli italianisti Giulio Bollati, Luigi Blasucci,
Dante della Terza, che trascinavano tutti gli altri. Era lecita una definizione
politica del poeta ? Era corretta siffatta operazione ideologica ? Non era
forse più opportuna una ricomposizione unitaria del pensiero leopardiano […]
? 5 F. Brunetti, Il « nostro » professore Cesare Luporini, in Cesare
Luporini 1909-1993, a cura di M. M (...) La discussione, animata e per certi
versi lacerante, si protrasse per giorni, riecheggiando sotto le volte dei
corridoi nel Palazzo dei Cavalieri. Fu però efficace, perché fece rientrare la
sensazione provocatoria del saggio e ricondurre l’elemento ideologico e il «
tecnicismo filosofico » nelle giuste dimensioni, sortendo d’altro canto
l’effetto di mettere in discussione l’apollineità in cui la critica crociana
mirava a rinchiudere la poesia e insieme il poeta. Non è un caso che da quello
stesso anno [1948] anche il lavoro critico di Luigi Russo si attestò in una
valorizzazione della « politicità » dei poeti, rompendo, proprio lui, il
dominante schema crociano. Una pietra gettata nello stagno, una fertile
provocazione intellettuale.5 4 Quanto racconta Brunetti è, per molti
aspetti, significativo e rappresentativo del clima ideologico e culturale di
quegli anni, e della transizione che si sta operando, anche nel piccolo mondo
della critica letteraria. 6 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p.
38 e 92. 7 W. Binni, La nuova poetica leopardiana, Firenze, Sansoni, 1947.
Sebbene molto diversi, il testo di (...) 5 Brunetti definisce il testo di
Luporini un’« operazione ideologica », in quanto offre una lettura non solo
eminentemente politica dell’opera leopardiana, ma una lettura esplicitamente
comunista. Luporini vede in Leopardi un « anticipatore di ulteriori dottrine »,
« fedele ai principi della democrazia rivoluzionaria, anche più avanzata »6. In
questo senso, il 1947 segna, col saggio di Luporini – e col saggio altrettanto
noto di Walter Binni, La nuova poetica leopardiana, pubblicato lo stesso anno7
– una svolta decisiva nella storia della fortuna leopardiana, inaugurando la
proficua stagione della critica leopardiana del secondo Novecento, segnatamente
della critica detta marxista. 6 D’altra parte, Brunetti considera che
l’opera di Luporini era, nel contesto culturale della seconda metà degli anni
Quaranta, una vera e propria « pietra gettata nello stagno » e una « fertile
provocazione intellettuale », in quanto rimetteva in questione il « dominante
schema crociano ». Con quest’ultima osservazione, Brunetti non rende, tuttavia,
conto di quanto fosse recente tale « dominio ». Se è vero, infatti, che il
metodo crociano si era imposto nel mondo culturale di quel primissimo
dopoguerra, durante tutto il Ventennio e anche durante la guerra esso era stato
sì prevalente, ma solo nella cerchia, in realtà abbastanza ristretta, degli
intellettuali ostili o estranei al fascismo. Di sicuro non era stato lo «
schema dominante » imposto negli studi letterari, nelle riviste, nelle
accademie e nelle università dell’Italia fascista. 8 Croce conia la voce
« allotrio » per indicare ciò che è estraneo all’estetica, rifacendosi al vocab
(...) 9 Per l’influenza di Giovanni Gentile sul mondo culturale in epoca
fascista, si veda in particolare G (...) 10 Il ruolo di Vittorio Cian
(1862-1951) negli studi letterari del Ventennio e nel periodo di transizi (...)
11 Arturo Marpicati (1891-1961) compie studi di letteratura italiana a Firenze,
pubblica alcune raccol (...) 12 Ecco quanto scriveva, ad esempio, Vittorio
Cian, nel 1933, rivolgendosi a Croce e ai suoi discepoli (...) 13 Mi sia
consentito di rimandare in questa sede a due testi miei, entrambi accessibili
in linea : S. (...) 7 In realtà, durante il Ventennio solo una minoranza
di critici – pur trattandosi di una minoranza quantitativamente e soprattutto
qualitativamente importante – aveva seguito l’idea crociana dell’autonomia
dell’arte, e quindi perlopiù evitato di dare una lettura apertamente politica
dei testi letterari. Erano relativamente pochi i critici che aderivano al
principio secondo cui gli elementi che in un’opera d’arte contengono un
messaggio dichiaratamente politico o morale sono « allotri »8, ovvero estranei
alla vera poesia del testo, perché non corrispondono allo slancio primo e
poetico dell’intuizione estetica. A questi si opponeva la critica di stampo
fascista, nelle cui file, ben più folte, troviamo uomini di grande influenza e
di grande potere nell’ambiente culturale ed accademico, come un Giovanni
Gentile9, un Vittorio Cian10, ma anche un Arturo Marpicati11. Essi
contestavano, anche violentemente, la lezione crociana12, mentre rivendicavano,
per tutti i testi letterari, la legittimità di una lettura morale, politica,
improntata all’attualità. La tendenza ad ‘attualizzare’ il significato delle
opere fu portata a tal segno da far loro presentare, talvolta e anzi spesso, i
classici della letteratura italiana come precursori del fascismo13. 8 Non
era dunque la prima volta che si buttavano pietre nello stagno della critica
crociana ; si potrebbe quasi dire, anzi, che non si era fatto altro che
buttarvi pietre durante tutto il Ventennio. 14 In realtà, i primi sintomi
di « insofferenza » Russo li diede sin dal 1941, mentre scriveva un arti (...)
15 Ibid., p. 4. 9 Perciò, quando Brunetti denuncia « l’apollineità » in cui
Croce rinchiude i poeti, e quando ricorda l’itinerario di Luigi Russo – che in
quegli anni, dopo esser stato a lungo un fedele discepolo crociano, da Croce
prende appunto le distanze14 – egli ci fa intuire non tanto una rottura, quanto
una ‘transizione’ interessante. Tra i critici che erano stati antifascisti negli
anni Venti e Trenta, molti cominciano, sin dai primissimi anni Quaranta, a
maturare un progressivo allontanamento dalla posizione crociana, proprio perché
si sentono vincolati da quell’implicito divieto di ‘allotrismo’ che
caratterizza la produzione critica crociana, rivendicando la possibilità di
considerare « la politicità nascosta » anche nella « grande poesia »15.
Arrivati al 1947 o 1948, sembrano ormai giunti al punto di rottura. Ma quel che
preme qui sottolineare è che vi è dunque una continuità, non certo nei
contenuti politici – affatto diversi – ma potremmo dire nel metodo e nei
presupposti teorici ed estetici che vengono opposti a Croce durante e dopo il
Ventennio, ovvero nella comune rivendicazione ‘allotrica’. 10 Il testo di
Luporini segna senz’altro una svolta nella fortuna critica di Leopardi nel
Novecento, quando lo si studia come punto di partenza di una tradizione
critica, e in questo modo esso viene generalmente e giustamente valutato.
L’intento di questo lavoro sarà invece di considerarlo come punto di approdo
problematico di un’altra tradizione critica, non posteriore ma anteriore,
vigente nel Ventennio e di stampo generalmente fascista, con cui il testo di
Luporini, nonostante le fondamentali differenze, ha in comune almeno due
aspetti essenziali. Il primo è appunto l’opposizione all’estetica crociana che
è già stata evocata e che potrebbe, senz’altro, esser estesa a gran parte della
critica letteraria, non trattandosi di una specificità leopardiana ; il secondo
è l’idea – sulla quale verterà più precisamente questo studio – di un
fondamentale ottimismo leopardiano. Ora, una certa paternità del tema
dell’ottimismo leopardiano, così come lo sviluppa Luporini, può essere
attribuita a Giovanni Gentile e ad un suo saggio sulle Operette morali di
Leopardi, scritto nel 1916. Questo, invece, è un discorso specifico, valido per
la sola critica leopardiana. 11 L’ipotesi di una continuità tra
l’interpretazione che Luporini dà di Leopardi nel 1947 e la produzione critica
degli anni Venti e Trenta, con una comune opposizione a Croce, ma anche una
comune matrice – almeno parziale – gentiliana, è convalidata sia dall’analisi
dei testi, come vedremo, che dalla stessa biografia di Luporini e da quanto lui
stesso racconta della propria esperienza. La vicenda umana, ideologica e
culturale di Luporini in quel decennio che va dalla seconda metà degli anni
Trenta alla fine degli anni Quaranta è, per molti aspetti, emblematica proprio
di quel profilo di intellettuale nella transizione tra fascismo e Repubblica.
16 C. Luporini, Critica e metafisica nella filosofia kantiana, « Rendiconti
della Reale Accademia Nazi (...) 17 Il testo faceva parte di un volume scritto
dai docenti del liceo dove Luporini insegnava, in occasi (...) 18 Nella sua
autobiografia, Norberto Bobbio cita un disegno di Renato Guttuso che illustra
una delle p (...) 19 C. Luporini, Qualcosa di me stesso (25 maggio 1979), in
Cesare Luporini 1909-1993, cit., p. 239. Qu (...) 12 Cesare Luporini
(1909-1993) si è laureato a Firenze nel 1935, dopo aver studiato anche in
Germania, dove fu in contatto con Heidegger e Hartmann. La sua tesi di
filosofia su Kant, d’impostazione esistenzialistica, è letta e molto apprezzata
da Gentile, il quale decide di presentarla, nel febbraio del 1935,
all’Accademia dei Lincei di cui era socio16. Dopo aver conseguito la laurea,
Luporini insegna al liceo, prima a Livorno, dove pubblica un primo testo su
Leopardi, di cui dà un’interpretazione esistenzialistica e la cui impostazione
reca già segni evidenti di anticrocianesimo17. Nel 1938 torna a Firenze ed
entra a far parte del movimento liberalsocialista di Aldo Capitini e Guido
Calogero, nel quale frequenta anche Norberto Bobbio, Renato Guttuso e Umberto
Morra18. Nel 1939 Gentile lo chiama alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove
era disponibile un posto di lettore di tedesco. C’era, tra Gentile e Luporini,
un rapporto che Luporini stesso ebbe a definire « di grande franchezza politica
», sin dal 1937, quando i due uomini si conobbero meglio, e fino alla morte di
Gentile, avvenuta nel 194419. Luporini non aveva approvato la decisione del
movimento liberalsocialista di confluire nel Partito d’Azione e si era perciò
ritirato nel 1942, per aderire invece, nell’agosto del 1943, al Partito
Comunista. Luporini si trovava quindi agli esatti antipodi politici di Gentile
: eppure egli stesso racconta di come avesse tentato, nel 1943, di convincerlo
ad abbandonare la Repubblica di Salò e avesse anche creduto di riuscire nel suo
intento, definendo « tragica » ma anche « consapevole » la sua fine : 20
Ibid., p. 240. Non mi soffermerò sull’ultima fase di Gentile, tragica. Ricordo
solo che, certo illusoriamente, cercai di persuaderlo a che si tirasse fuori
dal fascismo, nel frattempo divenuto la Repubblica di Salò. Nel novembre del ’43,
al Salviatino, dove abitava, ebbi con lui un incontro che non finiva mai,
perché non riuscivo a rimanere solo con lui. Quando ce la feci, lo misi al
corrente di quello che stava succedendo, dandogli delle notizie che
evidentemente non gli davano le autorità fasciste – era stato anche ucciso uno
del suo entourage – mentre io le avevo dalla rete clandestina in cui mi
trovavo. Me ne uscii con la sensazione che forse qualcosa avevo ottenuto.
Invece, non era così : due giorni dopo, venne fuori che il ministro Biggini
s’era recato lì, al Salviatino, per offrirgli la presidenza dell’Accademia
d’Italia, e che Gentile aveva accettato (ma, quand’ero stato da lui, non me
l’aveva detto). E così s’avviò verso un destino di cui in qualche modo aveva
consapevolezza.20 13 Poche settimane dopo quest’episodio, Gentile propone
a Luporini di diventare bibliotecario dell’Accademia d’Italia. Ma Luporini
rifiuta, sancendo così la fine del suo rapporto con Gentile : un rapporto che,
nella nostra prospettiva, è senz’altro importante e che invece è stato quasi
integralmente passato sotto silenzio. In realtà, di Luporini si ricorda
soprattutto l’attività posteriore al 1945, in particolare quella che svolse
come co-fondatore – con Bianchi Bandinelli – della rivista “Società”, e in
seguito come direttore della stessa. La storia di questa rivista illustra
l’evoluzione di molti intellettuali di sinistra dopo la Liberazione, proprio
per il vincolo che venne rapidamente a crearsi col partito comunista. Parlando
di « Società » e dei suoi intenti programmatici, Luporini dichiara nel 1979 che
per lui, l’idea principale era 21 Ibid., p. 244. d’una saldatura fra
quella cultura degli anni trenta di cui ho parlato – quella rottura con il
passato che eravamo venuti preparando lentamente, modestamente, molecolarmente
– e la cultura di quelli che venivano da fuori, soprattutto i dirigenti
comunisti, e segnatamente Togliatti. Perciò, non ero d’accordo con Vittorini,
con la sua idea, nel « Politecnico » d’una « nuova cultura ». I contenuti li
avevamo in comune, più o meno ; però io ero per un continuismo, non assoluto,
naturalmente, ma rispetto a quel che ho detto.21 22 Ibid., p. 241. 14 Per
illustrare meglio le forme di questo « continuismo », bisogna rifarsi alle
pagine che precedono questa citazione, in cui Luporini descrive l’ambiente
culturale della Firenze degli anni Trenta e il gruppo di intellettuali
antifascisti che vi frequentava. Luporini dichiara in quest’occasione che « da
un certo punto di vista la vera dittatura era proprio quella idealistica » e
che, nel campo specifico della letteratura e della storiografia, l’idealismo «
dittatoriale » era forse più crociano che non gentiliano22. Continua poi la
narrazione del proprio iterintellettuale, negli anni Trenta e Quaranta, che
Luporini descrive come un percorso che consta di due tappe fondamentali, due
svolte, anzi due transizioni. La prima avviene negli anni Trenta, quando
Luporini prende le distanze dall’idealismo crociano e scopre l’esistenzialismo
; la seconda, negli anni Quaranta, quando dall’esistenzialismo Luporini si
sposta verso posizioni marxiste. 15 Questi pochi elementi biografici
offrono due spunti notevoli per l’analisi della produzione di Luporini. In
primo luogo, il rapporto personale più approfondito che Luporini aveva con Gentile
e non con Croce induce a riconsiderare l’influenza dell’uno e dell’altro sulla
sua prima formazione, da giovane studente e studioso di filosofia e di
letteratura. In secondo luogo, nell’esprimere a posteriori il programma della
sua rivista « Società », Luporini formula una precisa volontà culturale ed
ideologica propria di quel periodo di transizione, che consiste nel superare
l’idealismo crociano e nel consentire una forma di « continuismo » tra una
certa cultura anticrociana degli anni Trenta e quella degli anni Quaranta.
Applicati alla critica leopardiana del dopoguerra, questi due elementi
dimostrano quanto fosse complessa e problematica l’eredità della critica
fascista e della critica idealista. 23 C. Luporini, Con Heidegger
1931-1933. Alcune riflessioni, oggi, tra filosofia e politica, in Heideg (...)
24 G. Gentile, Manzoni e Leopardi (1928), in Opere, vol. XXIV, Firenze,
Sansoni, 1960. 16 Leopardi, d’altronde, offre una prospettiva privilegiata per
analizzare il rapporto tra Croce, Gentile e Luporini. Era il poeta prediletto
di Luporini : « Leopardi è stato sempre il mio autore », dichiarava Luporini
nel 198923, e come tale, egli continuò a leggerlo e a rileggerlo da un capo
all’altro della sua vita. Ma era anche un poeta molto amato da Gentile – benché
numerose e importanti fossero le differenze tra il materialismo dell’uno e
l’attualismo dell’altro – e la costanza del suo interesse per Leopardi ci è
testimoniata dalla regolarità con la quale il filosofo siciliano pubblicò per
più di trent’anni, tra il 1907 e il 1938, testi sul pensiero e sulla poesia di
Leopardi, poi raccolti in un unico volume24. D’altro canto, invece, Leopardi
non è stato un autore particolarmente apprezzato né compreso da Croce. Citiamo
qui l’allegro commento di uno studioso che era stato suo discepolo, Vincenzo
Gerace, e che nel 1929 dichiarava : 25 V. Gerace, Leopardiana, in La
tradizione e la moderna barbarie. Prose critiche e filosofiche, Folig (...)
Croce non ama Leopardi. Non può amarlo. Gli dà forte sui filosofici nervi. Gli
è d’impaccio al teorico passo, uso a scalciare stizzoso, ovunque lo trovi, quel
terribile nemico della sua teoria estetica : l’intellettualismo e il moralismo
nel mondo dell’arte. Or se c’è un intellettualista e un moralista convinto e di
altissimo stile nella storia della nostra poesia, e tenace in teorie e in
fatti, questi è Leopardi.25 26 B. Croce, Leopardi in Poesia e non poesia,
Bari, Laterza, 1923, pp. 103-119. 27 Ibid., p. 107. 17 Gerace allude qui
senz’altro al celebre testo che Croce pubblica dapprima su « La Critica » e poi
nel volume Poesia e non poesia del 192326. La principale critica che Croce
rivolge alla poesia di Leopardi è di esser intrisa di elementi allotri, di
momenti meditativi, filosofici, polemici, che sono, per il critico idealista, profondamente
estranei alla pura ispirazione e intuizione poetica. Come tali, Croce non li
considera veramente poetici, tanto che, nel suo esame complessivo dei versi
leopardiani, egli considera che solo un numero relativamente ridotto
corrisponda alla sua definizione di poesia. Croce non emette riserve unicamente
sulla poesia di Leopardi, ma ne esprime di ancora più forti sul valore della
sua filosofia. Per Croce, il pensiero leopardiano è dettato innanzitutto dal
sentimento, anzi dal risentimento per una « vita strozzata », ed è dunque
troppo soggettivo per essere considerato un pensiero filosofico universale. In
questa prospettiva, Croce interpreta il pessimismo o ottimismo di Leopardi come
un indizio dell’origine prettamente sentimentale del suo pensiero, e quindi
come una prova della sua pochezza concettuale : « La filosofia », afferma
Croce, « in quanto pessimistica o ottimistica è sempre intrinsecamente
pseudo-filosofia, filosofia a uso privato »27. 28 I due testi si trovano
oggi nel volume di G. Gentile, Manzoni e Leopardi, cit. Il primo, Le Operett
(...) 29 Ibid., p. 164 30 Ibid., p. 163. 18 In queste pagine, Croce sta in
realtà dialogando con colui che era, da molti anni ma per pochi mesi ormai, un
amico ed un collaboratore, Giovanni Gentile, il quale aveva pubblicato, nel
1916 e nel 1919 due saggi – il primo sulle Operette morali, il secondo
intitolato Prosa e poesia nel Leopardi – decisivi per la questione della
filosofia pessimistica o ottimistica di Leopardi28. Anche Gentile, come Croce,
giudica severamente la qualità filosofica del pensiero leopardiano, dichiarando
che « se cerchiamo in lui il filosofo, avremo lo scettico, ironista,
materialista piuttosto mediocre nell’invenzione »29. Gentile formula, tuttavia,
un’interpretazione ben diversa, molto più feconda ed originale, della questione
del pessimismo o ottimismo di Leopardi. Senza negare del tutto il suo
pessimismo, Gentile lo ridimensiona attribuendolo storicamente e
concettualmente alla sola influenza della filosofia materialista, direttamente
ereditata dai Lumi. Si tratta quindi di un « pessimismo della ragione »
settecentesca, che Gentile giudica, tutto sommato, superficiale e poco
originale, e al quale oppone invece un « ottimismo del cuore », profondamente
radicato nell’animo leopardiano. Così scrive nel 1919 : « Il Leopardi,
pessimista di filosofia, e quasi alla superficie, fu invece ottimista di cuore,
e nel profondo dell’animo : tanto più acutamente pessimista col progresso della
riflessione, e tanto più altamente e umanamente ottimista »30. 31 Vi è,
nello Zibaldone, un’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia », come vi è,
del resto, un (...) 32 Ricordiamo, a tale proposito, il giudizio formulato da
Augusto Del Noce, secondo cui Gentile « sent (...) 33 F. Pasini, Tutto il pessimismo
leopardiano, Parenzo, Coanna, 1928, p. 5. 19 Gentile dà particolare rilievo
alla tesi di un’ultrafilosofialeopardiana31, supponendo l’esistenza di una
sorta di pensiero leopardiano oltre la filosofia pessimistica e materialistica
: un pensiero più autentico, perché più intimamente poetico, più spirituale e
quindi, per Gentile, più leopardiano32. La rivalutazione gentiliana delle
Operette morali e l’interpretazione in chiave ottimistica del pensiero
leopardiano segnano un momento importante nella storia della critica, avviando
un nuovo filone esegetico che gode di particolare successo durante il
Ventennio. Si assiste allora, come nota un critico nel 1928, ad un «
capovolgimento, del punto di vista dal quale si usava considerare Leopardi » :
da « poeta del pessimismo » che era « per tutti », Leopardi « è diventato il
poeta dell’ottimismo »33. 34 F. De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi, in
Scritti critici e Ricordi, Torino, Utet, 1986, p. 159. 35 Per una presentazione
dei testi, dei contenuti e degli autori di questa particolare produzione crit
(...) 20 Sin dall’Ottocento, De Sanctis aveva esaltato l’effettopositivo
prodotto dalla lettura della poesia leopardiana, dichiarando che « Leopardi
produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e
te lo fa desiderare ; non crede alla libertà, e te la fa amare »34. Negli anni
Venti e Trenta, tuttavia, l’intento della critica leopardiana è rivelare
elementi intrinsecamente positivi ed ottimistici, non nell’effetto prodotto sui
lettori, ma alla matrice stessa del pensiero leopardiano. L’opposizione
proposta da Gentile nel 1919, tra un pessimismo della ragione ed un ottimismo
del cuore viene ampliamente ripresa e riesplorata, dando adito a tutta una
serie di interpretazioni che potremmo definire irrazionali e fideistiche. Oltre
il pessimismo materialista, oltre il razionalismo disperato, la cui importanza
viene sistematicamente sminuita, molti critici cercano ed esaltano lo slancio
ottimistico della fede leopardiana : fede nella poesia, ma anche e spesso
soprattutto fede nella patria e nella stirpe italiana. In questo senso potremmo
interpretare alcune letture mistiche che vengono date di Leopardi e del suo
pensiero negli anni Trenta soprattutto35. 36 S. Lanfranchi, De centenaire
en centenaire. L’Italie fasciste célèbre ses poètes (Foscolo 1927, Leo (...) 21
Non è certo questo il luogo per analizzare questa produzione, vasta seppur
povera di elementi filologici e critici realmente nuovi. Ai fini del nostro
discorso, preme tuttavia osservare che un argomento ricorre sovente tra questi
testi, che consiste nel dare una spiegazione prettamente contestuale e storica
al pessimismo di Leopardi, negandogli di fatto un valore universale. Il motivo
fondamentale del pessimismo leopardiano è, per la critica di stampo fascista
degli anni Venti e Trenta, di natura politica, anzi patriottica. Morto nel
1837, Leopardi non ha assistito né agli albori del Risorgimento, né alla prima
guerra mondiale, né tanto meno alla marcia su Roma : se invece fosse stato
spettatore e attore di tali avvenimenti, egli – assicurano tali critici – non
sarebbe stato pessimista. Questo argomento costituisce un vero e proprio topos
oratorio, ripetuto centinaia di volte in occasione dei discorsi ufficiali e
delle commemorazioni del Ventennio, poiché, nonostante sia fondato su un
anacronismo e quindi scientificamente non abbia alcun valore, la sua efficacia
retorica è notevole. E segnatamente lo si trova nel 1937, quando, in occasione
del centenario della morte, il regime organizzò, spesso controllandoli e
canalizzandoli, tutta una serie di festeggiamenti ufficiali, in cui Leopardi
veniva molto spesso presentato come un precursore del fascismo36. 22 Vi
furono però alcune celebrazioni che riuscirono a rimanere in margine delle
commemorazioni ufficiali e quindi a garantire una certa libertà di espressione
rispetto alla produzione su Leopardi. Tra queste, troviamo l’annuario di un
liceo livornese, che nel 1938 pubblicò un numero speciale con vari studi
consacrati a Leopardi. Il secondo, intitolato Il pensiero di Leopardi, era
proprio il testo di Cesare Luporini, che in quel liceo appunto insegnava
filosofia. In questo saggio, l’intento primo di Luporini non è solo di
presentare un Leopardi esistenzialista, ma anche e forse soprattutto di
contestare la posizione dell’idealismo, sia crociano che gentiliano,
rivendicando innanzitutto il valore filosofico del pensiero leopardiano e
quindi anche del suo pessimismo. Luporini non esita a metterlo a confronto con
i maggiori filosofi dell’Occidente : 37 C. Luporini, Il pensiero di
Leopardi, cit., p. 68. Tra il pessimismo del Pascal, ultima grandiosa
affermazione del medioevo religioso e il pessimismo del Leopardi, c’è l’età
dell’illuminismo nei suoi ideali più alti, c’è Cartesio e Kant (che pur
Leopardi non conosceva), c’è insomma il pensiero moderno che fonda tutto il
valore dell’uomo nella sua dignità morale e questa sua dignità morale nella
verità che egli ha raggiunto colle proprie forze, rivelata alla sua
ragione.37 38 Secondo Sebastiano Timpanaro : « L’esperienza
esistenzialistica [Luporini] se l’era ormai lasciata (...) 39 C.
Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 97. 40 Ibid., pp. 101-102. 23 Sarebbe
opportuno comprendere se vi siano elementi comuni tra i due testi di Luporini
su Leopardi, scritti a distanza di dieci e decisivi anni. Sussistono poche
tracce del Leopardi esistenzialista del 1938 nel Leopardi progressivo del
194738. Un lascito più evidente consiste invece nella condanna duratura e
permanente di Croce – di cui Luporini cita esplicitamente « l’infelice giudizio
» su Leopardi39. Per Luporini, non solo la poesia di Leopardi è sempre vera
poesia, ma anche il suo pensiero, potremmo dire, è vero pensiero, vera
filosofia. Leopardi, dice Luporini nel 1947, « fu un pensatore progressivo ; in
certo modo, dentro i limiti della sua funzione di moralista, di non-tecnico
della filosofia né di alcuna disciplina particolare, il più progressivo che
abbia avuto l’Italia nel xix sec. »40. 24 L’interpretazione data da
Gentile – che invece Luporini nel suo testo non cita mai – e la stagione di
studi sul Leopardi ottimistico che essa inaugurò per il Ventennio fascista
lasciano invece dietro di sé, e sul saggio di Luporini in particolare,
un’eredità molto più complessa da cogliere e da valutare. Nell’insistere sul
materialismo del pensiero leopardiano, Luporini intendeva senz’altro opporsi
alla lettura idealistica e spirituale di Gentile. È inoltre significativa la
scelta di Luporini, che non parla di un Leopardi ottimista, ma progressivo,
rifacendosi perciò ad un lessico di tutt’altra connotazione ideologica. Vi
sono, tuttavia, anche alcuni elementi di continuità, e ci soffermeremo
brevemente su tre di questi. 41 Ibid., pp. 49 e 69. 42 S. Timpanaro,
Classicismo e illuminismo, cit., p. 180. 25 Il primo sta nell’origine
contestuale e storica che Luporini attribuisce al pessimismo leopardiano, il
quale deriva, secondo lui, da una delusione storica : la delusione della
Rivoluzione francese. « Questa delusione – scrive Luporini – non spiega solo il
pessimismo storico di Leopardi, ma il suo successivo e rapido ‘pessimismo
cosmico’ ; ossia spiega tutto il pensiero leopardiano. I due pessimismi nascono
da un unico germe, appartengono a un unico processo di pensiero »41. Nel 1965,
esprimendo un giudizio complessivamente molto positivo sul testo di Luporini,
Sebastiano Timpanaro emette la principale sua riserva proprio su questa
interpretazione, che giudica insufficiente in quanto non rende conto del «
valore permanente del pessimismo leopardiano »42. Nella nostra prospettiva, è
importante notare che la spiegazione storica, benché usasse altri mezzi e
perseguisse altri fini, era già usata in modo sistematico dalla critica
fascista, escludendo a priori l’idea di un pessimismo non fondato sulla storia,
ma sulla condizione umana in senso universale e astorico. 43 C. Luporini,
Leopardi progressivo, cit., p. 50. 44 Ibid., p. 60. 26 Il secondo elemento di
continuità sta nel giudizio, proprio di Luporini ma anche della critica
fascista, secondo cui nonostante il pessimismo scaturito dalla delusione
storica, vi fosse in Leopardi una “inconcussa e nascosta fede”43, qualcosa che
lo induceva comunque a sperare. Come Gentile, anche Luporini dà un notevole
rilievo a quell’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia » nello
Zibaldone, ma le attribruisce contenuti affatto diversi perché in essa « sembra
condensarsi la “disperata speranza” dell’individuo Leopardi »44. 45
Ibid., p. 38. Timpanaro considera che non era « accettabile » il « rimprovero »
mosso a Luporini, d (...) 27 Il terzo ed ultimo elemento di continuità, tra il
testo di Luporini e la produzione critica del Ventennio, sta infine nel
presentare Leopardi quale un « anticipatore di ulteriori dottrine »45. In
entrambi i casi, Leopardi diventa precursore politico di un’ideologia del
Novecento e, in entrambi i casi, diventa precursore di un’ideologia
strutturalmente ottimistica. L’ottimismo era, infatti, un aspetto culturale e
ideologico programmatico per il fascismo ma, d’altra parte, il progresso – e
quindi la visione ottimistica del divenire umano che lo sottende – è a sua
volta un perno essenziale dell’ideologia comunista. 46 C. Luporini,
Leopardi moderno, intervista a cura di F. Adornato, « L’Espresso », 1°marzo
1987, p. 1 (...) 28 Su questo punto vorremmo abbozzare le nostre prime rapide
conclusioni. Parallelamente al discorso critico più tradizionale e canonico,
che sin dall’Ottocento va definendo le varie fasi del pessimismo leopardiano,
si possono rintracciare nel Novecento le tappe di elaborazione del mito di un
Leopardi ottimista : un mito che forse proprio durante il Ventennio conosce la
maggiore diffusione, ma che non muore con la caduta del regime fascista. Il suo
permanere, sotto forme diverse, è forse proprio dovuto al vincolo che lo unisce
ad ideologie strutturalmente ottimistiche, le quali, quando designano nel
Leopardi un precursore, lo « piegano » naturalmente in questo senso. Alla luce
di queste considerazioni, assumono un significato particolare le parole che
pronuncia lo stesso Luporini, in un altro periodo di transizione, alla fine
degli anni Ottanta, davanti al crollo del regime comunista e davanti alla crisi
di quest’altra ideologia novecentesca. Non a caso, Luporini ritorna allora a
studiare Leopardi, per trovarvi l’espressione del suo sgomento : « Il sapersi soli
di fronte alla storia, senza speranze – senza nessuna garanzia, senza nessuna
ideologia, senza nessuna consolazione »46. Siamo molto lontani dal messaggio
ottimistico del Leopardi progressivo, e rimane poco delle antiche speranze (di
Luporini). Rimane però quello stesso amore per Leopardi, e quel sentimento
della sua ‘attualità’ più pregnante : 47 Ibid. Nella nostra epoca così
confusa e in fase di assestamento, nella crisi di tutte le categorie con le
quali ci siamo mossi finora, questa mi sembra un’idea liberatoria. Si può, anzi
si deve, essere disillusi : ma non per questo inerti e rassegnati. Essere
nichilisti e insieme attivi : ecco l’attualissimo messaggio di
Leopardi.47Débat Inizio pagina NOTE 1 Il testo Leopardi progressivo fu
pubblicato per la prima volta nel volume Filosofi vecchi e nuovi :
Scheler-Hegel-Kant-Fichte-Leopardi, Sansoni, Firenze, 1947. Come Luporini
scrive in un’avvertenza ad una nuova edizione, datata del febbraio 1980, «
questo Leopardi progressivoebbe subito una sua risonanza particolare, così che
poi, nel corso di tutti questi anni, molte volte sono stato sollecitato a
ripubblicarlo in edizione separata. Questa domanda proveniva da varie parti, ma
soprattutto dal mondo della scuola (insegnanti e studenti), il che mi ha sempre
fatto particolare piacere » (C. Luporini, Avvertenze dal 1980 al 1992, in Id.,
Leopardi progressivo, Roma, Editori Riuniti, 2006, p. ix). 2 Scrive
Sebastiano Timpanaro a proposito del titolo scelto da Luporini : « un titolo
che per un verso alludeva polemicamente alle “magnifiche sorti e progressive”
derise nella Ginestra (volendo indicare che il Leopardi, nemico del falso
progresso borghese-moderato, mirava ad un progresso molto più radicale, al di
là dell’orizzonte politico della propria epoca e del proprio ambiente), per un
altro accoglieva quell’accezione un po’ sottile e non immune da ambiguità che
questo aggettivo ebbe per alcuni anni nel linguaggio politico italiano : non
equivalente a “progressista” (che sapeva troppo di radicalismo borghese), ma piuttosto
a “democratico avanzato”, di una democrazia destinata, senza rivoluzione, a
sfociare nel socialismo. Gli equivoci politici di quest’uso di “progressivo” ne
causarono la rarefazione e poi la scomparsa quando era ancora in vita
Togliatti, che ne era stato, se non l’inventore, certo il massimo diffusore
attraverso la formula della “democrazia progressiva” » (S. Timpanaro,
Antileopardiani e neomoderati nella sinistra italiana, Pisa, ETS, 1982, p.
150). 3 Si tratta del v. 51 della Ginestra, in G. Leopardi, Poesie e
prose, vol. I, Poesie, a cura di M. A. Rigoni, con un saggio di C. Galimberti,
Milano, Mondadori (I Meridiani), 1987, p. 125. 4 C. Luporini, Leopardi
progressivo, cit., p. 64. 5 F. Brunetti, Il « nostro » professore Cesare
Luporini, in Cesare Luporini 1909-1993, a cura di M. Moneti, numero speciale
della rivista « Il Ponte », LXV, 11, 2009, p. 60. 6 C. Luporini, Leopardi
progressivo, cit., p. 38 e 92. 7 W. Binni, La nuova poetica leopardiana,
Firenze, Sansoni, 1947. Sebbene molto diversi, il testo di Luporini e quello di
Binni hanno in comune l’originalità dell’impostazione critica, che contribuì a
rinnovare gli studi leopardiani nel dopoguerra. La migliore illustrazione e
analisi di tale svolta critica si trova forse ancora nelle pagine, ormai non
più recenti, di S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento
italiano, Pisa, Nistri Lischi, 1965, p. 133-137. 8 Croce conia la voce «
allotrio » per indicare ciò che è estraneo all’estetica, rifacendosi al
vocabolario filosofico tedesco dell’Ottocento, e al greco ἀλλóτριος, che
signifca « estraneo, altrui ». 9 Per l’influenza di Giovanni Gentile sul
mondo culturale in epoca fascista, si veda in particolare G. Turi, Giovanni
Gentile : una biografia, Firenze, Giunti, 1996. 10 Il ruolo di Vittorio
Cian (1862-1951) negli studi letterari del Ventennio e nel periodo di
transizione è stato recentemente studiato da Clara Allasia in una serie di
lavori, tra cui « Il virus malefico » dell’ideologia nazionale e le illusioni
di un « maestro di metodo » : Vittorio Cian, in Fascisme et critique
littéraire. Les hommes, les idées, les institutions, a cura di C. Del Vento e
X. Tabet, vol. II, Caen, PUC (Transalpina 13), pp. 33-60. 11 Arturo
Marpicati (1891-1961) compie studi di letteratura italiana a Firenze, pubblica
alcune raccolte di poesie e vari testi di critica letteraria. Ma sin dalla
prima guerra mondiale mette da parte l’attività letteraria – alla quale si
consacra solo sporadicamente – per dedicarsi invece alla politica, dapprima a
Fiume, poi nella militanza e nel regime fascisti. Assume vari incarichi
prestigiosi, tra cui quello di Cancelliere dell’Accademia d’Italia dal 1929,
poi di direttore, nel 1930, dell’Istituto nazionale di cultura fascista, e
anche di vice segretario del Partito Nazionale Fascista dal 1931 al 1934.
12 Ecco quanto scriveva, ad esempio, Vittorio Cian, nel 1933, rivolgendosi a
Croce e ai suoi discepoli : « Questi cerebrali, più o meno giovini, chierici
sterili e sterilizzatori, officianti nella Cappella all’insegna dello Spegnitoio,
dovrebbero ormai decidersi. O smetterla, rassegnandosi a tacere e a sparire
dalla scena letteraria – e sarebbe tanto di guadagnato – oppure mettersi al
passo coi tempi nuovi » (V. Cian, Rassegna bibliografica, « Giornale Storico
della letteratura italiana », LI, 102, 1933, p. 120). 13 Mi sia
consentito di rimandare in questa sede a due testi miei, entrambi accessibili
in linea : S. Lanfranchi, La recherche des précurseurs, Lectures critiques et
scolaires de Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo et Giacomo Leopardi dans l’Italie
fasciste, 2008
[http://tel.archives-ouvertes.fr/docs/00/37/21/89/PDF/theseversion7-12-08.pdf]
; Id., « Verrà un dì l’Italia vera », Poesia e profezia dell’Italia futura nel
giudizio fascista, « California Italian Studies », II, 1, 2011
[http://escholarship.org/uc/ismrg_cisj], consultato in data 9 marzo 2012.
14 In realtà, i primi sintomi di « insofferenza » Russo li diede sin dal 1941,
mentre scriveva un articolo sulla critica foscoliana recente, nel quale
rivendicava la « politicità » di un testo come Le Grazie e la legittimità di
una lettura che non si attenesse ad un’analisi strettamente letteraria,
estetica e formale. Questo esempio viene a dimostrare quanto detto subito dopo
nel nostro studio, ovvero l’ipotesi di un allontanamento progressivo dalle
posizioni crociane durante gli anni Quaranta, che nel 1947-1948 giunge a
compimento (L. Russo, Le Grazie di Foscolo e la critica contemporanea, « Italia
che scrive », XXIV, 2, 1941, pp. 3-4). 15 Ibid., p. 4. 16 C. Luporini,
Critica e metafisica nella filosofia kantiana, « Rendiconti della Reale
Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e
filologiche », s. VI, XI, 1935, pp. 87-115. 17 Il testo faceva parte di
un volume scritto dai docenti del liceo dove Luporini insegnava, in occasione
del centenario della morte di Leopardi, nel 1937 : C. Luporini, Il pensiero di
Leopardi, in Studi su Leopardi, Livorno, Belfronte e C., 1938 (Pubblicazioni
del R. Liceo Scientifico « Costanzo Ciano », 1), pp. 41-69. 18 Nella sua
autobiografia, Norberto Bobbio cita un disegno di Renato Guttuso che illustra
una delle prime riunioni clandestine del movimento, riunito nella villa di
Umberto Morra, vicino a Cortona, nel 1939. Vi si vedono Bobbio, Luporini,
Capitini (con davanti a sé un testo che porta la scritta « Non violenza »),
Morra, lo stesso Guttuso e Calogero (con un altro testo intitolato invece «
Liberalismo sociale ») (N. Bobbio, Autobiografia, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp.
41 e 172). 19 C. Luporini, Qualcosa di me stesso (25 maggio 1979), in
Cesare Luporini 1909-1993, cit., p. 239. Questo testo è la trascrizione «
dell’ultima lezione tenuta, dall’autore, nella Facoltà di Lettere di Firenze,
al momento dell’andata fuori ruolo » (ibid., p. 233). 20 Ibid., p. 240.
21 Ibid., p. 244. 22 Ibid., p. 241. 23 C. Luporini, Con Heidegger
1931-1933. Alcune riflessioni, oggi, tra filosofia e politica, in Heidegger in
discussione, Atti del Convegno internazionale « L’eredità di Heidegger », Roma,
29-31 maggio 1989, a cura di F. Bianco, Milano, Franco Angeli, 1992, p.
39. 24 G. Gentile, Manzoni e Leopardi (1928), in Opere, vol. XXIV,
Firenze, Sansoni, 1960. 25 V. Gerace, Leopardiana, in La tradizione e la
moderna barbarie. Prose critiche e filosofiche, Foligno, Franco Campitelli
Editore, 1929, p. 194. 26 B. Croce, Leopardi in Poesia e non poesia,
Bari, Laterza, 1923, pp. 103-119. 27 Ibid., p. 107. 28 I due testi
si trovano oggi nel volume di G. Gentile, Manzoni e Leopardi, cit. Il primo, Le
Operette morali, fu pubblicato per la prima volta in « Annali delle Università
toscane », XXXV (1916), poi come proemio di un’edizione delle Operette morali
curata da Gentile nel 1918 (G. Leopardi, Operette morali, con proemio e note di
G. Gentile, Bologna, Zanichelli, 1918) ; il secondo, Prosa e poesia nel
Leopardi, fu invece pubblicato, dal febbraio al marzo del 1919, nel «
Messaggero della domenica ». 29 Ibid., p. 164 30 Ibid., p.
163. 31 Vi è, nello Zibaldone, un’unica occorrenza del termine «
ultrafilosofia », come vi è, del resto, una sola occorrenza del termine «
pessimismo », ma nella critica leopardiana questi due hapax hanno goduto di
grandissimo successo. Il 7 Giugno 1820, Leopardi scriveva : « E un popolo di
filosofi sarebbe il più piccolo e codardo del mondo. Perciò la nostra rigenerazione
dipende da una, per così dire, ultrafilosofia, che conoscendo l’intiero e
l’intimo delle cose, ci ravvicini alla natura. E questo dovrebb’essere il
frutto dei lumi straordinari di questo secolo » (p. 115 del manoscritto dello
Zibaldone). 32 Ricordiamo, a tale proposito, il giudizio formulato da
Augusto Del Noce, secondo cui Gentile « sentì se stesso come il filosofo di
Leopardi, come il suo vero continuatore perché l’attualismo avrebbe realizzato
quell’ultrafilosofia a cui Leopardi aspirava » : A. Del Noce, Giovanni Gentile
: per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, Il
Mulino, 1990, p. 134. 33 F. Pasini, Tutto il pessimismo leopardiano,
Parenzo, Coanna, 1928, p. 5. 34 F. De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi,
in Scritti critici e Ricordi, Torino, Utet, 1986, p. 159. 35 Per una
presentazione dei testi, dei contenuti e degli autori di questa particolare
produzione critica leopardiana, oggi poco nota, rimando alla mia già citata
tesi di dottorato (S. Lanfranchi, La recherche des précurseurs, cit., in
particolare le pp. 171-180). 36 S. Lanfranchi, De centenaire en
centenaire. L’Italie fasciste célèbre ses poètes (Foscolo 1927, Leopardi 1937),
in Fascisme et critique littéraire, cit., vol. I, Caen, PUC, 2009 (Transalpina
12), pp. 115-126. 37 C. Luporini, Il pensiero di Leopardi, cit., p.
68. 38 Secondo Sebastiano Timpanaro : « L’esperienza esistenzialistica
[Luporini] se l’era ormai lasciata decisamente alle spalle ; eppure essa aveva
lasciato una traccia nell’interesse per i temi leopardiani della “vitalità” e
del rapporto natura-ragione, nel rifiuto di un’interpretazione troppo
storicisticamente angusta del problema Leopardi ». (S. Timpanaro,
Antileopardiani e neomoderati, cit., p. 149) 39 C. Luporini, Leopardi
progressivo, cit., p. 97. 40 Ibid., pp. 101-102. 41 Ibid., pp. 49 e
69. 42 S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo, cit., p. 180. 43 C.
Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 50. 44 Ibid., p. 60. 45
Ibid., p. 38. Timpanaro considera che non era « accettabile » il « rimprovero »
mosso a Luporini, di aver fatto di Leopardi un « precursore del marxismo » (S.
Timpanaro, Classicismo e illuminismo, cit., p. 134). Ma certe pagine del libro
di Luporini e alcune formule in esse contenute (segnatamente quell’« anticipatore
di ulteriori dottrine ») se non rendono « accettabile » un tale giudizio,
perlomeno ne spiegano l’origine. 46 C. Luporini, Leopardi moderno,
intervista a cura di F. Adornato, « L’Espresso », 1°marzo 1987, p. 116.
47 Ibid.
Cesare Luporini.
Luporini. Keywords: corpo e mente, corpo animato – l’anima di Vinci – la mente
di Leonardo – i corpi di Vinci – il Leopardi fascista. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Luporini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753674705/in/dateposted-public/
Grice e Luzzago—implicature – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Brescia). Filosofo. Nato da Girolamo e da Paola Peschiera, in una delle più importanti
famiglie del patriziato cittadino, e educato alla pratica devota e
all'apostolato. Nel convento di S. Antonio dei gesuiti si impegna in un corso
di filosofia. Dibatte in pubblico 737 argomenti filosofici! Con l'aiuto di
Borromeo partecipa a Milano ai corsi di teologia dei gesuiti di Brera. Si
laurea a Padova. Desideroso di entrare a far parte della Compagnia di Gesù, le
difficoltà economiche della famiglia, causate da alcune transazioni inopportune
del padre, glielo impedirono. Conservatore dei Monti di Pietà, e protettore della Compagnia delle Dimesse di S.
Orsola e di altri due istituti caritativi bresciani: il Soccorso e le Zitelle.
Ri-organizza e da nuovo impulse a un'altra istituzione sorta dopo il Concilio
di Trento: la Scuola della dottrina cristiana. Fonda la Congregazione di S.
Caterina da Siena. Per far sì che il suo operato continuasse, fonda la
Congregazione dello Spirito Santo, che raccolse i membri della classe dirigente
cittadina con l'obiettivo di co-operare più efficacemente e concordemente al
sostegno di tutte le buone istituzioni e mantenere un clima di Concordia.
Infatti, intercede per la conciliazione delle famiglie nobili bresciane spesso
in conflitto. La sua indole caritativa
emerse soprattutto quando venne a far parte del Consiglio di Brescia, dove sa
armonizzare le strutture governative ed organismi canonici. Nelle opere scritte
vi sono indicazioni per i cavalieri di Malta, sulla carità, ispirati al modello
della Compagnia di Gesù. Durante il suo viaggio a Roma esamina le strutture di
beneficenza per poi proporle a Brescia. Ha la possibilità di conoscere F. Neri.
In un'epistola a Morosini, e informato che Clemente VIII, prende in
considerazione il suo nome per la carica di arcivescovo di Milano. Fu avviata
presso la Congregazione dei riti la causa di beatificazione. Leone XIII,
riconosciute le sue virtù eroiche, gli conferì il titolo di venerabile. Dizionario Biografico degli Italiani, A. Cottinelli,
Vita del venerabile patrizio bresciano: dedicata ai comitati parrocchiali,
Tipografia e libreria Salesiana, A. Cistellini, Il movimento cattolico a
Brescia, Morcelliana. A. Fappani, Enciclopedia bresciana, Opera San Francesco
di Sales, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, S. Negruzzo, L'allievo santo: Roccio precettore, in «Annali di Storia
dell'Educazione e delle Istituzioni Scolastiche», S. Negruzzo, Dalla scuola dell'ajo
al collegio dei gesuiti: il caso di Luzzago, in Dalla virtù al precetto.
L'educazione del gentiluomo, Brescia,
Fondazione Civiltà Bresciana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alessandro
Luzzago. Luzzago. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Luzzago” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691213851/in/photolist-2mKLYZ2
Grice e Machiavelli – il principe – Machiavelli at
Oxford -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “While Strawson prefers
‘The Prince,’ my favourite Machiavelli is the dialogo, discorso, ovvero dialogo
intorno della lingua –“ Grice: “The full title makes it sound slightly analytic
– ‘whether it should be called ‘florentine, Italian, or tooscana’ I mean, a
stipulation!” -- Grice: “Like me, we can call Machiavelli a philosopher of
language – the trend being very Florentine between Machiavelli and Varchi.” -- possibly
Italy’s greateset philosopher – Noto come il fondatore della scienza politica
moderna, i cui principi base emergono dalla sua opera più famosa, Il Principe,
nella quale è esposto il concetto di ragion di stato e la concezione ciclica
della storia. Questa definizione, secondo molti, descrive in maniera compiuta
sia l'uomo sia il letterato più del termine machiavellico, entrato peraltro nel
linguaggio corrente ad indicare un'intelligenza acuta e sottile, ma anche
spregiudicata e, proprio per questa connotazione negativa del termine, negli
ambiti letterari viene preferito il termine "machiavelliano".
L'ortografia del cognome è, purtroppo, ambigua: la versione
"Macchiavelli", quella della statua a lui dedicata agli Uffizi, in
attesa di chiarimenti dell'Ufficio Culturale del museo o dell'Accademia della
Crusca, andrebbe considerata ugualmente corretta in lingua italiana. L'analisi
della firma del filosofo, riportata qui accanto, farebbe propendere per la
"c" singola[senza fonte]. «Nacqui povero, ed imparai prima a
stentare che a godere.» (N. Machiavelli, Lettera a Francesco Vettori.)
Niccolò Machiavelli (scritto anche Macchiavelli sulla statua a lui dedicata
all'ingresso degli Uffizi) nacque a Firenze, terzo figlio, dopo le sorelle
Primavera e Margherita e prima del fratello Totto; figlio di Bernardo e di
Bartolomea Nelli. Anticamente originari della Val di Pesa, i Machiavelli sono
attestati popolani guelfi residenti almeno dal XIII secolo a Firenze, dove
occuparono uffici pubblici ed esercitarono il commercio. Il padre Bernardo era tuttavia
di così poca fortuna da esser considerato, non si sa quanto veritieramente,
figlio illegittimo: dottore in legge, risparmiatore per carattere o per
necessità, ebbe interesse agli studi di umanità, come risulta da un suo Libro
di Ricordi che è anche la principale fonte di notizie sull'infanzia di Niccolò.
La madre, secondo un suo lontano pronipote, avrebbe composto laude sacre,
rimaste peraltro sconosciute, dedicate proprio al figlio Niccolò. Cominciò
a studiare latino con un certo Matteo, l'anno dopo si dedicava allo studio della
grammatica con Poppi, all'aritmetica e
l'anno seguente affrontava le prove scritte di componimento in latino. Opere in
questa lingua esistevano nella biblioteca paterna: la I Deca di Tito Livio e
quelle di Flavio Biondo, opere di Cicerone, Macrobio, Prisciano e Marco
Giuniano Giustino. Adulto, maneggerà anche Lucrezio e la Historia persecutionis
vandalicae di Vittore Uticense. Non conobbe invece il greco, ma poté leggere le
traduzioni di alcuni degli storici più importanti, soprattutto Tucidide,
Polibio e Plutarco, da cui trasse importantissimi spunti per la sua riflessione
sulla Storia. S'interessò alla politica anche prima di avere degli incarichi
istituzionali, come dimostra una sua lettera, la seconda che di lui ci è pervenutala
prima è una richiesta al cardinale Giovanni Lopez, affinché si adoperi a
riconoscere alla sua famiglia un terreno contestato dalla famiglia dei
Pazziindirizzata probabilmente all'amico Ricciardo Becchi, ambasciatore
fiorentino a Roma, nella quale egli si esprime in modo critico contro Girolamo
Savonarola. Due sono le fasi che scandiscono la vita di Niccolò
Machiavelli: nella prima parte della sua esistenza egli è impegnato soprattutto
negli affari pubblici; nella successiva nella scrittura di testi di portata
teorica e speculativa. Si apre la seconda fase segnata dal forzato
allontanamento dello storico e filosofo toscano dalla politica
attiva. «Della persona fu ben proporzionato, di mezzana statura, di
corporatura magro, eretto nel portamento con piglio ardito. I capelli ebbe
neri, la carnagione bianca ma pendente all'ulivigno; piccolo il capo, il volto
ossuto, la fronte alta. Gli occhi vividissimi e la bocca sottile, serrata,
parevano sempre un poco ghignare. Di lui più ritratti ci rimangono, di buona
fattura, ma soltanto Leonardo, col quale ebbe pur che fare ai suoi prosperi
giorni, avrebbe potuto ritradurre in pensiero, col disegno e i colori, quel
fine ambiguo sorriso» (Roberto Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli)
Caterina Sforza Riario, ritratta da Lorenzo di Credi. Niccolò aveva già
presentato al Consiglio dei Richiesti, la propria candidatura a segretario
della Seconda Cancelleria della Repubblica fiorentina, ma gli fu preferito un
candidato savonaroliano. Pochi giorni però dopo la fine dell'avventura politica
e religiosa del frate ferrarese, Machiavelli fu nuovamente designato ed eletto
il 15 giugno dal Consiglio degli Ottanta, elezione ratificata dal Consiglio
maggiore, probabilmente grazie all'autorevole raccomandazione del Primo
segretario della Repubblica, Marcello Virgilio Adriani, che il Giovio asserisce
essere stato suo maestro. Per quanto i compiti delle due Cancellerie
siano stati spesso confusi, generalmente alla prima si attribuivano gli affari
esterni, e alla seconda quelli interni e la guerra: ma i compiti della seconda
Cancelleria, presto unificati con quelli della Cancelleria dei Dieci di libertà
e pace, consistevano nel tenere i rapporti con gli ambasciatori della
Repubblica, cosicché, essendogli stata affidata, ianche questa ulteriore
responsabilità, Machiavelli finì per doversi occupare di una tale somma di
compiti da essere storicamente considerato, senza ulteriori distinzioni, il
«Segretario fiorentino». Era il tempo nel quale, conclusa l'avventura
italiana di Carlo VIII, la maggiore preoccupazione di Firenze era volta alla
riconquista di Pisaresasi indipendente dopo che Piero de' Medici l'aveva data
in pegno al re di Francia- e alleata di Venezia che, intendendo impedire
l'espansione fiorentina, aveva invaso il Casentino, occupandolo a nome dei
Medici. Il pericolo venne fronteggiato dal capitano di ventura Paolo Vitelli, e
la mediazione del duca di Ferrara Ercole I, iriconsegnò il Casentino a Firenze,
autorizzandola altresì a riprendersi Pisa. In marzo venne inviato a Pontedera,
dove erano acquartierate le milizie del signore di Piombino, Jacopo d'Appiano,
alleato di Firenze. In maggio scrisse il Discorso della guerra di Pisa
per il magistrato dei Dieci: poiché «Pisa bisogna averla o per assedio o per
fame o per espugnazione, con andare con artiglieria alle mura», esaminate
diverse soluzioni, si esprime favorevole a un assedio di «un quaranta o
cinquanta dì ed in questo mezzo trarne tutti gli uomini da guerra potete, e non
solamente cavarne chi vuole uscire, ma premiare chi non ne volesse uscire,
perché se ne esca. Dipoi, passato detto tempo, fare in un subito quanti fanti
si può; fare due batterie, e quanto altro è necessario per accostarsi alle
mura; dare libera licenza che se ne esca chiunque vuole, donne, fanciulli, vecchi
ed ognuno, perché ognuno a difenderla è buono; e così trovandosi i Pisani voti
di difensori dentro, battuti dai tre lati, a tre o quattro assalti sarìa
impossibile che reggessero». Il 16 luglio 1499 si presentò a Forlì alla
contessa Caterina Sforza Riario, nipote di Ludovico il Moro e madre di
Ottaviano Riario, che era stato al soldo dei fiorentini, per rinnovare
l'alleanza e ottenere uomini e munizioni per la guerra pisana. Ottenne solo
vaghe promesse dalla contessa che era già impegnata a sostenere lo zio nella
difficile difesa del Ducato milanese dalle mire di Luigi XII e dovette
ripartire senza aver nulla ottenuto. Era nuovamente a Firenze in agosto, quando
le artiglierie fiorentine, provocata una breccia nelle mura pisane, aprivano la
via alla conquista della città, ma il Vitelli non seppe sfruttare l'occasione e
temporeggiò finché la malaria non ebbe ragione delle sue truppe, costringendolo
a togliere l'assedio. Invano ritentò l'impresa: sospettato di tradimento,
quello che «era il più reputato capitano d'Italia» fu decapitato. Nessuna
prova vi era che il Vitelli fosse stato corrotto dai Pisani ma la
giustificazione di Machiavelli, a nome della Repubblica, in risposta alle
critiche di un cancelliere di Lucca, fu che «o per non havere voluto, sendo corropto,
o per non havere potuto, non avendo la compagnia, ne sono nati per sua colpa
infiniti mali ad la nostra impresa, et merita l'uno o l'altro errore, o tuct'a
due insieme che possono stare, infinito castigo». Conquistato il Ducato di
Milano, in risposta alla richieste fiorentine Luigi XII mandò suoi soldati a
risolvere l'impresa di Pisa le cui mura furono bensì abbattute nel luglio del
1500 ma né gli svizzeri né i francesi entrarono in città anzi, lamentando che
Firenze non li pagasse, levarono l'assedio e sequestrarono il commissario
fiorentino Luca degli Albizzi, che fu rilasciato solo dietro riscatto. A
Machiavelli, presente ai fatti, non restava che informare la Repubblica, che
decise di mandarlo in Francia, insieme con Francesco della Casa, per cercare
nuovi accordi che risolvessero finalmente la guerra di Pisa. Il cardinale
di Rouen Georges d'Amboise raggiunsero la corte francese a Nevers, presentando
al re e al ministro, cardinale di Rouen, le rimostranze per il cattivo
comportamento dei loro soldati; sapendo che Firenze non aveva al momento denari
sufficienti a finanziare l'impresa, invitarono Luigi a intervenire direttamente
nella guerra, al termine della quale la Repubblica avrebbe ripagato la Francia
di tutte le spese. Il rifiuto dei francesiche richiedevano a Firenze il
mantenimento degli svizzeri rimasti accampati in Lunigiana e minacciavano la
rottura dell'alleanzamise i legati fiorentini, privi di istruzioni dalla
Repubblica, in difficoltà, acuite dalla ribellione di Pistoia e dalle iniziative
che frattanto aveva preso in Romagna Cesare Borgia, i cui ambiziosi e oscuri
piani potevano anche indirizzarsi contro gli interessi fiorentini.
Occorreva, pagando, mantenere buoni rapporti con la Franciascriveva da Tours il
21 novembree guardarsi dalle macchinazioni del papa: così, ottenuto dalla
Signoria il denaro richiesto dalla Francia, Machiavelli poteva finalmente
ritornare a Firenze. Quella lunga permanenza nella corte francese verrà
dislocata negli opuscoli De natura Gallorum, dove i francesi verranno descritti
come «humilissimi nella captiva fortuna; nella buona insolenti più cupidi de'
danari che del sangue vani et leggieri più tosto tachagni che prudenti», con
una bassa opinione degli Italiani, e nel successivo Ritratto delle cose di
Francia, dove, spostandosi su un piano d'analisi prettamente politica, finisce
col fare della Francia l'esemplare dello stato moderno. Soprattutto egli
insiste sul nesso fra la prosperità della monarchia e il raggiunto processo di
unificazione nazionale, sentito come la lezione peculiare delle "cose di
Francia". Cesare Borgia «Questo signore è molto splendido e
magnifico, e nelle armi è tanto animoso che non è sì gran cosa che non gli paia
piccola, e per gloria e per acquistare Stato mai si riposa né conosce fatica o
periculo: giugne prima in un luogo che se ne possa intendere la partita donde
si lieva; fassi ben volere a' suoi soldati; ha cappati e' migliori uomini
d'Italia: le quali cose lo fanno vittorioso e formidabile, aggiunte con una
perpetua fortuna» (Machiavelli, Lettera ai Dieci) La minaccia del Borgia
si fece presto concreta: fermato dalle minacce della Francia quando tentava
d'impadronirsi di Bologna, si volse contro Piombino, entrando nel territorio
della Repubblica e cercando di imporle tributi, dai quali Firenze fu nuovamente
fatta salva dall'intervento di Luigi. Fra una missione a Pistoia e un'altra a
Siena, Niccolò ebbe tempo di sposare. Marietta Corsini, donna di modesta
origine, dalla quale avrà sei figli: Primerana, Bernardo, Lodovico, Guido, Piero
e Baccina. Padrone di Piombino il 3 settembre 1501, il Borgia, per mezzo del
suo sodale Vitellozzo Vitelli s'impadronì di Arezzo, dove si stabilì Piero de'
Medici, poi delle terre di Valdichiana, di Cortona, di Anghiari e di Borgo San
Sepolcro e di lì passò a investire Camerino e Urbino, chiedendo nel contempo di
intavolare trattative con Firenze che, nel frattempo, vistasi stretta dai due
Borgia, padre e figlio, aveva rinnovato gli accordi con la Francia. lo
stesso giorno della caduta della città nelle mani di Cesare, partirono per
Urbino Machiavelli e il vescovo di Volterra, Francesco Soderini, fratello di
Piero: ricevuti, si sentirono ordinare di cambiare il governo della Repubblica,
pena la sua inimicizia. La crisi fu superata grazie all'intervento delle armi
francesi: avvicinandosi queste ad Arezzo, la città fu sgomberata e restituita,
insieme con le altre terre, ai Fiorentini. Riferimento a questi casi è il breve
scritto dell'anno successivo, Del modo di trattare i popoli della Valdichiana
ribellati, nel quale, preso esempio dal comportamento tenuto dagli antichi
Romani in caso di ribellioni, rimprovera il governo fiorentino di non aver
trattato severamente la ribelle città di Arezzo. Pensa che come i Romani
«fecero giudizio differente per esser differente il peccato di quelli popoli,
così dovevi fare voi, trovando ancora nei vostri ribellati differenza di
peccati giudico ben giudicato che a Cortona, Castiglione, il Borgo, Foiano, si
siano mantenuti i capitoli, siano vezzeggiati e vi siate ingegnati riguadagnarli
con i beneficii ma io non approvo che gli Aretini, simili ai Veliterni ed
Anziani non siano stati trattati come loro. I Romani pensarono una volta che i
popoli ribellati si debbano o beneficare o spegnere e che ogni altra via sia
pericolosissima.» Di fronte a quelli che apparivano tempi nuovi e
tempestosi, nei quali occorreva che uomini capaci prendessero pronte
risoluzioni, come prima riforma nell'organizzazione dello Stato fiorentino fu
resa vitalizia la carica di gonfaloniere, affidata a Pier Soderini, che
appariva uomo accetto tanto agli ottimati che ai popolani. La prima missione
che egli affidò a Machiavelli fu quella di prendere nuovamente contatto col
Borgia il quale, formalmente capitano delle truppe pontificie e finanziato da
quello Stato, intendeva tuttavia agire nel proprio interesse e in quello della
sua famiglia, stringendo un nuovo patto col Luigi XII e ottenendone libertà
d'azione nei suoi piani di espansione, non solo nei confronti di signorotti
quali gli Orsini, i Baglioni e il Vitelli, già suoi alleati, ma anche contro lo
stesso Bentivoglio di Bologna. Seguendo la tradizionale politica di alleanza
con la Francia, Firenzepur diffidando del Valentinointendeva confermargli la
sua amicizia, per non essere investita dai suoi aggressivi disegni.
Machiavelli giunse a Imola dal Borgia il 7 ottobre, confidandogli che Firenze
non aveva aderito all'offerta di amicizia propostale dagli Orsini e dai
Vitelli, congiurati a Magione contro il duca Valentino, e ne ricevette in
cambio un'offerta di alleanza, alla quale Niccolò, affascinato dalla figura di
Cesare Borgia, guardava con favore più di quanto non facesse il governo
fiorentino. Fu al seguito del Valentino per tutta la durata di quei tre mesi di
campagna militare e, due ore dopo l'uccisione a tradimento di Vitellozzo e di
Oliverotto da Fermo, ne raccolse le parole «savie e affezionatissime» per i
Fiorentini, invitati nuovamente a unirsi a lui per avventarsi contro Perugia e
Città di Castello. Firenze, a questo punto, decise di mandare presso il Borgia
un ambasciatore accreditato, Jacopo Salviati, così che il nostro Segretario lasciò
il campo di Città della Pieve per fare ritorno a Firenze. Vitellozzo Vitelli,
ritratto da Luca Signorelli. «Vitellozo, Pagolo et duca di Gravina in su muletti
ne andorno incontro al duca, accompagnati da pochi cavagli; et Vitellozo
disarmato, con una cappa foderata di verde, tucto aflicto se fussi conscio
della sua futura morte, dava di sé, conosciuta la virtù dello huomo et la
passata sua fortuna, qualche ammirationeArrivati adunque questi tre davanti al
duca, et salutatolo humanamente, furno da quello ricevuti con buono volto Ma,
veduto il duca come Liverotto vi mancava adciennò con l'occhio a don Michele,
al quale lLeverotto era demandata, che provedessi in modo che Liverotto non
schapassi Liverotto havendo facto riverenza, si adcompagnò con gli altri; et
entrati in Senigagla, et scavalcati tutti ad lo alloggiamento del duca, et
entrati seco in una stanza secreta, furno dal duca fatti prigioni venuta la
nocte al duca parve di fare admazare
Vitellozzo e Liverotto; et conductogli in uno luogo insieme, gli fe'
strangolare Pagolo et el duca di Gravina Orsini furno lasciati vivi per infino
che il duca intese che a Roma el papa haveva preso el cardinale Orsino, l'arcivescovo
di Firenze et messer Jacopo da Santa Croce; dopo la quale nuova, a dì 18 di
giennaio, ad Castel della Pieve furno anchora loro nel medesimo modo
strangolati» (Machiavelli, Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino
nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il
duca di Gravina Orsini). La morte di Alessandro VI privò Cesare Borgia delle
risorse finanziarie e politiche che gli occorrevano per mantenere il ducato di
Romagna, che si dissolse tornando a frammentarsi nelle vecchie signorie, mentre
Venezia s'impadronì di Imola e di Rimini. Dopo il brevissimo pontificato di Pio
III, Machiavelli fu inviato a Roma per il conclave che il 1º novembre elesse
Giulio II. Raccolse le ultime confidenze del Valentino, del quale pronosticò la
rovina imminente, e cercò di comprendere le intenzioni politiche del nuovo
papa, che egli sperava s'impegnasse contro i Veneziani, le cui mire espansionistiche
erano temute da Firenze. O la sarà una porta che aprirà loro tutta Italia, o
fia la rovina loro. A Roma gli giunse la notizia della nascita del
secondogenito Bernardo: «Somiglia voi, è bianco come la neve, ma gli ha il capo
che pare velluto nero, et è peloso come voi, e da che somiglia voi parmi
bello», gli scrive la moglie Marietta. E Machiavelli, che lungamente in questo
scorcio di tempo aveva frequentato la casa del cardinal Soderini, al quale
forse prospettò già il suo progetto di costituire una milizia nazionale che
sostituisse l'infida soldatesca mercenaria, s'avvia per Firenze. In
Francia Ingresso a Genova di Luigi XII, Le fortune della Francia in
Italia sembrarono declinare dopo la cacciata dal Napoletano ad opera
dell'armata spagnola di Gonzalo Fernández de Córdoba. Firenze, alleata di Luigi
XII, e timorosa delle prossime iniziative della Spagna, del papa e della nemica
tradizionale, la Siena di Pandolfo Petrucci, era interessata a conoscere i
progetti del re e a questo scopo alla sua corte mandò Machiavelli «a vedere in
viso le provvisioni che si fanno e scrivercene immediate, e aggiungervi la
coniettura e iudizio tuo». Machiavelli e a Milano per conferire con il
luogotenente Charles II d'Amboise, che non credeva in un attacco spagnolo in
Lombardia e rassicurò Niccolò sull'amicizia francese per Firenze.
Raggiunse la corte e l'ambasciatore Niccolò Valori a Lione il 27 gennaio,
ricevendo uguali rassicurazioni dal cardinale di Rouen e da Luigi stesso. In
marzo ripartiva per Firenze e di qui si recava per pochi giorni a Piombino da
Jacopo d'Appiano, per sondare la posizione di quel signorotto. È di questo
tempo la stesura del suo primo Decennale, una storia dei fatti notevoli occorsi
degli ultimi dieci anni volta in terzine: Machiavelli non è poeta, anche se
invoca Apollo nell'esordio del poemetto, ma a noi interessa il suo giudizio
sull'attualità della vicenda politica italiana e su quel che attende
Firenze: «L'imperador, con l'unica sua prole vuol presentarsi al
successor di Pietro al Gallo il colpo ricevuto duole; e Spagna che di Puglia
tien lo scetro va tendendo a' vicin laccioli e rete, per non tornar con le sue
imprese a retro; Marco, pien di paura e pien di sete, fra la pace e la guerra
tutto pende; e voi di Pisa troppa voglia avete. Onde l'animo mio tutto
s'infiamma or di speranza, or di timor si carca tanto che si consuma a dramma a
dramma, perché saper vorrebbe dove, carca di tanti incarchi debbe, o in qual
porto, con questi venti, andar la vostra barca. Pur si confida nel nocchier
accorto ne' remi, nelle vele e nelle sarte; ma sarebbe il cammin facile e corto
se voi el tempio riapriste a Marte» (Decennale primo, vv 529-549) I
tentativi d'impadronirsi di Pisa fallirono ancora: battuta a Ponte a Cappellese
il 27 marzo 1505, Firenze doveva anche guardarsi dalle manovre dei signori ai
loro confini. Machiavelli andò a Perugia l'11 aprile per conferire col
Baglioni, ora alleato con gli Orsini, con Lucca e con Siena, poi a Mantova, per
cercare invano accordi con il marchese Giovan Francesco Gonzaga e il 17 luglio
a Siena. In settembre, fallì un nuovo assalto a Pisa e Machiavelli ne trasse
spunto per presentare la proposta della creazione di un esercito cittadino.
Rimasti diffidenti i maggiorenti della cittàche temevano che un esercito
popolare potesse costituire una minaccia per i loro interessima appoggiato dal
Soderini, Machiavelli si mosse per mesi nei borghi toscani a far leva di
soldati, istruiti «alla tedesca», e finalmente, Firenze puo vedere la prima
parata di una milizia «nazionale» che peraltro non avrà nessun ruolo nella
successiva conquista di Pisa e si rivelerà di scarso affidamento nella difesa
di Prato del 1512. Con la pace concordata con la Francia nell'ottobre
1505, la Spagna, con Ferdinando II d'Aragona, aveva preso definitivamente
possesso del Regno di Napoli. I piccoli stati della penisola attendevano ora le
mosse di Giulio II, deciso a imporre la sua egemonia nell'Italia centrale: nel
luglio, il papa chiese a Firenze di partecipare alla guerra che egli intendeva
muovere al signore di Bologna, Giovanni Bentivoglio, che era alleato, come
Firenze, dei francesi, e perciò teoricamente amico, oltre che confinante, dei
Fiorentini. Si trattava di temporeggiare, osservando gli sviluppi dell'impresa
del papa al quale fu mandato Machiavelli, che lo incontrò a Nepi. Giulio II gli
dimostrò di godere dell'appoggio della Francia, che aveva promesso di inviare
truppe in suo aiuto, cosicché fu agevole a Machiavelli promettere aiuti a sua
voltadopo però che fossero arrivati quelli di re Luigie seguì papa Giulio che,
con la sua corte curiale e pochi armati se n'andava a Perugia, ottenendo, il 13
settembre, la resa senza combattimento di Giampaolo Baglioni che, con stupore e
rimprovero del Machiavelli e, un giorno, anche del Guicciardini, non ebbe il
coraggio di opporsi alle poche forze allora a disposizione del Papa. La corte
papale, dopo aver atteso a Cesena fino a ottobre l'arrivo dei francesi e, dopo
questi, dei Fiorentini di Marcantonio Colonna, entrò trionfante a Bologna l'11
novembre. Machiavelli, tornato a Firenze già alla fine d'ottobre, s'occupò
ancora dell'istituzione delle milizie fiorentine: il 6 dicembre furono creati i
Nove ufficiali dell'Ordinanza e Milizia fiorentina, eletti dal popolo,
responsabili militari della Repubblica. In Germania Massimiliano I
d'Asburgo Il nuovo anno si apre con le minacce del passaggio in Italia del «Re
dei Romani» Massimiliano, intenzionato a ribadire le proprie pretese di dominio
sulla penisola, a espellere i francesi e a farsi incoronare a Roma «imperatore
del Sacro Romano Impero». Si valutò a Firenze la possibilità di finanziargli
l'impresa in cambio della sua amicizia e del riconoscimento dell'indipendenza
della Repubblica: fu inviato a questo scopo l'ambasciatore Francesco Vettori e
lo stesso Machiavelli. Giunse a Bolzano, dove Massimiliano teneva corte, e le lunghe trattative sull'esborso preteso da
Massimiliano s'interruppero quando i Veneziani, sconfiggendolo più volte, gli
fecero comprendere la velleità dei suoi sogni di gloria. Da questa
esperienza Machiavelli trasse tre scritti, il Rapporto delle cose della Magna,
compost il giorno dopo il suo rientro a Firenze, il Discorso sopra le cose
della Magna e sopra l'Imperatore, del settembre 1509, e il più tardo Ritratto
delle cose della Magna, una rielaborazione del primo Rapporto. Rileva la grande
potenza della Germania, che «abunda di uomini, di ricchezze e d'arme»; le
popolazioni hanno «da mangiare e bere e ardere per uno anno: e così da lavorare
le industrie loro, per potere in una obsidione [assedio] pascere la plebe e
quelli che vivono delle braccia, per uno anno intero sanza perdita. In soldati
non spendono perché tengono li uomini loro armati ed esercitati; e li giorni
delle feste tali uomini, in cambio delli giuochi, chi si esercita collo
scoppietto, chi colla picca e chi con una arme e chi con un'altra, giocando tra
loro onori et similia, e quali tra loro poi si godono. In salari e in altre
cose spendono poco: talmente che ogni comunità si truova ricca in
publico». Importano e consumano poco perché «le loro necessità sono assai
minori delle nostre», ma esportano molte merci «di che quasi condiscono tutta
la Italia [...] e così si godono questa loro rozza vita e libertà e per questa
causa non vogliono ire alla guerra se non sono soprappagati e questo anche non
basterebbe loro, se non fussino comandati dalle loro comunità. E però bisogna a
uno imperadore molti più denari che a uno altro principe». Tanta forza
potenziale, che potrebbe fare la grandezza politica e militare dell'Imperatore,
è limitata dalle divisioni delle comunità governate dai singoli principi, una
realtà simile a quella italiana: nessun principe tedesco vuole favorire
l'imperatore, «perché, qualunque volta in proprietà lui avessi stati o fussi
potente, è domerebbe e abbasserebbe e principi e ridurrebbeli a una obedienzia
di sorte da potersene valere a posta sua e non quando pare a loro: come fa oggi
il re di Francia, e come fece già il re Luigi, quale con l'arme e ammazzarne
qualcuno li ridusse a quella obedienzia che ancora oggi si vede». La
conquista di Pisa Decisa a concludere le operazioni militari contro Pisa, Firenze
mandò Machiavelli a far leve di soldati: in agosto condusse soldati prelevati
da San Miniato e da Pescia all'assedio della città irriducibile. Riunite altre
milizie, si incaricò di tagliare i rifornimenti bloccando l'Arno; poi, il 4
marzo del 1509, andò prima a Lucca a intimare a quella Repubblica di cessare
ogni aiuto ai Pisani e, il 14, si recò a Piombino, incontrando gli ambasciatori
di Pisa per cercare invano un accordo di resa. Raccolte nuove truppe, in maggio
era presente all'assedio: Pisa, ormai stremata, trattava finalmente la pace.
Machiavelli accompagnò i legati pisani a Firenze dove fu firmata la resa e l'8
giugno poté entrare in Pisa con i commissari Niccolò Capponi, Antonio Filicaia
e Alamanno Salviati. Un ben più vasto incendio era intanto divampato
nell'Italia settentrionale: stipulata un'alleanza a Cambrai, Francia, Spagna,
Impero e papato si avventavano contro la Repubblica veneziana che a maggio
cedeva i suoi possedimenti lombardi e romagnoli e, in giugno, anche Verona,
Vicenza e Padova, consegnate a Massimiliano. Firenze, da parte sua, doveva
finanziare la nuova impresa imperiale: consegnato un primo acconto in ottobre, Machiavelli
era a Verona per consegnare il saldo a Massimiliano, che era stato però
costretto alla ritirata dalla controffensiva veneziana, resa possibile dalla
rivolta popolare contro i nuovi padroni. E Machiavelli commentava dei «due re,
che l'uno può fare la guerra e non vuol farla, l'altro ben vorrebbe farla e non
può», riferendosi a Luigi e a Massimiliano che se n'era tornato in Germania a
chiedere soldati e denari ai principi tedeschi. Atteso inutilmente il
ritorno dell'Imperatore, se ne tornò a Firenze. Venezia si salvò soprattutto
grazie alle divisioni degli alleati: mentre Luigi XII aveva tutto l'interesse
di ridurre all'impotenza Venezia per avere le mani libere nella pianura padana,
Giulio II la voleva abbastanza forte da opporsi alla Francia senza averne
contrasto alle proprie ambizioni di espansione. Per Firenze, amica della
Francia ma non nemica del papa, era necessario spiegarsi con il re francese, e
Machiavelli fu mandato a Blois, dove Luigi teneva la corte, incontrandolo.
Machiavelli confermò l'amicizia con la Francia ma disse di dubitare che la
Repubblica potesse impegnarsi in una guerra contro Giulio II, in grado di
volgere contro Firenze forze troppo superiori: meglio sarebbe stata una
mediazione che evitasse il conflitto e sottraesse, oltre tutto, Firenze dalla
responsabilità di un impegno nel quale era difficile trarre un guadagno.
Dovette tornare a Firenze il 19 ottobre, convinto che la guerra fosse
ineluttabile. Le vittorie militari non furono sfruttate da Luigi XII e la sua
indizione di un concilio a Pisa, che condannasse il papa, provocò l'interdetto
di Giulio II contro Firenze. Il 22 settembre 1511 Machiavelli era ancora in
Francia, ottenendo dal re soltanto un breve rinvio del concilio: dalla Francia
andò a Pisa e riuscì a ottenere il trasferimento del concilio a Milano.
Il ritorno dei Medici a Firenze Le fortune di Luigi XII volgevano al tramonto:
sconfitto dalla nuova coalizione guidata dal papa, era costretto ad abbandonare
la Lombardia, lasciando Firenze politicamente isolata e incapace di resistere
alle armi spagnole. Pier Soderini fuggì a Siena, i Medici rientrarono a
Firenze: disfatto il vecchio governo, il 7 novembre anche Machiavelli venne
rimosso dal suo incarico, il successivo 10 novembre fu confinato e multato
della grande somma di mille fiorini e il 17 gli fu interdetto l'ingresso a
Palazzo Vecchio. Giuliano de' Medici duca di Nemours Il nuovo
regime processò Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi, accusati di aver
complottato contro Giuliano de' Medici, condannandoli a morte. Anche
Machiavelli è sospettato: arrestato il 12 febbraio 1513, fu anche torturato
(gli fu somministrata la corda o, com'era chiamata allora a Firenze, la
"colla"). Scrisse allora a Giuliano di Lorenzo de' Medici duca di
Nemours due sonetti, per ricordargli, ma senza averne l'aria e in forma
scherzosa, la sua condizione di carcerato: «Io ho, Giuliano, in gamba un
paio di geti e sei tratti di fune in sulle spalle; l'altre miserie mie non vo'
contalle, poiché così si trattano i poeti Menon pidocchi queste parieti
grossi e paffuti che paion farfalle, né mai fu tanto puzzo in Roncisvalle o in
Sardigna fra quegli arboreti quanto nel mio sì delicato ostello» Giulio
II moriva intanto proprio in quei giorni e dal conclave uscì eletto l'11 marzo
il cardinale de' Medici con il nome di Leone X: era la fine dei pericoli di
guerra per Firenze e anche il tempo dell'amnistia. Uscito dal carcere,
Machiavelli cercò di ottenere favori dai Medici attraverso l'ambasciatore
Francesco Vettori e lo stesso Giuliano, ma invano. Si ritirò allora nel suo
podere dell'Albergaccio, a Sant'Andrea in Percussina, tra Firenze e San
Casciano in Val di Pesa. L'esilio dalla politica. «Il Principe» Qui, tra
le giornate rese lunghe dall'ozio forzato, comincia a scrivere i Discorsi sopra
la prima Deca di Tito Livio che, forse nel luglio 1513, interrompe per metter
mano al suo libro più famoso, il De Principatibus, dal solenne titolo latino ma
scritto in volgare e perciò divenuto ben più noto come Il Principe. Lo dedica dapprima
a Giuliano di Lorenzo de' Medici e, dopo la morte di questi nel 1516, a Lorenzo
de' Medici, figlio di Piero "fatuo"; ma il libro uscì solo postumo,
nel 1532. Certo, non doveva farsi illusioni che un Medici potesse mai essere
quel «redentore» atteso dall'Italia contro «questo barbaro dominio», ma da un
Medici si attendeva almeno la sua propria «redenzione» dall'inattività cui era
stato relegato dal ritorno a Firenze di quella famiglia. Sperava che
l'amico Vettori, ambasciatore a Roma, si facesse interprete del suo desiderio che
questi signori Medici mi cominciasseino adoperare», dal momento «che io sono
stato a studio all'arte dello stato [...] e doverrebbe ciascheduno aver caro
servirsi d'uno che alle spese d'altri fussi pieno d'esperienza. E della fede
mia non si doverrebbe dubitare, perché, avendo sempre osservato la fede, io non
debbo imparare ora a romperla; e chi è stato fedele e buono quarantatré anni
che io ho, non debbe potere mutare natura; e della fede e bontà mia ne è
testimonio la povertà mia». Delle ombre della sua povertà, ma anche delle sue
luci, Machiavelli scrive al Vettori in quella che è la più famosa lettera della
nostra letteratura: L'Albergaccio di Machiavelli a Sant'Andrea in
Percussina «Venuta la sera, mi ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio; e in
su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi
metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique
corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di
quel cibo che solum è mio e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno
parlare con loro e domandargli della ragione delle loro azioni; e quelli per
loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia;
sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte;
tutto mi trasferisco in loro. E perché Dante dice che non fa scienza sanza lo
ritenere lo avere inteso, io ho notato quello di che per la loro conversazione
ho fatto capitale, e composto uno opuscolo de Principatibus» (Lettera a
Francesco Vettori) Ritornato il 3 febbraio 1514 a Firenze, continuò a sperare a
lungo che il Vettori, al quale spedì il manoscritto del Principe, lo facesse
introdurre in qualche incarico nell'amministrazione cittadina, ma invano. Tutto
dipendeva dalla volontà del papa, e Leone non era affatto intenzionato a
favorire chi non si era mostrato, a suo tempo, favorevole agli interessi di
Casa Medici. Machiavelli, da parte sua, scriveva al Vettori di aver «lasciato i
pensieri delle cose grandi e gravi» e di non dilettarsi più di «leggere le cose
antiche, né ragionare delle moderne: tutte si sono converse in ragionamenti
dolci». Si era infatti innamorato di una «creatura tanto gentile, tanto
delicata, tanto nobile e per natura e per accidente, che io non potrei né tanto
laudarla né tanto amarla che la non meritasse più». La guerra, ripresa in
Italia dalla discesa del nuovo re di Francia Francesco I, si concluse nel
settembre 1515 con la sua grande vittoria a Marignano (oggi Melegnano) contro
la vecchia «Lega santa»: Leone X dovette accettare il dominio francese in
Lombardia e la stipula a Bologna di un concordato che riconosceva il controllo
reale sul clero francese. Si rifece impossessandosi, per conto del nipote
Lorenzo, capitano generale dei Fiorentini, del Ducato di Urbino. A quest'ultimo
invano dedicava Machiavelli il suo Principe: la sua esclusione dalla gestione
degli affari di Firenze continuava. Si diede a frequentare gli «Orti
Oricellari», latineggiamento che indica i giardini del Palazzo di Cosimo
Rucellai, dove si riunivano letterati, giuristi ed eruditi come Luigi Alamanni,
Jacopo da Diacceto, Jacopo Nardi, Zanobi Buondelmonti, Antonfrancesco degli
Albizi, Filippo de' Nerli e Battista della Palla. Qui vi lesse probabilmente qualche
capitolo di quell'Asino, poemetto in terzine che voleva essere una
contaminazione fra l'Asino d'oro di Apuleio e la Divina Commedia dantesca, ma
che lasciò presto interrotto: e al Rucellai e al Buondelmonti dedicò i Discorsi
sopra la prima Deca di Tito Livio. Machiavelli si era già cimentato, quando
ricopriva l'incarico di segretario della Repubblica, in composizioni teatrali:
una imitazione dell'Aulularia di Plauto e una commedia, Le maschere, ispirata a
Nebulae di Aristofane, sono tuttavia perdute. Al 1518 risale il suo capolavoro
letterario, la commedia Mandragola, nel cui prologo egli inserisce un accenno
autobiografico «scusatelo con questo, che s'ingegna con questi van
pensieri fare el suo tristo tempo più suave, perch'altrove non have dove voltare
el viso; ché gli è stato interciso mostrar con altre imprese altra virtue, non
sendo premio alle fatiche sue.» Intorno a quest'anno vanno collocate la
traduzione dell'Andria di Terenzio e stesura della novella di Belfagor
arcidiavolo o Novella del demonio che pigliò moglieil suo titolo preciso è
attualmente stabilito in Favolail cui tema di fondo è la visione pessimistica
dei rapporti che legano gli esseri umani, tutti intesi al proprio interesse a
danno, se necessario, di quello di ciascun altro. Il ritorno alla vita
politica Lorenzo de' Medici morì, lasciando il governo di Firenze al cardinale
Giulio. Costui, favorevole a Machiavelli, lo incaricò della stesura di una
storia della città sotto lauta retribuzione. Machiavelli, galvanizzato
dall'incarico, diede alle stampe nel 1521 l’Arte della guerra, dedicandola allo
stesso cardinal Giulio. Nello stesso anno fu inviato in missione diplomatica a
Carpi presso il governatore Francesco Guicciardini di cui, pur avendo opposte
visioni della Storia, divenne buon amico. Nel 1525 cercò di guadagnare il
favore di papa Clemente VII offrendogli le Istorie fiorentine. Nel frattempo
giunsero la revoca ufficiale dell'interdizione dalla vita pubblica e
l'affidamento di missioni militari in Romagna in collaborazione col
Guicciardini. I Medici furono
cacciati da Firenze e venne instaurata nuovamente la repubblica. Machiavelli si
propose come candidato alla carica di segretario della repubblica, ma venne
respinto in quanto ritenuto colluso coi Medici e soprattutto con papa Clemente
VII. La delusione per Machiavelli fu insopportabile. Ammalatosi repentinamente,
cominciò a peggiorare vistosamente fino alla morte. Abbandonato da tutti, fu
sepolto nel corso di una modesta cerimonia funebre nella tomba di famiglia
nella basilica di Santa Croce. La città di Firenze fece costruire un monumento
nella basilica stessa; esso raffigura la Diplomazia assisa su un sarcofago
marmoreo. Sulla lastra frontale sono incise le parole Tanto nomini nullum par
elogium (Nessun elogio sarà mai degno di tanto nome). Pensiero
Machiavelli e il Rinascimento Con il termine machiavellico si è spesso indicato
un atteggiamento spregiudicato e disinvolto nell'uso del potere: un buon
principe deve essere astuto per evitare le trappole tese dagli avversari, capace
di usare la forza se ciò si rivela necessario, abile manovratore negli
interessi propri e del suo popolo. Ciò si accompagna a un travaglio personale
che Machiavelli sentiva nella sua attività quotidiana e di teorico, secondo una
tradizione politica che già in Cicerone affermava: "un buon politico deve
avere le giuste conoscenze, stringere mani, vestire in modo elegante, tessere
amicizie clientelari per avere un'adeguata scorta di voti". Con
Machiavelli l'Italia ha conosciuto il più grande teorico della politica.
Secondo Machiavelli la politica è il campo nel quale l'uomo può mostrare nel
modo più evidente la propria capacità di iniziativa, il proprio ardimento, la
capacità di costruire il proprio destino secondo il classico modello del faber
fortunae suae. Nel suo pensiero si risolve il conflitto fra regole morali e
ragion di Stato che impone talvolta di sacrificare i propri princìpi in nome
del superiore interesse di un popolo. La politica deve essere autonoma da
teologia e morale e non ammette ideali, è un gioco di forze finalizzate al bene
della collettività e dello stato. La politica, svincolata da dogmatismi e
princìpi teorici, guarda alla realtà effettuale, ai "fatti": "Mi
è parso più conveniente andare dietro alla verità effettuale della cosa piuttosto
che alla immaginazione di essa". Si tratta di una visione antropocentrica
che si richiama all'Umanesimo quattrocentesco ed esprime gli ideali del
Rinascimento. Nel “Dialogo intorno alla nostra lingua” dà un giudizio severo su
Alighieri. Alighieri è rimproverato di negare la matrice fiorentina della
lingua della Commedia. Il passo assume i caratteri dell'invettiva contro
Aligheri, accusato di aver infangato la reputazione di Firenze:
«Alighieri il quale in ogni parte mostrò d'esser per ingegno, per dottrina et
per giuditio huomo eccellente, eccetto che dove egli hebbe a ragionare della
patria sua, la quale, fuori d'ogni humanità et filosofico instituto, perseguitò
con ogni spetie d'ingiuria. E non potendo altro fare che infamarla, accusò
quella d'ogni vitio, dannò gli uomini, biasimò il sito, disse male de' costumi
et delle legge di lei; et questo fece non solo in una parte de la sua cantica,
ma in tutta, et diversamente et in diversi modi: tanto l'offese l'ingiuria
dell'exilio, tanta vendetta ne desiderava. Ma la Fortuna, per farlo mendace et
per ricoprire con la gloria sua la calunnia falsa di quello, l'ha continuamente
prosperata et fatta celebre per tutte le province, et condotta al presente in
tanta felicità et sì tranquillo stato, che se Alighieri la vedessi, o egli
accuserebbe sé stesso, o ripercosso dai colpi di quella sua innata invidia,
vorrebbe essendo risuscitato di nuovo morire.» Poi, durante un altro
scambio immaginario con Aligheri, Mhiavelli rimprovera il carattere
"goffo", "osceno", addirittura "porco" del
registro utilizzato nell'Inferno: «Aligheri mio, io voglio che tu
t'emendi, et che tu consideri meglio il “parlare” fiorentino et la tua opera;
et vedrai che, se alcuno s'harà da vergognare, sarà più tosto Firenze che tu:
perché, se considererai bene a quel che tu hai detto, tu vedrai come ne' tuoi
versi non hai fuggito il goffo, come è quello: "Poi ci partimmo et
n'andavamo introcque"; non hai fuggito il porco, com'è quello:
"che merda fa di quel che si trangugia"; non hai fuggito l'osceno,
com'è: "le mani alzò con ambedue le fiche"; e non avendo
fuggito questo, che disonora tutta l'opera tua, tu non puoi haver fuggito
infiniti vocaboli patrii che non s'usano altrove che in quella» Autografo
delle Historiae Fiorentinae Per Machiavelli la storia è il punto di riferimento
verso il quale il politico deve sempre orientare la propria azione. La storia
fornisce i dati oggettivi su cui basarsi, i modelli da imitare, ma indica anche
le strade da non ripercorrere. Machiavelli si basa su una concezione ciclica
della storia: "Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li
medesimi". Ma ciò che allontana Machiavelli da una visione deterministica
della storia è l'importanza che egli attribuisce alla virtù, ovvero alla
capacità dell'uomo di dominare il corso degli eventi utilizzando opportunamente
le esperienze degli errori compiuti nel passato, nonché servendosi di tutti i
mezzi e di tutte le occasioni per la più alta finalità dello stato, facendo
anche violenza, se necessario, alla legge morale. Non a caso il Principe,
nella conclusione, abbandona il suo taglio cinico e pragmatico per esortare i
sovrani italiani, con una scrittura più solenne e venata di un certo idealismo,
a riconquistare la sovranità perduta e a cacciare l'invasore straniero. Non c'è
rassegnazione nel Principe, né tanto meno sfiducia nei confronti dell'uomo. La
storia è il prodotto dell'attività politica dell'uomo per finalità terrene
esclusivamente pratiche. Lo stato, oggetto di tale attività, nella situazione
politica e nel pensiero del tempo si identifica con la persona del
principe. Di conseguenza l'attività politica è riservata solo ai grandi
protagonisti, ai pochi capaci di agire, non al "vulgo" incapace di
decisione e di coraggio. L'obiettivo è creare o conservare lo stato, una
creazione individuale legata alle qualità e alla sorte del suo fondatore: la
fine del principe può determinare la fine del suo stato, come capitò ad esempio
a Cesare Borgia. Il Machiavelli ha dunque un'importanza fondamentale per la
scoperta che la politica è una forma particolare autonoma di attività umana, il
cui studio rende possibile la comprensione delle leggi da cui è perennemente
retta la storia; da quella scoperta discende, come suo naturale fondamento, una
vigorosa concezione della vita, incentrata unicamente sulla volontà e sulla
responsabilità dell'uomo. Una errata interpretazione del Novecento fece
del Machiavelli un precursore del movimento unitario italiano, ma la parola
nazione ha assunto l'attuale significato solo a partire dalla seconda metà del
Settecento, mentre il Machiavelli la usò in senso particolaristico e cittadino
(es. nazione fiorentina o, nel senso più generico di popolo, moltitudine). Tuttavia,
Machiavelli propugna un principato in grado di reggersi sull'unità etnica dell'Italia;
così facendo, e denunciando in tal modo una chiara coscienza dell'esistenza di
una civiltà italiana, Machiavelli predica la liberazione dell'Italia sotto il
patrocinio di un principe, criticando il dominio temporale dei Papi che
spezzava in due la penisola. Ma l'unità d'Italia resta in Machiavelli un
problema solo intuito. Non si può dubitare che avesse concepito l'idea
dell'unità italiana, ma tale idea restò indeterminata, poiché non trovò appigli
concreti nella realtà, restando perciò a livello di utopia, cui solo dava forma
la figura ideale del principe nuovo. Machiavelli dunque intraprese un viaggio
che identificò come spirituale in giro per il mondo. In seguito, tornato in
patria, ebbe una nuova visione sia del "popolo" che della
"nazione" (di qui quello che oggi definiamo rinnovamento
culturale). Il principe o De Principatibus. Niccolò Machiavelli nello
studio, Stefano Ussi, Emblematico è il modo di trattare argomenti delicati,
quali le mosse necessarie al Principe per organizzare uno stato ed ottenerne
uno stabile e duraturo consenso. Per esempio vi troviamo indicazioni
programmatiche, quali l'utilità nello "spegnere" gli stati abituati a
vivere liberi di modo da averli sotto il proprio diretto controllo (metodo
preferito al creare un'amministrazione locale "filo-principesca" o al
recarvisi e stabilirvisi personalmente, metodo però sempre tenuto da conto in
modo da avere un occhio sempre presente sulle proprie terre, e stabilire una
figura rispettata e conosciuta in loco). Altro elemento caratteristico
del trattato sta nella scelta dell'atteggiamento da tenere nei confronti dei
sudditi, culminante nell'annosa questione del "s'elli è meglio essere
amato che temuto o e converso" La risposta corretta si concretizzerebbe in
un ipotetico principe amato e temuto, ma essendo difficile o quasi impossibile
per una persona umana l'essere ambedue le cose, si conclude decretando che la
posizione più utile viene ad essere quella del Principe temuto (pur ricordando
che mai e poi mai il Principe dovrà rendersi odioso nei confronti del popolo,
fatto che porrebbe i prodromi della propria caduta). Qua appare indubbiamente
la concezione realistica e la concretezza del Machiavelli, il quale non viene a
proporre un ipotetico Principe perfetto, ma irrealizzabile nel concreto, bensì
una figura effettivamente possibile e soprattutto "umana".
Ulteriore atteggiamento principesco dovrà l'essere metaforicamente sia
"volpe" che "leone", in modo da potersi difendere dalle
avversità sia tramite l'astuzia (volpe) che tramite la violenza (leone).
Mantenendo un solo atteggiamento dei due non ci si potrà difendere da una
minaccia violenta o di astuzia. Spesso alla figura evocata dal Principe di
Machiavelli viene associata la figura di un uomo privo di scrupoli, di un
cinismo estremo, nemico della libertà. Inoltre gli viene erroneamente associata
la frase "il fine giustifica i mezzi", che invece mai enunciò. Questo
perché la parola "giustifica" evoca sempre un criterio morale, mentre
Machiavelli non vuole "giustificare" nulla, vuole solo valutare, in
base ad un altro metro di misura, se i mezzi utilizzati sono adatti a
conseguire il fine politico, l'unico fine da perseguire è il mantenimento dello
Stato. Machiavelli nella stesura del Principe si rifà alla reale
situazione che gli si presentava attorno, una situazione che necessitava essere
risolta con un atto deciso, forte, violento. Machiavelli non vuole proporre dei
mezzi giustificati da un fine, egli pone un programma politico che qualunque
Principe che voglia portare alla liberazione dell'Italia, da troppo tempo
schiava, dovrà seguire. Fuori dai suoi intenti una giustificazione morale dei
punti suggeriti: egli stende un vademecum necessariamente utile a quel Principe
che finalmente vorrà impugnare le armi. Alle accuse di sola illiberalità od
autoritarismo, si può dare una risposta leggendo il capitolo IX, "De
Principatu Civili", ritratto di un principe nascente dal e col consenso
del popolo, figura ben più solida del Principe nato dal consesso dei
"grandi", cioè dei grandi proprietari feudali. Non esiste un unico
tipo di principato, ma per ognuno troviamo un'ampia trattazione di pregi e dei
difetti. Controversie sul Principe «Quel grande / che temprando lo
scettro a' regnatori gli allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime
grondi e di che sangue» (Ugo Foscolo, Dei sepolcri) La gelida obiettività
e un certo cinismo con cui Machiavelli descriveva il comportamento freddo,
razionale ed eventualmente spietato che un capo di Stato deve mettere in atto,
colpì i critici. Così, da una parte vi è la linea di pensiero tradizionale,
secondo la quale "Il Principe" è un trattato di scienza politica
destinato al governante, che tramite esso saprà come affrontare i problemi,
spesso drammatici, posti dal suo ruolo di garante della stabilità dello stato.
Dall'altra, troviamo un'interpretazione secondo cui il trattato di Machiavelli,
che era originariamente un repubblicano, ha come vero scopo quello di mettere a
nudo, e quindi chiarire, le atrocità compiute dai principi dell'epoca, a vantaggio
del popolo, che di conseguenza avrebbe le dovute conoscenze per attuare le
precauzioni al fine di stare in guardia e difendersi quando si dimostra
necessario. Il principe è visto anche come figura assai drammatica, la quale,
per il bene dello stato stesso, non si può permettere di lasciare spazio al
proprio carattere, diventando così quasi un uomo-macchina. Secondo alcuni,
Machiavelli venne in realtà accusato da subito di nicodemismo, e: «...di
non aver mirato ad altro, in quel libro, che a condurre il tiranno a
precipitosa rovina, allettandolo con precetti a lui graditi...»
(Attribuita a Niccolò Machiavelli[28]). Machiavellismo § L'antimachiavellismo e
il repubblicanesimo. Gli esponenti di questa seconda interpretazione (la
cosiddetta "interpretazione obliqua", diffusa dal XVII secolo, e
avanzata per la prima volta da Alberico Gentili spirandosi a Reginald Pole, poi
ripresa da Traiano Boccalini e in seguito Baruch Spinoza)[31], furono numerosi
soprattutto in ambito illuminista (anche se venne rifiutata da Voltaire), che
vedeva in Machiavelli un precursore della politica laica e del
repubblicanesimo: la sostennero, dal Settecento, Jean-Jacques Rousseau[33],
Vittorio Alfieri[34], Giuseppe Baretti, Giuseppe Maria Galanti[36], gli
enciclopedisti (in primis Denis Diderot[3 Opere: Discorso 8] e Jean
Baptiste d'Alembert), Foscolo e Parini[, e ha avuto diffusione soprattutto
nell'Ottocento, prima e durante il Risorgimento[26]; ne è un esempio quello che
Foscolo scrive nei "Sepolcri": «Io quando il monumento / vidi ove
posa il corpo di quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori / gli
allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue».
Forse alcuni di essiad esempio, per quanto riguarda Foscolo, è un'ipotesi
alternativa di Spongano e riportata anche da Mario Pazzagliaritenevano anche
che, pur essendo Il principe un'opera fatta per i tiranni e i governanti, fosse
utile lo stesso per svelare al popolo gli intrighi del potere, ritenendo valida
l'interpretazione obliqua, qualunque fossero le intenzioni di Machiavelli. In generale, per i sostenitori di questa
lettura, Il principe avrebbe, come le satire (ad esempio Una modesta proposta
di Jonathan Swift), uno scopo opposto a quello apparente, come avverrà anche
per alcuni scritti di epoca romantica (Lettera semiseria di Grisostomo di
Giovanni Berchet o alcune Operette Morali di Giacomo Leopardi). In epoca
più recente, tuttavia, nella maggioranza dei critici è prevalsa la prima
interpretazione, quella tradizionale, dal quale risalta la libertà e
concretezza, anche spregiudicata, del pensiero di Machiavelli, che non descrive
mondi utopici, ma il mondo reale della politica dei suoi tempi,e la sua
concezione anticipatrice del realismo politico e della cosiddetta realpolitik. L'interpretazione
obliqua è stata riproposta in modo minoritario, ad esempio in alcuni monologhi
del drammaturgo e attore Dario Fo. Il modello linguistico prescelto da
Machiavelli è fondato sull'uso vivo più che sui modelli letterari; lo
scopo, esplicito soprattutto nel Principe, di scrivere qualcosa di utile e
chiaramente espressivo lo induce a scegliere spesso modi di dire proverbiali di
immediata evidenza. Il lessico impiegato dall'autore si rifà a quello
boccacciano, è ricco di parole comuni e i latinismi, seppure abbondanti,
provengono per lo più dal gergo cancelleresco. Nelle sue opere ricoprono un
ruolo assai rilevante anche le metafore, i paragoni e le immagini. La
concretezza è una delle caratteristiche salienti, l'esempio concreto ed
essenziale, tratto dalla storia sia antica che recente, è sempre preferito al
concetto astratto. In generale si parla di uno stile "fresco",
come lo ebbe a definire il filosofo Nietzsche in Al di là del bene e del male,
con un riferimento particolare all'uso della paratassi, a una certa
sentenziosità delle frasi, costruite secondo un criterio di chiarezza a scapito
di un maggior rigore logico-sintattico. Machiavelli rende evidenti concetti
che, se espressi con un linguaggio più elaborato, sarebbero molto difficili da
decifrare, e riesce a esprimere le sue tesi con originale capacità
espositiva. Opere Discorso fatto al magistrato de' Dieci sopra le cose di
Pisa, Parole da dirle sopra la provvisione del danaio, Descrizione del modo
tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da
Fermo, il Signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini, De natura Gallorum, Ritratto
delle cose di Francia, Ritratto delle cose della Magna, Il Principe, Discorsi
sopra la prima deca di Tito Livio, Dell'arte della guerra, La vita di Castruccio
Castracani da Lucca, Istorie fiorentine, )Riedizione Istorie fiorentine,
Venezia, 1546. Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua, Decennali
Mandragola, commedia teatrale Belfagor arcidiavolo, Epistolario, L'asino, Edizioni
critiche in pubblico dominio: Legazioni, commissarie, scritti di governo.
Fredi Chiappelli. Laterza, Roma-Bari. Drammaturgie minori Clizia, Andria,
traduzione-rifacimento dell'Andria di Terenzio Onori Nel 2009 Alitalia gli ha
dedicato uno dei suoi Airbus Nella cultura di massa Il suo nome, modificato in
"Makaveli", venne usato dal rapper statunitense Tupac Shakur tper
firmare molte sue canzoni e un album uscito postumo. Niccolò Machiavelli viene
proposto anche nel videogioco Assassin's Creed 2 e il seguito Assassin's Creed:
Brotherhood, in veste di Assassino. Proprio in quest'ultimo assume un ruolo
particolarmente importante, insieme ad altri personaggi dell'Italia
rinascimentale. Niccolò Machiavelli è, assieme a John Dee, il principale
antagonista della serie di romanzi fantasy I segreti di Nicholas Flamel,
l'immortale (come capo dei servizi segreti francesi), scritta da Michael Scott.
Nella mostra "Il Principe di Niccolò Machiavelli e il suo tempo"
(Roma, Complesso del Vittoriano, Salone Centrale, promossa dall'Istituto
dell'Enciclopedia Italiana e dalla sezione italiana di Aspen Institute, la
sezione "Machiavelli e il nostro tempo: usi e abusi" presenta, tra
altre "opere", Figurine Liebig, pacchetti di sigarette, schede
telefoniche, trading card, cartoline, francobolli, giochi da tavolo e
videogiochi dedicati a Machiavelli. Nella serie I Borgia di Neil Jordan è
interpretato da Julian Bleach. Machiavel è una band belga, catalogabile sotto
il genere progressive rock. Il nome della band è un chiaro omaggio a Niccolò
Machiavelli. Nella serie I Medici è interpretato da Vincenzo Crea, Edizione
nazionale delle opere Edizione Nazionale delle Opere di Niccolò Machiavelli,
Salerno Editrice di Roma: Il principe, Mario Martelli, corredo filologico
Nicoletta Marcelli, Discorsi sopra la
prima Deca di Tito Livio, Francesco Bausi, L'arte della guerra. Scritti
politici minori, Giorgio Masi, Jean Jacques Marchand, Denis Fachard, Opere storiche, Alessandro Montevecchi, Carlo
Varotti, ITeatro. Andria-Mandragola-Clizia,
Pasquale Stoppelli, Scritti in poesia e
in prosa, Antonio Corsaro, Paola Cosentino, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Filippo
Grazzini, Nicoletta Marcelli, coordinam. di Francesco Bausi, ILegazioni, Commissarie, Scritti di governo, Jean-Jacques
Marchand, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, Legazioni. Commissarie. Scritti
di governo, Jean-Jacques Marchand, Matteo Melera-Morettini, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo Denis Fachard, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo
Melera-Morettini, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo. Denis Fachard, Emanuele
Cutinelli-Rèndina, Legazioni. Commissarie.
Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo
Melera-Morettini. La famosa frase
"Il fine giustifica il mezzo" (o "i mezzi"), usata spesso
come esempio di machiavellismo, è del critico letterario Francesco de Sanctis,
con riferimento ad interpretazioni fuorvianti del pensiero di Machiavelli
espresso nel Principe. Il passo di De Sanctis, dal capitolo XV della sua Storia
della letteratura italiana, dedicato a Machiavelli, recita: "Ci è un
piccolo libro del Machiavelli, tradotto in tutte le lingue, il Principe, che ha
gittato nell'ombra le altre sue opere. L'autore è stato giudicato da questo
libro, e questo libro è stato giudicato non nel suo valore logico e
scientifico, ma nel suo valore morale. E hanno trovato che questo libro è un
codice di tirannia, fondato sulla turpe massima che il fine giustifica i mezzi,
e il successo loda l'opera. E hanno chiamato machiavellismo questa dottrina.
Molte difese sonosi fatte di questo libro ingegnosissime, attribuendosi
all'autore questa o quella intenzione più o meno lodevole. Così n'è uscita una
discussione limitata e un Machiavelli rimpiccinito". Celebrazioni per il V centenario del Principe
di Machiavelli, Accademia della Crusca, Opera di Santa Maria del Fiore, Libri
dei battesimi: Niccolò Piero e Michele di m. Bernardo Machiavellidi Santa
Trinita, nacque a dì 3 a hore 4, battezzato a dì 4 Dal Villani, nella sua Cronica. In Discorsi
di Architettura del senatore Giovan Battista Nelli,La sua trascrizione del De
rerum natura è nel manoscritto Vaticano Rossiano L. Canfora, Noi e gli antichi, Milano Giovio,
Elogia clarorum virorum, 1546, 55v: «Constat a Marcello Virgilio graecae atque
latinae linguae flores accepisse» R.
Ridolfi, Lettera Riccardo Bruscagli, "Machiavelli". Il Senato romano
fece distruggere Velletri e indebolì Anzio sottraendole la flotta: cfr. Livio, "La
sua vicinanza a Pier Soderini, vexillifer perpetuus, si accentua
progressivamente in uno sforzo di sottrarre Firenze a un immobilismo indotto
dal timore di un potere esecutivo più forte e irrispettoso di una lunga
tradizione di libertà repubblicano-oligarchica": Grazzini, Filippo, Ante
res perdita, post res perditas: dalle dediche del Decennale primo a quella del
Principe, Interpres: rivista di studi quattrocenteschi:Roma: Salerno,. Lettera. È un'ipotesi del Ridolfi, cDiscorsi
sopra la prima Deca di Tito Livio, «Giovanpagolo, il quale non stimava essere
incesto e publico parricida, non seppe, o, a dir meglio, non ardì, avendone
giusta occasione, fare una impresa, dove ciascuno avesse ammirato l'animo suo,
e avesse di sé lasciato memoria eterna, sendo il primo che avesse dimostro a'
prelati quanto sia poco uno che vive e regna come loro; ed avessi fatto una
cosa, la cui grandezza avesse superato ogni infamia, ogni pericolo, che da
quella potesse dependere» Nella sua
Storia d'Italia, il Guicciardini esprime lo stesso giudizio di Machiavelli Ritratto delle cose della Magna, in «Tutte le
opere storiche, politiche e letterarie2»
Lettera ai Dieci,Il carcere, la tortura e il ritiro all'Albergaccio, su
viv-it.org. Ottenendo un giudizio evasivo: cfr. la lettera del Vettori Lettera
a Francesco Vettori, David Quint, Armi e
nobiltà: Machiavelli, Guicciardini e le aristocrazie cittadine, Cadmo, Studi
italiani. De credulitate et pietate; et an sit melius amari quam timeri, vel e
contra. Il machiavellismo, su dizionariostoria.wordpress.com. Machiavellismo,
Treccani, 2Citata in Niccolò Machiavelli, Periodici Mondadori, A. Gentili, De
legationibus. R. Pole, Apologia ad Carolum V Caesarem de Unitate Ecclesiae che talvolta elogiarono però anche alcuni consigli
pragmatici dati al principe, come quello della religione come instrumentum
regnii; ad esempio Voltaire, nel capitolo Se sia utile mantenere il popolo
nella superstizione, del Trattato sulla tolleranza, afferma l'utilità, entro
certi limiti, di una forma di religione razionale per il popolo La fortuna di Machiavelli nei secoli, su
windoweb «Machiavelli era un uomo giusto e un buon cittadino; ma, essendo
legato alla corte dei Medici, non poteva velare il proprio amore per la libertà
nell'oppressione che imperava nel suo paese. La scelta di Cesare Borgia come
proprio eroe, ben evidenziò il suo intento segreto; e la contraddizione insita
negli insegnamenti del Principe e in quelli dei Discorsi e delle Istorie
fiorentine ben dimostra quanto questo profondo pensatore politico è stata
finora studiato solo dai lettori superficiali o corrotti. La Corte pontificia
vietò severamente la diffusione di quest'opera. Ci credo... in fondo, quanto
scritto la ritrae fedelmente. il libro dei repubblicani (...) fingendo di dare
lezioni ai re, ne ha date di grandi ai popoli». (Jean Jacques Rousseau, Il
contratto sociale), «Dal solo suo libro Del Principe si potrebbero qua e là
ricavare alcune massime immorali e tiranniche, e queste dall'autore son messe
in luce (a chi ben riflette) molto più per disvelare ai popoli le ambiziose ed
avvedute crudeltà dei principi che non certamente per insegnare ai principi a
praticarne... all'incontro, il Machiavelli nelle Storie, e nei Discorsi sopra
Tito Livio, ad ogni sua parola e pensiero, respira libertà, giustizia, acume,
verità, ed altezza d'animo somma, onde chiunque ben legge, e molto sente, e
nell'autore s'immedesima, non può riuscire se non un fuocoso entusiasta di
libertà, e un illuminatissimo amatore d'ogni politica virtù» (Del principe e
delle lettere,) «Con quel libro, se la
sapessimo tutta, egli si pensò forse di pigliare, come si suol dire, due
colombi ad una fava: presentando dall'un lato a' suoi Fiorentini come schietta
e naturale una caricata e mostruosa immagine d'un sovrano assoluto, affinché si
risolvessero a non averne mai alcuno; e cercando dall'altro di tirare
insidiosamente i Medici a governarsi in guisa che s'avessero poi a snodolare il
collo, seguendo i fraudolenti precetti da lui con molta adornezza sciorinati in
quella sua dannata opera.» G. Galanti,
Elogio di N. Machiavelli cittadino e segretario fiorentino Alessandro Arienzo, Gianfranco Borrelli,
Anglo-American Faces of Machiavelli, Voce "Machiavellismo"
dell'Encyclopedie Franco Ferrucci, Il
teatro della fortuna: potere e destino in Machiavelli e Shakespeare, Fazi
Editore, Mario Pazzaglia, Note ai Sepolcri, in Antologia della letteratura
italiana, vol I cfr. l'inizio del
Dialogo di Tristano e di un amico.
Introduzione a: Alfredo Oriani, Niccolò Machiavelli //repubblica/rubriche/la-parola
news/realpolitik Realpolitik Video di
Dario Fo che parla di Machiavelli (trasmissione tv Vieni via con me, su
youtube.com. Il Principe di Niccolò Machiavelli e il suo tempo. Catalogo della
mostra, Roma Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La su Machiavelli è sterminata. Tentativi di
redigerla sono stati realizzati da Achille Norsa, Il principio della forza nel
pensiero politico di Niccolò Machiavelli, seguito da un contributo
bibliografico, Milano Silvia Ruffo Fiore, Niccolò Machiavelli: an annotated
bibliography of modern criticism and scholarship, New York‑Westport‑London
1990; Daria Perocco, Rassegna di studi sulle opere letterarie del Machiavelli,
in "Lettere italiane",Emanuele Cutinelli‑Rendina, Rassegna di studi
sulle opere politiche e storiche di Niccolò Machiavelli, in "Lettere italiane",
Nel l'Istituto della Enciclopedia
Italiana Treccani ha pubblicato in 3 volumi l'opera Machiavelli: enciclopedia
machiavelliana. Di seguito una selezione di studi. Felix Gilbert, Machiavelli e
la vita culturale del suo tempo, Bologna, Il mulino, Claude Lefort, Le travail
de l'oeuvre Machiavel, Paris, Gallimard, Jean-Jacques Marchand, Niccolò
Machiavelli. I primi scritti politici Nascita di un pensiero e di uno stile,
Padova, Antenore, Riccardo Bruscagli, Niccolò Machiavelli, Firenze, La Nuova
Italia editrice, Roberto Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, Firenze,
Sansoni, Federico Chabod, Scritti su Machiavelli, Torino, Einaudi, John
Greville Agard Pocock, Il momento machiavelliano: il pensiero politico
fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone, Bologna, Il mulino,Carlo
Dionisotti, Machiavellerie, Torino, Einaudi, 1980 Gennaro Sasso, Niccolo
Machiavelli, Il pensiero politico; La
storiografia, Bologna, Il Mulino (Napoli) Giuliano Procacci, Machiavelli nella
cultura europea dell'età moderna, Roma-Bari, Laterza, Gennaro Sasso,
Machiavelli e gli antichi e altri saggi, I-IV, Milano-Napoli, Ricciardi, Maurizio
Viroli, Il sorriso di Niccolò, storia di Machiavelli, Roma-Bari, Laterza, Emanuele
Cutinelli-Rendina, Chiesa e religione in Machiavelli, Pisa, Istituti editoriali
e poligrafici internazionali, Ugo Dotti, Machiavelli rivoluzionario: vita e
opere, Roma, Carocci, 2003 Francesco Bausi, Machiavelli, Roma, Salerno
editrice, Giorgio Inglese, Per Machiavelli. L'arte dello stato, la cognizione
delle storie, Roma, Carocci, Corrado Vivanti, Niccolò Machiavelli: i tempi
della politica, Roma, Donzelli, Andrea Guidi, Un segretario militante.
Politica, diplomazia e armi nel Cancelliere Machiavelli, Bologna, il Mulino,
2009 Gabriele Pedullà, Machiavelli in tumulto. Conquista, cittadinanza e
conflitto nei 'Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio', Roma, Bulzoni,.
William J. Connell, Machiavelli nel Rinascimento italiano, Milano,
FrancoAngeli, Attilio Scuderi, Il
libertino in fuga. Machiavelli e la genealogia di un modello culturale, Roma,
Donzelli,. Michele Ciliberto, Niccolò Machiavelli. Ragione e pazzia, Roma-Bari,
Laterza,. Altri contributi A. Montevecchi, Machiavelli, la vita, il pensiero, i
testi esemplari, Milano E. Janni, Machiavelli, Milano S. Zen, Veritas
ecclesiastica e Machiavelli, in Monarchia della verità. Modelli culturali e
pedagogia della Controriforma, Napoli, Vivarium (La Ricerca Umanistica, Cosimo
Scarcella, Machiavelli, Tacito, Grozio: un nesso "ideale" tra
libertinismo e previchismo, in "Filosofia", Torino, Mursia, M.
Gattoni, Clemente VII e la geo-politica dello Stato Pontificio in Collectanea Archivi Vaticani, Città del
Vaticano 2002 F. Raimondi, Machiavelli, in La politica e gli stati, Roma 2004
Pasquale Stoppelli, La Mandragola: storia e filologia. Roma, Bulzoni, 2005.
Maria Cristina Figorilli, Machiavelli moralista. Ricerche su fonti, lessico e
fortuna. Napoli, Liguori editore, A. Capata, Il lessico dell'esclusione.
Tipologie di Virtù in Machiavelli', Manziana, 2008. Giuliano F. Commito, IUXTA
PROPRIA PRINCIPIA Libertà e giustizia nell'assolutismo moderno. Tra realismo e
utopia, Aracne, Roma, Mascia Ferri, L'opinione pubblica e il sovrano in
Machiavelli, in «The Lab's Quarterly», Pisa. Giuseppe Leone, Silone e
Machiavelli: una scuola... che non crea prìncipi, Centro Studi Silone, Pescina.
Machiavelli i Guicciardini, Lublin, Marietti,
"Machiavelli l'eccezione fiorentina", Fiesole, Cadmo, 2005 Marina
Marietti, Machiavel, Paris, Payot et Rivages, Enzo Sciacca, Principati e
repubbliche. Machiavelli, le forme politiche e il pensiero francese del
Cinquecento, Tep, Firenze 2005 Frédérique Verrier, Caterina Sforza et Machiavel
ou l'origine du monde, Vecchiarelli,Emanuele Cutinelli-Rendina, Introduzione a
Machiavelli, Roma-Bari, Laterza, Lettera a Francesco Vettori Letteratura
italiana Francesco Guicciardini Teoria della ragion di Stato Istorie fiorentine
Barbara Salutati Machiavellismo. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Niccolò
Machiavelli, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Niccolò Machiavelli, in Dizionario
di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Niccolò Machiavelli, su hls-dhs-dss.ch,
Dizionario storico della Svizzera. Niccolò Machiavelli, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc, Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Niccolò Machiavelli, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Niccolò Machiavelli,
su Find a Grave. Liber Liber. openMLOL, Horizons Unlimited Progetto Gutenberg.
Audiolibri di Niccolò Machiavelli, su LibriVox.
di Niccolò Machiavelli, su Internet Speculative Fiction Database, Al von
Ruff. Goodreads. Catalogo Vegetti della
letteratura fantastica, Fantascienza.com.Discografia nazionale della canzone
italiana, Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi. Niccolò
Machiavelli, su Internet Movie Database, IMDb.com. (DE, EN) Niccolò Machiavelli, su
filmportal.de. Antonio Enzo Quaglio,
Machiavelli, Niccolò, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Fabrizio Franceschini, Machiavelli, Niccolò, in Enciclopedia
dell'italiano, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, -. il Principe, ediz.
Istorie fiorentine, ediz. Le opere minori di Machiavelli, su
machiavelli.letteraturaoperaomnia.org. Opere di Niccolò Machiavelli con giunta
di un nuovo indice generale delle cose notabili, Milano, per Giovanni
Silvestri,Rassegna bibliografica degli studi machiavelliani.Una ricognizione
dei contributi scientifici dedicati al Machiavelli negli ultimi decenni. Grice:
“L. J. Cohen told me that he once asked for the MS of The Prince at his college
– and they told him: ‘We cannot find it!’ --. Niccolò di Bernardo dei
Machiavelli. Niccolò Machiavelli. Marchiavelli. Keywords: il principe. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Machiavelli," per
il club anglo-italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51671843062/in/photolist-2mR9Kz4-2mQerAd-2mPAuFE-2mN8u25-2mNbFJE-2mNaHiH-2mN2sRt-2mMQbzj-2mLKtaD-2mLQdrQ-2mLGMqJ-2mLQkSq-2mLQifX-2mLHFAz-2mLHFZv-2mLM9xY-2mLGJnr-2mKQ5j7-2mKNUVi-2mPCgo1-2mKNWGs-2mKCfz1-2mKRUGT-2mKhkq2-2mKbihq-2mJ4GHU-2mJdd94-2mJ9YkM-2mJcdiU-2mJcdio-2mJ4Cow-2mJcdiD-2mJ9Yk6-2mJ4Cpi-2mJ8K4w-2mJdd8h-2mJ8K5o-2mJ9Ymi-2mJ9Ykg-2mJcdi8-2mGnP2f-2mKnqKE-2mKw6Bz-np1Srw-npxAy6-m3pEkK-m4x2n3
Grice e Màdera – la carta del senso – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Varese).
Filosofo. Grice: “I like Madera; especially because he uses words I love, like
‘sense’ – ‘la carta del senso’ and soul – anima --.” Insegna a Milano. Ha
insegnato a Calabria e Venezia. È membro dell'Associazione italiana di psicologia
analitica, del Laboratorio analitico delle immagini (LAI, associazione per lo
studio del gioco della sabbia nella pratica analitica), e fa parte della
redazione della Rivista di psicologia analitica. Fonda i Seminari aperti
di pratiche filosofiche di Venezia e di Milano e PhiloPratiche filosofiche a
Milano. Studia Jung. Define la sua proposta nel campo della ricerca e
della cura del senso "analisi biografica a orientamento filosofico",
formando la Società degli analisti filosofi. Fondat l'”Analisi Biografica A
Orientamento Filosofico”, pratica filosofica volta a utilizzare e a trasformare
il metodo psico-analitico, nata agli inizi Professoree oggi praticata in
diverse città. La pratica dell'analista filosofo si rivolge alle
dimensioni “sane” ed è volta alla ricerca di senso dell'esistenza
dell'analizzante. L’orientamento filosofico è inteso come ricerca di senso che,
a differenza della filosofia come modo di vivere dell’antichità, parte dalla
biografia storicamente, culturalmente e socialmente incarnata. Questo è un
tentativo di risposta alla crisi delle istituzioni tradizionalmente
riconosciute come orientanti l’esistenza; l'analista filosofo si propone di
riformulare su base biografica i processi formativi integrandoli con le
psicologie del “profondo”. L’aver cura “terapeutica” dell’insieme della
personalità e della vita dei gruppi è stato da sempre vocazione della
filosofia, riproposta come contenitore di diversi approcci e discipline delle
scienze umane, dalla psicoanalisi alla pedagogia. Il senso è inteso come il
fattore terapeutico fondamentale. L'analisi biografica a orientamento
filosofico non si occupa della cura delle psicopatologie, a meno che
l'analista filosofo non sia anche uno psicoterapeuta, psicologo o
psichiatra. Essendo una pratica filosofica, sono richiesti all'analista
non solo la competenza professionale ma anche l'indirizzo vocazionale della sua
vita alla filosofia, dedicandosi agli esercizi filosofici personali e
comunitari. L'ambito di esperienze e teorie da cui deriva riunisce
l'eredità delle psicologie del profondo, la filosofia intesa nel suo valore
terapeutico e come stile di vita, la pedagogia del corpo e le pratiche di
meditazione, la psicologia sistemica, il metodo autobiografico e biografico, la
narrazione delle storie di vita in una prospettiva sociologica. Saggi: “Identità
e feticismo” (Moizzi, Milano); “Dio il Mondo” (Coliseum, Milano); “L'alchimia
ribelle” (Palomar, Bari); ““Jung. Biografia e teoria,” Mondadori, Milano,
“L'animale visionario,” Saggiatore, Milano); “La filosofia come stile di vita, Mondadori, Milano, Ipoc, Milano, Il piacere di
vivere, Mondadori, Milano, "Che cosa è l'analisi biografica a orientamento
filosofico", in Pratiche filosofiche e cura di sé, Mondadori, Milano, Jung
come precursore di una filosofia per l'anima”, in, Il senso di psiche. Una
filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica. La carta del senso” Psicologia
del profondo e vita filosofica, Cortina, Milano,, Ipoc,
Una filosofia per l'anima. All'incrocio di psicologia analitica e
pratiche filosofiche, Ipoc, Milano Jung. L'opera al rosso, Feltrinelli, Milano. Sconfitta
e utopia. Identità e feticismo attraverso Marx e Nietzsche, Mimesis,
Milano “Che tipo di sapere potrebbe
essere quello della psicoanalisi?”, in Psiche. Rivista di cultura
psicoanalitica, “Dalla pseudo-speciazione
al capro espiatorio", in, Tabula rasa. Neuro-scienze e culture, Fondazione
Intercultura, Pratiche filosofiche e cura di sé, Mondadori, Milano, Le pratiche
filosofiche nella formazione, Adultità, Guerini, Milano Bartolini P., Mirabelli
C., L’analisi filosofica: avventure del senso e ricerca mito-biografica,
Mimesis, Milano-Udine Campanello L.,
"L'analisi biografica a orientamento filosofico e le cure palliative”, in
Tessere reti per una buona morte, Rivista Italiana di Cure Palliative, Campanello
L., Sono vivo ed è solo l'inizio, Mursia, Milano Daddi A. I., Filosofia del profondo,
formazione continua, cura di sé. Apologia di una psicoanalisi misconosciuta,
Ipoc, Milano, Daddi A. I., “Principio
Misericordia, perfezionismo morale e nuova etica. La proposta màderiana per
l'Occidente del terzo millennio”, in Rassegna storiografica decennale, Limina
Mentis, Monza, Diana M., Contaminazioni
necessarie. La cura dell'anima tra religioni, psicoterapia, counselling
filosofici, Moretti, Bergamo, Galimberti U., Dizionario di psicologia.
Psichiatria, psicoanalisi, neuro-scienze, voce “Biografico, Metodo”,
Feltrinelli, Milano Gamelli I., Mirabelli
C., Non solo a parole. Corpo e narrazione nella formazione e nella cura,
Cortina, Milano Janigro N., La vocazione
della psiche, Einaudi, Torino Janigro
N., Psicoanalisi. Un’eredità al futuro, Mimesis, Milano Malinconico A., "Dialettica di redazione
(ancora in tema di analisi biografica a orientamento filosofico)", in, Il
senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica, Malinconico
A., Psicologia Analitica e mito dell’immagine. Biblioteca di Vivarium,
Milano Montanari M., “Per una filosofia
del profondo”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di
psicologia analitica, Montanari M., La filosofia come cura, Mursia, Milano Montanari M., Vivere la filosofia, Mursia,
Milano Moreni L., “Intervista a tre
analisti filosofi”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista
di psicologia analitica, Sull’analisi biografica a orientamento filosofico Analisi biografica e cura di sé Una nuova formazione alla cura Psiche e città. La nuova politica nelle
parole di analisti e filosofi
Quattordici punti sull’analisi biografica a orientamento filosofico. Romano Màdera. Madera. Keywords: la carta del
senso, “profondo” “la grammatica profonda” “la grammatical del profondo” Tiefe
Grammatik – implicatura del profondo, implicatura del superficiale. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Madera” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752822935/in/datetaken/
Maffetone
(Napoli). Filosofo. Grice: “I like Maffetone; he tries, like I do,
to defend Socrates against Thrasymacus; in the proceedings, he provides his
view on the foundations of Italian liberalism – and has recently explored the
topic of what he calls ‘il valore della vita.’” Si laurea a Napoli. Ha
contribuito al dibattito scientifico sui temi di bioetica e etica dell'economia
e della politica, alla Rawls,, tentando di ricostruire i principi del
liberalismo applicandoli al contesto dell’economia. Insegna a Roma. Presidente
della Fondazione Ravello. Saggi: “I
fondamenti del liberalismo” (Laterza, Etica Pubblica, Il Saggiatore); “La
pensabilità del mondo” (Il Saggiatore, “Rawls” (Laterza). “Un mondo migliore.
Giustizia globale tra Leviatano e Cosmopoli, “Marx nel XXI secolo,” Luiss University
Press. Radio Radicale. Sebastiano Maffettone. Maffetone. Keywords:
contrattualismo. Rawls on Grice on personal identity. Keywords:
quasi-contrattualismo conversazionale, i due contrattanti – il contratto come
mito – contratto – marxismo, comunismo, laburismo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Maffetone” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Magalotti – di naturali esperienze (Roma). Filosofo. Grice: “I like Magalotti – very
philosophical” – Grice: “When a philosopher is a count, we don’t say that he
was a professional philosopher, but not an amateur philosopher either –
‘philosopher’ does!” – Grice: “I like his ‘saggi’ on ‘natural experience’ – he
is being Aristotelian: there is natural experience and there is trans-natural
experience – and there is supernatural experience!” Appartenente
all’aristocrazia, figlio di Orazio, prefetto dei corriere pontifici, e
Francesca Venturi. Studia a Roma e Pisa, dove e allievo di Viviani e Malpighi.
Segretario di Leopoldo de' Medici, segretario dell'Accademia del Cimento
(fondata da de’ Medici). Fa parte anche dell'Accademia della Crusca e
dell'Accademia dell'Arcadia, Dall'esperienza al Cimento nacque i “Saggi di
naturali esperienze, ossia le relazioni dell'attività dell'Accademia del
Cimento”. Passa al servizio di Cosimo III de' Medici iniziando così un'attività che lo porta a una
serie di viaggi per l'Europa (raccolse in diverse opere le sue vivaci e brillanti
relazioni di viaggio). Ottenne il titolo di conte e la nomina ad ambasciatore a
Vienna. Si ritira alla villa Magalotti, in Lonchio. Si dedica alla filosofia,
con particolare attenzione per la filosofia naturale di Galilei Opere: “Canzonette
anacreontiche di Lindoro Elateo, pastore arcade” “Delle lettere familiari del
conte Lorenzo Magalotti e di altri insigni uomini a lui scritte, Firenze, Diario di Francia, M.L. Doglio, Palermo,
Sellerio. “La donna immaginaria, canzoniere, con altre di lui leggiadrissime
composizioni inedited” (Lucca); “Lettere del conte Lorenzo Magalotti gentiluomo
fiorentino dedicate all'Ecc.mo e Clar.mo Sig. Senatore Carlo Ginori Cav.
dell'Ordine di S. Stefano, Segretario delle Riformagioni e delle Tratte, Lucca.
Lettere contro l'ateismo, Venezia. Lettere odorose, E. Falqui, Milano. Lettere
scientifiche. “Lettere” (Firenze). “Saggi di naturali esperienze fatte
nell'Accademia del cimento sotto la protezione del Serenissimo Principe
Leopoldo di Toscana e descritte dal Segretario di essa Accademia, Milano. “Scritti
di corte e di mondo” Enrico Falqui, Roma. “Varie operette del conte Lorenzo
Magalotti con giunta di otto lettere su le terre odorose d'Europa e d'America
dette volgarmente buccheri” Roma.Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Saggi di naturali esperienze fatte
nell'Accademia del Cimento sotto la protezione del serenissimo principe
Leopoldo di Toscana e descritte dal segretario di essa Accademia (Firenze: per
Giuseppe Cocchini all'Insegna della Stella); “La donna immaginaria canzoniere
del celebre conte Lorenzo Magalotti ora per la prima volta dato alla luce e
dedicato alle nobilissime dame italiane” (Firenze: Bonducci); “Canzonette
anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade” (Firenze: per Gio. Gaetano Tartini,
e Santi Franchi); “Il sidro poema in due canti di Giovanni Filips tradotto
dall'inglese in toscano dal celebre conte Lorenzo Magalotti ora per la prima
volta stampato con altre traduzioni, e componimenti di vari autori” (Firenze: appresso
Andrea Bonducci); Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond, Opere
slegate: precedute da un carteggio tra Magalotti e Saint-Évremond, tradotte in
toscano” (Roma: Edizioni dell'Ateneo). Scienza in Italia, opera del Museo Galileo.
Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, Elogio storico nell'edizione
de La donna immaginaria canzoniere del conte Lorenzo Magalotti con altre di lui
leggiadrissime composizioni inedite, raccolte e pubblicate da Gaetano Cambiagi,
In Lucca: nella stamperia di Gio. Riccomini, Dizionario critico della
letteratura italiana, Torino, POMBA, Lorenzo Magalotti, Relazioni di viaggio in
Inghilterra, Francia e Svezia” (Bari, G. Laterza). Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Crusca, Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia Lettere scientifiche ed erudite Comento sui primi cinque canti dell'Inferno
di Dante, e quattro lettere del conte Lorenzo Magalotti Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo
pastore arcade Lettere scientifiche ed
erudite La donna immaginaria Novelle
(il volume contiene anche opere di altri autori) Gli amori innocenti di
Sigismondo conte d'Arco con la Principessa Claudia Felice d'Inspruch. DICE
poldo di Toscana . Lettera III. SopralaLuce.AlSignorVincenzo Vi Sopra ildetto
del Galido, il Vino Signor Carlo Dati. Lettera V. 111 P relazione 13 28 un composto
d'umore e di luce. Al 48 394 refazione medesimo . Lettera II. . Fiore. Al
Serenissimo Principe L e o . Delveleno dellaVipera.AlSignorOt 78 ne
d'osservar la Cometa l'anno 1664. Leltera VII. Donde possa avvenire , che nel
giu dicar degli odori cosi sovente si prenda abbaglio. Al Signor Cavaliere
Giovanni Battista d'Ambra. Lettera re Giovanni Battista d'Ambra.Lette
Descrizione della Villa di Lonchio.Al Strozzi. Lettera X. Intorno all'Anima
de'Bruti,Al Padre secondo. Al Padre Lettore Don A n giolo Maria Quirini.
Lettera XIII. 262 INDICE 395 . : 126 Sopra un effetto della vista in
occasio Al Sigoor Abate Oilavio Falconieri. . Sopra gli odori . Al Signor
Cavalie Signor Marchese Giovanni Battista Sopra un passo di Tertulliano.Al Pa
Sopra un passo del Concilio Niceno Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N.
Lettera XIV. . Monsignor Leone Strozzi . Lettera XVII.. . 170 252 ra IX. VIII,
Іоо Letiore Don Angiolo Maria Quirini. Lettera XI. dre Lettore Don Angiolo
Maria Q u i rini.Lettera XI. Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera
XV. 85 157 279 Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XVI. 282 Sopra
un intaglio in un diamante. A 289 300 7 Conte Ferrante Capponi .
Lettera XIX. Sopra la lettera B , e perchè ella s'a doperi cosi spesso nel
principio de 396 INDICE. Sopra un passo di S. Agostino.Al Si gnor Abate
Lorenzo Maria Gianni. Lettera XVIII . . Sopra il Cascii . Al Signor Cavaliere
Cognomi. Al Signor Tommaso Buo naventuri . Lettera X X . . 338
FINE. SilAJilUsCEn il poeta per una lelva, per la quale tutta notte
aggiratosi, la mattina in su falba si trova a piè <l'uQa colliuciui.
Kipoaatosi alquanto ^ •! per voler aalire f quando y fattuegli
incontro una lonza, un leone e una lupa, h costretto a rifuggirsi alla
selva. In questo gli apparisce Fombra di Virgilio , il cui ajuto è da
esso caldamente implorato contro alla lupa, dalla quale il maggior
pencolo gli soprastava. Virgilio discorre lunga* mente della pessima
natura di quella 6era, onde cam« porne lo strazio , offerendogli sè per
guida | a tener altra Digiiized by Google a
Canto via lo conforta. Dante accetta Tofferta di Virgilio « e
te- nendogli dietro ti mette in cammino. V. I. Nel mezzo del
cammin tee. Keir età di 35 anni. Ciò non t'aTguìtee per
congetture; ma provasi manifestameute da un luogo del tuo Convivio,
nella aposizione della canzone : Le dolei rime eTamor, eh* io
eolia; dove 9 dividendo il cono della vita umana in quattro
parti, che tutte (anno il numero d'anni 70 « resta, che la metà del suo
corso, secondo la mente del poeta, sia ne' 35 . Che poi questo primo
verso debba intendersi letteralmente, cioò del numero degli anni, e non
alle- goricamente, come alcuni vogliono: si dimostra da un luogo
deir Inferno , caut. XV, nel quale domandato il poeta da Ser Bnmetto di
sua venuta, esso gli risponde, V. 49; Lassù di sopra in la
vUa serena * JUrpos* io lui • mi smarrì *n una valle , 1
Avanti (he Vetà mia fosse piena: riferendoli a questa selva» nella
quale racconta essersi smarrito nel mezzo del commin del suo
vivere. V, per una selva oscura. Forse questa selva ^
oltre al senso letterale, che fa giuoco al poeta per 1* intraduzione del
suo viaggio , ha sotto di s^ ((ualche senso allegorico • dei quale sono
ar- ricchite molte parti di questo primo canto ; e vuol per
avventura s guilicare la selva degli eiTori , per entro la quale assai di
leggieri si perde l' uomo nella sua Digitized by Coogle
FRIICO. 3 a<h>1etccnu; e cìie iia *1 vero
nel topraccitato luogo del •uo CoFwivio ti leggono queite formali parole
; È adunque dà f opere, che y ticcome quello, che mai non fosse stato
in una città , non saprebbe tener le vie -, senza l' insegnamento
di colui , che le ha usate : ro/1 V adolescente » che entra nella teloa
erronea di questa vita , non saprebbe tenere il buon co/m- mino y se da
suoi maggiori non gli fosse mostrato ; nè il mo- strar vatrebbe, se alli
loro coaiafidamenti non fosse obbediente, V. 8. Ma per trattar del
ben ecc. Del frutto, il qual ti ritrae dalla meditaiione di
quel miserabile stato pieno di pene e di rimordiinenti , mediante
la quale s' arriva alla caDtemplaaione d' Iddio , che è la fine
propostasi dal poeta. V. 1 3. Ma po* eh* »* fui appiè ecc.
Il colle è forse inteso per la virtù , la qual si solleva dalla
bassezza della selva. V. l6 vidi le sue spalle VestUe
già de* raggi del pianeta ecc. Il senso letterale è aperto ,
volendo dire , che la cima del colle era di già illustrata da' raggi del
nascente sole. Ma forse, che sotto questo senso n' è chiuso un altro
^ pigliando il sole per la grazia illuminante , la quale all' u-
sctr Dance dalla selva degli errori cominciava a trape- lare con qualche
raggio nella sua mente. V. ao. Che nel lago del cuor ecc. Por
che voglia insinuare , nella passione della paura commuoversi e
fortemente agitarsi il sangue nelle due cavità del cuore, dette
volgarmente ventricoli; de' quali, 4 Canto prrò
eh’ e' parla in lingolare , pigliando la parte pel tutto , vuol forae dir
principalmente del destro , che del sinistro i maggiore. Dante lo chiama
lago , credendosi forse che il sangue che v’ è , vi stagni , non essendo
in que’ tempi alcun lume della circolazione. Qui però cade molto a
proposito il considerare un luogo maraviglioso del Petrarca nella seconda
canzone degli occhi, finora, che io sappia, non avvertito da altri; nel
quale dice cosa intorno alla circolazione da far facilmente
credere, eh* egli quasi quasi se l’indovinasse, arrivandola, se non
con l'esperienza, con la propria speculazione. Dice dun- que così :
Dunque eh' i’ non mi sfaccia , Si frale oggetto a s\ possente
fuoco Non i proprio valor , che me ne scampi , Ma la paura un
poco , Che 7 sangue vago per le vene agghiaccia , insalda ’l
cor , perchè più tempo avvampi. Non ha piti dubbio-, eh* e’ si
parrebbe forte appassio- nato del poeta, che volesse ostinarsi a dire,
che il sen- timento di questi versi suppone necessariamente la
notizia della circolazione del sangue ; la quale , a dir vero , so fosse
stau immaginata , non che ricooosciuu dal Petrarca, non ha del verisimile
, eh’ ella si fosse morta nella sua mente, ma, da lui conferita e
discorsa con altri, per la grandezza del trovato avrebbe mossa fio d'
allora la cu- riosità de’ medici e de’ notomisti a procacciarne i
riscontri con resperienze. E ben degno di qualche maraviglia il
vedere , come , il poeta altro facendo , e forte altro in- tendendo di
voler dire , gli è venuto detto cosa , che spiega mirabilmeote quesu
dottrina; poiché, se ben si Digitized by Google
FUMO. 5 considera il lento de' lopraddetti Tersi
, ^ tale : Ma il cuore rìsalda un poco, cioè ritorna al suo esser di
flui- dezza il sangue , il quale nel vagar per le vene s'ag- ghiaccia
dalla paura , e ciò a fine di farlo arder misera- mente più lungo
tempo. Puoss' egli dilucidar più chiaramente Teffetto, che
opera nel sangue il ripassar cb* egli fa per la fornace del cuore,
dove si liquefi, s'allunga, s'assottiglia, e si stempera, caso che nel vagar
per le vene lontane o per paura, come in questo caso nel Petrarca, o per
qualsivoglia altra cagione si fosse punto aggrumato e stretto; onde
poi, novellamente fuso, e corrente divenuto, potesse ripigliare il nuovo
giro ed allungar la vita (la qual tanto dura, quanto dura il sangue a
muoversi), e si a render più luogo r incendio amoroso del poeta?
Ma ciò, per chiaio ch'ei sia ed aperto, ò tuttavia assai
oscuramente detto in paragone d'un luogo, del Da- vanzati nella sua
Lezione delle monete. Il luogo ò il se- guente : Jl danojo è il nerbo
della guerra, e della repuh~ hlica , dicono di gravi autori, e di
jolenni* Ma a me par egli più acconciamente detto il secondo sangue;
perchè, siccome il sangue , eh' è il rugo e la sostanza dei cibo
nel corpo naturale, correndo per le vene gì-osse nelle mi- nute ,
annaffia tutta la carne , ed ella il si Bee , com* arida terra bramata
pioggia, e rifà, e ristora, qucaUunque di tei per lo color naturale
s'asciuga, e svapora: così il danajo, eh* è sugo e sostanza ottima della
terra , come dicemmo , correndo per le borse grosse nelle minute , tutta
la gente rineaneuina di quel danajo, cheti spende, evaviacontl-
nuatnente nelle cose , che la vita consuma , per le quali nelle medesime
borse grosse rientra , e cos't rigirando man- tiene in vita il corpo
civile delta repubblica. Quindi assai Digitized by Coogle
6 Canto éi leggler ti tomprende , eh*
ogni ttato vuol una quantità di moneta, che rigiri^ come ogni corpo una
quantità di sangue , che corra» Che dunque diremo di queit*
autore ? Nuli* altro ceiv tamente , te non che , dove i profeMori delle
mediche facoludi non giunsero, se non dopo un grandissimo guasto d*
inomnerabili corpi, egli senz'altro coltello che con la forza d'un
perspicacissimo ingegno penetrò nel segreto di questo aumiirabile
ordigno, c tutto per filo e per segno ritrovò raltisstmo magistero di
quei movimenti, che noi vita appelliamo* V. 31 . £ qual è
quei, che con Una af annata ecc. MaravigUosa similitudine.
V. 35. CoA /'animo miò , eh* ancor fuggiva ecc. Rara maniera
d'esprimere una paura infinita. Bocc.*, Novella 77. Allora , quasi come
se *l mondo sotto i piedi venuto le foste meno , le fuggi Canitno , e
vinta cadde ro- paa '/ battuto della terre. V. 3 o* Si che 7
piè fermo ecc. Solamente camminandosi a piano : dicansì quel
che vogliono 1 commentatori, in ciò manifesraniente conviensi dalla
dimostrazione e dall' esperienza. £ vero, che il piè fermo retu sempre Ìl
più basso. Onde convien dire, che Dante non avesse ancor presa l'erta, il
che si convince anche più manifestamente da quel che segue :
V. 3 i. £d ecco, quoti al cominriar dell’ erta» La voce quoti
vuol significare ( e tanto più accompa- gnau con l'altra al cominciar t
che denota futuro), che Digitized by Google
PRIVO. 7 Verta era ben vicina, ma non cominciata; c pure in
fin allora avea camminato , adunque a piano. Nè li opponga quello,
ch’egli dice ne* veni innanzi, y. l3. Ma po’ eh’ i fui appii
d" un colle giunto ; poiché appiè d'un colle li dice anche in
qualche distanza; anzi t' e’ doveva comodamente vedergli le spalle, v. l
6 . Guarda’ in alto e vidi le sue spalle , tornava
meglio eh’ e’ ne fosse alquanto lontano. Molto meno dà dilEcoltà il
seguente v. 6 l. Mentre eh’ i’ rovinava in basso loco;
dicendo: dunque se ora egli scende, mostra, che dianzi saliva.
Saliva , ma dopo aver prima fatto il piano , per lo qual camminando il
pie fermo sempre era il più basso. Del resto il leone e la lonza non
poteron impedirgli il salire : solamente la lupa gli fe’ perder la
speranza dell’ al- tezza, cioè di condurti in cima del colle. Di qui
avvenne eh’ egli prete a rovinare in basso loco, V. 3a. Una
lonza ecc. Una pantera. Per essa , come animai sagacissimo , in-
tende veritimilmente la lussuria. V. 36. Ch’i’ fui, per ritornar,
pUi volte, volto. Bisticcio. Tibullo ti fe’ lecito anch’ egli per
nn^ volta un simile scherzo , Ub. IV , corm. VI , v. 9 . Sic
bene compones : ulli non ille puellat Seruire. 8
Canto £ Properzio te ne volle aacor etto cavar la voglia,
elcg. Xin, Ub. I, V. 5. Vum tiU Jecepiiì augfiur fama puellis
, CtTtus et in nuìlo quaeris amore moram. V. 39 quando
V amor divino Mone da prima quelle cose belle- Direi,
che per la motta di quelle cose belle non inten- dette altro il poeta,
che rattuazione dell* idee, o tì vero lo tpartimento dell* idea primaria
nell* idee tecondarie , che è il diramamento dell* uno nel diverto
tignificato nel triangolo platonico. In tomma la creazione dell*
univerto, allora quando formò il mondo temibile tutta a timile al
mondo archetipo o intelligibile creato ab eterno nella mente
divina. £ non è inveritimile, che Dante abbia voluto toccare
quetta dottrina platonica, nella quale, come appare ma- oifettamente da
altri luoghi della tua Commedia, e prin- cipalmente nell* XI del Paradito
, egli era vertatittimo , donde ti raccoglie e 1* intento amor delle
lettere e la pertpicacia del tuo finittimo intendimento , mentre in
un aecolo coti barbaro pot^ aver notizia delle opinioni pla-
toniche , quando i principali autori di quella tcuola o non erano ancor
tradotti dal greco idioma , o t*egli era- no, grandittima penuria vi
aveva de* codici tcritti a penna dove vederli e ttudiarli. Na t* io ben
m'avvito, tal dot- trina Incavò egli a capello da Boezio, del qual aurore
il poeta fu ttudioiittimo , dicendo nel tuo Convivio queite formali
parole : Tuttavia , dopo alquanto tempo , la mia mente» che s'argomentava
di tonare » provvide ( poi ne*l ai/o, nè Taltrui consolare valeva )
ritornare al modo» che Digitized by Google F ni
u o. 9 alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi; e
ansimi ad allegare e leggere quello , non conosciuto da molti ,
libro di Boezio ) ìlei quale » cattivo e discacciato , consolato si
aveva. Quivi adunque potè egli facilmente apprendere a intender Puniverso
aotto il nome di bello , e ti per la moMa delle cose belle intender la
mossa del mondo archetipo disegnato ab eterno nella mente d'iddio. 1
versi * di Boezio sono i seguenti: lib. Ili de consol. etc.^ metro
1\. O qui perpetua mundum radane guhemés» Terrarutn
caeUque salar , qui te/apus ab aeuo Ire iuhes , stabilisque nianeru das
cuncta moueri ; Quent non extemae pepulerunt fingere caussae Materiae
fluitantis opus uerum insita sutnmi Forma boni, liuore carens : tu cuncta
superno Ducis ab exeinplo : pulcrum pulcherrimus ipse Mundum mente
gerens , similiqtte imagine formans , Perfectasque iubens perfectum
absoluere partes. In numeris elemento ligas , ut frigora fiamtnis
y Arida conueniant liquidis : ne purinr ignis Fuolet , aut mersos
deducane pondera terras. Tu triplicU mediam naturae cuncta
mouentem Connectens animam per consona membra resoluis, etc.
Che poi per la motta intenda l'attuazione delle idre mondiali, ciò
si convince apertamente da un luogo ma- raviglioso del suo canzoniere
nella canzone : Amor y che nella mente mi ragiona; dove
parlando della sua donna dice cV ella fu T idea, che Iddio si propose
quando creò il uiondo sensibile, il qual atto di creare vien quivi
espresso con la voce mosse. IO Canto
Però qual donna sente sua beliate , Biasmar , per non parer
queta ed umile ^ Miri costei , eh' esemplo è d’umiltate»
Questuò colei, che umilia ogni perverso. Costei pensò , chi
mosse l* universo. Altri forse intenderà (tutto che i comentatorì
in questo luogo se la passino assai leggìensente ) per la mussa di
quelle cose belle, la mossa data ai pianeti per gli orbi loro; ma
trattandosi d"una mossa data dall" amor divino, panni assai più
degna opera la creazione dell'universo, che r imprimere il moto a piccol
numero di stelle. Dire dunque , che il sole nasceva con quelle stelle ,
eh* eran con lui quando Iddio creò il mondo : cioè eh' egli era in
Ariete , nella qu^d costellazione fu creato secondo Vopiniooe di
molti. V. 41 * a bene sperar vera cagione. Di quella
fera la gaietta pelle , L*ora del tempo , e la dolce
stagione. Può aver doppio significato : primo in questo modo ,
cioè : 51 che Vara del tempo , e la dolce stagione tu erano cagione di
bene sperare la gaietta fera di quella pelle; cioè, Si che l'ora della
mattina e la stagione di prima^ vera (avendo detto che il sole era in
ariete) mi davano buon augurio a rincer l'incontro di quella fiera, e
a riportarne la spoglia. £ in quest' altro : Sì che aggiunto all'
ora e alla bella stagione l' incontro di quella fiera adorna di sì vaga
pelle non poteva non isperar felici successi. Così rincontro d'uno o d'
un altro animale recavasi anticamente a buono o a tristo augurio.
Digitized by Googie F R I M O. (I V. 45. Za
vista, che m'apparve étun leone. Il leone è preio dal poeta per
limbolo della superbia. V. 4^. £d una lupa eco.
L'ararizia. V. Si. £ molte genti fe' già viver grame.
Ciò si può intender di coloro , l'aver de' quali è ingordamente
assorbito ddl' avwo , e per gli avari me- desimi, che ai consumano in
continui affanni per l'insa- ziabditi della lor cupidigia, onde chiama la
lupa bestia senza pace. V, 53 . Con la paura, eh’ uteia di
sua vista. Qui paura con bizzarra significazione vale spavento
in significato attivo, ed è forse l'unico esempio che se ne trovi.
Cosi l'addiettiva pauroso è preso attivamente, Infer. cant. 3 , V. 8
H. Temer si dee di sole (fucile cote , eh’ hanno potenza
di far altrui male , Deir altre no , che non son paurose.
Cioè non danno paura ; ma questo non è tanto sin» gulare , quanto
il sostantivo paura in significato di ter- rore, e f.tcllmente se ne
troveranno esenipj simili cosi ne'Crecif come nei Latini. Uno al presente
me ne sov- viene, ed ò di Tibullo, eleg. IV, lib. Il , v. q,
Stare uel insanis cautes obnoxia uentit , Naufraga quae uatii
tunderet unda maris ! V. 60 dove il sol tace. Verso l'onibra
della selva. I Digilized by Google
12 Canto V. 63 . Chi per lungo silenzio parta
fioro. Quriti è Virgilio, «otto la periona del quale pare,
che debba intendersi il lume della ragion naturale risve- gliato nella
mente del poeta dalla teologia figurata per ranima di Beatrice de*
Portinan in vita amata da Dante. V. 63 parta fioco. Dal
sento delle parole par, che Dante •* accorgesse , che Virgilio era fioco
dalla semplice vista, ma a bea considerare non è così. Perchè allora eh'
egli scrisse questo verso avevaio già udito favellare, onde può ben
dire qual era la sua voce, oltre al dire eh* e* Paveva veduto. Che
poi lo faccia fioco , ciò è furila per tacciar la bar- barie di quel
secolo , in cui allorché Dante si pose a cercar lo suo volume, cioè a leggere
e studiar TEneide, nino altro era che la cercasse o studiasse , onde
poteva dirsi Virgilio starsene muto ed in silenzio perpetuo.
V. 70. Nacqui suh JuliOt ancorché fosse tardi. Dice esser
nato sotto Giulio Cesare ancorché fosse tordi, cioè ancorché esso Giulio
Cesare rispetto al nascer di Virgilio fosse tardi, cioè indugiasse
qualche tempo ad aver Tassoluto imperio di Roma, onde si potesse
con verità dire che la geme nascesse sotto di lui. £ vera- mente
Virgilio nacque avanti a Cristo anui 70, agridi d'ottobre , e per
conseguenza avanti che Giulio Cesare fosse imperatore. V. 90.
Ch" ella mi fa tremar le vene e i polsi, piglia i polsi
universalmente per Parterìe, le quali eo\ loro strigoersi e dilatarsi con
contraria corrisponden- za alla sistole e alla diastole del cuore
continuamente Digitized by Coogle 7 R I li O.
i 3 dibatt^nfti. E qui è da notare ravvedutezza deì
poet mentre dice, che gli tremavano le vene ancora, come quegli che
beni»iÌmo sapea , che per non andar mai diigiunte dall* arterie, in una
violente commozione di queite, non può far di meno che quelle ancora
tanto quanto non •'alterino. V. 91. A te convien tenere altro
viario. Quasi dica; ben li può luituria e tuperbia vincere,
ma superare avarizia, ciò è all* umane forze impossibile. V. 100.
Molti son gii animali 1 a cui t’ammoglia. Molti vizj veogon
congiunti con Tavanzia. V. lOi. ... in finckè’l veltro ecc.
Questi è messer Cane della Scala veronese , onde la sua patria,
dice Dante, che sari tra Feltro e Feltro, perchè tra Monte Feltro dello
Stato d' Urbino e Feltro del Friuli si ritrova in mezzo Verona. Fu messer
Cane uomo d'alto affare in que' tempi, e d'animo grande e liberale;
ed essendo desideroso, che la sua generosità fosse per opera
conosciuta, intraprese ad onorare e soccorrer tutti coloro, che di gran
saliere fosser dotati, fra quali ricoverò anche il nostro poeta,
allorch'e'fu di Faenze cacciato co* Chi~ bellini intorno all'anno i 3
oS. V. io 3 * terra , nè peltro» Peltro^ stagno
raffinato con lega d’argento vivo. Qui per metallo in genere , onde il
scntimeaio è questo ; V. io 3 . Questi non ciberà terra , nè peltro
, Questi non si ciberà , cioè non sarà signoreggiato da
ambizione di stato > uè da cupidigia d'avere. 14 Canto
triuo. V. ic 6 . Di queìF umile Italia» Vinile y atteso
il tuo miserabile stato in que* tempi per rintestioe discordie, ond' ella
era sempre infestata. V. 111. Là onde invidia prima ecc.
O sia la prima invidia di Lucifero contro Iddio in Ciclo, o contro
l'uomo nel paradiso terrestre, o pure: V. IH. Là onde invidia prima
dipartiìla\ Là onde da prima inridia la diparti , preso quel
prima avverbialmente. V. iiS. Che la seconda morte ciascun
^rida. Allude al desiderio , che hanno i dannati della morte
deir anime loro dopo quella de* corpi per sourarsi alla crudeltà de'
tormenti, onde S. Luca, cap. aa, io persona di quelli : Monies cadile
super noi, et colles operile nos. V. lai. Anima fia ecc.
Beatrice de' Portinarì , la quale , siccome à detto di sopra , fn
io vita ardentissimamente amata dal poeta. In questo, che segue nel
primo canto, si consuma un giorno intero , eh' è il primo del viaggio di
Dante. Digitized by Google INFERNO.
CANTO SECONDO. ARGOMENTO. Si fa dall’ ioTOcar
le muae e l'ajuto della propria mente. Dipoi acconta , com' egli peniando
all' impreia di tal viaggio . cominciò a •gomrntoraeoe , e a
motirare a Virgilio eoo molte ragioni, di' e' non era dovere, ch'ei
ti mettewe ]>er niun conto a cimento >1 pericoloio. Dopo di che
narra, come Virgilio lo ripreie della tua viltà; e con dirgli, ch'egli
veniva in tuo aoccorto mandatovi da Beatrice, tutto di buon ardire lo
iraarrito animo gli rinfranca, ond'egli ti ditpone al tutto di volerlo teguitare.
V. 4 . ATapparetfhiava a sostemr la putirà , Si del cammino ,
e ti delta pittate. Il Boti, il Vellutello, ed altri comentatori
tpiegano qneito luogo coti ; M'apparecchiava a tiiperar le ilitE-
cultà del viaggio, e tollerar la noja della pietà, di' eraii per farmi
quei crudeliitimi tirar) , ond’ era per veder tormentare l’anmie de’
dannati. Io però ardirei proporre Digitized by Coogle
j6 Canto un* alfr.i roiuMcrazionc , le a sorte Dante avesse
piut- tosto voluto dire, eh’ ci •'apparecchiava a sostcoer la
{guerra della pirtare , cioè a ftf forza al suo animo per non prender
pietà de’ peccatori, avvegnaché U crudeltà de’ «upplizj. fosse per
muovergli un certo naturai affetto di comjiafsione , al quale ciafcun
uomo fi seme ordina- riamenTc incitare per la miseria altrui. £ veramente
il senso letterale pare , che favorisca mirabilmente questo
sentimento ; poiché , s’ei s’apparecchiava a sostener la guerra della
pietà, cioè la guerra, ch’era per Wgli la pietà , segno è eh' e* non
voleva lasciarsi vincer da quella, ma si resistere e comb.ucere con la
considera- rione, che quegl' infelici erano puniti giustamente,
anzi, come dicono t teologi, citra meritumt mentre avendo offeso
una Maestà inBnita, e sì infinita venendo a esser la loro colpa, questa
non può con pene finite soddisfarsi. Dico finite quanto all' intensione ,
non quanto all* estensione , la quale non ha dubbio , che durerà
eternamente. E chi porrà ben mence ad altri luoghi dell’Inferno, ne
troverà di quelli, che armano di piu salde conjetture il sentimento
da me addotto in questo passo. Tale è quello dell’Inferno, canto XIII,
dove, dopo il primo ragionamento dì Pier delle Vigne , Dante dice a
Virgilio, eh* c’ seguiti a do- mandare all* anima del suddetto Piero
qualche altro dubbio, imperocché a lui non ne dà Tanimo, tanto si
sente strignere dalla pietà del suo infelice stato, v. OntV io a
lui : dimandai tu ancora Di quel, che credi ^ ch‘ a me soddisfaccia
; eh* i non potrei: tanta pietà in accora. E piià apertamente
si vede questo star su la difesa, che fa Dante contro l’ importuna pietà
de* dannati, la qual Dìgitized by Coogle S B C O H D
O. >7 tenta di vincerlo al canto XXIX dell’ Inferno
, quando arrivato in tu ruldina costa di Malebolge dice cosi, v.
43^ Lamenti saeltaron me diversi , Che di pietà ferrati
avean gli strali : Ond" io gli orecchi con te man
coperti. Il qual terzetto par, che esprima troppo maraviglio-
samente un fierissimo assalto dato dalla pietà all’ animo del porta , e
la difesa di quello con turarsi gli orecchi. £ non solamente si troverà
difendersi dalla pietà , ma sovente incrudelire contro di essi, negando
loro conforto e compatimento. Così Inf. cant. XXXIII , richiesto da
Branca d’Oria, che gli distaccasse d' insieme le palpebre agghiacciate ,
non volle farlo , v. 148. Ma distendi ora mai in guà la mano
, Aprimi gli occhi I ed io non gliele aperti, E
cortesia fu lui tesser villarto. E Inf. XIV , vedendo Capaneo
disteso sotto la pioggia di fuoco, dice stargli il dovere, v. ^t.
Ma , com' io dissi lui , li tuoi dispetti Sono al suo petto assai
debiti fregi. Io però confesso di non aver per anche si fatta
pra- tica SU questo poema , eh' e' mi sovvengano così a un tratto
tutti i luoghi, ov’ e' favella di pietà in questa prima Cantica dell’
Inferno; e considero eh’ e’ mi se ne può addurre taluno ora non pensato
da me , il qual mostri così chiaro il contrario, eh’ e' metta a terra
tutto il pre- sente ragionamento. E considero , che altri potrebbe
ri- spondermi , che il far dimandare da Virgilio Pier delle Vigne ,
e ’l coprirsi gli orecchi con le mani posson i8 Canto
ambedue etter effetti dell' cuer Taiiimo del poeta troppo vinto
dalla pietà, e non dall' eaier a lei repugnante ; ma io non piglio per
aaiunto di provare , che egli si picchi di non calerti mai piegato a
pietà de' dannati , anzi che in molti luoghi confeita la aua caduta ,
qual è quella , Inf. canto V, v. 70. Poscia eh' i' thhi il
mio dottore udito Nomar le donne antiche e cavalieri , Pietà
mi vinse , e fui quasi smarrito. Nel qnal luogo non meno ti pare la
perdita del poeta, che il contratto antecedente; mentre, te egli non ti
fotte potto in animo di non latciarti andare alla compattione, non
avrebbe indugiato fin allora ad arrenderli , avendone avuta occatione
molto prima , cioè tubito eh' ei vide la miteria dei peccatori carnali.
Ivi, v. 3S. Or incomincian le dolenti note A [armisi sentire
: or son venuto , Xà dove molto pianto mi percuote. Ma
egli Ita forte il più eh' el potette : però , allora ch'egli ebbe
riconoteiuto quivi tanti valoroti uomini, e coti alte donne , piegò
l'aaimo alla compattione ; ond'egli dice , eh' ei fu quoti smarrito ,
cioè ti perdè d' animo , vedendoti vinto il pretto. Per lo che concludo, che,
te bene da quetto e da muli' altri luoghi ti comprende la vittoria
della pietà , ciò non toglie il vigore alla ipoti- zinne del preiente
patto , potendo benitiimo ilare in- lieme l'un e l'altro : cioè che Dante
ti ditponeiie a toitener la guerra della pietà , cioè a non compatire
i dannati ; e poi , come di animo gentile ed umano , di quando in
quando cedette. Digitized by Google SE con DO.
19 V. 8. O mente , che scru/etti ciò eK io vidi ecc.
Dopo ÌDTOcate le Muse, invoca la sua memoria, chia- mandola mente
che tcriite ciò eh' egli vide ; cioè, in cui a' impretaero le tpecie
degli oggetti vedati. V. IO. Io cominciai; Vi a’
intende a favellar di qncato tenore , e queata è maniera uaitatiaaima di
Dante per iafuggir la proliaaità dell' introduaioni de' ragionamenti ;
coal ed io a lui ed egli a me ; cio^ diaai e diaac , ed infiniti altri
aimili faci- lisaimi ad intenderai. Y. l 3 . Tu dici, de di
Silvie lo parente, CoirutlUile ancora , ad immortale Secolo andò ,
e fu tentibilmente. Tu dici. Tu hai laaciato aerino nella tna
Eneide , che Enea padre di Silvio , eaaendo ancora nel corrunibil
corpo, andò a aecolo immortale , cioè diaceae airinferno, e ciò non fu
per aogno o per eataai , ma aenaibilmente , cioè in carne e in oaaa.
V. 16. Però se I avversario d'agni male Cortese fu , pensando
I alto effetto , Ch'uscir dovea di lui, e ’l chi, e 'I guale
L’avversario d* ogni male è Iddio, e ‘I chi , Romolo fon- dator di
Roma , e 'I quale , e le aue alte qualità ; onde il aenao de' aeguenti
terzetti è tale : Se Iddio , penaando la aerie delle coac , che doveano
farai per Enea c la aua aucceaaione, conaentì l'andata e '1 ritotoo di
lui dall'Iu- ferno : ciò non parrà punto di atrano a qualunque
abbia punto d'intendimento, conaiderando eh' egli fu eletto per
.vutore di Roma e del romano imperio. 20 C
AVTO V. 22. La qual* e *l quale ecc. La qual Roma, e '1
qual imperio. V. 14. U* siedv il xuff<//or del «o^ior
Piero. Qui Piero per Pontefice , onde il maggior Piero viene
a eMer Cristo , e non S. Piero , come vogliono ì coni» mentatori; perchè
s'e* parlaste di S. Piero, non direbbe del maggiore y il qual ti dice
solo comparativamente ad altri minori ; il che toma appunto bene , però
eh* e* parla di Cristo, il quale rispettivamente a $. Piero può
vcrar mente chiamarti il maggiore* V. aS. Per quest* andata,
onde li dai tu vanto ecc. Onde cotanto T esalti fra gli uomini per
ralcissimo privilegio concedutogli. V. a6. Intese cose che
furon cagione Di sua vittoria , e del papale ammanto.
Allude alla predizione fatta da Anchise ad Enea nel sesto deir
Eneide ; per la quale egli intese la sua vitto- ria, da cui dopo lunga
serie di avvenimenti fu stabi** lito in Roma il papale ammauto , cioè
l'imperio sacro. V. a8. Andovvi poi lo Vas delezione ecc.
S. Paolo, quando fu rapito al terzo cielo. £ veramente ne recò
conforto alla nostra fede con l'oculata tettimo- niaaza delle cose
credute da essa. E notiti che Dajite da principio di questo suo discorso,
fatto qui a Virgilio, non si ristrinse a dir solo di quelli, i quali
ancor viventi pass;u*ono all* Inferno, ma di ciascuno, il quale,
sendo ancor corruttibile, andò a secolo immortale. Laonde non
solamente di Enea, ma del celeste viaggio di S, Paolo ancora saggiamente
piglia a ragionare. ; Digiiized by Google
SCCOHDO. ai V. 34. Perchè se del venire C tn ahhanJono
ecc. M* abbandono oon vuol dire, d* io mi tgomento di ve«
iiire , come spiegano tutti i couieou , ma come chiosa il Rifiorito :
Perchè s* ì mi lascio andare a venire , assai dubito del ritorno,
V. 37. E qual è quei che disvuoi ecc. Ci mette con mirabil
similitudine davanti agli occhi i contrasti d' un' anima, che dal male al
ben operar si rivolge. V. 41. Perchè» pensando consumai t
impresa y Che fu nel cominciar cotanto tosta. S'accorge Dante
d'averla un po' corsa» allora che nel primo canto, senza pensar nè che,
nè come, s'impegnò ad andar con Virgilio, dicendo, v. i 3 o.
Poeta t i ti richieggio Per quello Iddio, che tu non
conoscesti, jicciò eh* i' fugga questo male e ptggio. Che tu
mi meni là dov* or dicesti , Si eh* i vegga la porta di S. Pietro
, E color, che tu fai cotanto mesti. Onde ora confessa
, che , sbigottito dalle suddette con> siderazioni, l'amor
dell'impresa, da principio con sì lieto animo incominciata , era per tali
pensieri consumato e svanito. V. 43. Se io ho ben la tua
parola intesa , Rispose del magnanimo quell ombra , Vanima
tua è da viltate offesa. Rispose Virgilio : Con queste tue
riflesiioni , s' io 1 * ho ben'imesa, in loitanza tu ba* paura*
Digitized by Google 32 Cauto
V. Ss. I* tra tra color elle son tospeti, Nel Limba , dove nè
godono , nè dolgonti ranìme. V. 53 . E donna mi chiamò beata e
bella. Beatrice , la quale , ticcome è detto nel IV canto , è
poeta per la grazia perSciente o consumante, secondo i teologi dicono,
anzi per la stessa teologia; e ciò, secondo nota il Cello nella Lezione
duodecima topra F Inferno, per due cagioni : Una, perchè, siccome non ci
è scienza, la quale più alto ne levi nostro mortale intendimento
all’ altissima contemplazione d' Iddio e della teologia , così non avea
Dante, mentre eh’ e’ visse, trovato oggetto , che più gli facesse scala
all’ intelligenza delle celestiali cose, che, siccome scrive io più
luoghi, le sublimi virtù e l’altre doti esimie dell' anima di Beatrice.
L'altra ca- gione , per la quale sotto il nome di Beatrice intenda
allegoricamente la teologia, è per mantener la promessa, ch'egli avea fatta
nella sua Vita Nuova; dicendo, che, se Iddio gli avesse dato vita,
avrebbe scritto di lei più altamente, che aveste scritto altr' uomo di
donna mortale. Il che veramente ha egli molto bene osservato,
avendola posta in così bella e maravigliosa opera per la scienza
maestra in divinità. V. 54. Tal che di comandar i la
richiesi- La richiesi. In pregai, ch'ella alcuna cosa mi
comandasse. V. 55. Lucevan gli occhi suoi più che la stella.
Più che’l sole. V. 60. E durerà quanto 7 moto lontana.
Lontana, dal verbo lontanare. Quanto il molo lontana. Quanto il
moto s' allontana dal tempo presente : cioè la tua fama durerà quanto
dura il tempo. Digitized by Google SECONDO.
a3 Piglia moto per tempo ella peripatetica , definendo
Ariatotile il tempo : Tempus tJt aumenu mottu seoundwa prius et
poiierUu. V. 6i. L’ amico mìo, e non della ventura.
Dante , il quale per aver amato di puriaaimo amore le bellezze
dell' anima mia, e non le doti eaterne, che la fortuna coraparte a' corpi
terreni e corruttibili , fu veramente amico di me , cio^ di quel eh' era
mio , e non {Iella ventura , e non della bellezza, per la quale altri
di lui men faggio m’ averà riputata felice e ben avventurata.
V. 63. Nella diterta piaggia i impedito Si nel cammin , che
volto , e per paura. Impedito dalla lupa, e volto indietro per
paura di cita. V. 64. E temo eh' e' non ria già zi smarrito,
Ch’ io mi sia tardi al soccorso levata. Dubito, che postano i
vizj aver già preto in lui tanto piede , che l'ajuto celeste non giunga
in tempo. V. 67. Or muovi ecc. Muoviti , vanne : così
il Petrarca : Or muovi , non smarrir t altre compagne.
V. 71. Vegno di loco, ove tornar disio. Toma egualmente bene
al senso letterale e allegorico , cioà e a Beatrice e alla teologia, il
desiderio di ritornare in cielo ; il che imitando per avventura il
Petrarca nella canzone : Una donna più bella asstù che ’l
sole ; disse della teologia : 34
Cakto costei batte t ale Per tornar all* antico suo
ricetto. V. 72. Amor mi mosse ecc. É Vamor d* Iddio ,
pel qual e' desidera che ciascun nomo ti salvi, e questo è il eeoso
allegorico o vero se- condo la lettera ; la mosse la dolce memoria di
quell* aniur eh* eli* avea portato nel mondo a Dante , ond* ella il
chiamò, v. 61 , L'amico mio. V. 73 dinanzi al Signor mio»
Avanti a Dio. V. 74. Di te mi loderò sovente a lui.
Gran promessa, dicono alcuni, fa qui Beatrice a Vir- gUio 1 non
intendendo questi tali qual utile possa ritor- nare dair adempimento di essa
a uu* anima divisa per sempre dalla comunicazione della grazia e della
beatitu- dine. Dice in contrario il Vellutello , che Beatrice con
tal promessa promette a Virgilio in premio quello, che da lei dare, e da
lui ricevere in quello stato si potea maggiore ; ma non dice poi , perchè
, nè di ciò adduce alcuna prova. Na il Cello nella Lezione sopraccitata
spa- ne, che anche all* anime perdute si può (come dicono t teologi
) giovare con levar loro qualche parte di cagione di dolore, e in fra gli
altri mudi in questo, che sentendo elleno celebrar le lor memorie o esser
qualche compas- iione di loro in altrui, elle pigliano alquanto di
conforto ( » ei però può chiamarsi tale ) di non si vedere abban-
donate al tutto da ogn* uno , e tiiassituonieuic quelle, le quali non son
dannate per fallo alcimo enorme e brut- to, ma solo per non aver avuto
cognizione della fede Digitized by Google
SECONDO. sS cmtiana , come Virgilio. Diremo dunque « cYie non
»ia ▼ota d'ogni conaoUziune tal promeMa di Beatrice. V. ^ 6 .
O donna di virtù , sola , per cui L'umana spezie eccede ogni
contento Da quel Ciel , ch'ha minor li cerchi sui. Qui piglia
itrettUaimamentc Beatrice nel «eoso allego- rico; e dice, che per ewa,
cioè per la teologia, fuomo supera , ed è più nobile di tutte le creature
contenute dal ciel della luna;, essendo, che sopra di quello si dà
subito neir intelligenza movente Torbe lunare , la qual •enza dubbio sì
per pregio , si per eccellenza di chia- rissimo intendimento è alT uomo
superiore. £ che Dante portasse opinione delT intelligenze moventi
secondo la dottrina d' Aristotile, è manifesto per quel clT ei dice
in altro luogo di esse. Par. cant. Vili , v. 37. r’oiy che
intendendo il terzo Ciel movete. Ciò potrebbe anche intendersi in
quest* altro senso : O scienza, per cui l'uomo eccede, cioè trasvola con
T in- telletto dalle sublunari cose alle celestiali e divine.
V. 80. Che Vuhhidir , se già fosse , m'à tardi. Che se io
Tavessi obbedito in questo punto stesso , che m'hai comandato, pure la
mia obbedienza mi parrebbe tarda: tale e sì fatto è il desiderio, che ho
di eseguire i tuoi cenni. Or venga qualunque si pare, e mi poni da
altri poeti forme così maravigliose e piene di si forte espressiva.
Y. 91. Jo son fatta da Dio , sua mercè» tale ^ Che la vostra
miseria non mi tange , Nè fiamma cTesto incendio non m*
assale. Digilized by Google l6 Canto
Io lono , la Dio mercè , talmente fatata per Tacque della gloria,
che la vostra miseria, cioè die T infeliciti di voi altri ioaprai , non
mi tocca , nè fiamma deir in- cendio de' dannali non m' assale. E notili,
die quella dei aoapeai la chiama raiirria, non conaiaiendo in arnao
do- lorifico, ma in pura afflizione di apirito per la diiperata
viaion d' Iddio; dove quella de' dannau la chiama fiamma, perchè tormenta
poaitivamente il aenao. V. 94. DoTina e gentil nel Ciel, che si
compiange Di questo impedimento , ov" io ti mando , Si che
duro giudicio lassù frange. Quella donna , il cui nome è taciuto
dal poeta , è inteaa generalmente da' commentatori per la prima
grazia detta da' maeatrì in divinità grada data; la quale, perchè
viene per mera liberalità divina, è anche detta preve- niente, dal
prevenir di' dia fa il merito dell' azioni umane. Queata dunque
addirizzando la volontà del poeta nel buon proponimento d'uacir della
aelva del peccato, e di aalire il monte Bgurato per la virtù e per la
contemplazione, piega e rattempera il rigoroso giudicio d'iddio;
onde dice: che dal compiangerai di quella donna per l'itupe-
dimento, che trova della lupa, il buon voler del poeta, duro giudizio
laaaù frange, cioè muove Iddio a conipaa- aione , vedendo, che gli manca
più il potere, che il volere; onde merita d'aver in ajuto la aeconda
grazia deiu illu- minante , la quale ( ipongono i commentatori ) da
Dante è chiamata Lucia , dalla luce , eh' ella n'infonde nell'ani-
ma Questa seconda grazia chiama finalmente la terza , detta perficiente o
coniumante , espressa per Beatrice o per la teologia; dalla quale vien
condizionata la niente umana alla contem) dazione della divina etienza :
il che Digitized by Google SECOSDO.
Ottimamente li conacguiice col mental TÌaggio dell* In- ferno e del
Purgatorio , cioè a dire con la meditazione di quelle pene ; •! come
avviene al noetro poeta , il qual per tal cammino li conduce alla
fruizione del Paradiio , e ai alla contemplazione d' Iddio.
V. 97. Questa chiese Lucia in suo dimemdo, £ disse , Ora
abbisogna il tuo fedele Di te , ed io a le lo raccoaiando.
Lucia nimica di ciascun crudele Si mosse , e venne al loco , dov V
era : Che mi sedea con l'antica Rachele. Questa donna, cioè
la grazia preveniente, richieee con tua dimanda Lucia , cioè la grazia
illuminante , che aju- tatte il tuo fedele , cioè Dante ; il quale in
altro luogo dice di tè , eh* egli fu fedele a creder quella, in che
la grazia illuminante TammartlTava: e Lucia ti mette tubilo a
chiamar Beatrice, la qual ti sedea con l'antica Rachele; e ciò per tignificare,
che la teologia è indivitibil compa- gna della contemplazione, poiché
Rachele (che in verità fu moglie di Giacob ) nel vecchio teitamento ti
piglia per la vita contemplativa. V. Io 3 . Disse: Beatrice,
loda di Dio vera. Che non soccorri quei , che t'amò tanto ,
Ch' uscio per te della volgare schiera ? Disse , cioè Lucia Disse.
Loda di Dio vera. Chiama la teologia e la grazia vera lode d' Iddio ,
forte perchè dalla prima comprende l'uomo gli ecceUi attributi di
quello, ond* avvien a intiniiarne conceui più adeguati di qualunque altra
lode, che privi del lume di lei tlamo capaci di udirne; e dalla teconda
ti nvuùfctu raltiiiiiuo pregio delle tue miaericordie.
a8 Canto V. ic5. eh’ uscio per le /iella volgare schiera.
Per te toma bpne nel temo allegorico e nel letterale ; poiché Dante
non t|nccò meno al tuo tempo per la pro- fonda notitia della tacrata
teienza, che per le rime e per gli altri parti , a' quali tollerò il tuo
nobilittimo ingegno Tecceitivo amor di Beatrice. V. ic8. Su
la fiumana, ove'l mar non ha vanto ^ Qui il Fioretti , non
rinvenendoti qual tia qiietta fiu- Dtana , poitilla in queata forma : Che
fiumana ? ieslia. Ma noi , per ora latciando il Fioretti nella tua
tfacciata ignoranza , terberemo ad altro luogo la tpotizionc di
quetto verto. V. 109. Al mondo non fur mai ecc. Dice
Beatrice , che al mondo non fu mai pertona coti aoUecita a cercare il tuo
bene e fuggire il tuo male , com' ella dopo tale avvito del grave
pericolo di Dante fu pretta a venir laggiù dalla tua tedia beata.
V. 114. Ch'onora te, e quei, ch’udito V hanno. Perché le
poetie di Virgilio non tolamente onoran lui, che l’ha fatte, ma qualunque
ne diviene ttudioto; onde ditte di té medeiimo nel primo canto , T. 86.
Tu se’ solo colui , da cui io tolsi Lo hello stile , che m’ ha
fatto onore. V. lao. Che del bel monte il corto andar li
tolse. Ti fe' ritornare indietro , quando poco di viaggio ti
rimaneva per condurti alla cima del bel monte , cioè al tommo della virtù
o della contemplaiione. Digitized by Coogle
8ECOKDO. 39 V. i 39- Or va, eh" un tot
volere è efamendue. D’amendue noi ; il tuo cT andare , il mio di
venire. V. 143. Entrai per lo cammino alto , e tilvettro.
Spoogono i commentatori alto, cioè profondo. Io però m'aRerrei al
parere del Manetti nella tua ingegnoaa ope- retta circa il silo, forma, e
misura delf Inferno di Dante, dove intende alio nel ano proprio
tignificato, cioè d’ele- vato e aublime ; con ciò aia coaa che egli pone
Teotrata deir Inferno in aur un monte aalvatico , per entro il cui
aeno ruoli eh’ e’ ai cominci immediatamente a acendere. Ma di ciò non fia
mio intendimento al preaente di fa- vellare I potendo ciaacuno in queato
ed in ogn’ altra par- ticolarità del aito e della forma della atupenda
architet- tura di queato Inferno aaaai ampiamente aoddiafarai con
ana breve lettura del aoprammentovato autore. Digitized by
Google INFERNO. CANTO TER20.
ARGOMENTO. ]\^0STiiA in qaetto terzo canto (*) cTettersi
condotto per lo canunino alto e ailreitro alla porta dell* Inferno»
la cui Menzione comincia ex abrupto al principio del canto» come l'ei
leggeue. Di poi, acendendo per J' in- terne vie del monte, arrivato in
quella concaviti o ca- verna della terra, che è quali come un veitibolu
dell' In- ferno, ed è immediatamente sopra il primo cerchio, cioè
sopra il Limbo, vede quivi Tanime degli teiaurari, cioè di coloro, che
mentre vissero non furon buoni ni per aè , nè per altri , ninna buona o
rea cosa operando. Questi dice eh’ hanno per tormento il correr
perpetua- mente in giro dietro un' insegna che tutti li guida , c
(*> Dira qvslceia di riè che dir« il CrlU con r«atorità dal
iigliolo a dal nisota dì Dante, cha dal prima vcr.o dal quinta canta
comincia la narrationa dal paama. Calli, Uh. X.. Digitized by
Google 3a Cauto chr in cotal cono ton punti e
fieramente trafitti da tafani e da moaclie. Attraversato quello spazio
poi destinato alla girevoi carriera di quegf infelici , dice essersi
con- dotto al fiume d’ Acheronte , e quivi aver veduto venir
Caronte per l'anime de' dannati, e dopo, euer tramortito in su la riva di
quello. V. I. Per me si va ecc. Si finge, che parli
essa porta. Ferme, il senso it Per entro me. Y. 4 . Giustizia
mosse ‘I mio aito fattore. Veramente il motivo di fabbricar P
Inferno venne dalla giustizia, la qual si dovi far di Lucifero e degli
angeli suoi seguaci. V. 5. Feeemi la divina potestafe.
La rowaui sapienza , e 'I primo Amore. La Santissima Trinità,
della quale spiega le persone per gli attributi: il Padre per la potenza,
per la sapienza il Figliuolo, per l’amore lo Spirito Santo.
V. 7 . Dinanzi a me non far cose create, Se non eterne
ecc. Seguita a parlar la porta per esso Inferno; e dice, che
avanti a lui non fu altra specie di creature se non eterne. Per queste
intendono assai concordemente i commentatori la natura angelica ; la
quale, siccome dovette esser punita per la sua ribellione , cosi par
molto verisiiuile , che il carcere d' Inferno fosse fabbricato dopo il
peccato degli angeli; e sì dopo la loro creazione. Che poi Dante se
li chiami eterni, cioè in ritguardo dell'eternità avvenire.
Digitized by Coogle TSUZO. 33 p«r
la qaal dureranno, onde i teologi U chiamano eterni a pitrte post^ o,
come ad altri dì essi è piaciuto di no« minarli, sempiterni, a
distinzione delT eterno a parte ante, il che si conviene solamente a
Dio. Na siami qui lecito il metter in campo una mia con-
siderazione , la qual mi dichiaro , eh' io non intendo di proferire
altrimenti, che ne’ puri termini del potrebb* es- sere , a fine di
sottoporla al savio accorgimento di quello , al quale è unicamente
indirizzata questa mia deboi fatica. 10 discorro così : L’ Inferno
( secondo Dante ) fu creato col mondo , e ’l mondo fu creato in
istante. V. la. Perch* io : Maestro, il seruo lor m è duro.
Onde io ( vi s’ intende , dissi ) : O Maestro , il senso lor m* è
duro. Duro , cioè aspro , e non , com* altri vo~ gliono, oscuro. Perchè
leggendo Dante l’ immutabil de- creto di non uscire della porta d’
Inferno , a ragione di bel nuovo s’ intimorisce. V. i3. Ed
egli a me, tome persona accorta i Qui si convien lasciar ogni
sospetto. Da questa risposta di Virgilio si conferma il detto
di sopra , che Dame non disse essergli duro , cioè oscuro ,
11 senso deir iscrizione dell’ Inferno, ma duro, cioè aspro,
spaventoso ; perchè Virgilio non piglia ora a chiosargli la suddetta
iscrizione , ma lo conforta a francamente entrarvi. Così la Sibilla ad
Enea nel VI , v. a6i. Nunc aiwuis opus, Aenea ^ nane pectore
firmo. Ma io di qui avanti non mi fermerò a conciliare i
luoglìi simili di questo canto col sesto delP Eneide, come benissimo noti
, a chi scrivo, le non dove m'occorra di 34 Canto
fare apiccare l'eccellenia di alcuna di queati col para- gone di
quelli. V.i8 il ien étW intelletta. La viltà e la
cognoicenaa d'iddio. V, ai. Quivi sospiri , pimti , e ahi
guai. Ne* tre arguenti terzetti par , che Dante abbia voglia
di auperar Virgilio nell' eipreaiione della niiieria de’ dan- nati. S'ei
ae lo cavi o no , giudichilo chi farà confronto di quello luogo con
quello del VI dell’ Eneide, v. SS^, Bine txauJiri gemi/us , et saeua
sonare. V. iq. Sempre 'n queW aria , sema tempo , tinta.
I comineo latori apirgano eoa): Tinta senza tempo, eioh lenza
variazione di tempo al contraria dell' aria noatra, la qual ai tigne a
tempo come la notte , e ai riachiara da' raggi del aopravvegnrnte
iole. La Cruaea legge diagiuntamentr, Ària senza tempo, fintai
onde il Rifiorito apiega quel senza tempo, eterna, quaai che il
aentimento aia tale, aria eterna, e tinta. Coi) nel canto che aegue la
chiama eterna , v. i6. JVon avea pianto , ma che di sospiri.
Che l'aura eterna facevan tremare, Cooiidero di pii), che
l'epiteto di eterna in quello luogo del terzo canto corria[>oude al
perpetuo aggirarli delle voci de' dannati , v. a8. Farevan un
tumulto , il qual s'aggira Sempre in quell' aria , senza tempo , tinta
; poiclià , a’ e' a'aggira eternamente , torna molto brne il
dire, che eterna aia l'aria, nella quale s'aggira. £ poi Digitized
by Google TXBZO. 35 nè meno può dirti,
che rana deir Inferno aia tìnta senza tempo , cioè ( come tpongono i
commentatori ) eterna- mente , perchè ancorché Dante dica di etta ,
Inferno , cant. IV, r. io. Oscura , profonda era , t
nebulosa ’ Tanto , che , per ficcar lo viso al fondo , r non
vi disccrnea alcuna cosa, Ciò non toglie , eh' ella in alcuni
luoghi non fotte di continuo illuminata dal fuoco , come nel terto
girone de’ violenti , ed in queito medetimo degli teiaurad, dove te
non altro vi balenava , v. i33- La terra lagrimota diede vento
, Che balenò una luce vermiglia. V. 3l. £d io, eh' avea
d'errar la tetta tinta. Cinta d’errore, adombrata dall'ignoranza di
ciò ch’io ndiva. V. 35. Che visser sansca infamia , e sanxa
lodo. Che in queito mondo , nulla mai virtuoiamente ope-
rando, non latciaron di tè alcuna memoria. V. 37 . Mischiate tono a
quel cattivo coro Degli jingeli , che non furon ribelli ,
Ni far fedeli a Dio , ma per te foro. £ opinione , che nel
fatto di Lucifero fotte una terza Lizione d' angeli , la qual nè
t'accottaiie a Lucifero , nè ti dichiaraite per Iddio, ma ti teuetie neutrale.
Di queiti parla il poeta , e in pena della loro irreiolutezza li
mette con gli teiauratì. 36 Canto
V. 4 o> Cacciarla eie! , per non tster men belli: Nè lo profondo
Inferno gli riceve , Ck‘ alcuna gloria i rei avrebber d elli.
n tentimcnto ì tale; Pel Cielo ton troppo brutti, per rinferno aon troppo
belli ; coti ti atanno in quel mezzo, ciof nel veaubolo di euo Inferno.
Notiti ben , eh' egli dice, V. 41. Nè lo profondo Inferno gli
riceve ; volendo dire per Io profondo Inferno, coli, dove ti tor-
mentano i rei > i quali avrebbono alcuna gloria cT averli in lor
compagnia. Non come dicono gli i|>otitori.' ti glorierebbero per
vederti puniti del pari con etti , che non commitero altro peccato , che
d’etterti indiflfereoti tenuti, ma alcuna gloria v'avrebbero, perchè agli
occhi loro la piccola macchia di tale indifferenza non varrebbe ad
appannare il lustro di loro eccella natura, dalla quale ritrarrebbe alcun
taggio della gloria , e ti della celette beatitudine. V. 47.
E la lor cieca vita è tanto batta , Che ’nvidioti ton i ogn altra
torte. Non tolaniente di quella de' beati, ma in un certo
modo di quella de' peccatori. Tanto è riera, cioè vile ed oscura la
lor misera vita, onde dice, che misericordia e giusti- zia gli sdegna ,
quella che di loro non è avuta , questa , che per cosi dir li disjirezza
con distinguerli sì di luo- go, come di pene da’ peccatori. E credo, che
P intendi- mento del poeta sia J* inferire , che la maggior pena di
costoro èia vergogna di non esser almeno stati da tanto, poich’ a perder
s’aveano, di perdersi, come suol dirsi, per qualche cosa. Ond' egli
arrabbuno e mordonsi le Digitized by Coogle T E K Z
O. 37 ■lani di noo aver avnto tanto «pirito da irritar
almmend la divina giuttisia, la quale in « fatta guisa punendoli)
par loro , eh* ella « per così dir y non gli •cimi , e ai li Timproveri e
facciasi beffe della lor dappocaggine. V. Sa 9Ìdi un insegna
y Che y girando , correva tanto ratta , Che d’ogni posa
mi pareva indegna* Mette costoro rutti sotto un* istessa bandiera a
dinotare la simigUanaa dell* indegna lor vita. Li fa correre per
giu- stamente punir Tozio e Taccidia del tempo, eh* e* vissero.
V. S 4 . Che ^ogni cosa mi pareva indegna. Spiega il
Vellntello, eh* egli erano indegni d* alcun riposQ. Il Buti: Correva
quest* insegna t che mai non mi parca si dovesse posare , e forse meglio.
Non credo però , che nè Tuno, nè Taltro la colga. 11 Daniello e'I
Bonanni •e la passano senza dirne altro. In quanto a me direi : che
la mence del poeta sia stata di pigliar in questo luogo indegno per
incapace, o altra cosa equivalente ; e nel resto io credo, che Dance
abbia forse voluto dar da strologare a* grammatici toscani ; come fece
Ennio a* La- tini in quello indignas turres, dove da Girolamo
Colonna r indignas viene spiegato per magnaSy e dal medesimo vien
allegato in conformazione di ciò un luogo di Servio, il quale spiegando
quel verso di Virgilio nelP Egloga X indigno cum GaUus amore periret ,
spone indignutn per magnum, e quell* altro pur di Virgilio nelle
Ceiri: Verum haec sic nobìs grauia atque indigna fuere.
Nel quale Giulio Cesare Scaligero spiega indigna y cioè inefiabile
, e per trasUto , immenso. Digilized by Google 38
Carto V. 59 - Guardai, e vidi l’ombra di colui.
Che fece per viltatt il gran rifiuto. Intende di Piero d«l
Murrone , che fu Papa Cele- stino V , il quale , tra per la tua
sempliciti e l'altrui sottigliezza , s* indusse a rinunziare il papato.
Questi fu ne' tempi di Dante, onde non debbe tacciarsi d' iinpietà
il poeta, sapone nell’ Inferno l'anima di colui, che non essendo per
anche dal giudizio mai non errante di Santa Chiesa annoverato tra' santi
, come poi fu , poteva leci- tamente credersi soggetto ad errare, e si
interpretarsi in sinistro i (ini delle sue per altro santissime
operazioni. V, 63. ji Dio spiacenti , ed a’ nemici sui.
Corrisponde a quel eh' ha detto di sopra , eh’ e' non eran nè
di Dio, nè del Diavolo. * • V. 64 . che mai non fur
vivi. Morde acutamente con questa forma di dire la perduta
loro vita. V. 65. Erano ignudi , e stimolati molto.
Stimolati, risguarda anche questo la lor pigrizia. V. yS per
lo fioco lume. Traslazione mirabile di quel eh* è proprio della
voce, per esprimer con maggior forza quel che s' appartiene alla
vista. Similmente nel primo canto , v. 60 , per si- gnificare l'ombra
della selva disse, dove'l sol tace: qui con non minor vaghezza un lume
assai languido lo chiama fioco. V. 83. Un vecchio bianco, per
antico pelo. Forma assai rara e nobilissima per esprimer la
canizie del vecchio Caronte. Digitized by Google
V. 84* Gridando : Guai a coi anime prave : Non
isperale mai veder lo cielo ecc. Coinime mirabilmente otaervato,
ioduceme mollo mag- giore ipavento , l' imrodur Caronte minacciante
l'anime nell' atto d'accottarti alla riva, che introdurlo muto
verao di eaae , aiccome la Virgilio , il quale non lo fia parlar*
ae non con Enea. V. 88 viva , Partili da codesti , che son
morti. Kon diaae da codette , che aon morte , perché come
anime eran vive ; ma diaae , da codesti , cioè uomini , de’ quali ti
potea veramente dire, eh' e' foatcr morti. V. 91 . Disse; Per altre
vie, per altri porti Verrai a piaggia , non qui , per passare
: Più lieve legno eonvien , che ti porti. Intendono i
commentatori,, che Caronte predica a Dante la tua aalvazione , e che però
gli dica, che egli arriverà • piaggia per altre vie , per altri porti ,
intendendo del porto d' Oatia poato vicino alla foce del Tevere ,
dove finge il Poeta , che l'anime imbarchino per l' itola del
Purgatorio ; e che queato più lieve legno aia il vat- tello con cui vien
Vangelo a caricarle , di cui Furg. cani, n, V. 4 ^’- e quei
s‘en venne a riva Con un vasello snelletto , e leggiero ,
Tanto che t acqua nulla n inghiottiva. Il Rifiorito però
aaviamente contiderando (aecondo io pento ) quanto era cota impropria il
porre in bocca d'un Demonio coti fatto vaticinio , mi tpiega queato patto
in 40 Canto diverto lentimento. Prende egli
altri porti in quetro luogo per altra condotta, cioè per altri die ti
portino, e per lo più lieve legno intende l'angelo , che pattò
Dante aJdormentato dall' altra riva , tenta che egli te n' accor-
geue. Il che toma aitai meglio al rihuto che fa di lui Caronte ; mentre
di lì a poco li vede verificato quel eh’ egli dice, cioè che egli per
altra via verrà a piaggia, ticcome vedremo più a batto. V.
94. £ ‘I Duca a lui ecc. E Virgilio ditte luì. V. 99
ave' di fiamme ruote. Ave' con Tapottrofo per avea, non ave terta
pertona del meno nel preiente del verbo avere, come hanno alcuni
tetti. V. 104 e‘l teme Di lor temenza, e di lor
nasciiuenti. Gli avi e padri. Quelli tono il seme di lor semenza ,
quelli di lor nascimenti, perchè da etti immediatamente nacquero. Coti il
Rifiorito. V. Ili qualunque s'adagia. Qualunque ti
trattiene , non qualunque » accomoda nella barca , come tpone il Daniello
, che tarebbe alato tpropotito. V, li». Come t Autunno si
levan le foglie, L’una appretto delF altra , infin che 'I
rama Rende alla terra tutte le sue spoglie. Similitudine
tratu da Virgilio nel VI , v. 309. Quam multa in tyluit autwnni
frigore prima Lapta cadunt jolia etc. ; Digitized by Googlc
TBIZO. 41 ma adattata asiai meglio da Daate, nel cui
InTerno niuna deir anime era eacluia dall'imbarco, liccome niuna
delle foglie riman tu Palbero ; al contrario di quel di Virgilio,
nel quale tutti coloro, che non eran sepolti, erano lasciati in terra. E
poi elf i grwdemente nobilitata col prose- guimento di essa fino al
restare spogliato del ramo , pa- ragonato al restar voto il lido j dove
Virgilio la regge solamente nella prima parte del cader delle foglie ,
e dell' imbarcarti fanime ; passando poi subito a quella degli
uccelli , che passano oltramare. V. 1 18. Cori seis vanno tu per f
onda bruna. Bellissima ipotipoti , e che mette sotto agli occhi
il camminar della nave. V. lao. Anche di qua nuova tchiera
t'aduna. Di quelli, che continuamente e per ogni stante di tempo
muojon dannati. V. laS. Che la divina giuttizia gli tprona.
Si che la tema ti volge in detto. Chiese innanzi Dante a
Virgilio : perché quell* anime paressero si volonterose di passare il
fiume , v. qi. Maettro , or mi concedi , Ch’ io tappia ,
quali tono , e qual cottume Le fa parer di Irapattar ri pronte.
Ora gliene rende la ragione, mantenendogli nello stesso temp^ la
promessa, che glien' avea fatta in quc* versi 76. le cote li fien
conte. Quando noi fermerem li nottri patti Su la tritta
riviera d Acheronte. 4 4a Canto £
dice , che ciò accade , perché la divina giustizia le sprona ai, che la
tema §i volge in diblo. l*^eIU epoai/ione di queato paaao i coumieotatori
a* aggirano per diverae strade t non mancando di quelli, che ae la
paaaano eoo la mera apiegaaione allegorica, lo però , fìntanto che
non trovi meglio da aoddiafarmi, atarù nella mia npinionet la qual
è : che Dante abbia preteao d'eaprimere un terri- bile effetto delia
diaperazion de' dannati , per la quale paja ior nuir anni di precipitarai
ne' tormenti , ed empier in ai fatto modo l'atrociià delia divina
giuatiziat la quale, secondo loro , è sì vaga della loro ultima uiìaeria.
Coai abbiamo veduto di quelli i che oda rabbia, oda gelo- sia, o da
altra violenta paaaione ai tono indotti a darai morte volontaria per un
diadegnoao guato di aaziare il fiero animo di donna o di principe contro
di loro ade- gnato. Cosi Inf. cant. i3. Pier delle Vigne,
segretario dì Federigo imperatore, dice essersi per un aioiile
guato data la mone , v. L*anÌMO mio per disdrgnoso gusto
, Credendo col morir fuggir disdegno , Ingiusto fece we
, contro me giusto^ Un a’imil disperato affetto ai vede raramente
eapreaio da Seneca nel coro dell' atto primo drlT Edipo , dove
parlando in persona de' Tebanì ridotti all* ultima diapera- aione per
quell' orribile peauleoza, fa dir loro cosi : v. 88. Prostrata
iacet turba per orai, Oratque mori : solum koc facilee
Tribuere Dei. Delubro petunt; Jlaud ut uoto nuinina placent,
Sed iuuat ipsos satiare Deot. Digitized by Googic
TXXZO. 45 Ancora il Boccaccio fa
proromper la diaperata Fiani- metta in una aiiuil bettemmUf tacciando gli
Dii dell* in- gordigia , ch'egli hanno, di rovinar coloro, die da
esai aono inaggtormeote odiati. Fiam. lib. 1 . Ma gl* Iddìi a
coloro , co* cfuali essi sono adirati , benché della lor salme porgano
segiu> , nondimeno gli privano del conoscimento debito. E COSI ad un*
ora mostrano di fare il lor dovere « e saziano f ira loro» V.
117. Quinci non passa mai anima buona» Tutte ranime, che di qua
pattano , aon dannate; però tu Dante puoi ben comprendere la ragione ,
ond* egli ai motte a rigeuard dalla tua nave. V. i 3 o.
Finito questo, la bufa campagna TVemà forte, che dello spavento
La mente di sudore ancor mi bagna. La terra lagrimosa diede vento
, Che balenò una luce vermiglia , La quai tu vinse
ciascun sentimento: E caddi, come Vuom, cui sonno piglia,
Quetto luogo è a mio credere oteurittitno , e tengo per fermo , che
a volerne capire il vero tignificato , aia necettario intenderlo affatto
a roveteio di quel di' egli ò arato letto e apiegato 6nora. Poiché dicono
i commen- tatori, che la luce vermiglia fu l'angelo, il qual venne,
e addormentò Dante col terremoto, e coti addormentato lo prete e lo pattò
all' altra riva. Io qui non domanderò loro, com' e' tanno, che Dante
fotte pattato dall* angelo e non pintcotto da Virgilio o da qualche
demonio , potto che egli non ne dica da per tè nulla, dicendo tolaiueute
nel principio del IV canto , che, coin' e' fu desto, ti Digitized
by Google 44 Canto ♦roTÒ «Ter pasiato i! fiume
Acheronte. Tuttavia, perché di ciò ftimo, che §e ne potsa addurre qualche
probabi) conjettura , mi riitrignerò domandare : «e la luce
vermi> glia naace dal vento esalato dalla buja campagna nel auo
tremare ( intendo tempre di star tu la fona della lettera, che col
tegreto dell' allegoria benÌMÌmo ao guarirti di questi e d'altri maggiori
inveritimili ) , come ti può mai intender per etta vermiglia luce un
angelo venuto dal cielo ? E poi qual nuova virtù hanno i tuoni e
baleni di far addormentar le persone ? O qual necessità v'era
d'addormentar Dante ? E per averlo addormentato e pat- tato dormendo,
qual grande avvenimento ti cav' egli da questo tonno ? Il Vellutello è
stato a tocca e non tocca d* indovinarla, facendo nascere non il baleno
dal terre- moto , ma il terremoto dal balenare ; ma non ha poi
•piegato come ciò post* estere , stante il sentimento dei versi seguenti:
i33. La terra lagrimota diede vento ^ Che balenò una
luce vermiglia* Spiega il Landini; Che, cioè il qual vento balenò
una luce vermiglia. Dunque se fu il vento, che balenò , non fu il
baleno , che fe' tremar la campagna e spirare il vento; e per
conseguenza, se il baleno fu parte dell' aria infernale, non ti può dire,
eh' e' fosse l'angelo. Io però credo, che con pochissimo la lezione del
Vellutello si farebbe diventar ottima , cioè con legger quel Che
per Perchè, o Perciocché, o Conciossiacusachè ; si che il •enso
fosse ; La buja campagna tremò , la terra lagri- mosa diede vento ;
Perchè ? Ecco : Perchè balenò una luce vermiglia. Cosi toma quello, eh'
io diceva da prin- cipio, che a capire e a voler dar qualche sentimento
a Digitized by Google T B K Z O. 4S
quetto luogo era necenarìo intenderlo a roretcio di quello , eh'
egli era inteso universalmente ; cioè dove gli altri intendevano il
baleno per effetto del terremoto e del vento , intender il vento ed il
terremoto per effetto di esso baleno. In tal modo non i più veritimile ,
anzi torna mirabilmente l' interpretare il baleno per la venuta
deir angelo; il quale, oltre a quello, che n’accennò Ca- ronte quando
disse, v. 91. Per altre vie , per altri porti y errai a
piaggia , non qui , per passare , Più lieve legno convien , che ti
porti. si rende molto credibile, che foste più tosto egli,
cioè l’angelo , che Virgilio , o un demonio , il quale passasse
Dante, si per la gloria della luce, che balenò agli occhi del poeta, ti
perchè estendo il passar Dante di là dal fiume opera soprannaturale e
miracolosa, molto maggior dignità è farla operar per un angelo, che per
un’anima o per uno spirito ; e ti finalmente perchè altre volte ,
quando è stata da superare qualche gran difficoltà, come alla porta della
città di Dite , dice espresso , che venne un angelo a farla aprire. Che
poi alla venuta dell’ an- gelo la buja campagna tremaste, è nobilissimo
accidente, e proporzionata corritpondenia alla grandezza dell’ avve-
nimento. Lo stesso sappiamo esser avvenuto , quando v’arrivò Tanima di
Cristo Signor nostro per liberare i tanti del vecchio testamento; come ti
legge in S. Mattea al cap. XXVII e al cap. XXVIII più strettamente;
dove, scrivendo la venuta d’un grandissimo terremoto , ne dà per
cagione la scesa iTun angelo ; Et ecce terraemotus factus est ntagnus ;
Angelus enim Domini descendiS de taelo. Dove notisi, che quell' zaùn ha
la stessa forza, che 1 Digitized by Coogle
46 Canto io intendo dare a qnel che, cioè di perchè o
di percioc- ché , o di conciossiacotoché , arnia clic interroghi, nè
ciò aenia molti eaempj di prosa e di versi , come si può vedere al
Vocabolario, e più difltusamente appresso al Cinonio. Un
simil costume si vede anche osservato da' poeti gentili, come eh' e' lo
conobbero benissimo adattato alla dignità de’ celesti personaggi. Servio
: Opinio est sub oduentu Deorum moueri tempia. Seneca , nell’ Edipo
, atto 1.*, scena prima, dove Creonte ragguaglia lo stesso Edipo della
risposta dell’ Oracolo , v, ao. Vt sacrata tempia Phoehi supplici
intraui pede , Et pias , nutnen precatus , rile summisi manus
; Gemina Parnassi niualis mrx trucem sonitum dedit , Imminens
Phoeboea laurus treiimie, et mouu doutuau E Virgilio , Eneide ,
lib. Ili , v. 90. Vix ea fatus eram , tremere omnia uisa
repente Limina, laurusque Dei, totusque moueri Mons circum , et
nugire adytis cortina reclusis. Precede questo alF Oracolo d'Apollo
; luogo imitato da Callimaco nel principio delf inno in lode della
stessa Deità , V. I. *Oso« S Ttt’nóAAswoc iaiiaaro
Só^iroq ‘Ola, f ZXov TÒ fiéXaipoo' enàf , inàif , Sant
dXtSpót, Come s'e' egli mai scosso questo ramo £ alloro sacro ad
Apolline; Come s' e’ scossa questa spelonca l Fuara profani: fuora:
Lo Scoliaste dice, che ciò avvetiiva per la venuta dello Dio. Le
sue parole sono : itetdfigovvTOt Tov dfov. Come Digilized by
Coogle TERZO. 47 t"e’ icotto quitto
ramo, come i e' scossa questa spelonca! Non , Quanto s' è scosso questo
ramo ree. ; come traalata il traduttore di Callhnaco, lenza ponto
avvertire, che Io Scolialte greco l’ ha inteio in lenio di coinè e non
di quanto: Olov 5 rà ’II^A.X«vo{ ) 'Atri Toó o2at, Siro(. Or
reggili le l’ interprete doveva mai tradurre otog ovvero Sicmf per
quantus; e pur era un lolenne tradut- tore , e che li piccava iniioo di
icrivere veni greci. Virgilio nel VI fa lervire un limile avvenimento a
no- bilitar la venuta della Sibilla nelf Inferno , v. iS5.
Ecce autem primi sub lumina solit , et ortut , Sub pedibus
mugire solum, et juca coepta numeri St/luarum , tùtaeque canet ululare
per umbram , Aduentante Dea : Procul , o procul ette profani.
Coll Claudiano de Rap. Froterp. , lib. 3 , alla venuta di Plutone,
V. iSa. Ecce rrpens mugire fragor , confligere turres ,
Pronaque uibratis radicibus oppida uerti. Che poi Dante non dica
apertamente dell’ angelo , ciò è fatto ( come awertiice il Boti nel
Comento lopra il canto IV) con grandiiiimo accorgimento i poichò
egli non potea dire le non quel tanto, eh’ ei vide; e te dice, che
la luce vermiglia lo fe’ tramortire , vincendogli cia- •cun tentimento, e
che in questo fu panato di là dal fiume , sarebbe stato molto improprio ,
eh* egli ci aveste dato conto di quel eh’ accade durante questo suo
sveni- mento. Dico svenimento , non sonno , al contrario di tutti
gli tpositori , i quali , mi maraviglio , come in cosa tanto manifesta
abbiano preso un sì grosso equivoco. Dice Dante , che la luce vermiglia
gli vinse ciascun 48 Canto lentimento, cadde
come Tuoma preio dal loono. Dunque, a' ei piglia la limilicudme da colui,
che cade addormen- tato, ^ troppo chiaro, ch'egli cadde per altra
cagione; che non li piglia mai il paragone dalla iteiia cola para-
gonata. Qual freddura larebbe mai queita ? Caddi addor- mentato, come
cade quegli, che l' addormenta’ Tramortito bensì; e ciò ■' intende molto
bene, come polla derivare dallo ipavento del terremoto, e dall’
abbagliamento della luce vermiglia ; ma non già il lonno , il quale è
ami •cacciato , come vedremo nel principio del leguente canto, e
non luaingalo per un tuono. Un caio asiai limile li legge in Daniele al
cap. X , dove egli icrive di lè medesimo, che la vennta deir angelo, che
avea combattuto col re di Persia, avea ripieno di tale spavento
quelli eh' erano col profeta, che l'erano fuggiti; ond'egli, vinto
in ciascun sentimento e abbattuta ogni lua virtù , rimase solo a veder la
visione ; yidi auttm ego Daniel solus uisionem. Porro uiri , jui erant
mecwn non uiderunt , ted terror nimiue irruit super eoe, et fugeruni in
aiscondilum; ego autem relictut solus nidi uisionem grandem lume ,
et non remansit in me fortitudo, ted et species mea immutala est in
me , et emareui, nec habui quiiquam uirium. E poi diremo noi. Dante esser
caduto morto, per quel eh' ei dice al canto V dell’ Inferno , v.
140. E caddi , come corpo morto cade ? Dunque con qual
ragione or , di' e' piglia la similitu- dine dal cadere d'uno, che
l'addormenta, dir vorremo, eh' egli si cadesse addormentato ? Nè meno
volle Dante cavarci di questo dubbio della venuta dell' angelo ,
fa- cendosela narrare a Virgilio, siccome nel IX del Purga- torio
li fa dir, che Lucia Io prese dormendo, v. Sa. Digitized by Google
TEtZO. 49 Dianzi ntìf alba i cKe precide il
giorno , Quando f anima tua dentro dorniia , Sopra li
fiori , onde laggiuso è adorno , Venne uno donna , e ditte : /' ton
Lucia ; Latcialemi pigliar cotlui , che dorme : Si t agevolerò
per la tua via. avendo fone in ciA mira non tanto alla varietà e
alla bizzarria, quanto (come avvertUce io Smarrito ) a lalvar la
modeitia, per la quale non vuol coti pretto farti bello d'un tì alto
favore; riapetto , che manca poi nel Purgatorio , dove la tua anima per
la meditazione del- r Inferno era divenuta piti monda , e ti pili vicina
a pervenire all' altittima contemplazione d' Iddio. Veduto
del concetto principale di quetto luogo , è ora contegnentemente da
vedere con brevità d'alcune cote, che rimangono, per aver una piena
intelligenza anche de’ pai-ticolari tentimenti. V. i3o.
Finito quetto , la huja campagna Tremò ri forte, che dello
tpavenlo La mente di tudore ancor mi bagna. Qui mente per
fantaiia; e 'I tento à; La fantatia, ri- membrando l'alto tpavento, ancor
ancora muove tudore, il qual bagna me, e non \a mente, come t'accordano
con gran bontà a intendere il Vellntello e 'I Daniello. Coti ancora
vediamo quell' azione , liati dell' anima , o degli tpiriti, che i'
etprime con quetto vocabolo di fantatia, per allungare al palato, e
romper Pagrezza de’ frutti acerbi gagliardamente immaginati , muover
taliva. V. i33. La terra iagrimota diede vento ere.
So Canto terzo. Qurito è confuroie la volgare opioionei che
crede il terremoto produrti da aria terrata nelle vitcere della
tetra ; la qual opinione tappiamo ettere tlata leguitata da Dante , come
ti raccoglie da un luogo del XXI del Purgatorio ; dove in perenna di
Staiio rende la ragione de' terremoti, che t'odono intorno alla falda di
quella mon- tagna con quetti versi 55 e aeg. Trema forse
quaggiù poco , od assai ; Ma per venSo , che irs terra sì
nasconda. Non h dunque gran fatto , che , portando egli
quetta credenza, dica, che nel terremoto della buja campagna otc)
vento di terra, volendo inferire di quell' ana, che nello tcotimento , e
forte nell' aprimento della suddetta campagna ti sprigionava.
Digitized by Google INFERNO. CANTO
QUARTO. ARGOMENTO. Raccolta , eom’ an tuono Io f«ce
ritornare in , e come trovò aver pattato il (ìamc Acheronte dalP
al- tra riva, la qual fa orlo al catino de!!' Inferno, chiamato da
lui valle dolorosa d'abiuc. Dice poi , d'eticre tcrio nel primo cerchio
<^’ etto Inferno , che è il Limbo. Di- manda a Virgilio della venuta
di Critto in quel luogo , ed ode la tua ritpotta. Quindi patta a veder 1'
anime de* bambini innocenti , e dopo quelle di coloro , che visterò
secondo il lume delle virtò morali ; e con la motta per discender nel
secondo cerchio , termina il canto. V. 1 . Rufptmi t alto tonno
nella lesta Un greve tuono , ti eh' i" mi riscossi ,
Come persona, che per forza è desta. Statuì dio della similitudine
presa da chi dorme; onde chiama sonno quello , che in realtà era
tmarrimento di spiriti , e svenimento. Chiamalo alto , a differenza
del Digitized by Google Sì Canto «ODDO
naturale: anzi, a fine d'eeprimerlo alùiiiraot dice, che un greve tuono a
gran pena lo ritcofte , rome ai rìacuote persona, che per forza è desta*
£d ecco retta la comparazioDe fin all' ultimo^ dopo averla fatta
operar con grandisiimo artifizio in tutte le «uè parti. Il tuono
potrebbe a prima viata parere non eaaere auto altro, che il rumore degli
alilaaimi pianti, e delle mìaere atrida de* danoati, chiamate da Dante poco
pid abbaaao tuono. J tu la proda a mi trovai Della
valle d * abisso dolorosa , Che tuono accoglie d* infiniti
guai. Goal di aopra nel terzo canto , t. 3o , rasaomiglia i
gemiti degli aciauratì allo apìrar del turbo : qui , ove ai aeote il
pieno del triato coro dell' Inferno li rasaomiglia al tuono. Potrebbe
forse anclie dirai , che questo tuono venne dall' aria del terzo cerchio
della piova, dove aon puniti i golosi ; non essendo punto fuor di ragione
il credere, che insieme con la gragnuola venisiero aoche de* tuoni
, siccome veggiamo accadere nella noatr* aria , il che nell* Inferno ajuu
a far crescer la peoa e lo apa> vento de* peccatori. Considero dall*
altro canto , che in sì gran lontananza , qual è quella del terzo cerchio
, volev* essere un gran tuono per esser sentito da quei , eh* erano
in su la riva d* Acheronte. Ma bisogna ancora considerare, che quivi non
tuona all* aria aperta, come fa a noi , ma nel chiuso della valle ' d*
abisso sotto la volta della terra, che rintrona e rimbomba per ogni
banda, e sì lo strepito vien portato , come per cana> le , all*
orecchie di Dante ; e a chi farà rifiessione , a qual distaiza arrivi la
voce d* uno , che parli aoche pianamente per una canoa forata, forse non
parrà tanto Digitized by Google gUAKTo. 53
HiTerUtroile queito pensiero. Senxa che delle campane alla campagna
aperta, dov' elle abbiano il vento in favore, •'odono dieci o dodici
miglia lontano^ e rartiglierie tirate alta marina di Livorno s'odono
talvolta Hn di Firenze, che per retta linea aWà ben cinquanta miglia di
lonta* nanaa. Più coerentemente però al costume non meno , che alla
grandezza della fantasia di Dante, si dirà, che il tuono non fu altro,
che quello incominciato nel canto antecedente , di cui nel ritornare il
poeta in s^ , udendo lo strascico, non rinvenendosi (come accade a chi
dor- me, e molto meno a chi è svenuto) quanto tempo fosse stato
fuori de* sensi , lo credette ( stando assai bene io sul verisimile ) un
altro tuono. E di vero, per passare il fiume su l'ali d'una potenza
soprannaturale, non vi volea cosi lungo tempo , che giunto su l'altra
riva non potesse ancora udire il rintuono di quel tuono stesso, che
scop- piò col baleno , allorché Dante si ritrovava al di là dal
fiume ; maravigliosa osservanza di costume. Si desta na- turalmente,
perchè già il miracolo della sua trasmignv «ione era fornito, e udendo in
quello tuonare, mostra di credere d'essere stato desto dal tuono , come
farebbe ognuno, che si abbattesse a destarsi in quel eh* e' tuona.
V, 1. Rupptmi tolto tonno ecc. Questo luogo si vede imitato,
o per meglio dire stem- perato dal Bocc. Itb. I. Fiam, Fù it grave la
doglia del €uore t quella aspettante , thè tutto il corpo dormente
ritrosie , e ruppe il forte sonno. V. XI. Tanto che per ficcar lo
viso al fondo. Per invece di quantunque , ed opera
graziosissima- mence. Il senso è : Tanto che , quantunque io ficcassi
lo 54 C A H F o viso al fondo. Piglia ficcar la
viltà per Guare gli occhi ; maniera aliai biiiarra. V. i5. r
tarò primo, e tu sarai teconio. Queite parole di Virgilio aono
aliai chiare quanto alla lettera; ma vuol fon' anche lignificare euer
egli nato il primo a entrar a deicriver l' Inferno , lì come fece
nel VI dell' Eneide , e Dante dover eiiere il lecondo. A chi lia riuicito
più felicemente queito viaggio, aitai leggiermente ai può comprendere dal
paragone. V. 15 . Ed egli a me; V angoscia delle genti.
Che son quaggiù , nel viso mi dipinge Quella pietà, che tu per tema
tenti. Spiega r effetto dell' impallidire per la lua cagione
, che è il compatimento de' mortali affanni de' peccatori : forma
di dire veramente poetica, anzi divina. V. ai che tu per tema
tenti. Che tu interpreti per effetto di timore. V. a3.
Cosi ti mise, e coti mi fe' ‘ntrare Ne! primo cerchio , che V
abisso cigne. Qui incominciamo a icender dal piano dell' atrio
dell' In- ferno , cavato lotto la volta della terra , dove abbiamo
veduto eiier puniti gli iciaurati , e corrervi il fiume Ache- ronte.
Entran dunque nel primo cerchio, che è il Limbo. V. a5. Quivi ,
secondo che per ascoltare , Non uvea pianto , ma che di
sospiri. S* intende nel primo verto : Secomlo che ti potea
comprendere; cioè. Secondo che per l'udito ti potea Digitized by
Google quakto. ss Mcrorre ; poiché gli occhi non
icrvivano a ditccrnerlo , mercé dell’ aria oicura, profonda, e nebuloia
d' abliao. Ma che vale eccetto , aalvo , fuorché , aolaniente , pid
che. Forae da magit quatti de* Latini; onde con tal par- ticella vuol
lignificare , che non v’ era maggior pianto eh’ un leniplice lamentar di
aoipiri , lecondo che l’anime del Limbo non erano tormentate (dirò coli)
nel corpo, ma lolamente nell’ animo , per la privazione d’ Iddio.
Queito viene apiegato mirabilmente nel verio arguente a 8 . E ciò
avvenia di duol senza martiri. V. 33 innanzi che più ondi.
Andi leconda peraona dell’indicativo preaente del verbo Ando
diauaato , dalla railice uiata andare. • V. 34 e t' egli hanno
mercedi. Non basta, perch" e' non ebher batletmo; Ch‘ e'
porta della fede , che tu credi. Qui mercedi lo iteaao che meriti;
nè qurata è l’unica volta, che Dante l’ ha preao in tal lignificato.
Farad, cant. XXXII, V. ^ 3 . Dunque , senza merci di /or costume
, iMcate son , per gradi diferenti. Parla dell’ anime, che in
quello, che tono create, h.mno da Iddio , lenza lor merito o demerito ,
maggiore o mi- nor dote di grazia. Chiama il batteaimo porta della
Fede. Coll vien chiamato da’ maeitrì in diviniti lanua Sacra-
mentoruia, V. 37. E s' e’ fuTon dinanzi al Cristianesmo ,
Non adorar debitamente Iddio. 56 Canto
Parla de* gentili innocenti» cbe furono avanti alla ve- nuta di
Cristo ; i quali » ancorché non peccaiiero , anzi adorassero la Divinili,
non Tadoraron debitamente, cioè secondo il verace concetto , che si dee
aver d* Iddio , e secondo il legittimo culto prescritto dalla Legge
mosaica; ma lo riconobbero o nel Sole, o nella Luna, o nelle Sta-
tue , e sì Tadororono con riti profani ed abbominevoU. V. 41 e soi
di tatuo efesi. Che senza speme vivemo in disio. Vi •*
intende siamo. Cioè , e soì di tento , o vero » e sol io CIÒ siamo
efesi. Questa dice Virgilio esser la sola pena di quei del
Limbo , Ira* quali ha riposto sé ancora ; Aver vivo il desiderio, e morta
la speranza. V. 47* per ooler esser certo Di quella
fede, che vince ogni errore. Per aver un riscontro della verità
della nostra fede. V. 49. Uscinne mai alcuno, 0 per suo
merto, O per altrui , che poi foste beato ? Credeva
Dante ( che non v* é dubbio ) U liberazione degli antichi Padri operata
da Cristo nella sua resurre- zione ; pure da eh* egli avea sì bell*
occasione di chia- rirsi del vero , e con ottimo fine d* armarsi contro
qua- lunque titubaziooe gli potesse venire di così alto mistero,
non si potè tenere di domandar Virgilio , s* e* n* era uscito mai alcuno.
E notisi , com* egli dissimula bene il suo animo : domanda prima di quel
che sa , che non è , e che nulla gl* importa il sapere, cioè s* e* n*
uscì alcuno per suo proprio merito , per farsi strada a domandar»
Digilized by Google Q U A K T O. $7 di
quel, che gli preme aMaÌMÌmo Tesier fatto certo, lenza che Virgilio potaa
ombrarvi sopra od accorgersene. V. Sa. Rispose : I* era nuovo in
questo sfato , Quando ci vidi venire un possente , Con segno
di vittoria incoronato. Era di poco venuto Virgilio nel Limbo ,
quando ci vide venir Cristo nostro Signore , che mori intorno a
quarantott* anni dopo la morte di esso Virgilio; il quale, perocché si
non conobbe Cristo , però non lo nomina. Dice solo , eh* ci ci vide
venire un possente incoronato di palma. Possente dalle maraviglie, che
gli vide ope« rare in quel luogo , traendone sì gran novero d* anime
, ond* a ragione si persuadeva , quegli non poter esser altri , che
un grandissimo , e potentissimo principe. V, 6o. £ con Rachele ,
per cui tafito fe\ Vuol dire del lungo servizio di XIV anni reso a
Laban padre della fanciulla, per averla in isposa. V. 64.
JVon lasciavam rondar , perch' e* dicessi. Ancorch* e* favellasse ,
badavamo a ire. Lo stesso con« cetto lì ritrova replicato al XXIV, v, i
del Purgatorio, ma con dicitura così bizzarra , che ben duuostra la
ric« chezza della gran mente del poeta. . Nè 7 dir l'andar ,
nè l'andar lui più lento Ratea { ma ragionando andavam forte*
V. 66. La selva dico di spiriti spessi. Qui selva per
moltitudine : metafora assai f<untgliare Dante. Così nel piiiuo di
questa cantica selva chiamò 6 S8 Canto
gli errori giovanili, per entro la quale dice etieni egli amarrito
, e più apertamente nella »opraccitata apoiizione della canzone :
Le dolci Time d amor , eh' io eolia , dice amarrirviii l’uomo
all' entrare della tua adolezcenza. Ancora nel primo libro , cap. XV
della tua Volgare Eloquenza, rispetto ai diversi idiomi, che si
parlavano allora in Italia, chiama quell’ opera Italica telva; e
selva finalmente chiama in primo luogo una moltitudine di spiriti.
Così abbiamo nelle scritture : Secar decurtus aqua- rum plantauU dominus
uineam iuttorum. Qui molto giudi- ziosamente, trattandosi d'anime
dannate, piglia la metafora più ruvida di «/va. della quale, avvegnaché
si sia servito ancora S. Bernardo, è tuttavia da notare una doppia
limitazione. La prima, eh’ egli parla in quel luogo delle anime, o più
verisimilmenle delle diverse adunanze de’ nuovi cristiani, non già di
quelli della circoncisione, i quali erano toccati a S. Pietro, ma di
quelli venuti corì nudi e crudi dal paganesimo , onde oltre T esser
forse tutti per ancora e male istruiti nella fede, e peggio
riformati ne’ costumi , ve ne potevano esser molò de’ re- probi. La
seconda, che in questo luogo selva è pro- priamente metafora di metafora,
non pigliando il santo per piante di questa selva le anime a dirittura,
ma più tosto le varie adunanze delle anime , velate prima tali
adunanze sotto l’altra metafora di vigne, per viti delle quali vengono a
intendersi le anime particolari, e di ciascheduna di queste vigne cosi
numerose ne forma, per dir cosi, le piante d’una vastissima selva, che è
la metafora secondaria, come si vede manifestamente dalle seguenti
parole , che sono poco dopo il mezzo del Digitized by Google
QUARTO. $9 sermone XXX su U Cantica ; Merito et Paulo inter
gentet tam ingens tylua eredita ett uinearum. Anclir appresso gli
Arabi si trova usata la stessa figura, come si può vedere da quest*
esempio d' Harireo Basrense nel suo primo • Le sue parole sono le
seguenti : dLJLsNwc jivervio io dunque penetrato nelt
interna densissima teha per saper la cagione di quei pianti. Nè altro
intende per sehat che una grandusima calca di gente, che
s'affollava d'intorno a un ceno romito per udirlo predicare.
V« 67. Non era lungi ancor la nostra via Di qua dal sommo;
quancT 1 vidi un foco, CK ejairpm'o di tenebre vincia. Credo,
eh’ ei chiami sommo l'erta, per la quale d«l piano di sopra , dove corre
Acheronte , erano calati nel Limbo; e credo, eh' ei voglia dire, ch'egli
erano caiu- minati ancor poco per la pianura di esso , quando ei
vide un fuoco , che illuminava un emisferio di tenebre. Questo fuoco non
si rinviene molto chiaraiuente, dov'egli fosse, e come ei si stesse; nè i
commentatori si fermano troppo a esplicarlo. Pure dal chiaiuarlo col nome
di lu- miera, e dal lume, eh* aveva a rendere non meno fuori che
dentro alle mura de) castello, m'induco volentieri a credere , eh* ella
fosse una (ìsunnia librata in alto nell* aria, come vergiamo alle volte
alcune meteore di fuoco, le quali durano a vedersi nello stesso luogo,
inhn tanto che dura la lor materia a ardere , e prestar alimento
alla bo C A K T O 6(unina , pfT cui •! rcndon
vi«ibili. Nè è da star attaccato alla fona delle parole, dicendo, che, te
quetto fuoco illuacrava un eniieferio di tenebre, bitognava, eh’ ei
fotte in terra, poiché alando in aria veniva ad lUuttrare una
porzione maggiore della mezza tfera: poiché Dante in quetto luogo debbe
intenderti come poeta , e non come geometra; né è veritimile, eh’ ei
pigli itte allora le tette per miturare il giro dell’ aria
illuminata. V. 73. O tu, eh' onori tee. Parole di Dante
a Virgilio. V, y(j V onrata nominanza > Che di ior
suona sii ne la tua vita , Grazia acquista nel ciel , che gli
avanza. La fama e ’l pregio , che riman di loro nella tua
vita, cioè nella vita mortale , la qual tu godi ancora , o Dante ,
impetra loro quetta grazia dal Cielo. V. 81. L’ombra sua torna ,
eh' era dipartita. Partitti allora dal Limbo Virgilio , quando a’
preghi di Beatrice andò a trovar Dante nella telva oteura. V.
84. Sembianza avean né trista, né lieta; e però conlacevole al loro alato
nè di gioja, nè di tormento. V. 91. Peroeehb eiaseun mero si
eonviene Nel nome, ehe sonò la voee sola; Tannami onore , e
di ciò fanno bene. Mi fanno onore , e fanno bene a farmelo ; perchè
a tutt’ e quattro ti conviene il nome , che la voce d’ un
Digitized by Googl QUARTO. 6l •olo diede a me»
cio^ in quello di pòeta. In «ustanza: fanno bene a onorarmi, perchè siamo
tutti poeti, e f o- nore , che è fatto ad uno , toma sopra tutti.
Y. 94. Cast vidi adunar la bella scuola Di quel signor dell’
altissimo canto, D' Omero , dal quale hanno cavato tanto i poeti ,
e in particolare i quattr(\ posti qui da Dante. V. 9y. Da eh’
ehber ragionato insieme alquanto, Volsersi a me con salutevol cenno
: £ ’l mio maestro sorrise di tanto. Qui non accade
strologar molto quello , che Virgilio a costoro dicesse , vedendosi
manifestamente ( tanto è artifizioso questo terzetto), eh' egli li ragguagliò
dell* esser di Dante, del suo poetico spirito, e della sua
profondis- sima scienza- Ciò si discuopre dalla cortesia del
saluto, eh* essi gli fecero , e dal sorrider , che ne fece Virgilio
; poiché quel sorrise di tanto altro sicuramente non vuol signiBcare
, che di questo , cioè di tcmto che fu fatto. Nè quei grandissimi spiriti
si sarebbero mossi a far tanto di onore a Dante , se da Virgilio non ne
fosse loro stata fatta un* assai onorevol testimonianza, della quale
essendo frutto il cenno salutevole, esso ne sorride per compiacenza
di vedere , quanto fossero «tate autorevoli le sue parole. V. ICO.
E più d’onore assai ancor mi fenno ; C/f ei si mi fecer della loro
schiera, St eh’ V fui sesto tra cotanto senno. Cosi n andammo
insino alla lumiera, Parlando cose , che ’l tacere è bello ,
Si co/u era' i parlar, colà dop’ era. 6j Cauto
A chi noD aTCMC ancora Bnito d’ intendere quel , che Virgilio
ditcorreHe con Omero, e con gli altri tre, Dante con questi tenerti
finiace di dichiararlo , volendoci in austanza dire, che da quello, che
diaae di ane lodi Virgilio, fu di comun conaentiuiento giudicato
degno d' eaaer nirsao nella prima riga, e ai annoverato tra' mag-
giori poeti , eh* abbia avuto il mondo. Più dilhcile iin. presa stimo , che
sia I' indovinare quello , eh’ e’ discor- ressero in sesto , poiché Dante
si fu accoppiato con esso loro, non aprendosi egli ad altro, se non di'
e' parlaron cose , delle quali A bello il tacere , com' era bello
il parlare colà , dov' egli era. I commentatori hanno avuto in tal
veocrazione quest' arcano , eh' e' non si son pur anche ardili e spiarlo
con l' immaginazione. A me quadra molto un pensiero sovvenuto al
sottibssimo ingegno del Rifiorito. Stima egli, che tutto il discorso
fosse in lodar Dante, e perchA mostra, che ancor egli favellasse,
men- tre dice , v. io3. andammo infino alla lumiera.
Parlando cose , che ‘l tacer è hello. Il suo parlare non fu
per avventura altro , che recitare qualcuna delle sue canzoni , secondo
che da que' poeti ( siccome s' usa per atto di gentilezza ) ne fu
richiesto. E ciò non solamente torna bene al costume , ma ( che più
si dee attendere ) al sentimento de' versi ; essendo verissimo, che orala
modestia fa diventar bello il tacere quello, che allora bellissimo era a
parlare. V. Ila. Centi v' eran , con occhi tardi e gravi,
Di grand' autorità ne’ lor sembianti : Parlttvan rado , e con voci
soavi. Digilized by Google QUARTO. 63
Quello tertetto paò lerrir di norma a qualunque pi> glia,
deicrtvendo, a rappreiencare il coitnme di gran perionaggio.
V. il5. Traemmoei co/l dalF un de' canti In luogo aperto ,
luminoso , ed alto ; Si che veder si potén tutti quotili.
Dal dire, eh' e' li trauero da un canto del caatello, ai convince
manifeicamente , eh' ei non era murato a tondo, come alcuni si
persuadono, e fra gli altri il Vel- lutello : tanto pid eh' e' non si può
nè anche dire , che il castello era tondo bensì, ma che v' erano
diverse piazze o strade , le quali venivano a formar degli angolii
poiché non pare, che Dante figuri questo castello per altro , che per un
dilettevol prato intorniato di mura ; e s' ei potè mettersi in luogo da
poter veder tutti quanti , chiara cosa è , eh' e' non vi doveva essere
impedimento di mura, o di case, o d'altri edifizj. A tal che questo
canto, dond' e' si trassero Dante e Virgilio , mostra , che la pianu
delle mura non dovea esser circolare. Molto meno è veriiimile , eh'
elleno abbracciaiser il foro della valle, come è opinione cfalcuni, i
quali si lon falsamente immaginati, che tutto il piano dello scaglione
del Limbo fosse diviso , come in due armille concentriche , una
ester- na e maggiore, dove non arrivasse il lustro della lumiera, e
quivi stessero l' anime degl' innocenti morti senza bat- tesimo sospirando
continuameote , onde dice , v. a6. ffon avea pianto , ma che di
sospiri , Che laura eterna facevan tremare. minore
l'altra ed interna , ed illustrata dalla lumiera , è questa facesse prato
al castello de' Savj e degli Eroi. £ 64 Canto invrrUimile
I dico , tal optDÌone. Prima , perchè in pro> porzione dell* altr*
anime del Limbo y piccolisaimo è U numero di quelle* che sono ammesse per
tspecialissima grazia dentro al delizioso castello ; per lo che*
rimanendo loro un luogo sì vasto , vi sarebbero seminate più rade
che per un deserto. Secondo* perchè in qualunque luogo del prato si
fosser tratti Dante e Virgilio* posto die nel centro non potessero starvi
per essere sfondato * e ter- minar ivi la sboccatura del secondo cerchio
* sarebbe •tato impossibile discemer tutti quanti* a non supporre*
eh* e* sì fosser ridotti tutti in un mucchio vicino all* en- trata *
perchè da distanza assai minore , che non è quella del solo semidiametro
di questo prato * a farlo cale * qual se lo figurano costoro , si
smarrisce di vista un uomo dì statura ordinaria. Direi dunque * che il
castello fosse da una porle del piano o pavimento del Limbo * e che
per avventura nè meno arrivasse con le mura in su la sboc- catura
del secondo cerchio- E che sia *1 vero* usciti eh* e’ ne furono*, dice
Dante, eh* e* tornarono nelf aura* che trema* cioè in quella, dove
sospirano i padani in- nocenti, che l'aura eterna farevan tremare. Che se
per lo contrario il castrilo fosse stato abbracciato dall* armilla
esteriore* per discender nel secondo cerchio, non oc- correva, eh’ c*
ritornassero in quella, dove l’aria tre- mava. Kè vale il dire* che per
aria tremante si può in- tender anche l'aria del secondo cerchio; perchè
la sua agitazione (si come vedremo nel seguente canto) era altro
che un semplice tremare, dicendo il poeta di questo cerchio, v. a8.
J* venni in lungo <t ogni luce muto , Che mugghiai come fa
mar per tempesta, S" e* da contrari venti è combattuto.
Digilized by Google QUARTO. 65 Ecco dunque, che
il catCello era tutto dentro all* orlo del Limbo io su la mano , tu la
qual camminavano : e torna ottimamente allo scemarti la sesta compagnia
in due , essendo Omero , Orazio , Ovidio e Lucano rimasti dentro al
castello , e Dante e Virgilio essendone usciti o per altra porta, o per
la medesima, ood* erano en- trati , ma voltando all* altra mano , e
incamminandosi per altra via da quella, ond' erano venuti. Così si
condus- sero, dov' era il passo per discendere nel secondo cer- chio
; si come vedremo nel canto seguente. Dìgitized by Google
INFERNO. CANTO QUINTO. ARGOMENTO.
Xl }>eccato , che ii punisce in questo secondo cerchio , è la
lussuria, come il più compatibile all' umana fragilità, c per avventura
il meno grave. Fmge il poeta di tro- vare al primo ingresso Flinos
giudicante 1' anime. Di poi passa più oltre , e vede la pena de'
peccatori carnali , la qual dice essere un furiosissimo , e perpetuo nodo
di vento , il qual rapisce , e porta seco voltolando in giro queir
anime. Virgilio gliene dà a conoscere alcune , che erano già state al suo
tempo , ma di Francesca da Ra- venna intende dalla sua propria bocca la
cagione della sua morte , e insieme di quella di Paolo suo cognato ,
con r ombra del quale si raggirava per 1' aria del se- condo
cerchio. V. I. Cori discesi del cerchio primajo Giù nel
secondo , che men luogo cinghia, E Scatto più dolor, che pugne a
guajo. Digitized by Google 68 Canto ^
Discesi ; Io Dante diacesi. Men luogo cinghia ; si di- mostra
peripatetico f ponendo il luogo, distinto dall* esteiH sione della cosa
locata. Quindi è , eh* ei dice il pavi- mento del secondo cerchio
cignere, abbracciare, occupar minor luogo, in sostanza girar meno del
primo, secondo che per lo digradar della valle gii\ verso il centro
si discendeva. Così veggiamo ne* teatri dalla lor sommità i gradi
infmo all' iullmo venire , successivamente ordinati , sempre risirignendo
il cerchio loro. C ben vero , che quanto meno luogo cinghia, contiene in
sè altrettanto più di dolore, che non fa il primo. Poiché, dove
quello per esser solo dolor della mente , svapora in sospiri ,
questo, che alFligge il senso, pugne a guajo , cioè arriva a trar guai ,
pianti e lamenti dolorosissimi. Y. 4. 5 rauvs Afinos orriòilMente «
e ringhia. Qui orribilmente ha forza di esprimere P orrida
resi- denza , il tribunale formidabile , la fiera accompagnatura
de* ministri , e forse il ferocissimo aspetto dell* infernal giudice.
Bocc. Fdoc. Kb. 6 , 42. Quivi ancora si veggono tutti i nostri Iddìi
onorevolissimamente sopr ogn altra figura posti. Dove notisi , che per 1
* avverbio onorevolis^ simamenie ci dà ad intendere la preminenza del
luogo , quanto la ricchezza degli ornamenti sacri , ed ogni altra
nobile accompagnatura pertinente al culto degli Dii sud- detti. Ringhia:
accresce lo spavento, dicendosi il ringhiare de* cani , quando irritati,
digrignando i denti « e quasi brontolando, mostrano di voler
mordere. V. 6. Giudica , e manda , secondo eh* awvinghia.
Qui avvinghiare per cignere. Ciò che Ninos ai ci- gneise , viene
spiegato appresso. Digitized by Google 69
QUINTO V. IO. Vede qu«l luogo Inferno è da essa.
Da in luogo di Per, ed esprime attitudine , proprietà, c
convenevolezza. Cioè qual luogo d'infemoèprr essa, o vero convenevole ad
essa. Veggasi di ciò il Cinonio. V. li. Cignesi con la coda tante
volte ^ Quantunque gradi vuol ^ rAe sia messa. Conosce
il poeta T obbligo, ch'egli ha d* uscire il piti eh* ci può dall’
ordinario , rispetto al luogo , e a* perso- naggi , eh’ egli ha alle
mani. Quindi va trovando maniere strane ed inusitate di significare ì
loro concetti ; come in questo luogo fa, che Minos si cinga tante volte
la coda, quanti gradi hanno a collocarsi gid 1 * anime con-
dannate. Quantunque per quanto , nome indeclinabile. Bocc. introd. n. i.
Quantunque volte , graziosissime donne ^ meco pensando riguardo
ecc. V. i3. Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: Vanno
^ a vicenda y ciascun al giudizio: Dicono , e odono , e poi son giù
volte. In questi tre versi è compresa un* esattissima e
pun> tualissima forma di giudizio. V. a3. Vuoisi cosi colà
» dove si puote Ciò che si vuole ; e più non dimandare.
Le stesse parole per appunto furono usate da Virgilio a Caronte nel
canto terze, v. 9 S. V. a 8 . t venni in luogo d* ogni luce
muto. Notisi , come stando sempre su la medesima bizzarra
traslazione d* attribuire il proprio della voce al proprio della vista ,
va continuameDte crescendo» Nella selva , ~e Casto
dove r oicurit.\ e T ombra erano accidentali per l' im- pedimento
de' rami e delle foglie , diwe aolamcnte tacerai la luce , V. 6o.
Mi ripigneva là , dove 'I sol tace. Nell* atrio dell' Inferno
dà al lume aggiunto di JSoco , ac- cennando io tal guiaa , non eaier ciò
per accidente > tua per natura ; cauto HI , v. 75. Com’ io
discerno per lo fioco lume. Qui finalmente , dove a' ò innoltrato
nel profondo della valle, muto lo chiama; e vuol denotare, che le
tenebre di queato cerchio non aono accidentali , nè a tempo , nè
aaaottigliate da qualche apruzaolo di languidiaaima luce, ma apeaae ,
folte , oatiuate , ed eterne. V. 3l. Za bufera infernal , che mai
non retta. Mena gli spirti con la tua rapina: Voltando , e
percuotendo gli moietta. Il Buti definiace eoa! : Bufera è
aggiramento di venti , lo qual finge l’ autore , che sempre sia nel
secondo cerchio dell" Inferno. A chi pareaac queata voce o poco
nobile , o troppo atrana, ricordiai , che ai parla d' un vento in-
fernale , e che merita maggior lode il cercar la forza dell' eapreaaione
, che 1' ornamento delle parole ; ed è queata una pittura , che non
richiede vaghezza di colo- rito , ma forza; e tanto piti è bella, quanto
è meno liaciata ; estendo il naturale coti risentito , che non può
bene imitarsi , te non è fatto di colpi , e ricacciato ga- gliardo di
sbattimenti. Questa bufera adunque leva e mena gli spiriti con due
movimenti. Con uno gli aggira secondo il corto della tua corrente, che va
turno torno Digitized by Google ^UIHTO. 71
al cerchio ; con F altro ( e ciò fallo con la sua rapina , cioè col
tuo grandissimo impeto ) li va voltolando in lor medesimi. Cosi veggiamo
la pillotta e '1 pallone , i quali, se vengono spinti lentamente per
Taria, son por- tati con un solo moto ^ che è secondo la linea della
di- rezione del lor viaggio , ma dove urtino in muro , od in legno,
osi, cadendo in terra, ribalzino mcontanente, ne concepiscono un altro ,
Bglio di quel novello impeto , che gli aggira intorno ai proprio
asse. V. 34. Quando giungon dinanzi alla mina ; Qmvi le
strida t il compianto t e*l lamento'. Bestemmian quivi la virtù
divina. Qual sia questa rovina, i commentatori non lo dicono
, o se lo dicono, io confesso di non intendere quello che dicono.
Crederei, che per rovina intendesse T autore il dirupamento della sponda,
giù per la quale egli era ve- nuto ; e che questa fosse la foce , d' onde
metteise il vento , il quale foue cagione di maggiore sbatiimento a
quelle pover* anime , che vi passavano davanti. A simi- litudine d* un
legno o d'altro corpo , cui la corrente d'un fiume ne meni a galla , il
quale, se s* abbatte a passare, dove sbocca un torrente, o altra acqua,
che caschi con impeto da grand'altezza, questa se se lo coglie sotto
^ lo tuffa e rìtufia per molte fiate , e in qua e in lè con mille
avvolgimenti T aggira , e strabalza , in fin tanto eh' ei non è uscito di
quella dirittura , e non ha ritro- vato il filo della nuova corrente. Di
dove, e come possa quivi nascer questo vento , vedremo allora , che si
dirà della fiumana dell' eterno pianto, di cui nel canto se- eondo
mi rìserbai a discorrere in altro luogo* 71
ClISTO V. 40. E (ome gli stornei ne portan F ali Nel
freddo tempo a schiera larga e piena ; Così quel fiato gli spiriti
mali. Brllisùma iimiUtudlne , e cavata ( «ì come la «cgitcnte
poco appretto delle gru) con finitsimo accorgimento da animali tenuti in
niun pregio , e per ogni conto vilittimi. V. 43. Di qua , di là ,
di giù , di tu gli mena : Nulla speranza gli conforta mai Non che
di posa , ma di minor pena. Eipretiione felicistima ed inarrivabile
di quel tormento , e che vince quati il vedere ttetto degli occhi.
V. 48. Cori viiF io venir , traendo guai , Ombre portate
dalla detta briga. Qui briga vai lo ttetto che noja, fattidio,
travaglio; e briga preto nello ttetto significato d’ agitamento di
venti. Farad, can. Vili , v. 67. £ la bella Trinacria , che
caliga Tra Pachimo e Petoro sopra '/ golfo , Che riceve
da Euro maggior briga. cioè sopra ’l golfo , eh’ è più battuto
dallo scirocco. V. Si. Genti, che faer nero ri gastiga^
Corrisponde al detto di sopra, v. 18. I' venni in luogo iT ogni
luce muto. E cerumente la pena de’ carnali è pena data loro dall’
aria , poiché l’aria col solo agitarsi si li tormenta. V. 54.
Pu Imperadrice di motte favelle. Ebbe imperio sopra nazioni , che
parlavano diversi idiomi. Modo usato altre volte da Dante : distinguere ,
o Digitized by Google QUINTO. 73 denotare
i paeii dalle lingue , che vi ai parlano. Infer. cant. XXXIII , V.
79. Ahi Pila , vituperio delle genti Del bel patte là,
dove 'I ri tuona. V. 55 . A vizio di Lutturia fu ri rotta.
Che ’l libito fe' licito in tua legge , Per torre ’l biatmo ,
in che era eondoita. Aaaai è nota la legge della diioneatà
promulgata da Semiramide , per cui ella penaò di aottrarai all'
infamia de’ suoi vituperj. A vizio di Lutturia fu ri
rotta. Forma di dire assai singolare. V. 60. Tenne la
terra , che ’l Soldan corregge. Dice il Daniello , che Dante in
questo luogo piglia un equivoco ; e che abbia voluto dire, Semiramide
aver regnato in Egitto, ingannato dal nome di Babilonia, con cui
nel suo tempo chiamavasi volgarmente il Cairo , allora signoreggiato dal
snidano , non rinvenendosi dell' altra Babilonia fabbricata da Semiramide
nell’ Astiria. Di questo errore pretende scusarlo con fargli nome di
licenza lecita a pigliarsi da' poeti grandi, tra' quali gli dà per
compa- gno Virgilio in un certo patto , non so già quanto a pro-
posito , e con quanta ragione. Se io avesti a esaminarmi per la verità
dell' intenzione , che io credo , che abbia avuto Dante ; direi forte
ancor io , come il Daniello : tanto più che in que' tempi non ti aveva
coti esatta no- tizia della geografia, che sia sacrilegio l'ammettere,
che un poeta anche grandissimo abbia preso un equivoco in- torno a
una città, nella quale era facilittimo l’equivocare, 6
74 Cauto intrndendoii allora comuneniente per Babilonia
quella d'Egitto; ticcome oggi per Lione templicemente ('inten-
derebbe sempre quello di Francia, e per Vienna quella di Germania; e
quanto a questo, che Babilonia vi fosse in Egitto, e che fosse la stessa,
che dagli Europei si chiama oggi il Cairo , l' afferma Ortelio.
Il Boccaccio nel Decamerone, di tre volte, che nomina il Soldaoo ,
intende sempre quello d' Egitto ; e Dante stesso nell' XI del Farad. , t.
loo. E poi cht per la sete del martiro Alla presenza del
Soldan superba , Predici) Cristo , e gli altri , che 7
seguirò. Farla di S. Francesco , il quale i certo , che parla
del Soldano d' Egitto , e non di quello di Bagadet. Il Fe- trarca
dice anch' egli nel Sonetto; L'avara Babilonia ecc. non so che di
Soldano. 1 commenti l' intendono per quel d' Egitto ; e il Gesualdo , se
non erro , lo cava da una sua epistola , nella quale fa menzione delle
due Babilo- nie , d' Egitto e d' Assiria. Ma chi volesse
anche sostenere, che Dante non abbia errato , potrebbe farlo con dire ,
che per Soldano intese quegli stesso , che nel suo tempo signoreggiava la
vera Babilonia di Semiramide , essendo la voce Soldano nome di
dignità, e perciò convenevole ad ogni principe; e da Cedreno si raccoglie
essere stata comune ancora ai Co- liifi di Soria , particolarmente dove
parla di uno di essi, che ebbe guerra con Alessio Comneno. Siccome e
con- verso il Soldano d' Egitto aveva titolo di Cohffa , prima che
dal Saladino fosse unito l'un, e l'altro titolo insieme, quando egli di
semplice Sultano , eh' egli era , diventò Fun e l'altro, avendo ucciso il
ColilTa nell' andar a pigliar Digitized by Google 9 0
IRTO. 7$ da lui lecoudo il lolito l' ioicgne di Soldano. Fu
anche Soldano titolo d' ufTizio coinè ai cava da quoto luogo del
Ponti 6 cale romano citato dal Meunio ; Circa Ponti- fiiem , aliquando
ante , aliquando poit , equilabat Mare- icallus , siile Soldanus
Curiae. lila per vedere adeiao , con quanta poca ragione il
Daniello tacci Virgilio d’un timigliante equivoco , laiciaio di
riapondere a quello eh’ ei dice , che egli nel Sileno confondeaae la
favola d* lai e di Filomena , e nel terzo della Georgica acambiaaae
Caatore da Polluce , nel che vien Virgilio difeao molto giudiziosamente
dalla Cerda , vediamo il terzo equivoco notato dal aoprammentovato
apositore di Dante ne’ seguenti versi dell' Egloga del Sileno , T. 74
. Quid loquar? aut tcyllam Nisi? aut quamfama secuta est.
Candida surtinctam latrantihus inguina monstris, DutUhias ue rosse rales,
et gurgite in allo, Ah, timidos nautas canibus lacerasse marinis
? Qui dice il Daniello , senza allegarne alcuna ragione , che
Virgilio equivoca da Scilla hgliuola di Forco e d'Ecate, o, cum’ altri
vogliono, di Creteide, a quella figliuola di Niso re di Megara. Io credo
però di ritro- varla , e dubito che si possa dir del Daniello nella
spo- sizione di questo luogo di Virgilio, quello che di Virgilio
disse il Berni nell' imitazione di cpiell’ altro d’ Omero ; Perch’
e' m hem detto , che Virgilio ha preso Un granciporro in quel verso d
Omero, Chi egli , con reverenza , non ha inteso.
Noteremo dunque di passaggio , come bisogna , che quest’ autore si
sia cieduto , che Virgilio parli d’ una 76 C A H T O
loU Scilla , e che a queita attribuendo i moitri marini , e r
ingordigia degli altrui naufragi , liaii dato ad intendere , eh' egli
abbia voluto dire di quella di Forco 1 ond* egli nota r equivoco in
quelle parole : Quid loquar ? aux tcyllam Nisi ?
Sapendo, che Scilla figliuola di Niao fu cangiata in uc- cello , e
fu , come altri vogliono , appiccata alla prora della nave dell’ amato
Minoi) e finalmente gettata in mare, e non mai trasformata, come quella
di Forco, in moitro marino. Ma la verità ai à, che Virgilio intese
di parlare dell' una e dell' altra Scilla; e, toccando di pas-
saggio quella di Niso, si ferma a discorrer più diffusa- mente dell'
altra di Forco , come dalla lettura del luogo è assai facile a
comprendere ; ma forse il Daniello non s’ avvide di questo passaggio , e
trovandosi inaspettata- mente nella favola di Scilla di Forco, la
credette vestita a quella di Niso , equivocando egli medesimo nell'
equi- voco immaginato di Virgilio. V. 61. L'altra è colei,
che e’ aneUe amorosa, E ruppe fede al centr di Sicheo.
Didone , seguendo in ciò anch' egli 1 ' orribile anacro- nismo , ed
accreditando T infame calunnia d' impudiciaia datale da VirgUio. Eneide
IV, v. SSa. IVon servata fides eineri promissa SUhaeo.
V. 64. Siena vidi, per cui tanto reo Tempo ti volse.
Tocca di passaggio, e con maniera nobilissima la guerra de’ Greci ,
e l' ultime calamità de’ Trojani, Digitized by Google
71 Q U I » T O. V. 69. CK amar di nostra vita
dipartille. Della morte delle quali fu cagione Amore
illecitOi V. 7». i' cominciai ; Poeta , volentieri
Parlerei a que‘ duo , che ’nsieme vanno , E pajon st al vento
esser leggieri. Gli accoppia ioaieme , perchè iniieme avevano
peccata. S’accorae, ch’egli erano leggieri al vento , dalla facUitè
, anzi dalla furia, con la quale il vento li portava; e ciò molto
convenientemente, atteao il loro gravitaimo peccato , eaaendo atati per
affinità al atrettamente con- giunti, come più abbaaao udiremo.
V. 78. Per quell' amor, eh' ei mena, t quei verratmo. Per
quell' amore , eh' e' ai portarono , il qual fu ca- gione di queato loro
eterno infelice viaggio. Efficaciaaima preghiera , e convenientiaaima a
due amanti , acongiurarli per lo acambievole amore. Y. 80 O
anime afannate. Aggiunto di mirabil proprietà, e aenza dubbio il
più proprio , che dar mai ai poaaa ad anime tormentate da ai latta
pena. ' V. 8a. Quali colombe dal disio chiamale Con f
ali aperte e ferme al dolce nido Volan per F aere dal voler
portale. Grazioiiaaima aimilitudine , e piena di tenero e
com- paaaionevole affetto. Nè traendola Dante da coti gentili
animali , quali anno le colombe , vien a intaccar punto della lode , che
le gli dette poc’ anzi , per aver para- gonato gli apiriti di queito
cerchio agli atomelli e alle ^8 Cauto gru, 1’
una e l’altra ignobile «pezie d'uccelli, poicliè in ciueato luogo ha
maggior obbligo di far calzar la similitu- dine all' andar di compagnia,
che facevano i due amanti, il che ottimamente si ha dalla comparazione
delle co- lombe , che ad avvilire con un paragone ignobile quegli
spiriti in generale, come fece da principio. Del resto gli ultimi due
versi di questo terzetto posson aver due sen- timenti, l’un e l’altro
bello. Il primo è: Con Vali aperte * ferme al dolce nido volan per Vaere
, cioè volan per l’aere con l’ali aperte o ferme, cioè diritte al dolce
nido; o vero volano al dolce nido con l’ali aperte e ferme ,
descrivendo in cotal guisa il volo delle colombe, quando con l'ali tese
volano velocissimamenie senza punto dibat- terle, e in questa maniera di
volare par che si ratb- giiri un certo non so che pid di voglia e di
desiderio di giugnere. V. 88. O animai graziosa e benigno
, Che visitando vai per V aer perso Noi, che tignemmo'l mondo
di sanguigno. Ninna cosa odono o parlano pid volontieri gli
annuiti che del loro amore. Quindi è , che quest’ anima chiama
Dante grazioso e benigno per atto di gentilezza usatole in darle campo ,
raccontando i suoi avvenimenti , di dar alquanto di sfogo al dolore. Per
V aer perso. Il perso è un colore oscuro , di cui lo stesso Dante nel suo
Con- vivio sopra la canzone Le dolci rime ecc. dice esser com-
posto di rosso e di nero , ma che vince il nero ; e Inf. caut, VII, V.
io3. L' acqua era buja molto più , che persa. Digitized
by Google QUINTO. 79 V. 90. Noi che lignemmo il
mondo di ttmguigno. Scherza in la contrarietà di queiti due colori
; Fai visitando per F aria di color perso noi , che , per eaiere
arati ucciai in pena del noatro Callo , tignemsno il mondo di color di aangue.
V. 94. Uh Jttel , che udire , e che parlar ti picKe : Noi udiremo ,
e parleremo a vui. Non ì gran coaa (dice aaaai giudiiioaamente il
Landino) , che coatei a’ indovinaaae di quello , che Dante deaide-
rava d' udire. Una , perché di niun' altra coaa , fuori che de’ auoi
avrenimenti , potea ragioneTolmente cre- dere , eh* egli aveaae curioaità
di domandarla ; 1' altra , perché il coatume degli amanti é creder, che
tutti ab- biano quella voglia, che hanno eaai d' udire e parlare
de’ loro amori , tanto che aenza forai molto pregare non fanno careatla
di raccontarli anche a chi non ai cura aiperli. Che riapondeaae la donna
pid tosto che l’ uomo, ciò é molto adattato al coatume della loro
loquacità e leggerezza. V. 96. Mentre che ’/ vento , come fa
, si tace. n ripoaarai del vento non é coaa impropria , anzi
é accidente confacevole alla natura di quello , dimoitran- doci r
eaperienza , che egli non aoffia con aibilo con- tinuato , al come
corrono i fiumi , ma a volta a volta ricorre, come fanno Tonde marine.
Oltre che non aa- rebbe inveriaimile il dire , eh’ ei ai fermaaae per
divina diapoaizione , acciocché Dante potesse ammaestrarsi nella
considerazione di quelle pene , e riportar frutto dal suo prodigioso
viaggio. Per questa ragione vediamo nel canto IX spedito un angelo a
fargli spalancar le porte della 8o Canto cittì
di Dite, e altrove molt’ altre graxie tingolariuime, le quali la bontà
divina gli concedè, per condurlo final- uiente alla contemplazione della
aua euenza. V. 97. Siede la terra , dove nata fui , Su
la marina , dove ‘I Pò diicende Per aver pace co' teguaci tui.
Bavenna ; poco lontano dalla quale il Po inette nel- r Adriatico.
Discende per aver pace co’ sui seguaci. Ma- niera veramente poetica.
Dicono alcuni , per aver pace , cioè per trovar pace in mare della
guerra, ch'egli ha nel auo letto da' fiumi tuoi teguaci ; perocché ,
fecondo che quelli tgorgano in lui , lo conturbano e P agitano ,
onde ti può dire, che gli facciano guerra. Ma te Dante volette ttar tu
l’allegoria di quella guerra, non li chia- merebbe legnaci ; poiché ,
fintante che uno è teguace d’ un altro , non gli fa guerra, e ,
facendogli guerra, non |i può chiamar più teguace. Diremo dunque , eh' ei
vo- glia dire , che il Po co' tuoi teguaci diiceode in mare per
ripoiare dal lungo corto , eh' ei fa , per giugnervi , a fine di unirai
come parte al tuo tutto , eitendo queita unione la lola pace , alla quale
tutte le creature tono d.a inviiibil mano guidate. Veduto della patria ,
è ora da vedere chi folte coitei, che favella con Dante; per Io che
è da taperii , che quetta è Francetea figliuola di Guido da Polenta
tignor di Ravenna ; la quale , eitendo ttata dal padre mariuta a
Lanciotto figliuolo di Malatctta da Rimici , uomo valoroto in vero , e
nella teienza e inaeitria dell’ armi eiercitatittimo , ma zoppo e
deforme d' atpetto troppo più che ad appajar la grazia e la de-
licatezza di conci non era convenevole, fu cagione, che ella t'
invaghiate di Paolo tuo cognato , il quale non Digitized by
Google QtllJITO. 8l meno grazioio , e arvenente
del corpo , che leggiadro dell’ animo e de' coatumi , del di lei amore
ferventiiii- mamence era preao4 Ora arvenne ^ che , mentre , tcam-
bievolmence amandosi , in gran piacere e tranquillità si Tiveano ,
indistintamente usando , appostati un giorno da Lanciotto , furono da
esso colti sul fatto, e d'un sol colpo uccisi miseramente. V.
ICO. jimor , eh’ al cor gejuU ratto s' apprende. Prete costui della bella
persona , Che mi fu tolta, e '/ modo ancor m' offende.
Platone nel Convivio , tra le lodi , che dà Agatone ad Amore , dice
eh’ egli i ancora delicatissimo , argumentan- dolo da questo , eh’ egli i
ancor più tenero e gentile della Dea Ati , cioè della calamità , la quale
esser mollissima a delicatissima / argomentò Omero dal vedere , che ella
, schifando di toccar co’ piè terra , si tiene per t ordinario in
tu le lette degli uomini. Iliad. T, v. 93. .... Tvt pio 9 * ateahol
sróStc iv fàp in' ovSit nlAra^as , <2 A A’ apa f/j'S xai^ óvfpóv
xpoara fiaùani. Ma amore non solamente non mette mai piede in terra
, o in tu le teste , le quali , a dire il vero , non sono molto
toffei , ma di tutto V uomo la parte più gentile calpesta , e sceglie per
tua abitazione. Negli animi dunque , e ne’ temperamenti degli uomini, e
degli Dii pone il tuo trono Amore ; nè ciò fa egli alla cieca , e senza
veruna distin- zione ■ in ogni sorta <t animo la sua tede locando ,
ma quelli solamente , che in fra tutti gli altri p'ut gentili tono
, e pieghevoli con delicatissimo gusto va ritcegliendo. suStò 9
fizaiipii(;ipfits 6 pi^a tixpiipiusnpi *Epura Xtc araAòc óv qdp iirì TÙt
fiaivit, ovff tiri npavietr. 8a Cahto ( S, larn
iravv fiaX«ut<i) cy roif fMi^xararoig TS* S*T»T> KoÀ fiaivti Koì
oisut' iw )'àf> v6$at KOÌ XM àiiUpixfn rhf Sixqffiv iSpvxau,’
»ai oò» av f{>7( ir xóacui rati dXÀ,’ ^ riti iv vKXtipòv vio(
i;^ot<rv >* ’^XP dxtp^^iToi' ^ 9’ àt ftoAouiùy, oÌKÌ(ixcu.
£'l Petrarca nel toaetto : Come't ccmdido piiecc., ri- cavando con
maniera più morbida lo ateaao originale, fini di copiarlo anche nella
parte tralasciata da Dante , che rijguarda 1' avversione , che Amore ha
ordinariamente agli animi rosai e dori , dicendo : Amor , che
tolo i cuor leggiadri invesca , Nè cura di mostrar sua forza
altrove. E nella canaone; Amor, se vuoi, eh' io tomi ecc. ,
par- lando con Amore, tocca leggiadramente in ogni sua parte il
sopraccitato luogo di Platone , dicendo dell’ impeWo , eh' egli ha non
meno sopra gli Dii , che sopra gli uo- mini , con questi versi :
£ s’ egli è ver , che tua potenza sia Nel Ciri s) grande , come si
ragiona , E neir abisso ( perchè , qui fra noi Quel che tu
vali e puoi , Credo, ehe’l senta ogni gentil persona).
V. loi. Prese costui della bella persona , Che mi fu
tolta. Lo prese del bellissimo corpo , che mi fu spogliato
dalla morte , e ’l modo ancor m’ offende , perchè mi fu ' data
violentemente, e mentre mi suva tra le braccia del caro amante.
Digitized by Google 83 Q D I H T O.
V. io3. jimor , eh' a nullo amalo amar perdona , Mi prese del
costui piacer sì forte , Che , come vedi, ancor non m'
abbandona, Belliiiiina repetizione : Àmor , eh' al cuor gentil
ratto s' apprende, prese cosuù come gentile. Amor, eh' a nullo
amalo amar perdona, prese me come amata. Mi prese del costui piacer , del
piacer di costui. Costui nel secondo caso senza il suo segnò si trova
spesse volte usato dagli autori. Veggansene gli esempi presso il Cinonio.
Questo lungo può aver doppio significato. Hi prese del piacer di
costui, cioè del gusto, del piacimento , della gioja d’amar costui ; e mi
prese del piacer di costui , cioè del piacer che io faceva a costui, e
questo corrisponde ottimamente al detto poco innanzi : Autor , eh' a
nullo amato amar perdona ; mostrando non tanto essersi innamorata
per genio , quanto per vaghezza d' accorgersi di piacere e d’ esser
amata, e per cert' obbligo di gentil corrispondenza. V. io6. Amor
condusse noi ad una morte. Arroge forza con la terza replica , e con
grandit- aim' arte diminuisce il suo fallo , rovesciando sopra di
amore tutta la colpa. Tib. lib. l .° el. VII , v. aq. Non ego te
laesi prudens : ignosce fatemi, lussi! amor. Contro quis ferat arma Deos
? E'I Boccaccio, giornata IV, nov. I, conducendo GuU scardo
alla presenza del Principe Tancredi , non gli sa porre in bocca nè altra,
nè piò forte difesa per iscusar sè , che r incolpare Amore. Il quale (
cioè T.ancredi ) , tome il vide quasi piangendo disse : Guiscardo , la
mia benignità verso te non uvea meritato l'oltraggio e la
84 Casto vtrgogna, la quale nelle mie cose fatta m' hai;
eiccome io oggi vidi con gli occhi miei. Al quale Guiscardo niun
altra cosa ditte < te non questo : Amor può troppo più , che nè io ni
voi pottiamo. V. IO/. Caina attende chi'n vita ci spente.
Calila è la g)iiaccia, dove nel canto XXXII vedremo euer paniti
coloro , che bruttaron le mani col sangue de’ lor congiunti. Dice dunque
, che questa spera detta Caina sta aspettando Lanciotto marito di lei , e
fratello di Paolo , che fu il loro uccisore. V. Ila O latto
, Quanti dolci pentier , quanto detto Menò costoro al
dolorato patto ! Tenerissima riflessione , e propria d* animo
gentile , ma che non s’ abbandona a soperchia vilU col dimostrar
dolore. E qui notisi , come Dante per ancora sta forte all’ assalto della
pietA , la cui guerra si propose di voler sostenere al principio del
secondo canto, v. l. Lo giorno te n andava , e f aer bruno
Toglieva gli animai , che tono in terra Dalle fatiche loro; ed io Sol
uno M' apparecchiava a tottener la guerra fi del cammino , e sì
della pietose. £ che ciò sia’l vero, dopo eh’ ei non potò pid
rattener le lagrime , dice , che in questo pietoso oflìcio egli era
insieme, v. 117, tristo e pio-, dove mette in considera- zione , se quel
tristo si potesse in questo luogo intendere per iscellerato , malvagio ,
empio , e non per malcontento, mesto , e maninconoto , come vien preso
universalmente , Digiiized by Google QUINTO. 8S
e (1 come io con gli altri concorro a credere etier re-
ritirailmeote alata l' intenzione del poeta. Pure nel primo •ignificato
abbiamo nel XXIV dell* Inf. triatitiimO) r. 9I. Tra qutJt’ iniqua e
trutitiima copia Correvan genti ignude e spaventate. E di
vero tristo in aendmento d’ empio (a un belliatimo contrapposto con pio ,
venendo a estere il poeta in un medesimo tempo empio per compiagner la
giusta e do- vuta miseria de’ dannati , del cbe nel XX di questa
can- tica si fa riprender acremente da Virgilio, e gli la dire, che
è sciocchezza averne pietà , e somma scelleraggine aver sentimenti
contrarj al divino giudicio, che li pu- nisce , V. a 5 .
Certo V piangea poggiato a un de' rocchi Del duro scoglio , zi che
la mia scorta Mi disse : Ancor se' tu degli altri sciocchi ?
Qui vive la pietà-, quandi è ben morta. Chi è più scellerato
di colui, Ch' al giudicio divin passion porta ? Driaza
la letta , drizza ; e vedi , a cui ecc. E pio poteva dirsi il poeta
, per non poter vincere la naturai violenza di quell' affetto, che contro
a tua voglia lo cottrìgneva a lacrimare ; dove pigliando tristo in
si- gnificato di metto, avendo di già detto', eh' ei lacrimava, vi
vien a esser superfluo ; e non solamente tristo , ma pio ancora ;
chiarissima cosa estendo , che chi piange r altrui miseria , n' ha
rammarico e compatimento. V. lao. Che conosceste i dubbiosi desiri
? Pubiioti per non esserti ancora l’ un F altro diKoperd.
86 Canto V. I3I. Ed ella a me; nerrun
maggior dolore. Che ricordarsi del tempo felice Nella miseria
, e dà sa il tuo dottore. Quella lentenaa h di Boezio nel lecondo
libro de Consol. proia IV, Le lue parole iodo : In omni aduer si-
tate fortuna» infelùissimum genus inforlunii est , fuisse felieeiu. Tanto
che questa volta per il tuo dottore non debbo intendersi Virgilio, come,
dal Daniello in fuora, quasi tutti gli altri si sono ingannati a credere
, ma lo stesso Boezio , la cui sopraccitata opera Dante nel suo
esilio aveva sempre tra mano , e leggeva continuamente ; onde nel suo
Convivio scrive queste formali parole : Tuttavia , dopo alquanto tempo ,
la mia mente , che i ar- gomentava di sanare , provvide ( poi nè 'I mio ,
I altrui consolare valeva ) ritornare al modo , che alcuno sconso-
lato avea tenuto a consolarsi ; e misimi ad allegare e leggere quello,
non conosciuto da molti, libro di Boezio, nel quale , cattivo e
discacciato , consolato si aveva. V. ia4- Ho , s‘ a conoscer la
prima radice Del nostro amor tu hai cotanto affetto , farò ,
come colui , che piange , e dice. Sed si tantus amor casus
cognoscere nostros , Et breuiter Troiae supremum audire
laborem-. Quamquam animus meminisse horret, luctuque refugit ,
Incipiam. £n. lib. Il , v. io e seg. V. i» 7 - Noi leggiavamo un
giorno per diletto Di Lancillotto , come amor lo strinse.
Qui, prima di passar più avanti, giudico, che sia bene chiarir l'
intelligenza del rimanente di questo canto , con Digitized by
Google QUINTO. 87 riportar la atoria di Lancellotto
cavata da' romanzi fran- zcsi dal libro di Lancilolto Du Lac , e riferita
in quella dottiatiuia acrittura di Lucantonio Bidol6 , nella quale
in un dialogo fìnto in Lione tra Aleaaandro degli liberti e Claudio d'
Erberé gentiluomo franzeae apiega inge- gnoaamente varj luoghi diSicili
de' tre noatri autori Dante , il Petrarca , e '1 Boccaccio. Farla Claudio
( pag. 1 1 e acg.) Dovile dunque eapere > eome avendo
Galeaui figliuolo della iella Geanda acquitlalo per sua prodezza
trenta reami , s ave a posto in cuore di non voler <t essi coronarsi
, se prima a quelli il regno di Logres dal Re Arius posse- duto
aggiunto non aveste ■' £ per ciò , avendolo egli man- dato a Sfidare ,
furono le genti deir uno e dell' altro più volte alle mani. Dove Lancilolto
avendo in favore di Artus futa maravigliose pruove contro di Galeaui , e
avuto un giorno fra gli altri l'onore della battaglia , fu da esso
Galealto pregato, che volesse andare quella sera alloggiar seco;
promettendogli, se ciò facesse , di dargli quel dono, che da lui
addomandato gli faste. Accettò Lancilolto con quel patto /' invito , e
poi la mattina seguente , partendoti per ritornare alla battaglia
dichiarò il dono, che da Ga- lealio desiderava : il quale fu di
richiedere , e pregare esso Gale alto , che quando egli combattendo fatte
in quella gionuila alle gerui del Re Artu superiore , e certo d
averne a riportare la vittoria , volesse allora andare a chieder
merci ad esso Re , e in lui liberamente rimetterti. La qual cosa avendo Galeallo
fatta , non solamente ne nacque tra Lancillotto e Galealto grandissima
dimestichezza e amistà , ma ne divenne ancora etto Galealto , per cosi
cortese e magnanimo alto , molto del Re Artu , e della Regina Gi-
nevra tua moglie familiare. Alla quale per tal pubblico
PUI5T0. Amor, eh* a nuU* amato amar perdona, ' Mi
prese del costui piacer it forte , Che, come vedi, ancor non m*
abbandona. Qui ribadisce : Questi, che mai da me non
fia diviso. Nel che ti ponga niente a quante volte e in
quanti modi rioforra V espressioni d'un ferventissimo ed ostinato
amore , e con quant' arte s* ingegna d’ attrar le lacrime | e sviscerar
la pietà verso que* luiserissimi amanti. V. i3y. Galeotto fu il
libro, e chi lo scrisse. Il libro ) e Tautor , che lo scrisse , fece
tra Paolo e Francesca la parte , che fece Galeotto tra Lancillotto
e Ginevra ; onde 1' Àzzolino nella sua Satira contro U Lussuria
: In somma rime oscene , e versi infami Dell' altrui castità
sono incantesimo , E all* onestade altrui lacciuoli ed amU
Tal eh* io ti dico , e replico il medesimo .* Se stan cotali
usanze immote e fisse , La Poesia diventa un ruSianesùno.
E questo è quel , eh* apertamente disse Il Principe satirico in
quel verso : Galeotto /“ il libro , e ehi lo scrisse. Qui
è da notare incidentemente , come alcuni hanno voluto dire, che il
cognome di Principe Galeotto, attri- buito al Centonovelle del Boccaccio
, possa da questa storia esser derivato; perchè (dicono essi)
ragionandosi in codesto libro del Boccaccio di cose per la maggior
7 Digitized by Google 90 Cauto
quinto. parte alle gii dette di Ginevra e di Francesca simi-
glianti , pare , che quel cognome di Principe Galeotto meritamente te gli
convenga : in questa guisa inferir volendo , estere il Decamerone il
principal libro di tutti quelli , che contengono in loro cose attrattive
alla car> naie concupiscenza ; che tanto è a dire , quanto
dargli titolo di Primo Ruffiano , o vero di Principe de' Ruffiani.
Na di ciò reggati più particolarmente il Ridolfi nel so- prammentovato
dialogo, ove parlando assai diffusamente di tal opinione ti sforza di
mostrare , essere molto veru simile a credere tal disonesto cognome, come
anche quello di Decamerone estere stato posto al Centonovelle più
tosto da altri, che dal Boccaccio; il quale nel proemio della quarta
giornata avere scritte le* tue novelle senz’ al- cun titolo apertamente
si dichiara. V. i38. Quel giorno più non vi leggemmo ovante.
Aocenna con nobil tratto di modestia l’ inferrompimento della
lettura, ed in conseguenza il passaggio da’ tremanti baci agli amorosi
abbracciamenti.Il conte Lorenzo Magalotti. Villa Magalotti. Magalotti.
Keywords: di naturali esperienze, ‘naturali esperienze’ --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Magalotti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51751098137/in/datetaken/
Grice e
Maggi – implicatura ridicola – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pompiano).
FIlosofo. Grice: “I like his
portrait” – Grice: “My favourite of his essays is on the ridiculous; but his
most specifically philosophical stuff is the ‘lectiones philosophicae’ and the
‘consilia philosophica.’” La famiglia aveva possedimenti e anche un negozio di
farmacia. Il padre Francesco, uomo di lettere, fu il suo primo maestro.
Studia a Padova con Bagolino e frequenta attivamente gli ambienti culturali
della città. Si laurea e insegna filosofia. Membro dell'«Accademia degli
Infiammati», strinse amicizia con Barbaro, Lombardi, Piccolomini, Speroni,
Tomitano, Varchi, entrò quindi a far parte del circolo di Bembo, frequentando
insigni filosofi come Paleario, Lampridio e Emigli. Conobbe iPole, Vergerio, Flaminio
e Priuli. Il dibattito sulla questione della lingua e sui temi estetici legati
soprattutto all'interpretazione della Poetica aristotelica condusse alla
preparazione di un commento allo scritto di Aristotele che, iniziato da
Lombardi, fu proseguito, concluso e fatto pubblicare da Maggi, con altra sua
opera dedicata ad Orazio, a Venezia: le “In Aristotelis librum de Poetica
communes explanationes: Madii vero in eundem librum propriae annotations”,
dedicato a Madruzzo. Lascia Padova per entrare al servizio del duca Ercole
II d'Este come precettore del figlio Alfonso e, insieme, per insegnare
filosofia a Ferrara. Si conservano appunti delle sue lezioni sulla Poetica. Anche
della vita culturale della città estense fu protagonista, divenendo principe dell'«Accademia dei Filareti», che
vanta membri come Bentivoglio, Calcagnini, Giraldi e Cinzio, oltre a essere
amico degli umanisti Pigna, Porto e Ricci, che gli diede pubblicamente merito
di essere stato «il primo interprete della Poetica di Aristotele».
“Mulierum praeconium” o “De mulierum praestantia” e dedicata ad Anna d'Este, la
figlia di Ercole e di Renata di Francia, che nello stesso anno fu tradotta “Un
brieve trattato dell'eccellentia delle donne.” Comprende anche una Essortatione
a gli huomini perché non si lascino superar dalle donne, attribuita a Lando,
che si pone come corollario dell'orazione del Maggi. Alla chiusura
temporanea dell'Università, ritorna a Brescia, partecipando alle riunioni
dell'Accademia di Rezzato, fondata da Chizzola. Abita nella quadra della cittadella
vecchia, in contrada Santo Spirito. Sposa Francesca, figlia del nobile
Paris Rosa,. A Brescia sede nel Consiglio Generale e fu incluso nell'elenco dei
consiglieri comunali della città destilla reggenza delle podestarie maggiori
del territorio. Fu destinato alla Podestaria di Orzinuovi, ma vi rinunciò, come
rinunciò anche alla podestaria di Salò, e partecipò alle sedute del Consiglio
Generale. Altre saggi “Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne,
Brescia, Turlini “In Aristotelis librum de Poetica communes explanationes:
Madii vero in eundem librum propriae annotationes, Venetiis, Valgrisi; De
ridiculis, in Horatii librum de arte poetica interpretatio, Venetiis, Valgrisi,
“Lectiones philosophicae” Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. Expositio in libros de Coelo et Mundo, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, ms, Expositio de
Coelo, de Anima, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Quaestio de visione, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, Espositio super primo Coelo, Piacenza, Biblioteca Passerini-Landi,
ms Pollastrelli, Mulierum praeconium, Modena, Biblioteca Estense, ms Estensis latinus.
Oratio de cognitionis praestantia, Ferrariae, apud Franciscum Rubeum de
Valentia, Consilia philosophica, Vincentii Madii et Jo. Bap. Pignae in favorem
serenissimi Ferrariae ducis in ea praecedentia, Archivio di Stato, Casa e
Stato, Modena. Note In Alessandro Sardi, Estensis latinus 88,
Modena, Biblioteca Estense. G. Bertoni,
«Giornale storico della letteratura italiana», C.. Fahy, Un trattato sulle
donne e un'opera sconosciuta di Lando, in «Giornale storico della letteratura
italiana», Bruni, Speroni e l'Accademia
degli Infiammati, in «Filologia e letteratura», XIWeinberg, Trattati di
retorica e poetica, III, Roma-Bari, Laterza, Enrico Bisanti, interprete tridentino della Poetica di
Aristotele, Brescia, Geroldi, Giorgio Tortelli, Quattro Maggi in cerca
d'autore, in «Quaderni del Lombardo-Veneto», Padova, Vincenzo Maggi, su
Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. VEnciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Vincenzo
Maggi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Vincenzo Maggi. Maggi. Kewyords: implicatura ridicola, Eco, il nome
della rosa, Cicerone, il tragico, filosofia tragica, pessimism, l’eroe tragico,
Nietzsche, la tragedia per musica – I curiazi, catone in Utica – tragedia per
musica --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maggi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752553559/in/dateposted-public/
Grice e
Magi – l’uso delle parole – il mistico – I mistici – la scuola di mistica
fascista – il veintennio -- filosofia italiana – filosofia fascista -- Luigi
Speranza (Pesaro). Filosofo. Grice:
“A fascinating philosopher – “journey around the world in ten words,’ a gem!”
-- Insegna a 'Urbino. Si dedica alla
psicologia “trans-personale”. Fonda il Centro di Filosofia Comparativa (cf.
‘implicatura comparativa’) e “Incognita” a Pesaro, tesoreggiando
‘l’intelligenza del cuore’ e il principio dell’interiorità. Scrisse “I 36
stratagemmi” (Il Punto d'Incontro; dal, BestBUR). Il suo “Il Gioco dell'Eroe.
Le porte della percezione per essere straordinario in un mondo ordinario” vede
un clamoroso successo. “I 64 Enigmi. L'antica sapienza per vincere nel mondo” (Sperling & Kupfer
)è segnalato al primo posto dei libri
più attesi. Lo stato intermedio tratta l’argomento rimosso dei nostri tempi: la
morte, e abbraccia l'orizzonte ampio degli ambiti cari agli autori: filosofia, mistica,
psicologia transpersonale, esperienze ai confini della morte. Esce un
aggiornamento ampliato del Gioco dell'Eroe con il sottotitolo “La porta
dell'Immaginazione”. Vgetariano dichiarato., si focalizza sui modelli mistici per
approfondirne, oltre la portata metafisica e auto-realizzativa, i concetti di
efficacia ed efficienza: nel libro I 36 stratagemmi declina il taoismo nei suoi
aspetti di strategia psicologica; nel saggio "Le arti marziali della parola"
in La nobile arte dell'insulto (Einaudi) evidenzia come l'arte del
combattimento diventi arte retorica e dialettica. Nei saggi Il dito e la luna,
La via dell'umorismo e Il tesoro nascosto mostra il rilievo della comunicazione
metaforica e umoristica. Elabora e sviluppa la dimensione della psicologia
trans-personale all'interno del Gioco dell'Eroe, disciplina da lui creata e
imperniata sulla capacità umana dell'immaginazione. Altre saggi: “Il dharma
del sacrificio del mondo” (Panozzo); “La filosofia del linguaggio eterno” (cf.
Grice: ‘timeless’ meaning, versus ‘timeful’?). Urbino, “Quaderno indiano,” Scuola
superiore di filosofia comparativa di Rimini, “Il dito e la luna,” Il Punto
d'Incontro); I 36 stratagemmi (Il Punto d'Incontro, BestBur); Sanjiao. I tre
pilastri della sapienza, Il Punto d'Incontro, Einaudi, Uscite dal sogno della
veglia. Viaggio attraverso la filosofia della Liberazione, Scuola superiore di
filosofia comparativa di Rimini, La Via
dell'umorismo (Il Punto d'Incontro); La vita è uno stato mentale. Ovvero La
conta dei frutti delle azioni nel mondo evanescente, Bompiani, Kauṭilya, Il Codice del Potere (Arthaśāstra).
Arte della guerra e della strategia” (Il Punto d'Incontro, "Lo yoga segreto del perfetto
sovrano"; “Il Gioco dell'Eroe” (Il Punto d'Incontro); “I 64 Enigmi,
Sperling); Lo stato intermedio,, Arte di Essere,. Il tesoro nascosto. 100
lezioni sufi, Sperling); Il gioco dell'eroe. La porta dell'Immaginazione” (Il
Punto d'Incontro, 101 burle spirituali, Sperling); Recitato un cameo, nel ruolo
di se stesso, nel film Niente è come sembra, di F. Battiato, a fianco di
Jodorowsky. Jodorowsky scrive in seguito la presentazione di La Via dell'umorismo.Blog. «Fondai a Rimini il Centro di Filosofia Comparativa”.
Per spaziare in temi altissimi con una narrazione transdisciplinare. Attraverso
immaginazione, religioni, filosofie, arti e scienze». Incognita. Advanced Creativity Il Secolo XIX
(R. Onofrio) " 'Incognita' di Pesaro. Diario di viaggio nell'Oltre,
un'immersione interiore al di là dello spazio-tempo"31 Il Secolo XIX
(R. Onofrio) "Advanced Creativity Mind School. Per capire l'entrata
nell'epoca del post-umano" Per il titolo del suo album Dieci stratagemmi,
Battiato si è ispirato a I 36 stratagemmi di Gianluca Magi. Il sottotitolo,
"Attraversare il mare per ingannare il cielo" è il primo stratagemma
dei trentasei che compongono che il libro.
Stralcio della quinta puntata (youtube)
Modelli strategici. Corriere della Sera, (E. Camurri) wuz
Panorama (Anna Mazzone) wuz Panorama (O. Allegri) Il Secolo XIX 2 (Roberto Onofrio)
"Aprite le porte all'Immaginazione, c'è un mondo oltre la
quotidianità"42 Gianluca Magi, I 64
Enigmi, Sperling & Kupfer, Milano: «Diversi anni fa, in un’intervista, mi
chiesero perché sono vegetariano. La mia risposta fu molto sintetica (e la
penso ancora così): Non mangio animali. Non riesco a digerire l'agonia». La Repubblica (Michele Serra); Il Riformista
(Luca Mastrantonio); Il Venerdì di Repubblica (Brunella Schisa) Il Gioco dell'Eroe, Il Punto d'Incontro,.
Libro/ CD con prefazione di Franco Battiato
Il Gioco dell'EroeGianluca. Scena del film ove compaiono e A. Jodorowsky
(youtube) La Via dell'umorismo, Il Punto
d'Incontro, Vicenza, La Stampa (Il Premio è stato conferito dalle autorità
della Repubblica di San Marino con la motivazione: «Lo scrittore che ha
costruito attraverso la sua produzione e l'attività del Centro di Filosofia Comparativa
di Rimini ponti di comunicazione tra le antiche saggezze d'Oriente e
d'Occidente, attualizzandone, in teoria e in pratica, il loro messaggio
filosofico, psicologico e spirituale per l'uomo contemporaneo»). Gli altri
premi sono stati conferiti a: F. Battiato (Musica), A. Jodorowsky (Teatro), F. Mussida (Arti visive),
S. Agosti (Cinema), M. Gramellini (Giornalismo), Gabriele La Porta
(Televisione). Sito ufficiale di
Gianluca Magi (in cinque lingue) Incognita ◦ Advanced Creativity
"Psicologia transpersonale. Che cos'è?" Video Lectio brevis riflessionisul Senso della vita su
riflessioni. Gianluca Magi. Magi. Keywords: l’uso delle parole, il mistico,
‘implicatura comparativa’ mistico, scuola di mistica, l’uso di ‘scuola’ mistica
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magi”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752536704/in/datetaken/
Grice e Magnani – implicatura – la
linea e il punto -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sannazzaro de’ Burgondi). Filosofo.
Grice: “I like Magnani; he has written
about conceptual change, which I enjoyed!” -- Grice: “I like Magnani; his
treatise on the philosophy of geometry is brilliant!” -- essential Italian philosopher, not to be
confussed with Tenessee Williams’s favourite actress, Anna Magnani --. Insegna
a 'Pavia, dove dirige il Computational Philosophy Laboratory. Dedicatosi
allo studio della storia e della filosofia della geometriai, i suoi interessi
si sono poi rivolti all'analisi della tradizione neopositivista e post-positivista.
Si è poi dedicato al tema della scoperta scientifica e del ragionamento
creativo. Studia tematiche riguardanti il ragionamento diagnostico in medicina
in collegamento con il problema dell'abduzione, presto diventato fondamentale
nella sua ricerca. La sua attenzione si è anche indirizzata verso il cosiddetto
model-based reasoning. Fonda una serie di conferenze sul Model-Based Reasoning.
Trattai problemi di filosofia della tecnologia e di etica, rivolti anche al
tema trascurato in filosofia dell'analisi della violenza. I suoi
interessi di ricerca includono dunque la filosofia della scienza, la logica, le
scienze cognitive, l'intelligenza artificiale e la filosofia della medicina,
nonché i rapporti fra etica e tecnologia e tra etica e violenza. Ha contribuito
a diffondere il problema dell'abduzione. La sua ricerca storico-scientifica ha
riguardato principalmente la filosofia della geometria. Dirige la Collana di
Libri SAPERE. Opere: “Conoscenza come dovere. Moralità distribuita in un
mondo tecnologico” “Filosofia della violenza” “Rispetta gli altri come cose. Sviluppa
una teoria filosofica dei rapporti fra tecnologia ed etica in una prospettiva
naturalistica e cognitiva. Note Web Page
del Dipartimento di Studi Umanistici
Computational Philosophy Laboratory Web Site [Cfr. le varie pagine dedicate a questi convegni
in//www-3.unipv/webphilos_lab/cpl/index.php Computational Philosophy
Laboratory], Dipartimento di Studi Umanistici, Sezione di Filosofia, Pavia,
Pavia (Italia)] Sun Yat-sen Award Cerimonia
Book Series SAPERE Web Page Copia
archiviata, su lesacademies.org. Edizione cinese: Philosophy and Geometry Morality in a Technological WorldAcademic and
Professional BooksCambridge University Press
Abductive Cognition Understanding
Violence The Abductive Structure of
Scientific Creativity Author Web
Page Handbook of Model-Based
Science Logica e possibilità, su RAI
Filosofia, su filosofia.rai. Filosofia della violenza, su RAI Filosofia, su
filosofia.rai. Grice: “Philosophy of geometry, so mis-called – I call it the
theory of the line and the point – always amused me since Ayer misunderstood it
in 1936! Hoesle and Magnani prove that it’s less geometrical than you think!”
-- Lorenzo Magnani. Magnani. Refs. Luigi Speranza, "Grice e Magnani," per
il Club Anglo-Italiano -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685507828/in/photolist-2mLExs3-2mKAxx2-2mKgJMj
Grice e
Magni – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Grice: “I love Magni – He has gems like ‘Petrus is Petrus’ – I’m
talking about his “Principia et specimen philosophiae” – The titles for the
chapters are amusing, and he refers to ‘ratio essendi’ – and other stuff –
*Very* amusing --.”Figlio dal conte Costantino Magni e da Ottavia Carcassola, si
trasferì a Praga. Entrò nei cappuccini della provincia boema a Praga. Insegna filosofia
entrando, grazie al suo insegnamento, nelle grazie dell'imperatore. Presto fu
eletto Provinciale della Provincia austro-boema dell'ordine e divenne
apprezzato consigliere dell'imperatore e di altri principi europei. Il re Sigismondo
III gli affidò la missione cappuccina nel suo paese. Ferdinando II lo inviò in
missione diplomatica in Francia. Fu uno dei consiglieri del duca Massimiliano I
di iera. Dopo la battaglia della Montagna Bianca, sostenne l'arcivescovo di
Praga Ernesto Adalberto d'Harrach nella cattolicizzazione della popolazione e
nelle riforme diocesane. Prese parte in nome dell'imperatore ai negoziati con
il cardinale Richelieu sulla successione ereditaria al trono di Mantova. Divenne
consulente teologico nei negoziati per la pace di Praga e missionario
apostolico per l'elettorato di Sassonia, Assia, Brandeburgo e Danzica. Riprodusse
a Varsavia di fronte al re e alla corte l'esperimento di Torricelli usando un
tubo riempito di mercurio per produrre il vuoto. Riuscì a convertire il
conte Ernesto d'Assia-Rheinfels e sua moglie. Dopo che l'Praga venne
affidata ai Gesuiti, entrò in contrasto con i gesuiti, che lo fecero arrestare
a Vienna. Rilasciato dalla prigione per intervento dell'Imperatore e tornò a
Salisburgo, dove morì quello stesso anno. Frutto della sua polemica con i
protestanti è “De acatholicorum credendi regula judicium” in cui sostene che
senza l'autorità della Chiesa, la Bibbia da sola non era sufficiente come
regola di fede per i cristiani. Trata lo stesso argomento in “Judicium de
acatholicorum et catholicorum regula credenda”, le cui debolezze argomentative
scatenarono la contro-offensiva dei protestanti. Si occupa di metodologia,
logica, epistemologia, cosmologia, metafisica, matematica e scienze naturali.
Rifiuta i principi aristotelico-scolastici, ispirandosi alle dottrine di
Platone, Agostino e Bonaventura. Altre saggi: “Apologia contra imposturas
Jesuitarum,” “Christiana et catholica defensio adversus societatem Jesu,” “Opus
philosophicum,” “Commentarius de homine infami personato sub titulis Iocosi
Severi Medii,”:Concussio fundamentorum ecclesiae catholicae, iactata ab Herm.
Conringi, “Conringiana concussio sanctissimi in christo papae catholici
retorta,” “Echo Absurditatum Ulrici de Neufeld Blesa” “Epistola de responsione
H. Conringii” “Epistola de quaestione utrum Primatus Rom. Pontificis, “Principia
et specimen philosophiae, Acta disputationis habitae Rheinfelsae apud S.
Goarem, “Organum theologicum”; “Methodus convincendi et revocandi haereticos”;
“De luce mentium”; “Judicium de catholicorum ei acatholicorum regula credendi, “De
atheismo Aristotelis ad Mersennum, Demonstratio ocularis, loci sine locato:
corporis successiuè moti in vacuo, Bologna, Benatij. Vedi la voce nella
Enciclopedia Italiana. J. Cygan, “Vita prima”, operum recensio et
bibliographia, Romae, “Opera Valeriani Magni velut manuscripta tradita aut
typis impressa, «Collectanea Franciscana», A. Catalano, La Boemia e la ri-conquista
delle coscienze. Harrach e la Contro-Riforma, Roma, Storia, M. Bucciantini, La
discussione sul vuoto in Italia: Discussioni sul nulls, M. Lenzi e A. Maierù,
Firenze, Olschki, A. Napoli, La riforma
ecclesiastica in Boemia attraverso la corrispondenza della Congregazione de
Propaganda Fide, Centro Studi Cappuccini Lombardi, Biblioteca Francescana,
Milano. Relatio veridica de pio obitu R.P. Valeriani Magni, Lione, Ludwig von
Pastor, Storia dei papi, tRoma, Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, M. Bihl, G. Leroy. Ad vniuerfam Philofophiam,
CAPVT I. De Ordinc &Jl)lo Dottrimt. Oftii
Theophilcnullum entium affitmiri de alio cnte, fedfingulanegaridefingulis
: quae verd affirmanturde entibus nonluntcntia , fed habitudmes, quaeinterce-
dunt entia:Ego enim illa duntaxat nuncupaui entia,qu3e per al iquam
potentiam pofluni efTe,6c intelligi,feorfum abomni alioente.
Harumhabitudiuum,utdocui,aliaefuntiden:itatise(Tentiae, ut, Pe-
truseft Petrus.Alias identitatisrationis,ut Petruseft Paulo idem m ra-
tione naturaehumanae.Demum aliac funt efle aut principium , aut ter-
n)inumalicuiusmotus,vt Petrusgenerat,Paulusgenerarur.Ex quibus duntaxat
poteft demonftrari & exiftentia,& natura entium. Verum non
funt negligendae reliquae: Ille,enim,qua:referuntiden- titatem
eflentiae.fiue affirmatam,fiue negatam,inuoluunt Frequenter
niotumnoftraerationisa cognitionc imperfe&a, adperfe&ionem:
v.ghuiuspropo(itionis,Homo eftanimalrationale.-praedicatum^licec fit identicum
fubie<3:o,ipfum tamen explicat diftin&ius.
Quxautemconfiftuntin identitate rationis,fiueaffirmata, fiuene-
gata,coordinant cognofcimentum, & prsedicamenta , & in omni di-
£lione,iudicio,ac ratiocmatione praetendunt terminos,qui ab identi- tate
rationis,communi pluribus entibus,denominantur vniuerfales.
Etliceteiufmodiidentitatesrationisnon inferanturfyllogifmo,fed
cognoscantur fola collatione,feu comparatione terminorum , cogni-
torumautimmcdiate.autmedianteillationc : tamen haehabitudines tum fubeunt
illationem,cum ex identitate rationis affirmata,aut nega-
tadeduobusprincipijsalicuiusmotus, infertur proportionalis iden-
titasrationis,inter terminosillorum motuum,v.g.Quaeeft ratio enti-
tatisinter Petrum,& Paulum,eaeft mter filiosPetri,& Pauli. •
Quoniam vero in primo libro de per fe notis , per didboncm con-
nexam ordinaui in cognofcimento,& praedicamentis entia per fe no-
ta:coordinationem graduum entitatis, nomino cognofcimentum, & A
per iu* X 2 Vakriani Magni
per iudicium conncxum exhibui in clau^diftin&asomnes cntiurn
perfenotorum pra:cipuos motusper fe notos , quorumillos. quos quifquc
confcit in fe , ennarraui (atis accurats , inlibro demeicon- lcicntia:
fupercft, ad complementum appararus Philofophici.exhibe- re illas
propofuioncs.quarum veritasnon dependeat abentium cxi- ftentiajeda
rarionc a?tcrn^ > & incommutabili, cuiufmodi debent cf- fe
i!la?,qutfin fyllogifmodenominancuc maiores: Minores enimper fe nota?
propoliciones , exararaz in cra#atu de per fe noris , habenc ve-
rit3tem,pendulam ab exifteruia Ennum; v. g. Luna mouetur, qua? , fi
corrumpatur,inducit Falfiratem iliius propofitionis, Ac vero hxc:Id, quod
mouctur,neceiIari6 mouctur ab alio : eft vera,tametfi corrum- pancuromnia
mouentia & mobilia. Harum vero propofitionum incommutabilium
funt innumera^nc- quecft vllaclfYerentia motus, quaenon fibi
vendicetpropiias verica- te'S mcommutabiles:puta has.Id,quodLoco-mouetur
5 ncccfl'ari6 Lo- comoueturabalio:ld,quod alteratur,nccelTari6 alteratur
ab alio; U> qnod generatur , neceflanogeneratur abalio. Veium
haeomnesde- riuanc (ibi incommutabilitatem ab hac:Id quod mouetur,
ncccflariu mouecur ab aho>oporcetergo congercre invnum
craclacumillasim- fnutabilium,quas nulla ipccialis pars Philofophiae
pcrcra&ac , quate- nuSjvbiv.g. ventum ficad tra&acum de
generacionc. Ha?c, fd,quod geiif ratur, neceflariogeneratur
abalio.demonftracurperhanc : id, <juod mouetur,necefl.ui6 mouetur
abalioj quae fupponaturdcmon- (trata m ipfo veftibulo Philofophia?,ica vc
non fic opus in vllo ratiocir nco repeteredemonftiacionem fadtam.
Hiccrgotra&atuscomple&iturhaspropofitiones ajternas, &
ir>» commucabiles>in quas neccirario refoluancur omnes lllacioncs.
quas habebir,& habere poteft vniucrfa philofophia : has nuncupaui
Axio- mata,& licniiTec denominarc Maximas,veluc, quac influanc vim
iliati- uam propofitionibus maioribus. Exordioraucemtraclatum
ab habitudinibus idcmitatis elTentiar, deinde profequar illas,quac funt
efle pi incipium & ccrminum motus, casvero,quae funt ex
idcncitareracionis,poftrcmo lococommemora- bo.nimirum
ilIas,quacafficiuncmotum:mocum,inquam,icalem cx quo duntaxar argumentor
entium exiftencias & nacuras. Scd veiitus,nemeusftylustibi
vfquequao^ue probccur, voloprius ^cxcufareilla.qu^forcaflisexiftimabisnofaciicongrua
fini,mjcintcdo • Obijciturprimo loco oblcuritas, quxfuperec vulgarcm
conditio- nem Early European Books, Copyright©
201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioteca
Nazionale Centrale c Firenze. CFMAGL. 1.6.401
j4xiowata S ncm rhilofophantiura.-Refpondeo , quod
obfcurafas obuenit vcl ab obie&o,ve! a ftylo (cribentis.Meum ftylum
audafter dico tam darum quam quicflepoifitnatioenimfcribendicum
clariratccft mihi&rco- peccisfima,&familiaris.cxcerum grarulor
rhilolophiae obfcuriracem ab obie&o,quae aiceac plerofque ab hoc
ftudio,quiReipublica: vnlius opera,& aecace impendent in agro>in
mechamcis^in bcllo & iimilibus» Laudatur pasfim rraditio
do&rinae per quarftiones , quae rnouentuc de (uL,ie&o alicuius
fcicnciae>placecque numerata partino earum.Hanc methodum refolutiuam
Ego non adhibeo, fed compofiriuam : Haec enim exordicur a
nonslimis,&,prarcendens lucem eacenus partam, re-
uelatfemperobfcuriora : qui verdmouec quxftionem,obijcit tene- bras,quas
fubmoueac,(olucndo qua^ftionem propofiram. Uli,qui per qusftiones
cradunt lcientiam,ducunt argumenta ex om- nibus locis diale£ticis:Ego
proiequor lineam mocus , tfnde dunraxac infero enrium exiftencias,tSc
nacuras,ijsargumcncis, quadola poflunt efle dcmonftrariua,quarue,adnumerata
Diale&icis , digniratem pro- priam peflundant Memineris
vero,Thcophile, argumencum, quod inihi eft demonftratiuum, alicui
fortasfis vixerit probabile:(untenim plerique,quibus opus fu pharmaco
magis.quam fyllogifmo. Quoniam vero motiu func fubordinati >
demonltrationes anrece- dentesnancifcuntur,maiorem certitudinem , &
euidentiam a lubfe- ouentibus:fcilicer > exiftencia,& natura primi
mouentis confirmatur^ iecundis,alijfque fubfequentibus. Hxc
conditio ratiocinancis ex motu,e(t oppofita illi,quae ducitur ex nacura
Quanti difcreci f 6c continui •, nam in Mathematicis vix aliqua
demonftrationum anteccdentium pendec a iubfequenti- bus.
Tibiver6,legentimeostra£htus , occurent frequenter nonnulla amcnegle&a
, qiu? tuo iudicio debuiflenc dici; ied fcuo mehorrere confufionera,vcl
minimam,mareriaium>quas fuis locis deftinaui rra- £Undas;Ide6,Licet
fciam mulcum lucis acceflurum rci , quam expo- no.fi eo loci cognofcacur
aliquid,alio loco referuarum , ramen id fe- pono,& pra:ftoloL loco
congruo do&rinam,qua: no debec anticipari. Nil pono moieitius
obueniet cibi m m ea Philofophia, quam quod fcpono obiediones
manifeftas,dn#as ab exiftencia reru contra con- clufionnsillacasa
racionibusanernis,v.g.infero mouentem non pcfle quietcece in termino
trafeuntcqui fu fibi iCqualis in entitate.Cui co- clufioni videcur
aduerfan expeucua omniu generaciu fibi fimile in na- A i wraj
, - r" — ta....\....^x Early European
Books, Copyright© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy
of the Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
CFMAGL. 1.6.401 4 V zlcriam Mdgni.
tttra^fed (tperpendasfolutiones eiufmodi
obiedlionurnjfacile/ntelli- ges eas^fi anteuertantur , neceflai io (us
deque conuerfuras vmuerlam Philofophiam, fine quarlira euidentia. Ponofi
vim a.gumenti con- clufionisillataealTequans facile inteliigcsrcrum
exiftennas, &naturas dependcrea rationeaetcrna.a.rumpra in
fyllogifmo.&fupponeslatere aliquid in entibus concretis,vndecaptas
occafionem errorrs. Confulcoabftineoa quamplurimis, quce alioqum
magna conten- tionecontrouertuncurintei Philofophos , fi tamenhzc
ncghgentu non detrahatfcientia^quamprxtendo : Commemoroadexempkira
differentiam interdiftin&iones formalem*rationis ratiocinat*e,&mo-
dalem.Eiufmodi enim contenrione.splunbus feculis agirarae, non ha- bent
momentum ad veritatcm quaefuam,quod pofcat difpucationern zuternam.
Noninfero cxconclufionibus.primo illatis, reliquasomnes, qur
infcrripoflunt/edillasduntaxatjquaecxponuntnaturamcntis, quoi fub»jciturratiocinio
: immopleraquc rranfilio , quxexdcmonftrati* non
obfciueprodcuntinlucem. s :
DemumnouerismenondocererespervocabuIa,fed res, confue- ta oratione
declaratas,fignifico per yocabuU vfitata,fi Hippetant , vci adhibeo aha
ad placitum meum. Capvt ir. -dxiomata ex identiutt
ejfentiali. Ursauternpr^miffisaggredior habitudincs identitatfs
eflenti». A Afeddebeopnusaflignarcrationemcommunem omnibus cnti'
bus quatenus hxc dodnna fit vniuetfal.ffima, Nofti
Theophile.fpecierum.quascognolcituri adhibcmus . jffiW eflc lenfib.les a
. as imag.nabiles.ali.. intelligib.tes/ enlib.lcs refeW aliquod
lenfib.le.non lolum quod aftu exiftat.fed & quod fi, p S n t.ffimum
fent.ent.: At vero imaginab.les . &,nrelh#b,lcs r-fe r ..m . J
nutum,magmantis&intcllige.Hisnonrolumentia^uexiftem
praefenua.fed abient,a,pr^erita,futura,poffib,), a , ac dcmum ab ft ra
Exphcaturuserg^Rationem.communem omnibusentibus eim
affignaredebeo.quxaffirmetur deentibuspr.fentibus affirmVk dc
pwtcri^affirmabitur defuturis , affirmaretur de poflibSus^f!
Tcnirenc X jixiomata S
venirent ad a£tum,qu#ue affiimatur de his, qux inrelliguntur,abftra-
hendoabimentione praeteritorum^praefentiumjfuturorum^ ac pofli-
bilium. Dicoigitur Ensefleid,quod exerceta&um eflendi, vt v.g
amans c(l id,quod exercet adtum amandi: Ctrm cogito Theophilum ,
coguo id ; quod cxercet a&um eflendi Theophilum : Leo exercet
a&umel- fendi Leonem:&: quodlibet entium exercct a&urn
eflendi feipfum,fe- cundum praecifam entitatem vniufcuiufque, ita vt Ego
, quinon fuin Theophilus, non poflim exercere a&um eflendi
Theophilum:nec Leo poteftexercereadtum eflendihominem.Qnaproprer ratio ,
commu- nis omnibus entibus,abftrahit ab omni fpeciali exercitio entitatis
: ita vt nuila fit,aut poflit intelligi communis omnibuscntibus , quam
quae nuuraliter concipuur ab omnjbus , quaeue habetur in ipfo
communi vocabulo.£«i:nimirum.id.quodaaumeflendi autexercet,
autexer- cuit,aut exercebit,aut potelt exercere,concipitur vt Ens, quod
aut eft, aut fuit,aut ent,auc efle poteit.Seclufa (citra negadonem ) omni
prae- cisa rationeentitatis vllius. Itaque id, quod non
exercet a&um eflendi,non eft Ens„ Pneterita non (unt.fed
fuerunt entia. Futura nonfunt/ederuncemia. ^
PofTibilianonlunt/edpofluntefle cntia, &confequentcmil ho-
r»meflens. \ Ens vero abftraftum ab intentione praefentis,
prarteriti , futuri, &C posfibi!is,denotat praedicata cflentialia
Entis,mter , quae nil eflentiali- us ipfo exercitio eflendi.
PorioGntiopponicur Non Ens,quodeft inintelligibile noncom-
teIle&oEnte:quienimdormiensnilomnium cogitat, non ideoin- tclligit
Non-Ens,quia nil entitim intclligat. Qm autem , int?Heclo
Ente,intelligitnilcfletefidui,tiensccirecab aaueflendi , isdemum
intclHgit,feucogitatNon-Ens. Quaproptcr dico,Rationem,communem
oronibus enubus , elie Rationcm Non-Entis,fi, poiitiua
intelleaione,intellicatur fublata: fcilicet Non Ens cft cns coguatum,vt
ceflauit ab a&ueflendt vel qua - tenusnonvcnita4aaumexiftcndi.
VerumNon-ens habetfuasd.t- fcrentias,& quidcm plures.has pcr ordinem
narrabo , exorfus a mim- ma Nonentitatcvfquead maximam.
Lapis,cxpeiscaloris,noneft calidus, arpotcftcalcre, fceatenusdi-
<icorcaiidiKin pocentia. Eflcensin potcntia cft minimus gradu*
m Early European Books, Copyright© 201 1
ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze. CFMAGL. 1.6.401
6 VaUrUni Mignt Nan-E ntitatis:nam id,dequo negatur
caIor,eftens,tametfi Non-ca* lor fit Non- Ens:non tamen lapidi cfl mcrum
Non-Ens, quandoqui- dem lapis potcft efie cahdus. Lapis non
eft vifiuus colorati,nec poteft efle vifiuus : Non eflr vifi-
uum.nccpofleefle vifiuum,eft Non Ens:at verd h*c negatio pocen* i\x
vifiua? , eft de lapide^qui eft pns;ita vt, lapidem non efle vjfiuum, non
fic mcrum Non-Ens. Socratesccrto certius generabit filium;
quifilius eftNon-homo: non tameneftfic Non-homo.vtfunt Non-homines illi ,
qui none- runt:fedefthomofuturus:At verofuntalh , qiuceflcpoflunt.ncc ta-
menerunc;quotfunt animantium,quotex hominibus,qui poflent gc-
nerarcfilios.ncctaracngcncrabtint? Haccnon funtcntia fucuta, fed
denominantur posfibilia,qua: magis rccedunt ab cntitatc, quam qu* funt
futura. Entibus posfibilibus proxime accedunt entia prastcrita :
h*c enim fic non funt,vt nequeant efle ; nec tamen deficiunc ab omni
encitatc, quandoquidem fuerunt aliquando. Denique illa quae
neqne (unt,ncque erunt ; neque fuerunt , ncc eflc pofliint>videntur
efle mcra Non entia.-puta corpus re&ilincum bian- gulareiid enim imposfibilc
eft eflc,fuifle,aut fore. Non-cntium autem quaedam intelliguntur
oppofica negatiue alicui cnti prxcifo,ac fignato. Vnicum vero Non-Ens
incclligicur oppoli- tum negatiue omnibus entibus abfolutc confideratis
Si ribi oppono ncgatiu* Non-Ens,id Non entitatis,nuncupatur
Non-Theophiius- Cuiulmodi fonr Non-Pcti us,Non-hic Leo, & a!ia
innumcia. Non-
^nsautcm.oppofuuiuomnibusenribus.abfolutcconfidcratis nun
cupaturNihil. Porro intell.gereaut confiderare prxfata Non ! Entia
cftcautelaamulnphcibus, grauisfimifquecrroribus.proucnicoiibus exconfufa
fub.eaione, & predicationc huiulccmodi Non-Ennunv a quibus tibi
caucbis haud d.fficulcer, f, nouucris accurat8 . qu* (uh * lungo. ^ * iUU
" V.xeftaliquadiffcrcntiaNon cnritntis , qaamnon folcamus aut
^ Lapis non eft, fc J potcft eflc calidus,' d nuncupatut E W in potcn-
cun L d U P m g Td. eft ' ""P 0 ^^ ******
linsi.posfibncfc. Anti- Early European Books,
Copyright© 20 1 l ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of
the Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. CFMAGL.
1.6.401 Jlxionuts 7 Antichriftus cfl furuius ,
dicitur Ens fumrum. Filiusi ; em non cognituri Mulierem,dicitur
ensposfibile. Abraham f ui t horno dieitur Ens prxreritum : Corpus
reiiilineum biangulare dicitut Ens abfolute imposfibile
Non-Theoph:Ius dicitur Negatio vniuscntis. Nihil, dicitur, Ncgario omnium
entium. Porr6nilhorumporeftcfFc< aut fubiectum aut praedicatum
reale, fi cxciptas Ens in ootentia , & ens imposfibile fecundum
quid:Iapis e- nim, quiaftirmaturcaIidusinpotentia,quiue abfolute
negaturvift- uus.eftens. Cetctum nil cntis eitquod fubijcias
reliquis Non-entibus , quod pcr fingulaexempla demnnftro.
Antichriftus eftfuturus. Antichriftusftat Loco fubie&i , qui in
eadem propofulone fup- poniturNon- ens,cum aiTeratur futurus. quocirca
fubiedtum illius pro- pofitionisnon eft ens.Eadem eft conditio
huius. Filius Petri,non cognituri mulierem,eft posfibilis.
Sciiicetfubie6lumillius propofuionis noneftens , fedpoteftetfe cns,
vt fupponitur, haec etiam : Abraham fuit Homo: ,
Habetfubiectumjquodfuppomturnoncfie , fedfuiffe Ens : dc-
naum ifta: Corpus reSiIineum biangulare eft imposfibile , non
fubijcit en<\ cum in ipfa propofuione afteratur non folum Non ens.led
Sc cfie im- posfibi)e,quod fu cns:Cauebis crgo ubi a multiplici er
rore,fi lupra di- dum confuetum modum enuntiandi ndh:beas
conlcius,ennumerata fubie&a di&arum propofitionum non erte
enti3. Hiscrgo eatenusexplicaris , ftaruo primas propofitiones
vniuer- falisfimasformatascxEnte& Non ente, abftradasab omni
difte- rentiaentitatis. Vidcote'1
heophiIum,&tuaccuratcinfpecT:us enuntias v.gde te ip(o,quodfis
coloratus,quod fiscerta figura determinatus, quaepro- pafuioncs non fum
il!atae l & tamen dcpendent a te, vt a termino fim-
pliciterdiiao.quiaccurareinfpeaus de fe enuntiar prasrata, & aha
eiufmodi. Verum hoc loco non ccnfidero habitndmcs , quarinter- ccdunr
terminos realiter diftinaos,fed eas duntaxat, quas nos com- minifcimur
interens , relatumad lemetipfum , & ad Non ens, cumcnim priroum ,
quod obiediue cadit in mentcrn noftram, fitcns,
ftlfl Early European Books, Copyright© 201 1 ProQuest
LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze. CFMAGL. 1.6.401
? Valcrittni Magm fit Ens,fiid fimpliciterdidtum,feu
apprchenfum,referarur ad femet* ipfum , fefe pertinacifiimeenuntiat,
acrepetit Ens:vnde habemus hancpropofitionem, Ens eftens.
Qux eft prima Omnium per fe notarum incommutabilium , non folum
quia non fit lllata. fed ctiam quia non fit enuntiata , aut exarata abaho
terminofimpliciore,anobis accurate in(pe&o. Ex hac pro- pofitione
habetur hxc: Non-Ens eft Non-ens. Quae eft notiflima,citra
vllam illationcm: ignorarem tamen illam> fi nelcirem hanc Ens eft
ens. Porro quod ensfit ens,^£quipollere videtur huic. Enseft
feipfum. Hinc vero fubinfero alias propofitiones:Vnam ex eo, quod
ens eft ensiinnumeras ex eo, quod ens fit (c ipfumvfic ergo
argumentor; Hocenseft ens. Ens vero eft impo(Tibile,fit
Non-ens: Ergohoc ensnoneft Non ens. Hoc Enseft fe ipfum:
ld autcm,quod eftlc ipfum,imposfibileeftfit ullum aliorum entiu
Ergo hoc ens non eft vllum aliorum entium, fcilicet: Hoc ens non
cft ens,nuncupatum A.nequc ensnuncupatum E,neque vJlum aliud, ex
omnibus,quae exiftunt. Quoniam vero enri,vniuerfalisfime
confiderato , licet fubfumere quotquotfuntentium cxiftentium , 6c
exindeformare propofitiones, & ilIanones,prasfatisanalogas,vno
exemplo commonftro, vt ld fiat. Theophilus eft Thcophilus.
Theophilus eft fe ipfum, Hmc fic argumentot
Thcophilus eft Theophilus.
Id^quodeftTheophilus.imposfibileeft.fitfimul non Thcophilus. Ergo I
heophilus non eft fimul Non -Theophilus. Theophiluscft fc ipfum.
Id,quod eft fe ipfumiimposfibilc eft,fit vllum ahorum cntium. Er-
go Thcophilus non eft vllum nlioium cncium. Scilicet Theophilus non
ctl Pctius;non hic Lco,non hic lapis, non vllumaliorurn cntium.
QuoddixidcTheophilo,idverificaturde quocunquc alioente,
quo- Early European Books, Copyright© 201 1 ProQuest
LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze. CFMAGL. 1.6.401
Axio<m*t* .quomodo libet confidermo.v.g.ens adtu eftenfac5Hi
; eft r e ipfum: Ens m porcnua,cft cns in porcntia,.elUe iplum. i.
urrens elt curtens,cft (e jpfum. Quin iramo aufim diceie Non
ens eft non-ens.eft fe ipfum. Sic enim argurnentor Non-Ens cft non-ens At
Non-cns cft impoflibilc fu Eus Ergo Non ens non eft Ens. Non-Theophiluseft
non theophilus, Atnon Theophiluseft im- poflibilcquod fit non-ens , aliud
anon theophilo Ergo Non-Theo- pfailus non eft no<i-ens,a!iud a
non-Iheophilo. N eque exiftimes harum propofitionum luillum eflc
vfum in Philo- fophuv.tu iplecxpericrisfreqnent!flimum,£ximiumque
(olatium ex-c- uidentiflima incommutabiluatehuiulmodi propohuonum :
faepius e- nim infertur condufio tam recondita, tantique momenti in
Phtlofa- phia,vt trepidi exhibeamus noftrum aflinfum. Verum
conie&i incamneceftitatem.qucc noscompellat,aut aflentiri illatfe
conclufio- m,aut negare ens effe fe ipfum,inttepidi aflentimur illatae
conclufioai. Ni>Haenimeftillatio,quae vimillatiuaranon fibi deriuet ab
hacpto- .pofuione. Ens eft.ens. Id vno fyllogifmo
oftendo Lunaloco-inouetur Id, quod-loco mauetur,neceflari61oco-inoiieturabaHo:
ErgolunaLoco mouetur ab alio.
Qu6dLoco-meueatur,cernisoculocorporali, quod vcroEnslo- co-motum
incommutabiluer moueatur ab alio.cernis oculo mentali. lraque pr^bueris
affenfum duabus illis prasmiflis,& tamen trepides af- feiuui
conclu(ioni,cogeris praebere affcnfum,fi animaduertas , ex nc- gata
concli»(ione,&: conceflis pr^miflis neceffario fequi,Lunam fimul
moueri & non moueri.Quod moueatur fupponitur in minore : <juod
loco morum neceflario moucaturabalio,concediiurin maiore. Ac impoflibile
eftjunam moueri Localiter,& non moueri locabiliter, fi non fit
poflibiIe,Ens fimul effc ens,& Non-ens.id sctb eft imposfibi- lccum
cns neceffario fit ens. Hzc confirmatio cuiufcunque illationis dicitur
a Philofophis pro- batio pet imposfib Ic
Itaqueensquodcunqucfimpliciter di&um « fefc cxerit inpropo-
fitionem hanc identicara. Early European Books,
Copyright© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. CFMAGL. 1.6.401
I o VtUrUni Mtgni EnseftHns Enseft
feipfum Exquibuscitraillationem>habemushas*
Non-Enseft Non Ens Non-Hns.eft fe ip(um I:x quibus
qualitcrcunqjtc ratiocinando habcmus has, Ensnondt Non Ens Non
Ensnon eit ens Habes ergo Thcophilcex rarione,comrauni omnibus
entibus , y- nam primam, vniuet falisfimamque propolirionem ,
incommutabi- lem,per fenotam,ex quaratiocinando intuli alias. At vero
nullacea- rumillationumfunrreales,quandoquidemhabitudo , aut
affirmata, aut neg3ta,noneft realis : Negata non eft realis , quia
nonnegatuc habitudo vlla, fed ipfum Ensdealio ente : Habitudoautcm non
eft Affirmatanon eftrealis.-namtermininonfunt realiter diftin-
ens cthpraratae enim habitudines affirmatae ,
funt habitudines identitatis, inquibusens, vt fubijcitur, non
diueifificatur afe , vt praedicatur.* lllx enim propolirones , quas in
Logica denominaui identicas , non fuiil i eales, immo nec funt
propofuioncs , (ed dnftiones. Vt enira is,qui dicit, fecernit ens dictum
a rdiquis Entibus, fic qui ftatuit lllud ipfum EnsclTe feipfum>&:
non e(Tc vllum aliorum entium , concipic Ens catenuscognitum , velut fit
indiuifum in fe,& d uifum ab alijs,jicl vcro nolTe de aliquo cnte,eft
dicere ens illud. Non tamen inuoluo di&ioni mdicium, fcdaio, iudicium
de illispropofitiombus non ef- fe realcjecquidem icio eiufmodi
affirmationes & negationes elle no- titias intellectuales
entium,cognitorum infra intelledioncm/ed hanc diftin&ionem reieruo in
alium locum. Grice e Grice, Grice ha Grice, Grice izz Grice, Grice hazz Grice. Valeriano
Magni. Magni. Keywords: implicatura. Luigi Speranza, “Grice e Magni: ‘Paolo e
Paolo: assiomi e principi metafisici” – The Swimming-Pool Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691212061/in/photolist-2mKLYsa-2mKG3XG-2mKHdnD-2mKCnei-2mKCewV-2mKyErQ-2mKCfz1-2mPHbXQ-2mJ3q6x-2dJBzoo-2cqrM6k-DhRHD2-BGqYJH-BinZds-2dP4KZM-2dP4KYV-DvhhWW-DndBhH-Bq5Mgn-BpPvHE-CntuMM-C7qnKU-BNRo71-BirTWs-Biqj5m-C8EsDB-BirMcL-BNN8LU-BGo3aB-C6mZj3-BGr99e-C6nrry-BNPpGE-CdD3Fy-C8DcKk-C8Epi8-BiuDdH-xtDwUA-Biqi5W-BGr4Mi-CfWTwn-CfUqQk-BNLS6s-BGrdHV-BNPyd7-CfTpSR-BNPA2h-C8BmeP-BNPuhS-Biuvvi
Grice e Mainardini – il popolo romano –
filosofia italiana – il consorzio degl’eroi -- Luigi Speranza (Padova). Filosofo. Grice: “Padova tries to institute the
‘regnum’ as between Aristotle’s ‘polis’ and the modern ‘stato,’ but in which
case, we wouldn’t call it ‘politeia’ anymore!” -- Grice: “When I studied change I focused on
von Wright – but then there is Padova and his ‘grammatica del mutamento’!” Nato da una
famiglia di giudici e notai – il padre: ‘di Giovanni’ -- che viveva vicino al
Duomo di Padova, completò i suoi studi a Parigi dove fu insignito dell'autorità
di rettore. Il tempo trascorso a Parigi influì moltissimo sull'evoluzione del
suo pensiero. Gli anni parigini furono molto importanti e fecondi per
l'evoluzione del suo pensiero e la visione dello stato di corruzione in cui
versava il clero lo portò a diventare anti-curialista. A Parigi incontrò
Occam e Jandun, con cui condivise passione politica e atteggiamento di
avversione verso il potere temporale della Chiesa. Con Jandun rimase legato da
grande amicizia e assieme a lui subì l'esilio. Mainardini dopo le sue
dure affermazioni contro la Chiesa venne bollato con l'epiteto di “figlio del
diavolo”. Mainardini si trova a Parigi quando si sviluppò la lotta tra
Filippo, re di Francia, e il Papato. Tutto ciò, assieme al vivace contesto
culturale in cui si muoveva, lo portò alla compilazione della sua opera
maggiore il Defensor Pacis, l'opera cui deve la sua fama e che influì
moltissimo sia sul pensiero filosofico-politico contemporaneo che su quello
successivo. A Parigi sperimentò una monarchia decisa ad accrescere il
proprio potere e la propria autorità su tutte le forze politiche centrifughe
del momento ivi compresa la Chiesa di Bonifacio VIII. Diventato consigliere
politico ed ecclesiastico di Ludovico il aro lo seguì a Roma nel 1327 in
occasione della sua incoronazione imperiale e qui fu nominato dallo stesso
Ludovico vicario spirituale della città. L'incoronazione imperiale avvenne ad
opera del popolo romano anziché del papa inaugurando, così, quella stagione
dell'impero laico che Mainardini vagheggiava e che avrebbe aperto la strada
alla laicizzazione dell'elezione imperiale e alla cosiddetta Bolla d'Oro di Carlo IV di Boemia. Con la Bolla
d'Oro fu eliminata ogni ingerenza del papa nell'elezione imperiale diventando
così un fatto esclusivamente tedesco. Fu ancora con Ludovico quando questi si
ritirò, dopo il fallimento dell'impresa romana, in Germania dove rimase fino
alla morte. È del periodo immediatamente antecedente la sua morte la
compilazione di alcune opere minori tra cui spicca il “Defensor Minor,” un
piccolo capolavoro. Si può definire l'opera di Marsilio come il prodotto di
tempi in cui confluiscono la virtù del cittadino, il nazionalismo francese e
l'imperialismo renano-germanico. Il Difensore della pace” è la sua opera
più conosciuta in cui, fra l'altro, tratta dell'origine della legge. Il
suo fondamento era il concetto di ‘pace,’ intesa come base indispensabile dello
Stato e come condizione essenziale dell'attività umana. Si tratta di un'opera
laica, chiara, priva di retorica, moderna e per alcuni versi ancora attuale. La
necessità dello Stato non discendeva più da finalità etico-religiose, ma dalla
natura umana nella ricerca di una vita sufficiente e dall'esigenza di
realizzare un fine prettamente umano e non altro. Da questa esigenza nascono le
varie comunità, dalla più piccola alla più grande e complessa, lo Stato. Ne
deriva la necessità di un ordinamento nella comunità che ne assicuri la
convivenza e l'esercizio delle proprie funzioni. Per Marsilio questa esigenza
ha caratteristiche prettamente umane che non rispondono a finalità etiche ma
civili, contingenti e storiche. Alla base dell'ordinamento c'è la volontà
comune dei cittadini, superiore a qualsiasi altra volontà. È la volontà dei
cittadini che attribuisce al Governo, “Pars Principans,” il potere di comandare
su tutte le altre parti, potere che sempre, e comunque, è un potere delegato,
esercitato in nome della “volontà popolare.” La conseguenza di questo principio
era che l'autorità politica non discendeva da Dio o dal papa, ma dal “popolo,” inteso
come “sanior et melior pars.” In questa ottica egli propone che i vescovi
venissero eletti da assemblee popolari e che il potere del papa fosse subordinato
a quello del concilio. Ludovico il aro Marsilio pone il problema, che
tratterà anche nel Defensor Minor, del rapporto con il Papato e con i suoi
principi politici costruiti. «occulta
valde, qua romanum imperium dudum laboravit, laboratque continuo, vehementer
contagiosa, nil minus et prona serpere in reliquas omnes civitates et regna
ipsorum iam plurima sui aviditate temptavit invadere segretamente, con i quali
aveva cercato, e continua a cercare, di insinuarsi subdolamente in tutte le
altre comunità e regni che aveva già tentato di attaccare con la propria enorme
avidità» (Defensor pacis) Il giudizio di Mainardini sulla chiesa come
istituzione è molto negativo e lo manifesta con la crudezza di linguaggio che
gli è solita quando affronta l'argomento dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa.
Lo scalpore suscitato da questa opera obbligò Mainardini a fuggire presso
l'imperatore Ludovico il aro, con il quale scese in Italia. Il Defensor minor
si colloca fra le opere minori di Mainardini, ma si distingue per la sua
importanza. Si differenzia dal Defensor pacis per essere un'opera più
propriamente teologica mentre l'altra è prevalentemente politica. Lo studio
condotto nel Defensor Minor riguarda la giurisdizione civile ed ecclesiastica,
la confessione auricolare, la penitenza, le indulgenze, le crociate, i
pellegrinaggi, la plenitudo potestatis, il potere legislativo, l'origine della
sovranità, il matrimonio e il divorzio. Il Tractatus de iurisdictione
imperatoris in causis matrimonialibus che Mainardini compila in occasione del
divorzio di Giovanni di Moravia e Margherita di Tirolo-Gorizia si trova
nell'ultima parte del Defensor Minor. Le relazioni tra i coniugi erano
tanto insostenibili che la sposa preferì fuggire. Intervenne l'Imperatore,
imparentato con la sposa, e progettò il matrimonio tra la fuggitiva e Ludovico
di Brandeburgo ma a ciò ostavano il precedente matrimonio e alcuni legami di
sangue. Il “Tractatus de translatione imperii” – “Trattato della translazione dei imperii” -- è un'opera che niente aggiunge alla fama
derivatagli dal Defensor Pacis anche se ebbe una certa diffusione. Si può
considerare questo trattato come una storia sintetica dell'Impero dalla
fondazione di Roma da Romolo fino al secolo XIV. In Mainardini lo “stato
romano” è concepito come prodotto umano, al di fuori da premesse teologiche
quali il peccato o simili. È fortemente affermato il principio della legge
quale prodotto della comunità dei cittadini, legge dotata di imperatività e co-attività
oltre che ispirata ad un ideale di giustizia. Questo ideale di giustizia deriva
dal con-sorzio (concerto) civile, l'unico soggetto che può stabilire ciò che è
giusto e ciò che non lo è. Per Mainardini, l'uomo deve essere inteso come
libero e consapevole. Nel Defensor Pacis appare diffuso un
costituzionalismo affermato fortemente nei confronti sia dello Stato che della
Chiesa. È tra i primi studiosi a distinguere e separare la legalita (ius) dalla
moralita (ethos, mos), attribuendo il primo alla vita civile e il secondo alla
coscienza. Mainardini è sempre un uomo del suo tempo, saldamente ancorato nella
sua epoca, ma con intuizioni che ne fanno un uomo nuovo, anticipatore per certi
versi del Rinascimento. La definizione del nuovo concetto di Stato, autonomo,
indipendente da qualsiasi altra istituzione umana o, a maggior ragione,
ecclesiastica è il grande merito di Mainardini. Anche nella Chiesa viene
affermata una forma di costituzionalismo contro il dilagante strapotere dei
vescovi e dei papi. È ancora l'universitas fidelium a prendere, attraverso il
Concilio, ogni decisione riguardante qualsiasi materia di ordine spirituale. Il
nostro autore non teme di scagliarsi contro la Chiesa, a negare il primato di
Pietro e di Roma, affermare la necessità del ritorno del clero a quella povertà
evangelica tanto cara ad alcune sette riformiste di cui lui certamente conobbe
e comprese il pensiero. Lotta contro la Chiesa ma solo per conservarne o
rivalutarne il più vero, autentico e originario contenuto e significato. Quasi
riformista e conservatore nello stesso tempo, riformista là dove è contro la
corruzione dilagante nella Chiesa di quel periodo, conservatore là dove accetta
la necessità di un ordine costituito, della religione, della morale, intese nel
senso più puro. La modernità di Mainardini consiste anche nel metodo
della sua trattazione e della terminologia che usa, sempre stringata ed
esaustiva, aliena da qualsiasi di quelle forme di retorica che era
caratteristica degli autori medievali. Altri saggi:: “Il difensore della
pace,” C. Vasoli. POMBA, Torino, BUR, Milano, Ancona E., C. Vasoli, MILANI,
Padova (collana Lex naturalis; Battaglia
F., La filosofia politica del medio Evo, Milano, CLUEB Battocchio R.,
Ecclesiologia e politica, Prefazione di G. Piaia, Padova, Istituto per la Storia
Ecclesiastica Padovana, Beonio-Brocchieri Fumagalli M.T., Storia della
filosofia medievale (Bari, Laterza,), Berti E., “Il ‘regno’ di Mainardini: tra
la civis romana e lo stato italiano,” Rivista di storia della filosofia
medievale, Briguglia G., Carocci
Editore, Cadili A., Amministratore della Chiesa di Milano, in Pensiero Politico
Medievale, Capitani O., Medioevo ereticale, Bologna, Il Mulino, Capitani O., Il
medioevo, Torino, POMBA, Cavallara C., La pace nella filosofia, Ferrara, Damiata
M., Plenitudo potestas e universitas civium, Firenze, Studi francescani, Del Prete D., Il pensiero politico ed
ecclesiologico, Annali di storia, Università degli studi di Lecce Dolcini C., Bari,
Laterza, Merlo M., Il pensiero della politica come grammatica del mutamento,
Milano, F. Angeli, Passerin d'Entréves A., Saggi di storia del pensiero
politico: dal medioevo alla società contemporanea, Milano Piaia G., Mainardini e dintorni: contributi
alla storia delle idee, Padova, Antenore, Piaia G., La Riforma e la
Controriforma: fortuna ed interpretazione, Padova, Antenore, Simonetta S., Dal
difensore della pace al Leviatano, Milano, UNICOPLI Toscano A., Marsilio da
Padova e Niccolo Machiavelli, Ravenna, Longo, Defensor pacis Defensor minor
Tractatus de translatione Imperii Tractatus de iurisdictione imperatoris in
causis matrimonialibus Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Marsilio da Padova, su sapere, De Agostini. Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. marsilio: essential Italian philosopher. Marsilio dei Mainardini,
Marsilio di Padova. Mainardini. Keyword: il popolo italiano, consorzio
conversazionale, difensore della pace, leviatano, allegoria del buon governo –
allegoria del buon governo-- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mainardini"
per il Club Anglo-Italiano; Luigi Speranza, “Grice e Mainardini – la massima
del consorzio conversazionale.” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752043673/in/datetaken/
Grice e
Malfitano – i quattro – il complesso sociale -- filosofia italiana – filosofi
siciliana -- Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo. Grice: “Malfitano, like me, is an emergentist – each ‘complesso’
grows (cresce) and the ‘complexity’ is thus best characterised as ‘crescente,’
– Malfitano uses ‘complexities’ in the plural – a theory of ‘complessita
crescenti’ – The whole point is that you get from one complex to the other.” Grice:
“I like Malfitano. His theory of ‘complessita crescente’ is admirable: he
distinguishes various ‘complesso’ – the material (subdivided into atomic, and
the ‘crescente complessita’ of the molecular), the biological complex (which
comprises the complex of the tissue, and the complex of tthe articular), the
social complex, i. e., the human being in
his inter-subjetctivity -- nd the ideological complex, the abstracta –
ideation, cognition, and conviction – there is a superior geometry, too!” Nacque
da Carmelo, commerciante e navigatore, e Santa Veneziano. Era l'ultimo di sette
fratelli. Frequentò il Liceo Classico Tommaso Gargallo, dove iniziò a nutrire
l'interesse per la materie scientifiche. Già da giovanissimo frequentava
assiduamente una nota farmacia del centro storico della città natale acquisendo
notevole interesse per la chimica e la biologia. Si iscrisse dunque alla
facoltà di chimica dell'Università degli Studi di Catania per frequentare le
lezioni del professor Alberto Peratoner. Malfitano continuò gli studi
universitari a Palermo, dove si trasferì al seguito di Peratoner e ottenne la
laurea nel capoluogo siciliano. Abbandona la Sicilia per spostarsi a
Milano, dove intraprese una breve carriera lavorativa nel campo della chimica
industriale agli stabilimenti Pirelli. Contemporaneamente frequentava la scuola
di microbiologia dell'Università degli Studi di Pavia, retta all'epoca da
Camillo Golgi, futuro Premio Nobel per la medicina nel 1906. Stimolato
dall'ambiente favorevole, Malfitano pubblica I” Comportamento dei microrganismi
sotto l'effetto delle compressioni gassose” -- Inizia in questo modo a farsi
notare da colleghi e professori, sia per la materia dei suoi studi, sia per il
carattere disponibile e solare, come ricorda iPensa, celebre anatomista
milanese. La carriera prese una
svolta definitiva quando, durante un congresso internazionale a Pavia, venne
notato dal futuro successore di Pasteur, Duclaux. Venne dunque invitato a
trasferirsi a Parigi, avendo ricevuto l'offerta di un impiego all'istituto
Pasteur. Una volta arrivato nella capitale francese, Malfitano si dedicò in un
primo momento alla micro-biologia, pubblicando come risultati delle sue
ricerche: Protease de l'aspergillus niger, Influence de l'oxygen sur la
proteolyse en presence de Clorophorme e Bactericidie charbonneuse. Decise di
ritornare a studiare la chimica pura, campo d'indagine scientifica che lo rese
definitivamente famoso. I suoi studi sulla chimica colloidale, arrivarono a
dimostrare la natura elettrochimica delle micelle, e riuscì a misurare con
notevole precisione la conducibilità elettrica dei colloidi. In campo pratico, mise
a punto i cosiddetti ultrafiltri, necessari per gli studi in campo teorico sui
colloidi. Divenne capo di un laboratorio chimico all'Istituto Pasteur. Gli
studi si interruppero durante la gran guerra. Al termine di essa, sposò Vera, una studentessa russa.
Subito dopo il grande conflitto ebbe inizio l'elaborazione della più nota
dottrina del chimico siracusano, ovvero la teoria delle “complessità
crescenti,” concetto alla luce del quale Malfitano non indagò solo le micelle,
ma l'esistenza in generale. Pubblicò Complexité et micelle, e Les composés
micellaires selon la notion de complexité croissant. Le conclusioni non vennero
accettate da subito, ma si dovette attendere l'esperimento del premio Nobel
Theodor Svedberg che dimostrò l'esattezza delle intuizioni di Malfitano. Elaborò
negli anni Venti una teoria che tentava di spiegare la materia, attraverso
l'esame dei diversi livelli atomici e molecolari che la caratterizzano
strutturalmente. La materia, secondo lo scienziato siracusano, è suddivisibile
in atomi, molecole, plurimolecole (polimeri e complessi) e micelle. In ognuna
delle classi citate si possono distinguere tre tipi di unità materiali:
ioniche, polari e ionopolari. L'analisi compiuta sulla materia venne
estesa in campo social-ogico da Malfitano. Tenta di ricondurre la complessità
socio-antropologica alla complessità atomica. I quattro ordini di “complesso” che
costituiscono il mondo sono dunque. Primo, il complesso materiale (suddiviso in
due sub-complessi – primo sub-complesso: “complesso atomico” e secondo
sub-complesso materiale: “complesso molecolare”), il complesso biologico (suddiviso
in primo sub-complesso biologico: complesso istologico e – secondo
sub-complesso biologico: complesso citologico). Terzo, il complesso sociale (l'essere
umano). Al culmine di un'ipotetica piramide il quarto complesso: il “complesso
ideologico” (suddivisi in tre complessi: il primo sub-complesso ideologico: ideazione;
il secondo sub-complesso ideologico: la conoscenza, il terzonsub-complesso
ideologico: la convinzione). L'ultimo passo della speculazione e il
concetto di geometria superiore, un'armonia equilibrata e simmetrica che domina
gli eventi e la materia, una variabile fondamentale e al tempo stesso fuggevole
dell'esistenza, un concetto che rappresenta la libertà. In ultima analisi, il
compito era dunque quello di comprendere le leggi dell'armonia ordinatrice del
cosmo e di preservarne la bellezza e l'equilibrio. Soleva spesso tornare
in Sicilia seppur per brevi periodi, dovette rinunciare a questa abitudine.
L'aggravarsi della sua malattia, una cecità che gradualmente lo privò della
vista, e le sue convinzioni anti-fasciste, non gli permisero di rivedere il
paese natale dalla fine degli anni Trenta. Morì inell'alloggio assegnatogli
dell'Istituto Pasteur dove aveva trascorso gran parte della sua vita. Pubblica le
sue convinzioni filosofiche servendosi dello pseudonimo "Aporema",
termine che indicava l'impossibilità di ottenere una risposta precisa dallo studio
di un problema. Introdusse per primo a Siracusa la moda di bere il latte acido,
quello che abitualmente viene chiamato yogurt, come era già frequente nella
capitale francese. Durante una tempesta patita in mare Carmelo Malfitano
aveva fatto voto a Santa Lucia, patrona siracusana, di sposare un'orfana se
fosse riuscito a tornare incolume sulla terraferma. Carmelo sposò per questo
motivo Santa Veneziano, orfana di
entrambi i genitori. Da tale unione nacque Giovanni. Ad Repellendam
Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche Ad repellendam
Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche122. Antonio Pensa, Ricordi di vita universitaria (Citato
nel testo Ad Repellendam Pestem Storie di Medici e di Sanità nella terra di
Aretusa), Cisalpino Istituto Pasteur, su webext.pasteur.fr. Ad repellendam Pestem Storie di Medici e
Sanità nella terra di Aretusa, Tyche. Ad repellendam Pestem Storie di Medici e
Sanità nella terra di Aretusa, Tyche124.
Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa,
Tyche126. Ad repellendam Pestem Storie
di Medici e Sanità, Tyche125. Ad
repellendam Pestem. Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche,
Siracusa, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “Malfitano is right about the ‘social
complexus’ – however, as Talcott Parsons has shown there is more complexity in
the social compexus than Malfitano, a Sicilian, allows!” -- Grice: the fourth
stadia: -- il complesso sociale -- Giovanni Malifitano. Malifitano. Keywords: i
quattro. Refs.: H. P. Grice, “Pirotology,” – “The pirotological ascent,” in
“From the banal to the bizarre: a method for philosophical psychology” -- emergentismo
di Grice – emergentismo di Malfitano – l’organicismo della diada in Malfitano
--. Il complesso di azione e il complesso di inter-azione, il complesso sociale
--. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Malifitano” – The Swimming-Poo Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752411499/in/dateposted-public/
Grice e
Malipiero – il trionfo della ragione; ossia, confutazione del sistema del
contratto sociale – the breach of contract – or Romolo e Remo, I due
contrattanti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia).
Filosofo. Grice: “I love Malipiero’s approach to philosophy: hardly a
profession! As if someone were to be called ‘amateur cricketer’ – Malipiero
loves (‘ama’) philosophy and it shows!” – Grice: “There is philosophical wisdom
in any endevaour he finds himself in!” Grice: “One must love him for his
attempted ‘confutazione’ of Rousseau’s ‘sistema del contrato sociale’ as a
‘triumph of reason’!” -- Nacque da Angelo di Troilo e da Emilia Fracassetti.
Entrambi i genitori erano patrizi: il padre proveniva dalla storica casata dei
Malipiero (ramo "delle Procuratie Vecchie"), mentre la madre
apparteneva a una famiglia di mercanti bergamaschi nobilitata. Dichiarava di
abitare in un palazzo a Santa Maria Zobenigo (ereditato dal padre dopo
l'estinzione di un'altra linea della famiglia), cui si aggiungevano quattro
botteghe nei centralissimi quartieri di Rialto e San Moisè; altre cinque case
si trovavano tra Santa Margherita, San Gregorio e San Martino.Esordì in
politica con l'elezione a savio agli Ordini. Divenne provveditore alle Pompe,
ma non riuscì a prendere possesso della carica a causa della caduta della Repubblica.
A questo punto, lasciò la vita pubblica per dedicarsi alla filosofia analitica
del linguaggio ordinario. Fu un autore poliedrico, capace di spaziare dall'attualità
politica alla letteratura e alla tragedia di ambito neoclassico. La prima opera
pubblicata è il saggio di matematica “Dimostrazione sulla tri-plicazione e
tri-sezione dell'angolo effettuato colla retta e col cerchio.” Più tardi si
cimentò nella filosofia presentando l'opuscolo “Saggio sugli sforzi della
passione nell'intelletto e su' di lei effetti nel cuore,” in cui sostiene di
moderare il razionalismo perché nell'animo umano esso convivi in armonia con le
passioni. Questa idea, in contrasto con quanto
asserito da Rousseau, fu ribadita ne “La felicità della nazione realizzata dal
politico e dal sovrano,” uno dei suoi primi scritti in filosofia morale. In
questo lavoro Malipiero prese in esame la tendenza allo sfarzo di una parte
della società, analizzando come i governi avessero reagito al fenomeno in
epoche diverse. Nell'opera emerge la condanna al lusso sfrenato, ma anche
all'appiattimento estremo dettato da rivoluzionari e giacobini. Lo stesso pensiero moderato è ripreso nel “Trionfo
della ragione; ossia, confutazione del sistema del contratto sociale” -- ristampato,
senza grosse variazioni, come “Il trionfo della verità nella difesa dei diritti
del trono ossia Confutazione del contratto sociale.” Grice: “I find this
interesting, since I also oppose contractualism to rationalism!” -- Qui il
Malipiero cercò di dimostrare come la migliore forma di governo non fosse la
democrazia, ma la monarchia. La sua
linea anti-rivoluzionaria fu affermata anche quando si tenne distante dagli
organi della Municipalità istituita sul modello, o ‘sistema’ del contratto.
Accolse perciò con favore l'arrivo degli Austriaci, come dimostrano il ‘Testamento
della spirata libertà cisalpine” e l'annesso sonetto “Confronto fra il genio
della Romana Repubblica e quello dell'Austria.” Di grande importanza è quanto
emerge nella “Voce della verità,” una memoria autografa inviata al governatore
austriaco Mailath von Székhely all'indomani del suo insediamento a Venezia. Nell'opera,
divisa in capitoli dedicati ai problemi dell'amministrazione asburgica
(polizia, zecca, commercio, diritto ecc.), si chiede quale dovesse essere il
criterio di scelta per la nuova classe dirigente veneziana. Dimostrandosi
critico nei confronti degli ex funzionari della Repubblica di Venezia (ceto a
cui lui stesso apparteneva), nominati non in base ai meriti, ma per
favoritismo, auspicava di non concedere spazio a coloro che vivevano nel lusso,
poiché entravano in politica solo per il proprio tornaconto, e soprattutto
verso i trasformisti che cambiavano opinioni con l'avvicendarsi delle
amministrazioni. Con questo lavoro
anticipò le scelte del governo austriaco che, in effetti, estromise il
patriziato dalla vita politica e assegnando le cariche amministrative a
personalità lombarde o delle province ereditarie. Si dedicò, con un certo successo, anche alla
stesura di tragedie, a tema biblico, storico o mitologico, che potessero
presentare allo spettatore esempi da seguire o da evitare. Tra queste “Il
sacrifizio di Abramo,” “Camillo,” “Prometeo ossia La prodigiosa civilizzazione
delle genti,” “Medea.” Altre opere degne di nota sono “La bottega del caffè” “Quadro
critico morale, Lo scultore e la luce, azione mitologica in apoteosi del cav.
Canova,” Il conte Ugolino in fondo alla torre di Pisa. Sciolti, Atabiba ed
Huascar. Azione tragica di spettacolo; La Verità nello spirito dei tempi e nel
nuovo carattere di nostra età (sul congresso di Verona), Zanghira e Lemanza.
Quadro poetico nelle nozze Malipiero/Martinengo dalle Palle; Elogio di Giovanni II del mr. co. Martinengo
dalle Palle; Descrizione della Montagna ov'è la chiesa della Madonna della
Corona nelle alture di Montebello. Fu confermato nobile dell'Impero Austriaco,
assieme ai figli Angelo e Angela, nati dal matrimonio con Contarina di Vincenzo
Pisani. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Grice: “I would often rely on contractualism, but [Welsh philosopher
G> R.] Grice made a job out of it! I saw the cooperative principle as a
matter of quasi-contract – whatever that is. And if it’s a MYTH, what’s wrong
with it? Romolo mythically killed Remus because of a breach of contract, too!”
Grice: “My thought exactly replicates that of Malipiero back in the good old
days of Venetian republic – only there was more rhyme to reason in HIS scheme!”
-- Troilo. Malipiero. Keywords: il trionfo della ragione, ossia, confutazione
del sistema del contratto sociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Malipiero” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702171088/in/photolist-2mJq2uE-2mLK9bU-2mKBJ8m
Grice e
Mamiani – Beltrami contro Euclide – filosofia italiana – Luigi Speranza (San
Secondo Parmense). Filosofo. Grice: “I like Mamiani; unlike us at Oxford, he
takes ‘science’ seriously! But in an amusingly Italian way! He has explored
Newton on the apocalypse! My favourite of his treatises is the one on space
which reminds me of Strawson – Beltrami, unlike Strawson, is non-Euclideian,
and thinks Italian needs Euclideian verbs to match!” Linceo. Membro dell'Accademia dei Lincei ha
insegnato Storia del pensiero scientifico all'Parma, Udine e Ferrara. Si è occupato soprattutto di Isaac Newton,
del quale ha trascritto un trattato inedito sull'Apocalisse, di Cartesio e
dell'origine delle enciclopedie moderne.
Saggi: “J. M. Guyau Abbozzo di una morale senza obbligazione né
sanzione,” Firenze, Le Monnier, “Newton filosofo della natura” Le lezioni di
ottica e la genesi del metodo newtoniano, Firenze, La Nuova Italia, “Teorie
dello spazio” -- da Descartes a Newton, Milano, FrancoAngeli, “La mappa del sapere.” La classificazione
delle scienze nella Cyclopaedia di E. Chambers, Milano, Angeli, “Il prisma di Newton,”
Roma, Laterza, Introduzione a Newton, Roma: Laterza, “Trattato
sull'Apocalisse,” Torino, Boringhieri, I. Newton, Firenze, Giunti, Storia della
scienza moderna, Roma, Laterza, Scienza e Sacra scrittura, Napoli, Vivarium. I. Newton, Trattato sull'Apocalisse,Torino,
Bollati Boringhieri, Scienza e teologia studi in memoria, Firenze, Olschki, Studi
sul pensiero scientifico Ricordando Mamiani, "I castelli di Yale", Il
Poligrafo, Padova 2 La Rivoluzione scientificaI domini della conoscenza: La
sintesi newtoniana in Storia della Scienza, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana,. Newton e l'Apocalisse. Grice: “Mamiani should have left Newton to
the Lincolnshiremen, and concentrate on Galileo!” Maurizio Mamiani. Mamiani.
Keywords: Beltrami contro Euclide. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mamiani” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51751960368/in/datetaken/
Grice e
Mancini – kerygma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Schieti).
Filosofo. Grice: “I like Mancini: he
has expanded on the ethos of cooperation – and he has explored what he calls
‘linguaggio ontologico’ and ‘alienazione’ in connection with language – he
reviewed Pittau’s philosophy of language, and published a little thing on
‘language and salvation.’ So how can you NOT like him?” Grice: “I like Mancini; if I dwell on
philosophical eschatology, he dwells on the real thing!” Grice: “He has studied
Kant thoroughly; all the interesting bits, like his idea of MALEVOLENTIA!” “La filosofia è il passaggio dal senso al
significato, attraverso le mediazioni culturali, dottrinali, attraverso la
struttura del puro pensare e attraverso le mediazioni della prassi.” Studia a Fano
e si laurea a Milano dove insegna. Bo lo vuole ad Urbino. Studia i massimi
teologi, curato le opera di Barth, Bultmann e Bonhoeffer pubblicando, su
quest'ultimo, anche una biografia e un'analisi dottrinale. Ha fondato
l'Istituto superiore di scienze religiose di Urbino, unico esempio, per molti
anni, di "facoltà teologica" in una università laica. Tra i
filosofi, si è dedicato molto a Kant, pubblicando una Guida alla Critica della
ragion pura. In questo senso è ancora
più importante "Kant e la teologia” dove tratta la filosofia della religione kantiana,
fondata su una concezione morale rigorosa resa possibile dall'Imperativo
categorico, che prospetta una trascendenza per l'uomo, attraverso i postulati
dell'immortalità dell'anima e dell'esistenza di Dio. Questa filosofia della
religione, in cui Kant mette in rapporto la “religione razionale” con la “religione
rivelata” (e che si contraddistingue per i concetti di “male radicale” e di “chiesa
invisibile”), è considerata feconda. Si è anche confrontato con Marx, allora
dominanti nella cultura filosofica e politica italiana. In Marx, tiene in
grande considerazione il concetto di “alienazione” -- presente soprattutto nei
Manoscritti filosofici. Questo concetto, che esprime l'estraneazione dell'operaio
in rapporto al lavoro salariato, a causa dei modi di produzione capitalistici,
capaci di sfruttare il lavoro come fosse una merce, deve essere stimolo per la
Dottrina Sociale della Chiesa. Ciò che Mancini critica in Marx è l'ateismo e il
materialismo, attraverso l'uso della dialettica hegeliana in una prospettiva
materialistica (materialismo storico). Questa concezione infatti mette in
discussione la libertà dell'uomo, inteso come persona, riducendolo all'insieme
dei suoi rapporti economici. Inoltre fa parte della redazione della rivista
Concilium. Fonda “Hermeneutica” ed edita da Morcelliana. La sua posizione
di pensiero verte su un cristianesimo di matrice liberale e democratica
d'impronta sociale, che cerca uno spazio autonomo e libero, dando una risposta
da credente alla cultura laicista e marxista di quegli anni sulle orme del
Concilio Vaticano II. Opere:“Ontologia fondamentale,” La Scuola, Brescia
“Rosmini” “la metafisica inedita, Argalìa, Urbino “Filosofi esistenzialisti” Heidegger,
Marcel, Wahl, Gilson, Lotze), Argalìa, Urbino“Linguaggio e salvezza,” Vita e
Pensiero, Milano “Filosofia della religione,”Abete, Roma “Bonhoeffer,
Vallecchi, Firenze “Teologia ideologia utopia”Queriniana, Brescia “Kant e la teologia,”Cittadella,
Assisi “Futuro dell'uomo e spazio per l'invocazione”L'Astrogallo, Ancona “Con
quale comunismo?” Locusta, Vicenza, “Con quale cristianesimo” Coines, Roma,
“Novecento teologico”Vallecchi, Firenze “Teologia ideologia utopia” Queriniana,
Brescia “Fede e cultura”Genova, Marietti “Come continuare a credere” Rusconi, Milano “Negativismo giuridico” QuattroVenti,
Urbino “Guida alla Critica della ragion
pura” I, QuattroVenti, Urbino “ Lettera a un laureando” Urbino, Quattroventi “Il
pensiero negativo e la nuova destra”Mondadori, Milano “Il quinto evangelio come
violenza ermeneutica” in “Apocalisse e ragione”, testi di Carlo Bo e altri,
Urbino, Quattroventi “Hermeneutica”
“Filosofia della prassi,”Morcelliana, Brescia “Tre follie, Camunia, Milano “Guida
alla Critica della ragion pura”“L'Analitica” QuattroVenti, Urbino “Il male
radicale per Kant, in “La ragione e il male. Atti del terzo colloquio su
filosofia e religione”, Genova, Marietti 1 De profundis per la dialettica, in
“Metafisica e dialettica”, Genova, Tilgher Tornino i volti, Marietti, Genova Giustizia
per il creato, Urbino, Quattroventi, coll. "Il nuovo Leopardi"
L'Ethos dell'Occidente. Neoclassicismo etico, profezia cristiana, pensiero
critico moderno, Marietti, Genova Scritti cristiani. Per una teologia del paradosso,
Marietti, Genova Opere postume Diritto e società. Studi e testi, Urbino,
Quattroventi Come leggere Maritain, Brescia, Morcelliana Ethos e cultura nella cooperazione di
credito, Piergiorgio Grassi, Urbino, Associazione per la ricerca religiosa “S.
Bernardino”, Quattroventi Bonhoeffer; Morcelliana,
Brescia Frammento su Dio, Brescia,
Morcelliana Per Aldo Moro. Al di là della politica, Carlo BoMario LuziItalo Mancini,
Urbino, Quattroventi Opere scelte. Brescia,
Morcelliana Mancini Giorgio Rognini, Metafisica e sofferenza. Un itinerario critic
(Verona, Mazzian); A. Milano, Rivelazione ed ermeneutica” (Urbino, Quattroventi
"Biblioteca di Hermeneutica" P. Grassi, Intervista sulla teologia (Urbino,
Quattroventi "Il nuovo Leopardi"; La filosofia politica” (Urbino,
Quattroventi, Francesco D'Agostino, Filosofo del diritto, Urbino, Quattroventi,
"Il nuovo Leopardi" G. Ripanti, P. Grassi, Kerigma e prassi, Brescia,
Morcelliana, Hermeneutica, Studi in memoria, Napoli, Scientifiche, G. Crinella.
Dalla teoresi classica alla modernità come problema, Roma, Studium, A. Areddu,
Cristianesimo e marxismo Una rilettura in memoriam, Pistoia, Petite Plaisance
tra filosofia e teologia, in "Riv. di teologiaAsprenas", I A. Pitta, G.
Ripanti P. Grassi (a cura), Filosofia, teologia, politica. A partire da Mancini,
Brescia, Morcelliana, Hermeneutica Mariangela Petricola, Pensare la differenza
-- la questione di Dio nell'epoca della disgregazione del senso. Una rilettura
in “Dialegesthai. Riv. telematica di filosofia", mondo domani.org/
dialegesthai/ mpe. M. Petricola, Pensare
Dio. Il cristianesimo differente, Assisi, Cittadella Editrice Antonio Ascione, Fedele a Dio e alla terra.
L'avventura intellettuale di Italo Mancini, Benevento, Passione Educativa Valeria Sala, Italo Mancini. Filosofo del
diritto, Torino, Giappichelli, "Recta Ratio"sapere, Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Seminario in
memoriam, su pesaronotizie.com. Centro socio culturale "Don Italo
Mancini" presso il suo paese natale Schieti, su centroitalomancini. 15
gennaio 22 gennaio ). Pagina sul social
network Facebook, su facebook.com.
cronologica, su uniurb. L'Istituto di Scienze Religiose fondato da lui
su uniurb. Biblioteca personale "Ca' Fante", su uniurb. Rivista
"Hermeneutica" fondata da Italo Mancini, su uniurb. A. Aguti, Italo
Mancini, in Il pensiero filosofico-religioso italiano.org. Italo Mancini. Mancini.
Keywords: kerygma, “male radicale” “Kant” “radical evil” --. “cooperative di
credito” – “la massima della benevolenza conversazionale”, il problema del
vaticano – patti laternai, ventennio fascista e patti laterani --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Mancini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51751692436/in/datetaken/
Grice e
Mangione – alcuni aspetti del nazionalismo culturale nella logica italiana –
logica matematica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bagnara
Calabra). Filosofo. Grice: “I like
Mangione; for various reasons: He notes that logic is more related to
mathematics – indeed, for logicism mathematics IS logic – so the opposite to
‘formal’ logic is ‘material’ logic, not ‘informal’ as Ryle and Strawson want –
Mangione has studied ‘categories’ and talks of ‘logica matematica’ – he has
studied Frege’s ideografia, as he aptly translates his grundscrift, and he
tried to improve on the ‘nationalism’ which was ubiquitous in logic in Italy in
the ‘primo novecento’!” Insegna a Milano. Diresse le due collane matematiche
della casa editrice Progresso tecnico editoriale di Milano, appendice della A. Martello
editore. Presso l'editore Boringhieri di Torino ha diretto “Testi e manuali
della scienza contemporanea. “Serie di logica matematica.” Contribuito alla Storia della filosofia
pubblicata da Geymonat per Garzanti con specifici contributi sulla storia della
logica matematica. Amplia e sistematizza tali contributi nella Storia della
logica. Da Boole ai nostri giorni”. Il saggio costituisce un ampio ed esaustivo
lavoro di ricognizione e sintesi sugli ambiti di ricerca e sui risultati della
logica. Dirige la collana Muzzio scienze.
Insieme a E. Ballo, S. Bozzi, G. Lolli e P. Pagli cura Gödel
(Boringhieri). Saggi: “Logica matematica” (Torino, Boringhieri); “Giocando con
l'infinito: matematica per tutti, traduzione di G. Giorello (Milano,
Feltrinelli); “Matematica e calcolatore, Le Scienze quaderni, Milano, “Filosofia:
saggi in onore di Geymonat, Milano, Garzanti “Storia della logica, CUEM “Storia della logica”“Da Boole ai nostri
giorni” (Garzanti); “Frege. Logica e aritmetica” -- Torino, Boringhieri. E.
Regny, «Breve storia di una lunga amicizia», Franco Prattico, «Pubblicate tutte
le opere di Godel» dalla Repubblica, articolo disponibile sul database SWIF
dell'Bari. 6.Peano(4), A.Nagy(5), (1) Delbcedp J ,
Logiqìie algorithmique. Revue Philoso- phique (1876) quindi idem. Liège
et Bruxelles (1877). (2) Liard L., Les logiciens anglais
contemporains {ISIS). — Logique. Masson, Paris. — Cours
de philosophie. Logique (1884). (3) CouTURAT L., La logique
mathémaiique de M, Peano, " Revue de Métaphysique et de Morale „, a.
1899, p. 616. — La logique de Leibniz d'après dea documents
inédits. Paris, Alcan, 1901. L^ Algebre de la logique. Paris,
Gautliiers-Villars, ed. (1905). (4) Peano G., Calcolo
geometrico secondo VAusdehnungs- léhre di H, Grassmann, preceduto dalle
operazioni della logica deduttiva, Torino (1888). —
Arithmetices principia, nova methodo exposita {1SS2) . — I principi
di geometria logicamente esposti (1889). Torino, Bocca. —
Elementi di calcolo geometrico (1891). Principi di logica matematica
(1891). R. d. M., t. I. — Formule di logica matematica. R. d. M.,
t. I. — Sul concetto di numero. R. d. M., t. I. — Sui
fondamenti della geometria (1894). R. d. M., t. 4. — Saggio di
calcolo geometrico (1896). — Studi di logica matematica
(1897). — Les définitions matJtématiques (1900). Formulaire mathématique. (5) Nagy
a., Fondamenti del calcolo logico. Giornale di matematica. Voi. XXVIII.
Napoli (1890). — Sulla rappresentazione grafica delle quantità
logiche. Rend. R. Accademia dei Lincei. Voi. VI, pag. 50-56,
373-378 (1890). — Lo stato attuale ed i progressi della logica.
Rivista italiana di filosofia. Anno VI. Voi. II, Fase, novembre-
dicembre, pag. 301-319 (1891). 64 LOGICA FOBMALE
C. Burali-Forti (1), G. Vacca, G. Vailati, A. Padoa, M.
Pieri, F. Castellano, C. Ciamberlini, Giudice, Nagy a.,
Principi di logica esposti secondo le dottrine mo- derne. Torino,
Loescher (1892). — / teoremi funzionali nel calcolo logico, Riv. di
Mat., t. 2, pag. 177-179 (1892). — Ueher Beziehungen zwischen
logischen Ordssen. Mo- natshefte fur Mathematik. Wien, t. 4, pag. 147-153
(1893). — La logica tnatematica e il calcolo logico. Riv. Itai.
di Filos. Roma, t.8, I, pag. 389-395 (1893). — I primi dati
della logica. Id. Roma, t. 9, p. 33-70 (1894). — Ueber das
Jevons-Cliffordsche Problem. Monatshefbe far Mathematik. Wien, t. 5, pag.
331-345 (1894). — Sulla definizione e il compito della logica.
Roma, Balbi (1894). — Alcuni teoremi intorno alle funzioni
logiche. Riv. di Mat., t. 6, pag. 21-24 (1896). (1)
BuaAn-FoKTi C, Logica matetnatica. Milano (1894). — Exercice de
traduction en symholes de Logique Mathé- matique. Bulletin de
Mathématiques élémentaires (1897). — Sui simboli di logica
matematica. Il Pitagora, pagine 1-65-129 (1890). Padda A.,
Note di logica matematica. Riv. di Mat., t. 6, pag. 105. —
Conférences sur la Logique Mathématique. Université non velie de
Bruxelles (1898). — Essai d'une théorie algébrique des nombres
entiers, précède d'une introduction logique à une théorie déductive
quelconque. Congresso internaz. di filosofia. Parigi, 3 ag. 1900.
Vailati G., Un teorema di logica matematica. Riv. di Mat., t. 1,
pag. 103. — Sul carattere del contributo apportato dal
Leibniz allo sviluppo della logica formale. Rivista filos. e
scienze affini. Maggio-giugno 1905 (pagg. 338-344). Vacca G.
Sui precursori della logica matematica. Riv. di Mat., t. 6, pag.
121-183. PARTE I - TEORIA GENERALE 65 Bettazzi,
M. Chini, T. Boggio, A. Ramorino, M. Nassò, ecc. (1) in Italia.
(1) Tutti questi ultimi A. appartengono alla scuola del
Peano, al quale si deve la prima introduzione della Lo- gica matematica
in Italia coU'opera del 1888. In essa il Peano, esposti lucidamente gli
studi dello Schrodbr, del BooLE, ecc., dimostrò l'identità del calcolo
sulle classi, fatto da questi Autori, col calcolo sulle proposizioni
del Peirce, del Me Coll, ecc. L'opera de\VS9 {Arithmetices
principia...) contiene per la prima volta la teoria dei numeri interi
completamente ridotta in formòle facendo ricorso ad un
limitatissimo numero di idee logiche che espresse coi simboli: €,
D, = n, u, --, A. Di qui trasse origine la sua ideografia, in cui
ogni idea è rappresentata con un segno, e il suo strumento
analitico andò perfezionandosi rapidamente. Nel '92 comparve il
primo volume del Formulaire de Mathémathiques; nel '94 V Introduction^
quindi la pubbli- cazione completata, con nuove formule ed arriccbita
di numerose indicazioni storiche per la collaborazione di valenti
seguaci, procedette alacremente, raccogliendo e trattando completamente
in simboli tutte le proposizioni della matematica. L'importanza
filosofica di questo mo- vimento scientifico non è ancora stata
apprezzata conve- nientemente dai filosofi, e l'opera del Peano
comincia solo ora a richiamare sopra di se l'attenzione degli inse-
gnanti di logica pura. Questo ritardo filosofico è tanto più strano
quanto più chiara è la filiazione filosofica di questa ideografia.
Il Peano stesso non cessò mai di far notare che essa " è
basata su teoremi di Logica, scoperti successivamente da Leibniz fino ai
giorni nostri „. È noto infatti che l'ideografia completa o
pasigrafia fu intravista da Leibniz, col nome di Characteristica.
Ma se, con definizioni opportune, si potè ridurre le Pastore,
Logica formale. 5 LOGICA
FORMALE 3. Meriti dell' analitica moderna, — Da questo
rapido cenno dello sviluppo storico dei postulati del càlcolo logico e
degli autori che più hanno contribuito al progresso della logica pura e
sim- bolica in largo senso della parola (simboli lette- rali,
aritmetici, algebrici, geometrici, ideografici, ideofisici e via
dicendo), e pure in mezzo alle di- vergenze profonde e attraverso i vari
modi onde le forme logiche si manifestano e a quelli onde vengono
interpretate, è possibile scorgere il filo conduttore. Le
dottrine più recenti sopratutto, parte cri- ticando i metodi e i principi
sui quali le antiche erano costruite, parte proponendo metodi di
di- mostrazione più atti all'indagine logica, parte svolgendo fuori
dalla stessa analitica germi di idee nuove che vi rimanevano prima come
oscu- rati ed occulti, sono come una successione in- calzante di
fiotti vitali che, scaturendo dalle vette del pensiero, sono penetrati
nell'organismo della logica formale alimentandolo e sospingen-
idee di logica che si incontrano in molte parti della ma-
tematica ad un numero sempre più piccolo di idee pri- mitive, attualmente
ancora si desidera una riduzione analoga di tutte le idee di logica che
si incontrano nella logica pura. Questa riduzione presenta
invero seriissime difficoltà, ** ed e più facile il riconoscere quante e
quali siano le idee primitive in Aritmetica e in Geometria, che in
Lo- gica „ (Peano). In questo saggio, continuando le ricerche
cominciate nel precedente, che mi converrà di supporre conosciuto
al lettore, tento di portare un contributo alla soluzione del problema
suddetto. Corrado Mangione. Mangione. Keyword: “logica matematica”
“divertente”, “Sidney Harris” Peano, “not” “no” “and” “e” “or” “o” “if” “si”
“some (at least one)” “all” “the” “il” , Mangione, simbolistica, logica
simbolica, logica formale, logica materiale, semantica, semantica per un
sistema di deduzione naturale, SYMBOLO, whoof and proof, w’f ‘n’ proof. -- -. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e la proclama di
Mangione: logica matematica, la logica matematica deve essere divertente!” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51746531946/in/datetaken/
Grice e
Manfredi – liber de homine – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna).
Filosofo. Grice: “I like the “liber de homine.” It reminds me that among my
unpublications there’s a ‘Why’!” Grice: “While the Italians aptly use the same
particle for ‘why’ and ‘for’, the Anglo-Saxons didn’t! That must be because
‘for’ is usually otiose: “Why are you eating.” “For I am hungry, say I!” cf. “I
am hungry.” – Studia a Bologna e Ferrara. Entra in contatto con circoli
umanistici. Insegna a Bologna. Riceveva un compenso superiore alla media ed è
il docente più citato nei Libri partitorum. Esercita l'astrologia ee attaccato
da Pico (“Disputazione contro l’astrologia divinatrice””). La sua opera “Il Perché” fu un successo per
secoli. Altre saggi: “Tractato de la
pestilentia,” Bologna, Johann Schriber, “Pro-gnosticon anni 1490” (Bologna,
Bazaliero Bazalieri) “Liber de homine,” Impressum Bononiae, Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Girolamo Manfredi. Keyword:
divination. Those clouds mean rain – Those clouds mean death. --. Grice: “The
present budget means that we will have a bad year – Prognosticon anni 1490 --. “The
present budget means we’ll have a hard year, but we shan’t have.” – x means
that p entails p. The year 1490. In 1491, Pico approaches Manfredi, “You said
that the budget for 1490 meant that we would have a hard year, but we didn’t!” – Girolamo Manfredi. Manfredi.
Keywords: liber de homine, la tradizione pseudo-peripatetici dei problemi – il
problema – la questione di ‘per che’ – Grice sulle tipi di domanda – la domanda
dei bambini – la domanda di Grice a bambini, “Can a sweater be red and green
all over? No stripes allowed? – The philosopher’s question – ‘why is there
something rather than nothing? Why I am me and not you? Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Manfredi:
l’implicatura divinatrice” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51746753618/in/datetaken/
Grice e
Manicone – la filosofia del gargano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vico
del Gargano). Filosofo. Una delle
personalità più caratteristiche del suo tempo della Capitanata. Definito
il “monacello rivoluzionario” a causa della sua bassa statura, che
sembrerebbe di 1,40 m, la sua indole illuministica consiste in una sete di
sapere che non si placa con il dogmatismo, ma con l'esperienza diretta, lo
studio approfondito dei fenomeni naturali e della scienza, un'osservazione
empirica che poteva fornire una risposta valida e concreta alle varie
problematiche e quindi un aiuto pratico all'uomo, al suo benessere e sviluppo,
alla sua felicità. Ciò gli costò l'inimicizia di chi, seppur in pieno
illuminismo, diffidava e demonizzava la scienza. Lo sviluppo
economico-sociale che teorizza Manicone consiste in uno sviluppo connesso e,
per certi versi, dipendente dall'ambiente, perché egli riteneva che la natura
fosse una fonte primaria di ricchezza e la sua distruzione avrebbe potuto
segnare la fine dello sviluppo. Manicone può essere considerato un
profeta dello sviluppo sostenibile, perché in pieno Settecento, quando le
industrie erano inesistenti, ebbe un'ampiezza di vedute che gli consentì di
prevedere le conseguenze disastrose che avrebbe portato l'uso improprio e
scriteriato delle risorse naturali. Le opere in cui Manicone tratta, tra
gli altri, il tema dello sviluppo sostenibile, sono La Fisica Appula (cioè
dell'Apulia) e La Fisica Daunica (cioè della Daunia, antico nome della
Capitanata). Secondo il “monacello”, uno dei peggiori atti compiuti dall'uomo
del suo tempo era la cesinazione selvaggia dei boschi garganici, un tempo
rigogliosi, come anche attesto da Orazio nelle Epistole: «Garganum mugire putes
nemus». Riferisce che il disboscamento del promontorio iniziò nel 1764,
con il taglio “barbaro” dei pini nel territorio “Difesa” di Vico del Gargano e
la cesinazione degli ischi ad Ischitella, talmente “furiosa” che, ad inizio
Ottocento, l'Abate Longano denunciò la carenza di legna da ardere per gli
ischitellani. La causa di questo disboscamento fu la volontà di destinare
i suoli a coltura, anche quelli non adatti a questo scopo e più utili al
pascolo e alla produzione di legname, vista la “rocciosità” della terra sul
promontorio del Gargano. Manicone spiega anche la diminuzione della fauna
selvatica nel Gargano, sempre dovuta alla cesinazione, che diminuiva i
nascondigli per gli animali selvatici, e li rendeva più vulnerabili. Ne
“La Fisica Appula”, il frate dedica un intero libro al Mefitismo (insalubrità
dell'aria) e alle cause che lo generano. Egli sostiene che l'inquinamento può
avere cause naturali o accidentali (provocate dall'uomo), può essere anche
indigeno (proprio della zona) o esotico (derivante da altre zone). Secondo il
Manicone le principali cause accidentali del mefitismo erano: 1. Le
condizioni igieniche precarie delle strade e delle abitazioni; 2. L'insana
abitudine di depositare gli escrementi nelle strade; 3. La sepoltura dei centro abitato (consuetudine abolita con
l'Editto di Saint-Cloud, ma anticipata nel 1792 a Vico del Gargano da Pietro de
Finis, che fece costruire il cimitero monumentale di San Pietro); 4. Il taglio
dei boschi (invece gli alberi sono importanti perché emettono ossigeno e
assorbono anidride carbonica). Lo studio del frate sul territorio garganico fu
talmente minuzioso da fargli notare un mutamento climatico dalla metà del
Settecento all'Ottocento; in alcune zone del Gargano, ci furono sbalzi di
temperatura che provocarono un sensibile calo di precipitazioni nevose e
mitigarono parecchio gli inverni. Secondo il Manicone, la causa è attribuibile
al disboscamento. Il taglio delle foreste avrebbe consentito al sole di
riscaldare prima e maggiormente i suoli e soprattutto non avrebbe bloccato i
venti provenienti da Nord e da Sud, quindi le zone meridionali rispetto alle
alture garganiche si sarebbero raffreddate a causa dell'arrivo della Tramontana
da Nord, mentre nel Gargano settentrionale sarebbero arrivati maggiormente i
venti caldi del Sud. Un rimboschimento avrebbe reso più fertili le terre
coltivabili, ma Manicone stesso, dopo aver dato questo suggerimento, esprime la
consapevolezza di “aver cantato ai sordi”. Viaggiò molto per l'Europa,
studiando Medicina a Vienna e a Berlino, Scienze Fisiche a Londra e Scienze
Naturali a Bruxelles. È noto soprattutto per il suo trattato, La Fisica
Appula. in cui analizza le caratteristiche fisiche delle terre di Puglia e
soprattutto del Gargano. Al Manicone è intitolato il Centro Studi e
Documentazione del Parco Nazionale del Gargano sito presso il Convento di San
Matteo a San Marco in Lamis. Descrizione di Vico Del Gargano nella Fisica
daunica Al tempo di Manicone la popolazione vichese era di 6131 abitanti, circa
lo stesso numero di residenti effettivi attuali. L'area abitata era più
ristretta e consisteva nel nucleo originario (Casale, Civita e Terra) e i
quartieri nuovi di San Marco, Carmine, la Misericordia e Fuoriporta. L'incuria
delle istituzioni si manifestava nella scarsa attenzione verso l'igiene delle
acque del Casale (quartiere affollatissimo), originariamente buone e dolci ma
inquinate dall'incuria generale; anche le strade strette e ombrose della Civita
erano soggette ad abbandono e perennemente sporche. Soltanto i quartieri nuovi
erano larghi, puliti e soleggiati. Le Istituzioni mancavano anche laddove
era necessario rendere più agevole il lavoro dei contadini e dei pastori
vichesi, costruendo strade per diminuire gli ostacoli a cui erano sottoposti
quotidianamente questi uomini quando si recavano nelle loro campagne, poste
spesso in profonde valli o zone impervie. La popolazione vichese era
laboriosa e onesta e non c'erano grandi disuguaglianze economiche, tuttavia
Manicone descrive i suoi compaesani come barbari e incivili, infatti non hanno
riguardo per l'ambiente, ad esempio i pastori lasciano distruggere dalle loro
bestie le pianticelle fruttifere e le vigne, sono dediti all'alcol e spesso ciò
li porta a risse feroci. Le donne sono laboriose come gli uomini e sempre
gentili, il frate però critica fortemente l'usanza vichese, e delle donne dei
paesi del Sud in generale, di urlare e strepitare ai funerali, di portare il
lutto a vita e di vestire sfarzosamente i defunti; il primo comportamento
denota la selvatichezza della popolazione, il secondo uso può essere
anti-economico e negativo per la società e il terzo è uno spreco di denaro,
dato in pasto ai vermi. Un difetto presente in tutte le abitazioni
vichesi dell'epoca era il forno in casa, che poteva provocare incendi domestici
e inquinare l'aria interna. A Vico
molti boschi furono tagliati per lasciare spazio ai campi di grano, ma ciò fu
improduttivo economicamente e causò lo smottamento dei terreni in pendenza, non
più trattenuti dalle radici delle piante. Nella raccolta dell'ulivo, i vichesi
distruggevano gli alberi, picchiando forte con i bastoni per far cadere le
olive; questa errata abitudine provocava la mutilazione della pianta e una
maggiore esposizione al freddo, e conseguentemente minori raccolti per gli anni
successivi. Per Manicone, il mancato sviluppo del Gargano era da imputare
anche alla pigrizia e indolenza dei suoi abitanti, che non erano capaci di
valorizzare i loro prodotti (olive, agrumi, vino, fichi, etc.) e talvolta
acquistavano prodotti meno pregiati e ad alto prezzo da altre regioni. Al
fine di comprendere come le istituzioni del tempo fossero distanti dalle reali
necessità della popolazione, è interessante la situazione che riguardò l'uso
delle acque di Canneto, infatti veniva impedito ai vichesi (anche con la forza)
di utilizzare l'acqua per l'irrigazione dei campi, perché avrebbero disturbato
l'attività di un mulino sito nel territorio di Rodi Garganico. Il giudice diede
ragione ai rodiani ma, per fortuna, questa sentenza ingiusta e ingiustificata
fu annullata dalla Regia Camera. Dalla lettura di alcune pagine delle
opere di Manicone è emerso che, pur cambiando i tempi, gli usi, le risorse a
disposizione, le conoscenze e le attività, l'uomo garganico (e non solo) viveva
e produceva nell'ottica del profitto immediato, sottovalutando gli effetti che
avrebbero potuto causare i suoi comportamenti errati nella vita della futura
comunità. Opere di Michelangelo Manicone contesto – il contesto del
contesto. "Philosophers often say that context is very
important." "Let us
take this remark seriously.’ "Surely,
if we do, we shall want to consider this remark in its relation to this or that
problem, i. e., in context, but also in itself, i. e., out of
context.” H. P. Grice, "The
general theory of context." Michelangelo Manicone. Manicone. Keywords: la
filosofia del gargano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Manicone” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747122289/in/datetaken/
Grice e
Mannelli – gl’eroi di Virgilio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Grimaldi).
Filosofo. Grice: “Like me, Mannelli
loved Kant, Goethe, Schiller, Virgilio – and he has his own ‘palazzo’!” -- Fequenta
il ginnasio a Cosenza. Si trasferì con la famiglia prima ad Aosta, dove terminò
gli studi liceali, e poi a Roma. S’interessa sempre più al mondo politico e
dopo la laurea, conseguita con il massimo dei voti, ritorna a Cosenza e venne eletto Consigliere Provinciale. Proprio in qualità di membro del consiglio
provinciale, si adoperò in prima persona per arricchire e promuovere
l'ampliamento della Biblioteca Provinciale di Cosenza Si dedicò in tempi e con modi diversi
all'attività di approfondimento e divulgazione. Firmò una versione metrica della
Xenia di Goethe (Roma, Paravia. Fu tra
i maggiori contributori della più importante rivista di arti e lettere della
regione, la Calabria Letteraria. Presidente dell'Accademia Cosentina,
l'istituzione accademica calabrese che vanta un'esistenza plurisecolare e che
nel XVI secolo ebbe come presidente Telesio.
Opere: “Inaugurandosi il monumento al caduti grimaldesi: scultura di Cambellotti,
Reggio Calabria, Editore Il Giornale di Calabria, Paravia, Le storiche Terme
Luigiane: passato-presente-futuro, Cosenza, Cronaca di Calabria, L'Accademia
Cosentina nella sua storia secolare e nell'oggi, Cosenza, Tip. Vincenzo
Serafino. Biografia in Calabriaonline.com
M. Chiodo, L'Accademia cosentina e la sua biblioteca. Società e cultura
in Calabria. Xenia Edizione Paravia. nna
Vincenza Aversa, Dopoguerra calabrese: cultura e stampa, Editore Pellegrini,
Catanzaro, Accademia Cosentina
Biblioteca Civica di Cosenza Goethe
Poesia "Mamma" da "Come le nuvole” su Grimaldi Grimaldesi da ricordare, su digilander.libero.
Filippo Amantea Mannelli. Mannelli. Keywords: gl’eroi di Virgilio, gl’eroe di
Virgilio, l’eroe stoico, Acri, Enea come eroe stoico, gl’eroi di Vico. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Mannelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747099904/in/datetaken/
Grice e
Mantovani – i curiazi – percorsi di comunicazione – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Moncalieri). Filosofo. Insegna a Roma. Membro della Società Tommaso
D’Aquino. Gli ambiti delle sue ricerche spaziano sulla Filosofia della Storia,
l'Ontologia, la Teologia filosofica, e loro rapporti con la scienza. Ha
compiuto studi sulla storia del tomismo (cf. griceianismo). È uno dei maggiori
studiosi e conoscitori del realismo dinamico e di Demaria. Opere: “Fede e
ragione: opposizione, composizione?” Scaria Thuruthiyil, Mario Toso, Roma, LAS,
“Quale globalizzazione?: l'uomo planetario alle soglie della mondialità,” Scaria
Thuruthiyil, Roma, LAS, “Eleos: l'affanno della ragione: fra compassione e
misericordia,” Roma, LAS, “Sulle vie del tempo: un confronto filosofico sulla
storia e sulla libertà, Roma, LAS, “Paolo VI: fede, cultura, università,” “An Deus sit (Summa Theologiae I, q. 2). Fede,
cultura e scienza, Città del Vaticano, Libreria Vaticana, Didatttica delle
scienze: temi, esperienze, prospettive,” Vaticano: Libreria editrice vaticana,
“La discussione sull’esistenza di Dio nei teologi domenicani” “Oltre la crisi:
prospettive per un nuovo modello di sviluppo: il contributo del pensiero
realistico dinamico Demaria. Roma, LAS,,”Momenti
del logos: ricerche del "progetto LERS" (logos, episteme, ratio,
scientia): Roma, Nuova cultura, “Per una
finanza responsabile e solidale: problemi e prospettive, Roma, LAS, “Una
ricognizione sulla Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino” in Un pensiero per
abitare la frontiera: sulle tracce dell’ontologia trinitaria di Hemmerlie, Roma
Incisa Valdarno, Città Nuova Istituto
universitario Sophia, Lorenzo Cretti, La
quarta navigazione: realtà storica e metafisica organico-dinamica, Associazione
Nuova Costruttività -Tipografia Novastampa, Verona, Francisco de Vitoria, Sul
matrimonio, Roma, Scritti teologici inediti. Demaria; Roma,Editrice LAS. Pontifical
University of Saint Thomas Aquinas, su Angelicum. su avepro. glauco. L’Università
Salesiana, un servizio per l’educazione e la comunicazione La Stampa Autorità
accademiche «Il nostro impegno per la “civiltà dell’amore”. Come vuole don
Bosco» La Stampa, su lastampa, CRUIPRO Conferenza
Rettori delle Università e Istituzioni Pontificie Romane, su cruipro.net. redazione, Nuovi accordi di co-operazione
interuniversitaria, su FarodiRoma, Pontificia Accademia di Aquino, su
cultura.va. Direttorio, su S.I.T.A.. PREMI MEDITERRANEO, su Fondazione
mediterraneo. org. Mantovani, “Vita tua, vita mea”: l'insegnamento di Demaria è
più che mai attuale. Fondazione Adriano Olivetti. Mauro Mantovani. Mantovani. Keywords:
i curiazi, percorsi di comunicazione, Aquino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Mantovani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747300525/in/dateposted-public/
Grice e
Marassi – gl’eroi di Vico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cardano
al Campo). Filosofo. Grice: “I like Marassi; he has written a ‘natural’ history
of ‘man’ – which is interesting, ‘progetto uomo,’ he calls it!” -- Grice: “I
like Marassi; he has explored hermeneutics in the German tradition,
Schleimacher to be more specific; but has also written an essay on Heidegger;
his links with me come with his idea of metaphysics and transcendental
arguments which he takes from Kant, who he reads in both German and Italian,
unlike I, or me.” – Grice: “He has written an introduction to a comparative
study of the approaches to ‘the antique’ in both Italian and German philosophy
– a fascinating topic. I suppose the Oxonian approach, indeed Cliftonian, is a
mixture of both!” Allievo di Melchiorre, si laurea a Milano con la tesi “La differenza ontologica
in Heidegger, sotto la direzione di Melchiorre e con la co-relazione di Bontadini.
Ha discusso “Il profilo della presenza: Heidegger e il regno della pluralità”
con Melchiorre e Grassi. Insegna filosofia a Milano. Ha coordinato l'edizione
dell'Enciclopedia filosofica (Bompiani, Milano). Direttore del Dipartimento di Filosofia a
Milano. Dirige la Rivista di filosofia neo-scolastica. Dirige per la casa editrice AlboVersorio la
collana Epoche ed è membro del comitato del festival La Festa della
Filosofia. Si occupa di storia
dell'umanesimo (Bruni, Alberti, Vico), della scolastica, di ermeneutica (Grassi),
di filosofia trascendentale, del pensiero postmoderno. I temi della sua ricerca
ruotano attorno a tre temi principali: la riflessione sui modelli
storico-teorici della filosofia della storia, l'interpretazione dell'umanesimo
italiano (Alberti, Bruni, Vico) in riferimento alla dimensione storica e
morale, l'analisi della fondazione trascendentale del sapere. Saggi: “Ermeneutica
della differenza in Heidegger, Vita e Pensiero, Milano, Schleiermacher, “Ermeneutica,”
Rusconi, Milano, Bompiani, Milano; Kant, “Critica del giudizio,” Bompiani,
Milano, Metafisica e metodo trascendentale,”
Lotz, “La struttura dell'esperienza, Vita e Pensiero, Milano; “Metamorfosi della storia. Momus e Alberti,” Mimesis,
Milano/ Coordinamento generale e direzione redazionale della Enciclopedia filosofica,
Bompiani, Milano. docenti.unicatt. Marassi. Massimo Marassi. Marassi. Keywords:
gl’eroi di Vico, Alberti, Bruni, Vico, metamorfosi della storia – Alberti,
Momus, il concetto d’eroe in Vico, l’uomo come eroe – l’eroico, l’altruismo
eroico, la nudita eroica – la nudita eroica nella representazione
degl’imperatori romani, la nudita eroica in Giulio Cesare, la nudita eroica dell’atleta
– la postura eroica dell’eroe in nudita eroica – napoleone in nudita eroica –
Mussolini in nudita eroica, la statua equestre di Mussolini, la nudita eroica
del stadio dei marmori, Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Marassi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747036589/in/dateposted-public/
Grice e
Marchesini – l’educazione del soldato – l’implicatura del capitano – e l’amore
sessuale alla societa eugenica –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Noventa Vicentina). Filosofo.
Grice: “Cassatta has unearthed some opinions by Marchesini which are
revolutionary!” Esponente del positivismo.
Alievo di Ardigò, insegna filosofia a Padova. Direttore della Rivista di
Filosofia.Diresse, anche, un Dizionario delle scienze pedagogiche, edito dalla
Società Editrice Libraria di Milano. Tradusse, inoltre, un testo di Locke
Pensieri, edito da Sansoni. Opere: “La vita,” – Grie: “Sounds promising: a
treatise on life! Cf. my ‘Philosophy of Life’”). Montagnana, Tip. di A. Spighi,
“Saggio sulla naturale unità del pensiero,” Firenze, Sansoni, “Elementi di Psicologia
tratti dalle opere filosofiche di Ardigò,” Firenze, Sansoni, “ Elementi di
logica” -- secondo le opere di R. Ardigò, St. Mill, A. Bain ecc., prefazione di
Ardigò, Firenze, Sansoni,” Grice: “A fascinating little book: it reminded me of
Strawson’s Introduction to Logical Theory! Only Strawson would rather die than
axe me to foreword it!” –[ whereas Marchesini commissioned his tutor to drop a
word “or two””].—Grice: “Marchesini shouldn’t be so reverential towards
Ardigo.” Grice: “I count Marchesini’s oeuvre as being by Marchesini; if I want
to read Ardigo, I read Ardigo!” – “Elementi di morale, ad uso anche dei licei,
secondo le opere degli scienziati moderni, prefazione di Ardigò, Firenze,
Sansoni, “Il positivismo e il problema filosofico, Torino, F.lli Bocca, “Le
amicizie di collegio” – Grice: “I should note that Marchesini uses ‘amecizia’
in quotes! So it doesn’t really apply to my Clifton days!” -- (con prefazione di E. Morselli e in
collaborazione con Obici), Roma, Società Ed. "Dante Alighieri ", “Elementi
di pedagogia: Con un'appendice di cento scelte citazioni, Firenze, Sansoni, Doveri
e diritti: ad uso delle scuole tecniche e complementari, Milano-Palermo, R.
Sandron, “La teoria dell'utile,” principi etici fondamentali e applicazioni, Milano-Palermo,
R. Sandron, “ Il Simbolismo nella conoscenza e nella morale, Torino, Fratelli
Bocca Editori, “ Il dominio dello spirito, ossia Il problema della personalità
e il diritto all'orgoglio, Torino, F.lli Bocca, Pedagogia, Torino, Paravia, Il
principio della indissolubilità del matrimonio e il divorzio, Pakdova-Verona,
Fratelli Drucker, “Elementi di logica,” ed. interamente rifusa, -- Grice: “This
makes me laugh! It’s like saying: my previous, Ardigo-based stuff, was
nonsense!” -- Firenze, Sansoni, Disegno storico delle dottrine pedagogiche,
Roma, Athenaeum, “La dottrina positiva delle idealità,” Roma, Athenaeum, “L'educazione
morale, Milano, F. Vallardi, “I problemi fondamentali della educazione,”
Torino, Paravia, “I problemi dell'Emilio” di G. G. Rousseau, Firenze, R.
Bemporad e Figlio, “La finzione dell'educazione o la pedagogia del Come se,”
Torino, Paravia, “L'educazione del soldato, con 50 problemi per esercitazioni,”
Firenze, Ed. La Voce, “Il problema della scienza nella storia delle scienze:
per i licei scientifici, Milano, Signorelli, “Dizionario delle scienze
pedagogiche: opera di consultazione pratica con un indice sistematico, direttore
Marchesini, collaboratori: Antonio Aliotta, Giuseppe Aliprandi e altri, Milano,
Soc. Edit. Libraria, Vedi Treccani L'Enciclopedia Italiana. Ultima ristampa:
Firenze, Sansoni, 1968. Mariantonella, Marchesini
e la «Rivista di filosofia e scienze affini». La crisi del positivismo
italiano, Collana di filosofia, Franco Angeli, Treccani L'Enciclopedia
Italiana. Origine ed evoluzione del linguaggio. - La que- stione del
linguaggio è ancora un po’ oscura, ma fra le ipotesi cbe su tale
questione si proposero, si può stabilire quale è la più legittima.
Si esclude innanzi tutto l’ ipotesi che il linguag- gio sia stato
inventato da un uomo più intelligente, e adottato dagli altri in virtù
d’nna convenzione; ipotesi forse erroneamente attribuita a Democrito.
E si esclude altresi che il linguaggio sia stato l’opera di una
rivelazione, o di un miracolo. Due filologi contemporanei, Renan e
Max Miiller, attribuirono l’ origine del linguaggio a una specie d’
istinto. Nell’umanità primitiva ogni idea avrebbe suggerito per sé stessa
una parola, e la medesima parola a tutti gli spiriti: questo istinto, col
tempo, si sarebbe atrofizzato. A proposito di questa ipo- tesi si
osservò eh’ essa non spiega nulla , essendo questo istinto per sé
medesimo inesplicabile, ed es- b) A proposito dei sofismi di
parole ricorderemo ancora quel capitano greco clic avendo conchiuso col
nemico una tregua di dieci giorni, si credette lecito attaccarlo di
notte. E ricorderemo i seguenti sofismi di Eutidemo: — Qualcuno che si
trova in Sicilia e vede in questo momento, col pensiero, il porto
d’Atene, vede egli le due triremi che vi si trovano? E se non vede
le dne triremi, come può egli vedere il porto d'Atene? — Quelli che
imparano sono essi sapienti o ignoranti? Se sono gli igno- ranti che
imparano, devono apprendere ciò che non sanno; ma come si può imparare
quando non si sa neppure ciò che si devo imparare? E se Clinia risponde
che sono i sapienti che imparano, la difficoltà resta la medesima: come
possono i sapienti imparare dal momento che sanno? — Chi Ba qualche cosa
possiede il sa- pere, eli’ 6 tutto: dunque chi sa qualche cosa sa
tutto. CAPITOLO III 33 scudo esso
stesso, per cosi dire, un miracolo. È strano infatti che quei 400 o 500
tipi fonetici, a cui il Mailer ridusse le parole delle varie lingue,
aspettino, a ma- nifestarsi, le idee rispettive. Il linguaggio, disse
Hum- boldt, è il prodotto necessario dello svolgimento dello
spirito umano; e sta bene; ma questo svolgimento non è spiegato dall’
istinto di Réuan e Max Mailer, mentre importa appunto stabilire come il
linguaggio si produca. Il filologo Whitney, nella sua opera
sulla Vita del linguaggio, dice che l’origine del linguaggio è
dovuta al concorso di tre cause, che s’ incontrano nella specie
umana: 1° la facoltà di emettere un’ infinità di suoni e di riprodurli a
volontà: 2° il desiderio, determinato da un bisogno di socialità
superiore, di comunicare le idee per mezzo di segni: 3“ la facoltà di genera-
lizzare, di giudicare, di concepire dei concetti e di per- cepirne i
rapporti. E queste sono infatti le condizioni del sorgere e svilupparsi
del linguaggio, ma come ef- fettivamente il linguaggio sia sorto e si sia
sviluppato, esse non dicono. Si paragonò l’origine del
linguaggio nelle razze, all’origine del linguaggio nel bambino. Il
bambino per attività puramente riflessa emette un grido che
manifesta in lui un dolore, un bisogno: al grido ac- corre la nutrice, e
accorre ogni volta che il grido si ripete; cosi si va fissando un’
associazione mentale tra l’atto dell’ emettere il grido e il successivo
accorrere della nutrice, onde, a chiamar questa, finuli j^ uXr ri-
peterà, ma coscientemente , ìnlenzionalmew, il'^-WyoHl Marchesini,
Logica 34 ELEME NTI PI LOGICA fl grido assumerà un
significato logico. Tiù tardi altri suoni esprimeranno il pensiero di
lui, come quando egli indicherà gli oggetti imitandone in qualche
modo l’ impressione sensibile che ne riceve; dirà ad esempio Jcolcò
per indicare il pollo, mìàou per indicare il gatto: riprodurrà un dato
sensibile, nel nostro caso uditivo, a cui si associeranno altri dati
sensibili, come quelli visivi. Da prima designerà con questo suono non
sol- tanto gli oggetti dai quali l’ udì, ma anche altri og- getti
consimili, che hanno in comune, oltre a quelle, altre qualità sensibili:
con lo stesso suono sarà ad esempio da lui indicato, da prima, ogni
uccello. Le distinzioni di linguaggio verranno piti tardi, mano
mano che si distingueranno e aumenteranno nel bam- bino le
percezioni. Questa è, a larghi tratti, la formazione e lo
svol- gimento del linguaggio, nel bambino, a cui conti i- buiscono
in modo particolare gli ammaestramenti spe- ciali che egli riceve da chi
gli apprende la lingua. Si potrà inferirne che l’origine e lo sviluppo
del linguaggio d’ una razza, avviene come nel bambino? Con
tale inferenza si dimenticherebbe un fatto im- portantissimo, eh’ è
fondamento d’una netta distin- zione: il fatto che il fanciullo nascendo
porta anche per il linguaggio delle disposizioni funzionali orga-
niche-psichiche, diverse da quelle che potevano avere gli uomini
primitivi; il paragone adunque, e l’ infe- renza, non reggono.
L’ipotesi piu accreditata intorno all’origine del linguaggio è
quella di Darwin, illustrata particolar- CAPITOLO III
35 mente dallo Spencer, per cui il linguaggio è opera
dell’evoluzione, come ogni altro fatto naturale ed umano.
Originariamente gli uomini si servivano del gesto indicativo o
imitativo ; poi, provveduti, per evoluzione organica, di organi capaci di
mandar suoni articolati, accompagnarono questi al gesto, ed espressero
cosi le proprie sensazioni e i propri bisogni, e designarono gli
oggetti. Tale espressione e tale designazione avevano da prima carattere
essenzialmente imitativo, conser- vatosi, quanto al suono articolato,
nell 'onomatopeici; ed erano piuttosto istintive. In progresso di tempo
i movimenti del gesto e dell’ articolazione si utilizza- rono più
largamente, e venne cosi a sostituirsi al lin- guaggio naturale un
linguaggio convenzionale. Cominciato per evoluzione, il linguaggio
di un po- polo (come quello dell’individuo) continuò a svolgersi
pure per legge evolutiva, mediante i rapporti sempre più ampi e riflessi
che si stabilirono successivamente tra i segni e la cosa significata. Si
ebbero cosi nel linguaggio la forma mimica , l’ ideografica, e la
fone- tica : 1 e la parola divenne per ultimo il linguaggio per
eccellenza. 1 Presso certe tribù selvagge la parola non può
comprendersi senza il gesto. Anche presso gli antichi la mimica aveva la
mas- sima importanza, come presso i sordo-muti, che devouo
esprimere il pensiero col gesto proprio, naturale e artificiale. La
l'orma ideografica, che troviamo presso gli Egiziani, i Chinesi e
altri popoli, è un disegno abbreviato e più o meno convenzionale,
in cui ogni carattere esprime direttamente un'idea. I popoli ocei-
ELEMENTI PI LOGICA 86 Innumerevoli sono le forme
che la parola assunse presso i vari popoli o razze, poiché ogni popolo o
razza ebbe la sua lingua. Tuttavia si riuscì a ricondurre tutte le
lingue a un piccolo numero di tipi, che sem- brano corrispondere agli
stadi successivi dell evolu- zione della parola. 1° Tipo:
lingue monosillabiche (es. la chinese) Sono composte di sillabe che
costituiscono ciascuna una parola rappresentante un’idea astratta e
generale. Secondo l’ ordine nel quale i monosillabi si dispongono,
si esprimono le diverse combinazioni e modificazioni delle idee.
2° Tipo: lingue agglutinanti o •polisintetiche , (es. le lingue
delle tribù americane). Sono composte di ra- dici di cui le une esprimono
le idee più importanti, le altre le idee accessorie: messe insieme, cosi
dal costituire spesso una parola straordinariamente lunga c
complessa, esprimono sia le modificazioni d’un idea principale, sia una
combinazione più o meno com- plessa di idee principali e
accessorie. 3° Tipo: lingue a flessione : (es. le lingue
semitiche, e indo-europee). Sono composte di parole ciascuna delle
quali esprime un’idea principale modificata da una accessoria; le diverse
modificazioni dell’idea prin- cipale si esprimono per il modificarsi, per
l’ inflettersi, della terminazione delle parole stesse.
dentali non se ne servono più se non per certi usi (cifre, segni
algebrici eoe.). Usano invece della scrittura fonetico, in cui
ciascun carattere è il seguo non d'nu idea uia di un suono. Di
questi tre tipi, il secondo sarebbe derivato dal primo, per Y addizione
delle radici accessorie alle ra- dici principali; e le lingue a flessione
sarebbero de- rivate da lingue agglutinanti piu antiche, per la fu-
sione delle radici accessorie con le radici principali. § 5.
Trasformazione del significato dei termini. - Con le parole non
comunichiamo soltanto delle idee, ma anche delle credenze, dei fatti. E
poiché le no- stre credenze, le nostre rappresentazioni dei fatti,
e la interpretazione di questi, mutano, mutano anche i significati
delle parole. Una mutazione che si può ritenere primitiva,
quanto è costante, l' abbiamo nella trasformazione del senso di una
parola, da proprio a traslato-, ciò avviene per quella certa somiglianza
che si riconosce tra il signi- ficato proprio, o etimologico, e quello
traslato. Una casa grande e sontuosa oggi si chiama pa-
lazzo, parola che indicava prima una costruzione dei Romani più antichi,
eretta in onore della dea Pale. La parola palazzo oggi sopravvive, ma con
significato diverso dal primitivo. Pagano originariamente significava
1’ abitante del pagus , poi significò l’idolatra, l’adoratore di
divinità antiche, perché, all’epoca in cui il cristianesimo si
propugnava, mentre gli abitanti delle città erano i primi a convertirsi
alla nuova fede, gli abitanti della campagna erano gli ultimi.
Villano si diceva, durante il regime feudale, chi era soggetto a
minori oneri, ed era, per conseguenza, oggetto di disprezzo da parte
dell’ aristocrazia mili- 38 ELEMENTI PI LOGICA
tare. A lui si attribuivano, con qualche esagerazione, I vizi e
delitti: villano divenne perciò una qualifica in- giuriosa. _ . . 1
Il significato adunque di questi tre termini, pa- ■ lazzo ,
pagano, villano, si trasformò generalizzandosi J come si trasformarono
generalizzandosi., per citare an- j cora due esempi, il termine sale, che
da prima era soltanto il cloruro di sodio, e il termine olio, che
da prima indicava soltanto l’olio d’oliva. Nella
trasformazione della parola si ha pure un . processo inverso, di
specializzazione. Cosi il termine j vitriolo (da vitruni) che da prima
significava ogni corpo j cristallino, poi si attribui a una specie
particolare. Il termine oppio (da ònòg succo) che voleva dire un i
succo qualunque, ora indica soltanto il succo del pa- J pavero. E il
termine fecula (da foex, feccia) proprio a significare
originariamente ogni materia che si depo- j siti spontaneamente in un
liquido, poi lo si applicò al- 1’ amido che si deposita quando si agita,
nell’acqua, della farina di frumento. E il significato di questa
parola si specificò poi ancor più, venendo a indicare un principio
vegetale particolare che, come l’amido, è insolubile nell’acqua fredda,
ma è completamente solubile nell’acqua bollente, con la quale forma
una soluzione gelatinosa. ... Il cocchiere chiamai suoi
cavalli le mie bestie-, un cacciatore può intendere per uccelli le
pernici. V’ è adunque nel significato delle parole una tran-
sizione, della quale, nel loro uso, devesi tener conto. Si consideri, ad
esempio, il vario significato della parola lettera (lettera dell’ alfabeto,
lettera missiva, let- teratura) e della parola gusto (sentimento
estetico, e facoltà di distinguere il bello). E quanto alle meta-
fore, si consideri, ad esempio, il significato che la pa- rola luce
acquista quando si applica all’istruzione, e la parola fuoco applicata
alla collera e allo zelo: e si considerino le parole nascere e morire ,
che si usano in un senso molto piu largo che non sia quello stret-
tamente biologico. A tale varietà di significato nelle medesime
parole, contribuiscono anche la metonimia (es. corona per re-
(/no), i suffissi (es. pregiudizio, difetto, illimitato), le pe- rifrasi
(es. padre della storia), la composizione (es. strada-ferrata, acquavite
ecc.). Vediamo adunque come, o per circostanze acciden- tali,
o per bisogni veri, si trasformi il significato di una parola, cosicché
non sarebbe né possibile né utile restar fedeli al significato primitivo.
E ciò dicasi sia del linguaggio tecnico di una scienza, che si muta
col progredire e con lo trasformarsi di questa, sia del linguaggio
familiare. Non possiamo pertanto accontentarci del dizio-
nario, dove il senso di una parola è spesso piuttosto indicato che non
esattamente precisato. La precisione del significato deriva dall’uso, nel
quale pertanto trovasi il migliore ammaestramento. Chi tenesse a sola
guida il dizionario, non riconoscerebbe somiglianze e diffe- renze,
e anche semplici sfumature di significato, di cui il dizionario non tiene
conto; come avvertiamo fa- cilmente in chi parla una lingua di cui non ha
il più sicuro e largo possesso. -10 — 1
ELEMENTI HI LOGICA Giovanni Marchesini. Keywords: “L’educazione del
soldato” --. Marchesini. Keywords: l’educazione del soldato, con il capitano
Ercole Meoli, la Societa di Genetica e Eugenica SIGE – Societa Italiana
diGeneica ed Eugenica – il simbolismo – la dottrina del simbolismo – I
simbolisti – I filosofi simbolisti – I artisti simbolisti – Welby, Ogden,
Grice, ‘il simbolo del simbolo’ -- il cammino del cavaliere, codigo
cavalleresco, cavalleria, cavallo, equites romano – tutii questi appartneno
all’altro Marchesini – questo Marchesini e tradizionale --. Resf.: Luigi Speranza, “Grice e Marchesini” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745511747/in/datetaken/
Grice e
Marchesini – postumanar, trasumanar – sovrumanar – eta degl’omini – vico --
umanar – equites romani -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna).
Filosofo. Grice: “I don’t think Marchesini has a philosophical background, but
he fascinates me! I especially liked his idea about ‘virility’ and the idea of
a knightly code – ‘codice cavalleresco’ – The other field that fascinates me is
his research on ‘inter-subjectivity’ in the living form – which he now extends
to plants – ‘vivente’ – Surely we don’t refer to a cat as an object – and the
philosophical keyword here is ‘threshold,’ that Marchesini aptly uses.” Cardine
della sua proposta filosoficariconducibile, seppur con caratteristiche proprie,
alla più ampia corrente del Post-humanè lo smascheramento di quell'errore
prospettico che pone l'uomo al centro e a misura dei suoi predicati.
«Comincerò il mio viaggio dal prato più bello, quello che l'aria non abbandona un
istante, il sole vi si intrappola da splendere pur di notte ed i profumi
vergini coesistono con quelli gravidi. È qui che il dio Pan cadde la notte dei
tempi, da qui iniziò il suo girovagare incerto, all'unico desiderio
d'amare» (R. Marchesini, Il dio Pan). Da sempre affascinato dalla natura
e, in particolare, dal regno animale, consegue la laurea a Bologna. Parallelamente
agli anni di formazione universitaria, spinto da un forte interesse verso il
comportamento animale, stringe una feconda collaborazione e amicizia con
l'etologo Giorgio Celli, con il quale inizia a indagare le interazioni sociali
degli imenotteri. Per cinque anni conduce ricerche “sul campo” e, con l'ausilio
della macrofotografia, è in grado di immortalare quegli attimi di vita animale
altrimenti nvisibili all'occhio nudo: rituali di corteggiamento, di
accoppiamento e di trofallassi tra gli insetti che diventeranno il viatico per
tutta la sua ricerca futura. Nei suoi studi di entomologia approfondisce
l'analisi dei sistemi feromonali che saranno tema di alcune pubblicazioni e
della successiva ricerca sul comportamento e sul benessere animale. Nella
seconda metà degli anni ottanta, sotto la guida del professor Franco Pezza,
dell'Università degli Studi di Milano, studia i metodi di allevamento, i
parametri di benessere nelle aziende zootecniche, i fattori di incidenza del
rischio in zootecnia, le modalità di individuazione dei sinistri, pubblicando
alcuni lavori sulla medicina veterinaria delle assicurazioni. Inizia così
la sua collaborazione con diversi atenei sui temi del comportamento animale,
tenendo corsi e master di etologia applicata e medicina comportamentale. Alla
metà degli anni novanta entra nel Consiglio Direttivo della Società di
Scienze Comportamentali Applicatedi cui diverrà Presidente focalizzando la
propria attenzione sul comportamento degli animali domestici, sugli stili di
relazione interspecifica, sui problemi e sulle patologie comportamentali.
Osservando sul campo le espressioni comportamentali e i processi di
apprendimento degli animali, inizia a considerare anacronistici e
contraddittori i modelli esplicativi tradizionali. In sintesi, quello che
Marchesini propone nel panorama delle scienze cognitive è un superamento dei
tre modelli interpretativi al comportamento animalequello behaviorista, quello
etologico classico e quello antropomorficoin virtù di un modello mentalistico
unitario (un'unità necessaria che la mente, come fenomeno unico, richiede), che
valga sia per i processi consapevoli che inconsapevoli e che descriva
espressione e apprendimento in termini elaborativi dell'informazione, sistemici
o composizionali dellecomponenti, solutivi e non reattivi, evolutivi e
relazionali nella realizzazione ontogenetica. Questo porterà alla pubblicazione
di tre testi dal forte impatto innovativo: Intelligenze plurime e Modelli
cognit ivi e comportamento animale ed Etologia cognitiva. Alla ricerca
della mente animale. Gli assunti di base della proposta di Marchesini sono i
seguenti: il soggetto è immerso in un campo di possibilità filogenetiche
che definiscono il tipo di intelligenza propensionale o specie-specificada cui
l'idea di pluralità cognitiva dove le diverse intelligenze sono comparabili ma
non commensurabili; il processo ontogenetico di costruzione dell'identità si
realizza grazie alle dotazioni innate, che ricche di virtualità evolutive,
possono essere organizzate in una molteplicità di modida cui l'idea di rapporto
dimensionale o direttamente proporzionale di innato e appreso; l'espressione
del soggetto è sempre proattiva, mossa cioè da un obiettivo, e quindi frutto di
una condizione problematica che il soggetto cerca di risolvere attraverso
ricette solutive fino al raggiungimento dell'obiettivoda cui il superamento del
concetto di rinforzo. Vi è quindi una ridefinizione della soggettività animale,
come possesso del suo qui e ora, e come capacità di mettere in dialogo tutte
quelle istanze (ontogenetiche e filogenetiche) che gli appartengono nella sua
relazione con il mondo. Bioetica e diritti animali Alla fine degli anni ottanta
si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Bologna, con l'intento di
sondare il rapporto uomo-natura da una prospettiva pedagogico-filosofica.
In questi anni inizia a portare nelle scuole percorsi progettati appositamente
a misura di bambini per permettere loro di conoscere la varietà del mondo
animale evitando letture antropomorfiche, quelle viziate, ad esempio, dai
sedimentati repertori culturali. È in questi anni che avviene uno degli snodi
cardine nell'attività di Marchesini: egli si accorge che le potenzialità che è
in grado di esprimere il binomio bambinoanimale (o più in generale uomoanimale)
è da ricercarsi non nella performatività quanto piuttosto nelle dinamiche che
la relazione, unica e irripetibile, è in grado di generare. L'animale coinvolto
nelle attività didattiche non è più un oggetto dal quale attingerequasi fosse
una fonte miracolosaelementi benefici al percorso formativo del bambino, ma è
nel suo essere soggetto e capace di stipulare un patto con il proprio interlocutore
che lo fa divenire elemento imprescindibile di ogni percorso formativo.
L'esperienza condotta all'interno delle scuole porta Marchesini alla stesura
del volume Natura e pedagogia, inizialmente nato per divenire la sua tesi di
laurea, ma pubblicato prima della conclusione degli studi umanistici. Le
attività con i bambini lo conducono in tutta Italia portando in evidenza due
aspetti: il divorzio che si è andato realizzando tra l'uomo e le altre
specie nella cultura contemporanea, con bambini che non sono in grado di
relazionarsi con gli animali e spesso nemmeno conoscono le specie domestiche;
la svalutazione degli animali e l'incapacità della società contemporanea di
avere consapevolezza dell'importanza della relazione con le altre specie per lo
sviluppo della personalità. Per Marchesini la svalutazione operata dalla
società contemporanea parte dalla perdita di quel rapporto di convivenza e di
ospitalità che viceversa ancora caratterizzava la cultura rurale. Nasce così il
Concetto di soglia (che esprime il bisogno di uscire dalla dicotomia
novecentesca dell'antropomorfismo e della reificazione dell'eterospecifico.
Temi già affrontati in due saggi precedenti, Animali di città, critico verso
l'antropomorfizzazione degli animali da compagnia, Oltre il Muro, critico verso
la reificazione dei cosiddetti animali da utilità. Sono gli anni in cui
riflette sul pensiero animalista e sulla bioetica animale fondando, insieme a
colei che diventerà la sua storica collaboratrice, Sabrina Golfetto, la casa
editrice Apeiron con lo scopo di creare un luogo dove ospitare riflessioni e
dibattiti su tali tematiche. Sono gli anni in cui abbraccia, senza più
abbandonarlo, il vegetarianesimo e dà vita assieme a Luisella Battaglia e a
Margherita Hack a un'intensa attività convegnistica che confluirà nella collana
Quaderni di bioetica di cui sarà direttore. Nel
sostituisce Caffo, che ne era stato fondatore e primo direttore, nella
direzione di Animal Studies: Rivista Italiana di Antispecismo. Nel
maggio esce per le Edizioni Sonda Contro
i diritti degli animali? Proposta per un antispecismo postumanista. Il saggio
affronta il tema dello specismo passando in rassegna le incongruenze e le
incoerenze nascoste nelle maglie di un dibattito filosofico e culturale che
pretende di sospendere l'antropocentrismo, rimanendo all'interno di una cornice
umanistica. Il testo vede i commenti finali di Rodotà, Sax, Vallauri e
Fadini. Porta la neonata zooantropologia in Italia, disciplina all'interno
della quale compie una sistematizzazione sia a livello teorico, accanto alle
antropologhe Eleonora Fiorani e Sabrina Tonutti, sia a livello applicativo con
la delineazione di protocolli operativi nelle aree educative e
assistenziali. Per ciò che concerne la zooantropologia teorica, l'ipotesi
di fondo proposta da Marchesini, e riconducibile alla sua teoria della
zootropia, è che gli animali nel corso della storia non abbiano funto solo da
produttori di prestazioni o di collezioni di modelli da imitare ma altresì da
alterità referenziale nei processi antropopoietici. Marchesini sviluppa il
concetto di "referenza animale", inteso come contributo di
cambiamento offerto all'uomo dalla relazione con l'etero-specifico. Gli
uccelli non hanno insegnato all'uomo l'arte di volare -- il modo di realizzare
questa attività -- ma gli hanno ispirato la dimensione esistenziale del volare.
Per Marchesini i predicati umanicome la danza, la musica, la cosmesi, la
tecnicavanno considerati come frutti ibridi, esito cioè dell'incontro
relazionale con le altre specie. Il motore della cultura umana è quindi per
Marchesini rintracciabile nell'incontro con l'alterità animale che, nella forma
di una vera e propria epifania, è stato capace di re-direzionare l'uomo lontano
dal suo centro filogenetico e dalla sua solipsia di specie dando vita a nuove
possibilità esistenziali. Per ciò che concerne la zoo-antropologia applicata,
opera una trasformazione in alcuni settori delle attività di relazione con gli
animali, dalla pet therapy alla pedagogia cinofila, impostando i
"protocolli dimensionali", vale a dire individuando nel rapporto
delle dimensioni di relazione, ciascuna dotata di specificità sia di ordine
relazionale che referenziale. In pet therapy lavorare secondo l'approccio
dimensionale significa evitare l'incontro generico tra un paziente e un animale
ma individuare le dimensioni di relazione che sono utili al fruitore secondo i
suoi bisogni specifici e renderle operative attraverso attività
specifiche. Allo scopo di formare nuovi operatori in grado di lavorare
secondo i protocolli dimensionali fonda “Scuola di Inter-Azioone Uomo-Animale
on sede a Bologna. Sii fa co-promotore di Carta Modena (Carta dei Valori e
dei Principi della Pet-Relationship) che riceve il patrocinio del Ministero
della Salute. Il documento mira a tutelare, all'interno del panorama della
attività assistite dagli animali (A.A.A.) sia il fruitore, il benessere
dell'animale coinvolto e il principio inter-relazionale che dal binomio
scaturisce. Pubblica “Etologia filosofica: alla ricerca della inttersoggettività
animale” con il quale inaugura la riflessione ontologica sul carattere
dell’intersoggettività animale, vale a dire su che cosa differenzia un “oggetto”
da un essere “vivente.” Rilegge l'ontologia animale in termini di
"desiderio". “Essere animale” (essere vivente) significa prima di
tutto "essere desiderante", una condizione di *non*-equilibrio che
rende due animali protagonisti de loro divenire nonché capaci di definire il
corso della filogenesi di specie. L'etologia filosofica diviene ben
presto un campo di ricerca entro il quale dialogano allo scopo di ridefinire i
contorni di ciò che intendiamo con essere animale. Inizia la ricerca
filosofica che va a innestarsi nella costellazione di studi definita come
post-human. È di questo period della ri-definizione dell'umano quale
entità ibrida, puntualizzato nel dettato che vede l'uomo non più misura del
mondo ma nemmeno misura di se stesso. In tale corrente filosofica ci sono per
Marchesini le giuste premesse per poter articolare la propria riflessione in
quanto il concetto di “alterità” nel progetto post-human assume un significato
molto più vasto, abbracciando di fatto le entità non umane animali e
macchiniche. Collabora con la rivista Virus inaugurando una nuova
estetica basata sull'ibrido come manifestazione contemporanea del sublime. In
tale luce il Manifesto del Teriomorfismo rappresenta il documento attraverso il
quale gli artisti rifiutano il dettato antropocentrico e riconoscono la natura
ibrida di ogni processo creativo. All'interno di tale campo d'indagine
pubblica Animal Appeal e una feconda collaborazione che travalica i campi
disciplinari e rivela ancora una volta i debiti che la cultura, in questo caso
l'arte, ha contratto con le alterità. Conosce Salsano, storico, sociologo ed
editor della casa editrice Bollati Boringhieri, che affascinato dal lavoro di
Marchesini decide di pubblicare un primo saggio sul rapporto tra bios e techne
dal titolo La fabbrica delle chimere (1999), testo che si pone a cavallo tra le
precedenti esperienze in zooantropologia e bioetica e la nuova riflessione
postumanistica. Esce Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, testo
corposo, concettualmente denso e dalla molteplicità di riferimenti, che ha
suscitato un grande dibattito nel mondo accademico portando il suo autore a
divenire punto di riferimento per ogni ricognizione che vada ad indagare i
rapporti che intercorrono tra vivente (sia esso umano o animale) e tecnica.
Sempre nel medesimo anno fonda Il Centro Studi Filosofia Postumanista allo
scopo di promuovere e sviluppare le tematiche legate al post-human da diverse
prospettive, arte, letteratura, cinema, new media, formazione. Innumerevoli
saranno poi le pubblicazioni sul pensiero postumanista, che vedranno la
pubblicazione del saggio Il tramonto dell'uomo. Inoltre, traduce, cura e scrive
la postfazione dell'edizione italiana del testo The Companion Species Manifesto
di Haraway. Esce per Mimesis Epifania animale. L'oltreuomo come
rivelazione nel quale Marchesini evidenzia come la cultura non vada pensata in
modo antropocentrico come l'esito autarchico di un processo creativo
interamente svolto dall'uomo, pur avvalendosi di materiale zoomorfo, ma come
una rivelazione epifania ispirata dal non umano. Torna in libreria con un
volume interamente dedicato al rapporto tra bios e tecnica, Tecnosfera.
Proiezioni per un futuro postumano (Castelvecchi). Rilegge il connubio tra
essere umano e tecnologia come una partnership emersa dal corredo filogenetico
della specie Sapiens, mettendo in luce le potenzialità ibridatrici e
plasmatrici della tecnologia. Da questa prospettiva, ogni invenzione, ogni
scoperta, ha un effetto epifanico; apre, cioè, una nuova dimensione di
imprevisto e di opportunità che modifica i confini e la percezione di ciò che
definiamo umano. Il mondo degli insetti (“as I observed squarrels” –
Grice) così minuziosamente osservato risulta essere particolarmente evocativo
anche da un punto di vista estetico e narrativo tant'è che dà alla luce la
raccolta di racconti lirici “Il dio Pan,” frutto in parte anche delle
osservazioni compiute tra gli imenotteri. Nei brevi racconti dedicati al
dio agreste della mitologia greca, cerca di sfatare il mito di una natura, da
un lato meccanicistica (mera esecutrice dei dettami della genetica) e
dall'altro lato bucolica e idealizzata che nulla o poco rappresenta ciò che
l'autore mira ad affrescare: una natura reale, un mondo del vivente a volte
crudele ma in grado di interconnettere profondamente tutti i suoi abitanti: la
preda e il predatore, la cavalletta e la mantide. Il testo, recepito
positivamente dall'ambiente culturale bolognese, porta Marchesini a stretto
contatto con il Roversi, altra figura che influenzerà profondamente la sua
attività futura portandola a spingersi in plurimi territori e a cavallo di
numerosi discipline: dalla narrativa alla poesia, passando per la
filosofia. Pubblica il romanzo Uscendo da Lauril e la raccolta di racconti Specchio animale che
ospita la postfazione di Leonetti. Con la pubblicazione di Uscendo da Lauril in
particolare,intraprende l'esperimento di trasferire sul piano narrativo le
evocazioni postumanistiche partendo dalla poetica cyber-punk. In entrambi i
lavori è possibile ritrovare quegli elementi che contraddistinguono la speculazione
filosoficai: la dialettica tra identità alterità, il rifiuto di qualsiasi mito
della purezza originaria e di ogni forma di antropocentrismo. Esce per la
casa editrice Mursia Ricordi di animali, l'autobiografia volta a raccogliere la
storia di vita dell'etologo osservata tramite la lente dei numerosi animali che
ne hanno scandito le tappe fondamentali. -- è invece la volta de La filosofia del
giardiniere, pubblicato dalla Graphe edizioni nella collana Parva. Il libro è
composto di due parti, nella prima il lettore è condotto dalle parole a
passeggiare nel giardino, novello atelier darwiniano, con stupore e riverenza.
Nella seconda sono le immagini di alcuni giardini del mondo a far continuare la
riflessioni sulla cura, portate avanti da Marchesini. Roberto
Marchesini nel Centro Studi di Galliera (Bologna) Progetti esteri Roberto
Marchesini tiene regolarmente conferenze in diversi paesi del mondo tra i
quali: Stati Uniti, dove dal tiene
annualmente una lecture presso l'Harvard, Brasile, Messico, Cile, India, Australia,
Francia, dove è stato ospite della Sorbona, Spagna, Portogallo. Cura la
rubrica etologia a cadenza settimanale "Gli animali che dunque siamo"
per Il Corriere della Sera. “Intelligenza emotiva versus intelligenza
cognitive” in Pluriverso, 3, La Nuova
Italia, La via vegetariana per un mondo
migliore, Vimercate, La spiga vegetariana, pagina 2:// novalogos/drive /File/ LIBRO%
20ANIMAL %20 STUDIES %201- novalogos// drive/File/
animalstudies. R. Marchesini, Teriomorfismo, Bologna, Apeiron. Bioetica,
diritti animali, pedagogia e scienze cognitive. Oltre al muro, Torino, Franco
Muzzio Editore, Natura e pedagogia, Roma, Theoria, Il concetto di soglia, Roma,
Theoria, Io e la natura, Forlì-Cesena, Macro Edizioni, La fabbrica delle
chimere. Biotecnologie applicate agli animali, Torino, Bollati Boringhieri, Bioetica e scienza veterinarie, Edizioni
Scientifiche Italiane, "Intelligenza emotiva versus intelligenza
cognitiva", In Pluriverso, Firenze, La Nuova Italia, Bioetica e
biotecnologie. Questioni morali nell'era biotech, Bologna, Apeiron,
Intelligenze plurime. Manuale di scienze cognitive animali, Bologna, Peridsa,
“Il galateo per il cane” Milano, Giunti, “Modelli cognitivi e comportamento
animale: Coordinate di interpretazione e protocolli applicative;; Contro i
diritti degli animali? Proposta per un anti-specismo post-umanista,
Alessandria, Edizioni Sonda, Vivere con
il cane. Come migliorare il rapporto fra cani, adulti e bambini, Firenze, De
Vecchi, Il bambino e l'animale. Fondamenti per una pedagogia zoo-antropologica,
Roma, Anicia, Etologia cognitiva. Alla
ricerca della mente animale, Bologna, Apeiron, Pluriversi cognitivi. Questioni
di filosofia ed etologia, Milano, Mimesis, Geometrie esistenziali. Le diverse
abilità nel mondo animale, Bologna, Apeiron, Zooantropologia. Animali e umani: analisi di
un rapporto, Como, Red, Animali in città. Manuale di zoo-antropologia urbana,
Como, Red, Homo Sapiens e mucca pazza. Antropologia del rapporto con il mondo
animale, Bari, Dedalo, R. Fondamenti di zooantropologia. Zooantropologia
applicata, Bologna, Perdisa, Manuale di zooantropologia, Roma, Meltemi, Il codice degli animali magici, Firenze, De
Vecchi, L'identità del cane. Storia di una implicatura conversazionale tra
specie; Bologna, Apeiron, L'identità del gatto. La forza della convivialità,
Bologna, Apeiron, Cane & Gatto. Due stili a confronto, Bologna, Apeiron, Etologia filosofia. Alla ricerca della inter-soggettività
animale, Milano, Mimesis, Emancipazione dell'animalità, Milano, Mimesis, Posthuman.
Verso nuovi modelli di esistenza, Torino, Bollati Boringhieri, Il problema del
corpo, tra umanesimo e postumanesimo, in Janus, Tecno-scienza e approccio post-umanistico, in
Millepiani, R. Marchesini, Il tramonto dell'uomo. La prospettiva postumanista,
Bari, Dedalo, R. Marchesini, Filosofia postumanista e antispecismo, in
Liberazioni. Rivista di critica antispecista, L. Caffo, R. Marchesini, Così
parlò il postumano, a cura di. E. Adorni, Aprilia, Novalogos,,R. Marchesini,
Epifania animale. L'oltreuomo come rivelazione, Milano, Mimesis, R. Marchesini, Ibridazioni e processi
evolutivi, in Formazione e post-umanesimo. Sentieri pedagogici nell'età della
tecnica, Milano, Raffello Cortina, Etologia filosofica. Alla ricerca della inter-soggettività
animale, Milano, Mimesis, Alterità. L'identità come relazione, Modena, Mucchi Editore, Tecno-sfera.
Proiezioni per un futuro postumano, Roma, Castelvecchi, Eco-ontologia. L'essere
come relazione, Bologna, Apeiron, R. Teriomorfismo, Bologna, Hybris, Poetiche postumaniste in Polimorfismo,
multimodalità, neobarocco, N. Dusi e C. Saba, Silvana Editore,, R. Marchesini, "Ontani. Argonauta
dell'ibridazione", in Ontani incontra Giorgio Morandi. Casamondo, Danilo
Montanari Editore, Il Dio Pan. Racconti
lirici, Firenze, Firenze Libri, Graphe edizioni, Perugia, Uscendo da Lauril,
Roma, Theoria, Specchio animale. Racconti di ibridazione, Roma, Castelvecchi, Ricordi
di animali, Milano, Mursia, Il cane secondo me. Vi racconto quello che ho imparato
dai cani, Alessandria, Sonda, La filosofia del giardiniere. Riflessioni sulla
cura, Perugia, Graphe edizioni. Blog
ufficiale, su marchesini etologia. vegetti della letteratura fantastica, Fantas
cienza Academia.edu. Sito ufficiale (Scuola di Inter-azione Uomo-Animale).
Centro Studi Filosofia Postumanista diretto da. Grice: “There are two Robeto
Marchesini – but only one is a philosopher. The other writes on ‘il cammino del
cavalier’ and the ‘codice caavlleresco’ and the equites romani, but he is not
recognized as a philosopher!” -- Roberto Marchesini. Marchesini. Keywords:
terio-morfismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchesini” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691135341/in/photolist-2mKLzDp
Grice e
Marchetti – filosofia italiana – della natura delle cose -- Luigi Speranza (Empoli).
Filosofo. Grice: “I love Marchetti;
for once, he had to find vulgar terms for all of Lucretius’s learned ones! The
Italians used to call their own tongue ‘volgare’ then --; this is not easy
matter (to translate Lucretius, not to call your tongue volgare), especially
since Lucretius was often unclear to himslf – talk of my conversational
desideratu of conversational perspicuity [sic]!” -- Grice: “I like him because
he axiomatised Galilei!” Professore a Pisa, contina le ricerche di Galileo n
come iViviani. Collabora con Papa.
Scrisse rime morali ed eroiche. L’opera cui deve la sua fama è la
traduzione “Della natura delle cose” di Lucrezio. Considerata come un manifesto
di razionalismo, “La natura dellle cose”
influì notevolmente sul gusto arcadico per la purezza della lingua e l'eleganza
dello stile. La diffusione di idee
materialiste attirò sul Marchetti l'accusa di empietà. Pur rifugiatosi nella
poesia, non riuscì ad evitare le indagini del Sant'Uffizio, ispirate
soprattutto da Vanni. Per altre sue opere di successo fu attaccato dagli
oppositori di Galileo. Membro dell’ Accademia dei Disuniti, Accademia
dell'Arcadia, Accademia dei Fisio-critici, Accademia dei Risvegliati, Accademia
della Crusca e Accademia Fiorentina. Saggi: “De resistentia solidorum” (Firenze,
typis Vincentij Vangelisti e Petri Matini (Grice: “Opera abbastanza interessante, basata sulla teoria
galileiana, cui Marchetti dà una struttura assiomatica – ripetto, ‘assiomatica’
-- rigorosa. Tratta in larga parte il problema dei solidi di uniforme
resistenza, precedendo di mezzo secolo l'importante trattato di Grandi), “Exercitationes
mechanicae” (Pisa, Ferretti); “Della natura delle comete,” “Lettera scritta
all'illustriss. sig. Francesco Redi,” Firenze, alla Condotta, “Saggio delle
rime eroiche morali e sacre,” dedicato all'altezza reale di Ferdinando principe
di Toscana” (Firenze, Bindi); “Anacreonte,” radotto in rime toscane, e da lui
dedicato all'altezza reale di Ferdinando principe di Toscana, In Lucca, per L.
Venturini. “Della natura delle cose libri sei” (per Giovanni Pickard) Vita e poesie
da Pistoja filosofo e matematico all'illustrissimo sig. cavaliere F. Feroni
marchese di Bellavista patrizio fiorentino e accademico della Crusca (Venezia,
aValvasense (Contiene poesie con la “Vita” scritta dal figlio Francesco). G. Costa,
Epicureismo e pederastia: il Lucrezio e
l'Anacreonte secondo il Sant'Uffizio, Firenze, Olschki, Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Mario Saccenti, “Lucrezio in Toscana: Studio
su Marchetti” (Firenze, Olschki); De
rerum natura Razionalismo, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Crusca. Alessandro
Marchetti. Marchetti. Keywords: implicatura, lucrezio, della natura delle cose,
pederastia, il poeta filosofo, l’essamero di Lucrezio, l’essameri di Lucrezi,
il poema filosofico latino, il genero filosofico nella poesia latina. Lucrezio,
alma figlia di giove, inclita madre. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchetti”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51638862376/in/photolist-2mNaHiH-2mF9EHo-2mKLXoX-nSNEUQ
Grice e
Marchi – la missione di Roma – la religione civile di Mussolini -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Potenza). Filosofo. Grice: “Marchi
displays a few features hardly found at Oxford: He edited a magazine,
“filosofia mazziniana” – I can imagine Bradley wanting to edit “Hegeliana” at
Oxford – and we do have a Gilbert Ryle Room, and an Occam Society! The other
trait is illustrated by his manifesto, “La missione di Roma,” – Churchill would
have equaled with something Anglian!” Generale di corpo d’armata italiano,
Medaglia d'oro dei Benemeriti dell'Educazione Nazionale. Insegna a Roma. Cura
la pubblicazione di diverse riviste in cui si confrontarono alcuni studiosi del
primo Novecento italiano come Varisco. Tra queste Dio e Popolo e “L'idealismo
realistico.” Dio e Popolo, rivista di ispirazione mazziniana, accoglie scritti
miranti alla ricostruzione della filosofia religiosa di Mazzini e i rapporti
tra religione e stato; nega l'ateismo e persegue l'ideale di “repubblica”. “L'idealismo
realistico” raccoglie teorie filosofiche di stampo anti-gentiliano. A lui è dedicato il Premio tesi di Laurea
“Vittore Marchi”, bandito da Roma Tre per i neolaureati che abbiano sostenuto
tesi su un argomento concernente il pensiero filosofico antico degne di essere
pubblicate; e un parco al Municipio IV. Saggi: “La filosofia religiosa di Mazzini,
in Dio e Popolo, “La missione di Roma” o, Atanòr Ed., Il concetto e il metodo
della ‘storia della filosofia,’ – Grice:
“His apt implicature is that if you are an idealist, don’t shed your
idealism when discussing J. J. C. Smart!” -- Filosofia e religione, La perseveranza
Ed., Potenza, La filosofia morale e
giuridica di Gentile, Stabilimento Tipografico F.lli Marchi, Camerino, Relazione
tra la filosofia teoretica e la filosofia pratica – Grice: “I would strongly
assert that it’s the same thing: ‘Poodle is our man in practical philosophy’
sounds obscene’” -- in L'idealismo
realistico, Roma, “Le prove dell'esistenza di Dio, in L'idealismo realistico,
Roma, Gli è stato dedicato un parco a Roma. Gramsci (J. A. Buttigiec), G. De
Turris, Fenomenologia dell'individuo assoluto, Roma, Edizioni Mediterranee.
//uniroma3/news.php?news=603. Vittore Arnaldo Marchi. Vittore Marchi. Marchi.
Keywords: la missione di Roma, Mazzini, filosofia mazziniana, rivista di
filosofia mazziniana, gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchi” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51717823923/in/photolist-2mQoEyX-2mQiU3r-2mPXNYj-2mPMBQM-2mPAuFE-2mPrb68-2mN8nen-2mLKtaD-2mLLy7L-2mLLy6U-2mLGvyP-2mLQZBN-2mLKeCe-2mLDFVG-2mLCU95-2mKTjot-2mPV6V9-2mKAuZM-ErqrPW-DvhhWW-DhRHD2-nBSZNh-hJHSQv
Grice e
Marchi – l’anima del corpo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia).
Filosofo. Grice: “His ‘poesia del
desiderio’ is confusing – he means tenderness, as Scruton does in his book on
“Sexual arousal”” -- Grice: “Perhaps Marchi’s most provocative piece is
“L’anima DEL corpo.” If I were to be tutored on that by Hardie, I can very well
imagine Hardie – he was a Scot – ‘what d’you mean, ‘of’?” Psicoterapeuta di
formazione reichiana, umanista, autore di scritti talvolta controversi perché a
scopo provocatorio, si define Solista ed ama stare «fuori
dall'Accademia». Psicologo clinico e sociale, politologo e autore
di numerosi saggi, è stato protagonista di varie battaglie per i diritti civili
e sessuali, riuscendo con una sentenza della Corte Suprema sulla “Vertenza tra
il Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Emilio Colombo, e Marchi”, ad ottenere la revoca dei divieti
penali all'informazione e all'assistenza anti-concezionale e ad avviare la
realizzazione di una rete di migliaia di consultori sessuologici e familiari
pubblici. Fonda l’'AIED, guidando l'Associazione in qualità di Segretario. Ha
dato per oltre quarant'anni un contributo determinante non solo alla
segnalazione della pericolosità dell'esplosione demografica (da lui definita
“la madre di tutte le tragedie”) e dei suoi corollari (fame, guerre, genocidi,
disastri ambientali, disoccupazione di massa, migrazioni disperate, crisi
energetica mondiale) ma anche al chiarimento dei meccanismi psicologici che
hanno finora impedito di comprendere e di affrontare questa tragedia
planetaria. Dimostrato con alcuni foto-romanzi interpretati da noti attori (Paola
Pitagora, Pagliai, Gassman, Zavattini e Valdemarin) che i messaggi mass-mediatici
associati alla psicologia motivazionale sono lo strumento più efficace per
indurre le masse alla regolazione delle nascite: una tesi oggi confermata da
varie organizzazioni internazionali. --Presidente italiano di tre
importanti Scuole di Psicoterapia da lui fondate: quella psico-corporea di Reich,
quella bioenergetica di Lowen e quella umanistica di Rogers. Marchi matura un
diverso punto di vista nei confronti degli approcci teorici di Reich, Lowen e
Rogers (a suo parere non avevano colto fino in fondo l'importanza della
coscienza e dell'angoscia della morte nella genesi delle patologie psichiche
umane) e propone una teoria della
cultura e della nevrosi in un libro (“Scimmietta ti amo -Psicologia Cultura
Esistenza: da Neanderthal agli scenari atomici ” Ed. Longanesi “Lo shock primario”,
Ultima Ed. Rai-Erit) che viene proclamato “Libro del Mese”. Fonda a Roma
l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale, oggi diretto da Filastro.
Pioniere della ricerca psico-sociale, è
stato Presidente Onorario della Società Italiana di Psicologia Politica. I suoi
contributi in questo campo sono stati: 1) la fondazione della Psicopolitica (un
metodo di analisi psicologica dei fenomeni socio-culturali che propone una “lettura” psicologica di tali
fenomeni, diversa da quelle di carattere marxista, idealista o istituzionalista
finora prevalse, con risultati fallimentari, nelle scienze sociali e politiche
tradizionali); 2) l'elaborazione d'una nuova "Psicologia Politica Liberale".
Si è interessato anche al teatro e alla televisione, creando programmi di cui Fellini
scrisse: “Ecco una nuova televisione culturale di cui c'è, oggi, bisogno”. E
per oltre due anni ha condotto un programma di psicologia su RaiUno ” La chiave
d'oro” con Baldini. Guzzanti ha scritto di lui: “ è un felice incrocio tra
Russell ed Allen”. Attivista per il riconoscimento dei diritti alla
contraccezione, al divorzio, all'interruzione di gravidanza e all'eutanasia, ha
fondato il Centro informazioni sterilizzazione aborto) che anticipò la legge sull'aborto
in Italia, e l'Associazione italiana per l'educazione demografica. Ha costantemente sostenuto l'importanza del
problema della crescita demografica e dei problemi economici, ecologici,
sociali e psicologici ad essa connessi. Pur essendo favorevole alla
chiusura dei manicomi, ha criticato la legge Basaglia in quanto scaricava sulle
famiglie il problema dei malati psichiatrici pericolosi; parlando dei delitti
in famiglia, evidenziò come il nucleo familiare resti il luogo principale in
cui avvengono gli omicidi, a suo giudizio "frutto del fallimento"
della legge 180 sulla salute mentale. Propose «una riforma radicale e
l'apertura di cliniche psichiatriche che non siano i vecchi manicomi ma
strutture umanizzate, oltre che di centri per l'attività riabilitativa».
Aderente al Partito Radicale, ha tenuto per tredici anni la rubrica
bisettimanale "Controluce" su Radio Radicale, in cui ha trattato temi
che venivano altrove trattati con conformismo: il sesso e l'amore, la
procreazione e la contraccezione, le malattie e la morte, il lavoro e le
rendite, la libertà e l'autoritarismo. È stato autore della "Teoria
liberale della lotta di classe", nel volume O noi o loro!. Istituto di
Psicologia Umanistica Esistenziale Modello, Fondatori e Storia della Scuola -- è
mosso dalle radici comuni teoriche ed epistemologiche riconducibili alla
fenomenologia e all'esistenzialismo, fondamentali correnti filosofiche del
‘900, e da alcuni autori significativi del movimento della psicologia
umanistico-esistenziale in particolare Carl Rogers, Rank, Frankl, Binswanger, Boss,
Jaspers, Minkowski. Eredita la particolare concezione dell'uomo e della vita,
che rivendica all'essere umano il diritto e la capacità di scelta.
Consapevole della sovrabbondanza di Scuole Psicologiche esistenti in Italia
esitò prima di fondare l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale. Preferì
lavorare nell'ambito di indirizzi già affermati, che sentiva geniali e creativi
e fu l'iniziatore della Scuola Reichiana in Italia Presidente dell'Istituto di
Bioenergetica W. Reich di Roma e per 6 anni Presidente dell'Istituto di
Psicologia Rogersiana (FDI) e inoltre concorse a riscoprire e valorizzare
l'opera pionieristica di Rank con la
pubblicazione della sua opera: "Rank pioniere misconosciuto" Melusina,
Esperienze personali drammatiche e ricerche in campo clinico e antropologico
imposero alla sua attenzione l'importanza dell'angoscia di morte come uno dei
più importanti fattori che contribuiscono alla sofferenza psicologica e
psicopatologica. Sentì allora l'esigenza di creare una nuova Scuola che
riuscisse a riconoscere la rilevanza di questa angoscia primaria dell'uomo e di
sviluppare un approccio originale, pluralista e non dogmatico alla sofferenza
umana, fondato sull'integrazione sinergica delle tre dimensioni, di approccio
simultaneoall'essere umano in terapia verbale, corporea ed esistenziale.
Si tratta di un modello che nasce sulla scia della filosofia esistenziale,
dalla quale eredita la concezione dell'uomo e della vita che rivendica
all'essere umano il diritto e la capacità di scelta e, intende: (1)
offrire la possibilità di elaborare e affrontare le tremende tensioni
esistenziali di ogni essere umano anche nel percorso di malattia psichica e
somatica nel clima di contatto empatico, di solidarietà, convogliando nel
processo terapeutico il grande potenziale di crescita e comunicazione del
paziente, la sua conoscenza dei propri bisogni, la sua creatività, l'apporto
decisivo della sua esperienza. 2) che si presenta multidimensionale,
integrato e non dogmatico alla sofferenza umana e psichica e costantemente
aperto ad arricchire la propria prospettiva teorica e clinica attraverso un
confronto critico e di fertilizzazione con altri approcci psicoterapici, e
interviene su 4 dimensioni fondamentali dell'esperienza umana: la
dimensione empatico relazionale, che definisce il nostro modo di essere nel
mondo con gli altri; la dimensione corporea, che spesso esprime sotto
forma di tensioni e dolori muscolari la sofferenza psicologica; la
dimensione esistenziale, che riconosce l'importanza del senso che si riesce a
dare alla propria esistenza; la dimensione cognitiva, che riconosce la
rilevanza sintomatica della sofferenza psicologica e
psicopatologica. Un esempio di
testo provocatorio, scritto senza avere alcuna competenza in infettivologia, è
il seguente sulla cospirazione dell'AIDS: AIDS......affare multi Miliardario,
su mednat.org. e Aids, la grande truffa
continua in: L. De Marchi, Il nuovo
pensiero forte. Marx è morto, Freud è morto e io mi sento molto meglio; altri
scritti di critica, più documentati, hanno riguardato le sue critiche alle
prassi della chemioterapia dei tumori e gli effetti collaterali, come in Kaputt
tutta la ricerca sul cancro? sempre in De Marchi, op. cit. lo psicologo che inventò l'Aied Repubblica Addio a Marchi, lo psicologo che inventò l'Aied L. De Marchi, Il Solista Autobiografia d'un
italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali, Luca Bagatin, articolo su Politica Magazine,
su lucabagatin.ilcannocchiale. Opere:“Sesso e civiltà,” Laterza; “L’orgasmo” Lerici,
Sociologia del sesso, Laterza, Repressione sessuale e oppressione sociale,
Sugar, Wilhelm Reich Biografia di un'idea, Sugar, Psico-politica, Sugar, Vita e
opere di Reich, Sugar, Scimmietta ti
amo, Longanesi, Lo shock primario. Le radici del fanatismo da Neandertal alle
Torri Gemelle, Poesia del desiderio, La Nuova Italia, Seam, Perché la Lega,
Mondadori, Il Manifesto dei Liberisti Le idee-forza del nuovo Umanesimo
Liberale, Seam, Aids. La grande truffa, Roma, Seam, O noi o loro! Produttori
contro Burocrati, ecco la vera lotta di classe della Rivoluzione Liberale, Bietti,
Il Solista Autobiografia d'un italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali,
Psicoterapia umanistica. L'anima del corpo: sviluppi (Franco Angeli, Reich Una formidabile avventura scientifica e
umana, Macro Edizioni, Il nuovo pensiero forte Marx è morto, Freud è morto e io
mi sento molto meglio, Spirali, Svolta a destra? Ovvero non è conservatore chi
combatte parassiti, fannulloni e sfruttatori, Armando Curcio Editore, La Psicologia
Umanistica Esistenziale Rivista delle Psicoterapie, Roma “La Sapienza”, Associazione italiana per l'educazione
demografica, Reich luigidemarchi.blogspot.com
openMLOL Horizons Unlimited srl. Radio Radicale. Istituto di Psicologia
Umanistica Esistenziale IPUE, su ipue. Archivio IPUE, su
luigidemarchi.wordpress.com. Archivio della rubrica "Controluce" che Marchi
teneva su Radio Radicale,, Renato Vignati Luigi De Marchi, un pioniere della
psicologia italiana in Psychomedia, R.Vignati Lo sguardo sulla persona.
Psicologia delle relazioni umane, Libreria universitaria edizioni, Padova.
Luigi De Marchi. Marchi. Keywords: l’anima del corpo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Marchi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703312928/in/photolist-2mQoEyX-2mQiU3r-2mPXNYj-2mPMBQM-2mPAuFE-2mPrb68-2mN8nen-2mLKtaD-2mLLy7L-2mLLy6U-2mLGvyP-2mLQZBN-2mLKeCe-2mLDFVG-2mLCU95-2mKTjot-2mPV6V9-2mKAuZM-ErqrPW-DvhhWW-DhRHD2-nBSZNh-hJHSQv
Grice e
Marconi – linguaggio private – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino).
Filosofo. Grice: “Perhaps his most brilliant exegesis on ‘Vitters’ is that
about what Marconi calls ‘linguaggio private,’ as in Robinson Crusoe. Not!” -- Grice:
“Marconi has attempted to ‘formalise’ dialectic – as in Oxonian dialectic –
which is what Zeno was trying to do with his reductio ad absurdum.” Grice:
“While Marconi starts alright, with Frege, he gets entangled with ‘Vitters;’
p’rhaps his innovative approach is best seen in phrases like ‘il significato
eluso’, which may describe my implicature; but points to an etymology: ‘eluso’
is indeed ‘eluso,’ and means ‘ex-ludic,’ out of the game. The idea being that
the game is a simulated fight, and by eluding a punch from your adversary, you
are, well, ‘implicating’!” Professore a Torino, studia con Pareyson a Torino e
con Rescher, Sellars e Thomason a Pittsburgh, dove studia Hegel. Grice: “In Italy, it is not considered
Italian to get your PhD without – not within – Italy. Similarly, at Oxford, you
cannot get your B. A. Lit. Hum. anywhere
else if you want to be regarded as Oxonian. That’s why I never considered B. A.
O. Williams an Oxonian!” -- Noto per i suoi contributi su ‘Vitters,’presenta
diversi risultati, specie riguardo alla semantica. Su questi temi ha pubblicato
“Filosofia e scienza cognitiva (Laterza). Cura con Ferraris la nuova edizione
della Enciclopedia filosofica Garzanti ed è stato presidente della Società
Italiana di Filosofia Analitica. Saggi: “Il mito del linguaggio scientifico” studio
su Vitters, Milano, Mursia, Dizionari e
enciclopedie, Torino, Giappichelli, “L'eredità di Vitters” Roma, Laterza, Lampi
di Stampa; “La competenza lessicale,” Roma, Laterza, “La filosofia del linguaggio.” Da Frege ai giorni
nostri, Torino, Pomba, “Filosofia e scienza cognitiva,”Roma, Laterza, “Per la verità: relativismo e la filosofia,”
Torino, Einaudi, “Verità, menzogna” – Grice: “The etymology is an interesting
one; since menzogna is cognate to my meaning, so Marconi actually means ‘truth’
versus ‘trust’ – or honesty versus dishonesty – seeing that one can ‘lie’ while
asserting a truth – provided the utterer thinks ‘p’ is ‘false’.” Grice: “But
this is a commissioned thing, so it shouldn’t count as it is Marconi discussing
with a priest!” Trento, Il Margine,; “Flosofia e professionismo,” – Grice: “His
implicature, and a right one, too, is that philosophy is a profession, which
reminds me of ‘A Room with a view’: “And what, Sir Cecil, is your profession?”
“I don’t HAVE a profession!” -- On the
other hand, his translation of my ‘metier’ (mestiere) is an interesting one
(The tiger’s métier is to tigerise). Torino, Einaudi,.“La formalizzazione della
dialettica”: Hegel, Marx e la logica,”Torino, Rosenberg); “Guida a Vitters Il
«Tractatus», dal «Tractatus» alle «Ricerche», Matematica, Regole e Linguaggio
privato, Psicologia, Certezza, Forme di vita. Roma, Laterza, Filosofia analitica,
Prospettive teoriche e revisioni storiografiche. Milano, Guerini, Vercelli,
Mercurio, Scritti sulla tolleranza di Locke, Torino, POMBA, Saggi su Marconi, “Il
significato eluso” saggi in onore di Marconi, numero monografico della «Rivista
di estetica», Treccan Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Intervista di M. Herbstritt, Rivista italiana di filosofia analitica,
sito dell'Università degli Studi di Milano. Diego Marconi. Marconi. Keywords:
linguaggio privato, il significato non eluso, alusione ed elusione, eludire,
aludire, l’alusion elusa, l’aluso eluso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marconi”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718224484/in/photolist-2mQ81kz-2mPoj9X-2mNaqiA-Dw1w1R-BNSPQL
Grice e
Mariano – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Capua).
Filosofo. Grice: “I like Mariano:
his study of Risorgimento applying the philosophy of history is brilliant” Fedelissimo
allievo di Vera, insegna a Napoli. La sua indagine e prevalentemente orientata verso
l'interpretazione di Hegel. Si colloca insieme a Vera in quella tendenza che
privilegia l'interpretazione sistematica e razionale. Inserì talvolta temi non
strettamente legati al pensiero di Hegel affermando tra l'altro che la
filosofia deve essere compiuta dalla religione" (Dall'idealismo nuovo a
quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine hegeliane),
trattando riguardo a ciò che dell'idealismo di Hegel è morto e di ciò che non
può morire", argomento precedentemente trattato da Croce, il quale
risponde aspramente alle argomentazioni proposte da Mariano. “Mariano non ha
mai capito nulla di tutto ciò che vi è di più sostanziale in Hegel come non ha
meditata seriamente nessuna grande filosofia; e (ora si può aggiungere) non ne
ha mai letto le opere. Immaginarsi che il Mariano si afferma hegeliano, mentre
sostiene che la conoscenza non è assoluta; che rimane insuperabile il mistero;
che dio esiste fuori del mondo e sarebbe dio anche senza il mondo; e che la
filosofia deve essere compiuta dalla religione! Insomma, ciò che di Hegel
"non può morire" sarebbe ciò che Hegel non ha mai detto perché
affatto indegno della sua mente altissima.» Si schierò a favore del
mantenimento della pena di morte in un dibattito sul tema, in accordo con iVera
(La pena di morte. Considerazioni in appoggio di Vera Napoli. ), uno dei più
autorevoli difensori del mantenimento di questa pratica. È ancora Croce che
commenta con grave disappunto l'argomento. “Notiamo in ultimo che sempre
riecheggiando i vaniloqui del Vera,Mariano si professa filosofico difensore
della pena di morte: come se la maggiore o minore opportunità di mettere i
delinquenti in segregazione cellulare, o d'impiccarli, ghigliottinarli,
garrottarlie impalarli, costituisse una questione filosofica. Ma Mariano ama
tutte le cause generose; e non è da meravigliare se per esse trascenda persino
i limiti della filosofia.» E anche saggista con un gusto per la
"critica della critica" (cit."Storia Letteraria d'Italia, Volume
III, Armando Balduino") – filosofica -- non trascurando l'arte che
annetteva strettamente alla morale. Rivolse la sua indagine anche al
rinascimento con un Saggio biografico critico su Bruno La vita e l'uomo.
Pubblica nche una monografia "apologetica" di Vera. La sua produzione
fu in un secondo momento soprattutto riferita alla storia, in particolare la
storia del cristianesimo e quella delle religioni in genere, argomenti affini
anche alla materia insegnata presso l'università napoletana. Non sono presenti
particolari innovazioni nella sua ricerca, ma fu uno dei primi a discutere la
tesi proposta da Croce riguardo alla riduzione della storia al concetto di
‘arte. Saggi: “L’Eraclito di Lassalle: saggio sulla filosofia hegeliana”
(Cf. Speranza e ill suo Grice: saggio sulla pragmatica oxoniense”), “Il Risorgimento italiano secondo i principi
della filosofia della storia,” ““La
libertà di coscienza,” Milano, Hoepli, “Vera.” Saggio critico, Roma, Civelli, “L'individuo
e lo Stato nel rapporto sociale. Milano, Treves, “Il Machiavelli di Villari, Roma,” Loescher, (cf.
“Il Grice dello Speranza”), Leopardi, Roma, Tip. Botta, La pena di morte.
Considerazioni in appoggio di Vera, Napoli. IlCarlo Maria Curci, Milano, Vallardi, Augusto
Vera. Necrologio, «Annuario Napoli», Dio secondo Platone, Aristotele ed Hegel,
«Acc. SMP Napoli. Atti», Biografie del
Machiavelli, 1Arte e religione, Il
brutto e il male nell'arte. Il brutto e il male nel romanzo moderno, Dall'idealismo
nuovo a quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine
hegeliane, La vita e l'uomo, I rapporti dello stato con la religione, Firenze,
Civelli, Il problema religioso in Italia, Roma, Civelli, La riforma
ecclesiastica in Italia, «Il diritto», Cristianesimo, cattolicesimo e civiltà, Papato
e socialismo ai giorni nostri. Studio, Roma, Artero, Buddismo e cristianesimo, La
Storia è una scienza o un'arte?, «Fanfulla della Domenica», La conversione del
mondo pagano al cristianesimo, Il cristianesimo dei primi secoli. Capua, gli ha
dedicato una strada, sede, tra l'altro, del Banco di Napoli. La Critica.
Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da Croce, Armando Balduino, Storia letteraria
d'ItaliaL'Ottocento, III, Piccin Nuova
Libraria, Piero di Giovanni, Gentile, La filosofia italiana tra idealismo e
anti-idealismo, Milano, cf. Luigi Speranza, “La pragmatica conversazionale: tra
griceianismo e anti-griceianismo.” Franco Angeli, Paolo Malerba, Luciano
Malusa,, sito della Società filosofica italiana
Guido Calogero, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Raffaele Mariano. Mariano. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Mariano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691817114/in/photolist-2mPMBQM-2mPtnaL-2mLP3hz-2mLGRht-2mPu6xB-2mKPS8q-2mKQ5j7-2mKyErQ-ocAPht-oaG3ms-nTjTm4-nfECL9-nhsYJ6-njfC9c-nfCCMe-njanDk-nfCAoX-njaa4a-nh7Q7B-nhFmUB
Grice e
Marin – l’ottimo precettore – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia).
Filosofo. Grice: “I like Giovanni Marin; for one, he loved, like I do, rhetoric
– in his own Venetian kind of way!” Nato
dal nobile Rosso Marin, studia con profitto sotto l'insegnamento di Feltre, dal
quale apprese la retorica. Frequenta il ginnasio, presso il quale recita
eloquenti orazioni in encomio agli uomini illustri veneziani. Si laurea a
Padova. Ambasciatore della Repubblica di Venezia presso gli Estensi e quindi
presso Firenze. Rosmini, Carlo de' Rosmini, Idea dell'ottimo precettore nella
vita e disciplina di Vittorino da Feltre e de' suoi discepoli, Rovereto. Giovanni
Marin. Marin. Keywords: l’ottimo precettore. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Marin” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747107065/in/datetaken/
Grice e
Marliani – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Grice: “I like Mariliani;
especially the cavalier way in which he refers to philosophers in his brilliant
“De secta philosophorum.” Austin would say that there possibly are sects and
sub-sects!” Fglio del patrizio milanese Castello Marliani. Studia a Pavia sotto
Pelacani. Entra nel Collegio dei intraprese una carriera nell'insegnamento della
filosofia e astrologia. Attivo a Milano e Pavia. Con l'ascesa della dinastia degli Sforza a
capo del Ducato di Milano, appartenente a una famiglia ghibellina, aumenta il prestigio.
Ottiene la concessione in esenzione dei diritti di sfruttamento delle acque del
Secchia nei pressi di Moglia, nel Mantovano.
Alla morte del duca Francesco Sforza, scrisse una lettera al nuovo duca
Galeazzo Maria Sforza in cui dichiara di essere stato richiesto da molti Studi
in diverse città d'Italia, sperando di poter essere trasferito da Pavia a
Milano e di ricevere un aumento di salario. Il Consiglio segreto di Milano
intercedette presso lo Sforza in favore di Marliani, esaltando la sua fama
anche oltre i confini del Ducato. Il duca Galeazzo Maria, dopo alcuni indugi,
acconsente per conferirgli un'assegnazione annua di 1 000 fiorini, il più alto
salario riconosciuto a chiunque nel Ducato. Sotto la reggenza di Ludovico il
Moro ottenne i dazi di Gallarate e della sua pieve. I suoi studi lo portarono
ad essere tra i più grandi scienziati dell'epoca e riuscì a mettere in
discussione Bradwardine e Sassonia. Nel
suo saggio, “Quaestio de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati
set de antiperistasis distingue la
temperatura dell'organismo dalla quantità e dalla produzione del calore
naturale del corpo e sostenne che la produzione del calore naturale è più
elevata in inverno che in estate. Si reca a Novara dal conte Gaspare Vimercati,
colpito da problemi respiratori e cura Rinaldo d'Este da una gravissima
malattia che lo colse durante una visita alla corte milanese. Raggiunse i
vertici della propria carriera e presta le sue doti di medico a Federico I
Gonzaga. Le opere del Marliani furono oggetto di studio da Vinci, che lo cita
in diverse occasioni nel suo Codice Atlantico. Ebbe tre figli: Paolo, Gerolamo e Pietro
Antonio, la discendenza del primo dei quali ottenne all'inizio. Saggi: “Quaestio
de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati set de
antiperistasi,” “Disputatio cum Iohanne Arculano de materiis ad philosophiam pertinentibus,”
“Quaestio de proportione motuum in velocitate,” “Algebra Algorismus de
minutiis,” “De secta philosophorum,” “Probatio cuiusdam sententiae,” “Calculatoris
de motu locali.” Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Giovanni Marliani. Marliani. Keywords: implicatura, Vinci. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Marliani e le sette filosofiche” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692205840/in/photolist-2mKS4Sh
Grice e
Marotta – Mario l’epicuro – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo. Grice: “I like Marotta; the idea of a library for the Istituto
Italiano per gli studi filosofici’ at Via Monte di Dio, 11, is a geniality!” Si
laurea con il massimo dei voti a Napoli, presentando la tesi, La concezione dello stato in Hegel.” Si
interessa presto di storia, letteratura e filosofia, avvicinandosi dapprima
all'Istituto Italiano per gli Studi Storici fondato da Croce, poi fondando
l'associazione Cultura Nuova che diresse organizzando manifestazioni e
conferenze rivolte ai filosofi che richiamarono tutte le più grandi personalità
della cultura Italiana. Incoraggiato
dagli auspici dell'allora Presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei
Cerulli, di Piovani e di Carratelli, fonda a Napoli l'Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, del quale è Presidente. Donato, all'Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, la biblioteca personale, con una dotazione di oltre 300.000
volumi frutto di trent'anni di appassionata ricerca. Per i suoi importantissimi
apporti al mondo della filosofia ha avuto numerosi riconoscimenti da centri di
ricerca e di formazione di rilievo internazionale. Ha vinto la sezione Premio Speciale del Premio
Cimitile. Gli è stata conferita la laurea ad honorem in Filosofia
dall'Bielefeld, dall'Università Erasmus di Rotterdam, dalla Sorbona di Parigi e
dalla Seconda Napoli. All'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici è stato
conferito, nell'aula magna dell'Roma, il Prix International pour la Paix
Jacques Muehlethaler, "Bidone d'Oro" per la cultura del Movimento
artistico culturale "Esasperatismo Logos & Bidone". G. Capaldo, Fondatore
dell’Istituto Studi Filosofici, su Diario Partenopeo, Claudio Piga (cur.), Per
Gerardo Marotta. Scritti editi e inediti raccolti dagli amici di Marotta, Arte
Tipografica, Napoli, Registrazioni di Gerardo Marotta, su Radio Radicale, Cinquantamila
Giorni de Il Corriere della Sera. Gerardo Marotta. Marotta. Keywords: Mario
l’epicuro, il concetto del stato, il risorgimento – la recezione di Hegel in
Italia --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marotta” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747077695/in/datetaken/
Marramao
– Kairós – apologia del tempo debito – filosofia italiana – Luigi Speranza (Catanzaro).
Filosofo. Grice: “Surely Marramao’s theory of
time-relative identity is more complex than Myro’s! (Myro never read Heidegeer
and was proud of it, can you believe it! He was born in Russia and studied in the New World – so
that’s understandable!” - Grice: “I like Marramao – he has philosophised on
many things, usually homoerotic: Kairos – the opportune time – and its iconography,
and Jesus against power” Essential Italian philosopher.
Allievo di Garin, si laurea Firenze. Pubblicato Comunismo, laburatismo e
revisionismo in Italia, rintraccia in Gentile la chiave di volta filosofica del
comunismo italiano. Insegna a Napoli. -- è uscito il suo saggio Il politico e
le trasformazioni, nel quale pone a confronto le tematiche del
comunismo/laburismo, con le analisi delle trasformazioni. A partire da “Potere
e secolarizzazione” elabora una teoria simbolica del potere (e del nesso
politica-tempo) incentrata sulla ricostruzione archeologica' dei presupposti
del razionalismo. Fondamentali, nel dibattito politico-culturale e filosofico le
sue collaborazioni a Laboratorio politico e il Centauro. Direttore della
Fondazione Basso-Issoco. Insegna a Roma. Muovendo dallo studio del comunismo italiano
(comunismo e laburatismo e revisionismo in Italia, Austr-omarxismo e socialismo
di sinistra fra le due guerre), analizza le categorie politiche (Potere e
secolarizzazione), proponendone, in dialogo con i francofortesi (Il politico e
le trasformazioni) e con M. Weber (L'ordine disincantato), una ricostruzione
simbolico-genealogica. Nelle forme di organizzazione sociale si depositano
significati che derivano da un processo di secolarizzazione civile di un contenuto
sacro religioso, ossia dalla ri-proposizione in dimensione mondana o secolare dell'orizzonte
sacro simbolico. Il laico o pro-fano ha il suo centro in un processo di
temporalizzazione della storia, in virtù del quale le categorie del tempo (che
traducono l'escatologia in una generica apertura al futuro: progresso, ri-voluzione,
liberazione, etc.) assumono centralità crescente nelle rappresentazioni
politiche. Su queste considerazioni, riprese anche in “Dopo il Leviatano, Passaggio
a Occidente. Filosofia e globalizzazione, La passione del presente, Contro il
potere, si è innestata via via una tematizzazione esplicita del problema della
tempo, che per molti aspetti anticipa sia le tesi oggi in voga intorno all’accelerazione
e al rapporto politica-velocità, sia i temi della svolta spaziale. Contro le
concezioni di Bergson e Heideggeri, che delineano con sfumature diverse una
forma pura della tempo, più originaria rispetto alla sua rappresentazione spaziale,
argomenta l'inscindibilità del nesso spazio-tempo e, richiamandosi tra l'altro
alla fisica, ri-conduce la struttura del tempo a un profilo a-poretico e
impuro, rispetto a cui la dimensione dello spazio costituisce il riferimento
formale per ri-solvere i paradossi. (Minima temporalia, e Kairós. Apologia del
tempo debito. Lectio magistralis. Roma
Tre, Enciclopedia di filosofia, Garzanti libri, Milano. Figure del conflitto.
Studi in onore. a c. di A. Martinengo, Casini,
Roma, D. Antiseri, S. Tagliabue, Storia della filosofia, Filosofi italiani contemporanei, Bompiani, Milano.
Roma Tre, su host.uniroma3. Video intervista al Festival della Filosofia su
asia. Giacomo Marramao. Marramao. Keywords: Grice – ontological Marxism,
marxismo ontologico, lavoro e essistenza, comunismo, Kairós – apologia del tempo debito, la
filosofia della storia nella antica Roma, storia lineale, storia circolare,
l’eterno retorno nella scuola di Crotone, Gentile, dopo il leviatano, il
comune. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e Marrameo," The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51746392138/in/datetaken/
Grice e
Marsili – il cimento – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena).
Filosofo. Grice: “I like Marsili,
and the founder of the ‘accademia del cimento.’ ‘Cimento’ you know, means
‘experiment,’ – only in Florence!” Si laurea a Siena. Insegna a Siena e Pisa. Conosce
Galilei. Dei cimentanti. Le sue convinzioni dichiaratamente lizie gli
impedirono di coglierne lo spirito innovatore. Propone un esperimento per
capire se lo spazio lasciato libero nel tubo barometrico durante l'esperienza di
Ruberti contenesse esalazioni di mercurio. Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alessandro Marsili. Marsili.
Keywords: il cimento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marsili” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685923179/in/photolist-2mQtVUe-2mQifgs-2mQjVch-2mQbx4U-2mQ8kJS-2mPTNKh-2mPVkio-2mPYy6p-2mPMBQM-2mPF8UJ-2mPAuFE-2mPyn68-2mPyUzx-2mPiqeP-2mPpwbZ-2mN8Hgb-2mN8ym7-2mN34bs-2mLKtaD-2mLP4Rj-2mLGvyP-2mLQyAA-2mLP3hz-2mLEGPt-2mPsfT9-2mKCfz1-2mGT6p1-2mGnP2f-2mKiSfx-G3tvCn-FcebeC-CRAGiK-Bq5PrV-BvUfSB-nuoDVU-nsj5ZA-ncSabS-nnvnLQ-nr43e9-nhKyUk
Grice e
Martelli –etica e storia: l’assassinio di Giulio Cesare – filosofia italiana –
Luigi Speranza (San Marco in Lamis). Filosofo. Grice: “I like Martelli: he wrote on Croce, Gramsci, and
Nietzsche!” Insegna a Urbino. Prtecipato a lungo alla lotta politica in formazioni
marxiste nate a cavallo del Sessantotto. D Ha diretto il master interfacoltà
«Management etico e Governance delle Organizzazioni». Collabora con MicroMega
(periodico). I suoi studi si sono
concentrati su Nietzsche, Gramsci, e di numerosi autori del Novecento,
affrontando alcune tra le più dibattute vicende e problematiche
filosofico-politiche dell'ultimo secolo. Si è occupato di temi di forte
attualità, elaborando l'idea di una filosofia volta ad una critica radicale del
dogmatismo e del fondamentalismo religioso e in generale di ogni forma di
assolutismo che minacci la libertà di pensiero, i diritti civili, le
istituzioni democratiche e la pace tra i popoli. Il suo aimpegno di saggista è
rivolto in particolare alla difesa della laicità, contro l'interventismo
politico delle gerarchie ecclesiastiche e vaticane. Saggi: “La felicità e i
suoi nemici: apologia dell'agnosticismo,” Manifesto, “Il laico impertinente: laicità
e democrazia nella crisi italiana,” Manifesto, “La Chiesa è compatibile con la democrazia?”
Manifestolibri, “Italy, Vatican State, Fazi, “Quando Dio entra in politica, Fazi,
Senza dogmi. L'antifilosofia di Papa Ratzinger, Editori riuniti, Teologia del
terrore. Filosofia, religione, politica dopo l'11 settembre, Manifesto, Il secolo
del male. Riflessioni sul Novecento, Manifesto, Etica e storia. Croce e Gramsci
a confronto, La città del sole, I filosofi e l'Urss. Per una critica del
«Socialismo reale», La città del sole, Gramsci filosofo della politica, Unicopli,
Nietzsche inattuale, Quattroventi, Filosofia e società in Nietzsche,
Quattroventi, Urbino "Carlo Bo" Antonio Gramsci Friedrich Nietzsche
Laicità Il laico impertinente: il blog
di Michele Martelli, su michelemartelli.blogspot.com. Michele Martelli. Martelli.
Keywords: l’assassinio di Giulio Cesare, il laico, la religione civile
dell’antica roma -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Martelli” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51746130291/in/datetaken/
Grice e
Martinetti –I veliani e l’amore alcibiadico – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Pont Canavese). Filosofo. Grice:
“I like Martinetti; he wrote about eros, or as the Italians call it, ‘amore,’ –
a different root from cupidus, too! He edited a platonic anthology.” “He also
has a strange treatise on ‘the number’ which post-dates Frege!” -- «Di sé
soleva dire di essere un neoplatonico trasmigrato troppo presto nel nostro
secolo» (Cesare Goretti). Professore di filosofia, si distinse per essere
stato l'unico filosofo che rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al
Fascismo. Fu il primo dei quattro figli (tre maschi e una femmina, senza
contare una bambina che morì piccolissima) dell'avvocato Francesco Martinetti e
di Rosalia Bertogliatti. Studi Dopo aver frequentato il Liceo classico Carlo
Botta di Ivrea, si iscrisse a Torino, dove ebbe come insegnanti Allievo, Bobba, Ercole, Flechia e Graf, laureandosi
con una tesi, “Il Sistema Sankhya: un Studio sulla filosofia nell’India”
discussa con Ercole, docente di filosofia teoretica, pubblicata a Torino da
Lattes e, grazie all'interessamento di Allievo,
risulta vincitrice del Premio Gautieri. Dopo la laurea Martinetti fece un
soggiorno di due semestri presso l'Lipsia, dove poté venire a conoscenza del
fondamentale studio di Garbe sulla filosofia Sāṃkhya da poco pubblicato. Si può
dunque "ipotizzare che tra gli scopi del viaggio vi fosse anzitutto quello
di approfondire gli studi dell’India, iniziati a Torino con Flechia e 'Ercole." L'insegnamento
Martinetti insegnò dapprima filosofia nei licei di Avellino, Correggio,
Vigevano, Ivrea, e per finire al Liceo Alfieri di Torino. Compone la
monumentale “Introduzione alla metafisica” e “Teoria della conoscenza”, ch
edopo che consegue la libera docenza in
Filosofia teoretica all'Torino gli valse di vincere il concorso per le cattedre
di filosofia teoretica e morale dell'Accademia scientifico-letteraria di Milano
(che diventa Regia Università degli Studî) nella quale insegna. Divenne socio
corrispondente della classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze
e lettere, fondato da Napoleone sul modello dell'Institut de France.
Il rifiuto della politica e la critica della guerra Martinetti fu una singolare
figura di intellettuale indipendente, estraneo alla tradizione cattolica come
ai contrasti politici che viziarono il suo tempo, non aderì né al Manifesto
degli intellettuali fascisti di Gentile né al Manifesto degli intellettuali
antifascisti di Croce. Fu uno dei rari intellettuali che criticarono la prima
guerra mondiale; scrisse infatti che la guerra è «sovvertitrice degli ordini
sociali pratici ed un'inversione di tutti i valori morali dà un primato
effettivo alla casta militare che è sia intellettualmente sia moralmente
l'ultima di tutte subordinando ad essa le parti migliori della nazione strappa
gli uomini ai loro focolari e li getta in mezzo ad una vita fatta di ozio, di
violenze e di dissolutezze. In seguito a quelle che qualifica di circostanze
pesantissime -- la marcia su Roma e la successiva nomina di Mussolini a
presidente del Consiglio -- rifiuta la nomina a socio corrispondente dei reali
lincei. Mentre nelle sue lezioni sviluppa un sistema di filosofia della
religione, inaugura a Milano una Società di studi filosofici, formata da un
gruppo di amici in piena e perfetta indipendenza da ogni vincolo dogmatico dove
si riunirono autorevoli intellettuali del panorama filosofico e in cui
organizzò una serie di conferenze. Le prime conferenze furono tenute da Banfi e
da Fossati oltre che, naturalmente, da Martinetti, le cui tre relazioni,
riunite sotto il titolo comune di “Il compito della filosofia nell'ora
presente” segnano la sua rottura con Gentile. In seguito ad una denuncia per vilipendio
della eucaristia» presentata a Mangiagalli, dove sottoscrivere un memoriale in
difesa dei propri corsi sulla filosofia della religione. Incaricato dalla
Società filosofica italiana, organizza e presiedette il congresso di filosofia.
L'evento e sospeso dopo solo due giorni da Mangiagalli a causa di
agitator. Il congresso e poi chiuso
d'imperio dal questore. Da un lato incise l'opposizione di A. Gemelli,
fondatore dell'Università Cattolica, che fac parte del Comitato organizzatore
(quale rappresentante dell'Università Cattolica) ma che, per scelta di Martinetti,
non era tra i relatori. Dall'altro lato la partecipazione, fortemente voluta da
Martinetti, di Buonaiuti, scomunicato "expresse vitandus" dal
Sant'Uffizio, dette ai filosofi cattolici neoscolastici la scusa per ritirarsi
dal congress. Le minute cronache del congresso hanno già messo in luce come
Martinetti nell'assolvere al compito di organizzatore dell'incontro, assunto
con una apparente riluttanza, operasse assai poco da ingenuo filosofo fuori dal
mondo. Al contrario, ricorrendo a una certa qual abile ruse egli mise assieme
un programma che costituiva quanto di più ostico potesse risultare ai palati
dei cattolici fascisti sia dei filosofi di regime. Martinetti firma con Cesare
Goretti (segretario del Congresso) una lettera di protesta al rettore
Mangiagalli: «Compiamo il dovere d'informarla che conforme al suo ordine
il congresso si è sciolto senza incidenti. Sciogliendosi ha votato
all'unanimità il seguente ordine del giorno di protesta: Il Congresso della
Società filosofica italiana riunito in Milano: avuta comunicazione che è stato
rivolto alla Presidenza un invito superiore achiudere i lavori del Congresso.
Protesta in nome della libertà degli studi e della tradizione italiana contro
un atto di violenza che impedisce l'esercizio della discussione filosofica ed
invano pretende di vincolare la vita del pensiero.» Martinetti fu il
direttore della Rivista di filosofia, ma per prudenza il suo nome non vi
comparve mai come tale. Tra i collaboratori della rivista vi furono: Ennio
Carando, Bobbio, Geymonat, Fossati (che
ufficialmente ne era il direttore responsabile), Solari, Levi, Grasselli, e
Goretti.. Quando il ministro dell'educazione Giuliano impose ai professori il Giuramento di fedeltà al Fascismo,
Martinetti fu uno dei pochi a rifiutare fin dal primo momento: “Eccellenza!
Ieri sono stato chiamato dal Rettore di questa Università che mi ha comunicato
le Sue cortesi parole, e vi ha aggiunto, con squisita gentilezza, le
considerazioni più persuasive. Sono addolorato di non poter rispondere con un
atto di obbedienza. Per prestare il giuramento richiesto dovrei tenere in
nessun conto o la lealtà del giuramento o le mie convinzioni morali più
profonde: due cose per me egualmente sacre. Ho prestato il giuramento richiesto
quattro anni or sono, perché esso vincolava solo la mia condotta di
funzionario: non posso prestare quello che oggi mi si chiede, perché esso
vincolerebbe e lederebbe la mia coscienza. Ho sempre diretta la mia
attività filosofica secondo le esigenze della mia coscienza, e non ho mai preso
in considerazione, neppure per un momento, la possibilità di subordinare queste
esigenze a direttive di qualsivoglia altro genere. Così ho sempre insegnato che
la sola luce, la sola direzione ed anche il solo conforto che l'uomo può avere
nella vita è la propria coscienza; e che il subordinarla a qualsiasi altra
considerazione, per quanto elevata essa sia, è un sacrilegio. Ora col
giuramento che mi è richiesto io verrei a smentire queste mie convinzioni ed a
smentire con esse tutta la mia vita; l'E.V. riconoscerà che questo non è
possibile. Con questo non intendo affatto declinare qualunque eventuale
conseguenza della mia decisione: soltanto sono lieto che l'E.V. mi abbia dato
la possibilità di mettere in chiaro che essa procede non da una disposizione
ribelle e proterva, ma dalla impossibilità morale di andare contro ai principî
che hanno retto tutta la mia vita. Dell'E.V. dev.mo Dr.” In una
lettera a Guido Cagnola scrive: «Ella ora saprà che io sono uno degli
undici (su 1225 professori universitari! ne arrossisco ancora) che hanno
rifiutato il giuramento di fedeltà e che perciò sono stati o saranno fra breve
espulsi dall'università. Mi consolo d'essere in buona compagnia: Ruffini, Carrara,
De Sanctis, Vida, Volterra, Buonaiuti e qualche altro. Mi rincresce non tanto
la cosa, quanto il modo: e mi rincresce che si sia fatto e si faccia rumore
intorno al mio nome. Ma come fare? Giurare per me era tanto impossibile quanto
una impossibilità fisica: sarei morto d'avvilimento. E in un'altra lettera ad
Adelchi Baratono. Io non ho voluto giurare (e così credo molti degli undici)
per un motivo religioso, per non subordinare le cose di Dio alle cose della
terra: dove sta per andare il rispetto della coscienza? Ciò è triste e annuncia
oscuramente un avvenire triste per tutti, anche per i persecutori.» Come
scrive al proposito Fabio Minazzi: «Martinetti ha infine opposto un netto
rifiuto a sottostare al giuramento preteso e voluto dalla dittatura da tutti i
docenti universitari italiani. Giustamente occorre sempre sottrarre,
criticamente, questo straordinario gesto martinettiano, invero assai
emblematico, da ogni ottundente e vacua retorica antifascista, onde
comprenderlo in tutta la sua genesi specifica. Nel caso di Martinetti non può
allora essere certamente negato, in sintonia con Alessio, il carattere
dichiaratamente religioso di questa sua scelta che, non per nulla, lo ha infine
indotto ad essere l'unico filosofo italiano universitario che ha avuto
l'incredibile capacità critica di sottrarsi nettamente e senza compromessi all'imposizione
del regime. In questa prospettiva Martinetti non ha giurato proprio perché
nutriva una particolare percezione critica dello stesso "giuramento"
in connessione con i suoi più profondi convincimenti morali che avevano
peraltro guidato tutta la sua attività di filosofo. Tuttavia, nel riconoscere
questa precisa matrice religiosa della sua scelta, non deve essere neppure
negato il suo specifico valore e il suo preciso significato civile, culturale e
anche filosofico.» Scrive in proposito Amedeo Vigorelli. Una
certaretorica resistenziale si è impadronita anche di Martinetti, impedendo un
approfondimento più serio e radicale dei tratti originali del suo antifascism0.
L'atto di Martinetti non era cioè solo
un monito contro l'oppressione totalitaria e antidemocratica, ma contro ogni
forma di politica compromissoria e concordataria, contro l'ambiguo connubio fra
religione e politica, sintomo di una profonda immaturità religiosa e premessa
di forme più o meno larvate di condizionamento della libertà di coscienza, non
sempre si ama ricordare che l'avversione di Martinetti al fascismo era innanzi
tutto avversione a ogni forma di retorica nazionalistica, ma anche
all'esaltazione demagogica delle masse popolari. Prima che della dittatura,
Martinetti fu critico altrettanto risoluto del socialismo marxista e della
democrazia, di cui colse gli aspetti degenerativi dell'affarismo e
dell'ultraparlamentarismo» In seguito a questo suo rifiuto, Martinetti
venne messo in pensione d'autorità e si
dedicò unicamente agli studi personali di filosofia, ritirandosi nella villa di
Spineto, frazione di Castellamonte, vicino al suo paese di nascita. In questo
lasso di tempo tradusse i suoi classici preferiti (Kant, Schopenhauer), studiò
approfonditamente Spinoza e ultimò la trilogia (iniziata con la Introduzione
alla metafisica e continuata con La
libertà) scrivendo Gesù Cristo e il Cristianesimo, Il Vangelo è del 1936;
Ragione e fede. Martinetti propose come suoi successori a Milano Baratono
e Banfi. Lontano da ogni forma di
impegno politico e critico severo sia nei confronti del socialismo marxista che
delle degenerazioni del parlamentarismo, prese ad annotare minuziosamente sul
suo diario gli episodi di corruzione e di violenza in cui erano coinvolti
esponenti fascisti. così ad esempio il 28 marzo 1928, a fronte di una serie di
scandali annotava "è dunque l'associaz[ione] dei malviventi
d'Italia!" Come persuadersi che uno stato senza leggi, senza traccia di
onestà pubblica, sostenuto soltanto dal terrore che desta nel popolo inerme
un'organizzazione di ribaldi messa al servizio del despota, odiata da tutte le
rette coscienze, disprezzata dagli intelligenti possa resistere, senza condurre
il popolo che lo soffre all'estrema rovina? Si scagliava nei suoi appunti
contro il dispotismo che accomunava socialismo marxista e fascismo: "Tutto
deve servire alla propaganda e alla educazione di stato. Non vi è più libertà
di pensiero, non vi è più pensiero". A questo proposito Amedeo Vigorelli
evidenzia «il valore pedagogico, di
educazione alla libertà, che l'esempio morale di Martinetti ebbe per quella
generazione di intellettuali antifacisti, che trovò negli anni Trenta un
decisivo punto di riferimento nella “Rivista di filosofia”, da lui informalmente
diretta» L'arresto e il carcere Martinetti fu arrestato in casa di Gioele
Solari, dov'era ospite, in seguito a una delazione fatta da Pitigrilli (Dino
Segre), agente dell'OVRA (delazione che porterà all'arresto e alla condanna al
confino di Antonicelli, Einaudi, Foa, Giua, Levi, Mila, Monti, Pavese, Zini e di due studenti,
Cavallera e Perelli, e all'ammonizione di Bobbio), e fu incarcerato a Torino per
sospetta connivenza con gli attivisti antifascisti di Giustizia e Libertà,
benché fosse del tutto estraneo alla congiura antifascista degli intellettuali
che facevano riferimento alla casa editrice Einaudi. Al momento dell'arresto, a
detta della signora Solari, Martinetti disse una frase che aveva già
sentito pronunciargli più volte: "Io sono un cittadino europeo, nato per
combinazione in Italia". Il suo declino fisico cominciò in seguito a una
trombosi che menomò le sue capacità mentali, consecutiva ad una caduta
accidentale da un pero nella tenuta di Spineto. Alla fine ubì una prima
operazione alla prostata. La sorella Teresa scriveva a Cagnola: "Il
Professore è da oltre un mese degente in quest'ospedale, ove venne d'urgenza
trasportato ed operato in seguito ad intossicamento urico grave. L'intervento
chirurgico avviene in questo caso in due tempi: operazione preliminare alla
vescica, per ovviare immediatamente alla causa diretta dell'intossicamento, e
susseguente operazione alla prostata che ne è la causa originale. La prima
operazione già venne effettuata e con buon esito, e l'operatore non attende che
il tempo opportuno per procedere alla seconda."[ Martinetti fu ricoverato
all'ospedale Molinette di Torino, sfollato a Cuorgnè, dove morì, dopo aver disposto che nessun prete
intervenisse con alcun segno sul suo corpo. Nonostante "l'invito del parroco di
Spineto di non dare onore alla salma dell'eretico, ateo e scandaloso anche
nella morte perché aveva disposto di essere cremato" una decina di persone
seguirono l'autofurgone che portò il corpo di Martinetti alla stazione, da dove
partì in treno per Torino, per la cremazione. In prossimità della morte Martinetti
lascia la sua biblioteca in legato a Nina Ruffini (nipote di F. Ruffini), G.
Solari e Cesare Goretti. La Biblioteca verrà poi conferita dai rispettivi eredi
alla "Fondazione Piero Martinetti per gli studi di storia filosofica e
religiosa" di Torino; oggi è posta nel palazzo del Rettorato alla Biblioteca
della Facoltà di Filosofia. La sua casa di Spineto è attualmente sede
della "Fondazione Casa e Archivio Piero Martinetti", che intende
promuovere la diffusione del suo pensiero e della sua operae. FiLa
filosofia di Martinetti è un'interpretazione originale dell'idealismo
post-kantiano, nella linea dell'idealismo razionalistico trascendente che va da
Platone a Kant, nel senso di un dualismo panteista trascendente,
un'interpretazione che lo avvicina a quel post-kantiano atipico che fu Spir, il
quale (ancor più di Kant, Schopenhauer o Spinoza) fu il filosofo preferito di
Martinetti, quello a cui fu più particolarmente legato, sulquale scrisse molti
studi e un denso saggio monografico e al
quale fece consacrare il terzo numero della Rivista di filosofia, filosofo che
fu come lui profondamente inattuale. Professò una altissima stima per
l'opera di questo solitario filosofo, tanto da considerarla "immortale: in
essa infatti vede un tentativo d'un rinnovamento speculativo-religioso di tutta
la filosofia. Il carattere speculativo
dell'interpretazione d iMartinetti dipese da particolarissime circostanze. La
speculazione di Spir esercitò sul pensiero suo un influsso profondo sin dagli
inizi; e anche nella costruzione dell'idealismo trascendente diMartinetti la
speculazione di A. Spir rivestì un peso pressoché decisivo. Oltre che in Kant,
in Schopenhauer e in Spinoza, le radici e la linfa dell'idealismo diMartinetti
si trovano nella speculazione di A. Spir. In nessun altro pensatore A. Spir
occupò tanto spazio ed ebbe un pari rilievo. D'altra parte, senza perdere la
configurazione sua propria, il pensiero di Spir viene trasposto da Martinetti entro
la sua propria filosofia, riferito in modo diretto al suo proprio pensiero,
così intimamente consonante con quello di Spir e cresciuto, per così dire,
anche su di esso. Proprio questo condusseMartinetti a penetrare e nell'atto
stesso a svolgere in armonia con il proprio il pensiero di A. Spir e questo si
trova come penetrato e attraversato da quello diMartinetti. In nessun altro
pensatore A. Spir fu tanto intimamente valorizzato e, in qualche misura,
continuato in ciò che della sua speculazione parve propriamente essenziale. La
lettura di Martinetti insiste sul nucleo metafisico di Spir, che gli pare
incarnare "la forma pura della visione religiosa". L'affermazione
fondamentale, in cui per Martinetti si riassume tutta la filosofia dello Spir,
è quella della dualità fondamentale tra il vero esserel'Unità incondizionata,
assoluta e trascendente in cui si esprime il divinoe l'essere apparente e
molteplice rivelato dal mondo dell'esperienza. L'approccio alla rivelazione di
tale realtà dualista mediante la teoria della conoscenza (l'idealismo
gnoseologico di Spir) non è che premessa e introduzione all'autentico nucleo
metafisico della sua filosofia, consistente in una forma di dualismo acosmista.
Il dualismo di realtà e apparenza è in effetti esso stesso apparente: "non
è fra due effettive realtà, ma fra un'unica realtà assoluta e l'irrealtà in cui
il mondo sprofonda."» Si può così dire che in Martinetti: «il motivo
desunto probabilmente da Spir, il contrasto tra "anormale" (il mondo
dell'esperienza empirico e molteplice) e "norma" (il principio
d'identità, rivelazione incoativa del divino in noi) si spoglia qui
dell'originario aspetto dualista per confluire in una visione coerentemente
monista dell'esperienza di coscienza. Monismo coscienzialista, quello martinettiano,
che non sfocia però in una forma di panteismo, in quanto il termine finale di
questa unificazione formale rimane trascendente. L'unica realtà metafisica
assolutasi afferma in conclusioneè l'"Unità formale assoluta", che
trascende l'intero processo dell'esperienza, che di tale unità è solo
un'espressione simbolica.» Della filosofia di Spir, Martinetti mantenne
sostanzialmente inalterata la morale, di derivazione kantiana, aveva d'altronde
dichiarato che dopo Kant nessun filosofo serio può non essere in Etica
"kantiano. L'intero percorso del pensiero martinettiano parte dal suo
anticlericalismo", e aggiunge: "la natura del suo anticlericalismo lo
portava a detestare la Massoneria. Ripetutamente mi disse di non essere mai
stato massone, di essere anzi assolutamente contrario a questa Chiesa cattolica
di segno rovesciato." Questo suo anticlericalismo l'ha portato ad un
antimarxismo, il marxismo essendo "secondo i termini in cui egli si
sarebbe espresso, la massima secolarizzazione concepibile della religione".
E Del Noce conclude: "Ora a mio giudizio il pensiero di Martinetti si
situa appunto come momento conclusivo del pessimismo religioso e come la sua
posizione più coerente e rigorosa. L'antologia Il Vangeloscrive Martinetti «lasciando
da parte l'elemento leggendario e dogmatico, cerca di disporre il materiale
evangelico nell'ordine logicamente più appropriato. Tutto quello che i vangeli
contengono di essenziale per la nostra coscienza religiosa è stato qui
conservato.» Il risultato di questo ordinamento logico è l'espunzionein
quanto elaborazione teologica successiva ai lòghia di Gesù o ancora propria
all'ebraismo da cui Gesù stesso non è immunedel Vangelo di Giovanni, degli Atti
degli Apostoli, delle Lettere (anche le Lettere di Paolo) e dell'Apocalisse.
Gesù di Nazaret, e non di Betlemme, è un profeta ebraico, l'ultimo e il più
grande dei profeti. Non quindi Figlio di Dio, nemmeno resuscitato dalla morte,
né apparso realmente ai suoi, Gesù in quanto Messia annuncia un regno
messianico a cui succederebbe escatologicamente il regno dei cieli, quello di
Dio. Tuttavia non chiarendo tale avvento escatologico, di fatto Gesù è
soprattutto un maestro di dottrina morale che esorta a rinunciare al mondo per
unirsi spiritualmente e interiormente a Dio, il bene supremo, amando il
prossimo. Per Martinetti bisogna aspirare ad una "Chiesa
invisibile", in cui si possano compendiare i valori moralmente più elevati
di tutte le culture religiose, dando vita così ad una società universale
fraternamenteunita, egli scrive: «In tutti i tempi, ma specialmente nelle
età come la nostra, la vera Chiesa non risiede in alcuna delle chiese visibili
che ci offrono il triste spettacolo dei loro dissensi, ma nell'unione
invisibile di tutte le anime sincere che si sono purificate dall'egoismo
naturale e nel culto della carità e della giustizia hanno avuto la rivelazione
della verità e la promessa della vita eterna» Gesù Cristo e il
Cristianesimo fu messo sotto sequestro dalla Prefettura non appena stampato, come Martinetti scrive a Guido Cagnola:
«Il mio libro venne terminato di stampare il 2 agosto e in tale giorno furono
mandati i 3 es.[emplari] al Prefetto. Il 3 di mattina venne il permesso; alle
17 dello stesso giorno esso era ritirato. Per quali influenze? Io non lo so.
Così il libro stette due mesi in sospeso: il 10 ottobre giunse (da Roma) il
decreto definitivo di sequestro.» Con decreto, “Gesù Cristo e il
Cristianesimo, Il Vangelo” e Ragione e fede furono messi all'Indice dei libri
proibiti della Chiesa cattolica. La rinascita del pensiero filosofico-religioso
martinettiano scaturisce alla fine degli anni novanta del secolo scorso in
virtù della rinnovata proposta ermeneutica di Chiara che cura l'inedito L'Amore,
Il Vangelo (Genova) e Pietà verso gli animali (Genova); in particolare l'interpretazione
elaborata da Chiara mette in luce gli aspetti gnostici della filosofia della
religione martinettiana per poi proporne una rilettura in chiave kantiana anche
attraverso un confronto con alcune sette separatiste vicine alla tradizione
spirituale dei quaccheri. Capitini rese visita a Martinetti, che a
proposito della nonviolenza gli disse: "Forse se discutessi con lei mi
convincerei, ma ora come ora le assicuro che se mi fosse detto che con
l'uccisione di diecimila persone si estirperebbe il male che c'è in Europa,
firmerei la sentenza senza esitazione." Negli scritti La psiche degli animali e Pietà
verso gli animali, Martinetti sostiene che gli animali, così come gli esseri
umani, possiedono intelletto e coscienza, quindi l'etica non deve limitarsi
alla regolazione dei rapporti infraumani, ma deve estendersi a ricercare il
benessere e la felicità anche per tutte quelle forme di vita senzienti (cioè
provviste di un sistema nervoso) che come l'uomo sono in grado di provare gioia
e dolore: «Nella relazione sulla psiche degli animali Martinetti tra
l'altro affronta il problema dello scandalo morale suscitato dall'indifferenza
delle grandi religioni positive occidentali di fronte all'inaudita sofferenza
degli animali provocata dagli uomini: gli animali hanno una forma
dell'intelligenza e della ragione, sono esseri affini a noi, possiamo leggere
nei loro occhi l'unità profonda che ad essi ci lega. Martinetti cita le prove di intelligenza che
sanno dare animali come cani e cavalli, ma anche la stupefacente capacità
organizzativa delle formiche e di altri piccoli insetti, che l'uomo ha il
dovere di rispettare, prestando attenzione a non distruggere ciò che la natura
costruisce. Nel proprio testamento dispose che una somma significativa
fosse versata alla Società Protettrice degli Animali; egli personalmente
nutriva per gli animali una profonda pietà e tale sentimento lo aveva persuaso
a darsi al vegetarismo, una scelta che assumeva per lui quasi il carattere di
un valore religioso. Scrive al proposito Amedeo Vigorelli: «La
scelta del vegetarianesimo non era "generica simpatia, e neppure un ideale
politico, bensì meditato atteggiamento filosofico", da porsi in relazione
sia con la sua profonda conoscenza della filosofia indiana sia con convinzioni
radicate in una personale metafisica, sulla "unicità" della sostanza
vivente e sul destino di "perennità" dello spirito.[67]» La
scelta della cremazione Martinetti fu un fautore della cremazione e una
testimonianza "ci dice come Martinetti portasse sempre con sé, in una busta,
le ceneri di sua madre."Secondo Paviolo, "Per i Martinetti la
cremazione era una specie di tradizione familiare e la cosa appare strana in
quei tempi nei quali, specie nei piccoli centri era pressoché ignota a tutti, e
oggetto di scandalo per il gran rumore che, in questi casi, ne facevano i
parroci." Non è però da escludere, nel caso preciso di Piero Martinetti,
che questa scelta, come quella del vegetarianesimo, avesse anche una relazione
con il suo interesse per la filosofia indiana, e dunque un valore filosofico e
religioso. I suoi resti sono tumulati nel cimitero di Castellamonte in
provincia di Torino. Opere: Una " martinettiana"
C. Ferronato si trova nel fascicolo speciale della Rivista di Filosofia
Pietro Rossi: nel cinquantenario della morte, Dopo questa data, di Martinetti
sono stati pubblicati. “Ragione e fede, Italo Sciuto, Gallone, Milano, Luca
Natali, Morcelliana, Brescia,. Il Vangelo, Alessandro Di Chiara, il nuovo
melangolo, Genova, L'amore, Alessandro
Di Chiara, Il nuovo melangolo, Genova, “Pietà verso gli animali” Alessandro Di
Chiara, Il nuovo melangolo, Genova, “La religione di Spinoza” Amedeo Vigorelli, Ghibli, Milano, “La Libertà” Aragno, Torino, Schopenhauer,
Mirko Fontemaggi, Il nuovo Melangolo, Genova, “Breviario spiritual” Anacleto
Verrecchia, POMBA, Torino, “L'educazione della volontà” Domenico Dario
Curtotti, Edizioni clandestine, Marina di Massa, “Conoscenza in Kant” Luca Natali, Franco Angeli, Milano, Pier
Giorgio Zunino, Piero Martinetti, “Lettere”, Firenze, Olschki, “Gesù Cristo e
il Cristianesimo” Castelvecchi, Roma,; edizione critica Luca Natali,
introduzione di Giovanni Filoramo, Morcelliana, Brescia, “Il Vangelo:
un'interpretazione” Castelvecchi, Roma,
“Spinoza, Etica, esposizione e comment”, Castelvecchi, Roma,. Il numero,
introduzione di Niccolò Argentieri, Castelvecchi, Roma, Luca Natali, Le carte di Piero Martinetti, Firenze,
Olschki, “Spinoza” Francesco Saverio Festa, Castelvecchi, Roma,. Riconoscimenti
Nella seduta del Senato Accademico dell’Università degli Studi di Milano del 19
settembre, è stata approvata ufficialmente la decisione del Dipartimento di
Filosofia di intitolarsi alla figura di Piero Martinetti.La città di Roma gli
ha intitolato una piazza il 27 gennaio, nel Giorno della Memoria. A Milano
Martinetti figura tra i nuovi Giusti che saranno onorati al Monte Stella dal
" nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo. Cesare Goretti, "Piero
Martinetti", Archivio della Cultura Italiana 1943, f. I81. Simonetta Fiori, I professori che dissero
"NO" al Duce, in La Repubblica,
«Ebbe molta influenza sulla scelta che Martinetti fece di iscriversi
alla facoltà di Filosofia, fu suo professore, ma non un Maestro. Scrisse di lui
Martinetti: "Era un uomo; quando andai a visitarlo l'ultima volta, pochi
giorni prima della sua morte, mi disse di avere un'unica certezza, che dopo
questa vita non c'è nulla. Le mie idee erano assolutamente opposte alle sue, su
questo come su tutti gli altri punti. Ma non potei non ammirare la fermezza
delle sue convinzioni"»: Paviolo.
«che morì proprio durante l'iter scolastico di Martinetti ma che ebbe
con lui, forse per la comune origine canavesana, un particolare rapporto»:
Paviolo 2 «Di una reale affinità tra Martinetti e i suoi maestri torinesi si
può parlare forse solo in un caso: quello di Arturo Graf, del cui dualismo e
pessimismo si può trovare qualche traccia nel pensiero del Nostro e alla cui
poesia, piena di dolente (e a tratti cupa) riflessività filosofica, Martinetti
tornerà anche negli anni maturi, come a una sorgente di ispirazione e conforto
spirituale. Più documentata è l'influenza sul giovane Martinetti di un'altra
singolare figura di poeta-filosofo: quel Pietro Ceretti da Intra (noto anche
con lo pseudonimo poetico di Alessandro Goreni e con quello di Theophilo
Eleuthero), alla cui postuma riscoperta si adoperarono intensamente Ercole e Alemanni,
nell'ultimo decennio del secolo scorso e ai primi del nostro. Nel breve verbale
relativo all'esame di laurea (qui il laureando è indicato come Pietro
Martinetti) si dice semplicemente che il candidato ha sostenuto durante
quaranta minuti innanzi alla commissione la disputa prescritta, sopra la
dissertazione da lui presentata e sopra le tesi annesse alla medesima; e ha
sostenuto anche la prova pratica assegnatagli dalla Commissione. La tesi
ottenne la votazione di 99/110. Il lavoro di tesi non ebbe, come noto, il
riconoscimento che meritavaanche a motivo di certe resistenze accademiche nel
settore filologico della Torino e forse per questo lo studioso sentì il bisogno
di attingere direttamente alle fonti dell'erudizione tedesca, fuori dal chiuso
ambiente provinciale. Del resto il suo intent e più filosofico che filologico, e la prima
suggestione a interessarsi del “Samkhya” poté venirgli, piuttosto che dalle
lezioni di Flechia, dalla conversazione con Ercole. Proprio del Samkhya, Ercole
si era interessato alcuni anni primi in una breve Memoria uscita sulla Rivista
Italiana di Filosofia diretta da Ferr. Di suo interesse costante per la
filosofia indiana testimonia il corso di lezioni tenuto a Milano e pubblicato a
Milano da Celuc, “La sapienza indiana. Corredata da un'antologia di testi Indù
e Buddhisti. Ma è antefatto significativo, giacché lascia intravedere ancora
una volta, questa volta sotto il rispetto particolare dei suoi primi contatti
coi testi di A. Spir, l'importanza della permanenza a Lipsia nella sua formazione
filosofica. Nella Lipsia conosciuta da lui sopravvive Drobitsch, lil maestro
herbartiano di Spir e dalla sua Lipsia si diffondevano le edizioni di A. Spir
entro il moto allora nascente in Germania dell'interesse per la filosofia sua. Il
pensiero di Spir, Torino, Albert Meynier. Anno che fu per lui particolarmente duro, vedi
Lettere ai famigliari dalla Siberia dell'Italia meridionale", F. Minazzi,
Il Protagora, Lettere. Prima che della dittatura fascista, e critico
altrettanto risoluto del comunismo e della democrazia, di cui colse gli aspetti
degenerativi dell'affarismo e dell'ultraparlamentarismo. Non si vede in chi e
in che cosa un uomo come lui che, per sua scelta culturale ma anche per
disposizione personale, agiva in modo disgiunto da ogni partito, movimento,
gruppo avrebbe pouto trovare un legame per immettersi in un flusso di attivo
anti-fascismo. Tra dittatura e inquisizione negli anni del Fascismo", in Lettere,
Firenze. Ringrazio la S.V. Ill.ma della cortese partecipazione e la prego di
esprimere la mia profonda gratitudine ai membri di codesta R. Accademia che
hanno voluto conferirmi un sì ambito onore. Ma circostanze pesantissime, sulle
quali non è il caso di [parola illeggibile] mi vietano nel modo più reciso
di poterlo accettare»: Lettera al presidente dei Lincei, e a L. Mangiagalli. Il
Congresso non ha altro fine che di essere una manifestazione della filosofia
italiana in quanto libera e appartata da ogni contingenza del momento: come
deve essere in qualunque tempo la filosofia. A T. Scotti. Che accusò
Martinetti, ricambiato, di disonestà intellettuale nel riguardo della filosofia
scolastica, cf. H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il
regime fascista, Firenze. Per Martinetti. Padre Gemelli è tutto fuorché un filosofo.
A B. Varisco, in: Lettere 33. H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti
universitari e il regime fascista, Firenze, Il congresso di filosofia. Tutto
l'affare è una montatura (come del resto anche il ritiro dei cattolici dal
Congresso), la quale ha la sua origine nel fatto che io non ho permesso a Gemelli
di spadroneggiare nel Congresso e di prepararvi qualcuna delle sue
rappresentazioni ciarlatanesche. A B. Varisco, a C. Goretti a L. Mangiagalli. Quando
Martinetti, con il rifiuto del giuramento di fedeltà al fascismo, abbandona
l'insegnamento non rinuncia a quegli incarichi o a quelle adesioni che non
erano a tale giuramento connesse: guarda di non compromettere quella sua
creatura che era diventata La Rivista di Filosofia e non ne volle la direzione
effettiva ma continua l'intensa e puntuale collaborazione redazionale sino a
che le sue condizioni di salute glielo permisero. A B. Giuliano, a G. Cagnola,
Ad. Baratono, D. Assael, Alle
origini della Scuola di Milano: Barié, Banfi, Milano. Ella già saprà certamente
che io, in seguito all'affare del negato giuramento, sono stato collocato a
riposo. Non appartengo quindi più all'Milano e non posso più esserle utile che
indirettamente»: a C. Gadda, 17 marzo 1932, in: Lettere 114. «del resto io sono perfettamente sereno come
chi ha fatto ciò che doveva fare: e non mi sarà discaro poter d'ora innanzi
applicare tutto il mio tempo ai miei studi, cioè agli studi veramente miei,
fatti per mè, per la mia personalità e la mia vita»: Lettera n. 110, Piero
Martinetti a Vittorio Enzo Alfieri, Sulla cui porta fece mettere un'indicazione
che diceva: "Piero Martinettiagricoltore": Paviolo«Perciò appunto non
ho dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che fossi tu a succedermi. In
questo senso ho scritto, "richiesto da Castiglioni stesso", che ora è
preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi
te per la F.[ilosofia] e Banfi per la Storia della Filosofia. A A. Baratono, Nel registro di
entrata delle Carceri Nuove di Torino egli è l'unico che nella scheda personale
si faccia registrare, nell'apposita voce, come "ateo", mentre tutti
gli altri non di religione israelitica (ossia Bobbio, Einaudi, Pavese, Antonicelli,
Salvatorelli e così via) si dichiarano "cattolici"alcune schede,
peraltro, tra cui quella di Mila, sono andate perse (il registro è conservato
all'Archivio di Stato di Torino, sezioni riunite, Casa circondariale di Torino,
Registro matricole)", in: Lettere.
"Martinetti veniva rinchiuso in una cella sulla cui porta veniva
apposto il cartellino "Politico: sorveglianza particolare". Il giorno
successivo cominciavano gli interrogatori che si ripetevano finché dopo alcuni
giorni d'arresto il Martinetti veniva finalmente scarcerato.",
Michelangelo Giorda, Piero Martinetti, Castellamonte, «Devo darle una notizia
terrificante, relativamente. Lunedì passato 8 corrente sono caduto malamente da
una pianta, per fortuna senza gravi conseguenze di nessuna specie, salvo un
leggero tramortimento durato qualche ora»: Lettera n. 241, Piero Martinetti a
Nina Ruffini, in: Lettere 2Cit. in: Lettere 245. «Si può comunque, in base a testimonianze
diverse, ritenere che Martinetti sia deceduto all'Ospedale Molinette sfollato a
Cuorgnè, ove si tentò inutilmente di salvarlo e che il corpo sia stato
immediatamente trasferito (abitudine che rimase in uso per decenni in
circostanze analoghe) alla casa d'abitazione, per evitare lungaggini
burocratiche e maggiori spese funerarie. L'atto di morte recita: " il g alle ore
quattro e minuti zero, nella casa posta in frazione Spineto n. 106 è morto
Martinetti Piero, anni 70, residente in Torino, professore pensionato"»:
Paviolo. Paviolo. "Per ultimo desidero di essere cremato e
che le mie ceneri riposino nel Camposanto di Castellamonte", frase finale
del testament, Paviolo. Il testamento di Martinetti, da lui riscritto, "in
una grafia incerta e in una forma in cui non si trova lo stile abituale del nostro
filosofo"(Paviolo) fu considerato da sua sorella Teresa come estorto:
"Le opere che al tempo del decesso di Piero erano ancora solo allo stato
di manoscritto vennero devolute ai beneficiari della biblioteca, la quale, a
dirtelo in assoluta confidenza, cadde in mano a tre estranei alla famiglia, per
un testamento fatto fare a nostra insaputa a Piero, a oltre un anno da che era
stato colpito da un insulto di trombosi al cervello [...] la preziosa
biblioteca, che per volontà recisa, assoluta di Piero a me da Lui ripetutamente
espressa alcuni mesi prima che fosse colpito dalla trombosi, doveva andare
all'Milano, prese altre vie e e sta presentemente ancora peregrinando in attesa
di destinazione definitiva." Lettera del 25 settembre 1947 di Teresa
Martinetti al cugino Giuseppe Bertogliatti, in: Paviolo Fondazione Casa e
Archivio. Allo Spir, un singolare pensatore solitario, al quale mi legano tante
affinità e tante simpatie, sarà dedicato il fascic. 3 della "Riv. di
Filosofia", che non mancherò di spedirle a suo tempo. Quante dottrine
dello Spir, specialmente nel rapporto morale e religioso, sembrano pensate per
il nostro tempo! Ma esse passeranno, come passarono, inavvertite. La lucequesto
passo del quarto Vangelo lo Spir volle inciso sul suo sepolcrovolle penetrare
le tenebre, ma le tenebre non l'accolsero»: Lettera n. 164, Piero Martinetti a
Nina Ruffini, 26 gennaio 1937, in: Lettere 155.. «io sono sempre stato un filosofo inattuale»:
Lettera n. 258, Piero Martinetti a Giorgio Borsa, 1942, in: Lettere Emilio
Agazzi, La filosofia di Piero Martinetti, Milano, Unicopli. Ma è stato Alessio
a dimostrare l'importanza e l'anteriorità, rispetto ad altri autori, della
lettura di Spir per la maturazione della metafisica martinettiana»: Vigorelli, F.
Alessio, Vigorelli Vigorelli Piero
Martinetti, Breviario spirituale, Bresci, Torino, Lettera Piero Martinetti a Guido Cagnola, Lettere.
Sulla riflessione religiosa di Martinetti vedi Franco Alessio, L'idealismo
religioso di Piero Martinetti, Brescia, Morcelliana, (Tesi di Pavia: relatore
Michele Federico Sciacca) Paviolo
Paviolo Amedeo Vigorelli,
"Martinetti e Capitini: attualità di un confronto", in: A. Vigorelli,
La nostra inquietudine. Martinetti, Banfi, Rebora, Cantoni, Paci, De Martino,
Rensi, Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini, Mondadori, Milano. E si conversa
a lungo della inumazione e della cremazione (aveva fatto cremare il cadavere
della mamma, per avere vicine le sue ceneri)" A. Capitini, Antifascismo
tra i giovani, Célèbes Trapani, Paviolo
Paviolo. L'eretico Martinetti, italiano per caso", Recensione di Raffaele
Liucci su Il fatto quotidiano, Libera cittadinanza Il Dipartimento di Filosofia "Piero
Martinetti a Milano Pierluigi Battista,
"Le vie dedicate ai razzisti spettano ai professori eroi che dissero no al
fascismo", Corriere della Sera, S. Chiale, "Dall'attivista curda al
pioniere green I nuovi Giusti del Monte Stella", Corriere della Sera, Cronaca
di Milano13. "Monte Stella I nuovi
Giusti in diretta su Facebook", Corriere della Sera, 7 marzo, Cronaca di
Milano9. , Commemorazione dTorino, Accademia delle Scienze, Giornata
Martinettiana, Torino, Edizioni di "Filosofia", Rivista di Filosofia,
E. Agazzi, "La storiografia filosofica", Rivista critica di storia
della filosofia, E. Agazzi, Sandro Mancini, Amedeo Vigorelli e Marzio
Zanantoni, Unicopli, Milano,. F. Alessio, L'idealismo religioso, Brescia,
Morcelliana, Franco Alessio, introduzione Il pensiero di Africano Spir,
Torino, Albert Meynier, Davide Assael, Alle origini della Scuola di
Milano: Martinetti, Barié, Banfi, Milano, Guerrini, A. Banfi, "Piero
Martinetti e il razionalismo religioso", in: Filosofi contemporanei, Firenze,
Parenti, Guido Bersellini Rivoli, Il fondamento eleatico della filosofia -- Milano,
Saggiatore, Guido Bersellini Rivoli, La fede laica, Appunti sul confronto religioso
e politico (in Italia e nel villaggio globale), Lecce, Manni, G. Rivoli,
Appunti sulla questione ebraica. Da Nello Rosselli a Piero Martinetti, Milano,
Angeli, Giorgio Boatti, Preferirei di no, Le storie dei dodici professori che
si opposero a Mussolini, Torino, Einaudi, B. Bonghi, La fiaccola sotto il moggio della
metafisica kantiana. Il Kant, Milano, Mimesis, F. Minazzi, Sulla filosofia italiana, Prospettive,
figure e problemi, Milano, Angeli); ranco Bosio, "L'uomo e
l'assoluto", in: Filosofie "minoritarie" in Italia tra le due
guerre Ceravolo, Roma, Aracne, Remo Cantoni, "L'illuminismo religioso” in:
Studi filosofici, G. Colombo, La filosofia come soteriologia. L'avventura
spirituale e intellettuale di Milano, Vita e Pensiero, E. Colorni, La malattia
della metafisica. Scritti autobiografici e filosofici, Torino, Einaudi, A. Noce,
Filosofi dell'esistenza e della libertà, Milano, Giuffrè, M. Pra, "Momenti
di riflessione sull'esperienza religiosa in Italia tra idealismo e razionalismo
critico", in: La filosofia
contemporanea di fronte all'esperienza religiosa, Parma, Pratiche); C.
Ferronato, "Filosofia e religione”, in: Percorsi e Figure Filosofi
italiani, Salvatore Natoli, Genova, Marietti, G. Filoramo, Letture Martinetti.
"Gesù Cristo e il Cristianesimo" nel pensiero religioso, "Rivista
di filosofia", P. Gervasio, Piero
Martinetti: l'interpretazione di Kant nel quadro della filosofia italiana tra
Ottocento e Novecento, Michelangelo Giorda, Piero Martinetti, Castellamonte,
Helmut Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime
fascista, Firenze, La Nuova Italia, C. Goretti, Il pensiero filosofico di Piero
Martinetti, Bologna, Accademia delle Scienze, 1952. Eliodoro Mariani,
Esperienza ed intuizione religiosa: saggio sul pensiero di Piero Martinetti,
con appendice sugli inediti, Roma, Carlo Mazzantini, L’'Oriente",
Filosofia, Valerio Meattini, Ragion
teoretica e ragion pratica. Martinetti interprete di Kant, Pisa, Vigo Cursi, Franco
Milanesi, La filosofia neognostica, in: "Paradigmi", G. Morelli, tesi
di laurea in Filosofia (A. Aliotta), Biblioteca Facoltà di Lettere e Filosofia,
Napoli); Angelo Paviolo, Piero Martinetti aneddotico. L'uomo, il filosofo, la
sua terra, Aosta, Le Château Edizioni, Alfredo Poggi, Vicenza, Collezione del
Palladio, 1ora Riedizione Cosimo Scarcella e Introduzione di . Mas, Milano, Marzorati,
E. Rambaldi, Voci dal Novecento, Milano, Guerrini e Associati, Francesco
Romano, Il pensiero filosofico di Piero Martinetti, Padova, Milani, Carlo M.
Santoro, Il problema della libertà, Lecce, Edizioni Milella, Cosimo Scarcella,
La dottrina politica di Piero Martinetti: aspetti teoretici ed aspetti pratici,
in Il Pensiero Politico, Firenze, Olschki Editore, Cosimo Scarcella, Piero
Martinetti. Politica e filosofia. Con alcuni ‘Pensieri' inediti, Napoli,
Collana La Cultura delle Idee diretta da Fulvio Tessitore e Giuliano Marini, Edizioni
Scientifiche Italiane, C. Terzi, La vita e il pensiero originale, Bergamo,
Editrice San Marco, Carlo Terzi, "Lettere inedite di Piero
Martinetti", in: Giornale di metafisica, Torino, Amedeo Vigorelli,
"Emilio Agazzi e la fortuna di Martinetti", in:, L'impegno della
ragione. Per Emilio Agazzi, Mario Cingoli, Marina Calloni, Antonio Ferraro,
Unicopli, Milano (nuova ed. "Emilio Agazzi e la "fortuna
milanese" di Piero Martinetti", in:, Vita, concettualizzazione,
libertà. Studi in onore di Alfredo Marini, R. Lazzari, M. Mezzanzanica, E. S.
Storace, Mimesis, Milano, A. Vigorelli,
Piero Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimenticato, Milano,
Bruno Mondadori, Amedeo Vigorelli, "Nuove pagine", Rivista di storia
della filosofia, A.Vigorelli,, "L'eredità contestata. Lettere di Antonio
Banfi e Gioele Solari", Rivista di storia della filosofia, Amedeo
Vigorelli, "Plotino, Spinoza, Spir. La reviviscenza neoplatonica nel
razionalismo religioso (Atti del Convegno “Presenza della tradizione
neoplatonica nella filosofia del Novecento”, Vercelli), Annuario Filosofico,
Mursia, Milano, A.Vigorelli, La nostra inquietudine. Banfi, Rebora, Cantoni,
Paci, De Martino, Rensi, Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini, Bruno
Mondadori, Milano 2007. Amedeo Vigorelli, Lettore di Spinoza. Il tempo e
l'eterno", in:, Spinoza ricerche e prospettive. Per una storia dello
spinozismo in Italia (Atti delle Giornate di studio in ricordo di Emilia Giancotti,
Urbino), D. Bostrenghi e C. Santinelli, Bibliopolis, Napoli, A. Vigorelli, "Piero Martinetti una apologia della religione civile", in:,
Le due Torino. Primato della religione o primato della politica?, Gianluca
Cuozzo e Giuseppe Riconda, Trauben, Torino, Africano Spir, Scuola di Milano G. Solari
C. Goretti L. Basso A. Baratono A. Banfi, Giuramento di fedeltà al fascismo, Treccani
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. P Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. siusa. archivi.beniculturali, Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Torino, Biblioteca
della Fondazione Piero Martinetti, Torino. Fondazione Casa e Archivio Piero
Martinetti, su Fondazione piero martinetti. D. Fusaro sul sito Filosofico.net. G.
Colombo, La filosofia come soteriologia. A) La prima forma di comunione
fra esseri, quella che fonda le prime forme di società, quella che sussiste
anche in quei gradi della vita animale onde è esclusa ogni altra forma di
socievo lezza, è l’amore. Che cosa non è stato detto e iscritto in ogni tempo
intorno all’amore? Io non intendo qui certamente aggiun gere su questo
argomento nuove ed inutili speculazioni : voglio — 115 - solamente
trattarne in quanto aneli’esso è nella vita umana una sorgente di importanti
doveri. L’amore, qualunque possano essere le complicazioni senti mentali che
ne mutano profondamente la natura e possono dargli finalità più elevate, non ha
originariamente altro fine che la (pro pagazione Astica della specie. L’unione
fisica di due individui di sesso diverso ha per effetto l’estensione della vita
organica nel tempo : per essa l’individualità effimera si sottrae in un certo
modo alla morte e celebra l’eternità sua confondendosi per un istante con la
serie delle generazioni venture. La voluttà fisica non è che una forma di quel
piacere che accompagna ogni esten sione dell’individualità, ogni fusione delle
coscienze singole in un tutto capace d’una vita più alita e più larga. Sotto
questo aspetto la voluttà riveste un carattere ideale e direi quasi sacro : e
tutta la poesia dell’amore non è che la poesia del primo, del più universale
ideale umano. Ma il desiderio antico che in questo senso trae tutti i mortali è
diventato attraverso le innu merevoli generazioni mn istinto : e l ’ uomo
avendo volto lo sguardo verso forme più alte di unità e di vita si è abituato
a'Vedere in questo dovere della propagazione della vita solo il compimento
d’una funzione organica e nella voluttà un .semplice fremito del senso che non
deve interessare la personalità superiore e che anzi può essere per la medesima
un ostacolo ed un arresto. Di qui il duplice carattere dell’amore e della
voluttà : da un lato essi sono la secreta aspirazione d’ogmi vivente, il
movente di una gran parte delle attività umane; dall’altro appariscono come una
debolezza, una vittoria dell’essere inferiore sull’es sere superiore e
veramente umano. Nel pudore che accompagna l’unione dei due .sessi e tutto ciò
che la riflette vi è qualche cosa della riverenza che impone un sacro mistero e
della vergogna che desta l’esercizio di tutto ciò ohe è vita puramente animale.
Il complesso delle attività e delle facoltà che si riferiscono a questa
funzione costituisce, forse in modo più marcato che iper ogni altra funzione
umana, un tutto ben distinto, che si - 116- stacca nella personalità
complessiva come una personalità mi nore e subordinata : vi è in ogni
individuo umano una perso nalità sessuale che, per quanto non sempre
chiaramente co sciente, ha la sua sfera di visione, la sua vita, le sue oscure
tendenze e spesso influisce in misura non indifferente sopra lo svolgimento e
il destino di tutta la persona. Questa personalità sessuale è già in un certo
senso, per l’individualità organica bruta chiusa, nel suo egoismo repulsivo, un
essere ideale : l’in dividualità atta all’amore appare come qualche cosa di
deside rabile e di bello : ed è precisamente in questo carattere di idea lità
che circonfonde tutto ciò che all’amore serve, che ha avuto origine il senso
umano della bellezza. Il « tipo » estetico che le donne in genere e molti
uomini cercano di realizzare con tutti i mezzi che l’arte e la moda
suggeriscono non è altro che la presentazione della personalità sessuale :
questa costituisce per molti l’apice di tutte le aspirazioni e di tutti gli
ideali. D’altra parte la vita non si arresta all’amore e vi sono ideali più
alti che la perpetuazione fisica, della specie : quindi di fron te alla
personalità morale ed all’umanità vera la personalità sessuale appare come
qualche cosa di inferiore e di miserabile. Quando perciò essa si svolge in noi
senza alcun legame od in opposizione con i nostri sentimenti più elevati, noi
possiamo bensì cedere per un istante al suo fascino, ma la sua vita resta pure
sempre per noi qualche cosa di straniero che più tardi rigettiamo con vergogna
e con disprezzo. Non è però affatto necessario che la vita sessuale si svolga
nell’uomo senza alcuna continuità e senza accordo con le sfere più alte della
vita interiore. Nello stesso mondo animale essa svolge nella maternità e nella
famiglia una vera attività di ordine morale che la compie e la nobilita : e
nell’uomo tutta la storia dell’evoluzione della famiglia che altro è se non il
moralizzamento progressivo della funzione sessuale? Così puri ficato ed
elevato, il desiderio del senso si intreccia con i più nobili e delicati
sentimenti della vita morale, con i.1 sentimento • - 117- della,
protezione e della carità, dell’amicizia, della solidarietà, della fedeltà;
anzi, intellettualizzandosi vieppiù e collegandosi con le aspirazioni più
elevate, diventa comunione di vita inte riore, di gioie alte e pure : l’amore
animale e sensuale si tra sforma nelle forme più nobili dell’amore umano.
Certo il fattore sensuale non scompare mai : l’amore platonico non esiste o, se
esiste, non è una forma viva e sana dell’amore. Ma anch’esso si raffina e si
assimila : il piacere medesimo del possesso di venta, per la confusione della
spiritualità di due esseri elevati, più delicato e più profondo. Sopra tutto
poi esso elimina gra dualmente da sè tutto ciò che urna viva sensibilità
estetica e morale giudica o ignobile o incompatibile con le tendenze della
personalità superiore : così sorgono le virtù dell'amore, la leal tà, la
fedeltà, la castità. L’ amore sensuale vive del piacere dell’istante e cerca
nell’oggetto suo soltanto il soddisfacimento del suo ardore : esso non è che il
contatto superficiale e momen taneo di due personalità sessuali che si
avvincono e si confon dono mentre le anime restano straniere l’una all’altra
diffi denti, sordamente ostili. L’amore veramente umano si completa con
l’unione delle volontà, che esige urna reciproca dedizione intiera, leale,
duratura ed esclude come cose indegne la men zogna, l'ingiustizia e tutto ciò
che diminuisce questa perfetta comunione di vita. Così è possibile un amore che
sorge non dal senso, ma da tutta la personalità; un amore che purifica e no
bilita, che ispira ad alte cose e ¡santifica la voluttà stessa. Questo concetto
dell’amore traccia ad ogni uomo la via che deve seguire se egli sinceramente
sdegni di degradare sè stesso ; essa, è del resto anche la via più saggia sotto
l’aspetto della fe licità. Certo può sembrare un’ingenuità chiedere alla
ragione consigli contro una passione che si mde della ragione : mentre
l’eperienza quotidiana ci mostra con mille esempi come essa sconvolga talora le
menti più equilibrate, soffochi i sentimenti più sacri, precipiti nell
turbamento e spesso nella più irrepa rabile rovina esistenze, che
l’educazione, l’intelligenza, i vincoli — 118— sociali e morali
sembravano assicurare contro la prevalenza di ignobili tendenze. Tanta è del
resto la potenza di questo «niver i-sale e profondo istinto che esso è il
movente secreto o palese di gran parte dell’attiviità umana : la massima parte
dei ritrovi, delle feste, dei divertimenti sociali, la moda e per molti ri
spetti anche l’arte non hanno altra ragione d’essere; e i vizi che esso
alimenta danno origine ad un vero pubblico mercato e ad industrie fiorenti.
Come sperare dunque che la ragione possa qualche cosa contro una volontà oscura
e ribelle che sembra avere la violenza e la regolarità delle forze di natura?
La mo rale predica contro questa passione quasi soltanto come per sod disfare
un debito : la giovinezza, la fantasia e l’arte la rivestono dei più brillanti
colori e si ridono della morale : ed anche i predicatori più severi del resto
non sanno, tra un sermone e l’altro, esimersi da un sentimento che sta fra il
compatimento e la malrepressa invidia. Io non credo tuttavia che qui la
riflessione sia del tutto mutile. L ’ esperienza della vita insegna (e ciascuno
lo ricono scerà in stesso) che vi sono nella vita interiore dei momenti
decisivi nei quali una parola, un pensiero che sono caduti un giorno nell’anima
indifferente, si risvegliano e fortificano una nobile ispirazione, soffocano
una passione nascente, provocano un deciso cambiamento d’indirizzo. Questo è
vero anche della pas sione dell’amore. Certo è inutile invocar la ragione
quando la passione è ingigantita e il vizio è inveterato : ma questo non vale
egualmente di tutte le passioni? La ragione non può di struggere l’istinto, ma
può dirigerlo : e può dirigerlo se, come un medico accorto, cura il male nei
suoi inizi. Ora l’origine del male sta, come già videro i saggi antichi, nelle
illusioni che noi ci formiamo circa la realtà. L ’ uomo, sopratutto nella giovi
nezza, non si precipita verso i piaceri che l’amore promette se non perchè la
sua fantasia presenta al desiderio le immagini più allettatrici e riveste ila
¡realtà delle forme più ¡belle e più desi derabili. Lo spirito soggiace allora
ad una specie di limita zione del proprio orizzonte : esso si
chiude nei propri sogni e diventa cieco all’aspetto del vero essere delle cose.
In questo appùnto può intervenire efficacemente la ragione. Lo sforzo che si
deve e si può compiere in quel momento in cui sorgono le prime illusioni, è di
dissipare1queste visioni ingannevoli col tenere viva e presente diinnanzi al
pensiero la realtà che esse nascondono, col rievocare le esperienze dolorose,
col ravvivare le intuizioni profonde che ci svelano l’intima e vera natura
delle cose. In fondo a tutte le cose sta la tristezza, ha detto Amici : e
veramente l’aspetto ultimo delle cose è triste, mia anche fecondo di salutare
saggezza. L’aspetto supeSiciale della realtà è lieto, vario e giocondo come
l’aspetto d’una folla che popola le vie d’una città in un giorno di festa. Ma
quante cose sordide e tristi non nascondono anche qui le varie e splendide
apparenze! Ora in nessuna parte la fantasia è tanto fertile d’in ganni quanto
nelle cose dell'amore : ed in nessuna parte l’in- gànno è così lusinghiero ed
ostinato. Tanto anzi che qualcuno hai voluto vedere nell’amore una specie
d’inganno della natura ; che si serve dell’individuo per la propagazione e lo
sacrifica, viìttimn volontaria, alla specie. Ma la natura non è in questo caso
che la nostra natura inferiore ; noi soggiacciamo all’inganno solo perchè
l’istinto ci oscura l’intelligenza e noi non sappiamo più vedere che con gli
occhi della sensualità. Questa ci dipinge la via tutta sparsa di dolci
desiderii e di soavi ebbrezze; l’amore ci si offre dinnanzi come un palazzo
incantato pieno di misteri e di delizie. Bisogna invece che l’intelletto nastro
si sforzi di mantenere sempre a sé presente questa prima, considerazione : che
l’illusione sessuale ci mostra sotto un solo aspetto un es sere che
freddamente considerato ¡nella sua 'realtà, è il più delle volte tutt’altro che
desideratile. La personalità sessuale non è che un aspetto, uno stato della-
persona; è una specie di trasfi gurazione di tutto l ’ essere che in fondo
rimane così straniera alla persona come se fosse veramente un’altra
personalità. Per ciò quando la persona amata non è per sè stessa degna di
sti- - 120- una e d’amore, l’illusione sessuale è seguita
inevitabilmente da una profonda delusione : soddisfatto il desiderio l’immagine
ideale, oggetto d’un’adorazione appassionata, isi risolve in un essere prosaico
e volgare che ci 'meravigliamo d’avere deside rato. Bisogna, in .secondo luogo
tener presente quest’altra, consi derazione : che la «tessa personalità
sessuale, dato che in noi potesse persistere lo stato passionale
corrispondente, è ben lun gi dall’essere una sorgente di gioie pure ed
immutabili : la sen sualità è, come ogni passione, un fuoco che consuma se stesso.
Un amore puramente sensuale, non potrebbe lessero che un triste ed insaziato
ardore : la vita dominata dalla lussuria ap pare, freddamente considerata,
dolorosa ed ignobile nello stesso tempo. L ’ amore d’ una donna non rende beati
che quando può trasformarsi in un sentimento più alto, come accade nella fa
miglia, od associarsi la sentimenti ideali e diventare una co munione morale
ed intellettuale di due nobili spiriti. Anzi, nelle persone di più profondo
sentire l’attrazione sessuale maschera quasi sempre un’oscura aspirazione
spirituale, il bisogno d’una comunione di vita, che riempia l’anima loro, la
elevi e la consoli ; è un vago presentimento ideale sperduto nella sfera
sessuale. Perciò quando esse non riconoscono la vera natura del senti mento
che le attrae e, nella loro cecità, ne cercano la soddisfa zione nel senso, la
loro illusione finisce, il più delle volte, in una tragedia dolorosa. Bisogna
in terzo luogo ancora aver presente che, mentre per ogni animo 'ben nato vi
sono nella vita aspira zioni e soddisfazioni 'ben più alte che quelle
dell’amore, l’amore è spesso l'impedimento più forte a questa vita superiore.
La donna, come puro .essere sensuale, è la nemica naturale degli interessi
ideali dell’uomo; essa non vive che per sè stessa e per i suoi istinti : la
volontà sua egoistica è tutta tesa verso il piacere, il lusso, i godimenti
della vanità. In cambio della vo luttà l’uomo deve il più delle volte
sacrificare alla sua vanitosa ed insignificante persona il suo lavoro, il suo
benessere, il suo valore spirituale e disperdere in una vita di agitazioni vane
í quelle preziose qualità che potevano servire ad un ben più no
bile scopo. Quante nobili esistenze non ha /perduto il fuoco oscuro della
sensualità! Quante volte l’influenza funesta della donna non è stata causa dei
più gravi turbamenti nella vita dell’uomo; della decadenza della volontà, della
rinunzia ai fini più alti, e infine della completa rovina morale! Sopratutto
quindi è necessario, per resistere a queste sollecitazioni della vita
inferiore, suscitare e tener vivo nello spirito qualche alto e degno amore che
lo ©levi sopra la sfera della bellezza sensi bile. La passione ardente ohe
travolge qualunque considera zione e saggezza puramente umana, s’arresta
dinanzi alle vo lontà più aJlte dello spirito, che aprono all’uomo una realtà
d ’ un valore infinitamente superiore. E ’ vero che non sempre noi possiamo
rivolgere il nostro pensiero verso queste realità idea, li con tanta fermezza
che non possa essere vinto degli ardori del senso : ma la contemplazione e
¡l’amore delle cose ideali tra sforma sempre il nostro modo di vivere ed apre
i nostri occhi ad una luce che non va più .perduta. Quindi anche quando questo
amore non è per sé abbastanza forte, esso favorisce lo svolgersi della
riflessione critica e induce nell’anitmo una disposizione abituale in cui il
germe della passione non trova un terreno fa vorevole e viene soffocato prima
di svolgersi. Inoltre la con suetudine con una sfera più alta di vita crea un
sano e salutare orgoglio che respinge da sè, senza esitare, ogni ibassezza.
Un’i stintiva fierezza, permette al selvaggio di sopportare con viso
impassibile i più aspri tormenti : un uomo che sopporterebbe la povertà, la
fame e qualunque strazio per il suo dovere ed il suo onore, vorrà diventare lo
zimbello dei suoi istinti e sacri ficare tutto quello che di grande e di safro
ha per lui la vita per il possesso d’una donna? Da queste considerazioni
discende anzitutto la condanna di ogni degenerazione ignobile dell’amore. L’istinto
che tende ciecamente verso la sua isoddisfazione è soggetto a singolari
aberrazioni : e l’istinto sessuale umano può essere anche aiutato —
122 — in queste sue deviazioni dal ritorno atavico della associazione sua con
altri istinti ed altre tendenze; per es. coll’impulso alla crudeltà. Anzi anche
dall’associazione con sentimenti superiori non ignobili : come è avvenuto' per
es. nell’amore omosessuale greco. La cura estrema con la quale queste tendenze
vengono tenute segrete le fa apparire come eccezioni : ma coloro che se ne
occupano per dovere professionale sanno che esse sono tutt’altro che rare,
anche fra individui delle classi elevate. Esporre i pericoli e le vergogne a
cui queste degenerazioni con ducono è cosa inutile : coloro stessi che vi
soggiaccione li cono scono. Ogni animo non ignobile deve del resto essere
trattenuto sull’orlo di questo abisso dal rispetto di sè stesso. Ma se ciò noni
bastesse, egli deve rappresentare a sè chiaramente che, degradando la sua vita
in queste turpitudini, sacrifichereb be a misere, bestiali voluttà tutto ciò
che di migliore e di desi derabile può offrire la vita dell’ uomo. L ’ atto
dell’ uomo non è qualche cosa che si possa isolare dalla natura sua e se ne
stacchi, appena compiuto, come il frutto che cade dall’albero : esso ri mane
anche dopo e non si cancella. Seguire l’istinto nelle sue depravazioni vuole
dire rassegnarsi a diventare un essere be stialmente istintivo : non bisogna
illudersi di potere dopo ciò conservare in sè qualche cosa di veramente
elevato. E vuole dire quindi anche abbandonare la propria vita a tutte le mi
serie dolorose che accompagnano la vita d’un essere tutto con finato nella sua
animalità. Ma vi sono anche altre forme ddl’amore in apparenza più normali ed
elevate che vengono coinvolte in questa condanna. Non parlo dell’amore
prettamente mercenario, che è anch’esiso una forma di degenerazione : parlo
dell’amore vago che, pure fuggendo ogni attaccamento saldo, circonda il
godimento d’una parvenza di sentimentalità che sembra 'redimerlo e nobilitarlo
: è l’amore per l’amore, l’amore libero che comincia generalmente fra le rosee
illusioni e finisce quasi sempre nella vergogna e nel pianto. Non vi è uomo
quasi che non abbia- lasciato fra- le TM'wm-• - 123— sue spine qualche
illusione di giovinezza insieme con qualche brandello di felicità e di onore,
che, se avesse la magica arte dello ^scrittore, non potrebbe scrivere
anch’egli, come romanzo, una pagina della 'sua vita e dedicarla a suo figlio
«quando avrà vent’aoani». Non vi è da illudersi quindi che la saggezza degli
altri possa sostituire totalmente l’esperienza vissuta; ma essa potrà, se non
altro, aiutare a formarsi rapidamente questa esperienza e a non consumare
dolorosamente anni preziosi ad inseguire un vano fantasma che ci allontana
dalia felicità vera e durevole. L’amore tende per sua natura, in ogni animo ele
vato, a stringere un’unione indissolubile; quindi il correre ap presso ad un
amore che noi già sappiamo non poter condurre ad una simile unione è un
preparare a sè stesso, a scadenza più o meno lunga, una sicura infelicità. Vero
amore è soltanto l’a more che è legato da un senso profondo di pietà e di
respon sabilità : e questo senso impone all’uomo di rimanere sino alla fine
della vita al fianco della donna che gli si è data e di non ab bandonarla in
balia dell’incerto destino. Perciò ogni abbandono, ogni mutamento lascia amari
rimpianti e rimorsi : la slealtà e l’ingiustizia che l’uomo addossa alla
propria coscienza, quando viene meno alle ¡menzognere promesse, è una bassezza
che avvi lisce chi la commette. Del resto già sappiamo che un amore pu
raímente fìsico è sempre deluso : di qui ]’universale ed infrenabile desiderio
degli uomini attratti verso le donne non ancora cono sciute. Ma anche questo
errare, dato che potesse sempre avere soddisfazione, non sarebbe che un passare
continuo di delusione in delusione, di rimpianto in rimpianto. Non vi è quindi
in realtà vita più triste di quella passata nei facili amori : vita che è
inseparabile dal sentimento della propria degradazione, perchè l’amore che non
termina in altro, che non isi associa con i senti menti più elevati della
natura umana, è un ben misero fine : esso non è in ultimo, se lo si spoglia di
tutti i fronzoli sentimen tali, che pretta e pura sensualità. La ricerca
affannosa della donna 11011 è che la ricerca di una donna : l’amore vago e
libero — 124 — è la conquista, attraverso molte amare esperienze,
di questa semplice verità : che non vi può essere amore veramente felice se non
nel nobile sentimento che lega l’uomo con una sola donna per tutta la vita. Ohe
l’amore pertanto, io direi al giovane dinnanzi a cui si apre questo mondo di
vaghe lusinghe, non si disisoci mai in te, dai nobili principi d’urna coscienza
retta e pura! Anche at traverso le passioni e gli errori, sii un uomo onesto!
Non acqui stare il piacere d’un’ora a prezzo della rovina d’un povero essere
debole e indifeso : questo sarebbe un tradimento vile che nes suna riparazione
pecuniarda cancellerebbe dalla tua vita. Pensa che nessuna violenza di passione
può scusare la disonestà di chi non esita, per soddisfare un desiderio, a
gettare la vergogna e la disperazione in una famiglia : sebbene la leggerezza
del mondo biasimi l ’ adulterio quasi sorridendo, non vi è dinnanzi alla retta
coscienza morale infamia più bassa. E sopratutto pensa alla condizione di
quelli che la viltà dei loro genitori ha lasciato in abbandono e che una fredda
carità cresce agli stenti, alle tristezze, alle umiliazioni di all’esistenza
miserabile. Se vi è un pensiero che valga a farci vergognare dei bassi amori,
questo è bene il sospetto che forse ora in qualche parte del mondo vi sia
qualcuno che deve a noi la vita e che ha ragione di impre care, in mezzo alle
sue miserie, al nostro egoismo inumano. Sii dunque casto : la castità è la
virtù dell’amore. Essere casti non vuol dire andare in cerca d’una virtù
soprannaturale, ma saper rinunciare a ciò che è al di sotto della nostra
natura, alle soddisfazioni dei sensi che sono ignobili ed ingiuste. Essere casti
vuole dire anzitutto dunque essere forti, saper tenere lon tano da sè i vizi
vergognosi che minano ila salute e corrompono la, delicatezza e la dignità del
carattere : vuole dire inoltre essere giusti e pietosi e non cercare ili nostro
piacere a prezzo del disonore e della rovina di altri. Se tu vuoi che l’amore
non sia per te fonte di infelicità e di rimorsi, fa sì che esso sia l’armo, nia
di due volontà nobili e pure, per le quali l’amore non è che l’inizio d’una
comunione più alta di vita. Piero Martinetti. Martinetti. Keywords: l’amore
velia, antologia platonica, amore socratico, sezione sull’Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Martinetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718225454/in/photolist-2mNaqAj-2mKNNqN-2mKDGhr-2mKjsJY-2mKbfaU
Grice e
Martini – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cambiano).
Filosofo. Grice: “One would think
that his ‘discorsi filadelfici’ are about brotherly love, but they were
delivered at the Philadelphia American-Italian Philosophical Society!” – Grice:
“He wrote on Emilio and Narciso, and a story of philosophy – starting not from
Thales but Gioberti!” – Grice: “His science of the heart – scienza del cuore –
is a mystery!” Compì studi classici a Chieri e poi, ospitato al Real Collegio di
Torino, si rivolse allo studio delle scienze naturalistiche. Con la laurea in
medicina, cui seguirà anche quella in
filosofia, ottenne l'insegnamento al predetto Istituto, prima di conseguire una
brillante carriera nell'ateneo torinese. Qui, infatti, ottenne prima la docenza
in fisiologia e poi quella di medicina
legale, cattedra quest'ultima, istituita di cui fu il primo insegnante in
assoluto. Di Torino fu anche rettore,
negli anni in cui ebbe numerosi riconoscimenti, tra cui l'onorificenza di
cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Ma non mancarono episodi tragici, allorché,
pochi anni dopo le nozze, perse la moglie (figlia del chimico Giovanni Antonio
Giobert), dalla quale ancora non aveva avuti igli, né li avrebbe avuti in
seguito, visto che non si risposò, per dedicarsi completamente all'insegnamento
e alla stesura di saggi e manuali nelle discipline mediche. In questo filone,
il più ricco, vanno almeno segnalati gli “Elementa physiologiae” e “Lezioni di
fisiologia” così come “Medicina legale”, accanto agli Elementa medicinae
forensis, politiae medicae et hygienes, cui avrebbe fatto seguito il Manuale di
medicina legale. Il variegato percorso
saggistico non si limitò (e non si esaurì) a studi a carattere
medico-fisiologico e medico-legale. Anzi, forte del curriculum studiorum
seguito fin da giovanissimo, cercò di approfondire i pensatori classici, come
nel caso di un “Coompendio” dedicato a Platone, di cui peraltro riuscì a
terminare il manoscritto poco prima di morire, arrivando persino a stilare, sia pure non in forma sistematica, una Storia
della filosofia. Risultati migliori li
ebbe, tuttavia, nel campo educativo-pedagogico. Questo indirizzo è
testimoniato, oltre che dal saggio sulla Riforma della prima educazione dai
dodici volumi dell'Emilio. Qui, facendo leva della sua vasta cultura, tratta
emblematicamente di argomenti in cui si fondono, senza soluzione di continuità,
il "viver sano" e il "maritaggio", il "governo della
famiglia" e la felicità, le "tendenze morali" e la
"moderazione nella prosperità", passando per i modi attraverso i quali
"sopportare le avversità". Saggi: “Elementa physiologiae” (Pica,
Torino); “Dei vantaggi che la medicina apporta alle nazioni” (Chirio, Torino);
“Mdicina legale” (Marietti, Torino); “Medicina curativa” (Marietti, Torino); “Polizia
medica” (Fontana, Milano); “La scienza del cuore” (Fontana, Milano); “La colera
indica” (Fodratti, Torino); “Elementa medicinae forensis, politiae medicae et
hygienes,” Marinetti, Torino “Manuale
d'igiene,” Fontana, Milano “Lezioni di
fisiologia,” Pomba, Torino “Patologia
generale,” Elvetica, Capolago “Invito a'
medici piemontesi all'occasione del cholera morbus,” Cassone, Torino “Storia della fisiologia,” Cassone,
Torino “Manuale di medicina legale,” Fontana, Milano; “Emilio, Marietti, Torino “Della solitudine,” Marietti,
Torino “Narciso o regalo agli sposi,” Marietti, Torino “Guerra e pace dei sensi,”Tip. Marietti,
Torino “Emilio o sia del governo della vita,” Tip. Fontana, Milano “Discorsi
filadelfici; ossia, fasti dell'ingegno italiano,”Tip. Marietti, Torino “Riforma
della prima educazione,” Marietti, Torino “Della sapienza dei greci,” Cassone, Torino;
“Storia della filosofia,” Pirotta, Milano “Platone compendiato e comentato,” Elvetica,
Capolago “Alcune vite di donne celebri,”
Fontana, Milano “De clarissimo viro Thoma Tosio ex ordine Oratorum sacrae
facultatis professore in regio Taurinensi Athenaeo, Regia, Torino Vita del
conte Gian-Francesco Napolio, Bocca, Torino
Vita Francisci Canevarii, Torino Cenni biografici di Lagrangia, Cassone
e Marzorati, Torino Curatele A. von Haller, Poesie scelte, Reale, Torino J.L. Alibert, Riflessioni sulla fisiologia
delle passioni o nuova dottrina de' sentimenti morali, Marietti, Torino, F.
Redi, Consulti medici, Elvetica, Capolago, D. Alighieri, La Divina Commedia, Marietti,
Torino; G. Gianelli, L'uomo ed i codici
nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico.
Repertorio di studi applicati alla prosperità e cultura sociale», Milano.
G. Corniani, I secoli della letteratura italiana dopo il suo
risorgimento, F. Predari, Pomba,
Torino); S. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti del professore cavaliere,
s.e., Bologna); Emilio, Tip. Marietti, Torino); S. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti
del professore cavaliere, s.e., Bologna); G. Corniani, I secoli della
letteratura italiana dopo il suo risorgimento, F. Predari, Pomba, Torino G. Gerini, Due medici
pedagogisti. M. Bufalini, Tip. Bona, Torino, G. Gianelli, L'uomo ed i codici
nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico.
Repertorio di studi applicati alla prosperità e cultura sociale», Milano. Lorenzo Martini. Martini. Keywords:
storia della filosofia, ingegno italiano, il cratilo di Platone -- . Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Martini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689125956/in/photolist-2mPC6Zb-2mNaHiH-2mMQbzj-2mLKeCe-2mKTjot-2mPxhsE-2mKG3XG-2mKAhjQ-2mKAuZM-2mJqjKS-F7umuM-E4u3XA-CfauoK-BpZs2v-CeUwJB-BpMtYk-BNEpJR-CjSo87-BT1Hm1-BNU92d-BWhBA9-o41Nc1-o64ha8-o41PGf-o41NYS-nNyQ22-o5Wyo3-o5X8VS-nUgG6U-nu99CS-ncVsEb-nu8gmx-ncVsRq-nu8qHt-nsnnZS-nu92TE-nu8m8X-nu8fCZ-nwbR6a-nsnoPN-nwbQn6-nu8ZcY
Grice e Martino – la religione civile della
prima e unica Roma! – filosofia italiana – magismo filosofia Italian
meridionale – filosofia del sud -- Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I like Martino – and his interviewees – there is indeed a
‘discepolato’ around him.” Grice: “We don’t have anything like Martino at
Oxford – Hollis is the closest I can think.” Grice: “In his strictly
philosophical explorations, Martino aptly clashes with Croce!” -- Dopo la
laurea a Napoli con una tesi in Storia delle religioni sui gephyrismi eleusini
sotto la direzione di Adolfo Omodeo, si interessa alle discipline etnologiche.
Si iscrive ai GUF e alla Milizia Universitaria, collaborando a L'Universale di
Berto Ricci e facendo circolare in una cerchia ristretta di collaboratori un
Saggio sulla religione civile poi rimasto inedito. L'ingresso nel circolo
crociano «Erano quelli gli anni in cui Hitler sciamanizzava in Germania e in
Europa, e ancora lontano era il giorno in cui le rovine del palazzo della
Cancelleria avrebbero composto per questo atroce sciamano europeo la bara di
fuoco in cui egli tentava di seppellire il genere umano: ed erano anche gli
anni in cui una piccola parte della gioventù italiana cercava asilo nelle
severe e serene stanze di Palazzo Filomarino per risillabare il discorso
elementarmente umano altrove impossibile, persino nella propria famiglia».
Il suo saggio, “Naturalismo e storicismo nell'etnologia” è un tentativo di
sottoporre l'etnologia al vaglio critico della filosofia storicista di
Benedetto Croce. Secondo de Martino, l'etnologia solo attraverso la filosofia
storicista avrebbe potuto riscattarsi dal suo naturalismo (tratto che accomuna,
per de Martino, tanto la scuola sociologica francese che gli indirizzi
"pseudostorici" tedeschi e viennesi). Fu lo stesso Croce a introdurre
il giovane de Martino all'editore Laterza, suggerendo la pubblicazione del
libro, in cui, nonostante qualche ingenuità, si può già scorgere in nuce l'idea
del successivo lavoro sul "magismo etnologico". Scritto negli anni
della seconda guerra mondiale e pubblicato nel 1948, Il mondo magico è il libro
nel quale Ernesto de Martino elabora alcune delle idee che rimarranno centrali
in tutta la sua opera successiva. Qui de Martino costruisce la sua
interpretazione del magismo come epoca storica nella quale la labilità di una
"presenza" non ancora determinatasi, viene padroneggiata attraverso
la magia, in una dinamica di crisi e riscatto. In quel periodo, de Martino
comincia a militare nei partiti di sinistra. Prima, dal 1945, lavora come
segretario di federazione, in Puglia, per il Partito Socialista Italiano; influenzato
da Gramsci e da Levi, cinque anni dopo,
entra a far parte del Partito Comunista Italiano. Anche per questa ragione,
negli anni che seguono, de Martino comincia a interessarsi sempre di più allo
studio etnografico delle società contadine del sud Italia, in contemporanea con
le inchieste di Vittorini e l’opera documentaristica di Zavattini. Di questa
fase, talvolta detta "meridionalista", fanno parte le opere più note
al grande pubblico: Morte e pianto rituale, Sud e magia, La terra del
rimorso. Innovativo nelle sue ricerche fu l'approccio multidisciplinare,
che lo portò a costituire un'équipe di ricerca etnografica. La terra del
rimorso è la sintesi delle sue ricerche sul campo (il Salento) affiancato da
uno psichiatra (Giovanni Jervis), una psicologa (L. Jervis-Comba),
un'antropologa culturale (Amalia Signorelli), un etnomusicologo (D. Carpitella),
un fotografo (Franco Pinna) e dalla consulenza di un medico (S. Bettini). Nello
studio del fenomeno del tarantismo vengono utilizzati anche filmati girati tra
Copertino, Nardò e Galatina. A queste monografie segue la pubblicazione
dell'importante raccolta di saggi, “Furore Simbolo Valore”. E stato
collaboratore di R. Pettazzoni all'Università "La Sapienza" di Roma,
nell'ambito della Scuola romana di Storia delle religioni. Come ordinario di
Storia delle religioni e di Etnologia, dha insegnato all'Cagliari, dove ha
avuto uno stuolo di allievi. Con ACirese, Lilliu, Cases, la sua assistente CGallini,
e in seguito altri studiosi, quali P.
Cherchi, G. Angioni, P. Clemente, e P. Solinas, saranno esponenti di
una significativa, sebbene mai formalizzata, scuola antropologica all'Cagliari,
della quale de Martino è considerato uno dei fondatori. È considerato uno
dei più importanti antropologi dell’età contemporanea, fondatore in Italia
dell’umanesimo etnografico e dell’etnocentrismo critico. La presenza La
presenza in senso antropologico, nella definizione di de Martino è intesa come
la capacità di conservare nella coscienza le memorie e le esperienze necessarie
per rispondere in modo adeguato ad una determinata situazione storica,
partecipandovi attivamente attraverso l'iniziativa personale e andandovi oltre
attraverso l'azione. La presenza significa dunque esserci (il
"da-sein" heideggeriano) come persone dotate di senso, in un contesto
dotato di senso. Il rito aiuta l'uomo a sopportare una sorta di "crisi
della presenza" che esso avverte di fronte alla natura, sentendo
minacciata la propria stessa vita. I comportamenti stereotipati dei riti offrono
rassicuranti modelli da seguire, costruendo quella che viene in seguito
definita come "tradizione". 11spedizione in Lucania Se si vuole
rintracciare in de Martino un filo comune e unitario tra l’influenza marxista e
gramsciana della “triade meridionalista” (esplicita anche attraverso la sua
militanza diretta nel PCI negli anni ‘50) di Morte e pianto ritual, Sud e
magia e La terra del rimorso e gli
appunti e i dossiers preparati per La fine del mondo, in cui è presente
un’elaborazione filosofica più marcatamente sui piani ontologico,
esistenzialista e fenomenologico e che vedranno la luce solo posteriormente dal
riordino delle carte ad opera di Angelo Brelich e Clara Gallini, bisogna
rendere centrale il nesso tra presenza/crisi/riscatto e il processo di
destorificazione del negativo ad opera dell’ethos del trascendimento;
l’immaginazione simbolica collettiva è la realizzazione di un’ethos del
trascendimento che, come un mito di fondazione per il senso di appartenenza o
la sacralizzazione dell’”oggetto” per scopi espiatori, rende possibile il
superamento di una crisi, della “presenza” in quanto soggetto che opera nella
natura, che rischia di perdersi in essa senza riscatto (escaton). Il soggetto
dunque si ricolloca nella storia tramite la cultura, e la crisi si rivela
esistenziale nel rapporto tra se’ e il mondo “altro da se’”. Ma la crisi
affonda sempre nelle materiali condizioni di vita e nelle modalità concrete di
una prassi che deve tendere e tende incessantemente alla trasformazione
rivoluzionaria (che è escatologica nelle religioni) come base insopprimibile
della costituzione di sè come soggetto: “Vi è dunque un principio
trascendentale che rende intellegibile l’utilizzazione e le altre
valorizzazioni, e questo principio è l’ethos trascendentale del trascendimento
della vita nel valore: attività dunque, ma ethos, dover-essere-nel-mondo per il
valore, per la valorizzante attività che fa mondo il mondo, e lo fonda e lo
sostiene.” Costante, inoltre, nella ricerca sul campo, come nelle analisi
ed elaborazioni degli ultimi anni, fu l’indagine sul valore euristico assegnato
ai dati psicopapatologici, sempre legato a una riflessione critica sulla
trasferibilità delle relative nozioni in contesti culturali diversi e sulle
loro implicazioni sul piano antropologico e filosofico più generale: dalla
figura dello sciamano come “Cristo magico” ne Il mondo magico, ai fenomeni di
dissociazione e possessione (influenzato dalle letture di Shirokogoroff e PJanet)
nei riti della taranta, fino alle note sulle “apocalissi psicopatologiche” ne
La fine del mondo. Il folklore progressivo Il concetto di folklore, come
concezione del mondo regressiva, secondo le “osservazioni sul folklore” del
Quaderno XXVII di Gramsci “un agglomerato indigesto di frammenti di concezioni
del mondo e superstiti documenti mutili e contaminati”, ma anche di positiva
creatività delle classi subalterne (come i canti popolari), in opposizione alla
cultura dotta delle élite dirigenti, fu oggetto di riflessione dell’antropologo
partenopeo a partire dal 1949, con il saggio “Intorno ad una storia del mondo
popolare subalterno”, pubblicato su Società sul nr.3 di quell’anno, in cui
riprende studi e indagini della nuova etnologia sovietica (Tolstov, Hippius,
Cicerov, ispirati da Propp). In un saggio lo define come proposta consapevole
del popolo contro la propria condizione socialmente subalterna, o che commenta,
esprime in termini culturali, le lotte per emanciparsene.” Il concetto fu poi
ripreso, discusso problematicamente e allargato in particolare da Cirese (in
rapporto a Gramsci) e Satriani (il folklore come cultura di
contestazione). I “folkloristi” erano stati oggetto di critica di de
Martino già nella sua prima opera del 1941, Naturalismo e storicismo
nell’etnologia, in quanto puri descrittori e catalogatori con criterio
naturalistico e non storico-culturale: per cui il folklore rimane, pur
categorizzato come “progressivo”, come fenomeno di indagine antropologica nei
termini più complessivi di cultura popolare. Crisi della presenza e
destorificazione del negativo In quanto alla “crisi della presenza” come
spaesamento, ne La fine del mondo, Ernesto de Martino racconta di una volta in
Calabria quando, cercando una strada, egli e i suoi collaboratori fecero salire
in auto un anziano pastore perché indicasse loro la giusta direzione da
seguire, promettendogli di riportarlo poi al posto di partenza. L'uomo salì in
auto pieno di diffidenza, che si trasformò via via in una vera e propria
angoscia territoriale, non appena dalla visuale del finestrino sparì alla vista
il campanile di Marcellinara, il suo paese. Il campanile rappresentava per
l'uomo il punto di riferimento del suo circoscritto spazio domestico, senza il
quale egli si sentiva realmente spaesato. Quando lo riportarono indietro in
fretta l'uomo stava penosamente sporto fuori dal finestrino, scrutando
l'orizzonte per veder riapparire il campanile. Solo quando lo rivide, il suo
viso finalmente si riappacificò. In un altro esempio, per esprimere il
medesimo concetto, De Martino racconta degli Achilpa, cacciatori e raccoglitori
australiani, nomadi da sempre e per sopravvivenza, che avevano però l'usanza di
piantare al centro del loro accampamento un palo sacro, intorno al quale
celebravano un rito ogni volta che "approdavano" in un luogo nuovo.
Il giorno che il palo si spezzò, i membri della tribù si lasciarono morire,
sopraffatti dall'angoscia. Il concetto di spaesamento, come una
condizione molto "rischiosa" in cui gli individui temono di perdere i
propri riferimenti domestici, che in qualche modo fungono da "indici di
senso", viene inserito dunque da de Martino nelle sue categorie di “crisi
della presenza” e destorificazione del negativo. La crisi della presenza
caratterizza allora quelle condizioni diverse nelle quali l'individuo, al
cospetto di particolari eventi o situazioni (malattia, morte, conflitti morali,
migrazione), sperimenta un'incertezza, una crisi radicale del suo essere
storico (della "possibilità di esserci in una storia umana", scrive
de Martino) in quel dato momento scoprendosi incapace di agire e determinare la
propria azione. La destorificazione del negativo permette l'universalizzazione
della propria condizione umana in una dimensione mitico-simbolica, mediata
dalla religione e presente nel rito. Secondo Amalia Signorelli, antropologa ee
collaboratrice della spedizione nel Salento, "Il dato esistenziale
che ha scatenato la crisi (morte, malattia, paura e altro ancora) viene
mentalmente astratto dal contesto storico per entro il quale è stato esperito e
viene ricondotto a un tempo e a una vicenda mitici". Se il mito è
narrazione, il rito è un comportamento orientato ad uno scopo e ripetuto con
parole e gesti di significato altamente simbolico. È così che mito, rito e
simbolo diventano un circuito volto alla soluzione della crisi, astraendo dalla
storia reale in cui agisce il negativo. Quando è il negativo a prevalere,
e questo accade in fasi particolarmente drammatiche dell’esistenza umana (come
la morte di una persona cara), può manifestarsi una crisi radicale, una
“funesta miseria esistenziale”, per cui l’ethos del trascendimento non riesce
più a risolvere la crisi nel valore e la mancata valorizzazione fa perdere
anche l’operabilità sul reale. L’attività etica della valorizzazione è
necessaria per impedire la destrutturazione dell”esserci”, in quanto il
“vitale” vede per intero invaso il suo spazio, quello dell’intersoggettività e
il rapporto con il mondo. Avviene allora che “la presenza abdica senza
compenso”. L'elaborazione del lutto ed il pianto rituale antico
Magnifying glass icon mgx2.svg Morte di
Gesù negli studi antropologici e Planctus. Organizza una serie di spedizioni di
ricerca in Lucania, accompagnato da un’equipe interdisciplinare, tra cui
Vittoria De Palma, anche lei etnologa e compagna di vita e con l’utilizzo di
strumenti quali il magnetofono e la cinepresa, innovativi rispetto all’indagine
folklorica classica. Riconnettendosi a Il mondo magico, decide di concentrarsi
sul lamento funebre e la “crisi del cordoglio”, ai segni, al simbolismo delle
ritualità legate ad una crisi esistenziale tra le più gravi, come quella che
segue la perdita di un caro, e il pianto e il dolore collettivi che
rappresentano la “crisi della presenza”, della propria e di tutti, minacciata
dalla morte. Il pericolo del lutto è dunque quello dell’annullamento totale.
In Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria affronta
anche il senso della morte di Cristo in rapporto alla condizione esistenziale
dell'uomo nel mondo ed al momento traumatico della esperienza della morte dei
propri cari. Di fronte alla "crisi del cordoglio" che può portare al
crollo esistenziale, emerge la esigenza di elaborare culturalmente il lutto,
nella forma socialmente codificata del rito. La consolazione offerta dal credo
religioso riconduce a forme sopportabili la carica drammatica del lutto,
riferendola simbolicamente alla morte tragica di Cristo sulla croce, forme che
consentono di ritrovarsi uguali nel dolore, ma che diventano anche promessa di
resurrezione. «È possibile interpretare la genesi del protocristianesimo
come esemplarizzazione di una storica risoluzione del cordoglio che trasforma
Gesù morto in Cristo risorto e il morto che torna nel morto-risorto presente
nella chiesa e nel banchetto eucaristico. Le apparizioni di Cristo dopo la
morte testimoniano la Resurrezione e la presenza di Cristo nella chiesa sino al
compimento del piano temporale di salvezza. Dopo l'Ascensione la discesa dello
S.S. inaugura l'epoca in cui il morto-risorto è con i credenti sino alla fine,
per donare la spinta alla testimonianza missionaria. Il Cristianesimo diventa
un grande rituale funerario per una morte esemplare risolutiva del vario morire
storico e come pedagogia del distacco e del trascendimento rispetto a ciò che
muore (il che poteva aver luogo solo in quanto il morto era l'unto
dell'Uomo-Dio)". Abbiamo un esempio storico di soluzione della crisi e la
garanzia mediante la fede della presenza del Risorto nella comunità. La
celebrazione eucaristica rappresenta contemporaneamente l'evento passato di un
Cristo al centro del piano temporale di salvezza (mito che garantisce e fonda
la salvezza futura) e l'evento futuro della definitiva Parusia.» De
Martino indaga la persistenza, nelle realtà marginalizzate della Lucania, del
pianto funebre, come “riplasmazione” del planctus irrelativo, rito antichissimo
e diffuso prima del Cristianesimo in tutta l'area mediterranea. La
destorificazione dell’evento luttuoso, soggettivamente vissuto, permette di
riportarlo ad una dimensione mitico-rituale, e dunque al superamento della
crisi. Su questi temi si è soffermata una sua studentessa e
collaboratrice, la scrittrice Muzi Epifani, nella commedia La fuga, scritta a
dieci anni dalla sua scomparsa. Saggi: “Naturalismo e storicismo
nell'etnologia” (Laterza, Bari) – l’ennico – Grice: “Italians cannot pronounce
‘-tn-‘ so that the etnico becomes ‘ennico’!” --; “Il mondo magico: prolegomeni
a una storia del magismo” (Einaudi, Torino); “Morte e pianto rituale nel mondo
antico: dal lamento pagano al pianto di Maria” (Einaudi, Torino); “Sud e magia La terra del rimorso. Contributo
a una storia religiosa del Sud” (Feltrinelli, Milano); -- cf. Grice, magismo – two kinds of magic
travel, carpet route-travelling, routeless travel – the exercise of judgment --“Furore,
simbolo, valore” (Saggiatore, Milano); “Magia e civiltà. Un'antologia critica
fondamentale per lo studio del concetto di magia in occidente” (Garzanti, Milano);
“Mondo popolare e magia in Lucania” (Basilicata, Roma-Matera) -- Grice: “There
are two types of magic actually: carpet flying and disappearance!” – “La fine
del mondo -- contributo all'analisi dell’pocalissi” (Einaudi, Torino); “La collana
viola” (Boringhieri, Torino); “Re-ligione, comunismo [lavorismo] e psico-analisi”
(Altamura, Roma) Compagni e amici” (La nuova Italia, Firenze); “Storia e Meta-storia”“i
fondamenti di una teoria del sacro” (Argo, Lecce); “Note di campo: spedizione
in Lucania” (Argo, Lecce); “L'opera a cui lavoro: apparato critico e
documentario alla Spedizione etnologica in Lucania” (Argo, Lecce); “Una vicinanza
discrete” (Oleandro, Roma); “I viaggi nel Sud” (Boringhieri, Torino); “Panorami
e spedizioni” (Boringhieri, Torino); “Musiche tradizionali del Salento” (Squilibri,
Roma); “Scritti filosofici” (Mulino, Bologna); “Dal laboratorio del mondo magico”
(Argo, Lecce); “Ricerca sui guaritori e la loro clientele” (Argo, Lecce); “Etnografia
del tarantismo pugliese. I materiali della spedizione nel Salento” (Argo, Lecce);
“Promesse e minacce dell'etnologia”; G. Angioni, Una scuola antropologica
sarda?, in “Sardegna: idee, luoghi, processi culturali” (Roma, Donzelli); “Antropologia
e il comunismo del lavoro”; “Marxismo e religione”, “Il folklore pro-gressivo,
in l’Unita’, “Teoria antropologica e metodologia della ricerca, L'asino d'oro ;
Il mondo magico, ed., Torino, Rèpaci, G. Angioni, Fare dire sentire. L'identico
e il diverso nelle culture, Nuoro, Il Maestrale, M. Baldonato e B. Callieri,
Soglie dell'impensabile. Apocalissi e salvezza, Rivista sperimentale di freniatria:
la rivista dei servizi di salute mentale (Torino: [Milano: Centro Scientifico;
Angeli). R. Beneduce, Un'etno-psichiatria della crisi e del riscatto, "aut
aut", S. Fabio Berardini, Ethos Presenza Storia. La ricerca filosofica, Trento Giordana Charuty, Le precedenti vite di un
antropologo, Angeli, Milano, P. Cherchi,
Dalla crisi della presenza alla comunità (Napoli, Liguori); P. Cherchi, Il peso
dell'ombra: l'etnocentrismo critico e il problema dell'auto-coscienza culturale,
Napoli, Liguori, P. Cherchi, Il signore del limite: tre variazioni critiche (Napoli,
Liguori); S. Matteis, Il leone che cancella con la coda le tracce. L'itinerario
intellettuale, Napoli, d'If, Riccardo Di Donato, La Contraddizione felice? Martino
e gli altri, ETS, Pisa, M. Epifani, La fuga. Opera teatrale, Roma, riedita da La mongolfiera edizioni e
spettacoli; F. Faeta, I viaggi nel Sud, Boringhieri, collana «Nuova Cultura», F.
Cecla, Perdersi. L'uomo senza ambiente. Laterza, Bari); Dizionario Biografico degli
Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani Mariannita Lospinoso, Enciclopedia
Italiana, Appendice, Istituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani M. Massenzio, L’antropologia, in Il
Contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia, stituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani A. Momigliano, Recensione a "La terra
del rimorso", in Rivista storica italiana, Quarto contributo alla storia
degli studi classici e del mondo antico,
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, G. Sasso, Ernesto Fra religione
e filosofia, Napoli, Bibliopolis, P.Taviani, Ridere un mondo, Roma, Aracne,. C.
Zanardi, Sul filo della presenza. Fra filosofia e antropologia. Unicopli, Marco
Tabacchini, Dramma e salvezza: il carattere protettivo del mito in G. Leghissa,
Enrico Manera, Filosofie del mito nel Novecento, Carocci, Roma. A. Rigoli,
Magia ed etno-storia, Boringhieri, Torino); B. Croce Vittorio Lanternari Claude
Lévi-Strauss Diego Carpitella, “Tarantismo” -- Carlo Tullio Altan Alberto Mario
Cirese G. Angioni Antropologia culturale P. Cherchi Scuola antropologica di
Cagliari A. Gramsci Storia delle religioni Etnologia Pizzica, TreccaniEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
M. Lospinoso, Enciclopedia Italiana, Appendice, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, VDizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, siusa.archivi.beniculturali, Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Marcello Massenzio,
Ernesto De Martino e l'antropologia, in Il contributo italiano alla storia del
Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Recensione a Morte e
pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria. Recensione a Il
mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo. Pagina autore Liber Censor.net di Ernesto de Martino, Istituto Ernesto De
Martino, su iedm. Società di Mutuo Soccorso Ernesto de Martino, su sms de martino.noblogs.org.
Interpretazioni dell'apocalisse: le tre edizioni de La fine del mondo di Ernesto
de Martino, su L’analisi e la classe, "Intorno a una storia del mondo
popolare subalterno", su Academia.edu. Grice: “The more Martino speaks of
‘meridionale’ and ‘sud’ the less I’m willing to qualify him as an Italian
philosopher simpliciter – so I categorise him as a representative of ‘filosofia
del sud’ or ‘filosofia meridionale’. Ernesto de Martino. Martino. Keywords:
religione civile, magismo – essercizio del giudizio – viaggio magico en route –
carpet route travelling – o routeless --. Luigi Speranza, “Grice e Martino” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51746749229/in/datetaken/
Grice e
Masci – critica della critica della ragione – implicatura solidale – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Francavilla al Mare). Filosofo. Grice: “But perhaps more interesting
that his explorations on the judicative are Masci’s conceptual analysis, and
fascinating ‘natural’ history of the will, with a focus on Aristotle!” Grice:
“Like Masci, I make a conceptual connetction between willing and free-will.” –
or “volonta” e “liberta” in his words!” -- Grice: “I like Maci; he has
philosophised on forms of intuition and instincdt – cf. my “Needs’ – and what
he calls the psycho-physical materialism. Also on what he calls the
psychological parallelism – He spent a few essays on quantification and
measurement in atters of the soul -- -- and speaks of an ‘indirect measure’ in
psychology. He has opposed ‘conoscenza’ to ‘credenza’ (cf. my knowledge and
belief), and further, ‘conosecenza and pensiero’, knowledge and thought. Nato
in una famiglia della borghesia abruzzese, perse il padre Guglielmo all'età di
4 anni. Frequentò il collegio Giambattista Vico di Chieti e, completati gli
studi liceali, fu allievo del professor Mola, che gli insegnò filosofia,
scienze e matematica. Iniziò nel 1862 gli studi di giurisprudenza all'Napoli,
dove si laureò nel 1866, ed in seguito studiò scienze politico-amministrative.
Cominciò ad approfondire le sue conoscenze filosofiche grazie alle lezioni
tenute da Bertrando Spaventa nella stessa città. Influenzato dalla sua
formazione universitaria e dallo stesso Spaventa, al centro dei suoi primi
studi c'era il pensiero di Kant e Hegel. Ottenne la cattedra di
professore reggente di filosofia presso il liceo di Chieti, prima
dell'abilitazione che gli fu consegnata a Pisa. Inoltre venne nominato
vincitore di un concorso della Reale Accademia delle scienze morali e politiche
grazie ad un saggio sulla Critica della ragion pura. Divenne libero docente di
filosofia teoretica all'Napoli e, l'anno successivo, di storia della filosofia
presso l'Pavia. Abbandona l'insegnamento a Chieti per recarsi a Padova, dove
era stato nominato professore straordinario di filosofia morale. All'istituto
scolastico lasciò numerosi scritti sulla filosofia antica. Un anno dopo divenne
Professore all'Napoli. Ottenne la carica di rettore dell'Napoli e di
consigliere comunale della medesima città. Nel corso della sua carriera
politica fu eletto deputato dal collegio di Ortona al Mare per la XIX
legislatura e fu un sostenitore di
Annunzio. Entra nel Senato del Regno, dove intervenne più volte sul tema
dell'istruzione pubblica. Sosteneva la maggiore importanza della formazione
classica rispetto a quella tecnica o scientifica nelle scuole secondarie.
Liceo scientifico "Filippo Masci" a Chieti Fu Presidente
dell'Accademia di lettere ed arti della Società Reale di Napoli, socio della
Regia Accademia dei Lincei, membro del Consiglio superiore dell'Istruzione
Pubblica e di altre istituzioni culturali. Presso i lincei difese l'importanza
di Kant e Fichte in contrasto con le parole di Luigi Luzzati che li aveva
criticati per essere filosofi tedeschi. S’erige un busto commemorativo a
Francavilla al Mare e il neonato liceo scientifico di Chieti fu intitolato in
suo onore. Nel corso della sua carriera conobbe Scarfoglio e Annunzio, che
continuò a frequentare negli anni successivi. Inoltre fu tenuto in grande
considerazione da Spaventa. Compone “Pensiero e conoscenza”, in cui sono
racchiusi gli aspetti più importanti della sua filosofia. Ha molteplici
interessi (filosofia, psicologia, sociologia, pedagogia, diritto e storia) ed è
considerato uno dei più importanti esponenti del neo-kantismo o neo-criticismo,
avendo rifiutato sia alcune posizioni di Spaventa, sia l'affermato positivismo
di Ardigò, che esclude ogni possibile principio a priori della conoscenza. La
ripresa della filosofia di Kant e segnata dalla convinzione che e sbagliato
ridurre la realtà a pura rappresentazione, ma anche dal tentativo di studiare
la genesi psicologica delle categorie e quindi negare la loro formulazione
numericamente rigida. Nel materialismo psico-fisico cerca di dimostrare l'unità
tra anima e natura in una concezione psico-fisica della realtà, ma la sua
filosofia e criticata da Gentile, anche a causa della mancata adesione al ne-oidealismo.
Saggi: “Le forme dell'intuizione” (Vecchio, Chieti); “L’istinto” (Società Reale,
Napoli); “Il materialismo psico-fisico”“Il parallelismo in psicologia, “Atti
dell'Accademia di Napoli”, Napoli Intellettualismo e pragmatismo, “Atti della
Regia Accademia delle Scienze morali e politiche”, Napoli, “Quantità e misura
nei fenomeni psichici”Memoria letta all'Accademia di Scienze Morali e Politiche
della Società Reale di Napoli. Napoli: Federico Sangiovanni & Figlio, “Della
misura indiretta in psicologia.”Conoscenza scientifica e conoscenza matematica.
Napoli: Federico Sangiovanni & Figlio, “Credenza e conoscenza” -- “I like the latest bit, where he discusses
the reciprocity of the faculties” – Grice.)
Atti dell'Accademia di Napoli”, Napoli, “Pensiero e conoscenza,”Bocca
Editori, Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italian astrino per uniforme
ordinaria Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia Ufficiale dell'Ordine
dei Santi Maurizio e Lazzaronastrino per uniforme ordinariaUfficiale
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Note Schede di personalità
abruzzesi importanti nel campo della filosofia, Regione Abruzzo). Storia
del liceo F. Masci e biografia, Liceo F. Masci). Discorso di commiato per la morte di Masci,
su notes9.senato. 15 luglio. Alfonso
Pietrangeli, Filippo Masci e il suo neocriticismo, Milani, Padova 1962. Luigi
Gentile, Filippo Masci: dal criticismo kantiano al monismo psicofisico, Noubs,
Chieti 2003. Giuseppe Landolfi Petrone, Masci Filippo, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, ATreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Filippo Masci, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di Filippo Masci, su Liber Liber.
Opere di Filippo Masci, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Filippo Masci, su storia.camera, Camera dei
deputati. Filippo Masci, su Senatori
d'Italia, Senato della Repubblica. Differenza tra la Filosofiu'e'TI 11
Ut!!(!'!!#; particolari, oggetto della Filosofia, la Gnoseologia e la
Filosofia prima come parti fon¬ damentali della Filosofia generale, p. I
— § II. Distinzione dei si¬ stemi filosofici, loro significato e
importanza, p. 4 - § HI. Distin¬ zione delle altre parti della Filosofia
generale ed applicata, partizione e limiti della Filosofia elementare, p.
i». LOGICA PBELIMI NARI CAPO I.
CoNCKTTO DELLA LOGICA E SUE l'Alt TI § I. La Logica come
scienza formale e dimostrativa, sua definizio¬ ne, p. 15 — §11.
Importanza della Logii*, suo rapporto con le altre parti della Filosofia
e con la scienza, p.24 — § III. Pensiero e co¬ noscenza; divisione
generale della Logica, p. 2S — § IV. Nozioni pre¬ liminari sulle formo
elementari, concetto, giudizio, sillogismo; for¬ me metodiche, p.
31. CAPO II. I PRINCIPI! LOOICI. § I.
Determinazione dei principii, p. 40 — § II. Il principio d'iden¬ tità, p.
41 — § III. Il principio di contraddizione, valore di questo principio,
p. 42 — § IV. Il principio di terzo escluso, p. 47 — § V. Il principio
della ragion sufficiente, p. 49 — § VI. Valore dei principii logici, p.
52. APPENDICE.
Illustrazioni filologiche. i Logica, dialettica,
annliticn, elementi, c oncetto , nota, rappresen- zione, teoria. Teorema,
•'problema/Speculativo. Astratto e concreto, U soggetto ed
oggetto, contenuto ed estensione, analisi e sintesi), p. fili.
PARTE PRIMA. Teoria delle forme elementari. SEZIONE
PRIMA. Il concetto. CAPO I. Formazioni:
k natura dei. concetto. § I. Il concetto e 1 astrazione, p. 71 — §
II. L'iinagine concettuale,. P- 13 — •} ITI. Il concetto e la parola, p.
78 § IV. Caratteri del concetto, p. 81 — § V. Il concetto e
l'essenza, p. 84 — § VI. Il con¬ cetto e il giudizio, p. 87.
CAPO H. II. CONCETTO CONSIDERATO IN SR STESSO. S I. Lo
note , loro significato rispetto all'unità del concetto, e loro ordine in
esso, p. 00 — § IT. Concetti nstrutti e concreti; qualità, generi,
specie, forme diverse dell'astrazione, p. 04 — § III. Nota e parte,
concetti di relnzioue, p. 06 — l; IV. Contenuto ed estensione dei
concetti, rapporto tra il contenuto e 1' estensione, p. 08 §.V.
Contenuto ed estensione nei concetti di relaziono, p. 101 - § VI.
Della chiarezza del concetto, p. 103. CAPO III.
Il concetto considerato in rapporto ad altri concetti. § I.
Rapporto d identità e diversità, concetti equipollenti e con¬ cetti
reciproci, significato delle parole sinonimo ed omonimo , p. Idi
— 523 — --§ II. Rapporto d'opposizione, concetti limitativi
e privativi, con¬ cetti in opposizione contraria reciproca, p. 108 —$
III. Rapporto «li subordinazione e coordinazione, contiguità ed
interferenza dei con¬ cetti, i sistemi dei concetti, p. 113 — § IY.
Subordinazione e coor¬ dinazione dei concetti di relazione, condizione e
condiziauato, prin¬ cipio e conseguenza, p. 120. CAPO
IV. Le categorie. § I. Categorie grammaticali, logiche
e gnoseologiche, classifica¬ zione aristotelica delle categorie,
differenza tra le categorie logiche e le grammaticali, p. 122 — § II. Le
categorie gnoseologiche, la clas¬ sificazione kantiana, p. 120 — § III.
Le categorie di .sostanza e di causa; il numero come epicategoria, p.
120. APPENDICE. Grammatica e Logica. § I.
Elementi materiali ed elementi formali del linguaggio, p. 133. — § II.
Influenza del pensiero sul carattere formale della lingua, p, 105—§IU.
Influenza delle forme grammaticali sullo sviluppo del pensiero, p.
138. SEZIONE SECONDA. Il Giudizio. CAPO
I. Del giudizio in generale. § I. Definizione logica
del giudizio, le definizioni realistiche e le logiche, teoria del
Brentano, p. 140 — § II. Elementi dol giudizio, p. 147. CAPO
II. Della classificazione dei giudizu. $ I. La
classificazione tradizionale dei giudizii e il suo fonda¬ mento logico,
p. 150 — § II. Discussione delle obiezioni contro d i essa, p. 152 — §
III. Forme dei giudizii secondo la qualità ; a) il giu¬ dizio affermativo
e le varie specie d'identità da esso espresse; b) il
— 524 — giudizio negativo, sua essenza e sue forme principali,
limite della predicazione negativa; r) il giudizio infinito, se è una
forma a sé rapporto te» l affennaaione e la negazione nel giudizio
infinito,’ p. 154 - § IV. Jorme dei giudizi! secondo la quantità; a) il
giudi¬ zio universale, sue forme quantitativa e modale; b) il giudizio
par- 6 ÌUdUttÌV “' se sia ™specte «ordinata de universa ' 6
;^! 1 giudeo ind^du^e, sue forme si laro Polme ?-’ sua ,. ,rre f
ucibiIità al giudizio universale, p. ICO - § V Forme de. giudizi, d,
relazione; a) il giudizio categorico sua fun¬ zione sua irreducibilità;
») il giudizio ipotetico, se Sia .m giudeo Ino g j 17 - 1 1 ?°|.
etl ° 1 ' c> ’’ S lm,izio disgiuntivo, suo significato logico
condiziom di validità; si mostra che non iuchiudfn con catto della
re^rocità d' azione ed è un giudizio dell’estensione, ft* e
giuiUzi. modali, critica delle obiezioni del Sigivi | deMVundt
CAPO III. Dki GIUDIZII COMPOSTI. S I. Natura dei
giudizii composti, loro specie, p. 171 s U Ghi notti ::rr u >i r
f eiazìoue <,mogen,;u ■ 172 -§ m. (h^ CO m- post. a relazione
eterogenea, p. 174!- $ IV. Giudizii contratti, p. 175 - \ • Qnadro
generale di tutte le forme dei giudizii, p. no. CAPO IV.
Giudizi analitici e sintetici. r t i I | GÌ j d !? ÌÌ
analitici - sintetici, e sintetici a priori, p. 177 - S II -ritmile della
teoria dei giudizii sintetici a priori, significato vero di questa
teoria, p. 178 _# III, Giudizi! empirici e giudizii a priori. CAPO
V. Delle relazioni dei concetti nei giudizii K DELLE
RELAZIONI DEI GIUDIZII. § I. Attribuzione del predicato ni soggetto
nei giudizii, p . 181 _ s I. Dipendenza delle relazioni dei giudizii
dulie relazioni del loro contenuto, relazioni immediate, e mediate, e
specie della prima tecnica dei raziocina immediati, e schema della
subalternuzioue e dell opposizione dei giudizii, p. 184.
— 525 — CAPO VI. Delle trasformazioni dki
annui S I. Trasformazioni quantitative e modali per
subalternazione, p. 188 — $ II. Trasformazioni quantitativo-qualitative e
modali por opposizione, p. 101 — § IH. Trasformazioni por equipollenza
qua¬ litativa, per equipollenza della relazione, per equipollenza tra
la quantità o la modalità, p. 106 -§ IV. Teoria delle reciproche,
suo valore logico; teoria delle reciproche universali affermative ;
caso delle reciproche condizionali, (teorema di Hauberì.Lo reciproche
uni¬ versali negative. Lo reciproche particolari affermative e
negative, p. 2(X) — § V. Teoria della contrapposizione, p. 211 - jj VI.
Si prova che le reciproche e le contrapposto delle proposizioni
universali sono, quando sono possibili, vere illazioni, p. 215.
SEZIONE TERZA. Il Sillogismo. CAPO I.
Ragionamento e Sillogismo. § I. I gradi del sapere e le vie
della ricerca, sillogismo e indu¬ zione, p. 217 — S II. Strutturo del
sillogismo e sua definizione, p. 22U — § III. La sillogistica
aristotelica e la sillogistica delle scuole, generalizzazione logica e
generalizzazione scientifica, l'uni¬ versale come fondamento ili
qualunque dimostrazione, p. 222. CAPO II. Il
sillogismo categorico. § I. Regole gonerali del sillogismo, p. 225
— § li. Figure sillogi¬ stiche, p. 221) — § ili. Modi generali del
sillogismo, e modi speciali di ciascuna figura, p. 232 — § IV. Valore
delle figure sillogistiche, la quarta figuro, p. 234 — § V. Specie del
sillogismo; 1' entimema, la sentenza entimematica, l'epicherema, il
polisillogismo, p. 238 _ § VI. Il sorite; sorite deduttivo e sorite
induttivo, p. 241 — § VII. Rapporto tra la vorità dell’ illazione e la
verità delle premesse p. 244. CAPO III.
II. SILLOGISMO iroTETICO E IL SILLOGISMO DISGIUNTIVO. 6? I. Il
sillogismo ipotetico: impossibilità di ridurre 1 una all altra le forme
del sillogismo; sillogismo ipotetico con termine medio, sillogismo
ipotetico senza termine medio e suoi modi, p. 210 — § II. Il sillogismo
disgiuntivo e sue formo, p. 250— § III. Il dilem¬ ma, sue forme, sue
regole, p. 252. CAPO IV. Del riii Nciptp e dui.
valore del sillogismo. § I. Esposizione ed esame delle obiezioni
contro il valore dimo¬ strativo del sillogismo, p. 254 — § II. Critica
della teoria del Mill, che ogni ragionamento, e quindi anche il
sillogismo, e un inferenza dal particolare al particolare, p. 2(50 — §
HI. Esame della quistione se il sili ogismo sia la forma generale del
raziocinio, p. 202 § IV. Del p rincipio fondamentale del
sillogismo; se sia materiale o for¬ male; i principii aristotelici e
quelli del Lambert. Si dimostra che il sillogismo si fonda sugli assiomi
logici e sul principio della sosti¬ tuzione dell'Identico, p. 205.
PARTE SECONDA. Teoria pei. Metodo SEZIONE
PRIMA. Metodo sistematico § I. Oggetto e parti del
metodo; oggetto e parti del metodo si stemutico, p. 271. CAPO
I. La definizione. § I. Elementi della definizione ;
come 1' individuazione del con¬ cetto sia effetto della loro composizione,
p. 272 — § II. Le defini¬ zioni come principii proprii nelle scienze
deduttive e induttive, p. 275 — S III. Concetti indefinibili e loro
specie ; forme approssi¬ mate della definizione, e loro valore assoluto e
comparativo, p. 276 — — 527
— •§ IV. Definizione nominale e definizione reale, specie della
defini¬ zione nominale, la definizione nominale induttiva; la definizione
reale, definizioni riversibili, difficoltà opposte delle definizioni
metafisiche «d empiriche, metodo delle definizioni reali induttive,
definizioni reali deduttive, p. 281 — § V. Definizioni analitiche e
sintetiche, la defi¬ nizione genetica, p. 287 — tj VI. Regole delle
definizioni, P- 289. CAPO II. Divisione e Classificazione.
§ I. Concetto della divisione, e sue regole, p. 291 — § II. Da
dico¬ tomia, sue specie, suo valore logico, p. 293 — § HL La
classifica¬ zione scientifica, suo fino; le classificazioni per qualità
apparenti; la classificazione tassonomica e la classificazione per serio,
p. 29B — § IV. La classificazione per tipi , sue specie; inferiorità
della clas¬ sificazione per tipi alla classificazione per definizioni, p.
302 — § V. Le classificazioni genetiche ; come siono apparecchiate
dalla fase comparativa delle scienze; Jifficoltà delle classificazioni
gene¬ tiche, loro perfezione rispetto a tutte le altre, p. 303.
CAPO ID. PnOVA DEDUTTIVA K J'HOVA INOUTTIVA. § I.
Oggetto della prova; i principii di prova e loro specie; specie •della
prova, p. 305 — § II. La prova deduttiva, sue forme logica e causale,
analitica e sintetica. Procedimenti e modi varii della prova deduttiva
analitica, p. 300 — § III. Sqhema della prova induttiva; la teoria
dell’induzione in Aristotele, Bacone, Tlume e Stuart Alili; verità ed
errore della teoria del Mill; so il calcolo dello probabilit à, o il
principio d'identità possano essere fondamento deU'induziono, p. 311 — §
IV. Differenza dell'induzione dall' associazione psicolo¬ gica; solo
fondamento della logica dell'induzione la dipendenza della realtà da
principii a da cause come una legge necessaria del pensiero e
dell'essere. L'induzione come operazione inversa della de¬ duzione,
limiti di questa teoria, p. 315 — § V. Delle forme di ra¬ gionamento che
sembrano, ma non sono induzioni II postulato dell'uniformità delle leggi
di natura, come debba intendersi, e quali sieno propriamente leggi ili
naturu: rapporto del postulato col prin¬ cipio di causa; si mostra che
questo assicura non solo l’uniformità degli effetti, ma anche l'uniformità
delle cause, p. 320 — § VI. Gradi dell'induzione; di verse condizioni
della sua val idità nelle scienze della natura e in quelle dello spirito;
l'induzione nelle Matema¬ tiche, p. 325.
— 528 — CAPO IV. La PROVA KNT1MKMAT1CA K
L'ANALOGICA. § I. La prova entimematica, sue specie, suo uso o
valore essen¬ ziale nelle ricerche scientifiche, suo carattere deduttivo,
p, 329 — § li. Tecnica del ragionamefl4£jmjjlo£ieo, somiglianze e
differenze dall induzione, in che senso e in che limiti debba intendersi
che è un’inferenza dal particolare al particolare, p. 332 — § III.
Rap¬ porto tra l'analogia c l'as sociazione psicolo gica: il nesso tra la
fun¬ ziono logica e la psicologica come causa dell'uso larghissimo
del¬ l'analogia nella prova scientifica, e dei facili errori ili cui è
causa, p. 336 — § IV. L a ngioma perfetta e l'impe rfetta, grudi di
quest'ul- tima, e limiti della~sua validi^, p. ,'!tt "Tj Y.
L'analogia d'identità e l'analogia «li coordinuzione, p. 340.
CAPO V. La prova indiretta. § I. Tecnica della
prova indiretta , sue forme contraddittoria e disgiuntiva; e rrore d ella
Lo gica tradizionale che ammette solo l a prim a : critica delle
contrarie teorie del Sigsvart e del Wundt, p. 341 — § IL La prova
indiretta disgiuntiva multipla, e l’ alterna¬ tiva; la prova indiretta
contraddittoria, p. 345 — § III. Paragono tra la prova diretta e
l’indiretta; casi del loro uso cumulati vo, e fun¬ zioni in essi della
prova indiretta, p. 347. CAPO VI. 1 PUINUIPII DI
PROVA. gl. Necessità che vi siano princi pii primi ; j vr indpii
proprii, 1 >, 350— § II. Specie dei principii; d efinizi oni, ipotesi,
postulati, a ssio mi; caratteri logici di ciascuno di essi e loro
funzioni; discus¬ sione sui caratteri dell’assioma, p. 362 — § III. Il
criterio della cer¬ tezza consiste nell'inconcepibilità del
contraddittorio, e nei postu¬ lati della verit à d ell' esperienza ~~e
ifolLy informità della natura, p. 368. CAPO VII.
Sofismi . § I. Se la Sofistica sia una parte della Logica,
Difficoltà di dare una buona classificazione dei sofismi, esame delle
classificazioni di
— 520 — Aristotele, del Whately e dello Stuart
Alili; ragioni di ridurre i .so¬ fismi a tre classi secondo che
riguardano o le premesse, o l'illa¬ zione, o la conseguenza logica della
prova, n. 3( il - § n. Sofismi verbali e so fismi morali , p. Sili — §
III. Sofisrnìuigici relativi alle premesse; loro specie, premesso
apparentemente vere, petizione di principio , inversione tra principio e
conseguenza, p. 307 — § IV. Sofismi relativi all'i llazi one, loro
specie, 1 'ignorano elenchi, e il ai- auto» probare nihil probare, p. 372
— § V. So fismi r i rr» |a conse- SEZIONE SECONDA.
Metodo inventivo. I. Oggetto o parti del metodo
inventivo, p. 383. CAPO I. Dei metodi
ikdutitvi. S I- Analisi dell'idea di legge; leggi normative,
causati, matemati¬ che. Definizione della legge, p. 386 § II. Oggetto
della ricerca induttiva sono le leggi causali; distinzione ili esse
dalle leggi di coe¬ sistenza. Il c oncetto.sperimentale della ca usa.
Caratteri fondamen¬ tali della causalità nella natura; la pluralità delle
cause, lu molti- plicità delle serie causali, hi composizione a
collocazione delle causo, la trasformazione delle cause, la causalità
unilaterale e reciproca, p. 3‘.io — s III. L osservazione scientifi ca:
il suo carattere fondamen¬ tale è la prevalenza del ragionamento sulla
percezione. Precetti a cui deve conformarsi. Le tre operazioni nelle quali
si risolve sono, l'analisi, l'eliminazione, la generalizzazione.
Osservazione esterna od interna, p. 304 — § IV. L'esperimento, suo
maggior valore rispetto all induzione. Necessità di mezzi superiori di
ricerca sperimentale, i metodi induttivi, p. 401. Masci —
Logica. 34 ?■ o: t g uenza logica della p rova: s
ofismi dedu ttivi, loro specie, sofismi di conversione e di opposizione,
sofismi por inosservanza delle regole sillogistiche circa la qualità o
quantità dell'illazione in rapporto alla qualità e quantità dello
premesso, sofismi di divisione e di composizione, sofismi a dirlo
secondimi quid ad ilictum simplieiter, et secundunr alterimi quid. p. 373
— § VI. Sofismi induttivi; sofismi _ di osservazione, loro specie;
sofismi di generalizzazione, loro specie; i sofismi di falso analogio
derivanti dall'uso delle metafore sognano il limite di transizione dai
sofismi di pensiero ai verbali p. 377. oféeeH'
- f)30 — CAPO
II. Dki metodi induttivi. (muti nuaz unir)
§1.1 metodi induttivi in Bacone, Herschell e Stuart Mill, p. 404 §
li. Il metodo di concordanza, p. 406 — § III. Il metodo di diffe¬ renza,
e il metodo di concordanza negativa, p. 407 § IV. Il me¬ todo delle
variazioni, p. 410 — § V. Il metodo dei residui; uso cu¬ mulativo dei
metodi induttivi, p. 412 — § VI. Limiti del valoro dei metodi induttivi
dipendenti dalla mol teplicità delle cause p ^dOili di uno stesso effe
tto, e dalle complicazioni delle cause. Necessità dell'integrazione
deduttiva per ricollegare le parti del procedimento induttivo, p.
414. —* * capo in. Dei. metodo deduttivo.
t f*TCSÌ § I. Oggetto e forme del procedimento inventivo deduttivo
; uso di questo procedimento nelle scienze razionali, il valore delle
ijw- tcsi in queste dipende dall'inversione del procedimento
deduttivo. Applicazione del metodo alla risolupiona dei problemi ;
necessità della dcdueione dei concetti come fondamento di esso, p, 41S —§
II 11 proce dimento deduttivo nelle scienze eimteri che causali;
suppone l'induzione anteriore delle leggi causali più semplici, o
consiste o in una riduzione o in una sintesi. Necessità j ella
itjerificazioD e. p. 422— § III. Il procedimento deduttivo da i uotegi
causali. C ondizioni cIVih i- missibilità delle ipot esi, p. 425 — § IV.
Condizioni di neiificazione ; verificazione completa e incompleta.gradi
di ciascuna, osompii. p.tòO— § V. Discussione delle cr itiche mosse
all'uso dol imi unteci. Importan¬ za dello ipotesi, e largo uso di esse
in ogni ramo di scienze come condizione del loro progresso ; condizioni
soggettive ed oggettivo delle vere ipotesi scientifiche, p. 438.
CAPO rv. Haitouti tua l'induzione e la deduzione.
§ I. Divisione delle leggi in primitive e secondarie, o delle
secon¬ darie in empiriche e derivate ; limiti relativi della loro
estensione, p. 442 — § 11. Si mostra con l'esame dei variimodi di
spiegazione di un fenomeno, che spiegare è dedurre. Limiti della
generalizzazione nella scienza, p. 444 — § III. Significato relativo della
distinzione delle scienze in induttive e deduttive ; tendenza generale
delle scienze a diventare deduttive ; difficoltà di tale trasformazione,
ed Muti che riceve dall'applicazione del Calcolo, p. 447.
/ —
531 CAPO V. I P li O II 1 . K SI J, § 1.
Definizione logica del problema, distinzione dei problemi in ipotetici ed
assoluti, e modo di risolverli, p. 450 S lì. I problemi antitetici, modi
di risolverli, p. 452. CAPO VI. VEBISIMIOLIANZA QUALITATIVA.
S I. Verisimiglianza Qualitativa e verisimiglianza quantitativa:
nor¬ me logiche della prima, p. 454 — § li. Delle ragioni di non
credere alle testimoniauzo contrarie a leggi causali note, p. 457 — § Ul.
e alle uniformità non causali, p. 450 § IV. Delle ragioni della in¬
credibilità delle coincidenze e delle serie, p. 408. CAPO
VII. Veiusisik; manza quantitativa. § I. II calcolo
delle probabilità e le sue norme fondamentali, p. 402 — § II. I suoi
presupposti: in che senso e in che limiti è vero che il calcolo dello
probabilità suppone l'ignoranza delle condizioni qua¬ litative
dell'evento, p. 404 — s? III. Il calcolo delle probabilità come
procedimento di eliminazione del caso; concetto logico del caso, p. 400 —
§ IV. Eliminazione del caso rispetto all'effetto; olimiuaziona del caso
rispetto alla causa, p. 408. capo vin. Metodi delle
Matematiche. § I. Le Matematiche come scienze deduttive, p. 470 §
II. I Me¬ todi dell'Aritmetica come metodi di formazione dei
numeri; il siste¬ ma di numerazione, e le operazioni, p. 472 — § UT. L'
Algebra come scienza delle funzioni: notazioni algebriche; l'Algebra come
scienza dell'equivalenza dei modi di formazione delle quantità,p. 475 -
«j IV. La Geometria come scienza dell'equivalenza delle grandezze; i tre
metodi principali della Geometria elementare, la risoluzione delle
figure; le c ostruzioni ausilia rie, le c ostruzioni genetic he . p. 477
- S V- L'induzione in Matematica, p. 481 $ VI. Estensione e limiti
dell applicazioue dello Matematiche allo altre scienze, p. 482.
CAPO IX. METODI DKU.K SCIENZE BTOBIOHK.
S I. La testimonianza come nnirp [iri-mH-Jal Wvoi!i|-à 'lei fatt i
sto¬ rmi; valore Tjel rritijrio I ntrinse co, la verisijjiigliuuza;
necessità del criterio estrinseco, cioè desumo dalle reiasioni di tempoo
luogo del racconto col fatto. Valore della leggenda per la storia, p.
485- S li.Mo¬ numenti; monumenti preistorici, f ihdmria o s|^ ri,i p
.ts-. g m. Monumenti storici, maggior valore di essi in confronto con lu
testimo- niuiiza; le due quistioni possibili rispetto a questa,
l'autenticità e la credibilità; Iti credibilità è tanto maggiore (pianto
più è possibile riportare il racconto alla percezione diretta come a
causa- Maggior valore della tradizione scritta e suoi limiti,
L'autenticità è tanto maggiore quanto maggiore i- la possibilità di
escludere lo falsifica - zioni e le alterazioni, i ncertezza e limiti
della tradizione orale, esempio del valore storico dell’ epopea francese,
p. 489 — t? IV. I criteriidei numero e della credibilità dei testimoni,
p. 405 § V. Pas¬ saggio dai fatti alle leggi ; s cienze storiche e
sociul i. p. 407. CAPO X, Dei metodi ueij-k
scienze storiche, ( continuazione) § I. Tre specie di
melodi por la ricerca delle leggi storiche: cri¬ tica del metodo
deduttivo astratto,p. 408 SII- Critica della teoria antropologica, p. 499
§ III. Critica dell'analogia biologica, p. 501 — § IV ' Critica dal
materialismo storico . p 5j>3 — § V. Critica della aeuola .dorica, p.
506 — § VI. L'indeterminismo storico, e la scuola psicologica, p. 507 §
VII. Il metodo deduttivo inverso o storico, funzione essenziale
dell'Induzione in esso, le leggi storiche come lci/</i di tendenze, p,
510 § \ ili Insnflii-ionza iL-1 |n'i n• i■ < 1 i nn •( 1 1• » indutt
ivo desunta dalla natura delle uniformità accertate dalla
Statìstica, p. òli Si IX. Si mostra che lutti i metodi hanno n p valore
limit ato nella rìcercu delle leggi storiche,e che tutti possono essere
utili, se subordinati al metodo deduttivo inverso. Concetto della
Filosofia della storia, p. 516. LA SOCIETÀ, IL DIRITTO, LA
MORALITÀ CAPO I. L'aspetto sociale perla coscienza di sè, S I. L'io
sociale, sua formazione, sue fasi di sviluppo, p. 1– S II. Identificazione
dell'io sociale con l'io formale, l'io come principio sociale, p. 5. CAPO II.
LA SoCIETA'. S I. Condizioni comuni della vita sociale animale ed umana, e
condizioni proprie di questa. Le società animali, p. 7 – S II. Diffe renza tra
la società umana e l'animale. La teoria biologica, e l'ato mistico-contrattualista.
Se la società sia una realtà indipendente dalle coscienze individuali, p. 10 –
S III. Definizione della S o cietà, p. 15. CAPO III. LE FoRME soCIALI PRIMITIVE
E IL LoRo svILUPPo. S I. Il gruppo sociale primitivo, il costume, la sanzione
religiosa, organizzazioneprimitivadell'assicurazionesociale,p.17– SII.Ori gine
dello Stato, il diritto e lo Stato, p. 19. – 334 – CAPO IV.
DIRITTo E MoRALITA'. S I. Unità primitiva delle regole della condotta,
separazione pro gressiva della religione, della morale e del diritto, p. 22 – S
II. Dif ferenze tra la morale e il diritto, p. 25 – S III. Caratteri differen
ziali derivati, p. 31 – S IV. Rapporto fra il diritto e la moralità; concetto
dell'Etica come scienza, p. 34. SEZIONE I. La Coscienza morale. CAPO V. I
GIUDIzn vALUTATivi MoRALI. S I. Giudizii di cognizione e giudizii di
valutazione, i giudizii valutativimorali,p.37.– SII.La teoria dei valori in
Economia, p. 40 – S III. La teoria che pone il principio della valutazione m o
rale nel sentimento, p. 44 – S 1V. Una forma speciale di questa, la teoria dei
valori normali, p. 48– S V. Esame della teoria sentimen talistica, p. 49 – S
VI. Il senso morale, la simpatia, la pietà, p. 53. CAPO VI. I GIUDIziI
VALUTATIvi MortALl. (continuazione) S I. Il sentimento non può essere principio
di valutazione morale, perchè è mezzo non fine, e perchè è correlativo delle
idee, e prende nome da esse. Il sentimento del rispetto morale (Achtung)
secondo Kant. Si mostra che la ragione può operare sul sentimento, e che èilgiudiziodivalorequellochelodetermina,p.55–
SII.Esame della teoria appetitiva e della volontaristica dei valori morali, p.
62 – S III. La teoria biologica dei valori, p. 6ò– S IV. Il carattere ra
zionale della valutazione morale provato, a) dalla necessità del cre terio
morale, e dalla dipendenza del sentimento da esso; b) dalla sistemazione
finalistica dei valori morali; c) dal carattere scientifico dell'Etica; d)
dalla idealizzazione progressiva del sentimento m o rale, p. 66. –
335 – CAPO VII. ANALISI DELLA cosCIENZA MORALE. S I. Coscienza morale e
coscienza psicologica, genesi della c o scienza morale nell'individuo,
l'equazione personale della moralità, p.71–
SII.Genesidellacoscienzamoralesociale,suoprocedimento
dalparticolareall'universale,p.77– SIII.Contenutoedunitàdella
coscienzamorale,p.81– SIV.Autoritàdellacoscienzamorale,san zione, p. 84 – S V.
Sentimento morale, affinità del sentimento m o rale col sentimento religioso,
p. 85 – S VI. L'idea del dovere come categoria morale ultima; essa suppone il dualismo
morale, ed è la condizione del progresso morale. Critica della teoria
psicologica. Dovere e diritto. La subordinazione dei doveri dipende dal grado
della loro universalità. Coincidenza del dovere e del bene, p. 88. CAPO VIII.
ANALISI DELLA CosCIENZA MORALE. (continuazione) S I. La volontà morale, esame
della teoria che il fine giustifica i mezzi, p. 96 – S II. Il carattere
psicologico e il carattere morale, p. 98 – S III. Teoria aristotelica della
virtù, che è un abito, che è una medietà; critica di questo secondo carattere.
Classificazione ari stotelica delle virtù. La teoria kantiana, e sua
opposizione con la precedente. La loro conciliazione si può avere se si
concepisce la virtù come la sintesi superiore della coscienza morale, p. 100 –
S IV. Se possa concepirsi l'estinzione della coscienza morale, p., 109. SEZIONE
II. Le basi della moralità. CAPO IX. LA LIBERTA' MORALE. S I. Rapporto teorico
tra la libertà e la moralità, antinomia tra la libertà e la causalità, vicende
storiche del problema, i tre punti di vista dai quali deve essere considerato,
p. 112– S II. La libertà d'indifferenza, argomenti indeterministici, il numero
infinito, il nuovo, i casi d'indeterminazione nella natura, il caso, la
statistica. La li bertà intelligibile di Kant; teoria del Bergson, la causalità
ridotta all'identità, e la libertà creatrice, p. 114 – S III. La libertàela
te – 336 – stimonianza della coscienza; argomenti opposti dei
deterministi e degl'indeterministi; il risultato della disputa non è favorevole
alla libertà d'indifferenza, p. 122. CAPO X. LA LIBERTA' MORALE.
(continuazione) S I. La libertà e l'ordine morale, libertà e responsabilità,
loro nesso necessario. Contro di questo non valgono nè la critica dell'idea di
sanzione, che lo nega, nè l'idea dell'autonomia che non lo spiega, p. 126 – S
II. La libertà d'indifferenza in contrasto con la respon sabilità, questa
ammette la causalità del motivo; ilrimorso e lo sforzo morale ne sono prova, p.
129– S III. Esame del criterio della pre vedibilità degli effetti dell'azione,
p. 132 – S IV. La libertà morale s'identifica con la causalità dell'io; la
teoria psicologica dell'auto coscienza e quella della volontà, come potere
d'inibizione e d'im pulso proprio dell'io, sono la dimostrazione di questa
causalità. I n stabilità delle condizioni psicologiche della causalità dell'io,
con solidamento di esse nel carattere morale, p. 135 – S V. La respon sabilità
morale richiede come suo fondamento una formazione psi cologica identica per
tutti, quindi non potrebbe riconoscerlo nel temperamento o nel carattere
psicologico. Differenza del consenso teoretico e dell'adesione pratica in cui
consiste la libertà. Rapporto della responsabilità con lo stato d'integrità
della causalità dell'io,e loro variazioni correlative. Suo rapporto con
l'educazione della v o lontà. La libertà e la vita sociale, intimo rapporto
della libertà con la solidarietà, p. 139. CAPO XI. LA solIDARIETA' MORALE. S I.
Libertà e solidarietà; suggestione individuale e suggestione collettiva della
solidarietà; la solidarietà nel dolore e la solidarietà nel progresso; la
solidarietà e l'eguaglianza, p. 144– S II. La soli darietà economica, sua causa
la divisione del lavoro; influenza di questa causa sulle forme superiori della
vita sociale; anomalie. Li bertà, solidarietà, giustizia; loro nesso
necessario, giustizia ed egua glianza,p.146–
SIII.Seladivisionedellavoropossaesserecon siderata come il principio morale
della solidarietà nelle società superiori; solidarietà nel diritto, nella
storia, nell'arte, nella scienza, nella religione. L'unità morale della natura
umana, e la giustizia come condizione della solidarietà, p. 151. –
337 – CAPO XII. LA Giustizia, S I. La giustizia come idea morale fondamentale;
la giustizia come virtù, cenni storici, p. 156 – S II. La giustizia come norma;
teoria aristotelica, p. 158 – S I11. Teoria dello Stuart Mill, p. 162 – S IV.
La giustizia come unità della libertà e della solidarietà;lagiustizia
nell'ordine economico, p. 166 – S V. Giustizia e carità; il progresso morale,
p. 170. SEZIONE III. La legge morale. CAPO XIII. I sisTEM1 MoRALI. S I.
Classificazione dei sistemi morali, p. 174 – S II. La morale eteronoma, p. 175–
S III. La morale autonoma; isistemi sentimen talistici e gl'intellettualistici,
p. 176 – S IV. I sistemi aprioristici e gli empirici, p. 177 – S V. I sistemi
universalistici e gl'individuali stici, p. 181. CAPO XIV. I sistEMI MORALI.
(continuazione) SI.Isistemisoggettivi,l'edonismoel'eudemonismo, p. 186– S II. I
sistemi oggettivi, l' utilitarismo; utilitarismo individuale e utilitarismo
sociale, l'utilitarismo nella filosofia dell' evoluzione (Spencer), p. 190 – S
III. Altre forme della morale oggettiva, la morale della perfezione, la morale
del progresso, la morale del vi vere secondo natura, p. 196 – S IV. La morale biologica,
socialismo e individualismo biologico, p. 198 – S V. Critica della morale bio
logica. Necessità di una morale razionalistica, p. 200. CAPO XV. LA LEGGE
MORALE. S l. Differenza tra la legge naturale e la legge morale, carattere di
obbligazione, altri caratteri della legge morale, p. 203 – S II. Concetto del
Bene; la prima formula della legga morale, l'univer MAscI– Etica. -
22 – 338 – salità. La seconda formula della legge, la finalità. La
terza formula della legge, l'autonomia. Unità delle tre formule. Il sentimento
m o rale,p.205– SIII.Ilcarattereformaledellaleggemoralekantiana; vecchie e
nuove critiche contro di esso; parte innegabile di verità che è in esse.
Risoluzione del formalismo kantiano dal punto di vista gnoseologico, p. 210 – S
IV. Risoluzione del formalismo k a n tiano dal punto di vista oggettivo, p. 218
– S V. L'accentuazione formalistica della dottrina kantiana come conseguenza
dell'opposi zione contro l'empirismo morale, necessità della negazione del for
malismo morale, e del dissidio tra la ragione morale e il sentimento morale.
Valore storico e teorico dell'etica kantiana, p. 221. PARTE SECONDA LE FORME
DELLA COMUNITÀ MORALE. INTRODUZIONE S I. L'Etica come scienza sociale; suoi
aspetti ideale e storico. Le diverse forme della vita sociale: la famiglia, la
società civile, lo Stato, la società religiosa, p. 227. CAPO I. LA FAMIGLIA. S
I. Cenni sulla storia della famiglia, la famiglia paterna, p. 230 – S II.
L'idealità morale nella famiglia, p. 233 – S IIl. La famiglia dal punto di vista
giuridico e dal morale; monogamia, fedeltà, indisso lubilità, divorzio. Critica
della teoria che considera la famiglia come una forma transitoria della
comunità morale, p. 234 – S IV. Il m a trimonio civile e il religioso; i
rapporti tra i coniugi, e tra i geni tori e i figliuoli; la patria potestà, p.
243. CAPO II. - LA SociETA' CIVILE. SI. Concetto della società civile; in qual
senso e in quali limiti si può dire che la società civile derivi dalla
famiglia, la società ci vile e lo Stato, p. 245 – S II. Le classi sociali, gli
antagonismi so ciali e lo Stato, p. 248. CAPO III. LA SoCIETA' CIVILE COME
SISTEMA DEI DIRITTI PRIVAT1. S I. Diritti personali e diritti reali, loro
comune fondamento. D i ritto di libertà e sue specificazioni, la personalità morale
e giuridica – 339 – della donna, limitazione della seconda nella
sfera del diritto p u b blico; carattere sociale dei diritti personali, p. 251
– S II. Dei diritti reali, la proprietà, suo fondamento psicologico e suo
sviluppo sto rico; impossibilità di dare un fondamento esclusivo all'una o
all'altra delle sue forme, la proprietà delle opere dell'ingegno, p. 253 – S
III. Le obbligazioni,lorospecie;ildirittocontrattuale,suanatura,suoi
limiti,p.255– SIV.Ildirittodiassociazione,suanatura,suoifini, sua storia; le
corporazioni medievali e le libere associazioni m o d e r n e . Varie specie di
associazioni; le associazioni e lo Stato, p. 256. CAPO IV. DEL coNCETTO E DEI
FINI DELLO STATo. S I. Necessità dello Stato, elementi ideali del concetto
dello Stato, p. 259 – S II. Elementi materiali, il popolo e il territorio;
fattori naturaliefattorispiritualidellanazionalità,p.260– SIII.La so vranità,
suo fondamente razionale; lo Stato di diritto, la costituzione, la personalità
dello Stato, p. 264 – S IV. Definizione dello Stato, p. 268 – S V. I fini dello
Stato, loro distinzione in proprii e d'inte grazione, p. 270 – S VI. Limiti
dell'azione dello Stato, p. 272. CAPO V. I POTERI DELLO STATO. S I. Modi varii
di distinguere i poteri dello Stato, p. 273 – S II. Della divisione dei poteri,
suo carattere relativo, p. 274 – S III. Il diritto punitivo, suo sviluppo
storico, p. 276– S IV. Esame delle varie teorie sul fondamento del diritto di
punire, p. 279 – SV. G i u stizia civile e penale, delitto e pena, la pena come
limitazione della libertà; la pena di morte, l'infamia, la gogna. Valore
relativo degli altri fondamenti del diritto di punire, p. 282. CAPO VI. LA
cosTITUzioNE E LE FORME DELLO STATO. S 1. Le costituzioni degli Stati,
definizione, loro carattere storico, moltiplicità dei loro fattori, p. 287 – S
II. Le forme dello Stato, divi sione aristotelica, quali siano ancora vitali;
necessità del governo rappresentativo, sue forme repubblicana e monarchica, e
caratteri differenziali di queste, p. 289. – 340– CAPO VII. LE
RELAZIONI FRA GLI STATI E LA PATRIA. S I. Del diritto internazionale, se sia un
vero diritto, sua distin zione in diritto pubblico e privato, p. 296 – S II.
Cenni storici, p. 297 – S III. Diritto internazionale pubblico; la sovranità e
le sue limitazioni; la sovranità territoriale e la libertà dei mari. Diritto di
guerra e sue limitazioni. L'ideale della pace universale, p. 299 – S IV.
Diritto internazionale privato, statuti personali e reali, dispo sizioni
speciali, p. 304 – S V. Se l'idea di patria sia un'idea transi toria, sua
necessità storica e psicologica e doveri che ne derivano. Elementi più generali
di questa idea, e formazione storica diversa pei diversi popoli. Patriottismo e
imperialismo, p. 307. CAPO VIII. LA CoMUNITA' RELIGIOSA, CHIESA E STATo. S I.
Concetto della Religione, ReligioneeReligioni,p.313– SII. Le religioni positive
e la cultura; perennità dellavitareligiosa;suo adattamento ad ogni grado di
coscienza, p. 315 – S IIl. Importanza sociale delle religioni positive, e unità
primitiva della società reli giosa e della civile, p. 318 – S IV. Ragioni della
loro separazione, l'universalità della religione, e il principio della libertà
di coscienza; impossibilità per lo Stato di subordinare la cooperazione sociale
alla fede religiosa, p. 320– S V. I quattro sistemi di regolamento dei rapporti
tra la Chiesa e lo Stato; loro irrazionalità relativa, e confusione dei
medesimi nella politica pratica, p. 322 – S VI. Dif ficoltà teoriche e pratiche
del regime della separazione, p. 324 – S VII. Difficoltà speciali del regime
della separazione nei paesi cat - tolici; la separazione come meta ideale nei
rapporti tra la Chiesa e lo Stato, p. 326. Nati ra e classificazione
dei fatti psichici. ?cjyi&*pfO 0D <• * ha-C
'AW& § 1. Il fatto psichico come l'atto psicofisico, p.
10 — § II. Diffe¬ renze trai fatti psichici e i materiali; che s’intende
per stato di coscienza, conscio ed inconscio , p. 13 — § III. La teoria
delle facoltà e quella dell’ unità di composizione dei fenomeni
psichici; il rifesso psichico primitivo, le forme piu generali delle
attività psichiche cóme suoi momenti, loro distinzione progressiva, p.
10. CAPO III. Svi l,t'PP O DEI PATTI PSICHICI.
§ I. La coesistenza e la successione nei fatti psichici, fatti
psichici primarii e secondarii; l’associazione come loro legge ge¬
nerale; fatti psichici di terzo grado, loro rapporto con gli altri.
Partizione della Psicologia, p. 19 — La subordinazione progressiva dei
fatti psichici alla coscienza è indirizzata alla conoscenza — § II. Il
mondo dello spirito oggettivo, p. 25. —
— 486 — PARTE PRIMA.
La Psicologia della sensibilità. CAPO I. Delle
sensazioni in P£w.v« GENERALE. '*' t . "
§ I. Definizione e classificazione delle .sensazioni in loro
stesse e in rapporto agli stimoli , p. 29 — § li. Rapporti fra la geu
sa- /ione e lo stimolo quanto all intensità e all’estensione: soglio
e <iifferensa;quantità negativa; stimolo, eccitazione, sensazione,
p.31 — § 111. So ggetti vità delle sensazioni: limite del principio delle
energie specifiche; moltiplicità di sensazioni per uno stesso stimolo,
sen¬ sazioni di consenso. Le sinestesie. In che senso le sensazioni
si possono sostituire . p, 32 — § IV. L’ eccentricità non è, come
la spazialità, una proprietà primitiva delle sensazioni, p. 38 — §
V. Qualit à, intensità, t ono delle sensazioni. Irredncibilità delle
qualità. Lpgge di Weber sul rapporto tra la sensazione e lo sti¬ molo. La
legge di Fechner,c eltica de lla medesima, p. 39 — § VI. Che s‘ intende
per tono delle sensazioni; rapporto tra la qualità e l’in¬ tensità delle
sensazioni e il loro tono. p. 45. CAPO II. Le.
sensazioni in particolare. r % % § I. Le sensazioni
particolari si distinguono in piterne edjtf terne. e le prime "in
organiche 0 e muscolari" Le sensazioni orga¬ niche.'la coinestesia o
senso vitale; le sensazioni organiche spe¬ ciali. norma li e patologiche,
loro funzione biologica, loro tonalità, loro dipendenza da stimoli
periferici e da stimoli centrali e psi¬ chici, p. 48 — § li. Le s ensaz i
oni musco lari; diverse teorie intorno ad esse; si mostra che sono
sensazioni centripete del movimento eseguito, non dello stato organico
del muscolo. Contenuto quali¬ tativo e tono delle sensazioni muscolari.
Coinestesia, cinestesia e cinestesi, p. 51. <P
§ III. Le sensazioni esterne; differenziazioue ed isolamento degli
organi relativi, il loro numero un fatto d'esperienza soltanto, p. 57 —
t — 4S7 — S
IV. Il senso del tatto, sensazioni di contatto e sensazioni di
tamperàTuraT^SS^Tia ed altezza di stimolo per le sensazioni ter¬ miche:
rapporti tra la sensibilità termica e la tattile. Sensazioni di
pressione, di c ontatto . di discriminazione locale. Teoria del Weber
intorno alla discriminazione; i segni locali. Le sensazioni di forma, p.
58 - § V . 1 sensi chimici, loro carattere biologico; mancanza di
figurabili e quindi minore oggettività del loro conte¬ nuto. Il gusto,
stimoli e condizioni di questo senso, varie specie di sensazioni
gustative. Loro fusione e rimemorabilità, penetrazione e intensità. L’
olfatto, natura dello stimolo, penetrazione delle sen¬ sazioni
olfattive,loro intensità e fusione, loro classificazione, e scarso valore
oggettivo, loro valore emotivo e rimemorativo. p.67. § VI. L’
udito , stimoli delle sensazioni uditive. Qualità delle sensazioni
uditive, rumori e suoni. Percezioni spaziali dell’udito. L'udito e il
linguaggio, la musica. Altezza, intensità, timbio. Armonia, melodia,
ritmo, p. — § VII. La vista., stimoli delle sensazioni visive, corpi
luminosi, opachi, trasparenti. L'organo visivo.Percezione di spazio e di
forma; teorie empiriche e teorie nativiste. Percezioni di luce e di
colore. Colori tondamentali e derivati, acromatismo. Somiglianze e
deferenze tra la gamma dei colori e la scala musicale. Contrasto
successivo e contrasto si¬ multaneo. Luminosità proprie dei diversi
colori . colori caldi e freddi, saturi e non saturi, p. 90.
CAPO III. Il sentimento sensiti ivo ( -fcflt d thvsiittaxJ-
.V* * a f■* t * * § I. Definizione del sentimento , piacere
e dolore indefinibili e di qualità opposta, soggettività dei sentimenti,
finalità biologica dei sentimenti sensitivi, loro differenza dalle
sensazioni. Fisiologia del piacere e del dolore. Dipendenza degli stati
emotivi dai pre¬ sentativi, p. Ili — § IL II sentimento sensitivo e il
sentimento vitale 4 \\ punto neutro, p. 117 — § III. Dipendenza del
sentimento dallo stato del soggetto, dall’intensità dello stimolo, p. 121
— § IV. Rapporti vari! dei sentimenti sensitivi con l'oggettività,
la frequenza, e la qualità delle sensazioni. Dimostrazione
particola¬ ri raggiata del primo di questi rapporti, p. 123 § V.
Sentimenti sensitivi di natura estetica, loro dipendenza dalla forma
delle sen- j sazioni, armonia, euritmia, proporzione, p. 132.
-f< J #
3 •> Jfw ^><1 - 488 - CAPO
IV. s~ j—**«'■ u L\ TEND5ì^U-B L’ISTINTO. I
*L_ § I. L’ azioni? riflessasue proprietà e differenze.
Impulsività delle sensazioni, legge di diffusione e legge di
specificazione. La tendenza, p. 134 — § II. Definizione della te nden za,
sua dipendenza dal sentimento che ne è causa; ten denze primitive e
derivate; la tendenza, come stato psichico per sè, è il prodotto dell’inibizio¬
ne, p. 137. § III. Carattere biologico della tendenza, legge di
riversione tra l’azion volontaria e la riflessa. S viluppo dell’att
i¬ vi tà pratica mediante l’isolamento e la combinazione dei movi¬
menti. Differenza di s viluppo dell’attività prat ica nell’animale e
nell’uomo, e differenza di finalità. Funzione dell'imitazione in tale
sviluppo. L atti vità pratic a dir etta alle rappresentazioni, forme
dell'attenzione spontanea, p. 140 — § IV. L’istinto ; teorie opposte
sulla sua natura ed origine; teoria della lapsed intelli¬ gence
(Romanes). Errori del Komaues circa la natura dei fattori dell istinto, e
circa il loro rapporto. Natura dell’esperienza che è base dell istinto, 1
intelligema adattatine), suo carattere fram¬ mentario, sua
meccanizzazione. L’istinto cpme uno sviluppo ol- latepale deU’ attività
pratica, senza continuità con le forme supe¬ riori, p. 144.
PARTE SECONDA Le condizioni dello sviluppo psichico.
CAPO I. L’ ATTENZIONE. § 1. Natura dell attenzione;
attenzione spontanea e attenzione volontaria, specie della prima:
attenzione esterna ed interna. Fe¬ nomeni fisici dell’attenzione, p. 135
— § II. Intermittenza e ritmi¬ cità dell’ attenzione, p. 159 — § 111.
Attenzione e percezione, atten¬ zione e coscienza, p. 160 — § IV.
Carattere emotivo dell’attenzione spontanea, origine e sviluppo
dell’attenzione nella serie animale, P- *62 — § V. L’ attenzione
d’esperienza: e le sue forme singolari
dell' attenzione aspettante, dell’ inversione delle imagini, e dell
at tenzione marginale, p. 164—§ VI. L’attenzione interna, p. 167.
CAPO II. La memoria. § I. Analisi del fatto della
memoria, memoria organica e me¬ moria psicologica, loro riversione e sostituzione.
Non ci è una memoria come facoltà generale, ina un numero grande di
memorie particolari, p. 168 — § IL Condizioni della memoria,
anomalie mnemoniche, p. 17! — § 111. Stato primario e stato
secondario nella memoria, loro differenze, e loro rapporti, p. 174 — §
IV. Svi¬ luppo della memoria, prova desunta dalle amnesie, p. 176 §
V. La memoria psicologica e le sue leggi, p. 179 — § VI. La collocazione
nel tempo, p. 182. CAPO 111. L’ ABITUDINE.
Dell’abitudine dal punto di vista fisiologico e psichico, p.183—§
li. Effetti dell’abitudine, l’attenzione e l’abitudine, I' abitudine come
educazione di tutte le funzioni psichiche, p. 184 § 111. L’abitudine e la
volontà, p. 186. PARTE TERZA La psicologia della
conoscenza. CAPO 1. L» PERCEZIONE. § I.
Natura della percezione, sua differenza dall’associazione: la percezione
come integrazione. Condizioni della percezione,. |per- eezione ed
appercezione^ Altre prove dell’integrazione percettiva, p, igj)—§ IL
Cause soggettive ed oggettive delle integrazioni percettive, p. 196 — §
111. Misura del tempo della percezione, equazione personale,[variazioni,
percezione e sensazione, p. 198 — — 490 —
§ IV. Percezione sensitiva e percezione intellettiva, p. 200 —
§ V. La percezione interna, p. 204 — § VI. Le illusioni percettive
e loro specie, p. 205 — § VII. Le allucinazioni, diverse ipotesi sulle
loro cause, p. 207. CAPO II. L’ ASSOCIAZIONE.
§ I. Associazione e percezione, serie percettive e serie rappre¬
sentative, p. 209 — § II. Teorie intorno alla reviviscenza delle
rappresentazioni. Critica della teoria herbartiana, la teoria morfo¬
logica, p. 211 — § III. dell'associazione, p. 212 — § IV. Se siano
riducibili, p. 215 — § V. Condizioni prossime delle associa¬ zioni, p.
217 — § VI. Tempo di associazione, p. 224 — § VII. L’oblio, p. 224 — §
Vili. I sogni come fenome ni dell’associazione psic op ¬ a tica. Il son
no. Diverse specie di sogni. Cause, p.jjgó — § IX. Rap¬ porto tra le
cause positive e le negative dei sogni, la volontà nel sogno. Sogni
telepatici, p. 230. CAPO Ili. L’io. § I.
Associazione e coscienza, continuità e dinamismo delle serie
rappresentative, il pensiero delle cose e il pensiero dellMo. p. 232—
_,§ IL Varii significati della parola cosciente: la. fase irrelativa
e l’integrale oggettiva, p. 237 — § III. La.^u?cifenza \li sé
(formale) e 1' empirica o storica, elementi di quest’ ultima, pJ239 — §
IV. (u- deducibilità della coscienza di sè dall’associazione e
dall’astra¬ zione, unità e continuità della coscienza di sè. p. 244 — §
V. La_ coscienza dell’identità dell’io; funzióne della'memoria e
dell’asso¬ ciazione, casi di coscienza doppia, p. 246 — § VI. La
coscienza di sè e l'astrazione come caratteri distintivi della psiche
umana dall’animale, p. 249.
§ I. L’astrazione, p. 250 — § II. Il concetto, p. 252 — §
IH- U giudizio, p. 255 —§ IV. Il principiod'identità come
fondamento del raziocinio, natura dell’identità logica e sua invenzione.
Sin¬ tesi e analisi. L’intelligenza animale e l’umana. Il genio scien¬
tifico, p. 257 — § V. Dimostrazione del doppio procedimento del
raziocinio nel raziocinio quantitativo e nel qualitativo, p. 263 § VI. Le
forme dell' intuizione e le categorie, p. 266 — § VII - Psi¬ cologia e
linguistica: l’origine del linguaggio, p. 267—§ Vili. Rap¬ porto tra la
parola e il pensiero, p. 271 - § IX. Azione reciproca tra la parola e il
pensiero. Natura logica della lingua: suo svi¬ luppo dal concreto all'
astratto, p. 225. CAPO V. L’ IMAGINAZIONE.
§ 1. Rapporto dell’imaginazione con l’intelligenza e con 1 asso¬
ciazione; l’imaginazione riproduttrice, p. 282 — § IL Rapporto del-
l’imaginazione con la sensibilità e col pensiero astratto, p. 284 — 3 HI.
L’imaginazione artistica, sue funzioni, p. 287 — § IV. I,' una- ginazione
neiia scieuza^ p. 289 - § V. L’imaginazione nell’Arte: momeuto realistico
e momento idealistico. L’Arte e la Scienza, p. 290.
CAPO li. Relatività i>ei sentimenti. § 1. La
legge della relazione nel sentimento, p. 306 — § li-Il sentimento e le
altre funzioni psichiche, p. 310 — § III. L’ asso¬ ciazione e la memoria
dei sentimenti, p. 318. CAPO 111. Affetti e
passioni.' § I. Gli affetti, p. 322 — § 11. Le passioni, p.
323. CAPO IV. Classificazione dei sentimenti.
§ I. Metodo della classificazione; classificazione dello Spemi e
ilei Nahlosvski , p. 327 — § 11. La classificazione biologica e genetica,
e sua integrazione con la rappresentativa, p, 329 — § 111. Passaggio dai
sentimenti primitivi ai derivati, p. 334. CAPO V. 1 SENTIMENTI
MORVU. § I. Le teorie intorno ai sentimenti morali, p. 338—§ II.
Esame della teorìa empirica; se il sentimento morale sia il riflesso
delle sanzioni esterne, p. 339 — § III. Impossibilità di spiegare con
la morale empirica il sacrifizio defini tivo, p. 344 — § IV.
Erroi-' logico della dottrina empirica, parte di verità che è in essa, p.
346 • § V. La teoria razionalista; la direttrice psicologica e la
socia ;; la ragione e il sentimento, p. 348 — § VI. Classificazione ed a
.a- lisi dei sentimenti morali, p. 350 — § VII. La carità e la tu-
stizia, p. 354. — 493 —
CAPO VI. I sentimenti religiosi. § 1. Natura del
sentimento religioso, sua forma primitiva, di¬ rezione di sviluppo, p.
357 — § II- Il sentimento morale e il sen¬ timento religioso. Rapporto
tra l’intelligenza, il sentimento e la volontà nella religione , p. 359 —
§ HI. La forma superiore del sentimento religioso, p. 362 — 8 IV. Le tre
forme del sentimento religioso, p. 364. CAPO VII.
I SENTIMENTI ESTETICI. § I. Il sentimento estetico e il
sentimento del gioco , p. 367 II. I fattori del sentimento
estetico. La simpatia estetica, p. 360— § III. I fattori intellettuali.
La verità in Arte. Idea e forma, p. 372. CAPO Vili. I
SENTIMENTI INTELLETTUALI. § I. Le origini dei sentimenti
intellettuali ; la curiosità e il dubbio pratico, p. 374 —-§ IL II
sentimento intellettuale della ricerca, e quello del possesso della
verità, p. 377 — § III. Il sen¬ timento intellettuale e il sentimento di
sé, p. 380. APPENDICE Dei sentimenti estetici in
particolare. 1. Il sentiment o del bello ince nerale, p. 382 — § IL
li sen¬ tii .ento della bellezza finita e le sue forme: la bellezza
plastica, il arioso, il drammatico, p. 383—§ IH- Il sentimento del su¬
blime, sua natura, sua forma; il sublime naturale, l’intellettuale, il
morale, p. 389 — § IV. Il sentimento del comico , sua natura, suo
rapporto col sentimento di sè e col sentimento della libertà. Comicità ed
umorismo, p. 392 — § V. Il sentimento della natura,
sue forme diverse nell' età antica e nella moderna. Perche è la
forma più evidente della catarsi estetica, p. 397. La
Psicologia della Volontà. CAPO I. Il desiderio e la.
volontà. § 1. Il desiderio, p. 405 — § li. Fenomeni intensivi del
desi¬ derio. p. 407 —§ III. Le azioni volontarie nelle loro forme
deri¬ vate e contingenti; elementi essenziali dell'atto volontario, p.
409 — § IV. Il problema della causalità della volontà, p. 415.
CAPO 11. Teoria della volontà. § I. La teoria
metafisica della Volontà, p. 418 — § li. La teoria associazionista. p.
420 — § Ili. La volontà come facoltà del fine. e dei valori
razionali; la funzione d’inibizione come suo momenti essenziale,
p. 422 —§ IV. Il sentimento del conato volitivo, p. 426 — § V. In
che consistono e come sì producono l'inibizione e l’im¬ pulso, p.
429 — § VI. L’attenzione volontaria e le sue forme p&- K tologiche.
p. 433— § VII. La misura del tempo nelle volizioni, vj p. 438. ]
APPENDICE. Le malattie della Volontà, e l'ipnosi.
§ I. L'aboulia e la forza irresistibile, il capriccio isterico, 1
p. 441 — § II. L’estasi, p. 443 — § III. Fenomeni sensitivo-rap-
presentativi, mnemonici, e volitivi dell'ipnosi; suoi gradi, p. 444 —
§ IV. La suggestione normale e l’ipnotica; somiglianze e diffe¬
renze tra il sonno naturale e l’ipnosi: cause specifiche della sug¬
gestione ipuotiCa;*p. 449.
— 495 — CAPO III.
Temperamento e cvrattere. § I. Natura del temperamento, suo
rapporto col sentimento vitale, sua dipendenza dall’eredità, p. 454 — §
II. Il carattere, sua natura, sua unità col temperamento, p. 456 — § III.
La teoria ippocratico-galenica dei temperamenti, e le sue
interpretazioni fisiologiche, p. 457 — § IV. La classificazione
psicologica riunisce il temperamento e il carattere: forme varie di essa,
la classifica¬ zione del Ribot. p. 459 — § V. Della modificabilità del
tempera¬ mento e del carattere, p. 463 — § VI. Forme patologiche, p. 465.
CAPO IV. La volontà e le altre attività psichiche.
L’EDUCAZIONE DELLA VOLONTÀ. § l. La Volontà e P inconscio, p.
467 — § II. Mezzi di azione della volontà sull’ intelligenza : necessità
della limitazione della valutazione; forme patologiche, e forme estreme,
ma normali, dì questa limitazione, p. 471 - § III. Modi d’azione della
volontà sul sentimento, p. 476 — § IV. Azione delia volontà su sè
stessa; genesi della volontà comune, azione reciproca
dellajiilpiUàindi- viduale e della volontà comune, il costume,
la/fm(fl*A.' p p 7 g_§ V. Influenza della volontà iudividuajeV
sulla vomW^ comune: l’educazione, la gerarchia, la dittature/<Qe
sue du^rfiel la militare e la morale, p. 483. I, * lO K ' al
^47629 RIAssUNTOECONCLUSIONE. L’idea di giustizia comprende
le eguaglianze ari¬ stoteliche, e il carattere imperativo e di necessità
rilevati dallo Stuart Mill; ma perchè sia ben compresa ha bisogno
di essere guardata in rapporto alla solidarietà morale, dalla quale
l’eguaglianza in cui consiste deve attingere la norma. Se la giustizia si
fa derivare dall’utilità sociale, se ne assegna una derivazione che può
spesso esser falsa, (p. es. la necessità che taluno muoia pel popolo); e
se si oppongono la giustizia e la carità, si crea una scissura
nell’ordine morale, che toglie alla giustizia quel caldo sen¬ timento di
simpatia che deve renderla operosa , e si fa della carità qualche cosa
che va oltre il dovere, e che può essere anche ingiusta e nociva. Se
della giustizia si fa invece la sintesi, soggettiva e oggettiva, come
virtù e come norma, della libertà e della solidarietà, essa non solo
oltre¬ passa la sfera del diritto, ma appare come la sintesi su¬
periore della moralità, come progressiva nella ragione Digitized by
Google — 167 — stessa dei suoi due
fondamenti. Che siano progressive la libertà e la solidarietà è fatto
indubitabile della storia umana; la prima tende a ricomprendere tutti gli
uomini in un rapporto d’eguaglianza dal punto di vista morale; e la
seconda da questo stesso punto di vista, che è quello del valore di fine
che ogni persona morale ha in sè, tende ad estendersi dalle opere alla
persona come tale, a con¬ servarla, a promuoverla, anche quando soggiace
all’avversa fortuna e al dolore. Noi concepiamo la giustizia
come la forma dell’ unità della libertà e della solidarietà già raggiunta
dalla co¬ scienza morale; cioè come il giudizio della
proporzionalità degli utili agli sforzi, e della loro migliore
ripartizione tra gli sforzi individuali e i sociali, posto un minimum
di utilità spettante a ciascuno in forza del valore di fine che ha
la persona morale, e della solidarietà che stringe gli uomini tra
loro. A chiarire questo concetto gioverà vederne T applicazione
ad uno dei problemi più gravi del tempo nostro, quello relativo
alla migliore distribuzione della ricchezza, che ha preso il nome
di giustizia sociale. Il Fouillée indica tre teorie intorno ad essa,
la individualistica degli economisti smithiani, la collettivista ed egua¬
litaria del socialismo , l’idealistica che cerca di con temperare i
diritti deirindividuo e quelli della società. La teoria economica
considera troppo il lavoro come merce, e i lavoratori come cose o come
macchine di produzione. Ma dal punto di vista sociale e morale il lavoro
rappresenta le energie accumulate di esseri viventi, sensibili e
consapevoli , tra i quali ci è necessariamente la solidarietà che deriva
dal fine comune e dal lavoro comune. Di più questi esseri e queste
energie sono parte della società, e questa è una solidarietà più vasta
che ab¬ braccia come abbiamo visto tutte le energie dello spirito.
Nella prima metà del secolo passato T individualismo economico ebbe
libero corso, e la merce lavoro fu considerata a parte dalla per¬
sonalità del lavoratore, e dalla solidarietà sociale. Il lavoro fu
sfruttato prevalendosi della concorrenza dei lavoratori, e fu sfrut¬ tato
di più quello pagato meno, il lavoro delie donne e dei fan¬ ciulli; cosi
Tingiustizia più aperta fu legge. La sorte dei lavora- Digitized
by Google — 168 — tori fu
abbandonata al meccanismo della concorrenza, alle leggi che si dissero
naturali, e la società si disinteressò della protezione dei deboli.
Pareva che pei seguaci di questa scuola la ricchezza tosse tutto, l'uomo
nulla. La legge di Malthus e il darwinismo biologico fecero il resto
sottomettendo la persona umana alla concorrenza vitale, ed elevando la
voluta giustizia della natura a giustizia sociale. Della solidarietà
sociale non si davano nessun pensiero. Ma una società di esseri morali
non ci è solo per la produzione della ricchezza, e 1’ uomo è qualche cosa
di più che un accumulatore di capitale. La società umana sussiste per
rea¬ lizzare l’ideale umano; P idea di giustizia è umana, e non può
quindi prendersene il modello dalla natura, perchè essa non esiste nel
senso morale se non è fondata sulla solidarietà. Anche Peconomia
collettivista inculca una giustizia che non è quella dello spirito, ma
quella della natura. Facendo della lotta di classe una necessità sociale,
e del trionfo della classe più nu¬ merosa e [più forte l'esito necessario
di quella,cangia i termini della lotta economica, non la natura; la lotta
di classe non è meno brutale della concorrenza, ed è pari o maggiore il
disdegno delle ideologie nei collettivisti e negli economisti smithiani.
Se non che 1 primi non tengono conto che del solo lavoro materiale
nella produzione , e non badano che non ci è giustizia senza
libertà* Invece la parte del fattore sociale nella ricchezza, e
specialmente quella dovuta all'addizione di esso nel tempo è così grande,
che mal si potrebbe confonderla con quella che vi ha il lavoro
mate¬ riale in un'epoca determinata. Basta riflettere all’importanza
capi¬ tale che hanno le scoperte scientifiche in generale e le tecniche
in particolare nella produzione della ricchezza, per persuadersi
che la parte della mano d'opera è assai minore di quella che il
col¬ lettivismo afferma. Questa parte sociale, ovvero buona parte di
essa è dovuta all’iniziativa individuale, alla forza individuale di
lavoro, e non sarebbe giusto di togliere ad esse quello che senza di esse
non sussisterebbe, e sopprimere lo stimolo che le fa ope¬ rare togliendo
loro quello che producono. Anche solo nella pro¬ duzione della ricchezza
non si può giustamente sopprimere V alea a cui la potenza di lavoro
individuale va incontro con una speciale costituzione sociale. Poiché è
impossibile sopprimere le disugua¬ glianze naturali, come la forza fisica
e morale, la bellezza, il va¬ lore, il genio, così non si può prescindere
dalla potenza individuale di lavoro, perchè il prescinderne è contro la
giustizia distributiva, contro la libertà, e quindi contro il bene
sociale. L'idea di giu- Digitized by Google —
169 — stizia è la sintesi della libertà e della solidarietà e solo
quella forma di essa è vera, che non ripudia l’una per 1’ altra. Non
si può negare airindividuo la proprietà di quella parte di
ricchezza, che esso ha prodotto, più di quello che si possa negare a un
po¬ polo la proprietà del territorio sul quale si esercitò per secoli
il suo lavoro trasformatore e creatore. Sotto questo rispetto la
ne¬ gazione della proprietà individuale non sarebbe ingiustizia
minore dì quella di negare al popolo italiano o francese la
proprietà del territorio della patria in nome del diritto dei selvaggi
bru¬ ciati dal sole tropicale, o di quelli agghiacciati dai geli
delle regioni circum-polari. La giustizia, che accorda la
libertà e la solidarietà, considera il lavoro come una forza propria di
un essere personale, che deve essere padrone di se stesso. Quindi essa
riconosce la libertà di associazione e di resistenza dei lavoratori,
riconosce ad essi il diritto di trasportare dovunque la loro forza di
lavoro, ed evita che la libertà del lavoro sia manomessa con la schiavitù
forzata del lavoratore, qualunque forma questa possa assumere.
D’altra parte rassicurazione dagl’ infortunii, il riposo festivo, le ore
di lavoro, il divieto del lavoro notturno, la disciplina del lavoro
delle donne e dei fanciulli, e il riconoscimento infine del diritto al
lavoro , sono tutti atti di giustiziaci quali sostituiscono la carità
indeterminata e di pura coscienza che prima vigeva. È in forza del
principio della solidarietà che la società deve oggi far profittare anche
gli esclusi e i diseredati, dei beni stret¬ tamente necessarii alla
sussistenza, e di quelli che sono inesau¬ ribili dall'uso/come i beni
superiori dello spirito, la cultura. 1’ arte, la religione, È in forza
dello stesso principio che la so¬ cietà deve evitare che il profitto
individuale danneggi il sociale in rapporto al futuro. La società deve
conservare alle generazioni che verranno i beneficii del passato, come la
potenza di lavoro e la sanità della razza, cosi dal punto di vista fisico
che dal mo¬ rale. E rispetto al presente, il regolamento del lavoro non
può essere più quello di una volta, quando il lavoratore animato
es¬ sendo la sola fonte del lavoro , e l’utensile un semplice
organo aggiuntivo dell’individuo, tutti i rapporti del contratto di
lavoro potevano essere abbandonati al regolamento privato. Oggi il
la’ voro è collettivo, l’utensile si è trasformato in macchina, e
la forza di lavoro umana è diventata un accessorio della forza na¬
turale e meccanica resa dalla scienza strumento dei fini umani.
Digitized by LjOoq le - 170 — Il grande lavoro
è oggi, pel numero e per la qualità, un* opera sociale, e vuole quindi un
regolamento sociale. Se si considerano gli stadii dello sviluppo
etico-sociale, il primo è rappresentato da una giustizia nella quale
prepondera l’elemento della solidarietà, quindi la libertà individuale o
non esiste, o è in tutti i modi limitata dalla regola sociale. Diventati
sempre più complicati e più numerosi i rapporti sociali, si va
necessa¬ riamente all* individualismo, e la giustizia s* identifica con
la libertà individuale. Nel terzo stadio, il grado di massima com¬
plicazione dei rapporti esige il loro regolamento sociale; ma questo non
deve dimenticare gl' interessi connessi con la libertà, e che non sono
più individuali che sociali. La giustizia, in questo terzo stadio, è il
contemperamento della libertà con la solidarietà, che è anche il suo
ideale. Filippo Masci. Masci. Keywords: implicatura, critica della
critica, criticismo, neo-criticismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masci” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688334027/in/photolist-2mPYm4t-2mKw3hq-2mNaqUA-2mPrdWj-2mKwdUT
Grice e
Masi – i peripatetici – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze).
Filosofo. Grice: “Unlike Masi, I don’t think ontology has reached its end – il
fine dell’ontologia” – Grice: “Masi has elaborated on the power of reason not
from an Ariskantian perspective but from a Plathegelian one! – Masi: “Il potere
della ragione: Eraclito, Platone, Hegel.” -- Grice: “It’s amazing Masi was implicating the
same things as I was on S izz P and P hazz S; he even managed a coinage, ‘uni-equivocity’
– I love it!”. Figlio di Enrico Masi, generale dell'Esercito Italiano, e Leda
Nutini. Ha compiuto i suoi studi a Bologna, conseguendo la maturità classica
presso il liceo statale L. Galvani. Iscrittosi a Bologna, vi si laureò con lode
con una tesi sul diritto di famiglia
negli Statuti Bolognesi. Assolse agli obblighi di leva e fu trattenuto alle
armi in base alle disposizioni di emergenza del periodo. Congedato, riprese gli
studi di filosofia a Bologna, dove conseguì la laurea con lode, discutendo co
Battaglia la tesi, “Individuo, società, famiglia in Rosmini”. La tesi gli valse
l'ammissione, con borsa di studio a Milano. Dopo il primo anno, fu richiamato
alle armi nel periodo bellico. Ottenuto il congedo definitivo, insegna
filosofia a Bologna. Participa ai principali convegni e congressi, come quelli
del Centro Studi Filosofici di Gallarate, come attesta la sua collaborazione
alla Enciclopedia filosofica quel Centro. Dona su collezione alla Pinacoteca
comunale di Pieve di Cento. L'interesse storiografico che muove Masi alla ricostruzione di Kierkegaard da un
profondo e originale impegno teoretico, volto ad approfondire il concetto
metafisico di "analogia", cui il discorso di Kierkegaard, come l'A.
si propone di illustrare nel suo saggio, risulta fortemente legato. Sotto un
profilo strettamente storiografico, il Masi approda, attraverso un'attenta
rilettura delle "opere edificanti" di Kierkegaard, ad un'interpretazione
che ridimensiona questo pensatore, scoraggiando molti luoghi comuni della
critica.." (A. Baboline). "Nel
linguaggio filosofico contemporaneo l'aggettivo "platonico", riferito
a una qualsiasi entità, vuole denotare l'immobilità a-storica, il suo permanere
in un'assoluta identità con sé medesima al di sopra delle alterne vicende del
divenire. Ciò deriva da una tradizione ermeneutica del platonismo. Uno degli
aspetti più rilevanti del volume di Masi risiede appunto nello sforzo operato a
de-mitizzare una tale ermeneutica... questa ricerca del Masi costituisce un
lucido esempio di come oggi una filosofia, che si presenta spiritualistica e
umanistica, sappia ripiegarsi a cogliere con consapevolezza trasparente e
spregiudicata, le proprie radici alle fonti più vive della tradizione culturale
dell'Occidente" (A. Babolin).
"Le zitelle è un libro divertente, curioso, strano. Il pregio
maggiore di questo libro è di essere tutto su di uno stesso tema musicale.” Saggi:“Esistenza”
(Bologna); “La verità” (Bologna); “La libertà,” Bologna, “Metafisica,” Milano,
“La fine dell'ontologia,” Milano, “Disperazione e speranza. Saggio sulle categorie
kierkegaardiane” (Padova, “Il potere della ragione,” Padova, “Il problema aristotelico,” Bologna,
“L'esistenzialismo,” “Grande antologia filosofica. Il pensiero contemporaneo,” Milano
“Il pensiero ellenistico,” Bologna, “L'uni-equivocità dell'essere in Aristotele
(Genova: Casa Editrice) – cf. Grice, “Aristotle on the multiplicity of being”
-- Tilgher “Lo spiritualismo” antico. Il pensiero religioso egiziano classico,
Bologna: Clueb, “Lo spiritualismo ellenistico.” La grande svolta del pensiero
occidentale, Bologna: Clueb, Lo spiritualismo dalle origini a Calcedonia,
Bologna: Clueb Origène o della riconciliazione universal, Bologna, “Lo
spiritualismo Dalle Upanishad al Buddha, Bologna: Clueb Lo spirito magico.
Saggi sul pensiero primitivo, Bologna: Clueb, Studi sul pensiero antico e
dintorni, Bologna L'idea barocca. Lezioni sul pensiero del Seicento, Bologna:
Clueb, Il concetto di cultura, Bologna:
Clueb, Commento al Timeo” (Bologna: Clueb); “Dell'eternità, e altri argomenti,’
Bologna: Clueb); “Penombre,” Torino: Casa Editrice A.B.C. S), “L'esile ombra, Torino:
Casa Editrice A.B.C. Le zitelle, Milano: Todariana Editrice, Il cane cinese, Roma:
Vincenzo Lo Faro Editore Il gatto siamese, Roma: Vincenzo Lo Faro Editore. Il figlio
dell'ufficiale, Marta, L'ultima estate, Firenze: Firenze Libri “La carriera di
un libertino,”La dea bambina, Firenze: Firenze “Oltre le dune,” Firenze:
Firenze Libri Le donne, Roma: Gabrieli); L'ignoto. Il sogno, Firenze: L'Autore Libri, Tra le quinte del
liceo. L'orologio a Pendolo, Firenze: L'Autore Libri, Il palloncino rosso e
altri racconti, Firenze: L'Autore Libri, La partenza, Firenze: L'Autore Libri
Il sogno, Roma: Gabrieli Angelina e altri racconti, Firenze: L'Autore Libri La
croce di Sant'Elpidio. Il cane cinese, Firenze Il lupo di Sestola, Firenze:
L'Autore; Apollo e Dafne, Padova: L'Edicola Le stagioni e i giorni, Padova:
L'Edicola, La tomba d'erba, Padova: L'Edicola Maremma tu, Milano: Todariana
Editrice. Premio Montediana di poesia, A. Babolin, rec. a Disperazione e
speranza, in "Riv. di Fil. Neosc.", A. Babolin, rec. a il potere della ragione, in:
"Riv. di Fil. Neosc.", F. Tombari, rec. a Le zitelle, Milano:
Todariana Editrice Nunzio Incardona. Giuseppe
Masi --. Keywords uni-equivociat dell’essere in Aristotele. Giuseppe Masi. Masi.
Keywords: i peripatetici, la carriera di un libertino. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Masi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744527477/in/datetaken/
Grice e
Massarenti – stramaledettamente implicaturale – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Eboli). Filosofo. Grice:
“His dictionary of non-common ideas I would give to Austin on his birthday; he
would hate it! He was all for common lingo!” -- “I like Massarenti: he can be
provocative. I like his study on what he calls a ‘neologissimo’ – and the idea
of the pocket-philosopher! I know I’m one! On the other hand, he has written on
‘la buona logica,’ but isn’t ‘logica’ already a value-paradeigmatic expression?
His study on god-damn logic is good – since that’s what I do, with my theory of
implicature. To say, “My wife is in the kitchen or the bedroom” when I know
where she is – and thus when I have truth-functional grounds to utter the
stronger disjunct, it’s still goddamn logic – I haven’t lied! True but misleading
– aka god-dman logic!” Responsabile del supplemento culturale Il Sole-24
Ore-Domenica, dove si occupa di storia e filosofia della scienza, filosofia
morale e politica, etica applicata, e dove tiene la rubrica Filosofia minima. Armando Massarenti vive a Milano, dove
dirige il supplemento culturale Domenica de Il Sole 24 Ore. Scrive L'etica da
applicare. Redatta il Manifesto di bioetica laica, che ha suscitato un vasto
dibattito. È stato membro dell'Osservatorio di Bioetica della Fondazione
Einaudi di Roma e dal fa parte del Comitato
etico della Fondazione Veronesi, presieduto da Giuliano Amato. Direttore della
rivista Etica ed economia (Nemetria). Cura e introduce diversi volumi di
argomento filosofico-scientifico, come “L'ingranaggio della libertà” (Liberi libri,
Macerata), la “Storia dell'astronomia” di Leopardi (Vita Felice, Milano), “Rifare
la filosofia di Dewey” (Donzelli, Roma).
Per Feltrinelli cura e introduce “Laicismo indiano” (Milano), una
raccolta di saggi di Sen. Cura il numero
monografico della Rivista di Estetica dedicato al dibattito su analitici e
continentali e, con Possenti, “Nichilismo, relativismo, verità. Un dibattito
(Rubbettino, Soveria Mannelli). Cura la collana I Grandi Filosofi (trenta
volumi sui protagonisti della storia del pensiero, da Socrate a Wittgenstein,
per i quali anche scrive le prefazioni, confluite ne Il filosofo tascabile. In
corso di pubblicazione una serie analoga dedicata ai grandi della scienza.
Scrive “Il lancio del nano e altri esercizi di filosofia minima” per il quale
gli sono stati conferiti il Premio Filosofico Castiglioncello e il premio di saggistica "Città delle
Rose. "Il lancio del nano” è anche oggetto di un esperimento didattico,
promosso dalla Società Filosofica Italiana attraverso il quale viene proposto
un metodo di motivare allo studio della filosofia e alla capacità di
argomentare in proprio. Dal saggio è stato tratto anche uno spettacolo
teatrale, per la regia di C. Longhi prodotto da Mimesis). Cura “Bi(bli)oetica.
Istruzioni per l'uso (Einaudi), un dizionario di bio-etica sui generis, dal
quale il regista L.Ronconi ha tratto l'omonimo spettacolo teatrale andato in
scena a Torino, per il progetto Domani delle Olimpiadi. Scrive Staminalia. le
cellule etiche e i nemici della ricerca, una ricostruzione del dibattito etico
e scientifico sulla ricerca sulle staminali. Scrive Il filosofo tascabile. Dai
presocratici a Wittgenstein. 44 ritratti per una storia del pensiero in
miniatura. In contemporanea è uscito “Stramaledettamente logico. Esercizi
filosofici su pellicola (Laterza, Roma-Bari) una raccolta di saggi su cinema e
filosofia (di Roberto Casati, Achille Varzi) di cui ha scritto introduzione e
saggio conclusivo. Insegna a Bologna, Lugano, Siena, Milano. Dirige per Mondadori
la collana "Scienza e filosofia".
Fa parte delle giurie di due premi per la divulgazione scientifica: il
Premio Giovanni Maria Pace, promosso dalla SISSA di Trieste, il Premio
letterario Galileo per la divulgazione scientifica, legato al Campiello
(Padova), e il premio Serono. È stato anche nella giuria del Premio del Giovedì
"Marisa Rusconi", conferito ogni anno a Milano a un romanzo italiano
opera prima. Ha vinto diversi premi: il Premio Dondi per la Storia della Scienza,
delle tecniche e dell'Industria (Padova); n il Premio Voltolino per la
divulgazione scientifica (Pisa); il Premio Mente e Cervello (Torino); il premio
Capri, il premio Argil e il premio Capalbio; il Premio Città di Como. Altri
saggi: “L'etica da applicare: una morale per prendere decisioni,” Milano, Il
Sole-24 Ore libri, “Il lancio del nano” -- e altri esercizi di “filosofia minima,”
Parma, Guanda); “Staminalia. “Le cellule” etiche e i nemici della ricerca,
Parma, Guanda, “Il filosofo tascabile” “dai
presocratici a Wittgenstein”“ritratti per una storia del pensiero in
miniatura,” Parma, Guanda, “Dizionario delle idee non comuni,”Parma, Guanda,.“Filosofia,
sapere di non sapere: le domande che hanno caratterizzato lo sviluppo del
pensiero” Firenze, Anna.“Perché pagare le tangenti è razionale ma non vi
conviene” e altri saggi di etica politica, Parma, Guanda,.“Istruzioni per
rendersi felici.”“Come il pensiero antico salverà gli spiriti moderni, Milano,
Guanda,.“La buona logica.” Imparare a pensare, Milano, Cortina, “Metti l'amore
sopra ogni cosa: una filosofia per stare bene con gl’altri” Milano, Mondadori, Treccani
Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana su italia libri.net. tangenti
e moralità, su filosofia rai. Armando Massarenti. Massarenti. Keywords:
stramaledettamente logico, stramaledettamente implicaturale --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Massarenti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745577163/in/dateposted-public/
Grice e Massari – filosofia
italiana – l’implicatura logistica di Petrarca e Boccaccio -- Luigi Speranza (Seminara). Filosofo. Bernardo
Massari -- calabro -- Barlaam: -- Grice: “Should it be under B – Barlam, under
Seminara, like Occam?” Barlaam Calabro –
di Calabria – Scrive di aritmetica, musica e acustica. E uno dei più convinti
fautori della riunificazione fra le Chiese d'oriente e occidente. È considerato
insieme ai suoi due allievi Leonzio Pilato e Boccaccio uno dei padri
dell'Umanesimo. Studia in Galatro, Calabria. Pare che il suo successo come
filosofo (un suo trattato sull'etica degli stoici è preservato) e ragione di
gelosia da parte di N. Gregorio. Nell'ambito delle trattative per la ri-unificazione
tra le due Chiese di Oriente e di Occidente, a lui venne affidata la difesa
delle ragioni greche; in tale occasione sviluppa le sue critiche verso
l'esicasmo e a sottolineare la differenza di valore tra la teologia scolastica
e la contemplazione mistica. E protagonista di una violenta polemica contro i
metodi ascetici e mistici di alcuni monaci dell'Athos e del loro sostenitore G.
Palamas. Il dibattito divenne sempre più acceso fino a culminare in un concilio
generale alla fine del quale venne costretto a sospendere ogni futuro attacco
verso l'esicasmo. Epigrafe a Gerace, tutore di Petrarca e Boccaccio, inviato
dall'imperatore Andronico III Paleologo in missione diplomatica a Napoli,
Avignone e Parigi per sollecitare le corti europee ad una crociata contro i turchi.
In quell'occasione costrue delle relazioni e una rete di amicizie su cui puo
fare conto quando, in seguito alla decisione conciliare, decise di aderire alla
Chiesa d'Occidente. Ad Avignone conosce Petrarca, a cui iniziò ad insegna il
greco. Petrarca si adoperò per fargli assegnare la diocesi di Gerace, così e nominato
vescovo di Clemente. La bolla relativa alla sua elezione al vescovato di Gerace
riporta, Monachus monasteri Sancti Heliae de Capasino Ordinis Sancti Basilii
Militensis Diocesis, in sacerdotio constitutum. Tutore di Petrarca e Boccaccio
che da un importante contributo, attraverso la riscoperta dei testi antichi,
anche a tutto ciò che non molto tempo dopo svilupa il movimento umanista. È
proprio Manetti il primo a menzionarlo nella sua biografia del Petrarca. Venne
inviato in missione diplomatica da Clemente in un rinnovato tentativo
ecumenico. Data la grande influenza di Palamas il tentativo, ancora una volta,
si risolse in un insuccesso. Fa ritorno ad Avignone dove muore. Saggi: Si
occupa anche di matematica lasciandoci una “Logistica” in cui spiega le regole
di calcolo con interi, frazioni generiche e frazioni sessagesimali. D. Mandaglio,
Barlaam Calabro: una vocazione unionista. C. Nanni Editore (Maggio). Salvatore
Impellizzeri, Calabro, Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani. Silvio Giuseppe Mercati, Calabro,
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ratisbona. Simone
Atomano. Barlaam Calabro di Seminara. BARLAAM Calabro. - Nacque a
Seminara (Reggio di Calabria) sul finire del sec. XIII, probabilmente verso il
1290. Il nome Barlaam par che sia quello assunto in religione, ma non è
documentato che il nome di battesimo fosse Bernardo, come si ripete sulle orme
dell'Ughelli (Italia Sacra, IX, p. 395). Mancano notizie sulla sua formazione
spirituale e culturale e sulla sua attività in Italia fino al suo passaggio a
Bisanzio. La bolla di Clemente VI (Reg.Vat. 152, f. 161 v, ep. 72), che lo
elevò al seggio episcopale di Gerace, ci informa soltanto che B. si preparò al
monacato e al sacerdozio nel monastero basiliano di Sant'Elia di Capasino
(Gàlatro), nella diocesi di Mileto. Certo è ormai, dopo gli studi recenti
(Schirò, Jugie, Giannelli), che B. nacque e fu educato nella fede dissidente
della Chiesa di Costantinopoli, cui molti continuavano ad aderire nell'Italia
meridionale di quell'età, nonostante l'unione alla Chiesa cattolica proclamata
dal concilio di Bari del 1098. È B. stesso a dirlo in uno degli opuscoli contro
la processione dello Spirito Santo a Patre Filioque (punto fondamentale di
dissenso tra le due Chiese: gli ortodossi credono che lo Spirito Santo proceda
e Patre solo): "Tale è la mia fede e la mia religione riguardo alla
Trinità, fede nella quale io fui allevato fin dall'infanzia e nella quale sono
vissuto sin qui" (cod. Parisinus graecus 1218, sec. XV, f. 506 v).
Problematica è invece la ricostruzione della sua formazione culturale. Appare
infatti evidente che le conoscenze del monaco calabrese, le quali non si
limitano a filosofi greci, quali Platone e Aristotele, ma si mostrano invece
profonde anche riguardo al pensiero di Tommaso d'Aquino e agli ultimi sviluppi
nominalistici della Scolastica occidentale, esorbitano dalla tradizione
culturale dei monasteri italo-greci di Calabria e presuppongono contatti più o
meno prolungati di B. con scuole filosofiche e teologiche dell'Italia
meridionale e centrale. Verso il 1328, quando il potere imperiale passò
da Andronico II ad Andronico III, troviamo B. a Costantinopoli, dove egli era
giunto dopo essersi trattenuto prima ad Arta, in Etolia, e a Tessalonica. Nella
capitale bizantina incontrò il favore della corte: vi dominava allora Anna di
Savoia, figlia di Amedeo V, sposata nel 1326 ad Andronico III, favorevole ai
Latini e all'unione delle Chiese. Presto ottenne larga fama di dotto e di
filosofo e divenne abate (igumeno) di uno dei più importanti conventi, quello
di S. Salvatore. Si diffondevano a Bisanzio i suoi scritti di logica e di
astronomia e il gran domestico Giovanni Cantacuzeno gli affidava una cattedra
nell'università della capitale. Ma la sua fama crescente doveva presto urtarsi
contro il tradizionale nazionalismo latinofobo dei Bizantini. Il primo scontro
avvenne col più cospicuo rappresentante dell'umanesimo bizantino, Niceforo
Gregoras, che teneva cattedra nel monastero di Cora. In una sfida accademica,
che dovette aver luogo verso il 1331, i due dotti più in vista della capitale
si trovarono di fronte a discuteresui campi più vari dello scibile, astronomia,
grammatica, retorica, poetica, fisica, dialettica, logica. Di questa tenzone
noi sappiamo soltanto attraverso un libello del Gregoras 02,OpiVrLO9 ~ 7rEpì
GOCPL'2q (edito da A. Jahn, in Archiv für Philologie und Pddagogik,
Supplementband, X [18441, pp. 485536). Il libello, una specie di dialogo mitico
di imitazione platonica, o meglio lucianea, naturalmente tendenzioso, asserisce
che l'agone si concluse con la completa sconfitta del dotto calabrese, che
dimostrò di avere soltanto qualche conoscenza di fisica e di dialettica
aristotelica e una certa superficiale infarinatura di logica. Ma nella persona
di B., Niceforo Gregoras vuol mettere in ridicolo tutta la scienza occidentale
limitata a poche nozioni aristoteliche e del tutto ignara di matematica, fisica
e astronomia, scienze in grande onore allora a Bisanzio. Secondo il Gregoras,
inoltre, in seguito a questa sconfitta, B. avrebbe abbandonato Costantinopoli
per rifugiarsi a Tessalonica. Par più probabile invece che egli facesse la
spola tra i due massimi centri culturali dell'impero. A Tessalonica comunque il
suo insegnamento continuava con successo e tra i suoi allievi si contavano
personalità di spicco come Gregorio Acindino, Nilo Cavasila, Demetrio
Cidone. Ma nemmeno presso la corte e gli ambienti ecclesiastici della
capitale il prestigio di B. dovette subire un offuscamento, se proprio lui fu
scelto dal patriarca Giovanni Caleca, come portavoce della Chiesa ortodossa,
quando giunsero a Bisanzio, al principio del 1334, i due domenicani Francesco
da Camerino, arcivescovo di Vosprum (Ker~-'), e Riccardo, vescovo di Cherson,
incaricati dal papa Giovanni XXII di rimuovere gli ostacoli dottrinali che si
frapponevano alla riconciliazione delle Chiese. La discussione tra i
prelati latini e il monaco calabrese si svolse ad un alto livello
teologico-filosofico. B. cercava di abbattere la barriera dogmatica della
processione dello Spirito Santo ricorrendo a un tipico argomento nominalistico:
egli si opponeva alla pretesa di poter conoscere Dio e di poter dimostrare
apoditticamente le cose divine. Ora, se Dio èinconoscibile, che valore potevano
avere discussioni sulla processione dello Spirito Santo basate sui sillogismi
apodittici? Sia i Latini, sia i Greci, quindi, in questioni di questo genere
non potevano rifarsi che ai Padri della Chiesa, la cui fonte di scienza è la
rivelazione e l'illuminazione divina. Ma poiché i Padri non sono
sufficientemente espliciti riguardo alla processione dello Spirito Santo, non
restava che assegnare alle divergenti dottrine un posto nelle opinioni
teologiche particolari, senza fame un ostacolo per l'unione. La posizione
di B. è in netto contrasto col realismo di s. Tommaso, assunto quale
atteggiamento ufficiale dalla teologia cattolica: essa si inserisce chiaramente
nel movimento volontaristico contemporaneo a B., che ebbe i suoi maggiori
rappresentanti in Duns Scoto e in Guglielmo d'Occam, teso a porre un netto
confine di separazione tra i campi della ragione e della fede. Non è un caso
che B. avesse consacrato il suo insegnamento universitario dalla cattedra di
Costantinopoli all'esegesi dello Pseudo-Dionigi l'Areopagita, il rappresentante
più coerente della dottrina "apofatica", della inconoscibilità, cioè,
del divino, la cui autorità era riconosciuta in Oriente e in Occidente.
Le trattative non approdarono a nulla: le tesi di B. difficilmente potevano
essere accettate dai legati latini, esponenti dell'ordine stesso cui
apparteneva anche s. Tommaso e inviati dal papa Giovanni XXII, che, elevando
agli onori dell'altare Tommaso, aveva fatto propria della Chiesa di Roma la sua
dottrina. Ma l'agnosticismo nominalistico di B. doveva anche urtare le
concezioni mistiche bizantine, rappresentate allora specialmente dal
monachesimo atonita. A campione di tale misticismo si ergeva Gregorio Palamas,
un monaco dell'Athos, che aveva già scritto due Discorsi apodittici contro la processione
dello Spirito Santo Filioque. Egli attaccava il metodo di discussione tenuto
dal calabrese dinanzi ai legati latini, dichiarando perfettamente dimostrabile
la posizione ortodossa in virtù della grazia illuminante che al cristiano
discende dall'incamazione, per cui la conoscenza soprannaturale è eminentemente
reale, più di qualunque conoscenza filosofica. Intanto B. veniva a
conoscenza delle pratiche mistiche dei monaci atoniti, che si isolavano per
abbandonarsi ad una quiete contemplativa Tali pratiche consistevano nel
ripetere indefinitamente la preghiera: "Signore Gesù Cristo, figlio di
Dio, abbi pietà di me!", trattenendo il fiato, col mento appoggiato al
petto e guardando l'ombelico, fino a raggiungere la visione corporea della luce
divina vista dagli Apostoli sul Tabor, nel giorno della trasfigurazione. Questa
concezione psico-fisica della divinità e, soprattutto, il metodo di preghiera
degli esicasti (così si chiamavano i seguaci di tal metodo) provocarono gli
attacchi ironici di B., che vedeva nell'esicasmo una grossolana superstizione,
i cui seguaci designò con lo sprezzante appellativo di ??? (umbilicanimi). Ma
la controversia ben presto si allargò sul piano filosofico-teologico. B.,
coerentemente alla sua formazione nominalistica, non poteva ammettere
contaminazione tra il divino e l'umano, tra l'etemo e il temporale. La luce del
Tabor, per esser vista nell'ascesi, dovrebbe essere etema e coincidere con la
divinità stessa, che sola è eterna e immutabile. Ma poiché la divinità è
invisibile, invisibile è anche la luce taborica. Gregorio Palamas oppose una
sottile dottrina emanazionistica di derivazione neoplatonica, che distingueva
una sostanza divina trascendente (oùaía) e delle energie divine (gvp-'pyztcxt o
Suváp.rLq), operazioni eterne di Dio, che per esse agisce nel mondo degli
uomini. E appunto la luce taborica visibile agli asceti, come l'amore, la
sapienza e la grazia di Dio, è una energia divina operante come intermediaria
tra Dio e gli uomini, un ponte tra l'etemo e il transeunte. Tra le due
opposte tesi non poteva essere accordo. La controversia filosoficoteologica
ebbe anche implicazioni politiche, come sempre avveniva a Bisanzio. B. allora
mosse accusa di eresia contro il Palamas dinanzi al patriarca Giovanni Caleca,
presentando il suo scritto Kwrà MoccrcrocXtocvCùv (Contro i Massaliani) in cui
la dottrina del Palamas veniva assimilata a precedenti eresie. Il Palamas
riuscì a ottenere una dichiarazione, favorevole alla fede esicasta,
sottoscritta dai monaci più importanti dell'Athos ('0 &ytopsvrtxòq
-ró[Log), mentre il patriarcato e il governo imperiale, pur non favorevoli al
palamismo, preoccupati com'erano di mantenere la pace religiosa tra i pericoli
incombenti dall'estemo, desideravano evitare una controversia dogmatica e cercavano
di far giungere le due opposte parti a una conciliazione. Si giunse così alla
riunione di un concilio in Santa Sofia, il 10 giugno 1341, presieduto
dall'imperatore Andronico III in persona. La sera dello stesso giorno il
concilio si chiudeva con un discorso dell'imperatore che celebrava la
riconciliazione generale. Ma in realtà fu il Palamas a trionfare: la dottrina
di B. venne formalmente condannata e il monaco calabrese dovette fare pubblica
ammenda agli esicasti e promettere di non dar loro più molestia. Il patriarca
pubblicava un'encicláca con cui condannava "ciò che il monaco B. aveva
detto contro i santi esicasti" e imponeva a tutti gli abitanti di
Costantinopoli e delle altre città di consegnare alle autorità gli scritti di
B. perché fossero pubblicamente distrutti. Questa scottante umiliazione e la
morte di Andronico III, avvenuta subito dopo, il 15 giugno 1341, indussero B. a
lasciare Costantinopoli e a ritornare in Occidente. A tal decisione forse
non erano state estranee le impressioni riportate nel viaggio in Occidente,
fatto nel 1339, e le conoscenze che aveva avuto occasione di fare (forse aveva
conosciuto anche il Petrarca). Nel vivo della lotta esicasta, B. era stato
richiamato da Andronico III, da Tessalonica, per un'importante missione diplomatica.
Urgeva che l'Occidente facesse una spedizione per allontanare da Costantinopoli
l'avanzata dei Turchi ottomani. Pare che allora B. avesse preparato un nuovo
progetto di unione, che aveva sottoposto al sinodo di Costantinopoli, in cui
ribadiva le posizioni teologiche che aveva sostenuto cinque anni prima, nelle
discussioni coi legati latini del papa. Il progetto non dovette soddisfare il
sinodo e d'altra parte un senso realistico della situazione politica doveva
consigliare di evitare lunghe quanto inutili dispute teologiche. B.
accompagnato da un esperto militare, il veneziano Stefano Dandolo, si era
recato presso Roberto d'Angiò e Filippo VI di Valois per chiedere aiuti
militari dal Regno di Napoli e dalla Francia, e infine presso la Curia di Avignone
per ottenere il consenso papale alla crociata. Al papa aveva presentato dei
memoriali in cui, facendo presenti i pericoli che sovrastavano alla cristianità
tutta per l'incombenza della minaccia turca, chiedeva che i Latini, mettendo da
parte i tradizionali odi, mandassero subito aiuti in Oriente per la guerra
contro gli infedeli; dopo, ottenuta la vittoria, si sarebbe riunito un concilio
ecumenico che avrebbe trattato dell'unione. La missione di B. era fallita sia
perché il papa pretendeva la realizzazione dell'unione prima di affrontare uno
sforzo militare, sia perché le condizioni politiche dell'Occidente (relazioni
tese tra Filippo VI ed Edoardo III d'Inghilterra) difficilmente avrebbero
permesso l'organizzazione di una crociata. B. tornò in Calabria nel
luglio 1341 e prosegui il suo viaggio fino a Napoli, dove aiutò, per la parte
greca, l'umanista Paolo da Perugia nella compilazione della sua opera sulla
mitologia dei pagani (Collectiones) e nell'ordinamento dei manoscritti greci
della libreria angioina, che era in rapida espansione. Poi, nell'agosto, passò
alla Curia avignonese, dove a Benedetto XII era successo Clemente VI, e vi
restò fino al novembre del 1342. In questo periodo egli si legò di amicizia col
Petrarca, a cui insegnò i primi rudimenti di greco, da lui acquistando
familiarità con la lingua latina, nella quale, per la sua educazione
prevalentemente greca e per la lunga dimora in Oriente, provava difficoltà ad
esprimersi (Petrarca, Famil., I. XVIII, ep. 2). Allora passò anche alla fede
cattolica e fu utilizzato dalla Curia per un insegnamento di greco, fino a che,
pare per intercessione del Petrarca, non fu elevato al seggio episcopale di
Gerace e consacrato dal cardinal Bertrando del Poggetto, il 2 ott. 1342. Oscuri
e duri furono gli anni dell'episcopato nella piccola diocesi calabrese a causa
di aspre dispute con la curia metropolitana di Reggio. Ma nel 1346 gli
veniva affidata la sua ultima missione diplomatica, questa volta da parte di
Clemente VI, per condurre trattative unioniste con l'imperatrice Anna di
Savoia, reggente l'impero di Bisanzio in nome del figlio Giovanni V. La
situazione a Bisanzio rendeva però ogni trattativa impossibile. Il 2 febbr.
1347 un sinodo aveva deposto il patriarca Giovanni Caleca, divenuto avversario
dichiarato del movimento esicasta, in conseguenza dell'evoluzione della
situazione politica dopo la morte di Andronico III (nel 1343 aveva fatto
arrestare il Palamas e l'anno successivo aveva fatto pronunciare contro di lui
la scomunica da un sinodo patriarcale), e aveva confermato la condanna di
Barlaam. La stessa sera Giovanni Cantacuzeno, favorevole agli esicasti, entrava
nella capitale e costringeva Anna ad accoglierlo come coimperatore accanto al
figlio. A B., considerato eresiarca, non restava che la via del ritorno, per
lasciare ad altri la ripresa delle trattative. Rientrò ad Avignone verso la
primavera del 1347 e quasi certamente vi rimase fino alla morte che avvenne al
primi di giugno del 1348. Infatti la bolla di nomina del suo successore, Simone
Atumano, nella sede episcopale di Gerace è del 23 giugno di quell'anno e
afferma come recente la morte di Barlaam. (Archivio segreto vaticano, Reg.
Clem. VI, a. VII, vol. 188, f- 31 v). B. scrisse molto. Quantunque una
parte della sua opera sia andata perduta, tuttavia si conservano ancora di lui
un buon numero di opuscoli di vario contenuto, in genere brevi, ma densi di
pensiero. La maggior parte di essi sono ancora inediti. Un elenco coi titoli e
gli incipit si trova in Fabricius, Bibliotheca Graeca, XI,Hamburgi 1808, pp.
462-470 (riprodotto in Migne, Patr. Graeca, CLI, coll. 1247-1256). I più
numerosi sono quelli di carattere teologico e riguardano l'attività unionista
del monaco calabrese: 3 contro la processione dello Spirito Santo Filioque, e
sul primato del papa. Tali opuscoli si trovano in un gran numero di
manoscritti. Ne contiene 20 (escluso uno sul primato del papa) il cod.
Parisinus 1278 del sec. XV (ff. 30 r-167 v). Di essi uno solo sul primato dei
papa, è stato pubblicato prima da Giovanni Luyd, con traduzione latina, Oxford
1592, e poi dal Salmasius, in greco, Hannover 1608 (riprodotto in Migne, Patr.
Graeca, CLI, Coll. 1255-1280). Due discorsi greci sull'unione delle
Chiese sono stati pubblicati e illustrati da C. Giannelli, Un progetto di Barlaam
Calabro Per l'unione delle chiese, in Miscellanea Giovanni Mercati, III, Città
del Vaticano 1946, pp. 157-208. Il primo di essi contiene il progetto di unione
elaborato da B. prima della sua missione diplomatica ad Avignone del 1339 e
presentato al sinodo di Costantinopoli; il secondo, pronunciato probabilmente
dinanzi al sinodo stesso, doveva illustrare il progetto contenuto nel primo. Di
tenore diverso sono tuttavia i due discorsi latini recitati, o piuttosto
presentati in forma di memoriali, in quell'occasione, al pontefice Benedetto
XII. Essi furono editi per la prima volta da L. Allacci, De Ecclesiae
Occidentalis atque Orientalis perpetua consensione...,Coloniae Agrippinae 1648,
coll. 789-794 e 796-798, donde furono riprodotti dal Migne, Patr. Graeca, CLI,
coll. 1332-1337, 1338-1340, e poi dal Raynaldi, Annales Ecclesiastici, ad an.
1339. Alla sua attività apologetica in favore della Chiesa cattolica svolta
dopo la conversione si riferiscono varie lettere ed opuscoli, di cui cinque, in
latino, si trovano in Migne, Patr.Graeca, C LI, coll. 1255-1330. Poco ci
resta degli scritti contro gli esicasti, che furono condannati alla
distruzione, dopo il concilio del 1341, dalla enciclica del patriarca Giovanni
Caleta (Synodicae Constitutiones, XXII, in Migne, Patr.Graeca,CLII, COI. 1241).
L'opera principale, più volte rimaneggiata, che portava il titolo KotTà
Mocaaa?,tocvi""v (Contro i Massaliani) da un'antìca setta ereticale a
cui B. polemicamente assimilava gli esicasti, ci è nota soltanto attraverso le
citazioni degli avversari. Di notevole importanza sono quindi le otto lettere
pubblicate con ampia introduzione da G. Schirò: Barlaam Calabro, Epistole
greche. I primordi episodici e dottrinari delle lotte esicaste, Palermo 1954,
che rivelano i primi sviluppi della controversia. Ma se più nota è
l'attività teologica di B., di non minore importanza, anche se finora meno
studiata, è quella filosofica e scientifica. Nell'operetta latina in due libri,
Ethica secundum Stoicos ex pluribus voluminibus eorumdem Stoicorum sub
compendio composita,edita per la prima volta da P. Canisius, Ingolstadt 1604,
riprodotta in Migne, Patr. Graeca,CLI, coll. 1341-1364, B. dà una chiara
esposizione della morale stoica e mostra ampia conoscenza di Platone. Inedita è
ancora un'altra opera di carattere fìlosofico, Le soluzioni dei dubbi proposti
da Giorgio Lapita (A~astq siq T&q è7rsvsy,0d'aocq ocù-ré,-,) &7rop(otq
7rocpì ro,3 ]Pe⟨,)pytou
roú Aa7r'tOou, contenuta in vari codici, di cui il più noto il Vatic.Graer.1110
(sec. XIV), ff. 80-94 v. Di matematica trattano l'Arithmetica
demonstratio eorum quae in secundo libro elementorum sunt in lineis et figuris
planis demonstrata,corfimentario al secondo libro di Euclide, edito
nell'euclide di C. Dasypodius con traduzione latina, Argentorati 1564, e
riprodotto, nel solo testo greco, nell'edizione di Euclide curata dallo
Heiberg, V, Lipsiae (Teubner) 1888, pp. 725-738; e la Aoytcr-rtx~ sive
arithmeticae, algebricae libri VI, edita per la prima volta,dallo stesso
Dasypodius con traduzione latina, Argentorati 15 72, e poi, con un commento, da
Jo. Chamberus, Logistica nunc primum latine reddita et scholiis illustrata,
Parisiis 1600, trattato di calcolo con frazioni ordinarie e sessagesimali con
applicazioni all'astronomia. Inedite sono due opere di astronomia: un
commentario alla teoria dell'ecclissi solare dell'ahnagesto tolemaico,
contenuto in parecchi manoscritti, in duplice redazione, e una regola per la
datazione della Pasqua. B. si occupò anche di acustica e di musica.
Abbiamo di lui la confutazione al rifacimento degli 'AptovLx& tolemaici di
Niceforo Gregoras, pubblicata da J. Franz, De musicis graecis commentatio,
Berlin 1840. Difficile è esprimere un giudizio preciso che illumini di
piena luce la personalità di B., sia perché moltissimi dei suoi scritti sono
ancora inediti, sia perché l'attenzione degli studiosi si è concentrata
particolarmente sulla sua attività teologica e diplomatica, che fu occasionale,
lasciando nell'ombra la sua opera di filosofo, di scienziato e di umanista, che
rispondeva alla sua vera vocazione. Sufficientemente chiara è ormai la
posizione del monaco calabrese verso le due Chiese: egli fu sincero credente
nella fede ortodossa fino a quando non passò al cattolicesimo, ad Avignone, in
seguito alla condanna espressa dal concilio del 1341. E fu sincero unionista,
anche se le sue posizioni teologico-filosofiche non dovevano contribuire alla
chiarificazione dei rapporti tra le due Chiese. A Bisanzio portò lo
spirito nuovo delle più avanzate speculazioni filosofiche dell'Occidente, che
preludevano all'umanesimo e alla Rinascita. Non facilmente valutabile è invece
il peso che egli ebbe nell'introduzione del greco nel mondo occidentale. Certo
è che, oltre alle sue lezioni avignonesi, iniziò alla cultura ellenica Paolo da
Perugia e il Petrarca. I suoi interessi per matematica, astronomia,
fisica e musica, oltre che per teologia e filosofia, gli assegnano un posto
eminente nella storia della cultura e lo fanno apparire uno degli spiriti più
versatili della sua età. Fonti e Bibl.: N. Gregoras, Byzantina
Historia, a cura di L. Schopen, I. XI, c. 10, in Corpus scriptorum historiae
Byzantinae, XXX, Bormae 1829, pp. 555-559; 1. XVIII, C. 7, C. 8, ibid., XXXI,
ibid. 1830, pp. 901, 905-907; 1. XIX, c: 1, ibid., pp. 909-935; G. Cantacuzeno,
Historiartum libri, a cura di L. Schopen, I. Il, capp. 39-40, ibid., XX, ibid.
1828, pp. 543-556; 'AYLOQEVILZò1; Tó~10(; in Migne, Patr. Graeca, CL, coll.
1225-1236; Filoteo, Gregorii Palamae encomium, ibid., CLI, coll. 551-656; Id.,
Contra Gregoram, XII, ibid., coll.1109 s.; i:uvobL>còg rópo; (Atti dei
concilio del 1341), ibid., coll. 679-692; Bénolt XII, Lettres closes,
patentes... se rapportant à la France, a cura di G. Daumet, Paris 1920, p. 383,
nn. 633-634; D. Taccone-Gallucci, Regesti dei romani pontefici per le chiese
della Calabria, Roma, 1902, pp. 202 s., n. 161; K. H. Schaefer, Die Ausgaben
der apostolischen Kammern unter Benedikt XII, Klemens VI und Innocenz VI
(1335-1362), Paderborn 1914, pp. 91, 138, 157, 198; F. Petrarca, Famil., I.XVIII,
ep. 2, a cura di V. Rossi, III, Firenze 1937, pp. 276 s.; I. XXIV, ep. 12, a
cura di V. Rossi, IV, Firenze 1942, p. 262; G. Boccaccio, Genealogia deorum
gentilium, I XV, a cura di V. Romano, Bari 1951, p. 761; G. Mandalari, Fra
Barlaamo Calabrese, maestro del Petrarca, Roma 1888; J. Gay, Le Pape Clément VI
et les affaires d'Orient, Paris S F. 1904, pp. 115 s. Lo Parco, Petrarca e B.,
Reggio Calabria 1905; Id., Gli ultimi oscuri anni di B. e la verità storica
sullo studio del greco di F. Petrarca, Napoli 1910; G. Gentile, Le traduzioni
medievali di Platone e F. Petrarca, in Studi sul Rinascimento, Firenze 1936,
pp. 23-83; M. jugie, Barlaam de Seminaria, in Dict.d'Hist. et de Géogr.
Ecclés., VI, coll.817834; Id., Barlaam est-il né catholique?, in Echos
d'Orient,XXXIX (1940), pp. 100-125; G. Schirò, Un documento inedito sulla fede
di B. C., in Arch.stor. per la Calabria e la Lucania, VIII (1938), pp. 155-166;
G. Sarton, Introduction to the history of science, III, Baltimore 1947, pp.
583-587; R. Weiss, The Greek culture of South Italy in the later MiddIe Ages,
in Proceedings of the British Acadetny, XXXVII (1951), pp. 45-47; J.
Meyendorff, Les débuts de la controverse hésychaste,in Byzantion, XXIII (1953),
pp. 83-120; Id., L'origine de la controverse palamite: la première lettre de
Palamas à Akindynos, in OEoloyca, XXV (1954), pp. 602-613; XXVI (1955), pp.
77-90; Id., Un mauvais théologien de l'Unité: Barlaam le Calabrais, in L'Eglise
et les Eglises. Etudes et travaux offerts à Dom Lambert Beauduin, II, Chévetogne
1955, pp. 4764; Id., Introduction à l'étude de Grégoire Palamas, Paris 1959,
pp. 65-95; Id., St. Grégoire Palamas et la mystique ortodoxe, Paris 1959, pp.
88-100; C. Giannelli, Francesco Petrarca o un altro Francesco, e quale, il
destinatario del "De Primatu Papae" di Barlaam Calabro?, in Studi in
onore di G. Funaioli, Roma 1955, pp. 83-97; K. M. Setton, The Byzantine
background to the Italian Renaissance, in The Proceedings of the American
Philosophical Society, C,1 (1956), pp. 40-45; R. J. Loenertz, Note sur la
correspondance de Barlaam, évéque de Gerace, avec ses amis de Grèce, in
Orientalia Christ. Periodica, XXXIII (1957), pp. 201 s.; H. G. Beck, Kirche und
theologische Literatur im byzantinischen Reich, München 1959, pp. 717-719; C.
Schmitt, Un pape réformateur... Bénoft XII, Quaracchi-Florence 1959, p. 320, n.
2; A. Pertusi. La scoperta di Euripide nel primo Umanesimo, in Italia Medievale
e Umanistica, III (1960), pp. 104-111.
Bernardo
Massari. Massari. Keywords: implicatura, logistica. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744498707/in/datetaken/
Grice e
Mastri – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Meldola). Filosofo.– Grice:
“One interesting fascinating bit about Mastri’s ‘Institutiones logicae’ is tha
it starts with a little ABC!” Grice: “Mastri has a chapter on fallacies, too,
which is fascinating!” -- Grice: “I love Mastri – of course at Oxford, if they
do history of logic, they’ll focus on Occam – Axe Kneale!” Grice: “But Mastri
explored quite a bit the square of opposition, and modal, too – what he says
about nomen, verbum, propositio, copula, ‘regulae’ for reasoning, and so forth,
is all relevant – especially seeing that his “Institutiones logicae” is just
one of his outputs: he made intensive commentaries on Aristotle’s whole
organon, and more importantly, also his metaphysics and his theory of the soul
– so Mastri certainly knows what he is talking about!” -- Grice: “He was a
logician, and so, according to the Bartlett, am I!”Saggi: “Disputationes physicorum
Aristotelis” (Grignano, Roma); “Disputationes in organum Aristotelis” (Ginamo,
Venezia); “Disputationes in de coelo et metheoris” (Ginamo, Venezia); “Disputationes
in de generatione et corruptione” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in
Aristotelis stagiritæ de anima” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in Aristotelis
stagiritæ libros physicorum” (Ginamo, Venezia); “Institutiones logicæ quas
vulgo summulas vel logicam parvam, nuncupant” (Ginammo, Venezia); ““Disputationes
in Aristotelis stagiritæ meta-physicorum” (Ginammo, Venezia); ““Scotus et
scotistæ Bellutus et Mastrius expurgati a probrosis querelis ferchianis”
(Succius, Ferrara); “Disputationes
theologicæ in Sententiarum” (Hertz, Storto, Valvasenso, Venezia); “Theologia
moralis ad mentem dd. Seraphici et Subtilis concinnata” (Herz, Venezia); “Theologia
moralis” (Milano, Mansutti), “Philosophiae ad mentem Scoti” (Pezzana, Venezia);
Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Forlivesi, Scotistarum princeps. Mastri
e il suo tempo, Centro Studi Antoniani, Padova,
M. Forlivesi, Mastri da Meldola, riformatore degl’imperfetti, Meldola, M. Forlivesi,
"Rem in seipsa cernere" (Poligrafo, Padova); T. Ossanna,Mastri conv.
Teologo dell'incarnazione, Miscellanea Francescana, Roma Mansutti, Quaderni di
sicurtà. Documenti di storia dell'assicurazione, M. Bonomelli, schede
bibliografiche di C. Di Battista, note critiche di F. Mansutti. Milano: Electa,
Hermann Busenbaum Bonaventura Belluto Giovanni Duns Scoto. Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. bumfignificarederiuatumeft. > > 4
> > > CA PVT II. quopatetfignumdicereordinem ,&adpotentiam
cognoscentein Sedadhucdubiuinestdenominibusipfissubstantiuisfolitarie
cuirepræsentat,&adremsignificatam,quamreprælentat:Diui
sumptis;&extrapropositionemspoflintnedicitermini,nam
diturporròfignuminforinale, 3 > 2 2 > >
cutlycurreresubiecti,atqueitavtverbahabererationemtermi- plicabimus. ni.Refp.currere,&
moueri effeverbatantum grammaticaliter atapudlogicumæquiualentnominibus
cursus,& motus,vndeapud . 2 Dubium tamen estde aduerbijs,
coniunctionibus,fignis quan
titatis;vtomnis,aliquis&c.cafibusobliquis,&fimilibus,an rationem
terminisubirepossintetiaminsecundaacceptione:Af De
Terminorummultiplicitaterationefignificationis, X
varijscapitibusfolentterminimultiplicari,& variæeo t
rumdiuisionesatlignari,exparteniiniruinsignificationis,
actufungaturmuneresubiecti,&prædicati,fediufficitaptitudo,
vtadtaleinunuspossitassumi,&noneamhabeat'repugnantiam quæ reperitur in
aduerbijs , conjunctionibus , & fimilibus
mensubstantiuumextrapropofitionemdiceturterminusnonineo
3QuoadalteramquxsitipartemTerminusvniuersiinsumptusdi-
uiditurininentalem,vocalein;&fcriptum vtnotat Tatar. tract.7.defuppofitionibuscomm.1.$.Secundosciendum,quædi-
uisiolumiturextriplicipropositionuingenere;hæceniinpropo-
inalteriuscognitionemvenire,vtimagorespectuCælaris,velt
giumrelpectuferætranfeuntis;quadecaulaScotus2.d.3.quæft.9. & q u o l . 1 4,
h o c f e c u n d u i n s i g n u m a p p e l l a t m e d i u m c o g n i t u m
, q u i a vcducatincognitionem fignati,priuspetitiplumcognolci , il
proprièdiciturfignum,&definiturabAuguft.citat,ea tamen
definitioetiamformaliconueniet,fiprimaparsdeinatur, & di caturfignumefe,quodfacitnosinalteriusreicognitionem
venire.Hæctamenfignidefcriptio,quamuisfitabAuguit,tra ParsPrimaInffit.Tract.I1.
Cap.1. elfobiectum ipsiusformalispropositionismentatis, & intticuiturin
HasauteintermiņiproprièfumptidefinitionesitàexplicatTatar. elepropofitionisobiectivapeream
,tanquam performamextrin vtfensussitterminumeleidsinquodtanquaminextremumpropo-
secam,itaquepropofitio.mentalisînhocsensu,"nimirumob
fitiocathegoricaeltinnediacerelolubilismediantecopulaverbali,
iectiuèsumpradiciturhabereterminos;&extrema,quiainse
&diciturimmediatè,adremonendumlitteras,&fyllabas,quia
continetsubiectum,& prædicatumconftitutaineffetaliumper
licetpropofitiorefoluaturinlitteras,&fyllabas,nontamenim- propofitionem
formalem :quarècumintellectusenunciatbomo > m e d i a t e , & i d e ò l
i t t e r æ ', & s y l l a b æ n o n d i c u n t u r t e r m i n i , e l e
f t s n i m a l i n t e r n a , & f o r m a l i s p r o p o f i t i o i n f
e n o n c o n t i n e t f u b tiamlicetpropofitiohypotheticaresoluaturinterminosmedia-
iectum,nequeprædicatum,necterininos,sedtantumpropofitio
tè,nontamenimmediatè;fedrefoluiturimmediatèinpropo-
objectiua;ytetiamhicbenènotauitOuuied.Nomineautemter
fitionesfimplices,exquibuscomponitur;possettamenabsque
minimentalisduopossuntintelligi,fcilicetresquæmenteconcipi
scrupuloetiampropofitiosimplexappellariterminus,quando
tur,aciplacognitio,seuvtalijloquunturconceptusformalis,
inhypotheticatenetlocumsubiecti,vtnotatArriag.Necobeit &obiectiuus;&
quidemsiinprimolentufumatur,fcilicet,pró illam etiamconftareterminis,nainbenèpoteltid,quodinTeeft
reconcepta,cerminusmentalisàvocali,& fcriptodifferrenon
quasitotum,efleparsrespectaalteriustotius,vtpatetinphysicis
videtur,eademenimprorsuseftres,quæinenteconcipitur,vo
decorporerespectutotiushominis,& inalijsmultis,vtdiscur,
cedeproinitur,&calamoexaratur;atinfecundosensu,fcilicet,,
renticonftabit.Etiuxtahancfecundam
terininiacceptionemcoproipforeiconceptudiffertàvocali,&scripto,&
diuidisoletin | & subiecti,& licetinpropofitionedesecundoadiacente,qua-
quiacumsitignarussignificationisvocabulorumlatinorum,conci
liseftiftaPetruscurrit,lýcurritvideaturfungimunereprædi-
pitfolummodovocisTonum,nonautemremperillamyocemfigni
cari,retamenveranontantuinhabetrationemprædicati,fedetiam ficatam,scilicet
hominem.PorròlicetLogicaproximèvertetur
habetvimcopulæ,cumfaciathuncsensuinPetrusestcurrens;yn-
circaterminosmentales;& vocalesnonnisirationementalium at
delicetvtgeritvicesprædicati,fitterminus,nontamenvegeritvi-
tendat,quiatamenterminivocalesfuntclariores,& pereosinno cescopulæ.Etfidicasinhacpropositionecurrereeftmoueri,lymo-
tescuntinentales,frequentiusagitLogicusdeterminisvocalibus,at ,
ueri,quodeftverbum,haberetantumrationemprædicati,fi-
queideonosetiaindeincepsdeiftisagemus,aceorumdiuisionesex
firmantaliqui,coquiainpropofitionepoffunthaberelocumprae-
expartemodisignificandi,&expartereifignificatæ:exprimo dicati
&subiecti,vtfidicaturPetruseftwliquis,omniseftter-capite,quantuinadpræsensspectat,foletinprimisdiuidivocalis
minussyncashegorematicus,preter,oftaduerbium, ,eftconiun-terminusinfignificatiuum,&nonsignificatiuun:ileeit,quialiquid
tie
&ficdealijs.ImmoFuent.cit.hacrationetenetetiamvocessignificat,vchæcvoxhomo,quinaturamfignificathumanam,ifter
non significatiuasefeterminos ,nam dicimus Bliterinihil fignificet, quinihilfignificat,
vtBlittri, Buf,Baf. Sedvtitadiuisio lit
cat.QuinetiainArriagaobidadditlitterasipfaseseterminos,quan-
reétètraditaintelligideberdeterminoinprimaacceptioneassignar
dosolzaccipiuntur,namdicimusAettlittera.Verùinprobabi-
tacap.præced.naminsecundaacceptioneomnesterminisuntsigni
liusalijnegant,quiaaduerbia,coniunctiones,&aliaidgenusnun-
ficatiui,cuniesepoflintfubiectum,&prædicatuminpropofitio quam
rationefui,&forinaliterfumptafungipoffuntmunerefubie-
ne:terminusigiturvocalisintotafualatitudinefumptusdiuiditur
éti,&prædicati,vndeinallatispropofitionibusfemperaliquod
insignificatiuum,&nonsignificatiuum:quædiuisiovtbenèper
substantiuumintelligitur,incuiusvirtutefungunturilaoficiolub
cipiatur,cumterminusyocalisconftituaturinrationefignifican iecti,&prædicati,vtinilapropositionePetruseftaliquisàparte
tispersignificationem,videndyınettquidfitfignificare,&quidfitfi
nosvenireincognitionemalterius scili
tainopposicionemsequivelimus,tunccumTatar,queinseq.Arriaga,
cetnaturæhumanæ,vndefignumdebetefetale,veilcoognitoper tract.1.com.3.ad1,dicendumeftadhoc,vtaliquidfitsubiectum
fenfus,medianteillodeindeveniamusincognitionem rei,cuinqua
inpropofitionefufficere,vtfitvoxfignificatiuanaturalitercommu-
lignumhabetconnexionem;hincfignificarenilaliuderit,quàm niter,ideft,vtpoßitrepræsentarefeipfam,quodeltfignificare
aliquidaliudàsedistinctumrepræsentarepotentiæcognofcenti;ex large. &
eftillud,quodabfquefuipræuia
Arift.definitioallatavideturiliscompeterefoluin,quandofuntin
cognitionealiudnobisrepræsentat,&ineiuscognitionem du propofitione.Verumnonitarigorosèintelligendaeltilladefinitio
cit,qualesfuntfpeciesimpreffa,&expreffarespectuproprijobie
namvealiquadictiodicaturterininus,noneitsempernecesse,quod
cti,&ininstrumentale,quodpræfuppofitafuicognitionefacitnos ; no
dita,&obcantiDoctorisauthoritatem abomnibus pallim ro
fitiohomoeftanimallifiatmente,diciturmentalis,sivoce,vo-
cepta,nonrecipituràPonciodifput.19.Log.quæit.i,eamqu
calis,lifcripto,diciturscripta;terminusergodiciturinentalis
impugnatquoadveramquepartem;quoadprimamquidem cum à > > .
pulaverbalis,seuverbum,vtverbum,rationemtermininequit
vleiinatum,&nonyltimatum;vltimatuseltconceptus,seucogai
habere,tumquiacopulanonettextremumpropofitionis,sedra-
tioreisignificatæpervocemaliquam,velícripturam,vtcumaudi tioconiungendiextremi;tumquiaineampropofitiorefoluinon
tavocehomoilludpercipimusanimal,quodeltrationale:nonylti
poteft,cumenimfitformalis,& expreffaextremorum
vnio,|matuseftconceptusipfiusvocis,velscripturæfignificantisnonyl
factaeorumdissolutionemanerenonpoteft;tumdemum,quia trafeextendensadreinsignificatam,&ideodiciturnonvltimatus;
> > ) > ve sensu,quodactuextraillamexerceatofficiumtermini,fedquia
ludveròprimumvocatpræcisèrationemcognofcendi,quatenus
intraillamfungipotefthocmunere;vndedicaturterminusnon præcisèeitquoaliudcognofcitur,&nonquodcognofcitur
. Si actu,sedpotentia;necaliudprobantComplut.cit.oppofitumfu-
gnumauteminftrumentaleelt,dequoagimusinpræienti,& quod itinentes. 2
>> > > Eumdimontesafignani . > > >
vocalis,velscriptus,proutsubiectum,velprædicatumpropofi- fignumeffeid,quodpræterfuicognitionem,quamingeritsenpbu
tionisetmentale,vocale,velscriptum.Solentextremaquoque doc.redarguit,
quianoncomplectituromnefignum , quia po
propofitionismentalisterminiappellari,quodquidemdepropoli- lentdariigna
fpiritualia,qux deducerentin cognitionem
tioneformali,quæeitactus,&fecundaoperatiointellectus,in-
aliarumrerum,necpoflentpercipiafenfibusmaterialibus
telligendumnoneft,nampropo.icioinhoclenluettynafimplex
Quoadaliamveròpartem,inquaait;quodfignum facit 7 venire opeiroincognitionemalteriuseam
impugnat ,tanquamab Arriag. 4modificat,& facittaliterfignificare,
ideltredditeius fignificatio.
raticam,quiaobie£tumfacitnosincognitionemsuivenire,&ta- nem ,velvniuerfalem
,velparticularem ,velaffirmatiuam,vel metbondiciturfignum.RursusDeusipfefacitnosvenireincogni-
negatiuam:& dicituraliqualiterfignificare,nonquiaverè,&pro
tionemmultarumreruineasnobisreuelando nectamenabvllo
priènonsignificet,sedquiafignificatumeiusnonrepræsentatur
vocaturfignumilarumrerum. Prætereàcognitio eftfignum vtresperfe,sedvemodusrei",idestexercendomodificationem
rei,quzcognosciturperipfam,&tamennonfacitnosincognitio-
alteriusrei,quadecausanegatArriag.sect.4.efeperfectèterminum. Demvenire.
AdditTatar.terminummixtumideftpartim cathegorematicum,par SednimisandacterinficiaturPoncius
doctrinam D. Augustini, timfyncathegorematicum , & eftile,quiimpofitus
ettad fignifi qaamomnesvenerantur .VtcommunisMagiftri,vndemirumesse
candumaliquid,feualiqua,& aliqualiterfimul,vthæc voxni.
nondebet,quodszpiushicAuctorminirmuobore fuffusudsoctri- hil,
quæimpofitaetadfignificandamnegationemomnisentis
namScotiprzceptorisaudeatimpugnare;Oprimaenimeitilla
hæcenimipsanegatioeftilludaliquid,quodfignificat,quatenus
descriptioquoadomnespartes,fibenèintelligatur,naimnduzæ
veròillamnegationemfignificatvniuerfalitercuiuscunqueentis,
folentafignariconditionesalicuius,vtalteriusreifignumdi-
diciturfignificarealiqualiter,ficeciamfignificarsubiectumpro
catur,vnaeft,quodnosducatinilliusreicognitionem,al-
pofitionisindefinitæ,naminmaterianecessariaæquiualetvniuer caraeft,quodducatineiuscognitionem
,quatenuscognicas lali,vthomoeftanimalæquiualethuic,omnishomoeftanimal,&
quarumconditionumvtramqueoprimèexprimitdefinitiofigni
inmateriacontingentiæquiualetparticulari, vthomocurrit
25Auguftinotradita;namperpriinampartemdefinitionissecun-
æquiualethuicaliquishomocurrit.Adhoctertiumgenusreducit
damexprimitconditionem;vulceniinrein,quæinseruirede-
Tolet.lib.1.cap.12.&Arriag.sect.4.omniaaduerbiav...som
betproalteriusfigno,priusnoitrissensibuscognitionemsuiin- pienter,doctè,conc.Sednonplacet,quiacumdiscrimenintertermi
gereredebere,pecificatautemfignumefedeberefenfibile,quia
noscathegorematicum,&lyncathegorematicumsumaturpræser.
vtnotarDoctor4.d.1.grætt.z.& 3.fignafenfibiliasuntmaximè
timinordineadpropofitionein ipesprofianuiftoexcitareintellectumconiunctumàsensuum
& perfepotefteffefubiectum,velprædicatumpropofitionis,ille
ministeriodependentem,vtinalteriusreicognitionem veniat;
verò,quinonpotefteffefubieétum,necprædicatum,nisicumad per alteram verò partem
definitionis altera quoque conditio e x - dito , consequenter aduerbia omnia
erunt termini fyncategorеinati primirur,contraquam nilvrgentinstantiæà
Poncioadducta ci,quiasesólis,&fineadditononpoffinteffefubiectum ,velpre
quiaobiectumfacitvenireincognitionemfui,nonalterius, dicatuinpropofitionis,&persenonsignificantaliquid,sedpotius
hocfacitvenireincognitionemlui,quatenuscognicum, vtfa- aliqualiter.
itlignum,sedquarenuscognoscibile ;necetiamDeushocmo-
Potiorirationeadhoctertiumgenusterminimixtinomina adie doadinftarfigniducitnosinrerumcognitionem,quatenus
ctiuareducipoffent,quamuisenimHurtad.disp.l.sect.10.mor
cognias,foreasreuelando,quod
adhucfacerepossec,etiam-dicuscontendatesseterminossyncategoremnaticos,quianonsigni
spriusànobisnon cognosceretur;cognitiodeniqueeffe ficantperse,sedconsignificant,v.g.bonus,nonsignificatperse,
bgnumreicognitxperipfam formale,vedicebamus,non
&determinatèaliquid,nisiaddaturalicui,v.g.Petrusbonus,Ta
auteminítrumeatale,quodfolumproprièdiciturfignum &
menfinominumadiectiuorumfignificatiobenèconfideretur,vide
abAug.definicus,&ideocognitioproprièloquendonondi
bimus,quodlicetindeterminacèaliquomodofignificent,ratione einerfacerenosvenire
in cognitionem rei , quam repræsen-
tamenformæfignificatæfecumafferuntaliquamdeterminationem , 126,quianonducit nos
in cognitionem illius rei.', quatenus nam do&us,v.g.doctrinam
importat,quodnoneucnitinfignisquan
cognica,leavtmediumcognitum,fedvtraciocognoscendi;so-
citatisomnis,nullms,doc.quænullainprorsus,remdeterminatam
lumautemfignuminftrumentaleeftillud,quodhicdefinitur. fignificant.Accedit,
quodnominaadiectiuapoffuntesefaltim præ Ethocigneminftrumentaleadhucduplexeft,
aliudnaturale, dicatuminpropofitionev.g.Petruseftdoctus,quodfignisquantita
keit,quodexnaturasuaindependenterabhominum voluntate
tisprorsusconuenirenonpotest,ergo nominaadiectiuacommodè
aliquidreprzsentat,vtfumusignem,& vniuersaliteromnisef-
adhoctertiumgenusterminipossuntreuocari,quodetiamtenent
sutusfuamcusum,quipræsertimfisensibiliserit,diceturtic
Casil.cap.3.&Arriag.cit.cumsignificentaliquid,&aliqualiter,vn
şuncauzjuxtàsensumdefinitionisallaræ.An veròitaècontra
deremanetfolanominasubstantiuaesseproprièterminoscategore
caladicipolefignumfuieffectus,negarHurtad.disput.1.fet.4.
maticos,quicquidhicdicatOuuied.
quiaeicauízcognitioducatincognitionemeffectus,tamen,
7.Rursusterminuscategorematicussubdiuiditurinfimplicem
bosetordinataadillumrepræsentandum .Sedplanènonmi-
seuincomplexum,&compositum,seucomplexum,quamdiuisio
mesordinataetcognitiocausæadnosducendumin
cognitionemquidamficexplicant,quodcomplexuseftille,quiconstatex
benefectusàpriori,quàmcognitioeffectusficordinataadnoti-
pluribusdictionibus,vthomoalbusincomplexus,quivnicagau
tiamanfzàpofteriori,quareratioHurtad.parumvalet.Acin-
derdictione,vthomo,&albus,itaRoccuslib.i.introd.cap.8. quinzalij,quodliceticaresfehabeat,solatamencognitio,qux
Blanc.libr.z.sect.2.AtvebenemonetTatar.tract.1.coin.4.hæcex
perfectumhabetur,diciturhaberipersignum,vndesolademon-
plicatiopotiusgrammaticaliseft;grammaticusenim vocemillam
Hracio,pofteriori,quzeltpereffectum,diciturasigno,& ideò
appellatcomplexam,quæconftatexpluribusvocibiis,&eamin
Solumefectusdicipoteftfignumcausæ,nonècontra.Verùmne-
complexam,quæconftatvnatantum,atnonficeftapudlogi quehocviget,licetenim
cognitiohabitapereffectumvelutisen- cum ,quinonattenditvnitatem, velpluralitatem
vocuin,ied Ebuioremcaula,magisproprièdicaturàligno,niltamenim-
conceptuminintellectu,cuiiltæsubordinantur,vndeetiamfifint
pedit,quin&cognitiohabitapercaufamposicdiciàfignoab-
pluresdi&tionesinterseconnexx,fitamenininentevnumtan folutèloquendo.Poceltigituretiamcausadicifignumfuieffectus,
tumgenerantconceptum,terininumconitituuntincomplexum
&przsertimquandosensibiliselt,vndeàTheologisfacramentadi-
vev.g.MarcusTulliusCicero,&ècontrafivnatantumfitdictio,
canturfignagratia,cujusfuntcausa,itaclarècolligiturexDo-
conceptumtamengeneretcomplexum,eritterminuscomplexus;vt
Gore.d.1.Juzit.2.$.Defecundoprincipali,& fequiturCafil.cit.&
nemo,amoSemper,quææquiualenthis,nullushomo;Sumamans,omni
Atriagadifputat.3.fect.2.Aliudveroeftlignumartificiale,feuad tempore. placitum,&et:quodexhominumimpofitionealiudrepræsen-
Alijproindeficexplicant,quodterminusincomplexuseftille, est,ficramisetlignum
venditionisvini,fonuscampangelt
cuiuspartesabinuicemfeparatænihilfignificant,autnon lignih
fgrumlectionis,&voxilliusrei,adquamfignificandumeitim-
cantillud,quodinintegradictionefignificabant,vtv.g.Dominus
pofita.Vbitameneftaduertendumetiaminvocibusipsisnon
eftterminusincoinplexus,quialicetpartes,inquaspoteltdiuidi
aprumfignificationemadplacitumrepeririposse,sedetiam natu- scilicetDo,&minusfintsignificatiuæ,tamenintoto,&
integra salem,veparetdegemicainfirmorum ,& latratucanum:& ideò
dictionehancfignificationem nonretinent:Complexusveròeftil
temiausvocalisfignificatiusfubdiuidifoletinfignificatiuumna- le,cuinsparteseandemretinentsignificationem,quamhabebant
licet,&adplacitum,&hicadDialecticusmpectatnonqui-
intotocomplexeo,tiamabinuiceinseparatæ,vthomoiultus,
enlecundimtuamrealementitatem,vevoxelt,&fonusquidamn
itaAmicusg.2.Ruuiusq.4.Complut.cap.3.Sot.lib.1.cap.9. decaufaeus,Idfecundumquodimpofituseftadresipsasfigni-
Ioan.deS.Thom.lib.fum.cap.4.&alijpaflim.Athocdupliciter
ledias,&conceptusmentisexprimendos,inhocenimlenluvo-
inteligipoteft,velita,quodterminusincomplexusfitile,cuius
seneredicunturadinftitutumDialecticum,vtdicemusdisp. partesIeparatænoneandemhabentsignificationem
,quamhabe vocibus,vbictiamdeclarabimus,perquidconstituaturratio
bantinintegradictioneetiafmigillatimfumptæ,inquofenfu10
quodcorianificatiuus,&ideopersenonsignificataliquid,necpo-
seca,acderevpatett.alVelscitoamipntoenlluingtitiulrla,nqoumodinpar,tevsetneortmaitnFioin
veelelubecom,&prædicatum inpropofitione,sedcumalte-
coinplexiseparatænonretinenteandem fignificationem,quamha consortio aliquis
inde de sumpdtiæctionis Refpublica lus, , vtnotatTatar.tract.7.com .1.§.TertioSciendum
,)cio vera elt , vt conftat partibus illius fins ,cuiusfignificationem
modificet wessatenusadiuncurcachegorematico
Bartolomeo Mastri. Mastri. Keywords: implicatura, Categories and
De Interpretatione, segno, segnare, segnans, segnato, notare, nota, notans,
notatum, notatura, segnatura. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mastri” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691207371/in/photolist-2mKLX4i
Grice e
Massolo – prime ricerche di Hegel – implicatura idealista di Plathegel e
Ariskant -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo).
Filosofo. Grice: “If I had to decide on my favourite Massolo, that would be his
‘historicity of metaphysics,’ way before when I was venturing with Strawson and
Pears to lecture the erudite audience of the BBC third programme on the topic!”
Dopo aver intrapreso gli studi presso il Liceo Classico Vittorio Emanuele II,
si laurea a Palermo con “L’individuo in Rosmini, con Allmayer. Fu autore di
alcuni volumi di poesia. In seguito ad
un periodo di docenza nei licei di Perugia, Catanzaro e Livorno, insegna a
Urbino e 'Pisa. Ha influenzato importanti figure del dibattito filosofico del
secondo Novecento, come Luporini, Badaloni, Sichirollo, Salvucci, Cazzaniga,
Barale, Bodei, Losurdo. Gli scambi epistolari avuti con numerosi intellettuali
(tra cui spiccano i nomi di Gentile, Spirito, Bo, Fortini, Russo, Capitini, Weil)
mostrano l’alta considerazione di cui Massolo godeva all’interno del panorama
culturale del secondo dopoguerra. Partecipa alla fondazione della rivista
Società, entrando nel comitato di redazione. La rivista, nel primo anno della
sua uscita, ospitò tre importanti saggi di Massolo: Esistenzialismo e
borghesismo, La hegeliana dialettica
della quantità, L’essere e la qualità in Hegel. Idea e fonda la collana
«Socrates» dell’editore Vallecchi, con la quale pubblicò “Filosofia e politica”
di Weil, Vita di Hegel di Rosenkranz e Dialettica e speranza di Bloch. I suoi
studi su Hegel, inclini a valorizzare la filosofia della storia e la dimensione
realistica del filosofo tedesco, contrastano tanto la lettura del neoidealismo
italiano (Croce e Gentile) quanto quella di Galvano Della Volpe. Nell’ambito
della sua riflessione Massolo ha posto le basi teoriche per una nuova ed originale
rilettura del rapporto Hegel-Marx, tanto da essere considerato da alcuni
interpreti l’avviatore dell’hegelo-marxismo in Italia. I suoi interessi teoretici si sono rivolti
principalmente alla filosofia classica tedesca da Kant ad Hegel, della quale ha
studiato, per più di un decennio, i principali momenti storico-teorici. In antitesi all’esegesi del neoidealismo
italiano, che tendeva ad attribuire alle filosofie di Fichte, Schelling ed
Hegel il superamento della finitezza umana che Kant aveva posto a fondamento
della sua filosofia, Massolo ha proceduto alla rilettura della genesi
dell’idealismo tedesco con l’idea che esso abbia storicizzato i dualismi
kantiani in un processo che si compie nella Fenomenologia dello spirito di
Hegel. Nelle fasi più mature della sua
riflessione ha tematizzato in vari saggi la problematica della scissione della
coscienza comune (Filosofia e coscienza comune, oggi), l’idea della completa
politicizzazione del filosofare (Politicità del filosofo, Frammento etico-politico), ed il problema
della storia della filosofia con particolare riferimento al ruolo della
coscienza riflettente del filosofo, nonché al rapporto dialettico tra Pensiero
e Realtà nella città-storia» (La storia della filosofia come problema,). Si dedica alla questione della dialettica
intesa come dialogo, ovvero quell’elemento dialettico-razionale mediante il
quale è possibile conciliare le differenti rappresentazioni dell’oggetto
storico-sociale e le contraddizioni all’interno della comunità. Tramite queste riflessioni, che lo hanno
condotto a porsi in diretta polemica con Nietzsche ed Heidegger, Massolo ha
contrastato l’idea del sapere come visione solitaria del singolo ed ha
concettualizzato l’idea del sapere come processo essenzialmente dialogico e
comunicativo (La storia della filosofia e il suo significato). Saggi: “Mattutino,” versi (Palermo,
Trimarchi); “Adolescenza” (Palermo); “Convivio; storicità della meta-fisica” (Firenze,
Monnier); “L’analitica di Kant” (Firenze, Sansoni); “Fichte” (Firenze, Sansoni);
“Schelling” (Firenze, Sansoni); “Prime ricerche di Hegel” (Lettere e Filosofia,
Urbino); “La storia della filosofia come problema” – (Firenze, Vallecchi); “Logica
idealista” (Salvucci, Firenze, Giunti-Bemporad, “Della propedeutica filosofica”
e altre pagine sparse, Urbino, Montefeltro, S. Landucci, Arturo Massolo,
"Belfagor, Remo Bodei, Arturo Massolo, "Critica storica", Studi
in onore di Arturo Massolo, Livio Sichirollo, Urbino, Argalia, Nicola Badaloni,
Ricordo di Arturo Massolo, "Giornale critico della filosofia
italiana", degli scritti di
Massolo, Burgio, Urbino, QuattroVenti, “Il filosofo e la città: studi
Nicola De Domenico e Gianni Puglisi, Venezia, Marsilio. Arturo Massolo.
Massolo. Keywords: prime ricerche di Hegel, la logica di Hegel, Gentile,
implicatura idealista, Ariskant and Plathegel. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Massolo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744469057/in/dateposted-public/
Grice e
Mastrofini – l’implicatura verbale di Romolo – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Monte Compatri). Filosofo.
Grice: “I like Mastrofini; for one, he found how old Roman evolves into
what we may call new Roman, or Italian!” – Grice: “And of course as a philosopher,
he focused on the philosophical terminology – it takes a PHILOSOPHER to
translate a philosophical text!” – Grice: “What I like about Mastrofini” is
that he mostly kept with the cognates. La Crusca adores him!” Noto soprattutto
per il volume “Le discussioni sull'usura” in cui sostenne che non è reato far
fruttare il danaro e che né la Sacra Scrittura, né i Vangeli, né la tradizione
ecclesiastica vietavano di ottenere un giusto interesse per danaro dato a
prestito. Questo diede luogo a molte discussioni ma anche apprezzamenti
lusinghieri da economisti dell'epoca e dall'opinione pubblica. In precedenza aveva scritto un'opera di
economia finanziaria, il Piano per riparare la moneta erosa relativa
all'inflazione nello Stato Pontificio, opera largamente utilizzata per la
riforma finanziaria dello Stato, intrapresa da Pio VII. L'edificio del Collegio Romano ove insegna. Insegna a Frascatii. Nel pieno della
crisi della Repubblica Romana, si trasfere a Roma dove venne nominato
professore di eloquenza presso il Collegio Romano.Torna a a Frascati. Si trasfere
definitivamente a Roma dove assume la carica di consultore della "Nuova
Congregazione cardinalizia per gli affari totius orbis". Produce le traduzioni dei capolavori di Floro,
“Sulle cose romane,” e di Ampelio, “Sulle cose memorabili del mondo e degli
imperi.” Traduce “Le Antichità romane” di Dionigi. Pubblica “Teoria e
prospetto; ossia, dipinto critico dei verbi italiani coniugati, specialmente
degli anomali o mal noti nelle cadenze,” opera che porta un grande contributo
allo studio dell'italiano, utilizzata dall'Accademia della Crusca nella
revisione del dizionario della lingua italiana. Pubblica “Della maniera di
misurare le lesioni enormi nei contratti e uno studio sulla patria potestà e
filiazione, che ha larga eco nei circoli giuridici romani, essendo allora in
corso una causa di riconoscimento di paternità per successione tra i Torlonia e
i Cesarini. Piazza di Monte Citorio. Nell'edificio
dove abitava e morì, in piazza di Monte Citorio il Comune di Roma appose una
lapide con il seguente ricordo: Abita in questa casa -- dotto in filologia,
teologo e filosofo assai più grande che celebrato fissa le incerte leggi dei
verbi investiga felicemente con l’uso della ragione i misteri della scienza divina
S.P.Q.R.» “Dissertazione filosofica” (Roma); “Piano per riparare la moneta
erosa” (Roma); “Ritratti poetici, storici, critici dei personaggi più famosi
nell'antico e nuovo Testamento” (Floro); “Sulle cose romane” (Roma, Ampelio); “Sulle
cose memorabili del mondo e degli imperi” (Roma); Dionigi di Alicarnasso “Le
Antichità romane”, Roma, “Dizionario dei verbi italiani” (Roma); “Metaphisica
sublimior de Deo triun et uno,” Roma, Appiano “Storia delle guerre civili dei Romani",
Roma, Arriano “La Storia”, Roma, ristampata da Sonzongo con il titolo “Delle
cose d'Italia” “Le usure,” Roma, “Amplissimi frutti da raccogliere sul
calendario gregoriano,” Roma, “L'anima umana e i suoi stati,” Roma, “Teorica dei nomi,” Roma, “Teorica e
prospetto de' verbi italiani conjgeniti,” Roma. Dizionario Biografico degli
Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
IlprimofondatorediRoma,edell'imperofuRo. molo,generatodaMarte,edaRea
Silvia(1).Tanto nellasuagravidanzaconfessavadi sèquesta sacerdotes
sa:nèlafamanednbitòquando poco appressoilfan. ciullo gettato con Remo suo
fratello nella corrente per a n . cennodiAmulio,non potèsoffocarsi.Imperocchèil
padre Tevere ritirò dal lido le acque : ed una lupa , la sciati isuoi parti , e
seguendo il suono de'vagiti , in boccò li sue mamelle a'fanciulli , presentando
in se stes sa una madre . Cosi trovatili un regio pastore presso di un'arbore ,
e portatili in casa (2 gli educò . Di que' giorni Alba , opera di Giulo , era
capitale nel Lazio : chè avea quegli dispregiata Lavinia , città del suo p a
dre(3).Amulio,già quarta decima generazione da
vitàdiCristosecondol'eracomune.Soprattuttosembra inc
sattol'intervallodaAugustofinoaTrajano Eglilocrededi anni duecento ; laddove è
di anni cento due a!l'incircd . M a forse vi è sbaglio nel testo e dee leggersi
cento in lungo di duecento (1) Rea Silvia figliuola di Numitore presedeva al
sacerdo ziodiVesta QuindièdettaSacerdotessa. (2) Nel testo in casam : questa
voce può sign'ficare capan Tuttavia par verisimile che l'abituro di un regio
pasto re fosse alquanto migliore di una capanna . L'espressione ita liana
comprende ogni abitazione fosse capanna o no . av. Cr 1 776 av. R. 26. na
• (3) Enea dopo finita la guerra con Turno foudo la città cui chiamò Lavinia
dal nome della moglie . Ascanio , ossia Giulo,peròdi luifigliuolo
dopolamortediEneafabbricò A!. ba Lunga la quale tu capitale del regno per
trecento anni Ani. dik . 3.av. Cr. essi viregnava,avendonecacciatoilgermanosuoNu
mitore , dalla cui figlia Romolo era n..to . Adunque co stui nel primi bollore
degli anni caccia Imulio suo Zio dalprincipato,el'avoloviripone.
Intantoegliaman tedelfiume ede’monti,vicinoa'qualierastatoeduca
to,meditavalemuradiunanuovacitt).Ma l'unoe l'altro essendo gemelli; p acque
loro consultare gl'ld dj , qual de’due le fondasse e vi dominasse . Pertanto
RemoandossenealmonteAventino,elaltroalPalati no . Colui pel primo vide sci
avoitoj : posteriormente videne l'altro , ma dodici :evincitore negliaugurjinal
Area fin quì fatto un'abozzo di citta , piuttosto che unacittà;mancandole
gliabitanti.Ma siccome riina nealevicinounbosco;eg! 2feceunasilo;edisubia
tovisiadund moltitudineprodigiosadiuomini,Lati n i , e T o s c a o i p a s t o r
i , e G o a n c o t r a s m a r i n i , sia d e ' F r i gj venuti con Enca ,
sia degli Arcadi con Evan tro . Cosi quasida varj eleinenti , ne trasse un
corpo solo ; e fu per lui creato il popolo Romano . Vi quel pop lo di uomini
era cosa di una sola generazione . Si chiesero dunque de’matrimonj
da'confinanti; e sccome non si otteneano;furonoconlaforzaespugnati. Imperocchè
finti de'giuochi equestri ,le vergini accorse per lo spets 747.
incirca.FinalinenteRomoloinalzòRomachediverrebbeca. C o . zaunacittàpienodisperanza,cheguerriera
diverreb be ; tanto ripromettendogli quegli uccelli , consueti a 7 LIBio sangue
e prede .Sembrava che in difesa della puova cit tá basterebbe un vallo ; se non
che deridendo Reno le angustie di questo , anzi condannandole con saltarle , fu
trucidato ;è dubbio se per comando del fratello ; ma c e r t o e i n e fu l a p
r i m a d e l l e v i t t i m e ; e c o n s a c r ò c o l s a n gue suo le
fortificazioni della nuova città . > . Av. Cr. R.2 so 52 7 > ro
dell'Italia e del mondo , PRIMO 13 (+) Spoglie opine eran quelle
che un comandante toglieva all'imperadore o supremo comandante nemico
uccidendolo di suamano.Questefuronocosìrare;chesenecontano ap pena tre . Le
prime le riportò Romolo contro di Acrone : le seconde Cornelio Cosso contro di
Tolunnio , e le terza Marco Marcello su Viridomaro . Giove poi fu detto
Feretrie o perchè a lui ferebantur si portavano le spoglie opime , o perchè
ferisce col fulmine ; o perchè nell'acquistare le spoglie opime un capitano
feriva l'altro con la spada . (5) Era questo un bel mantenere le promesse !
intendere di dare alla donzella gli scudi perchè gli scudi le vibravano
opprimendola . Questo metodo di mantenere le promesse , ras somiglia a quello
usato dalla fanciulla per consegnare una porta creduta da Floro senza inganno o
cone noi abbiamo tradotto , senza malizia , perchè non chiedeva danaro , ma gli
scudi o li braccialetti . Potrà inai persuadere questa ragio
ne?LaVergine,chequisiaddita,secondo ValerioMassi. mo
9.6.I.erafigliuoladiSpur.Tarpejoilqualeatempidi Romolo presedeva alla
fortezza:c coleiera uscitaper pren. derc acqua pe’santi riti, tacolo ,
furon preda , e cagione immediata di guerre .
FuronoiVejentirespintiefugati:lacittàdi Ceninafu
presaediroccata:inoltrelostessomonarca neriportò con le sue mani aGirve
Feretrio lespoglie ooiine del r e (4 ) . M a le n o s t r e p o r t e f u r o n
d a t e a S a b i n i p ë r u n a donzella ; nè già con malizia : ma chiesto
avendone la fanciulla in ricompensa ciocchè essi portavano alle sini stre ,gli
scudi forse o li braccialetti ; coloro e per m a n tenere a leila promessa e
per vendicarsene la oppresse rocongliscudi(5. Ricevutiintalmodofralemurai
nemici ne sorse nel foro medesim »un'atroce battaglia ; tanto che Romolo prego
Giove che arrestasse la fuga vi tuperosa de'suoi . Quindi ebbe origine il
tempio , e Giove Statore . Finalmente le donzelle in lacere chiome
s'intrammiseroadessiche infierivano.Cosìfulapace riordinata , e stabilita
l'alleanza con Fazio . Donde ne . . diR. Cr. bandonati i lor
domicilj , sen passarono alla nuova cit tà , consociando co'nuovi generi loro
gliaviti beni per dote . Accresciute in poco tempo le forze diede il sapien
tissimo re quest: forma alla Repubblica . Fu la gioven. tù divisa in tribà con
cavalli ed armi perchè sorgesse nelle subire guerre : fosse il consiglio su
pubblici affari n e ' s e n i o r i , i q u a l i si c h i a m a v a n o P a d
r i arringando dinanzi la città presso la palude della ca pra , fu di repente
levato di vista . Alcuni pensano che i senatori lo trucidassero per la ferocia
dell'indole di lui: (1) Dopo la morte di Romoln il trono restò privo di sovrano
per un'anno, comandandointantoa vicendaiSenatoridicin que
incinquegiorni.QuellospaziofuchiamatoInterreono Il magistrato a forma
d'interregno ebbe luogo ancora ne'se. coli posteriori quando iconsoli occupati
in lontane azioni non potevano intervenire ai coinızj;o quando erano costretti
a depor. 14 LIBRO dir. seguitò,ciocchèèportentosoadire,cheinemiciab 7.av.
Cr. diR. 38. l'autorità , ma perlaetaS.nuto.Ordinate intalmodo lecose,egli 743
SI CONDO Tav. 37 av 713 so non che latempesta e l'oscurarsi del sole presentaro
ncincidleimnaginiconediunasantaoperazione: alla nuale poco appresso diè credito
Giulio Proculo coll'offermare ; che Ronolo si era a lui dato a vedere Cr 743.
informa piùaugustadellaconsueta;echeimponeva che per Dio se lo prendessero .
Piacere a'Numi che egli sichiamiVirinoinsulcielo.ContalmezoRoma con quisterebbe
le genti .E'naturadelVerbodiesprimerel'afermazioneelanegazione.E siccome Essere
e non essere esprimono appunto per se stessi l'affer mazione e la negazione; ne
seguita che il verbo Essere preso nuda mente, o preceduto dalla particella
non,è verbo per natura e per ec cellenza. Comunemente la voce essore è nota col
nome di verbo so slantivo, perchè esprime l'esistere, o l'essere di sostanza.
2.Lequalitàche siaffermanoonegano possonoaversidistinte o no,
dall'affermazione,o negazione.Nel primo caso l'affermazione o negazione si
addita col verbo essere,come si è detto:ma nel secon docaso risulta un nuovo
ordine di verbi più composti; appunto per chè in essi è riunita l'affermazione
o negazione colle qualità chesi a f f e r m a n o o n e g a n o : t a l i s o n
o a m a r e , g o d e r e , o d i a r e , p i a n g e r e & c. c h e
significano essere nell'amore, nel gaudio, tra l'odio, o tra 'l pianto. Questo
secondogenere di verbi ha servito incredibilmente a variare e fecondare il
discorso, in somma alla dolcezza della Eloquenza, e del la Poesia. 3. Chi
afferma e nega, o afferma e nega dise stesso,che sichia ma persona prima, o di
altri a cui parla, che si chiama persona se conda, o di soggetto a cui non si
parla,e si chiama persona terza. Per altro questepersone possono essere una, o
più, cioè possono ri guardarsi in singolare o plurale. E 'naturale che tanto
nella nostra q u a n to nella più parte delle lingue s'introducesse l'uso di
finire il verbo diversamente secondo ladiversità dellepersone,e del numero.E
quin di abbiamo amo ami ama,amiamo amate amano. 4. E potendo il discorso
riguardare cose presenti, cose comincia te enon
finite,cosepassate,piùchepassate,efuture;fubenevaria 5. Anzi siccome le
proprietà si affermano o negano assolutamen te, o sottocerti rapporti e
condizioni; cosi li verbidivennero parole terminate diversamente secondo la persona,
il numero , i tempi, e i modi di affermazioni e negazioni assolute o
relative. S. 1. re il verbo secondo la persona,il numero, e i tempi. a
I 6. Questi modisono cinque:Indicativo, Imperativo, Ottativo, Con
giuntivo,ed Infinito.L'indicativo dimostra assolutamente cheuna co sa è, fu,
sard; e perd vien detto ancora assoluto e dimostrativo. Cosi Pietroaña
amòameràlescienze,formetuttedell'Indicativo,dichia. rano che Pietro amo ama ed
amerà, assolutamente, 7. L'Imperativo esprime comando, preghiera,avviso,
consiglio, esor tazione di far qualche cosa, e con una sola voce si vuol
esprimere il c o m a n d o , p r e g h i e r a & c , e l ' a z i o n e c h
e d e v e f a r s i. T a l e s a r e b b e a m a t u , amerai til, ameremo noi
& c. Pertanto si esprime l'azione ed il modo col quale si fa, cioè per
comando, preghiera & c; laddove nell'Indica tivo mancano questi rapporti.
8. L'Ottaliyo esprime desiderio di fare una cosa, giusta i varj tem pi; e per
questo è detto ancora desiderativo, e tale sarebbe: Oh se amassi,ioamerei, Oh
avessi amato,lo avreiamato &c. 9. Il Congiuntivo è così detto perché si
adopera quando si vuo le congiungere il discorso con altre cose precedenti, e
perd siegue le particole sebbene,quantunque,conciossiacosache&c.Tále
èqueldiPetr. Italia mia, benchè il parlar sia indarno & c. E talequel
diBocc.6.7.n.2.perl'amorediDio,comechèilfattosia& c. Tra i Greci l'Ottativo
ha le sue desinenze tutte diverse dal congiun tivo: ma nella lingua latina e
nella nostra l'ottativo adopera le stesse voci del congiuntivo, se ben si
rifletta. 10. Il verbo si dice di modo finito o deterininato finchè si conce
pisceindicativo,imperativo,ottativo,congiuntivo.Ma talvoltaesprime
indeterminatamente qualcheproprietàsenz'additarenepersona,nènu mero,comeamare,
leggere&c,ed allora si chiama di modo infinito cioè indefinito ossia non
determinato. 11. La varia desinenza di un verbo secondo le persone, il nume ro,
i tempi, ed i modi si chiama Conjugazione. Ed i verbi si dicono di una
conjugazione medesima o diversa, secondo che rassomigliano o no nel complesso
di queste desinenze.E siccome queste sidiversi ficano secondo la diversità
dell'infinito; e l'infinito pud terminare in are, in ere lungo e breve, ed in
ire; cosi tre sono le conjugazioni del. la nostra lingua. Tutti gli infinititerminati
in are si dicono della pri ma conjugazione come amare, balzare, danzare: tutti
quelli terminati in ere sichiamano della seconda,o l'infinito sia lungo o
breve, co me temère,cadère,giacère&c,e come credere, discendere,
volgere&c. I latini di queste due desinenze ne faceano due conjugazioni
diver se, come docère e legere. Nè mancato è purtra gl'Italianichi abbia
concepite diverse le conjugazioni secondo l'infinitolungo o breve. Ma siccome,
tolta la pronunzia lunga e breve dell' infinito, non vi sono altri divari,
parlando regolarmente; e siccome la pronunzia concerne
ilmododisignificarloinvoce,non laformadelverbo;cosìpiùra gionevoli
sonoquelliche rinnisconoinuna conjugazionegl'infinitiin ere lunghi o brevi.
Spettano alla terza tutti i verbi terminati in ire, come
sentire,uscire&c. 2 canz. 29 12. Chi si propone per
iscopo di presentare il prospetto de'verbi Italiani dee porre sott'occhio le
varie desinenze di essi giusta i m o di, itempi, il numero, e le persone nelle
varie conjugazioni. E cið ė propriamente che noi cercheremo di eseguire. Per
vedere però più da presso il suggetto, anzi fin dalle origini, ed in tutta
l'ampiezza sua, divideremo quesť opera in due parti:la prima sarà tutta di
Teoria e diProspettogenerale;ed esporremoinessa 1.come leconjugazioni latine
siansi trasformate e sitrasformino nellepresenti d'Italia:2.la di pendenza
comune de'nostri verbi dall'infinito, e 3. per ogni conjuga
zioneilprospettodiqualcheverbocheservadinormain tuttiisi mili e regolari: come
del verbo amare per la prima,de'verbi temere e credere per la seconda, e
de'verbi sentire ed aborrire per la terza. Anteporremo per altro a tutti il
verbo essere come principio di ogni verbo, e quindi il verbo avere che prossimo
gli succede, esprimendo la sostanza, che passa ad ottenere in generale delle
proprietà. E ciò tanto più dee farsi; che senza questi due verbi, però detti
Ausiliari, non possono formarsi le tre conjugazioni divisate degli altri verbi.
D a to cosi principio e norma al prospetto di tutti i verbi regolari; ver remo
alla seconda parte ed esporremo ad uno ad uno per ordine al fabetico i
principali tra'verbi Anomali cioè quelli che in qualche tem po escono dalla
legge consueta, ed i quali servono spesso di regola per altri anomali non
dissimili. 13. Il prospetto sarà distinto in quattro colonne: nella prima si
avranno levoci corrette,nella seconda le antiche,nella terza le poe tiche, e
nella quarta lenon ben certe,gl'idiotismi e gli errori: si avverta che non
tutte le antiche sono affatto dismesse, anzi talvolta usate a tempo adornano la
scrittura: come pur le poetiche non tutte sono così della poesiache non seryano
talora alla prosa. Il che si conosceràdalle note.Glierrorison sempre
errori.Gl'idiotismipoi sono vociusate nel parlare e nello scrivere familiare,
non perd nelle belle scritture,sebbene talvolta vi scorrano per incuria e per
arbitrio degli scrittori che le decidon per buone, o vogliono nobilitarle con
la fama già da essi acquistata. 14. Per compimento dell'opera spesso porremo in
fine del pro spettoil participio ed il gerundio.Il primo é propriamente un nome
tratto dal verbo; dicesi participio perchè partecipa del nome e del ver bo: e
come nome si declina,e come tratto dal verbo esprime un qual che significato di
questo: tali sarebbono amante, amato.Tra’Latini si aveano participj presenti,
passati, futuri amans,amatus, amaturus.Pres. so noi non si hanno che li
presenti, e li passati che sono amante, amato,temente, temuto.Tra’nostri
antichi furono ideati anche i futuri come fatturo,perituro&c,ma non ebbero
buon successo,nè più vi si pensa.Il participio passato sarà descritto per lo
più nella formazione de'tempi più che passati:laddove il participio presente si
troverà nel finede'prospetti.Un talparticipiopuò esseremessoinformadiag giunto
e di attributo come se io dicessi:la virtù possente,e la virtù a2 3
,: ilparticipio si riguarda anzi come adjettivo, che qualparticipio. Per
chè sia participio con ogni proprietà, dee, quando si risolva, signifi care
come i participj latini: come se dicesi canto possente a diletta re: schiere
seguenti le altre & c. E ciò rileva conoscere perchè non di raro si anno
gli esempj anzi di adjettivi che di participi , e noi pur he useremo in
mancanza di participi, tali per ogni rispetto. 4 15. Gerundio tra noi e tra' latini
è una voce tratta dal verbo, la qual significa le affezioni di questo, ma la
quale non si declina come il nome, nel che differisce dal participio: come
amando,credená do,temendo,sentendo.Da'qualiesempjrisultache ilGerundiodelle
prime conjugazioni finisce in ando e delle altre in endo. L'uso di tali gerundi
è frequentissimo nell'italiano in luogo ancora de'partici pj presenti.Ma
veniamo all'argomento, C o m e le Congiugazioni Latine siansi trasformate e si
trasformina nelle Conjugazioni presenti d'Italia. REGOLA PRIMA. Tutte le vocali
latine, finali di parole intere, nè seguite da consonanti, si conservano. Così
in amo amare si conserva l'O di amo, e l'E di amare. REGOLA
SECONDA.Tutteleconsonantifinalisitralascianoomutano:
leconsonantisonoM,S,T,NT,ST.NelcasodiNT sicambiailTin
O,eperònonsilasciacheilTamant amano,amarunt amarono: m a talvolta tutto l'N T
si muta in R O : amassent amassero: sebbe ne in questo e simili casi può sempre
rimanere la regola di mutare il solo T in o dicendosi ancora amassono. Vedi ilprospetto
di amare. REGOLA Terza.Tutti gli U finali seguiti da M o da S si cam
bianoin0:possumposso:amamusamiamo:ma segliUsono segui ti da N T si cambiano in
o nei presenti e nei passati, ma nei fu turi in A N .Così da legunt si trae
leggono, e da amabunt ameranno. REGOLA QUARTA.Tutti gli A ovverogli E
precedenti immedia tamente l'S finale si mutano in I amas ami, times temi: e
cosi da timeas abbiamo tu temi,e da legas tu legghi.Il che basta a conser. vare
la regola,ma ora si dice anche tutema, e tu legga. Tutti gli E,ogl'I
precedentigliA,oppure gliO finali,silascianoaffatto.Timea temo,timeam
icma.Sentio sento:sentiam io senta, 4 è possente: il fuoco bruciante, e
il fuoco è bruciante: ma in tal caso NOZIONI ARCHEOLOGICHE. 1. Non dee sperar
di comprendere il trattato che qui soggiungo se non chi conosce per le gli
altri ne differiscano la lettura. sue regole l'idioma Latino e l'Italiano: 3.
non si $. II. REGOLA QUINTA .Tuttigl'Iprecedenti gliSfinali in
singolare si conservano assumendo nel futuro un A precedente: legis leggi:a m a
bisamerai,edinpluralesimutanoinE: legitisleggele. REGOLA
Sesta.Tuttigl'IseguitidalsoloTfinalesubisconoun cambiamento secondo
itempi.Ne'presentisicambiano inE,ene'fu turiinA
accentatolegiilegge,creditcrede:amabitameră,timebio temerà. Per i preteriti
perfetti ne diremo più innanzi. REGOLASETTIMA.TuttiiB
avantil'afinalenegl'imperfettisi cambianoinV consonante,ed avanti l'O,l'I,o l'U
finaledelfuturo, li B. caratteristichi della conjugazione del tempo si cambiano
in R. Quindi si trae amerò da amabo,ma da belabo si forma belerò senza mutarne
il primo B;perchè questo è proprio del verbo, e non della formazione del
futuro. 2. Queste regole sono ordinarie. Vediamolo. LATINO amatis est amamo
reg.3. e 2, ora amianio sono sono Ed eccone la maniera.Dalle regole 3. e 2. è
chiaro che la prima persona debba essere so e l'ultima sono.Ora dee sapersi che
appunto tra gli antichi si trova non poche volte so per sono in pri ma
persona.B. Jacop.Poes.Spirit.Venez. 1617. lib.4. cant.28. stanz. 12. sei amamus
es еè sumus somo este credit & c. ama reg. 2 credi reg. 2. amas sentit
& c. Amo reg.i. Vedo reg.4. vedireg.4. vede reg. 2. senti reg.2: Amo amat
amant amano reg. 2. Dicasi altrettanto di Video vides videt & c. credo
ITALIANO ami reg. 4. e 2. 3. Applichiamo queste regole al presente del verbo
sostantivo : Sum amate reg. 5. e 2, sente reg.6. credis credo So e finalmente
Sono i 5 se, estis semo siamo sunt sete siete sentio sentis crede reg. 6. sento
reg. 4. lo so nulla: ho peccalo: Mi exalto quantoposso. e cant. 3. st. 2. del
lib, stes. A pinger laer so dato. E GIUSTO de Conti nella bella
mano pag. 39. La seconda persona es fu trasposta e non altro , facendo prece
dere l'S. Quindi gli antichi dicevano comunissimamente se anche senz'apostrofo
per seconda persona: come Petrarca,Boccacci,Albertano,
edaltri:ALBERTAN.ediz.diFir.1610.cap.23.Selegaloamoglie? non domandare di
scioglierti. Se sciolto da moglie? non domandar di legarti.E
piùsotto:esìselenuloditantoamarlamoglie.PETRARC. canz. 26. v. 77.
ediz.Comminiana Spirto beato,quale 6 Se,quando altruifaitale? e altrove
più e più volte. IlDecamerone secondo la ediz.1718. col la data di Asterdam ne
è pieno.Senza questa origine che fa cono scerechesepersecondapersonaèvoce
interaenonaccorciata,non s'intenderebbe, perchè gli antichi spesso non
l'apostrofassero.Tutta viaperdistinguerla a prima vista da se
pronome,econdizionale,con venne in qualche modo contrassegnarla,e si fece uso
dell'apostrofo: e servendo questo a notare le voci scorciate; si riguardo se
persona seconda,come scorciata,quando nonera:eperchè tutteleseconde persone
singolari presenti dell'indicativo terminano inIReg.4.ese guendo le leggi
generali,tal personanelverbo sostantivoavrebbe do vuto essere u n I; così poco
a poco si ricongiunse se ed i in sei, ed ora si crede questa la voce intera di
tal persona.E cid supposto quan do si scrive se per indicarla, si apostrofa,
quasi fosse uno scorciodi Signornonè giovato Mostrarmi cortesia: Tanto so slato
ingrato ! e altrove spessissimo.E GUIDO Guinzelli Rime antic. appresso la bel
la mano ediz. di Firenz. 1715. Come io so avvolto nel Lenace visco; e se ne
hanno esempj ancora nelle letterediS.CATERINA,inFr.Gi. ROLAMO
daSienanel1.Tom.delledeliziedeglieruditiToscani,ed in altri:vedi
vocab.diS.CATER.allavoce essere:ma so trovasipari mente persona del verbo
sapere,nata da sapio sapo sao so:ovvero da scio regola 5. scosso so: la prima
derivazione è di Menagio: a m e piacerebbelaseconda.Ma
torniamoall'intento:siccomesoeravoce ancora del verbo sapere, e siccome il
saper vero è di tanto posteriore all'essere; così per togliere ogni equivoco,
sivolle piuttosto ridurre ilso del verbo essere in sono che lasciarlo
indistinto col so del verbo sa pere. Chi dunque considera che ilprimo verbo
Italiano essere ha la vocesonoperesprimerelaprimasingolaree
laterzaplurale,sappia chequesto è stato un maledi origine, voglio dire è
provenutodalla figliolanza della Italiana dalla lingualatina,in forza delle
leggiuni versali,che per tanta combinazione dicircostanze cooperaronoatras
mutare l'una nell'altra . s e i : n è c h i p r o c e d e c o n t a
l v e d u t a p u ò r i p r e n d e r s i: m a i n o r i g i n e n o n vi era
bisogno, e più che apostrofarsi, avrebbe dovuto accentarsi. sero
eepere.ALBERTAN.Giud.cap.51.Dalsaviouomo eeda temere lo nimico. Or cid fecesi
per distinguere e del verbo,dalla congiunzione e, come pure dal pronomeei
solitoadapostofrarsi,edallacongiunzione e seguitadall'articoloplurale
iliqualiduee iriunitisirendeanopere:ma coltempo,la varietà dell'apostrofe e
dell'accento pote contrassegnare e diversificareabbastanza l’edelverbodagliedi
altrovalore:vediesseren.3. Trovasi ancora fra gli antichi este per è m a
rarissime volte: vedi G r a di di S.GIROLAM .ediz.Fir.1729. in finealla voce
este; finchè preval sero le regole generali anzidette. Da sumus uscirebbe sumo
o somo,e non semo:ma siccome tut te le prime persone plurali dell'indicativo
presente nelle seconde con jugazioni presero la desinenza in emo come
avemo,tememo&c.,cosìda sumus fu tratto semo:ovvero siccome tutte le persone
prime plurali ora pe'rincontri della forma loro anno rapporto con laseconda
per. sona singolare tanto che sono un composto di questa con qualche a g
giunta, come amiamo da ami ed amo,temiamo da temi ed amo & c;e siccome tal
seconda singolare era se nel presente indicativo di essere,
quindineuscisemoepoisiamo.Chi conoscegliantichisaquanto è familiare l'uso di
semo.Ne allego un esempio dalla vitanuova di Dante pag.13. perchè semo noi
venuti a queste donne ? E Fra Jacop. lib.1.sat,5. Uomo pensa di che semo. Di
che fummo,et a che gimo. Vedi ilprospettodelverbo Essere 2.4. In forza delle
regole generali la seconda plurale sarebbe estes. ma
trasponendol'savantil'Ecomenelsingolareperuniformitàmag giore con sono, sei,
siamo; sen'ebbe sele, e questa appunto è la vo cedegliantichi:siconsulti
ilverboesserenot.5.finalmentesiag. giunse un I per dolcezza o per distinguere
tal voce da alcuni so stantivi e sen ebbe siete, che ora è la voce più propria
di questa per sona. Apparisce dunque per quali gradi e per quali mutamenti
siasi formato il presente come ora si usa del verbo essere, La terza persona si
esprime con la voce e, che appunto ri sponde all'estlatino lasciatene le
consonantisecondo la regola 2. ma gli antichi,prima che la lingua si modellasse
in tutto,non di raro dis 7 Preferiti Imperfetti 意 4 Amabam amabas amabat amabamus amabatis amabant Amaya reg.2.7.
amavireg.2.4.7. amava reg.2.7. amavamo reg.7.3. 2. amavate reg.7.5.2. amayano
reg.7. 2. Temeva &c. legebam leggeva e e da sentiebam
lasciatone l’I che è quel di sentio reg. 4. si ha sen leva c o m e era nelle
origini prime,nelle quali, tutto risentiva di conjugazione seconda tra
gl'italiani ne' verbi provenienti dalla quarta de'latini:non è raro che senteva
si oda anche ora tra' contadini più corrotti che sono gli ultimi a correggersi:
e finalmente fu detto sen tiya sentivi & c.lasciando l'E per l'I. 5.
Perqueste regole e questi progressi apparisce che la prima persona
dell'imperfetto doveva terminare in A amava temeva legge va sentiva. Al
presente i Filosofi ed i gramatici si meravigliano,per chè la prima e terza
persona singolare combinino, e perchè la prima non siasi terminata inO. Ma la
meraviglia cessa, seriflettasi che al cambiarsi del latino nell'italiano, si
prendevano di netto ivocaboli an tichi, nè si aveano di mira che certe regole,
come le indicate di so pra,per contornarlidi nuovo.E siccome tutte le prime
singolari degli imperfetti levatane la terminazione latina inM ;restavano amaba
lege ba ec; cosi mutato il B in V non poté farsi a meno d'incorrere nel lo
scoglio anzidetto: molto più che in que'tempi non faceasi poco, se le parole
non sapevano di latino. 6. Veduto come siasi introdotto l'equivoco, ora tocca
ai Filosofi di emendarlo: tanto più che non siamo poi scarsissimi di esempj an
tichi pe'qualisi compionoin o le persone primesingolari dell'inper
fetto:de'quali mi piace allegarne qui alcuniriserbandone altri ailor
verbinelprospetto.Petrar.Vit.dePontef.edImperadori: vitadiCa ligola, lo pregavo
ogni giorno che Tiberio morissi. Così pure leggiamo inFr.
Jacop.1.4.can.38.Lacagiondelmalfuggivo.Cavalc.Epist.di S. Girol. ad Eusloch.
cap. 3. ediz. Rom . 1764. E vedendomi io venir meno quasi ogni rimedio ed esser
privato di ogni ajuto, gittavomi a' piedidiCristo&c....
iratoamemedesimoerigido,solomimet tevo per li diserti, e dove io trovavo più
oscure e aspre e profonde valli, e aspri monti o scogli pungenti o luoghi più
aspri e spinosi; ivi mi ponevo in orazione. Pulci.Morg.c.3.62. lo mi posavo in
queste selve strane. Da Timebam così pure si ebbe C.XI.83. Talch'io
pensavo d'aver acquistato. 8 ec.16.44 Per Dio,cugin,ch'i'sognavo alpresente,
Che un gran lion mi veniva assalire. Onď io gridavo, echiamavo altra gente E
però E con Frusberta il volevo ferire. e altrove più volte. Letter.San.CATER.di
Sien. ediz.di Aldo pag. 14. a tergo. Dicevo: Signor mio io ti priego & c. e
pag. 20. vi aggiunsi anzi che io volevo in voi la perfezione della carità
pag.92. desideravodivedervi:anzitalvoce'desideravosileggemolte
volte inquelle lettere.Vita B. COLOMBIN.ediz. di Roma pag.9.lo gode voévoinonmilasciatestare,epag.96.adirviilveroioandavo
a posarmi;pag.167.0 figliuoli,efratellimiei io non meritavo di es ser padre di
ianla buona gente;pag. 174. E questa la compagnia che
iodalesperavo,epag.299.pensavochequantoèmaggiorelasog gezione e l'unità ; lanto
si vien piuttosto ad aver libertà : Vedi ero n.6. verbo essere:e n.6. avere.
Eram Erant Erate reg. 5. e 2. e quindi Eravate avevano reg.7. 2. Imperocchè ben
è facilissimo concepire, che se cambiavasi in questo tempo in V il B precedente
l'A finale, potevasi cambiare in V pa rimente anche l'altro B:anzi parea
tropporagionevole,perchè non si notassetanto divariodi usiinparole
medesime,esifamiliari.E'poi noto, che tutto il verbo avere si scrivea
ne'principi, e si scrisse a n cor dopo per lunghissimo tempo con l'H precedente:
ed ora per un progresso, non saprei quanto considerato,si tralascia ancora
nelle vo ci,che forse ne abbisognano. 7. Ma giova esaminare ancora come
siansi trasformati gl'imper fettide'verbi ausiliari:Eccolo 9. Si possono da
tutto ciò comprendere le cause de'cambiamenti prodotti nel presente di
habco:seguiamoli via via, che'non sarà inu tilela ricerca Lasciato l'E dihabeo
reg. 4,e le altre consonanti,e cambiatele giusta le altre regole, risulta 9 Era
reg. 2. Eramo ed erale presentano Erano reg. 2. levocicome
sitraevanodallatinoinot. tima forma. Ma il va inserito eramus ed eratis Eras
Era reg. 2. in eravamo,ed eravate negli altri verbi, mentre in suppongono il B
cambiatoinV,come dunquedivainera questa consonante. Tale aggiunta affatto manca
la origine, nè fu, che una intrusione vamo ed eravate è contro per di altri
verbi,che usciva , nato dal sentire le voci consimili isbaglio amayate &c.
Il peggio no in quel modo,come amavamo , non dandosi quell'aggiunta fu che si
anche alle voci era tolse la uniformità tirannodelle lingue, autorizza erano
& c. Nondimeno l'uso, quel ,piùche lesemplicienaturali vamoederavale
essere,n.6.Ma diciamo si trovino pur queste. Vedi que risultasse. Eccone la
maniera fetto di avere, è come Haveva 8. Habebam habebas Habeva habevi era
eramo erate, quantun dell'imper Aveva reg.7. 2. habebamus aveva reg. 7. 2.
habebat habeva habevamo habevate habevano haveva havevamo avevamo reg.7.3.2.
avevate reg. 7. 5. 2. habebatis habebant havevate havevano Erat Eramus Eratis
Eri reg. 4. e 2. Eramo reg.3. e 2.e quindi Eravamo havevi avevireg.7. 4. 2.
b abbemo abbiamo &c. Forseil B fu raddoppiato per compensare la
perdita dell'E nell'ha beo.Sia comunque,abbosi legge ancora in Dante Infer. 25.
E quanto io l'abbo ingrado mentre io viva: E negliAMMAESTRAMENTI degli Antichi
pag.97. certamente abbo provato; e più sotto:ripensola seraa quello che iolo di
abbo detto.E nelle Vite de'SS.PP.ediz.Man.Fir,1731.,nellaVITA DI GIOSAFATTE
ediz.Rom.1734,e nelleNoyelle anticheFir,1572l'usodi abbo èco mune .Abbi è rimaso
nel Congiuntivo.E 'poi noto, che gli Antichi usa vano la seconda singolare
presente dell'Indicativo ancora nel Congiun tivo, come resta tuttora in molti
verbi,Così ami serve in tutti due i tempi alle due seconde persone singolari,e
cosi temi può servire ancora, sebbene ora vi siano dei divarj.Sopravvanza
nell'uso comune abbiamo; e siccome gliAntichi finivanole voci per tali persone
in eino, cosi non vi è dubbio che ne'principj sidicesse abbemo,quantunque negli
scritti forse non si trovi,per la rapidità di altri cambiamenti succeduti. 10.
Certamente l'uso di scambiare tutti iB nell'imperfetto di ha bere,di buon pra
scorse in alcune,o in tutte le voci del presente, e si trasse da Habo Avo habi
ave avemo avete habono avono ave resta tuttora tra'poeti, e fu non meno della
prosa. Vedi questa voce nel prospetto di avere. Avemo é comunissima tra gli
Antichi. Avete rimane per ogni scrittura;le altre tre voci presto furono cam
biate: perchè siccome l'V consonante ha un suono come di vi, o di un i
sibiloso; così specialmente se l'V sia doppio, l'avo,oppure avvo per abbo, fe
sentire nella pronunzia questo I quasi doppio.E quindi è che il B. JACOPONE
lib. 1. satir. 9. scrive Nè ferma fede per esempio ch'aja; Franc.BARBERINI
edizion.Roman.pag.189. Nonveggio ancor chi contento ajail core. E Francesco
SACCHBTTI disse ajolo per lo ajo,cioè per lohu.S'insinud tal cambiamento nella
seconda persona avi,é mutato l'V in I, se ne habet abbi 1 habemus habe
habemo habete abbe avi da Habeo Abbo habes Ch'io n'ajo una si dura e più sotto:
ajo portato in_core & c ,ed altrove più volte:anzi usa aja per
abbia:lib.1.sat.12.3. 10 Illuminato mostromi fore, E ch'aja umilitate nel core.
DÁN.Parad,17. fece huii, e col tempo hai. E questa è la causa, per
la quale ora ci troviamo con hai, seconda persona del presente dell'Indicativo,
senza che volgarmente se ne intenda la origine.Può notarsi però che in forza
della provenienza di hai l’i finale è risultato da un doppio i; e quindi
seguendo le origini, avrebbe dovuto scriversi haj: e ciò sa rebbe
statoopportunissimope' giorninostri,ne'quali vuolsi lasciare an che l'h
precedente. Imperciocchè chiarissimamente si distinguerebbe che aj è del
verbo,senza pericolo alcuno che si confondesse con l'ar ticolo plurale ai. 1.
La mutazione del doppio B in V ed inIdoppio o lungo,al meno quanto al suono,
porto l'altro cambiamento in aggio,aggi, ag giamo,aggia,aggiano: essendonoto
che l'J lungo si cambia spessis simointalmodo:equestaè
lacausaparimente,percuisidiceveg go veggiamo & c. Imperciocchè nelle prime
origini si disse ancora vejo vej veje per vedo vedivede: si consulti il
prospetto di vedere. Quindi 'Imperador Feder.Rim.ant. 114. Rispondimi Signor
ch'altro non chiejo. Da crejo è propriamente quello scorcio, che pur si usd
tra'poeti di cre' per credo, quasi crejo fosse cre io. Vedi il prospetto di
credere. Ant.Pucci nelsuo Centiloquio can.XI.terz.27. scrive: Gli comandò che
giù sedesse al piano. L'ultimo verso assai dimostra, che sie fu detto per
siedi: E siccome inDan.Inf.27.53.sitrovasie'persiede;parchiarocheambedue de
rivino da sejo. Allego un esempio di trajamo: Boc. g.8. n.5. lo vo glio che noi
gli trajamo quelle brache del tutto:da ciò ben apparisce la origine ditraggiamo
&c. 12. Ridotto havi ad hai;dovea sembrare che fosse di netto stato levato
l'V consonante , quando erasi inviscerato nell'j: e cið compa rendo,era facile
di lasciarlo pure nella terza persona have, e formar ne hae come si trova in
Fr. Jacop.,in Guid.Giud.,in ALBERTANO, Di voi,chiaritaspera. Rim .Allac.
408 Ciulo dal Camo Cose da non parlare. anzi avverto, che tra gli Antichi si
trova ancora crejo, chiejo, sejo,
trajamo,dondesonocreggio,chieggio,seggo,lraggiamo&c,enon dalla mutazione
del D inG comesitiene,forsemenopropriamente daiGram matici.Cosi Fr. Jac.lib.5.
c.3.12. secondo che io crejo:e nelleno te vi si legge: crejo,creggio,credo, e
lib.5. can.25. 12. II E vejo li sembjanti Quando ci passo e vejoti. F. Jac.
lib. sat. 3.9. la sera il vei seccato. lib. 6. can. 45. 4. Che vee con vista
acuda disse l'anziano: Sie giù a pena di cento fiorini: E volendo pagare a mano
a mano, E l'anziano a pena di dugento b2 12 e generalmente negli
Antichi.Cost Albertan. al càp. 12. L'avar7
semprehaelemanidistesepertorre...ivil'avaronon haesicura vita.I Grammatici han
creduto,che quell'E sia stato sopraggiunto all'ha per genio della lingua,chenon
amava finirele parolein accento: ma questosarebbevero,quando la parola
originale della terza persona
fosseha,ciòcheèfalso;essendoquestahabet,habe,have.Hae dun que non èche
have,toltone ”v per simiglianza di quanto era ac caduto in hai, ed in hajo. 13.
A questo proposito avverte, che non di raro fra gli Antichi si legge dae,fae,
slae per dà,fa, sta, come leggesi trae, e come hne per ha. Anche gli E di dae,
fae,stae, si credono aggiunti per la ra gione medesima: ma egli è falso
ugualmente; perchè dai ruderi an tichi della lingua può concludersi ta
esistenza degl'infiniti, daire,fai re, staire, come esiste traire. Ora da
quegl' infiniti daire & c. sorge n a
turalissimamentedae,fae,stae,cometrae,cheancorcirimane da trai re:vedi S. III.
di questa Prima Parte sotto il titolo Dipendenza delle
conjugazioniitalianedall'infiniton.2.E quindi puresono levoci dai,
fai,stai,come trai,che altronde sono inesplicabili.A dichiarare quanto dico
sappiasi,che Fr. Jacop. lib.6.c.10.st.20.scrive A chi gli dice villania &
c. Fra duo ladri allo staia. e lib. 4. c. 1o. E che al povero dala.
elib.6.c.43.5. Ch'eglièildaenteetiilricevitore: e lib.7. c.9. II. Staendo
in quest'altura dello mare: Vita S.MariaMad.É cosistaendolapoverettasìperl'amorechegid
ave v a c o n c e l t o d i G e s ù C r i s t o ,si p e r l a d o g l i a ; c o
m i n c i ò a p i a n g e r e . P a r i m e n t e inFr.Guitt.sileggepiùvolte
faiteallapag.36,efaieallapag.54.Enel TESORETTO:ponelemente al beneche
faiteperusaggio:e Franc.BARBE RINOpag.17.Faesseleidiquelpregiodegnare.NeiGRADI
diS.Girolamo allavoceFailenell'indicesidichiara,chel’idifaiteè un aggiunto,e
non più:ma faie,faesse,elevocislaca,daia &c.ne'verbi similipalesano il
contrario:e Traire si legge in Fr. Guit.lett.2. pag.9, ma traers spiega
ugualmente la originedi trae, come fae sorgerebbe ancora da faere, delquale
fece uso Franc. BARBERINO nel verso allegato. Per tanto gli E di dae, fae, stae
non sono aggiunti,come si pensa, m a sono naturali;ed ora non si è cessato diaggiungerli,
ma sono stati tolti. 14. Tornando alle voci hai ed hae, siccome in queste era
perito \'u consonante; così poco a poco si tento,ma non riusci,di farlo pe rire
nelle vociavemo, avete: e non è infrequente di udire aemo, aele; e nel futuro
dell'Indicativo, e negl'imperfetti dell'Ottativo trovasi scritto
arò,arai,arei,aresti'&c.come vedremo.Non prevalendo pero quel
tentativo,siriserbarono le voci avemo,avete,etalvoltaaviamo, aviate,
aggiamo,aggiate. Essendosi creduto, che l’E di hae fosse ag giunto; presto fu
stabilita ha per terza persona; talchè le prime tre fossero ho,hai,ha.La terza
plurale divenne harno;perchè dall'ha bent sifece haveno, haeno,
hano, hanno,ed esistono ancora'esempi di dano,fano & c.per danno e fanno,
voci similissime nella origine,com me è chiaro:vedi S. III. 12. 15. Ma passiamo
ad esaminare come dai perfetti de'verbi latini si traessero quelli presenti
d'Italia. Potrà ciò conoscersi ne'verbi co muni ad ambe le lingue,ma terminati
secondo i metodi di ciascuna: E noi su questi rifletteremo. ILatini
sincopizzavano il perfetto in più voci, togliendone il VI,o ilVe.Per avere dai
perfetti latini lita lianocorrispondente,silasciilVI,oVe intutte
lepersoneperquan to si può senza contradire alle regole generali del s. I.
Quindi nel la persona prima singolare dee lasciarsi ilsolo V , non potendosi to
gliere l'I finale, secondo la regola prima. Si noti, che la terza singo lare
risulterebbe simile ad alcuna voce del presente, e quindi nelle origini si
accentava: ma ora se la voce finisce in A, simuta in O accentato.La prima
plurale sarebbe amamo come nel presente,e quin di I'M si è raddoppiato. Del
resto in Gio. VILLANI nella edizione fatta procurare da Remigio Fiorentino in
Venezia si vede gran quan tità di persone prime plurali dei perfetti,scritte
con un semplice M : come tememo per tememmo.Altrettantosiosserva in Fazzo degli
Uber ti,nel Cavaliere Jacopo SALVIATI Tom . 18. Delizie degli eruditi To scani,
nella Cronica delPitti,ed in altriAntichi;indizioche pertali vie si passava dal
latino all'italiano in questo t e m p o . A n z i Celso C I T T A D I
ninellesueOriginidellaToscanafavellaosservaalcap.6.che iSanesiin tali
personenon davanoasentire che unM ,quasipronunziandoface mo,dicemo &c,ed
eglicon pari ortografia scrisse tali voci.Ma Giro lamo Gigli nel suo
Vocabolario di S. Caterina noto alla lettera M , che a'suoi tempi (vuol dire un
secolo dopo ilCittadini,) quell'uso era perduto. Serbate dunque anche le regole
generali del n .primo, avre di Ama(v)i ama (viisti ama(vit) ama(vi)mus ama(vi)stis
ama (verunt Amai amasti amd amamo amammo amaste amarono 16. Dai Latini si disse
ancora amávere: toltone il ve,si ebbe Vita Lano amare, e perché non si
confondesse con l'Infinito, si muto l'E i n o , e si e b b e a m a r o p e r a
l t r a t e r z a p e r s o n a p l u r a l e . I G r a m m a t i c i h a n
ereduto, che amaro sia precisamente una sincope di amarono, toltone il no.Á me
perd sembra,che amaro siavoce interain sestessa, e provenuta altronde, come ho
dichiarato. E questa è la ragione, per cui amaro può troncarsi ancora,e dirsi
amàr per amaro, laddove le troncature delle troncature non sono consuete,
almeno nella lingua, come ora si trova. 13 mo 17. II P. Bartoli nella sua
Ortografia riguarda come un incan to, che le terze plurali del Perfetto indicativo
scorciate tre volte s e m 14 pre significhinolo stessocon quadrupla
desinenza:amarono,amaron, amaro,amàr.Ma l'incanto,se ben siconsideri, non è che
un caro abbagliodiun animo,chealvederprimosiappaga,stancodellemo lestiedi
riflettere.Imperocchè da amarono sitragge amaron,e qui cesserebbe la
troncatura:ma perchè levato anche l'N ci troviamo da amaron in amaro ,
desinenza ancor buona ; si è creduto, che tal b o n tà risulti in forza di uno
scorcio:laddoveamaro già eralegittima de sinenza in se stessa: e perchè
tale,ammettevasi; non perchè nata da amaron,levatone l'N. A parlar dunque
propriamente si hanno due desinenze,amaro,ed amarono,edognuna ammetteuno
scorcio,ama rono porgendo amaron,ed amaro la voce amar,colvago incidente, che
se da amaron si spicca l'N finale;ci troviamo alladesinenza se conda, la quale
è amaro. E siccome amaro è desinenza intera in sestessa;di qui nasce, che gli
scrittori del buon secolo, ed alcuni ancora del cinquecento, come il DAVANZATI
ne fecero tanto uso: laddove le altre sincopi amar ed amaron sono assai più
rare,spacialmente in prosa. Anzi si noti, che nelle NOVELLE 'ANTICHE la
desinenza in aro è quasi la comune, lad dove l'altra in arono vi è scarsa, e
meno pregiata. 18. Ma proseguiamo l'esame de perfetti:eprima nella terza con
jugazione. Audi(vi audi(ve)runt Audii audisti audi audimmo audirono udiste
udiro. proviene udiro dall'audivere,come amaro dall'amavere.E'poinoto, che
nelle origini della lingua si disse in Italiano anche audire finchè l'au si
chiuse in o,cone nelle voci aurum, tesaurus,dalle quali si trasse oro, tesoro
&c, e se n’ebbe udii, udisti &c.Vedi questo verbo nel prospetto. Debui
debuimus debuerunt Devei , . Pertanto abbiamo da dové doveste udisti
audi(vi)t udi audi(vi)mus u d i m m o audi(vi)stis 19. Riguardo alle seconde
conjugazioni, avanti l'I finale vi è l'U vocale, e non consonante,quindi
regolarmente parlando tutto l'UI o l'UE si muta .in E semplice,avvertendo, che
l'1 finale nella prima persona dee conservarsi secondo i canonigenerali
debuisti Dovei deve, audiro devemmo, deveste, deverono, audi(vi)sti audi(vere)
debuit debuistis debuere doverono dovero. audiste devesti, dovesti devero,
Siccomel'U fu cambiato in E(dovei)gravatodi accento,quindinella terza persona
non potea non dirsi se non dovè seguendo leregole ge Udii udirono dovemmo
nerali, o dovèt, trascurando la regola sulle consonanti finali; e da que.
sto nacque che per istrascico di pronunzia fu detto ancora dovette, come dalla
voce Giudit PETRARC. Trionf.fam . c. 2. v. 119. Non fia Guiditlavedovellaardita,sièfattoGiuditta,ecome
daJosafat,DANTE Infer.10.v.8.Quando daJosafat qui
torneranno,sièprodottoGiosafalte comunemente.Fattosi dovei,dovė,o davèt,fecesi
quindi per coerenza do veltero e dovelti: e cosi questi preteriti ebbero doppia
desinenza: e si disse temci e temetti, teme e temette, temerono e temettero.
20. E' poi tanto vero, che questa è la origine di temetti, tèmel te & c ,
che siccome lo stesso argomento vale per le terze conjuga zioni; così talvolta
si scontra ancor questa desinenza applicata alle medesime. Ond'è che
trovasifuggi,fuggi & c; e nelle Vire de SS.PP.
ediz.Man.tom.1.pag.20.fuggitte,e nellapag.125 salitlepersa li: una
nolle,essendo questi ito,alla casa di una vergine Cristiana o per rubare,o per
altromalfare,salitte con certi ingegni il tetto della casa. Anzi questa ragione
è sì certa che spessissimo le desinenze in ilte come salitle & c.furono
modellate affatto a norma delle altre in elle, cioè di temelle,credette &
c. Quindi è che nel medesimo tom . 1. delleVit.deSS.PP.se inalcuniesemplarisileggefuggitte,inal
tri,sihafuggelte:allapag.101 ediz.citat.vièfuggettiperfuggii: nella 62 ,uscite
per uscì, nella 71 irrigidelle per irrigidi, nella 73 finette per fini, ed
Antonio Pucci versificatore famoso del trecento nel suo Centiloquio al can. 2.
st. 69 ha sentelle per senti; ed Oito impe rador che ciò sentette, e così altre
se ne veggono in altre pagine ed opere.Simileterminazionenon potevaaver
luogonellaprima conjuga zione,perchè l'amavit,secondol'usodi
cavarneilvolgare,cessadove èilsecondo a,dicendosi amo,e non cessanell'I con
farsentire un amavit: il che direttamente gli avrebbe causato la uniformità,
che'mai non ottenne:ora la desinenza in illi ed etti & c.è del tutto
abolita per l e t e r z e c o n j u g a z i o n i: r i m a n e a n c o r a l a
c a d e n z a i n e t t i e d e t t e & c . p e r l e seconde
conjugazioni;ma forse,almenoin piùverbi,è men cara che nelle origini della
lingua, come potrà rilevarsi dal prospetto de' verbi, che soggiungeremo. 21. E
giacchè consideriamoilrapporto fraledesinenze delleter,
zepersonede'preteritidell'indicativo,piacemi dilatare ancor più la serie delle
riflessioni,picciole sì,ma pur necessarie per chi brami co noscere intimamente
la lingua,e suoi movimenti. Ho detto di sopra, che dall'amavit,debuit,audivitsitragge
amò,dove,udi,abolendoin tutto,quel vit finale:ma questa è piuttostola
regola,che ora predo, mina.Del resto quando la linguapendeva incerta sul
fissare le sue desinenze, talvolta tentò rendere queste, tutte simili alla
cadenza del. la primaconjugazione, e tal altra a quella della seconda.E certo
quell'amavit ebbe talorauna desinenza come amao:di che produco un esempio
luminoso di FR.Jacop.lib. 2.can.2. Quando che in prima l'uomo peccdo Si guastò
l'ordin lullo dell'amore: / 15 E questa è la causa, per la
quale oradiciamo amarono, lassaro no, e non amorono, lassorono & c. vuol
dire questa è la causa, per la quale la sillaba antipenultima è un a, e non un
o. Tutte le ter ze plurali nascono nel preterito con aggiungere alla
terzasingolare un rono,o un semplice ro, ne'perfettianomali, o simili aglianoma
li. Così diciamo senti rono,temè rono,crede rono,sparse ro, videro & c.
Pardunquela originalterza personaquellade'contadiniamà,las sà & c. e quindi
sen ebbe ama rono, lassarono, e non amorono, las sorono &c.desinenza che
leggesi in molti Antichi: Così nelle Vite
de'PonteficidiPETRARCAvisileggeandorono,seccorono,esimili or dinariamente.Il
Venturi traduttore di Dionigi di Alicarnasso è pie no di tali cadenze.Forse a
dire amarono,lassarono &c.vi contribui pur la dolcezza per non avere
insieme tre o finali amorono, lasso rono & c. Nel modo poi che il vit era
supplito da un o nella prima con jugazione; lo fi pure nelleseconde e nelle
terze: e quindi sono le voci temeo,credeo,poteo, aprio,finio, udio, e
simili,tanto frequenti ne gli Scrittori. Ora queste desinenze, per le prime
conjugazioni sono spente in tutto: m a nelle altre conjugazioni rimangono
tuttavia per li poeti, e l'uso moderato può riuscire utile non meno che
dilettevole. Chi non bene conosceleprimizie della lingua,meravigliasiche imo di
poteo,lemeo,udio&c.fossero comunissimi.IGrammatici dissero,che l'o finale
si aggiunse per licenza poetica: ma cið non ispiega perchè voci di questoconio
abbiansi frequentissime ne'vecchi prosatori, come nelleStorie dei
Villani,nelDavanzati,ed in altri.Dir finalmente che l’osi accresceva per non
finireinaccento,era un luogo comune,un parlardiabitudine,enullapiù.
Sidovevaavvertire,chequest'ori ceveasi da tutte le conjugazioni nelle terze
persone singolari de'pre 16 Nell'amor proprio tanto l'abbracciao ; Che
n'antepose se al creatore. E la Giustizia tanto s'indignao; Che la spogliò di
tutto suo onore: Ciascheduna virtù l'abbandonao, Gli fu il demonio dato
possessore: Nel tom.12degliScrittor.Ital.delMURATORI trovasi inserita laMemoria
di Messer Lodovico di Buon Conto Monaldesti su la coronazione del P e
trarca:costui,che lavidediperse,cosìscrive:Poi comparve lo Sena tore in mezzo a
muti (molti)cittadini, e portao allo capo soio (suo) na corona di lauro,ese
assettao alla sedia, e poi s'inginocchiaoallo senatore & c. Si vede in
questi esempi, che si accento l a preceden te il vit,e questo vit fu supplito
con un o.Più volteho notato,che presso alcuni contadini appunto ne'dintorni di
Roma dicesi difforme mente amà ,lassà,&c.per amò,lasciò come ora è
laregola:Toccaal filologo accorto di rintracciarne le provenienze:esse non sono
che per lo scorcio naturale,che si faceva della lingua parlata sotto questo cie
lo da'nostri antenati. teriti , e la uniformità medesima avrebbe
fatto conoscere , che era un supplemento del vil, risecato dalle voci
latinecorrispondenti , o pure una proprietàdi cadenza;e con cið sarebbesi
dichiarato perchégliAn tichiusassero temeo,udio,e simili,promiscuamente in ogni
scrittura, senzascrupolodiriprensioni.E'poitantomanifestochequell'O non si
aggiungeva per non finire in accento , che nel Dittamondo si tro va unito anche
alle prime persone della terza conjugazione,leggen dovisi nel 3 lib. cap. 15
udio per udii : 22. Tornando al nostro principio , apparisce dal fin qui detto
che sitento chiudere in tutte le conjugazioni con desinenza simile allaprima:ma
perchè l'uso non eraancora ben fissoe comune, si tento per eguale maniera
terminare tutte le terze singolari d e' prete ritiinE,comeinEfiniscelaterzasingolarenellaseconda
conju gazione.Quindièchetroviamoamoe,teme,finie,esimilicon tan ta abbondanza di
esempj.Faz.Dittam.lib.4 cap.20 23.Lachiusadelle terzepersone
tutteinO,ovverotutteinE,de riyavadallevoci corrispondenti latine,finite tutte
in un modoamavil, timuit,audivit.Era
difficileabbandonareognisomiglianzanell'italiano, с 17 Passato poi
Suasina , io udio & c. e cap. 16 Secondo ch'io udio , e'l nome prese e cosi
nel lib. 4 cap. 4 vi si legge sentiu per io sentii, e nella Vin
LadiGiosaf.pag.31 uno essemplo tidicochel'udiodirea unomol to savio uomo :e
pag. 34 lo ritornerò nella mia casa onde io uscio. Novell.ANTIC. Firenz.1572
novel. 20 lo poi che mi partio,abbo avuto moglie efigliuoli. Etic.di Arist.
compend. da Ser BRUNET.ediz. Lion.1568 pag.100quandoioudioleloroparole,nonmidolea&c.
Gli o dunque di udio ,finio , lemeo & c. in terza persona , non sono
licenze di poeti,non aggiunteper iscansare gliaccenti,ma regole o modi di
terminazione , e risultati di una lingua , che in altra si trasmutava,come or
ora meglio dichiareremo. Che amoe si;che'lsipuò dir percerto. e cap. 20. Che
rifutoe l'onor di tanta manna . V i t . d e S S . P P . T o m . 1. p a g . 2 i
n c i a m p o e i n u n a p i e t r a , e f e c e a l c u no strepito: pag.10
con molte lagrime cantoe salmi, e pag.6 ľani male si levoe a corsa, e
fuggie:pag. 43 per la sele l'uno morie,e pag.47 udie una voce che gli disse
& c.'Or questa uniformità fa vede re,come dianzi ho pur detto,una proprietà
di cadenza nelle terze persone singolari del preterito in su le origini della
lingua, e quin di è che se ne abbiatanta copia ancora ne'prosatori;e tanto èlun
gi che l'E si aggiungesse perevitare l'accento,che ci è facile tro yare temè,ma
non temee;se non forse per la rima.Cosl Dante dis sePurg.3212 senzalavistaalquantoessermifee
permife,voce interain sestessa,come vedremo nella seconda parte al num.6 del
verbo Fare . dopo che le altre persone omologhe del preterito si
erano concordate nella desinenza.Così tutte le prime escono in I,amai,
temei,udii, tuttelesecondeinsti,amasti,temesti,udisti:e tuttelepluralihan pari
concordia di finale. Or come poteasi tralasciare quesť armonia nelle sole terze
del singolare? Questa è la origine vera degli O e d e gli E che si
aggiungevano, e non le sognate fra le minuzie di una grammatica, che
inaridisce. Col progressodel tempo sivolle trascurare
quellaparitàdicadenza,elevocisichiuseroin0,in E,inI,ac centandole finalmente,
sebbene quellechiuse in O si trovino spesso tra gli Antichi senz'accento
comeinFazio degliUBERTI,enelle No VELLE ANTICHE.Ed oranoi,lucidiesseridi
unsecolointelligente,go diamo su la idea dolcissima di una lingua perfezionata.
M a i gravis simiAntichi,colle mire ch'essi aveano,questi Antichi io dico,
risor gendo,ne sarebbero in tutto persuasi? 24. E cid su le terze persone
singolari de'preteriti: ora torniamo al verbo temere o dovere, dalle
considerazioni del quale siamo qui per venuti. Si noti che doverono e temerono
ammettono le tre solite scor ciature Lemeron,temero,temer,come
amaron,amaro,amàr,perchè da lemeron ci troviamo all'altra desinenza intera
temèro prodotta da ti muere,come
dovèrodadebuere:laddovedovellerononsopportacheuna scorciatura appena,potendosi
faredovetter,ma non proceder più oltre; perchè le nuove scorciature non ci
fanno casualmente trovare in altra desinenza compiuta in se stessa.Tanto è vero
quelloche siadditonel 3. 17. 25. E'certo che ne'perfetti delle seconde
conjugazioni italianeso no le irregolarità più grandi: ma non ho veduto che
altri notasse in esse un incontro curioso: cioè la irregolarità non concerne
mai se non la prima persona singolare,e le dueterze singolare e plurale,mentre
tutte le altre persone si trovan sempre comela regola chiederebbe. Cosi nel
preterito rompere abbiamo ruppi, ruppe, ruppero anomale; e le altrevocisono
rompesti,rompemmo,rompeste,come vorrebbe la indo le di un perfetto italiano
regolare rompei , rompè & c. Tal cosa è so vente osservata e confermata con
esempj nel prospetto. E m m i più vol. te nato il prurito d'indovinare onde sia
talearcano di lingua. A me ne sembra la origine dall'avere le terze persone
plurali una seconda desinenza derivatadal latino,per esempio rupere
ond'èruppero,enon daruperuntond'èrupperono,oromperonoBo'i reg.2,chepursitro ya
negli Antichi: vedi ilprospetto di questo verbo. Romperono ha l'ac cento,che
riposa in su l’E: e quindila terza singolare non può es. sereche
rompe,elaprimarompei;laddoverupperohal'accentonell'U, restandobrevelaE.Quindi
perleggedicorrispondenzalaterzasin golaredee tenere l'accento anch'essa nella
vocaleprecedente, e non nella finale; altrettanto dee succedere nella prima
singolare: e p e r ciddeemancarel'E diEInelladesinenza,giacchèl'E diEIintutte
leconjugazionisecondeègravatodiaccento;efinalmentedee cavar
seneruppi,ruppe,ruppero.Ma rompesti,rompeste,rompemmo non pos. 18
già 26.Ma diciamoqualchecosade'perfettide'verbiausiliari.Nascono
fuit fusti fosti C2 sono non avere l'accento sull'E in forza
dellaformazione loro,essen do in esse la E seguitata dalla doppia consonante S
T , M M . Quindi non possono non esser tali come romperono , quantunque poco o
nulla usate, come avviene in molti se provenissero da rompei, rompe, verbi
irregolari. E per cið l'anomalia de'preteriti non può concer nere se non la
prima singolare , e le due terze persone singolare e plurale de'perfetti.
Questo discorso vale eziandio ne'verbi ano mali di terza conjugazione ; dicendo
dell'I quanto si è detto dell'E. Potremo da ciðtantomeglio
persuadersi,cheamaro,temero,&c. sono desinenze piene in se stesse , e non
sincopi di amarono merono & c. fuisti Fui da Fui fuistis fuerunt fuere
fummo fuste foste furono 19 fuimus furo Questo tempo somiglia in tutto al
preterito debui o timui della se conda conjugazione latina,alla quale
appartiene ilverbo esse,o pure essere secondo che leggesi in Plauto. Pure esso
nelle persone non ha subito la legge di mutare l'UI:ma ciò non è stato senza
una ragio ne: Imperocchè dando luogo a tal mutazione, sarebbe risultato
fei, fe sti,fe & c, e questo è il preterito appunto del verbo fare:
purtroppo si osservano tra gli Antichi talvolta le voci del preterito del verbo
sostantivo piegate in quelle del verbo fare: Cosi Fazio degli UBERTI
nelsuoDitcam.1.4c.8 dissefoperfu.Perildiluviochefositene
broso:Filip.Vil,nelprologo allesueStorie:con lostilechealuifopos sibile:e
Faz.nelDitlam.lib.3cap.22 infinescrivefonno perfurono,e
Fr.Guitt.let.12,scrivefoe per fu:eFra Jacop.1.2can.172 scrive fom per fummo.Per
nonconfondere dunque una cosa con lealtre,non doveasi praticarela legge
anzidetta: nei tempi debui,debuisti periva in. tuttele personel'UI,eccettol'Ifinalenellaprima
perfareil cambiamen toindicato.Infuisti,fuimus&c.sièritenuto
l'U,edèperitol'I:edin fuerunt è peritol'E. Si noti cheil fuit dagli Antichi si
rendeva,e nesonopieniilibri,perfue.IGrammaticihancredutol'Edifue come una
giunta per non terminare quell'E non è che la E nella quale dovea mutarsi l'UI,
supplita in questo luogo per dare alla terza singolare del perfetto la
desinenza in E,comune a tutte le persone simili di altri verbi di questa con
jugazione, dicendosi lemè, iemelte, crede, ruppe & c. Tanto siam dunque
lontani che l'e di fue siasi una giunta, che anzi era lettera distinti va della
persona, ed una conseguenza dellamutazione, che aveasi a faredelUI
inE,comepiùsipoteva.Equandosparìquell'E,sitol fue fu in accento la semplicefu:mą
serealmente,non si cesso di aggiungerla.Ed ora ci rimane il sem plice fu,
voce cheesce affatto da ogni regola di terminazione. da Habui E le voci avesti,
aveste, avemmo sono comunissime: delle altre avei, avè, averono, se pur furono
in uso, non ho presente nemmeno un e s e m pio;e solamente mi ricordo che in
Fr. Jacop.si legge avi per ebbi, ed avvero per ebbero. Di buon ora s'introdusse
la irregolarità, la qua le concerne, come ho detto, la sola prima singolare, e
le due terze singolare e plurale, e si fece ebbi, ebbe, ebbero; presa la
occasione c o m e s'intende pel S. 17 dal habuere: perché se ne dovea cavare ha
. bero,con lapenultima breve,donde ne seguitava habe per terza sin golare, ed
habi per prima; e somigliando queste due voci ad altre d e l l ' a n t i c o p
r e s e n t e a b b o , a b b i & c , n o n p o t è n o n c a m b i a r s i
l ’ A in E , condirsiebi,ebe,ebero,ebbi,ebbe ebbero.IPoetitalvoltaco me
PETRARCA Trionfo Fam.cap. : ora investighiamo, come da’pre teriti più che
perfetti latini ne derivassero gl'italiani, che tanto sem brano differenti. E
certamente i Latini esprimevano col tempo la qua lità che si affermava, ossia
la cosa che siera fatta: e tali erano a m a yeram,fueram,habueram.Ma
negliitaliani sidecomposero gliattri buti, e si disse io aveva amato,io aveva
avuto,io era stato.Possiamo però conoscere che tra'Latini medesimi si aveano i
semi di simili riso. luzioni. Cosi Cic. nel 15 Fam . 20 disse , quantum ex tuis
litteris h a beo cognitum per cognovi:od in Verr.7 63 hodie sic homines ha bent
persuasum:cosìnel 4 Ac. comprehensum animo habere atque perceptum; ed altrove
assai volte. Pertanto nel passare da'preteriti
piùcheperfettilatiniagliitaliani,nonsifeceche ampliareciocchè giàsi usavadai
Latinimedesimi.Abbiamopiù voltenotato,che 20 per la rima scrivo. no ebe
con un b solo:qualche Antico ciò praticava quasi per abitu dine, come può
vedersi nel Dittamondo di Fazio degli UBERTI l'uso finalmente ha stabilito ebbi
, ebbe : ma ,ebbero:vociche varianonel principio e nel fine come appunto i
preteriti greci. 28.Ma bastisu'preteritisemplici avesti ayè avemmo aveste
averono avero. 27.Seguendo le leggi descritte dovea nascere ancora Habuisti
Habuit Habuimus Habuistis Habuerunt Habuere I Ayei v.92, li che incominciano ad
imparare il latino quel lo scordano,facilmente ,o che per disusoin parte
esprimono le azioni trapassate col verbo habe re,e col participiopassato
latino. va linguagl'Italiani erano Or siccome nelle originidella in rispetto
della lingua latina nuo puntochiprincipiaadapprenderla come ap , o chi per
disuso l'ha quasi di
menticata;cosìl'analogiaelavogliadiesprimersiinqualche modo
gl'indusseadecomporre,edireioavevaamato,io avevaavuto.&c; lasciando in
amalus ed habitus gli S finali, e mutando gli U in 0 secondoleleggidelş
ireg:2e3,dallequaliappuntorisultaamalo ed ayuto con i cambiamenti suggeriti
appresso dall'uso. 29. Quanto al verbo essere:il più che perfetto latino è fu
-eram , fu-eras,fu-erat&c:talivocisonocompostedi eram,eras,erat,e fuo fuit:
quasi dicasi io erafu:tu eri fu &c.Seguendo pertanto l'indole del tempo
aveasi ad indicare tal nozione che spontanea si presenta: cioè dovevasi
indicare che questo era spettante alfueram; non era indeterminato,e pendente
come chiamano i Grammaticil'imperfetto, ma era piuttosto di un tempo definito e
certo.E'noto che i Latini appuntocon la voce status, stata, statum upita al
giorno o tempo accennavano i giorni e tempi definiti. Cic.Offic. : 37 status
diessit cum hoste:o comePliniodissestatotempore.Quindiin tempo che la lingua
degenerava o si decomponeva si disse io era stato,cioè in
tempogiàfisso,giàpassato,e non pendente:tueristalo,cioèintempo f i s s o &
c, e g l i e r a s t a t o & c . L a v o c e s t a t o f u d u n q u e c o
m e u n a g i u n ta o segnodi cosa passata,e non altro:ed in seguito si
aggiunse a tutti itempi,che lo richiedevano nel verbo essere.I Grammatici han
creduto, che stato sia il participio del verbo stare applicato al verbo essere.
M a non dee presumersi che la formazione del verbo stare pre ceda quella di
essere, che èil primo de’verbi,e verbo per essenza: edaggiungo che sto,stas
tra'Latini,da'quali derivava in gran parte la lingua,se non è privo
diparticipio, certamente ne somministrava un uso ben raro, come può intendersi,
consultando il Forcellini sul verbo sto sta.Per taliriflessièda
concepire,cheilverbo esserenon abbia participio se non quello dedotto da
stalus, stala & c. usato in principio come segno e non più, di cose
precedenti e consumate. 30. E da ciònacque, che a poco a poco si tentò creare
un par ticipio proprio di essere,facendosi essuto,issulo, o suto. Quindi A l
BERTAN.Giud.cap.44pag.100 ediz.Fir.1610maggioronoreglisareb be essuto s'egli se
ne fosse rimaso. AmmAESTRAM . degli Antic.pag.93 Nella Grecia la Filosofia non
sarebbe stata in tanto onore s'ellanon fosse essuta invigorita per contenzione.
Collaz. Ab. Isac. pag. 59 E se l'uomo avesseconosciuto lasua infermilate
nelprincipio e avessela veduta ; non sarebbe essuto negligente. Questo
participio pareva il più naturale: pur si disse anche issuto; ma più di raro:
AMMAESTRAM.de gli Antic. pag. 303 la nuora il seguente di che è issuta menata,
di. manda &c.Ma più di tutti fu in uso ilparticipio sutopiùanalogo a
sono,sei &c,e molti nesonogliesempj in Boccaccio,nelle Croniche diLionardo
MORELLI,nelMorgante delPulci,nell'ARIOSTO,edinaltri: ne allego un solo tratto
da' FIORETTI di S. Francesco cap. 38 a.me si è suto rivelato che tu & c. A
fronte di tali sforzi non irragionevoli lavocestato,laqualenonera che
unsegno,divenneilparticipio legittimo, esclusone ogni altro, 21 Ed
eccone gli esempj.Fra JACOP. Poes, Spirit.lib.1satir.i averanno reg.2, 3,7
perchè se nell'habebo si cambiavano i due B in Vrisultava havevo e quindi
havevi,haveva &c.come nell'imperfetto:nonvolendosi dun que ritenere il
secondo B, fu necessità cambiarlo in altra consonante, e fu questa la R , e se
n'ebbe averò, averai, averà & c. in forza delle
regolegeneralicitate:mapresto sitolseanchel'Eintermedio,esi fece Ayrd Avremo
ayrai 22 Sempre serai in tenebria Ditlamon.lib.icap,25 eris erit erimus
eritis erunt avrete ayrà avranno serai sera seremo Serete seranno. LATINO
habebis AveròS.Ireg.7 31. Venendo ai futuri dirò prima come derivassero quelli
de’ver bi ausiliari. Nel verbo essere è il futuro Ben serai crudo se gli occhi
non bagni. FBA Guit, let. 3_pag. 13,e anche sera di molti. Dittamon. 1.2 c.31
L'ITALIANO nelle origini Sero Le cose quivi ne seran più conte. Novell,ANTIC,99
serannoquestelenovellecheioporterò.Chileg.
gegliAntichitrovaquesteésimilivocinon infrequenti.Manifesta mente dunque
derivano dalle latine con la giunta di un S in prin cipio per uniformarle con
sono, sei, siamo & c. Del resto eris,erit, giusta le regole, danno erai,
erà,S. 1, e quindi serai, serà. Presso al cuni popoli ancora si ode ladesinenza
serimo, serile, che presto fu ridotta in seremo, serețe & c. Al presente si
trova cangiato anche il pri mo E,dicendosisarò,sarai.Questo cambiamento
è1'usuale,ma non forse il migliore, secondo le regole. Vedi il verbo essere n.
13. Q u a n to al futuro di avere era il habebit averaiS.Ireg.5,e7 averemo
reg.2, 3 habebitis LATINO Ero Habebo habebimus avera S. i reg 6, 7 averete reg.
2,5, 7 habebunt L'ITALIA NO e talvolta a simiglianza delle
mutazioni occorse nel presente si tolse anche l'V,esen'ebbe Aremo arai arete
arà E stabilita una volta la cadenza de'futuri ne’primi verbiessereed avere
inserò, sarò,arò per continuadiscendenza dallatino;qualmeravi. glia che
siestendesseposcia ai futuri di ogni verbo, esi dicesse
amar),amerò,temerò&c. 32. Può nondimeno assegnarsi altra origine dei nostri
futuri, sem-" plice al paro che universale. Nel nascere della lingua si
scrisse raggioper amarò,faraggio perfaròcomeleggonelB.Jacop.lib.2c.15, elio
faraggio questaconvenenza:ediceraggioperdiròcome lostesso autore scriye lib.
2.c. 25 or m 'udite in cortesia Però crudele,villano,e nemico
Sarabbo,amor,sempre ver te se vale &c. In alcuni villaggi d'intorno a Roma
si ode anch'oggi la desinenza in ajo, come farajo, amerajo & c. A ben
riflettervi tali voci non senoncheamar-aggio,dicer-aggio,far-aggio &c:vuoldireaggioa
fare,aggio a dire,aggio adamare:formole intutto del futuro:per chè colui,il
quale ha afare, non ha fatto, nè fa, ma riserbasia fare: cioè dichiara l'azione
sua come futura. E perché in luogo di aggio si disse ancora ajo; quindi è che
si hanno pur le cadenze amerajo , farajo&c.Ma
siccomeinprogressoabbo,aggio,ajodegenerarononelle più semplici ho, hai, ha,
avemo, ayete, e per sincope aemo, aele, han no;cosìda
ultimosifeceaver-ho,aver-hai,aver-ha,enelpluraleaver emo,aver-ele, lasciato l'a
del dittongo in aemo, ed aete, e finalmente
aver-hanno:edepostol'hoziosonelmezzo ditalicomposizioni,sieb be
aver-o,aver-ai&c.Ma perchèho,ha,come monosillabe han suono tutto raccolto
in esse,e grave come per accento; quindi è che poco
apocosimiseancorl'accentonelleprimee terzesingolari,dicendo si averò, averà
& c. Pari è la origine di serò, serai, serà & c.voci del futuro del
verbo sostantivo, quali usarono da principio per sarò, sarai, sarà & c.
Risultavano dall'infinito essere,troncatene le due prime let tereES,come
insono,sei&c,tantocheseneavessesere,equindi aranno, come si scorge
ne'libri degli Antichi: Così Lell. 5 tra quelle del B. GIOVANNI delle Celle:
solo tanto l'arò a immutare, e nella letter. XI a Guido, arai Dio teco, e più
sotto, dove arai a stare in eterno , e lett. 13, che mai non arannofine. FR.
JACOP. lib. 2. cant. 3 pianto harete é dolore: tali yoci si hanno pure ne'
GRADI di S. Girolamo nell'Eneida di Annibal Ca'Ro , e nel Cavalca, e
comunissimamente nell'Orlando del BERNI. Diceraggiovi via via. FraGuit.ediz.Rom.1745lett,3
lamoremioparteraggio,elett.16 folle acquisto far mi guarderaggio: e tal volta
ne'scuri principj della lingua s'incontra la desinenzain abbo,farabbo,amerabbo
& c.per il futuro. GUITTON. d'Arez.Son. ame 23 Ard sono ser-ho,
ser-lai, ser-ha, ser-emo, ser-ete, ser-hanno:e finalmente sarò, sa
rai,sarà&c.Siapplichi lateoriadichiarataancheaglialtriverbi, ed avremo
amar-ò,amar-ai,amar-à,amar-emo,amar-ele,amai-anno, comesidisse
originalmente:leLetteredi $.Caterina di Siena ediz. di Aldo son piene di questa
desinenza,ed ilVarchi,egregio maestro di lingua,ne fa uso ben grande nelle
opere sue.Ora l'A precedente l'R fina. lesicambia inE,non sapreiperqual
vezzoirragionevole(vediama re nel futuro del prospetto:) e siè prodotto
amer-ò,amer-ai,amer-à, amer-emo &c. Dicasi cid proporzionatamente di
temerò,temer-ai,sentir-ò,sentir-ai & c. 33. Si noti, che la terza singolare
del presente di avere era have, hae,ha.Spessoinluogodiadoperarehanelcomporre
ilfuturo,fu adoperata la voce hae,con dire aver-lae, aver-ae, amer-hae , amer
-ae , far-hae,far-ae.Questadesinenzaèfrequentissimain alcuniantichi Scrittori.I
nostriGrammatici han creduto che l'Ediaverae,farae &c. fosse un aggiunta,
per genio della lingua, che non soffriva di termi nareinaccento:ma
essanonèchelaE dihave,hae;etantoèlun gichefosseun'aggiunta,che anzidicendosiora
averà,amerà,non già si è cessato di aggiungerla,ma si è tolta propriamente laE
spet tante all'have,hae.Siapplichi quanto ho detto alla desinenzaameroe per
amerò lemeroe,per temerò & c. E'difficile trovar parola italiana terminata
in anno,la quale si scorci,eccetto le terze persone hanno,danno,fanno,
stanno,vanno , formate tutte a simiglianza di hanno. Quindi le terze plurali
avran no, ameranno &c.non si dovrebbero troncare;ma perchèson esseun composto
di aver-hanno,amar-hanno;cosi queste voci non han po tuto perdere lo
scorciamento particolare di hanno, e degli altri dan no,fanno & c. foggiati
a simiglianza di esso, come si vedrà nel trat tare partitamente de'verbi.Anzi
aggiungo,che hanno,fanno, slan no &c.intanto si scorciano perchè nelle
origini si diceva fano,stano, e così forse hano:voci idonee tutte agli
scorci,restando han, fan, dan:e siccome pur queste sirinvengono mozzando
hanno,fanno&c, perciò sono ricevute. Chi volesse notomizzare più sottilmente
questa materia, potrebbe trovareforseletraccedelfuturo delpresentenelfuturo del
congiuntivo. Cosilasciatodaamavero,celavero&c.ilvepersimiglianza di quan to
si pratico nel fissare la derivazione dei preteriti, si avrebbe ed accentandoli
celaro 24 54. Riguardando a tal seconda spiegazione,i nostri futuri non
sa rebbero quei de'Latini trasmutati:ma solo deriverebbero quanto ne derivano
gl'infiniti de'verbi,ed il presente del verbo ave re, che ne sono gli elementi
componenti. dal latino da Ama(ve)ro cela(ve)ro amaro & c. 55. Quanto
agl'imperativi ognun vede che l'amato , il timelo, il
legito,el'auditode'Latini,altrononèche l'amatu,temitu,leggi Amaro
lu,odi lu degl'Italiani.Le altre voci italiane sono pur le latine tra
dotte:ma perchèquestesono lestessedei presenti,partedelcongiuntivo, eparte
dell'indicativo,overo del futuro dell'indicativo;cosìnon bi sogna se non
investigare come que'tempi si diramino dal latino,cioc chè si è fatto, e si
farà tuttavia. 36. Eccomi pertanto ad esaminare il congiuntivo de'Latini,dal
quale hanno origine tutte le voci del nostro ottativo e congiuntivo. Ames Amet
Amemus Ametis Ament Nelle voci amemus, ametis l’E si volge in IA, perchè nel
tradurle si riguardanotalivocicomedipendenti dallasecondasingolareconlagiun t a
d i a m o o d i a t e , a m i - a m o , a m i -a l e . D e l r e s t o s e b b
e n e l ’ E f i n a l e avanti la S dovea mutarsi in I; e la E di amem o di
amet dovea secondo leregole conservarsi; pure ne'principj non erano questi
limiti ab bastanza riconosciuti: e diceasi promiscuamente io ame,tu ame, que
gliame:desinenza era questa originale,perchè meno distante dalla latina,
taciutene le consonanti in fine, e resta tuttavia tra’Poeti, spe cialmente per
la rima:nondimeno si crede che questa sia termina zione di licenza , e non
primitiva e spontanea. Tale è ilprogresso delle cose,c h e dimentichiamo gli
usi più naturali, sostituendone altri men proprj ,che poscia il tempo
caratterizza come legittimi!Vedi amare num. 14. Nelle altre conjugazioni,
lasciate o mutate le consonanti finali se condo le regole S. 1 , e lasciato
l'E, o l'I precedente l’A finale, S. I reg.4,risulta dal LATINO Timeas Timeat
Timeamus Timeatis Timeant Tema Temi, e poi tema Tema Temiamo Temiate
Creda d 25 1 Timeam ITALIANO Ame,ed ora ami L'ITALIANO LATINO Amem Credam
Temano Credi, e poi creda Creda Crediamo Crediate Credano Credas Credat
Credamus Credatis Credant Ami Reg. 4 e 2 Ame,ed ora ami Amiamo Amiate
Amino. E ne verbi ausiliari. Nel qual mutamento l'EdiHabeam &
c.èdivenuta per eccezione o dolcez. za un I, ed ilB siè raddoppiato, osservate
ancora le regole generali. Quanto alsim,sis,sit,simus,sitis,sint,siccomeilverbo
essereèdi seconda conjugazione, e tutte le seconde conjugazioni anno il presen
te del congiuntivo terminato in A nel singolare, almeno nella prima
eterzapersona;quindièchesifeceiosia,tusia,o sii,quegli sia, noi siamo, siate,
siano. 37. Ma perchè nelle origini della lingua non era ben decisa la
terminazione, con cui chiudere levocidel presente nel congiunti vo, si tento
talvolta, o si dubito modificarle in tutte le conjugazioni, come nella prima. E
siccome la prima era terminata in io ame ovvero 38. Così pure essendosi
terminata la prima conjugazione in I nel presente del congiuntivo,siterminarono
talvoltain Ipurlevoci delle altre: e si trova abbi per abbia, giunghi per
giunga, vadi per vada &c,in
terzapersona:Lett.S.Cat.pag.31.Deh!nonsirendipiù il cuor nostro ambiguo,cieco,
e negligente.E quindi è che tra'Cin quecentisti generalmente le terze plurali
abbiano,temano,leggano fu Abbia Habeam 26 tu ame Ilabeas Habeat Habeamus
Habeatis Habeant Abbi ed abbia Abbia Abbiamo Abbiate Abbiano io ami quegli ame
quindi èche si quegli ami; trovano anche i verbi di altreconjugazioni figurati.
Così AB.Isac. Collaz.cap.2. cosi con scrive,abbie preziosa operazione: e cap.
12 abbie paura della superbia, ed ALBERTANO Giudice l'uno de Scrittori più
antichi assegnato all' anno 1260 in circa, scrive vece diabbia al principio del
cap. in 6 tu abbie: e si dice abbie cari tade e fa ciò che tu vuoi, e cap.9 dci
render lo beneficio all'amico con usura se puoi:e se no; abbie spesso lo
beneficio a te dato memoria: e cosi nel cap. 3 usa in pieper diche per dichi,
enel 5 in finesap sappi: e nel cap. 9 sie per sia. Sie largo di dar mangiare
Tuoi conti ecari amici,e nel alli cap• 38 de'tuoi beni e dello stato che Dio
l'ha dato ţi stie contento.Tali formole parrebbono a chi non guarda alle
origini, tutte licenziose, laddove ri naturali,quando erano modi primitivi e la
lingua pendeva ancora indecisa circa la desinen za.Ora eccettosie efie,le quali
pur vogliono gran parsimonia piùnon siuserebbono talivoci.Vediesserenot.17. ,
avverto che tali voci abbie Del resto io non all'imperativo ,sie&c.spettano
alcongiuntivo come . tu ami r o n o a b b i n o , t e m i n o , l e
g g h i n o & c ., c h e p o i l ' u s o r a g i o n e v o l m e n t e 27
ha ri pudiate, perchè rimanesse un divario tra le cadenze , onde riconoscer ne
le conjugazioni. ec.1491. Are ( avrebbe ) quelcolpo gillatigiù mille. E qual
sare'colei che nol facessi? In questo esempio il primo sare sta per sarei, e
l'altro per sarebbe . Eguali manieresiscontranoancora,ma più rare
assai,nell'Orlanda del BERNI:così nel c.5.16 39. Quanto all'imperfetto
amarem ,amares,amaret; taciutene le consonanti finali risultava amare , voce
non distinta dall'infinito: si aggiunse per cið un I finale, e si fece amerei:e
siccome il per fetto dell'indicativo termina in I, dicendosi amai, temei,
sentii, e da questa si ebbe per seconda persona amasti, temesli, sentisti; cosi
fu con progresso consimile terminata la seconda di questo tempo, dicen
dosiameresti,temeresti,sentirestiaggiunto un TI ad amares,timeres, sentires,il
quale in origine non era che un lu, e perciò trovasi tal volta ameres-tu,
vederes-tu per amaresti, vederesti &c.Cosi PASSAVAN ti nel suoSpecchio di
Penitenza pag.107.Avrestuoffeso intaleolal
cosa?&c.Laterzaamaret,gittatoilT,divenneamare nuovamente, e per
distinguerla si fece amerie,ovvero ameria per essere ne' prin cipii non ben
precisa la vocale distintiva da aggiungersi. Quindi in FRA Jacop.lib.4
cantic.30 silegge fariemiconsumare,permifaria consumare;e nellib.5can.27 si ha
vorrielo perlo vorria,eDan.Par. 29: 49 usa giungeriesi per sigiungeria. Nel
Morgante del Pulci s’in contra un uso speciale, ma certo molto analogo a dimostrare
la ori gine di questa persona.Egli più volte in vece di modificare diver
samente la voce, o desinenza amare, aggiunge un apostrofe ,e scrive
amere',sare',potre'perameria,saria,potria.Vedi c.12,13,c.13, 13 e 38. E son qui
per provarquelchel'hodetto. 'Amaremus diede ameremo mutatol'us in mo secondo le
regole generali: ma perchè ameremo è pur del futuro , si aggiunse un'M ,
facendosiameremmo:amaretisdiedeamereste,come daamarespro viene ameresti; o come
da amasti proviene amaste. amerieno da amerie; ovvero mutato il T di amarent in
secondo le regole,siccomerisultaamereno;cosi coll'inserirviun'I,sen'ebbe
amerieno.Amerie,ovveroameria,ecostamerienosonodunque desi nenze originali:e
questa è laragione, per cui ne'Prosatori antichi, come ne'Poeti, si trova tante
volte la cadenza inieno,amarieno,te merieno,farieno: la quale ora è mutata in
iano , ameriano , temeria AO & c.da ameria, cemeria, che prevalse sopra di
amerie, temerie E disse sare'io,ch'era pursaggia, Che a cosi degno amante non
piacessi, Purchè mai tempo e luogo accaggia; Ancormi dare il cord'uscirne
nello, ipo d2 chissimo usate fin da principio.I Poeti,sovrani
conoscitoridella dol cezza degl'idiomi, ritengono tuttora, usandola
amplissimamente ,la terminazione in ia ed iano. I Prosatori l'hanno quasi dismessa:
nè io credo che ciò seguisse con piena ragione: giacchè si allontanarono
davoci,lequalipresentanolaoriginelorodallalingualatina che ne era lamadre:e
potevano variare con ogni dolcezza ildiscorso. Inluogo di ameria,ameriano
sottentraronole altre amerebbe,ame rebbero, ovvero amerebbono. Queste voci a
somiglianza di quelle del futuro sono composte ancor esse, ma dall'infinito e
dalle terze del perfetto diavere,amar-ebbe,amar-ebbero,ovvero amar-ebbono.Può
no tarsilamarciaincostantedegli uomini:mentre sonostatiesclusi tantiB
dagl'imperfetti, e dai futuri,qui ne sono stati riprodotti con usura: la
desinenza è divenuta più lunga , e talvolta quasi indistinta, essen dovi alcune
terze 40. Resta a dire qualche cosa intorno la desinenza amassi,temes
si&c.laqualeesprimeilpresentedell'ottativo,e l'imperfetto del congiuntivo.
E 'manisesto che questo tempo è tratto dalle voci sinco p i z z a t e d e l p i
ù c h e p e r f e t t o d e ' L a t i n i n e l c o n g i u n t i v o , t o l t
o n e il v i come nel perfetto dell'indicativo, e serbate leregole generiche
delle vocali finali, lasciato l'M , e mutata l'E in I & c. Amassi Amasse
Amassimo Amaste Amasseno . del perfetto, che somigliano , come creb
be,increbbe,bebbe&c.E pocovedocosaabbiaafareebbeedebbero, vocidel perfetto,convocidelsoggiuntivo,lequalihannodell'imperfet
persone to, cioè che resta da fare. Possono osservarsi al verbo amare , dove
trattasi della desinenza in ia , ed iano, altre incongruenze. M a l'uso ha già
prevaluto,e chi parla dee parlare conl'uso. T a l e appunto sorse la terza
plurale: ed ancora n e restano degli esempj
FraGuit.let.Ipag.8se'reiabitasseno,elett.2ev'entrassenoalcore. PETRAR.son.154
che andassen sempre lei sola cantando&c.Ma po şteriormente di amasseno si
feceamassono,edoradicesi amassero co munissimamente.Si noti che la seconda
plurale amaste involge una mancanza di lingua: perchè non più vi resta il ssi o
sse, caratteristi co di questo tempo, e perché amaste è voce plurale ancora nel
per fetto dell'indicativo: ed è certo un difetto con unavoce stessa espri
meretempi,emoditantodifferenti.Forseènatodaciòchetalvolta s'in contra voi
avessi per voi aveste, come in Antonio Pucci Centiloquio cant.69 terz.58. Se
voi in qua non m'avessi menato. Anzi ho notato che MACCHIAVELLI tanto
conoscitore della sua lin Amassi nel suo 28 Ama (vi)ssem Ama (vi)sses Ama
(vi)sset Ama (vi)ssemus Ama (vi)ssetis Ama (vi)ssent Ma
primach'iosentissetalruina&c. FRA JACOP.lib.6 c. 18. 28. 42. E siccome
questo tempo nell'italiano esprime il presente dell'ottativo, e l'imperfetto
del congiuntivo, i quali non E cosìnella Gerus.8.24. : "Quel partissi
addita azione già fatta. 29 gua , spesso in tal tempo usa la seconda
singolare per la plurale con premettervi il pronome.Cosi nell'Arle della guerra
ediz. Co smopolipag.42 Farestevoidifferenzadiqualartevoiliscegliessi,e pag.63
iodcsiderereichevoivenissiaqualcheesempio,pag.233.so lovorrei che voimi
solvessiquesti dubbj,e 236 vorrei chemi dices si&c.Un
talescriveresidirebbeartifiziosoonegligente?Glieru diti decideranno se forse era
meno male così scrivere. Certo se repli chiamo nel singolare io amassi, tu
amassi,perchè non farlo nel plurale? Amassetesarebbestata,parmi,lavoce idoneae
conseguente:ma sealtri la dicesse ora , sarebbe uno sgraziato, un imperito .
Tanta è la prepon deranza degli abusi,resi venerandi per vecchiezza. 41.
L'origine di questo tempo è similissima in tutti gli altri v e r b i . C o s ì
d a t i m u i s s e m è t e m e s s i , d a l e g i s s e m è l e g g e s s i,
d a a u d i v i s s e m udissi&c.e nezliausiliaridafuissemfossi,dahabuissem
avessi,mu tato al solito il B in V , e ľ U I in É come in timuissem , timui
& c. e tutti soggiaccionoall'inconveniente anzidetto.Del resto ne'principj
della lingua pendette incerto alcun poco se avesse a farsi amassio amasse di
amassem , e così sentissi o sentisse di sensissem . Quindi Fazio nel Dittam.
lib. 1 c.29. loro discordano,ma provienedal latino,che eraun più che passa to;
così le di lui voci medesime scorrono a significare cose passate non senza un
pocodi confusione:ma eglièmalediorigine,esivuol condonare:peress.SEGNERI
Predic.358.10Visovviend'altroreo,che maitollerasseunaopiùtragicao
piùtirannicaformaditribunale? E'chiaro che quel collerasseesprime cosa
passata:tale è pur quello nelleVit.De'SS.PP.tom.1pag.83.E alloraconosceretechefuil
meglio per m e ch' io m i partissi molto fra D'amarli e di servir,quant'io
potesse. Franc.BARBER. pag. 2 ch'io gli mandasse a quello. Stor.Giosafat pag.
18 ed io non sarei savio se io tale cosa manifestasse. Novell. ANTIC.37
s'iovolesse dire una mia novella&c.Nel primo tom.delle
DeliziedegliErudiliToscanipag.CL.sinotanoaltriesempj disi mili desinenze. E se
piaciuto pur fosse là sopra Ch'iovi morissi,ilmeritai coll'opra. 43. Quanto
agli altri tempi amaverim , amavero & c. sono decom posti negl'italiani,che
io abbia amato, o io avrò amato & c. Sicchè non vi resta presso a poco da
osservare, se non quanto si disse in torno di habueram,fueram &c.
DIPENDENZA Delle Conjugazioni Italiane dall'Infinito, e loro somiglianza
generalissima. Conjugareiverbiitalianinonèchevariarediversamentel'in
finito,secondoimodi,itempi,lepersone,inumeri,come altrove si è detto.Or volendo
conoscere queste variazioni e somiglianzaloro generale,si avverta:Ogni infinito
termina in RE amare,lemere, cre dere, sentire; e quasi tutte le variazioni
succedono appunto in questo RE finale:solamente talvolta subisce de cambiamenti
anche la vocale precedenteilRE.Cos)per avere iparticipj presenti,il RE si muta
inNTE nelle primeeseconde conjugazioni,amante,credente &c.E nelle terze tutto
l'IRE, per ess. di sent-ire si muta in ente, sentente; ovveroilREsimuta
inENTE;obedi-re,obedi-ente.Per avereilpar ticipio passato,aparlar
generalmente,basta nella prima e terza con jugazionemutareilRE inTO
ama-re,ama-to,senti-re,senti-lo.nelle altreconjugazionisicambiatuttol'EREinUTO
lem-ere,tem-ulo, cred-ere, cred-uto. 2. Quanto ai tempi per avere il presente
singolare si lascia il RE dell'infinito,e lavocale precedente il RE simuta in 0
per le primepersone,edovebisognainIperleseconde;ma perle ter ze persone,toltoilRE,I'lsicambiainE
nelleterzeconiugazioni: nelle altre non bisogna variazione ulteriore. Ama-re
teme-re Crede-re a m a teme crede senti Ne'pluraliilRE
dell'infinitosimutainMO,TE,NO,perleprime seconde,e terze persone. Ama-mo
Teme-mo Crede-mo ama-te teme-te crede-te senti-te a m a -n o teme-no crede-no
Senti-mo 30 E cosi trovansi presso gli Antichi terminate le prime e terze
plurali. Vedi questiverbi ne'prospetti e nel S.II.2.E per dare qui un qual
ch'esempio su le terze plurali ,Baldassar CASTIGLIONE nel suo per fetto
Cortigiano usd commoveno, rivesteno, discerneno , occorreno , ca
deno,moveno,serveno,ed altremoltissime.NelVarchisihagiaceno, soggiaceno,ed
altre.Ma ora l'uso porta che anche le vocali prece denti il RE abbiano subito
de'cambiamenti ,dicendosi tutte le prime
personeamiamo,temiamo,crediamo,sentiamo:enelleultimedue con jugazioni
terminandosi le terze persone plurali in ono , temono , cre sente -n o 1 S.
III. 1. amo temo credo sento ami temi credi Senti-re sente 3.
Quanto ai verbi della terza conjugazione, ne'qualivi è la doppia cadenzacome
abborroeabborrisco(vediquestoverboinfine della prima parte ) sappiasi che la
cadenza in isco esce di regola nei pre senti dell'indicativo, imperativo,e
congiuntivo. Tutto il divario è che in questi presenti le persone, prima,
seconda , e terza singolare, si formano come prima secondo le regole, e che poi
alla vocale fi nale si antepone la sillaba ISC in ognuna di queste solamente,
on de si abbia: la terza plurale si trae dalla prima così mutata,aggiuntole ilN
O , segno della pluralità ne'verbi: abborrisco-no.Ossia all'infinito abborri
re, tolto il R E si congiunge sco, sci, sce, scono , abborri-sco , abbor
ri-sci, abborri-sce,abborri-scono. 4. Il Re dell'infinito si muta in VA VI VA
pel singolare a m a -re teme-re crede-re senti-re ama-va teme-va crede-va
sentiva N e plurali alla prima , o terza di ciascun singolare si aggiungono le
distintive dette di sopra MO,TE,NO. amaya-mo temeva-mo sentiva-mo amava -te
temeva-te credeva-te credeva-no sentiva.no Perfetti dell'Indicativo
Perlaterzapersonal'ultimoA diamasimutainOaccentato:nelle altre conjugazioni si
accentuano la E o l'I; masiaggiunge MMO 31 dono,sentono &c ,come se
aggiungasi ilNO alle prime persone, temo,temono,credo,credono,sento,sentono,laddove
essendole terze pluraliun multiplo diterza e non diprima persona singolare,non
doveasiaggiungereilNO,segnodipluralità,senonallaterza sin golare, come dicesi
ama, amano, e non amono. amava-no temeya -no STE 1) sentiva -te ama-vi ama -va
t e m e -vi teme-ya senti-va crede -vi senti-vi Imperfetti dell'Indicativo 2 )
personeplurali, RONO 3 crede-va c r e d e v a -m o abborr (isco abborr(isc)i
abborr(isc)e 5.ToltoilRe dell'infinitosiaggiungeIperlaprima,eSTIper laseconda
persona: per le senti-sti senti ama-mmo teme-mmo crede-mmo
senti.mmo amo teme crede ama-ste teme.ste crede-ste a m a -rono teme-rono 6.Ma
nelle seconde conjugazioni,come in temere e credere, ol tre la legge
universale,il RE dell'infinito spesso si muta per le pri m e in singolari in T
T I; per le terze singolari in T T E , e per le ter ze pluraliin TTERO ovvero
in TTONO dicendosi Temei temetti Credei credetti Temė Futuri dell'Indicativo 7.
Il solo E finale dell'infinito si muta, o cresce in O accentato 1 ) A I nelle
amar-o temer-6 sentire amar-ete creder-emo sentir-emo Presenti dell'Ottativo
8.IIRE simuta in senti-ste crede-rono senti-rono creder-o 33 ama-re t e m
e - r e c r e d e -r e ama-sti teme-sti crede-sti amar-emo temer-emo temer-ete
creder -ete sentir-ete amar-anno temer-anno I SSI SSI SSIMO SSE . STE SSERO
SSONO sentir-à senti i amar-ai temer-ai creder-ai sentir-ó amar-a temer-à
creder-à sentir-ai ama-i teme-i crede-i amar-e temer-e creder-e Credé Temerono
temettero temettono Crederono credettero credettono 2 ) del singolare A
accentato 3 EMO ETE nelle2) delplur. ANNO 3) temette credette Si noti che ora
si volge in E anche l'ultimo A di amare , almeno dagli Scrittori, non senza
equivoco. Vedi amare nel prospetto not.9. creder-anno sentir-anno
senti-re ama-re teme-re crede-re a m a -sse teme-sse crede-sse
crede-ssimo ama-ste teme-ste senti-ssi serti-ssimocic. BBERO 3 ) solamente
nella prima conjugazione si è presoilcostume ( forse non ragionevole)dicambiare
1A precedenteilRE dell'infinitoinE. sentire sentire-i credere-sti credere -bbe
credere-mmo sentire-mmo credere-ste sentire -ste credere-bbero sentire-bbero
credere-bbono sentire-bbono Si noti che le aggiunte che qui si fanno per le due
prime per sone singolari eplurali sonole stesse dei perfettie che quelle che si
fanno per le terze sono , direi , le terze del perfetto di avere, ebbe,
ebbero,ciocchè facilita di molto la formazione di questo tempo, Presente del
Congiuntivo AMO ATE credere credere -i sentire-sti sentire-bbe ama-ssi a
m a -ssi teme-ssi teme-ssi crede-ssi crede-ssi senti-re senti-ssi ama-ssimo
teme-ssimo Amare Io ami Imperfetto dell'Ottativo Conjugazione 1."
10.SitoglieilREdell'infinito,elavocaleprecedenteilRE si muta in I, enel plurale
siaggiunge 3 1 senti-sse crede-ste ama-sseroamassono teme-ssero teme-ssono
crede-ssero crede-ssono 33 I alla 1) S T I 2 ) del singolare BBE 3) MMO I) STE
2)delplurale amare amere-i amere-sti amere-bbe amere-m m o amere-ste
amere-bbero amere -bbono 9. L'infinito resta immutabile e si aggiungono Tu ami
Colui ami Ami-amo Ami-ate Ami-no temere temere -i temere-sti temere -bbe
temere-m m o temere-ste temere -bbero temere-bbono NO 2 person . La
vocale precedente il re dell'infinito si muta in a in tutto il sin. golare, e
nella terza plurale. Il resto è come nella prima :anzilla secondasingolarepuòterminare
comenellaprimaconjugazione;i che sarà considerato ne verbi rispettivi. Credere
Creda Creda o Credi Creda Credi-amo Credi-ate Creda -no Queste sono le
variazioni : gli altri tempi composti risultano da alcuno de' tempi già esposti
, presi da'verbi essere ed avere , e dal participio passato del verbo
particolare, il quale si usa ; e però non occorrono nuovi cambiamenti
nell'infinito .Quindi si dovranno cer care nel prospetto. Intanto si potranno
raccogliere alcune regole, e sono: 11. Tutte le prime persone singolari
dell'indicativo eccetto il perfetto e l'imperfetto finisconoin 0 :tutte
leseconde in I in ogni tempo: tutte le prime plurali in ogni tempo e modo in
mo,e le seconde in Te,eleterzeinNo oRoinalcunitempi.Maintutteleprime plurali
dei presentidi ogni modo,degl'imperfetti,e futuri dell'in dicativolaMè
semplice:amiamoamassimoamavamo ameremo,le miamo temessimo temevamo temeremo
&c.Ma ne'perfetti dell'indi cativo e negl'imperfetti dell'Ottativo la M è
doppia amammo ame remmo , temeremmo crederemmo & c. e cosi le seconde
pluraliin que stid u e tempi ed anche nel presente dell' ottativo anno la S
avanti ilTe finaledicendosiamásleamereste&c.!,lealtreannoilsempli ce
Te.Parimente questi tre tempi possono finire in No ed in Ro nelle terze
plurali:amaro amarono , amerebbero amerebbono, amas, ranno,amino. Gli Marco Mastrofini.
Mastrofini. Keywords: implicature, Delle cose romane di Floro, l’antichita
romane di Dionigio, le cose memorabilia di Ampelio, il sistema verbale della
lingua Latina – del verbo latino, aspetto verbale – la filosofia del verbo –
tempus, azione, la concettualizazione dell’evento e l’azione nel verbo latino
--, categorie sintattiche e morfologiche e semantiche e prammatiche
dell’aspetto verbale nella lingua Latina. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Mastrofini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689123226/in/photolist-2mKAgvL
Grice e Masullo – la scissione dell’intersoggetivo – I lottatori
della tribuna -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Avellino). Filosofo. Insegna a Napoli. Ha trascorso vari periodi di ricerca e di
insegnamento in Germania. Direttore del Dipartimento di Filosofia
dell'Napoli. È stato socio dell'Accademia Pontaniana, della Società Nazionale
di Scienze Lettere ed Arti di Napoli e dell'Accademia Pugliese delle
Scienze. È stato insignito della medaglia d'oro del Ministero per la
Pubblica Istruzione. Candidato nelle liste del Partito Comunista Italiano
prima e in quelle dei Democratici di Sinistra poi, ha ricoperto la carica di
Deputato, è stato Senatore della Repubblica. Trascorre i primi anni della sua
vita a Torino. Si trasferisce a a Nola, dove compie gli studi superiori
frequentando il liceo classico statale Giosuè Carducci. Fequenta il corso
di laurea in Filosofia all'Napoli. Si laurea con Nobile discutendo una tesi su
Benda. Napoli era dominata prevalentemente da Croce; esistevano comunque altri
personaggi capaci di una riflessione autonoma e originale come fu Aliotta che
con il suo sperimentalismo offrì importanti stimoli a Masullo. Studia
l'esistenzialismo che andava diffondendosi in Italia. Assistente volontario
alle cattedre di filosofia e tiene seminari per Nobile, Aliotta, e
Valle. Compie la sua formazione filosofica a Napoli soprattutto con Carbonara.
Carbonara era impegnato attraverso i suoi studi di estetica a ripensare
l'attualismo gentiliano. La sua posizione prende il nome di materialismo critico.
Attraverso il confronto con Carbonara, Masullo si addestra al rigore concettuale
e inizia ad elaborare una propria posizione originale. Nella formazione e
nella costruzione della prospettiva filosofica di Masullo si combinano diverse
componenti. Il neoidealismo, crociano e gentiliano, lo sperimentalismo di
Antonio Aliotta, e, tra idealismo e materialismo, il materialismo critico di
Cleto Carbonara. Masullo però, mosso dalle proprie inquietudini e dalle
impressioni suscitate dai tragici eventi bellici, studia anche
l'esistenzialismo e lo spiritualismo. Infine il bisogno di comprendere l'uomo
concreto e le sue reali tribolazioni lo conducono ad avvicinarsi alla
fenomenologia. Il soggiorno di studio a Friburgo del 1957-58 gli consente
di approfondire lo studio della fenomenologia e di conoscere Weizsäcker, il
quale aveva introdotto nel filosofese il concetto di “patico.” (cf.
anti-patico, sim-patico, em-patico). Esistenzialismo, spiritualismo, idealismo
e fenomenologia sono correnti di pensiero variamente intrecciate tra di loro.
Ciò che attraversa trasversalmente questi movimenti di pensiero è la radicale
problematizzazione del rapporto tra pensiero e vita, tra il pensiero e il suo
negativo, ciò che pensiero non è. Il pensiero Intuizione e discorso è un
testo in cui, avvalendosi degli stimoli che provenivano dalla epistemologia,
Masullo si confronta con l'idealismo attualistico e storicistico per riflettere
sul carattere “difettivo” della coscienza e sul suo rapporto con la
conoscenza. Masullo in Intuizione e discorso sostiene che i poli del
fatto e dell'idea, del senso e della coscienza, della vita e delle forme dello
spirito sono legati da un vincolo dialettico. Voler ridurre l'uno all'altro
conduce ad un idealismo soggettivistico o ad un empirismo cieco alle dimensioni
dello spirito. Bisogna comprendere le modalità del vincolo che lega spirito e
corpo. Il pensiero che voglia essere critico, cioè che non voglia ingannarsi,
deve riconoscere che esso si fonda su processi biologici e fisiologici che gli
sono irriducibili. Nel 1957-58 Masullo approfondisce in Germania lo studio
della fenomenologia, ancora poco diffusa in Italia. A Friburgo frequenta i
circoli husserliani capeggiati dall'allievo di Husserl Fink e conosce Weizsacker
del quale Masullo svilupperà il concetto di "patico". Masullo stesso,
tornato in Italia, traduce e commenta alcuni testi di Husserl in un piccolo
libriccino ormai introvabile (Logica, psicologia, filosofia. Un'introduzione
alla fenomenologia, Napoli, Il Tripode) il cui contenuto in parte è poi
confluito nel successivo truttura, soggetto, prassi. Masullo
considera Husserl un grande esploratore della coscienza. Husserl cerca di dare
un fondamento filosofico alle scienze positive indagando il modo in cui la
coscienza costituisce il mondo che la scienza prende ad oggetto delle proprie
particolari ricerche. Masullo però, elaborando gli stimoli dell'antropologia
medica di Weizsacker, lavora al passaggio dalla fenomenologia alla
patosofia. Struttura, soggetto, prassi (1962, 1994) è il testo che
documenta il rinnovamento della ricerca di Masullo. Fa riferimento alle scienze
positive per mostrare che la coscienza è qualcosa di vivo e concreto e non è
«intellettualisticamente sofisticata», trasparente a sé stessa, come vorrebbero
le filosofie speculative le quali riducono la vita psichica alla vita cosciente
e non tengono conto o minimizzano il peso della dimensione psichica inconscia,
svalutata come qualcosa di filosoficamente irrilevante. S. Non è
possibile una conoscenza diretta, per introspezione/riflessionecome vorrebbero
le filosofie speculativedi ciò che pensiero non è. Il pensiero come esperienza
intersoggettiva, sociale (lo Spirito, il Soggetto) può conoscere i suoi
prodotti, i pensieri, il pensato, ma non può conoscersi come processo,
esperienza del pensare, atto, tempo, «paticità» (cioè il pensare come
esperienza soggettiva, esistenza). D'altronde il pensiero come processo non può
essere conosciuto neanche per inferenza da parte delle scienze
positivo-sperimentali. Queste possono misurare i processi, ma non possono
misurarne i vissuti. Lo scacco, il limite della conoscenza è l'apertura
alla prassi e all'etica: riconoscere il nesso operativo tra senso e
significato, crisi e ordine, «patico» e cognitivo, corpo e mente. Analizza
i grandi modelli idealistici e fenomenologici della soggettività. In particolare,
seguendo un'indicazione di Fichte, sviluppa la tesi secondo la quale il
fondamento dell'uomo, cioè la condizione per la quale l'uomo assume i caratteri
della soggettività (libertà, storia, ricerca, progetto, autodeterminazione) è
l'intersoggettività. Di questo fondamento Masullo analizza le modalità di
funzionamento. Masullo, con i suoi studi sulla «intersoggettività» e il
«fondamento» degli anni sessanta e settanta (Lezioni sull'intersoggettività.
Fichte e Husserl, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, La storia e la morte, Napoli, Libreria
Scientifica Editrice, La comunità come fondamento. Fichte, Husserl, Sartre,
Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1965; Il senso del fondamento, Napoli,
Libreria Scientifica Editrice, Antimetafisica del fondamento, Napoli, Guida),
analizza le «operazioni nascoste» in base alle quali si costituisce l'io e in
base alle quali si costituisce l'oggettività del mondo e individua nella
originaria struttura intersoggettiva il fondamento del mondo umano. Il
fondamento è la comunità, ma essa funzionalmente rimane nascosta all'io per
permettergli di istituirsi ed operare, come ben spiega nell'importante saggio
Il fondamento perduto, in cui rielabora e sviluppa spunti presenti negli ultimi
capitoli di Il senso del fondamento e
raccoglie in modo compiuto i risultati teoretici di due decenni di ricerche
intorno al tema della comunità-intersoggettività come fondamento. Masullo
pubblica inoltre il testo Fichte. “L'intersoggettività e l'originario” in cui
riprende e aggiorna il saggio su Fichte contenuto in La comunità come
fondamento. Fichte, Husserl, Sartre. Pubblica Metafisica. Storia di un'idea. Il
capitolo finale, Il sentimento metafisico, è l'indicazione del passaggio a una
nuova fase del pensiero di Masullo, una fase in cui il tema
dell'intersoggettività lascia il posto alla esplorazione delle dimensioni del
vissuto del soggetto, quindi lascia il posto ai temi della paticità, del senso,
del tempo. In effetti anche i suoi corsi universitari di quegli anni
rivelano questo momento di transizione. Si dedicati al tema dell'inter-soggettività
ma vengono trattati anche i temi caratteristici della seconda stagione della
sua riflessione. Tratta della “difettività del soggetto”; nel corso invece si
occupa di “comprensione del tempo e interpretazione morale, definitivamente
centrati su “i patemi della ragione e l'inter-esse etico.” Nei studi su «tempo», «senso», «paticità»
(Filosofie del soggetto e diritto del senso, Genova, Marietti, “Il tempo e la
grazia. Per un'etica attiva della salvezza, Roma, Donzelli, “Paticità e
indifferenza” (Genova, Il Melangolo). Sostiene che il pensiero critico, nella
sua incapacità di pensare il passaggio, il processo, la trasformazione, il
cambiamento (sustenuto in La problematica del continuo in Aristotele e Zenone
di Elea, seppure solo sul piano logico) è incapace anche di pensare la
soggettività la quale è una forma particolare di cambiamento, è tempo, prodursi
delle differenze all'interno di un campo strutturato, fortemente centralizzato,
l'organismo umano, portatore della coscienza di sé. In questi studi degli
anni ottanta e novanta Masullo considera le modalità affettive e
psicobiologiche dell'esser soggetto. In “Filosofie del soggetto e diritto del
senso” Masullo si confronta con Kant, Hegel, Dilthey, Heidegger e
Merleau-Ponty, i quali storicamente hanno posto il tema della soggettività non
riconoscendo però la differenza tra «significato» e «senso». Masullo rivendica
il «diritto del senso» ad essere riconosciuto nella sua radicale e irriducibile
diversità dal significato. Molto più rilevante nella costruzione della
sua prospettiva filosofica è invece il saggio intitolato Il tempo e la grazia.
Per un'etica attiva della salvezza, nel quale Masullo illustra la sua
concezione della frammentazione della soggettività a partire da alcune
considerazioni sui concetti di esperienza e di tempo. I lessici delle lingue
europee antiche e moderne consentono di distinguere la dimensione orizzontale
dell'esperienza propriamente detta (έμττεŀρία, experientia, Erfahrung) la quale
ha un carattere prevalentemente cognitivo rispetto alla dimensione verticale
dell'esperienza meno propriamente detta (πάθος, affectio, Erlebnis), cioè il
vissuto, il quale ha invece un carattere affettivo anziché cognitivo. Da una
parte abbiamo il giudizio su ciò che abbiamo provato, dall'altra abbiamo il
provare come avvertimento immediato dell'accadermi di qualcosa. Ciò
introduce a un'ulteriore precisazione filologica che riguarda la differenza tra
il cambiamento e il tempo. Il tempo non è il cambiamento. Il cambiamento è il
continuo prodursi delle differenze nell'organizzazione delle forme della vita.
Il tempo è l'avvertimento interiore di questo cambiamento, cioè l'avvertimento
di sé attraverso il cambiamento. L'uomo, a differenza degli altri
viventi, è intrinsecamente tempo. Egli istituisce il tempo nel senso che mette
in relazione i cambiamenti a dei sistemi oggettivi di riferimento, ma ancor più
radicalmente l'uomo è tempo in quanto avverte i cambiamenti del mondo esterno
solo in relazione al proprio modificarsi. Questo avvertimento, il «senso»,
è l'indice della soggettività. L'avvertimento della perdita, il senso del
cambiamento, in una parola il tempo, accende l'allucinazione del sé, scatena il
desiderio di permanenza. Parallelamente alla esplorazione della
soggettività, in Il tempo e la grazia Masullo segue gli sviluppi di
un'emergente epistemologia caratterizzata anch'essa dalla contingenza e
irreversibilità del tempo fisico così come la cosmogenetica ce lo illustra. Il
versante umanistico e quello scientifico convergono nel disegnare
un'antropologia la cui etica non è più la moderna e rassicurante etica reattiva
che salva la società con le sue formulazioni sull'ordine del mondo.
L'etica che Masullo vede in prospettiva scaturire da questo nuovo contesto è
un'etica attiva che salva il tempo, cioè il soggetto, dal vivere la perdita
prodotta dal cambiamento come «disgrazia», mutilazione. La perdita è un momento
necessario nella vita di un essere, l'umano, che non semplicemente cambia, ma si
rinnova e costruisce intenzionalmente il proprio futuro. Una volta
riconosciuto il diritto del senso ad essere inteso nella sua irriducibilità al
cognitive; una volta esplorato il campo
del senso-tempo-patico alla luce della psicanalisi, della letteratura e della
filologia; una volta riconosciute le epocali trasformazioni degli scenari
epistemologici, antropologici ed etici, Masullo nel testo del 2003, Paticità e
indifferenza, si chiede quale può essere ancora, in questo nuovo contesto, il
ruolo della filosofia. La filosofia è «saper assaporare i sapori della vita,
gustare a fondo i sensi vissuti, … elevare i sensi sensibili a sensi ideali e
cogliere nei sensi ideali la possibilità dei sensibili, è la “sapienza del
patico” ovvero, se si ricalca interamente l'etimo greco, è la
“patosofia”». Da un pensiero così articolato derivano alcune indicazioni
e cautele etico-pedagogiche. Essendo l'uomo intrinsecamente temporale, essendo
la temporalità umana irreversibile, l'uomo non può essere fatto oggetto di conoscenza
come un qualsiasi ente. Masullo distingue la conoscenza dalla cura. Egli
inoltre distingue le esperienze (che sono comunicabili e sono i materiali sui
quali si costruisce la conoscenza) dai vissuti (che sono invece
costitutivamente «incomunicativi» in quanto riguardano l'immediatezza del
sentire individuale che non è mai trasparente neanche all'individuo stesso che
li vive). La conoscenza è la dimensione orizzontale dell'esistenza. Essa guarda
alla universalità. Mentre la cura ne è la dimensione verticale. Essa invece
guarda alla unicità-identità, ai vissuti da assaporare e da sublimare in valori
da condividere. Mentre la ricerca di Masullo prosegue in questi anni
curvando verso nuove direzioni, pubblica alcuni nuovi libri. Sscrive Filosofia
morale per una collana di libri che illustrano ciascuno il nucleo delle varie
discipline filosofiche. In effetti Filosofia morale non è un elenco di temi,
personaggi, concetti ma un percorso molto personale all'interno delle questioni
e dei nodi fondanti della disciplina: la specificità della filosofia morale e
la distinzione tra morale ed etica; il bene quale orientamento dell'azione
umana; il soggetto della vita morale, la persona; il dovere, la responsabilità
e il vincolo che ci lega agli altri. Scrive, intervistato dal giornalista
de Il Mattino, Claudio Scamardella, Napoli siccome immobile. Scamardella, in
uno degli ennesimi momenti difficili per la città di Napoli, cerca la figura di
un saggio, di un'autorità morale capace di interpretare il presente e prefigurare
il futuro di questa città malata. Trova questa figura in Aldo Masullo, filosofo
ma anche protagonista della vita civile e politica della città con concrete
iniziative quali, nel 2006, gli incontri con i giovani e la popolazione
nell'ambito del “Manifesto per salvare Napoli”. Il libro è un lungo dialogo
sulle tante debolezze della città presente che si conclude con un'analisi delle
risorse che danno speranza nel futuro. Masullo nel ha pubblicato La libertà e le occasioni, che
sviluppa il tema del suo ultimo seminario all'Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici di Napoli. L'impegno politico Negli anni sessanta e settanta
la contestazione studentesca segnalava il bisogno di rinnovamento
dell'università italiana. Masullo, per i caratteri originali del proprio
insegnamento, è considerato dagli studenti uno dei professori progressisti. Egli
in quegli anni fu eletto deputato come indipendente nelle liste del Partito
Comunista Italiano, ed in seguito come
senatore, si occupò sempre dei problemi del sistema scolastico. Inoltre come
parlamentare europeo lavorò al fianco di Nilde Iotti nella Commissione
legale. All'inizio degli anni ottanta alcuni importanti provvedimenti
modificano l'organizzazione didattica e gestionale dell'università (vengono
istituiti i dottorati di ricerca, riordinate le scuole di specializzazione,
creati i Dipartimenti). Terminato l'impegno parlamentare Masullo dirige per due
mandati il nuovo Dipartimento di Studi Filosofici dell'Napoli intitolato ad Aliotta.
Anche attraverso questo incarico egli incide sulle direzioni della ricerca
filosofica a Napoli. Masullo si mette di nuovo al servizio della politica
quando dopo la crisi politica e sociale degli anni ottanta, agli inizi degli
anni novanta si verifica un generale risveglio della coscienza collettiva. A
livello locale egli dapprima anima per oltre un anno, ale “Assise di Palazzo
Marigliano”, un movimento che si opponeva al progetto NeoNapoli previsto
dal preliminare di Piano Regolatore.l, del quale ottenne il rigetto, suggerendo
la demolizione e il rifacimento integrale dei Quartieri Spagnoli. Forte della
popolarità acquistata con questa esperienza è capolista del PDS nelle elezioni
amministrative e poi, protagonista a Napoli della innovativa esperienza della
"giunta del sindaco". A livello di politica nazionale Masullo è
di nuovo impegnato per due legislature al Senato. Egli è membro della
Commissione di vigilanza dei servizi radiotelevisivi e, come negli anni
settanta, della Commissione per l'istruzione pubblica e i beni culturali in
anni nei quali i provvedimenti relativi a istruzione, università e ricerca sono
numerosi e importanti. Amante dei libri e della cultura dei bambini, lo
spessore del Maestro filosofo emerge inoltre quando in aula si discutono
disegni di legge relativi a temi quali l'ergastolo o la procreazione
assistita. Saggi: “Intuizione e discorso,” – Grice: “Good connection.” (Napoli,
Scientifica); “La problematica del infinito del continuo – l’infinitesmale – la
categoria della quantita – flat and variable,” – Grice: “Excellent
philosophical problem.” Napoli, scientifica,
“Struttura soggetto prassi,”Napoli, scientifica “La comunità come fondamento,” Grice:
“Masullo’s first attempt at a conceptual analysis of the inter-subjective; but
it takes a philosopher to understand that that is what stands behind
‘community,’ or ‘population,’ as I prefer, or the conversational dyad.” Napoli,
scientifica, “Anti-metafisica del
fondamento” Napoli, Guida, “L'inter-soggettivo” Napoli, Guida, “Filosofie del
soggetto e diritto del senso,” Genova, Marietti, “Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva
della salvezza,” Roma, Donzelli, “Meta-fisica:
storia di un'idea,” – Grice: “Perhaps Aristotle never had an idea; after all
‘ta meta ta physica’ is later and means: “the stuff the master wrote after the
‘physika’!” Roma, Donzelli, “La potenza della scissione” o diaresis, Napoli, Scientifiche,
“Gografia e storia dell'idea di libertà,” Reggio Calabria, Falzea. – cfr.
Grice: “The history of ‘free’ is hardly a ‘natural history’!” “Paticità e in-differenza,”
Genova, Melangolo, -- Grice: “Masullo’s concept of ‘pathos’ is essential –
while you may have self-pathos, the implicaure is that there is ‘empathy.’” “Inter-soggettivo”
G. Cantillo, Napoli, Scientifica, “Filosofia
morale,” Roma, Riuniti, “Scienza e co-scienza” – Grice: “This pun is only
possible in Italian: conscious and science are less of a parallel word
formation!” “tra parola e silenzio” Grice: “This is my reading between the
lines – i. e. the implicature” atti del convegno (Monte Compatri), P.
Ciaravolo, Roma, Aracne, “Il senso del fondamento,” Napoli, scientifica, G.
Cantillo, Napoli, scientifica, Napoli, siccome immobile. Intervistato, Napoli,
Guida, La libertà e le occasioni,
Milano, Jaca, I linguaggi della follia e
i passi della salvezza. Il lavoro psichiatrico, in S. Piro. Maestri e allievi,
Napoli, Scientifica,. Il filosofo della coscienza, Corriere della Sera, La
grazia della filosofia e della politica, su rainews, Napoli, chi era il più
grande filosofo, su interris, A. Fioccola, Web Magazine dell'Università degli
Studi di Napoli l'Orientale. Aldo Masullo. Masullo. Keywords: l’intersoggetivo,
la scissione di Hegel, il continuo dei velini – velia, infinitesimal –
l’innamorato di Parmenide -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masullo” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Matassi – la filosofia della seduzione dei giocatori di calcio -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (San Benedetto del Tronto). Filosofo. Grice: “I like Matassi; but then I
like football – I was the football team captain at Corpus – and aesthesis, the
seductor seduced – “la condizione desiderante” indeed!” Allievo di Garroni, è
stato Professore di Filosofia morale, coordinatore scientifico della sezione
Filosofia, Comunicazione, Storia e Scienze del Linguaggio del Dipartimento di
Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell'Università Roma Tre; in precedenza
era stato direttore del Dipartimento di Filosofia. Si è occupato anche di
Estetica musicale. È stato Presidente
della Società Filosofica Romana e ha fatto parte del comitato direttivo
nazionale della Società Filosofica Italiana. È stato nel comitato d'onore della Fondazione
Amadeus. Presidente dell’Accademia Estetica di Rapallo, responsabile della
sezione filosofica di Villa Sciarra, Roma, membro della giunta del CAFIS
dell'Università Roma Tre. È stato anche membro del Comitato scientifico della
Fondazione Résonnance dell'Losanna. Ha
diretto la collana Musica e Filosofia per la Mimesis Edizioni di Milano e
quella su I Dilemmi dell'Etica per la casa editrice Epos di Palermo. Ha tenuto
un blog sul "Fatto quotidiano" sui temi che legano la filosofia alle
dimensioni del contemporaneo. Ha collaborato con la rubrica Ricercare, dedicata
alla filosofia della musica, al mensile Amadeus e al mensile Stilos. È stato
direttore della collana Italiana per Orthotes Editrice (Napoli). È stato anche
membro del comitato scientifico-direttivo delle seguenti riviste: Colloquium
philosophicum, Paradigmi,Quaderni di estetica e di critica, Bollettino di studi
sartriani, Filosofia e questioni pubbliche, Links, Lettera Internazionale,
Phasis, Itinerari, Prospettiva Persona, Metabolè, Babel online, Civitas et
Humanitas. Annali di cultura etico-politica. Per quanto concerne il settore
estetico-musicale è presente nel comitato direttivo della rivista internazionale
Ad Parnassum.Hortus Musicus, Civiltà musicale, Orpheus, Itamar. a ricoperto la
presidenza di giuria per il Premio Frascati Filosofia. Menzione speciale della giuria all'VIII
premio internazionale di saggistica “Salvatore Valitutti”, per Bloch e la
musica. È stato uno dei principali
collezionisti al mondo di incisioni relative alle esecuzioni delle sinfonie e
della liederistica di Mahler (circa mille tra vinili e compact disc). Pensiero Si è occupato di filosofia tedesca
dell'Ottocento e del Novecento, in particolare del pensiero di Hegel, delle
scuole hegeliane, del Neocriticismo tedesco, del marxismo occidentale e della
scuola di Francoforte. Il suo primo lavoro è stato dedicato alle Vorlesungen hegeliane di
filosofia del diritto e all'interpretazione fornitane daGans. Si è occupato di Lukács,
iutilizzando per la prima volta il celebre manoscritto "Dostoevskij"
si è poi occupato di Hemsterhuis, l'autore della celebre Lettera sui Desider e
del dialogo Alessio o dell'età dell'oro.
Le sue ricerche hanno riguardato la filosofia della musica moderna e
contemporanea e in particolare su quella di Bloch, di Benjamin e Adorno, fino ad elaborare un'originale
filosofia dell'ascolto, le cui suggestioni si possono rintracciare nella teoria
musicale moderna di Ernst Kurth, elaborata nei Fondamenti del contrappunto
lineare. In tale prospettiva di ricerca, filosofia della musica e filosofia
dell'ascolto sono strettamente compenetrate, fino a diventare il paradigma di
una rivoluzione formativa che mette al centro del sistema educativo
contemporaneo la musica nella sua declinazione storico-teorica come in quella
pratica. All'interno di tale prospettiva
svolge un ruolo centrale Mozart, il "più ascoltante tra gli
ascoltanti" come lo definì Martin Heidegger. Saggi: Le Vorlesungen-Nachschriften hegeliane
di filosofia del diritto” (Roma, Sansoni, Lukàcs. Saggio e sistema” Napoli,
Guida); “Hemsterhuis. Istanza critica e filosofia della storia, Napoli, Guida);
“Eredità hegeliane, Napoli, Morano, “Terra, Natura, Storia,” Soveria Mannelli,
Rubettino, “Bloch e la musica,” Salerno, Fondazione Menna, Marte editore, Musica
(Napoli, Guida) “Bellezza,” Soveria Mannelli, Rubettino); L'estetica. L'etica, Donzelli,
Roma, L'idea di musica assoluta, Nietzsche e Benjamin, Rapallo, Il ramo, “La
condizione desiderante. Le seduzioni dell'estetico”- Il nuovo melangolo,
Genova; Filosofia dell'ascolto” (Rapallo, Ramo); “Lukàcs. Saggio e Sistema” (Milano,
Mimesis); “La Pausa del Calcio, Rapallo, Il ramo. “Il calcio,” Rapallo.. In: Du
Nihilism à l'hermenéutique, Hemsterhuis Franciscus “Sulla scultura; a c. di
Elio Matassi. Palermo. Convegno sulla bellezza", presso il Centro di Studi
Rosminiani di Stresa, Musica e Creatività Intervista a Rai Notte "La
musica assoluta" Inconscio e Magia, Teatro dell'Opera di Roma, Seminario
di formazione del PD Le parole e le cose dei democratici Pisa, Palazzo dei
Congressi, Intervento alla Summer School della Fondazione Italiani-Europei, sui
rapporti tra democrazia e capitalismo, Commento al concerto jazz di M. Donà,
"Tutti in gioco", Porto Civitanova, Bloch e la musica. Utopia a
misura d'uomo. Intervista, Ornamenti, Arte, filosofia, letteratura, M. Latini,
Armando, Roma, RAI Filosofia, su filosofia.rai. Il Potere e la Gloria. Juventus
e Inter Il Fatto Quotidiano, s MLatini, in. tervista su Amare, ieri, di G.
Anders, rivista on-line «SWIF-Recensioni filosofiche», M. Latini, Doppia risonanza sul mondo (a
proposito di "Musica" Napoli), “Il Manifesto”, C. Serra, Recensione a
"Musica". Grice: “Unfortunately, Matassi, being Italian, or an
Italian, is more interested in Nordic Kierkegaard, to pour sorn on their
coldness, than in Ovid’s ‘ars amatoria’ which would interest an Oxonian!” -- Cf.
“La palestra di Platone”. Elio Matassi. Matassi. Keywords: la filosofia del
calcio, in-duzione, se-duzione – Ovidio, ars amatoria, desiderio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matassi” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703884255/in/photolist-2mLTVsg
Grice e
Matera – implicatura – I segni del zodiac e la semiotica di Peirce -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo. Grice: “Only in Southern Italy is a philosopher also responsible
for the astrological edification of the city’s cathedral!” Uno dei più grandi
studiosi e divulgatori di astrologia occidentale e filosofia dell'epoca. Insegna
dapprima a Matera, e successivamente a Napoli.
Vive nel periodo in cui la Contea materana era dominio degli Angioini e
su richiesta di Filippo IV detto "il bello", il re di Napoli Carlo II
d'Angiò, detto "lo zoppo", invia Alano a Parigi. Lì insegna e divenne
noto come dottore universale, profondamente versato in filosofia. In quegli
anni infatti astronomia e astrologia vieneno collegate poiché si crede che gli
astri potessero esercitare un influsso sulle azioni umane. Nei periodi di
soggiorno a Matera, abita, secondo Verricelli nella contrada di Lo Lapillo tra
il castello e il puzzo dove sorge l’acqua della fontana hera la sua vigna con
una casuccia di pietre, piccola, mal fatta casa propria di filosofo quale
oggidì si chiama la vigna e casa di Alano. Si tratta della collina dove poi fu
edificato il Castello Tramontano. In quella casetta il grande filosofo passava
intere notti ad osservare il cielo e gli astri con strumenti rudimentali. Di
Alano è il motto presente nel “Glora mundis”: La goccia perfora la pietra non
colpendola due volte con forza, bensì colpendola continuamente, così tu trai
profitto studiando non due volte ma continuamente. È l'esortazione con cui
invita a raddoppiare impegno e curiosità sulla strada della conoscenza. Secondo
alcuni, il perfetto orientamento delle facciate della Cattedrale di Matera e
del suo campanile lungo i punti cardinali si deve alle osservazioni
astronomiche di Alano.A Matera una strada, trasversale di via Nazionale, tra le
vie Salvemini e Di Vittorio, è dedicata ad Alano. G. Fortunato, Badie, feudi e
baroni della Valle di Vitalba, ed.Lacaita, Personaggi della storia materana,
Altrimedia, per i Quaderni della Biblioteca provinciale di Matera M. Morelli, Storia di Matera, ed. F. lli
Montemurro, F. Volpe, Memorie storiche di Matera, ed. Atesa, Dizionario
corografico del Reame di Napoli, ed. Civelli, Biografie dei personaggi illustri
di Matera, sassiweb. ntonio Giampietro,
Personaggi della storia materana, Alano di Matera. Matera. Matera. Keywords: implicature,
la collina del castello tramontanto, la catedrale di Matera, astrologia,
astronomia, dottore universale, Napoli, Bologna, Parigi, the semiotics of
astrology, Grice on zodiac signs, semiotic, semiology, astrology, astronomical
chart. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matera” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692257175/in/photolist-2mPZ2Vc-2mPpmMv-2mKC3nj-2mKHkna-2mKSk8n-nfKCoW-nivfse-nfKC96-nidYDE
Grice e
Mathieu – l’uomo aniamle ermeneutico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Varazze).
Filosofo. Grice: “There are various things I love about Mathieu: his idea of
the ‘uomo, animale ermeneutico’ is genial – and true!” Grice: “Mathieu rightly
focuses on Kant’s problems with emergentism, i.e. the fact that life (or
‘vivente’) cannot be reduced. I love that.” Grice: “Mathieu has emphasised the
irreductionism alla Bergson. I like that.” Grice: “Mathieu makes an apt analogy
between Goedel’s work for alethic systems – that they cannot self-reflect, and
deontic systems --.” Dopo il liceo, si iscrisse a orino. Si laureò con Guzzo,
filosofo rappresentante dello spiritualismo ced autore di importanti studi
su Kant (un filosofo che sarebbe stato
centrale nella vita intellettuale di Mathieu). Libero docente nella
filosofia, è stato professore incaricato, e Professore di filosofia teoretica a Trieste.
Primo vincitore del concorso di Storia della filosofia, è stato ordinario di
filosofia fino al ruolo di professore emerito di filosofia morale a Torino -- è
stato membro del Comitato del CNR; è
stato membro e poi vicepresidente del Consiglio esecutivo dell'UNESCO (Parigi).
È stato membro del Comitato Nazionale di Bioetic; è socio dell'Accademia dei
Lincei e membro del Comitato Premi della Fondazione Balzan. Ha fondato
con Berlusconi, Colletti ed altri il
movimento politico Forza Italia. Si è candidato al Senato della Repubblica nel
collegio di Settimo Torinese: sostenuto dal centro-destra (ma non dalla Lega
Nord), ottenne il 33,2% e venne sconfitto dal rappresentante dell'Ulivo, Tapparo.
Con il sindaco di Brindisi Mennitti ha dato vita alla Fondazione Ideazione, per
il cui quotidiano ha curato una rubrica fino alla chiusura della testata. Nel
luglio (in connessione con la sua carica
di presidente del collegio dei probiviri del PdL che è chiamato a giudicare
l'operato dei finiani di Generazione Italia) diversi organi di stampa
riprendono la voce, già circolante da tempo, di una sua adesione all'”Opus
Dei.” A tale proposito sono giunte alla redazione del Corriere della Sera che
aveva pubblicato la notizia le smentite sia dell'Opus Dei che dell'interessato. Ha
offerto contributi significativi in almeno quattro ambiti della ricerca
filosofica: la filosofia della scienza; la storia della filosofia;
l'estetica; la filosofia civile. Ha indagato i limiti interni ed i limiti
esterni della scienza. Tale indagine ha avuto due filosofi del passato come
suoi principali punti di riferimento: Kant e Bergson. Ha infatti ripreso e
sviluppato le ricerche di Kant sui limiti interni della scienza e sulla sua
fondazione. A tale riguardo pubblicò il saggio "Limitazione qualitativa della
conoscenza umana" a cui fece seguito, "L'oggettività nella scienza e
nella filosofia". Seguendo Bergson, ha valorizzato anche altre forme
della conoscenza e della espressività umane non riducibili alla cienza, ma non
per questo ad esse opposte. Ha infatti sempre ritenuto che la realtà, e
segnatamente la realtà umana, non possa essere esaurita dalla scienza, e
richieda invece una costante attività interpretativa.. L'uomo, dunque, è
chiamato ad essere scienziato della natura ed ermeneuta della cultura. Sarebbe
però riduttivo non ricordare che i suoi contributi alla filosofia della scienza
riguardano una pluralità estremamente diversificata di temi. Ad esempio, sono ddue
studi pionieristici sull'applicabilità del teorema di Gödel al diritto. Gödel
aveva scoperto che non si può dimostrare la coerenza di un sistema all'interno
del sistema stesso; Mathieu ritiene che, almeno analogicamente, la scoperta di
Gödel possa applicarsi al problema della fondazione di un sistema deontico. Uun'autorità
non può legittimarsi da sola in modo formale e, dunque, anche il diritto
richiede fondamenti esterni (etici, non emici): l'efficacia e la giustizia. Ha
realizzato alcune traduzioni fondamentali. E forse il suo contributo maggiore alla
storia della filosofia è consistito proprio in un'opera che combina traduzione
e ricostruzione critica, ovvero l'opus postumum di Kant. Tale opera affronta
questioni teoriche tutt'oggi aperte (soprattutto nella fisica e nella biologia
teoriche), come il problema della forma degli oggetti solidi o il problema del “vivente,”
cioè il problema della vita in quanto tale e non ridotta a semplice. Ha
curato poi le edizioni di opere di Leibniz: si è trattato di un ampio lavoro
che si è raccolto in "Scritti politici e di diritto naturale"
"Leibniz e des Bosses" "Saggi filosofici e lettere" e "Saggi
di teodicea: sulla bontà di Dio, sulla libertà dell'uomo, sull'origine del
male.” La sua estetica, pur nella varietà dei temi trattati, rimanda ad una
problematica essenzialmente ontologica: lo svelarsi dell'ente. Cioè, l'opera
d'arte è heideggerianamente concepita come il modo attraverso cui gli uomini
possono cogliere il passaggio dal nulla all'essere. Di estetica è "Goethe
e il suo diavolo custode", edito per i tipi di Adelphi. Al centro di
questa ricerca vi è la figura di Mefistofele, analizzata in tutta la sua
profondità e capacità genealogica. Nei suoi volumi
sull'estetica della musica sviluppa la tesi affascinante che ascoltare la
musica è un ascoltare il silenzio. Grande è la potenza significante di ciò che
non significa nulla, perché è il nulla a far emergere l'essere delle cose. E la
musica e la luce si situano proprio in questo iato insuperabile fra l'essere e
il nulla. Entro i suoi molteplici contributi alla filosofia civile, si staglia
netta, per importanza e originalità, una triade di saggi edicati a quello che
potremmo chiamare "stato spirituale dell'Occidente". Si tratta di
opere scritte in un periodo dunque estremamente critico per l'Italia, ma che
mantengono ancora una grande attualità. Fa percepire al lettore il pericolo
valoriale in cui è venuto a trovarsi l'Occidente e pone in essere una critica
serrata alle ideologie totalitarie o nichiliste. In questo senso, vi è un'aria
di famiglia con i lavori di quei filosofii come Horkheimerche ha prospettato i
rischi di un'eclisse dell'individuo nella società tecnologica di massa. Un
articolo sul Corriere della Sera
rettifica sul Corriere della Sera
smentita sul Corriere della Sera. Saggi: “Bergson, Torino); “La
filosofia trascendentale” (Bibliopolis, Torino); Leibniz e Des Bosses, Torino);
“L'oggettività nella scienza e nella filosofia contemporanea, Torino; L’esperienza”
(Trieste); Dio nel "Libro d'ore" di R. M. Rilke, Olschki); “Dialettica
della libertà, Napoli); “La speranza nella rivoluzione, Milano, Vincenzo Filippone-Thaulero,
Salerno Temi e problemi della filosofia, Roma, Perché punire, Milano, Cancro in
Occidente, Milano, La voce, la musica, il demoniaco. Con un saggio
sull'interpretazione musicale, Spirali, Filosofia del denaro, Roma, Elzeviri
swiftiani, Spirali, La mia prospettiv, Barone Francesco; Melchiorre Virgilio,
Gregoriana Libreria, Gioco e lavoro, Spirali, La speranza nella rivoluzione,
Spirali); “Nazionalismo”; S. Cotta, Japadre, Perché leggere Plotino, Rusconi); Tipologia
dei sistemi e origine della loro unità, Lincei, Orfeo e il suo canto. Scritti, Zamorani,
Il nulla, la musica, la luce, Spirali, La
fedeltà ermeneutica, Paoletti Laura, Armando, Per una cultura dell'essere,
Armando L'uomo animale ermeneutico, Giappichelli, Le radici classiche
dell'Europa, Spirali, Goethe e il suo diavolo custode, Adelphi, Privacy e
dignità dell'uomo. Una teoria della persona, Giappichelli, Plotino, Bompiani, Perché
punire. Il collasso della giustizia penale, Liberilibri, Introduzione a
Leibniz, Laterza, In tre giorni, Mursia,;
La filosofia, Marcovalerio, Kant Bergson. quotidiano Ideazione, il fatto quotidiano. 3del
portavoce dell'Opus Dei sulla non appartenenza alla Prelatura dell'Opus Dei, su
archive ostorico.corriere. Vittorio Mathieu. Mathieu. Keywords: al di la del
bene e del male, la fedelta ermeneutica, l’uomo animale ermeneutico, il
demoniaco, l’angelo custode, il demonio custode, il diavolo custode. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mathieu” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745480478/in/datetaken/
Grice e
Maturi – implicatura – filosofia italiana – l’io e l’altro – io e l’altro – i
duellisti -- Luigi Speranza (Amorosi). Filosofo. Grice: “There are two main
things I love about Maturi, and I hate it when philosophers just dismiss him as
an ‘Italian,’ or worse, ‘Neapolitan’ Hegelian – as when they refer to me as a
member of the Oxford school of ordinary language philosophy! The first is his
typically Neapolitan-hegelian school account of what he calls ‘autocoscienza
recognoscitiva,’ which is something I do take for granted in my conversational
theory of inter-ratiationality; the second is his elaboration of what he calls
the passage from the non-human animal to the ‘human-animal’ in a sort of
pirotological passage.” Grice: “What I like about him is that he considers each
‘stage’ as just as fundamental as the other; which implicates that actually the
‘higher’ stage has a ‘foundation’ on the previous one. Here ‘foundational’
makes perfect sense; and it gives Maturi an excuse to rather pompously label
the concept: ‘forma fondamentali’ of the ‘vita.’ It’s exactly like my soul
progression, -- which I explore in ‘Philosophy of Life.’” It is not surprising
that Gentile loved Maturi and forwarded his “Introduction to philosophy.” sDocente
prima nei licei e poi nell'Napoli. Dopo i primi studi nella cittadina natale,
si trasferì a Napoli ove conseguì la licenza liceale. La frequentazione di
Bertrando Spaventa e di Augusto Vera, lo introdusse alla filosofia
hegeliana destinata ad esercitare nel
suo pensiero un'influenza duratura.
Laureatosi in giurisprudenza, tre anni dopo vinse un concorso per
uditore giudiziario. Ottenuta
l'abilitazione, insegnò filosofia nei licei di varie città. Conseguita la
libera docenza, tenne corsi di filosofia hegeliana nell'Napoli quando ritornò
all'insegnamento liceale presso l'istituto Umberto I della città partenopea.
Inizia una corrispondenza con Croce e Gentile, i maggiori esponenti
dell'idealismo italiano, ai quali fu legato da un rapporto di amicizia. Saggi: “Soluzione
del problema fondamentale della filosofia” – Grice: “He implicates there is
one. Cf. Strawson, Solution to the problem of the king of France’s hair loss.” “Bruno.”
Grice: “Italians seem to have a predilection for philosophers who were burned.”
“L'ideale del pensiero umano; ossia, la esistenza assoluta di Dio.” Grice: “For
Kant, and my friend D. F. Pears, existence is not a predicate, for another of
my friends, J. F. Thomson, it is!” “Uno
sguardo generale sulle forme fondamentali della vita” Grice: “The key concept
is ‘forma fondamentale’ as applied to ‘vita.’ -- Grice: “My favourite is his description of
the ‘forma fondamentale’ of the ‘vita’ of the non-human animal to the ‘forma
fondamentale’ of the ‘vita’ of the human animal.” L'idea di Hegel. Grice: “When
I told Hardie that I was reading “The idea of Hegel,” he said, ‘what do you
mean, ‘of’?” “For Maturi, it’s the same, and it is delightful to see that he
can quote Hegel in ‘Deutsche’ without caring to translate! Them was the days
when European languages counted!” La filosofia e la metafisica” Grice: “The
‘and’ is aequivocal: cf. Durrell, “My family and the animals.”“Principî di
filosofia” (apparently by Spaventa – Maturi has an introduction to philosophy).
Grice: “I must confess that I love the word principle, but again, Hardie would
say, what do you mean ‘of’ – my principle of conversational helpfulness – or
when I speak of the principle of conversational self-love and the complementary
principle of conversational benevolence,” I’m not sure who I apply it to! The
conversationalist like me, I s’ppose.” “Una
relazione scolastica.” Grice: “He doesn’t mean Russell.” “But what he means is
a syllabus which is illustrative of Neapolitan Hegelianism!” Dizionario Biografico
degli Italiani, riferimenti in. Mario Dal Pra, Milano, Bocca, Guzzo, Brescia,
Morcelliana, A. Gisondi, Forme dell'Assoluto. Idealismo e filosofia tra Maturi,
Croce e Gentile, Soveria Mannelli, Rubbettino, G. Giovanni, "Filosofia
hegeliana e religione. Osservazioni", Benevento, ed. Natan,. Hegelismo Idealismo Neoidealismo italiano. G.
Calogero, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Sebastiano Maturi. Maturi. Keywords: implicature, Bruno, Vico, Aquino,
Spaventa, I duellisti, l'io e l’altro – riconoscimento, la dialettica del
signore e del servo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691410023/in/photolist-2mQoQhs-2mPXDFp-2mPLEqt-2mPKvMM-2mPxLC4-2mPkobg-2mNzeEc-2mNbwWj-2mLLZRD-2mLP9qE-2mLLwjC-2mLyVqx-2mKMZii-2mKTyvC-2mKw3hq-2mKbok1-2mPLygi-2mPHbXQ-2mJq2uE-E4u3XA
Grice e
Maturi – filosofia napoletana – filosofia italiana – Luigi Speranza -- (Napoli).
Filosofo. Grice: “People sometimes asks me how my intentionalist approach can
be applied to history. I always respond: Read Maturi!” Grice: “Maturi’s
‘Interpretazioni,’ thus in plural, ‘del risorgimento’ is a classic --.” Grice::
“Even in London, the risorgimento had at least two interpretations! One in
Woolwich, and another one elsewhere! And there is possibly a gender distinction
too with “Speranza,” Wilde’s mother, being somewhat fanatic about it!” – Compe la
sua formazione culturale a Napoli dove si laureò con Schipa, uno dei firmatari
del manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Croce. Del suo
maestro, per la lezione di rigore che gli aveva impartito, Maturi conservò un
commosso ricordo ed ebbe modo di esprimere pubblicamente la sua gratitudine in
occasione della morte di Schipa, pronunciandone il necrologio. Seguì con
attenzione ed interesse, ma anche con spirito critico, le lezioni di Croce
conseguendo una laurea in filosofia con Gentile con una tesi su Maistre.
Impostato sulla lezione crociana è il saggio “La crisi della storiografia
politica italiana” a cui seguì quello dedicato a Gli studi di storia moderna e
contemporanea, inserito nel primo dei due volumi dell'opera del “La vita
intellettuale italiana.” Il suo primo lavoro Il concordato tra la Santa Sede e
le Due Sicilie pubblicato fu giudicato positivamente dalla critica s di Omodeo
che lo recensì ne La Critica. Frequenta la Scuola storica per l'età moderna e
contemporanea diretta da Volpe e fu segretario e bibliotecario dell'Istituto
storico per l'età moderna e contemporanea. Fu collaboratore
dell'Enciclopedia italiana per la quale scrisse numerose voci tra le quali
quella dedicata al "Risorgimento" ispirata alle sue idee liberali.
A causa di questo episodio, nonostante il suo disinteresse per la vita politica
attiva, fu allontanato dall'Istituto storico per l'età moderna e
contemporanea. Nei suoi saggi di storia politica i suoi punti di
riferimento sono Croce, Meinecke, Salvemini, e Volpe. Dapprima come
incaricato di storia del ri-sorgimento e poi come ordinario tenne le sue
lezioni a Pisa dove ha modo di scrivere numerosi saggi come alcune importanti
voci nel Dizionario di politica a cura del Partito nazionale fascista, il
saggio Partiti politici e correnti di pensiero nel Risorgimento, e l'accurata
biografia Il principe di Canosa. I corsi di storia della storiografia tenuti a
Pisa furono continuati a Torino quando ha la cattedra di Storia del Risorgimento
e quella di Storia delle dottrine politiche che occupa sino alla sua
inaspettata scomparsa. Le sue lezioni di quest'ultimo periodo furono
raccolte nell'opera postuma Interpretazioni del Risorgimento considerata di
primaria importanza dagli storici. Saggi: “Interpretazioni del
Risorgimento, coll. Biblioteca di cultura storica Einaudi,'Enciclopedia
italiana, Accademia delle scienze di Torino, In memoria, Istituto per la storia
del Risorgimento italiano, Roma 1Interpretazioni storiografiche del Risorgimento.
Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Walter Maturi.
Maturi. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Maurizi – la vendetta di Bacco – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo. Grice: “I like Maurizi; of
course his ‘vendetta di Bacco’ makes sense only in the context of Nietzsche’s
rather recherché dichotomy!” – Grice: “His idea of the ‘suspected ‘I’’ is good,
but he is not, as I was, having in mind Reid, but Freud!” Si è laureato in
filosofia della storia presso l'Università degli Studi di Roma "Tor
Vergata" e ha conseguito il dottorato di ricerca nella medesima università
discutendo una tesi su Cusano e il concetto di non altro da cui è nato il
volume La nostalgia del totalmente non altro. Cusano e la genesi della
modernità (Rubbettino). Dopo un periodo di formazione in Germania attualmente
svolge la sua attività di ricerca presso l'Università degli Studi di Bergamo.
Pubblica le sue ricerche su alcune prestigiose riviste come la Rivista di
filosofia neo-scolastica, il Journal of Critical Animal Studies, Dialegesthai,
Alfabeta, Lettera Internazionale, e collaborando, inoltre, con i quotidiani
Liberazione e L'Osservatore Romano. Ha poi partecipato alla stesura del secondo
volume di L'Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico (Jaca Book, )
ed è il traduttore e curatore dell'edizione italiana di Georg Lukács, Coscienza
di classe e storia. Codismo e dialettica, Alegre, Roma di Ralph Acampora,
Fenomenologia della Compassione, Edizioni Sonda, Casale Monferrato,, e ha
tradotto, con G. Dalmasso, Derrida,
Teoria e prassi. Corso dell'École Normale Supérieure Jaca Book, Milano,. Ha contribuito
alla fondazione delle riviste scientifiche "Liberazioni" e Animal
Studies. Rivista italiana di antispecismo. Pensiero Maurizi ha suddiviso
i suoi interessi di ricerca tra la filosofia dialettica (Cusano, Hegel, Marx,
Adorno), la teoria critica della società e le implicazioni politiche di una
visione "sociale" dell'antispecismo a partire da una rielaborazione
del pensiero della scuola di Francoforte. Tanto le sue ricerche su Adorno,
quanto quelle su Cusano si incentrano sul tentativo di porre in evidenza il
tema della storicità dell'umano non in termini di un astratto e formale
"essere-nel-tempo", quanto più propriamente nel vedere nell'essere
storico, in tutta la sua determinatezza, l'irriducibile istanza di verità
dell'umano stesso: l'essere storico è in tal senso irriducibile ad ogni
ontologia dell'essere temporale seppure ciò non porti necessariamente ad un
relativismo storicista. Prendendo spunto dalla lettura critico-negativa di
Hegel portata avanti da Adorno, infatti, Maurizi sostiene la leggibilità e
razionalità della storia come segno del dominio, l'universale storico non come
traccia di un positivo che si farebbe strada attraverso il negativo delle
vicende umane, bensì come questo stesso negativo che informa di sé la civiltà,
imprimendo ad essa la direttrice di un progresso della razionalità strumentale
che è l'antitesi della redenzione. La sua rilettura del pensiero della
filosofia di Francoforte ha così costituito un punto di partenza per una
ridefinizione dell'opposizione natura/cultura e lo ha portato ad estendere la
critica ai meccanismi di dominio anche al controllo e allo sfruttamento del non
umano, e più in generale della Natura. Il suo pensiero riguardo alla filosofia
antispecista è in continuità con quello espresso dal sociologo David Nibert ed
in netta opposizione all'utilitarismo di Peter Singer criticato da Maurizi come
un antispecista metafisico. Un punto centrale nell'argomentazione filosofica di
Marco Maurizi, che rende originale il suo lavoro rispetto a quello degli altri
teorici dei diritti animali, riguarda l'interpretazione in termini
storico-sociali dello specismo. Ogni attività intellettuale «antispecista»,
secondo Maurizi, consiste quindi essenzialmente nel fare propria questa scelta
di campo: sottolineare come la questione animale sia un aspetto irrinunciabile
di ogni ipotesi di trasformazione dell'esistente. Secondo Maurizi
l'antispecismo è dunque essenzialmente politico
e non possiamo affrontare, come fanno Peter Singer o Tom Regan, la
questione animale da una prospettiva astrattamente morale. All'attività di
filosofo, Maurizi ha così affiancato quella di attivista per i diritti animali,
intrecciando l'attività speculativa con quella politica; risultato di questa
attività è il libro Al di là della Natura: gli animali, il capitale e la
libertà (Novalogos, ). Maurizi è stato inoltre fondatore delle riviste di
critica antispecista Liberazioni e Animal Studies, della rivista online Asinus
Novus che prende il nome dal suo breve testo Asinus Novus: lettere dal carcere
dell'umanità (Ortica, ). Nel
l'associazione Per Animalia Veritas raccoglie alcuni suoi scritti che
rappresentano un sunto aggiornato del suo pensiero sulla filosofia
antispecista: Cos'è l'antispecismo politico (Per Animalia Veritas, ). Sulla
scia delle riflessioni adorniane, Maurizi ha anche lavorato sulla filosofia
della musica e la teoria critica musicale. Le sue teorie sull'antispecismo
politico sono abbondantemente discusse nel libro di Lorenzo Guadagnucci
Restiamo Animali: vivere vegan è una questione di giustizia (Terre di Mezzo, ),
da Matthias Rude Antispeziesismus. Die Befreiung von Mensch und Tier in der
Tierrechtsbewegung und der Linken (Schmetterling, Stuttgart ) e altri autori
della scena antispecista di lingua tedesca. Saggi: “Il tempo del non-identico,”
Jaca); “La nostalgia del totalmente non altro” – La genesi della modernità,
Rubettino, “Al di là della natura: gli animali, il capitale e la libertà,”
Novalogos, “Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità,” Ortica, “Cos'è
l'anti-specismo?” Per animalia veritas, “L'io sospeso: l'immaginario tra
psicanalisi e sociologia, Jaca, Grice: “This reminds me of my fantasies on ‘I’
– “The suspected I’ is a genial phrase!” -- “Chimere e passaggi” Mimesis, “Altra
specie di politica, Mimesis, “Musica per il pensiero. Filosofia del
progressive” -- Mincione, “La vendetta di Dioniso” -- la musica contemporanea da Schönberg ai
Nirvana, Jaca, “Quanto lucente la tua in-esistenza” --- L'Ottobre, il
Sessantotto e il socialismo che viene, Jaca. Intervento di M. Maurizi su questi
temi per la Casa della Cultura di Milano: youtube.com/watch?v= ZNfJrRx-7fo Intervista su questo tema a cura del
collettivo Tierrechtsgruppe Zürich (Zurigo) M. Maurizi La genesi dell'ideologia
specista in Liberazioni:/ M. Maurizi Per una cultura antispecista in Asinus
Novus: rivista di antispecismo e filosofia: Copia archiviata, su
asinusnovus.wordpress.com. Intervento M. Maurizi per il primo convegno
nazionale antispecista: youtube.com/watch?v=JwZiW4ngrag Intervista a M. Maurizi e L. Caffo sulle
nuove prospettive dell'animalismo: youtube Testo recensito da L. Pigliucci per
la rivista "Lo Straniero" di Aprile: Copia archiviata, su
asinusnovus.wordpress.com.Intervista di F. Pullia sul quotidiano "Notizie
Radicali" Una recensione del testo: Copia archiviata, su
asinusnovus.wordpress B. Le GocM. Maurizi, Musica per il pensiero. Filosofia
del progressive italiano, Mincione, Roma.
Antispecismo Diritti degli animali Scuola di Francoforte. Asinus Novus.
Antispecismo e Filosofia, su asinusnovus.net. Animal Studies. Rivista Italiana
di Antispecismo, su rivistaanimalstudies.wordpress.com. Marco Maurizi. Maurizi.
Keywords: la vendetta di Bacco -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maurizi” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703667269/in/photolist-2mQwYd8-2mQtcUw-2mQkxxa-2mQjVch-2mQaKxF-2mPYYve-2mPyW8A-2mPyn68-2mPrb68-2mNzeEc-2mLLY7G-2mLQdrQ-2mKFrQ6-2mLSNX8-2mLGRht-2mLMaMX-2mLGjg5-2mKPS8q-2mKC3nj-2mKuZ8r-2mKDA5r-2mPoBGn-2mKAuZM-2mGT6p1-2mGnP2f-E58e4H-DeWyrT-AJp6ja-mukgnR-mumBeo-mujH18-AKkszP-AKm2wa-iaPpsv-BfCsgw-A71D2h-BxbiQ5-iaPo9Z-iaP9LN
Grice e
Mazzarella – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo. Grice: “I love Mazzarella’s ‘necessary word’ – not precisely what I
was thinking when philosophising about conversation, but for Mazzarella, the
conversational motivation is to HELP in the most authentic fashion – Compared
to his ‘parola necessaria,’ my principle of conversational helpfulness, while
based in part in the desideratum of conversational benevolence, looks pretty
lame!” -- Grice: “I like Mazzarella. The fuss he makes in translating
Heidegger, whom I have elsewhere called ‘the greatest living philosopher’ – he
was living then –.” Grice: “Mazzarella, who is relying on somebody else’s
translation, is especially focused on Heidegger’s Latinate ‘fakt.’ From ‘Fakt,’
Heidegger gets an abstract noun. But he also uses the Germanic for ‘deed.’
Relying on the cognateness of ‘fakt’ with ‘fatto’ – cognate itself with
‘effetto,’ Mazarella agrees that the translation goes from ‘factivity’ to
‘effectivity.’ And it should inspire all philosophers into seeing how similar
these two concepts are – if indeed two concepts they are, seeing that they come
from the same Roman root! But Mazzarella would know that – you wouldn’t!” – Professore a Napoli, è tra i principali interpreti di Heidegger.
Deputato al Parlamento nella XVI Legislatura per il Partito Democratico. Dopo essersi laureato presso l'Università
degli Studi di Napoli “Federico II” con Masullo, inizia la sua attività di
ricerca come borsista DAAD in Germania, e successivamente presso l'Salerno. In
seguito è professore incaricato di Estetica presso l'Università dell'Aquila.
Dopo essere stato professore associato di Filosofia Teoretica presso l'Catania
e di Filosofia della storia presso l'Napoli “Federico II”, diventa professore
straordinario di Storia della filosofia presso la Facoltà di Magistero
dell'Salerno e dal 1993 Professore di Filosofia Teoretica presso l'Napoli “Federico
II”. Dirige il Dottorato di Ricerca in “Scienze Filosofiche” dell'Napoli “Federico
II” e cura la programmazione e le relazioni internazionali per la Facoltà di
Lettere e Filosofia, di cui è Preside dal 2005 al 2008. Nel 2008 viene eletto
deputato del Parlamento italiano, divenendo componente della VII Commissione
Cultura della Camera. Opere In una delle
sue opere principali, Tecnica e Metafisica. Saggio su Heidegger, Mazzarella
indaga i processi decostruttivo-ermeneutici sottintesi all'heideggeriana storia
della metafisica occidentale, fino a formulare un'ipotesi
"ecologica"(in senso originario, come pensiero relativo all'abitare
dell'uomo) relativa alle interpretazioni del "logos" eracliteo e
della categoria aristotelica della "physis" riscontrate nei saggi
successivi alla cosiddetta "svolta" del pensiero di Heidegger. In Vie d'uscita. L'identità umana come
programma stazionario metafisico, le aporie di una metafisica del fondamento
sono affiancate alla dimensione tecnica della contemporaneità, intesa
storicisticamente come epoca del compimento del nichilismo. Centrale diventa
l'idea di un "essere-alla-vita", categoria che richiama in modo
lampante l'"essere-nel-mondo" di heideggeriana memoria; le questioni
teoretiche vengono così ridotte a questioni etiche riguardanti un'ontologia
minima, ove la filosofia prima si trasformi in filosofia seconda, lasciando il
posto ad un programma metafisico-antropologico di custodia e mantenimento della
e nella propria epoca. L'essere-alla-vita necessita di intendere la cultura
come “endiadi di natura e storia, ma in questa endiadi natura prima ancora che
storia”. Pensare e credere. Tre scritti
cristiani rappresenta un altro orizzonte del pensiero di Mazzarella; il
rapporto tra religione rivelata e filosofia si gioca sullo sfondo di una prospettiva
storicista di matrice diltheyana, sebbene non siano esenti dalla riflessione
Hegel, Schelling e la teologia dialettica contemporanea. Interessante è la
prospettiva di una religione come "integrazione" e apertura all'amore
fraterno, configurato nel concetto di "agape". I suoi scritti sono in ogni caso
contrassegnati, com'è tipico della recente scuola di pensiero napoletana, sorta
sulla scia delle dottrine di Croce, da una ripresa di temi propri dello
storicismo (Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia della vita). In un dialogo costante con i teologi più
liberali e moderni, quale ad es. Bruno Forte, Mazzarella si è occupato
specificamente dei temi della bioetica, coniugando il tema della tutela della
vita alla ripresa del concetto di sacralità (Sacralità e vita). In Opera media ha inoltre messo in luce un
talento poetico non indifferente, che gli è valso l'apprezzamento della critica
e diversi riconoscimenti. Ha composto quattro raccolte di poesie, e pubblicato
singoli componimenti in diverse antologie.Finalista al Premio di poesia “Città
di Vita”, Firenze, e nel 1999 ha vinto il Premio Speciale “La finestra” al
Premio Nazionale di poesia “Alessandro Tanzi” perUn mondo ordinato. Saggi: “Tecnica e metafisica” -- saggio su Heidegger
(Guida, Napoli); “Nietzsche e la storia: ontologia della vita” (Guida, Napoli);
“Storia metafisica ontologia” -- Per una storia della metafisica” (Morano,
Napoli, -- Grice: “What Mazzarella is proposing is what I did for the BBC: a
history of metaphysics; philosophical tutees are too accustomed to ‘history of
philosophy,’ but surely each branch requires a separate history! “storia della
metafisica” does just that!” – “storia della semantica” hardly sounds as sexy,
and “storia della pragmatica” sounds repugnantly academese!” -- “Ermeneutica dell'effettività” -- Prospettive
ontiche dell'ontologia” (Guida, Napoli, -- Grice: “Note that Mazzarella is
exploring the ‘effectivity,’ not the ‘affectivity’ – ex-fecto, not ad-fecto – “Filosofia
e teo-logia” -- di fronte a Cristo (Cronopio,
Napoli); “Sacralità” -- e vita, Quale etica per la bio-etica? (Guida, Napoli); Heidegger
oggi, E. Mazzarella, Mulino, Bologna, “Pensare e credere” Morcelliana, Brescia,
“Vie d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico” (Melangolo,
Genova); Opera media. Poesie, Melangolo, Genova, Lirica e filosofia,
Morcelliana, Brescia, Vita Politica Valori. Sensibilità individuali e sentire
comunitario, Guida, Napoli, “Anima madre,” Art studio Paparo, Napoli, “L'uomo
che deve rimanere,” Quodlibet, Macerata,. S. Venezia, Nota bio-bibliografica,
in Amato, M. T. Catena, N. Russo, L'ethos teoretico. Scritti in onore di
Eugenio Mazzarella265, Napoli, Guida, Archivio
degli articoli di Eugenio Mazzarella nel sito "ilsussidario.net".
Curriculum vitae, pubblicazioni e attività di ricerca nel sito dell'Università
degli Studi di Napoli Federico II, su docenti.unina. Grice: “The fact that he
calls himself a Christian has me calling him a NON-PHILOSOPHER!” -- Mazzarella.
Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzarellla” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692028975/in/photolist-2mPsXiB-2mKRahT
Grice e Mazzei – implicatura –
filosofia italiana – filosofia toscana – filosofia fiorentina -- Luigi Speranza
(Poggio a Caiano).
Filosofo. Grice: “Not every philosopher has a city,
‘Colle,’ named after him!” -- Grice: “I like Mazzei; he is hardly a
philosopher, but the Italians consider among the ‘filosofi italiani,’ – there
is a good wine, “Mazzei,” since Mazzei, when travelling to the Americas,
transplanted a grape from his paese – the descendants still grow it! In oltre,
he was influential in the ‘risorgimento’!” -- essential Italian philosopher.Massone
e cadetto di una nobile famiglia toscana di viticoltori, probabilmente
risalente all'XI secolo e ancora esistente nel XXI secolo, fu personaggio
energico ed eclettico, illuminista, promulgatore delle libertà individuali, dei
diritti civili e della tolleranza religiosa. Visse una vita avventurosa e
movimentata, con alterne fortune economiche. Sebbene sia sconosciuto al
grande pubblico, partecipò attivamente alla guerra d'indipendenza americana
come agente mediatore all'acquisto di armi per la Virginia, ed è ritenuto dagli
storici uno dei padri della Dichiarazione d'Indipendenza americana, in quanto
intimo amico dei primi cinque presidenti statunitensi: George Washington, John
Adams, James Madison, James Monroe e soprattutto Thomas Jefferson, di cui fu ispiratore,
vicino di casa, socio in affari e con cui rimase in contatto epistolare fino
alla morte. Iniziato alla Massoneria, fu poi spettatore privilegiato
della rivoluzione francese. La sua figura storica è riemersa alla fine Professoregrazie
all'infittirsi degli studi accademici in occasione del bicentenario della
rivoluzione americana, fino ad essere onorato in occasione del 250º
anniversario della sua nascita nel 1980 con un'emissione filatelica congiunta
speciale delle poste italiane e statunitensi. Dopo gli studi
compiuti tra Prato e Firenze, nel 1752, in seguito a dissapori con il fratello
maggiore Jacopo sulla gestione del patrimonio familiare, si stabilì a Pisa e
poi a Livorno, intraprendendo con successo l'attività di medico. Dopo solo due
anni lasciò la città e si trasferì a Smirne (Turchia) come chirurgo a seguito di
un medico locale. Gunse a Londra dove, dopo un iniziale periodo irto di
difficoltà economiche che lo vide arrangiarsi con l'insegnamento dell'italiano,
riuscì nel corso dei tre lustri successivi ad arricchirsi con il commercio dei
prodotti mediterranei, principalmente del vino, inserendosi lentamente nei
salotti dell'alta borghesia londinese. Una breve parentesi italiana si
concluse con un precipitoso ritorno in Inghilterra, a seguito di una denuncia
al tribunale dell’Inquisizione per “importazione di libri proibiti”.
L'illuminismo e le idee di libertà religiosa che animavano il Mazzei, ben
tollerate nella Londra di fine XVIII secolo, erano ancora tabù nella realtà
italiana. La Rivoluzione americana In questi circoli londinesi Filippo
Mazzei conobbe Benjamin Franklin e Thomas Adams, che da lì a pochi anni
sarebbero stati tra i protagonisti della rivoluzione americana. Le
colonie americane si autogovernavano, perlomeno sulle questioni locali, tramite
assemblee di delegati liberamente eletti dai capifamiglia, e l'ordinamento
giuridico era ispirato al meglio della legislazione inglese, che pure in quegli
anni era probabilmente la più avanzata, garantista e liberale che esistesse.
Invitato dagli amici d'oltreoceano, spinto sia dalla curiosità dell'inedita
forma di governo, ma soprattutto dalla disponibilità di terre e quindi dalla
prospettiva di impiantare nel nuovo mondo coltivazioni mediterranee, Mazzei si
trasferì in Virginia, con al seguito un gruppo di agricoltori toscani. A lui si
unirono anche una vedova Maria Martin, che egli sposò nel 1778, e l'amico Carlo
Bellini che tra il 1779 e il 1803 sarebbe divenuto il primo insegnante di
italiano in un'università americana, il College of William and Mary in
Virginia. Inizialmente diretto in altro sito, Mazzei si fermò presso la
tenuta di Monticello per incontrare Thomas Jefferson, con il quale già
intratteneva rapporti epistolari e vantava amicizie comuni, e fu da lui convinto
a trattenersi in loco, arrivando a cedere circa 0,75 km² della sua tenuta in
favore dell'italiano. Da questa cessione nacque la tenuta di Colle (il nome
deriva da Colle di Val d'Elsa, perché il Mazzei aveva preso ad esempio la
campagna attorno alla città toscana), successivamente ampliata. Lo univa a
Jefferson un sodalizio commerciale, con il primo impianto di una vigna nella
colonia della Virginia, ma soprattutto un sodalizio intellettuale, frutto di
una comune visione politica e di ideali condivisi, che si sarebbe protratto per
oltre 40 anni. Il livello delle frequentazioni americane trascinò
velocemente Mazzei, arrivato con mere intenzioni imprenditoriali, nella vita
politica della ribollente colonia della Virginia. Fu autore di veementi libelli
contro l'opprimente dominazione inglese, inneggianti alla libertà ed
all'uguaglianza. Alcuni di questi scritti furono tradotti in inglese dallo
stesso Jefferson, che rimase influenzato da tali ideali, tanto da ritrovare
successivamente alcune frasi di Mazzei trasposte nella Dichiarazione
d'indipendenza degli Stati Uniti d'America. Eletto speaker dell'assemblea
parrocchiale dopo solo sei mesi dal suo arrivo in Virginia, ebbe modo di
esporre le sue idee sulla libertà religiosa e politica a un vasto oratorio,
composto anche di persone umili e ignoranti, che lo ascoltavano assorte. Un suo
scritto, Instructions of the Freeholders of Albemarle County to their Delegates
in Convention, redatto come istruzioni per i delegati della contea di Albemarle
alla convenzione autoconvocatasi dopo lo scioglimento forzato dell'assemblea
della Virginia imposto dal governatore inglese, fu utilizzato da Jefferson come
bozza per il primo tentativo di scrittura della costituzione dello Stato della
Virginia. La sua affermazione politica seguiva di pari passo i rovesci
economici, perché il clima e il terreno della Virginia non si erano dimostrati
particolarmente graditi a vite e olivo, e nel 1774 un'eccezionale gelata aveva
distrutto buona parte delle stentate coltivazioni impiantate con tanta
fatica. Naturalizzato cittadino della Virginia, volontario delle prime
ore nella guerra d'indipendenza americana, e inviato in Europa da Jefferson e
Madison per cercare prestiti, acquistareo meglio, contrabbandarearmi e ottenere
informazioni politiche e militari utili alla nascente nazione. In questo
periodo scrisse articoli, fece interventi pubblici e cercò di avviare rapporti
commerciali e politici tra gli Stati europei e la Virginia. Per tali servizi fu
ufficialmente retribuito dallo Stato dell Virginia. Rientrato in Virginia
nel 1783, con suo grande disappunto non fu nominato console. Ricevette
I'incarico di amministratore della contea di Albemarle, ma solo due anni dopo
nel 1785 lasciò per l'ultima volta il suolo americano, mantenendo comunque contatti
epistolari con molti di quelli che sono definiti “padri della patria”
statunitensi e in particolare con Jefferson, che ebbe modo di reincontrare
successivamente a Parigi. Sua moglie rimase fino alla sua morte alla tenuta del
Colle, che Mazzei aveva donato alla figliastra, Margherita Maria Martini e al
di lei marito, il francese Justin Pierre Plumard, Comte De Rieux. La
Rivoluzione francese e le vicende europee Targa a Pisa, sulla casa in cui
morì/ A Parigi pubblicò una voluminosa opera in quattro volumi Recherches
historiques et politiques sur les États-Unis de l'Amérique Septentrionale. Si
trattava della prima storia della rivoluzione americana pubblicata in francese.
L'opera è tuttora una preziosa fonte di informazioni sul movimento che innescò
la rivoluzione americana. Il successo del libro e la notorietà delle sue
idee, uniti alla costante attività di propaganda a favore dei neonati Stati
Uniti d'America, lo fece venire in contatto con re Stanislao Augusto di
Polonia, illuminato sovrano liberale, di cui divenne prima consigliere e poi
rappresentante a Parigi. Da questa posizione privilegiata poté seguire la
rivoluzione francese, di cui condannò la deriva giacobina. Preso atto della
rovina economica, nel 1791 si trasferì a Varsavia, assumendo la cittadinanza
polacca e contribuendo alla stesura della costituzione. Dopo un anno
passato a Varsavia, a seguito della spartizione della Polonia nel 1792 rientrò
definitivamente in Toscana, stabilendosi a Pisa. Lì sposa Antonina Tonini, da
cui ebbe una figlia, Elisabetta. E testimone dell'arrivo delle truppe
repubblicane francesi a Pisa e poi della loro cacciata, e fu coinvolto pur
senza danni nei successivi processi intentati dal bargello ai liberali pisani
che si riunivano durante la breve occupazione al Caffè dell'Ussero sul
lungarno. Ultimi anni Mazzei visse quietamente altri 17 anni,
dedicandosi ai propri studi di orticoltura e limitandosi a frequentare una
ristretta cerchia di salotti praticati da giovani liberali, di cui era ispiratore.
In conseguenza del dissolvimento della Polonia operata da Russia e Prussia nel
1795, lo zar Alessandro I si accollò i debiti della corte polacca e Mazzei poté
fruire di un vitalizio. Mazzei rimase sempre nostalgico della Virginia e dei
suoi amici americani, che ne auspicavano il ritorno e con i quali mai
interruppe il contatto epistolare. Nonostante i ripetuti progetti di un viaggio
in America, Mazzei non fu mai capace di affrontare questa nuova avventura. Ebbe
modo di assistere all'ascesa e alla caduta di Napoleone Bonaparte e scrisse le
proprie memorie, pubblicate nel 1848, oltre trent'anni dopo la sua morte a
Pisa. Saggi: “Stanislao Re di Polonia” (Roma:
Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea); “Ricerche
storiche sull’America” (Firenze, Ponte
alle Grazie); “Memorie” Gino Capponi, Lugano, Tip. della Svizzera Italiana); “Del
commercio della seta fatto in Inghilterra dalla Compagnia delle Indie
Orientali” S. Gelli, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano); “Le
istruzioni per i delegati alla convenzione” (Firenze, Morgana); “Opere di suor
Margherita Marchione “Scelta di scritti e lettere,”“Agente di Virginia durante
la rivoluzione americana” “Agente del Re di Polonia durante la Rivoluzione
Francese”“La vita avventurosa di FilMazzei, Cassa di Risparmi e Depositi,
Prato. Marchione Margherita: La vita avventurosa Marchione Margherita, Curiosità.A
inizio degli anni 2000, fra alcuni intellettuali toscani appassionati della sua
figura è circolata la speculazione che Mazzei potrebbe aver ispirato persino la
bandiera statunitense, adottata dal Congresso un anno dopo la Dichiarazione d'Indipendenza.
La suggestione nasce dall'importanza che l'alternanza dei colori rosso e bianco
ha nell'araldica toscana e non solo e di cui un esempio famoso è l'insegna di
Ugo di Toscana. Potrebbe forse aver discusso anche di araldica con gl’americani.
Le radici storiche della bandiera americana sono, in realtà, nella Grand Union
Flag. In suo ricordo è stato istituito il premio The Bridge. La cerimonia
è stata istituita a Roma per celebrare un toscano che insieme ai padri
costituenti degli Stati Uniti d'America da vita alla stesura della
dichiarazione d'indipendenza. Sua era la frase. Tutti gli uomini sono per
natura liberi ed indipendenti. Paolo Russo, Nasce a Firenze un museo che
racconta la massoneria, in La Repubblica, Firenze, Riferito al museo dedicato
alla storia della Massoneria in Italia.
Premio. Dalla Toscana all'America: il suo contributo, Poggio a Caiano,
Comune di Poggio a Caiano, Becattini Massimo, Mercante italiano a Londra, Poggio
a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Bolognesi Andrea, L. Corsetti, L. Stadio,
Mostra di cimeli e scritti, catalogo della mostra a cura di, Poggio a Caiano,
palazzo Comunale, Comune di Poggio a Caiano. Camajani Guelfo Guelfi, un
illustre Toscano: medico, agricoltore, scrittore, giornalista, diplomatico,
Firenze, Associazione Toscani, Ciampini Raffaele, Lettere alla corte di Polonia
Bologna: N. Zanichelli, Corsetti Luigi, Gradi Renzo, Avventuriero della Libertà,
con scritti di Margherita Marchione e E. Tortarolo, Poggio a Caiano, C.I.C.
Associazione Culturale "Ardengo Soffici", Di Stadio Luigi, Tra
pubblico e privato. Raccolta di documenti inediti, Poggio a Caiano, Biblioteca
Comunale di Poggio a Caiano, Fazzini Gianni, "Il gentiluomo dei tre
mondi", Roma: Gaffi, Gerosa Guido, Il fiorentino che fece l'America. Vita
e avventure Milano, Sugar, Gradi Renzo, Un bastimento carico di Roba bestie e
uomini in un manoscritto, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Gradi
Renzo, Parigi: Scritti e memorie, Comune di Poggio a Caiano, Gullace Giovanni,
Figure dimenticate dell'indipendenza, Francesco Vigo, Roma: Il Veltro, Masini
Giancarlo, Gori Iacopo, L'America fu concepita a Firenze, Firenze:
Bonechi,Tognetti Burigana Sara, Tra riformismo illuminato e dispotismo
napoleonico; esperienze del cittadino americano, Roma, Edizioni di Storia e letteratura,
Tortarolo Edoardo, Illuminismo e Rivoluzioni. Biografia politica di Filippo
Mazzei, Milano, Angeli, Witold Łukaszewicz, Filippo Mazzei, Giuseppe Mazzini;
saggi sui rapporti italo-polacchi Abolizionismo Rivoluzione americana
Rivoluzione francese Benjamin Franklin Patrick Henry Thomas Jefferson George
Mason James Monroe William Paca Stanisław August Poniatowski Padri fondatori
degli Stati Uniti d'America Italo-Americani Dichiarazione d'indipendenza degli Stati
Uniti. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana su siusa.archivi.beniculturali,
Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Thomas Jefferson, e Francis Vigo (video), su
youtube.com. Thomas Jefferson Encyclopedia, su monticello. org. Il circolo
Filippo Mazzei Pisa, su circolo filippomazzei.net. Mazzei, chi era costui?, su mltoscana. blogspot.com.
Clan Libertario Toscano Filippo Mazzei, su mltoscana. blogspot.com. Il circolo
Filippo Mazzei, su geocities. com. Carteggio Thomas Jefferson Mazzei, I
processi contro ed i liberali pisani, su
idr.unipi. Monticello the home of Thomas Jefferson, su monticello.org. famous americans. net. Another Site about
P.Mazzei and other famous Italian American, su Cleveland memory.org. Mazzei, Thomas Jefferson e gli scultori
carraresi per la costruzione del Campidoglio degli Stati Uniti di Nicola Guerra
su farefuturofondazione. premio Filippo mazzei. com. Memorie della vita e delle
peregrinazioni del fiorentino. Grice: “The more
Italian historians of philosophy, in their pretentiously and fake patriotic
prose, keep referring to this or that as ‘un illustre toscano’, the less I am
leaned to see Mazzei as ITALIAN at all!” – Paeseism with a vengeance!” – Grice:
“As a Brit, I find Mazzei a traitor – to his country, and to mine!” -- Filippo
Mazzei. Mazzei. Keywords: implicature, mazzei wine, vino mazzei, la rivoluzione
del nuovo mondo. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mazzei," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702189377/in/photolist-2mLKeCe-2mKgL97
Grice e
Mazzini – la giovine italia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova).
Filosofo. Grice: “Of course it is difficult for an
Italian philosopher to approach the philosophy of Mazzini cooly; it would be
like me approaching the philosophy of Horatio Nelson!” – Grice: “I’ve found ‘Il
pensiero filosofico di Giuseppe Mazzini’ quite helpful – the equivalent would
be the pretentious sounding, “The philosophical thought of Sir Winston
Churchill,’ say!” -- Grice: “Luigi
Speranza loves to cherish the fact that an old street in Woolwich, of all
places, is named after him, in a way ‘Speranza,’ just because Garibaldi
visited!” Grice: “Luigi Speranza also cherishes the fact that Lady Wilde
preferred ‘Speranza’ just to defend Mazzini!” Esponente di punta del
patriottismo risorgimentale, le sue idee e la sua azione politica contribusceno
in maniera decisiva alla nascita dello STATO UNITARIO ITALIANO. Le condanne
subite in diversi tribunali d'Italia lo costringeno però alla latitanza fino
alla morte. Le teorie mazziniane sono di grande importanza nella definizione
dei moderni movimenti europei per l'affermazione della democrazia attraverso la
forma repubblicana dello stato. Nacque a Genova, allora capoluogo dell'omonimo
dipartimento francese costituito da parte del regime di Bonaparte. Il padre,
Giacomo, e medico e docente universitario d'anatomia originario di Chiavari,
una cittadina del Tigullio all'epoca capoluogo del dipartimento francese degli
Appennini, successivamente parte della provincia di Genova, figura
politicamente attiva nella scena pubblica locale, sia durante l'epoca della
precedente repubblica ligure, sia, in tempi successivi, dell'Impero
napoleonico. Alla madre, Maria Drago, una fervente giansenista originaria di Pegli,
un comune autonomo, accorpato nel comune di Genova, fu molto legato per tutta
la vita. Affettuosamente chiamato "Pippo" dalla famiglia, una volta
terminati gli studi superiori presso il cittadino Liceo classico Cristoforo
Colombo, si iscrisse a Genova. Si segnala per la sua ribellione ai regolamenti
di stampo religioso che imponeno di andare a messa e di confessarsi. E arrestato
perché, proprio in chiesa, si rifiuta di lasciare il posto a un generale
austriaco. Lo appassiona la letteratura: si innamorò delle letture di Goethe,
Shakespeare e Foscolo (pur senza condividerne la filosofia materialista),
restando così colpito dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis da volersi vestire
sempre di nero, in segno di lutto per la patria oppressa. La passione per
la letteratura, insieme a quella per la musica (e un abile suonatore di
chitarra), la ha per tutta la vita:
oltre agli autori citati, lesse Dante, Schiller, Alfieri, i grandi poeti
romantici come Byron, Shelley, Keats, Wordsworth, Coleridge e i narratori come Dumas
padre e le sorelle Brontë. Ha il suo trauma rivelatore. Al passaggio a Genova
dei federati piemontesi reduci dal loro tentativo di rivolta, si affacciò in
lui il pensiero che si puo, e quindi si deve, lottare per la libertà della patria.
Cominciò ad esercitare la professione nello studio di un avvocato, ma
l'attività che lo impegnava era quella di giornalista presso l'Indicatore
genovese, sul quale inizia a pubblicare recensioni di saggi patriottici. La
censura lascia fare per un po', ma poi soppresse il giornale. Compone il
saggio, “Dell'amor patrio d’Aligheri”. Ottenne la laurea “in utroque iure”.
Entra nella carboneria, della quale divenne segretario in Valtellina. Ho
a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d'accordo
tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un
brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta,
ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante,
infaticabile come un innamorato, il quale ha nome: Giuseppe Mazzini. (Klemens
von Metternich, Memorie ed. Bonacci). Per la sua attività cospirativa e
arrestato su ordine di Felice di Savoia e detenuto a Savona nella Fortezza del
Priamar. Durante la detenzione idea e formula il programma di un nuovo
movimento politico chiamato “Giovine Italia” che, dopo essere stato liberato
per mancanza di prove, presenta e organizzò a Marsiglia dove e costretto a
rifugiarsi in esilio. I motti dell'associazione erano Dio e popolo e unione,
forza e libertà e il suo scopo era l'unione degli stati italiani in un'unica
repubblica con un governo centrale quale sola condizione possibile per la
liberazione del popolo italiano dagli invasori stranieri. Il progetto federalista
infatti, poiché senza unità non c'è forza, ha fatto dell'Italia una nazione
debole, naturalmente destinata a essere soggetta ai potenti stati unitari a lei
vicini. Il federalismo inoltre avrebbe reso inefficace il progetto
risorgimentale, facendo rinascere quelle rivalità municipali, ancora vive, che
avevano caratterizzato la peggiore storia dell'Italia medioevale. L'obiettivo
repubblicano e unitario avrebbe dovuto essere raggiunto con un'insurrezione
popolare condotta attraverso una guerra per bande. Durante l'esilio in Francia,
ha una relazione con la nobildonna repubblicana Giuditta Bellerio Sidoli, vedova
di Giovanni Sidoli, ricco patriota di Montecchio Emilia. Giuditta aveva
condiviso con il marito la fede politica che, portandolo a cospirare contro la
corte estense, aveva costretto la coppia a esiliare in Svizzera. Colpito da una
grave malattia polmonare, muore a Montpellier. Poiché la vedova non aveva
ricevuto alcuna condanna, ritorna a Reggio Emilia presso la famiglia del marito
con i suoi quattro figli: Maria, Elvira, Corinna e Achille. Dopo il fallimento
dei moti dove fuggire in Francia dove conobbe Mazzini a cui si legò
sentimentalmente. Dopo il vano tentativo del 1831 di portare dalla parte
liberale il nuovo re Carlo Alberto di Savoia con la celebre lettera firmata
"un italiano", il 26 ottobre 1833, insieme a Pasquale Berghini e
Domenico Barberis, Mazzini fu condannato in contumacia a "morte
ignominiosa" dal Consiglio Divisionario di Guerra, presieduto dal maggior
generale Saluzzo Lamanta. La condanna venne poi revocata nel 1848, quando Carlo
Alberto decise di concedere un'amnistia generale. Rifugiatosi nella cittadina svizzera di Grenchen, nel
canton Soletta, vi rimase sino a quando fu arrestato dalla polizia cantonale
che gli ingiunse di lasciare la Confederazione entro 24 ore. Per impedirne
l'allontanamento l'assemblea dei cittadini di Grenchen conferì al giovane
profugo la cittadinanza con 122 voti a favore e 22 contrari, invalidata però
dal governo cantonale. Mazzini, nascostosi nel frattempo, fu scoperto e dovette
lasciare la Svizzera assieme ad altri esuli, tra i quali Agostino e Giovanni
Ruffini. Comincia il lungo soggiorno a Londra, dove Mazzini raccolse
attorno a sé esuli italiani e persone favorevoli al repubblicanesimo in Italia,
dedicandosi, per vivere, all'attività di insegnante dei figli degli italiani;
qui conobbe e frequentò anche diverse personalità inglesi, tra cui Mary Shelley
(vedova del poeta P.B. Shelley), Anne Isabella Milbanke (vedova di Lord Byron,
idolo di gioventù di Mazzini), il filosofo ed economista John Stuart Mill,
Thomas Carlyle e sua moglie Jane Welsh, lo scrittore Charles Dickens, che
finanziò la sua scuola. Il poeta decadente Algernon Swinburne gli dedicò Ode a
Mazzini. Nello stesso quartiere di Mazzini visse anche Karl Marx. Durante
il soggiorno londinese Mazzini ebbe una lunga relazione di amicizia con la
famiglia Craufurd, documentata da copiosa corrispondenza epistolare. Sempre a
Londra ebbe rapporti con la famiglia di William Henry Ashurst e con il genero
di questi, il politico britannico James Stansfeld, la cui consorte Caroline
Ashurst Stansfeld era sostenitrice della società "Society of the Friends
of Italy". Per la causa dell'unificazione italiana Mazzini collaborò anche
con il secolarista George Holyoake. Fondò poi altri movimenti politici
per la liberazione e l'unificazione di vari stati europei: la Giovine Germania,
la Giovine Polonia e infine la Giovine Europa. Quest'ultima, fondata
nell'aprile 1834 a Berna in accordo con altri rivoluzionari stranieri, aveva
tra i suoi principi ispiratori la costituzione degli Stati Uniti d'Europa. In
questa occasione Mazzini estese dunque il desiderio di libertà del popolo
italiano (che si sarebbe attuato con la repubblica) a tutte le nazioni europee.
L'associazione rivoluzionaria europea aveva come scopo specifico l'agire dal
basso in modo comune e, usando strumenti insurrezionali e democratici,
realizzare nei singoli stati una coscienza nazionale e rivoluzionaria. Sulla scia
della Giovine Europa Mazzini nel 1866 fonda anche l'Alleanza Repubblicana
Universale. Il movimento della Giovine Europa ebbe anche un forte ruolo
di promozione dei diritti della donna, come testimonia l'opera di numerose
mazziniane, tra cui la citata Bellerio Sidoli, ma anche Cristina Trivulzio di
Belgiojoso e Giorgina Saffi, la moglie di Aurelio Saffi, uno dei più stretti
collaboratori di Mazzini e suo erede per quanto riguarda il mazzinianesimo
politico. Mazzini continuò a perseguire il suo obiettivo dall'esilio e tra le
avversità con inflessibile costanza, convinto che questo fosse il destino
dell'Italia e che nessuno avrebbe potuto cambiarlo. Tuttavia, nonostante la sua
perseveranza, l'importanza delle sue azioni fu più ideologica che pratica.
Dopo il fallimento dei moti del 1848, durante i quali Mazzini era stato a capo
della breve Repubblica Romana insieme ad Aurelio Saffi e Carlo Armellini, i
nazionalisti italiani cominciarono a vedere nel re del Regno di Sardegna e nel
suo Primo Ministro Camillo Benso conte di Cavour le guide del movimento di
riunificazione. Ciò volle dire separare l'unificazione dell'Italia dalla
riforma sociale e politica invocata da Mazzini. Cavour fu abile nello stringere
un'alleanza con la Francia e nel condurre una serie di guerre che portarono
alla nascita dello STATO ITALIANO ma la natura politica della nuova compagine
statale era ben lontana dalla repubblica mazziniana. A Londra, nel 1850,
per reagire alla caduta della Repubblica Romana e in continuità con essa,
Mazzini fondò il Comitato Centrale Democratico Europeo e il Comitato Nazionale
Italiano, lanciando il Prestito Nazionale Italiano, le cui cartelle portavano
appunto lo stemma della Repubblica romana del 1849 e l'intitolazione del
prestito «diretto unicamente ad affrettare l'indipendenza e l'unità d'Italia».
A garanzia del prestito le cartelle recavano la firma degli ex triumviri
Mazzini, Saffi e, in assenza dell'irreperibile Armellini, Mattia Montecchi. La
diffusione delle cartelle nel Lombardo-Veneto ebbe come immediata conseguenza
la ripresa dell'attività cospirativa e rivoluzionaria, soprattutto a
Mantova.. Messina fu chiamata al voto per eleggere i suoi deputati al
nuovo parlamento di Firenze. Mazzini era candidato, nel secondo collegio, ma
non poté fare campagna elettorale perché esule a Londra. Pendevano sul suo capo
due condanne a morte: una inflitta dal tribunale di Genova per i moti del 1857
(il 19 novembre 1857, in primo grado, il 20 marzo 1858 in appello); un'analoga
condanna a morte era stata inflitta dal tribunale di Parigi per complicità in
un attentato contro Napoleone III. Inaspettatamente, Mazzini vinse con larga
messe di voti (446). Il 24 marzo, dopo due giorni di discussione, la Camera
annullava l'elezione in virtù delle condanne precedenti. Il letto
di morte di Mazzini, distrutto dagli aerei degli Stati Uniti durante il
bombardamento di Pisa del 1943 Maschera mortuaria di Mazzini, gesso,
Domus Mazziniana, Pisa Due mesi dopo gli elettori del secondo collegio di
Messina tornarono alle urne: vinse di nuovo Mazzini. La Camera, dopo una nuova
discussione, il 18 giugno riannullò l'elezione. Il 18 novembre Mazzini viene
rieletto una terza volta; dalla Camera, questa volta, arrivò la convalida.
Mazzini, tuttavia, anche nel caso fosse giunta un'amnistia o una grazia, decise
di rifiutare la carica per non dover giurare fedeltà allo Statuto Albertino, la
costituzione dei monarchi sabaudi. Egli infatti non accettò mai la monarchia e
continuò a lottare per gli ideali repubblicani. Nel 1868 lasciò Londra e
si stabilì in Svizzera, a Lugano. Due anni dopo furono amnistiate le due
condanne a morte inflitte al tempo del Regno di Sardegna: Mazzini quindi poté
rientrare in Italia e, una volta tornato, si dedicò subito all'organizzazione
di moti popolari in appoggio alla conquista dello Stato Pontificio. L'11 agosto
partì in nave per la Sicilia, ma il 14, all'arrivo nel porto di Palermo, fu
tratto in arresto (la quarta volta nella sua vita) e recluso nel carcere
militare di Gaeta. Partito da Basilea e in viaggio nel passo del San
Gottardo, conobbe in una carrozza Friedrich Nietzsche, allora poco conosciuto
filologo e docente. Questo incontro sarà testimoniato dallo stesso Nietzsche
anni dopo. Costretto di nuovo all'esilio, riuscì a rientrare in Italia
sotto il falso nome di Giorgio Brown (forse un riferimento a John Brown) a
Pisa. Qui, malato già da tempo, visse nascosto nell'abitazione di Pellegrino
Rosselli, antenato dei fratelli Rosselli e zio della moglie di Ernesto Nathan,
fino al giorno della sua morte, avvenuta il 10 marzo dello stesso anno, quando
la polizia stava ormai per arrestarlo nuovamente. Traversie della
salma Mazzini morente, Silvestro Lega La notizia della sua morte si
diffuse rapidamente, commuovendo l'Italia; il suo corpo fu imbalsamato dallo
scienziato Paolo Gorini, appositamente fatto accorrere da Lodi su incarico di
Agostino Bertani: Gorini disinfettò la salma per permettere l'esposizione. Una
folla immensa partecipò ai funerali, svoltisi nella città toscana il pomeriggio
del 14 marzo, accompagnando il feretro al treno in partenza per Genova, dove
venne sepolto al Cimitero monumentale di Staglieno. Le esequie furono
accompagnate dalla musica della storica Filarmonica Sestrese C. Corradi G.
Secondo. Successivamente Gorini ricominciò a lavorare sul corpo di Mazzini,
onde pietrificarlo secondo la sua tecnica di mummificazione; terminò il lavoro
qualche anno dopo. Nel 1946 avvenne la ricognizione della mummia, che fu
sistemata ed esposta al pubblico in occasione della nascita della Repubblica
Italiana[26]: da allora riposa nuovamente nel sarcofago del mausoleo.
Mausoleo Benché sia incerta l'affiliazione di Mazzini alla Massoneria fu
l'associazione stessa a commissionare il mausoleo all'architetto mazziniano
Gaetano Vittorino Grasso che lo realizzò in stile neoclassico adornandolo con
alcuni simboli massonici. Il sepolcro reca all'esterno la scritta
"Giuseppe Mazzini" e all'interno sono presenti numerose bandiere
tricolori repubblicane e iscrizioni lasciate da gruppi mazziniani o da personalità
come Carducci. Sulla lapide è scolpita la scritta "Giuseppe Mazzini. Un
Italiano" che era la firma da lui apposta nella lettera a Carlo Alberto, e
l'epitaffio: «Il corpo a Genova, il nome ai secoli, l'anima all'umanità. Testimonianze
di alcuni personaggi storici e una corrispondenza dello stesso Mazzini, citati
nell'opera dello studioso Luigi Polo Friz fanno ritenere che verosimilmente
Mazzini, a differenza di altri celebri personaggi dell'epoca, come Garibaldi,
non sia mai stato affiliato alla massoneria, anche se questa ha ripreso molti
degli ideali mazziniani, simili ai suoi. La principale obbedienza
italiana, l'unica attiva all'epoca di Mazzini in Italia, il Grande Oriente
d'Italia, afferma l'impossibilità di provare l'appartenenza di Mazzini, che
pure ebbe influenza nella società, anche se non partecipò mai alla vita
dell'associazione, occupato com'era nella causa della "sua" società
segreta, la Giovine Italia. In effetti Mazzini fu carbonaro, ma la Carboneria
fu presto distinta dalla massoneria.[30] Indro Montanelli afferma invece
che probabilmente Mazzini fu massone. Dello stesso parere è Massimo Della
Campa, che in una "Nota su Mazzini" fa riferimento al libro
dell'ex-Gran Maestro del grande Oriente d'Italia Giordano Gamberini, Mille
volti di massoni (Ed. Erasmo, Roma), che a119 scrive a proposito di Mazzini:
«Iniziato nel 1834 a Genova, secondo G. Fazzari e F. Borsari (Luce e concordia,
dispense 3 e 4, pag. 23, colonna III). Ricevette dal Fr. Passano il 32° grado
del R.S.A.A., necessario per corrispondere in Carboneria al livello di Vendita
Suprema, nelle carceri di Savona. Con decreto del S. C. di Palermo il 18 giugno
1866 ricevette l'aumento di luce al 33° grado e la qualifica di membro onorario
del medesimo Supremo Consiglio. Fu membro onorario delle LL. Lincoln di Lodi e
Stella d'Italia di Genova. Scrivendo a Logge, Corpi rituali e Fratelli usò
sempre i segni massonici. Nessun contemporaneo mise mai in dubbio
l'appartenenza di Mazzini alla Massoneria.» Mazzini stesso sembrerebbe
però smentire la sua partecipazione all'associazione in una lettera del 12
giugno 1867 al massone Federico Campanella, Sovrano Gran Commendatore del
Supremo Consiglio del Rito scozzese antico ed accettato di Palermo, in cui,
restituendogli le carte che questi gli aveva fatto recapitare scriveva. La
Massoneria accettando da anni e anni ogni uomo, senza dichiarazioni d'opinioni
politiche, s'è fatta assolutamente inutile a ogni scopo nazionale. Per farne
qualche cosa bisognerebbe prima una misura d'eliminazione ed una di revisione
delle file, poi una formula nazionale o politica per l'iniziazione... Chi vuol
intendere intenda. La patria è la casa dell'uomo, non dello schiavo»
(Giuseppe Mazzini, Ai giovani d'Italia) Per comprendere a pieno la dottrina
politica di Mazzini bisogna rifarsi al pensiero religioso che ispira il periodo
della Restaurazione seguito alla caduta dell'impero napoleonico. Nasce allora
una nuova concezione della storia che smentiva quella degli illuministi basata
sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la storia con la ragione. Le
vicende della Rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano dimostrato
che gli uomini si propongono di perseguire alti e nobili fini che s'infrangono
dinanzi alla realtà storica. Il secolo dei lumi era infatti tramontato nelle
stragi del Terrore e il sogno di libertà nella tirannide napoleonica che,
mirando alla realizzazione di un'Europa al di sopra delle singole nazioni,
aveva determinato invece la ribellione dei singoli popoli proprio in nome del
loro sentimento di nazionalità. Secondo questa visione romantica dunque
la storia non è guidata dagli uomini ma è Dio che agisce nella storia;
esisterebbe dunque una Provvidenza divina che s'incarica di perseguire fini al
di là di quelli che gli uomini si propongono di conseguire con la loro meschina
ragione.[35] Da questa concezione romantica della storia, intesa come opera
della volontà divina si promanano due visioni contrapposte: una è la
prospettiva reazionaria che vede nell'intervento di Dio nella storia una sorta
di avvento di un'apocalisse che metta fine alla storia degli uomini.
Napoleone I è stato, con le sue continue guerre, l'Anticristo di questa
apocalisse: Dio segnerà la fine della storia malvagia e falsamente progressiva
e allora agli uomini non rimarrà che volgersi al passato per preservare e
conservare quanto di buono era stato realizzato. Si cercherà dunque in ogni
modo di cancellare tutto ciò che è accaduto dalla Rivoluzione a Napoleone
restaurando il passato. La concezione reazionaria contro cui Mazzini combatté
strenuamente assume un aspetto politico-religioso che troviamo nel pensiero di
François-René de Chateaubriand che nel Génie du christianisme (Genio del
Cristianesimo) attaccava le dottrine illuministiche prendendo le difese del
cristianesimo e soprattutto nell'ideologia mistica teocratica di Joseph de
Maistre, che arriva nell'opera Du pape (Il papa) al punto di auspicare un ritorno dell'alleanza
tra il trono e l'altare riproponendo il modello delle comunità medioevali
protette dalla religione tradizionale contro le insidie del liberalismo e del
razionalismo.[36] Un'altra prospettiva, che nasce paradossalmente dalla
stessa concezione della storia guidata dalla divinità, è quella che potremo
definire liberale che vede nell'azione divina una volontà diretta, nonostante
tutto, al bene degli uomini escludendo che nei tempi nuovi ci sia una sorta di
vendetta di Dio che voglia far espiare agli uomini la loro presunzione di
creatori di storia. È questa una visione provvidenziale, dinamica della storia
che troviamo in Saint Simon con la concezione di un nuovo cristianesimo per una
nuova società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo una forza rigeneratrice
della vita sociale. Una concezione progressiva quindi che è presente in Italia
nell'opera letteraria di Alessandro Manzoni e nel pensiero politico di Gioberti
con il progetto neoguelfo e nell'ideologia mazziniana. Concezione
mazziniana «Costituire l'Italia in Nazione Una, Indipendente, Libera,
Repubblicana» (G. Mazzini, Istruzione generale per gli affratellati nella
Giovine Italia) Magnifying glass icon mgx2.svgMazzinianesimo. Dio e popolo «Noi
cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come partito religioso.
L'elemento religioso è universale, immortale: universalizza e collega. Ogni
grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela nella propria origine o nel
fine che si propone. Per esso si fonda l'associazione. Iniziatori d'un nuovo
mondo, noi dobbiamo fondare l'unità morale, il cattolicismo Umanitario. Il
pensiero politico mazziniano deve dunque essere collocato in questa temperie di
romanticismo politico-religioso che dominò in Europa dopo la rivoluzione del
1830 ma che era già presente nei contrasti al Congresso di Vienna tra gli
ideologi che proponevano un puro e semplice ritorno al passato prerivoluzionario
e i cosiddetti politici che pensavano che bisognasse operare un compromesso con
l'età trascorsa. Alcuni storici hanno fatto risalire la concezione
religiosa di Mazzini all'educazione ricevuta dalla madre fervente giansenista
(almeno fino agli anni '40 fa spesso riferimenti biblici ed evangelici) o ad
una vicinanza ideale col protestantesimo e le chiese riformate ma, secondo
altri, la visione religiosa di Mazzini non coinciderebbe con quella di nessuna
religione rivelata. Il personale concetto mazziniano di Dio, che per alcuni
tratti è avvicinabile al deismo settecentesco, con evidenti influssi della
religiosità civica e preromantica di Rousseau, per altri versi al Dio
panteistico degli stoici, è alla base di una religiosità che tuttavia esige la
laicità dello Stato (questo nonostante la dichiarata contraddizione poiché se,
come egli crede, politica e religione coincidono, non avrebbe senso separare la
sua concezione teologica da quella politica)[40] e l'assenza di intermediari
tra Dio e il popolo. Per ciò e per il ruolo avuto nella storia umana e
italiana, define il papato la base d'ogni autorità tirannica. Un altro influsso
sulla sua concezione religiosa è stato visto nella considerazione che ha per la
religione CIVILE di ispirazione ROMANA e per l'ammirazione verso la prima Roma,
antica e pagana, che passando per la seconda Roma, cristiana e medievale,
prepara il campo alla terza Roma future. Un mito questo, romantico-neoclassico,
che e fatto proprio da Carducci e poi dal fascismo, con il filosofo Berto Ricci
-- e dalla massoneria con l'esoterista Reghini e avvicina il mazzinianesimo
anche al culto massonico del Grande Architetto dell'Universo. In realtà rifiuta
non solo l'ateismo (è questa una delle divisioni ideologico-teoriche che egli
ebbe con altri repubblicani come Pisacane) e il materialismo («...L'ateismo, il
materialismo non hanno, sopprimendo Dio, una legge morale superiore per tutti e
sorgente del Dovere per tutti...»[46]), ma anche il trascendente, in favore
dell'immanente: egli crede nella reincarnazione[47], per poter migliorare di
continuo il mondo e migliorare sé stessi. Una concezione questa tratta
probabilmente da Platone o dalle religioni orientali come l'induismo e il
buddismo, religioni alle quali Mazzini si era interessato.[48] Giuseppe
Mazzini e Gioacchino da Fiore Come altri patrioti, letterati, rivoluzionari
delle società segrete francesi, inglesi e italiane Mazzini vide nell'abate
calabrese Gioacchino da Fiore, l'autore di una profezia riguardante l'avvento
della Terza Età o Età dello Spirito Santo quando sarebbe sorta la Terza Italia
che sarebbe rinata, libera dalle dominazioni straniere[50], come la nazione che
avrebbe esercitato un primato sulle altre per la presenza della Chiesa
cattolica: tema questo poi ripreso da Vincenzo Gioberti nel suo Primato morale
e civile degli Italiani. Mazzini ebbe grande interesse per Gioacchino
tanto da volergli dedicare un trattato rimasto inedito Joachino, appunti per
uno studio storico sull'abate Gioacchino], che considerava un suo precursore
per gli ideali sociali e politici da realizzare tramite un'unità spirituale e
storica. Religione civile La sua è stata anche definita una religione
civile dove la politica svolgeva il ruolo della fede e dove la divinità si
incarna in modo panteista nell'Universo e nell'Umanità stessa, che attua la
Legge che nel Progresso si rivela. Egli afferma di credere che Dio è Dio, e l'Umanità
è il suo Profeta, che il popolo romano è immagine di Dio sulla terra e vi è«un
Dio solo, autore di quanto esiste, Pensiero vivente, assoluto, del quale il
nostro mondo è raggio e l'Universo una incarnazione».[38] Per lui non conta che
la sua intima credenza sia razionale o no, come il Dio di Voltaire e Newton che
è invocato come la causa prima dell'ordine naturale, poiché «Dio esiste. Noi
non dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo, ci sembrerebbe bestemmia, come
negarlo, follia. Dio esiste, perché noi esistiamo» anche se, specifica,
«l'universo lo manifesta con l'ordine, con l'armonia, con l'intelligenza dei
suoi moti e delle sue leggi. E altresì convinto che fosse ormai presente nella
storia un nuovo ordinamento divino nel quale la lotta per raggiungere l'unità
nazionale assumeva un significato provvidenziale. «Operare nel mondo
significava per il Mazzini collaborare all'azione che Dio svolgeva, riconoscere
ed accettare la missione che uomini e popoli ricevono da Dio. Per questo
bisogna «mettere al centro della propria vita il dovere, senza speranza di
premio, senza calcoli di utilità. Quello di Mazzini era un progetto politico,
ma mosso da un imperativo religioso che nessuna sconfitta, nessuna avversità
avrebbe potuto indebolire. «Raggiunta questa tensione di fede, l'ordine logico
e comune degli avvenimenti veniva capovolto; la disfatta non provocava
l'abbattimento, il successo degli avversari non si consolidava in ordine
stabile.».[53] La storia dell'umanità dunque sarebbe una progressiva
rivelazione della Provvidenza divina che, di tappa in tappa, si dirige verso la
meta predisposta da Dio. Esaurito il compito del Cristianesimo, chiusasi
l'era della Rivoluzione francese ora occorreva che i popoli prendessero
l'iniziativa per «procedere concordi verso la meta fissata al progresso umano».
Ogni singolo individuo, come la collettività, tutti devono attuare la missione
che Dio ha loro affidato e che attraverso la formazione ed educazione del
popolo stesso, reso consapevole della sua missione, si realizzerà attraverso
due fasi: Patria e Umanità. Patria e umanità Targa in onore di
Mazzini sulla casa londinese Senza una patria libera nessun popolo può
realizzarsi né compiere la missione che Dio gli ha affidato; il secondo
obiettivo sarà l'Umanità che si realizzerà nell'associazione dei liberi popoli
sulla base della comune civiltà europea attraverso quello che Mazzini chiama il
banchetto delle Nazioni sorelle. Un obiettivo dunque ben diverso da quella
confederazione europea immaginata da Napoleone dove la Francia avrebbe
esercitato il suo primato egemonico di Grande Nation. La futura unità
europea non si realizzerà attraverso una gara di nazionalismi ma attraverso una
nobile emulazione dei liberi popoli per costruire una nuova libertà. Il
processo di costruzione europea, secondo Mazzini, doveva svolgersi prima di
tutto attraverso l'affermazione delle nazionalità oppresse, come quelle facenti
parte dell'Impero asburgico, e poi anche di quelle che non avevano ancora
raggiunto la loro unità nazionale. Iniziativa italiana In questo processo
unitario europeo spetta all'Italia un'alta missione: quella di riaprire,
conquistando la sua libertà, la via al processo evolutivo dell'Umanità: la
redenzione nazionale italiana apparirà improvvisa come una creazione divina al
di fuori di ogni inutile e inefficace metodo graduale politico diplomatico di
tipo cavouriano. L'iniziativa italiana che avverrà sulla base della fraternità
tra i popoli e non rivendicando alcuna egemonia, come aveva fatto la Francia,
consisterà quindi nel dare l'esempio per una lotta che porterà alla sconfitta
delle due colonne portanti della reazione, di quella politica dell'Impero
Asburgico e di quella spirituale della Chiesa cattolica. Raggiunti gli
obiettivi primari dell'unità e della Repubblica attraverso l'educazione e
l'insurrezione del popolo, espressi dalla formula di Pensiero ed azione,
l'Italia darà quindi il via a questo processo di unificazione sempre più vasta
per la creazione di una terza civiltà formata dall'associazione di liberi
popoli. Funzione della politica Il mausoleo di Giuseppe Mazzini nel
cimitero monumentale di Staglieno, realizzato dall'architetto mazziniano Gaetano
Vittorino Grasso. La politica è scontro tra libertà e dispotismo e tra queste
due forze non è possibile trovare un compromesso: si sta svolgendo una
guerra di principi che non ammette transazioni; Mazzini esorta la popolazione a
non accontentarsi delle riforme che erano degli accomodamenti gestiti
dall'alto: non radicavano, cioè, nello spirito del tempo quella libertà e
quell'uguaglianza di cui il popolo aveva bisogno. La logica della politica
è logica di democrazia e libertà, non accettabili dalle forze reazionarie;
contro di esse è necessaria una brusca rottura rivoluzionaria: alla testa del
popolo vi dovrà essere la classe colta (che non può più sopportare il giogo
dell'oppressione) e i giovani (che non possono più accettare le anticaglie
dell'antico regime). Questa rivoluzione deve portare alla Repubblica, la quale
garantirà l'istruzione popolare. La rivoluzione, che è anche pedagogico
strumento di formazione di virtù personali e collettive, deve iniziare per
ondate, accendendo focolai di rivolta che incitino il popolo inconsapevole a
prendere le armi. Una volta scoppiata la rivoluzione si dovrà costituire un
potere dittatoriale (inteso come potere straordinario alla maniera dell'Antica Roma,
non come tirannide) che gestisca temporaneamente la fase post-rivoluzionaria.
Il governo verrà restituito al popolo non appena il fine della rivoluzione
verrà raggiunto, il prima possibile. La Giovane Italia deve educare alla
gestione della cosa pubblica, ad essere buoni cittadini, non è, perciò,
esclusivamente uno strumento di organizzazione rivoluzionaria. Il popolo deve
avere diritti e doveri, mentre la Rivoluzione Francese si è concentrata
esclusivamente sui diritti individuali: fermandosi ai diritti dell'individuo
aveva dato vita ad una società egoista; l'utile per una società non va mai
considerato secondo il bene di un singolo soggetto ma secondo il bene
collettivo. Non crede nell'eguaglianza predicata dal marxismo e al sogno della
proprietà comune sostituisce il principio dell'associazionismo, che è comunque
un superamento dell'egoismo individuale.Questione sociale Mazzini affrontò la
questione sociale negli scritti più tardi, ad esempio nei Doveri dell'uomo Rifiuta
il marxismo, convinto com'è che per spingere il popolo alla rivoluzione sia
prioritario indicargli l'obiettivo dell'unità, della repubblica e della
democrazia. Mazzini fu tra i primi a considerare la grave questione sociale
presente che era soprattutto in Italia la questione contadina, come gli
indicava Carlo Pisacane, ma egli pensava che questa dovesse essere affrontata e
risolta solo dopo il raggiungimento dell'unità nazionale e non attraverso lo
scontro delle classi, ma con una loro collaborazione (interclassismo), da
raggiungersi però organizzando l'associazionismo e il mutualismo fra gli
operai, il soggetto più debole. Un programma il suo di solidarietà nazionale
che se non contemplava l'autonomia culturale e politica del proletariato non si
rivolse solo al ceto medio cittadino, agli intellettuali, agli studenti, fra i
quali raccolse i consensi più ampi, ma anche agli artigiani e ai settori più
consapevoli dei propri diritti fra gli operai. Mazzini criticò il
marxismo e fu da Marx biasimato per gli aspetti dottrinali idealistici e per
gli atteggiamenti profetici che egli assumeva nel suo ruolo di educatore
religioso e politico del popolo. Marx, risentito per gli attacchi di Mazzini al
comunismo, da lui definito col termine inglese «dictatorship» (cioè
«dittatura»), lo definì in alcuni articoli teopompo, cioè «inviato di Dio e
papa della chiesa democratica, dandogli anche sprezzantemente del «vecchio
somaro» e paragonandolo a Pietro l'Eremita. Forte sarà il contrasto tra Marx e
l'inviato personale di Mazzini (oltre che con Garibaldi che ne prese le difese)
alla Prima Internazionale. Critica i socialisti per il proclamato
internazionalismo dei loro tempi, venato di anarchismo e di forte negazionismo,
per l'attenzione da essi rivolta verso gli interessi di una sola classe: il
proletariato. Inoltre egli definiva arbitrario e impossibile a pretendere
l'abolizione della proprietà privata: così si sarebbe dato un colpo mortale
all'economia che non avrebbe premiato più i migliori. La critica maggiore era
rivolta contro il rischio che le ideologie socialiste estremistiche portassero
a un totalitarismo: egli previde con lungimiranza quello che avverrà con la
Rivoluzione d'ottobre del 1917 in Russia, cioè la formazione di una nuova
classe di padroni politici e lo schiacciamento dell'individuo nella macchina
industriale del socialismo reale. Da queste critiche ne venne la valutazione
negativa di Mazzini sulla rivolta che portò alla Comune di Parigi del 1871.
Mentre per Marx e Michail Bakunin quello della Comune era stato un primo tentativo
di distruggere lo stato accentratore borghese realizzando dal basso un nuovo
tipo di stato, Mazzini, legato al concetto di Stato-nazione romantico, invece
criticò la Comune vedendo in essa la fine della nazione, la minaccia di uno
smembramento della Francia. Per salvaguardare l'economia e allo stesso tempo
per tutelare i più poveri, Mazzini punta su una forma di lavoro cooperativo:
l'operaio dovrà guardare oltre una lotta basata solo sul salario ma promuovere
spazi via via crescenti di economia sociale con elementi di «piena
responsabilità e proprietà sull'impresa». Mazzini puntava sul superamento
in senso sociale e democratico del capitalismo imprenditoriale classico,
anticipando in questo sia le teorie distribuzioniste sia le teorie che esaltano
il valore dell'associazione fra i produttori. In Doveri dell'uomo scrisse: «Non
bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via
perché i molti possano acquistarla. Bisogna richiamarla al principio che la
renda legittima, facendo sì che solo il lavoro possa produrla. La sua influenza sulla prima fase del
movimento operaio fu per questo molto importante e anche il fascismo, in
particolare la sua corrente repubblicana e socializzatrice, si ispirerà al
pensiero economico mazziniano come terza via corporativa tra il modello
capitalista e quello marxista. Cospirazioni e fallimento dei moti
mazziniani Mazzini in una fotografia con autografo scattata da Domenico
Lama I moti mazziniani, ispirati ad un'ideologia repubblicana e antimonarchica
furono considerati sovversivi e quindi perseguiti da tutte le monarchie
italiane dell'epoca. Per i governi costituiti i mazziniani altro non erano che
terroristi e come tali furono sempre condannati. «Trovai tutti persuasi
che la Giovine Italia era pazzia; pazzia le sette, pazzie il cospirare, pazzie
le rivoluzioncine fatte sino a quel giorno, senza capo né coda» (Massimo
d'Azeglio, Degli ultimi casi di Romagna) Giovine Italia (1831) «Su queste
classi [...] così fortemente interessate al mantenimento dell'ordine sociale le
dottrine sovversive della Giovine Italia non hanno presa. Perciò ad eccezione
dei giovani presso i quali l'esperienza non ha ancora modificate le dottrine
assorbite nell'atmosfera eccitante della scuola, si può affermare che non esiste
in Italia se non un piccolissimo numero di persone seriamente disposte a
mettere in pratica i principi esaltati di una setta inasprita dalla
sventura.» (Camillo Benso conte di Cavour). Mazzini si trova a Marsiglia
in esilio dopo l'arresto e il processo subito l'anno prima in Piemonte a causa
della sua affiliazione alla Carboneria. Non potendosi provare la sua
colpevolezza infatti la polizia sabauda lo costrinse a scegliere tra il confino
in un paesino del Piemonte e l'esilio. Mazzini preferì affrontare l'esilio e
passa in Svizzera, da qui a Lione e infine a Marsiglia. Qui entrò in contatto
con i gruppi di Filippo Buonarroti e col movimento sainsimoniano allora diffuso
in Francia. Con questi si avviò un'analisi del fallimento dei moti nei
ducati e nelle Legazioni pontificie. Si concordò sul fatto che le sette
carbonare avevano fallito innanzitutto per la contraddittorietà dei loro
programmi e per l'eterogeneità delle classi che ne facevano parte. Non si era
riusciti poi a mettere in atto un collegamento più ampio delle insurrezioni per
le ristrettezze provinciali dei progetti politici, com'era accaduto nei moti di
Torino quand'era fallito ogni tentativo di collegamento con i fratelli
lombardi. Infine bisognava desistere dal ricercare l'appoggio dei principi e,
come nei moti del '30-31, dei francesi. Con la fondazione della Giovine
Italia nel 1831 il movimento insurrezionale andava organizzato su precisi
obiettivi politici: indipendenza, unità, libertà. Occorreva poi una grande
mobilitazione popolare poiché la liberazione italiana non si poteva conseguire
attraverso l'azione di pochi settari ma con la partecipazione delle masse.
Rinunciare infine ad ogni concorso esterno per la rivoluzione: «La Giovine
Italia è decisa a giovarsi degli eventi stranieri, ma non a farne dipendere
l'ora e il carattere dell'insurrezione. Gli strumenti per raggiungere queste
mete erano l'educazione e l'insurrezione. Quindi bisognava che la Giovane
Italia perdesse il più possibile il carattere di segretezza, conservando quanto
necessario a difendersi dalle polizie, ma acquistasse quello di società di
propaganda, un'«associazione tendente anzitutto a uno scopo di insurrezione, ma
essenzialmente educatrice fino a quel giorno e dopo quel giorno anche
attraverso il giornale La Giovine Italia, fondato nel 1832del messaggio
politico della indipendenza, dell'unità e della repubblica. Negli anni
1833 e 1834, durante il periodo dei processi in Piemonte e il fallimento della
spedizione di Savoia, l'associazione scomparve per quattro anni, ricomparendo
solo in Inghilterra. Dieci anni dopo, il 5 maggio 1848, l'associazione fu
definitivamente sciolta da Mazzini, che fondò al suo posto l'Associazione
Nazionale Italiana. Entusiastiche adesioni al programma della Giovane
Italia si ebbero soprattutto tra i giovani in Liguria, in Piemonte, in Emilia e
in Toscana che si misero subito alla prova organizzando una serie di
insurrezioni che si conclusero tutte con arresti, carcere e condanne a morte.
Nel 1833 organizza il suo primo tentativo insurrezionale che aveva come focolai
rivoluzionari Chambéry, Torino, Alessandria e Genova dove contava vaste
adesioni nell'ambiente militare. Prima ancora che l'insurrezione
iniziasse la polizia sabauda a causa di una rissa avvenuta fra i soldati in
Savoia, scoprì e arrestò molti dei congiurati, che furono duramente perseguiti
poiché appartenenti a quell'esercito sulla cui fedeltà Carlo Alberto aveva
fondato la sicurezza del suo potere. Fra i condannati figuravano i fratelli
Giovanni e Jacopo Ruffini, amico personale di Mazzini e capo della Giovine
Italia di Genova, l'avvocato Andrea Vochieri e l'abate torinese Vincenzo
Gioberti. Tutti subirono un processo dal tribunale militare, e dodici furono
condan morte, fra questi anche il Vochieri, mentre Jacopo Ruffini pur di non tradire
si uccise in carcere mentre altri riuscirono a salvarsi con la fuga.
Tentativo d'invasione della Savoia e moto di Genova. L'incontro di Mazzini con
Giuseppe Garibaldi nella sede della Giovine Italia Il fallimento del primo moto
non fermò Mazzini, convinto che era il momento opportuno e che il popolo lo
avrebbe seguito. Si trovava a Ginevra, quando assieme ad altri italiani e
alcuni polacchi, organizzava un'azione militare contro lo stato dei Savoia. A
capo della rivolta aveva messo il generale Gerolamo Ramorino, che aveva già
preso parte ai moti del 1821, questa scelta però si rivelò un fallimento,
perché il Ramorino si era giocato i soldi raccolti per l'insurrezione e di
conseguenza rimandava continuamente la spedizione, tanto che quando si decise a
passare con le sue truppe il confine con la Savoia, la polizia, ormai allertata
da tempo, disperse i volontari con molta facilità. Nello stesso tempo
doveva scoppiare una rivolta a Genova, sotto la guida di Giuseppe Garibaldi,
che si era arruolato nella marina da guerra sarda per svolgere propaganda
rivoluzionaria tra gli equipaggi. Quando giunse sul luogo dove avrebbe dovuto
iniziare l'insurrezione però, non trovò nessuno, e così rimasto solo, dovette
fuggire. Fece appena in tempo a salvarsi dalla condanna a morte emanata contro
di lui, salendo su una nave in partenza per l'America del Sud dove continuerà a
combattere per la libertà dei popoli. Mazzini, invece, poiché aveva
personalmente preso parte alla spedizione con Ramorino, fu espulso dalla Svizzera
e dovette cercare rifugio in Inghilterra. Lì continuò la propria azione
politica attraverso discorsi pubblici, lettere e scritti su giornali e riviste,
aiutando a distanza gli italiani a mantenere il desiderio di unità e
indipendenza. Anche se l'insuccesso dei moti fu assoluto, dopo questi eventi la
linea politica di Carlo Alberto mutò, temendo che reazioni eccessive potessero
diventare pericolose per la monarchia. La vita mi pesa, ma credo sia
debito di ciascun uomo di non gettarla, se non virilmente o in modo che rechi
testimonianza della propria credenza.» (Giuseppe Mazzini, lettera di
risposta ad Angelo Usiglio, Londra. Altri tentativi pure falliti si ebbero a
Palermo, in Abruzzo, nella Lombardia austriaca, in Toscana. Il fallimento di
tanti generosi sforzi e l'altissimo prezzo di sangue pagato fecero attraversare
a Mazzini quella che egli chiamò la tempesta del dubbio, una fase di
depressione, in cui, come in gioventù, come ricorda nelle Note autobiografiche,
pensò anche al suicidio, da cui uscì religiosamente convinto ancora una volta
della validità dei propri ideali politici e morali. Dall'esilio di Londra, dopo essere stato espulso dalla Svizzera,
riprese quindi il suo apostolato insurrezionale. Nello stesso periodo esce il
saggio La filosofia della musica sulla rivista L'italiano pubblicata a Parigi. Fratelli
Bandiera. Esecuzione dei fratelli Bandiera a Cosenza Nobili, figli
dell'ammiraglio Francesco Bandiera e, a loro volta, ufficiali della Marina da
guerra austriaca, aderirono alle idee mazziniane e fondarono una loro società
segreta, l'Esperia[63] e con essa tentarono di effettuare una sollevazione
popolare nel Sud Italia. I fratelli Emilio e Attilio Bandiera parteno da
Corfù (dove avevano una base allestita con l'ausilio del barese Vito Infante) alla
volta della Calabria seguiti da 17 compagni, dal brigante calabrese Giuseppe
Meluso e dal corso Pietro Boccheciampe. Il 15 marzo dello stesso anno era loro
giunta infatti la notizia dello scoppio di una rivolta a Cosenza che essi
credevano condotta nel nome di Mazzini. In realtà non solo la ribellione non
aveva alcuna motivazione patriottica ma era già stata domata dall'esercito
borbonico. Quando sbarcarono alla foce del fiume Neto, vicino a Crotone,
appresero che la rivolta era già stata repressa nel sangue e al momento non era
in corso alcuna ribellione all'autorità del re. Il Boccheciampe, appresa la
notizia che non c'era alcuna sommossa a cui partecipare, sparì e andò al posto
di polizia di Crotone per denunciare i compagni. I due fratelli vollero lo
stesso continuare l'impresa e partirono per la Sila. Subito iniziarono le
ricerche dei rivoltosi ad opera delle guardie civiche borboniche, aiutate da
comuni cittadini che credevano i mazziniani dei briganti; dopo alcuni scontri a
fuoco, vennero catturati (meno il brigante Giuseppe Meluso, buon conoscitore
dei luoghi, che riuscì a sfuggire alla cattura) e portati a Cosenza, dove i
fratelli Bandiera con altri 7 compagni vennero fucilati nel Vallone di Rovito. Il re Ferdinando II ringraziò la popolazione locale
per il grande attaccamento dimostrato alla Corona e la premiò concedendo
medaglie d'oro e d'argento e pensioni generose. «Mazzini, colpito da tanta
fermezza e da tanta sventura, restò commosso da quell'efferata barbarie e
celebrò la memoria di quei martiri in un opuscolo uscito a Parigi. Vdendo nel
loro sacrificio la realizzazione dei propri ideali così scriveva in un opuscolo
a loro dedicato: «Il martirio non è sterile mai. Il martirio per un'Idea è la
più alta formula che l'Io umano possa raggiungere per esprimere la propria
missione; e quando un giusto sorge di mezzo a' suoi fratelli giacenti ed
esclamaecco: questo è il vero, e io, morendo, l'adorouno spirito di nuova vita
si trasfonde per tutta l'umanità. I sagrificati di Cosenza hanno insegnato a
noi tutti che l'uomo deve vivere e morire per le proprie credenze: hanno
provato al mondo che gl'Italiani sanno morire: hanno convalidato per tutta
l'Europa l'opinione che una Italia sarà. Voi potete uccidere pochi uomini, ma
non l'Idea. l'Idea è immortale. Dopo i moti e capo, con Aurelio Saffi e Carlo
Armellini della Repubblica Romana, soppressa dalla reazione francese. Fu
l'ultima rivolta a cui Mazzini prese parte direttamente. Moto di
Milano e sollevazione in Valtellina. Ispirato
al mazzinianesimo e alle ideologie socialiste fu il moto di Milano, a cui
tuttavia Mazzini non prese parte, e che fallì; analoga sorte ebbe la rivolta in
Valtellina dell'anno seguente. Nel moto milanese si mise in luce Felice Orsini,
che di lì a poco avrebbe rotto con Mazzini e organizzato l'attentato a
Napoleone III, fermamente condannato dal genovese poiché risoltosi in una
strage di cittadini innocenti. Spedizione di Sapri. Carlo Pisacane
Il piano originale, secondo il metodo insurrezionale mazziniano, prevedeva di
accendere un focolaio di rivolta in Sicilia dove era molto diffuso il
malcontento contro i Borboni, e da lì estenderla a tutto il Mezzogiorno
d'Italia. Successivamente invece si pensò più opportuno partendo dal porto di
Genova di sbarcare a Ponza per liberare alcuni prigionieri politici lì
rinchiusi, per rinforzare le file della spedizione e infine dirigersi a Sapri,
che posta al confine tra Campania e Basilicata, era ritenuta un punto
strategico ideale per attendere dei rinforzi e marciare su Napoli. Il 25
giugno 1857 Carlo Pisacane s'imbarcò con altri ventiquattro sovversivi, tra cui
Giovanni Nicotera e Giovan Battista Falcone, sul piroscafo di linea Cagliari,
della Società Rubattino, diretto a Tunisi. Sbarca a Ponza dove, sventolando il
tricolore, riuscì agevolmente a liberare 323 detenuti, poche decine dei quali
per reati politici per il resto delinquenti comuni, aggregandoli quasi tutti
alla spedizione. Il 28, il Cagliari ripartì carico di detenuti comuni e delle
armi sottratte al presidio borbonico. La sera i congiurati sbarcarono a Sapri,
ma non trovarono ad accoglierli quelle masse rivoltose che si attendevano. Anzi
furono affrontati dalle falci dei contadini ai quali le autorità borboniche
avevano per tempo annunziato lo sbarco di una banda di ergastolani evasi
dall'isola di Ponza. Il 1º luglio, a Padula vennero circondati e 25 di
loro furono massacrati dai contadini. Gli altri, per un totale di 150, vennero
catturati e consegi gendarmi. Pisacane, con Nicotera, Falcone e gli ultimi
superstiti, riuscirono a fuggire a Sanza dove furono ancora aggrediti dalla
popolazione: perirono in 83; Pisacane e Falcone si suicidarono con le loro
pistole, mentre quelli scampati all'ira popolare furono poi processati nel
gennaio del 1858. Condan morte, furono graziati dal Re, che tramutò la pena in
ergastolo. Senso dell'impresa Pur essendo quella di Sapri un'impresa
tipicamente mazziniana, condotta «senza speranza di premio», in effetti essa
rispondeva alle idee politiche di Pisacane che si era allontanato dalla dottrina
del Maestro per accostarsi a un socialismo libertario espresso dalla formula
"Libertà e associazione". Contrariamente a Mazzini che riguardo alla
questione sociale proponeva una soluzione interclassista solo dopo aver risolto
il problema unitario, Pisacane pensava infatti che per arrivare ad una
rivoluzione patriottica unitaria e nazionale occorresse prima risolvere la
questione contadina che era quella della riforma agraria. Come lasciò scritto
nel suo testamento politico in appendice al Saggio sulla rivoluzione, «profonda
mia convinzione di essere la propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione
popolare un'assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il
popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando
sarà libero». Vicino agli ideali mazziniani era Pisacane invece quando
aggiungeva nello stesso scritto che quand'anche la rivolta fallisse «ogni mia
ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi
cari e generosi amici... che se il nostro sacrificio non apporta alcun bene
all'Italia, sarà almeno una gloria per essa aver prodotto figli che vollero
immolarsi al suo avvenire»[66]. La spedizione fallita ebbe in effetti il merito
di riproporre all'opinione pubblica italiana la questione napoletana, la
liberazione cioè del Mezzogiorno italiano dal malgoverno borbonico che il
politico inglese William Ewart Gladstone definiva «negazione di Dio eretta a
sistema di governo». Infine il tentativo di Pisacane sembrava riproporre la
possibilità di un'alternativa democratico-popolare come soluzione al problema
italiano: era un segnale d'allarme che costituì per il governo di Vittorio
Emanuele II uno stimolo ad affrettare i tempi dell'azione per realizzare la
soluzione diplomatico militare dell'unità italiana. Appoggio a Garibaldi
e ultimi tentativi Mazzini appoggiò moralmente la spedizione dei Mille di
Giuseppe Garibaldi, che egli considerava una valida opposizione a Cavour. Dopo
l'Unità riprese la lotta repubblicana, ma le persecuzioni della polizia sabauda
e le condizioni di salute limitarono i suoi ultimi tentativi.
Controversie Stampa raffigurante Mazzini con l'epitaffio della tomba a
Staglieno Conflitto con Cavour Giuseppe Mazzini, che dopo la sua attività cospirativa
fu esiliato dal governo piemontese a Ginevra, fu uno strenuo oppositore della
guerra di Crimea, che costò un'ingente perdita di soldati al regno sardo. Egli
rivolse un appello ai militari in partenza per il conflitto: «Quindicimila tra
voi stanno per essere deportati in Crimea. Non uno forse tra voi rivedrà la
propria famiglia. Voi non avrete onore di battaglie. Morrete, senza gloria,
senza aureola, di splendidi fatti da tramandarsi per voi, conforto ultimo ai
vostri cari. Morrete per colpa di governi e capi stranieri. Per servire un
falso disegno straniero, l'ossa vostre biancheggeranno calpestate dal cavallo
del cosacco, su terre lontane, né alcuno dei vostri potrà raccoglierle e
piangervi sopra. Per questo io vi chiamo, col dolore dell'anima,
"deportati". Quando Napoleone III scampò all'attentato teso da Felice
Orsini e Giovanni Andrea Pieri, il governo di Torino incolpò Mazzini (Cavour lo
avrebbe definito "il capo di un'orda di fanatici assassini"[68]
oltreché "un nemico pericoloso quanto l'Austria"),[69] poiché i due
attentatori avevano militato nel suo Partito d'Azione. Secondo Denis Mack
Smith, Cavour aveva in passato finanziato i due rivoluzionari a causa della
loro rottura con Mazzini e, dopo l'attentato a Napoleone III e la conseguente
condanna dei due, alla vedova di Orsini fu assicurata una pensione. Cavour al
riguardo fece anche pressioni politiche sulla magistratura per far giudicare e
condannare la stampa radicale. Egli, inoltre, favorì l'agenzia Stefani con
fondi segreti sebbene lo Statuto vietasse privilegi e monopoli ai privati. Così
l'agenzia Stefani, forte delle solide relazioni con Cavour divenne, secondo il
saggista Gigi Di Fiore, un fondamentale strumento governativo per il controllo
mediatico nel Regno di Sardegna.[73] Mazzini, intanto, oltre ad aver condannato
il gesto di Orsini e Pieri, espose un attacco nei confronti del primo ministro,
pubblicato sul giornale Italia del popolo: «Voi avete inaugurato in Piemonte un
fatale dualismo, avete corrotto la nostra gioventù, sostituendo una politica di
menzogne e di artifici alla serena politica di colui che desidera risorgere.
Tra voi e noi, signore, un abisso ci separa. Noi rappresentiamo l'Italia, voi
la vecchia sospettosa ambizione monarchica. Noi desideriamo soprattutto l'unità
nazionale, voi l'ingrandimento territoriale» (Giuseppe Mazzini[74])Timori
di Mazzini per la cessione della Sardegna Estratto di articolo di
giornale inglese Mazzini temeva che Cavour, dopo la cessione della Savoia e di
Nizza, potesse cedere anche la Sardegna, una delle cosiddette “tre Irlande”, sulla
base di altri supposti accordi segreti di Cavour con la Francia, in cambio di
una definitiva unificazione italiana, accordi che preoccupavano anche
l’Inghilterra, la quale era intervenuta presso Cavour per avere rassicurazioni
sul fatto che non sarebbe stato ceduto altro territorio italiano alla Francia.
Russell commenta a Hudson, in Torino, di dire al Conte di Cavour, che il
Governo inglese, informato di un disegno per la cessione della Sardegna alla
Francia, protestava e chiedeva promessa formale di non cedere territorio
italiano. Il dispaccio era comunicato il 26 a Cavour.» (da Scritti editi
e inediti di Giuseppe Mazzini, per cura della Commissione editrice degli
scritti di Giuseppe Mazzini, Roma]) Riguardo alla cessione della Sardegna alla
Francia, Mazzini affermava anche: «[...] [L]'opposizione minacciosa
dell’Inghilterra e la nostra, possono renderlo praticamente impossibile.»
(da Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini, per cura della Commissione
editrice degli scritti di Giuseppe Mazzini, Roma) Alcune affermazioni di
Giovanni Battista Tuveri, esponente del cattolicesimo federalista, deputato per
due volte al Parlamento Subalpino e amico di Mazzini, confermano la possibilità
di accordi segreti relativi alla cessione della Sardegna alla Francia per una
definitiva unificazione del resto della penisola: «Vicino a Mazzini ed a
Cattaneo, ma con una propria originalità di pensiero, il Tuveri fu sempre
fedele alle sue convinzioni federaliste o, in mancanza di meglio, autonomiste,
né esitò ad impegnarsi nell'azione pratica quando nel 1860-61 circolò
insistente la voce che Cavour, dopo Nizza e la Savoia, intendesse cedere alla
Francia anche la Sardegna» Anche il giornale britannico "The
Illustrated London News" del 27 luglio 1861 citava l'inopportunità di
cedere la Sardegna alla Francia, commento che aveva suscitato reazioni nella
stampa francese e fatto suggerire altre ipotesi. Mazzini suscita continuamente
energie, affascinò per quarant'anni ogni ondata di gioventù e intanto gli
anziani gli sfuggivano».[80] Quasi tutti i grandi personaggi del Risorgimento
aderirono al mazzinianesimo ma pochi vi restarono. Il contenuto religioso
profetico del pensiero del Maestro, in un certo modo rivelatore di una nuova
fede, imbrigliava l'azione politica. Mazzini infatti non aveva «la duttilità e
la mutevolezza necessaria per dominare e imprigionare razionalmente le forze».
Per questo occorreva una capacità di compromesso politico propria dell'uomo di
governo come fu Cavour; «[i]l compito di Mazzini fu invece quello di creare
l'"animus"». Quando sembrava che il problema italiano non avesse via
d'uscita «ecco per opera sua la gioventù italiana sacrificarsi in una suprema
protesta. I sacrifici parevano sterili», ma invece risvegliavano l'opinione pubblica
italiana e europea. La tragedia della Giovine Italia «impose il problema
italiano a una sempre più vasta sfera d'Italiani: che reagì sì con un programma
più moderato ma infine entrò in azione e quegli stessi ex mazziniani che
avevano rinnegato il Maestro aderendo al moderatismo riformista alla fine
dovettero abbandonare ogni progetto federalista e acconsentire all'entusiasmo
popolare suscitato dalle idee mazziniane di un riordinamento unitario
italiano».[81] Le idee politiche di Mazzini furono alla base della
nascita del Partito Repubblicano Italiano nel 1895. Tramite la Costituzione
della Repubblica Romana, ispirata al mazzinianesimo e considerata un modello
per molto tempo, fu uno dei pensatori le cui idee furono alla base della
Costituzione Italiana del 1948. Inoltre ebbe una grande influenza anche fuori
dall'Italia: politici occidentali come Thomas Woodrow Wilson (con i suoi
Quattordici Punti) e David Lloyd George e molti leader post-coloniali tra i
quali Gandhi, Golda Meir, David Ben-Gurion, Nehru e Sun Yat-sen consideravano
Mazzini il proprio maestro e il testo mazziniano Dei doveri dell'uomo come la
propria "Bibbia" morale, etica e politica.[82] Mazzini conteso
tra fascismo e antifascismo Mazzini sul letto di morte L'eredità ideale e
politica del pensiero di Giuseppe Mazzini è stata a lungo oggetto di dibattito
tra opposte interpretazioni, in particolare durante il Fascismo e la
Resistenza. Già nel settembre 1922, prima dell'avvento del fascismo, il
cinquantenario della sua morte fu celebrato con una serie di francobolli. In
seguito, nel Ventennio fascista Mazzini fu oggetto di citazioni in libri,
articoli, discorsi, fino al punto d'essere considerato una sorta di precursore
del regime di Mussolini.[83]. Secondo un appunto diaristico (intitolato "Ripresa
mazziniana") di Giuseppe Bottai, però, l'utilizzo che ne fece Mussolini fu
sempre strumentale[84]. La popolarità di Mazzini durante il periodo
fascista è dovuta anche ai numerosi repubblicani che confluirono nei Fasci di
combattimento, iniziando il loro percorso di avvicinamento a Mussolini durante
la battaglia interventista, soprattutto nelle aree dove maggiore era la
presenza del PRI, cioè in Romagna e nelle Marche. Sulle pagine de L'Iniziativa,
l'organo di stampa del PRI, si guardava a Mussolini come al «magnifico bardo
del nostro interventismo».[85] Particolare fu il caso di Bologna, città
in cui i repubblicani Pietro Nenni, Guido e Mario Bergamo presero parte
attivamente nel 1919 alla fondazione del primo Fascio di combattimento emiliano
per poi abbandonarlo poco dopo diventando avversari del fascismo. Tra i più
famosi repubblicani che aderirono al fascismo vi furono Italo Balbo (che si era
laureato con una tesi su "Il pensiero economico e sociale di Mazzini"
e del quale lo storico Claudio Segrè ha scritto: «Balbo, prima di aderire al
Fascismo nel '21, esitò a lasciare i repubblicani fino all'ultimo momento e
considerò la possibilità di mantenere la doppia iscrizione»), Curzio Malaparte
e Berto Ricci, che nel fascismo vedeva la perfetta sintesi fra «la Monarchia di
Dante e il Concilio di Mazzini».[87] L'intellettuale mazziniano Delio
Cantimori, nella prima fase del suo percorso politico che lo portò prima ad
aderire al fascismo poi al comunismo, considerava il fascismo «compimento della
rivoluzione nazionale iniziatasi con il Risorgimento, che doveva riuscire dove
il processo risorgimentale e il cinquantennio successivo avevano fallito:
nell'inserimento e nell'integrazione delle masse nello stato nazionale, nella
creazione di una più vera democrazia, ben diversa dal
"parlamentarismo" e lontana dall'"affarismo", dal
"particolarismo", dall'"inerzia" che avevano caratterizzato
l'Italia liberale». Inizialmente la tesi delle origini risorgimentali del
fascismo fu fatta propria anche dai comunisti. Togliatti, polemizzando con il
movimento Giustizia e Libertà e il suo fondatore Rosselli, in un articolo su Lo Stato operaio
critica il Risorgimento e indicò in Mazzini un precursore del fascismo. La
tradizione del Risorgimento vive quindi nel fascismo, ed è stata da esso
sviluppata fino all'estremo. Mazzini, se fosse vivo, plaudirebbe alle dottrine
corporative, né ripudierebbe i discorsi di Mussolini sulla funzione dell'Italia
nel mondo. La rivoluzione antifascista non potrà essere che una rivoluzione
"contro il Risorgimento", contro la sua ideologia, contro la sua
politica, contro la soluzione che esso ha dato al problema della unità dello
Stato e a tutti i problemi della vita nazionale. La stessa posizione fu assunta
d’Amendola, durante il confino a Ponza, nel primo di due corsi sul Risorgimento
tenuti per i confinati, per poi rivedere tale impostazione nel secondo corso,
dopo la svolta unitaria del 1934 (che segnò l'inizio della politica del fronte
popolare con la conclusione di un "patto d'unità d'azione" con i
socialisti), allorché insistette sulle origini risorgimentali del movimento
operaio. I fascisti, inoltre, rivendicavano una continuità con il pensiero
mazziniano anche riguardo l'idea di “patria”, la concezione spirituale della
vita, l'importanza dell'educazione di come strumento per creare un uomo nuovo e
una dottrina economica ispirata alla collaborazione tra le classi sociali. Baioni
scrive a proposito della contemporanea celebrazione nell’anniversario della
morte di Garibaldi e del decennale della Marcia su Roma che le principali
manifestazioni sembrano confermare il nesso tra il bisogno di presentare il
fascismo come erede delle migliori tradizioni nazionali e la volontà non meno
forte ad enfatizzarne le componenti moderne, che avrebbero dovuto distinguerlo
come originale esperimento politico e sociale. Negli anni della Resistenza la
situazione si complica maggiormente: il fascismo della repubblica sociale
italiana intensifica naturalmente i richiami a Mazzini. Ad esempio la data del
giuramento della guardia nazionale repubblicana venne fissata il 9 febbraio,
giorno della proclamazione, quasi un secolo prima, della repubblica romana che
aveva avuto alla sua testa il triumviro Mazzini. Ma anche gli anti-fascisti, in
particolare i partigiani di Giustizia e Libertà di Rosselli, iniziano a
richiamarsi sempre più apertamente al rivoluzionario genovese. Proprio Rosselli
scrisse che agiamo nello spirito di Mazzini, e sentiamo profondamente la
continuità ideale fra la lotta dei nostri ante-nati per la libertà e quella di
oggi. A seguito della caduta del fascismo e dell'armistizio di Cassibile, la
lotta contro il nazi-fascismo vide la partecipazione dei repubblicani (il cui
partito era stato sciolto dal Regime nel 1926) anche attraverso la formazione
di proprie unità partigiane denominate Brigate Mazzini. Anche un comandante
partigiano, proposto per la medaglia d'oro al valor militare, Manrico
Ducceschi, ispirò la sua azione all'ideologia mazziniana adottando in onore di
Mazzini il nome di battaglia di "Pippo", lo stesso pseudonimo usato dal
patriota genovese. Altri saggi: Atto di fratellanza della Giovane Europa in
Giuseppe Mazzini, Edizione nazionale degli scritti., Imola, s.e., 1Dei doveri
dell'uomo Fede ed avvenire Editore Mursia
Doveri dell'Uomo Editori Riuniti
university pressRoma Pensieri sulla
democrazia in Europa, trad. Salvo Mastellone, Feltrinelli, Milano, Andrea
Tugnoli, La pittura moderna in Italia, Bologna, CLUEB, Antologia di scritti Dal
Risorgimento all'Europa Mursia Periodici
diretti da Giuseppe Mazzini L'apostolato popolare Il nuovo conciliatore
L'educatore Le Proscrit. Journal de la République Universelle Il tribunoNote La Civiltà cattolica, Volume 2; Volume 18, La
Civiltà Cattolica, «La politica acquista pathos religioso, e sempre più
col procedere del secolo... la nazione diventa patria: e la patria la nuova
divinità del mondo moderno. Nuova divinità e come tale sacra.» in F. Chabod,
L'idea di nazione, Laterza, Bari); Da Dei doveri dell'uomoFede e avvenire,
Paolo Rossi, Mursia, Milano 1965-1984 L'uomo nuovo in Indro Montanelli,
L'Italia giacobina e carbonara, Rizzoli, Milano, Susanne Schmid, Michael
Rossington, The Reception of P.B. Shelley in Europe Citato nell'Edizione nazionale degli Scritti
di Giuseppe Mazzini a cura della Commissione per l'edizione nazionale degli
Scritti di Giuseppe Mazzini, Cooperativa tipografico-editriceGaleati; per la
citazione vedi anche: Memoriale Mazzini-Domus Mazziniana; Introduzione a Jessie
White Mario, Vita di Giuseppe Mazzini su Castelvecchi Editore; Giuseppe
Santonastaso, Edgar Quinet e la religione della libertà, pag. 156, edizioni
Dedalo, 1968; Francesco Felis, Italia unità o disunità? Interrogativi sul
federalismo, Armando editore,, pag. 7.
Comune di Savona Liguria magazine
Archiviato il 25 gennaio in. Gilles Pécout, Il lungo Risorgimento: la
nascita dell'Italia contemporanea Pearson Italia S.p.a., 01 Patria, nazione e stato tra unità e
federalismo. Mazzini, Cattaneo e Tuveri, CUEC, University Press-Ricerche
storiche, La tesi del figlio sicuramente di Mazzini è sostenuta in Bruno Gatta,
Mazzini una vita per un sogno, Guida Editori, Il dubbio invece che si trattasse
veramente di un figlio di Mazzini è espresso in Luigi Ambrosoli (Giuseppe
Mazzini: una vita per l'unità d'Italia, ed.Lacaita): «Ma proprio il ritardo con
cui venne comunicata a Mazzini la notizia della morte di Adolphe fa sorgere
qualche dubbio sulla supposizione, per le altre ragioni accennate ben fondata,
che si trattasse di suo figlio». Dubbi simili vengono riportati in Salvo
Mastellone, Mazzini e la "Giovine Italia", 1831-1834, Volume 2, Domus
Mazziniana, 1960 («D'altra parte, è da aggiungere che nelle lettere inedite a
Ollivier, che pubblichiamo, Mazzini, pur parlando di Giuditta come della
propria amica, se accenna ad Adolphe come figlio di Giuditta, non allude al
bambino come proprio figlio:...»)
Domenico Barberis, in Dizionario biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Mazzini a Londra È l'autrice del
romanzo gotico Frankenstein (Frankenstein: or, The Modern Prometheus). Curò le
edizioni delle poesie del marito Percy Bysshe Shelley, poeta romantico e
filosofo. Era figlia della filosofa Mary Wollstonecraft, antesignana del
femminismo, e del filosofo e politico William Godwin. Susanne Schmid, Michael Rossington, The
Reception of P.B. Shelley in Europe
Miranda Seymour, Mary Shelley, caGiuseppe Mazzini, il cospiratore senza
segreti Lettere di Mazzini ad Aurelio
Saffi e alla famiglia CraufordGiuseppe MazzatintiSoc. Ed. Dante
Alighieri1906 Politica e storiaFilippo
Buonarroti e altri studidi Pia Onnis RosaEdizioni di storia e letteraturaRoma Mazzini
«pavese» e l'Unità d'Europa Quando
Mazzini scatenò il patatrac sognando la Repubblica pbmstoria. Legnago a
Giuseppe Mazzini, Grafiche Stella, S. Pietro di Legnago (Verona) 200551. Giacomo Scarpelli, La scimmia, l'uomo e il
superuomo. Nietzsche: evoluzioni e involuzioni
Pensiero di Mazzini, brigantaggio.net
1946: la Repubblica nasce nel nome di Mazzini, su pri.Carducci scrisse
una famosa lirica intitolata Mazzini i cui versi finali sono rimasti nella
storia: «E un popol morto dietro a lui si mise. / Esule antico, al ciel mite e
severo / Leva ora il volto che giammai non rise, /Tu solpensandoo ideal, sei
vero». La stessa semplice scritta volle
Giovanni Spadolini, politico e storico repubblicano, sulla propria tomba a
Firenze Luigi Polo Friz, La massoneria
italiana nel decennio post unitario: Lodovico Frapolli, Franco Angeli, Storia
della Massoneria in Italia. L'influenza di Giuseppe Mazzini nella Massoneria
Italiana Archiviato il 7 gennaio in. La stanza di MontanelliL' unità d' Italia e
la Massoneria Giuseppe Mazzini massone? A.Desideri, Storia e storiografia, IEd.
D'Anna, Messina. Gli sconvolgimenti operati dalla Rivoluzione francese avevano
fatto dubitare a molti uomini della razionalità della storia, così altamente
proclamata nel secolo precedente. L'unica alternativa allo scetticismo parve
allora la fede in una forza arcana operante provvidenzialmente nella storia» in
A. Desideri, Ibidem «S'identificò la
storia della civiltà con la storia della religione, e si scorse una forza
provvidenziale non solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe
sorgere e operare nella sua sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela
della giustizia, Iddio: tanto è lungi dall'essere operatore e costruttore di
storia l'arbitrio individuale e il raziocino logico». Adolfo Omodeo, L'età del
Risorgimento italiano, Napoli. Così il genere umano è in gran parte
naturalmente servo e non può essere tolto da questo stato altro che
soprannaturalmente... senza il cristianesimo, niente libertà generale. e senza
il papa non si dà vero cristianesimo operoso, potente, convertitore,
rigeneratore, conquistatore, perfezionante.» (cfr. J. De Maistre, Il Papa,
trad. di T. Casini, Firenze) G. Mazzini,
Fede e avvenire, G. Mazzini, Fede e avvenire. Ha una visione utopica, romantica
e anche sincretistica della religione, che egli considerava come il contributo,
in termini di princìpi universali, delle varie confessioni e fedi alla storia
collettiva.» SenatoDoveri dell'uomo, II
G. Mazzini, Dei doveri dell'uomo
Fusatoshi Fujisawa, La terza Roma. Dal Risorgimento al Fascismo, Tokyo, Mazzini
il patriota scomodo Arturo Reghini a
metà strada tra fascismo e massoneria
«Noi dissentivamo su diversi punti: sulle idee religiose, ch'ei non
guardava, errore comune al più, se non attraverso le credenze consunte e perciò
tiranniche dell'oggi; sul cosiddetto socialismo, che riducevasi a una mera
questione di parole dacché i sistemi esclusivi, assurdi, immorali delle sétte
francesi erano ad uno ad uno da lui respinti e sulla vasta idea sociale fatta
oggimai inseparabile in tutte le menti d'Europa dal moto politico io andava
forse più in là di lui: sopra una o due cose delle minori spettanti
all'ordinamento della futura milizia; e talora sul modo d'intendere l'obbligo
che abbiamo tutti di serbar fede al Vero. Ma il differire di tempo in tempo sui
modi d'antivedere l'avvenire non ci toglieva d'essere intesi sulle condizioni
presenti e sulla scelta dei rimedi» (Giuseppe Mazzini su Carlo Pisacane) Lettera a Ernesto Forte Londra. Noi crediamo
in una serie infinita di reincarnazioni dell'anima, di vita in vita, di mondo
in mondo, ciascuna delle quali rappresenta un miglioramento ulteriore…»
(Mazzini, in E. Bratina). La vita d'un'anima è sacra, in ogni suo periodo: nel
periodo terreno come negli altri che seguiranno; bensì, ogni periodo dev'esser
preparazione all'altro, ogni sviluppo temporale deve giovare allo sviluppo
continuo ascendente della vita immortale che Dio trasfuse in ciascuno di noi e
nella umanità complessiva che cresce con l'opera di ciascuno di noi» (Dei doveri
dell'uomo). Leggeva Dumas e i testi
buddisti Il volto inaspettato di Mazzini
Il Foscolo, che scriveva di aver visto da giovinetto a Venezia un
"libercolo" attribuito a Gioacchino, in cui erano indicati i papi
futuri, affermava che la fama dell'abate era "santissima" fin dalla
fine del sec. XVI, tanto che Montaigne, desiderava di poter vedere questa
meraviglia: «le livre de Calabrois, qui prédisait tous les papes futurs, leurs
noms et formes» G. da Fiore, Concordia
Veteris et Novi testamenti, B. Rosa, Gli appunti manoscritti di Mazzini,
Impronta, Torino, Roland Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione
civile, con postfazione di Sauro Mattarelli, Roma-Bari, Laterza, A.Omodeo, Introduzione a G. Mazzini, Scritti scelti,
Mondadori, Milano, «L'Italia trionferà
quando il contadino cambierà spontaneamente la marra con il fucile». in C.
Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale Economica, Milano 1956 Mazzini: comunismo vuol dire dittatura Il "Manifesto" di Marx? Scritto
contro Mazzini Doveri dell'uomo,
capitolo XI, punto 3° G. Mazzini, Doveri
dell'uomo, cap.XI (in Andrea Baravelli, L'Italia liberale, ArchetipoLibri, A. Gacino-Canina, Economisti del Risorgimento,
Torino, POMBA, 1G. Mazzini, Istruzione generale per gli affiliati nella Giovine
Italia in Scritti editi e inediti, II, Imola,G. Mazzini, op. cit. Nome col quale i greci indicavano l'Italia
antica L. Stefanoni, G. Mazzini: notizie
storiche..., Presso Barbini, Ricordi dei fratelli Bandiera e dei loro compagni
di martirio in Cosenza Documentati colla
loro corrispondenza, Dai torchi della Signora Lacombe, C. Pisacane. Volantino
pubblicato su "Italia del popolo", G. Cataldo, Chi ha paura di
Mazzini?, in la stampa. D. Smith, Mazzini, Rizzoli, Milano, D. Smith, Contro-storia
dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento, Milano, Gigi Di Fiore,
A. Cappa, Cavour, G. Laterza, definizione di Cavour riportata da The Morning Post.
We have three Irelands, in Sardinia, Genoa and Savoy La terza Irlanda, Gli scritti sulla Sardegna
di C. Cattaneo e Mazzini, Carlo Cattaneo, Giuseppe Mazzini, Francesco Cheratzu,
8pagg. Mazzini La Sardegna Tip. A. Debatte Livorno, Risorgimento Rassegna The
Illustrated London News In A. Saitta, Antologia di critica storica, Laterza, Le
citazioni sono tratte da A. Omodeo, Introduzione a Mazzini, Scritti scelti,
Mondatori, Milano, (D. Fusaro) P.
Benedetti “Mazzini in Camicia nera” edito della Fondazione 'Ugo La Malfa'; Dal
diario di G. Bottai. Spesso, all'uscita dei cento e più volumi dell'edizione
nazionale di Mazzini trovo il Duce, a palazzo Venezia, immerso nelle folte
pagine. O meglio, v'immergeva, a ferire di pugnale, il suo metallico
tagliacarte: e ne tirava fuori brandelli di Mazzini. A quando a quando il
brandello anti-francese, anti-illuminista, anti-nglese, anti-socialista, etc.
etc. Brandelli, mai tutt'intero, nella sua viva, molteplice e pur varia
personalità; S. Luzzatto, Riprese mazziniane, Mestiere di storico: rivista
della Società italiana per lo studio della storia contemporanea (Roma: Viella,
); P. Benedetti "Mazzini nell'ideologia del fascismo" G. Belardelli, “Camerata Mazzini, presente!” Gentile,
Balbo, Rocco, Bottai: tutti i fascisti tentarono di arruolarlo, Corriere della
Sera; “Manifesto realista” pubblicato sulla rivista L'Universale Cromohs Pertici
Mazzinianesimo, fascismo, comunismo: l'itinerario politico di D. Cantimori, R. Pertici, Mazzinianesimo, Fascismo, Comunismo:
L'itinerario politico di Cantimori Cromohs, La memoria e le interpretazioni del
Risorgimento, Guerra e fascismo da 150anni.
P.Togliatti, Sul movimento di «Giustizia e Libertà», in Lo Stato
operaio, antologia F. Ferri, Roma, Riuniti); M. Fatica, Amendola, Giorgio, in
Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, P. Mieli, "L'Italia
impossibile di Mazzini un fallito di genio", Corriere della Sera, M.
Baioni, Il Risorgimento in camicia nera, Carocci, Roma; Corriere della Sera in
Arianna editrice Mario Ragionieri Salò e
l'Italia nella guerra civile, Ibiskos, P. Mieli, art. cit. Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.
“Saggi”, A. Saffi e di E. Nathan, Roma, “Lettere a Saffi e alla
famiglia Craufurd, Società Dante Alighieri di Albrighi, Segati, Roma); “La
democrazia in Europa, trad. a cura di S. Mastellone, Feltrinelli, Milano, V. Marchi,
Ricostruzione della filosofia religiosa, in Dio e Popolo, Marchi, Camerino Joseph
de Maistre, Il Papa, Firenze, A. Omodeo (Milano, Mondadori); A. Codignola (Torino,
POMBA); A.Omodeo, “Il ri-sorgimento italiano, Napoli, ESI, F. Chabod, L'idea di
nazione, Bari, Laterza, G. Monsagrati (Milano, Adelphi); G. Batini, Album di
Pisa, Firenze, La Nazione, F. Peruta, I rivoluzionari italiani: il partito
d'azione, Milano, Feltrinelli, Il processo a Vochieri, Alessandria, Lions; M. Albertini,
Il Risorgimento e l'unità europea, Napoli, Guida, D. Smith (Milano, Rizzoli); S.
Mastellone, Il progetto politico di Mazzini: Italia-Europa, Firenze, Olschki); A.
Desideri, Storia e storiografia, Messina, Anna); R. Sarti, La politica come
religione civile (Roma, Laterza, S. Mattarelli, Dialogo sui doveri (Venezia,
Marsilio); P. Galletto, Nella vita e nella storia” (Battagin); N. Erba, Unità nazionale e Critica storica,
Grasso , Padova. N. Erba, Il Contributo italiano alla storia del pensiero Ottava
Appendice. Storia e politica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Dear
Kate. Lettere inedite di Giuseppe Mazzini a Katherine Hill, A. Bezzi e altri italiani
a Londra, Rubbettino; Saggio sulla rivoluzione, Universale Economica, Milano); I
sistemi e la democrazia. Pensieri Con una Appendice su La religione di Mazzini scelta
di pagine dall'Opuscolo Dal Concilio a Dio, V. Gueglio (note al testo,
repertorio dei nomi e saggio introduttivo) Milano, Greco); Giuseppe Mazzini verifiche
e incontri Atti del Convegno Nazionale di Studi, Genova, Gammarò, Tufarulo,G,M.-
L'Iniziatore, l'iniziato, Dio e popolo. La tempesta mazziniana nella
rivoluzione del pensiero Cultura e Prospettive, Filmografia Viva l'Italia di R.
Rossellini. Film incentrato sulla spedizione dei Mille. Mazzini, sceneggiato
RAI, regia di P. Passalacqua, Il generale, sceneggiato RAI, regia di L. Magni. Mazzini è interpretato da Bucci. Noi credevamo
di M. Martone. Mazzini è interpretato da T. Servillo. Anita Garibaldi,
miniserie di Rai 1 ; interpretato da Alessandro Lombardo. L'alba della libertà,
cortometraggio, regia di Emanuela Morozzi, Associazione Mazziniana Italiana
Domus Mazziniana Doveri dell'uomo Mazzinianesimo Monumento a Giuseppe Mazzini
(Firenze) Museo del Risorgimento e istituto mazziniano Pensieri sulla
democrazia in Europa Risorgimento. su
Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. su sapere, De Agostini. (IT, DE, FR) hls-dhs-dss.ch, Dizionario
storico della Svizzera. GDizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, storia.camera,
Camera dei deputati. Istituto Mazziniano
a Genova; Rai Tv: "La Storia siamo noi": una certa idea dell'Italia,
su la storia siamo noi.rai. 3Mazzini e le frontiere d'Italia su viacialdini.
Pagine mazziniane: "il pensiero e l'azione", dal sito della
Biblioteca Nazionale di Napoli, su vecchiosito bnn Domus Mazziniana di Pisa, su
domusmazziniana. Associazione Mazziniana Italiana, Scritti Prose politiche, Cenni
e documenti intorno all'insurrezione lombarda e alla guerra regia, Scritti
editi e inedit, Celebrazioni mazziniane Mazzini, Triumviro della Repubblica
Romana, A. Saliceti Aurelio Saliceti. Giuseppe Mazzini. Mazzini. Keywords: la
giovine italia, la tesi di laurea di Benedetti su Mazzini nella ideologia
fascista, ideologia fascista, gentile, bobbio, garibaldi, nazione italiana,
stato nazionale, stato unitario. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzini” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51671592017/in/photolist-2mJ3q6x-2mJ3q6n-2mJbZzZ-2mJb1x1-2mJ3q6C-2mJb1wQ-2mJbZBC-2mJb2oV-2mJ7x72-2mJ3q8w-2mJb1yi-2mJ7xUQ-2mJ8L5B-2mJ7xVw-2mJ7x7Y-2mJ8LUH-2mJ7xUV-2mJ7xVG-2mJ8L6J-2mJbZAR-2mJ3q8B-2mJ3q6c-2mJ8LUC-2mJbZC9-2mJbZzP-2mJb3w1-2mJ7z8m-2mJc2E5-2mJb3xU-2mJ8N7x-2mJ7z8g-2mJ8N9S-2mJ3sa7-2mJ8Nao-2mJ3s6V-2mJ3s9A-2mJc2Fh-2mJb3yF-2mJb3xZ-2mJ7z6T-2mJb3zN-2mJ7z7z-2mJ7z7j-2mJ8Nb5-2mJ8N8z-2mJ7z8G-2mJ7z5W-2mJ8NaP-2mJ8N7H-2mJ3s8P
Grice e
Mazzoni – implicatura – filosofia italiana – la vita attiva dei romani -- Luigi
Speranza (Cesena). Filosofo. Grice:
“Mazzoni is important on various fronts: he loves Dante, or Alighieri as
Strawson calls him – his library in organised alphabetically; the other front I
forget!” Compì i suoi studi di lettere a Bologna e quelli di filosofia a
Padova. Membro dell'Accademia della Crusca, fu tra i preferiti del papa
Gregorio XIII che lo avrebbe voluto prelato; Mazzoni preferì proseguire nella
carriera universitaria. Dapprima fu all'Macerata, ed in seguito a Pisa, dove
ebbe la cattedra di filosofia. Nella città della torre pendente, conobbe un
giovane insegnante di matematica, Galilei, con il quale instaurò ottimi rapporti.
Nel 1597 fu invitato ad insegnare all'Università La Sapienza di Roma. Benché
avesse da poco preso questa cattedra, seguì il cardinale Pietro Aldobrandini
nei suoi incarichi a Ferrara ed in seguito a Venezia. Ammalatosi sulla strada
del ritorno, si recò nella sua Cesena, dove si spense. Opere: “Difesa della
Commedia di Dante Grazie alla sua preparazione letteraria, giunse alla
notorietà per il suo tomo Difesa della Commedia di Dante, pubblicato a Bologna
inizialmente, sotto pseudonym e poi l'anno successivo sotto il suo vero nome,
in cui criticò aspramente Leonardo Salviati. Nel testo egli risponde ad alcune
contestazioni fatte alle sue elucubrazioni sul sommo poeta Dante Alighieri.
Parimenti nel libro si occupa anche di argomentazioni pertinenti alla filosofia
ed alla poetica”; “In universam Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia
Interessato anche all'astronomia, Mazzoni espone le sue teorie in quello che
risulta il suo testo più importante ovvero In universam Platonis et Aristotelis
philosophiam preludia pubblicato nel 1597. In questo libro egli sostiene il
sistema geocentrico aristotelico contro la sempre più diffusa e apprezzata
teoria copernicana eliocentrica. Questo volume è divenuto molto noto poiché
Galileo Galilei, dopo averlo letto, gli inviò una lettera, datata 30 maggio
1597, nella quale difendeva Copernico e le sue teorie. Questa missiva
rappresenta la più antica testimonianza dell'adesione alla teoria eliocentrica
di Galilei. Mazzoni, Prefazione, in
Mario Rossi, Discorso di Mazzoni in difesa della "Commedia" del
divino poeta Dante, S. Lapi.Saggi: “Discorso de' dittongi” (Cesena, Rauerio); “Discorso
in difesa della Comedia del divino Alighieri contro Castravilla” (Cesena, Raveri);
“De triplici hominum vita ACTIVA nempè, contemplativa, et religiosa methodi
tres, quaestionibus quinque millibus, centum et nonagintaseptem distinctae in
quibus omnes Platonis et Aristotelis, multae vero aliorum Latinorum in universo
scientiarum orbe discordiae componuntur” (Cesena, Raverio), “Della difesa della
Comedia di Alighieri -- distinta in sette libri” (Cesena, Rauerio), “Intorno
alla risposta e alle opposizioni fattegli da Patricio, pertenente alla storia
del poema Dafni, o Litiersa di Sositeo poeta della Pleiade” (Cesena, Raverio); “Ragioni
delle cose dette e d'alcune autorità nel discorso della storia del poema Dafni,
o Litiersa di Sositeo” (Cesena, Raverio), “In universam Platonis et Aristotelis
philosophiam praeludia” (Venezia, Guerilius); TreccaniEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Giuseppe Toffanin, Jacopo Mazzoni, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Jacopo
Mazzoni, su sapere, De Agostini. Davide
Dalmas, Jacopo Mazzoni, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Jacopo Mazzoni, su
accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca. Opere di Jacopo Mazzoni, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Jacopo Mazzoni,. Arnaldo Di Benedetto, Iacopo Mazzoni, in
Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario
Enciclopedico Brockhaus ed Efron, Маццони, Джакомо. ostracismumlaudabithuiusceReipub.formam
ciae & AJ de Repub.
ses,illudaffequebantur,quodimprobimelioresessentco-Achen. oss
ditione,quàmprobi,quodquidememanauitexeo,quod RE IPÛ BLICAE ROMANORVM FELICITAS
cibiadis. VITAE ACTIVAE . ficiendaerant,adConfu .pertinebat-examinarediligen
ter,coacionesquotiesopusefleteuocare,SoCspopulore
ferre,quicquidque'maiorparsiusfillerexequio1 9 7.66
quinetiaminhisquaeadbelliapparatum ,& caftrensem
disciplinampertinet,hifummuni imperium habebant: hiseniiuseratsocijsquicquidvisunteller
imperare,Trib. m i l i t u m c r e a r e , d e l e &t u n i q ; h a b e r e
, a d h a e c d e h i s q u i s u b corum imperio erantin caftrisarbitratu
suofupplicium fumiere,hispraeterea licebat comitante quaestore,lacse dulo
imperatafaciente,publiciaeris,quantum resipsa posset,Reipub.fornianiRegiam
eflë. 768 Senatusautemprimoquidemacrarijtotiusdominuserat atg;administrator:nam
& redditusomnesin eiuserant potestate,& eiusdemarbitratu impensae
fiebant,malefi ciaque & crimina per Italiam commiffa ,de quibus Iudi. cium
publicacfieridebebat,vtputaproditionis,coniura t i o n i s, v e n e f i c i j,
c a e d i s , a t q ; i n s i d i a r u m a d S e n a t u m r e f e e
rebantur,eiuss;dehiseratcognitio. 769
quòdsivllaapudItaloscontrouersiadirimenda,fipubli ca,velpriuatim quispiam
,velciuitasobiurganda,ficui auxilium,autpraesidium ferendumesset,de his omnibus
curam Senatusadhibebat. codemo popularisReipub.fornia videtur. 764
Consulesenimantequàm exvrbelegioneseducerentvr 2. 765. quinimò&quaedeR.P.perpopulum
tranfigenda;& có. , {{ { 1 Pin !! porro tuleritimpendere. 767
quòdfiquisadhancpartemrespexerit,probaliterdicere
viderelicettuniRegiam,optimorum,populiģ;gaberna tionem:quotiesenimConsulum
imperiuintueamur,Re gia,quotiesveròSenatusauthoritatem optimarum admia niftratio,quotiesautem
populi poteftatem respicimus, banaruniomnium rerum ins,atq;imperiuna habebant:
hisetenimcaeterioninesmagistratus praeter Tr.Ple.fa?
bijciebantur,hilegationesincuriam traducebant,hicea
leriterquaeerantdecidendaitatuebant,negociaģ;magna adSenatum:referebant,&
penèsipsos(vtquae patresde: creuissentseduloperficerentur)curaomnis&
administra tio erat . 1 1 METHODVS. 56 770 codemq;modo fiextraItalianiad
aliquos legatso mitten da esset,veladaliquiddecidendum,veladfoedus facien
dum,veladcohortandum,velad imperandum,autpoftre mo
adresrepetendas,autadbellumindicendum,haec inyrbenyenerintagendum
,quideisrespondendumin populocommune,adeo vtquotiesquisadvrbem consuli
busabfentibusprofectuseffet,prorsuseiRespub.optima tumconfilioregi,& gubernarivideretur,quodfanèmul
tiGraecorum ,& Regum perfuafum habuerunt,quod ne
gocia,quaeinvrbehaberentferè,omniaperŞenatum tra is
incos,quimaioresmagiftratusgeffiffent,admittebatur. -774 folusautem
capitedamnandipotestatemhabuit,quainre illudsanèapudeoscommemoratione
digniffinum fuit, quod eorum instituto ijs quicapitis damnati fuerant ,vt on
exvrbepalan egrederentur,permittebatur,acfiTribuum vnaexhis,quaeiudicium
exercebantreliquafuerit,quae in
nondumfuffragiumtulerit,exiliun:reosibiarbitratusuo deligendifacultasdabatur,exulesautem
Neapoli ,Praene siæe,Tybure,atg;inaliaquauisfoederatorú vrbetutoelle
deferebat,legeetiamcomprobandi,acsanciendiiushabe bat,&
quodcaputeitisdepacedebello,defoedere,decó
trouersijsdecidendis,aurcomponendisdeliberauit,atque v n u m q u o d q u è h o
r u m r a t u n i, a u t i r r i t u m f a c i e b a t , q u i
bus,exrebusprobaliterpofletaliquisdicere,populuni si bimaximaminR.P.partem
vindicalfe,acReipub.formā Senatusipfecurabat,& prouidebat. - 771
praetereaquiddelegationibus exterarumgentium,quae ܀܀
expopuliadministrationeconfatam fuisse. 776
quòigiturpactoRespub,inpartesdiftributafueritiam ܀|
sigerentur. 773 suaetianıpopulo,&eaquidemamplissimaparsreli&aest:
poterant . 775 praetereapopulusipsemagistratusdignissimisquibusque
Senatusvoluntate,arý;arbitriopofitumerat. -772
atq;horumquidem,quaesuperiusdictasuntnihileftcum foluseniniinRepub.&
poenae,&praemijspotestatem ha ...
bebat,&plerunq;inalijsetiamquaeftionibusquotiesgra priuior
alicui'maleficijmulata irrogánda effet,& praesertim ditum VITAE ACTIVAE
. rendas,acperficiendasidoneushauderat. 777
conttarenimlegionibuseorumaliquidmissum,quaeillis
publicesuppeditarisolebant,namq;fineS.C.neớ;frumen tum ,neq;vestimenta,nec
obfonia legionibus administra r i p o t e r a n t, a d e o v t e o r u m , q u i
e x e r c i t u s d u x i s s e n t e x p e ditiones,&
confiliaomnia,quotieseis obftare,cum eila; maligneagereSenatusinanimum
induxiffet,irritaredde rentur,& minimèadexitumperducerentur: 778
quinvtquaeilianimo& cogitationecomplexifuerant, acfibiproposuerant
perficerepoflent,iliSenatus volunta tepofitum
erat:namispoftquàniannuumtempuspraete rierat,autsuccessoresmittendi,autimperium
prorogan dipoteftatemhabuit,acetiampenèseundem fuitducum resgestas,&
dignitatemvelextollere,atý;ornare,velele uare,ac deprimere :naniTriu nphos,neộ;vtidecet
a p p a rere,neġ;ducere cuiquam licebat, ni aliensus fuiffetS e
longissimeabfuiflet,populicerteaflensuopuserat,quodq; eftomnium ferèmaximum
,omnesimperiodeposito,po pulo eorum quaegefferint rationem reddereoportuit,
quapropterConsulibus,caeteris“;Imperatoribusminime expediebat,Se.po.què
voluntatemergaseconteninere. 780
rursusianiSenatusquamuistantùminR.P.potuerit.po illius authoritatem approballet
populus , 781 praetereasiquisexTrib.pleb,intercefferit,nedum Sena erat 1
natus,& ineiusfumptumerogasserneceffaria. 779
etsiquisexprouinciadecederevoluisset,quamuisdomo pulum tamen intueri,ac illius
rationem habere coactus fuit:inmaximisenim ,atg; atrocissimisquaestionibus
eorum maleficiorum,quaecontraRempub.conmislaca-. piteple&untur,nihilSenatus
exequipotuiffet,nisiprius tusnihileorum quae decreuerat perficere:sed ne sedere
quidem ,automninoincuriamvenirepoterat:Trib.autí 1 1 d i & u m est : n u n
c a u t e m q u a r a t i o n e p o t u e r i n t p a r t e s illae
quotiesvoluerint,sibimutuo repugnare,fibiq;inuicem opitulari,dicendum
eft:enimueròConsulpoftquameani, quamsuperiusdixifacultatemadeptus, copias
eduxerat, f u n i n i o q u i d e m ille c u m i m p e r i o v i d e b a t u r
esse : v e r u m populi,acSenatusauxilioindigebat,acsinehisadresge 1
eratofficium idfemperexequi:quod populovisunrfuerat ciasý voluntatem
quanimaximè respicere,hisomnibus cepissent,eosreleuandi;siquae
difficultas,autpublicuni seei sintortunium
;quominusellentfoluendiobstitisser,loca . tionemgprorfusinducendi,ius&
poteftatem habuit. 784 eodeniemodoConsuluthactionibustimidè,acminime l i b e n
t e r a d u e r s a b a n t ü r t u m p o p u l u s ,t u m S e n a t u s c a n
i f o ris,militiaeq;vniuersusexercitus, & finguli,quia fub c o ad
seinuicemiuuandun,& impediendum adomnes rerú
217;.occasiones;exopinionePolybijeaminterseaprè,conue Bodi nichteré
connexae;dispofitaeq;fuerunt,vthacnullam e Izifior,praestantiorgReipub
formareperitipotuerit.' 5786name,cumhabeantomnesRefpub.inorbequandam có
11.4,.uerfionem,&mutationem :nullamipsehacfirmioremar Essen
bitratuseft,fiquidem poft vniuersaliadilaniaamissis,ac f u b l a t i s a r t i
b u s & f t u d i j s, a l i q u o p o s t t e n p o r i s i n t e r u a l
l o rursushumanum genusauctum & propagatumfuit,quo tempore inhominibasnaturalearbitraridebemus,quod
etiain inrationecarcntiumanimalium generibuscótin gerevidenius,inquorum
gregibusfortiffimusquisý;m a nifestòprincipatum fibivendicat:omnesenim
fortissimú & potentisfimumfectabantur,aró;itavniusdominiuni oliniigiturquisemelhonoreillodignihabitisunt
inre gnisconsenescebant iufta ftudia fe& antes nullaq;propter c o s i n u i
d i a , fi q u i d e m n o n m a g n a i n e i s a u t v i & tis, a u t v
e ròomnibusSenatuspraeerat. 7837 idem diem proferendi,fiquam publicanicalaniitatemac
-;-- rum imperio,acpotestateeflent. *785iHaecporrò cum elfétvniuscuiusýpartium
vis& facultas - T I M E T H O D V S .: 57
decáüllismultitudinemSenatusmetuebat,ad populique :voluntatem ,ftudiuni&
cogitationessuasdirigebat. 787 atcontraSenatuipopulusipseobnoxius,&fubie&userat,
11.06,eumquevniuerfim,&fingulatim colere,arg;obseruaresua 249.3)
permagniinteresseputauit,cum enimeffentinItaliamul bidid
tave&igaliunigenera,quaeCenforesinfumptusappara 33°53.stusd;publicos locare
solebant:in hisomnibus conducen 0 1 . 1 7 . d i s, & c u r a n d i s p o p
u l u s i m p l i c i t u s ef fe c o n f u t u i c :h i s v e conftitutum eft.
287 H Iitus kitusgracatiocernebatur:verumfuniperin éculisciuium w i
t a n i l a g c o t e s, c a d c m q u a p o p u l u s v i c t u s r a t i o n
e v t e b a n 7 8 8 l e d p o f t q u à m h o r u m filij c u m i a m c o m p a
r a t a b a b e r e n t imperio,essentdifferre,& ad haec licexe
etiamfpemine 3 7 : p r a e m e t u c o n t r a d i c e n t e ): i n c o n c e f
u s . c o n c u b i t u s a p p e t o re,ató;itacoortaeftexRegnoTyrannis. Noći
789 atghocmanifeftèliquet,exCyri,Cam.bylifqueimperio, .:fortissinisviris
coniurationes,adinuante etiam ducum En
fuorumconfiliamultitudine,atg;iliusimperijquodpe nesvnum erat formafacilevedeleretureueniebat,atque
indeiam optimatum principalusortunt,atqueinitium accepifient,educatiabinitioin
poteltate,ang honoribus apparatus,alijsad vim mulieribus perItapra,& raptus
inferendam ,alijdenių;adaliaturpialeconuertebant,atậ; itaoptimatum
principatusad paucorun dominacionem hinc illorum imperioper idem quod Tyrannos
oppresse ratinfortunium finişimponebatur,ncq;praetereaRegen
crearelibuitsobiniuftitiac,quasuperioresvsifuerantm e tum
,neg;pluribuscommittereRempub.audebanttam re centi rei malae geftacniemoria ad
suanı igitur fidem p u blicarecipiebant,atq,itapopularisforniaeffe&aeft.
794 horumpoftremofilijpluscaeterisįnR.P.pofseconten debant; atg;sinhanc
cupiditatem ,maxime locupletiores incidentesmaximispecuniaelargitionibasplebem
cor runipebant 1 T? VITAE ACTIVAÈ .
paternis,proptereaaequabilis,communisų libertatisru ;,-des&
ignari,alijvinolentiam ;& luxuriofosconuiuionum translatuseft. 793
praesidia,& rebusadvi&um pertinentibus,magis quàm pro
neceffitateabundarent,ob nimiam bonorum copiam , atq;aff.uentiamcupiditatibusobsequentės,arbitratifunt
oportereprincipes,ornatus& epulisabijs,quifubeoruni f :: quod&
Herodotusaffirmat. 799 contrahuiuscemodiprincipesfiebantàgencrofiffimis,& 1
1 tur . duxit . 791 hiprinòadministrationcgaudentescommunivtilitate del nihilantiquiushabuere,
31.disinijinsi 7 9 2 ,S e d c u m i a n i e o r u m l i b e r i e a n d e m å p
a t r i b u s p o t e f t a t e m 1METHODYSI 58
rumpebant,quaeaffirefacaalienabonaconselle,vitách; fuaespem omnem
inalienisfortunisponerefacileducem elaroanimo,ace;audacise&abatut,atý;tumReipub.
for mailla,cuiusconferuatio in flavum fiduciapofitaeft,
nascebatur,fiquideintumplebsinvnum coactacaldem
facere,ciueseijcere,profcriptorum ;agrosdiuiderein Scipiebat,donecfacuum
tuufus,&erforatum,vniusiruperit *0 um reperiretur,: 2 795
quapropterhismotusrationibuseampraecaeterislau Respub.benainaliambonam non
mutetur quam bona innalam,fiquidem (ytAristotelesdiçit)inbabentibusinfi.dese
Symbolumfacilior efttrálitus,an quiafimilitudo ila,ali neracione.
quamqaogcontrarietatemrequirit?quodquidéinEle's atme
mentorumtrasmutationeliquidòparet:inhisveròReip.
niutaionibus,quisfimilitudineni,& contrarietateinnes gabit) ACVLTAS R O -M
A N O R V M . 797 quoadlegesveròattinet,quibusviifuntRomaní,occur
rimtnobismulca,quaevtfigillatimesplicentur,røm ab otoexordientur;&
inprimisantequamRomulusleges 1.2.demai. vixit . 798
pokealogesquasdamipfetulit,cum alijsfequentibusRo.
gibus,quascuriatasappellarunt,fequidemconuacatoper trigintacuriaspopulo
Imgalifý;curijsinseparatasepra conftitutis&sententiamrogatistegesolim
ferebankor,;? quae populi congregario-comitia curiata dicebantur,à . .
cocundo;quòdpopuluscoiret,& viritimlogesterret,& dicerScruiusTulliusRex
hunc mioremimuutle:camépo pulo eaporekasrelictaest,vt plebiscita,& leges
comitijs. dätPolybius,quaeoninesRerumpub.forniasin seconti not atg
congregat,nequacaruim vlera quàm facis fit au & a 1ist. & prouceta in
sibiadherenteni,& coguatam pernicien in: -b.cideret:fódvniufcuiufớiroboreacpotentiainterfeinui
liseem obnitentesullaciuitatisparsvfquam declinaret,ne 1.Dvivein altum
propenderer. 13961 ex supradi& isautem dubucabit forfan
aliquis,curfaciliusa Pomp.in
suriarasferretpopulusincertoiurs,incertisquelegibusparis. H 2 curiaris LECALI
vinil in1.& ler VITAE ACTIVAE. COROLLA'RIY M, 1Augusto.799:hinc&SuetoniusaitTiberiumàCaefarein
forolegecu .. riaelleadeptatum,hoceftfuffragijspopulipercuriascol lectis.
quidam retulerunt.'!,50367*pe: TAPE PTA LEGALIA ! I l a r u n t, a d h a e c v
e r ò a d d i t a s u n t p l e b i s c i t a , S e n a t u s c o n fulta,practorumedicta,&principum
placita,exquibus 1 EJSER VI.
806:Seruorumverò(cuiusorigodeiuregentiumfluxit)iuxta curiatisferrentur,iii
IB":NOI 381 ? quaedam .de iur. 8oz idemparierrorelabiturybiputabat,cum
quiinciuitate s u a F a c i n u s p a t r a s s e t , si i n a l i u m l o c u
m p e r u e n i f f e t a c c u s a m o m .iud. ai tik d i t e r e a s u n t p
r u d e n t u m d e c l a r a t i o n e s , q u a s r e s p o n s a a p p e l
uorum fi Ергл. 800exa& isdeinceps RegibuslegeTribuniciaRegumleges antiquataesunt,poftquècaepitpopulusRomanusincer
tomagisiure& consuetudinealiquavti;quamlegelata, d o n e c d e c e m v i r
i l e g e s à G r a e c i s p e t i e r u n t, q u a s i n t a b u
liseburneispraescriptaşpro roftrisappofuerunt,vtfaci lius percipipoffent,atý;cum
animaduerfumeffetaliquid 1 primisistislegibusdeelle;aliasduaseisdem
tabulis,adie cerunt,& itaexaccidentiappellataesuntlegesduodecim 14 'ride
illo crimine non potuisse exemplo Hermiodori. quidemomneiusRomanorum coaluit.
804quodquidem yniuersumrefertur,veladpersonas,velad res,vel ad a & iones .
Iureconsultiverbavnatantùntfuitconditio,istig;domi defta.ho.
nioalienocontranaturam subijciebantur. :.ning Liberi in li. c u m tabularum
,quarum ferendarum authorem fuiffe deccm Cic.I.v.in. virisHermodorumquendáEphefumexulanteminItalia
Tus, argumentum adexules.net ibni i P E R S O N A E lib.3.f.dedos hominesautem
autliberisunt,autferui. fta.ho. li ? رز inli.2.de80r
rationeveròhuiusHermodorinonrectè colligitBaldus زل: { or.iu. E P'T A , 8oz
inillisautêquiafummaeratobscuritas desiderataeprop habent,quodlibet
faciendilegenon prohibitum ,atý;isto rum
,alijsuntliberti,alijlibertini,alijingenui.
quiàmorteinvitamillosreuocarunt,appellabantur. -809 horun,autem
alijciueserantRomani,quivindi&ta,censu,Vlp.cap.s. : a u t t e s t a m e n t
o n u l l o i u r e i m p e d i e n t e n i a n u m i s l i s u n t, alij
instic. latiniIuniani,quiexlegelunia interamicos manumisli funt,alijdeditiorum
numero ,qui propter noxam torti nocételáinuentisunt,deindequoquomodo
nianumisli. LIBERTINI. INGEN VI. $ 11. Ingenuorum veròalijluisunt
iuris,alijverò alieno iuri fubie&i. 812
etsaviequialienoiurisubie&isuntfilijfamiliâsappellan-1.1.f.&his
tur,quiinditione,& poteftatepatrissuntvelnatura,velquisútlui adop. 813
naturasuntquiexnuptijsvxoris,& maritioriuntur. NVPILAE. 814
NuptiacveròapudRomanostribusperficiebanturmodis Bəê in2: tiaepercoemptionem .
816 Mulieresautem quae in manu per coenuptionem conue
nerantmatresfamiliâsvocabantur,quaeveròvsu,velfar reationeminime. 817
caeteraealiaevxoresvsuerant. 818 animaduertendumestautem maximam
fuifledifferentia adoptione. farreationenempè,coemptione,&ylu,&
fanèfarreatioTop.Cic. folispontificibus conueniebat. -815 coeniprioverò
cereissolemnitatibusperagebatur,fese.n. ܀ 1. 2.
ff.de METHODVS.; 1 I B A R I. 59 807
Liberisuntquinulliusimperiofubie&ifacultatemliberā LIBERT1. 308
Libertifuntquosdominiexiustaserui. Il convito di Platone. OPERE DEL MAZZONI SΤ
Α Μ Ρ Α Τ Ε. I. Discorso de' Dittonghi di Giacopo Mazzoni all'Illu strissimo
Signor ilSignorFrancescoMaria de Marchesi del Monte . In Cesena Appresso
Bartolomeo Raverio 1572. in 8. Questo Discorso sitrova altresì inserito nella
celebre Raccolta degliAutoridelbelParlare,impressanellaSa licata Tomo III.
pag.1015. e segg. II.Discorso diGiacopo Mazzoni indifesa della Comme dia del
divino Poeta Dante. In Cesena per Bartolomeo R a
verii1573.in4.LadedicaèAlMoltoMag.mioSig. Osservandissimo il Sig. Tranquillo
Venturelli . D a Cesena alli 15. di Giugno 1573. D e ' motivi, che indussero
l’autore a scrivere questo dotto ed ingegnoso Discor so , se ne ragiona qui
addietro a cart.19. e segg. III. Jacobi Mazonii Oratio in funere. Guidiubaldi
Fel trii de Ruvere Urbinatium Ducis .Pisauri apud Hierony mum Concordiam1574.
in4. IV.JacobiMazonii Cæsenatis deTriplici HominumVi. ta ,Activa nempe ,
Contemplativa , ei Religiosa Methodi tres,Qyestionibusquinque millibus centum
etnonagintase ptem distincta . In quibus omnes Platonis et Aristotelis , m u l
tæveroaliorumGræcorum,Arabuin,etLatinorum inuni verso Scientiarum Orbe
discordiæ componuntur. Quaomnia publice disputanda Roma proposuitAnno salutis
M.D.LXXVI. Ad Philippum Boncompagnum S.R.E. Cardinalem amplissi mum
.CæsenaBartholomæusRaveriusexcudebatM.D.LXXVI. in 4. Questo volume contiene le
celebri Conclusioni di quasituttelescienze,cheilMazzonidifesepub blicamente
nell'età di 27. anni con meraviglia di tutta S2 . 1 DEL MAZZONI. 139
Ita 1T Della Difesa della Commedia di Dante ec. Parte Pri ma ,che
contiene liprimi tre libri,pubblicata a beneficio delMondo letterato.Studioe
SpesadiD.Mauro Verdoni, « D. Domenico Buccioli Sacerdoti di Cesena , e da essi
dedi cata all'Illustriss. eReverendiss.Monsignore Sante Pilastri Patrizio
Cesenate dell'una e dell'altra Segnatura Referen dario , Abbreviatore de Curia
, e della Santità di N. S. In nocenzioXI.eSua Cam. Apost.CommissarioGenerale.In
Cesena Per Severo Verdoni M.DC.LXXXVIII. in 140 VI A e V. DellaDifesa
dellaCommedia diDante distintainseta te libri ; nella quale si risponde alle
opposizioni fatte al D i s corso di M. Jacopo Mazzoni , e sitratta pienamente
dello arte Poetica , e di molt altre cose pertenenti alla Filosofia, e alle
belle Lettere . Parte prima ; che contiene i primi tre libri.Con due
Tavolecopiosissime.AllIllustrissimo eRe verendissimo Sig.ilSig. D. Ferdinando
de'Medici Cardinale di Santa Chiesa . In Cesena Appresso Bartolomeo Raverii
l'Anno MDLXXXVII. in4. . Italia . N o n seguì però questa famosa Disputa in R o
ma nel 1576., com ' egli avea disegnato di fare, ma bensìinBologna nelFebbrajo
dell'anno seguente; on degliconvennemutare ilfrontispizio alsuolibro, e porvi:
Quæ omnia publice disputanda Bononia proposuic Anno SalutisM.D.LXXVII. Veggasi
qui addietro dalla pag.35. sino a43. ove sitrattaampiamente disìfatta disputa,e
delmeritodiquestolibro. ΤΑ e 1 . DellaDifesa dellaCommedia diDantedistinta
insette libri , nella quale si risponde alte opposizioni fatte al Disa
corsodiM.JacopoMazzoni, esitrattapienamentedell' Arte Poetica , e di molte
altre cose pertinenti alla Filosofia , ed alle belle lettere. Parte Seconda
Postuma , che contiene gliultimi quattro libri nonpiù stampati; edora
pubblicata 4. DELMAZZONI. 14.1 a >
incuisitrova,cosìpergloriadelMazzoni,come p e r l e i n s i g n i q u a l i t à
d e l P r e l a t o , c h e v i si r i l e v a n o , c r e d o ben fattodiriportarlainquestoluogo,edèlaseguente.
a beneficio delMondo letterato. Studio eSpesa diD. Mait ro Verdoni,eD. Domenico
Buccioli Sacerdoti diCesena,. da essi dedicata All Illustriss. e Reverendiss.
Sig. Monsig. Rinaldo degl Albizzidell'una e dell'altra SegnaturaRe ferendario ,
Giudice della Sacra Congregazione di Propagan da , ePrelato domestico di N. S.
Papa Innoc.XI. in Cese na per Severo Verdoni 1688. in 4. Nell'occasione , che
D. Mauro Verdoni , illustre letterato di Cesena , ebbe ri soluto di pubblicare
questa seconda parte della Difesa di Dante , vedendo che la prima era di già
divenuta assai rara , si determinò d i dover ristampare anche questa , siccome
fece , dedicandola a Monsig. Sante P i laseri Prelato Cesenate per dottrina e
per esemplarità di costumi riguardevolissimo, il quale aveva prestato a tal
effetto al Verdoni ed ajuto e favore . M a essendo
Monsig.Pilastripassatoamigliorvitaintempo cheap pena n'eraterminata lastampa,
convenne aglieditori > procacciarsi un nuovo Mecenate , cui subito ritrova rono
senza uscire dellalorpatria nelladegnissima per sona di Monsig.Muzio Dandini
Vescovo diSinigaglia, Prelato anch'esso digran nome ; onde è avvenuto che quasi
tutti gliesemplari siveggono con nuova dedica indirizzati a questo secondo ,
ede'primi non m'è riu. scito discontrarne cheuno,ilquale siconserva pres so
dime unitamente all'altro dedicatoaMonsig.Dan dini. La dedica a Monsig.Pilastri
è in data de 10. Settembre 1688.9, e quella a Mopsig.Dandino è de'17. dello
stessomese edanno.Epoichèquestaprimade dica merita assolutamente d'essere
tratta dall'oblivio > . ne Illuge 142 VITA 'animo
fatociperultimare que sta grande impresá frastornataci da tanti ostacoli) abbia
mo stimato convenientissimo debito presentarla a V. S. Illu striss. per una
particella di dovuta restituzione , eriman
dar(comesidice)questoFiumealsuoMare.Nepunto erriamo,sesottonone diMare
ricopriamolavastità delsa pere , la profondità della prudenza , i tesori delle
Cristiane virtù,cheadornano l'anima di V. S. Illustris.Avvenga che, se
sirifletta con quanta carità dispensa ella a'Poveri isussidjdellavita,
a'suviConcittadinilegrazie, con quan ta magnanimità , emulando la pietà de'suoi
Avi, eregga agliEroidelParadisogli Altari;sovvengaleCongregazioni del
Taumaturgo Fiorentino , ed in specie questa della Pa che con tanta esemplarità
dal Porporato , che ci regge, ècomunemente protetta,e progredisce ne dettami
delpiosuo > Illustriss. eReverendi ss.Monsig. Comparisce sulla
scena delMondo alla seconda lucelaPri. ma Parte di cotestaDifesa fregiata del
pregiatissimo nome di V.S. Illustriss.per contestare, che volume si prezioso
meritò sempre ne'suoi natali uscire ornato in fronte del no me d'uno d'e primi
Personaggi, che venerasse il Secolo. Ed
invero,sesiconsiderinoledignità,merito,virtù,e l'altre venerabili doti, che
adornano l'animo di V. S. III., puossi senza veruna nota concludere, che sia
sempre stato secondato da segnalatissimi favori nelli suoi ingegnosi parti
ilnostroMazzoni; mentre questi sono stati sempre genero samente accolti, edalle
prime Cattedre, eda'primiSavj del mondo, leggendosi sino da’Chinesi iportenti
di questo grandeingegno. Ondenoiinconsiderazione dellegrazietan
tevoltecompartiteci,e dell tria , ' Fondatore , non potiamo, nè dobbiamo
concludere altro della religiosa prodigalità della sua mano , se non quello,
che della mano dispensiera di Probo cantò Claudiano: Præ 1 DEL MA
ZZONI. 143 Præceps illamanus Auvios superabatIberos, zioni,eprove
dell'amore che V. S. Illustriss. le porta ed in udire tutto giorno i
religiosiattestati della sua pietà a risplendere o ne' Tempii, o negli Altari ,
non le consacri tuttose stesso in olocausto ? Se nontemessimo tormentar quivi
la sua modestia , proseguiressimo a mostrar con mille prove la sua gran
dilezione verso la Patria , e noi tutti ; giac chivisonopochi,chenonrammentino
legrazie,ifavori, eisovvegni conseguitidallabontà diV. S.Illustriss., ch'e
Aurea dona voinens . A questoMareadunque,ladicuigentilissimaaurahacci sovvenuto
a condurre alporto un Opera contrastataci da im. petuosi aquiloni di mille infortunj,
abbiamo noi presentato nella tavola de nostri voti questo eruditissimo libro,
col solofinedi rimostrare all'universale Repubblica diDotti, che se la nostra
Patria ha saputoprodurre iMazzoni , i > Chiaramonti , i Dandini , e gli
Uberti , preseduti alle pri me CattedrediRoma,diParigi,diBologna,ediPisa, ha
ancora nelmedemo tempo avuto nobilissimiFigli, chegli
hannogenerosamenteaccolti,favoritiegraziati. Egiacche questa Difesa per se
stessa rende immune da qualsisia di fesa l'Autore , che ha saputo mettersi in
tal quadraturii coll' altissimo suo sapere , che non paventa veruna offesa ;
resta perciò liberaaV.S. Illustrissima lasola difesa epro tezione di noi, che
abbiamo volentieri registratoin questo Libro lossequiosissiino e riverentissimo
tributo della nostra divozione al di leigran Nome ; che non potrà mai ricor
darsi e da noi , e dalla Patria tutta senza rassegnargliene con un eccessivo
ossequio un tenerissimo affetto. Perciocchè chi è , che nella Patria in vedere
le affettuose dimostra f > mula di quelGrande , neque negavit quidquam peten
tibus; et ut quæ vellent, peterent, ultrò adhortatus est . Cesena
10. Settemb.1688. Sacerdoti Cesenati, VJ. Discorso di Jacopo Mazzoni intorno
alla Risposta ed alle opposizioni fatregli dal Sig. Francesco Patricio ,
per 144 V I T A. est . M a vaglia per tutti, e sia ne' fasti dell
eternità a caratterid'oro registrata la grande restituzione , che ha fat to
alla Patria del suo gloriosissimo , e primo seguace del
Redentore,MartireePastored'EvoraS.Mancio ladi cuimemoria quasi quiestintaèstata
dalla dileiPietàrav vivata ; le di cui Sante Reliquie , fatte portare dalle
ultime regioni del Tago , siccome hanno impietositi gli Altari , così ancora
hanno indotta tal venerazione del di leiNome , che ingegnosamente si dice , meritar
ella corona più preziosa di quella , che da'Romani donavasi a chi rendeva i
suoi Cit tadini a Roina;ovvero che solamente lapietà diMonsig. Sante ha saputo
accrescereifigliSanti allaPatria;eche sopra questo fortissimo Pilastrosivede
ogni giorno più sta bilita la divozione verso gli Eroi del Paradiso in Cesena .
V i v a d u n q u e i l n o m e d i V . S . I l l u s t r i s s. , e f i n o c
h e i n o s t r i celebratissimi Rubicone e Savio tributeranno i loro liquidi
argentiall'Adriatico,restiimpressa neglianimidituttila memoria di si gran
Benefattore. Vivaquesto Cesenate Ti moteo , a cui non Atene , m a Cesena , che
è pur l'Atene della Romagna,ergapertrofeounacoronadicuori. Mentrenoi.
restringendocia supplicarladigradire quest'attestato delno stro umilissimo
ossequio , riverentemente inchinati, la sup plichiamo anon
isdegnarsidipermetterci,checipubblichid mo per sempre Di
V.S.Illustriss.eReverendiss. Vmiliss.eReverentiss. Servi Obblig. D. Mauro
Verdoni , e D. Domenico Buccioli > te DEL MAZZONI. 145 tenente
alla Storia del Poema Dafni , oLitiersa di Sositeo Foeta dellaPlejade. InCesena
appressoBartolomeoRaverii l'annoMDLXXXVII.in4. VII. Ragioni delle cose dette ,
ed'alcune autorità citate da Jacopo Mazzoni nel Discorso della Storia del Poema
Dafni oLitiersa di Sositeo . In Cesena per Bartolomeo R a verii 1587. in4. Del
merito diquesti dueOpuscoli, e della cagione , che indusse l'autore a scriverli
, si vegga acart.78.e segg.,eacart.84. e85. IX. Jacobi Mazonii Cæsenatis , in
almo Gymnasio Pisano Aristotelem ordinarie,Platonemveroextraordinem profiten
tis, in universam Platonis etAristotelis Philosophiam Pre ludia , sive de
comparatione. Platonis et Aristotelis . Liber
Primus.AdIllustrissimumetReverendissimumCarolumAn sonium Pureum Archiepiscopum
Pisanum .VenetiisM.D.XCVII. Apud Joannem Guerilium in fol. Questo volume , che
dal Mazzoni era,forse non senza ragione, riputato il suo capo d'opera , si vede
al presente giacere quasi in una totale dimenticanza , colpa de' nuovi sistemi
di Filosofia , che di poi si sono introdotti . Ad ogni m o d o è o p e r a d o
t t i s s i m a , e q u a n t o m a i s i p o s s a d i -. re ingegnosa , e nel
suo genere affatto singolare ; con tenendo
quasituttiisistemidegliantichiFilosofiesa 1 Februarii anno CIDIO XXCIIX .
In Exequiis Catherina M e dices Francorum Regine. Florentia apud Philippum Jun
ctam M.D LXXXIX. in 4. L'Autore dedica questa sua . VIII. Jacobi Mazonii Oratio
habita Florentia VIII. Idus Orazione a Don Virginio Orsino Duca di Bracciano
per 1 ! i molti favori , che avea ricevuti da questo m a gnanimo
eliberalissimoSignore;dallacuigentilepro pensione verso di sè dice , che
sisentiva tratto a scri vere, epresentargli un giorno cose molto maggiori . .
mi . T minati ed illustrati in una maniera sorprendente. X. Lettere
. Una lettera del Mazzoni scritta a Belisa rio Bulgarini si trova impressa a
cart. 121. delle Consi derazioni del medesimo. Bulgarini sopra il Discorso di
esso Mazzoni in difesa della Commedia di Dante . In Siena appresso Luca Bonetti
1583. in 4. Tre altre scrit teparimente alBulgarini sileggono a cart.218.219. e
222. delle Annotazioni , ovvero Chiose Marginali dello stesso Bulgarini sopra
la prima parte della Difesa di Dante del Mazzoni . In Siena appresso Luca
Bonetti 1608 . io4. Eduna indiritta aSperonSperoni staacart.355. del volume
quinto di tutte l’Opere di esso Speroni dell'ultima edizione di Venezia .
ΟΡΕRΕΙΝΕDITΕ. XI.Dialoghi in difesa della nuova Poesia dell'Ariosto. Di questi
Dialoghi fa menzione ilMazzoni medesimo allapag.20. delsuoDiscorsode'Dittonghi;edicech'era
presto,aDio piacendo,periscamparli,ilchepoinon fece, forse per essersi
ricreduto sovra tale materia ; giacchè allora, che fu l'ango 1571. , era molto
gio XII. ConsiderazionisopralaPoeticadelCastelvetro.Que ste furono mandate
dalMazzoni alBarone Sfondrato, che ne dà ilsuo giudizio inuna
letterascrittaall'auto r e t r a q u e l l e d e l V a n n o z z i V o l . I. p
a g . 8 2 . 146 V Ι.ΤΑ . vane . . XIII.Commentarj sopratuttiiDialoghi
diPlatone.Prea se ilMazzoni a scrivere questi Commentarj per soddis fazione
diFrancescoMariaII,dellaRovereDuca d'Ur bino , ed egli medesimo ne fa menzione
in una lettera scritta a Giulio Veterani Ministro del Duca , come pu . re
a reinaltraaBelisarioBulgarini, cheleggesi acart.213. delle Annotazioni
ovvero Chiose marginali ec. di esso Bul garini.IlMazzonimedesimo
poiacart.727.della DifesadiDante nomina isuoiCommentarj soprailFedone, X I V .
Libri de Rebus Philosophicis , fatti ad imitazion di Varrone .Compose ilMazzoni
quest'opera inunasua villetta sulla riva del Savio , e nel Novembre del 1590.
disse a Roberto Titi che pensava di pubblicarla prima della seconda parte della
Difesa di Dante . Veggasi q u a n todamesenediceacart.44.e98.delpresentevo lume
. X V . Censura del primo Tomo degli Annali del Cardinal Baronio . Il celebre
Riccardo Simon in una lettera a M o n s i g . M u z i o D a n d i n i , c h e
si l e g g e a c a r t . 9 . d e l v o l .4 . della sua Biblioteca Critica ,
afferma d'aver inteso da questo Prelato , che ilMazzoni avea scritto contro il primo
tomo del Baronio , tosto che questo uscì in luce , il che fu l'anno 1587 , e
che il manoscritto di quest'operasiconservavanellalibreria delGranDuca. 1
i 9 1 DEL MAZZONI. 147 XVI.Discorso d'una breveNavigazione, chesi puòfare da
Portugallo nell'Etiopia , e nel Paese del Prete Janni . All Il.ed Ecc. Sig.
Giacomo Buoncompagni General di S.Chiesa,eMarchese diVignola.Questositrovainuna
Miscellanea della Biblioteca Vaticana . XVII.Discorso sopraleComete.Anche
questoDiscor so,lodatissimodalSig.Guidubaldo de'Marchesidel Monte celebre
Astronomo , dovrebbe ritrovarsi nella Libreria Vaticana tra'Codici Urbinati; ma
per diligen zefattenon sièpotutorinvenirealnum.513.,alle. gato dal Conte
Vincenzo Masini nelle Annotazioni al primo libro del suo Poema del Zolfo, e dietro
a lui dal P. Muccioli a cart.116. del suo bel Catalogo della Bi . T 2 1
Biblioteca Malatestiana . Veggasi ciò , che del pregio di quest'operetta
si è da noi detto alla pag. 101. XVIII. La Fisica , e i Dieci Libri dell'Etica
d'Aristo tile . Il Tadini scrive , che il manoscritto originale di quest'opera
, mancante però e imperfetto , si conser vava alquanti anni sono presso ilSig.
Gio:Antonio Al merici Nobile Cesenate . Il medesimo si afferma dal fu Dottore
Giovanni Ceccaroni in alcune memorie mano scritte, comunicateci dal
Ch.Sig.Arcidiacono Chia ramonti , dalle quali si apprende , che lo stesso Cecca
roni avea fatta copia dell'originale inedito dell' Etica sino dal 1719.; ma
sento che questa copia ancora sia andata insinistro,epiù non siritrovi. XIX.InuniversamPlatonisRempublicam
Commentaria. Della Rupubblica di Platone da sé commentata fa ri cordo ilMazzoni
medesimo nella lettera di ZQ / 148 ν Ι Τ Α >
gataalSig.GiulioVeterani;dicendo,che quantopri ma pensava di mandarla , o di
recarla esso medesimo al Sig.Duca d'Urbino . alle La X X . Orazioni . Di varie
Orazioni dal nostro autore composte in diverse occasioni , e non mai pubblicate
, si è fatto memoria nel decorso di quest'opera , prima viene accennata a
cart.89. , detta in Pisa nell' aprimento degli Studi in lode della Filosofia .
La se conda scrittada luieloquentissimamenteper movere il Pontefice Clemente
VIII. a ribenedire ilRe Arrigo IV. di Francia a cart. 99. La terza detta ne'
funerali del celebrePierAngeliodaBargaacart.100. El'ultimafinal mente
recitatanell'Archiginnasio Romano , facendo una comparazione tra l'antica Roma
e la moderna ; . della quale sifavella acart.112. X X I ., L e z i o n i . Q u
a t t r o L e z i o n i a l t r e s ì s c r i s s e i l M a z sopra
DEL MAZZONI. 149 zoni , che mai non videro la luce . Elle furono reci.
tate in Firenze , due nell'Accademia Fiorentina per ri schiaramento di due
luoghi di Dante ; e l'altre in quella della Crusca sopra iBrindisi ,e le feste
Vinali degli Anti chi.Veggasi acart.77.94.95.e97. XXII. Lettere. Di alquante
lettere del Mazzoni si conservano gli originaliin Pesaro nella libreriaGior
dani , delle quali lach.me.del dottissimoSig.Annibale
degliAbatiOlivierisicompiacque giàmandarmi copia; esono
trescrittealCardinaleGiuliodellaRovere,una al Duca d'Urbino , due a Giulio
Veterani, ed una a Piermatteo Giordani.Altre parimente originali scrittea
Belisario Bulgarini si trovano in alcuni Codici esistenti nella Libreria
dell'Università di Siena . Oltre aquest'opere ilTadini afferma,essercime moria
, che dal Mazzoni sieno state scritte anche le seguenti , cioè I. In Homerum
Paraphrasis. II. Numi smatumGræcorumInterpretatio.III.InLullum Commenta
ria.IV.NaturalisPhilosophieArcana.V. Secretoperco noscere da'Bigari e
Quadrigati , denari Romani , qual fa zione restassevittoriosa ne'Giuochi
Circensi, se la Veneta o Prasing Rossa o Bianca . VI. Tractatus de Somniis .
L'originale di questo trattato de'Sogni dice, che fu venduto molti anni sono da
certuno al Sig.Pier Girolamo Fattiboni Gentiluomo Cesenate ; ma che avea
incontrata la stessa disgrazia degli altri, non si essendo più tro vato . Forse
tutti questi mss.dovettero essere in quelle dieci casse di libri del Mazzoni,
che rimasero dopo la di lui morte presso Girolamo Mercuriali in Pisa , c o me
ilDottor Ceccaroni nell'accennate Memorie afferma apparire daun
pubblicoDocumento rogato li2.Mag gio 598. ) . . , . Per Per
ultimo il sopralodato Sig. Arcidiacono Chiara monti mi assicura , esservi anche
al presente chi sostie. ne doversi attribuire al Mazzoni , così la Canzone c o
m postainlodedelTorneamentofattoinCesenanelCar novale dell'anno 1587. , la
quale incomincia Mostra l'alterafronte,come ladifesadellamedesima,chefu
pubblicata sotto nome del Bidello dell'Accademia con questo titolo; Risposta di
Matteo Bidello delloStudio di Cesena al Parere d'incognito Oppositore fatto
sopra la C a n zoneMostra l'altera fronte.InCesena conlicenza de Su perioriPer
BartolomeoRaverii1587.in8.;machenon avea avuto modo di verificare veruna di
queste voci. lo per altro non averei difficoltà di credere, che così
laCanzone,come ladifesapotesseresserefatturadel nostro autore , essendo la
Canzone assai bella ; e la difesa molto dotta e giudiziosa , e degna
assolutamente del nostro grande e celebratissimo MAZZONI . Mazzoni. Keywords: implicature,
repubblica romana, the Latins on ‘vita activa’, I romani e la vita attiva.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzoni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691412553/in/photolist-2mNzeEc-2mKN13V-2mGnP2f
Grice e
Meis – implicatura – IL FU MATTIA PASCALE – lo spirito abruzzese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Bucchianico). Filosofo. Grice: “I agree with Meis’s naturalism; he
proposes a three-stage development: vegetal, animal, man – his naturalism has a
Hegelian side to it, while man is more old fashioned, more Kantian!” Figlio di
un medico aderente alla carboneria e di ideali mazziniani, nacque a
Bucchianico, dove compì i primi studi: li proseguì presso il Regio collegio di
Chieti e poi a Napoli, dove fu allievo dei letterati Basilio Puoti e Francesco
De Sanctis, Spaventa e Ramaglia. Si laureò e nel 1841 divenne socio
dell'Accademia degli Aspiranti naturalisti, di cui diventerà presidente nel
1848; fu poi medico aggiunto dell'Ospedale degli Incurabili e aprì una scuola
privata di grande successo, dove insegnò anatomia, patologia, fisiologia e
scienze naturali. Fu poi rettore del Collegio Medico di Napoli. Dopo la promulgazione della costituzione nel
Regno di Napoli, venne eletto deputato per la circoscrizione Abruzzo Citra:
sostenne la protesta di Mancini contro la repressione operata dalle truppe
borboniche contro i manifestanti e l'accusa di tradimento al re. Fu quindi costretto all'esilio: dopo un
soggiorno a Genova e a Torino, si stabilì a Parigi. Esercitò gratuitamente la
professione di medico per gli esuli e gli emigrati italiani; insegnò
antropologia all'università ed entrò in contatto con il mondo scientifico
parigino, diventando assistente di
Bernard e ottenendo da Trousseau l'incarico di insegnare semeiotica.
Strinse anche un proficuo rapporto con Cousin. Rientrò in Italia, prima a Torino e poi a Modena, dove insegnò. Tornò a Napoli e divenne assistente di De
Sanctis, ministro dell'istruzione nel governo provvisorio, e venne eletto Membro
straordinario del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione. Fu deputato al Parlamento del Regno d'Italia sedendo
tra i ministeriali. Busto di Angelo
Camillo De Meis al Pincio (Roma) Non si sa né dove né quando fu iniziato in
Massoneria, è certo tuttavia che nfu membro della Loggia Felsinea di Bologna. Insegna
a Bologna. Il suo naturalismo lo spinse a cercare un fondamento
filosofico-spirituale alle scienze della natura, che egli trovò nell'idealismo
di Hegel. Fu anche amico intimo e collega di Siciliani, del quale condivise in
parte la speculazione intorno al positivismo.
Venne citato, di passaggio, nel romanzo di L. Pirandello Il fu Mattia
Pascal. Fu costruito il nuovo palazzo
della Biblioteca provinciale di Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a
De Meis. V. Gnocchini, L'Italia dei
Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, De Meis Angelo Camillo, su treccani. Il protagonista del romanzo infatti ascolta
casualmente, durante un viaggio in treno, una conversazione fra due eruditi, e
dato che è uscita la notizia della sua morte, sceglie come proprio nuovo
cognome "Meis", traendolo da "De Meis". Il nome sarà
"Adriano", udito dal fu Mattia nella stessa conversazione, che
attribuiva a Camillo De Meis la tesi che due statue nella città di Peneade rappresentassero
Cristo e la Veronica (colei che si sostiene abbia asciugato il viso di Gesù
durante il calvario). In queste pagine del romanzo pirandelliano, Mattia Pascal
prova uno straordinario senso di ebbrezza legato alla propria libertà. F. Tessitore, «DE MEIS, Angelo Camillo» in
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 38, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1990. R. Colapietra, Angelo Camillo De Meis
politico “militante”, Napoli, Guida Editori, Treccani Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Angelo Camillo De Meis, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Angelo
Camillo De Meis, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. openMLOL, Horizons storia.camera,
Camera dei deputati. Angelo Camillo De
Meis di Giacomo de Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale
Superiore di Pisa Cagliari. L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Nella prima edizione di Il fu Mattia Pascal figura qui un GIUSEPPE De
Meis, che nelle successive si precisa nel nome di un seguace piuttosto atipico
di Francesco De Sanctis, il filosofo abruzzese Angelo Camillo De Meis.
Difficile immaginare che questa schelta sia del tutoo casual, altrettanto
difficile sondarne a fondo le ragioni e avanzare qualche ipotesi. A men oche
non si pensi al saggi in cuil Meis (“Darwin e la scienza”) tenta una sistesi
tra evoluzionismo e dialettica hegeliana dello spirito; onon si immagini che
possa essere il suo pensiero, sull’IMPOSSIBILITA della demo-CRAZIA in Italia,
alla radice di uno sfogo politico de Adriano Meis. Meis, del quale Mattia
Pascale prednde parte del cognomen, e autore di una specie di impegnativo
paradosso politico (IL SOVRANO), nel quale sostene la necessita di una REGALITA
forte, come punto di mediazione disinteressata tra le passioni laceranti di varia
strati della popolazione. E questo E il solo possible filo che riusciamo a
intravedere tra lui e questo improvviso (ma forse non del tutto imporgrammato)
sfodo di Adriano Meis. NALITICO I. Antichità — Oggettivismo. Oggettivismo
primitivo — da Talete ad Anas- sagora pag. 3 Soggettivismo pratico
individualista —So- fisti. Soggettivismo pratico universalista —So- crate » 4
Oggettivismo ideale assoluto — Platone . » 5 Soggettivismo incompiuto —
Aristotile . . » 6 II. Tempo moderno — Soggettivismo. Soggettivismo pratico
intuitivo —Stoicismo. Epicureismo. Scetticismo. Neoplatoni- smo. Cristianesimo
» 8 Oggettivismo ideale particolarista — Ro- scellino. Occam » Oggettivismo
sensibile — Bacone. Condillac. Diderot,d’Holbac. . „ * * , 18 Passaggio alla
soggettività — Hame. Kant. . » 2Q Oggettivismo ideale universalista —S. An-
seimo. S. Tommaso. Scoto . » 24 Digitized by Google Soggettivismo
tendente alla oggettività — Cartesio .... Oggettivismo assoluto — Geulinx.
Molle- branche. Spinosa 31 Oggettivismo dogmatico individualista — Lcibnitz.
Wolf » 34 Passaggio alla soggettività —Berlielei/. Kant » 44 111. Tempo recente
— Soggettivismo assoluto. Soggettivismo trascendentale — Kant . . » 48
Soggettivismo assoluto astratto — Fichte . » 80 Oggettivismo assoluto — Schelling
...» 89 Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . » 102 CoNCHIUSlQiSE
Lastoriadellamedicina . , , , Cosa è lo Stato? Lo Stato
è l'uomo grande; è la società umana individuata. L'ha detto Aristotile:
lo Stato è la società che basta a se stessa. 11 che appunto vuol dire che
lo Stato è il grande organismo umano, l'individuo gran- de,
compiuto in sé stesso, indipendente ed assoluto. IL L'
uomo piccolo è una scala ascendente di fun- zioni. Egli ha per base la
funzione vegetativa, per cui mangia e beve e si nutre, veste panni, abita
un nido e si riproduce: la funzione riproduttiva è l'apice, e la
corona della vita vegetativa. Egli è questo il sistema dei suoi
bisogni mate- riali, vegetativi ed animali. Ma 1' uomo
elementare non è soltanto un vege- tabile compenetrato e avvolto da un
animale; egli è anche un animale, un'anima, sormontata dall'unità
dello spirito, avviluppata e compenetrata dalla coscienza umana. La
riproduzione è la corona della vita vege- Digitized by
VjOOQIC — 4 — tale ; la coscienza è la corona della
vita animale ; e la coscienza assoluta è la corona e F apice della
vita spirituale. Come spirilo l'uomo è per prima cosa, e
per prima base, morale. La moralità, la virtti privata, è la forma
più naturale dello spirito : essa è il patrimonio dell'individuo, e resta
confinato e chiuso in lui. Il dritto è F uomo aggrandito; egli è
l'individuo che si aggiunge una porzione della natura esterna; ed è
una estensione del suo corpo , e della sua anima; ampliazione della sua
natura organica, ed esplicazione della sua natura giuridica
spirituale. E a tutto questo sovrasta F Io, la libera
coscienza, che è come il perno intorno a cui tutto gira: centro e
circonferenza del circolo umano. L'Io è la conoscenza di se. Nella
pura coscienza l'uomo conosce sé come sé, come semplice forma; ed
egli aspira a conoscere anco F interno di se, la sua propria natura. E Si
conosce infatti: nell'arte, come bello, e per dir così semi-infinito:
nella religione, come infinito sensibile; nella scienza, come
infinito di pensiero, e sì come pensiero infinito. Tale è il
sistema spirituale nell' uomo piccolo , nelF individuo particolare.
III. NelF uomo grande, nell' organismo politico-indivi-
duale che si chiama lo Stato, ci sono le stesse funzioni. Ci è la
funzione economica, agricola, industriale, commerciale : produzione
materiale, frumento o libro; trasformazione ed assimilazione;
circolazione e scambio; nutrizione e consumazione: relazione sensibile
fra tutti gl'individui dei quali il corpo sociale è formato.
Digitized by VjOOQIC Ci è la funzione morale, non più
chiusa nell'in- dividuo, ma estesa alla società, manifestata come
re- lazione attuale fra gì' individui umani. La morale in- dividua
diventa dritto comune; materia della polizia, e del dritto penale. Nessun
uomo ha il dritto di of- fendere e usar vie di fatto contro un altro
uomo, perchè tutti hanno il dritto che la loro coscienza mo- rale
sia rispettata. Il reo non fa contro uno, ma con- tro tutti; e non è
quindi uno o pochi, sono tutti contro di lui: il sentimento della comune
natura u- mana reclama la sua punizione. Nessun uomo ha il dritto
di maltrattare un bruto; perchè non è il bruto, è il sentimento della
fondamentale unità della natura umana e animale eh' egli ferisce e
maltratta in tutti gli uomini civili e sensibili. La morale individua
è il rispetto della natura; il dritto morale è l'azione conforme ai
fini, ai principii, ai sentimenti naturali. Egli è dunque una relazione psichica,
spirituale, poiché spirituale è il suo fine. Ci è la funzione
giuridica, ed è la relazione del- l'individuo coi suoi annessi naturali
agli altri indi- vidui similmente costituiti di cui la società è
formata. Quello che invade 1' altrui , non occupa solo una por-
zione di natura; egli occupa e viola l'anima di un uomo, la quale è pur
quella di tutti gli uomini, mem- bri di uno stesso corpo sociale; e
perciò tutti si le- vano contro l'ingiusto invasore. Questo tutti è la
legge, che funziona e si esercita in forma di Tribunale. La legge
penale sta di rincontro alla barbarie, alla pas- sione violenta ed alla
guerra privata; un tribunal* criminale è in realtà una corte marziale. La
legge civile è il principio e la regola della pacifica deci- sione:
essa è la libera ragione che si leva di mezzo agli opposti interessi; e
il contrasto troncato in germe, Digitized by VjOOQIC
— 6 — e definito in forma di piato, non solo non giunge, ma
neppur tende alla violenza ed alla guerra. La guerra è la barbarie; la
civiltà è la pace, perchè è la legge, e perciò questa a ragione è detta
civile; e i suoi sono tutti giudici di pace. Ci è finalmente
V Io comune , conoscenza e volere generale; ed è, come tale, una funzione
formale a cui servono di contenuto e di soggetto tutte le funzioni
speciali. s IV. Cosa è dunque lo Stato? Lo
Stato è T insieme di tutte le funzioni materiali ed economiche, morali e
giuridiche, in quanto sono unificate nell'Io comune, che tutte le penetra
e le regola, ed è il punto a cui mette capo ogni particolar
movimento, e da cui parte ogni azione generale. Lo Stato è adunque
l'Io, la coscienza sociale. Tale è la forma: il contenuto è la virtù
pubblica, il dritto civile, il dritto penale, e la pubblica economia.
Lo Stato è il giusto, dice l'Albicini. Sì certamente; ma il giusto
non è che una parte del suo contenuto; è un elemento della sua natura, il
quale piglia neir or- ganismo giuridico la sua forma particolare, e la
sua realtà naturale. Ma un principe non è solo un Gran- Giudice, e
un Parlamento non c'è soltanto per fare il Codice Civile. — Giusto io lo
piglio in senso di legge: e la legge io la piglio in senso di relazione
umana in genere. — Ed io allora la piglio in senso di rela- zione
cosmica universale. Bisogna finirla una volta con le idee vaghe ed
astratte, e con le parole indeter- minate e generali. Lo
Stato è la virtti; dice il Montesquieu: la virtìi è il suo principio ed
il suo fondamento, e il vizio è Digitized by VjOOQIC
la sua rovina. Idee generiche, astratte, indeterminate,
piene di confusione e di errori. La virtù, la morale, non è che un
elemento , ed una sfera dello Stato. Essa ò per se individuale; ma quando
esce dall'individuo, e promove o turba e nega l'ordine sociale inferiore,
e per così dire individuale, essa allora di privata diventa pub-
blica, ed appartiene allo Stato. Che se dall' infima sfera delle
relazioni individuali l'azione si leva alla sfera giu- ridica, o se anche
penetra nella sfera politica, allora essa perde man mano il suo carattere
morale. Un de- litto politico è per poco un non-senso, quando non è
che politico: e tale egli è quando l'animo è puro. Omnia mwnda mundis:
puro vuol dir non-individuale, assoluto, generale. E allora non è a
parlar di delitto e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed
im- prudenza, serietà e leggerezza, verità ed errore, suc- cesso ed
insuccesso. Lo Stato ordina i premi e le pene, e le proporziona alla loro
natura morale, giuridica o poli- tica : se non che una pena politica è
quasi un non-senso: essa in realtà non è che un semplice fatto di
guerra, un puro atto di difesa. — La virtù, dirà il Montesquieu, io
la piglio in senso di forza, di energia politica. — Ed io la piglio in
senso di energia magnetica, elettrica, nervosa, muscolare. — Le antiche
repubbliche erano fondate sulla sobrietà e sulla severa continenza,
sulla parsimonia e la povertà del privato cittadino. Roma cadde
perchè vi penetrò la ricchezza, la voluttà, il lusso dell'Asia. Quella io
chiamo virtù, questo vizio, rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e
ripete Napoleone III, e con lui tutti, dal primo all'ultimo, i
francesi. — francesi, questa che voi fate non è la storia, è il fatto; è
la materia appena un po' digros- sata, non è l'idea che la determina e la
informa; è il fenomeno, non è il pensiero della storia. E lo
vedrete. Digitized by VjOOQIC — 8 —
Lo Stato è il ben essere, la prosperità, la ric- chezza, dice il
Fourier. Sì, certamente: anche questo è lo Stato: ed egli cura la
produzione, promove ogni maniera d'industria, e favorisce il commercio
con istituzioni, e leggi , e procedure speciali. Ma la ric- chezza
non è che il sostrato , il sottosuolo dello Stato. La ricchezza è la
materia , lo Stato è il pensiero : 1' una è il corpo , T altro è l'
anima. L' anima fa il corpo , ma non è corpo per questo; e l'Economia
politica non è la Politica, non è lo Stato. Il principio
dello Stato è la religione, è la Bibbia degli Ebrei, diceva l'Aquila di
Meaux, e per quel tempo non volava male. Ora però, sarebbe il peggio che
si potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno strisciar
per le terre, o come talpa andar per le cieche latebre, odiando la luce e
il puro* e libero aere della ragione. E se monsignor Dupanloup pure
insiste e per- fidia, allora io dico che il principio dello Stato è
l'arte, è la Divina Commedia e il Decamerone , il Barbiere di
Siviglia e la Trasfigurazione. Tanto ci ha che far l'una quanto l'altra,
ed io avrò altrettanta ragione. Il principio dello Stato è Dio,
dirà monsignor Dupanloup. — Sì, certamente; ora finalmente ci
siamo. Non è però il Dio della Religione e dell'Arte, ma il Dio del
corpo sociale , il Dio dello Stato. Questo è che co- stituisce i Re, che
direttamente o per suoi organi crea tutti i poteri e le autorità
politiche; e questo Dio non abita nel cielo; lassù non v' è che il Dio
della Natura: il Dio dello Stato abita nel petto del cittadino, ed
è a lui eh' egli ubbidisce quando rende ubbidienza alle autorità
che ne sono i ministri, il braccio e la parola. Digitized by
VjOOQIC — 9 — V. Lo
Stato non e corpo, è anima. Anima è sapere e volere, coscienza e azione;
e la funzione dello Stato come Stato consiste nel sapor di essere, e nel
volere essere Stato. Questa non è che la sua forma ; ma que- sta
forma è appunto il vero Stato; e la coscienza as- soluta ch'egli ha di
sé, e l'azione comune in cui questa si traduce e si spiega, è per
l'appunto la sua funzione essenziale. La coscienza dello
Stato per intrinseca ed assoluta necessità prende una esistenza naturale,
e spontanea- mente si crea il suo particolare organismo. Essa è
l'anima; ed il sistema dei poteri politici è il corpo che si crea , e in
cui si fa reale. È una creazione im- mediata e diretta, ovvero indiretta
e mediata, come quella d' ogni principio vitale; ma in definitivo è
la coscienza pubblica, ed è sempre lo Stato che crea i poteri e le
autorità dello Stato. Questa funzione crea- trice è 1' elezione.
Ma questo corpo in cui l'anima generale si tra- duce e si
concentra, in realtà non è che una pura anima: è il semplice potere
legislativo. Quest'anima effettiva ed attuale creata dall'elezione, si
crea a sua volta il suo proprio corpo. Tale è 1! esercito : l'
esercito amministrativo e l' esercito militare ; e la finanza è il
sangue di questo corpo generale. L' esercito amministrativo serve
per eseguire o render possibili tutte le funzioni, che compongono
la triplice natura dello Stato: la funzione economica, la morale, e la
giuridica. Un magistrato, un impie- gato, il ministro, il Sovrano, è un
soldato; e il suo onore è d'ubbidir fedelmente alla legge,
all'anima dello Stato. Digitized by VjOOQIC
— 10 — L'esercito militare ha un ufficio anche pili
essen- ziale. Esso serve allo Stato per essere, per esistere; gli
serve a difendersi dalle potenze nemiche, esterne o in- terne, che ne
minacciano la vita economica, politica o morale. Il soldato è il braccio
della legge, e dello Stato; il suo ufficio è di respinger l' assalto o l'
insulto di un altro Stato , e di reprimere le passioni colpevoli
che si sfrenano contro la legge del suo paese, e le isti- tuzioni del
proprio Stato: nobile ed alto ufficio tanto nel primo come nel secondo caso.
I due eserciti sono entrambi assoldati. Sono il corpo, e il sangue
vi dee circolare. Il potere legisla- tivo è l'anima; ed è perciò che non
è pagato. Il So- vrano ha una lista civile perchè unisce in sé le
due nature: egli è il tratto d' unione fra il potere legisla- tivo
e l'esecutivo, e personifica in lui l'unità dello Stato : ed è perciò eh
9 egli è sacro. VI. Sovranità, potere legislativo,
potere esecutivo ; tutto questo è forma di forma : la forma essenziale ,
il vero Stato , è T Io assoluto , la coscienza e la volontà ge-
nerale. Ma non vi è la pura coscienza e l'astratto volere, e non è
possibile una funzione puramente formale. Si è conscii di essere questo o
quello , si vuole e si fa sempre qualche cosa : e lo Stato conosce e fa
da un lato, e dall'altro esegue, la legge economica, la legge
penale, la legge civile. Il Sovrano, il legislatore, V impiegato, il
soldato , tutti vogliono che lo Stato sia; vogliono che sia prospero,
giusto, savio, forte di tutte le fotze morali, e che possa tutte
liberamente spie- garle, ed esser felice. L'Io è la forma; la forza
econo- mica, la virtù, il dritto, è il contenuto dello Stato.
Digitized by VjOOQIC — li — Ma la
forma prevale, e domina il contenuto. La morale domina l'economia: la
produzione non è pos- sibile, e il guadagno non è realizzabile s'egli è
im- morale. Il dritto domina la morale: la virtù pubblica impone
alla virtù privata. L'Io, la pura funzione for- male, domina e modifica
tutte le funzioni speciali che sono il suo essenziale contenuto: lo Stato
domina e modifica il dritto e la morale. Un assoluto vince l'al-
tro: tutti per sé assoluti, sono fra loro assolutamente relativi. Il
volgo riguarda come piti eccellenti gli as- soluti inferiori, perchè piti
naturali, e di più imme- diata e più sensibile idealità. Il più alto è
per lui l'ordine morale; che sovrasta e primeggia sull'ordine
giuridico ; 1' ordine politico è subordinato a tutti e due. In realtà il
più eccellente è l'ordine dello Stato, perchè più generale, e più
assoluto e divino; e quando l'ar- monia fra i tre ordini e le tre
funzioni si rompe, è la funzione formale, la funzione assoluta
dell'essere, quella alla quale appartiene il primato, e prende
sopra l' altre la mano. Scoppia la rivoluzione dal basso o dall'alto:
ribellione, colpo di stato. Slealtà, tradi- mento, illegalità, delitto. È
vero. La coscienza mo- rale lo riprova, la coscienza giuridica lo
condanna; ma v'è (vi può essere) una coscienza superiore che
l'approva; e se non è la coscienza politica dei con- temporanei, sarà di
certo la coscienza politica degli avvenire. La storia approverà il colpo
di stato e la rivoluzione popolare, quando è vera funzion di
essere: quando cioè l' essere apparente dello Stato non cor- risponde
al suo vero essere , a quello che esso è nella coscienza del corpo
sociale, sia che oltrepassi, o sia che rimanga al di sotto di questa
misura ideale. Invadere la proprietà d' un cittadino è
ingiusto; ma lo Stato può farlo; ed è una giusta ingiustizia,
Digitized by VjOOQIC — 12 — ed una legale
illegalità, perchè in tal guisa realizza il suo essere, il benessere
della comunità, o dell 7 intiero corpo sociale. La ragione e il titolo è
la pubblica utilità. Questo è un vedere solo il lato esterno del
fatto, che vi è di certo e non può mai mancare, ma non la sua vera
ragione. Si vede la comodità sensibile, ma non si vede il suo interno
principio, l'essere generale realizzato. Ma non è meraviglia. I nostri
codici sono poco men che tradotti dal francese, e le nostre leggi
fatte esse pure dal risorgimento, parlano la sua lingua e ne riflettono
le idee. Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale: è un
violar l'ordine naturale; è un toglier all'uomo una proprietà che 1' uomo
non ha creata. Ma lo Stato anche questo può fare. Lo Stato è
funzion di essere; egli è, vale a dire una forza : e l' elemento di
questa forza è la sua cor- rispondenza e la possibile eguaglianza con la
coscienza generale. Lo Stato è debole quando il suo concetto resta
al di sotto o supera quello del corpo sociale. — Il secondo, e non già il
primo, è di gran lunga il caso dello Stato Italiano. — Egli è perciò che
quando la società vede nella pena di morte un elemento di so-
lidità, ed un pegno di sicurezza generale, abolirla è un errore: è una
fallace utopia, una velleità teo- rica, difetto di serietà pratica,
scipita sentimentalità, filantropia fuor di proposito; bontà di cuore
forse, ma certo debolezza di mente, che ad altro non condur- rebbe
che a crescer la debolezza, già così grande, dello Stato, accrescendo la
distanza che lo divide dalla co- scienza pubblica, di cui deve render l'
imagine , ed es- sere la fedele espressione. Quando l'opinione sarà
pro- gredita; quando la coscienza dei pochissimi si troverà in
armonia con la coscienza dei moltissimi, allora lo Digitized
by VjOO'Q IC — 13 — Stato sarà forte, e allora la pena
ingiusta, immorale ed inumana della morte si potrà, e si dovrà senza altro
indugio, abolire; perchè allora il paese, divenuto meno incolto e per dir
così più spirituale , avrà cessato di riguardarla come un elemento di
esistenza; e non sen- tirà il bisogno di una garanzia sensibile tanto
barbara e immane. Allora non saranno soltanto pochi pubblicisti
ignoranti e frivoli, ed alcuni legislatori ridicoli, sa- ranno
moltissimi, se non pur tutti, a reclamarne T abolizione. Si
parla sempre dell'utilità della pena di morte. È l'argomento dei
sostenitori, ed è l'achille degli oppositori. Questo è da una parte e
dall' altra un ver- gognoso errore. Necessità non è utilità; e quando lo
Sta- to opera in funzion di essere, egli è in una sfera ideale e
assoluta, superiore alla regione della utilità e del senso. Ma questo sì
vergognoso errore era la verità del Ri- sorgimento; ed è perciò che non
se ne vergognava, anzi l'accettava, e ne andava giustameute
superbo: il senso e l'utilità era tutta la sua filosofìa, ed egli
condannava allora la pena capitale come non utile. Ve- nuto più tardi a
miglior sentimento, il Risorgimento respingeva P utilità , e condannava
la pena di morte come utile. Egli scambia per utilità la necessità
ideale; e non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua verità:
egli è il da ubi consistam della filosofia posi- tiva. Ma se ne
vergognerà di certo quando di risor- gimento sarà passato a secolo
decimonono. Ammazzare un uomo, turbarne i dritti, e vio-
larne il possesso, attentare all'esistenza dello Stato, che è quanto dire
alla vita delle sue istituzioni, è immorale ed ingiusto; e sarà assai di
più ammazzare moltitudini di uomini, insignorirsi, recare in sé
il" dominio (e sia pur l'alto dominio) delle loro pro-
Digitized by VjOOQIC — 14 — prietà, e
distruggere uno Stato. Questo il "cittadino non lo può, non lo dee
fare; ma può e dee talvolta farlo lo Stato. L' usurpazione e la violenza
privata è ingiusta; la violenza pubblica e la pubblica usurpa-
zione non è giusta; è più e meglio di questo, è po- litica; e si chiama
guerra e conquista, e non più violenza ed usurpazione. La
guerra è buona, e la conquista è giusta le- gittima e veramente politica,
(e dico buona, legittima, giusta per convenzione, ed in mancanza d'altre
parole) quando in esse lo Stato opera in funzione di essere: quando
guerreggia e conquista per* vivere per essere, o per diventare quello che
è in sé, e deve anche attual- mente essere. Vi sono società
naturali, che la violenza, l'ar- bitrio, la passione, il caso in una
parola, divide in più corpi sociali , per cui di uno si formano più
Stati. Ma in tutti rimane la coscienza della loro identità po-
litica, e della loro natura storica comune. Yi sono ancora società
originariamente separate, in cui T accidente, cioè l'arbitrio, la
violenza, le pas- sioni umane, col concorso di altri accidenti ed
op- portunità naturali, crea una coscienza comune. La lingua, vale
a dire la comunità e la somiglianza fon- damentale dei dialetti (non mai
la loro identità, che non e' è mai, e non può esserci in natura, ed è
una finzione assurda dei pedanti) è l'organismo sensibile, e
l'espressione approssimativa, e la meno inadeguata, di quella nuova
coscienza. La comune storia è il pro- cesso per cui di un gruppo
accidentale di popoli e di Stati si forma a poco a poco un tutto naturale
e vivente con una interna unità e un' anima generale. La geografia
è la condizione esterna dello sviluppo, e l' occasione più o meno
accidentale di questa for- mazione ideale. Digitized
by VjOOQIC — 15 — La comune coscienza che si è
conservata dopo lo spartimento dello Stato unico originario, non è
più coscienza, ma tende a ripigliare l'antica forma e la primiera
attività; e la coscienza comune che si è svi- luppata in un gruppo di
Stati eterogenei non è che il sentimento della loro comune unità: e nell'
un caso e nell'altro questo sentimento èia nazionalità , la co-
scienza nazionale. E nell' uno come nell' altro caso ciascuno Stato si
trova diviso in se stesso; è un' anima scissa , con due coscienze
distinte ; che l' una è la co- scienza propria di Stato, l' altra è la
coscienza comune di nazione. Esso è dunque in realtà due anime, due
esseri, uno attuale, e l' altro possibile; il primo è Stato, l'altro non
è che nazione: la nazione è la possibilità naturale dello Stato. Ma esso anche
quest'altra parte di sé vuol recare ad atto; esso ha bisogno di
esser tutto il suo essere, e irresistibilmente aspira a far della
sua coscienza politica effettiva, e della sua coscienza nazionale
astratta, una sola coscienza reale. Egli è perciò che lo Stato fa la guerra,
e conquista gli Stati conna- zionali. È la buona guerra, e la legittima
conquista; ma è ancora il processo barbaro, violento, inconsa-
pevole, passionale, irrazionale. Era altra volta la buona soluzione; ora
è divenuta cattiva: il decimonono secolo è tempo di coscienza e di
ragione, e non ammette che la soluzione consapevole, volontaria e
razionale. Questo succede quando in tutti i corpi sociali si svi-
luppa più o meno egualmente di sotto alla loro par- ticolare e diversa
coscienza politica la comune co- scienza nazionale. Tutti allora
aspirano, e tutti fini- scono per fondersi in un soIq corpo di nazione,
in una stessa società, in cui l'antica coscienza nazionale si
eleverà e si perderà ben presto nella coscienza po- litica comune. Non è
più. la soluzione forzata, è la soluzione spontanea e razionale.
Digitized by VjOOQIC — 16 — Egli è nel
primo modo che si sono costituite le nazioni moderne; formazioni
accidentali, prodotti di guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze for-
tunate. Tu felix Austria, tu felix Gallia, etc... nube. La co- scienza
nazionale non esisteva, è venuta dopo. L'Au- stria felicemente accozzava
delle società affatto etero- genee, fra cui non vi è stato che un
principio di fu- sione. Si è formato senza dubbio nella Boemia,
nel- T Ungheria , nella Iugo-Slavia, una coscienza austriaca; ma la
vera coscienza politica è la coscienza boema, ungherese e slava; e ciò
perchè l' austriaca è una co- scienza astratta, occasionale, non è una
possibilità na- turale effettuata e completa; non è lo sviluppo e
la realtà della coscienza nazionale. La Francia riuniva con lo
stesso metodo delle nozze, delle guerre in- giuste e delle astute
diplomazie , degli Stati meno inomogenei, in cui pur v* era un avanzo di
un'antica lingua comune, testimone di una comune coscienza, di
politica rimasta puramente nazionale, reminiscenza di una potente antica
unità; lingua avventizia e forzata, ma che aveva finito per essere
adottata; coscienza av- ventizia, ma che era pur venuta, ed aveva finito
per es- sere la comune essenziale unità del mondo romano. Ed ecco
perchè quei corpi insieme posti finirono per formar le membra di un solo
corpo morale: fatte però le dovute e ben note eccezioni. Ora la Francia
avrebbe l' intenzione di seguitare in questa via, ed applicare
ancora il metodo antico, barbaro, medieyale; ma si oppone la natura e la
ragione. La ragione è la coscienza nazionale, è la lingua, ed è la
storia. La natura è la geografia: un fiume non è un confine, ma una via
ed un mezzo di unione. La Francia è fuor dei suoi confini naturali
e nazionali. La soluzione spontanea razionale e naturale
delle Digitized by VjOOQIC — 17 —
quistioni nazionali era serbata al secolo della ragione; ed è l'Italia che
ne ha dato al mondo l'esempio, ed è il suo onore immortale, e il suo vero
primato civile e morale. Questo esempio la sorella dell'Italia, la
Grecia, si appresta ad imitarlo. La natura lo richiede: la greca
penisola è un tutto geografico perfettamente circo- scritto; si direbbe
una regione, un nido apprestato per una sola razza. La ragione lo esige e
lo impone; lingua, storia, coscienza nazionale, solo in parte ve-
nuta a coscienza politica, tutto è comune alla Grecia; e v' è un altro
comune principio che la unisce, ed è la religione. Tutto dunque chiede
l'indipendenza e r unità della Grecia, tutto vuole che la Nazione
Greca diventi lo Stato Greco; ma l' Inghilterra non vi trova il suo
conto, e con tutte le forze si oppone, e l'Europa delle crociate,
divenuta la positiva e irreligiosa Europa del Risorgimento , custodisce e
protegge con una edi- ficante unanimità il barbaro e immondo
straniero, il musulmano oppressore. L' Italia è stata piti
fortunata. Un grand' uomo uscito dal suo sangue, pervenuto ad. assidersi
sopra un nobile trono straniero, rammentava l'antica madre per la
quale giovanetto aveva pugnato, e pugnava ancora per essa, e le dava la
mano a farsi di una nazione astratta, uno Statò reale. Italiano, io non
so che questo. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè la Storia non è
ancor venuta, e non ci ha giudicato sopra. Ora non vi è che la morale e
il dritto, e le piccole pas- sioni politiche dei francesi, tutti
incompetenti nella quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha operato
per l'Italia siamo competenti noi; e non sono ingrati tutti gì'
Italiani. L'Italia per viriti propria, e per generoso aiuto,
che appena è che possa dirsi straniero, è salita dalla 2
Digitized by VjOOQIC — 18 — coscienza
nazionale alla coscienza politica. Ma se quella è forte e potente, questa
è ancor debole ed incom- pleta. Le sette antiche coscienze politiche,
nelle quali la sua coscienza nazionale era scissa, non si sono
tutte egualmente amalgamate in una coscienza poli- tica comune* Le deboli
sono scomparse; ma ve n' è qualcuna forte, che resiste e permane, ed è
l'antica coscienza piemontese. Il Piemonte ha tre coscienze
in lotta fra loro. La coscienza nazionale, che in lui era, ed è senza
dub- bio ancor forte, non si è pienamente trasformata. Essa è
rimasta nazionale , astratta; ed ha solamente prodotto di sé una
coscienza politica italiana debole, parziale, incompleta, poco men che
astratta, piena di riserve e di eccezioni. Essa è incompleta e debole di
tutta la realtà e la forza che rimane alla vecchia e tenace co-
scienza piemontese, di cui la permanente è l'espres- sione. Questo
Sammarlino lo ignora ; ed è in una per- fetta buona fede. Egli in tra v
vede in lui una forte coscienza nazionale, e allato a una profonda
coscienza municipale (certo indebolita da quello che era prima) vi
trova un chiaroscuro di coscienza politica italiana, e dice: io sono
quanto si può più essere italiano. E se lo crede. Sammartino non ha tutti
i torti : egli è senza dubbio italiano; ma quel suo quanto si può
essere, o quanto altri sia, è una sua esagerazione. Nobile esa-
gerazione, inganno volontario e generoso, illusione che genera in lui la
coscienza nazionale, la quale fa sentirgli il bisogno di giustificarsi ai
proprii occhi e agli altrui. Ma in tanta complicazione il valente
uomo non ha tale abito e tal forza d'analisi da rendersi conto del
proprio essere, per cui diviene il giuoco della sua immaginazione. Egli è
perciò che è in buona fede. Tutti gli uomini ci sono qual pili qual
meno allo stesso modo. Digitized by VjOOQIC
— 19 — Ma il tempo è galantuomo ; e s* egli ha
potuto sviluppare in tutto il mondo antico una coscienza romana: se
sulla vera coscienza magiara , czeca e jugo- slava ha potuto inserire una
coscienza austriaca; se finalmente nella tedesca Alsazia e nella Lorena
punto del mondo francese, ha potuto (incredibile a dirsi, e
mostruoso a pensare) destare una coscienza politica francese: ben saprà
creare una vera coscienza italiana in quel Piemonte, che pure è il primo
fra tutti i paesi della moderna Italia: in quel Piemonte, che nel
mo- mento in cui la grande storia italiana del Medio Evo aveva
termine, quando tutto intorno taceva, s'avviliva e s'abbandonava, e la nazione
intiera scendeva nella tomba della servitù straniera e papale, egli solo
non s' abbandonava ; e che rimasto jnfino allora nell'ombra,
sorgeva a un tratto giovane e vigoroso, e ripigliava in sua mano il filo
e creava la nuova storia italiana, e per lui ed in lui l'Italia viveva
ancora. E quando a nostra memoria si riapriva 1' antica tomba , e
l'Italia vi scendeva di nuovo , rimaneva egli solo sulla breccia, e
lottava animosamente, eroicamente, e compiva alla fine il destino della
patria: onore a cui dalla provvi- denza della storia era visibilmente
riserbato. Ah non tutti gl'Italiani sono ciechi e ingrati! Certo il
tempo saprà identificare la coscienza piemontese, che dopo tanta e
così grande storia, fuor di proporzione con la materiale grandezza di
quella nobile provincia, è na- turale sia permanente e resista alla
grande coscien- za politica italiana. E sarà allora galantuomo
davvero. Quando ciò sia avvenuto, e che in tutta l'Italia non
vi sarà che una sola coscienza politica, allora non vi sarà più soltanto
una grande nazione, ma un vero e forte Stato Italiano.
Digitized by VjOOQIC — 20 — VII.
L'Io, la coscienza sociale, è adunque il vero e proprio elemento
dello Stato; ed è una funzione pu- ramente formale che domina e modera e
modifica la funzione giuridica, e la funzione morale. Lo Stato
toglie la vita, e turba e invade la proprietà del cittadino; fa la
guerra per esser quello eh 9 egli è, o quel che dev'essere, e toglie la
proprietà, la vita, Tessere in- dipendente, allo Stato vicino. Tutte cose
che l'uomo privato non può fare, e che gli sono permesse, dove-
rose anche talvolta y quando, divenuto uomo pubblico, la sua coscienza s'
immedesima e si confonde con la coscienza assoluta dello Stato. Allora è
illecito e reo tutto ciò eh' egli può far nel suo particolare
interesse, ma è lecito e buono tutto ciò che fa in vista dell' in-
teresse generale. La fusione e l'amalgama succede sempre in una certa
misura, ed è tanto pili completa quanto l'uomo è più alto locato, finche
nel capo dello Stato i due interessi non ne fanno più che un solo.
Dal momento che si separano, il tiranno è perduto: egli allora non è pih
lo Stato, è un altro; è un corpo estraneo contro a cui l'intiero
organismo si solleva, e scoppia la crisi. La crisi, la rivoluzione, è un
pro- cesso di guarigione. Il morbo è la tirannia, l' anarchia:
forme dello stesso disordine; tutte e due passione e sfrenato arbitrio;
ed anarchia tutt' e due. U&rche non è né questo, ne quello; né uno, né
pochi, ne molti, ne tutti: V arche è la ragione. Il principio
dello Stato, la sua vita, il suo vero essere, non è il giusto, non è il
morale, non è l' eco- nomico. Tutto questo egli lo contiene in sé; ma
come Stato egli è l'unità consapevole organizzatrice e mo-
Digitized by VjOOQIC *^ — SI
— deratrice di tutte le forme, di tutti gli organi, di tutte le
funzioni sociali. Questo è lo Stato, e qui finisce l'attività
politica, la vita pubblica; ma qui non finisce la vita umana, e non
è anche tutta la storia. Sotto allo Stato vi è il dritto, la
morale, la pub- blica economia; ma vi è sopra allo Stato un mondo
piìi etereo, piìi,assolutò ed universale che non è il suo; vi è il mondo
dell'arte, il mondo della scienza, e il mondo della religione. Il mondo
della verità è di sopra al mondo della natura e dell'azione.
Lo Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili alta, e la pili
perfetta e più generale esistenza delle fun- zioni a lui inferiori.
Lo Stato non è che la base e la reale possibilità delle funzioni a
lui superiori. L'Arte è una funzione naturale, e perciò
rimane affatto individuale. Vi è un mondo estetico, ma non vi è una
società artistica : vi sono soltanto degli artisti e dei poeti ; e la
parte dello Stalo è di render possi- bile lo sviluppo del talento
estetico, e rispettarne la spontaneità ed il libero giuoco. Egli non ha
dritto sull'artista se non quando egli abusa e tradisce l'Arte, ed
esce dalla sua natura. L'Arte non è la morale o il dritto, e può essere
immorale e ingiusta a sua posta: ma finché rimane Arte la sua immoralità
non contamina, e la sua ingiu- stizia può esser sublime, atta solo a
sollevare e forti- ficare i caratteri, non mai ad avvilire e
degradar l' animo umano. Ma dal momento che essa esce dalle sue
condizioni di Arte, essa non è pili che immorale ed ingiusta, e allora lo
Stato interviene: interviene in nome della giustizia offesa, e della
morale violata; funzioni inferiori, che gli sono tutte e due
subordi- nate, ch'egli dirige ed ha in sua tutela.
Digitized by VjOOQIC — 22 — L'Arte non è
la religione, e può a sua posta essere empia ed irreligiosa: ma la sua
irreligione è sublime ispiratrice di grandi e puri pensieri , e di
re- ligione vera e pura. Che s' ella trasgredisce le proprie sue
leggi, ed esce dalle sue condizioni vitali, e non è più che semplice e
sguaiata irreligione; in tal caso lo Stato non interviene. Egli dirige e
modera le fun- zioni che sono al di sotto e dentro di lui, ma non
amministra la verità religiosa che gli è superiore. L'Arte non è la
Scienza; è in un certo senso il suo contrario : che s' ella esce dalla
sua natura di senso ideale, e si atteggia a ragione e a idea; tanto
peggio per lei. La Religione è una funzione dirò così
spiritiforme: la sua natura è sensibilmente spirituale, ed il suo
carattere è di essere naturalmente universale. Egli è perciò che mentre
l'arte rimane nella sua inconsape- vole particolarità, la religione viene
a coscienza, e si forma un Io sociale superiore all'Io dello Stato: e
di fuori e di sopra alla società politica si forma una società
religiosa. Il luogo di questa alta società non è la terra, è il cielo:
l'uomo religioso ha i piedi su que- sto umile suolo, ma la sua anima è
altrove. La sua funzione è tutta celeste; essa è riflessione e
adempi- mento del destino umano: contemplazione della infi- nita
natura dell'uomo, rappresentata nel mondo infinito della grande fantasia;
conseguimento della infinita fe- licità mediante il possesso dell' infinito
della religione. La funzione religiosa dello Stato è di render
possibile la formazione, e libero lo sviluppo e l'azione, della
società religiosa. La religione non è né scienza, né arte, ne
eco- nomia, ne morale. Essa può dunque essere a sua posta
inestetica e goffa, creare simboli mostruosi e informi,
Digitized by VjOOQIC — 23 — miti ributtanti e
triviali; può professar tutti gli errori filosofici, astronomici,
teologici, politici che vuole. Tanto meglio per lei; sarà più creduta, e
più stimata e rispettala. Può la religione professare tutte
le assurdità mo- rali e giuridiche che le piace. Può attribuire a
Dio tutte le passioni umane, sopratutto le pili barbare, e pih
perverse e colpevoli, quelle che l'uomo mo- derno pih si rimprovera, e
maggiormente arrossisce quando se ne lascia sorprendere e dominare. Sarà
per lei tanto meglio: maggiore sarà la riverenza, il terrore
religioso, il timor di Dio. La religione può a suo beneplacito
credere ed insegnare che i figli sieno responsabili dei peccati dei
padri, come lo insegnava e lo credeva Mosè, in un tempo ed in un paese in
cui non v' era ancora il Dritto Romano , e il Codice Civile era di là da
venire. Se questo vi fosse stato , non sarebbe venuto in mente a
Mosè una siffatta idea, e non avrebbe insegnato un così sterminato
errore. Quella era pertanto la ve- rità giuridica e la verità religiosa
del suo tempo: due gradi e due forme non per anco distinte, confuse
ancora in una verità sola. Oggi la distinzione è av- venuta: la verità
giuridica del Codice Mosaico, con- vinta e condannata di falsità, è
sostituita dalla verità giuridica del Codice Civile, nel modo istesso che
al- l'astronomia di Giosuè e del Santo Uffizio è sotten- trata
l'astronomia di Copernico e di Galileo. Ma co- me verità religiosa è
rimasta in piedi: crede il popolo ed il comune che l' innocente è colpito
col reo dalla vendetta divina: e si crede anche oggi come tre mila
anni sono il dogma che insegna che la colpa del primo uomo s' è
naturalmente trasmessa a tutti gli uomini. Questo dogma non è che
l'applicazione in grande del Digitized by VjOOQIC
— 24 — principio giuridico-religioso di tre mila anni sonò,
e quel che lo rende piti meraviglioso, e perciò più cre- dibile al
popolo ed al comune, si è che quella colpa era la curiosità di sapere, il
bisogno di conoscere il vero : jcolpa grave, imperdonabile agli occhi del
dogma religioso. Un dogma simile viola apertamente il Codice
Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso mo- rale; ma non è che
una offesa ed una violazione re- ligiosa, e lo Stato non interviene per
far rispettare il Codice Civile ed il senso comune. La
rappresentazione succede in una sfera superiore, e lo Stato ne
rende possibile lo sviluppo e libera la manifestazione, e la rispetta
qualunque ella sia. Ma se l' azione religiosa esce di questo campo, e
deposto il proprio carattere, si spinge nella sfera dello Stato, e
diventa irreligiosa- mente immorale, ingiusta ed impolitica, allora lo
Stato interviene, e si fa rispettare. Questo inevitabilmente
succede alle religioni che di spirituali si fanno tem- porali. Peccato è
loro e non naturai cosa: di loro è la colpa e non dello Stato : e perciò
tanto peggio per loro. Finalmente, al di sopra dello Stato, e sì
dell'Arte e della Religione , vi è la scienza , la filosofìa. Ma
qui l'individuo s'identifica e si perde nel puro assoluto
universale, per cui l'Io filosofico non prende alcuna forma naturale. Non
vi è quindi una società filosofica, vi è soltanto il mondo della filosofia,
il mondo del pensiero , della verità assoluta. Lo Stato non
interviene in nessun caso in questo ultimo empireo: egli né il dee,
né il può; egli è natura, e non ha presa su ciò che non è naturale. Lo
Stato non può entrare nella sfera della scienza senza disertare la sua,
senza perdere il suo carattere essenziale, e cessar di essere
Stato. Lo Stato del decimonono secolo lascerà dunque
insegnare chi vuole, e checché vuole, anche il Prete
Digitized by VjOOQIC — 25 — ed anche il
Demagogo? — Non già; non mai. Insegnare non è pensare e recare in mezzo
il proprio pensiero; è invece agire, educare e preparare all'azione,
ed appartiene quindi allo Stato; e insegnare un principio rep
ugnante e contraddittorio a quello dello Stato, è uno scalzare lo Stato,
che non può certo trovarci il suo conto. Lo Stato è funzion di essere, di
vivere; e nes- suno ha gusto di lasciarsi ammazzare, sia di ferro o
sia di veleno; e i cattivi principii sono velenosi allo Stato. 11
principio politico dei Gesuiti è la Religione, la loro; e quello a cui in
ultima analisi tutto mette capo, ed a cui il cittadino ubbidisce, è l'
autorità religiosa. Il principio dello Stato moderno è invece l'Io, la
ragione; è la coscienza pubblica, la pubblica opinione; e quello a
cui il cittadino ubbidisce, è lui stesso: in ciò con- siste la libertà
civile. Il principio del Demagogo è la libertà sensibile, e T
eguaglianza materiale. Il principio dello Stato mo- derno è la libertà
ragionevole, l'eguaglianza assoluta, ideale. Egli è perciò
che lo Stato limita e nega la libertà del Demagogo e del Prete, e li pone
tutti e due fuor dello Stato — né elettore né eleggibile — e fuor
della scuola — né maestro pubblico, né insegnante privato. Il
giornale è una scuola, e non può quindi godere una libertà illimitata.
Ogni cosa ha il suo limite nella sua propria natura, e la libertà ha il
suo limite nella natura dello Stalo. Questa è la libertà vera e
buona, perchè concreta: la libertà indefinita, astratta, è la
stolta, .assurda, micidiale e pestifera; e perciò lungi da noi. La
libertà non appartiene che alla libertà. Solo quella stampa, queir
insegnamento, e quella qua- lunque siasi attività dee poter liberamente
agitarsi Digitized by VjOOQIC — 26
— e spiegarsi nella sfera dello Stato, che ne osserva e professa il
principio generale, e vive dello stesso elemento assoluto. La religione,
l'arte, la scienza non sono assolutamente libere che nel proprio
ele- mento, e nella loro sfera speciale, e qui lo Stato non può,
non dee, non ha facoltà di mettere il piede. E però quando io vedo un
Ministro chiuder la bocca a un insegnante né demagogo né prete, ma
liberale, perchè professa delle particolari idee che in un certo
mondo — Dio sa che mondo — non sono ricevute ed accettate; io lo rispetto
troppo per dir eh' egli abusa delle sue facoltà, ma dico che varca il
limite, ed oltre- passa la sfera dello Stato : dico che agisce in nome
di un principio particolare, religioso o scientifico, io non lo so;
so soltanto che non è il suo; e non ha come Stato facoltà di porvi la
mano: e che il Ministro mi scusi, e mi perdoni il Consiglio
Superiore. Lo Stato non è adunque che la possibilità
effettiva e naturale della vita artistica, della società religiosa,
e della pura attività scientifica. La sua funzione con- siste nel
renderle tutte e tre possibili mediante l'Istru- zione e la Pubblica
Educazione ; ma non ha ufficio , e non può altrimenti intervenire
nell'arte, a pro- mulgar le leggi del gusto, e prescriver la rettorica
e la poetica mediante decreto: e così non può decre- tare la verità
religiosa. Non vi è, non vi può essere, una religione dello Stato:
cotesto è un controsenso, un non senso, un errore. Sent from
the all new AOL app for iOS INDICE. BIBLIOGRAFIA - A) Opere di Angelo
Camillo De Meis .... Pag. XI B) Studi sul De Meis - Opere ed articoli che a lui
accen- nano - Recensioni di suoi scritti » XIX CAPITOLO I. La vita e la storia
del pensiero di A. C. De Meis. Sommario I. La famiglia e i primi anni II. Nel
R. Collegio di Chieti HI. La vita intellettuale a Napoli dal 1840 al 1850. Le
scuole private. Gli studi letterari, filosofici, scientifici IV. Il De Meis a
Napoli. I suoi studi. La sua scuola privata . Pag. 2 » 3 » 5 » 6 » 11 V. Gli
avvenimenti del 1 848. Il 1 5 maggio a Napoli .... » 15 VI. Le vicende del De
Meis nel 1849. 11 processo e l'esilio. La dimora in Francia. Il De Meis medico
VII. A Torino «quando l' Italia era colà » . Il De Meis e i suoi amici :
Bertrando Spaventa, Francesco De Sanctis, Diomede Marvasi. La corrispondenza
col De Sanctis. L'attività intel- lettuale del De Meis e la sua « metempsicosi
» Vili. L'anno 1859. Il De Meis professore all'Università di Modena. Il ritorno
a Napoli IX. Il De Meis a Bologna. L'insegnamento. La vita famigliare, sociale
e politica. La morte. Il testamento X. La personalità del De Meis. Lo
svolgimento del suo pensiero. Perchè la sua opera è frammentaria » 21 » 27 » 43
» 50 » 59 2011318 VI Indùice. XI. I momenti di sviluppo del
pensiero del De Meis. Suddivi- sione delle opere Pag. 73 Sommario . . Pag. 78 »
79 » 85 » 97 » 101 » 110 Pag. 126 I. II. III. IV. V. Il «Dopolalaurea» La
storia della filosofia esposta dal De Meis. L'antichità o il periodo dell'
oggettivismo. Il passaggio dall' oggettività alla soggettività. La filosofia
moderna o soggettiva La filosofia hegeliana giudicata dal De Meis Rapporti fra
medicina e filosofia. La medicina hegeliana . Influenza dell'hegelismo sulla
scuola medica napoletana. Il De Meis e gli altri hegeliani di Napoli. Limite tra
la fisiologia e la metafisica , CAPITOLO III. Le opere scientifiche e la
filosofia della natura. CAPITOLO II. Il «Dopolalaurea»
e1*orientamentofilosofico. Sommario I. // primo periodo. Gli scritti
scientifici giovanili dal 1841 al 1850. Lettere geologiche sul M. Majella negli
Abruzzi (1841). Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle
dottrine della morfologia (trad. dal ted., 1842). Saggio sintetico sopra 1'
asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie per rispetto alla loro
sede (1843). Intorno l'asse cerebro-spinale (trad. dal lat., 1843).
Considerazioni anato- miche sul salasso locale (1845). Teoria dell'ascoltazione
(1848), Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali ( 1 848).
Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica - Parte prima:
Del principio vitale (1849); Parte seconda: Idea della fisiologia greca (1849)
» 127 II. // secondo periodo. Le opere scientifico-filosofiche dal 1850 al
1863. Idea generale dello sviluppo della scienza medica in Italia nella prima
metà del secolo (1851). Del metodo delle scienze mediche (1853). Considerazioni
sopra l'infiam- . Sommario . 1. Il momento rivoluzionario e il
momento moderato del De Meis. L'evoluzione delle sue idee politiche e la trasformazione
del partito liberale italiano li. L* idea dello Stato. Lo Stato come campo
libero all' arte, alla religione, alla scienza e alla filosofia. Lo Stato e
l'indi- viduo. Stato e nazione. Stato oggettivo e Stato soggettivo. Il limite
dello Stato III. L'idea della sovranità. Il culto per la dinastia Sabauda . .
IV. La lotta contro il pensiero e contro 1' azione del partito pro- gressista.
Il suffragio universale e lo scrutinio di lista. II giurì. La legislazione e le
ingiustizie sociali. Il socialismo secondo V. VI. VII. il DeMeis Contro
l'abolizione della pena di morte Il divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato
e la Chiesa. L'abolizione delle cor- porazioni religiose. Le corporazioni
religiose e l' insegnamento. Le spese del culto e i culti non cristiani. L' Italia
e il papato. Vili. Lo Stato e l'istruzione pubblica. Insegnamenti obbligatori e
insegnamenti facoltativi. I tre gradi di ogni insegnamento scien- tifico. Le
facoltà universitarie. Il liceo Magno e l' istituto tecnico Indice. VII
inazione dei vasi sanguigni (1853-1854). I mammiferi (1858). Fisiologia (1859).
Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nell'anno
scoi. 1859-60. Gl'ippo- cratici e gli antippocratici (1860). Lettere
fisiologiche (1860) Pag. 135 III. // terzo periodo. Le opere
scientifico-filosofiche dal 1863 al 1891 . - a) La jatrofilosofia. La medicina
sperimentale. La medicina storica o razionale. La medicina religiosa. La natura
medicatrice. La patologia storica IV. Jlncora il terzo periodo. - b) La
filosofia della natura. La creazione secondo il De Meis. La lotta del De Meis
contro la teoria darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostra- zione dei
suoi principi. L' accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica .
CAPITOLO IV. Le idee politico-sociali e pedagogiche. » 156 » 175 Pag. 204 » 205
» 211 » 221 » 228 » 237 » 239 » 244 , . . Vili Indice. medico.
L'insegnante unico. Gli esami. La libertà d'inse- gnamento. . . , , IX. I
malefici della cattiva coltura e del « signor Mazzini » . Due discordi Sacerdoti
d'idee: il De Meis e il Mazzini CAPITOLO V. Le idee estetiche e religiose.
Sommario I. La coltura letteraria del De Meis. Il suo stile. Il suo episto-
lario. I suoi giudizi sulla terminologia scientifica, sulla lingua italiana,
sull' affratellamento delle lingue e sull' uso del fran- cesismo. Il De Meis
critico letterario II. La profonda religiosità del De Meis. La sua negazione di
un Dio personale e la sua critica del Dio cartesiano, del- l' antinomia
kantiana e dei dogmi dei Santi Padri. Il suo giudizio sui culti non cristiani,
sul cristianesimo e sulle varie forme di esso III. La «metempsicosi» dell'arte
e della religione nella filosofia secondo il De Meis. La storia del genere
umano: oriente, antichità, tempo moderno o cristianesimo. Il tempo moderno :
medio evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo latino e il germanico. Il
risorgimento o negazione e i suoi prodotti : il romanzo, la filosofia positiva,
la musica. Il secolo XIX e l' unificazione di tutte le correnti umane. La
religione e l'arte considerate come gradi e forme del vero. Valore degli argo-
menti storici e logici addotti dal De Meis IV. Ottimismo e misticismo del De
Meis. Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la sua mentalità
scientifica. Significato e valore della sua filosofia della
natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero,
Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo
Cirelli, Anno IV, dal 10 febbraio 1841 al 2 febbraio 1842, N. 22, pp. 175-176;
N. 24, pp. 191-192; N. 28, PP. 222-223; N. 32, PP. 255-256. Uomini utili alla
società: Samuele Pierantoni, nel giorn. // Vigile di Chieti, anno I (1841),
suPPl. al N. 22. Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza
alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica
della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, il dì 8 maggio
1841, dal tedesco voltata in italiano da A. C. De Meis, nel «Filiatre-Sebezio»
Giornale delle scienze mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi,
anno XII, volume XXIII, Napoli, Tip. del Filiatre-Sebezio, 1842, Fascicolo 134,
febbraio 1842, pp. 115-128; fascicolo 135, marzo 1842, pp. 188-192. Saggio
sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie, per rispetto
alla loro sede di A. C. De Meis socio dell'Accademia degli aspiranti
naturalisti e medico aggiunto dello Spedale degl'Incurabili. Pre- sentato al 5°
congresso degli scienziati italiani - convocato in Lucca. Na- poli, Coster.
1843, (pp. 41, in -16°). Intorno l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe
Meneghini tradotta dal latino da A. C. De Meis per cura e per uso dello studio
privato del prof. Pietro Ramaglia, Napoli, Barnaba Cons, 1843, (pp. XVIII -
276, 8°). Considerazioni anatomiche sul salasso locale, presentate al VII
Congresso degli scienziati italiani celebrato in Napoli, Napoli, Stab. Coster,
1845, (PP- 59, 8°). Teoria dei fenomeni acustici della respirazione, Napoli, F.
Vitale, 1848, (pp. 96, in -8°). [Dedicato a Luigi La Vista]. Teoria dei fenomeni
acustici della circolazione, citato dall'Autore in Teoria dell'ascoltazione,
Torino, Pomba, 1850, p. Vili [La Teoria dell'ascolta- zione (v. infra) riunisce
sotto un titolo comune questa dissertazione e la precedente]. Dello stato e del
carattere attuale delle scienze naturali. Discorso di A. C. De Meis presidente
dell'Accademia dei naturalisti di Napoli - detto nella pubblica adunanza del 16
gennaio 1848. Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, 1848, (pp. 16). A .
C. De Meis deputato di Abruzzo Citra agli elettori della sua provincia, (pp.
14, 8°, con la data di Napoli, 8 maggio 1848). Discorso inaugurale di A. C. De
Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio Medico. Pronunziato il dì
7 maggio 1848 e pubblicato dagli alunni del Collegio Medico, Napoli, F. Vitale,
1848. Proposta di un nuovo sistema di insegnamento pel Collegio Medico. Napoli,
Federico Vitale, 1848, (pp. 24, in -8°). Discorso di A. C. De Meis ex-rettore
del Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, pronunciato il 18 giugno 1848,
Napoli, Vitale, 1848. Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed
empirica. A. C. De Meis già deputato al Parlamento. [Manifesto di pp. 4, in
-8°, con la data: 13 marzo 1849]. Nuovi elementi di fisiologia generale
speculativa ed empirica di A. C. De Meis già deputato al Parlamento Nazionale.
Parte prima : Del principio vitale. Napoli, F. Vitale, 1849, (pp. 90, 8°).
[«Lezioni orali, raccolte per cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui
assente, da essi pubbli- cate ». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria
dell'ascoltazione, To- rino, Pomba, 1850). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro
Ramaglia]. Bibliografia. XIII Chiarimenti al teorema di Hamberger
sull'azione dei muscoli intercostali, Napoli, 1849. Fisiologia generale - II -
Evoluzione logica del principio vitale - Idea della fisiologia greca per A. C.
De Meis ex-deputato, Napoli, Stab. tip. al- l'insegna dell'Ancora, 1849, (pp.
142, in -16°). [Dodici lezioni in conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.].
Teoria dell'ascoltazione, Torino, Cugini Pomba e comp. edit., 1850, (pp. XVI -
296, in -16°). Idea generale dello sviluppo della scienza medica in Italia
nella prima metà del secolo. Note di A. C. De Meis. Torino, 1851, Tip. Pavesio
e Soria, (pp. VIII-96, 16° picc). [Dedicate alla memoria di Luigi La Vista e di
Casimiro De Rogatis]. Del metodo delle scienze mediche. Lettera al professore
Carlo Demaria, To- rino, 3 novembre 1853, in Giornale della R. Accademia
medico-chirur- gica di Torino, anno VII, voi. XX, Torino, 1854, Tip. di G.
Favale e Compagnia, N. 11, 1° giugno 1854, (pp. 176-192). Considerazioni sopra
l'infiammazione dei Vasi sanguigni nel Giornale della R. Accad
medico-chirurgica di Torino, Tip. di G. Favale e Compagnia, anno VI, voi. XVII,
Torino, 1853, N. 17, 10 giugno 1853, pp. 209- 228; anno VI, voi. XVIII, Torino,
1853, N. 29, 10 ottobre 1853, pp. 177-209; N. 32, 10 novembre 1853, pp.
321-336; N. 33, 20 novem- bre 1853, Pp. 379-393; N. 35 e 36, 10 e 20 dicembre
1853, pp. 465- 503; anno VII, voi. XX, Torino, 1854, N. 11, 1" giugno
1854, pp. 143- 158; N. 12, 15 giugno 1854, PP. 218-230; N. 13, 1° luglio 1854,
pp. 257-263. [Nella seconda, nella terza e nella quarta puntata il titolo è :
Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella quinta puntata e nelle
successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra la flogosi ecc.]. /
mammiferi, Volume 1°, Introduzione, [fase. 1° e 2°], Torino, 1858, Tip. del
Picc. Con. d'Italia (pp. 176: incompleto). [L'opera è preceduta da
un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De Sanctis a Zurigo
». Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com- porrà di tre
volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il terzo le
Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a ragione
di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di circa 70
fogli... »]. Fisiologia, Torino, Tip. Franco, figli e C, 1859, pp. 109, 8°.
(Estratto dalla Nuova enciclopedia popolare del Pomba). XIV
Bibliografia. Gl'ippocratici e gli antippocralici, nella Rivista contemporanea,
Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice, 1860, Volume vigesimo, anno
ottavo, Pp. 425-434. Lettere fisiologiche. Lettera I, nella Rivista
contemporanea, Torino, dal- l'Unione tip. editrice, 1860, voi. vigesimosecondo,
anno ottavo (pp. 20-36). [Definizione della vita], pp. 2, in -8°. [Il De Meis,
sotto la data di Modena 30 aprile 1860, espone l'idea del corso di fisiologia
iniziato in quella Università « e che con dispiacere sono ora costretto ad interrompere
». Cfr. infra: Prelezione al corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di
Manoppello, (pp. 8, in -16°). [Data, Napoli 16 febb. 1861]. Prelezione al corso
di fisiologia dato nella R. Università di Modena nel- l'anno scolastico
1859-60, Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau, 1861, pp. 18, in -8°). //
Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la « Monarchia nazionale », Na- poli,
Stab. tip. F. Vitale, (pp. 14, 8°). [Polemica anonima contro il gior- nale la
Monarchia nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862]. Degli elementi della
medicina, Prelezione di A. C. De Meis professore di storia della medicina nella
R. Università di Bologna, detta il 10 dicem- bre 1863, Bologna, Monti, 1864,
(pp. 62, in -8°). Della natura medicatrice. Lettera prima al prof. Cesare
Taruffi, in Bullettino delle scienze mediche pubblicato per cura della Società
medico-chirur- a gica di Bologna. Bologna, Tipi Gamberini e Parmeggiani, 1864,
Serie 4 , voi. 21«, (pp. 464-469). La chimica fisiologica, Lettere, Fano, 1865
(nel giornale L'Ippocratico, III, voi. 7, estr. di pp. 65, in -8°). [Sono due
lettere: I. La vita; 2. La chimica inorganica. - Il De Meis si era proposto di
scriverne dodici, e di pubblicarle pei tipi del Le Monnier. Questi insistette
molto, anche per mezzo di Marianna Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore
; ma invano]. / naturalisti, Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze,
Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, 22 gennaio 1865, pp. 54-57. La natura a
volo d'uccello : Forza e materia, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze,
Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, 12 febbraio 1865, pp. 103- 107; 19 febbraio
1865, pp. 115-119. La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice,
Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, 2 aprile 1865, pp. 6-9. [Questo
dialogo e i due pre- cedenti sono citati nei Tipi animali (v. infra), [parte
prima], p. 246, col titolo: / tipi naturali]. Bibliografia. XV A .
C. De Meis deputato di Chieti ai suoi elettori, Bologna, Monti, 1865, (pp. 44,
in -8°). [Reca la data: Bologna 7 novembre 1865]. / tipi VegetaU. Ad uso delle
scuole italiane, Bologna, Monti, 1865, (pp. 96, in -16° picc). [È, dedicato
alla contessa Teresa Gozzadini]. Lettere [il testo: lettera] sulla patologia
storica. Lettera I. Si dimostra che l'uomo era in origine assolutamente sano.
Estr. dal Bull, delle scienze mediche di Bologna, serie V, voi. I, p. 385, (pp.
12, in -8°). Delle prime linee della patologia storica, Prelezione al corso di
storia della medicina per A. C. De Meis, detta l'8 gennaio 1866, Bologna,
Monti, 1866 (pp. 75, in -8°). // sovrano, nella Rivista bolognese, periodico
mensuale di scienze e lette- ratura, compilato dai proff. Albicini, Fiorentino,
Siciliani e Panzacchi, Bologna, Monti, 1868, voi. I, (pp. 79-87). [Ristampato,
con notizie e documenti della polemica a cui lo scritto diede luogo tra il
Carducci e il Fiorentino, dal CROCE, nella Critica, Vili (1910), pp. 401-421].
[Dichiarazione] nella Gazzetta dell'Emilia, anno IX, N. 68, 9 marzo 1868. [Si
riferisce alla polemica ora accennata. Fu pubblicata anche nel giornale La
Patria di Napoli, a. Vili, N. 72, 13 marzo 1868; e fu ri- stampata dal CROCE,
nella Critica, Vili (1910), pp. 416-418]. // sovrano. Al signor G. B. Tahiti.
[Articolo Il|, nella Rivista bolognese, Bologna, Monti, 1868, voi. I, (pp.
185-208). [È una lettera, con la data: Bologna, 16 marzo 1868]. Dopo la laurea
- Vita e pensieri [parte prima|, Bologna, Monti, 1868, (pp. 448, in -16°);
parte seconda, Bologna, Monti, 1869, (pp. 266). (Le prime cinque lettere
(1863-66) erano state pubblicate qualche anno prima nel giornale L'Ippocratico
di Fano. L'Intermezzo II (parte seconda, pp. 46-60) fu pubblicato nella Rivista
bolognese, 1868, fascicolo del novembre, pp. 971-981, poco prima della
pubblicazione del volume]. La natura medicatricc e la storia della medicina,
Lettera al prof. Salvatore Tommasi, Bologna, Monti, 1868 (Estratto dal fase. 8°
della Rivista bo- lognese, pp. 24, in -8°. Data: Bologna 20 luglio 1868). [Fu
pubblicata anche nel Morgagni, a. X, agosto 1868, pp. 549-575]. Della medicina
sperimentale, Prelezione, Bologna, 1869, (pp. 29, in -8°). |Fu pubblicata anche
nel Morgagni di Napoli, XI, 1869, pp. 161-189]. Lo Stato, nella Rivista
bolognese, 1869, pp. 3-31, 153-194 e 453-475. Deus creavit, Dialogo I, nella
Rivista bolognese, 1869, pp. 724-773. Della utilità dello studio della storia
della medicina, [Prelezione], Estratto dalla Rivista Partenopea [del 1870],
(pp. 4, in -8°). XVI Bibliografia. Testa e Bufalini. Lettere IV,
Fano, Lama, 1870 (estr. dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi, Prelezione al
corso estivo 1870, Bologna, Monti, 1870, (pp. 13, in -8°). (Pubblicata sotto il
titolo di « Prelezione » nei Tipi animali (v. infra), [parte prima], pp. 5-17).
/ tipi animali, Lezioni, [parte prima], Bologna, Monti, 1872, (pp. 587, in
-16°); e parte seconda, 1875, (pp. 585-1143). [La «Prelezione» era 3 stata
pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La lezione VII ([1], 125- 156) fu
pubbl. nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, dir. da B. Spaventa, F.
Fiorentino e V. Imbriani, febbraio 1872, pp. 69-93, col titolo: / tipi animali
(Da Linneo a Darwin)]. Prenozioni, Bologna, Tip. di G. Cenerelli, 1873, (pp.
126, in -16°). Del concetto della storia della medicina, Prelezione, Bologna,
Monti, 1874, (pp. 26, in -8°). La medicina religiosa, Prelezione, Bologna,
Monti, 1875, (pp. 24, in -8°. Fu pubblicata anche nel Giornale napoletano di
filosofia e lettere, scienze morali e politiche, diretto da Francesco
Fiorentino, Anno I, voi. I, fase. 2 aprile 1875, pp. 265-280). All'onorevole
signor commendatore Gaspare Monaco La Valletta senatore del Regno, presidente
dell'Associazione costituzionale di Chieti, Bolo- gna, Monti, 1879, pp. 20, in
-8°). [È, una lettera, con la data: Bologna, '17 maggio 1879]. // canonico di
Campello e la stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia, anno 1881, nn. 319,
320, 321, 322. [Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La malattia dell' on.
Sella, nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze], N. 43, 12 febbraio 1882.
[Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di Chieti, Bologna, Monti, 1882, (pp.
79, in -8"). [Data: 19 ottobre 1882]. Filosofia e non filosofia, Discorso
inaugurale per la riapertura degli studi nella Imperiale Accademia di
Krenztburg del dott. E. K. Mayow, prof, di zoologia in detta Università,
tradotto dal tedesco, Bologna, Monti, 1883, (pp. 20, in -8°). Francesco De
Sanctis, Bologna, Fava e Garagnani, 1884, [Estratto dai nu- meri 8-11 della
Gazzetta dell'Emilia, opuscolo di pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ».
Ristampato nel volume In memoria di Fr. De Sanctis, Na- poli, Morano,
1884]. Bibliografia. XVII Bertrando Spaventa [Necrologia di], nella
Gazzetta dell'Emilia (Monitore di Bologna), a. XXIX, N. 54, 23 febbraio 1883
(>)• Francesco Fiorentino, Necrologia, Bologna, Fava e Garagnani, 1884. -
[Estratto dalla Gazzetta dell'Emilia, 28 dicembre 1884, N. 359. Opu- scolo di
pp. 10, in -16°, anonimo]. Spagnolismi e francesismi. Note di AngeiAntonio
Meschia (-) maestro ele- mentare in Zangarona Albanese, Bologna, Monti, 1884,
(pp. 80, in -16° picc). Darwin e la scienza moderna, Discorso del prof. Camillo
De Meis per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di Bologna
nell'anno scolastico 1886-87, Bologna, Monti, 1886, (pp. 35, in -8°). [Stampato
anche neWAnn. della R. Univ. di Bologna]. Rialzare gli studi, Estratto dal
giornale L'Università, Bologna, 1887, Società Tip. già Compositori, (pp. 12, in
-8°). Repubblica o monarchia (Da un album), nel Sancio Panza, Bollettino quo-
tidiano di Bologna, stampato e redatto nella sede dell'Esposizione Emi- liana,
N. Primo, 12 maggio 1888; segue una polemichetta nel giorn. cit. numeri 3, 5,
6, 8, 10. [La pagina d'album e la polemica furono ripro- dotte in un opuscolo,
edito a Bologna, Fava e Garagnani, 1889]. Corso di storia della medicina nella
Università di Bologne - Appunti sul- l'introduzione al corso e sulla medicina
orientale, nell'Università, Bo- logna, A. Idelson, 1890, (pp. 246-250, 310-312,
487-491). [Uscì pure in un opuscolo di pp. 8, in -8°, estratto dall'Università,
Bologna, Azzo- guidi, 1890]. Lettere di A. Camillo De Meis a B. Spaventa,
pubbl. da G. GENTILE, Napoli, Melfi e Joele, 1901, per nozze Salza-Rolando,
(pp. 32, in -16°). [Tre lettere ed un telegramma del De Meis sono state
pubblicate in Maria Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda edizione
ampliata con pref. di G. CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, 1884, pp. 498-499, 570,
613, 630-631 (la prima è la dedicatoria dei Tipi vegetali); una lettera da G.
CANEVAZZI, Autografi inediti pubblicati per le auspicatissime nozze del tenente
nobile Orazio Toraldo di Francia con la gentile signorina Gina Mazzoni,
celebrate in Firenze il III luglio MCMXI, Modena, Soc. tip. Modenese, 1911, pp.
11-12. Altre lettere del De Meis sono state pubblicate dal CROCE nel volume
Silvio Spaventa - dal 1848 al 1861 - Lettere scritti documenti, Napoli, Morano,
1898; e negli articoli su // De Sanctis in esilio - Lettere inedite, nella
Critica, XII (1914), pp. 85, 161, 241, 321, 405; ed una in FRANCESCO De
SANCTIS, Lettere da Zu- rigo a Diomede Marvasi, Napoli, Ricciardi, 1913, pp.
137-138. Il Croce preparava anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del
carteggio inedito del De Meis per gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte
lettere del De Meis sono possedute da Bruto Amante, e saranno probabilmente
pub- 2 blicate a spese del Consiglio Provinciale di Chietij). ( La
religione cristiana è già distrutta nel mondo civile latino; vive solo
nell'ancor barbaro mondo germanico; la riforma è il secondo medio evo
germanico. Il soprannatu- rale non illude più. All'epica religiosa del
medio evo, ed all'epica giocosa del risorgimento, parodia generica del
so- ( l ) Questo pensiero risulta dalle pagine del Dopo la
laurea, pur senza esservi enunciato esplicitamente, e chiarisce le
apparenti contraddizioni notate dal GENTILE, La filosofia in Italia dopo
il 1850, 1. cit., p. 302. Le idee estetiche e religiose.
295 prannaturale nel principio, poi caricatura smaccata e
cinica della religione, succede la drammatica senza soprannaturale.
Nel XVI secolo la distruzione è compiuta in Italia; in Francia erano
irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione era incolta, e per questo
la riforma potè attecchirvi, come vi attecchì nel secolo XVII il
giansenismo, una riforma miti- gata; ma nel secolo XVIII la Francia,
divenuta centro di coltura, fu anche centro di incredulità. Il secolo
XVIII è il secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla tragedia
del Voltaire, priva di vita poetica quando ha per fine l'irreli-
gione, ed a quella dell' Alfieri, in cui tutto è umano e naturale,
succede la lirica moderna, che « non lascia alcun margine fra sé e
l'assoluta riflessione, e giunge all'ultimo limite della poesia » (').
Anche in Germania, in parte per riflessione spontanea e in parte per
influenza del ri- sorgimento italiano divenuto sud-europeo, si è iniziato
il risorgimento, che differisce dal latino in quanto non è la
semplice rappresentazione del naturale, ma la negazione del
soprannaturale, rappresentata e sviluppata nelle sue conse- guenze. Secondo
il De Meis, i due risorgimenti, il latino e il germanico, che già nel
sec. XVII reagivano l'uno sul- l'altro, nel XIX si fondono in un solo
risorgimento, un solo mondo di poesia e di pensiero, in cui la religione,
divenuta indifferente, è appunto per questo perfettamente
tollerata. E a questa fusione delle due Europe in una sola Europa
spirituale seguirà certo fra non molti secoli la fusione in una sola
Europa giuridica e politica. Il secolo XIX durerà finché duri
l'uomo. S'inizia nel secolo XVII, quando a lato a Bacone — che mettendo
fin da principio fuori causa lo spirito non lo ritrova più in se-
guito, e nega la possibilità di conoscerlo, consolidando la opera del
risorgimento negativo, — sorge Cartesio, che con- ( 2 ) Dopo
la laurea, [I], p. 200 e segg. 296 Le idee estetiche e
religiose. verte subito il dubbio nell'intima certezza di sé, del
pen- siero del suo pensiero ( 1 ). Il vangelo di Gesù è quello del
cuore, il vangelo di Giovanni quello della fantasia, il Di- scorso del
metodo è il vangelo dello spirito. Tu es Petrus : il cogito cartesiano è
la pietra su cui sorgerà la vera Chiesa cattolica, un edifizio che avrà
le proporzioni dell'universo ed accoglierà tutto il genere umano,
destinato a formare un solo ovile sotto un solo pastore, il pensiero.
Dopo Cartesio, il moderno Anassagora, viene Kant, il Socrate
moderno, che leva di mezzo la metafìsica e la natura, e parla dello
spirito, uno spirito fenomenico sì, ma dal quale egli fa sca- turire la
vita, la virtù, la morale, attribuendo alle cose dello spirito un pregio
infinito. Vero è che questo infinito, questo divino, questo assoluto e
universale non è che individuale. Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene
Platone — leggi Fichte — , che con profonda intuizione vede come
l'univer- sale e il particolare di Socrate si compenetrino in una
sola unità. E dopo Platone viene Aristotele ( 2 ), viene Giorgio
He- gel, che nulla concede alla intuizione e alla fantasia, procede
con rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo regno non durerà
solo diciotto secoli, come quello dell'antico Aristo- tele, ma
diciottomila, o meglio finché duri questo attuale genere umano. Giorgio
Hegel, ponendosi nella posizione di Cartesio, rifa per intero il processo
della conoscenza e trova il processo della creazione. Questo
grande movimento, che si compie nel nord, si era iniziato nel sud ( 3 ) ;
ma il sangue del Bruno era stato ver- sato invano ed il Vico non era
stato compreso da nessuno, ( 1 ) Pel giudizio del De Meis
circa il sistema cartesiano, v. qui addietro, pp. 282-83; ecfr. p.
301. ( 2 ) Cfr. qui addietro, pp. 86-87. ( 3 ) V. Dopo
la laurea, [I], pp. 209-211. Le idee estetiche e religiose.
297 un po' per colpa del papato e molto più pel carattere
delle loro creazioni, che erano intuizioni isolate del genio, più
che momenti di uno sviluppo storico ordinato e necessario. La storia del
pensiero moderno è una storia tutta settentrio- nale. La Germania è la
nuova Grecia europea. Nel mondo latino non giunge che tardi l'eco indebolita
e sfigurata della grande filosofia. Cartesio, il padre della filosofia
moderna, non procede dal Bruno, non è inteso dal Vico, né dal Gio-
berti finché egli non si fu « spapificato » ; Spinoza fa rab- brividire
l'Italia e la Francia. Il De Meis riteneva che a Napoli si fosse sempre
conservato, in mezzo al risorgimento, un fil di tradizione del Bruno e
del Vico: la quale, così guasta e superficiale come era diventata nelle
mani degli avvocati, pure era stata bastante a farne un paese a parte;
ma credeva che i germi gettati dal pensiero italiano avessero germogliato
in Germania. Bertrando Spaventa si era molto preoccupato del problema
della filosofia nazionale ('). E il De Meis accoglieva in questo
proposito l'opinione del suo Ber- trando, da lui ritenuto il primo
filosofo vivente dell'Italia, e forse di tutta l'Europa, « la Germania
inclusive » ( 2 ). Ora che la storia del pensiero filosofico moderno sia
concen- trata tutta esclusivamente nella sola Germania — conce-
dendo soltanto un posto al cogito cartesiano — è una opi- nione che lo
Spaventa, e a traverso lo Spaventa il De Meis, accettano dai romantici
tedeschi. Ad essi, e a tutti coloro che hanno fede assoluta di essere nel
vero, il nostro Autore rassomiglia anche in questo, che il valore di ogni
singolo filosofo è per lui in ragione diretta della distanza che lo
(') V. BERTRANDO SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue
relazioni con la filosofia europea, a cura di G. GENTILE, Bari, Laterza,
1909; e Fram- menti di studi sulla filosofia italiana nel secolo XVI, nel
Monitore biblio- grafico di G. Daelli, Torino, 1852, nn. 32, 33.
( 2 ) V. Dopo la laurea, [I], pp. 288-290. 298 Le idee
estetiche e religiose. separa dalla sua propria concezione.
Caratteristici in questo proposito i giudizi circa il Rosmini e la
evoluzione del pensiero giobertiano ( l ). Dopo Hegel,
secondo il De Meis, religione e poesia cedono in Germania il posto alla
teologia e all'estetica. Nel mondo latino la tradizione cartesiana si è
dispersa; è rimasto padrone del campo il risorgimento sofìstico, ateo e
negativo. Ma l'uomo non può vivere senza un Dio, e il tempo mo-
derno, quando il risorgimento ebbe distrutta la religione cri- stiana, si
volge al passato, al medio evo sacerdotale e sim- bolico, e moltiplica
gli sforzi per creare una nuova reli- gione. Sforzi vani, che la
religione cristiana, religione di Dio, del vero spirito, della sua
trinità, della sua umanizza- zione, è l'ultima di tutte le religioni, e
solo potrà trasfor- marsi e purificarsi. Mentre questi vani
sforzi si compiono nella Germania volgare — non in quella pensante — ,
nel sud, dove un ele- mento pensante manca, la parte più elevata, non
però pen- sante e moderna, tardivamente inaugura il secolo XIX: è
un secolo XIX non filosofico, perchè non è rischiarato che da un debole
raggio di riflessione ; è pseudo-religioso e pseudo-poetico; si apre col
Concordato e col Genio del Cri- stianesimo, parti infelici della
riflessione travestita da imma- ginazione ("). La riflessione, non
avendo piena coscienza di sé come nel mondo germanico, coesiste nel mondo
latino a fianco alla poesia; e dà origine ad una pseudo-epopea, al
romanzo ( 3 ), genere ibrido, anfibio, tra la storia e la finzione, tra
la poesia e la prosa, tra l'arte e la scienza. Il romanzo, genere
equivoco, compare per la prima volta nel principio del secolo XIX dell'
antichità, ricompare nel nostro se- (!) V. Dopo la laurea,
[I], pp. 415, 435, ecc. ; II, pp. 29-35, ecc. ( 2 ) V. Dopo la
laurea, [I], pp. 211-218. ( 3 ) V. Dopo la laurea, [I], pp.
226-252. Le idee estetiche e religiose. 299
colo XIX, e rinasce in Germania, col Goethe, genio equivoco, tra la
poesia e la prosa, in cui l'universo si riflette tutto intero; si
sviluppa in Inghilterra, paese equivoco, tra latino e ger- manico, e
raggiunge la sua perfezione in Italia, paese equi- voco anch'esso, mezzo
liberale e poetico e mezzo prosaico e papale, e precisamente in un uomo,
come Goethe a cui somiglia, equivoco: Alessandro Manzoni. Si
osservi che il De Meis, una volta stabilito che il romanzo è un genere
equivoco, trova che sono equivoci tutti gli individui e tutti i popoli
presso i quali il romanzo fio- risce, prendendo — si noti — la parola equivoco
nella acce- zione di misto e complesso, sì che ad ogni popolo e ad
ogni individuo potrebbe indifferentemente applicarsi. Dopo lo
Scott e il Manzoni, il romanzo va perdendo il carattere epico, e diventa
sempre più storico, riflessivo e prosaico con l'Hugo e con la Sand, finché
in Paul De Kock e Edgardo Poe la prosa assorbe ed avviluppa in se la
poesia. Nel risorgimento moderno, come nell'antico, la lotta
co- mincia antireligiosa e finisce antifilosofica: prima la
riforma, uno scetticismo che distrugge 1' Olimpo cattolico ; poi il
deismo, uno scetticismo più progredito; infine l'ateismo, uno scetticismo
assoluto, la pessima delle filosofie. « E non è finita ancora la triplice
serie » ('), osserva il De Meis, fedele sempre alle sue triadi. La Germania
è per tre quarti prote- stante; la Francia è prevalentemente deista, e in
parte atea; l'Italia ha una ventina di milioni di analfabeti, tutti
papo- temporali ; i semi-analfabeti sono in gran parte demagoghi.
Il risorgimento produce quella filosofia che è la bestia nera del
De Meis, la filosofia positiva. Era la filosofia che gli aveva preso fra
i suoi artigli, strappandolo alla fede hege- liana, un caro amico —
rimasto tale malgrado la irreconci- ( l ) Dopo la laurea,
[I], p. 354. 300 Le idee estetiche e religiose.
liabile opposizione delle opinioni filosofiche — Pasquale Villari,
al quale così frequenti e amichevoli frecciate sono dirette nel Dopo la
laurea (') ; era la filosofia che accoglieva la teoria dell'evoluzione
del Darwin; era la filosofia opposta alla hegeliana nel principio, nella
essenza, nel metodo. Mai il De Meis si lascia sfuggire una occasione di
combatterla : trova che la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la
na- tura delle cose; ma la filosofia nuova, la filosofia positiva o
iperscettica, non ne fa neppur materia di dubbio o di discus- sione, ed è
una filosofia dell'apparenza, cioè una filosofia antifilosofica (").
Il risorgimento iperscettico non può trovare la verità, perchè ha
l'occhio sempre rivolto alla natura esterna, e non mai alla natura
interna, al pensiero dell'uomo, che è la verità stessa. Secondo il De
Meis, la filosofia sedicente positiva è di fatto negativa, poiché nega il
negabile, la cono- scenza dell'essenziale, e non pone che la conoscenza
del- l'apparente, del reale e dell'accidentale, che nessuno ha mai
pensato a negare. Questa pseudo filosofia si sviluppa come la vera.
Il primo atto è il principio; la scena è in Italia: Telesio scopre
l'ap- parenza come principio. Il secondo atto è il metodo ; la
scena è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo-
baconiano, ovvero induttivo sperimentale, ha due parti: la descrizione e
la legge dei fenomeni. Il terzo atto è il sistema, che ha pure due parti
: la classificazione e la filiazione dei fenomeni. La
filosofia positiva è una terza corrente, che si caccia fra la corrente
poetica e la filosofica, ed è il sangue della (') V. qui
addietro, pp. 9 nota ( 1 ), 35-36; Dopo la laurea, passim; cfr. PASQUALE
VlLLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, nel Politecnico di
Milano, fascicolo di gennaio, 1866; e B. SPAVENTA, Scritti filosofici, p.
311, nota ( 2 ), per quanto si riferisce alle critiche mosse a questa
pubbli- cazione dal WYROUBOFF, dal MamIANI, dal FIORENTINO, dal
TOCCO. ( 2 ) V. Dopo la laurea, [I], p. 355 e segg.
Le idee estetiche e religiose. 301 filosofia; l'osservazione
e l'esperienza ne è lo stomaco; l'in- duzione baconiana il polmone
sanguificatore ; la legge posi- tiva il torrente della circolazione; ed
essa, la filosofia, è il cervello, in cui il sangue positivo diventa
anima e pensiero speculativo. Giorno verrà in cui lo stomaco baconiano
non avrà più nulla a digerire, né il polmone a respirare; e la
natura divenuta tutta sangue circolerà dentro dell'uomo. Al- lora questa
terza corrente, tutta e sempre prosaica, sarà dive- nuta un mare, ed avrà
confuse le sue acque col mare della religione, della poesia e della
filosofia. La terza parte del gran dramma della filosofia
cristiana è il tempo nuovo. Dopo la riflessione negativa del
risorgi- mento, la filosofia moderna, come ogni filosofia, muove
alla ricerca di un principio. Il nuovo Talete è Giordano Bruno ; il
nuovo Pitagora è il Leibnitz. Per passare dal naturalismo dina- mico del
Bruno e dal neo-pitagorismo e, per così dire, dal- l'atomismo ideale
leibnitziano, dal principio naturale al prin- cipio umano, occorreva un
nuovo Anassagora, e venne Car- tesio. Il principio cartesiano, come tutte
le cose del mondo, nasce non perfetto; in Cartesio è uovo o tutt' al più
em- brione ('). Il secondo atto della filosofia moderna si volge al
metodo. Nel perfezionare il metodo antico, l'antica dia- lettica,
proporzionatamente alla più perfetta natura del prin- cipio moderno, e
nell' esplorare più completamente il prin- cipio, consiste il lavoro del
secondo atto del secolo XIX, che termina poco dopo la fine del secolo
XVIII. L'atto terzo è il sistema, è il principio di Cartesio e dello
Spinoza, del Kant e dello Schelling, corretto e metodicamente
sviluppato. Ed è nella sua essenza, se non nella sua esecuzione, il
si- stema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà mai es-
sere in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta possibilità
dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti
(') Cfr. qui addietro, PP . 282-83, 295-97. 302 Le
idee estetiche e religiose. i principi a traverso ai quali la
riflessione greca è passata non sono che le forme e i gradi della sua cognizione.
« E uno è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a un punto
nel quale il principio contiene in se il tutto % e il metodo si confonde
col processo evolutivo del principio, e il sistema è il tutto spiegato;
quando la filosofìa giunge a comprendere il creante e il creato in un attivo
processo di creazione » ('), non ha più dove andare, a meno che non
voglia indietreggiare, come fece la Grecia dopo Aristotele, o uscir
dell'universo. E se il tempo moderno non vuole indietreggiare, bisogna
che si contenti del suo nuovo Aristotele. Non è possibile un terzo
Aristotele, perchè il tempo antico ha ricevuto nel moderno il
perfezionamento essenziale, il solo di cui fosse capace : di og- gettivo
è diventato soggettivo, di totalità immobile vivo pro- cesso di cognizione
e di creazione. Vivo di riflessione filoso- fica, non d'immaginazione. Un
sistema, per concreto che sia, è sempre un'astrazione, e l'astrazione è
la morte dell'anima umana. L'anima vive finché la fa, ma quando l'ha
fatta, quan- do della realtà vivente, ossia di se stessa, ha composto
quel- l'estratto che si chiama pensiero filosofico, allora l'azione
si arresta, e con l'azione è finita la vita. Quando Aristotele ha
creato un grande sistema, perfetto e compiuto per l'antichità, lo spirito
antico vi si chiude come in un sepolcro per secoli ; e torna alla vita
solo quando ricomincia a sentire e a fan- tasticare. Quando la Germania
ha creato il vero sistema del mondo, e recata la religione cristiana
nella forma di un cristianesimo assoluto, allora la vita si congela
nell'astra- zione, e lo spirito germanico rimane assiderato. Ma
presto si scuote, e, brancolando nel buio dell'astrazione
hegeliana, trova il risorgimento negativo ed ateo ed il risorgimento
ne- gativo-positivo. Congiungendosi col primo, produce mostri
filosofici ed aborti strani ; col secondo la medicina naturali-
(') Dopo la laurea, [I], p. 373 e segg. Le idee
estetiche e religiose. 303 stica e la storia naturale materiale. Ma
la Germania mate- rialistica e naturalistica è più morta della Germania
hege- liana. Come la pura riflessione, così la pura contemplazione
è la morte. La vita è pensiero apparente, è unità di rifles- sione e di
contemplazione, di metafìsica e di filosofìa posi- tiva, di poesia e di
filosofìa. La storia universale è una sequela di creazioni,
identiche fra loro quanto al ritmo e alla legge, sempre più pure e
perfette quanto al contenuto, che comincia dalla pura forma dello spazio,
e termina nella forma più pura del tempo. Ogni creazione ha come fine la
creazione successiva ; ciascuna vive di quella dalla quale nasce e serve
di alimento a quella a cui dà origine, che le si sovrappone e l'avviluppa
in se stessa, senza distruggerla. Così dalla natura nasce il regno
vegetale, da questo l'animale, dall'animale l'uomo finito e
particolare, e da questo l'uomo universale. Tutto questo è il regno
umano inferiore, e tutto si spiega nella forma dello spazio, e coe-
siste come nella natura. L'uomo di sopra, il regno umano universale, ha
esso pure la sua storia, ed è una serie di sfere, che l'uria avviluppa
l'altra; prima l'arte, poi la reli- gione, poi lo spirito, che
universalizza la natura, e dà valore assoluto e infinito al particolare e
al finito. Tlàvta qsI . Eterna è solo l'idea ed immortale è
soltanto la natura. Come la natura, così l'uomo, lo spirito umano,
natura anch'esso, ha una legge inflessibile e costante. « Sono due nature
diverse, certo, e ciascuna ha la sua legge partico- lare e propria, ma in
fondo è una natura sola, ed una sola legge naturale » ('). Le forme e gli
elementi naturali ed umani sono del pari indistruttibili, e la legge
comune della loro attività è immutabile: nascere, crescere, decadere
e perire è destino comune agli uomini, agli animali, alle piante
( x ) Dopo la laurea, [I], p. 113; cfr. pp. 180-84, e passim; ed /
tipi animali, [I], pp. 332-33, 336-37; ecc. 304 Le
idee estetiche e religiose. e ai sistemi planetari. Ma gli elementi
della natura sono l'uno fuori dell'altro, e anche quando si combinano non
si compenetrano ; quelli dello spirito sono compenetrati ed inti-
mamente unificati, ne mai si scompagnano nella realtà, va- riando solo
quanto alla proporzione. E il prodotto piglia forma e natura
dall'elemento preponderante e più attivo. La natura è come una scala a
piuoli ; lo spirito come una scala a corda, che raggiunta la meta si
raggruppa in se stessa. Nell'uomo-cosmos gli elementi spirituali
erano tutti in uno stato di assoluta quiete e di completa indifferenza :
solo il genio, l'immaginazione era attiva da principio; poi entrò
in attività il senso. Anche la natura, poiché si muove, deve avere il
senso naturale, nella forma inferiore di senso chimico ed in quella
superiore di senso meccanico. Poi l'uomo di sistema solare si fece
pianta; nella pianta l'unico elemento spirituale attivo è il senso
chimico. Nell'animale v'è il senso meccanico in nuove forme; v'è un arco
diastaltico, di cui l'impressione, il senso naturale è il primo atto, e
l'ultimo è il movimento, la contrazione; e nel sommo dell'arco
comin- ciano ad entrare in azione gli altri elementi umani : imma-
ginazione, sensazione, memoria, e ristretta in una sfera tutta animale
una piccola induzione, e per poco la famiglia umana, e talvolta la
società umana in forma animale. Finalmente nell'uomo entra in attività la
coscienza, la riflessione, e con questa gli elementi spirituali
superiori, la poesia, la religione; manca la riflessione della
riflessione, la scienza; predomina il senso (vegetale, animale ed umano).
Questo è lo stato naturale di cui parla il Rousseau. Nel secondo tempo
l'atti- vità passa alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze
fra gli uomini. Queste si vanno poi via via accentuando per opera
della riflessione, che si è andata rinvigorendo alle spese del sentimento
e dell'immaginazione. Ma contemporaneamente a questo processo di
divisione e di analisi, si compie nella storia un lavoro di unificazione
e di sintesi. La grande ragione avviluppa la piccola, poiché è sempre la
facoltà superiore Le idee estetiche e religiose. 305
che unifica in sé e dà la sua forma alla facoltà inferiore, da cui
riceve in contraccambio la vita. Questa seconda co- scienza non è un
trovato della odierna metafisica, che anche Aristotele parlava di due
vovg, l'uno poietico o attivo, l'altro patetico o passivo ; e nel secolo
XVI qualcuno fu arso vivo per aver parlato di quel secondo spirito ( l
). La vera vita dello spirito, unità vivente, è in una molti-
tudine di individui ad un tempo ; e però la storia dello spirito si
compone di una successione di grandi unità ("'). Il primo stato
embrionale del genere umano è la natura (il De Mteis, hegeliano e medico,
prende spesso come termine di con- fronto l'organismo umano); la vita
fetale è il vegetabile e l'animale; terza muda è quella dell'uomo
positivo, l'infante del genere umano. Egli con la sua piccola positiva
riflessione vede intorno a se un mondo finito, e si fa un Dio finito e
posi- tivo; non soddisfatto di questo breve corso mortale, senza
scopo in se stesso, sogna una seconda vita, ha fede in essa, ed è
religioso. Questa religione, questa fede, si trasforma a poco a poco in
un ideale, in un caro sogno poetico. Poi dalla prima nasce una seconda
coscienza, e l'uomo intui- tivo diventa — quarta muda — l'uomo riflessivo
e intellet- tuale. La nuova coscienza, mentre si appropria la
coscienza finita e positiva, imprime in tutte le diverse funzioni
umane il suggello della sua infinita unità, pur lasciandole nella
loro distinzione naturale; e così permangono l'agricoltore, l'avvo-
cato, il medico, e via dicendo. Ma nella sfera superiore le due coscienze
si unificano, ed il poeta ed il prete rimangono assolutamente
identificati nel pensatore, perchè una volta svi- luppata la coscienza
intellettiva l'uomo non può più deporla per ritornare uomo positivo
ovvero semi-uomo, così come non poteva deporre la coscienza positiva e
tornar ad essere (') V. Dopo la laurea, [\], pp.
169-74. ( 2 ) V. Dopo la laurea, [I], pp. 112-28, 149, 152 e
segg. Del Vecchio-Veneziani - 20. 306 Le idee
estetiche e religiose. animale. E la poesia si trasforma in
estetica; la religione in critica e in filosofia. Oggi la poesia non c'è
più al mondo, perchè essa non è una combinazione di fantasia che
afferra e trasforma e di natura afferrata e idealizzata ; ma è una
sola unità, « è l'universo pervenuto a grado di spirito, che
inconsciamente si trasforma e si purifica nella conscia anima di un solo
uomo, spettatore più che autore della sua propria trasformazione ».
È un fatto di ragione che la vita umana comincia con l'assoluta
barbarie, col puro senso materiale e col semplice istinto naturale; e
termina nella riflessione intellettuale, che è la vera vita e l'assoluta
e definitiva civiltà. È un fatto di osservazione e di ragione che si va
dall'una all'altra passando per la forma intermedia della immaginazione.
La religione e l'arte è il regno dell'immaginazione: è una barbarie
civile ed un senso spirituale. L'epica è la poesia immaginativa e
barbara, e perciò più perfetta; la lirica è la poesia riflessiva e
civile, e perciò più imperfetta; la drammatica è la forma intermedia.
Essa è più riflessiva dell'epica, e sviluppa un elemento di questa; è
epico- religiosa nell'antichità, raggiunge la perfezione nel risorgimento,
e decade nel secolo XIX, nel greco-romano come nel latino-germanico, per
eccesso di riflessione. Analogo arco descrive la lirica, che sviluppa
un elemento della drammatica, e, finita come poesia, durerà come
lirismo filosofico finché duri il secolo XIX, ossia finché duri il genere
umano. La poesia sensibile ed oggettiva è la barbarie dello
spi- rito umano, la filosofia intellettuale e soggettiva è la sua
ci- viltà ; dall'una all'altra si passa a traverso la forma inter-
media della religione, che è tutt'insieme oggettiva e sog- gettiva, è
sensibilmente intellettuale, è la barbarie civile dello spirito umano. La
religione più barbara, più naturale, più oggettiva e più epica è la
religione indiana; la più civile, più umana, più soggettiva e più lirica
è la cristiana. Tra la Le idee estetiche e religiose.
307 religione epica orientale e la religione lirica
occidentale, la religione passa per una stazione intermedia, la Grecia,
e vi prende una forma intermedia, la forma drammatica. Nella
religione indiana troviamo tutti gli elementi e tutti i carat- teri di un
sistema religioso completamente sviluppato; il politeismo greco è la
prima caduta della religione, la quale risorge nel tempo moderno.
L'oriente moderno, ossia il medio evo, pone gli elementi essenziali della
religione, che sono quelli stessi del pensiero, nella vera forma
religiosa; l'anti- chità moderna, ossia il risorgimento, spezza questa
forma; il secolo XIX, il vero tempo moderno, li pone nella forma di
pensiero : invece della riflessione filosofica del medio evo è una
filosofia religiosa. L'oriente è essenzialmente epico; la Grecia è, nella
sua stessa epopea, principalmente dramma- tica; il tempo moderno è tutto
umano e tutto divino ed è tutto lirico e riflessivo. E del tempo moderno
il medio evo è religioso ed epico; ma è un'epica lirica, ispirata
dalla grande riflessione: tale è la poesia dantesca. Il
risorgimento è irreligioso e drammatico. Il fantastico si cangia nel
mera- viglioso; poi il meraviglioso stesso sparisce dalla poesia.
Il secolo XIX è di nuovo religioso ed è tutto lirico: il prin-
cipio è epico-lirico; poi viene la drammatica, che comincia storica e
finisce cittadinesca e domestica; e all'ultimo viene una lirica tutta
stravolta per voler essere ultra-poetica. Ormai la riflessione ha
superata l'immaginazione; il sentimento e la fantasia sono stati
oltrepassati e ravviluppati dentro al pensiero; quindi quella del nostro
tempo deve essere una poesia lirica, drammatica ed epica ad un tempo; il
prodotto di tutte le facoltà riunite, la filosofia vivente, poetica
e religiosa, la filosofia dell'universo, cioè dell'uomo. 11 se-
colo XIX, cominciato lirico-poetico, termina lirico-prosaico-
filosofico-poetico-religioso ed assolutamente cristiano. La poesia non è
morta; ha subita una metempsicosi, uscendo 308 Le idee
estetiche e religiose. dalla forma di immaginazione per entrare in
quella di filo- sofìa, e in quella vive ed eternamente vivrà.
La forma e l'elemento della poesia e della religione è, come
abbiamo visto, l'immaginazione. Quando il risorgimento ha distrutta
l'immaginazione, allora il sentimento, che prima era in germe, assorbe
tutto l'uomo e tutta la natura. E sorge la musica f 1 ), forma di poesia
della quale il sentimento è solo elemento e sola sostanza, e il tempo V
unica forma. La musica è l'ultima delle arti ; la poesia è la prima. Le
arti plastiche usano una materia più naturale, meno ideale, deb-
bono sostenere con questa una lotta più lunga, e giungono più tardi a
perfezione. Viene prima la scultura, poi la pitiura. Certo la
musica è nata, come tutto il resto, con l'uomo; ma nel medio evo antico è
un esercizio secondario, subor- dinato alla poesia e alla religione ; nel
risorgimento sofistico è bensì un'arte, ma rimane di gran lunga inferiore
alla scul- tura e alla pittura ; nel medio evo moderno la musica è
epico- religiosa, e rimane subordinata alla religione. Solo nel
risor- gimento moderno la musica si sviluppa, mentre le arti pla-
stiche decadono: dapprima, nel risorgimento drammatico, la musica non è
che un compimento e un aiuto del dramma ; acquista un proprio assoluto
valore solo nel risorgimento li- rico, che è il tempo della negazione del
pensiero, ossia del- l'essenziale, e quindi è il tempo del nulla. Questo
vuoto sentimento si traduce in un vuoto suono, che diviene arte e
poesia. La musica è dunque una lirica vacua, è un'arte oltre-lirica, è
l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto del risorgi- mento, ed è quello che
meglio ne scopre il carattere, poiché il fine è il grande rivelatore. Ma
il nulla al quale il risor- gimento mette capo, se in apparenza è la
fine, in realtà è il principio, quello stesso dal quale in origine usciva
Funi- verso. Da quel punto istesso l'universo, ossia l'uomo, rico-
H V. Dopo la laurea, [I], pp. 310-333. Le idee
estetiche e religiose. 309 mincia da capo, tutto intero, in seno
alla filosofìa. Questa nuova creazione è il tempo dell'essere, il secolo
XIX, che ha per necessaria preparazione il risorgimento
progressiva- mente negativo e per divisa: negazione di negazione. Il
se- colo XIX nega quel vuoto universo di suoni ; fa della musica
quello stesso che già prima ha fatto della poesia, la dissolve a poco a
poco ; comincia dallo snaturare la musica a furia di sapere e di
meditazione, dando sempre meno alla me- lodia e sempre più all'armonia, e
la riduce ad essere una scienza musicale. Questo è già avvenuto in
Germania, dove allato al risorgimento scorre il tempo moderno;
nell'Europa italo-celtica prevale ancora il risorgimento lirico, e
tocca ormai l'estremo punto dell'assoluta negazione; già la musica
si avvicina al suo limite prosaico ; già il pensiero positivo comincia a
sopraffare e ad assorbire il sentimento e l'imma- ginazione.
Il tempo moderno è la vita che rinasce dal seno della morte, la
fede che spunta dalla negazione. Non il tempo moderno dell'antichità,
perchè sopravviene nell'anima ro- mana, mentre il dramma del risorgimento
si era combattuto nell'anima greca, ma il vero tempo moderno, il nostro
se- colo XIX, che è la continuazione e l'adempimento del risor-
gimento cristiano. In questo secolo il sentimento dell'uma- nità, che è
un aspetto del sentimento della natura, prenderà la sua vera forma in una
nuova poesia, nella quale la lirica, la drammatica e l'epica saranno
ricomposte in una unità assoluta e definitiva. L'unificazione
non è però avvenuta ancora nel campo della poesia, né in quello della
religione e della filosofia. La poesia primitiva o naturale, invariabile
come la natura, sussiste presso il popolo analfabeta; e c'è la poesia
medio- evale e quella del risorgimento, immodernate e ormai vuote.
Così è delle forme religiose (*). Analogamente delle forme 0) Cfr.
qui addietro, pp. 287-88. 310 Le idee estetiche e
religiose. filosofiche : esiste presso il popolo apostolico
primitivo la filosofia primitiva o religione ; ed esiste pure la
filosofia me- dioevale, la scolastica del secolo XIX, e la filosofia del
risor- gimento, con tutte le sue gradazioni progressivamente scet-
tiche e negative e con tutte le sue forme positive. Abbiamo oggi la
massima complicazione di indirizzi e di forme ; non è però difficile
distinguere le diverse funzioni storiche in atto, né prevedere un
continuo avvicinarsi ad una assoluta unità. A questa teoria
del De Meis si mossero da Silvio Spaventa e da altri obbiezioni ('), che
possono ridursi sostanzialmente a questa : Come può lo spirito umano
perdere due delle sue funzioni essenziali, l'arte e la religione ? Il De
Meis risponde che Silvio Spaventa ha ragione se, basandosi sulla
filosofia kantiana, afferma che lo spirito umano sarà sempre tratto
a fare degli assoluti giudizi religiosi ed estetici, ad unire al
concetto della mente la intuizione che deve dargli corpo e vita; ma ha
torto se crede che la intuizione da accompa- gnare all'ideale debba
essere sempre fantastica e falsa. Nel principio l'intuizione religiosa e
l'intuizione estetica è creata dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta
perchè non è la vera, non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto
concetto; e di qui nasce da una parte una serie di capolavori tutti
relati- vamente perfetti — se son davvero capolavori — , perchè
l'ideale dell'arte, come finito ch'egli è, può accordarsi con una
intuizione finita; e ne viene dall'altra parte una serie di religioni
tutte imperfette e però tutte transitorie, perchè l'ideale religioso è
infinito, e la fantasia non sa creare che delle immagini finite. Ma le
due serie hanno una legge, perchè ( ] ) V. Dopo la laurea,
II, pp. 19-46; e cfr. Poesia ed arte, Lettera di G. FRANCESCHI al De
Meis, nella Rivista bolognese, 1868, pp. 1045-51. Il Franceschi dice che
il De Meis, togliendo all'uomo la religione e la poesia, lo abbassa all'abbaco
e al pane ; egli non comprende che il De Meis intende anzi di innalzarlo
alla sua filosofia religioso-poetica. Le idee estetiche e
religiose. 311 hanno un termine : e il loro termine non può essere
che la vera e reale intuizione corrispondente al concetto dell'arte
ed all'ideale della religione. E difatti abbiamo da un lato una serie di
forme estetiche l'una meno perfetta dell'altra, e sempre meno rispondenti
alle condizioni assolute dell'arte; e sono sempre meno naturali e
spontanee, meno epiche e fantastiche, sempre più spirituali, liriche,
filosofiche e reali; e sì l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e
bella, e più trasparente ed immediata all'ideale. È, dunque una
serie regressiva e discendente. La serie religiosa è al contrario
ascendente e progressiva. Ogni forma religiosa è meno fan- tastica, più
razionale, più reale della precedente. Per cui l'ultima, la cristiana, è
assolutamente vera e perfetta; in essa al mondo della ragione corrisponde
un mondo fanta- stico quanto esser può più adeguato e spirituale : il
cristia- nesimo non ha altro difetto che quello di essere una reli-
gione. La religione cristiana si va sempre più perfezionando; e il suo
perfezionamento consiste nell'essere sempre più storia, più realtà, più
verità, e sempre meno religione. E così per contrarie vie, l'una
scendendo e l'altra montando, la religione e l'arte corrono al loro fine,
al vero. Il vero è l'eguaglianza della realtà e dell'idea, del pensiero e
del- l'intuizione. L'intuizione estetica, da principio fantastica e
non realmente assoluta, diventa a gradi sempre più somi- gliante al
concetto assoluto dell'arte, finché raggiunge l'asso- luta e reale
intuizione. Allora la natura è concepita come un solo essere vivente,
indipendente, assoluto; e ciascuna sua parte è intuita come membro
dell'intero, ed assoluta essa stessa : giacché le due intuizioni ne fanno
una sola. La intuizione religiosa, essendo finita, non è adeguata alla
sua idea, che è infinita. La verità religiosa non è mai la vera,
perchè è una combinazione di finito e di infinito, anzi che di infinito
con infinito. Ma la intuizione religiosa si va sempre più allontanando
dalla forma naturale, e si fa sempre più veriforme fino a diventar vera ;
il che avviene quando 312 Le idee estetiche e
religiose. l'infinito ritrova se stesso, ed è a un tempo concetto
e intuizione. Allora al falso succede il vero, e la religione fi-
nisce. Questo non è perdere una funzione; è risolvere e trasfigurare. Le
funzioni inferiori dello spirito, come la mo- rale, il diritto, lo Stato,
conservano una esistenza separata, perchè partecipano ancora della
qualità della natura; ma la religione e l'arte hanno per oggetto il vero;
sono i gradi e le forme del vero pensiero, e perciò quando il pensiero
ac- quista una esistenza distinta, esse la perdono e rimangono
unificate in lui. L'arte è per sua natura illusione e la reli- gione è
per sua essenza errore ; ora l'illusione è fatta per trasformarsi in
certezza e realtà, l'errore in verità. L'arte si trasforma nella vera
cognizione naturale ; la religione nella vera cognizione spirituale. In
questa trasformazione consiste la storia; il suo compimento è il fine
della civiltà ed il limite del progresso umano, che è temporalmente
indefinito, ma idealmente determinato. L' ideale è provvisorio, e
sparisce nell'idea. Così termina la parabola
religioso-poetica, della quale il primitivo oriente è il ramo ascendente;
l'antichità pagana, tutta arte e mistero, è la cima; ed il ramo che
discende è l'era cristiana, in cui la religione e l'arte vanno
progressi- vamente diventando più riflessive, sino a ridursi ad
essere, oggi, il pensiero e la scienza cristiana. L'uomo moderno
cerca l'ideale e trova l'idea, cerca il concetto dell'arte e trova il
vero concetto, cerca il divino fuori di se e trova in se l'umano; cerca
il sovrannaturale e trova il naturale. Il nuovo uomo crede e pensa; e
pensando ricrea l'universo, dal suo pensiero una prima volta creato.
Questo nuovo universo è un'opera d'arte in cui la forma eguaglia il
concetto ; ed il concetto fatto conscio di se vince la forma, ed è
bello e sublime ad un tempo. Questo nuovo universo è un capo-
lavoro, di cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme, intende il
magistero; è un tempio, di cui il pensiero umano è il nume
Le idee estetiche e religiose. 313 e ciascun uomo il
sacerdote, che a quel Dio sacrifica ciò ohe è in lui di non buono. E il
nuovo uomo continua questa creazione con azioni generose ed alti
pensieri. « Ed è così che egli è più che mai non sia stato religioso e
poeta, quando non è più che scienziato e libero pensatore ». L'uomo
parte dalla tenebrosa unità della natura e del senso, e, a traverso la
piccola riflessione e la grande immaginazione, giunge alla luminosa unità
della riflessione intellettiva, av- vivata dalla fede religiosa e
poetica, che sole restano della religione e della poesia.
Naturalmente gli argomenti logici addotti dal De Meis a sostenere
la sua tesi della « metempsicosi » della religione e dell'arte nella
filosofia hegeliana sono validi solo se si ammette l'esistenza di un
concetto assoluto, universale, defi- nitivamente vero, al quale le
intuizioni estetiche e le reli- giose possano gradatamente adeguarsi;
solo, in una parola, se si accoglie l'hegelismo dell'Autore. Il compendio
di storia del genere umano tracciato per convalidare queste
argomentazioni non raggiunge lo scopo, perchè in esso non la storia
conduce alla dimostrazione, ma la dimostrazione, se pur non modifica la
storia, certo la coglie nei momenti e negli aspetti a lei giovevoli,
sorvolando sugli altri. E le molte e molte pagine che l'Autore consacra
alla dimostra- zione della sua tesi riescono invece a dimostrare questo :
che egli ha avuta la somma fortuna di trovare nella sua conce-
zione dell hegelismo la sua filosofia, la sua religione e la sua
poesia. Il De Meis è certo che le tre grandi correnti umane, —
la contemplativa religioso-poetica che nasce dalla natura e la
riflessi vo-filosofica che, nata dalla precedente, si suddivide in altre
due : la filosofica positiva o filosofia della sostanza e Tanti
filosofica negativa che bentosto diviene afilosofica, nega-
tivo-positiva, pseudo-riflessiva o filosofia dell'apparenza — , dopo aver
proceduto isolate fino al secolo XIX, suddivi- 314 Le idee
estetiche e religiose. dendosi in altre molte correnti o scienze
pseudo-positive, accennano oggi a ri convergere. L'unità dell'apparenza e
del pensiero, con la precedenza di questo su quella, è l'unità del
pensiero. Per avere l'unità della natura non basta che le due filosofie
astratte si fondano in una sola filosofia con- creta; bisogna che la
corrente religioso-poetica mescoli le sue acque con la corrente unificata
della filosofia. La cor- rente filosofica, scaturita dalla religione e
dalla poesia, tor- bida in principio, si allarga, si purifica, diviene
trasparente sino a perdere ogni potere nutritivo; ma poi, a poco a
poco, invade e travolge il tutto, l'uomo e la natura, la religione
e la poesia; e fa di tutto una sola unità vitale. E allora la filosofia
sarà la vita, sarà l'unità spontanea ed armoniosa della natura : un
pensiero pieno d'amore vivificherà una natura piena di fantasia, l'amerà
come natura umana, e l'adorerà come natura divina. Qui alcuno
potrebbe chiedersi : in questa identificazione della filosofia con la
vita, non subirà la filosofia stessa un assorbimento analogo a quello
subito dall'arte e dalla reli- gione ? La forma superiore non sarà la
vita e l'azione ? Ma il De Meis non distingue dalla vita quella sua
filosofia del- l'avvenire. Egli afferma che è difficile precisare come
tale unificazione vitale si compia, e perchè quest'opera è appena
cominciata, e perchè avviene nella profondità del pensiero, al di sotto
della coscienza. Sono cose tanto lontane — dic'egli — e c'è di mezzo una
tal nebbia di tempo avve- nire, che è impossibile vederci chiaro: bisogna
contentarsi di averne un'idea generale, a Ma —soggiunge — a questa
generalità io ci credo, e giurerei, tanto ne sono certo, che le cose
passeranno così in generale ; e che tutto anderà a terminare nella
fusione di tutte le forze, di tutte le cono- scenze, e di tutte le
realtà, in una sola vita umana » {'). La sua filosofia sarebbe forse un
atto di fede? L'uomo è un sistema vegetativo, un sistema riproduttivo, un
sistema animale e un sistema spirituale. Ciascuno di questi quattro
sistemi umani è attivo e si muove; ed ha, come natu- rale, la causa del
suo movimento fuori di se, nella natura. La natura della causa esterna
che move è corrispondente e proporzionata alla natura della sfera interna
che è mossa; mentre è una stessa natura che fa l'una per l'altra, ed
è sempre la seconda che move se stessa con la prima natura. Ma se
l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragione- vole cattiva
natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio
umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la
relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa
si altera e si disordina. Il disordine della sfera direttamente colpita
si comunica alle altre, ed è una successione e una complica- zione
di morbi; ma, isolati o uniti, non vi sono che quattro morbi umani
essenziali: i vegetativi, i riproduttivi, gli ani- mali, gli umani o
mentali. La patologia preistorica dice che di questi quattro morbi il
primo è stato il morbo vegetativo. L'uomo primitivo, uscito sano, valido
ed innocente dalle mani del Creatore, rimane sano, finché rimane
innocente; non ammala che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ;
non è esposto che agli accidenti meccanici, alle malattie trauma-
tiche. Ma l'animale umano è, a differenza degli altri, capace di colpa;
egli trasgredisce il precetto e oltrepassa la natura: felice colpa,
perchè lo fa accorto di poterla oltrepassare. Di là dalla natura l'uomo
trova se stesso : trova la sua libertà e la sua propria natura, e fa
della necessità animale, istin- tiva ed involontaria, una necessità
umana, spirituale e volon- taria: e così di colpevole ritorna innocente.
Ma non è più la primitiva innocenza dell'animale ignaro e meccanico;
è l'innocenza dell'uomo che si vede nel suo interno, e si sa libero
; e liberamente vuole se stesso, ed ama e venera la sua propria natura.
Ma bentosto egli oltrepassa questo se stesso, supera questa sua natura, e
diviene di nuovo colpevole, e Le opere scientìfiche e la
filosofia della natura. 173 si rifa sempre di nuovo innocente,
finché non abbia raggiunto tutto se stesso e la sua vera natura spirituale,
e non sia com- piuto il fato umano. Così V uomo naturale diventa in
prin- cipio civile, e poi da una civiltà passa in un' altra. La
civiltà ha certamente i suoi morbi ; e sopratutto nel mo- mento del
passaggio e della colpa il morbo si impadronisce dell'uomo, e cresce e si
moltiplica ed imperversa. Allora l'uomo è annoiato di se stesso, e perciò
si corrompe. E il morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi e più
cru- deli morbi. La corruzione sensuale moltiplica i morbi vege-
tativi ; le voluttà naturali e preternaturali generano i morbi
riproduttivi. Le cause psichiche non moltiplicano solo le cause naturali,
ma operano anche per proprio conto, gene- rano per diretta azione le
malattie nervose e le psichiche. D'altra parte, nelle nature più elette,
invece di una corru- zione sensuale, nasce un principio di fermentazione
intellet- tuale, che dà origine alle malattie dello spirito. Ma
tutto questo avviene con una certa legge. Tre grandi civiltà si
succedono: la prima naturale, la seconda umana, la terza divina. E
ciascuna ha il suo proprio carattere e la sua par- ticolare natura; e
ciascuna si corrompe, ed ha le sue proprie e particolari malattie. La
civiltà naturale quando è nel suo primo fiore e nella sua perfezione
originaria è senza morbi, altro che accidentali e meccanici ; ma la sua
corruzione porta seco le cause fìsiche e chimiche, e genera morbi fisici
e morbi chimici: cause cosmiche, naturali, che danno origine a
morbi naturali, sopratutto vegetativi, prima ai morbi nutri- tivi, e più
tardi ai morbi formativi. La civiltà umana — il paganesimo — nel suo
fiore è di nuovo senza morbi ; ma la sua corruzione porta seco le cause
umane, sensuali, passio- nali, e dà origine ai morbi riproduttivi ed ai
morbi animali: ai nervosi prima, e quindi ai psichici. La civiltà divina
— la cristiana — nel suo primo fiore è del pari senza morbi ; essa
è la reazione della medicatrice natura umana, è la gua- rigione
dell'anima e la salute del corpo, rimedio radicale 174 Le
opere scientifiche e la filosofia della natura. di tutti i morbi
umani. Ma la reazione eccede tosto il segno della umana natura, ed è
principio di nuovi morbi. Mistica e tutta entusiasmo e religioso
sentimento, essa reca le cause mistiche, che danno origine alle malattie
psichiche mistiche e religiose. La corruzione cristiana riproduce la
corruzione pagana, e con le cause passionali rinnova le antiche
malattie. Ma di sotto alle rovine del primo spunta il secondo
cristia- nesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le
cause spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima
civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora spa- rirà il
male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi, come era in principio
l'uomo animale. Tale è il primo e più generale risultato, la prima legge
della patologia storica : l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha
quattro qua- lità di morbi, che sono le categorie primarie della
patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o nell'altro
senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo la
oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo positivo o negativo,
stenico ovvero astenico. Sono queste le cate- gorie secondarie della
patologia. La categoria primaria, la natura e la qualità fisiologica del
morbo, è l'essenziale, e mai non manca, né può mancare ; invece la
categoria secon- daria, il grado e la quantità innormale, può mancare, e
manca infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qua-
lità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche la quantità
innormale può mancare del tutto, perchè è sup- plita dalla quantità
normale ; nelle grandi applicazioni sto- riche la categoria secondaria
trasparisce sempre dentro alla categoria primaria. Le
categorie primarie e secondarie ci danno la pianta della patologia
storica; non l'edilìzio con tutte le sue parti. Le quattro grandi sfere
contengono minori sfere, i quattro grandi sistemi contengono sistemi
sempre più piccoli : appa- recchi, organi, tessuti, elementi istologici:
le anime gene- rali non esistono veramente che nelle anime elementari
o Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
175 cellulari. I fatti sono complessi organici e naturali di
cate- gorie, le più generali chiuse nelle più particolari, e queste
ricoperte dalla loro buccia innominabile ed accidentale. A forza di
aggiungere categorie a categorie il vacuo si riempie e si consolida
l'astrazione ('). La patologia storica congegnata dal De Meis è
veramente originale ( 2 ); e sebbene, volendo dedurre da pochi
principi e compendiare in pochi schemi tutti i fatti umani, abbia
tal- volta dell'artinzioso, non è certo nel complesso senza genia-
lità, e coglie con acume i nessi che legano i singoli morbi alle varie
forme della civiltà umana. IV. Ancora il terzo
periodo — b) La filosofia della natura ( 3 ). La creazione secondo
il De Meis. La lotta del De Meis contro la teoria darwiniana. 11 suo
metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi. L'accidentale e il
necessario nella sua concezione filosofica. 11 De Meis non poteva
limitare la sua speculazione entro l'ambito della jatronlosofìa : dalla
sua stessa concezione di ( J ) V. Delle prime linee della
patologia storica, Prelezione, Bologna, Monti, 1866, passim.
( 2 ) Della sua patologia storica l'A. scrive (Delle prime linee della
pa- tologia storica, p. 63): « ...Sarà vera o falsa, buona o cattiva...;
ma sarei curioso, e ben vorrei vedere chi di questa bazzecola, come
d'ogni altra mia piccola cosa infino a una menoma parola, sarebbe capace
di reclamare la priorità ». - Nella prel. qui cit. l'A. non tracciò che
lo schema generale di questa sua costruzione. Ma svolse poi l'argomento
nel successivo corso di lezioni universitarie, mai dato alle stampe. Cfr.
SICILIANI, Gli hegeliani in Italia, 1. cit., p. 526. ( 3 ) V.
qui addietro, p. 156, nota ( 1 ). Per gli argomenti trattati in questo
paragrafo, si vedano: / naturalisti (1865), La natura a volo d'uccello: Forza
176 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
questa, oltre che dall'indole del suo ingegno e dall'influenza
dell'ambiente intellettuale nel quale era stato educato, egli doveva
essere e fu infarti condotto alla costruzione di una filosofìa della
natura. Ma se egli parte dall'affermazione che l'essere è
pensiero, e non vede chiaro il significato di questa identità e non
ne deduce logicamente tutte le conseguenze, se egli pone le
fondamenta in modo arbitrario e nelle singole parti confuse e cozzanti
fra loro, non può innalzare un edifizio solido e fermo. E la sua
filosofìa della natura è infatti un castello in aria, sebbene edificato
con ingegnosità, pazienza e tenacia ammirevoli. Sono pagine che succedono
a pagine, volumi che succedono a volumi, e rivelano una profonda
conoscenza dello svolgimento di tutte le scienze mediche e naturali,
dai tempi più antichi fino a quelli in cui viveva l'Autore: geo-
logia, chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e compa- rata,
fisiologia, patologia, terapia; e sono ipotesi e conquiste scientifiche
messe in relazione con sistemi filosofici e con periodi storici ; sono
analisi di animali e di vegetali, di specie, di classi, di ordini, di
generi; e descrizioni di organi, di funzioni, il cui nascere e
modificarsi vuol essere spiegato dal crearsi della idea divina. Ma in
tutta la costruzione si risentono le conseguenze della incertezza
fondamentale. Il De Meis afferma che creare è diventare, è spiegare
suc- cessivamente le forme di cui si ha il germe nel proprio es-
sere. Il pensiero originario compie la propria creazione, e di semplice
essere si fa a poco a poco pensiero assoluto ( x ). Ma poi aggiunge che
il pensiero è il fondamento, il tetto e e materia (1865), Un
nuovo corpo semplice (1865), / tipi vegetali (1865), Deus creavit (1869),
/ tipi animali ([parte prima], 1872; e parte seconda, 1875), Filosofia e
non filosofia (1883), Darwin e la scienza moderna (1886), ecc.
(*) V. Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, 1869, p.
736 e segg. Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. 177 la travatura dell'edilìzio della natura. Egli viene
così ad am- mettere che il pensiero non basta ad esaurire tutta la
realtà, perchè il fondamento e la travatura non sono tutto
l'edifizio. Non resta dunque fedele alla concezione idealistica,
secondo la quale la natura è un momento del pensiero, che si
risolve interamente nel pensiero stesso, e senza la quale lo
sviluppo del pensiero non sarebbe né completo, né possibile.
Egli distingue nella natura due gradi e due modi di creazione:
l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale, individuale anch'
essa. La prima creazione è quella che F idea dell' uomo fa dell'
individuo umano; ma 1' idea del- l'uomo è naturale, e le idee naturali
restano latenti finché l'idea divina, prima causa di sé e della natura,
le renda attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione.
Quando l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella
natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto al suo
principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea spirituale.
Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'acci- dente, cioè come
individuo. Quindi, come nella natura, così nello spirito accade una
doppia creazione : quella dello spi- rito individuale e quella dello
spirito universale. Il primo ripercorre le forme storiche passate
dell'umanità sino all'at- tuale, l'altro crea le nuove e più perfette
forme storiche. La storia della natura umana, quella della natura vivente
e quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno
stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre crea- zioni : una
divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale, ma temporale e
finita, universale e particolare insieme; la terza materiale,
individuale, accidentale. Dio si realizza nel mondo, e il mondo
nell'individuo; quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo
fa nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma più
semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme opposte, il
vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una Del
Vecchio-Veneziani - 12. 178 Le opere scientifiche e la
filosofia della natura. forma completa, lo spirito umano. Le forme
dell'idea divina passano eternamente l'una nell'altra, senza annullarsi;
e così pure le forme dell'idea naturale; ma nella materia una forma
esclude l'altra, e però nell'individuo sensibile, pur rimanendo tutte
idealmente, spariscono via via sensibilmente. Come un mammifero passa per
le forme animali inferiori e le proto- vertebrate prima di assumere ra
sua forma specifica, così l'in- dividuo umano principia selvaggio, e poi
riproduce le tre forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi
ra- gionatore, e finalmente pensatore: medio evo, risorgimento,
tempo nuovo. L'uomo ordinario, nel suo sviluppo, si arresta alle forme
storiche già create; l'uomo di genio crea forme nuove, opera come spirito
universale, traendo da Dio l'im- pulso e l'ispirazione creatrice. E sempre
esisteranno oltre ai più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i
creativi, finché, come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua
forma vera, già tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari
gradi e le varie forme in cui il tipo divino si squaderna nella
natura. Questi gradi sono una scala di mezzi e fini, in cui
la forma inferiore è organo e mezzo all'esistenza della supe-
riore. Il ciclo tipico concepisce il moto creativo e produce il ciclo
superiore. Quando la natura è fatta, comincia la vita; e quando è chiusa
la creazione vitale comincia lo spirito umano. I cicli secondari, anche
prima di essersi svolti inte- ramente, cominciano a produrre i tipi
corrispondenti del ciclo superiore. E la creazione ideale è creazione
sensibile ; la creazione di una specie è produzione di molti individui
in cui appare la nuova forma. Il concetto precede l'esecuzione, e
la successione effettiva e naturale presuppone la succes- sione logica,
ideale. La funzione è la vita, la forma è la natura, che precede il
contenuto vitale, e non se ne lascia tuttavia assorbire e soverchiare ; e
quando il contenuto spa- risce la forma rimane. Nei tipi superiori la
funzione assorbe e domina sempre più la forma, ma la sua vittoria non è mai
Le opere scientìfiche e la filosofia della natura. 179
completa. L'equilibrio fra la forma e il contenuto si rista-
bilisce non nel corpo, ma nello spirito umano. La vita passa come il
tempo; la natura è più tenace. Altra è la successione di tempo,
altra di idea. La suc- cessione naturale va non da ciclo a ciclo, ma da
tipo a tipo ; e perciò in tutte le epoche della creazione tutti i
tipi primari sono, più o meno completamente, rappresentati. Ogni tipo
incomincia col riprodurre i tipi formali che lo pre- cedono, indi prende
la sua forma propria, e infine arieggia al tipo che gli deve succedere
('). Anche diverso è il modo di accrescimento nella natura,
nella vita e nello spirito. Essendo la natura pura esteriorità, i corpi inorganici
crescono per moltiplicazione quantitativa esteriore, e non hanno altra
unità che la loro forma comune. Nello spirito, che è pura interiorità, la
esterna moltiplicità diviene interna e qualitativa. Infine, essendo la
vita uno spi- rito naturale, un misto di esteriorità e di interiorità, di
appo- sizione e di intuscezione, Tessere organico si sviluppa per
una moltiplicazione quantitativa ed esterna e per una molti- plicazione
interna e qualitativa, con prevalenza dell'una o del- l'altra secondo che
si tratti di una forma più o meno pros- sima alla natura. Mai la vita è
tanto esterna che non abbia la sua interiorità ; mai la forma organica è
tanto molteplice che non abbia la sua unità. Ma quest'unità è diversa nel
vege- tale e nell'animale. Nel vegetale la vita di ogni individuo
elementare si unifica nella vita comune dell'aggregato; nel- l'animale
deve prevalere l'unità dello spirito umano, e l'in- dividuo, semplice e
libero al di fuori, è molteplice e tutto qualificato al di dentro. Le forme
superiori ( 2 ) sono la chiave ( 1 ) V. / tipi animali,
[parte prima], Bologna, Monti, 1872, pp. 322-23, 332-33, 336-38, 422-23;
parte seconda, 1875, pp. 670, 1098, 1101-103, 1131-132. - Cfr. Lettere
sulta patologia storica, pp. 6-8. ( 2 ) V. / tipi animali, [IJ, pp.
494-96. 180 Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. necessaria a spiegare ed interpretare le inferiori, per se
stesse oscure, indistinte, indeterminate; e sono alla loro volta
spie- gate dalle forme inferiori in cui appariscono nella primitiva
semplicità. Ma il riscontro non è utile se non cade sulle forme fra le
quali corre una particolare e più diretta e più intima relazione tipica,
secondo il vero metodo evolutivo, in cui l'idea unisce le forme ed
organizza le serie, non col metodo empirico, capace solo di conclusioni
generali arbitrarie, arti- ficiali, ovvero, se alla vacuità sostituisce
il preconcetto dar- winiano, di una inestricabile confusione.
Come Giorgio Hegel aveva combattuto e denigrato il Newton ('), così
il De Meis lancia in quasi tutte le sue opere strali frequenti contro il
Darwin e i darwiniani. Il naturalista inglese è per lui un genio, ma il
genio dell'ignoranza, perchè pone il cieco caso in luogo della ragione
vitale ( 2 ). Egli pre- tende che tutte le forme dell'intera serie
animale sieno venute l'ima dall'altra per l'aggiunta di sempre nuove
particolarità organiche nate a caso, e perchè utili ritenute nella
selezione naturale, e trasmesse dall'eredità, senza che mai in una
forma nulla preesistesse dell'altra che da essa proviene. Il De
Meis afferma che qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto la
modificazione dell'essere vivente è primitiva, spontanea, in-
(') Il De Meis dice che la proposizione in cui si compendia la
scienza dell'astronomia : « I sistemi solari sono i primi uomini, il
cosmos è il mondo umano primitivo... non è possibile che alla filosofia
della natura: motivo per cui Newton, il divinissimo astronomo, non la
sapeva altrimenti ; egli nel cielo ci vedeva Dio, e per questo ci voleva
poco, ma non ci vedeva l'uomo». - Dopo la laurea, li, p. 195. - Cfr. ivi,
pp. 26-7. ( 2 ) V. / tipi animaci, [I], pp. 143-156; e cfr., pel
giudizio del De Meis circa la teoria darwiniana, Dopo la laurea, II, pp.
195-99, 257-58; Deus creami, 1. cit., passim; Darwin e la scienza
moderna, pp. 22-35; / tipi ani- mali, [I], passim; II, pp. 760, 1079-82,
1085, e passim; Filosofia e non filo- sofia, pp. 11-12; Lettera sulla
patologia storica, pp. 6-9; ecc. Le opere scientifiche e la
filosofìa della natura. 181 genita, e non prodotta soltanto da
agenti esterni; ma egli non sa comprendere come si possa affermare che
tale modifi- cazione è casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra
poi, introdotta dal caso. Ammette che in ciascuna delle teorie di
Mosè, Zaratustra, Firdusi, Diodoro, Lamark, Darwin, è qualcosa di
ragionevole, cioè di serio e di vero. La verità più ragionevole, sebbene
espressa in modo goffo e materiale, è quella di Mosè: Deus creavit! — la
meno ragionevole è quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e
quella selettiva del Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate,
hanno di vero lo schema comune, ed è questo: gli animali formano
tutti una sola famiglia naturale ; il principio che unisce e lega le
forme è l'eredità; il principio della divergenza delle forme è la
variabilità. Se non che questi tre punti debbono essere integrati
rispettivamente così : gli animali sono tutti in fondo uno stesso animale
; la generazione è creazione ; la variabilità deve essere determinata,
perchè nella natura e nella scienza la potenza sta nella
determinazione. Secondo il De Meis, è vero che l'individuo varia
senza legge e senza ragione, fuorché quella di essere individuo
accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto fra la cieca
necessità della natura e la conscia assoluta libertà dello spirito umano.
Dio è il grande modincatore, il vero e solo creatore dei nuovi organi e
delle nuove funzioni vitali, perchè una funzione è un'idea, e per creare
un'idea ci vuole un'idea. 11 non essere non può creare l'essere,
l'irrazionale non può creare la ragione, la natura ossia l'accidente
non può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non po-
trebbe nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra loro una differenza
ideale anche, e di gran lunga, maggiore dell'organica, e neppure
potrebbero nascere nuove forme, perchè ogni fonma ha un suo proprio
valore assoluto, e si svi- luppa secondo il ritmo assoluto del mondo,
secondo il disegno eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa
l'unità delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la scienza
182 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
ad una storia accidentale, alcuni — i seguaci della scienza antica,
essenzialmente religiosa e intuitiva — ammettono due storie ideali, una
fuori della natura e del mondo, un'altra secondaria, riflesso della
prima, sviluppantesi nel seno della natura e dell'essere vivente; gli
altri, i seguaci della scienza moderna, riflessiva, non riconoscono che
la forma e la storia intrinseca alla natura, all'animale, allo spirito
umano, con- siderando la storia extramondana come un effetto ottico
ope- rato dalla intuizione. Vi sono tre maniere diverse di
considerare le forme vi- tali ('). L'una consiste nel distinguere fra gli
elementi comuni a tutte quelli che sono propri di alcune soltanto. E si
consi- derano questi elementi formali come caratteri costitutivi di
un tipo più o meno comprensivo. È la maniera astratta, quella di Linneo,
di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di Milne Edwars, di Owen. V'è una
seconda maniera, che si rias- sume tutta nella frase : una forma è simile
ad un'altra perchè il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo
è pel De Meis il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della
scienza moderna. Vi è infine una terza maniera, che con- siste nel
cogliere la forma nel suo movimento, e considerare i vari tipi come i
momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, il quale è l'unità, la verità,
la ragione, il principio e il ter- mine di tutte; e questo tipo è il vero
animale. È la maniera concreta, quella di Schelling, di Hegel, di Oken.
Dopo di loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta una
applicazione sistematica e conseguente alle varie forme animali.
Il De Meis dice che egli intende di fare un tentativo di questa
specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono idealmente l'una
nell'altra; tutte preesistono in una forma (') V. / tipi
animali, [I], pp. 519-21 ; cfr. II, pp. 760-61, 796-97, 1083- 94,
1131-39. Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
183 germinale di cui sono lo sviluppo creativo, interno,
spon- taneo. La creazione consiste nella determinazione ideale originaria
di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimi- tazione naturale,
ossia accidentale. Una forza interna a un dato momento, aiutando le
condizioni esterne da lei stessa preparate, trasforma l'embrione in larva
e la larva nell'in- dividuo completo, facendolo attraversare una serie di
forme l'una più perfetta dell'altra, immagine della palingenesi
uni- versale. Questa forza ricevette una prima spinta dalla gene-
razione. L'uomo dà l'impulso prima alle forme semplici e generali,
quiescenti l'una nell'altra, che sono nella natura e pur non sono
naturali; le desta, le crea, le differenzia, le delimita; dei puri e
semplici momenti della legge formale fa delle forme vive, reali,
accidentali; muove la materia in- forme a creare il sistema solare e
l'uomo a traverso alla serie delle forme cosmiche e vitali. L'uomo
eterno, l'uomo intelletto umano, è dietro al caos ed a tutte le forme, è
la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui
lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta par- ticolarità
esiste, ma nella forma di principio, di universa- lità, di necessità, ed
in questa contraddizione consiste la sua attività creatrice. Il pensiero
assoluto si trasferisce e si effettua nella realtà dell'universo, e lo fa
a sua immagine, e seco vi trasporta il metodo assoluto della sua
evoluzione attuale. La forma è un principio e una forza
indipendente dalla funzione (') ; e questa forza ha una legge che ne
deter- mina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'uni-
verso, è il metodo della natura, del vegetabile, dell'animale e
dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè è quello
intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge, ogni sviluppo
essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi, sintesi. Al movimento puro,
assoluto, astratto, corrisponde il (0 V. / tipi animali, II,
pp. 962-63. 184 Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. movimento concreto della forma, ai tre momenti ideali
corri- spondono tre tipi sensibili : amorfo, antimorfo, teleomorfo
('). E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo nella na-
tura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano. La natura
(amorfopan) è indifferenza senza opposizione essen- ziale ; è tutta forma
senza unità, senza fine, senza ragione, senza la forma della forma. La
vita (antipan) è essenzialmente opposizione fra corpo ed anima, fra
molteplicità ed unità, fra vegetale ed animale. Esiste fra vegetale ed
animale una doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione
(antitesi psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan)
è teleomorfo. Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo,
poiché l'antitesi non è più solo fra corpo ed anima, fra senso e
sensibile, ma fra intelligenza e intelligibile, fra Dio e l'uomo. Lo
spirito comincia con l'opporsi alle idee e finisce per riconoscersi in
quelle, e con lo stesso colpo si riconosce nelle cose : sì che egli è
l'unità reale e distinta delle cose e delle idee. L'anima nella natura è
interna, nel vegetale apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale
diventa corporea, ma rimane particolare; nell'uomo diviene
assoluta, universale e puramente ideale, e la opposizione è
finalmente risoluta e conciliata. La natura, la vita, lo spirito umano
hanno ciascuno a sua volta il proprio sviluppo trilogico
essenziale. Questo metodo trimorfo, come egli stesso lo chiama, è
per il De Meis il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al
labirinto delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le forme e i
tipi più eterogenei e dissimili sono in realtà uno stesso identico
animale in via di formazione : l'uomo ( 2 ). E dei tipi animali egli vuol
tracciare la storia ideale ( 3 ), per- W V. / tipi animali,
[I], PP . 194-95, 245-48, 295-98; e II, PP . 716, 1103-104. (
a ) V. / tipi animali, [I], p. 318. ( 3 ) V. / tipi animali, II, pp.
906-7. Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
185 seguendola a traverso alla descrizione. Confessa che la
descri- zione gli riesce troppo completa e determinata, mentre ogni
tipo è sfumato ed evanescente innanzi alla sua realizzazione, è il mobile
oscuro che da dentro fa forza e opera lo sviluppo creativo, cominciando
da sé, creando a mano a mano le pro- prie determinazioni. Invece i
sistematici ordinari ■(*), tutti intenti alla diagnosi delle forme, poco
si curano delle diffe- renze di quantità ; essi hanno bisogno di
caratteri qualita- tivi specifici, possibilmente esclusivi, precisamente
quelli più materiali, che non significano nulla appunto perchè non
passano in altre forme. Tipo è forma con significato. Questi
sistematici hanno una logica difettiva a forza di astrazione; non pensano
che nel quanto è rinchiuso il quale. Seguono la vecchia tendenza
separatrice, diagnostica, arti- ficiale, bisognosa di abissi e avida di
caratteri esclusivi, iso- latori ( 2 ). La nuova morfologia invece cerca
le comunanze e le transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la
tran- sizione ideale dove manca quella materiale. Per la vera
morfologia il primo è la forma, che pone i lineamenti gene- rali
dell'essere; poi viene la funzione ideale che la acco- moda e la
modifica; e in ultimo viene la funzione reale e la selezione naturale. I
darwiniani invece ignorano l'omo- 0) V. / tipi animali, II,
pp. 873 e 913-14. ( 2 ) V. / tipi animali, II, pp. 933-34; cfr.
[I], pp. 458, 467, 481, e II, pp. 738, 1007-8. Dopo aver chiarita la
differenza fra le due morfologie, l'A. soggiunge che il suo scritto è un
lavorìo tutto di pensiero, condotto con un organo che nel cervello dei
naturalisti, darwiniani o antidarwiniani ch'ei sieno, dev'essere
assolutamente atrofizzato: « è tutta da capo a fondo (apriti cielo)...
una ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà piccolo, perchè non ci
sarà di certo chi ci si voglia rompere il capo. Questo scritto non si fa
per stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per uso e consumo esclusivo,
e per supremo divertimento dell'autore, che quando sarà tutto stampato
tirerà tanto di chiavistello sulle pochissime copie che ne avrà fatto
tirare ». Op. cit., II, pp. 938-39. 186 Le opere
scientìfiche e la filosofia della natura. la formale; per
essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è una funzione prodotta
dall'organo, la nutrizione, non la fun- zione essenziale, «principiale)),
a loro ignota e inconcepibile, Le dottrine materiali non hanno nulla a
che fare con la scienza, perchè questa non è la ragione dell'uomo che
la fa, ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede crollare
come castelli di carta le sue classificazioni più o meno inge- gnose. 11
rimedio è uno solo: a Non caratterizzare, non clas- sificare; pensare e
ripensare ('). Seguendo il metodo trimorfo, si riconosce che nel
vege- tale l'amorfofito è indifferente ed informe; l'antifìto è il
centro della formazione, il punto in cui si spiega l'opposi- zione fra il
corpo e l'anima vegetale ; nel teleofito le due sfere sono egualmente
sviluppate. Il vegetale amorfo è l'alga, prima chimicamente e poi
anatomicamente semplice, indi molteplice, ma tutta disgregata nei suoi
elementi cellulari. 11 vegetale antimorfo è da un lato la felce
vegetativa, dal- l'altro il fungo riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è
il coti- ledonato, in cui la forma vegetativa e la forma
riproduttiva sono egualmente sviluppate. Analogo è lo sviluppo tipico
dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente; nel- l'antizoo, punto
centrale di tutta la formazione, si sviluppa l'opposizione fra corpo e
anima, fra sistema vegetativo e sistema riproduttivo ; nel teleozoo i due
opposti sviluppi sono riuniti e in giusta proporzione fra loro. L'amorfo
animale è il protozoo, cioè il rizopode e l'infusorio; l'antimorfo è
il radiario, il mollusco e l'articolato; il teleomorfo è il verte-
brato: pesce, anfibio, rettile, uccello, mammifero. I nomi di amorfozoo,
antizoo e teleozoo sono preferibili a quelli di vertebrato ed
invertebrato, che esprimono solo la presenza o l'assenza di un elemento
secondario. Finché il De Meis sta fedele al suo programma di
dimo- strare solo col farli muovere i principi filosofici ai quali
(!) / tipi animali, [I], p. 555; cfr. II, p. 865.
Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 187 crede,
egli lavora a meraviglia: originali le applicazioni alla scala degli
esseri viventi, alle varie forme della vita, della scienza, della
filosofìa, della storia; particolarmente geniali e nuove le applicazioni
alla patologia. Ma a volte — rare volte, è vero — egli sente il bisogno
di tentare una dimostrazione logica di quei principi, e riesce invece,
senza avvedersene, a dimostrarne 1' ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà,
la nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit, e nei tre dia-
loghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo sem- plice (').
Nel Deus creavit — già lo abbiamo visto — egli tenta, senza riuscirvi, di
dimostrare che il pensiero è fin dal primo momento essere. Nei Dialoghi
affronta lo stesso pro- blema in forma più concreta : ricerca il punto in
cui l'essere ed il pensiero si identificano, lo ricerca con la sicurezza
di chi sappia di rintracciare cosa esistente nella realtà ; e con
lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso linguaggio, e quasi
la stessa mentalità con cui un naturalista potrebbe studiare un essere da
lui non visto ancora, ma del quale, per descrizione autorevole e per indizi
indiretti e certi, gli fosse nota l'esistenza e i caratteri.
11 vero lutto è l'uomo, l'uomo come pensiero, in cui l'uomo della
natura, che in sé ricompendia tutta la natura, si risolve ed unifica
perfettamente. Ma come questo pensiero eterno passa nel realizzarsi per
tutti i gradi della natura ? E che è questa natura ? Quale il suo primo
grado ? Retroce- dendo nella storia del processo naturale si perviene ad
un muro saldo, incrollabile, oltre al quale non si può andare: quel
muro è la materia. Certo la materia suppone lo spazio; ma spazio senza
materia non ci può essere. Chi dice spazio ( ] ) /
naturalisti, Diagolo 1°, nella Civiltà italiana, Firenze, gennaio 1865,
pp. 54-57; La natura a volo d'uccello: Forza e materia, Dialogo, nella
Ci- viltà italiana, Firenze, febbraio 1865, pp. 103-7, 115-19; La natura
a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà
italiana, Firenze, aprile 1865, pp. 6-9. 188 Le opere
scientifiche e la filosofia della natura. dice tempo, e chi dice
tutti e due dice moto; e dir moto è dir qualche cosa che si muove, è dire
— insomma — la materia, moto immobile, forza latente ed inerte
dell'universo. La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo
: da forza chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza
fìsica a forza meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la materia
della forza inferiore ed il germe della superiore : e così il moto è il
tempo materializzato; il tempo è lo spazio divenuto più materiale. Sempre
la materia è la realtà, il limite di una forza; e la forza è la materia
nel suo spon- taneo svolgimento. La forza del pensiero da principio
non pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza
semplice in cui tutte le forze speciali sono latenti ; e come la più
forte, le urta di sotto e fa uscire la forza chimica, che si comunica a
tutta la massa della forza semplice, sì che tutto diventa forza chimica
reale, affinità e materia puramente chimica ; e fa di questa affinità
informe un imponderabile informe, e di questo un informe ponderabile, un
corpo sem- plice informe. L'uomo senza influsso di esterno
accidente, mentre egli era da per tutto ed era tutto, non poteva
scegliere un punto del tempo e dello spazio in cui operare la trasformazione
della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in un punto del tempo
e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto lo spazio. ((Quell'attimo,
quello spazierello» si riempì di ma- teria reale, naturale, diventò da
spazio ideale spazio reale, interminato, e con esso cominciò la natura.
La forza del pen- siero, come ha trasformato il moto, la forza semplice,
in forza chimica, così trasforma questa in forza fìsica, e la forza
fìsica in forza meccanica; e dallo stesso oscuro fondo fa scaturire
dietro a quelle forze la materia chimica, che si trasforma in materia
fìsica e indi in meccanica; e all'ultimo in vera materia, in corpo
chimico imponderabile, pondera- bile. È la materia semplice che
successivamente si modifica e si realizza; è la proprietà chimica, è la
speciale natura Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. 189 fisica, è la figura meccanica, geometrica, cristallina,
che si aggiunge alla forza chimica imponderabile, ponderabile, e le
dà un primo corpo ed una nuova realità; gli è un corpo incorporeo, una
materia immateriale, una realità non sensi- bile. Le forze, e le loro
forme, le loro proprietà, sono sem- plici, indifferenti, indistinte; esse
sono avviate all'atto, alla esistenza naturale, ma non ci sono giunte
ancora. La forza è molto pensiero e poca natura, e non ha tal realità e
tal valore da fare di uno spazio-pensiero uno spazio-natura; ma la
proprietà è più natura che pensiero ed è perciò atta ad empire di se lo
spazio ; onde appena il pensiero umano dietro a quelle tre forze fa
scaturire quelle tre semi-materie, subito mette fuori lo spazio, e lo
distende, e vi spiega le tre pro- prietà; e queste vi portano seco le
loro forze, e le dissemi- nano egualmente in tutti i suoi punti. Non
perciò lo spazio è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è
materia, ma non corpo, perchè non è ancora sensibile. 11
primitivo pensiero umano ha dentro di sé un limite che è esso stesso
pensiero, ed è il germe e l'origine del senso; di questo limite fa lo
spazio-pensiero e il tempo-pensiero, e il moto, la forza-pensiero, e
persino il qualcosa, la materia pensiero: e tutto questo rimane dentro di
lui, rimane lui stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e
semplice pensiero. Ma poi egli, premendo di più su quel limite, fa
dello spazio-pensiero uno spazio-estensione, e di questo un corpo
sensibile prima al corpo, e poi, per mezzo del corpo, anche all'anima. E
poi, facendo del moto-pensiero un moto reale, farà del tempo-pensiero un
tempo durata; e poi farà tutta la natura, e la vita — il vegetale — , e
l'anima — l'ani- male ; e all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso
e l'opera sua. Di quel suo limite originario, che era un
senso-pensiero, egli ha fatto a poco a poco un senso-senso. E di questo
senso farà nella natura formata vari sensi distinti, e così farà
del- l'anima. Se noi facciamo la storia della natura, troviamo
all'origine della forza e della materia uno stesso identico
100 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. germe,
il quale è in uno pensiero umano e senso umano originario. Quel germe,
pur mantenendo sempre la sua ori- ginaria identità, si sviluppa di grado
in grado, ed è prima natura, poi vegetale, poi animale, e da ultimo uomo;
e in ogni grado conserva quelle due cose opposte, la forza e la
materia, sempre distinte e sempre unite in una perfetta iden- tità.
Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità delle due cose opposte è
naturata, personificata, e incorporeamente corporalizzata. Questa unità veduta
nella nostra natura ci fa più facilmente riconoscere l'unità dei due
elementi nelle nature inferiori, la psichica, la vitale, la naturale.
Nell'af- ferrare ciò consiste la scienza. Questa è la storia
della natura amorfa, in cui tutto è quiete ed immobilità, in cui non c'è
che un corpo semplice, omogeneo, uniforme, informe. Poi — dice l'Autore —
verrà la natura antimorfa, lo sviluppo delle forze e delle materie,
il caos. Infine vedremo sorgere una nuova forza, che a tutte le forze del
caos darà una legge e una norma, a tutte le materie una forma comune ; e
sarà la natura olomorfa, il cosmo. E vedremo la forza cosmica
trasformarsi nella forza vitale, e la forma cosmica divenire la forma
vitale, vegetale. E con questo programma egli termina il secondo
dialogo, Forza e materia; ma non pubblica più che un terzo dia-
logo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano, che da prima
tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna poi nello spazio e si
sgomitola nel tempo, e all'ultimo si ritrasforma di natura in pensiero, e
si riduce di nuovo ad un punto, e questo punto è l'io. Come in principio
il punto originario, così ora il punto individuale si trasforma
tutto; ma la trasformazione non si fa, come allora, tutta in un
atto, (*) Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è preceduto
da questa nota : « Il presente dialogo è indipendente dai precedenti », -
Sappiamo già che il De Meis lavorava spesso frammentariamente.
Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 191
bensì successivamente. L'io è un animale naturale, indi- viduale;
ma gli ii sono molti, e sono come molti punti, molti tempi in un solo
tempo, e tutti fanno come uno spazio intellettuale nello spazio naturale,
La trasformazione umana universale, come quella dell'individuo umano, «
si sgomi- tola nel tempo e si srotola nello spazio, e intanto si
raggo- mitola e torna ad arrotolarsi nella storia ». E perciò la
storia umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è una
cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della natura,
essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale e universale ;
solamente non appare e non diventa reale che in certi punti di tempo e di
spazio: in certe epoche, in certi luoghi, in certi corpi e in certi ii.
È facile scorgere che il De Meis non è felice quando vuole risalire
ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione. Invero non si
capisce come quel suo pensiero originario, avendo nel senso un limite
interno, possa non avere anche un limite esterno, e tutta la natura, che
invece deve ancora nascere; ne si capisce come quel pensiero, a furia di
premere e caricare sul proprio limite, possa fare del
senso-pensiero un senso-senso ( x ), possa, in altre parole, trasformarsi
da forza in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di
star tentando la soluzione di un problema forse insolubile, certo
insoluto. Che forza e materia sieno due cose distinte ed opposte, ma
unite ed identiche è per lui una verità certa, positiva, reale. Egli dichiara
che non ha la pretesa di di- mostrare, ma solo di far presentire la
verità, come la pre- sente egli stesso ( 2 ) : e certo di quella verità
da lui pre- sentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In
una pagina ( 3 ) che onora il suo senso poetico più che la sua
0) Cfr. Gentile, La filosofia in Italia dopo il 1850, 1. cit., PP
. 299-300. ( 2 ) V. Forza e materia, 1. cit., p. 119. (
3 ) V. / naturalisti, Dialogo I, 1, cit., pp. 56-7. 192 Le
opere scientifiche e la filosofia della natura. profondità
filosofica, egli afferma che il corpo è un vegetale, è l'inferno, l'anima
è parte materiale e parte immateriale ma sempre naturale, il pensiero è
il paradiso, e di pensiero noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere
il suo paradiso tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco.
Come Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli
stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nel- l'uomo; solo
ci dice con slancio lirico che quella è la sua fede. Alla fede in quanto
è davvero tale e solo tale, ed è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe
certo vano, se pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai
prin- cipi che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fon- damento
di una costruzione scientifico-filosofica, si può e si deve chiedere se
sieno suscettibili di avere dall'esperienza una conferma o dalla logica
una dimostrazione. La risposta è negativa. Quanto alla
conferma dell'esperienza, il De Meis dice ( l ) che con le idee si
scopre, è vero, la sostanza delle forme e si tien dietro al loro
movimento essenziale ; ma il controllo è la stessa realtà che deve
rimanere inalterata ed intatta, ed è il fatto che deve essere riprodotto
nella sua integrità, e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se
l'Autore ammette l'esistenza di realtà e di fatti che non sono
idee, e che solo con le idee possono venir scoperti nella loro
sostanza e seguiti nel loro movimento, dovrebbe indicare un terzo
termine, atto a valutare la rispondenza fra gli altri due. Non lo indica.
Ma è chiaro che il terzo termine non può essere per lui che la stessa
idea, giudice e parte in causa ( 2 ). Il controllo di cui egli ha parlato
manca; e non poteva non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non
può esistere un controllo esterno, ne si può senza essere
(') V. / tipi animali, [I], p. 378. ( 2 ) Cfr. Dopo la
laurea, II, pp. 154-158. Le opere scientifiche e la
filosofia della natura. 193 incoerenti ammettere l'esistenza di una
realtà che non sia l'idea o il pensiero. Quanto alla
dimostrazione logica dei suoi principi, ab- biamo veduto che le rare
volte in cui il De Meis la tenta non la raggiunge, e cade in
contraddizioni, come quando, dopo aver affermato che il pensiero è l'essere,
ne ragiona come di un pensiero che pensa l'essere, e considera
l'essere come puro essere e non pensiero ('); o incorre in errori,
come quando afferma che il pensiero originario ha nel senso un limite
interno senza avere un limite esterno; ovvero si appiglia ad ipotesi
degne di un alchimista ostinato alla ri- cerca della pietra filosofale,
come è quella della forza che diviene materia premendo e calcando sul suo
proprio limite ( 2 ). La sua filosofìa della natura, riposando su
principi che possono essere oggetto di fede, ma non possono avere
dal- l'esperienza un controllo né dal ragionamento una conferma, è
una costruzione che può essere, ed è difatto, ingegnosa e bella, ma è del
tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe alcun sospetto l'Autore, sempre fermo
nella sua fede hegeliana, vita della sua vita, anima della sua anima ( 3
). Egli non intendeva di cercare una soluzione nuova; solo si
proponeva di svolgere ed elaborare una soluzione già da altri
raggiunta. La sua opera è fallita perchè aveva come presupposto e
come base quella conciliazione dell'essere e del pensiero, della
forza e della materia, che contrariamente a quanto egli cre- deva non era
stata raggiunta da nessuno, e meno che mai po- teva esserlo da chi, avendo
studiata analiticamente la natura, si ribellava a tagliare il nodo
gordiano negando la natura stessa o riducendola a una mera forma
spirituale ('). ( J ) V. Deus creavit. {-) V. Forza e
materia. ( 3 ) V. Della medicina sperimentale, p. 3 ; e cfr. tutte
le opere del De Meis. ( 4 ) Il De Meis non è d'accordo col
Berkeley, che « sopprime la natura » ; Del Vecchio-Veneziani -
13 194 Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. Una costruzione speculativa della natura, quale
l'idea- lismo assoluto e la riduzione della natura a pensiero
esigono, dev'essere tutta una deduzione necessaria per considerarsi
compiuta e riuscita. E in una deduzione logica e necessaria l'accidente
come tale non può trovar luogo. Non si dimentichi, del resto, die
l'idea dominante in tutte le assidue e lunghe meditazioni del De Meis
intorno alla natura, l'idea informativa di tutti i suoi studi era,
come egregiamente la definiva il Fiorentino ( ! ), « l'idea di con-
trapporre al predominio dell'accidente, che è il lato debole del
darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale delle forme,
attraverso delle quali progredisce e si dispiega la vita della natura...
una ragione superiore, che regola lo sviluppo dei tipi della vita
naturale, finche non si dispieghi, e non si allarghi nell'uomo e nella
coscienza ». Si trattava dunque per il De Meis di superare
quello scoglio contro il quale, a suo vedere, naufragava il
darwini- smo; di evitare la trasformazione dell' accidente in Deus
ex machina, al quale far ricorso perchè o dove non soccorra una ragione
superiore o una spiegazione più intima e razionale. Il De Meis
appunto dice e ridice, anche per quanto si riferisce alla natura, che la
filosofia vive nella sfera della necessità e della certezza assoluta ( 2 );
ma in contrasto con questa esigenza afferma anche l'indispensabilità
dell'acci- dente in tutti i momenti della creazione. Ora
l'accidente, che è dichiarato indispensabile, o è razionalmente
necessario, cioè deducibile a priori, e allora deve rientrare nella
costru- zione speculativa come elemento interno, e non esteriore,
sicché non può più dirsi propriamente accidentale ; o è la
né col Fichte, nel cui sistema la natura « c'è soltanto quanto basta per
far la coscienza, ed è quindi ridotta ad una espressione astratta ». Cfr.
Preno- zioni, PP . 47-8, 90. ( x ) La filosofia contemporanea
in Italia, p. 55. ( 2 ) V. Dopo la laurea, II, p. 126; ecc.
Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 195
negazione della necessità razionale e della deduzione a
priori, ed in questo caso la dichiarazione della sua indispen- sabilità
costituisce il confessato fallimento della costruzione speculativa. Il De
Meis oscilla fra le due alternative, senza sapersi appigliare né all'una
né all'altra. Questa non meno di quella avrebbe significato il
riconoscimento della con- traddittorietà della sua impresa.
Invero l'accidente sembra necessario per lui a costituire nella
catena dello sviluppo creativo l'anello iniziale e gli anelli di
saldatura tra i frammenti non altrimenti congiun- gibili. L'anello
iniziale, poich'egli dice che « quando non c'era la natura e quindi
l'accidente » era impossibile al- l'uomo (ossia all'idea di Uomo, che
come fine deve prece- dere e determinare lo sviluppo), senza arbitrio e «
senza in- flusso di esterno accidente », di scegliere un punto del
tempo e dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione
della materia semplice in corpo semplice ('). Gli anelli di salda-
tura, in quanto dice che l'accidente, elemento costitutivo della natura,
è necessariamente compreso nel processo della funzione ; che « ogni tipo
vivente è già idealmente quello che dee succedergli, ma non basta a
crearlo, a produrlo real- mente nella natura, senza il concorso di cause
accidentali e d'esterni influssi » ( 2 ). E in generale tutto il processo
e lo sviluppo della natura per il De Meis consegue la realtà solo
in quanto l'accidente interviene e concorre con l'idea alla produzione
del risultato. Il fatto è anche idea, ma l'idea non è reale e non esiste
che nel fatto ( 3 ); « il principio e la potenza della vita... è sempre
unito a un qualche elemento materiale e meccanico che lo fa reale e
par- ticolare, che è quanto dire individuale ed accidentale » (').
( r ) Forza e materia, 1. cit., p. 106. ( 2 ) /
mammiferi, p. 67. ( 3 ) V. Prelezione al corso di fisiologia dato
nella R. Un. di Modena. ( 4 ) Degli elementi della medicina, p.
31. 196 Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. Egli considera i vari tipi carne momenti evolutivi di
un tipo ideale assoluto, l'uomo eterno; crede che tutte le forme
preesistano in forme germinali di cui sono lo sviluppo crea- tivo interno
e spontaneo ; ma la creazione non consiste sol- tanto (( nella
determinazione ideale originaria di quegli schemi indeterminatissimi »,
sì anche « nella loro delimitazione na- turale, o sia accidentale ». E
molte volte ripete che la natura è accidente e che l'idea spirituale
esiste solo legata all'ac- cidente ('). Ma qui appunto si
potrebbe obiettare alla nostra os- servazione, che noi dobbiamo
approfondire il concetto del- l'accidente che il De Meis afferma. Legato
all'idea, intrin- seco alla natura, l'accidente che egli fa entrare in
campo a determinare e spiegare lo sviluppo non è, come l'accidente
dei darwiniani, puramente estrinseco e meccanico: ha anzi esso medesimo
una necessità interiore ; è il momento della antitesi, senza il quale non
potrebbe svolgersi la sintesi crea- tiva. L'uomo eterno, dice appunto il
De Meis, è « la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta,
in cui lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta
particolarità esiste, ma nella forma di principio, di universalità, di
neces- sità : ed è in questa contraddizione che consiste la sua
attività creatrice » ( 2 ). Per questa via parrebbe
risolversi la difficoltà nella quale ci appariva impigliato il pensiero
del De Meis. Che se anche altrove egli identifica il puro accidentale col
male, non vi sarebbe contraddizione con la universalità e necessità
rico- nosciuta sopra all'accidente; ma distinzione di due specie di
accidenti o di nature: l'interna e l'esterna; necessaria la prima,
accidentale in senso proprio la seconda. Il De Meis difatti parla
esplicitamente di una natura esterna che viene ( x ) Deus
creavit, 1. cit., p. 742, ecc. ( 2 ) / tipi ammali, II, pp. 1080-1,
e passim. Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
197 a dare l'ultima mano alla natura interna, di un agente
esterno ed accidentale che non era compreso nel processo della
natura interna, non era calcolato nella evoluzione vitale, e oltre a
modificare, sia pur solo superficialmente e quantita- tivamente, le
forme, e favorire la trasformazione, e provocare la nuova interna creazione
e lo sviluppo di germi latenti, « può fare e fa certamente di più,
v'introduce qualche cosa di accidentale e di naturale ». Di fronte a
questo accidente, esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge il De
Mfeis — nella forma latente un principio di accidente. Essa è sem-
plice ed una, ma nella sua unità vi è un germe di differenza e di
moltiplicità, vi è l'attitudine e la disposizione a dividersi in molti e
diversi, ed è un accidente indeterminato e scolo- rato, pura possibilità
di farsi, più che non è, accidentale. L' accidente esterno feconda 1'
accidente interno e gli dà corpo e colore, e ne fa una realità
accidentale e natu- rale... » (*). Gli agenti esterni stimolano,
promuovono, de- terminano, ma Dio opera la trasformazione ("). L'accidente
può render conto delle differenze secondarie, non giunge ai veri gradi
della formazione ( 3 ). Esiste dunque una storia interna, essenziale, ed
una esterna, accidentale ( 4 ); ed esi- stono due sorta di accidente: uno
necessario ed essenziale, l'altro secondario e individuale ( 5 ): il
primo, ((l'accidente necessario, assoluto », realizza l'evoluzione
creativa ideale, intrinseca, assoluta della forma animale; accompagna
ogni realtà, circoscrive esteriormente le forme, e fa esistere gli
individui; l'altro, «l'accidente accidentale», nasce dall'in- treccio dei
processi e dal cozzo inevitabile delle cause na- ( J )
Lettera sulla patologia storica, pp. 3, 7-9. Cfr. Deus creavit, passim.
( 2 ) Dopo la laurea, II, p. 197. ( 3 ) / tipi animali, [I],
p. 148. ( 4 ) / tipi animali, II, pp. 760-1. Cfr. Deus creavit, 1.
cit., p. 737 e passim. ( 5 ) Deus creavit, I. cit., p.
768. 198 Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. turali, delle quali una è la darwiniana concorrenza vitale,
da cui deriva la formazione delle varietà, delle specie, dei ge-
neri, ma la sua azione non potrebbe estendersi fino ai tipi (*). (( La
natura finisce per essere, come la società umana, una lotteria. Finisce,
ma non comincia; e non è una lotteria da capo a fondo », perchè ha le sue
basi ideali e le sue leggi ne- cessarie ( 2 ). Se non che
arrivati a questo punto noi possiamo doman- darci : l'obiezione che
abbiam detto potersi muovere al nostro rilievo delle difficoltà inerenti
al pensiero del De Meis, è veramente risolutiva ? Questo approfondimento
del concetto di accidente, questa distinzione delle due specie di
esso, interna o necessaria ed esterna o accidentale, elimina vera-
mente la contraddizione nella quale ci era sembrato che questa filosofia
della natura si involgesse ? L' accidente interno consiste nella
indeterminazione e molteplice possibilità della forma latente ; ma
intanto il De Mleis più volte afferma che senza il concorso di esterno
acci- dente la possibilità non passerebbe all'atto, non si farebbe
realtà di natura. Tra la potenza e l'atto bisogna che s'inse- risca un
mediatore perchè il passaggio avvenga. Sicché l'ac- cidente esterno è da
lui riconosciuto indispensabile non sol- tanto per l'esistenza degli individui,
ma anche per la pro- duzione reale dei tipi nella natura. E del resto la
stessa molteplice possibilità in cui è fatto consistere l'accidente
necessario, del pari che l'intreccio dei processi dal quale si fa nascere
1* accidente accidentale, possono essere a loro posto in una concezione
puramente causale e meccanica della natura (per esempio in quella
cartesiana), ma non sono più a posto in una dottrina finalistica, nella
quale il termine finale (l'uomo eterno) preesiste a tutto il processo di
sviluppo e lo genera esso medesimo. (0 / tipi animali,
II, pp. 1131-32. ( 2 ) / tipi animali, [I], p. 145. Le
opere scientifiche e la filosofia della natura. 199 Voler
dimostrare che nella natura si compie uno sviluppo teleologico, e non saper
negare che vi s*ia anche qualche cosa di ciò che il Darwin vi scorge,
ossia che la natura finisce per essere, come la società umana, una
lotteria, è contraddizione non conciliabile tra l'intenzione e il
resultato. E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione
è nello stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la
patologia. L'intero edinzio della patologia storica costruito dal De Meis
crollerebbe, se non intervenisse l'accidente ((accidentale», perchè solo
«se l'accidente, esterno o in- terno che sia, se la irragionevole cattiva
natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio
umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta
la relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana,
questa si altera e si di sor dima » ('). Ora si ricordi che per il De
Meis la malattia corrisponde al passaggio dall'in- nocenza alla colpa, a
cui succede il passaggio ad una forma superiore d'innocenza, alla
libertà. Se questa forma superiore, che è il fine dello sviluppo, non è
raggiungibile che attraverso a questo processo, il processo è necessario,
e necessari, non accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e
la sintesi. Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un ac-
cidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e
particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movi- mento degli
opposti, il momento negativo non è meno neces- sario che il positivo a
dare con la negazione della negazione la più alta realtà. Come può dunque
in questa concezione filosofica trovar luogo l'accidente « accidentale »
del De M|eis ? Come può un accidente siffatto, cioè un accidente
estrinseco, che rompe la necessità e viola la ragione, essere costitutivo
della natura quale dev'essere intesa in un idealismo assoluto, cioè come
pensiero o ragione ? 0) Delle prime linee della patologia
storica, p. 13. 200 Le opere scientifiche e la filosofia
della natura. Queste contraddizioni si collegano con una profonda,
in- conciliabile contraddizione interna del pensiero del De Meis. È
in fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo idealista,
contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente e costante
aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia con la filosofia,
e lo scrupolo della divisione del lavoro, che talvolta si riaffaccia:
((la metafisica ai metafisici, a noi la fisiologia » ('). Questo è il suo
conflitto intemo non superata, che si potrebbe estendere ben oltre il suo
caso individuale. Invero se la natura è, come il De Meis sostiene,
idea e natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile:
il fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la fisiologia
non può essere costruita se non è costruita prima la metafisica. E
costruita non da altri, ma dal fisiologo stesso, come altrove il De Meis
riconosce ( 2 ); perchè, secondo il principio vichiano ed hegeliano, per
il De Meis il fare sol- tanto ci dà il vero conoscere : « criterio del
vero è il farlo » . Dal che sarebbero pure derivate conseguenze
contrarie alle conclusioni del De Meis intorno ai rapporti fra la
teoria e la pratica medica. Infatti come può la separazione della
jatrofilosofia dall'attività del medico pratico conciliarsi con l'unità
del vero col fatto? Se la vera scienza è la storia, perchè è la realtà
vivente, non varrà anche per la jatrofilo- sofia la massima che criterio
del vero è il farlo ? E non sarà quindi contraddittorio il dichiararla
disgiunta dalla pratica, e quindi inutile come tutte le cose eccellenti,
virtù, giustizia, arte, religione, scienza ? Ed ecco il criterio della
verità della jatrofilosofia nella pratica, nella clinica, nella cura
delle ma- lattie, secondo voleva il Tommasi ( 3 ). Anche qui il De
Meis ( x ) Lettere fisiologiche, 1. cit., p. 35. Cfr. Dopo
la laurea, II, p. 74 e passim, là dove si riconosce come necessaria, sia
pur soltanto al sapere « po- sitivo », la « divisione del lavoro ».
( 2 ) V. Idea della fisiologia greca, pp. 70-71 ; e altrove.
( 3 ) V. La natura medicatrice e la storia della medicina, p. 23 e
passim. Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
201 mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo
pen- siero, né la piena consapevolezza delle esigenze dei suoi
principi. Egli, come ogni naturalista, riconosce la funzione
del- l' accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il necessario
e l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a priori e ciò
che è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane in lui insoluto.
Ed egli non riesce a vincere le difficoltà che anche Hegel aveva
incontrate nel costruire la sua filosofìa della na- tura, la quale è
certo la parte più debole del suo sistema. L'errore fondamentale del De
Meis è consistito in questo : che egli ha attribuite le deficenze della
filosofìa della natura hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha
scorto che le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da
non consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura
compiuta, razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando per tutta la
vita una soluzione non raggiunta ancora, sempre credendo di lavorare solo
alla dimostrazione e alle applica- zioni di quella, che egli stimava già scoperta
da Giorgio Hegel. Camillo De Meis. Angelo Camillo De Meis. Meis.
Keywords: implicature, citato da Pirandello in “Il fu Mattia Pascal” “Chi lo
dice? – gli domanda forte il giovane, fermo, con aria di sfida. Quegli allora
si volta per gridargli: “Camillo De Meis!” –-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
e Meis” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689147411/in/photolist-2mPVJx1-2mPMBQM-2mPpb7N-2mLQ1Vx-2mLNi1Z-2mLMaMX-2mPwdz2-2mPpVqK-2mKAoGK-27sASXB-G7oMm2-G55xdb-E4u3XA-kLb4Rq-jpofjt-jm54Cc-jhzTvz-jhQLNY-i7brtE
Grice e
Melandri – le forme dell’analogia – analogia nel convito di Platone – Reale -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo. Grice: “One of the ten
items he lists in his ‘Contro lo simbolico’ is ‘lo simbolico’ itself!” -- Grice:
“Melandri takes analogy more seriously than I did – I do list ‘analogy’ as part
of what I call ‘philosophical eschatology – the third branch of metaphysics,
along with ontology and category study.” Grice: “Melandri focuses on the
Graeco-Roman tradition of analogy, which he pairs with two other concepts:
proportion, and symmetry – re-interpreting mainly Aquino’s reading of the
Aristotelian tradition in a semiotic approach.” Grice: “Melandri also takes
Kant seriously on this.” Grice: “If an Italian philosopher wrote ‘contro la
comunicazione,’ another wrote ‘contro il simbolico’!” -- Grice: “He has studied Buehler; I like that!”
-- Laureatosi a 'Bologna, è lettore a Kiel in
Germania. Ha poi insegnato filosofia in diversi atenei italiani (Lecce, Trieste
e Bologna). Parallelamente all'attività universitaria, ha collaborato a
lungofin dalla fine degli anni cinquantacon la casa editrice Il Mulino e alla rivista
omonima, per le quali ha svolto attività di consulenza, con traduzioni e
curatele di alcuni volumi, pubblicando con essa alcuni dei suoi lavori più
significativi. I suoi volumi più importanti vertono sulla fenomenologia di
Husserl, sul concetto di analogia e sul principio di simmetria. Tra le sue
curatele, anche presso altre case editrici (Cappelli, Faenza, Laterza, Ponte
alle Grazie, Giuffrè, Pitagora ecc.), ci sono studi che vanno dalla scienza
politica di Ritter e di Habermas, alla fenomenologia di Schütz, dalla logica di Copilowski e dalla
filosofia del linguaggio do Hoffmann o dai paradossi di Bolzano (e poi la
storia della logica di Scholz), agli studi di metodologia scientifica di Pap, a
quelli di psicologia della percezione di Meinong o di Ehrenfels, e dall'estetica
di Trier alla «metaforologia» di Blumenberg ecc. Ha istituito un gruppo interdisciplinare di
studi su Leibniz, in seguito affiliato col nome di «Sodalitas Leibnitiana» alla
Leibniz-Gesellschaft di Hannover. Ha anche collaborato attivamente alle
attività del «Centro di studi per la filosofia mitteleuropea» (con sede a
Trento); partecipando alla realizzazione
di «Topoi», rivista internazionale di filosofia. Sempre in quegli anni ha dato
vita agli «Annali dell'Istituto di discipline filosofiche dell'Bologna», poi
trasformatisia nella rivista semestrale «Discipline filosofiche», ancora attiva
e di cui è stato il primo direttore. Tra
i suoi testi, spicca per centralità di pensiero “La linea e il circolo,” definito
da Giorgio Agamben "un capolavoro della filosofia europea del
Novecento". Il filo conduttore di
tutta la riflessione di Melandri è il rapporto tra pensiero logico e pensiero
analogico. Mentre il primo tende a svilupparsi mediante un concetto d'identità
elementare, legato alla "discontinuità" del principio di non
contraddizione, il secondo si fonda invece sul principio di continuità, legato
alla figura oppositiva della contrarietà, che ammette una transizione tra gli
opposti. Ora, queste due forme di pensiero non sono affatto inconciliabili, ma
complementari, in quanto fondate non su strutture assiomatiche, ma su una
diversa direzione costitutiva dell'esperienza. Questa diversità prospettica si
realizza, secondo Melandri, nella fenomenologia husserliana, di cui egli tende
a evidenziare l'«empirismo radicale» connesso alle strutture
costitutivo-trascendentali della soggettività e ben distinto, dunque, da
quell'idealismo entro cui troppo spesso si è voluto rubricare l'atteggiamento
fenomenologico. In ultima istanzacongiungendo istanze aristoteliche e
husserlianeMelandri assume una concezione dell'essere fondamentalmente
equivoca, nell'ambito della quale l'intenzionalità si presenta, al tempo
stesso, come principio formale logico e funtore operativo analogico. Inoltre,
Melandri espone questi contenuti filosofici attraverso un metodo d'indagine e
d'insegnamento del tutto particolare, che viene così descritto dal suo allievo, Stefano Besoli, filosofo a Bologna:
«A lezione, si può dire che Melandri non parlasse, ma pensasse ad alta voce
[...] dando l'illusione, quantomai benefica ed essenzialmente terapeutica, di
pensare insieme con lui. Si aveva l'impressione di assistere, dunque, a un
pensiero in corso d'opera, e più propriamente ciò che accadeva era
un'esperienza di pensiero condivisa, giacché la condivisione era appunto la
condizione stessa della buona riuscita di tale esperienza». Saggi: “I paradossi dell'infinito nell'orizzonte
fenomenologico,” poi come introduzione a Bolzano, I paradossi dell'infinito,
Cappelli, Bologna. “Logica ed esperienza,” “La scienza come criterio storio-grafico,”
“Alcune note in margine all'organon dei peripatetici; “Considerazioni critiche
sui syn-categorematica – copredicabili – negazione come avverbio, la
congiunzione ‘e’ come copredicabili, la disgiunzione ‘o’ come copredicabili,
l’implicazione ‘se’ come copredicabile -- ” in "Lingua e stile",
“Esistenzialismo,” “Logica e Logistica”
Enciclopedia “Filosofia,” Preti, Feltrinelli, Milano); “Psicologia galileiana”
-- poi in Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali; “Foucault:
l'epistemologia delle scienze umane", in «Lingua e stile». “E corretto
l'uso dell'analogia nel diritto? ("Zoon Politikon. Bolk e l'antropo-genesi",
in «Che Fare», “La linea e il circol: studio logico-filosofico sull'analogia” (Bologna:
Mulino rist. Macerata: Quodlibet, (prefazione
diAgamben, appendice di Besoli e Brigati, Salvatore Limongi. Nota in margine all'episteme
di Foucault» in "Lingua e stile",:La realtà e l'immagine,” (in Hans
Barth, Verità e ideologia); Sulla crisi attuale della filosofia, in "Il
Mulino", L'analogia, la
proporzione, la simmetria, Isedi, Milano. I generi letterari e la loro origine,
in "Lingua e stile", ora Quodlibet, Macerata, “L'inconscio e la dialettica,”
Bologna: Cappelli, rist. come "Freud: L'inconscio e la dialettica",
in Id., Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali, Bologna:
Pitagora; rist. L'inconscio e la dialettica,
Macerata: Quodlibet. “Bühler. La crisi della psicologia come introduzione a una
nuova teoria linguistica”, in “Animo ed esattezza. Letteratura e scienza nella
cultura austriaca,” Marietti: Casale Monferrato, “Variazioni in tema di psicologia
e scienze sociali” (Pitagora, Bologna); Appendice. Matematica e logica in
psicologia: applicazione propria (determinante) o im-propria (analogico-riflettente),
-- rist. in Id., L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet, "Per una filologia del sublime", in
"Studi di estetica" (Grice: “I like that; surely there must be an
ordinary unpompous way to say or mean ‘sublime’” – “Go thorugh the dictionary!”
-- La novità degl’ultimi tremila anni, in "Mulino",
"Faenza" e Marisa Vescovo, L’oblio affligge la memoria; La comunicazione
e la retorica, Contro il simbolico. Lezioni di filosofia, -- Grice: “The ten
‘concepts’ he chooses are less important than the generic remarks he makes
about the whole ten.” Grice: “While in his study on ‘analogia, proporzione,
simmetria,’ he is semiotic, in this one he is thoroughly hermeneutic!” -- Quodlibet,
Macerata, postfazione di Guidetti) Sul concetto di descrizione nella psicologia
fenomenologica, in "Intersezioni", Su quel che è dato” (Grice: “A
good analysis of a phrase I overuse, ‘datum,’ as per sense-datum’! in "Il
Verri", Le ricerche logiche di Husserl: introduzione e commento” (Mulino,
Bologna); "Su quel che c'è, e quel che immaginiamo che ci sia (o della
principale equi-vocazione del termine 'rappresentazione')", in «Discipline
filosofiche», "Il problema della comunicazione", in «Paradigmi», "Tempo
e temporalità nell'orizzonte fenomenologico", in «Discipline filosofiche»,.
"La crisi dei grandi sistemi e l'avvento della filosofia esistenziale"
in “Questo nostro tempo -- studi e
riflessioni sull'evolversi della nostra epoca” (Bologna); "Filosofia come
critica della conoscenza e impegno interdisciplinare" in "Tratti". S. Besoli, Il percorso intellettuale, in Studi
su Melandri, Faenza, G. Agamben, "Archeologia di un'archeologia", in
E. Melandri, La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull'analogia,
Macerata: Quodlibet, G. Agamben, "Al di là dei generi letterari", in
E. Melandri, I generi letterari e la loro origine, Macerata: Quodlibet, M. Ambrosetti, Sugli stoici, Roma: Aracne);
M. Ambrosetti, "Una lettura di Epitteto", in "dianoia", S. Besoli,
"Il percorso fenomenologico", in
La fenomenologia in Italia. Autori, scuole, tradizioni, Roma:
Inschibboleth); S. Besoli e F. Paris (Faenza: Polaris); A. Bonfanti, Le forme
dell'analogia. Roma: Aracne. F. Cimatti, "Postfazione: Psicoanalisi e
rivoluzione", in L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet sinistrainrete.info cultura’ M. Lagna e P.
Lévano, "Contro l’isomorfismo. Il rapporto soggetto-oggetto, «Philosophy
Kitchen», M. Matteuzzi, "Prefazione", in M. Ambrosetti, Sugli stoici,
Roma: Aracne); L. Palombini, "Dal chiasma ontologico al chiasma
trascendentale. Forme di razionalità in «Philosophy Kitchen», L. Possati, La
ripetizione creatrice. lo spazio dell'analogia, Milano-Udine: Mimesis. C. Sini,
"Lo schematismo figurale", in Besoli e Paris. Solerio, Le opere di Melandri edite da Quodlibet, che ne ha
annunciato l'edizione completa. Discipline Filosofiche, rivista semestrale di
filosofia. Melandri. Keywords: Bühler, l’aggetivo ‘galileano’ -- le forme
dell’analogia, Grice – analogia – problema della comunicazione, Buehler, teoria
di Buehler, analogical unification, lacomunicazione, implicaturaproblematica,
aquino, kant, mill, jevons, maxwell, Perelman, abcd, haenssler, dorolle,
lyttkens, Reichenbach, newton, cellucci, marramao, aristotele, platone,
convito, reale, grice, analogicalunification, owens, ross. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Melandri,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702566709/in/photolist-2mLNhpo-2mLHJnw-2mLMaMX-2mLKa5N
Grice e
Melchiorre – il corpo – filosofia italiana – la filosofia dell’amore – amante
ed amato – il convito di Turolla -- Luigi Speranza (Chieti).
Filosofo. Grice: “I like Melchiorre; while I refer to
bodily identity in my “Mind” essay, Melchiorre has dedicated a whole treatise
to ‘the body’ – he has also explored semiotic aspects and come up with nice
oxymora: ‘nome indicibile,’ ‘immaginazione simbolica,’ ‘essere e parola.’”.
Grice: “Melchiorre’s first explorations on the concept of body is Strawsonian –
corpore e persona -. What led Melchiorre to this reflection is what he calls a
meta-critique of love – Socrates did his critique of love in the Symposium, and
Phaedrus – Melchiorre analyses this from a body-theoretical perspective.” Dopo
essere stato ammesso al Collegio Augustinianum, inizia a frequentare la Facoltà
di Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, dove si laurea. Terminati gli studi, nel medesimo ateneo ha
iniziato la carriera accademica come assistente volontario di Filosofia della
storia, per poi insegnare a Venezia.
Richiamato a Milano, ha ricoperto la cattedra di Filosofia morale, per poi
insegnare Filosofia teoretica. Ha diretto, presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia dell'Università Cattolica, la Scuola di specializzazione in Comunicazioni
sociali. -- è stato nominato professore emerito. Saggi: “Arte ed esistenza,”
Firenze “Il metodo di Mounier,” Milano, “Il sapere storico,” Brescia, “La coscienza
utopica,” Milano; “L'immaginazione simbolica,” Bologna, ”Meta-critica
dell'eros,” Milano, “Ideologia, utopia, religione,” Milano, “Essere e parola,”
Milano, “Corpo e persona,” Genova, “Studi su Kierkegaard,” Genova, “Analogia e
analisi trascendentale: linee per una lettura di Kant,” Milano, “Figure del
sapere, Milano, “La via analogica,” Milano, “Creazione, creatività,
ermeneutica,” Brescia, “I segni della storia,” Ghezzano Fontina, “Al di là
dell'ultimo,” Milano, “Sulla speranza,” Brescia, “Ethica,” Genova, “Dialettica
del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica,” Milano, “Qohelet, o la
serenità del vivere,” Brescia, “Essere persona,” Milano, “Breviario di
metafisica,” Brescia, “Il nome indicibile,” Milano, Profilo nel sito
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Recensione del volume Essere
persona. Natura e struttura di Armando Rigobello, in Acta Philosophica, Rivista
internazionale di filosofia. Unità e pluralità del vero: filosofie, religioni,
culture. I diversi volti della verità Relazione del prof. Melchiorre al 65º
Convegno del Centro Studi FilosoficiGallarate, video integrale nel sito
CattedraRosmini.org. Virgilio Melchiorre, Rai EducationalEnciclopedia
Multimediale delle Scienze Filosofiche. Grice:
“Melchiorre, while quoting the necessary German sources for an Italian
philosophers – Eros und Agape, tr. N. Gay – he dwells on Enrico Turolla’s
beloved (by every Italian schoolboy) version of “Convito” – which Turolla
published under the ostentatious title, “Dialogo dell’amore” – Melchiorre
typically finds some mistakes, since Turolla was no philosopher – and no lover
of Sophia, and no Sophos of love!” -- Virgilio Melchiorre. Melchiorre.
Keywords: il corpo corpi e personi, meta-critica dell’eros, il convito di
Trolla, il fedro di Turolla – amore – il riconoscimento come identita – la
dialettica dell’atto amoroso – l’amante e l’amato – l’amore reciproco, amore e
contramore, erote ed anterote --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melchiorre” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744362962/in/dateposted-public/
Grice e Melli – AVRELIO – filosofia italiana – la
filosofia a Roma nel tempo di Pomponio – pre-ambasciata -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo.
Grice: “I like Melli; you see, Italians feel that Marc’aurelio is theirs,
so Melli puts his soul in his essay on Marc’aurelio, while his essay on
Socrates is rather neutral! For us at Oxford, both Marc’Aurelio and ‘Socrate’
are just as furrin; Locke ain’t!” --Opere
La filosofia di Schopenauer, Felice Tocco, Firenze, Il professor Felice
Tocco, Firenze,Commemorazione di Pasquale Villari, Firenze, La filosofia greca da Epicuro ai Neoplatonici,
Firenze, Socrate, Lanciano. I primi contatti tra Roma e i filosofi greci non sono
amichevoli. Nel 161, essendosi parlato in senato dei filosofi e dei retori il
senato consulto da incarico al pretore Marco Pomponio di provvedere “uti Romae
ne essent”. I primi semi della filosofia sono sparsi dagl’esuli achei, tra i
quali era anche Polibio, venuti dopo la guerra macedonica nel 168 a. C. Pochi
anni dopo, nel 156 ci e l'ambasciata della quale fa parte Carneade. Anche
questa volta vedemmo come Catone s’impensiera dell’efficacia rovinosa che quel abile
parlatore puo esercitare sull'educazione nazionale. Ma Carneade ha un grande
successo e 1' infiltrazione delle idee ateniensi e già cominciata, specialmente
dopo la conquista delle città della Magna Grecia come Crotone – sede della
scuola di Pitagora --, Taranto – sede della scuola di Archita --, Velia – sede
di Parmenide e Senone – e dopo l’isola della Sicilia – Girgenti, sede della
scuola di Empedocle --. Leontini, sede della scuola di Gorgia. Nei ditti, tradotti
o imitati, i Romani senteno parlare di questo ‘amore di sapienza’ (filosofia) e
degl’amanti di Sapienza (filosofi). Un motto si trova in un frammento di Ennio,
nel Neottolemo. “Philosophari mihi necesse est, sed degustalidum de ea, non
ingurgitandum in eam”. Col progredire della cultura, con lo svilupparsi
dell'eloquenza, nasce il bisogno di far istruir i figlii presso questi pedagogi
schiavi ditti ‘amanti di sapienza’. fAlcuni grandi personaggi, come Scipione
Emiliano e il suo amico Lelio divieno protettori dei qesti pedagogi ateniensi
detti ‘amanti della sapienza’ e li ammettano nella loro familiarità. I
giureconsulti trovano un'utile disciplina nella dialettica. La riforme dei
Gracchi e ispirata da idee di questi ‘amanti di sapienza’. Quello che i Romani
domandano a questo ‘amore di sapienza’ e 1' orientazione nelle questioni
pratiche e una cultura necessaria o utile all’oratore, al giureconsulto, agl’uomini di Stato.
Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole. Una delle prime ad essere
trattata in latino e la dottrina di Epicuro. Sono nominati un Amafinio e un
Rabirio come espositori delle sue idee, ma con poca arte. Più tardi è pure ‘edonista’
– sostenitore del piacere -- un certo Catius, “levis quidem, sed non inineundus
tamen auctor”, secondo Quintiliano. Ma non ne sappiamo nulla. Il grande
interprete dell'edonismo presso i Romani è Lucrezio. Altri ‘amanti di sapienza’
sono M. Bruto, l'uccisore di Cesare, che parla della virtù e dei doveri, e il
dottissimo Varrone, che insieme con Bruto, sente Antioco in Atene, e in
psicologia e in teologia segue più gli Stoici che l'Accademia. Ma tutte queste
sono semplici notizie. Il gran nome che oscura, tutti gli altri ed è per noi il
vero rappresentante e inter-prete della filosofia presso i Romani è Cicerone. Giuseppe
Melli. Melli. Keywords: AVRELIO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melli” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745388623/in/datetaken/
Grice e
Mercuriale – il ginnasio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Forli).
Filosofo. Grice: “At Corpus, as it had
been at Clifton, cricket featured as my priority, -- philosophy came second!”
-- Celebre per avere per primo teorizzato
l'uso della ginnastica su base medica. Suoi sono anche il primo trattato sulle
malattie cutanee e un'importante opera, forse la prima mai scritta, di
pediatria. Ritratto raffigurato in
"De arte gymnastica.” Dopo aver studiato a Bologna ed aver conseguito la
laurea a Padova, dove ebbe modo di conoscere Trincavella, seguì a Roma Farnese.
A causa della sua fama, infatti, i forlivesi lo inviarono come legato presso
Pio IV. Pare aver composto il suo celeberrimo trattato sulla ginnastica. Fu poi professore in entrambe le università
dove aveva studiato. A Padova, in particolare trascorse un periodo molto
fecondo, in cui scrisse ben dodici libri, alcuni dei quali basati sugli appunti
presi dagli studenti durante le lezioni. Si recò poi a Pisa, dove divenne
tutore di Ferdinando I de' Medici e poté godere di una certa fama. Curò anche
altre importanti personalità del suo tempo, tra cui Massimiliano II, che lo
nominò cavaliere e conte palatino. Merita di essere citato un famoso episodio
che lo vede convocato a Venezia insieme a molti altri medici illustri,
consultati per decifrare una misteriosa epidemia che colpiva la città. Escluse
fin dall'inizio un caso di peste, in quanto solo una minima percentuale della
popolazione si era ammalata e il contagio restava comunque molto limitato. Dopo
una settimana però la malattia ebbe un decorso impressionante, colpendo un
terzo della popolazione veneziana tra cui anche alcuni familiari del medico
stesso. Sorprendentemente però tale evento non ebbe gravi conseguenze sulla sua
carriera che, anzi, durante lezioni che tenne a proposito della peste, continuò
a difendere la sua posizione riguardo allo sfortunato caso veneziano. Fece
restaurare una cappella dell'Abbazia di San Mercuriale di Forlì, trasformandola
in cappella di famiglia, da allora nota come "cappella Mercuriali",
dove egli stesso venne sepolto. Ai monaci di San Mercuriale, lascia in eredità
la sua biblioteca, purché essi si impegnassero a tenere tre lezioni settimanali
di filosofia. Ricevuti i libri, i monaci, per custodirli e renderli fruibili a
tutti, aprirono una biblioteca pubblica. A celebrazione ed a ricordo di Mercuriali,
e murata nella cappella una lapide, tuttora esistente, con le seguenti parole. Questo
marmo ricorda ai posteri che i c forlivesi commemorando presso la sua tomba riaffermavano
il connubio eterno nei secoli tra la scienza e la fede. Saggi: “De morbis muliebribus”, Cultore
dell'opera ippocratica (“Censura et dispositio operum Hippocratis,”-- in cui
discusse in modo critico le opere del medico -- “De arte gymnastica,” la prima opera moderna che consideri
scientificamente il rapporto tra l'educazione fisica e la salute, ma anche un
testo sulla storia dell'attività ginnica. Oltre a questo originale argomento
scrive saggi di pediatria, di balneoterapia, di malattie della pelle, di
tossicologia. Fra i suoi numerosi discepoli si segnala Bauhin. Alcune altre sue opere sono: “De morbis
cutaneis,” il primo trattato sulle malattie della pelle, “De morbis puerorum,”
“De compositione medicamentorum,” De morbis muliebribus” (Venezia); De venenis
et morbis venenosis; De decoratione; De morbis ocularum et aurium Nomothelasmus
seu ratio lactandi infantes. Dizionario Biografico della Storia della Medicina
e delle Scienze Naturali (Liber Amicorum), Citato in M. Landi, Credere,
dubitare, conoscere. De Hieronymi Mercuriale vita et scriptis Victorius
Ciarrocchi, Latinitas Opus Fundatum in Civitate Vaticana. Santa Sede Dizionario
Biografico della Storia della Medicina e delle Scienze Naturali (Liber
Amicorum). “De arte gymnastica” Pediatria Dermatologia, Treccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice:
“Mussolini said that ‘ginnasta’ and indeed ‘ginnasio’ were effeminate –
‘ginnico’ is the word!” -- Geronimo Mercuriale. Girolamo Mercuriale.
Merucriale. Keywords: il ginnasio, attivita ginnica, bagni romani, Refs.: H. P. Grice, “Me and the
demijohns,” Luigi Speranza, “Ginnasia,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691884854/in/photolist-2mNzeEc-2mKQqs3
Grice e
Merker – il filo d’Arianna – Arianna abandonata a Nasso --– filosofia italiana
– Luigi Speranza (Trento). Filosofo. Grice:
“My favourite of his books is ‘storia della filosofia ai fumetti.” -- Grice:
“The fact that he found Italian words for all that Kant says in “Metafisica dei
costume” is admirable!” -- Grice: “I love Merker, and for many reasons; he has
philosophised on what makes me an Englishman: my blood, or the fact that I was
born in Harrborne?” Grice: “I love Merker: he uses metaphors aptly like ‘il
filo d’Arianna’ to refer to what I pompously call ‘the general theory of
context.’ --Si laurea in Filosofia all'Messina. Trascorse un periodo di
ricerche in Germania. Allievo diVolpe, diviene libero docente di Storia della
Filosofia e docente incaricato di Storia delle dottrine politiche all'Messina.
-- docente ordinario di Storia della Filosofia nello stesso ateneo. -- ordinario
all'Università La Sapienza di Roma alla Facoltà di Lettere e Filosofia, e poi
alla facoltà di Filosofia. Ha curato
edizioni italiane di classici dell'età della Riforma, dell'Illuminismo e
dell'idealismo tedeschi, nonché di Marx, Engels e dell'austromarxismo. Dopo
essersi occupato dei problemi lasciati aperti dalla Seconda guerra mondiale, si
è occupato dell'idea di nazione, dell'ideologia colonialista e infine del
fenomeno populista. Da ricordare la sua opera di divulgazione della storia
della filosofia. Inoltre egli ha scritto ben trenta voci per l'enciclopedia
filosofica della Bompiani, fra cui le più importanti sono su Heine, Mann, Zweig. Saggi: “Le origini della logica” (Milano,
Feltrinelli); “L'illuminismo” (Bari, Laterza) – la metafora della luce della
ragione ; “Lessing e il suo tempo, con
altri, Cremona, Convegno); Marxismo e storia delle idee, Roma, Riuniti, Storia della filosofia, La filosofia moderna.
Il Settecento, Milano, Vallardi, Alle origini dell'ideologia. Rivoluzione e
utopia nel giacobinismo” (Roma, Laterza); Storia della filosofia, Roma, Riuniti);
Storia delle filosofie, Firenze, Giunti Marzocco); “Marx, Roma, Riuniti); Erhard,
in L'albero della Rivoluzione. Le interpretazioni della rivoluzione francese,
Torino, Einaudi); La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma,
Riuniti); Lessing, Roma, Laterza); “Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni
da Kautsky agl’austromarxisti” (Roma, Laterza); Storia della filosofia moderna
e contemporanea, Roma, Riuniti, “Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla
nazione, Roma, Riuniti, -- sangue lombarda – piccolo vedetta lombarda – sangue
romagnola -- Atlante storico della filosofia, Roma, Riuniti, Europa oltre i mari. Il mito della missione di
civiltà, Roma, Editori, Filosofie del populismo, Roma, Laterza, Marx. Vita e opere, Roma, Laterza,. Il
nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia, Roma, Carocci,.La guerra di Dio.
Religione e nazionalismo nella Grande Guerra, Roma, Carocci, La Germania.
Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti, Hegel, Estetica, Milano,
Feltrinelli, Torino, Einaudi, Kant, La
metafisica dei costume (Grice: “My favourite Kant, by far!”), Bari, Laterza, Hegel,
Rapporto dello scetticismo con la filosofia, Bari, Laterza, Paracelso, Scritti
etico-politici, Bari, Laterza,.Lukács, Scritti politici Bari, Laterza, Herder, James Burnett, Lord Monboddo,
Linguaggio e società, Bari, Laterza, Lessing, Religione, storia e società,
Messina, La Libra, Kant, Lo Stato di diritto, Roma, Riuniti,Forster,
Rivoluzione borghese ed emancipazione umana, Roma, Riuniti, Humboldt, Stato,
società e storia, Roma, Riuniti, Marx, Engels, Opere, Roma, Riuniti, Roma, Scritti
economici di Marx. Roma, Editori Riuniti, Fichte, Lo stato di tutto il popolo,
Roma, Riuniti, Hegel, Il dominio della politica, Roma, Riuniti, La scimmia e le
stelle, Roma, Riuniti, Maj, Il mestiere
dell'intellettuale, Roma, Riuniti, Kant, Stato di diritto e società civile,
Roma, Riuniti, Fichte, La missione del dotto, Roma, Riuniti, Marx, un secolo,
Roma, Riuniti,Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico Roma, Riuniti,
Hegel, Detti di un filosofo, Roma, Riuniti, Marx, Engels, La sacra famiglia, Roma,
Riuniti, Marx, Engels, La concezione materialistica
della storia, Roma, Riuniti, Kant, Che cos'è l'illuminismo?, Roma, Riuniti, Lessing,
La religione dell'umanità, Roma, Laterza,, Forster, Viaggio intorno al mondo,
Roma, Laterza, Engels, Viandante
socialista, Soveria Mannelli, Rubbettino, Hegel, Dizionario delle idee, Roma, Riuniti,
Osborne, Storia della filosofia a fumetti, Roma, Riuniti, Bauer, La questione
nazionale, Roma, Riuniti. La discreta
classe delle idee. E’ Merker, asul sito di Rifondazione Comunista Il contesto è il filo d'Arianna. Studi in
onore di Merker, S. Gensini, Raffaella
Petrilli, L. Punzo, Pisa, ETS, T. Valentini, “Ideologia della nazione” e
“populismo etnico”. Le riflessioni storico-filosofiche di Merker, in R. Chiarelli,
Il populismo tra storia, politica e diritto, Rubbettino, Soveria Mannelli, Curriculum
vitae, su uniurb. Merker. Keywords: il filo d’Arianna, Teseo e il minotauro –
omo-sociale – Teseo – Arianna abandonata, giacobinismo, populismo etnico –
etnico ennico etnicita ennicita – etnos, Greek ethnos, Latin ethnos -- --
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Merker” – The Swimming-Pool Library. Entry on
thegriceclub.blogspot.com -- Album on flicker: https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702174477/in/photolist-2mPXDFp-2mLFBT9-2mLQGEg-2mLKack -
album “Grice e Merker” on https://www.facebook.com.
Grice e
Messere – l’implicatura di Sileno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torre
Santa Susanna). Filosofo. Ricevuti i
primi rudimenti del sapere dai chierici locali, i suoi genitori (Pietro Messere
e Teodora Di Leo), sebbene non agiati, decisero di fargli frequentare il
seminario di Oria, assecondando così il suo vivo desiderio di intraprendere la
carriera ecclesiastica, qui dimostrò sin da subito una profonda passione per lo
studio. Ordinato sacerdote per poi ritornare al paese natìo, dove divenne un
maestro di grande dottrina. Da autodidatta si applicò allo studio della
filosofia, della matematica, della storia ecclesiastica e civile, nonché anche
alla musica e al canto. Incolpato dell'omicidio di un giovane chierico, fu
messo in prigione nelle carceri del Vescovo di Oria, dove rimase rinchiuso per
sette anni, tuttavia non si lasciò mai abbattere dallo sconforto; anzi,
procuratosi alcuni libri, il Messere si applicò allo studio della lingua greca,
per la quale già aveva dimostrato una forte predisposizione. Dopo un lungo e
dibattuto processo, la sentenza finale lo dichiarò innocente e assolto da
qualsiasi reato. Risentito con i suoi concittadini per averlo ingiustamente
ritenuto reo, dichiarò che il suo paese mai più lo avrebbe rivisto. Fu così che
Gregorio Messere partì per Napoli, dove rimase fino alla morte. Nella città
partenopea ebbe modo di affinare e approfondire la sua cultura, divenendo un
personaggio di rilievo nel mondo intellettuale napoletano del tempo. La grande
conoscenza della lingua greca gli conferì grande notorietà nonché una cattedra
di Lettura Greca, che mantenne fino all'anno della morte, presso l'Università
degli studi di Napoli. Tale cattedra era
stata nuovamente istituita a spese di
Giuseppe Valletta, filosofo, letterato e giureconsulto dell'epoca ed amico del
Messere. Valletta aveva una profonda stima per il Messere, il quale fu assiduo
frequentatore della sua casa non solo quale insegnante dei suoi figli e nipoti,
ma anche perché divenuta luogo di riunioni dei più eruditi intellettuali del
tempo. Fra i suoi molti allievi che assistevano alle sue lezioni, ne ebbe
alcuni divenuti celebri, si annoverano Andrea, Barra, Caloprese, Gravina,
Valletta, Capasso, Cerreto, Egizio, Donzelli ed altri. Vico, noto filosofo suo
amico, gli dedicò un breve madrigale dal titolo Ghirlanda di timo per Argeo
Caraconasio.Il mondo culturale napoletano della seconda metà del '600 fu
caratterizzato da importanti innovazioni a livello filosofico, scientifico,
civile e politico. Tale fervore culturale aprì la strada alla nascita di un
numero notevole di accademie, che divennero luoghi di discussione aperta e di
diffusione di nuove idee filosofiche e scientifiche. A Napoli le principali
accademie del tempo furono soprattutto quella degli Investiganti e quella di
Medinaceli. Che il Messere sia stato membro autorevole di entrambe le accademie
e frequentatore di circoli e salotti letterari napoletani è testimoniato da non
pochi documenti, tra cui manoscritti e altri a stampa conservati nella
Biblioteca Nazionale di Napoli; le sue lezioni ebbero un così folto seguito di
giovani tanto da far suscitare invidie fra i letterati fanatici dell'erudizione
i quali, a furia di schernirlo per la sua ellenofilia, diffusero in Napoli
addirittura la moda letteraria della macchietta dello pseudogrecista,
satireggiata pure da Vico nella terza Orazione inaugurale. Fu anche tra i primi
membri dell'Arcadia fondata dal Crescimbeni e dal Gravina, ove gli fu
attribuito il nome pastorale greco di “Argeo Coraconasio,” “dalle campagne dell'isola
Coraconaso”. E fondata a Napoli la Colonia “Sebezia” dell'Arcadia e anche qui
il Messere e tra i primi iscritti.
L'aver ripristinato l'insegnamento della lingua greca in Napoli valse al
Messere non solo il titolo di “ristoratore della greca erudizione”, ma
contribuì alla ripresa dello studio di Omero, influenzandone il pensiero
poetico e filosofico del tempo. Notevole fu l'influenza che egli ebbe sulla
formazione del pensiero del Gravina. Essenziale nella vita culturale di
Gregorio Messere fu anche l'amicizia con Giuseppe Valletta, suo allievo. La
conoscenza che Gregorio Messere aveva della filosofia fu ugualmente vasta tanto
che gli valse l'appellativo di “Socrate” e quando si riferivano a lui veniva
anche chiamato il “Socrate dei nostri tempi”.
Non fu solo un insigne grecista, ma anche un poeta. Compose infatti
circa 60 componimenti, tra distici, tetrastici, serenate, sonetti, madrigali ed
epigrammi in italiano, utilizzando talvolta uno stile che il Lombardo definisce
“stile mezzano e semplice”, di carattere pastorale. Un suo epigramma è
contenuto in una lettera che Canale inviò al Magliabechi. Non mancò di scrivere
componimenti di carattere burlesco e giocoso, in cui contrapponeva l'immediatezza
della satira e del dialetto alla ricercatezza esasperata della poesia del
Seicento. Si esercitò soprattutto nell'Accademia di Medinacoeli, dove era uso
chiudere la seduta accademica con la recitazione di componimenti poetici.
Compose finanche versi che celebravano importanti eventi del regno; tra i più
salienti, si ricordano quelli contenuti nel volume scritto in occasione della
recuperata salute di Carlo II. Da ricordare sono anche gli emblemata contenuti
nel volume scritto per i funerali di D. Caterina d'Aragona, e a cui si ispirò
Vico in occasione dei funerali di due uomini illustri Tra le tante collaborazioni con letterati del
suo tempo, degna di nota è quella che ebbe con Vico per la pubblicazione di un
volume in occasione del genetliaco di Filippo V, tre sono i componimenti
contenuti in esso. Fu anche collaboratore di una Miscellanea dal titolo Vari
componimenti in lode dell'eccellentissimo signore d. Francesco Benavides conte
di S. Stefano. Fatta eccezione per alcuni componimenti inseriti in Miscellanee
poetico-celebrative, del Messere non esistono opere a stampa. E a ciò ne dà
spiegazione il Lombardo quando afferma che egli fu uomo umile e schivo tutto
dedito all'educazione dei giovani più che ai propri interessi personali, anzi
la sua modestia fu tale che pensò bene di distruggere i propri scritti. Le lezioni accademiche di cui si dispone sono
quelle che tenne nell'Accademia
istituita a Palazzo Reale dal viceré duca di Medinaceli. I codici delle lezioni
sono conservati attualmente presso la Biblioteca di Napoli. Due di queste
lezioni trattano di poesia. Qui argomenta sulla funzione e natura della poesia,
dei suoi rapporti con la storia nonché sul problema delle origini della poesia
stessa. Tre altre lezioni sono di carattere storico, esattamente: due sulla
vita di Nerva e una sulla vita di Decio. Il codice napoletano contiene anche un
Discorso vario in cui sono presenti motivi autobiografici e una lezione
sull'origine delle maschere. L'Accademia di Medinaceli non ebbe lunga vita e,
nonostante la sua chiusura avvenuta a causa di rivolgimento politico, continuò
ad essere personaggio illustre nel panorama intellettuale e culturale
napoletano, come dimostra il fatto di essere annoverato tra i primi membri
dell'Arcadia sotto la custodia Crescimbeni e successivamente della colonia
napoletana “Sebezia”. Storia della
litteratura italiana Biografia degli
uomini illustri del regno di Napoli Le
vite degli Arcadi illustri scritte da diversi autori, e pubblicate d'ordine
delle generale adunanza da Crescimbeni, pRoma,
(biografia scritta da G. Lombardo). C. Cantillo,
Filosofia, poesia e vita civile in Messere: un contributo alla storia del
pensiero meridionale, Morano, Napoli, Angelo De Prezzo, Storia delle origini di
Torre Santa Susanna, Tiemme, Manduria,. Imma Ascione, Seminarium doctrinarum:
l'Napoli nei documenti, Edizioni scientifiche
italiane, Napoli, Fabrizio Lomonaco, Gregorio Messere, la poesia e l'impegno
civile tra Gravina e Vico, in "Diritto e Cultura", VLezioni
dell'Accademia di Palazzo del duca di Medinaceli: Napoli, Michele Rak, Napoli, Istituto italiano per gli
studi filosofici. (regio esim liepierapresoNiccolaGjervasi'altirante
1.os. re ( lessen Blusere Filoloyo NamqueinTorediliuramnemláiTeradOhrantenelmio
Mori in « lapoli nel 1708. Ebbe per convincenti
indizj, co di Gregorio lasospizione Fu rinchiuso perciò nulla egli fosse reo.
me che di ,laddove impreseda prigioni per sette anni nelle del greco linguaggio
, stessolostndio non conosceva neppur lo avanti , che inbreve con tanta sollecitudine
però ,e sn tranoi il maestro ne diyenne solenne restauratore della greca
erudizione. onde cadde sopra se del quale per le figure. Vi attese Lo studio
delle greche lettere era a quel tempo venuto tranoi insomma
decadenza,l'erudizioneerasi renduta goffa e grossolana ; onde egli adoperó ogni
sua cura per richiamarla alla sua dignità primitiva. La profonda sua scienza
nella mentovata favella gli seçe meritamente occupare nell'anuo 1679. la catte
GREGORIO MESSER E. be Gregorio Messere i suoi natali il di 15. di Novembre del
1636 in un mediocre luogo della Re. gione de' Salentini, oggi Terra d'Otranto ,
detto la Torre di S.Susanna , discosta da Brindisi intorno a miglia dodici.Suoi
genitori furono Pietro Messere, e Dianora di Leo amendue di onesta e civil
condi zione. Il nostro Gregorio , comechè non proveduto nella sua primiera età
di sufficienti maestri , seppe col proprio suo ingegno , e colla sua mente ,
velocis sima e disposta a d apprendere le più difficili cose supplire a
somigliante difetto. Egli attese da se solo aiprofondissimi studj della
filosofia delle mattemati che in buona parte , della Teologia , della Storia E
c clesiastica e Civile.Nè intralascio fra la severità di sì fatte discipline
l'onesto diletto della poesia e della musica , e tanto in questa ando avanti ,
che giunse a cantar con lode la parte di basso. Il nostro Gregorio , tutto che
si fosse dedicato al Sacerdozio , gl'intervenne una disgrazia , la quale
fieramente l o travaglio. S'invaghi un compagno di luididonzellafigliuoladiricco,e
nobilpersonag-: gio,enefudipariamorericambiato.Ilpadre di lei , avutone sentore
, lo fece assalir da due sgherri , iqualisiaccompagnavanocol Messere,ilquale go
dea il favore parimenti del mentovato Signore. Ilgio vine amatore ne rimase
trucidato I و Fu de'primi ad essere annoverato tra gli Arcadi col nome di
Argeo Caraconessin ,e la sua vita ritrovasi descritta fra quelle degli Arcadi
illustri P. 15. p.47. Scrisse a richiesta degli amici Sonetti ,Madriga li ed
Epigrammi nell'una e nell'altra lingua, i quali componimenti riscossero a
que'tempi non poca laude. Mirate la dottrina che si asconde Sotto il velame
degli versi strani. Queste poesie furon da lui recitate nella dotta adu nanza
che D. Luigi della Cerda , allora Vicerè di Napoli,tenevanelRegalPalazzo.E
certamentefuscia gura , dra di greco linguaggio nell'Università de'nostri Stu
dj. Bentosto si vide la studiosa gioventù correre a folla alle sue lezioni , e
zione,che non solamente igiovanetti,ma puranche crebbe talmente la sua riputa
persone distinte per merito di letteraria coltura , a n davano con maraviglia
ad ascoltarlo. Allo studio della greca sapienza congiungeva il Messere quello
delle scienze più sublimi ; perciò i più doiti scienziati che erano allora fra
noi ed ancora stranieri contava egli fra i suoi amici. Tra quelli si annoverano
Lionardo di Capoa , Francesco d'Andrea , Carlo Buragna e tanti altri ;'e fra
gli stranieri il P. 'Mabillon il quale par la di lui con somina laude nella sua
opera Iter Ita licum ;e moltissimi presso de'quali fu ilsuo nome in somma
estimazione. Il suo verseggiar burlesco e maccaronico era un dotto poetare , e
sempre ridondante di greca e di la tina erudizione, sicchè isuoi versi in
questo genere tranne lamateria ridevole,erano molto colti egenti li, sì che
avrebbe poluto egli dire con Dante : O voicheaveteglintellettisani, و . Il suo
modo di comporre era quello che da' maestri vien detto mezzano e semplice, e
varie poesie dettò in istile boschereccio e pastorale.Molto però egli valse nel
verseggiare giocoso , ed in quella spezie di p o e sia, già inventata da
Teofilo Folengio, ilquale sidisse Merlino Coccai,che volgarmente maccheronica
vien chiamata . che dipartendosi quell'erudito e generoso Si gnore , seco
portate avesse , con le altre cose i c o m ponimenti di quella dotta brigata, e
che Gregorio nonneavesseglioriginaliserbati,enonne rima nesser che pochi in
mano di alcuno de'suoi amici, Ma egli, intento qual novello Socrate ad istruire
la gioventù e far rinascere fra di noi lo studio e la scienza della greca favella,
la quale è detto brac cio destro della buona letteratura , poco curò le sue
cose ,e poco ambi di rendersi per le stampe famoso. Dilettavasi egli infatti
più della sostanza che dell' و 9 > و , e più d'istruire la gioventù S!11
renza della dottrina erudizione. diosa ,che di far pompa di lussureggiante арра
Le virtù cristiane e socievoli di Gregorio pareg giarono la sua erudizione e la
sua dottrina. Era elf fiiosofo e religioso al tempo stesso; ottimo Sacerdote,
ed affabile senza ombra di bassezza o di poca digni tà,sprezzatore
grandissimodellericchezze,talchenel 1702. pel noto fallimento del banco
dell'Annunziata avendo perduto quelpiccolo avere che collesue ono rate fatiche
erasi acquistato , uimase in una fredda in differenza , motteggiando giocosamente
come se nulla gli fosse intervenuto. Nè minore fermezza d'animo egli nella
morte di tre nipoti per sorella Biagio , Giovan Batista e Cataldo Capozzeli,
giovinetti digrandisperanze iduepriminellamedicina,ed il terzo nella
legalfacoltà,da lui sommamente ama. ti, ed allevati alla gloria ed alle
lettere. Poco curante egli si fu dell'amicizia de'potenti, e di ogni fasto,
dimostrò e di ogni civile onore. Maravigliosa era in tutto la sua temperanza ,
talche i suoi costumi pareano più l'ultimo fine siccome un necessario termine
dell'uomo, e narrasi , che es antichi che nostri.Riguardava sendo un giorno
aperto , per alcun bisogno di fabbri ca,l'avello di Giovanni Gioviano Pon'ano,
ritrovan dosi ogli con un amico , lo prese vaghezza di scen dervi.Di fatti
discesovi,sudettesi in una delle nicchie da riporvi i morti intorno alle pareti
, e narrasi che mosso da involontaria allegrezza,dicesse: E chi sase questo è
il luogo che dee a me toccare ? Somme lodi son queste certamente pel nostro
Gregorio,ilqualenatoessendonelmezzo dellama gnaGrecia,nell'antica patria degli
Architi, degli Aristosseni,degliEnnj,de'Pacuvj,fu intendentissimo non meno
della grea, della latina e della Italiana poesia , che della più saggia
Filosofia , la quale inse gnò non pur colle parole , ma col sobrio onorato *Con
grandissimocordogliodi tutti gliamatori delle buone lettere , Gregorio Messere
, preso di ac cidente apopletico il di 19. Frebrajo dell'anno 1708., passò a
miglior vita ,e fu sepellito nella detta Cap pella del Pontano , siccome in
vita avea desideralo. La sua morte fu onorata dal pianto di afflitte vedo ve , و
! Ο Φερδινάνδος ΣανΦελικιος ευγνώμων ακροανης DIAGISTRO DOCTRINAE PULAETIVNI.
Ταυτην την Ακαδημιαν ο ποιησαντι e virtuoso suo contegno di vita. Fu per
Γρηγοειω Μεσσερε Σαλεντινω Εν ελλαδι φανη εις ακρον ταις παιδειας εληλακοτι
ilSocratede'suoitempi,edatuttiriguar chiamato . Tanta era e cosi dato con
istima e con ammirazione perfetta in lui la notizia delle lettere greche, che
mosse invidia e stupore in parecchi sapientissimi Greci na
zionali,iquali,passando perNapoli,vollero vederlo ed
ascoliarlo.Siccomeabbiamoaccennato,aluisideve in buona parte il risorgimento
delle buore lettere della greca dottrina, per tanti ragguar spezialmente che si
formarono sotto la sua di. devolissimi letterati sciplina,eperciòhaeglispeziale
eprecipuaragio ne ai nostri elogj ed alla nostra riconoscenza. Nel n o vero
de'suoi discepoli furono i Biscardi , Gennaro d'Andrea,iCalopresi,iGravina,i
Majelli,iCi rilli, i Capassi , gli Egizi, e tanti altri lumi della n o stra
letteratura iqua’i malagevole sarebbe qui no minare . tal ragione e di
miserevoli bisognosi , a quali questo uomo incomparabile in ogni maniera di
virtù distribuiya tutto ciò che al puro uopo della sua vita soperchia. va.
Intervennero ai suoi funerali tutti i professo ri della R. U. non che
ragguardevolissimipersonaggi. Uno di costoro già suo scolaredi nobilissimo
tegnag gio , insigne per lettere e per la scienza della pittu ra e
dell'architettura ,innalzò a tanto maestro la see guente iscrizione in greco ed
in latino. Τα Διδασκαλω Διδακτρον. MESSERE SALENTINO GREGORIO IN GRAECA LINGVA
AD SVMMVM ERVDITIONIS PROGRESSVM DE ACADEMIA HAC OPTIME MERITO) FERDINANDVS
SANFELICIVS GRATVS AVDITOR ANDREA MAZZARELLĄ PA CERRETO. 157 IV.Quantunque
non abbiasi cosa alcuna alle stam IV. sti. pe di Gregorio Messere nato
l'anno 1636. Torre di S. Susanna , luogo della Terra d'Otranto, tuttavia egli
ha buon diritto che di lui si parli in GregorioMesso nella ro edaltriGreci
st'opera. La disgrazia avvenutagli que di dover soffri re,sebbene innocente una
lunga prigionia to di omicidio , lo determinò Greca, e così felicemente venir
riconosciuto qual ristauratore dizione nel Regno di Napoli , e il Mabillon nel
suo Iter Italicum parla con somma lode del Gregorio . Occupò egli la Cattedra
di questa lingua nellaUni versità della Capitale, e la insegnò con tanto grido
, che oltre la gioventù contò fra lisuoi discepolinon poche persone per coltura
e per sapere distinte ; e fra i più celebri alunni da lui istruiti si noverano
Gennaro di Andrea , il Caloprese Capassi ed altri molti.Benemerito , il Gravina
, il perciò della Greca Letteratura congiunse na del poetare (1),e conobbe le
altre scienze con gran vantaggio attenzione specialmente Religione all'epoca
della sua morte accaduta ordine di persone il compianse nell' 1708. ogni
funerali i Professori ai suoi , ed , ed ebbe onorata s e per sospet a studiare
la lingua vi riuscì, che meritò di poi anche alla erudizione lave dei giovani
che con zelo ed istruiva ed educava alle lettere ed alla insieme, perlocchè
crate. La sua dottrina e le sue cristiane virtù , m a specialmente una carità
generosa giunsero a tale,che appellavasi novello S o . Intervennero tutti della
R. Università altri ragguardevoli poltura nella cappella dove riposano le
ceneri Pontano discepolo con iscrizione Greca e Latina da un del suo composta
(2). personaggi della Greca e r u (1) Fu egli ascritto fra i primi Arcadi sotto
il nome di Argeo Caran conessio . (2) Biografia degli Uom . ill. del Regno di
Napoli T. IV . Allorchè nel 1747. si aprì il concorso per la C a t
tedra di lingua greca
Grice: “When they called Messere
‘Socrate’ I hope they don’t mean Alcibiades’s implicature, ‘my dear Sileno!’” –
Gregorio Messere. Messere. Keywords: implicature, Sileno, Socrates,
SocrateSileno, Socrate, Silenus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Messere”. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691475053/in/photolist-2mPYm4t-2mLPdUX-2mKPDck-2mKNjCv
Grice e
Messimeri – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Seminara). Filosofo. Grice: “He was of a noble family – he was into the free
market – so his is a philosophical economy.” Domenico Grimaldi (Seminara),
filosofo. Esponente dell'illuminismo napoletano. Francesco Mario Pagano.
Nato in una famiglia aristocratica che faceva risalire le proprie origini alla
nota famiglia di Genova, ricevette la prima educazione dal padre, il marchese
Pio Grimaldi, un uomo colto che aveva cominciato a introdurre criteri di
conduzione innovativi nelle sue proprietà terriere, peraltro non molto estese,
di Seminara. Non essendo molto ricco, il padre lo avviò agli studi giuridici,
in previsione di una possibile professione forense, all'Napoli. Nella capitale
napoletana Domenico fu raggiunto dal fratello minore Francescantonio, fece
parte con il fratello dell'Accademia dell'Arboscello, frequenta le lezioni di
economia di Genovesi. Si trasferì a Genova, dove ottenne la riammissione nel
patriziato della Repubblica di Genova, ottenendo così il permesso di esercitare
alcune magistrature. In Liguria, tuttavia, Grimaldi ebbe modo di approfondire
gli aspetti tecnici, economici e sociali legati all'agricoltura il cui studio
lo spinse a viaggi in Francia, specie in Provenza, in Piemonte e in Svizzera.
Si interessò in particolare alla colture dell'ulivo e del gelso per
l'allevamento dei bachi da seta. Venne accolto fra l'altro nell'Accademia dei
Georgofili, che premiò una memoria, nella Società economica di Berna, un centro
di cultura fisiocratica, e nella Société royale d'agriculture di Parigi.
Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra François Quesnay,
maggior rappresentante della fisiocrazia Frutto delle sue ricerche fu il Saggio
di economia campestre per la Calabria Ultra, esposizione di un piano che,
partendo dalle condizioni di arretratezza dell'economia calabrese del XVIII
secolo, secondo la dottrina fisiocratica, ne indica i mezzi atti a la
trasformare situazione economica della Calabria. All'epoca il settore
produttivo più importante era l'agricoltura in quanto i posti nell'industria
erano pochi, le alternative limitate all'edilizia, ai lavori pubblici e al
settore terziario; l'agricoltura era tuttavia quasi esclusivamente di
sussistenza, e lo scarso reddito determinava un esodo massivo dalle campagne.
Per Grimaldi l'ammodernamento dell'agricoltura e l'integrazione tra agricoltura
e allevamento erano le condizioni prime per avviare la produzione industriale e
il commercio. il successivo aumento del reddito agrario avrebbe dovuto essere
reinvestito nell'industria tessile e in quelle serica, lattiero-casearia e
olearia. La presenza di industrie avrebbe innescato un circolo virtuoso in
quanto avrebbe potuto richiamare un afflusso di capitali per la
ristrutturazione fondiaria e l'aumento delle dimensioni delle aziende agricole,
con successiva formazione e sviluppo di attività miste agricolo-manifatturiere,
specialmente alimentari, con impiego di mano d'opera locale.
L'imprenditore Vecchio frantojo ligure dismesso Attorno al 1770 Grimaldi
si impegnò a tradurre in pratica questi progetti, con l'aiuto finanziario del
padre, impegnandosi nel miglioramento della coltivazione degli olivi, chiamate
dalla Liguria maestranze e tecnici per creare a Seminara nuovi frantoi
"alla genovese"; rese poi pubblici i progetti e i risultati delle sue
innovazioni con un'opera del 1773, edita nuovamente nel 1777 con una dedica a
Beccadelli, marchese della Sambuca. Si dedicò più tardi alla produzione
della seta. Grimaldi, che inizialmente intendeva assegnare l'ammodernamento
dell'agricoltura all'iniziativa privata, si rese conto che l'approccio
utilizzato per l'ammodernamento dell'industria olearia (in questo caso,
introduzione in Calabria della lavorazione della seta alla
"piemontese") non sarebbe stato sufficiente nella lavorazione della
seta per ostacoli di natura fiscale nel regno di Napoli, ossia del dazio sulla
seta calabrese. Diede pertanto inizio a vivace polemica nei confronti dei
controlli oppressivi doganali e dei monopoli statali nei settori delle
manifatture e del commercio. Il politico Sir John Acton La
riflessione sull'influenza dello stato nel mercato della seta, diede avvio al
dibattito sul problema della libertà nel commercio internazionale, in
particolare nel commercio del grano che aveva assunto una notevole importanza
dopo la carestia del 1764. Una delle proposte più importanti di Domenico
Grimaldi fu la costituzione, nella Calabria Ultra, di società economiche
concepite come centri promotori il miglioramento della tecnica agraria; ma la
proposta non trovò il necessario sostegno né nei proprietari terrieri né nel
clero. In seguito allargò lo sguardo dalla Calabria Ultra all'intero Regno,
proponendo di svolgere un'attività conoscitiva sulla struttura economica del
Regno mediante la predisposizione di piani di visite alle province napoletane affidati
a ispettori di nomina regia, con proposte di azione sulle "cause
fisiche" dell'arretratezza, principalmente la mancanza di strutture per
l'irrigazione innanzitutto nelle Puglie, per le quali suggeriva il ricorso
anche al lavoro coatto. Gaetano Filangieri Grazie alla notorietà
raggiunta con i suoi saggi Grimaldi fu nominato dal primo ministro John Acton
assessore al neocostituito Supremo Consiglio delle Finanze assieme a
Filangieri, Palmieri, Delfico e Galanti. Il terremoto che causò gravi danni e
lutti alla famiglia Grimaldi. Grimaldi fu favorevole all'istituzione della
Cassa sacra, proponendo che ricostruzione fosse eseguita secondo un piano
pubblico che prevedesse iniziative strutturali per l'ammodernamento della
produzione agricola e industriale. Si adoperò per l'apertura a Reggio Calabria
di un istituto professionale nel quale si insegnasse "l'arte di tirar la
seta alla piemontese"; la scuola, diretta dal Grimaldi, ebbe un certo
successo, ma venne chiusa nel L'interruzione negli anni novanta dell'attività
riformatrice di Ferdinando IV di Napoli in seguito alla crisi collegata alla
rivoluzione francese comportò un atteggiamento di sospetto, da parte del
governo napoletano, nei confronti dell'intellettualità progressista. A Grimaldi
venne rifiutata la nomina, proposta dal Galanti, di presidente della
costituenda Società patriottica per la Calabria in quanto massone. Fu
addirittura arrestato, come gran parte dei massoni reggini (una cinquantina
circa) in seguito all'assassinio del governatore di Reggio, Giovanni Pinelli e
trasferito nel carcere di Messina dove si trovava alla nascita della Repubblica
Napoletana. Suo figlio Francescantonio aderì alla Repubblica Napoletana. Saggi:
“Memoria ai gergofili sopra una specie di pianta pratense chiamata sulla”
(Firenze); “Economia campestre per la Calabria” (Napoli: Orsini); “La manifattura
dell'olio nella Calabria” (Napoli: Lanciano); “Manifattura e commercio delle
sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scon alcune riflessioni critiche
sopra il bando delle sete” (Napoli: Porcelli); “La pubblica economia delle
provincie del Regno delle Due Sicilie” (Napoli: Porcelli); “Piano per impiegare
utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte
del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno” (Napoli: Porcelli); “L’industria
olearia, e dell'agricoltura nelle Calabrie, ed altre provincie del Regno di
Napoli” (Napoli: Porcelli); “L’economia olearia antica sull'antico frantoio da
olio trovato negli scavamenti di Stabia” (Napoli: Stamperia Reale); “L’Ulteriore
Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincia”
(Napoli: Porcelli). Franco Venturi, Illuministi italiani, V: Riformatori napoletani, Napoli: Ricciardi,
Antonio Piromalli, La letteratura calabrese: Dalle origini al posivitismo,
Cosenza: LPE, Istruzioni sulla nuova
manifattura dell'olio introdotta nel Regno di Napoli dal marchese Domenico
Grimaldi di Messimeri patrizio genovese, socio ordinario, e corrispondente
dell'Accademia de' Georgofili di Firenze, della Società di Agricoltura di
Parigi, e di Berna, In Napoli: presso Vincenzo Orsini, a spese di Giuseppe
Maria Porcelli, Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle
sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scritte dal marchese Domenico
Grimaldi, con alcune riflessioni critiche sopra del Bando delle Sete” (Napoli:
Porcelli); “Relazione d'un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune
osservazioni economiche relative a quella provincial” (Napoli: Porcelli);
“Piano di riforma per la pubblica economia delle provincie del Regno di Napoli,
e per l'agricoltura delle Due Sicilie, scritto dal marchese don Domenico
Grimaldi, Napoli: Porcelli); Piano per impiegare utilmente i forzati, e col
loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e
nelle altre provincie del Regno scritto dal marchese don Domenico Grimaldi
di Messimeri patrizio genovese” (Napoli: Porcelli); “Relazione d'una scuola da
tirar la seta alla piemontese stabilita in Reggio per ordine di Sua Maestà,
sotto la direzione del M. Grimaldi, e l'approvazione del Vicario generale delle
Calabrie don Francesco Pignatelli” (Messina per Giuseppe di Stefano). L'opera
apparve anonima ed è attribuita a Domenico Grimaldi da Gaetano Melzi, Note
bibliografiche del fu D. Gaetano Melzi, edite per cura di un bibliofilo
milanese con altre notizie, H-R, Milano:
Tip. Bernardoni) Giuseppe Maria Galanti,
Giornale di viaggio in Calabria; introduzione di Luca Addante, Soveria Mannelli:
Rubbettino, A. Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di Domenico e Francescantonio
Grimaldi. Testi di Laurea. Università degli Studi di Salerno, Facoltà di
Magistero. M.L. Perna, Dizionario Biografico degli Italiani, LIX, Roma: Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, A. Basile, «Un illuminista calabrese: Domenico Grimaldi da Seminar»a,
in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, Gaetano Cingari, Giacobini e
Sanfedisti in Calabria, Reggio Cal., "Casa del libro", Cesare
Morisani, Massoni e Giacobini a Reggio Calabria, Reggio Cal., F. Morello, Domenico Romeo, Alcune precisazioni su Domenico
Grimaldi: un riformatore Calabrese del '700, in "Historica", Antonio
Piromalli, L'attualità del pensiero e delle opere del marchese Domenico
Grimaldi, Cosenza: L. Pellegrini, Domenico Luciano, Domenico Grimaldi e la
Calabria, Salerno, Beniamino Carucci. Grimaldi, Domenico la voce nella Treccani
L'Enciclopedia Italiana. Grice: “Isn’t ONE Sicily enough?” -- --
Giovanni Antonio Summonte, storico vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII
secolo, all'interno del secondo volume della sua Historia della città e Regno
di Napoli(i cui primi due volumi furono pubblicati negli anni 1601-1602 e gli
altri due postumi[1]), inserisce un trattato dal titolo Dell'Isola di Sicilia,
e de' suoi Re; e perché il Regno di Napoli fu detto Sicilia. In questo scritto
l'origine della distinzione tra due «Sicilie» separate dal Faro di Messina
viene individuata nella bolla pontificia con cui papa Clemente IV investì Carlo
I d'Angiò del Regno di Napoli nel 1265: «Papa Clemente IV, il quale
investì, e coronò Carlo d'Angiò di questi due Regni, chiamò quest'Isola, e il
Regno di Napoli con un sol nome, come si può vedere in quella Bolla, ove dice,
Carlo d'Angiò Re d'amendue le Sicilie, Citra, e Ultra il Faro: e questo
eziandio osservarono gli altri Pontefici, che a quello successero, e si
servirono degl'istessi nomi. Imperciocchè 7 altri Re, che al detto Carlo
successero [...] che solo del Regno di Napoli, e non di Sicilia padroni furono,
chiamarono il Regno di Napoli, Sicilia di qua dal Faro. Il Re Alfonso poi,
ritrovandosi Re dell'Isola di Sicilia, per essere egli successo a Ferrante suo
padre, e avendo anco con gran fatica, e forza d'armi guadagnato il Regno di
Napoli da mano di Renato, si chiamò anch'egli con una sola voce, Re delle Due
Sicilie, Citra, e Ultra; E questo per dimostrare di non contravenire
all'autorità de' Pontefici. Ad Alfonso poi successero 4 altri Re [...] i quali
furono Signori solo del Regno di Napoli, e si intitolarono, come gli altri, Re
di Sicilia Citra. Ma Ferdinando il Cattolico, Giovanna sua figlia, Carlo
Vimperadore e Filippo nostro re, e Signore, i quali anno [sic] avuto il dominio
d'amendue i Regni, si sono intitolati, e chiamati Re delle due Sicilie Citra, e
Ultra: la verità dunque è, che questi nomi vennero da' Pontefici romani, (come
s'è detto) i quali cominciarono ad introdurre, che 'l Regno di Napoli si
chiamasse Sicilia[2].» La stessa tesi è sostenuta da Pietro Giannone
nella sua Istoria civile del Regno di Napoli (1723), in cui si citano vari stralci
della bolla pontificia, con la quale Clemente IV concesse l'investitura a Carlo
d'Angiò «pro Regno Siciliae, ac Tota Terra, quae est citra Pharum, usque ad
confiniam Terrarum, excepta Civitate Beneventana [...]». In un altro passo la
bolla proclamava: «Clemens IV infeudavit Regnum Siciliae citra, et ultra
Pharum». Secondo Giannone è dunque questa l'origine del titolo rex utriusque
Siciliae, che tuttavia Carlo d'Angiò non usò mai nei suoi atti ufficiali,
preferendo gli antichi titoli dei sovrani normanni e svevi[3]. Marchese Domenico
Grimaldi. Grimaldi di Messimeri. Messimeri. Keywords: implicature, economia
olearia antica – antico frantoio da olio a Stabia -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Messimeri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51675327841/in/photolist-2mJnyCd-2mJnyBr-2mJnyCi-2mJnyCo-2mJs3zX-2mJisea
Grice e
Micalori – Ganimede e l’implicatura sferica di Giove – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I
took my ideas on longitude and latitude from Micalori” -- Grice: “By calling it
‘sfera,’ Micalori’s statement ENTAILS rather than implicates that the Romans
were wrong.” Professore a Urbino. Opere:
“Della sfera mondiale” In Urbino, Marco Antonio Mazzantini, Giacomo Micalori,
Antapocrisi, In Roma, Francesco Roma Cavalli. Zeus features heavily
in a lot of starlore, and the Eagle constellation is no exception. The
predominantly accepted mythos for this constellation is the abduction of Ganymede.
Zeus had facilitated the kidnapping, fancying the beautiful mortal boy as his
personal cup-bearer. In the constellation, which is situated south of
Cygnus on the equator, making it visible from both the Northern and Southern
hemispheres, poor Ganymede can be seen hanging from the claws of the eagle as
he is swiftly taken to the heavens. The constellation appears alongside
several other bird constellations. The Eagle’s wings are spread, giving it the
appearance of gliding through the stars. As Hyginus states, the beak is
separated from the body by a milky circle. It was also said to set “at the
rising of the Lion and rises with Capricorn”. (Hyginus, Astronomy, 3.15)
Greek astronomy Humans have a natural urge to identify familiar things
amongst the twinkling stars of the mysterious abyss above us. These narratives
came out of astronomical observations and ancient time tracking. The study of
the sky began long before the earliest Greek sources that (sparsely) discuss
them, Homer and Hesiod. They likely developed during the transition from oral
to written transmission, but to what is extent is unknown. Even though
the Greeks were late to the constellation conversation (500 BC), they received
a lot of their knowledge from their Eastern neighbors. The Greeks introduced
the word katasterismos, or catasterism, which refers to the process of being
set in the heavens. Constellations were used for navigation and an indication
of seasonal change; many extravagant mythic connections were added later.
Today, there are 88 constellations officially defined by the International
Astronomical Union, and many of them have been accepted since Ptolemy’s The
Almagest (A.D 150). Constellations created by the Mesopotamians between
1300-1000 BC originate in older lands, but the Greek astral mythos canon was
solidified by Eratosthenes, in a work now lost to us. Zeus and his
trusted companion The myth of Ganymede is very ancient lore, being told
in the tale of Troy by Homer (Illiad 20.298ff) – albeit with no mention of an
eagle escort. In the fifth Homeric Hymn to Apollo, Ganymede was said to be
whisked off to Olympus by a ‘heaven-sent whirlwind’. The eagle was not
connected to this tale until the 4th century BC. The constellation was accepted
as an eagle prior to this, so it is presumed that this addition was made to
make the story fit the stars, probably because Ganymede is said to feature in
his own nearby constellation, the water-pourer (Aquarius).Micalori. Keywords:
implicatura sferica, planifesferio, Casali. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Micalori” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691873459/in/photolist-2mKQn4z
Grice e
Miccoli – homo loquens – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “Miccoli is a great philosopher – and surgeon
– My favourites are his ‘Corpo dicibile,’ which trades on my idea of what it
means to ‘say’ something; and his ‘Homo loquens,’ a play on Aristotle’s ‘zoon
logikon,’ but which Aristotle would find otiose: man is the ‘vivente’ that
speaks, or the ‘animal’ that speaks. To say that it is the ‘homo’ that speaks
relies on Darwin’s classifications and phyla of homo sapiens sapiens and the
rest!” La divertente commedia umana Incipit Chi si accinge alla lettura dell'
Elogio della follia di Erasmo farebbe bene a non dimenticare taluni antecedenti
biografici dell'autore che spiegano meglio l'ironia bonaria dell'opuscolo. Li
richiamiamo. Geertsz, latinizzato secondo il costume degli umanisti in
Desiderio Erasmo, nacque figlio di illegittimo coniugio. La famiglia paterna,
in auge nella borghesia di Gouda, come apprendiamo dallo stesso Erasmo, si
oppose alle nozze riparatrici del figlio, costringendolo, con inganno, a far
intraprendere la carriera ecclesiastica al malcapitato giovanotto. Citazioni Come umanista Erasmo si sente
apparentato alla società dalla duttile forza della parola che ne saggia
criticamente le valenze in termini di ironia, sarcasmo, gioco allusivo,
bonarietà lungimirante, tolleranza magnanima, moralismo contenuto. Fin dalla
dedica dell'opuscolo a Moro si arguisce che l'autore non vuol propinare
sapientia austera e compassata, ma buon senso brioso che permei di sé la vita
quotidiana della gente, fosse anche dell'imperatore Marco Aurelio che sul letto
di morte, lui filosofo, esclama, a un certo momento: «Sentenzio me cacavi! La
sapienza dei dotti è tanto altezzosa quanto sterile, diversamente dal buon
senso che cambia in meglio l'esistenza non sofisticata. (Sotto la penna
dell'insigne umanista olandese si fronteggiano al femminile Sapientia e
Stultitia: la prima, per voler essere austera ad ogni costo, diventa stolta; la
seconda, in quanto «forza vitale irrazionale e creatrice», si palesa veramente
saggia alla resa dei conti. L' Elogio
della follia conserva un fascino di imperitura attualità. Lo si desume
dall'analisi di Histoire de la Folie, dove Foucault evidenzia il confine
sfumato tra ragione e sragione in epoca di alta tecnologia, e altresì dalle
invettive di Nietzsche contro lo smunto bibliotecario, lo stitico correttore di
bozze, il pallido burocrate stipendiato, emblemi tutti del moderno «uomo
alessandrino». (Explicit Erasmo conosce e cita perfino pagine della Bibbia a
riprova della bontà dei doni che Follia concede ai mortali. Un modo questo, di
prendere in giro anzitempo la presunzione dispotica delle società
economicistiche che intendono mantenere sotto loro tutela il cittadino
«minorenne» sempre bisognoso di dande e mordacchie. Gli autori classici sono,
tra l'altro, spiriti lungimiranti. A tali società alienanti di oggi e di domani
Blake, con spirito erasmiano, potrebbe ripetere: «esuberanza è bellezza. La
divertente commedia umana, introduzione a Erasmo da Rotterdam, Elogio della
Follia, TEN, Introduzione a "Vita di Gesù" Incipit Il contesto
storico culturale della Vita di Gesù La recente edizione storico-critica delle
Opere complete di Hegel consente di far chiarezza sulle discussioni e
congetture che hanno tenuto a lungo il campo nella letteratura hegeliana a
proposito dei cosiddetti Scritti teologici giovanili, la cui indole cronologica
vengono ora sancite su base filologica e critica più accorta. Più che ai titoli
apposti da Nohl ai vari frammenti e più che alle congetture sulla data
probabile di tali scritti, è più fruttuoso rifarsi agli anni di formazione
filosofica e teologica di Hegel nello Stift di Tubinga e reperire nel
curriculum studiorum le ascendenze prossime che hanno influenzato maggiormente
l'autore in una speculiare lettura dei quattro Evangelisti, da cui desume Das
Leben Jesu. Citazioni Gli interessi culturali di Hegel, negli anni tubinghesi,
sono prevalentemente filosofici, incentivati dalla lettura di Rousseau, Jacobi,
Lessing, Kant, Fichte su temi sociopolitici ed etico-religiosi. (Hegel,
studioso di filosofia, si sente chiamato a lumeggiare «spiritualmente» la
situazione storica del suo tempo e a porre le premesse di carattere razionale
per l'avvento di un «ordine uguale di tutti gli spiriti». Il lettore del Leben
Jesu si accorge subito di trovarsi di fronte a una forma di scrittura audace,
che desacralizza e sdivinizza la persona di Gesù, riducendolo a maestro di
morale sublime. [Paolo Miccoli,
introduzione a Hegel, Vita di Gesù. TEN. “Filosofia della storia”, “Corpi
dicibili”, “Homo louqens”. Paolo Miccoli. Miccoli. Keywords: homo loquens,
corpo dicibile, corpi dicibili. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miccoli” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702962811/in/photolist-2mQBLt7-2mLPcxi
Grice e
Miccolis – BRVNO – filosofi italiani al rogo -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Corato). Filosofo. Grice:
“Miccoli reminds me of G. Baker, who dedicated most of his life to Witters!
Miccolis to Labriola.” sConsiderato
uno dei massimi studiosi di Labriola. Si
trasferì a Perugia per gli studi universitari, laureandosi in filosofia a pieni
voti con una tesi dal titolo «Il pensiero politico crociano e la genesi del
liberalismo». Abilitatosi cum laude all'insegnamento di storia e filosofia,
professore in vari licei della provincia, occupò una cattedra stabile presso
l'Istituto tecnico per geometri a Perugia, accostando l'insegnamento di
estetica all'Accademia di belle arti "Pietro Vannucci". Divenne
responsabile del settore culturale del PCI per la regione Umbria; ma, preso
dagli studî e dall'insegnamento, lasciò l'incarico, comunque seguendo sempre le
vicende politiche con attenzione e passione. La sua è stata una formazione
liberale: considerava suoi padri spirituali Labriola, Croce,Gobetti. Dalla fine
degli anni Settanta la sua vita sarà rivolta allo studio del filosofo cassinese
Labriola, da Miccolis ritenuto «un buon punto per capire la storia d'Italia».
Nascerà quindi il Carteggio labrioliano, in cinque volumi, presentato da Cesa
all'Accademia dei Lincei, edito per gli auspici e con il contributo
dell'Istituto italiano per gli studi storici e dell'Università degli Studi di
Napoli "L'Orientale" e favorito dalla consultazione, nel frattempo divenuta
possibile, delle carte Labriola del Fondo Dal Pane, acquistato dalla Società
napoletana di storia patria. Su tale monumentale lavoro è stato scritto: «un
evento letterario, probabilmente l'acquisizione più importante tra le fonti
della cultura italiana postunitaria; e, di più, senza esagerazione, si presenta
come un capolavoro ecdotico, per accuratezza filologica ed esaustività del
commento. Miccolis era certo divenuto col tempo l'esperto più sicuro della
impervia grafia del suo autore, della quale conosceva ogni piega e ogni
anomalia, dei contesti politici e culturali in cui Labriola si muoveva, […]
della spezzettata, dispersa e contorta
labrioliana, difficile da padroneggiare: si era anche impadronito, in base
a una sensibilità linguistica non comune, del "vocabolario"
dell'Autore in tutte le sue sfumature, ed era perciò in grado di respingere o
di dubitare di attribuzioni di testi, datazioni improbabili, letture sghembe».
Miccolis scrisse inoltre sistematicamente per varie riviste (Rivista di storia
della filosofia, il Giornale critico della filosofia italiana, Belfagor,
Critica storica, Nuovi studi politici, etc.); numerosi sono i suoi saggi e
notevoli gli ulteriori apporti documentari alla
labrioliana. Collaborò intensamente con l'Istituto italiano per gli
studi storici e la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce: aveva il compito di
revisionare i carteggi crociani, e sotto il suo controllo passavano i volumi
dell'Edizione nazionale delle opere di Croce. È stato anche uno dei principali
animatori dell'Edizione nazionale delle opere di Labriola, per la quale aveva
contribuito a definire il piano editoriale, i criteri metodologici, e il
problema del rapporto tra l'opera edita di Labriola e il fondo manoscritto
della Società napoletana di storia patria.
Adnkronos, Filosofi, E' morto Miccolis, massimo studioso di Antonio Labriolia,
Bari, Alessandro SAVORELLI, Rivista di storia della filosofia,, fasc. 2. Opere:
“ Il carteggio di Antonio Labriola conservato nel Fondo Dal Pane” «Archivio
storico per le provincie napoletane», «Con la Sua calligrafia che mi ricorda i
papiri greci...». La filologia, la guerra, la Crusca nel carteggio di Croce con
Pistelli e Teresa Lodi, a c. di S. Miccolis e A. Savorelli, in Gli archivi
della memoria, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 1996, 91–126, (rist. in Gli archivi della memoria e
il Carteggio Salvemini-Pistelli, a c. di R. Pintaudi, Firenze, Biblioteca
Medicea Lauenziana, Polistampa, A. Labriola, La politica italiana Corrispondenze
alle « Basler Nachrichten », S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, A. Labriola,
Carteggio, S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, 2000-2006 S. Miccolis, Labriola,
Antonio, in Dizionario biografico degli italiani, A. Labriola, L'università e
la libertà della scienza, S. Miccolis, Torino, Aragno, A. Labriola, Giordano
Bruno. Scritti editi ed inediti S. Miccolis e A. Savorelli, Napoli,
Bibliopolis, S. Miccolis, Antonio Labriola. Saggi per una biografia politica,
A. Savorelli e Stefania Miccolis, Milano, UNICOPLI, S. Miccolis, Gli scritti politici di Antonio
Labriola editi da Stefano Miccolis, A. Savorelli e Stefania Miccolis, Napoli,
Bibliopolis, G. Bucci, Stefano
Miccolis, il ricordo a un anno dalla morte, "Corato live", W.
Gianinazzi, M. Prat, In memoriam "Mil neuf cent", n° 28, 201. A.
Savorelli, Stefano Miccolis, «Rivista di storia della filosofia», fa A.
Meschiari, Stefano Miccolis studioso di Antonio Labriola, «Rivista di storia
della filosofia». Stefano Miccolis. Miccolis. Keywords: filosofi italiani al
rogo. BRVNO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miccolis” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745998220/in/datetaken/
Grice e Michelstädter – il giovane divino, l’implicatura persuasiva di Platone –
filosofia italiana – filosofia giudaea – filosofia nel ventennio fascista -- Luigi
Speranza (Gorizia). Filosofo. Grice: “It’s difficult to grasp
Michelsteadter’s implicature: his study on ‘persuasion’ is brilliant – he was a
close reader of Plato, and he uses figurative language, as ‘il giovane divino.’
My favourite is his account of the persuasive rhetoric of Cicero.” Grice:
“Michelsteadter plays with the etymology of persuasion, which is cognate with
‘suave,’ as it should – sweet talk, we should say – which I could make into a
maxim which would not be strictly ‘conversational’ unless under the category of
modus – ‘be sweet’ –But the sweetness applies in general to my framework: the
emissor aims to be sweet if he is going to try to influence the other, and will
be influenced by a sweeter co-emissor.” essential
Italian philosopher. Ultimo di quattro figli, da un'agiata famiglia. Il padre,
Alberto, dirige l'ufficio goriziano delle Assicurazioni Generali ed è
presidente del Gabinetto di Lettura goriziano. È un uomo colto, autore di
scritti letterari e di conferenze, rispettoso delle usanze tradizionali ma solo
formalmente, per rispetto borghese -- è, anzi, un laico, un tipico rappresentante
della mentalità materialistica. Il semitismo non sembra quindi incidere molto
sulla sua formazione culturale, che scoprire solo più tardi e con non poca
meraviglia di avere un antenato cabalista. Iscritto al severo Staatsgymnasium
cittadino, fa propria la rigida Bildung asburgica. Con le traduzioni dal greco
e dal latino ha i primi approcci colla filosofia. A iniziarlo sono
Schubert-Soldern, solipsista gnoseologico, secondo il quale tutto il sapere va
ricondotto alla sfera del soggetto; e l'amico Mreule che gli fa conoscere Il
mondo come volontà e rappresentazione, di cui resta traccia soprattutto ne La
Persuasione e la Rettorica. Nella soffitta di Paternolli, oltre a Schopenhauer,
legge e discute, con gli amici Nino e Rico, i tragici e i presocratici,
Platone, il Vangelo e le Upanishad; e poi ancora Petrarca, Leopardi, Tolstoj, e
l'amatissimo Ibsen. Conclusde gli studi ginnasiali e progetta di
iscriversi a giurisprudenza; in seguito abbandona l'idea e si iscrive alla
facoltà di matematica a Vienna. Ma l'anima è giàper dirla con Leopardi nel
primo giovanil tumulto verso un altrove che non riesce a riconoscere nella
ferrea logica matematica. Si iscrive al corso di Lettere dell'Istituto di Studi
Superiori Fiorentino, città in cui vivrà per quasi quattro anni e dove conoscerà,
fra gli altri, Chiavacci, futuro curatore delle sue Opere, ed Arangio-Ruiz,
noto filosofo. Continua a ritrarre, fra tratto espressionistico e schizzo
caricaturale, la varia umanità in cui s'imbatte, sia nei mesi di studio che nei
periodi di vacanza al mare e in montagna. Scrive moltissimo, in modo quasi
ossessivo, dalle lettere ai familiari (in particolare alla sorella Paula) alle
recensioni di drammi teatrali. Un evento luttuoso segna la sua vita: la morte,
per suicidio, del fratello Gino. Due anni prima si era suicidata anche una
donna da lui amata, Nadia Baraden. Mreule parte per l'Argentina. Questa
partenza è segnata da un evento significativo, una sorta di passaggio del
testimone. Si fa consegnare da Rico la pistola che porta sempre con sé. Completati
gli esami, ritorna a Gorizia e inizia la stesura della tesi di laurea,
assegnatagli da Vitelli, concernente i concetti di persuasione e di retorica in
Platone e Aristotele. La sua attività è febrile. Oltre alla Persuasione scrive
anche la maggior parte delle Poesie e alcuni dialoghi, tra cui spicca il
Dialogo della salute. Il suo isolamento diventa pressoché totale, mangia
pochissimo e dorme per terra, come un asceta. Vede solo la sorella e il cugino
Emilio. Comunica al padre che dopo la tesi non avrebbe fatto il professore, ma
che appena laureato sarebbe andato al mare, forse a Pirano o a Grado. Dopo
un diverbio con la madre, impugna la pistola lasciatagli da Mreule e si toglie
la vita. Sul frontespizio della tesi aveva disegnato una fiorentina, una
lampada ad olio, e aggiunto in greco: apesbésthen, «io mi spensi». Amici
raccolsero i suoi saggi, ora alla Biblioteca di Gorizia. Sepolto nel cimitero
ebraico di Valdirose (Rožna Dolina), oggi nel comune sloveno di Nova Gorica, a
poche centinaia di metri dal confine con l'Italia. La breve vita di
Michelstaedter scorrecome risulta dall'Epistolarioall'insegna di una volontà di
vivere continuamente illuminata dal desiderio di un altrimenti e di un altrove
metafisico che fa di lui un impulsivo, un irrequieto esploratore di linguaggi e
di mezzi espressivi, capace di spaziare dalla pittura alla poesia passando per
le ripide vette della filosofia. Nell'apologo dell'aerostato incluso ne La
Persuasione e la Rettorica, l'essenza del pensiero occidentale, la rettorica,
viene fatta risalire da Michelstaedter a un parricidio: quello di Aristotele
nei confronti di Platone. Questi, nella metafora costruita da Michelstaedter,
escogita un mechánema, una macchina volante per abbandonare il peso del mondo e
giungere all'assoluto. Maestro e discepoli riescono a librarsi negli alti spazi
del cielo, ma restano a metà strada, fra una mera contemplazione dell'essere e
del tempo e la nostalgia della terra e delle cure mondane. A riportarli sulla
terra ci pensa allora un discepolo più scaltro e intraprendente degli altri,
Aristotele, il quale, tradendo il maestro, fa scendere il mechánema restituendo
così a tutti la gioia d'aver la terra sicura sotto i piedi. Questa nostalgia
del mondo intelligibile platonico fa quindi di lui un discepolo di
Schopenhauer, più che di Nietzsche. La costituzione della metafisica è
per lui una storia di rettorici tradimenti, la vicenda di una verità dai grandi
persuasi tanto proclamata agli uomini quanto da questi disattesa e inascoltata.
Quanto io dico è stato detto tante volte e con tale forza che pare impossibile
che il mondo abbia ancor continuato ogni volta dopo che erano suonate quelle
parole. Lo dissero ai Greci Parmenide, Eraclito, Empedocle, ma Aristotele li
trattò da naturalisti inesperti; lo disse Socrate, ma ci fabbricarono su 4
sistemi... lo disse Cristo, e ci fabbricarono su la Chiesa. La persuasione è la
visione propria di chi ha compreso la tragicità della finitezza e ad essa vuol
tener fermo, senza ricorrere a quegli «empiastri»i kallopísmata órphnes, gli
«ornamenti dell'oscurità»che possano lenire il dolore scatenato da tale
consapevolezza. L'essere è finitezza che si rivela solo nella dimensione
tragica di una presenza abbacinante, ma gli uomini rigettano questa tragica
consapevolezza ottundendosi, pascalianamente, nel divertissement. Persuaso è
chi ha la vita in sé, chi non la cerca alienandosi nelle cose o nei luoghi
comuni della società perdendo l'irrinunciabile hic et nunc del proprio esserci,
ma riesce «a consistere nell'ultimo presente», abbandonando quelle illusioni di
sicurezza e di conforto che avviluppano chi vive abbagliato dalle illusioni
create dal potere, dalla cultura, dalle dottrine filosofiche, politiche,
sociali, religiose. È questa «la via preparata» dalla quale a tutti fa comodo
non discostarsi troppo; è questo restare perennemente attaccati alla vitala
philopsychìaa far sì che la "rettorica" trionfi sempre. La vita,
soffocata dalla ricerca dei piaceri, della potenza, finanche dalla presunzione
filosofica di possedere la via e quindi la vita stessa, non vive, perché in
ogni istante ciascuno rimane avvolto dalle cure per ciò che non è ancora o dal
rimpianto per ciò che non è più, mancando sempre l'attimo decisivo, quello che
i greci chiamavano kairós, il tempo propizio. Perciò nella vita facciamo
esperienza della morte, di quella «morte nella vita» cantataquasi una danse
macabrenel Canto delle crisalidi: «Noi col filo / col filo della vita / nostra
sorte / filammo a questa morte». Il pensiero di Michelstaedter procede di
conseguenza, per liberare il potenziale di tragicità dell'esistenza, attraverso
violente contrapposizioni concettuali (persuasione-rettorica, vita-morte,
piacere-dolore), senza alcun tentativo di mediazione dialettica. Michelstaedter
respinge, con un gesto iniziatico, l'idea di costruire una dottrina sistematica
della persuasione e della salute, in quanto «la via della persuasione non è
corsa da 'omnibus', non ha segni, indicazioni che si possano comunicare,
studiare, ripetere. Ma ognuno ha in sé il bisogno di trovarla e nel proprio
dolore l'indice, ognuno deve nuovamente aprirsi da sé la via, poiché ognuno è
solo e non può sperar aiuto che da sé: la via della persuasione non ha che
questa indicazione: non adattarti alla sufficienza di ciò che t'è dato». La
salvezza individuale è possibile solo in una singolarità irripetibile,
irriducibile, concentrata in sé. Il solipsismo di Michelstaedter è perciò
radicale: non ci sono vie, non ci sono cammini, c'è solo il viandante che nel
deserto dell'esistenza è «il primo e l'ultimo», crocefisso al legno della
propria sufficienza e schiacciato dalla croce di falsi bisogni. Poiché il mondo
è negatività assoluta, al pensiero non resta che negare questa stessa
negatività rifiutando i dati dell'immanenza: «Solo quando non chiederai più la
conoscenza conoscerai, poiché il tuo chiedere ottenebra la tua vita». Si tratta
di una sentenza di sapore quasi buddistico: non a caso Mreule enfatizzerà la
figura dell'amico descrivendolo come «il Buddha dell'occidente».
Produzione artistica La produzione poetica e quella pittorica di Michelstaedter
possono essere considerate un prolungamento e un completamento di questo
sentimento tragico e mistico. Come nel verso poetico egli tenta di esprimere
l'inesprimibile, di dire con parole ciò che sfugge al sistema di segni
codificato e perciò già da sempre istituito retoricamente, così nel segno
pittorico, nello schizzo rapido e scherzoso come nel ritratto composto e
meditato, traluce l'impossibilità di giungere a quella che Parmenide chiamava
la ben rotonda verità. Non siamo giocati solo dalle parole, ma anche dalle
immagini di una realtà fatta di colori e di forme che ci sfuggono nella loro
immediatezza e alterità, «come chi vuol veder sul muro l'ombra del proprio
profilo, in ciò appunto la distrugge». Anche l'arte e la poesia, come la
retorica filosofica, si rivelano infine per quello che sono: fragili orpelli di
cui si orna l'oscurità dell'essere e che ogni linguaggio escogitato dall'uomo
sarà sempre impotente a esprimere. Saggi: “Saggi” (G. Chiavacci, Sansoni,
Firenze); “Scritti scolastici, S. Campailla, Gorizia, Opera grafica e
pittorica, S. Campailla, Gorizia, Il dialogo della salute e altri dialoghi, S. Campailla,
Adelphi, Milano Poesie, S. Campailla, Adelphi, Milano, La Persuasione e la
Rettorica, Vladimiro Arangio-Ruiz, Formiggini, Genova, edizione critica S. Campailla,
Adelphi, Milano poi, con le Appendici critiche, ivi,). Epistolario, S. Campailla,
Adelphi, Milano nuova edizione riveduta e ampliata, ivi, Parmenide ed Eraclito. Empedocle, SE, Milano,
L'anima ignuda nell'isola dei beati. Scritti su Platone, D. Micheletti,
Diabasis, Reggio Emilia, Dialogo della
salute. E altri scritti sul senso dell'esistenza, a cura e con un
saggio introduttivo di G. Brianese, Mimesis, Milano, La melodia del
giovane divino, S. Campailla, Adelphi,
Milano La persuasione e la rettorica,
edizione critica, A. Comincini, Joker. Michelstaedter-Winteler, Appunti per una
biografia di Michelstaedter
Michelstaedter si riferisce, nell'Epistolario, al bonno Isacco Samuele
Reggio, confondendolo con il padre di questo, Abram Vita Reggio S.Campailla, Il segreto di Nadia B.,
Marsilio,. Da articoli di cronaca americani dell'epoca, si apprende che il
suicidio avvenne con un colpo di pistola alla tempia destra. La persuasione e la rettorica35 La persuasione e la rettorica Poesie La persuasione e la rettorica C.
Magris, Un altro mare Il dialogo della salute, Biografie e studi critici
Acciani Antonia, Il maestro del deserto. Carlo Michelstaedter, Progedit, Bari Arbo
Alessandro, Carlo Michelstaedter, Studio Tesi, Pordenone (Civiltà della memoria).
Arbo Alessandro, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana,. Arbo Alessandro, Il suono instabile. Saggi sulla filosofia
della musica nel Novecento, NeoClassica, Roma, Giuseppe Auteri, Metafisica
dell'inganno, Università degli Studi, Catania Aurelio Benevento, Scrittori
giuliani. Michelstaedter, Slataper, Stuparich, Otto/Novecento, Azzate, Giorgio
Brianese, L'arco e il destino. Interpretazione di Michelstaedter, Abano Terme
(PD), Francisci); Giuseppe A. Camerino, La persuasione e i simboli.
Michelstaedter e Slataper, Liguori, Napoli Sergio Campailla, Pensiero e poesia
di Carlo Michelstaedter, Patron, Bologna. Sergio Campailla, A ferri corti con la
vita, Comune di Gorizia Sergio Campailla, Controcodice, Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli Valerio Cappozzo, La passione, Les Cahiers d'Histoire de l'Art
nº2, Parigi Valerio Cappozzo, Il percorso universitario di dall'archivio dell'Istituto di Studi
Superiori, in Un'altra società. Carlo
Michelstaedter e la cultura contemporanea, S. Campailla, Marsilio, Venezia,
Un'introduzione, Luca Perego, Erasmo Silvio Storace e Roberta Visone,
AlboVersorio, Milano); L'Essere come Azione, Erasmo Silvio Storace,
AlboVersorio, Marco Cerruti, Carlo Michelstaedter, Mursia, 2Milano (Civiltà letteraria, Sez. italiana). Marco
Cerruti, Ricordi, L'Essere come Azione", Erasmo Silvio Storace,
AlboVersorio, Milano N. Cinquetti, Michelstaedter. Il nulla e la folle
speranza, Edizioni Messaggero, Padova Tracce del sacro nella cultura
contemporanea,). Paola Colotti, La persuasione dell'impersuadibilità. Saggio su
Carlo Michelstaedter, Ferv, Roma 2004. Giuseppe D'Acunto, La parola nuova.
Momenti della riflessione filosofica sulla parola nel Novecento, Rubbettino,
Soveria Mannelli Martino Dalla Valle, Dal niente all'impensato. Saggio su Carlo
Michelstaedter, Imprimitur, Padova Daniela De Leo, Michelstaedter filosofo del
"frammento" con Appunti di filosofia di Carlo Michelstaedter,
Milella, Lecce Daniela De Leo, Mistero e persuasione in Carlo Michelstaedter.
Passando da Parmenide ed Eraclito, Milella, Lecce Roberta De Monticelli, Il
richiamo della persuasione. Lettere (Marietti, Genova); Roberta De Monticelli,
Ricordo di una giovinezza,[ "Carlo Michelstaedter. L'Essere come
Azione", Erasmo Silvio Storace, AlboVersorio, Milano Martire della
persuasione", tesi di laurea di Massimo Mirizzi, Biblioteca Statale
Isontina, Gorizia Dialoghi intorno a Michelstaedter, Sergio Campailla,
Biblioteca Statale Isontina, Gorizia 1988. Eredità di Michelstaedter, Silvio
Cumpeta e Angela Michelis, Forum Edizioni, Udine Laura Furlan, L’essere
straniero di un intellettuale moderno, Lint, Trieste (Vie di fuga 6). L'immagine irraggiungibile.
Dipinti e disegni di Carlo Michelstaedter, Antonella Gallarotti, Edizioni della
Laguna, Mariano del Friuli, Galgano Andrea, Il vortice del nulla, in Mosaico,
Roma, Aracne, Mario Gabriele Giordano,
Il pensiero e l'arte di Carlo Michelstaedter, in "Riscontri", 1. Ora,
revisionato, in Id., Il fantastico e il reale. Pagine di critica letteraria da
Dante al Novecento, Napoli, Edizioni Scientifiche italiane, Innella Francesco,
Michelstaedter: frammenti da una filosofia oscura, Ripostes, Salerno-Roma (I
tascabili). Vincenzo Intermite, Carlo Michelstaedter. Società rettorica e
coscienza persuasa, Firenze Atheneum (collana Collezione Oxenford, C. Rocca,
Nichilismo e retorica. Il pensiero di Carlo Michelstaedter, ETS, Pisa (Biblioteca di "Teoria" 2). C. Rocca,
L’esperienza del senso, in «Il Cannocchiale», C. Rocca, Il motivo della
persuasione e il rapporto con Michelstaedter, in «Il Ponte», “Aldo Capitini,
persuasione e non violenza”, T. Raffaelli,
Claudio La Rocca, Esistenzialismo e nichilismo. Luporini e Michelstaedter,
«Belfagor», Claudio La Rocca, Prima e dopo la Persuasione. Interpretare
Michelstaedter, in Carlo Michelstaedter: l'essere come azione, E. Storace, AlboVersorio,
Milano, C. Rocca, La persuasione (e l'oratoria), «Humanitas», un classico del
Novecento, A. Michelis, C. Magris, Un altro mare, Garzanti, Milano, Biagio
Marin, Ricordo di Carlo Michelstaedter, in Studi Goriziani, A. Marroni, Filosofie dell'intensità. Quattro
maestri occulti del pensiero italiano contemporaneo, Mimesis, Milano (IF.
Itinerari filosofici). A. Marroni, L’estetica del 'farsi fiamma', in Estetiche
dell'eccesso. Quando il sentire estremo diventa grande stile, Quodlibet,
Macerata,; Fabrizio Meroi, «Michelstaedter, Carlo» in Il contributo italiano
alla storia del PensieroFilosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana
Treccani, Roma,. Angela Michelis, Il coraggio dell'impossibile, Città Nuova,
Roma (Idee). F. Muzzioli, Michelstaedter,
Milella, Lecce A. Negri, Il lavoro e la città. Un saggio su Carlo
Michelstaedter, Lavoro, Roma 1996. (I grandi piccoli 11). R. Peluso, L'identico
e i molteplici. Meditazioni michelstaedteriane, Loffredo, Napoli. Mario
Perniola, La "persuasione" tra marginalità e centralità, in "Eredità”
C. Cumpeta e A. Michelis, Udine, Forum Piero Pieri, Il pensiero della poesia.
Il Romanticismo della tragedia, Nautilus, Bologna Piero Pieri, "Esorcismo
e ironia nella critica del primo Michelstaedter", in «Il lettore di provincia»,
Piero Pieri, "Modelli di cultura alle origini della Persuasione di
Michelstaedter", in «Il lettore di provincia» P. Pieri, "Il rischio
dell'autoinganno (Una errata attribuzione di incisione a Carlo Michelstaedter)",
in «Metodi e ricerche» Piero Pieri,"La scienza del tragico. Saggio su
Carlo Michelstaedter", Bologna, Cappelli, P. Pieri, "Nello sguardo
della trascendenza. Intorno alla figura dell'ermafrodita e del satiro nella
Persuasione", in «Intersezioni», a. X, n. 1, P. Pieri, "Due diverse
ma non opposte interpretazioni de «La persuasione e la retorica» di Carlo
Michelstaedter", in Studi sulla modernità, F. Curi, Bologna, Clueb, P.
Pieri, "Per una dialettica storica del silenzio. La “vergogna” del
filosofo e l'autoinganno dello scrittore", in Eredità di Carlo Michelstaedter, Forum,
Udine, P. Pieri, "La differenza ebraica: grecità, tradizione e ripetizione
in Michelstaedter e altri ebrei della modernità", nuova edizione,
Pendragon, Bologna, P. Pieri, "Michelstaedter nel '900. Forme del tragico
contemporaneo", Transeuropa, collana «Pronto intervento», Massa,. Antonio
Piromalli, Michelstaedter, La Nuova Italia, P. Pulcina, Carlo Michelstaedter:
estetica. L'illusione della retorica, le ragioni del suicidio, Atheneum, Firenze);
G. Pulina, L'imperfetto pessimista. Lalli, Poggibonsi (Materiali di filosofia).
G. Pulina, "L'incompiuta imperfezione. Note sul pessimismo di
Michelstaedter", in «Storia, antropologia e scienze del linguaggio»,
Università degli Studi di Cassino, G. Pulina, "Capitini e Michelstaedter:
un dialogo sulla persuasione", «Satyāgraha», N Gabriella Putignano,
L'esistenza al bivio. La persuasione e la rettorica di Carlo Michelstaedter,
Stamen, Roma. M. Raschini, Michelstaedter, Marsilio, Venezia); M. Raschini,
Michelstaedter. La disperata devozione, Cappelli, Bologna Gaetano Chiavacci, Il
pensiero di Carlo Michelstaedter, articolo sul «Giornale critico della
filosofia italiana», Antonio Russo, Gaetano Chiavacci interprete di
Michelstaedter, in Carlo Michelstaedter
un secolo dopo, Marsilio, L. Sanò, Le ragioni del nulla. Il pensiero tragico
nella filosofia italiana tra Ottocento e Novecento, Città aperta, Troina, Laura
Sanò, Leggere La persuasione e la rettorica di Carlo Michelstaedter, Ibis, Como.
Licia Semeraro, Lo svuotamento del futuro. Note su Michelstaedter, Milella,
Lecce); G. Sessa, “Oltre la persuasion, Settimo
Sigillo, Roma Stella Vittori, Carlo Michelstaedter, FERV, Milano E.
Storace, L'Essere come Azione, E. Storace,
AlboVersorio, Milano. E. Storace, Thanatografie. Per un'estetica del morire in
Platone, Nietzsche, Heidegger, Michelstaedter e Rilke, Mimesis, Milano. G.
Taviani, Michelstaedter, Palumbo, Palermo (La scrittura e l'interpretazione). Marcello
Veneziani, Carlo Michelstaedter e la metafisica della gioventù, AlboVersorio,
Milano. Antonio Verri, Michelstaedter e il suo tempo, Longo Angelo,
Ravenna (Il portico). Roberta Visone,
L'incidenza di Schopenhauer sul pensiero di Carlo Michelstaedter, Liguori, [Archivio
di Storia della Cultura, Roberta Visone,
La via alla persuasione come deviazione dalla noluntas, in Carlo Michelstaedter. L'Essere come Azione, E.
Storace, AlboVersorio Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Catalogo Vegetti della letteratura fantastica,
Fantascienza. Carlo Raimondo Michelstaedter. Carlo Michelstaedter.
Michelstaedter. Keywords: l’implicatura di Platone. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Michelstaedter: retorica
e persuasione," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library,
Villa Grice, Liguria, Italia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Michelstaedter” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702931681/in/photolist-2mLP3hz-2mLJWVr-2mLGKEB-2mKPR43-2mKkr3W-2mKhebo-2mKfQeg-2mKfn1Z
Grice e
Mieli – l’uccello del paradiso; overo, la lingua perduta del desiderio – la
Paradisaeidae di Swinton -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Grice: “Speranza has
studied this; he calls it ‘Dorothea Oxoniensis,’ and indeed it is a joint
endeavour with C. R. Stevenson – who *knows*!” -- «Spero che la lettura di
questo libro favorisca la liberazione del desiderio gay presso coloro che lo
reprimono e aiuti quegli omosessuali manifesti, che sono ancora schiavi del
sentimento di colpevolezza indotto dalla persecuzione sociale, a liberarsi
della falsa colpa» (Elementi di critica omosessuale. M Attivista e
scrittore italiano, teorico degli studi di genere. È considerato uno dei
fondatori del movimento omosessuale italiano, nonché uno tra i massimi teorici
del pensiero nell'attivismo omosessuale italiano. Legato al marxismo
rivoluzionario, è noto soprattutto come eponimo del Circolo di cultura
omosessuale Mario Mieli e per il suo saggio Elementi di critica omosessuale
pubblicato nella sua prima edizione da Einaudi nel 1977. Mario Mieli
nacque a Milano nel 1952, penultimo dei sette figli di Walter Mieli e di
Liderica Salina. Il padre, ebreo e originario di Alessandria d'Egitto, viveva a
Milano dalla metà degli anni venti e aveva fondato con successo un'azienda di
filati, divenuta in seguito una delle più importanti nella torcitura e nella
lavorazione della seta. La madre, milanese, era insegnante di lingue.
Sposati dal 1936, durante la seconda guerra mondiale i coniugi Mieli erano sfollati
a Lora, frazione di Como. Mario crebbe in questa cittadina, pur mantenendo
forti legami con Milano dove il padre continuava a lavorare e a
risiedere. Il giovane Mario si stabilì definitivamente nel capoluogo
lombardo quando si iscrisse al liceo classico Giuseppe Parini, raggiunto due
anni dopo dalla sorella minore Paola, alla quale fu sempre molto legato. Già in
questi anni diede dimostrazione della sua viva intelligenza e dichiarò la
propria omosessualità. Secondo quanto testimoniato dal compagno Milo De Angelis,
nfondò un circolo di poesia che divenne anche un luogo di incontro per
omosessuali. Fu pienamente coinvolto nella contestazione ed evocò questo
periodo nel suo romanzo autobiografico Il risveglio dei faraoni. A causa
della sua miopia fu esonerato dal servizio militare alla fine del liceo, si
trasferì a Londra per perfezionare l'inglese, come già avevano fatto altri suoi
familiari. Qui frequentò il "Gay Liberation Front" venendo a contatto
con l'attivismo omosessuale nella sua fase più intensa, subito dopo i moti di
Stonewall. Tornato in Italia, fu, insieme ad Angelo Pezzana, tra i soci
fondatori del celebre Fuori! a Torino, prima associazione italiana del
movimento di liberazione omosessuale italiano. Convinto assertore di una
rivoluzione gay in chiave marxista, nel 1974 si allontanò dal Fuori! insieme a
tutta la cellula milanese dell'associazione quando questa si legò al Partito
Radicale. Nello stesso anno fondò a Milano i Collettivi Omosessuali
Milanesi e nel 1976 i Collettivi parteciparono al Festival del proletariato
giovanile di Parco Lambro, dove Mieli lanciò dal palco lo slogan Lotta dura,
Contronatura!. Si laureò in filosofia morale con una tesi, poi pubblicata con
modifiche, da Einaudi con il titolo di Elementi di critica omosessuale e che divenne
un fondamento delle teorie di genere in Italia e, in misura minore, all'estero,
venendo tradotto e pubblicato in inglese nel 1980 con il titolo Homosexuality
and liberation: elements of a gay critique ed in spagnolo con il titolo
Elementos de crítica homosexual dall'editrice Anagrama. Elementi fu uno dei
testi base dei collettivi autonomi gay. Mieli fu uno dei primi a
contestare apertamente le categorie di genere vestendosi quasi sempre con abiti
femminili. Nel frattempo si dedicava al teatro, destando scandalo nella
mentalità dell'epoca con opere come lo spettacolo La Traviata Norma. Ovvero:
Vaffanculo... ebbene sì! Dava volutamente scandalo anche per il modo in cui si
presentava, utilizzò anche immagini e ruoli per portare avanti la propria battaglia
dei diritti individuali inalienabili. Nel corso della sua esistenza, cercò di
superare i limiti, fece uso di droghe e si dette a pratiche sempre più estreme,
inclusa la coprofagia. Durante un viaggio a Londra, Mieli, vicino già
all'antipsichiatria, iniziò a interessarsi di psicoanalisi; ifu nuovamente
arrestato, quando, semi-nudo e in preda a una crisi psichica, fu fermato
nell'aeroporto di Heathrow, in cerca di un poliziotto con cui avere un rapporto
sessuale. Prima venne incarcerato, poi messo nella sezione psichiatrica del
Marlborough Day hospital, assistito dai familiari venuti dall'Italia in attesa
del processo. Venne ricondotto a Milano, dopo la condanna a pagare una
multa, e ricoverato in una clinica psichiatrica per un mese. Una volta dimesso,
su consiglio del suo psicoanalista G. Zapparoli, i genitori gli diedero un
appartamento autonomo. L'anno seguente viaggiò ad Amsterdam e di nuovo a Londra
e si laureò con lode in filosofia. Poco dopo lasciò l'appartamento che gli
avevano trovato e interruppe la terapia psichiatrica. Al V congresso del
Fuori!, che sancì la sua rottura col movimento e con A. Pezzana, Mieli prese la
parola, si dichiarò transessuale e parlò della sua esperienza di malattia
mentale («sono stato definito uno schizofrenico paranoide, sono stato in
ospedale, in manicomio per questo motivo») e di omosessualità. Dopo questo
periodo si dedicò alla stesura degli Elementi di critica omosessuale.
Negli ultimi anni di vita si dedicò all'esoterismo e all'alchimia, abbastanza
isolato dal resto del movimento omosessuale, e lavorando al romanzo Il
risveglio dei faraoni. Morì suicida infilando la testa nel forno della sua
abitazione di Milano dopo un lungo periodo di depressione. Tra i motivi del suo
gesto estremo fu l'ostruzionismo che il padre, influente industriale milanese,
aveva fatto per impedire la pubblicazione della sua ultima opera, Il risveglio
dei faraoni, ritenendolo troppo autobiografico e lesivo dell'onore famigliare.
A lui è intitolato il Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli sorto a Roma
nello stesso anno della morte. Il pensiero Il transessualismo universale
Il pensiero di Mario Mieli consiste nel ritenere che ogni persona è
potenzialmente transessuale se non fosse condizionata, fin dall'infanzia, da un
certo tipo di società che, attraverso quella che Mieli chiamava
"educastrazione", costringe a considerare l'eterosessualità come
normalità e tutto il resto come perversione. Per transessualità, non intende
quello che si intende oggi nella comune accezione del termine, ma l'innata
tendenza polimorfa e "perversa" dell'uomo, caratterizzata da una
pluralità delle tendenze dell'Eros e da l'ermafroditismo originario e profondo
di ogni individuo. La liberazione omosessuale in chiave marxista fu tra i
primi studiosi ed attivisti del Movimento di Liberazione Omosessuale Italiano,
accanto a Castellano,Consoli, Modugno e
Pezzana. Tutti partivano dalla certezza che la liberazione
dall'ancestrale omofobia dovesse fondarsi sulla consapevolezza della propria
identità, censurata fin dalla nascita dalla cultura dominante, da loro ritenuta
antropologicamente sessuofoba e pervicacemente omofoba. Da queste basi
partivano per abbattere la discriminazione pluri-secolare nei confronti di chi
non si identificava nella sessualità assiomaticamente definita come naturale e
normale. Abbracciò immediatamente il marxismo, cercando di rimodularlo sulle
istanze della lotta di liberazione ed emancipazione omosessuale e ritenendo la
società capitalista intrinsecamente omofoba. Rilettura della psicanalisi
Negli Elementi di critica omosessuale, volle rielaborare alcuni degli spunti
teorici della teoria della sessualità di Freud, attraverso la lettura che, tra
gli anni Cinquanta e Sessanta, ne aveva fatto
Marcuse. Marcuse, infatti, in opere come “Eros e civiltà e L'uomo a una
dimensione aveva voluto fondere marxismo e psicanalisi. Fu proprio Freud,
infatti, a sostenere che l'orientamento sessuale poteva prendere qualsiasi
"direzione", riconducendo eterosessualità e "omosessualità a
semplici varianti della sessualità umana in senso lato. Una non escluderebbe
l'altra, e anzi, in potenza, tutti saremmo pluri-sessuali,
"polimorfi" o, più semplicemente, bi-sessuali. In base a questa
riflessione, riteneva che si dovesse denunciare come assurda e inconsistente
l'opposizione ideologica "eterosessuale" vs "omosessuale",
essendo viziato il principio stesso di "mono-sessualità". A questa
prospettiva unilaterale, che riteneva incapace di cogliere la natura
ambivalente e dinamica della dimensione sessuale, Mieli ha preferito opporre un
principio di eros libero, molteplice e polimorfo. Per Mieli era tragicamente
ridicola «la stragrande maggioranza delle persone, nelle loro divise mostruose
da maschio o da "donna.” Se il travestito appare ridicolo a chi lo
incontra, tristemente ridicolissima è per il travestito la nudità di chi gli
rida in faccia». Tim Dean, psicoanalista dell'Buffalo, che redasse
l'appendice dell'edizione Feltrinelli di Elementi di critica omosessuale,
afferma: «Nel processo politico di ristrutturazione della società, Mieli non
esita a includere nel suo elenco di esperienze redentive la pedofilia, la
necrofilia e la coprofagia» e «ridefinisce drasticamente il comunismo
descrivendolo come riscoperta dei corpi (...) In questa comunicazione alla
Bataille di forme materiali, la corporeità umana entra liberamente in relazioni
egualitarie multiple con tutti gli esseri della terra, inclusi "i bambini
e i nuovi arrivati di ogni tipo, corpi defunti, animali, piante, cose"
annullando "democraticamente" ogni differenza non solo tra gli esseri
umani ma anche tra le specie». A questa rivoluzione sociale sono di
ostacolo determinati elementi, ritenuti da Mieli come «pregiudizi di certa
canaglia reazionaria» che, trasmessi con l'educazione, hanno la colpa di
«trasformare troppo precocemente il bambino in adulto eterosessuale». Il
tema della pedofilia Da provocatore dei "benpensanti", quale è stato
tutta la breve vita, facendo esplicitamente riferimento a Freud, Mieli affrontò
a modo suo anche il tema della sessualità infantile, per questo andando
incontro a forti critiche. I bambini, secondo il pensiero di Mieli, potevano
"liberarsi" dai pregiudizi sociali e trovare la realizzazione della
loro "perversità poliforme" grazie ad adulti consapevoli di quanto
sopra asserito: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non
tanto l'Edipo, o il futuro Edipo, bensì l'essere umano potenzialmente libero.
Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente
rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia
aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l'amore con loro.
Per questo la pederastia è tanto duramente condannata. Essa rivolge messaggi
amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza,
educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. La società
repressiva eterosessuale costringe il bambino al periodo di latenza; ma il
periodo di latenza non è che l’introduzione mortifera all’ergastolo di una
«vita» latente. La pederastia, invece, «è una freccia di libidine scagliata
verso il feto» (Francesco Ascoli)» (Elementi di critica omosessuale).
Nella nota 88 si legge: «Per pederastia intendo il desiderio erotico
degli adulti per i bambini (di entrambi i sessi) e i rapporti sessuali tra adulti
e bambini. Pederastia (in senso proprio) e pedofilia vengono comunemente usati
come sinonimi» (Elementi di critica omosessuale). Il tema dell'alterazione
psichica, della follia Mieli faceva uso di sostanze stupefacenti, attraverso le
quali mirava a superare lo stato di normalità in cui riteneva le persone
intrappolate. Riteneva che nevrosi, follia, paranoia, delirio e, soprattutto,
la schizofrenia, al pari dell'omosessualità fossero caratteristiche latenti in
tutti gli esseri umani e, con riferimento a Jung, che tali condizioni
permettessero «la (ri)scoperta di quella parte di noi che Jung definirebbe
“Anima” oppure “Animus”». In riferimento all'omosessualità, considerava che
potesse essere una porta verso il lato inesplorato della personalità, in analogia
con la follia: “La paura dell’omosessualità che distingue l’homo normalis è
anche terrore della “follia” (terrore di se stesso, del proprio profondo).
Così, la liberazione omosessuale si pone davvero come ponte verso una
dimensione decisamente altra: i francesi, che chiamano folles le checche, non
esagerano». Opere: “Comune futura,” “Elementi di critica omosessuale,
Einaudi, Torino, Elementi di critica omosessuale, G. Barilli e P. Mieli,
Feltrinelli, Milano, Elementi di critica
omosessuale, G. Barilli e Paola Mieli, Feltrinelli, Milano, “Il risveglio dei
faraoni,” preservato da Marc de' Pasquali e Umberto Pasti, Cooperativa Colibri,
Milano, “Il risveglio dei faraoni,” Alfonso Sarrio Solidago, dR, Milano, “Oro, eros e armonia,” G. Silvestri e A.Veneziani,
Edizioni Croce, Oro, eros e armonia, Gianpaolo Silvestri e Antonio Veneziani,
Edizioni Croce, “E adesso,” S. Laude,
Clichy, Teatro La Traviata Norma.
Ovvero: Vaffanculo... ebbene sì!, Film “Gli anni amari, regia di A. Adriatico..
T. Giartosio, Perché non possiamo non
dirci: letteratura, omosessualità, mondo, Feltrinelli, G. Barilli, Il movimento gay in Italia,
Feltrinelli, L. Schettini, Mario Mieli, in Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ideologia. Progetto
omosessuale rivoluzionario, in Elementi di critica omosessuale, Dizionario
Biografico degli Italiani, in Treccani, Trascrizione del suo intervento in
congresso nazionale del “Fuori!”, in Fuori!
rancobuffoni/files/pdf/gp_leonardi_mieli.pdf
Mieli, artista contro la violenza, in La Stampa, Elementi di critica omosessuale, Einaudi,
Mario Mieli. Elementi di critica omosessuale. Milano, Einaudi, Estremo e
dimenticato. Storia di un intellettuale provocatore., in Treccani Il tascabile,
Mieli, Mario., Mieli, Paola. e Rossi Barilli, Gianni., Elementi di critica
omosessuale Il risveglio dei Faraoni, in A. Solidago, PRIDE, Milano, dR
Edizioni, Silvestri, Gianpaolo, L'ultimo Mario Mieli: Oro Eros Armonia:
contributi di Ivan Cattaneo e A. Veneziani, 2 ed. riveduta e corretta, Libreria
Croce, De Laude, Silvia,, Mario Mieli: e adesso, A. Pezzana. La politica del corpo. Roma,
Savelli, E. Modugno. La mistificazione eterosessuale. Milano, Kaos. S. Casi.
L'omosessualità e il suo doppio: il teatro di Mario Mieli. Rivista di
sessuologia (numero speciale L'omosessualità fra identità e desiderio,Francesco
Gnerre. L'eroe negato. Milano, Baldini e Castoldi, M. Philopat, Lumi di punk:
la scena italiana raccontata dai protagonisti, Milano, Agenzia, Concetta
D'Angeli, Teatro Talento Tenacia... Mario Mi"Atti&Sipari" Circolo
di cultura omosessuale Mario Mieli Fuori! Marc de' Pasquali Movimento di
liberazione omosessuale Omosessualità Queer Storia dell'omosessualità in Italia
Studi di genere Teoria queer Transessualismo Altri progetti Collabora a
Wikiquote Citazionio su Mario Mieli Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia
Commons contiene immagini o altri file su Mario Mieli Biografia, in italiano, su culturagay. Chi
era Mario Mieli (articolo sul gay.tv),
su gay.tv Circolo di cultura omosessuale "Mario Mieli", su
mariomieli.org. Mario Mieli. Mieli. Keywords: l’uccello del paradiso; overo, la
lingua perduta del desiderio. Refs. Luigi Speranza, “Grice e Mieli” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703242528/in/photolist-2mLQCG1-2mLK5uQ
Grice e Miglio – implicatura ligure
– la LIGVRIA e la PADANIA -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Como). Filosofo. Grice: “Berlin, who thought was a philosopher,
ended up lecturing on the history of ideas, i..e. ideology – Miglio defines
ideology so simply that would put Berlin to shame: an ideology is what
politicians propagate to reach or buy consensus!” -- essential Italian philosopher. Sostenitore
della trasformazione dello Stato italiano in senso federale o, addirittura,
confederale, fra gli anni ottanta e i novanta è considerato l'ideologo
della Lega Lombarda, in rappresentanza della quale fu anche senatore, prima di
"rompere" con Umberto Bossi dando vita alla breve stagione del
Partito Federalista. Polo scolastico "Gianfranco Miglio"
ad Adro. Costituzionalista e scienziato della politica, fu senatore della
Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura. Ha insegnato presso
l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ove fu preside della Facoltà
di Scienze politiche dal 1959 al 1989. È stato allievo di Alessandro Passerin
d'Entrèves e Giorgio Balladore Pallieri, sotto la cui docenza si è formato sui
classici del pensiero giuridico e politologico. Colpito da ictusnon si
riprese e morì ottantatreenne nella sua stessa città natale, Como, circa un
anno dopo. Il funerale si tenne a Domaso, sul Lago di Como, comune d'origine
del padre e sede di una villa nella quale il professore si rifugiava spesso; in
seguito Miglio è stato tumulato nel locale cimitero, a fianco dei membri della
sua famiglia. Laureatosi in Giurisprudenza all'Università Cattolica
con la tesi, “Origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali
pubbliche nell'età moderna”, evitò l'arruolamento per la Seconda guerra
mondiale a causa di un difetto uditivo congenito, e poté divenire assistente
volontario alla cattedra di Storia delle dottrine politiche, che d'Entreves
tenne sino alla fine degli anni quaranta nella medesima università.
Libero docente, si dedicò negli anni cinquanta allo studio delle opere di
storici e giuristi, soprattutto tedeschi: dai quattro volumi del Deutsche
Genossenschaftsrecht di Otto Von Gierke, ai saggi di storia amministrativa di
Otto Hintze, alcuni dei quali, negli anni seguenti, vennero tradotti in
italiano dal suo allievo e ferrato germanista Schiera (O. Hintze, Stato e società,
Zanichelli). Fu di quegli anni l'incontro di Miglio con l'immensa
produzione scientifica di Weber: il professore comasco fu uno dei primi ad aver
studiato a fondo “Economia e Società”, l'opera più importante del sociologo
tedesco che era stata completamente trascurata in Italia. Sviluppo del
lavoro scientifico Miglio storico dell'amministrazione Alla fine degli anni
cinquanta, Miglio fondò con il giurista Feliciano Benvenuti l'ISAP Milano
(Istituto per la Scienza dell'Amministrazione Pubblica), ente pubblico
partecipato da Comune e Provincia di Milano, di cui ricopri per alcuni anni la
carica di vicedirettore. In un saggio memorabile intitolato Le origini della
scienza dell'amministrazione, il professore comasco descriveva con elegante
chiarezza le radici storiche della disciplina. L'interesse per il campo
dell'amministrazione era dovuto in quegli anni alle politiche pianificatrici
che gli stati andavano conducendo per l'incremento della crescita
economica. La Fondazione italiana per la storia amministrativa Ben presto
Miglio sentì tuttavia l'esigenza di studiare in modo più sistematico la storia
dei poteri pubblici europei e, negli anni sessanta, costituì la Fondazione
italiana per la storia amministrativa: un istituto le cui ricerche vennero
condotte con rigoroso metodo scientifico. A tal proposito, il professore aveva
appositamente preparato per i collaboratori della fondazione uno schema di
istruzioni divenuto famoso per chiarezza e organicità. In realtà, fondando la
F.I.S.A. Miglio si era posto l'ambizioso obiettivo di scrivere una storia
costituzionale che prendesse in esame le amministrazioni pubbliche
esistite in luoghi e tempi diversi: in tal modo egli sarebbe riuscito a
tracciare una vera e propria tipologia delle istituzioni dal medioevo all'età
contemporanea, al cui interno sarebbero stati indicati i tratti distintivi o,
viceversa, gli elementi comuni di ogni potere pubblico. Ma v'era un'altra
ragione che aveva indotto Miglio a studiare i poteri pubblici in un'ottica,
come scriveva lui stesso, analogico-comparativa. Servendosi di un metodo
scientifico che Hintze aveva parzialmente seguito nella prima metà del
Novecento, il professore comasco intendeva definire l'evoluzione storica dello
stato moderno, storicizzando in tal modo le stesse istituzioni contemporanee.
La fondazione pubblicava tre collezioni: gli Acta italica, l'Archivio (diviso
in due collane: la prima riguardante ricerche e opere strumentali, la seconda
dedicata alle opere dei maggiori storici dell'amministrazione) e gli Annali.
Tra i più autorevoli lavori storici pubblicati nell'Archivio, si ricordano il
volume sui comuni italiani di Goetz e il famoso saggio di Vaccari sulla
territorialità del contado medievale. Nella prima serie alcuni giovani studiosi
poterono invece pubblicare le loro ricerche di storia delle istituzioni:
Gabriella Rossetti, allieva dello storico Cinzio Violante, vi diede alle stampe
un approfondito studio sulla società e sulle istituzioni nella Cologno Monzese
dell'Alto Medioevo; Adriana Petracchi pubblicò la prima parte di
un'interessante ricerca sullo sviluppo storico dell'istituto dell'intendente
nella Francia dell'ancien régime; occorre inoltre ricordare il poderoso volume
di Pierangelo Schiera sul cameralismo tedesco e sull'assolutismo nei maggiori
stati germanici. Su tutt'altro piano si poneva invece la collezione della
F.I.S.A. denominata Acta italica: al suo interno dovevano essere pubblicati i
documenti relativi all'amministrazione pubblica degli stati italiani
preunitari: è probabile che l'ispirazione per quest'ultima serie fosse
venuta a Miglio dallo studio delle opere di Hintze: verso la fine del XIX
secolo, lo storico tedesco aveva infatti scritto alcuni saggi
sull'amministrazione prussiana pubblicandoli negli Acta borussica,
un'autorevole collana che raccoglieva le fonti storiche dello stato degli
Hohenzollern. L'edizione dei lavori della commissione Giulini Tra i
volumi degli Acta italica, occorre ricordare l'edizione dei lavori della
Commissione Giulini curata da Nicola Raponi nel 1962, uno studio cui Miglio
tenne molto e di cui si servì, molti anni dopo, per la stesura del celebre
saggio su “Vocazione e destino dei lombardi” (in La Lombardia moderna, Electa, ripubblicato in
Miglio, Io, Bossi e la Lega, Mondadori). La commissionei cui lavori avevano
avuto luogo a Torino sotto la presidenza del nobile milanese Cesare Giulini
della Portaaveva il compito di elaborare progetti di legge che sarebbero
entrati in vigore in Lombardia nel periodo immediatamente successivo alla
guerra. Cavour, che in quegli anni ricopriva la carica di primo ministro,
voleva che il governo, nel sancire l'annessione dei nuovi territori al Piemonte
di Vittorio Emanuele, mantenesse separati gli ordinamenti amministrativi delle
due regioni, lasciando che in Lombardia continuassero a sussistere una parte
delle istituzioni austriache esistenti. Il saggio Le contraddizioni dello
stato unitario Nel saggio magistrale Le contraddizioni dello stato unitario scritto
in occasione del convegno per il centenario delle leggi di unificazione, Miglio
prese in esame gli effetti devastanti che l'accentramento amministrativo aveva
provocato nel sistema politico italiano. La classe politica italiana non fu
capace di elaborare un ordinamento amministrativo che consentisse allo stato di
governare adeguatamente un territorio esteso dalle Alpi alla Sicilia.
Ricorrendo a una felice similitudine, il professore scrisse che la scelta di
estendere le norme piemontesi a tutta Italia fu come "far indossare a un
gigante il vestito di un nano". Secondo Miglio, i nostri "padri della
patria", spaventati dalle annessioni a cascata e dalle circostanze
fortunose in cui era avvenuta l'unificazione, preferirono conservare
ottusamente gli istituti piemontesi, costringendo la stragrande maggioranza
degli italiani ad essere governati da istituzioni che, oltre ad essere
percepite come "straniere", si rivelarono palesemente
inefficienti. Nel saggio, Miglio aveva però messo in luce un altro dato
fondamentale; il professore scrisse che il paese, quantunque fosse stato
formalmente unito dalle norme piemontesi, continuò nei fatti a restare diviso
ancora per molti anni: le leggi, che il Parlamento emanava dalle Alpi alla
Sicilia, venivano infatti interpretate in cento modi diversi nelle regioni
storiche in cui il Paese continuava, nonostante tutto, ad essere naturalmente
articolato. Era il federalismo che, negato alla radice dalla classe politica
liberal-nazionale in nome dell'unità, si prendeva ora la rivincita traducendosi
in forme evidenti di "criptofederalismo".[senza fonte] Sono
inoltre fondamentali, nella sua formazione i saggi di Brunner. Di Brunner fa
tradurre svariati saggi, “Per una nuova storia costituzionale e sociale” (Vita
e Pensiero), ma promosse anche la pubblicazione dell'opera monumentale Land und
Herrschaft: in questo lavorouscito per la prima volta Brunner aveva preso in
esame la costituzione materiale degli ordinamenti medievali, ponendo in
evidenza i numerosi elementi di diversità tra la civiltà dell'età di mezzo e
quella moderna, soprattutto nel modo di concepire il diritto. La
traduzione di Land und Herrschaft, affidata inizialmente alle cure di Emilio
Bussi, sarebbe dovuta comparire nell'elegante collana della F.I.S.A. già negli
anni sessanta. Interrotto negli anni seguenti, il lavoro venne invece portato a
compimento solo nei primi anni ottanta dagli allievi Pierangelo Schiera e
Giuliana Nobili. Pubblicato da Giuffré con il titolo di "Terra e
potere", il capolavoro di Brunner apparve negli Arcana imperii, la collana
di scienza della politica di cui Miglio era divenuto direttore nei primi anni
Ottanta. Il professore comasco si occupò inoltre dei contributi recati alla
scienza dell'amministrazione da parte di altri due storici e giuristi tedeschi:
Lorenz Von Stein e Rudolf Gneist. La chiusura della FISA Negli anni
Settanta la F.I.S.A. dovette chiudere i battenti per mancanza di fondi. Il
professor Miglio, ricordando a distanza di tempo la fine di quell'autorevole
collana di storia delle istituzioni, ne espose le ragioni con un breve
commento: "Malgrado la sua efficienza, la F.I.S.A. ebbe vita breve: gli
enti che provvedevano al suo finanziamento, non scorgendo l'utilità
"politica" immediata della sua attività, strinsero i cordoni della
borsa". Miglio scienziato della politica e costituzionalista Negli
anni ottanta, il degenerarsi del clima politico in Italia indusse il professor
Miglio ad occuparsi di riforme istituzionali; egli intendeva contribuire in tal
modo alla modernizzazione del paese. Fu così che, raggruppando un gruppo di
esperti di diritto costituzionale e amministrativo stese un organico progetto
di riforma limitato alla seconda parte della costituzione. Ne uscirono due
volumi che, pubblicati nella collana Arcana imperii, vennero completamente
trascurati dalla classe politica democristiana e socialista. Tra le proposte
più interessanti avanzate dal "Gruppo di Milano"così venne definito il
pool di professori coordinati da Migliov'era il rafforzamento del governo
guidato da un primo ministro dotato di maggiori poteri, la fine del
bicameralismo perfetto con l'istituzione di un senato delle regioni sul modello
del Bundesrat tedesco, ed infine l'elezione diretta del primo ministro da
tenersi contemporaneamente a quella per la camera dei deputati. Secondo
il gruppo di Milano, queste e numerose altre riforme avrebbero garantito
all'Italia una maggiore stabilità politica, cancellando lo strapotere dei
partiti e salvaguardando la separazione dei poteri propria di uno stato di
diritto. Diversamente dalla F.I.S.A., la collana Arcana imperii era incentrata
esclusivamente sullo studio scientifico dei comportamenti politici. Il citato
volume di Brunner costituì pertanto un'eccezione perché, come si è avuto
modo di accennare, esso doveva essere pubblicato negli eleganti volumi della
F.I.S.A. già negli anni sessanta. All'interno della collana Arcana imperii
vennero invece inseriti saggi e contributi di psicologia politica, di etologia,
di teoria politica, di economia, di sociologia e di storia. Intende
costituire un vero e proprio laboratorio dove lo scienziato della politica,
servendosi dei risultati portati alla disciplina dalle diverse scienze
sperimentali, e in grado di conseguire una formazione che si ponesse all'avanguardia.
Vi vennero pubblicati più di trenta saggi. Si ricordano, tra gli altri: il
saggio di L. Ornaghi sulla dottrina della corporazione nel ventennio fascista,
l'edizione degli scritti schmittiani su Hobbes, la pubblicazione interrotta di alcune
opere di Stein, il trattato di diritto costituzionale di Smend. Degni di nota
anche i saggi di Mises e Hayek. I saggi di squisita fattura, non poterono
tuttavia eguagliare l'elegante veste tipografica di quelli pubblicati dalla
F.I.S.A., ed un identico destino parve accomunare le due collane: anche in
questo caso, e infatti costretto a sospendere le pubblicazioni. Alla sua
formazione contribuirono i saggi di Stein e Schmitt sulle categorie del
politico. In ogni comunità sono presenti due realtà irriducibili: lo “stato” e
la “società”. La società è il terreno della libera iniziativa, ove gli uomini
forti vincono sui deboli e tentano di stabilizzare le loro posizioni attraverso
l'ordinamento giuridico. Lo stato è invece il luogo ove regna il principio di
uguaglianza. Lo stato italiano o non può che identificarsi con la monarchia. Il
re d’Italia è infatti l'unica autorità in grado di intervenire a sostegno dei
più deboli. Un monarca, attraverso il potere di ordinanza, e in grado di
modificare la costituzioni giuridiche cetuali all'interno del suo territorio,
una politica che il re d’Italia puo condurre in porto non senza grosse
difficoltà, a vantaggio del BENE COMUNE. Questo e accaduto nel granducato di
Toscana e in Lombardia. Quando si sostene che il ruolo dello stato italiano
dove “contro-bilanciare” quello della “società”, si ha in mente il riformismo
illuminato. Ma la sua filosofia si pone all'interno di uno “stato liberale” e
parte dal presupposto che la monarchia, lungi dall'essere un potere assoluto,
dove comunque fare i conti con il potere della “società” attestato nel
parlamento. La omunità prospera solo quando “stato” e “società” sono in
equilibrio, ugualmente vitali ed operanti. Una comunità e dominata da due
realtà irriducibili. Lo stato italiano è una realtà storica inserita nel tempo
e, come tutte le creature e specie viventi, destinata a decadere, a scomparire
ed essere sostituita da altre forme di aggregazione politica. La società non e
solo economico-giuridica. E senza dubbio decisivo l'incontro con Schmitt, i cui
saggi sono trascurate dagli intellettuali italiani. L'aiuto che Schmitt presta
al regime hitleriano, in particolare nel sostenere la legalità delle leggi
razziali in un sistema di diritto internazionale, sono più che sufficienti per
oscurare in Italia la sua imponente produzione. I rapporti di Schmitt con il
nazismo sono di breve durata. Prende definitivamente le distanze da Hitler. Di
Schmitt apprezza i saggi di scienza politica e di diritto internazionale. Cura
assieme a Schiera l'edizione italiana di alcuni saggi pubblicati dal Mulino con
il titolo “Le categorie del politico”. Nella prefazione, si sofferma sui
decisivi contributi portati da Schmitt alla scienza politologica.
L'antologia desta scalpore nel mondo accademico. Bobbio sostenne che
destabilizza la sinistra italiana". È dall'incontro con la produzione di
Schmitt che riusce quindi a fabbricarsi gli strumenti per costruire una parte
importante del suo modello sociologico. L’essenza del politico è fondata sul conflitto
tra amico e nemico. E uno scontro all'ultimo sangue perché la guerra politica
porta normalmente all'eliminazione fisica dell'avversario. L’esempio più
emblematico di scontro politico fosse la guerra civile nella storia dell aroma
antica -- tra fazioni partigiane. Qui il tasso di conflittualità tra amico
(Catone) e nemico (Giulio Cesare) è sempre stato altissimo. Chi ha lo stesso
amico non può che avere lo stessi nemico del proprio compagno di lotta. Si crea
la solidarietà tra due membri (un gruppo) che è decisivo nella guerra
contro l’altro gruppo di nemici. Il rapporto politico è sempre esclusivo. Marca
l'identità del gruppo in opposizione a quella degli altri. L’avvento dello
stato italiano portato a due risultati di eccezionale portata storica. Primo:
la fine della guerre civile all'interno del territorio (le faide e le guerre confessionali)
con l'annientamento del ruolo politico detenuto sino a quel momento dalle
fazioni in lotta (dai partiti confessionali ai ceti). Da quel momento il
sovrano e il supremo garante dell'ordine all'interno dello stato, territorio
sempre più esteso ch'esso governa servendosi di un apparato amministrativo
regolato dal diritto. Il secondo grande risultato e per certi versi una
conseguenza del primo: l'avvento dello stato porta all'erezione di un sistema
di diritto pubblico europeo (ius publicum europeum) assolutamente vincolante
per i paesi che vi aderirono. Anche in questo caso, il tasso di politicità
(cioè l'aggressività delle parti in lotta, gli stati) venne fortemente
limitato. La guerra legittima, intraprese solo dagli stati, vennero condotte da
quel momento in base alle regole dello ius publicum europaeum. Si tratta quindi
di un conflitto a basso tasso di politicità, non foss'altro perché la vittoria
di una delle parti in lotta non puo portare in alcun modo all'annientamento
dell'avversario, il cui diritto di esistenza era tutelato dal diritto e
accettato da tutti gli stati. La crisi dello ius publicum europaeum,
divenuta palese alla fine della Grande Guerrae acuitasi ulteriormente con lo
scoppio delle guerre partigiane nei decenni successivi, resero palese a lui la
fine della regle de droit su cui si e fondato l'universo giuridico occidentale
nei rapporti internazionali tra stati sovrani. La guerra civile e, in modo
particolare, l'estrema politicizzazione avvenuta durante le guerre mondiali con
la criminalizzazione degli avversari lo persuasero che la fine dello ius
publicum europaeum era ormai compiuta. In questo, vide soprattutto il
fallimento della civiltà giuridica occidentale nel suo supremo tentativo di
fondare i rapporti umani unicamente sulle basi del diritto. Prende atto
della fine dello ius publicum europaeum ma non crede che tale processo segna la
fine del diritto e la vittoria definitiva delle leggi aggressive della
politica. Fondando il suo originale modello sociologico, sostenne che la
comunità e sempre rette su due tipi di rapporti: l'obbligazione politica e il
contratto-scambio. Lo stato e un autentico capolavoro perché, apportando un
contributo decisivo alla sua costituzione, il giurista e riuscioi a regolare la
politica inserendola in una norma fondata sulla RAZIONALITA del diritto,
sull'IM-PERSONALINTA del comando e sui concetti di CON-TRATTO e rappresentanza
-- elementi appartenenti alla sfera del contratto/scambio. Il crollo dello
ius publicum europeum ha però messo in crisi la stessa impalcatura su cui si
regge lo stato, che ora dimostra tutta la sua storicità. Non rimane legato
all'idea dell'organizzazione statale. La civiltà occidentale, stesse
attraversando una fase di transizione al termine della quale lo stato e probabilmente
sostituito da altre forme di comunità ove obbligazione politica e contratto/scambio
si reggeranno in un nuovo equilibrio. Lo stato e e giunto al capolinea. Il
progresso tecnologico e, in modo particolare, il più alto livello di ricchezza
cui erano giunti i paesi occidentali lo convinsero che negli anni successivi
sono avvenuti cambiamenti di portata radicale, tali da coinvolgere anche la
costituzione degli ordinamenti politici. Lo stato ha difficoltà nel garantire
servizi efficienti alla popolazione. Ciascun cittadino, vedendo
accresciuto il proprio tenore di vita in forza dell'economia di mercato,
sarà infatti portato ad avere sempre meno fiducia nei lenti meccanismi della
burocrazia pubblica, ch'egli riterrà inadeguata a soddisfare i suoi standard di
vita. L'elevata produttività dei paesi avanzati e la vittoria definitiva
dell'economia di mercato su quella pubblica porterà in altri termini a nuove
forme di aggregazione politica al cui interno i cittadini saranno desti contare
in misura molto maggiore rispetto a quanto non lo siano oggi nei vasti stati in
cui si trovano inseriti. Secondo il professore gli stati democratici, ancora
fondati su istituti rappresentativi risalenti all'Ottocento, non riusciranno
più a provvedere agli interessi della civiltà tecnologica del secolo XXI. Con
il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, si creano in altri
termini le premesse perché la politica cessi di ricoprire un ruolo primario
nelle comunità umane e venga invece subordinata agli interessi concreti dei
cittadini, legati alla logica di mercato. La fine degli stati moderni
porterà secondo Miglio alla costituzione di comunità neofederali dominate non
più dal rapporto politico di comando-obbedienza, bensì da quello mercantile del
contratto e della mediazione continua tra centri di potere diversi: sono i
nuovi gruppi in cui sarà articolato il mondo di domani, corporazioni dotate di
potere politico ed economico al cui interno saranno inseriti gruppi di
cittadini accomunati dagli stessi interessi. Secondo il professore, il mondo
sarà costituito da una società pluricentrica, ove le associazioni territoriali
e categoriali vedranno riconosciuto giuridicamente il loro peso politico non
diversamente da quanto avveniva nel medioevo. Di qui l'appello a riscoprire i
sistemi politici anteriori allo stato, a riscoprire quel variegato mosaico
medievale costituito dai diritti dei ceti, delle corporazioni e, in particolar
modo, delle libere città germaniche. Il professore studiò a fondo gli
antichi sistemi federali esistiti tra il medioevo e l'età moderna: le
repubbliche urbane dell'Europa germanica tra il XII e il XIII secolo, gli
ordinamenti elvetici d'antico regime, la Repubblica delle Province Unite e, da
ultimo, gli Stati Uniti. Ai suoi occhi, il punto di forza risiedeva
precisamente nel ruolo che quei poteri pubblici avevano saputo riconoscere alla
società nelle sue articolazioni corporative e territoriali. Miglio dedicò i
suoi ultimi anni allo studio approfondito di questi temi, progettando di
scrivere un volume intitolato l'Europa degli Stati contro l'Europa delle città.
Il libro è rimasto incompiuto per la morte del professore. L'impegno
politico diretto e il federalism. S iscrisse alla neonata Democrazia Cristiana,
che lascia quando divenne preside della Facoltà di Scienze politiche
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Miglio rimase comunque
legato culturalmente alla DC fnell'immediato domani della Liberazione, fu tra i
fondatori, a Como, del movimento federalista “Il Cisalpino”, con altri docenti
dell'Università Cattolica di Milano. Ispirato alle idee di Carlo Cattaneo, il
programma del “Cisalpino” prevedeva la suddivisione del territorio italiano su
base cantonale, secondo il modello svizzero, con la costituzione di tre grandi
macro-regioni (“nord”, “sud” e “centro”). Il suo nome e proposto per il
conferimento del titolo di Commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica
Italiana, ma una volta informato del fatto rifiuta di accettare l'onorificenza,
che venne annullata con un successivo decreto presidenziale. Si avvicina alla
Lega Nord. Eletto al Senato della Repubblica come indipendente nelle liste
della “lega nord” “lega lombarda” (da allora a lui fu attribuito l'appellativo
lombardo di Profesùr) lavora per il partito con l'intento di farne un'autentica
forza di cambiamento. Elabora un progetto di riforma federale fondato sul
ruolo costituzionale assegnato all'autorità federale e a quella delle tre macro-regioni
o cantoni (del Nord o, “Padania”, del Centro o Etruria, del Sud o Mediterranea,
oltre alle cinque regioni a statuto speciale). Questa architettura costituzionale
prevedeva l'elezione di un governo direttoriale composto dai governatori delle
tre macroregioni, da un rappresentante delle cinque regioni a statuto speciale
e dal presidente federale. Quest'ultimo, eletto da tutti i cittadini in due
tornate elettorali, avrebbe rappresentato l'unità del paese. I puntisalienti
del progetto, esposti nel decalogo di Assago vennero fatti propri dalla Lega
Nord solo marginalmente: il segretario federale, Umberto Bossi, preferì
infatti seguire una politica di contrattazione con lo stato centrale che
mirasse al rafforzamento delle autonomie regionali. Il dissenso di Miglio,
iniziato al congresso leghista di Assago, si acuì dopo le elezioni politiche,
dove fu rieletto al Senato, quando il professore si disse non d'accordo sia ad
allearsi con Forza Italia, sia a entrare nel primo governo Berlusconi.
Soprattutto Miglio non gradì che per il ruolo di ministro delle Riforme
istituzionali fosse stato scelto Francesco Speroni al suo posto. Bossi
reagì spiegando: «Capisco che Miglio sia rimasto un po' irritato perché non è
diventato ministro, ma non si può dire che non abbiamo difeso la sua
candidatura. Il punto è che era molto difficile sostenerla, perché c'era la
pregiudiziale di Berlusconi e di Fini contro di lui. Di fatto, il ministero per
le Riforme istituzionali a lui non lo davano. (Se Miglio vorrà lasciare la
strada della Lega, libero di farlo. Ma vorrei ricordargli che è arrivato alla
Lega nel '90 e che, a quell'epoca, il movimento aveva già raggranellato un
sacco di consiglieri regionali». In conclusione per Bossi, Miglio «pare che
ponga solo un problema di poltrone e la difesa del federalismo non è questione
di poltrone». In aperto dissidio con Bossi, lascia la Lega Nord dicendo di
Bossi. Spero proprio di non rivederlo più. Per Bossi il federalismo è stato
strumentale alla conquista e al mantenimento del potere. L'ultimo suo exploit è
stato di essere riuscito a strappare a Berlusconi cinque ministri. Tornerò solo
nel giorno in cui Bossi non sarà più segretario». Nonostante ciò,
moltissimi militanti e sostenitori leghisti continuarono a provare grande
simpatia e ammirazione per il professore e per le sue teorie. Alcuni dirigenti
della Lega tennero comunque vivo il dialogo con Miglio, in particolar modo Giancarlo
Pagliarini, Francesco Speroni e il presidente della Libera compagnia padana
Gilberto Oneto, al quale il professore era particolarmente legato. In
particolare Miglio fu in stretti rapporti con l'ex deputato leghista Luigi
Negri, col quale fondò il Partito Federalista. Eletto ancora una volta al
Senato, nel collegio di Como per il Polo per le Libertà, iscrivendosi al gruppo
misto. Negli anni in cui la Lega si spostò su posizioni indipendentiste,
il professore si riavvicinò alla linea del partito, sostenendo a più riprese la
piena legittimità del diritto di secessione della Padania dall'Italia come
sottospecie del più antico diritto di resistenza medievale. Miglio e la
mafia Nella sua originale riflessione sul contrasto tra i regimi giuridici "freddi"
e "caldi" Miglio sostenne la necessità di sviluppare, all'interno
delle diverse società e culture, ordini giuridici in grado di rispondere alle
specifiche esigenze. In maniera provocatoria, egli giunse a dichiararsi
favorevole al «mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta. Il Sud deve
darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos'è la mafia?
Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al
modello europeo, sarebbe un'assurdità. C'è anche un clientelismo buono che
determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune
manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate». La
sua riflessione puntava a cogliere quali fossero le ragioni profonde alla base di
mafia, camorra e 'ndrangheta (insieme a ciò che genera il consenso attorno a
queste organizzazioni criminali), perché solo istituzioni che sono in sintonia
con la comunitànel caso specifico, che non dimentichino la centralità del
rapporto personale piuttosto che impersonale nella società meridionalepossono
creare una vera alternativa al presente. Altre saggi: “La controversia sui
limiti del commercio neutrale: ricerche sulla genesi dell'indirizzo positivo
nella scienza del diritto delle genti,” Milano, Ispi, “La crisi
dell'universalismo politico medioevale e la formazione ideologica del
particolarismo statuale moderno,” in: "Pubbl. Fac. giurispr. Univ.
Padova", “La struttura ideologica della monarchia greca arcaica ed il
concetto "patrimoniale" dello Stato nell'eta antica, in: "Jus.
Rivista di scienze giuridiche", “Le origini della scienza
dell'amministrazione, Milano, Giuffrè,
“L'unità fondamentale di svolgimento dell'esperienza politica
occidentale, in: "Rivista internazionale di scienze sociali", “I cattolici
di fronte all'unità d'Italia, in: "Vita e pensiero",
“L'amministrazione nella dinamica storica, in: Istituto per la Scienza
dell'Amministrazione Pubblica, Storia Amministrazione Costituzione, Bologna, Il
Mulino, Le trasformazioni dell'attuale regime politico, in: "Jus. Rivista
di scienze giuridiche", “ Il ruolo del partito nella trasformazione del
tipo di ordinamento politico vigente. Il punto di vista della scienza della
politica, Milano, La nuova Europa editrice, L'unificazione amministrativa e i
suoi protagonisti, Vicenza, Neri Pozza, La trasformazione delle università e
l'iniziativa privata, in: Atti del I Convegno su: Università: problemi e
proposte, promosso dal Rotary Club di Milano-Centro Una Costituzione in
"corto circuito", in: "Prospettive nel mondo", Ricominciare
dalla montagna. Tre rapporti sul governo dell'area alpina nell'avanzata eta
industriale, Milano, Giuffrè, La
Valtellina. Un modello possibile di integrazione economica e sociale, Sondrio,
Banca Piccolo Credito Valtellinese, Utopia e realtà della Costituzione, in
"Prospettive del mondo", Posizione del problema. Ciclo storico e
innovazione scientifico-tecnologica. Il caso della tarda antichità, in
Tecnologia, economia e società nel mondo romano. Atti del Convegno di Como, Como,
Genesi e trasformazioni del termine-concetto Stato, in Stato e senso dello
Stato oggi in Italia. Atti del Corso di aggiornamento culturale dell'Università
cattolica, Pescara, Milano, Vita e pensiero, Guerra, pace, diritto. Una ipotesi
generale sulle regolarità del ciclo politico, in: Umberto Curi, Della guerra,
Venezia, Arsenale, Una repubblica migliore per gli italiani. Verso una nuova
costituzione, Milano, Giuffrè, Le
contraddizioni interne del sistema parlamentare-integrale, in: "Rivista
italiana di Scienza Politica", Considerazioni sulle responsabilità, in:
"Synesis, periodico dell'Associazione italiana centri culturali", Le
regolarità della politica. Scritti scelti raccolti e pubblicati dagli allievi,
Milano, Giuffrè, Il nerbo e le briglie
del potere. Scritti brevi di critica politica, Milano, Edizioni del Sole 24
ore, Una Costituzione per i prossimi trent'anni. Intervista sulla terza
Repubblica, Roma-Bari, Laterza, Per un'Italia federale, Milano, Il Sole 24 ore,
Come cambiare. Le mie riforme, Milano, Mondadori, Italia. Così è andata a
finire, con "Il Gruppo del lunedì", Collezione Frecce, Milano, A.
Mondadori, ed. Oscar Saggi, Disobbedienza civile, Milano, A. Mondadori, Io, Bossi e la Lega.
Diario segreto dei miei quattro anni sul Carroccio, Milano, A. Mondadori, Come
cambiare. Le mie riforme per la nuova Italia, Milano, A. Mondadori, Modello di
Costituzione Federale per gli italiani, Milano, Fondazione per un'Italia
Federale, Federalismi falsi e degenerati, Milano, Sperling & Kupfer,
Federalismo e secessione. Un dialogo, con Augusto Antonio Barbera, Milano, A.
Mondadori, Padania, Italia. Lo stato nazionale è soltanto in crisi o non è mai
esistito?, con M. Veneziani, Firenze, Le Lettere, Le barche a remi del Lario.
Da trasporto, da guerra, da pesca, e da diporto, con Massimo Gozzi e Gian
Alberto Zanoletti, Milano, Leonardo arte,
L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di
cambiare il loro destino, Vicenza, N. Pozza, L'Asino di Buridano. Gli italiani
alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino. Nuova edizione,
pref. di Roberto Formigoni, postf. di Sergio Romano, Varese, Edizioni Lativa, Gianfranco
Miglio: un uomo libero, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana,
Novara, Un Miglio alla libertà, audiolibro, coll. Laissez Parler, Treviglio, La
Libera Compagnia PadanaLeonardo Facco Editore); li articoli, coll. Quaderni
Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara,Gianfranco le interviste, coll.
Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese
con l'ultima occasione di cambiare il loro destino, pref. di Roberto Formigoni,
coll. I libri di LiberoMiglio n. 1, Firenze, Editoriale Libero); “Padania,
Italia. Lo stato nazionale è soltanto in crisi o non è mai esistito?” (Firenze,
Libero); “Federalismo e secessione. Un dialogo, con Augusto Antonio Barbera,
coll. I libri di LiberoMiglio n. 4, Firenze, Editoriale Libero, Disobbedienza
civile, coll. I libri di Libero; Firenze, Editoriale Libero, La controversia
sui limiti del commercio neutrale fra Giovanni Maria Lampredi e Ferdinando
Galiani, pref. di Lorenzo Ornaghi, Torino, Aragno, Gianfranco Miglio: scritti brevi, interviste,
coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, Lezioni di politica.
Storia delle dottrine politiche. Scienza della politica” (Bologna, Il Mulino); D.
Bianchi e A. Vitale, Bologna, Il
Mulino,Discorsi parlamentari, con un saggio di Claudio Bonvecchio, Senato della
Repubblica, Archivio storico, Bologna, Mulino,
L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di
cambiare il loro destino -- Opere scelte” (Milano, Guerini); Considerazioni
retrospettive e altri scritti, coll. Opere scelte, Milano, Guerini e
Associati, Lo scienziato della politica,
coll. Opere scelte di Gianfranco Miglio, a cura e con intr. di Stefano Bruno
Galli, Milano, Guerini,.Guerra, pace, diritto, La Nuova Guerra, [S.l.Milano],
Editrice La Scuola, 1 Scritti politici, Luigi Marco Bassani, coll. I libri del
Federalismo, Roma, Pagine, Modello di Costituzione Federale per gli italiani” (Torino,
G. Giappichelli); “La Padania e le grandi regioni, L'unità economico-sociale
della Padania” (Fano, Associazione Gilberto Oneto); “Il Cerchio,.C. Schmitt.
Saggi, D. Palano, Brescia, Scholé
Morcelliana); “Le origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche
internazionali pubbliche” (Torino, Aragno); “Vocazione e destino dei Lombardi”
(S.l.Milano); “Regione Lombardia, Prefazioni Gilberto Oneto, Bandiere di
libertà: Simboli e vessilli dei Popoli dell'Italia settentrionale. In appendice
le bandiere dei popoli europei in lotta per l'autonomia, Effedieffe, Milano,
Gianfranco Morra, Breve storia del pensiero federalista” (Milano, Mondadori);
“Governo della Padania, Manuale di resistenza fiscale” (Gallarate, Gilberto
Oneto, “Croci draghi aquile e leoni. Simboli e bandiere dei popoli
padano-alpini; Roberto Chiaramonte EditoreLa Libera Compagnia Padana,
Collegno); A. Sensini, Prima o seconda Repubblica? A colloquio con A. Bozzi e
Gianfranco Miglio, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, L. Ornaghi e A.
Vitale, Multiformità e unità della politica. Atti del Convegno tenuto in
occasione del compleanno, Milano, Giuffrè, Giorgio Ferrari, “Storia di un
giacobino nordista” (Milano, Liber internazionale); M. Bevilacqua, “Insidia mito
e follia nel razzismo”; "Il rinnovamento", A. Campi, “Figure e temi
del realismo politico europeo, Firenze, Akropolis/La Roccia di Erec, G. Capua,
Scienziato impolitico” (Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubbettino, Alessandro
Vitale, La costituzione e il cambiamento internazionale. Il mito della costituente,
l'obsolescenza della costituzione e la lezione dimenticata, Torino, CIDAS, Luca
Romano, Il pensiero federalista una lezione da ricordare. Atti del Convegno di
studi, Venezia, Sala del Piovego di Palazzo Ducale, Venezia, Consiglio
regionale del Veneto-Caselle di Sommacampagna, Cierre, F. Lanchester, Miglio
costituzionalista, Rivista di politica: trimestrale di studi, analisi e
commenti, Soveria Mannelli (Catanzaro),
Rubbettino. Damiano Palano, Il cristallo dell'obbligazione politica in ID., Geometrie
del potere. Materiali per la storia della scienza politica italiana, Milano,
Vita e Pensiero. Maroni: voglio riprendere l'eredità di Gianfranco
MiglioMiglioVerde, su miglioverde.eu. Bossi a sorpresa al convegno su Miglio a
Domaso:"Un grande"Ciao Como, su Ciao Como, la Repubblica/politica: È
morto su repubblica. Ticinonline COMO: Lunedì a Domaso i funerali. Riletture. Ariannaeditrice.
il ricordo. Terre di Lombardia, su terredilombardia.info. Francesco
D'Alessandro, Cristianesimo e cultura politica: l'eredità di otto illustri
testimoni, Paoline, Gianfranco Morra, La vita e le opere, La Voce di Romagna, 8
agosto 5. Il silenzio di Miglio fa paura
alla Lega Bossi: Pensa solo alla
poltrona. "Con Bossi è un amore finito" Miglio torna nell'arena: è l'occasione
buona Gianfranco Miglio, Una repubblica
mediterranea?, in Un'altra Repubblica?
Perché, come, quando, Laterza, Roma-Bari, Umberto Rosso, Miglio l'antropologo.
'Diverso l'uomo del Sud', in la Repubblica, «Non mi fecero ministro perché avrei distrutto
la Repubblica»TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. su senato, Senato della Repubblica. Associazione Openpolis. Istituto per la scienza dell'amministrazione
pubblica, su isapistituto. Interviste Intervista sulla Secessione della
Padania, su prov-varese.leganord.org. Commemorazione di Miglio nel 1º
anniversario della scomparsa di Alessandro Campi, su giovanipadani.leganord.org).
«Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica», Il Giornale,
1999, su newrassegna.camera. Interviste a Miglio sui "Quaderni della
Libera Compagnia Padana" su laliberacompagnia.org. Documenti politici
Sezione di approfondimento sul pensiero di Gianfranco Miglio, dal sito
ufficiale della Lega Nord. Gianfranco Miglio. Miglio. Keywords: implicatura
ligure. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e
Miglio," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia. Speranza “Saturdays and Mondays” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51684453227/in/photolist-2mKFrQ6-2mLNi1Z-2mLJPUG-2mLHPG3-2mLExs3-2mLGjg5-2mPwdz2-2mKFeJo-2mPxhsE-2mKQW9n-2mKG3XG-2mKCnei-2mKuZ8r-2mKCfz1-2mKA5tC-2mKbpiZ-2mPHbXQ-2mJq2uE-2mHWDhw-2mHP2NY-2mHP2Pe-2mHUmVG-2mHP2P9-2mHWDhB-2mHXCjU-2mHWEdV-2mHUmVM-2mHP3jY-2mGT6p1-2mKbKME-2mKbkhx-2mKsAas-2mKn8aQ-2mKuEyp-2mKszVu-2mKrapA-2mKszby-2mKn7M5-2mGnP2f-FXFiS4-DndBhH-hSTpSd-FVhkL3-ErqrPW-DhRHD2-DvhhWW-DeWyrT-CfbuaM-BFQviK-BDuNmW
Grice e
Millul --- la selezione sessuale di Nerone, il musicista – filosofia triestina
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). FIlosofo. Grice: “I
have been called a Darwinist, which offended de Lalla!” -- Figlio unico di
Achille de Lalla e Anna Millul. Il padre, nato a Napoli da famiglia
originaria di Tolve, aveva intrapreso la carrriera militare, giungendo a
ricoprire il grado di Tenente colonnello dell'esercito e congedandosi con il
grado di Generale dell'esercito. Prese parte alla Prima guerra mondiale nonché
alla Seconda guerra mondiale, dove rimase ferito alla spalla destra in Russia.
Fu in seguito Dirigente dell'Istituto per la Ricostruzione Industrial. Achille
de Lalla era figlio di Ludovico e di Maria Buonomo, figlia a sua volta di
Alfonso Buonomo, compositore e musicista napoletano di fama. La madre Anna Millul era nata a Roma in una
famiglia ebrea originaria di Livorno. SI
laurea, allievo dinKalinowski di cui tradusse in italiano il saggio
"Interpretazione giuridica e logica delle proposizioni normative". Scappò a Parigi, prendendo parte al Maggio.
Tuttavia, fu tra i primi ad intuire che il Partito Comunista francese non aveva
alcuna seria intenzione politica di sostenere la Contestazione e, in anticipo
sul fallimento dell'iniziativa giovanile, lasciò la Francia rientrando in
Italia deluso. Fu studioso di Evoluzionismo e Politologia, e sarà proprio sulle
sue teorie sull'Evoluzione umana e sul pensiero di Darwin che scrive l'opera
“La selezione sessuale”. Insegna a'Siena e Napoli. A testimonianza del grande
successo che riscuotevano i suoi corsi universitari, rimane la petizione
indetta dagli studenti affinché il Senato Accademico li prorogasse per un
biennio. Gli ultimi anni Ritiratosi a
vita privata, muore a Napoli nella tarda serata del 25 settembre d'infarto mentre attendeva alla redazione
della sua ultima opera.Est Deus in nobisContributo alla Nuova Evangelizzazione
e, nelle intenzioni dell'autore, avrebbe dovuto costituire il completamento
della trilogia iniziata con Evoluzione e proseguita con La Comunità
Democratica.Convinto assertore della superiorità del Diritto pubblico rispetto
a quello privato, si è sempre posto a tutela delle prerogative statuali. Convinto assertore dei rischi della dilagante
esterofilia in campo politico e fondamentalmente euroscettico negli ultimi anni
di riavvicinamento al cattolicesimo, ideò un progetto di edificazione di un
nuovo partito politico che, nelle sue teorizzazioni avrebbe assunto il nome di
PARTITO CRISTIANO COMUNITARIO (DEMOCRATICO) ITALIANO PCC(D)I. Saggi: “Il concetto legislativo di azione
penale” (Jovene, Napoli); “La scelta del rito istruttorio” ( Jovene, Napoli); “Logica
della prove penale” (Jovene Napoli); “La pena militare” (Jovene, Napoli); “Topografia
politica della repubblica” (Scientifiche, Napoli); “Il completamento
istruttorio del giudice nelle indagini preliminari in "Riv. it. dir. e
proc. pen."); “Evoluzione,” “Darwin e la selezione sessuale” (Salerno,
Roma); “ Selezione sessuale” (Scientifiche, Napoli); “La comunità democratica:
idee per una politica nuova” (Guida, Napoli) – concetto di KRATOS --“Comunitarismo”
(Guida, Napoli); “Nerone, o Musica nella antica Roma” (Guida, Napoli); “Composizioni musicali Per
pianoforte Sonata n.° 1 Suite "italiana" Sonata n.° 2 Sonata n.° 3
"napoletana" Musica da camera Sonata per violino e violoncello Sonata
per violino e pianoforte Sonata per violini, viola e violoncello Note de Lalla F., Una famiglia borghese, Ed.
Ibiskos de Lalla F., op. cit. in "Il foro penale" XXIII 1968
ilcambiamento,//ilcambiamento/articoli/evoluzione_2_darwin_de_lalla_millul.
ateneapoli,//ateneapoli/news/archivio-storico/reintegro-del-prof-de-lalla-il-consiglio-di-facolta--si-esprime-negativamente.
petizioni.com/petizione_pro_prof_paolo_de_lalla. Grice: “When I hear
that a philosopher has written yet another trattarello on the filosofia della
musica, I always thought not of Orpheus and his lute, but of NERO and his
lyre!” -- Paolo de Lalla Millul. Paolo de Lalla. Lalla. Keywords: evolutionary,
sexual selection, Nerone, filosofia della musica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Lalla” – The Swimming-Pool Library
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754336125/in/dateposted-public
Miraglia
(Reggio). Filosofo. Grice:
“Miraglia is the type of philosopher beloved by the Oxford hegelians; but then
he is a Neapolitan Hegelian!” Grice: “I always found Kant easier, but there’s
nothing like a ‘filosofia del diritto’ in Kant! And Hegel’s ethics itself,
compared to Kant’s is mighty more complex – that’s why I taught Kant!” Si
laureaall'Napoli, dopodiché insegnò filosofia del diritto nella stessa
università, ed economia politica alla Scuola superiore di agricoltura di
Portici. Seguì una corrente di pensiero
eclettica, ad esso contemporanea, che mirava all'integrazione di pratiche
giuridiche ed ispirazioni filosofiche. Fu sindaco di Napoli. Tra le più famose
si ricordano: “Condizioni storiche e scientifiche del diritto di preda
(Napoli); “Un sistema etico-giuridico” (Napoli); “Filosofia del diritto” (Napoli).
Nella sua biografia ufficiale per la Treccani è nato a Reggio nell'Emilia,
mentre nella sua scheda storico-professionale sul sito del Senato si riporta a
Reggio di Calabria Giuseppe Erminio.
Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, (latinista)
Sindaci di Napoli Senatori della XXI legislatura del Regno d'Italia Luigi Miraglia, su TreccaniEnciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl. su Senatori d'Italia, Senato della
Repubblica. I sistemi filosofici ed i principi del Diritto.
I.Laspeculazionegrecaeladottrinaromana— II.La Fichte.SpedalierieRomagnosi—
X.Gliscrittoridella reazione.Lascuolastoricae lascuolafilosofica.Schelling e
Scleiermacher — XI.Hegel XII. Rosmini. Herbart, Trendelenburg e Krause.Le varie
fasi della filosofia di Schelling. Sthal e Schopenhauer XII. Il materiali smo,
il positivismo ed il criticismo. L'idea della Filosofia del Diritto. La
Filosofiaelescienze.IlcaratteredellaFilosofiamo. CAPITOLO II. L'idea del
Diritto ed i metodi logici. L'induzione e la deduzione. L'induzione,
l'osservazione e l'esperimento. L'idea del Diritto naturale e quella del buono
civile di Amari ricavate dall'induzione. L'importanza del metodo storico-comparativo
secon do Vico , Amari , Post e Sumner-Maine. Parallelo fra lo sviluppo della
lingua e lo sviluppo del Di. ritto.L'induzione statistica.Ilcompitodelladedu.
zione. L'universale astratto e l'universale concreto come principi . . Parte
Generale. . pag. 89 . LIBRO PRIMO INDICE CAPITOLO I. derna divinato da
Vico.La Filosofia del Diritto come parte della Filosofia. L'idea umana del
Diritto se condo la dottrina di Vico,e le definizioni di Kant,
diHegel,diTrendelenburg,diRomagnosiediRo. smini. La teoria sociale e la teoria
giuridica. Il Di. ritto e la Filosofia positiva . pag.101 XII
L'ides induttiva del Diritto. Lo studio della coscienza etico-giuridica dei
vari popoli. Il contributo della razza ariana e della razza semi tica nella
storia della civiltà.L'idea del Diritto come misura nella razza ariana. La
misura riposta nel l'ordine fisico,nella legge positiva e nella ragione.pag.112
CAPITOLO IV. Il principio della personalità. Gli elementi organici e spi
rituali della persona e la loro corrispondenza. La spiegazione del
materialismo. La teorica dell'evolu zione. La critica dell'evoluzionismo
meccanico La teorica dell'evoluzione e la Psicologia. Il sentimento
fondamentale e le sensazioni. La coscienza e la sua origine.Le rappresentazioni
sensibili e le rappresen tazionicoscienti.Ilpensareelecategorie.La cogni zione
secondo l'empirismo oggettivo. La critica di questa teoria CAPITOLO VI. I
presupposti pratici dell'idea deduttiva del Diritto. Sviluppo e partizione.
L'istinto, il desiderio e la volontà.L'arbitrio e la liber. tà morale. La
costanza degli atti umani rivelata dalla Statistica.Ilfine dell'uomo ed il
bene.Ilbene umano ed il Diritto. La forma imperativa , proibi. CAPITOLO
III. I presupposti teoretici dell'idea deduttiva del Diritto. CAPITOLO V. Seguito
dei presupposti teoretici. .pag.124 pag.140 XIII tiva e permissiva
del Diritto. Il Diritto come prin cipio di coazione , di coesistenza e di
armonia. La tripartizione razionale del Diritto. La divisione di Gaio Analisi
critica delle principali definizioni del Diritto. Le
dottrinecheriguardanoapreferenzailcontenutosen sibile del Diritto: Hobbes,
Spinoza, Roussean, Stuart Mill e Spencer. Le dottrine che considerano il Di
ritto come astratta forma razionale:Kant,Fichte ed Herbart. Le definizioni di Krause
e di Trendelen burg.Ciò che vi è di vero nelle dottrine esaminate.pag.180
CAPITOLO VIII. Il Diritto, la Morale e la Scienza sociale. Il Diritto come
disciplina etica. I rapporti fra Morale e Diritto nella storia. Critica della
confusione e della separazione dei due termini. Il fondamento comune e la
differenza reale. L'Etica e la vita sociale.Vico, Süssmilch ed i fisiocrati
precursori della Scienza so ciale.La SociologiadiComte ed ivari indirizzi.La
Sociologia di Spencer.La Sociologia come Filosofia delle scienze sociali.Le
analogie tra la società e l'or. ganismo. Le relazioni fra il Diritto e la
Scienza so ciale . CAPITOLO IX. Il Diritto,l'Economia sociale e la Politica.
L'ordinamento sociale-economico ed i filosofi del Diritto antichi e moderni.
L'Etica , la Sociologia fondata sulla Biologia, la Politica e la Storia come
presup posti dell'Economia. Il carattere del fatto economi. co.I rapporti tra
ilDiritto e l'Economia.Il concet. pag.156 CAPITOLO VII. pag.203
XIV to della Politica. La Politica , la Scienza sociale , l'Etica ed il
Diritto. L'idea compiuta dello Stato CAPITOLO X. Il Diritto razionale ed il
Diritto positivo. Fonti ed applicazioni. CAPITOLO I. pag.221 pay.242 La
distinzione del Diritto razionale dal Diritto positivo in sé e nella storia. La
consuetudine ed il costume primitivo. La giurisprudenza ed i suoi uffici. La le
gislazione ed i codici. L'efficacia della legge nello spazio.L'efficacia della
legge nel tempo.Esame delle diverse teorie sulla retroattività . LIBRO SECONDO
-- Diritto Privato. La persona. I diritti essenziali o innati ed i diritti ac
cidentali o acquisiti. Il principio dei diritti. Il di ritto alla vita fisica e
morale. Il diritto alla liber tà.Idirittiall'eguaglianza,allasociabilitàed
all'as sistenza. Il diritto di lavoro . CAPITOLO II. Il concetto storico dei
diritti innati. I diritti dell'uomo nello stato di natura.Lo stato di na. tura
dei filosofi del secolo decimottavo in rapporto . La persona ed i suoi diritti.
pag.261 ХУ CAPITOLO III. Le persone incorporali. Lo scopo delle
persone incorporali. La teoria della fin. CAPITOLO IV. La proprietà e i modi di
acquisto. L a p r o p r i e t à e d il s u o f o n d a m e n t o r a z i o n a
l e . D o t t r i n e i n torno a questo fondamento. Le limitazioni ed i tem
peramenti della proprietà. I modi originari e deri vativi di acquisto CAPITOLO
V. La storia della proprietà e dei modi di acquisto. L'attività procacciatrice
dell'animale e dell'uomo.La storia della proprietà e la storia della persona.
La proprietà collettiva.La comunità di famiglia.IlCri. stianesimo ed il valore
della persona individua. Il feudo.La Riforma ed ilDiritto naturale.La com piuta
individuazione ed itemperamenti della proprie tà privata. I modi di acquisto
primitivi. Le distin zioni dei beni. L'usucapione, l'equità e la procedu. ra
civile. . pag.229 . ! pag.292 .pag.307 . all'ordine di natura dei
giureconsulti romani e dei filosofi greci.La teorica della conoscenza ed ilmodo
di concepire i diritti essenziali della persona. I di ritti innati e la Filosofia
moderna. Il regime dello status e del contratto . zione e dell'equiparazione.
La teoria che riguarda la persona incorporale come veicolo. La teoria del
patrimonio sui juris. Le idee dei pubblicisti tede schi.Il soggetto reale nella
corporazione e nella fon dazione. I diritti delle persone incorporali ed il jus
confirmandi dello Stato. La teoria di Giorgi. ? pag.321 XVI
CAPITOLO VI. La proprietá prediale. Il collettivismo territoriale. La teoria di
Wagner sulla proprietà dei fabbricati. La teoria di Spencer sulla proprietà del
suolo. La proprietà privata del suolo e la rendita. Le dottrine di George e di
Loria sul la terra CAPITOLO VII. La proprietà forestale e mineraria. Le
funzioni dei boschi. La libertà del taglio. Il vincolo e le sue ragioni. La
proprietà mineraria e le fasi della industria. La critica degli argomenti in
favo re del proprietario del suolo. La dottrina che attri buisce la miniera
allo scopritore . La merce lavoro ed il suo prezzo. Il lavoro come pro prietà.
La coalizione e lo sciopero. La giuria indu striale.La proprietà del capitale
ed il profitto.Il collettivismo ed il mutualismo. La teoria di Marx. La critica
del collettivismo e della teoria di Marx. Le coalizioni degl'intraprenditori .
CAPITOLO IX. La proprietà commerciale, il diritto di autore e di scopritore. Il
concetto della proprietà commerciale.La libertà dello scambio. La concorrenza.
La nozione primitiva del commercio. Il diritto di autore prima e dopo
l'in pag.345 pag.366 CAPITOLO VIII. La propriatå industriale. . . pag.381
CAPITOLO X. L a c l a s s i f i c a z i o n e d e i d i r i t t i s u l l
a c o s a a l t r u i. L e s e r v i t ù CAPITOLO XI. gimento dell'istituto
nelle legislazioni. Esposizione critica delle varie dottrine assolute e
relative. Il fon damento razionale.La critica della teoria di Ihering sulla
volontà di possedere CAPITOLO XII. Le obbligazioni. zioni. Le loro varie specie
e modalità. I differenti modi di estinzione . Il contratto e le sue
forme. XVII pag.407 pag.415 L'indole del possesso. La sua origine
storica. Lo svol L'obbligazione. La sua origine.Le fonti delle obbliga La
nozione del contratto. Le sue fasi ed il suo fonda. mento. I requisiti
essenziali. I vizî del consenso ed alcune recenti teorie. L'interpretazione dei
contrat ti. Le loro classificazione e le dottrine di Kant e di Trendelenburg.
pag.427 ·pag.437 venzione della stampa. Il suo fondamento ed il suo carattere.
La garentia del diritto dello scopritore I diritti reali particolari. e le loro
specie. In quali modi le servitù nascono , si esercitano e si estinguono.
L'enfiteusi. La super ficie. Il pegno e l'ipoteca. Il carattere del diritto di
ritenzione Il possesso. CAPITOLO XIII. pag.447 XVIII L a libertà di
contrarre ed il contratto di lavoro . La libertà di contrarre, i suoi limiti e
la sua guarentigia. CAPITOLO XV. L'interesse e la sua limitazione. La libertà
dell'interesse. L'usura ed i suoi procedimenti. L'usura come forma
dell'ingiusto civile ed i modi di combatterla. L'usu ra come delitto.Critica
della teoria di Stein.La fi gura specialedeldelittodiusura.La leggeela
vita.pag.471 CAPITOLO XVI . L a s o c i e t à , l a c a m b i a l e , il t r a
s p o r t o e a l c u n i c o n t r a t t i aleatori. Il contratto di società e
le sue forme. La società e la CAPITOLO XVII. CAPITOLO XIV. Il prestito
usurario. persona incorporale. Il regime dell'autorizzazione e della vigilanza.
La cambiale antica e la moderna. L'indole del contratto di trasporto.
L'assicurazione e le nuove teorie. Il giuoco . pag.483 pag.463 . La missione
sociale del Diritto privato. L'egnaglian. za delle parti nella locazione di
opera. I sistemi che regolano la responsabilità dell'intraprenditore negli
infortuni del lavoro. La famiglia primitiva. L accoppiamento e l'istinto di
riproduzione fra gli ani. mali.Le teoriediLucrezio e diVico.Le unioni pri
mitive. La famiglia femminile. L'erogamia ed il ratto. Gl'inizi e lo sviluppo
della famiglia patriar CAPITOLO XVIII. matrimonio.Le sue
condizioni.Il matrimonio civile. La precedenza del matrimonio civile. I
rapporti fra i coniugi. L'autorizzazione maritale. Il libro di B e bel e le
idee di Spencer. I sistemi con cui si rego lano i beni nel matrimonio .
L'indissolubilitá matrimoniale ed il divorzio. L'ideale dell'indissolubilità.
Le esigenze concrete della vita.La quistione del divorzio in rapporto ai
diritti individuali ed alle ragioni sociali e storiche. Il di. vorzio e la
Chiesa. Le cause di divorzio.Le cautele.pag.547 CAPITOLO X X . La tendenza a
rivivere in altri. Il fondamento e le fasi della patria potestà. La tutela,le
sue specie e la cu ra.L'adozione. I figli nati fuori del matrimonio.La ricerca
della paternità.La legittimazione . Idea, storia e fondamento della
successione. Il concetto dell'eredità. La successione legittima e la te.
stamentaria nella storia. La successione ed il culto degli antenati. Le
dottrine intorno al fondamento XIX cale. La progressiva individuazione
della parentela. Il processo di specificazioneela finedella famiglia.pag.498
L'amore come fondamento del matrimonio. L'idea del CAPITOLO XIX . CAPITOLO XXI.
La societá coniugale. .pag.524 La società parentale. pag.560 della
successione. Il condominio domestico ed il di. ritto di proprietà come basi
della successione. La successione legittima e la testamentaria. La prossimità
della parentela e del grado. La capacità XX pag.576 CAPITOLO XXII.
pag.590 di succedere. Le classi degli eredi. La rappresenta zione.La capacità
di testare e di ricevere per testa mento. Le specie di testamenti, La
legittima. Il di ritto di rappresentazione e la successione testamen
taria.L'errore nella causa finale ed impulsiva,e le condizioni.Il diritto di
accrescere.La sostituzione e la fiducia. I principi comuni ad ogni specie di
suc cessione. Il mondo romano è il mondo del volere, e quindi del
Diritto e della Politica.Il volere in siffatto mondo da un lato continua a
mostrarsi negli ordini superiori ed infles sibili dello Stato, e dall'altro
comincia a svolgersi in for ma di diritto individuale. Con il principio del
volere, di sua natura soggettivo, il Diritto privato non può non sor gere, e lo
Stato non può più per lunghissimo tempo conser vare le rozze sembianze d'una
organica oggettività natura le. In Roma il Diritto privato ė nei suoi primi
momenti stretto,ferreo ed arcano;poi è ampliato, oltre al divenire palese,
giovato , supplito e corretto dall'equità , ch'è lo stesso Diritto in
opposizione ad una legge, la quale non ha saputo attuarlo;alla fine è Diritto
umano,e per conseguen za proclama ilprincipio,che la schiavitù,istituto delle
gen tiecontronatura,nonriguardal'anima,echegliuomi ni innanzi al Diritto
naturale sono liberi ed eguali. Cicerone , il filosofo più alto del mondo
romano , non avendo coscienza scientifica della manifestazione del diritto
soggettivo , come atto dell'astratta potenza del volere, ė inferiore alla stessa
realtà romana.Egli non è autore di una filosofia propria , e segue da
ecclettico gli scrittori greci; professa il dubbio, non crede che la mente
possa Il vuoto soggetto , rappresentato dai Neoplatonici co me
oggetto , riceve ora tutta la sua concretezza , ed è in seno del Cristianesimo
determinato quale Verbo o mente assoluta. La Filosofia quinci innanzi s'informa
al principio soggettivo. L'uomo , immagine di Dio ed in carnazione del Verbo ,
si riabilita ; e lo Stato antico , perdendo il suo alto significato , è
costretto a rimpicco lirsi. La parte più intima dell'individuo non è più sot
toposta alla potestà politica , sibbene alle nuove creden ze , che in origine
si mantengono in quell'ambiente ce leste in cui sono nate , e si oppongono al
mondo anco ra pagano. L'Apostolo scorge una contraddizione tra gli stimoli
della carne e gl' impulsi dello spirito. Lattan zio crede che la vera giustizia
sia nel culto di Dio uni co, ignoto ai gentili.Agostino parla di una città
celeste, sede di verità e di giustizia, in antitesi alla città terre stre,
fondazione di fratricidi e prodotto del peccato pri 6 essere
assolutamente certa, é pago della semplice verosi miglianza.Nell'Etica elimina
ildubbio per leconseguenze dannose, e fa appello alla coscienza immediata, in
cui si ritrovano i germi della virtù, ed al consenso del genere umano , per
definire l'onesto e per stabilire alcuni pre supposti speculativi di esso.
Preferisce il principio etico degli Stoici, che tempera da uomo pratico ; trae
il Dirit to non dalle leggi delle dodici tavole o dall'editto, mą dalla natura
umana ; riproduce la teoria aristotelica del lo Stato, e si attiene alla forma
mista, propria degli or dinamenti politici di Roma .Luigi Miraglia. Miraglia.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miraglia” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Misefari – implicatura – filosofia italiana – implicature anarchica – filosofia
calabrese -- Luigi Speranza (Palizzi). Filosofo. ‘Io non sono
italiano; io sono calabrese!” -- . Fratello
di Enzo (politico calabrese del P.C.I., storico e poeta), di Ottavio
(calciatore reggino tra i più conosciuti nei primi anni del secolo; giocò nella
Reggina e nel Messina) e di Florindo (biologo, attivista della Lega Sovversiva
Studentesca e del gruppo "Bruno Filippi"). Dopo aver
frequentato la scuola elementare del piccolo paese di nascita in provincia di
Reggio Calabria, a undici anni si trasferì con lo zio proprio a Reggio Calabria.
Già da adolescente, influenzato dalle frequentazioni di socialisti e anarchici
in casa dello zio, partecipò attivamente alla fondazione e allo sviluppo di un
circolo giovanile socialista (intitolato ad A. Babel, rivoluzionario tedesco
dell'Ottocento). Iniziò a collaborare al giornale Il Lavoratore, organo della
Camera del Lavoro di Reggio Calabria, firmando gli articoli come "Lo
studente". Collaborò nello stesso periodo a Il Riscatto, periodico
socialista-anarchico stampato a Messina; e con Il Libertario, stampato a La
Spezia e diretto da Pasquale Binazzi. A causa della sua attività anti-militarista
esercitata all'interno del Circolo contro la Guerra italo-turca, fu arrestato e
condannato a due mesi e mezzo di carcere per «istigazione alla pubblica
disobbedienza». Fu nei due anni successivi che Bruno si convertì dal
socialismo all'anarchia. Ciò avvenne soprattutto con la frequentazione da parte
di Giuseppe Berti, suo professore di fisica presso l'"Istituto Tecnico
Raffaele Piria". Si trasferì a Napoli e si iscrisse al Politecnico,
dopo avere studiato fisica e matematica alle superiori, e anche per non
dispiacere al padre, proseguì tali studi. Pesò inoltre su questa decisione il
fatto che in quegli anni, dopo la tragica distruzione della città di Reggio
Calabria a causa del terremoto del 1908, il lavoro che garantiva le maggiori
certezze era proprio quello dell'ingegnere. Nondimeno continuò per proprio
conto gli studi a lui prediletti: politica, filosofia, letteratura, come aveva
fatto fino ad allora. A Napoli si fece subito avanti nell'ambiente anarchico.
Il movimento a Napoli contava allora di un centinaio di aderenti. Si
rifiuta di partecipare al corso allievi ufficiali a Benevento e fu condannato a
quattro mesi di carcere militare. Diserterà una seconda volta il 28 settembre
1916, trovando rifugio nella campagna del beneventano in casa di un contadino.
Tornato a Reggio Calabria, il 5 marzo 1916 interruppe una manifestazione
interventista nella centrale Piazza Garibaldi, salendo sul palco e pronunciando
un discorso antimilitarista. Venne per questo motivo arrestato e condotto
presso il carcere militare di Acireale; sette mesi dopo venne trasferito presso
quello di Benevento. Da lì riuscì ad evadere grazie alla complicità di un amico
secondino. Fu tuttavia intercettato alla frontiera del confine svizzero; ancora
incarcerato, riuscì nuovamente nella fuga. Tocca il territorio svizzero, ma i
gendarmi lo condussero al carcere di Lugano. Giunte dalla Calabria le
informazioni su di lui, essendo un uomo politico, dopo quindici giorni fu
lasciato libero con la facoltà di scegliere il luogo di residenza. Indicò
subito Zurigo, dove sapeva di potere rintracciare Francesco Misiano, suo caro
amico e noto esponente politico socialista, anche lui accusato di diserzione. A
Zurigo trovò ospitalità presso la famiglia Zanolli, dove si innamorò della
giovane Pia, che diventerà sua compagna di vita. Durante il periodo di
esilio in Svizzera, Bruno svolgeva attività politica tenendo i contatti con
Luigi Bertoni e con altri gruppi anarchici elvetici, collaborando anche al
giornale: Il Risveglio Comunista Anarchico. Svolse una serie di conferenze in
varie città della Svizzera. Bruno si autoannunciava con un suo pseudonimo
anagrammatico Furio Sbarnemi. A Zurigo frequenta la Cooperativa socialista di Militaerstrasse
36 e la libreria internazionale di Zwinglistrasse gestita dai disertori
Giuseppe Monnanni, Francesco Ghezzi e Enrico Arrigoni; in questi ambienti
conosce anche Angelica Balabanoff. Il 16 maggio 1918 venne arrestato per
un complotto inventato dalla polizia. Fu incolpato innocentemente con l'accusa
di avere fomentato una rivolta nella città e di «aver fabbricato bombe a scopo
rivoluzionario». Con lui furono arrestati diversi attivisti politici, tra i
quali lo stesso Francesco Misiano (che fu poi rilasciato perché socialista e
non anarchico). Rimase in carcere per sette mesi, e venne poi espulso dalla
Svizzera. Grazie ad un regolare passaporto per la Germania, ottenuto per
ragioni di studio, si recò a Stoccarda.Lì entrò in contatto con Clara Zetkin
(che gli rilascia una lunga intervista sul movimento rivoluzionario in
Germania) e Vincenzo Ferrer. Nell'ottobre nel 1919 poté rientrare in patria, in
seguito all'amnistia promulgata dal governo Nitti. -- è a Napoli e poi a Reggio
Calabria. E un periodo intenso per la sua vita militante di Bruno
Misefari. A Napoli partecipò come oratore a molte manifestazioni, si prodigò a
favore dei suoi compagni colpiti dalla repressione, denunciò le provocazioni
della polizia; tenne numerose conferenze e comizi. Con il dentista anarchico
Giuseppe Imondi, stampò alcuni numeri del giornale: L'Anarchia. In autunno fu
chiamato a Taranto a svolgere il compito di segretario propagandista presso la
locale Camera del Lavoro Sindacale. Tra la fine del 1920 e l'inizio del 1921
ebbe stretti contatti con Errico Malatesta, Camillo Berneri, Pasquale Binazzi,
Armando Borghi, Giuseppe Di Vittorio e altri esponenti dell'anarchismo e del
sovversivismo italiano. Nel 1921 si impegnò su più fronti per la campagna a
favore degli anarchici Sacco e Vanzetti. Nello stesso periodo e corrispondente
di: Umanità Nova, settimanale anarchico diretto da Errico Malatesta e collaborò
al periodico: L'Avvenire Anarchico di Pisa. Continuò i suoi studi a Napoli
con qualche salto a Reggio Calabria con la sua compagna Pia Zanolli, che sposò.
Si laureò a Napoli. Successivamente si iscrisse anche alla facoltà di
filosofia. Nonostante l'avvento del fascismo, fondò un giornale
libertario, “L'Amico del popolo,” che però dopo il quarto numero fu soppresso dalle
autorità. Nel primo numero del giornale,scrisse un editoriale dal titolo “Chi
sono e cosa vogliono gli anarchici.” Lo scritto è l'espressione del suo
pensiero libertario: «L'anarchismo è una tendenza naturale, che si trova
nella critica delle organizzazioni gerarchiche e delle concezioni autoritarie,
e nel movimento progressivo dell'umanità e perciò non può essere una
utopia.» Da esperto di geologia, progettò per primo in Calabria
l'industria del vetro e fondò a Villa S.Giovanni, la prima vetreria in Calabria
(Società Vetraria Calabrese). In quegli stessi anni subì però persecuzioni
continue da parte del regime. Fu cancellato dall'Albo di categoria e non poté
più firmare progetti. Gli venne mossa l'accusa di avere «attentato ai poteri
dello Stato, per il proposito di uccidere il re e Mussolini». Fu prosciolto
dopo venticinque giorni di carcere. La polizia ravvisò in un discorso di
commemorazione durante il funerale di un amico (tra l'altro un industriale
fascista, Zagarella) un'ispirazione anarchica e pertanto lo propose per
l'assegnazione al confino. Fu arrestato, in carcere si sposa con Pia Zanolli,
fu inviato per il confino, prigioniero a Ponza. Tuttavia sembra che tale
provvedimento fosse stato determinato da altri motivi. Misefari, che era
ingegnere minerario, si era attivamente impegnato nello sfruttamento su larga
scala di giacimenti di quarzo, materia prima per l'industria vetraria, che fino
a quell'epoca dipendeva, in gran parte, dai silicati stranieri. Assunto
come direttore tecnico della Società Vetraria Calabrese (di cui era stato
finanziatore e Presidente il succitato Zagarella) egli si era dovuto ben presto
scontrare con l'assenteismo e l'inettitudine del consiglio di amministrazione
che si schierò contro di lui con l'intenzione di eliminarlo in qualsiasi modo,
ricorrendo anche ad espedienti politici. Giustizia e Libertà, in un articolo
anonimo ddal titolo «Politica e affarismo. Il caso di un ingegnere libertario»,
attribuisce la causa del confino alle manovre dei suoi ex soci. Durante il
confino stringe amicizia con Torrigiani, Gran Maestro del Grande Oriente
d'Italia, il quale lo affilia alla Massoneria. L'amnistia del decennale
del fascismo lo liberò dal confino dopo due anni. Ma tornato in Calabria
vide il vuoto intorno a sé; scrive infatti a sua moglie: "Amnistiato sì,
però a quale prezzo: la salute sconquassata, senza un soldo, senza prospettive
per l'avvenire". Gli viene diagnosticata l'esistenza di un tumore alla
testa. Va e viene con la moglie da Zurigo a Reggio Calabria. Riesce a trovare il
capitale necessario per l'impianto di uno stabilimento per lo sfruttamento
della silice a Davoli (in provincia di Catanzaro). Le sue condizioni di
salute peggiorano a causa del tumore. Perde conoscenza, viene ricoverato in
stato gravissimo nella clinica romana del Senatore Giuseppe Bastianelli, e lì
si spense la sera stessa. Ancora ragazzo, studente, cominciò a ribellarsi
contro l'ingiustizia del mondo che lo circondava: Palizzi Superiore, un paese
tra i monti dove il castello feudale dei signori locali dominava la valle, dove
si ammucchiavano piccole e povere case desolate di contadini. E si ribellò a
quel mondo, costruito secondo quell'immagine topografica che portava impresso
nella memoria: sopra, chi comanda e non lavora, sotto, chi subisce e lavora. E
ancora ragazzo cominciò a sognare un mondo in cui quella gerarchia fosse
sovvertita prima, distrutta poi. Poteva scegliere di ispirarsi al socialismo
marxistico o al socialismo libertario. Del primo apprezzava l'analisi
dell'antagonismo tra le classi, ma mostrava perplessità circa i mezzi proposti
dalla diagnosi marxistica per fronteggiare il pericolo di una rivincita
dell'avversario di classe. Inclinò perciò verso il socialismo libertario.
«Nel comunismo libertario io sarò ancora anarchico? Certo. Ma non di meno sono
oggi un amante del comunismo. L'anarchismo è la tendenza alla perfetta felicità
umana. esso dunque è, e sarà sempre, ideale di rivolta, individuale o
collettivo, oggi come domani.» (Bruno MisefariTaccuino personale) La
scelta della diserzione fu coerente con il suo obiettivo di combattere non la
guerra degli stati, ma a fianco degli oppressi di tutto il mondo contro il loro
nemico, tenendo alta la bandiera dell'internazionalismo. Pur sottoposto senza
tregua alla persecuzione della polizia e all'inquisizione della magistratura,
fu sempre al suo posto accanto a coloro che lavoravano e soffrivano. Come ogni
rivoluzionario sincero e coerente, pagò col carcere e col confino la sua fede
in un ideale. Chi sono gli anarchici. SecondoMisefari, essere anarchici
voleva dire per prima cosa proclamare, contro ogni violenza, l'inviolabilità
della vita umana. Inoltre significava lottare per l'abolizione della proprietà
privata e a favore della socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio.
Proprio per questo gli anarchici sono, di fondo, dei socialisti. A questo
esperimento di vita sociale andava affiancata la lotta contro lo Stato, che ne
impediva la realizzazione. E la lotta contro lo Stato non poteva essere
vittoriosa se non con la rivoluzione. Dunque gli anarchici sono socialisti,
antistatali e rivoluzionari. Elemento fondamentale della lotta, secondo
Misefari, era l'allargamento di essa alla sfera internazionale. È comunque una
lotta che non si fa violenta. Misefari è fortemente pacifista, contrario
all'uso della forza e della violenza armata. L'anarchico è inoltre
antireligioso: la religione infatti è considerata "fattore di abbrutimento
per l'umanità". Antimilitarismo Per Misefari la guerra è pura
barbarie, speculazione capitalistica consumata in nome dello Stato.
«L'esistenza del militarismo è la dimostrazione migliore del grado di
ignoranza, di servile sottomissione, di crudeltà, di barbarie a cui è arrivata
la società umana. Quando della gente può fare l'apoteosi del militarismo e della
guerra senza che la collera popolare si rovesci su di essa, si può affermare
con certezza assoluta che la società è sull'orlo della decadenza e perciò sulla
soglia della barbarie, o è una accolita di belve in veste umana.»
Religione La religione è considerata come un anestetico delle facoltà critiche
della mente umana. Sarebbe proprio la religione a imprigionare le energie
morali dell'uomo, a inebetire lo spirito critico e di riflessione. Perciò i
popoli più religiosi sarebbero i meno progrediti e i più afflitti dalla
tirannia, mentre, laddove la religione sparisce, lì è florida la libertà e il
benessere. «È il più solido puntello del capitalismo e dello Stato, i due
tiranni del popolo. Ed è anche il più temibile alleato dell'ignoranza e del
male.» È forte nel pensiero di Misefari la volontà di sottolineare
l'uguaglianza sociale tra uomo e donna. In anni difficili e lontani dalle
battaglie del femminismo di metà Novecento, egli afferma che la donna nobilita
e abbellisce la condizione di vita umana. È dovere della donna lottare per
risollevarsi da una condizione di inferiorità, che è tale in virtù di un
"delitto sociale" e non dovuta a leggi di natura. «Donne, in
voi e per voi è la vita del mondo: sorgete, noi siamo uguali!» Misefari
vive di sogni, di ideali. Nella sua concezione non esiste un artista, che sia
poeta, filosofo, persino scienziato, che si sia mai messo al servizio della
menzogna. Se tutti potevano essere vili, un artista non poteva. «Un poeta
o uno scrittore, che non abbia per scopo la ribellione, che lavori per
conservare lo status quo della società, non è un artista: è un morto che parla
in poesia o in prosa. L'arte deve rinnovare la vita e i popoli, perciò deve
essere eminentemente rivoluzionaria. Poesia composta da Misefari: FALCO
RIBELLE. Un giovane falco che drizza il libero volo Ne l'alto, ove sono i
fulgori di soli immortali Un giovane falco ribelle o piccoli, io sono. Mi
spinge ne' campi ignorati, un acre desio Di sante ideali battaglie, di luce e
di gloria. Mi splende nell'occhio la speme di certe vittoria, Mi parla nel core
la voce sinfonica, dolce D'un caro sublime Pensiero, ch'è Bene ed Amore. Ho
giovini l'ale e robuste, o venti, o cicloni, O fulmini immani feroci, vi lancio
la sfida. Voi soli potete pugnare col giovine falco, Chè Luce, chè Forza, chè
Vita multanime siete. Ma voi, piccoli, no. Coi vermi guazzate nel fango, Dal
fango mirate del falco il libero volo.» Frammenti «Prima di pensare di
rivoluzionare le masse, bisogna essere sicuri di aver rivoluzionato noi stessi»
«Ogni uomo è figlio dell'educazione e della istruzione che riceve da fanciullo.
Gli Anarchici non seguono le leggi fatte dagli uominiquelle non li
riguardanoseguono invece le leggi della natura» «Prima l'educazione del
cuore, poi l'educazione della mente» «Socialismo vuol dire uguaglianza,
vuol dire libertà. Ma l'uguaglianza non può essere senza libertà; come la
libertà non può essere senza l'uguaglianza: dunque socialismo e anarchia sono
due termini dello stesso binomio, sono i due inseparabili fattori della
redenzione proletaria.» «Quando la giustizia non sarà la durda infame
delle tirannidi, quando l'amore non sarà deriso, quando il ferro non sarà legge
e l'oro non sarà dio, quando la libertà sarà religione e sola nobiltà il
lavoro, allora, solo allora, il mio rifiuto della guerra sarà benedetto.»
«M'è questa notte eterna assai men grave del dì che mi mostrò viltà dei forti e
pecorilità di plebi schiave. Lungi da quì il pianto: sto ben coi morti! (epitaffio) Opere complete Bruno Misefari,
Schiaffi e carezze, Roma, Morara, 1969. Bruno Misefari, Diario di un disertore,
La Nuova Italia, Entrambi i testi sono stati pubblicati postumi sotto lo
pseudonimo Furio Sbarnemi. Le schede biografiche di alcuni esponenti
anarchici calabresi, A/Rivista Anarchica, Antonioli, Antonioli, E.
Misefari. Antonioli, Pia Zanolli
era nata a Belluno. Dopo il matrimonio con Misefari, fu iscritta nell'albo dei
sovversivi pericolosi, venendo poi arrestata col marito a Domodossola (cfr.: A/Rivista
Anarchica) Chi sono e cosa vogliono gli
anarchici, ed. settembre. Antonioli, Pia Zanolli, L'Anarchico di
Calabria, Roma, La Nuova Italia, Utopia? No, Pia Zanolli, Roma, ALBA Centro
Stampa, E. Misefari, biografia di un fratello, Milano, Zero in condotta, M.
Antonioli, Gianpietro Berti, Santi Fedele, Pasquale Luso, Dizionario biografico
degli anarchici italianiVolume 2, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, Bruno
Misefari, Schiaffi, Carezze e altro, Pino Vermiglio, Laureana di Borrello,
Ogginoi, Furio Sbarnemi, Diario di un disertore, Camerano (AN), Gwynplaine,,Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Horizons
Unlimited srl. Bruno Misefari presso l'International Institute of Social
History di Amsterdam, su iisg.amsterdam,Fondo Bruno Misefari presso la
Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma, su fondazionebasso. 04-02-. Gli
anarchici contro il fascismo, celebre articolo di Giorgio Sacchetti. Bruno
Misefari. Misefari. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Misefari” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745319973/in/datetaken/
Grice e
Modio – il disonore sessuale -- la filosofia del Tevere – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Santa Severina). Filosofo. Grice: “Only in Italy a philosopher
writes a treatise on a river – although the Isis would not be out of place for
some Magdalenite!” – Grice: “His convito is a jewel!” – Seguace di Neri.
Originario di Santa Severina, borgo collinare della Calabria Ulteriore, fu
avviato agli studi di filosofia presso l'Archiginnasio di Napoli; in seguito
passò a Roma, dove si avviò agli studi in medicina divenendo allievo di
Fusconi. Modio frequenta gli ambienti
accademici, dove entrò in contatto con alcuni dei maggiori esponenti di spicco
di quell'epoca come Molza e Tolomei.
Pubblica la sua prima opera letteraria più famosa dal titolo I”l convito;
overo, del peso della moglie: un dialogo diegetico” (Roma, Bressani) -- ambientato
a Roma durante il carnevale della città capitolina, in cui viene trattato il
tema delle corna durante un convivio presieduto dall'allora vescovo di Piacenza
Trivulzio e a cui parteciparono anche Gambara, Marmitta, Benci, Selvago,
Raineri e Cesario. E altresì grande estimatore degli saggi di Piccolomini. Durante la stesura in lingua volgare di un
Operetta de’ Sogni, si ammala di febbre altissima. Si spense dopo qualche
giorno a Roma, nella tenuta di palazzo Ricci in via Giulia. Altri saggi: “Il Tevere, dove si ragiona in
generale della natura di tutte le acque, et in particolare di quella del fiume
di Roma” (Roma, Luchini) “Origine del proverbio che si suol dire "anzi
corna che croci" (Roma, A. degli Antonii,” Jacopone da Todi, I Cantici del
beato Iacopone da Todi, con diligenza ristampati, con la gionta di alcuni
discorsi sopra di essi e con la vita sua nuovamente posta in luce” (Roma,
Salviano). Prospetto autore, su edit16.iccu.. Modio, Il Tevere, cit., c.
45r Anno di pubblicazione della medesima
opera. G. Cassiani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana.Sex, Gender and
Sexuality in Renaissance Italy explores the new directions being taken in the
study of sex and gender in Italy from 1300 to 1700 and highlights the impact
that recent scholarship has had in revealing innovative ways of approaching
this subject.In this interdisciplinary volume, twelve scholars of history,
literature, art history, and philosophy use a variety of both textual and
visual sources to examine themes such as gender identities and dynamics, sexual
transgression and sexual identities in leading Renaissance cities. It is
divided into three sections, which work together to provide an overview of the
influence of sex and gender in all aspects of Renaissance society from politics
and religion to literature and art. Part I: Sex, Order, and Disorder deals with
issues of law, religion, and violence in marital relationships; Part II: Sense
and Sensuality in Sex and Gender considers gender in relation to the senses and
emotions; and Part III: Visualizing Sexuality in Word and Image investigates
gender, sexuality, and erotica in art and literature.Bringing to life this
increasingly prominent area of historical study, Sex, Gender and Sexuality in
Renaissance Italy is ideal for students of Renaissance Italy and early modern
gender and sexuality. SEX, GENDER AND SEXUALITY IN RENAISSANCE ITALY Sex,
Gender and Sexuality in Renaissance Italy explores the new directions being
taken in the study of sex and gender in Italy from 1300 to 1700 and highlights
the impact that recent scholarship has had in revealing innovative ways of
approaching this subject. In this interdisciplinary volume, twelve scholars of
history, literature, art history, and philosophy use a variety of both textual
and visual sources to examine themes such as gender identities and dynamics,
sexual transgression and sexual identities in leading Renaissance cities. It is
divided into three sections, which work together to provide an overview of the
inf luence of sex and gender in all aspects of Renaissance society from
politics and religion to literature and art. Part I: Sex, Order, and Disorder
deals with issues of law, religion, and violence in marital relationships; Part
II: Sense and Sensuality in Sex and Gender considers gender in relation to the
senses and emotions; and Part III: Visualizing Sexuality in Word and Image
investigates gender, sexuality, and erotica in art and literature. Bringing to
life this increasingly prominent area of historical study, Sex, Gender and
Sexuality in Renaissance Italy is ideal for students of Renaissance Italy and
early modern gender and sexuality. Jacqueline Murray is Professor of History at
the University of Guelph. Her research focuses on premodern sexuality, at the
intersections of ecclesiastical and popular lay culture, and she is currently
examining the premodern experience of masculinity and male embodiment. Nicholas
Terpstra is Professor of History at the University of Toronto, working at the
intersections of gender, politics, charity, and religion in early modern Italy,
with a focus on civil and uncivil society, religious refugees, and the digital
mapping of early modern social realities and relations.SEX, GENDER AND
SEXUALITY IN RENAISSANCE ITALYEdited by Jacqueline Murray and Nicholas
TerpstraFirst published 2019 by Routledge 2 Park Square, Milton Park, Abingdon,
Oxon OX14 4RN and by Routledge 52 Vanderbilt Avenue, New York, NY 10017
Routledge is an imprint of the Taylor & Francis Group, an informa business
© 2019 selection and editorial matter, Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra;
individual chapters, the contributors The right of Jacqueline Murray and
Nicholas Terpstra to be identified as the authors of the editorial material,
and of the authors for their individual chapters, has been asserted in
accordance with sections 77 and 78 of the Copyright, Designs and Patents Act
1988. All rights reserved. No part of this book may be reprinted or reproduced
or utilised in any form or by any electronic, mechanical, or other means, now
known or hereafter invented, including photocopying and recording, or in any
information storage or retrieval system, without permission in writing from the
publishers. Trademark notice: Product or corporate names may be trademarks or
registered trademarks, and are used only for identification and explanation
without intent to infringe. British Library Cataloguing-in-Publication Data A
catalogue record for this book is available from the British Library Library of
Congress Cataloging-in-Publication Data Names: Murray, Jacqueline, editor. |
Terpstra, Nicholas, editor. Title: Sex, gender and sexuality in Renaissance
Italy / edited by Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra. Description:
Abingdon, Oxon ; New York, NY : Routledge, 2019. | Includes bibliographical
references and index. | Identifiers: LCCN 2018045788 (print) | LCCN 2018048468
(ebook) Subjects: LCSH: Sex—Italy—History—To 1500. | Sex—Italy— History—16th
century. | Sex role—Italy—History—To 1500. | Sex role—Italy—History—16th
century. | Renaissance—Italy. Classification: LCC HQ18.I8 (ebook) | LCC HQ18.I8
.S494 2019 (print) | DDC 306.70945/09031—dc23 LC record available at https://lccn.loc.gov/2018045788 ISBN: 978-1-138-54244-0 (hbk) ISBN:
978-1-138-54245-7 (pbk) ISBN: 978-1-351-00872-3 (ebk) Typeset in Bembo by Apex
CoVantage, LLCDedication This collection is dedicated to Konrad Eisenbichler, a
true Renaissance man who produces bold and prodigious scholarship in multiple
research areas with grace, ease, and erudition. For Konrad, sociability is
correlated with scholarship. He has spent his career creating communities and
networks of scholars around the world. These networks have been brought
together through his tireless work for learned societies, publication series,
and journals. Konrad not only produces scholarship but is also heavily invested
in disseminating the scholarship of others. Scholarly interests often have
unusual and serendipitous origins. In a certain sense, this collection began
with a codpiece. Konrad’s first scholarly contribution to the field of sex,
gender, and sexuality in Renaissance Italy developed out of a casual
conversation with a colleague who provided enthusiastic encouragement. What
resulted was a presentation playfully entitled “The Dynastic Codpiece” to the
Canadian Society for Renaissance Studies in 1987. He revised and published it
as “Agnolo Bronzino’s Portrait of Guidobaldo II della Rovere” (Renaissance and
Reformation, 1988), an article still cited thirty years later. In this truly
groundbreaking interdisciplinary piece, Konrad examined the overly large
codpieces worn by Renaissance men for the social and familial messages they
conveyed, showing how the messages passed between the generations in competing
dynastic portraits. The article established Konrad as a new and powerful voice
in the study of sex, gender, and sexuality in the Italian Renaissance. It also
illustrated beautifully how his scholarship is inherently interdisciplinary,
bridging and incorporating history and literature with artistic
representations. Konrad greets friends, colleagues, and students with warmth,
good humor, and generosity. A significant manifestation of his academic
hospitality is revealed in the multitude of conferences he has organized: forty
between 1983 and 2018. These are special events, international in nature, and
ref lecting the hostorganizer’s generosity. They are venues conducive to the
exchange of ideas and the formation of friendships. It is most appropriate that
the most recent of these focused on “Early Modern Cultures of Hospitality.” The
themes generally ref lect Konrad’s sense of the discipline and where it is
going; these conferences most often culminate in a significant collection of
essays, including Desire and Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern
West (1996; co-edited with Jacqueline Murray) which helped to promote the study
of sex, gender, and sexuality in the Middle Ages and Renaissance. Konrad has
made myriad contributions to individuals and institutions. His contributions to
Renaissance scholarship span social history, women’s history, religious
history, and literature. He publishes equally in Italian and English,moving
easily between scholarly cultures. A scholar with a global reach, he interacts
with colleagues spread across North America, to Italy and Europe more broadly,
as well as Australia and South Africa. The heart of his many contributions to
the study of Italian Renaissance society lies in his research on sex, gender,
and sexuality. In recognition of that, some of his friends and colleagues
joined to celebrate Konrad’s creativity, scholarship, and friendship with
essays that demonstrate the creative developments in the field since that
fateful codpiece three decades ago. We are honored to dedicate this volume to
Konrad Eisenbichler in recognition of his extraordinary contribution to
Renaissance society and culture.CONTENTSList of illustrations Acknowledgments
Notes on contributors 1 Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy: themes
and approaches in recent scholarship Jacqueline Murray and Nicholas Terpstraix
xi xii1PART ISex, order, and disorder192 The lord who rejected love, or the
Griselda story (X, 10) reconsidered yet again Guido Ruggiero213 Sexual violence
in the Sienese state before and after the fall of the republic Elena Brizio354
In the neighborhood: residence, community, and the sex trade in early modern
Bologna Vanessa McCarthy and Nicholas Terpstra535 Though popes said don’t, some
people did: adulteresses in Catholic Reformation Rome Elizabeth S.
Cohen75viiiContentsPART IISense and sensuality in sex and gender 6 “Bodily
things” and brides of Christ: the case of the early seventeenth-century
“lesbian nun” Benedetta Carlini Patricia Simons 7 In bed with Ludovico Santa
Croce (1557) Thomas V. Cohen 8 Aesthetics, dress, and militant masculinity in
Castiglione’s Courtier Gerry Milligan9 The sausage wars: or how the sausage and
carne battled for gastronomic and social prestige in Renaissance literature and
culture Laura Giannetti9597125141160PART IIIVisualizing sexuality in word and
image18110 Gianantonio Bazzi, called “Il Sodoma”: homosexuality in art, life,
and history James M. Saslow18311 Vagina dialogues: Piccolomini’s Raffaella and
Aretino’s Ragionamenti Ian Frederick Moulton21112 Giovan Battista della Porta’s
erotomanic art of recollection Sergius Kodera22713 “O mie arti fallaci”:
Tasso’s saintly women in the Liberata and Conquistata Jane Tylus247Bibliography
of Konrad Eisenbichler’s publications on sex and gender Index268 271ILLUSTRATIONSFigures
4.1 4.2 6.1 6.2 6.36.4 6.5 6.6 6.7 10.1 10.2 10.3 10.4 10.5 10.6Agostino
Carracci, Bononia docet mater studiorum, 1581. Agostino Carracci, Bononia docet
mater studiorum, 1581. Parmigianino, Visitation, pen and wash. Giovanni di Paolo,
Paradise, 1445, tempera and gold on canvas, transferred from wood. Francesco
Vanni, St. Catherine of Siena orally draining pus from an ill woman and being
rewarded with liquid from Christ’s wound, 1597, engraving. Sodoma, Giovanni
Antonio Bazzi, Scenes from the Life of Saint Catherine of Siena: The swooning
of the saint, 1526, fresco. Caravaggio, Saint Francis receiving the stigmata,
ca. 1595–96, oil on canvas. Bernini, The Ecstasy of St. Teresa, marble,
1645–52. Anonymous German nun, Consecration of Virgins, ca. 1500. Sodoma, Abbey
of Monteoliveto Maggiore, Saint Benedict Is Tempted by a Female Devil, fresco,
1505–8. Sodoma, Monteoliveto, Miracle of the Colander, fresco, 1505–8. Sodoma,
Monteoliveto, St. Benedict welcomes Sts. Maurus and Placidus, fresco, 1505–8.
Majolica plate, attributed to Master C.I., ca. 1510–20. Musée national de la
Renaissance, Écouen, France. Sodoma, The Marriage of Alexander and Roxana,
Villa Farnesina, Rome, fresco, 1517–19. Sodoma, Saint Sebastian, processional
banner, Pitti Palace, Florence, 1525.55 58 103 105106 108 109 110 115 186 187
189 191 193 196xIllustrations10.7 Sodoma (attributed), Allegorical Man, ca.
1547–8, oil, Accademia Carrara, Bergamo. 13.1 Luca Giordano, “Olindo e
Sofronia,” Palazzo Reale gia’ Durazzo (Genova).202 249Tables 4.1 Residence of
registered prostitutes in Bologna’s quarters 4.2 Streets with ten or more
resident prostitutes in 1604, by quarter56 57ACKNOWLEDGMENTSThe editors would
like to thank Vanessa McCarthy who donned two hats for this project, that of an
author and that of editorial associate. Her scholarly knowledge and
administrative expertise contributed significantly to the preparation of this
volume, and we’re grateful for her dedication and expertise. We would like to
thank the editorial team at Routledge for their support and guidance over the
course of this project. Laura Pilsworth guided it through its inception and
commissioning, while Lydia de Cruz shepherded it through the final stages of
preparation and production, assisted by Morwenna Scott. The University of
Guelph and the University of Toronto provide generous support for the research
activities of Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra respectively. Thanks as
well to the congenial group of scholars whose work is collected here. While editing
collections is sometimes likened to herding cats, these colleagues were
responsive, generous, and patient. Above all, they were enthusiastic about the
opportunity to contribute to a collection which could serve as a gift to a
friend and colleague, Konrad Eisenbichler, who has himself been the soul of
generosity. We are honored to have worked with you all. Jacqueline Murray
Nicholas TerpstraNOTES ON CONTRIBUTORSElena Brizio teaches Medieval and Early
Modern Italian History at GeorgetownUniversity – Fiesole Campus and in the
Internship Program at IES Abroad (Institute for the International Education of
Students) in Siena. She has published on the political and institutional
history of Siena in the Trecento; her current research focuses on the cultural,
economic, and social power of Sienese women in the Italian Renaissance. In 2013
she was Visiting Fellow at the Centre for Renaissance and Reformation and the
Pontifical Institute of Mediaeval Studies at the University of Toronto and in
2015 she was awarded a Renaissance Society of America Summer Grant to study at
the Centre for Renaissance and Reformation at the University of Toronto to
pursue her research on maternal inheritance. Elizabeth S. Cohen is Professor of
History and Director of the Graduate Programin History at York University
(Toronto). She has published widely on sexuality and gender in early modern
Rome including, most recently, The Youth of Early Modern Women, co-edited with
Margaret Reeves (2018); Daily Life in Renaissance Italy with Thomas V. Cohen
(2001, 2017) and Words and Deeds in Renaissance Rome: Trials before the Papal
Magistrates with Thomas V. Cohen (1993). Thomas V. Cohen has taught History and
Humanities at York University (Toronto) since 1969. His research focuses on the
history of Renaissance Rome, where he studies the cultural and political
anthropology of both the city and its hinterland. His work, often
microhistorical, experiments with language and narrative form, in the hope of
enlarging and enriching scholarship’s rhetoric and larger art. His most recent
book, co-edited with Lesley Twomey, is Spoken Word and Social Practice: Orality
in Europe (1400–1700) (2015). He also translated Claire Judde de Larivière, The
Revolt of Snowballs: Murano Confronts Venice, 1511 (2018).Notes on
contributorsxiiiLaura Giannetti is Associate Professor of Italian at the
University of Miami.Her first book, Lelia’s Kiss: Imagining Gender, Sex and
Marriage in Italian Renaissance Comedy, was published in 2009; she is now
writing a monograph on Food Culture and the Literary Imagination in Renaissance
Italy. On her new project she has published several articles in edited volumes
and leading journals such as California Italian Studies and Quaderni
d’Italianistica. She is a former Villa I Tatti Fellow and Fellow at the Center
for the Humanities at her own institution. She was the Charles Speroni Visiting
Chair in Medieval and Renaissance Literature at UCLA in spring 2016, and a
Research Fellow at the Institute for Historical Studies, University of Texas,
Austin (2016–17). Sergius Kodera is Dean of the Faculty of Design at New Design
University, St. Pölten, Austria. Since he received his doctorate in 1994
he has been teaching Renaissance Philosophy at the Department of Philosophy at
the University of Vienna. He completed his habilitation in 2004. He has held
fellowships in London (Warburg Institute), Vienna (IFK), and New York
(Columbia). He has published on and/or is a translator of Renaissance authors
such as Marsilio Ficino, Fernando de Rojas, Machiavelli, Leone Ebreo, Girolamo
Cardano, Giovan Battista della Porta, and Giordano Bruno. Currently he is
working on a book-length study on Della Porta in English. His main fields of
interest are the history of the body and sexuality, magic, and media. Vanessa
McCarthy completed her Ph.D. in 2015 at the Department of Historyand Women
& Gender Studies Institute at the University of Toronto. She currently
teaches early modern history at the Department of Historical and Cultural
Studies, University of Toronto Scarborough. She is the co-editor of “Sex Acts
in the Early Modern World” (Renaissance and Reformation/Renaissance et Réforme,
38/4, Fall 2015). Gerry Milligan is Associate Professor of Italian at the
College of Staten Island and the Graduate Center of the City University of New
York (CUNY). He has published articles on masculinity, women authors, and
theatre in the Italian Renaissance. He is the author of Moral Combat: Women,
Gender, and War in Italian Renaissance Literature (2018) and is co-editor with
Jane Tylus of The Poetics of Masculinity in Early Modern Italy and Spain
(2010). Ian Frederick Moulton is Professor of English and Cultural History in
the College of Integrative Sciences and Arts at Arizona State University. He
has published widely on the representation of gender and sexuality in early
modern European literature. He is the author of Love in Print in the Sixteenth
Century: The Popularization of Romance (2014) and Before Pornography: Erotic
Writing in Early Modern England (2000), and editor and translator of Antonio
Vignali’s La Cazzaria, an erotic and political dialogue from Renaissance Italy
(2003). He is also co-editor of Teaching Early Modern English Literature from
the Archives (2015).xivNotes on contributorsJacqueline Murray is Professor of
History at the University of Guelph. Herresearch focuses on premodern
sexuality, at the intersections of ecclesiastical and popular lay culture. She
is co-editor of Desire and Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern West
(1996), Conflicted Identities and Multiple Masculinities: Men in the Medieval
West (1999), and Marriage in Premodern Europe: Italy and Beyond (2012). Her
current research examines the premodern experience of masculinity and male
embodiment. She is an award-winning teacher and one of Canada’s 3M National
Teaching Fellows, and has held the Donald Bullough Fellowship in Mediaeval
History at St Andrew’s University. Guido Ruggiero is Professor of History and
Cooper Fellow of the College ofArts and Sciences at the University of Miami. He
has published on the history of gender, sex, crime, magic, science, and
everyday culture, primarily in Renaissance and early modern Italy. Recent
publications include The Renaissance in Italy: A Social and Cultural History of
the Rinascimento which won the American Association for Italian Studies prize
for the best book (2014). He has received awards from Harvard’s Villa I Tatti
in Florence (1990–91, 2012), the Institute for Advanced Studies in Princeton
(1981–82; 1991), and at the American Academy in Rome (2011). James M. Saslow is
Professor Emeritus of Art History at City University ofNew York, as well as an
author and arts journalist. His work focuses on the Italian Renaissance and
Baroque period, with special interests in gender and homosexuality. A founding
member of the Center for Lesbian and Gay Studies (CLAGS) at CUNY, a former
national co-chair of the Queer Caucus of the College Art Association, and a
board member of the Leslie-Lohman Museum, he has been writing and lecturing
about historical and contemporary arts connected to LGBTQ experience for forty
years. His pioneering survey, Pictures and Passions: A History of Homosexuality
in the Visual Arts (1999), received two Lambda Literary awards. His most recent
book, co-edited with Babette Bohn, is The Blackwell Companion to Renaissance
and Baroque Art (2012). Patricia Simons is a Professor in the Department of
History of Art at the University of Michigan, Ann Arbor. Her books include The
Sex of Men in Premodern Europe: A Cultural History (2011) and the co-edited Patronage,
Art, and Society in Renaissance Italy (1987). Her studies of the visual and
material culture of early modern Europe have been published in numerous
anthologies and peer-review journals, ranging over such subjects as female and
male homoeroticism, gender and portraiture, the cultural role of humor, and the
visual dynamics of secrecy and of scandal. Nicholas Terpstra is Professor of
History at the University of Toronto, working at the intersections of gender,
politics, charity, and religion. His recent publications include Religious
Refugees in the Early Modern World: An AlternativeNotes on
contributorsxvInterpretation of the Reformation (2015) and Cultures of Charity:
Women, Politics, and the Reform of Poor Relief in Renaissance Italy (2013),
which won the Marraro Prize of the American Historical Association and the Ruth
Goodhart Gordan Prize of the Renaissance Society of America. He has also
co-edited Mapping Space, Sense, and Movement in Florence: Historical GIS and
the Early Modern City with Colin Rose (2016). Jane Tylus is Professor of
Italian at Yale University. Recent books include Siena, City of Secrets (2015),
Cultures of Early Modern Translation (with Karen Newman, 2015), a translation
and edition of the complete poetry of Gaspara Stampa (2010), and Reclaiming
Catherine of Siena: Literature, Literacy, and the Signs of Others (2009), which
won the Howard Marraro Prize for Outstanding Work in Italian Studies from the
Modern Language Association. She is General Editor for the journal I Tatti
Studies in the Italian Renaissance. She has held visiting positions at the
Scuola Normale Superiore di Pisa and Yale University, and in 2015 was Robert
Lehman Visiting Professor at Villa I Tatti in Florence.1 SEX, GENDER, AND
SEXUALITY IN RENAISSANCE ITALY Themes and approaches in recent scholarship
Jacqueline Murray and Nicholas TerpstraFrom the mid-nineteenth through the
mid-twentieth centuries, the Italian Renaissance was approached almost
exclusively as a period of learning, elegance, and manners as ref lected by the
arts and letters of the time. In The Book of the Courtier Castiglione’s perfect
courtier embodied virtù and sprezzatura, the two qualities that epitomized
Renaissance masculinity. Elite men were celebrated for their bravado, skill,
and insouciant nonchalance, whether these were exercised on the fields of
battle, the production of art or poetry, or the seduction of women. Castiglione
also details the qualities of the ideal court lady, a woman valued for her
beauty and affability along with her manners, intellect, and ability to please
men. These qualities were appreciated equally in another group of notable
women, the courtesans whose beauty and literary accomplishments were acclaimed
by poets and artists alike. Thanks in part to the enduring inf luence of Jackob
Burckhardt’s Civilisation of the Renaissance in Italy (1860; English
translation 1878), this idealized portrayal of sixteenth-century Italian men
and women dominated twentieth-century historiography and shaped how a number of
generations understood sex, gender, and sexuality in the Renaissance. The
idealized creations of Castiglione and Burckhardt, their princes and poets,
court ladies and courtesans, appeared as the bright stars in the Renaissance
firmament, and contributed to the lure of the field. Yet all along they were
chimeras, stereotypes created by Renaissance elites and perpetuated by modern
scholars of Renaissance culture. Even when individuals appeared to embody these
ideal qualities, they were the exceptions, standing apart from thousands of
their contemporaries, urban and rural, rich and poor, educated and illiterate,
respectable and disreputable. The idealized courtier, court lady, and courtesan
obscure everyday life in Renaissance Italy. In the 1970s, scholars began to ask
new questions that ultimately led to a recalibration of research on the history
of sex, gender, and sexuality in the2Jacqueline Murray and Nicholas
TerpstraRenaissance. One of the earliest collections was Human Sexuality in the
Middle Ages and Renaissance (edited by Douglas Radcliff-Umstead, 1978), which
includes topics that are wide ranging and represent a variety of disciplinary
perspectives. They include sexuality within marriage, sexual sins and
eroticism, celibacy, hermaphrodites, homosexuality, and how the human body was
understood. These essays from the 1970s foreground important questions about
sex, gender, and sexuality in the past. Yet their scope and insights are
constrained. Most essays are based on close, summative readings of literary
texts from Dante and Chaucer to Shakespeare and other imaginative authors, but
these close readings of texts lack the contextualization or critical
perspective to enhance their insights. While the occasional essay engages with
multiple sources and genres, the absence of critical theoretical and
interdisciplinary analysis inhibits the development of a more comprehensive
picture of how issues of human sexuality were actually addressed at this time.
Significantly, however, the authors did identify emerging themes that would
become central to the study of sex, gender, and sexuality. This collection
opened the way to the study of topics such as the nature of the sexed human
body, the complexities of celibacy as a sexuality, and the f luidity of
sexualities and genders. While prescient in research subjects, the authors did
not employ the theoretical and methodological tools that developed soon after
publication, tools that were necessary for deeper and more complex analyses of
sex, gender, and sexuality. These tools were being forged with the new theories
and methodologies of the 1970s that were opening new research subjects and that
led to innovations and new definitions of the individual and the self. A series
of studies in that decade revolutionized scholarship and have continued to have
a transformative inf luence on the understanding of the history of sex, gender,
and sexuality into the twenty-first century. The most inf luential authors
behind this work perceived the Renaissance to be more complex both in the
quotidian aspects of daily life and also in extraordinary behaviors. In 1978,
the first volume of Michel Foucault’s The History of Sexuality occasioned both
excitement and consternation among historians of sex. Foucault, a philosopher
and leading post-structuralist scholar, wrote extensively on social
construction and social control in European society, including studies of
prisons, madness, and surveillance. These perspectives informed his ref
lections about the construction and control of sexuality in the European past.
Indeed, Foucault’s intervention challenged scholars to reexamine their
approaches to sex and sexuality. Another major contribution to the
recalibrating of historical studies of sex, gender, and sexuality was John
Boswell’s Christianity, Social Tolerance, and Homosexuality (1980). Boswell
demonstrated that in the premodern world there were men who engaged in
homosocial and/or homosexual relationships, although traditional history had
obscured them behind the ecclesiastical rhetoric of homophobia. Boswell argued
that there were gay men throughout premodern Europe but his methodology and
conclusions were criticized as essentialist and lacking the appropriate
consideration of context and cultural inf luences such as Foucault had urged.
Nevertheless, despite criticismsSex, gender, and sexuality in Renaissance Italy
3about essentialism, Boswell did uncover homosexual (sodomitical) and
homoaffective men across society, integrated into both clerical and secular
societies. In this way, Boswell forged a path for scholars to search for and
analyze multiple sexualities that had been overlooked by traditional history or
were obscured by the absence of explicit evidence. One of the most telling
criticisms levelled at both Foucault and Boswell was their neglect of gender as
a category of historical analysis. Arguably, men and women experience the world
differently according to how society evaluates and constructs women. This
applies equally in the realm of sex and sexuality, which is neither natural nor
essential. Foucault paid scarce attention to women’s alternative experience of
social construction and surveillance of sex and sexuality. Similarly, while
lauded for opening the past for research on homosexuality, Boswell was
criticized for eliding lesbians and other non-normative women under the
category “gay,” thus perpetuating their invisibility. A more refined and
incisive analytical framework emerged out of these debates. What began as
women’s history in the 1970s, with the goal of recuperating women in the past,
transformed into the critical lens of feminist studies, which analyzed the
institutions and structures that restricted or shaped their lives, or
contributed to their invisibility in historical scholarship. The other
significant theoretical contribution to the new study of sex, gender, and
sexuality falls under the rubric of cultural studies. This is a multifaceted
approach emerging from literary studies, postmodernism, discourse analysis, and
other theoretical perspectives that provided scholars with new linguistic and
analytical tools. This versatile and complex perspective also encouraged
explicitly interdisciplinary research which suits the intricate nature of sex,
gender, and sexuality. As a result, there is a richer sense of the
possibilities that were available for the lived reality of sex, gender, and
sexuality and an expanded ability to study and evaluate the values, beliefs,
and experiences of people in the past. These innovations emerged at a time when
the traditional Burckhardtian narratives were being widely criticized by
political, social, and intellectual historians, and by the mid-1980s new
scholarship was appearing that brought new insights to sex and gender in the
Italian Renaissance. They applied methodologies that bridged differences in
social and economic status, sex, sexuality, and gender, geography, and
religion. While the traditional sources of high culture—art and literature in
particular—continued to provide a valuable foundation for understanding the
rich cultural life and artefacts of the Renaissance, new analytical approaches
yielded new insights. Diverse sources of evidence—court records, letters,
chronicles, and Inquisitorial documents, among others—provided access to new
populations including servants and prostitutes and the inhabitants of the
streets and taverns of myriad Italian towns and cities. These new critical
studies were a prelude to the research that would appear in the next two
decades. Guido Ruggiero’s The Boundaries of Eros: Sex Crime and Sexuality in
Renaissance Venice (1985) early on demonstrated how new methodologies and new
sources were able to reveal hitherto unexplored worlds of Renaissance sex,
gender, and4Jacqueline Murray and Nicholas Terpstrasexuality. Ruggiero examines
the wide variety of sex crimes that were committed in Venice and he analyzes
the various courts and disciplinary councils which enforced the laws, including
those pertaining to sexual transgressions. The records reveal an intricate and
contradictory approach to regulating sexuality that extended from conventional
acts such as adultery and fornication to more egregious behaviors including
rape and sodomy. Ruggiero’s essays meet the challenges and opportunities posed
by Foucault and Boswell, by feminist history and gender studies. His
interdisciplinary reading of the evidence, ranging from the many cases
discussed by the criminal courts, along with careful analysis of individual
testimony, widened the scope of enquiry. Ruggiero’s discussion reveals the rich
detail about individuals, as they negotiated the social norms of sexuality and
gender. He brings readers to an understanding of the social context and how
individuals were integrated into their local communities and that of wider
Venetian society. The movement towards more sophisticated, nuanced, and focused
considerations is also ref lected in Forbidden Friendships: Homosexuality and
Male Culture in Renaissance Florence (1996) by Michael Rocke. In many ways,
Rocke took on the challenge presented by John Boswell to identify men who had
sex with men in their social contexts. Rather than othering them or pulling
these men out of their community, Rocke engages with homosexuality as an
integral part of Florentine society and culture. He examines seventy years of
documentation from the “Office of the Night,” which was established to oversee
denunciations of homosexual (sodomitical) activity. This allowed Rocke to trace
the nature of relationships between men, how they were treated by society, how
and why they were denounced to the court, and the penalties levied. His
scholarship reveals that, despite the harsh evaluation of sodomy in
ecclesiastical law and in various secular jurisdictions, Florence displayed
remarkable tolerance. Where Boswell’s research had scanned 1000 years of
European history, seeking to identify men who were possibly homosexual, Rocke
analyzes deep and focused sources to identify a specific group of men, applying
sophisticated theoretical and methodological tools to reveal new understandings
of non-normative sexuality in the Italian Renaissance. Judith Brown’s Immodest
Acts: The Life of a Lesbian Nun in Renaissance Italy (1986) similarly
contributed to the new approaches to sexuality and identity. She focused on
non-normative sexuality, although in a unique context. Here the background is
not the streets, homes, and markets of the large, cosmopolitan cities of
Renaissance Italy. Rather, Brown’s subjects lived within the walls of a
convent, separated from the worldly temptations of secular life. Yet, even in a
community of women vowed to chastity, Brown finds convoluted self-identities
and a sexual relationship between two women that was transgressive and
multivalent. The case of the “lesbian nun” Benedetta Carlini was instantly
controversial. Could two nuns possibly have a conscious lesbian sexual identity,
given the social norms and religious context in which they lived? This is the
same criticism that greeted John Boswell’s assertions about “gay” men in
premodern Europe.Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy 5There was
widespread agreement that categories such as gay or lesbian were products of
late twentieth-century Western society and to impose them back in time was
anachronistic and misleading. Moreover, in this case, the individuals evoked
far more questions than those of sexual identity or sexual activity, with a
relationship complicated by angelic possession and mystical visions. The debate
surrounding Carlini’s activities and identities continues, as Patricia Simon’s
essay in this collection demonstrates. Yet one of the most enduring
contributions of Brown’s study, for the history of sexuality and gender, is her
ability to cross 600 years and engage intimately with individuals of the past.
This is a history of two nuns, in an out-of-the-way convent, who experienced
rich and problematic inner lives, beyond what might be expected. Whether the
women can be categorized as “lesbians” does not dispel the impact of
recuperating lost women and a lost past, the meaning and implications of which
continue to attract scholarly analysis. The profound transformation that
occurred between 1978 and 1996 in the study of sex, gender, and sexuality in
premodern Europe began with the recognition of new topics and moved to a more
rigorous application of the intervening theoretical and methodological insights
of Foucault and Boswell, of feminism and cultural studies. If the former
approach is exemplified by essays collected in Human Sexuality in the Middle
Ages and Renaissance (1978), the latter is evident in the essays in Desire and
Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern West (edited by Jacqueline
Murray and Konrad Eisenbichler, 1996). This volume stresses that human behavior
manifests both continuities and transitions that can be independently evaluated
and separated from arbitrary and obsolete periodization. Many essays integrate
traditional periods moving seamlessly into a premodern world. Some essays rely
on traditional Renaissance evidence but deploy law, art, and literature to
examine new research questions. Rona Goffen examines Titian’s frescoes to
explore misogyny. Other authors address innovative, even bold or cheeky themes.
Feminism and critical theory are deployed throughout the collection. The
usefulness of interdisciplinarity to reveal new aspects of society and cultural
experience is equally evident. Dyan Elliott’s reexamination of the reciprocity
of the conjugal debt, the notion that a husband and wife have equal call on
their spouse for sexual access jostles the foundations of premodern marriage.
Rather than accepting the idea that a married couple’s sex life was balanced
and equitable, Elliott concludes that wives were subordinate even in bed and
had no right to refuse sexual intercourse. Ivana Elbl examines the doubly
transgressive sexual liaisons among Portuguese sailors to Africa. Sailors, who
were often already married with families in Europe, frequently formed enduring
relationships with African “wives,” transgressing both Christian monogamy and
establishing irregular relationships with non-Christian women. Significantly,
in Africa these unions were ignored or tolerated by Portuguese leaders,
ecclesiastical as much as secular. More theoretically adventuresome is Nancy
Partner’s exploration of the psychological dimensions of sexuality. She applies
contemporary psychological theory, in particular Freud, to assess the sexual
dimensions6Jacqueline Murray and Nicholas Terpstraof mystics and their ecstatic
visions. Even the realm of masturbatory pornography is probed through Andrew
Taylor’s critical reading of marginalia and other physical marks and stains on
manuscript pages which could ref lect the sexual responses of readers to the
texts. The essays in Desire and Discipline reveal the richness, diversity, and
intellectually invigorating research that in just two decades had made the new
field of sex, gender, and sexuality one of the most exciting areas in
Renaissance studies. While ref lecting new research areas, the roots of which
can be found in the theoretical and methodological innovations in the late
twentieth century, the essays in Desire and Discipline build upon traditional
topics and themes and frequently employ conventional Renaissance sources, to
stimulate a metamorphosis of old research perspectives into new and innovative
ones. Thus, the ideal courtier has become a man subject to gender-based
analysis while the lens of feminist analysis reveals the court lady to be not
so much an equal but rather a pale, subordinate shadow to the courtier.
Similarly, freed from her artificial manners and learning, the courtesan is
revealed as a masculine fiction sanitized from the precarious and harsh life of
Renaissance prostitutes. The last quarter of the twentieth century, then, was a
watershed for the historiography of sex, gender, and sexuality. Pioneering
scholarship foreshadowed issues that would preoccupy later scholars and set the
trajectory for subsequent research. This scaffolding of new research questions,
theories, and methodologies has resulted in creative approaches that are
rapidly transforming the field. While monographs have been, and continue to be,
written about sex, gender, and sexuality in the Renaissance, it seems that
these topics, at this point in the evolution of scholarship, lend themselves
more readily to the genres of essays or journal articles. The essay form allows
scholars to analyze focused bodies of evidence and arrive at conclusions that
are precise and demonstrable. Presumably, at some point these focused studies
will coalesce into broader discussions leading to more generalized conclusions.
For the moment, however, the essay collection remains the most significant
means for the dissemination of research. Two essay collections in particular
demonstrate the very promising new approaches to research into sex, gender, and
sexuality in the twenty-first century. In A Cultural History of the Human Body
in the Renaissance (2010), Katherine Crawford provides a chapter that offers
redirection from the perspectives of Foucault. She points back to the important
role of classical literature, mediated by Christian values, in the formation of
beliefs about sexuality and marriage, and classical medical literature which
defined the sexed body. In A Cultural History of Sexuality edited by Bette
Talvacchia (2011), nine essays address a wide variety of questions about
Renaissance sexuality as they emerge from diverse sources. Essays focus on the
troubled categories of heterosexuality and homosexuality, and sex with respect
to religion, medicine, popular beliefs, prostitution, and erotica.
Collectively, this collection opens wide the possibilities in the study of sex,
gender, and sexuality.Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy 7In order
best to demonstrate how recent work has reshaped and advanced the field of sex,
gender, and sexuality in Renaissance Italy, we have organized the essays of
this collection into three sections. The first, “Sex, Order, and Disorder,”
deals primarily with issues relating to legal and political themes, and
particularly with efforts by authorities both political and ecclesiastical to
channel or control sexuality. The second section, “Sense and Sensuality in Sex
and Gender,” highlights recent work that has taken some of the turns that are
rewriting historical narratives generally, above all histories of the senses,
of the emotions, and of food. The third section, “Visualizing Sexuality in Word
and Image,” considers how we work with early modern f luidity around identities
and boundaries, and whether we might now be more restrictive than they were in
categories that we bring to our analysis.Sex, Order, and Disorder One of the
most obvious sites of sex and disorder in Renaissance Italy surely lies with
the buying and selling of women’s bodies. Burckhardt’s perspective that
courtesans were elegant, intellectual companions, surviving more on sexual
titillation than selling their bodies, has endured, despite the inf luence of
feminist research. In particular, Veronica Franco was seen as an elegant,
ideal, and appropriate companion for Renaissance princes.1 Much research on
courtesans has focused on Franco and her courtesan sisters. It highlights the
courtesan’s learning, ability to write poetry and sing pleasing songs, and,
most importantly, to entertain men while avoiding becoming common sexual
property and losing their allure and their living. Tessa Storey adheres to the
older view, assessing the social status of courtesans, suggesting that they
were linked to “elite manhood and male honor,” idealizing the relationships
between clients and courtesans who were certain that proximity to powerful men
would protect them.2 However, the other side of courtesan life was a precarious
one of dependence and fear of falling into common prostitution. Social and
criminal vulnerability highlights the lives of all prostitutes, include high
status courtesans. Even Veronica Franco was called before the courts to account
for her behavior. More vulnerable courtesans and prostitutes lived
precariously, prey to men of all sorts, accosted in the streets, and struggling
to support themselves and maintain their dignity. The records of their
appearances before the courts reveals they often managed without protectors or
financial security. 3 Early on Elizabeth Cohen examined the rough and ready
life of prostitutes on the streets of Rome, revealing a form of sociability and
social integration.4 Diane Yvonne Ghirardo brings an innovative approach to the
role and experience of urban prostitutes. She examines urban planning in
Ferrara, revealing the city’s ongoing attempts over decades to maintain
prostitutes in the same locales.5 Focusing on the economics of prostitution in
Venice, Paula Clarke finds that regulation of prostitution became less rigorous
over time, with women experiencing more freedom and the concomitant growth of
the sex trade.68Jacqueline Murray and Nicholas TerpstraGuido Ruggiero opens the
section “Sex, Order, and Disorder” in this collection with a broader approach
to order and disorder in sexuality. He offers a rereading of Boccaccio’s
often-studied story from the Decameron of Griselda, a woman who patiently
endures the series of humiliations that her husband Gualtieri devises in order
to test her faithfulness. The critics and creative artists who have puzzled
over the tale and its meaning for centuries have focused mainly on Griselda and
on issues of class and gender. Ruggiero moves a step further to ask how those
who heard it in the fourteenth century might have received it as a political
message. Gualtieri is not only a cruel husband. His willingness to be cruel and
unjust to his spouse Griselda highlights the dangers that all may encounter
when societies fall under the control of rulers who are narcissistic, vain, and
insecure. Florentines could look around to other cities where lords treated
citizens as Gualtieri treated Griselda; sexual and political violence were
interchangeable and marriages were contracted for money rather than love. There
was no reason to suppose that Florence would be exempted from that kind of
cruelty and exploitation. The Griselda story offered the lessons of a Mirror
for Princes, but it was also a Mirror for Merchants, warning them of what would
happen when love did not animate their closest personal relationships. What
Boccaccio warned the Florentines about in the fourteenth century was precisely
what the Sienese were experiencing in the sixteenth. Elena Brizio observes that
sexual violence remained common across Italy. Men used it as a tool to control
girls, boys, married women, and widows. In the context of the wars of the
1550s, when Florence annexed Siena, its political “use” expanded greatly. Sexual
violence was a means of imposing or confirming power over subordinates, and men
across the political, ecclesiastical, mercantile, and professional spheres
considered sexual violence a legitimate mode of operating in their social
sphere, and so exercised it freely. In contrast to what Boccaccio described,
the absolute ruler who came to dominate mid-sixteenth-century Siena positioned
himself on the opposite side of the dynamic. Duke Cosimo I de’ Medici
proclaimed strict punishments for sexual violence against both men and women in
a law of 1558, threatening either death or galley servitude for those
convicted. Brizio describes this setting and moves from metaphor to practice as
she reviews archival sources, judicial records, and public reports to see how sexual
violence was perceived before and after the law issued in 1558. Duke Cosimo I
was dealing with more than just a different political milieu, and Brizio also
explores whether the changes in the normative codes brought about by the
Council of Trent had an impact on social attitudes to sexual violence in Siena
and its locale. Normative codes were becoming more explicit and restrictive
across Italy in the sixteenth century, but did they have much actual effect?
Like Cohen, Ghirardo, and Clarke, Vanessa McCarthy and Nicholas Terpstra
document and analyze the sex trade in a particular city. Their focus is on
working-poor prostitutes’ residential patterns in early modern Bologna, and
they find that on the whole these women were integrated into, rather than pushed
to the margins of, their local neighborhoods and the wider city. Bologna’s
activist and ambitiousSex, gender, and sexuality in Renaissance Italy
9archbishop Gabriele Paleotti was rebuffed when he attempted to impose
Tridentine norms for public sexuality. The Bolognese instead approached
regulation as a matter of market rather than morals, allowing those prostitutes
registered with a civic magistracy to practice prostitution almost anywhere
within the city walls. While about half of the 300–400 women registered
clustered in specific, unofficial red-light neighborhoods, the other half lived
on streets with only one or two other registered prostitutes, where their
neighbors were more often workingpoor men and women. In spite of the strict
normative codes that continued to be preached and publicly posted by
ecclesiastical authorities, prostitutes were seldom actually shunned or
marginalized because of their sex work. They were more often incorporated into
the working-poor neighborhoods and the larger social fabric of early modern
Bologna. These tensions between norms and practice certainly intensified as
Tridentine rules became more specific, and as ecclesiastical and public regimes
worked to determine whether and how to implement them. In Rome, these authorities
came together in particularly complicated ways. Elizabeth Cohen explores how
they attempted to address and adjudicate the various forms of sexual
impropriety that their normative codes were describing in ever more precise
detail. Sexual misconduct came under the jurisdiction of ecclesiastical courts,
but the records of these courts do not survive in Rome. Criminal court records
do survive, however, and since these took charge of some sex offenses we can
see how people responded to the new rules. Cohen looks in particular at cases
of adultery, which was often defined by the married status of the woman and
which, like sodomy, could actually cover a broader range of actions than might
be grouped today under the term. Reviewing some trials of real or imagined adulterous
relationships, Cohen finds that it is impossible to determine how effective the
“reforms” actually were. There was simply more driving these relationships
forward than any narrow definition allows: romance, exploitation, assault, and
sheer comedy all shape the court testimonies, and show that the parties in many
so-called adulterous relationships were thinking less often of sex—or the
pope—than authorities thought.Sense and Sensuality in Sex and Gender The
possibilities for research on sense and sensuality in the Italian Renaissance
are myriad. The richness and abundance of voices, producing or employing
sensual outcomes, and the voices of desire and of sex and of pleasure combine
into a garden of delights. Here again, recent essay collections prove
particularly valuable for the variety of forms, voices, and experiences that
they are able to convey. In The Erotic Cultures of Renaissance Italy (2010)
Sara Matthews-Grieco gathers eight essays that ref lect upon the various ways
in which visions of sensuality could circulate, including on painted furniture,
decorated bedroom ceilings, or musical instruments, erotic language, or
pornographic engravings. So, too, cultural practices are explored such as
sensuality within marriage, music in domesticcontexts, and sexual innuendos in
writing or in doodles in a book. This collection, then, reveals how creative
Renaissance people could be in demonstrating desire and articulating their
sensual pleasures. Sexual orientation and sexual desire have also come under scrutiny.
A significant collection of essays edited by Melanie L. Marshall, Linda L.
Carroll, and Katherine A. McIver, Sexualities, Textualities, Art and Music in
Early Modern Italy (2014), brings together nine essays that explore sexual
desire and sexual orientation through multilayered and intersecting
interpretations of art, music, and texts. The result is an intriguing
collection of scholarship that maximizes opportunities for interdisciplinary,
collaborative research across the disciplines, as an outgrowth of work on
critical theory and intertextuality. In a more literary context, marriage
orations have revealed some writers not only praised marriage in conventional
terms for political ends, social expediency, and the delights of family.
Alongside extolling the pleasures of the marriage bed for a husband, some
extend that vision of sensuality and sexual pleasure to the wife as well,
challenging conventional notions that only prostitutes took pleasure in sex,
and not respectable matrons.7 The sensual possibilities of homosexual
activities, especially related to male prostitution, were part of Michael
Rocke’s study Forbidden Friendships. He argues that male prostitution was
harshly condemned, especially anal penetration, as something no adult man
should permit. Nevertheless, an examination of some contemporary writers
reveals an appreciation of homosexual sensuality along with defenses of sodomy
and male prostitution which harkened back to the superior evaluation of
homosexuality in classical literature.8 The role of pedagogical pederasty and
its celebration within Renaissance mentoring systems has equally been explored
in literary sources by Ian Moulton who demonstrates the currency of such
studies to both a popular and educated audience.9 These studies show that while
male sexuality has been visualized, both in the Renaissance, and by scholars of
the Renaissance, as virile and active, it was also vulnerable and contingent.
For example, castration was always a possibility in war, for medical reasons,
as a consequence of vendetta, or for social or aesthetic reasons.10 Impotence
also was part of male sexuality, with extensive social, economic, and political
ramifications. Some of these issues are explored in Sara F. Matthews-Grieco’s
edited volume Cuckoldry, Impotence and Adultery in Europe (15th–17th century)
(2014). Impotence could be implicated in social unrest among urban dwellers or
occasion political turmoil among the elites. It could be physiological, subject
to medical intervention, or magical leading towards the Inquisition and the
Renaissance’s fear of witchcraft. Six essays focus on various aspects of the
social, cultural, political, medicinal, and literary discussions of impotence
in Italian courts and cities, together providing an integrated and provocative
view of male sexuality and sensuality. The essays in this collection’s second
section, “Sense and Sensuality in Sex and Gender,” traverse back and forth
between literature and the lives of men and women. Our literary accounts span
what was formerly cast as the division ofhigh and low, including both
Castiglione’s serious prescriptions on when a sleeve is more than just a
sleeve, and also some more comic accounts by lesser-known poets of when a
sausage is more than a sausage. We pair these with two microhistorical accounts
of sexual pairings, one grown notorious in recent decades by the controversies
that erupted when it was first published, and the other more obscurely
quotidian. We aim in bringing them together to revisit what scholars may bring
to such accounts, and how that shapes our readings in ways we may want now to
rethink. In the first of these microhistorical studies, Patricia Simons
re-examines the case of Benedetta Carlini, the early seventeenth-century nun
and abbess described above and made famous in Judith Brown’s Immodest Acts
(1986). When Brown identified Carlini as a lesbian, on the basis of documents
that showed her as having regular orgasmic sex with a younger nun under her
supervision, her work stirred controversy. Historians like Rudolph Bell firmly
rejected the description of Carlini as “lesbian” on the basis that sexual
activities did not imply sexual identities. Simons takes the discussion a step
further, arguing that the question of identity is less important now than one
related to sense and emotion. Did they—and should we—see their sex as mainly
physical? Or were there registers of erotic mysticism that would have led both
Benedetta and Mea to frame their contact together as expressions of a spiritual
relationship? While some of their contemporaries, like some of ours, may see
their religious language as pretext, what happens when we take it seriously and
take them sincerely? As the example of their congregation’s patron saint St.
Catherine of Siena showed, medieval mysticism provided enough of a language and
model for the erotic potential of religious imagery. Thomas V. Cohen then
explores another example of when we need to ask whether a transgression is
always a transgression, by looking at the case of Ludovico Santa Croce, and the
gang he gathered around him to prowl the streets of Rome. The life lived well
needed witnesses for validation, and Ludovico’s ego amplified his other drives
as he led a group of young conversi to visit the statuesque courtesan Betta la
Magra. They shared food, drink, and more, and Ludovico’s boundary crossing
brought him to court. But what were his transgressions? Was it just proper and
improper sexual practices, was it individual intimacy moving to group sex, was
it about commoners and nobles, or about Christians and those who, despite
having been “made Christian” were still considered in some way ebrei ? If
transgression lies in in the eyes or voices of the witness, we have here a
complicated intersection of identities and codes, values and practices. The
questions here, as in Benedetta Carlini’s convent, lie with what those in the
bed and those around it thought about norms and deviances. Gerry Milligan
brings us to what many consider the uber code of the early modern male,
Baldassare Castiglione’s Book of the Courtier, the canonical text that we noted
at the beginning of this essay. Milligan looks in particular at the relation
Castiglione draws between clothing and masculinity. Clothing was fundamental to
Renaissance discourses of gender and sexuality. While it wascommon to read that
what men wore was critical to discussions of violence, military preparedness,
and virtue, it’s not at all clear just how clothing was supposed to do what it
did. Was it cause or effect, or sign and symbol of masculinity or effeminacy?
Castiglione saw clothing choice as potentially one of life or death, and that
not just for reputation alone. As Italy suffered through the invasions of
French, Spanish, and Germans, it was common, albeit perhaps too easy, to
correlate a soldier’s effectiveness to what he had worn. As Milligan asks,
might a focus on clothing show us how aesthetics and militarism functioned in
Renaissance projects of social control? Laura Giannetti then takes us from dead
seriousness to dietary satire with approaches to a question that Freud might
well have faced: is it ever the case that a sausage is just a sausage? Italians
valued word play as much as sexual play, and found the convergence of the two
absolutely compelling. Carne was meat, f lesh, and inevitably the male organ,
and while mendicant preachers may have condemned all of them together, most
Italians appreciated them individually for each of their meanings. Religious
authorities never managed to expand the imaginative forms of their dismay at
the gluttony and carnality that sausages represented; the most they could do
was draw on Galen’s counsel of moderation to reinforce their message of
self-denial. Yet Gianetti shows that authors and artists who were more
aesthetically than ascetically driven began to explore the imaginative
potential of sausages as symbols of vitality, fertility, and prowess. Their
poems and stories disseminated messages of a humble meat that grew into a
powerful cultural symbol.Visualizing sexuality in word and image As early as 1978,
Thomas G. Benedek’s article “Beliefs about Human Sexual Function” examined
ideas about the sexed body, noting in particular the persistence of the one-sex
theory that women and men had parallel sex organs, with the male organs
externalized and female organs internalized. Moreover, the balance of the
humors—hot, cold, moist, dry—also impacted the nature of any individual’s
sexual makeup. Thomas Laqueur, like previous scholars, based much of his
argument on medical texts. It was not only the words, but also the images that
seemed to portray inverted genitals. Laqueur’s analysis went further, however,
to the conclusion that the one-sex body and the humors meant that both women
and men needed to ejaculate semen for conception to occur.11 Laqueur’s
suggestion that Renaissance doctors and others believed in the two-seed theory
was controversial and stimulated a great deal of scholarship on both science
and medicine and gender and the body. Interest in the sexed body and the
physicality of sex and sexuality has continued to expand, embedding medical
perspectives of the sexed body into a cultural context. In her study The Sex of
Men (2011), Patricia Simons extended the critical study of men’s history to
focus on the physiological construction of men. Her analysis is based upon
exhaustive, interdisciplinary research includingtheoretical, textual, and
visual evidence. Simons re-focuses attention on the centrality of semen to
masculinity and fertility, thus rebalancing the dominant phallocentric
evaluation of premodern gender. Sexual acts and sexual pleasure have embraced
topics and methodologies that would have been unthinkable by earlier scholars.
The collection Sex Acts in Early Modern Italy (2010), edited by Allison Levy,
includes an amazing array of topics that illuminate sexual activities in new
detail. Renaissance images and objects portray an imaginative array of sexual
positions in sources, both textual and physical, ranging from Aretino’s writing
on sexual positions to their portrayal on medicinal drug jars. Patricia Simons
pushes the cultural history of sex and sexuality further in her essay about the
dildo. An analysis of the physical objects is set against descriptions of their
imagined use. Renaissance books were sufficiently explicit, however, that the
need for visualization was unnecessary. In Machiavelli in Love (2007), Guido
Ruggiero challenges some of the fundamental ideas about the history of sex and
sexuality proposed by Foucault and which have subsequently dominated research.
Rejecting Foucault’s assertion that sex and sexual identity were modern
inventions, Ruggiero demonstrates that in fact there was Renaissance sex and
Renaissance sexual identity, dismissing earlier theoretical obstructions. Using
a combination of court documents and imaginative literature, he highlights the
complexities of mind, body, and desire, and the formation of masculine
identity. In many ways, this book moves the historical study of premodern
sexuality onto a new and more sophisticated plane, one that reveals individuals
in their uniqueness. In The Manly Masquerade (2003), Valeria Finucci presented
one of the earliest analyses of Renaissance men as an inf lected category
deploying not only feminist theory but also psychoanalytic theory to understand
the constructions of masculinity from both a psychological and cultural
perspective. One of the most violent and sexually problematic figures of
Renaissance Italy was the brilliant goldsmith/artist Benvenuto Cellini.
Margaret Gallucci presents a new twist to traditional biography by integrating
a multidisciplinary analysis of Cellini, his artistic brilliance, his penchant
for violence and disorderliness, and his transgressive homosexuality that was
sufficiently public to result in criminal proceedings and house arrest.
Following new literary criticism and sexuality and gender studies, Gallucci
tries to move beyond simplistic evaluations of homosexuality and misogyny to
make sense of Cellini’s complex artistic life and disorderly behaviors.12 The
third section of this collection, “Visualizing Sexuality in Word and Image,”
takes up these questions of sex acts, the body, and identity by focusing on
four cases of creative artists who employ sexuality and gender in ways that
challenge social norms and expectations, and that raise questions both then and
now about identity and voice. James M. Saslow returns to the questions around
sexual acts and sexual identities that emerged in disputes around the “lesbian”
nun Benedetta Carlini, and to which Castiglione’s sartorial strictures allude.
He argues that the case of Italian painter Gianantonio Bazzi (1477–1549)
contributesto the larger ongoing controversy in queer studies over whether we
can locate an embryonic homosexual self-consciousness in Renaissance culture.
Bazzi’s fondness for young men gave him the nickname “Il Sodoma” and he never
shied away from making this a central part of a very public persona. We have
little documentary evidence for his private feelings, yet his art embodied and
transmitted homosexual desires, and it is clear from the series of commissions
that he attracted an audience which read and sympathized with those clues.
Saslow reviews Sodoma’s artworks, patrons, and reputation over a few centuries
and ref lects on what the larger stakes are both methodologically and ideologically
as we weigh whether these do indeed provide sufficient evidence for a
homosexual self-consciousness. Sexual agency and identity are complex enough
when we are aiming to interpret what an individual says in a court room or
inquisitorial investigation, or conveys in a painting or poem. What do we do
when men pretend to adopt the voice of women and project desire, intent, and
agency? Ian Frederick Moulton compares two such works, Pietro Aretino’s
Ragionamenti and Alessandro Piccolomini’s La Raffaella, both of them written in
the 1530s, and both featuring an experienced woman mentoring a younger woman on
the finer points of sex and sexuality. In both, the older woman assures her
younger companion that her desires are legitimate and should be acted on to the
fullest, even when transgressive. In both these desires are essentially
projections of male fantasies. Moulton explores what we learn from male
projections of female speech, identity, agency, and particularly how male
visualization and ventriloquizing exposes larger issues around the place of
women and the articulation of sex and gender in early modern society. While we
often emphasize the transformative effects of printing, early modern culture
continued to value the oral and visual, and it brought these together in the
art of memory. Sergius Kodera reaches back to classical texts that recommended
erotic images as particularly memorable, and to the early modern author Giovan
Battista della Porta’s L’arte del ricordare (1566) which specifically advised stories
of sex between humans and animals as aides memoires. Myths of Leda, Europe,
Ganymede, and others were all drawn into this work, though more overtly in the
vernacular than the Latin version. Kodera follows this visualization of
intercourse between humans and animals beyond the arts of memory and on to
texts on cross-breeding and to the paintings of Raphael, Michelangelo, and
Titian, seeing all of these as examples of a distinctively early modern embrace
of variety, engagement, and hybridity in sexuality. In the final essay, Jane
Tylus traces how Torquato Tasso depicted women in both the Gerusalemme liberata
(1581) and the Gerusalemme conquistata (1593). While he felt that his powers as
an epic poet were expanding, the later work reduces the role and influence of
female characters. The shift underscores how the Liberata was more radical in
its conception and execution. As he aimed to style himself more
self-consciously as an epic poet in the classical tradition, Tasso moved from
Virgil to Homer as his model, a move at once stylistic and also insome sense
moralistic – he saw this as an answer to criticism of his language and of what
he called the “fallacious artistries” that had marked the earlier poem. Gender
become critical to his conception of what is true in art, though with
ambivalent results – the woman who intervened with power was superseded by the
woman who intervened with tears. These essays explore themes that were only
emerging two decades ago. Their authors’ commitment to taking both an interdisciplinary
and intersectional approach allows re-evaluation of interpretations which were
in danger of becoming too rigid and which may have imposed too much on what the
voices in stories, trials, letters, and images were aiming to express.
Contradiction, ambivalence, and ambiguity abound. Recent work in all three
areas that we have singled out has explored just how widely the gaps between
prescription and reality yawn in the period, in part because of ambivalence on
the part of those promoting normative regimes. Yet gaps more often emerged
because these regimes aimed too far beyond what people expected and were
willing to live with in their neighborhoods, their relationships, and
expectations. As we move forward undoubtedly there will be new insights gleaned
about the lives and loves of Renaissance people. The intellectual and
evidential foundation outlined here in letters, court records, poems,
pamphlets, and artworks will continue to support a rich and diverse research
culture. And there are new questions on the horizon. The literary,
philosophical, artistic, and existential implications of transgender are only
in a nascent stage of investigation, despite the initial and hesitant foray
made in Human Sexuality. Some topics and themes will percolate until new sources
and new perspectives allow new insights and conclusions. As the study of sex,
gender, and sexuality moves forward, the dialogue between past and present will
continue, animated by sharp disagreements, punctuated by moments of clarity,
and moving steadily towards a deeper understanding of lives lived in a period
of creative foment. The voices gathered here, and the creative exchange they
offer, advance that discourse on the lives of those who made the Renaissance a
fascinating period of critical change.Notes 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
12Rosenthal, The Honest Courtesan. Storey, “Courtesan Culture.” Cohen and
Cohen, Words and Deeds in Renaissance Rome. Cohen, “Seen and Known.” Ghirardo,
“The Topography of Prostitution in Renaissance Ferrara.” Clarke, “The Business
of Prostitution in Early Renaissance Venice.” D’Elia, “Marriage, Sexual
Pleasure, and Learned Brides in the Wedding Orations of Fifteenth-Century
Italy.” Rocke, “‘Whoorish boyes.’” Moulton, “Homoeroticism in La cazzaria
(1525).” See Finucci, The Manly Masquerade. Laqueur, Making Sex. Gallucci,
Benvenuto Cellini.Bibliography Benedek, Thomas G. “Beliefs about Human Sexual
Function in the Middle Ages and Renaissance.” In Human Sexuality in the Middle
Ages and Renaissance. Edited by Douglas Radcliff-Umstead, 97–119. Pittsburgh:
Center for Medieval and Renaissance Studies, 1978. Boswell, John. Christianity,
Social Tolerance, and Homosexuality: Gay People in Western Europe from the
Beginning of the Christian Era to the Fourteenth Century. Chicago: University
of Chicago Press, 1980. Brown, Judith C. Immodest Acts: The Life of a Lesbian
Nun in Renaissance Italy. Oxford: Oxford University Press, 1986. Burckhardt,
Jackob. The Civilisation of the Renaissance in Italy. Translated by S.G.C.
Middlemore. Old Saybrook, CT: Konecky & Konecky, 2003. Castiglione,
Baldassarre. The Book of the Courtier. Translated by Charles S. Singleton.
Garden City, NY: Anchor Books, 1959. Clarke, Paula. “The Business of
Prostitution in Early Renaissance Venice.” Renaissance Quarterly 68, no. 2
(2015): 419–64. Cohen, Elizabeth S. “Seen and Known: Prostitutes in the
Cityscape of Late-SixteenthCentury Rome.” Renaissance Studies 12, no. 3 (1998):
392–409. Cohen, Thomas V. and Elizabeth S. Cohen. Words and Deeds in
Renaissance Rome: Trials Before the Papal Magistrates. Toronto: University of
Toronto Press, 1993. D’Elia, Anthony F. “Marriage, Sexual Pleasure, and Learned
Brides in the Wedding Orations of Fifteenth-Century Italy.” Renaissance
Quarterly 55, no. 2 (2002): 379–433. Finucci, Valeria. The Manly Masquerade:
Masculinity, Paternity, and Castration in the Italian Renaissance. Durham, NC:
Duke University Press, 2003. Foucault, Michel. The History of Sexuality. Volume
1: An Introduction. Translated by Robert Hurley. New York: Vintage Books, 1978.
Gallucci, Margaret A. Benvenuto Cellini: Sexuality, Masculinity, and Artistic
Identity in Renaissance Italy. New York: Palgrave Macmillan, 2003. Ghirardo,
Diane Yvonne. “The Topography of Prostitution in Renaissance Ferrara.” Journal
of the Society of Architectural Historians 60, no. 4 (2001): 402–31. Kalof,
Linda and William Bynum, eds. A Cultural History of the Human Body in the
Renaissance. Volume 3. New York: Berg, 2010. Laqueur, Thomas. Making Sex: Body
and Gender from the Greeks to Freud. Cambridge, MA: Harvard University Press,
1990. Levy, Allison M., ed. Sex Acts in Early Modern Italy: Practice,
Performance, Perversion, Punishment. Farnham: Ashgate, 2010. Marshall, Melanie
L., Linda L. Carroll, and Katherine A. McIver, eds. Sexualities, Textualities,
Art and Music in Early Modern Italy: Playing with Boundaries. Burlington, VT:
Ashgate, 2014. Matthews-Grieco, Sara F., ed. Cuckoldry, Impotence, and Adultery
in Europe (15th–17th century). Farnham: Ashgate, 2014. ———. The Erotic Cultures
of Renaissance Italy. Farnham: Ashgate, 2010. Moulton, Ian Frederick.
“Homoeroticism in La cazzaria (1525).” The Gay & Lesbian Review Worldwide
10, no. 4 ( July/August 2003): 19–21. Murray, Jacqueline and Konrad
Eisenbichler, eds. Desire and Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern
West. Toronto: University of Toronto Press, 1996. Radcliff-Umstead, Douglas,
ed. Human Sexuality in the Middle Ages and Renaissance. Center for Medieval and
Renaissance Studies. Pittsburgh, PA: University of Pittsburgh, 1978.Rocke, Michael.
Forbidden Friendships: Homosexuality and Male Culture in Renaissance Florence.
New York: Oxford University Press, 1996. ———. “ ‘Whoorish boyes’: Male
Prostitution in Early Modern Italy and the Spurious ‘second part’ of Antonio
Vignali’s La cazzaria.” In Power, Gender, and Ritual in Europe and the
Americas: Essays in Memory of Richard C. Trexler. Edited by Peter Arnade and
Michael Rocke, 113–33. Toronto: Centre for Reformation and Renaissance Studies,
2008. Rosenthal, Margaret F. The Honest Courtesan: Veronica Franco, Citizen and
Writer in Sixteenth-Century Venice. Chicago: University of Chicago Press, 1992.
Ruggiero, Guido. The Boundaries of Eros: Sex Crime and Sexuality in Renaissance
Venice. Oxford: Oxford University Press, 1985. ———. Machiavelli in Love: Sex,
Self, and Society in the Italian Renaissance. Baltimore, MD: Johns Hopkins
University Press, 2007. Simons, Patricia. The Sex of Men in Premodern Europe: A
Cultural History. Cambridge: Cambridge University Press, 2011. Storey, Tessa.
“Courtesan Culture: Manhood, Honour, and Sociability.” In The Erotic Cultures
of Renaissance Italy. Edited by Sara F. Matthews Grieco, 247–73. Farnham:
Ashgate, 2010. Talvacchia, Bette, ed. A Cultural History of Sexuality in the
Renaissance. Oxford: Berg, 2011.PART ISex, Order, and Disorder2 THE LORD WHO
REJECTED LOVE, OR THE GRISELDA STORY (X, 10) RECONSIDERED YET AGAIN Guido
RuggieroOne of the last works that Francesco Petrarch wrote was a short story
in Latin which he claimed to have translated from the Italian of the final tale
of Boccaccio’s Decameron —the novella of the patient Griselda, who accepted
every cruel test her husband, Gualtieri, tried her with to assure her
worthiness as a wife. In Petrarch’s version Griselda was a humble peasant and
Gualtieri the esteemed Marquis of Saluzzo, a prince loved by all for his wise
rule. Tellingly, he claimed that he was translating the tale because it was so
very useful as a lesson on how to treat a wife that it needed to be in Latin to
gain the wider circulation that the universal language of learned men merited.
And, in fact, Boccaccio’s original version has been long read in that light,
almost as if Petrarch’s Latin retelling determined its meaning for future
generations. Recently, moreover, with more sophisticated discussions of gender,
his perspective has garnered even greater purchase, with Boccaccio’s tale being
criticized for its misogynistic vision of matrimony and support for a husband’s
absolute power over a wife. In turn, this perspective has even colored the way
some read the Decameron itself, discovering behind its laughing stories and
powerful, clever women a conservative defense of traditional patriarchy. But in
this essay, I want to suggest with a historian’s eye that the story of
Griselda’s ideal wifely qualities and her husband’s wisdom is in reality not
there in the Decameron (X, 10). For while that tale has been often read as an
account of Griselda, and her virtually biblical acceptance of her husband’s
will, it may well have read at the time as a story much more about the many
negative qualities of Gualtieri.1 For he is presented throughout as a dangerous
tyrant moved by a misguided sense of honor and a rejection of the emotion of
love, which meant that he was incapable of being either a good husband or a
good ruler from the perspective of fourteenth-century Florentine readers. Thus,
this tale is not just concerned with love and marriage, but also crucially with
rule and the rule of princes, in this casenegatively portrayed as tyrants. In a
way, then, I want to argue that it is Boccaccio’s “The Prince” a century and a
half before Machiavelli. Even the language of the day nicely sets up this
theme: for the term signore (lord) had multiple meanings that could span the
gamut of power relationships from the everyday husband as signore/lord over his
wife and household, to the local signore/lord/noble with power over those below
him, on to the signore/lord/ ruler (either a prince or a tyrant depending on
one’s perspective), and, of course, finally on to the ultimate signore, the
Signore/God. As we shall see, all these meanings are at play in Boccaccio’s
version of this tale. The teller of this story of multiple signori, the
irrepressible Dioneo, suggests its negative tone right from the start,
immediately warning that he finds Gualtieri’s behavior in general and towards
his wife “beastly.”2 He states f latly, “I want to speak about a Marquis, not
all that magnificent, but actually an idiotic beast. . . . In fact, I
would not suggest that anyone follow his example. . . .”3 This,
obviously, is hardly the wise prince Petrarch created in his supposed
translation of the tale. Dioneo then more subtly attacks him as a ruler
(signore), remarking that he was a young man who spent all his time “in hawking
and hunting and in nothing else.”4 Here we have echoes of an earlier tale in
the Decameron, the third tale of day two, about spendthrift Florentine youths
who threw away the riches left them by their aristocratic father by living the
thoughtless life of young nobles hunting, hawking, and living like signori.5
Significantly, those Florentine youths, after they lost their inherited
fortune, regained it by going to England and loaning money at interest to the
apparently even more foolish signori there, the English nobility, like many
Florentine bankers.6 Yet quickly they squandered their riches again, because,
as the story stresses, they returned to living like signori, eschewing the
virtù that made their Florentine merchant/banker contemporaries so successful.
What, one might well ask, was this virtù that had allowed them to remake their
fortune and that repeatedly brings success to the denizens of Boccaccio’s
tales? At one level the answer is simple. For Boccaccio’s contemporaries virtù
was a term that identified the range of behaviors that allowed one to succeed
and made one person superior to another. Simply put, it marked out the best.
But the simplicity of that definition quickly dissolves before the fact that
largely because it was such a telling term its meaning was highly contested and
f luid, in fact changing considerably over time, place, and across social
divides. Speaking very broadly, in an earlier warrior society many saw virtù in
aggression, direct action, often violent; and in physical strength, blood line,
and blood itself, even as at the same time moralists and philosophers often saw
it in more Christian behavior that rejected violence and aggression. In the
cities of northern Italy in the fourteenth century this traditional vision of
virtù was first expanded, then increasingly overshadowed by a vision more
suited to the urban life of the day and newer merchant/banker elites. For many
at the time, virtù required the control of passions—in contrast to an earlier
vision that privileged their moredirect expression—and included a strong lean
towards peaceful, mannered conduct that required reasonable, calculating (at
times sliding into cunning) behavior that controlled the present and
significantly the future as well.7 In sum, virtù, even as it was contested and
changed over time, was a word of power that helped to define an urban male
citizen and a truly good man. In the end, however, these youths were saved from
their un-virtù -ous behavior by a virtù -ous nephew, Alessandro, who first
re-established their fortunes via once again astute money-lending, and then
with his virtù won a bride who turned out to be the daughter of the king of
England, effectively overcoming all their foolish misdeeds. From this
perspective, it is clear that the signore Gualtieri, much like Alessandro’s
uncles, was not a virtù -ous or good prince, ruling as he should. Rather, by
not attending to anything but his own youthful pleasures, he was acting in a
way that Florentines would have easily associated with their fears about
contemporary signori/tyrants; for such rulers were seen by them as ruling all
too often merely to serve their own whims and selfish pleasures at the expense
of their subjects. And, in fact, proudly republican Florence had recently in
1342 experienced a brush with a signore/tyrant of its own, Walter of Brienne.
He had been appointed to a one-year term as ruler of the city in the hope that
he would be able to overcome an economic crisis caused by the failure of the
major banking houses of the city. But, as was often the case, he quickly
attempted to take power permanently as a signore and was just as quickly thrown
out after only ten months of unpopular rule. Almost immediately afterwards, a
popular government returned to power, and it remained wary of signori of any
type.8 Significantly, however, most Anglophone critics have failed to note that
the Italian for Walter is Gualtieri and thus that Florence had thrown out a
tyrannical Gualtieri of their own just a decade before Boccaccio completed the
Decameron. Tellingly the negative behaviors often associated with contemporary
tyrants are immediately linked to the tale’s Gualtieri and his marriage by
Dioneo, who notes that not only did he not pay attention to anything else but
his own selfish pleasures, he “had no interest in either taking a wife or
having children. . . .”9 This, then, had created problems with his
subjects. As they, like all good subjects, wanted him to take on the
responsibilities of a mature male and ruler by marrying; for marriage was seen
at the time as perhaps the most important sign of reaching full maturity and
taking on the sober responsibilities of an adult male.10 Moreover, with
marriage, a prince began to produce the heirs that would secure an ordered
passage of power at his death, something that for his subjects was crucial.
With Gualtieri’s rejection of this, in essence Dioneo had presented his readers
with a questionable signore/lord/ruler who refused to give up his youthful and
irresponsible ways to rule as an adult prince with virtù.11 In the end, then, although
he reluctantly gave in to his subjects’ demands, he decided to do so by taking
a bride without consulting with anyone. And once again this would have troubled
contemporaries. Arranged marriages were the norm in fourteenth-century
Florence and more widely and crucially theywere negotiated by parents or
relatives to secure broader family goals or, in the case of rulers, meaningful
alliances. The immature Gualtieri instead took his marriage personally in hand
to secure his selfish desires with no concern for his family, his subjects, or
even love. Moreover, his lack of love in selecting his bride also evoked the
negative presentation in Decameron stories of many unhappy marriages where the
lack of love had led to bad matches, especially for women. Repeatedly the tales
advocated avoiding this ill-fated situation by marrying for true love, exactly
what Gualtieri rejected. From his perspective marrying for love and loving his
wife would have endangered his un-virtù -ous life, focused on his own personal
pleasures. And at the same time, it would have also signaled the end of his
freedom from his responsibilities as a ruler and declare that he had acquiesced
in becoming the signore/prince that his subjects desired and that Petrarch had
rewritten him as being in his misleading supposed Latin translation of the
tale.12 Making his disgruntlement clear, Gualtieri finally did knuckle under to
his subjects’ demands, but warned them that whoever he might chose, they must
honor her as their lady or feel his anger.13 The reality behind that warning
was soon dramatically revealed.14 For Gualtieri had for some time been
observing a pretty, well-mannered peasant girl who lived nearby. Yet crucially
what made her most attractive to Gualtieri was the fact that as a humble peasant
he was confident that he could dominate her so that she did not interfere with
his youthful lordly pleasures, the selfish key to his marital strategy again.15
Following Gualtieri’s misplaced desires, we are drawn ever deeper into the dark
morass of unhappy marriages in the Decameron. Having selected his bride without
disclosing her identity to anyone and without her even being aware of it, he
insisted that his subjects come with him to celebrate the matrimony. And so it
was that one day they followed him to an unlikely nearby village where the
peasant girl, Griselda, lived in poverty with her father. The scene is nicely
set by the narrator of the tale Dioneo, as he describes how the richly attired
relatives of Gualtieri and his most important subjects arrived on horseback
before Griselda’s humble hut. When she, dressed in rags, rushed onto the scene,
anxious to see who their lord’s new bride would be, to everyone’s surprise
Gualtieri called down to her by name to ask to speak with her father. She replied
modestly that he was inside and accompanied him in to the peasant hut to talk
with her father, Giannucole.16 Even her father’s name reeked of Griselda’s
humble status, for Giannucole is the diminutive for Giovanni. Using the
diminutive for an adult male, and a pater familias at that, essentially denied
him any status or honor. Gualtieri underlined the point when he did not waste
any time with niceties on a person who, given that lack of status, did not
warrant them from his perspective. Thus, he did not ask Griselda’s father for
her hand as simple politeness required; rather he announced that he had come to
marry her. Then, continuing in his high-handed ways, he turned to her and
demanded that if he took her for his wife, “will you always be committed to pleasing
me and never do or say anything that would upset me.”17 Once again the
absenceof love in Gualtieri’s approach to his future bride is stunning,
especially for the tales of the Decameron; and moreover, his lack of regard for
her father, and for her is deeply troubling. Turning to Florentine history and
traditions once more it seemed almost as if his way of treating Griselda and
her father echoed what the citizens of Florence most disliked in the
high-handed ways of local nobles/lords that they had rejected in the 1290s when
they passed their revered Ordinances of Justice. These laws were ostensibly
designed to punish local nobles and their ilk (labeled magnates) for just such
high-handed behavior and mistreatment of common folk. And these Ordinances had
become a symbolic keystone of Florentine republican government and its civic
vision and would remain so across the Rinascimento. In fact, one of the few
times that the Ordinances were questioned was when they were cancelled almost
immediately after Walter of Brienne, the other Gualtieri and would-be Signore
of Florence, was driven out. After he was expelled in 1343, the Ordinances were
momentarily cancelled by a short lived aristocratic government and then almost
immediately reinstated by the popular government that replaced both Gualtieri
and that unpopular aristocratic moment, as a strong reminder that the city
would not allow signori of any type to mistreat Florentines. And although
Gualtieri did not himself revoke the Ordinances, the black legends that grew up
around his rule often made him responsible for their momentary elimination and
an attack on popular republic government.18 All that this implies is underlined
by the famous marriage scene that follows, for Gualtieri, with his demands met,
takes Griselda by the hand and leads her from her home. There in front of the
whole group of his elegantly dressed subjects to their surprise and dismay he
ordered her stripped naked.19 He then had her re-dressed with the aristocratic
clothing and the rich accoutrements that made up a noble’s wardrobe and only
then consented to marry her. As often noted, this dramatic scene in its
undressing and re-dressing of his bride essentially symbolized and perhaps
contributed to the rebirth that Gualtieri believed he was engineering,
transforming Griselda from a humble peasant to a noble wife, using clothing as
both a symbol and a tool. And indeed, the tale goes on to point out how quickly
and successfully she impressed the gathering, appearing to take up easily the
manner and bearing of a princess in her new noble clothing. That impression was
confirmed in the days following, when, as Gualtieri’s wife, she displayed to
all impressive manners and wifely virtues. In sum, once redressed she was
capable of being transformed from a humble peasant to a noble princess—the very
stuff of fairy tales and popular fantasy. But it is also the very stuff of
Florentine beliefs at the time—the elite of the city had shifted from old noble
families to a newer merchant/banker group who dominated Florence both
economically and socially. Thus, a humble peasant who gained the opportunity
and the dress to move at the highest social levels was an attractive conceit,
demonstrating that anyone with virtù could behave as well as the old nobility.
From that perspective Griselda had that delicious quality of fulfilling
contemporary fantasies, even if many rich Florentines would havebeen comforted
perhaps by the fact that such a leap for someone of her status was highly
unlikely. Yet there is a way in which the dramatic stripping of Griselda—a
theme that would have great popularity in the future in literature and art—has
masked a deeper honor dynamic involved in this troubling marriage. In fact, the
tale’s Florentine audience would have been aware from the first that marriages
were virtually always moments when issues of honor were central. That was why
fathers usually played such a significant role in such affairs: they had, in
theory at least, the mature judgment to evaluate the complex calculus of family
honor involved in a marriage alliance between two families without letting
youthful emotions interfere. Unfortunately, from this perspective the young,
selfish, self-centered Gualtieri fell far short of this ideal, as the tale made
abundantly clear. Nonetheless, Gualtieri was aware of the honor dimensions of
his marriage and was anxious to resolve them in his own high-handed way.
Anticipating the resistance of his subjects to his marriage of a peasant and
its implications for the honor of all involved—a marriage that he saw as
serving his interests and not theirs—from the first he insisted that they
accept his choice and “honor” it and him as their ruler. And, of course, as
long as his misguided honor was a driving force replacing love in his approach
to marrying Griselda, it crippled the relationship and his ability to be a good
husband and suggested a similar situation vis-à-vis his subjects as a ruler
where love for his subjects was also lacking. Crucially in this way of seeing
things, his behavior evoked strong echoes of other husbands and princes in the
tales of the Decameron whose lives were destroyed by their misguided sense of
honor. In turn, such behavior echoed Florentine fears about the dangers of a
central/northern Italian world where it appeared—in many ways correctly—that
the days of republics like theirs were a thing of the past. They were being
rapidly replaced by the one-man rule of signori who claimed to be princes, but
more often than not seemed to Florentines to be self-serving tyrants like Gualtieri,
more concerned with their misguided honor and selfish pleasures than just rule.
Yet in the short term things seemed to be looking up for Gualtieri’s honor and
his marriage. Not only did Griselda win over his subjects, she soon became
pregnant and produced a daughter. But not long after the happy birth, the f
laws in his personality and his treatment of his wife began to reveal a deeper,
darker truth. Almost as if he feared to succumb to the success of his marriage,
he decided to test his wife to assure himself that she was ready to honor all
his lordly wishes, no matter how cruel and tyrannical they might be.
Significantly, however, he defended these tests to Griselda as a concern for
his honor, complaining that his subjects were murmuring about her lowly peasant
origins and the similar baseness of her daughter. In fact, his claim was
presented as false by Dioneo. Gualtieri’s honor was never questioned by his
subjects in this context; actually, they are portrayed as quite happy with his
bride, even as they were surprised by her success as a lady. Griselda, however,
accepted his false claims, and, as a result, unhappily understood the worries
about his honor thatwere supposedly tormenting Gualtieri. Thus, she replied
obediently as a subject to such a lord must: “My lord (Signor mio), do with me
what you will as whatever is best for your honor or contentment I will accept
. . .”20 (1239). Once again one wonders how this would have played
for Florentine republican readers, who saw in such one-man rule and unjust
claims of honor the essence of tyranny—the greatest danger to their own
republican values and way of life. And in the context of an unloving, unhappy
marriage, we are faced with a man and a relationship definitely gone wrong and
a poor wife whose suffering Florentines could feel.21 Things quickly go from
bad to worse. Evermore the tyrant, Gualtieri deceitfully uses his honor to
excuse his most outrageous demands on his wife/subject. First, he has a servant
take her daughter away. And making it clear that he is acting on the lord’s
orders, the servant implies that he has been instructed to kill the child. With
great sadness Griselda hands over her baby. Although Gualtieri is impressed by
her obedience and strength in the face of his horrible demand, nonetheless he
allows her and his subjects to believe that the child has been killed, while he
secretly sends it off to relatives in Bologna to be raised. Continuing his
testing of her, when she gives birth to a male child and heir, he once more
claims the child’s life, using again the excuse of fearing for his honor and
his rule. Woman, because you have made this male child, I cannot find any peace
with my subjects as they complain insistently that a grandson of Giannucole
will after me become their Signore, so I have decided that if I do not want to
be overthrown, I must do with him what I did to the other [child]. Moreover,
given all this [I must sooner or later] leave you and take another wife.22
Dioneo, however, makes it clear to his listeners that once again this claim is
false, noting that Gualtieri’s subjects were not complaining about the boy’s
humble background or the loss of honor it implied. In fact, he points out that
in the face of the apparent murder of both children, his subjects “strongly damned
him and held him to be a cruel man, while having great compassion for
Griselda.”23 Hardly the response of those anxious to see an unsuitable heir or
wife eliminated or those enthusiastic about their exemplary prince, as Petrarch
misleadingly portrayed him. Still, as her lord and their tyrant, both she and
they had no option but to bow down before his cruel will, yet another lesson
about the dangerous honor of lords and their potential for heavy-handed tyranny
that would not have been lost on republican Florence. So, the second child
joined the first in apparent death—while Griselda lived on sadly under the
shadow of her husband’s warning that eventually he would end the whole problem
of her humble birth besmirching his honor and threatening his rule by putting
her aside to take an honorable bride.
And finally, after twelve years Gualtieri decided that his daughter had grown
old enough to pass as his new bride; and it was time for the last tests of his
wife. Thus, he acted onhis earlier promise, informing her that he was ready to
dissolve their marriage in order to take a more suitable wife. Claiming that he
had secured a dispensation from the pope to put her aside, he gathered his
subjects together to make the announcement that he was sending her back to her
father and her humble life as a peasant. Evidently, he was not content to
continue his cruel testing of his wife in private; rather his cruel deeds had
to be displayed before his subjects. The power to rule and the honor it
required were at play and perhaps also a desire to warn his subjects that he
was their signore as well and capable of similar deeds to defend his honor and
assert his control over them. But considering what fourteenth-century
Florentines would have made of this new outrage is again suggestive; for almost
certainly they would have seen in this a cruel lord acting as a tyrant,
mistreating his most loyal subject in a way that no right-thinking republican
Florentine would ever accept—in sum Gualtieri was the model anti-prince. Gualtieri
announced, then, before his troubled subjects and the abject Griselda, that he
was renouncing her as his wife because in the past my ancestors were great
nobles and lords of these lands, where your ancestors were always laborers
(lavoratori ), I wish that you will no longer be my wife, but rather that you
return to the house of Giannucole . . . and I will take another wife
that I have found that pleases me and is befitting [to my status].24 In sum,
his ancestors were nobles and rulers and Griselda’s were humble laborers;
therefore, their marriage was unsuitable and he was literally suffering the
dishonor of being a lord badly married. The term “lavoratori ” used to describe
her ancestors, while it could be used as a synonym for a peasant, may well have
suggested something more troubling yet. The more normal terminology for
Griselda’s ancestors would have been contadini or villani,25 but by contrasting
his nobility with her status as descended from lavoratori, Gualtieri once again
was asserting status claims that would have ruff led Florentine feathers. For
the people of Florence, who had fought so hard across the thirteenth century to
drive out high-handed nobles like Gualtieri, had done so in the name of
protecting the laborers of the city from just such high-handed behavior. In
fact, the Ordinances of Justice labeled such behavior as typical of the
nobility. And the Ordinances were celebrated as wise legislation designed to
discipline and punish the nobility and protect lavoratori from their high-handed
ways. Once again, the recent attempt to eliminate the Ordinances in 1342 and
the threat that posed to the laborers of the city would have added weight to
the negative valence of Gualtieri’s speech.26 All this cruel testing of
Griselda calls up echoes of another person often associated with her and this
tale, who had also suffered greatly under his lord, the biblical Job. In fact,
commentators have often pointed to the parallels betweenGriselda’s patient
suffering at the hands of her signore/lord/husband and Job’s suffering at the
hands of his Signore/Lord/God as a reason for seeing her as an exemplary wife
and loyal subject accepting her husband’s rightful dominance, just as Petrarch
later recreated her.27 There is an immediate problem with this parallel,
however, for Job’s Lord did not actually deal out the setbacks that deeply
wounded him. He merely withdrew his protection and left the door open for Satan
to attempt to destroy Job’s faith, ultimately without success. From that
perspective Gualtieri seems more to parallel Satan than God. Despite that
often-overlooked theological nicety, however, the God (Signore) of the Old
Testament who allowed the testing of Job might seem to vaguely parallel at a
higher level her lord (signore), Gualtieri’s, testing of Griselda. But
tellingly in the Trinitarian view of time being preached aggressively in
Florence when the Decameron was being written and as war loomed with the
papacy, that Old Testament God and His troubling relationship with humanity
following the original sin of Adam and Eve—often portrayed as dishonoring that
Signore —was seen by many as no longer the order of the day. Christ’s love and
his sacrificing of his honor to die as a common criminal to save humanity was
seen as inaugurating a new order and dispensation, a view especially stressed
by a powerful group of local preachers at the time. And the Godliness of that
new age, Boccaccio’s present, was totally alien to Gualtieri and totally alien
to his relationship with his wife and his subjects—for crucially, he explicitly
rejected love in favor of jealously protecting his honor, much like the
vengeful Lord of the Old Testament and nothing like the God of Love of the New.
In a work that over and over again stresses the importance of love, love in
marriage and in the best relationships between men and women, Gualtieri becomes
the cruel husband, the anti-prince, the tyrant par excellence, and a ref
lection of a relationship with the wrathful God of the Old Testament that no
longer obtained. And, of course, this last tale of the Decameron is told by
Dioneo—literally “Dio Neo,” the “new god” of love—who makes it clear that he
finds Gualtieri unsuitable as a husband, ruler, and most certainly as any kind
of a lover. But this was merely the prelude to his last cruel testing of poor
Griselda. For Gualtieri then demanded that she return to prepare and oversee
his wedding to his new bride. Once again Griselda accepted this command. But
significantly Dioneo insists on making a critical clarification: Griselda
accepted his cruel command not as a patient ex-wife or as a loyal subject, but
out of love for Gualtieri. He explains that she accepted only because “she had
not been able to put aside the love she felt for him.”28 Thus she returned to
the palace as a servant, to prepare the new wedding for her beloved. Dioneo
relates a number of humiliating moments in the preparations and underlines once
again their injustice by noting the deeply troubled reactions of Gualtieri’s
subjects to her abuse and their repeated calls for a more just treatment of
her. The humiliation comes to a head when Gualtieri has his new bride brought
to his palace for the wedding. Presenting her to Griselda, he cruellytwists the
knife of her humiliation in public again, asking her opinion of his new lady.
She answered, My lord . . . she seems to me very good and if she is
as intelligent as she is beautiful, as I believe, I am certain that you ought
to live with her as the most content signore in the world. But still I would
pray that those wounds that you gave before to the earlier one [wife], you
spare this one; because I doubt that she could resist them, for she has been
raised with great gentleness, whereas the other was used to hardships from her
childhood.29 Yes, Griselda has suffered and finally even she has complained.
Subtly, and without ever referring to herself by name, she has pointed out
finally the unjust nature of his rule over her and by implication over his
subjects. It would be satisfying to claim that Griselda’s final faint
demonstration of defiance caused Gualtieri to change his ways, but Dioneo has
already informed us that Gualtieri was ready to act even before she spoke. Thus
ignoring her comments, he declares: Griselda it is time that you finally hear
the fruit of your long patience and that those who have held me to be cruel and
unjust and bestial learn that it was all according to plan, wishing to teach
you how to be a wife and teach others how to pick and keep a wife and [finally]
to guarantee my peace as long as we would live together.30 In the end, then,
even Gualtieri admits that his lordly ways have been cruel, unjust, and
bestial, but he justifies them by claiming that he has taught Griselda how to
be a good wife. And many commentators, following Petrarch, have taken this claim
at face value, arguing that Gualtieri is the demanding but just hero of the
tale and Griselda the ideal wife fashioned by his treatment of her. Yet, in
fact, as the story makes clear over and over again, his cruelty did not teach
her anything. She came to him, as she has just pointed out, already accustomed
to suffering and accepting the hardships that life brought her as a peasant.
She was born into hardship and suffering and she adapted quickly to her lord
and his mistreatment because of her own inherent peasant ability to suffer and
lack of a sense of honor. Indeed, one would be hard put to find a place where
the tale or Dioneo suggest that she learned anything from Gualtieri. And while
the fourteenth-century Florentine readers of this tale were more usually urban
dwellers than peasants and thus theoretically not as inured to hardship and
suffering, they were proudly not nobles either, and it is hard to imagine them
accepting from local nobles the treatment that Gualtieri dished out. Moreover,
it is hard to imagine that they would have felt sympathy for Gualtieri’s
defense of his cruel ways, as they too would have been unlikely to feel any
need for such lessons from nobles or signori to learn the patience necessary to
survive as subjects (as they had recently demonstrated throwing out their own
Gualtieri) or for that matter even to survive as wives.Actually, it might seem
strange that finally after retaking Griselda as his wife and explaining his
whole plan to his subjects and her, the couple are portrayed by Dioneo as
living happily ever after. But providing an explanation for that improbable
happy ending is a startling and significant admission by Gualtieri: for, as
unlikely as it might seem, all his cruel tests have led him finally to a
crucial transformation— the decisive often overlooked climax of the tale. He
has finally discovered the emotion of love and has fallen in love with his
victim, Griselda. He confesses at the last: “I am your husband who loves you
more than anything and believe me when I say that there is no man more content
than I in his wife.”31 Crucially with that admission, and Griselda’s ongoing
love that survived his every cruelty, no longer is their marriage simply an
unhappy mismatch with a wife subject to her lord/husband defending his
misguided honor and selfish noble pleasures. Rather, now it is exactly the kind
of marriage that the Decameron advocates over and over again. With love as its
emotional base, the happy ending that the story, and the Decameron itself,
requires is possible and Gualtieri, his wife, and perhaps even his subjects can
live happily ever after—not a divine comedy perhaps but a human one.32 For in
the end Griselda survived a cruel lord, and with her willingness to suffer and
peasant patience, she, not he, for a moment at least became the true teacher,
teaching a tyrant who rejected love to love and to become a true prince—in this
she was perhaps more Christ-like than Job-like. Let me suggest that by
contemporary Florentine standards or those of the imagined and real women
listeners of Dioneo’s tale, Gualtieri’s mistreatment of his wife was anything
but a model of an ideal marriage until everything changed with love at its
conclusion, despite Petrarch’s claim to the contrary. In the end, then, she was
a victim, but in ways that many critics have had trouble seeing. First, of
course, at the hands of her cruel lord/husband. But also at the hands of the
would-be aristocrat and anti-republican Petrarch. For despite his claims about
what he saw as an ideal of marriage, he also retold her tale in Latin to
celebrate the honor of the often cruel signori—tyrants and lords—that he
cultivated for patronage and support far from the republican Florence that
claimed him at times with difficulty as an honored son. Still, in the end she
and love won out, a fitting conclusion to the new god of love, Dioneo, and his
tale, as well as to Boccaccio’s Decameron.Notes 1 I have used for this tale and
all citations from the Decameron the classic edition edited by Vittorio Branca:
Boccaccio, Decameron. In this reading that looks more closely at the Marquis of
Saluzzo, I am following the path breaking lead of Barolini in her article “The
Marquis of Saluzzo.” But I emphasize more a Florentine perspective on the tale
than Barolini and am less inclined to follow her strategy of using game theory
to explain what she labels as the Marquis’ beffa. I discovered after I wrote an
early draft of this essay Barsella’s excellent article “Tyranny and Obedience.”
My account stresses more the marital as well as the political side of the tale
and looks more closely at the Florentine political and social world of the day,
while she offers a more complete analysis of the ancient and medieval
theoretical literature on tyranny; but we both agree that the tale is more about
Gualtieri as a tyrant than about Griselda as a model wife.2 Decameron, 1233.
“Beastly” often seems to serve as code word or signal that the male so labelled
has sexual appetites that are “unnatural” by Boccaccio’s standards and hence
like those of a beast. If beastly is being used in that sense here, it would
add another dimension to the Marquis’ rejection of marriage and the love of
women, one that Boccaccio regularly paints in a negative light. Barolini
provides an interesting discussion of the term drawing similar conclusions but
emphasizes its echoes of Dante’s usage of the term, along with its classical
and Aristotelian dimension—a perspective that would undoubtedly have had its
weight for learned readers and listeners, but perhaps less for a broader
audience at the time. Barolini, “Marquis of Saluzzo,” 25–26. 3 Ibid., 1233;
italics mine. 4 Ibid., 1234. 5 The three are described as the young sons of a
noble knight named Tebaldo from either the Lamberti or the Agolanti
families—both Ghibelline families exiled from Florence in the late Middle Ages
and thus suspect already in fourteenth-century Florence with its strong Guelf
tradition. 6 Although it should be noted that the prospects of profits from
loaning money to the English had become less appetizing after the recent
failure of Florentine banks in 1342, in part caused by the King of England’s
reneging on his debts to them. Actually, recent scholarship has argued that
local bad loans in Tuscany and debts built up in the ongoing wars in the region
were more responsible for the bank failures, but contemporary accounts tended
to place a heavy emphasis on the King of England’s actions—perhaps as a way to
divert attention from the more local issues involved. Barsella notes also this
connection in “Tyranny and Obedience,” 74–75. 7 Ruggiero, Machiavelli, 163–211.
This vision of virtù and its development across the Rinascimento in Italy is
one of the central themes of my effort to reinterpret the period in my book The
Renaissance in Italy. From this perspective, Boccaccio’s Decameron with its
stress on virtù is a work that fits more in the world of fourteenth-century
Italy than as a work of medieval literature as it is often characterized. Of
course, many of his tales have medieval sources and echoes, but significantly
they are rewritten with a very different set of values more characteristic of
fourteenth-century Florence and the city-states of central and northern Italy.
8 Walter (Gualtieri) of Brienne actually makes an appearance in the Decameron
in his own right as one of the nine “lovers” of the Sultan of Babylon’s
daughter, and a quite bloody “lover” at that (II, 7). Boccaccio also wrote a
quite uncomplimentary account of his life in his De Casibus Virorum Illustrium,
Lib. IX, cap. 24. 9 Decameron, 1234. Dioneo, however, does follow this comment
with what appears to be a compliment for this lack of desire to marry, “for
which he was to be seen as very wise” (1234). Yet what follows undercuts the
force of this apparently very traditional negative vision of marriage. And
throughout the Decameron Boccaccio seems to provide an unusual number of tales
that see well-matched marriages as positive and at least potentially happy. 10
For this see the discussion in Ruggiero, Machiavelli, 24–6, 172–73 and
Giannetti, Lelia’s Kiss, 18, 131–34. 11 While the character Gualtieri had the
same name as the recent Florentine would-be tyrant, this is not to argue that
he was the only tyrant being referred to in the tale. In actuality Florence was
surrounded by dangerous and aggressive tyrants who were capable of instilling
fear in the city even if they were not named Gualtieri. As often noted, the
fourteenth century, following in the footsteps of the thirteenth, was a period
where republics were losing out to tyrants everywhere and Florence found
themselves surrounded by aggressive signori on virtually all sides. 12 This
lack of love also played a significant role in his lack of a positive
relationship with his subjects, once again the micro-level of life, in this
case marriage, reflecting the macro-level of life, in this case Gualtieri’s
rule. Both lacked love and that stood literally at the heart of his negative
consensus reality for his subjects and for the Florentine readers of his tale.
13 Clearly with the repetition of “insisting” and Gualtieri’s will, the tale is
playing on will as a dangerous source of sin when misplaced as it is in this
case. Of course, will from a1415 16 17 181920 2133theological perspective is
the basis of all sin, which in the end is merely willing to turn away from the
good and ultimately God. In this case Gualtieri might be seen as willfully
turning away from love, the good and God much like Satan turned away from love,
the good and God in the greatest rejection of all. At this moment in the tale
with his willing misdeed, it might be argued Gualtieri confirms his fallen
state. Barolini suggests that in these demands Gualtieri, unhappy with his
subjects’ calls for his marriage, is setting up a beffa at their expense—a very
typical form of Florentine joke that in this case punishes them for forcing him
to marry against his will—and the key to the beffa is forcing them in turn to
accept the peasant wife that he will pick unbeknownst to them. Although there
is a logic to this perspective, it seems more likely that contemporaries would
have assumed the driving force in his decision to take a peasant as a wife was
his belief that she would have to be totally subservient to him, something that
Barolini stresses as well. Decameron, 1235. Although the text is clear that
Gualtieri entered the house alone, the discussion between Gualtieri, the
father, and Griselda requires that she had entered as well. Perhaps it is
significant that she is so humble that her entering the house with Gualtieri
does not require mention. Ibid., 1237. The Ordinances of Justice were first
passed in Florence on January 18, 1293 and while their meaning at the time has
been much debated, they became with time a kind of civic monument to the ideal
of Florence as a republic ruled by the popolo without the interference of the
traditional Tuscan rural nobility, labeled magnates, who had once dominated the
city. For the debate and the more complex reality of the Ordinances and the
magnates themselves see my Renaissance, 77–82 and 94–97 and the overview of
Najemy in A History of Florence, 81–89, 92–95, 135–38, and for a more detailed
study see Lansing, The Florentine Magnates. Suggestively, Petrarch in his
rather different retelling of the tale, softens this act of prepotency and male
power that once again here strongly underlines Gualtieri’s cruelty and lack of
required manners. He adds the telling detail that Gualtieri had Griselda
surrounded by women of honor before she was stripped. Here we see how the tale
could be changed to make it a hymn to a wise and careful husband anxious to
arrange the right kind of marriage that would assure a matrimony that
functioned as it should with the husband in command and the woman subservient
and obedient. But Dioneo’s careful scripting of Gualtieri’s boorish and self-centered
behavior in line with his high-handed ways that evoke the psychological
violence of the old nobility, strongly suggest a very different vision of
Gualtieri and his marriage—a negative vision in line with many of the tales
about the injustices of arranged marriages in the Decameron. Decameron, 1239.
One might note here that although Griselda is clearly a victim, she is hardly a
heroine as often claimed by critics. There are in fact any number of actual
female heroines in the Decameron whose tales were constructed to show their
virtù and ability to control their own lives and virtually always their goal of
winning a meaningful love in life and often in marriage. Perhaps the best
example of this, and a virtual anti-Griselda tale, that gives the lie to Petrarch’s
and later critics’ vision of Griselda as a model wife is the tale of Gilette of
Narbonne (III, 9), who empowered by love cures the king of France and
overcoming a series of seemingly impossible trials (typical of medieval lover’s
tales and more normally male knights) in the end thanks to her virtù wins the
love of the man she loves, her husband, Bertrand of Roussillon. In this tale he
is also portrayed as a cruel lord, but Gilette is anything but passive and
takes her life in her own hands to win out in the end—a model of what a woman
can accomplish with real virtù in the name of love. It is suggestive also that
Gilette is an upper-class non-noble from an urban setting not unlike the
Florentine readers of the Decameron and much more easily accepted as active and
aggressive than the humble peasant Griselda. Similar virtù overcoming a husband
both cruel and foolish is presented also in tale (II, 9) where a Genoese woman,
who takes the name Sigurano da Finale, passes as a male and flourishes in a
series of adventures thanks to her virtù and in the end recovers the love of
the husband she loves despite his murderous misdeeds.3422 23 24 2526 2728 29 30
31 32Guido RuggieroDecameron, 1241. Ibid. Ibid., 1242–43. In fact, this is the
only use of the term in the tale, usually she and her father are referred to as
poor and it is noted that he is a swineherd not a laborer. The title of the
tale refers to her as “una figliuola d’un villano” and later when referring to
her unexpected virtù, her dress and by inference her status is referred to as
“villesco”: “l’alta vertù di costei nascosa sotto i poveri panni e sotto
l’abito villesco.” For this see Brucker, Florentine Politics, 114; Najemy,
Florence, 135–37. On the Ordinances see note 18 above. Branca actually points
out the textual parallels noting that in the story of Job I:20 he states “Nudus
egressus sum . . . nudus revertar” in reference to Griselda’s “ignuda
m’aveste . . . Io me n’andrò ignuda . . .” (1243). In the
New Oxford Annotated Bible, the famous lament of Job is rendered “Naked I came
from my mother’s womb, and naked I shall return; the Lord gave, and the Lord
has taken away; blessed be the name of the Lord” (Job I:20 [614]). Decameron,
1244–45. Ibid., 1246. Ibid., 1247. Ibid. Critics have from time to time
referred to the Decameron as “The Human Comedy” playing on an apparent contrast
with Dante’s Divine Comedy, but I would suggest that Boccaccio’s comedy was
more divine than it might at first seem and Dante’s more human.Bibliography
Barolini, Teodolinda. “The Marquis of Saluzzo, or the Griselda Story Before It
Was Hijacked: Calculating Matrimonial Odds in the Decameron 10:10.” Mediaevalia
34 (2013): 23–55. Barsella, Susanna. “Tyranny and Obedience: A Political
Reading of the Tale of Gualtieri (Dec., X, 10).” Italianistica XLII, no. 2
(2013): 68–77. Boccaccio, Giovanni. Decameron. Edited by Vittorio Branca.
Turin: Einaudi, 1992. Brucker, Gene. Florentine Politics and Society 1343–1378.
Princeton, NJ: Princeton University Press, 1962. Giannetti, Laura. Lelia’s
Kiss: Imagining Gender, Sex, and Marriage in Italian Renaissance Comedy.
Toronto: University of Toronto Press, 2009. Lansing, Carol. The Florentine
Magnates: Lineage and Faction in a Medieval Commune. Princeton, NJ: Princeton
University Press, 1991. Najemy, John. A History of Florence, 1200–1575. Oxford:
Blackwell, 2006. Ruggiero, Guido. Machiavelli in Love: Sex, Self, and Society
in the Italian Renaissance. Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press,
2007. ———. The Renaissance in Italy: A Social and Cultural History of the
Rinascimento. New York: Cambridge University Press, 2015.3 SEXUAL VIOLENCE IN
THE SIENESE STATE BEFORE AND AFTER THE FALL OF THE REPUBLIC Elena BrizioSexual
violence in Renaissance and early modern Siena was widespread, barely manageable,
and apparently accepted, though not always legitimized, especially when it
applied to particular social classes. Both the nobility and the clergy
considered it their “right” to engage in behavior that underscored their social
superiority.1 This included not only the use of weapons, but also brawls,
thievery, private vendettas, and sexual violence. Such behavior did not,
however, pertain only to them: commoners also forcefully imposed their
brutality, sexuality, and violence on less powerful victims who happened to be
in the wrong place at the wrong time, or whose only fault was their
vulnerability. But not all victims, whether male or female, endured violence
passively. For everyone whose voice was not heard, there were many others who,
in spite of their age or sex, protested the violence they had endured and
described it in detail. Unlike other Italian cities, medieval Siena did not
have a single government office charged with the social control of the
population and the suppression of behavior deemed to be unacceptable.2 This
changed in 1460 when the government established the office of the Otto di
custodia (Eight in charge of Protection) to oversee behavior and public
health.3 After several changes to its name and tasks, the office was abolished
in 1541 by the Spanish protectorate, and then reestablished in 1554 as the
Ufficiali sopra la pace (Officers in charge of the Peace) in order to settle
citizen disputes and prosecute both blasphemy and violence. Yet this
incarnation was also short-lived, and the office was abolished at the fall of
the Republic in 1555.4 The administration of justice was entrusted first to the
Captain of the People (Capitano del popolo), and then to the Captain of Justice
(Capitano di giustizia), before being abolished in 1481. Some of its tasks were
entrusted to the Rota court in 1503, but in the event the 1481 suppression was
not definitive, and the Captain of Justice seems to have recovered some
functions in the first half ofthe sixteenth century. The office of the Captain
of Justice was formally revived when Duke Cosimo I de’ Medici issued an edict
on the “Reformation of the Government of the City and State of Siena.” in 1561,
and it acquired criminal jurisdiction over the city and the podesterie (the
administrative structures into which the countryside was organized).5 The
Captain of Justice also gained those tasks previously entrusted to the Criminal
Judge (Giudice dei malefizi ),6 and functioned under the supervision of the
Governor (Governatore).7 The Governor was now the top official in the new
administration. He enjoyed “broad political and administrative functions,
supervised the public order, issued regulatory actions and had the control of
all sentences of tribunals.”8 All other magistrates lost their jurisdiction over
criminal lawsuits.9 These frequent changes to judicial offices in Siena help us
understand why documentation on crime is scattered throughout many different
archival collections and series. It is also incomplete, because much material
has been lost. As a result, it is not possible to analyze the Sienese records
in as thorough a social or statistical way as it has been done for Florence.10
The preliminary analysis presented in this essay—which uses Sienese documents
for the years just before and after the fall of the Republic (1555)—will serve
to illustrate at least some cases of violence at a time in Sienese history
that, from the perspective of the history of crime, still awaits detailed
analysis. A preliminary analysis reveals just the tip of the iceberg. One of
the questions that arises from a first glance at the documentation is why so
much of the surviving documentation refers to violence in the countryside and
not in the city. Perhaps extra-judicial agreements between the parties, reached
in order to avoid denunciation, were more common or widespread in the city. Or,
perhaps, much of the documentation for urban violence has not survived to the
present day. In Siena, and especially in the Sienese countryside already
devastated by war, famine, and other problems, Medicean legislation over
criminal activities took a long time to be applied and become the norm. One of
the reasons for this was that the countryside suffered from a very slow
reconstruction process. It took not only time, but a lot of effort, to erode
and limit local authorities and personal powers that, for decades after the
fall of the republic, continued to impose a social code that penalized those on
the lower levels of the social scale.What the law said The rubric on sexual
violence in the last republican Sienese statute (1545) followed medieval
precedent and listed only adultery, rape, and abduction, in that order, as
crimes of violence.11 Sexual intercourse with a married woman of whatever
social rank or with an unmarried virgin was punishable by the imposition of a
financial penalty; abduction for the purpose of sexual violence, on the other
hand, was punishable by death. The definition of sexual violence required that
the abductor (raptor) marry the victim, if the father or the senior male members
of her family deemed it appropriate, or alternatively that he provide her
withSexual violence in the Sienese state 37a dowry. If sexual violence was
perpetrated against someone’s wife or daughter, it damaged the honor of the
husband and the family, so the culprit had to, somehow, adequately restore that
damaged honor.12 Sexual violence by men on men, described in the statute as “a
dreadful kind of violence that is used against nature on men,” demanded that
the rapist be jailed and pay a fine, but if the rapist was over forty years
old, he was to be burned at the stake.13 The regulation in the Duchy of
Florence was similar: in 1542 Duke Cosimo I revised the law against “the
nefarious, detestable, and abominable vice of sodomy” and not only increased the
fines but also imposed physical punishments and even the death penalty on
repeat offenders.14 Once Siena had been ceded by King Philip II of Spain to the
Medici in 1557 and incorporated into the duchy of Tuscany, the 1558 revision of
the Florentine law on sexual violence also applied to the city. This revised
law removed the fines and imposed only physical punishments for “those who will
use force and violence to women and men to satisfy their sexual desire.”15 If
the violence did not lead to an effusion of blood, the culprit was to be sent
to the galleys for a certain number of years to serve as a chained rower; if,
on the other hand, there had been an effusion of blood the culprit was to be
executed. The only exception allowed, and this only for Florentine and Sienese
citizens, was commuting the sentence to the galleys into a jail term, but this
only at the discretion of Duke Cosimo I. Such discretion generally depended on
the social rank, personal reputation, and family honor of the culprit.The rape
of women and young girls The new law was tested almost immediately. “Since this
case was of such manifest enormity, and the first since the publication of Your
Excellency’s last pronouncement against violence on men and women”:16 so begins
a letter by Orazio Camaiani (or Camaini),17 a diligent official and Captain of
Justice in the “New State” (Stato Nuovo) of Siena, to Duke Cosimo I de’ Medici
in the winter of 1559. Camaiani went on to relate a case of attempted sexual
violence against “a poor widow of Belforte” who, on resisting her attacker, was
hit by him so hard that she bled.18 Camaiani’s information came not from
first-hand observation, but from letters he had received from the vicar of
Belforte (fol. 13r), a small mountain-top hamlet about 45 km west of Siena. It
included all the necessary negative requirements—night, loneliness, violence.
The “poor widow,” who is never named in the letter,19 had been assaulted during
the night in her own home by two men who entered on purpose in order to rape
her; she resisted the attack, screamed loudly, and was wounded in the head and
face. Her attackers ran away without succeeding in their intent. The widow did,
however, recognize one of her attackers, “a certain Terenzio Usinini, Sienese”
(fol. 13r) and reported him. The Captain of Justice thus knew for whom to look.
The information was sent to Duke Cosimo I, but what has survived is scattered
and incomplete. It does, however, point to the many cases of violence in a
territory that was still sufferingfrom the aftermath of the raids and
devastations brought about by the recent Florentine conquest of Siena (1552–59)
and the republic’s difficult process of submission to its new Florentine lord.
We know very little about Terenzio Usinini. There is no record of his having been
baptized in Siena,20 so we can assume that he was born and baptized in the
countryside. He also does not appear among the very few Usinini who held
secondary appointments in Sienese offices.21 His family pedigree or that fact
that the family belonged to one of the major political groups in Siena, the
Monte of the Riformatori, were of no help to him—in referring to Terenzio, the
Captain of Justice noted that “a worst name against a person cannot be heard in
the entire town.”22 In fact, Terenzio did not have a good reputation—after
hearing that he had been accused of attempted rape, other women in town went to
the Captain of Justice to report that he had raped them, too, or had attempted
to do so. Terenzio managed to escape arrest on this occasion, but his
accomplice, a priest, was not as fortunate—he was captured thanks to a peasant
who tricked him with the help of a woman who was priest’s former lover. The
incomplete records do not tell us what happened to either Terenzio or the
priest. We can, however, determine that Terenzio seems to have been a violent
highborn individual who behaved as if he were above the law and thought he
could force his sexual desires upon subordinate women. This may, in fact, be to
a certain extent true because Terenzio seems to have managed somehow to escape
justice. While highborn locals might have been able to get away with sexual
violence and escape justice, the sexual misbehavior of state officials, who
were to uphold the legal system, was more problematic, especially when such
officials used their power to abuse women and girls. Already in 1378, Pietro
Averani from Asti, a district judge was dismissed because he had used the power
of his office (sub pretextu offitii ) to rape a young virgin girl living in
Siena.23 In a case from 1554, a community in the countryside asked the
government in Siena to “immediately” send another commissioner to replace the
current one whose violence against some local women was such that it was about
to cause serious disorders. One “young, respectable, and good” local woman even
went to Siena herself and, in tears, described to the magistrates how the said
commissioner had come into her house at night on the excuse of seeing how the
soldiers had been billeted and had started to lay his hands on her, at which
point she had begun to scream and he stopped.24 Though problematic, the sexual
misbehavior of this representative of the legal system seems to have elicited
little more than a request for removal from the post or relocation, and no
actual physical punishment meted out on the guilty party. We do not know
whether this was the limit of what plaintiffs could expect. In a different
case, blasphemy was added to the charge of attempted violence. This rendered
the accusation much more dangerous because blasphemy was considered an “open
crime,” that is, clear and public. Angela reported that Bastiano, the servant
of the Bargello (that is, of the chief of police), “on many occasions requested
her honor from her.”25 After beating her several times because sherefused, he
entered her house while her husband was away and tried to rape her, at which
point she started screaming. After threatening her, “he pointed the dagger at
her throat saying ‘whore of God, if you scream I will slaughter you,’” but she
continued to scream and so he left. The examples given so far point to a
somewhat spontaneous, even impulsive attempt on the part of the men to engage
in sex with an unwilling woman. There are also cases of carefully planned
attempts. Agnoletto the Corsican, for example, not knowing how other to seduce
a young woman, did so by impersonating a priest; “because he did not know how
else to rape a young girl, he took the clothes the archpriest wore during Lent
and, dressed like him, started confessing her in church.” This particular
record continues by pointing out that Agnoletto “raped many women and did other
impudent things.”26 We have further examples of premeditated rape. A notary
reports that Pompeo di Giovanni from Monticello, a 45-year-old man, married and
with two daughters, had engaged in “robberies, rapes and, in general, all other
sorts of abuses done and committed” including “raping, together with other men,
Iacoma the daughter of Filippo, his relative,” and of “having prided himself
for having entered through the roof into Antonia di Censio’s house only to have
sex with her and perhaps he did so, and because there was no point in screaming
she, for the sake of her honor, kept quiet about it.” The notary continues his
report with the comment that he “will remain silent on what Pompeo did to
certain poor young women who were walking by” and then concludes by recording
that Pompeo was eventually found guilty of a long list of robberies and
sentenced to the gallows.27 After the Council of Trent (1545–63), a new detail
enters into notarial descriptions of sexual violence: some defendants now tried
to justify themselves by explaining that they had been tempted by the devil. In
1571, Sandro was accused of raping five-year-old Santina in a wheat field and
causing her to bleed from her vagina.28 In his defense, Sandro told the Captain
of Justice that when he went in the field to “shout at some children doing some
damage,” Santina and Elisabetta came by. Sandro was then tempted by the devil
to sit down and grab the said Santina and put her on his lap, and having pulled
out his tail [i.e. penis] through the opening of his trousers, he inserted the
second finger of his right hand into Santina’s nature [i.e., vagina] and,
having seen that it could enter easily, took out his finger and started
pointing his tail towards her nature and, in so doing, he could have hurt her
and she shouted one or two times. Hearing the little girl scream, her uncle
Domenico rushed to help her and found her crying and “totally wrecked and
bloody.” He hit Sandro with a bow he had in his hands and moved him away from
the girl. Sandro later confessed that since he could not put his member inside
Santina’s nature, he was about to finish [i.e. ejaculate] between her thighs or
in some other way as best hecould because the devil grabbed him by the hair and
he [Sandro] could not stop himself, but the said Domenico stopped him. Sandro’s
deposition claims that when he was raping the girl he was not his own self, but
was under the control of the devil to the point that he was not physically able
to do otherwise until an external force, Domenico, interrupted him and stopped
the devil’s control. Referring directly to the 1558 law mentioned above, the
Captain of Justice pointed out that, in cases of violence with effusion of
blood, the accused must incur the death penalty. Perhaps to elicit a more
merciful sentence, the Captain of Justice described Sandro as “a young man
between 25 and 30 years old, a bachelor, and more a fool than a scoundrel.” The
plea was successful—Sandro was spared his life and received the lighter
sentence of “two or three years in the galleys.”A matter of honor, but whose
honor? In a letter of March 1524 to the government in Siena, Bartolomeo di
Camillo, at that time podestà (chief magistrate) of Sarteano, reported a
disturbing case of rape: A certain local man, Agnolo di Ipolito, entered into
the house of a certain Giovanni Baptista Tucci, a citizen of Siena, and found a
daughter whose name is Iuditta, who is around fourteen-years-old and not yet
married, and violently took her and because she did not consent, he started
hitting her and eventually he raped her by force so that he broke her nature.
29 Podestà Petrucci then went on to say that: It seemed to me that, since I am
in this town, for the honor of your Excellencies first and for my own honor
secondly, I had to bring this shameful case to your attention so that it will
not go unpunished. Petrucci explained how he sent soldiers to Agnolo’s house to
arrest him, but the accused was defended by one of his brothers and other
relatives, as well as by the town’s priors. Because the victim’s father,
Giovanni Baptista Tucci, was a Sienese citizen, Sienese statutes applied and
overrode Sarteano’s local customs and statute (capitoli ). Petrucci thus assumed
that he had the authority, as podestà of Sarteano, to deal with the case, so
“In a friendly way, I let the Priori know that I did not want to bypass their
local customs, but I wanted [to uphold] my honor.” The situation quickly
deteriorated and one of Agnolo’s relatives fired “two rif le shots together
with offensive words” against the podestà. Another relative, Petrucci reports,
“told me, answering back, that if I would have gone to his house, he would have
punched not only me, but Christ himself.”Two days later, Petrucci reported that
news of the rape had reached one of the subordinate judges in his podestarial
team, and that this judge, together with some soldiers, went once again at
Agnolo’s house to arrest him. Agnolo’s uncle, Ser Giovanni di Gabriello,
threatened them, saying that if the judge tried to get in, he would throw
bricks or stones at him. In his report to Siena, Petrucci underlines the fact
that “Your Excellencies know that these actions are done against you, that in
this place I am your delegate, and that in order to preserve your honor I am
ready to give my life.” Two days after this, Cardinal Giovanni Piccolomini,
archbishop of Siena, wrote from Rome to the Sienese Concistoro (the lords and
main officers) in support of Ser Giovanni; perhaps as a way to show that Ser
Giovanni enjoyed important connections and patronage, or perhaps as an attempt
to limit more severe outcomes. “Because they had some other enmities [in town]”
cardinal Piccolomini informed the Concistoro, Ser Giovanni di Gabriello and his
relatives did not recognize, in the darkness of the night, the podestà ’s
soldiers and so they defended themselves. He added that Ser Giovanni “in a
good-natured and simple way used some inappropriate words” without realizing
that he was speaking to the podestà and his soldiers. Cardinal Piccolomini
continued that he was certain that the lords of Siena would recognize “the good
faith of this country town and in particular of the family and household of
said Ser Giovanni who have always been good servants of our city” and suggested
that the lords “might show all possible leniency.” A month later, podestà
Petrucci happily wrote: Magnificent, excellent and powerful lords
[. . .] in order to carry out what your Excellencies have ordered
[. . .] I sent for Giovan Baptista Tucci, his wife, and his daughter
on the matter of what Agnolo di Ipolito had done, and about the marriage that
has to be contracted between them.30 Clearly, the legal solution reached in
this case of rape was for the rapist to marry his victim. The records do not
indicate what Iuditta, the victim, might have thought of such a solution, or
even what she felt about the entire case. There is no trace of her in the
reports or the letters. What is ever-present, instead, is the matter of
honor—the honor of Siena, of its magistrates, and their delegate, of the town
of Sarteano and its priors and local statutes; of Agnolo’s family; of Tucci’s
family; and of Iuditta’s own self, which would now be restored through marriage
with her assailant. In all of this, the discourse is male while the female
voice of Iuditta is completely absent.The rape of young boys Rocco from
Campiglia confessed under torture that, while he was at home eating, a certain
Curtio, a little boy around eight years old, entered his house and asked him
for something to eat; the said Rocco grabbed him and laid him over a table and,
having lifted his clothes, put his tail [penis] between the boy’s butt cheeks
with the intention of knowing him carnally.The boy’s screams stopped Rocco from
proceeding any further in the attempted rape. Under questioning, Rocco admitted
that “he did put [his penis] between the boy’s thighs but then finished the job
with his hands.”31 In light of the accusation and confession, the Captain of
Justice in 1571 asked not only that the usual fine for such sodomitical
activities to be levied on Rocco, but also that he be given jail time on
account of “the young age of the boy.” The request for jail time may point to
the Captain of Justice’s understanding of the aggravating factor in the case
(the boy’s tender age) and, perhaps, to his personal feelings about it, but the
bureaucratic language of the report does not allow us to delve further into the
case nor to understand more fully how Rocco himself might have justified his
aggression of Curtio. It does, however, point to the risks and dangers that
came with child poverty (Curtio entered the house to ask for food) and the
opportunistic behavior of men in the grip of sexual impulses. The charges
levelled a few years earlier in 1567 against Giovanni, a 25-yearold man from
Sinalunga, “strong and well-shaped,” were many and varied.32 The records tell
that that he was “in jail, indicted for having carnally known a she-ass and
also for having used the nefarious sin [sic] vice of sodomy.” He was also
accused of having sodomized Salvatore, a boy of “around four or five years of
age and of having broken his ass [sic] sex.” Salvatore was not the only boy
Giovanni had attempted to sodomize; he had done the same to “another little boy
[also named Giovanni] of the same age [as Salvatore] or a little more”, but
this boy managed to run away crying. Under “rather rigorous torture,” Giovanni
explained that he had found a she-ass along the way, moved her off the public
road and into a scrub where, he felt the need to mount her and so, approaching
her from the back, he put his member into her nature, but because she did not
stop moving and grazing, after having kept it there for a little while, he
pulled it out and climaxed as he did so. Giovanni also confessed to having
taken little Salvatore to a vineyard where, having lifted his clothes, he
directed his natural member into the boy’s ass [sic] sex, but because the boy
was small he could not insert it more than two fingers, and because this was
hurting the little boy, the boy started to struggle and scream so Giovanni let
him go and climaxed outside, and he did not notice that he had broken the boy’s
sex or caused an effusion of blood. An aunt of the little boy declared,
instead, that when little Salvatore came home “the blood was running down his
thighs and his ass [sic] sex was chapped.” Giovanni justified himself saying
that when they were in a barn he told the child “if you come here, I will fuck
you” and then added that “it is not true that he wanted to sodomize him.” The
records conclude that “in line with the statutesof this city, it does not look
as if Giovanni is subject to capital punishment,” even though blood had been
spilled, “but we could condemn him to the galleys, with the approval” of the
Governor. Aside from the various crimes listed in this deposition (bestiality,
sodomy, child abuse, physical violence causing bleeding), there is an
interesting idiosyncrasy in the records. The notary seems to have had second
thoughts about some of the words he was using and seems to have felt compelled
to attenuate the language; he did so by striking out some words and
substituting them with more neutral, though still very precise, terms. As a
result, “ass” became “sex” and “sin” became “vice.” While the first correction
suggests an attempt to use terminology that is less vulgar or vernacular in
favor of a more technical term, the second suggests the presence of a moral
consideration whereby the Christian concept of “sin” is replaced by the more
secular concept of “vice.” All the previous cases deal with sexual violence in
the countryside or smaller towns in the region. The only case of sexual
violence I have found in the city of Siena itself involved a young apprentice
working in a slaughterhouse in the district of Fontebranda.33 Ascanio accused
the butcher Lando, an associate of his employer Orlando, of having sodomized
him in the slaughterhouse and having beaten him for resisting. Ascanio
explained that it happened “in the workshop when we were going to stretch the
tallow in the workshop dais” (fol. 169v). When Ascanio turned down Lando’s
sexual request, Lando “took me by the arms, tore the lace off my leggings and
lowered them. Then he lowered my head, came into me from behind, and did his
wicked things [ poltronerie] to me, and once he had done them, he punched me
twice in the back.” Ascanio told the court that he informed his employer
Orlando, who in turn informed the shop boys working with Lando as well as other
people. Ascanio’s accusation was, however, undermined by his own admission that
he had already, on several occasions, been the passive partner in same-sex
intercourse with soldiers in Montalcino and with a soldier in Siena in the
service of Cornelio Bentivoglio (fol. 170v). In other words, Ascanio had
previously been sexually active with other men. Perhaps for this reason Lando
did not suspect at first that he had been arrested for having sodomized
Ascanio, but thought, instead, that he had been arrested for having beaten him
(fol. 171r). Questioned on the details of what happened in the slaughterhouse,
Lando reported that perhaps Ascanio had misinterpreted his joking words “what
do you think, come here I want to fuck you.” This led the judge to interrogate
Ascanio once again, this time with his hands tied. The youth once again
declared that “Lando started beating me and wanted to force me and he bent me
over and sodomized me” (fol. 172r), but this time Ascanio added that he did not
resent his having been beaten. Ascanio was then questioned a third time, this
time in front of Lando, who maintained his defensive line saying: “I told him
jokingly ‘come here, I want to fuck you’ because he did not want to come.”
Interrogated again, Lando confirmed “I ordered him to bring the tallow and to
stretch it up, but I did not do anything with him nor with anyone else” (fol.
172v). Ascanio, too, continued to affirm his own version of events pointingout
that this happened not only at Lando’s slaughterhouse, but once also at
Fontebranda (where Ascanio refused to go along with the attempted sodomy). When
Lando kept saying that the accusation was levelled at him because of the
beating he had given Ascanio, the latter asked the judge call other witnesses
saying, “let the shop boys come here and they will tell you what I told you”
(fol. 173r). In the end, Ascanio’s situation became quite complicated as he
paradoxically changed from being the accuser to being the accused. He was
jailed (allegedly on charges of sodomy), but on 25 December, in celebration of
the Nativity, he was pardoned and released “by decree of the lords” (fol.
173r).34 Several factors worked against Ascanio. His position as an apprentice
was perhaps too weak to sustain the charges he levelled against a master
butcher such as Lando, or to raise doubts about the truth of Lando’s
deposition. In a situation such as this, the court seems to have given credence
to the more senior and more socially respectable individual. Similarly, the
fact that Ascanio’s employer failed to support him in his case must have raised
suspicions. Lastly, Ascanio’s admission of having previously engaged in
same-sex intercourse with soldiers both in Siena and in Montalcino worked
against him. Although Ascanio had the courage to denounce a superior for a
sexual crime that was not uncommon, his social status and his previous sexual
encounters with men not only placed his testimony in doubt, but actually served
to find him guilty and put him in jail.The clergy and violence After Siena fell
to Florentine forces in 1555 the Sienese government and part of the Sienese
population moved to Montalcino, a small town about 40 km due south of Siena, in
a last attempt to resist the conquest and preserve the centuriesold republic.
Among the volumes of deliberations that have survived from the “Republic of
Siena retired in Montalcino” (Repubblica di Siena ritirata in Montalcino) there
is the denunciation deposited by Mona Antilia di Andrea, a woman living in
Castelnuovo dell’Abate, in which she asks for justice for her eight-yearold son
who, she reports, has been “damaged” ( guasto) by the French friar Carlo who
worked at the ospedale (hospital or hospice) attached to the Olivetan abbey of
Sant’Antimo, in the plains just below Castelnuovo.35 The Sienese authorities
summoned the friar to appear in court within three days to defend himself
against the accusation that “he had had sodomitical intercourse with the said
young boy and had broken his ass” (“di havere fatto culifragio”). Because the
friar was French, the court decided to inform the French Marshal Blaise de
Lasseran-Massencome, seigneur de Monluc, who had commanded the French troops
during the defense of Siena and had then moved to Montalcino with the Sienese
government and exiles. A week later, Monluc was informed that the friar had
been arrested in Piancastagnaio where the podestà was told to keep the
Frenchman in jail and under close surveillance until further notice. About a
month later, the friar was transferred to the Franciscan convent in
Montalcinowhere the friars were advised of his alleged crime, told to guard him
well, and await further orders. At this point, the documents fall silent and we
do not know what further ensued with Friar Carlo. We are thus left with no
information on what he might have said in his defense, what further evidence
the mother and the boy might have brought into consideration against
him, or what the final verdict might have been. What we do have, however,
is the record of a mother asking for justice against a foreign clergyman who
was the subject of, and possibly defended by, a powerful foreign military
figure in the region, this during a difficult moment in a war that had
devastated the countryside and brought about the near-total collapse of the
government and the republic. Civic and moral regulations were still in effect,
but the silence of the incomplete records and the transfer of the accused friar
to another convent, rather than to a city jail, seem to imply that such
regulations had not been strictly applied and that the friar probably escaped
justice. The Sienese government, whether in exile or not, was not the only
jurisdiction to deal with sexual violence by the clergy. Ecclesiastical courts
also dealt with sexual crimes, as we can see from the records in the fonds of
Cause criminali housed at the Archiepiscopal Archive in Siena.36 The collection
includes the precepts, that is the summons to appear in court, and some of the
trial records, but once again many of the files are incomplete. In fact, in the
majority of documents and final sentences issued by the archbishop’s vicar are
missing, so this case can only be known in its general outlines.Menica and the
priest Ser Mauro Criti One case for which we do have a complete set of
documents deals with the charges levelled against the priest Ser Mauro Criti,
rector of Campriano di Murlo, a hamlet 17 km south of Siena.37 According to the
charges brought forth by the victim’s father, the priest used an excuse to
enter the accuser’s house and, finding the man’s twelve- or thirteen-year-old
daughter Menica alone at home, tried to sweet-talk her by asking her if she
wanted him to buy her a pair of shoes. Aware of the priest’s intentions, Menica
responded with “I want God to give you a misfortune.” Ser Mauro “then reached
out for her neck and kissed her and tried to do something else, but she
yelled.” Menica’s shouts were heard by Laura Pasquinetti, a nine-year-old girl
who arrived just in time to see the priest leave. He pretended to throw some
snow against the window, and said to Menica: “Be quiet, you little beast, I’ll
buy you a pair of shoes.” Menica’s father asked that the priest be justly
punished, having damaged both his and his daughter’s honor, even though he had
to admit that “he could not prove the fact, except as he had told it, because
when it happened there was no one else at home.” Although the evidence came
from two under-age girls, Menica and Laura, the court was nonetheless obliged
to pursue the case. A note signed by FilippoAndreoli, secretary of the Governor
of Siena, Federico Barbolano di Montauto, laid out the guidelines the vicar was
to follow: The very reverend vicar of the most reverend lord archbishop of
Siena will make sure that in the states of His Highness [Duke Cosimo I de’
Medici] crimes committed by priests will not go unpunished and he will not fail
to ensure that both public honesty and private interest are upheld. With this
note, Andreoli was referring to the 1558 Florentine law on sexual violence and
Cosimo’s determination that it be applied evenly and universally. The trial,
which lasted almost a year, gathered testimonies not only from the two girls
who had been ocular witnesses, but also from many other people, and brought to
light the fact that the priest was no saint. At first, the interrogation of Ser
Mauro revolved around what he did that day. His responses claimed that his
conduct had not been socially improper—he said that when he called at the house
and realized that no adult was present he simply went away (fol. 4v). He
stubbornly denied having thrown snow at the window, but admitted to having
thrown snow elsewhere that day, as confirmed by other witnesses. Brought in for
questioning once again, this time with Menica in the room, Ser Mauro reacted
with surprise and fear at seeing the girl (fol. 13r), who accused him without
fear (fol. 13v). From the examination of other witnesses, the vicar learned
that Ser Mauro had also been physically and sexually violent with Caterina, a
young girl about fourteen years old, unmarried, who had been brought up by a
certain Bernardino. According to testimony, Ser Mauro had “misled and kidnaped
Caterina [. . .] brought her to his house, where he kept her for
several weeks, raping her and using her contrary to the law [contra forma
iuris]” (fol. 23v). He also sought to take advantage of Hieronima, the servant
of a priest who had previously been stationed in Campriano. Ser Mauro asked her
to wash his clothes in exchange for his giving lessons to one of her sons and
then added that he would “give her more affection than the other priest”, and
this contrary to the law [contra forma iuris] (fol. 23v). Other witnesses
reported that the priest was a confirmed card player and always had with him a
deck of cards “that he says is a present from a beautiful girl” (fol. 30v). Ser
Mauro denied everything, even under torture, but was found guilty nonetheless
and fined 100 lire, removed from his church in Campriano, and confined in Siena
for two years.Filippo and the presbyter Ser Cristofano Another case heard by
the bishop’s court in Grosseto deals with a mother who brought charges against
a priest who had raped her son. Monna Caterina, a thirty-year-old widow living
in Campagnatico, in the outskirts of Grosseto, reported that the presbyter Ser
Cristofano “has raped my little son Filippo.”38 The narrative she provides
illustrates a mother’s care and a young victim’s shame. “For the past year I
have sent my Filippo to his [Ser Cristofano’s] school andone evening when he
came back one I noticed he was unhappy and very sad.” Caterina asked what was
going on, but Filippo refused to answer. Later that evening, when she was
“undressing him to put him in bed, I saw his shirt very bloody and I asked him
what blood was this.” Filippo confessed that on that day, the priest had called
him in his bedroom and had given him a book and he had approached him and while
he pretended to teach him, he did that horrible thing on the back, and because
the little boy yelled, he hit him few times. Ser Cristofano threatened the boy
not to reveal anything to me nor to someone else and so, “looking carefully at
the boy, I saw that he had hurt him and had broken his ass and so I decided he
would not attend school anymore.” In her testimony, Caterina also reported that
she heard that Ser Cristofano had raped “Monna Lena, a widow at that time” and
that rumor went around the entire countryside that “he torn her behind.” But
what troubled Caterina more was that she and Ser Cristofano were cousins39
—presumably, she did not understand the reason behind his “bad behavior”
against his twelve-year-old nephew Filippo. When the bishop’s vicar
interrogated young Filippo, the story matched closely with what his mother had
reported. Both accounts pointed to a familiar closeness and confidence that the
presbyter had showered on Filippo in order to sodomize him. Filippo recounted:
I know Ser Cristofano of Ventura, the priest in Campagnatico and my kin, and I
attended his school for a year or perhaps more and one evening, after the other
pupils had left, I remained there to serve him at dinner and after he had dined
he stood up and he went to sit on a chair in his bedroom and he called me.
After I made the bed, we went back and he sat again on the same chair. Then he
gave me an illustrated book and he put me between his legs: he untied my pants
and lifted up my shirt and put his thing into my ass and caused me pain. I
started to scream and asked him to let me go, but he was holding me and he was
thrashing and kept telling me “be quiet, be quiet” and he closed my mouth so I
could not scream and he put his thing into my ass and then he let me go. I went
home and, along the way, I could not walk because he hurt me in the ass and I
was bleeding and I went to bed and my mother saw my shirt and I think she
believed it was scabies because at that time I had it, and then I told her: and
she did not want me to go to school again and I did not go anymore. In response
to a direct question, Filippo answered, “I never saw nor do I know whether Ser
Cristofano did something like this to any other student.”40 Family relation was
the justification Ser Cristofano used to keep Filippo back, have him serve
dinner, and make the bed. Once there, he used the “illustrated book” to entice
the boy enough to sodomize him, counting on the fact that Caterina, as a widow,
did not have a husband to defend the family or take action against the
presbyter, whose social and cultural position in town served, in part, to
protect him.Reading the document with modern eyes, we note Caterina’s maternal
sensitivity: she immediately realized that Filippo was unhappy and hiding
something. Her understanding of her son and her emotional connection with him
were strong and deep. She also had aspirations for her son, enough to send him
to be educated by a learned relative who might open doors in life for the boy.
In spite of this, Caterina was not about to accept her cousin’s violence
against her son and reacted quickly and with determination: “I did not want him
to go to his school anymore” she told the vicar’s notary, and then, perhaps to
temper her rage, added “I consider him [Ser Cristofano] wicked man [tristo]41 because he raped my
little boy Filippo.” Although Filippo was about twelve years old at the time,
Caterina referred to him as a citto (little boy), using a typically vague term
for a child that could be adapted to the legal necessities of the moment—in her
eyes, Filippo was an innocent child and not a possibly compliant youth. In
fact, the records do point to Filippo’s physical weakness and to his inability
to deal forcefully enough with the situation to avoid the rape—caught by
surprise, he reacted strongly and screamed, but to no avail because the
priest’s adult strength, his shutting Filippo’s mouth to prevent the boy from
screaming, and his repeated command to the boy to “be quiet” while he raped him
all contributed to overpower and subdue Filippo. The consequences of the
priest’s violence were not only physical—lacerations, bleeding, pain—but also
psychological—the boy’s depression and silence on his return home. While in
cases of anal rape in Venice, the authorities, already in the fifteenth
century, sought the help of surgeons and barbers to examine and report on the
lesions and physical damage done to the victim’s body,42 this was not the case
in Siena. There is no trace of such provisions in the surviving statutes of the
Sienese barber surgeons’ guild.43 The only reference I have found to an
obligation to report on wounded persons is a decree of February 1556 (reissued
in 1563) signed Governor Ferdinando Barbolani di Montauto, which refers to
wounds in a general way, and not to wounds specifically caused by sexual
violence or sodomy.44 In a case of some years later, a certain Arcangelo
charged the chaplain Ser Andrea with having sodomized his eight-year-old son
Sabbatino, who had been a boarding student in the chaplain’s school, and with
having threatened him (Arcangelo) with a weapon.45 Arcangelo reported that “one
night, while sleeping in bed with Sabbatino, Ser Andrea sodomized him forcibly
and against Sabbatino’s will, so that he broke his ass and then abandoned him.”
As he was being raped, the young boy screamed and was heard by a neighbor. The
physical damage done to Sabbatino was such that he could not walk. Archangelo
heard of this from a local miller who presumably heard the news through the
small talk of the neighbors, and went to the chaplain’s house to get his son
and take him home. A few days later, Arcangelo went to pick Sabbatino’s things,
but the chaplain refused to return them. In front of other people, the chaplain
threatened Arcangelo with a hatchet while “another man who is in his house took
an harquebus.” Ser Andrea’s violent behavior was not limited to
Sabbatino:Arcangelo reported that “he has sodomized four more little boys,”
among them two of the miller’s sons.Conclusion The case studies presented in
this essay point to a much larger corpus of documents dealing with legal cases
against perpetrators of crimes of sexual violence. A first observation we might
draw from the evidence presented is that, ten years after the publication and
implementation of the 1558 Florentine law against sexual violence, cases were
still being handled with leniency towards the accused—at least in Sienese
territory. In spite of mounting evidence that included precise and detailed
information from the victims, supporting evidence from eye-witnesses and other
people, and in spite of the use of torture (in a few cases) to extract further
information or confirm previously given information, alleged culprits seem
generally to have received lenient sentences that spared their life. What is
also striking is that all defendants denied the allegations raised against
them, even under torture. In their defense, the accused used standard diversion
tactics in order to have the case dismissed or the penalty reduced. This
included suggesting that the children’s allegations were reliable because of
their young age, or the fact that the children may have been prompted by others
to say things that were not true, or that they had been instructed on what to
say in order to build a case against the accused. Was this sexual violence
against minors “normal” at the time? To modern eyes, the cases and evidence
presented here may seem extreme and even unbelievable, and some contemporaries
probably felt the same way. Yet, as Ottavia Niccoli reminds us, we must not
imagine a constant in “human nature” that might allow us to apply our criteria,
our sensibility, our perceptions to people who lived five or six hundred years
ago, except in very general terms. The mental frame of our ancestors was, in
fact, and at least under some aspects, very different from ours.46 We can
observe that those mothers, fathers, and relatives who sought justice for their
victimized children did so without fear of the court, or public opinion, or the
bureaucratic lengths of time the process would entail. We can also note how
local communities were not sympathetic towards people in positions of authority
who behaved in improper ways towards the young people they were supposed to
educate, defend, and protect. The Sienese evidence suggest that these cases,
unlike those in Florence or Venice, were not about voluntary choices.47 These
were not cases of same-sex consensual sodomy or prostitution for profit. These
were violent acts perpetrated by men in power over young people who could not
defend themselves. As Patricia Labalme aptly said, “although there is herein
much to pity and much toprotest, this is a story without a moral.”48 The
evidence from the Sienese records points to the same conclusion.Notes 1 Di Simplicio,
“La criminalità.” For the later period, Di Simplicio, Peccato penitenza
perdono. 2 For the case of violent behavior in Bologna see Niccoli, Il seme
della violenza. 3 Archivio di Stato di Siena (hereafter ASSi), Guida
Inventario, 105, 119–23. 4 Ibid., 105. 5 Cantini, Legislazione Toscana, vol.
IV, 120. 6 ASSi, Guida Inventario, 121. 7 Cantini, Legislazione Toscana, vol.
IV, 120. 8 ASSi, Guida Inventario, 123. 9 Cantini, Legislazione Toscana, vol.
IV, 117. 10 For social aspects, see Rocke, Forbidden Friendships. For
statistical aspects, see Zorzi, “The Judicial System.” 11 Ascheri, ed.,
L’ultimo statuto, III. 76 “De poena adulterii, stupri et raptus,” 315. 12
Brackett, Criminal Justice, 111. 13 Ascheri, ed., L’ultimo statuto, III. 79 “De
poena sogdomitarum,” 316. 14 Cantini, Legislazione Toscana, vol. I, 211–12. 15
Ibid., vol. III, 267–68. 16 Archivio di Stato di Firenze (hereafter ASFi),
Mediceo del Principato (hereafter MdP) 1869, fol. 13r (February 16, 1559). 17
Giansante, “Camaiani Onofrio.” 18 ASFi, MdP 1869, fol. 27r. 19 It may be
possible that she is “domina Francisca relicta quondam Michelagnoli Iacobi de
Belforte” with whom Terenzio had disagreements for some quantities of wheat,
ASSi, Curia del Placito 750, not foliated (November 4, 1555). 20 He does not
appear in ASSi, Ms A 33, fol. 305r (battezzati), a compilation of baptismal
records from church registers in the Baptistery and civic records in the office
of the Biccherna. 21 ASSi, Ms A 39, fol. 203r (riseduti). 22 ASFi, MdP 1869,
fol. 21bisr. 23 ASSi, Notarile ante cosimiano 99, not foliated. Pietro was also
legum doctor. 24 ASSi, Concistoro 2453 ad datam (April 18, 1554). 25 ASSi,
Capitano di giustizia 645, fols. 17r–19r (August 1570). 26 ASSi, Repubblica di
Siena ritirata in Montalcino 63, passim (1557). 27 ASSi, Biccherna 1127, fol.
24v (1544); ASSi, Capitano di giustizia 645, fol. 94r–v (July 1571). 28 ASSi,
Governatore 436, fol. 86r–v (June 28, 1571). 29 ASSi, Concistoro 2081, not
foliated (March 20–24 1524). 30 ASSi, Concistoro 2080, not foliated (April 26,
1524). 31 ASSi, Capitano di giustizia 645, fol. 78r–v (May 29, 1571). 32 ASSi,
Capitano di giustizia 611, fols. 138v–139r (April 8, 1567). 33 ASSi, Capitano
di giustizia 150, fols. 169v–173r (November 2, 1555). 34 It was common custom to
free some prisoners during the most important religious celebrations. 35 ASSi,
Repubblica di Siena ritirata in Montalcino 5, not numbered (April 29, 1555). 36
Archivio Arcivescovile di Siena (hereafter AASi), L’Archivio Arcivescovile di
Siena, ed. G. Catoni and S. Fineschi (Rome: 1970). 37 AASi, Cause criminali
5509, insert 3 (January 23–December 6, 1569). 38 AASi, Cause criminali 5502,
insert 4 (May 5–September 1, 1552). 39 “To me he is a cousin brother” (“a me è
fratello consobrino”), that is, a cousin born to a sister of Caterina’s
mother.40 “For a similar case, see Marcello, “Società maschile e sodomia.” 41
The Treccani Italian vocabulary defines as tristo a person who has a bad
attitude. 42 In 1467 the Council of Ten issued a law that obliged doctors to
report “anyone treated for damages resulting from anal intercourse”; see
Ruggiero, The Boundaries of Eros, 117. 43 ASSi, Arti 37 (1593–1776). 44 ASSi,
Statuti di Siena 64, fol. 72r. 45 AASi, Cause criminali 5504, insert 4
(February 19–March 5, 1559). 46 “Non dobbiamo immaginare una costanza della
‘natura umana’ che ci consenta di applicare i nostri criteri, la nostra
sensibilità, la nostra attitudine percettiva a chi è vissuto cinque o seicento
annifa, se non in termini generalissimi. L’attrezzatura mentale di quei nostri
antenati era infatti, almeno sotto alcuni aspetti, molto differente dalla
nostra.” Niccoli, Vedere, vii. 47 For Florence, see Rocke, “Il fanciullo” and
Rocke, Forbidden Friendships. For Venice and the Veneto see Ruggiero, The
Boundaries of Eros. 48 Labalme, “Sodomy,” 217.Bibliography Archival sources
Archivio Arcivescovile di Siena (AASi) Cause criminali 5502 and 5509 L’Archivio
Arcivescovile di Siena. Edited by G. Catoni and S. Fineschi. Rome: 1970.
Archivio di Stato di Firenze (ASFi) Mediceo del Principato (MdP) 1869 Archivio
di Stato di Siena (ASSi) Arti 37 Biccherna 1127 Capitano di giustizia 150, 611,
and 645 Cause criminali 5504 Concistoro 2080, 2081, and 2453 Curia del Placito
750 Governatore 436 Guida Inventario. Rome: 1994. Manuscript A 33 and 39
Notarile ante cosimiano 99 Repubblica di Siena ritirata in Montalcino 5 and 63
Statuti di Siena 64Published sources Ascheri, Mario, ed. L’ultimo statuto della
Repubblica di Siena (1545). Siena: Accademia senese degli Intronati, 1993. Brackett,
John K. Criminal Justice and Crime in Late Renaissance Florence, 1537–1609.
Cambridge: Cambridge University Press, 1992. Cantini, Lorenzo. Legislazione
Toscana. Volume 1, 3, and 4. Florence: nella stamperia Albizziniana, 1800. Di
Simplicio, Oscar. “La criminalità a Siena (1561–1808): Problemi di ricerca.”
Quaderni Storici 49 (1982): 242–64. ———. Peccato penitenza perdono, Siena
1575–1800: La formazione della coscienza nell’Italia moderna. Milan: Franco
Angeli, 1994.Giansante, Mirella. “Camaiani Onofrio.” In Dizionario Biografico
degli Italiani 17, 1974. Labalme, Patricia. “Sodomy and Venetian Justice in the
Renaissance.” Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis 52, no. 3 (1984): 217–54.
Marcello, Luciano. “Società maschile e sodomia: Dal declino della ‘polis’ al
Principato.” Archivio Storico Italiano 150 (1992), 115–38. Niccoli, Ottavia. Il
seme della violenza: Putti, fanciulli e mammoli nell’Italia tra Cinque e
Seicento. Rome-Bari: Laterza, 1995. ———. Vedere con gli occhi del cuore: Alle
origini del potere delle immagini. Rome-Bari: Laterza, 2011. Rocke, Michael.
Forbidden Friendships: Homosexuality and Male Culture in Renaissance Florence.
New York: Oxford University Press, 1996. ———. “Il fanciullo e il sodomita:
pederastia, cultura maschile e vita civile nella Firenze del Quattrocento.” In
Infanzie: Funzioni di un gruppo liminale dal mondo classico all’Età moderna.
Edited by Ottavia Niccoli, 210–30. Florence: Ponte alle Grazie, 1993. Ruggiero,
Guido. The Boundaries of Eros: Sex Crimes and Sexuality in Renaissance Venice.
Oxford: Oxford University Press, 1985. Zorzi, Andrea. “The Judicial System in
Florence in the Fourteenth and Fifteenth Centuries.” In Crime, Society and the
Law in Renaissance Italy. Edited by Trevor Dean and K.J.P. Lowe, 40–58.
Cambridge: Cambridge University Press, 1994.4 IN THE NEIGHBORHOOD Residence,
community, and the sex trade in early modern Bologna Vanessa McCarthy and
Nicholas TerpstraEarly seventeenth-century Bologna was unique for its
relatively tolerant legislation on female prostitution. Rome, Florence, and
Venice required meretrici (prostitutes) and donne inhoneste (dishonest women)
to inhabit designated areas and streets. Romans settled on the large area of
Campo Marzio for their residence, Venetians ordered women to reside in the old
medieval civic brothel known as the Castelletto near the city’s commercial
center, the Rialto, and Florentines designated a few streets located in the
poorest areas of each city quarter.1 Segregation was motivated by concerns
about morality as well as the more pragmatic issues of civic disorder, noise,
an policing. Containment protected
sacred spaces and pious inhabitants from the immorality and disruption of
prostitutes and their clients and made it easier for authorities to locate and
arrest violators, thereby increasing order as well as the fees and fines
collected.2 By contrast, Bologna permitted registered prostitutes to live
across the city, and the records of its prostitution magistracy demonstrates
that they did. The extant annual registers from 1583 to 1630 provide a rare
opportunity to map where hundreds of registered prostitutes lived in the city,
and to trace individual women’s movements. Only about half lived on streets
with ten or more prostitutes, and very few dwelt on streets with twenty or
more. Consequently, most Bolognese could count prostitutes and dishonest women
as near neighbors, and for many laboring-poor, prostitution and prostitutes per
se were not a serious problem.3 Regulation and enforcement in Bologna show that
secular and religious civic authorities and the general populace approached
prostitution primarily as an issue of economics and public order, and only
secondarily as an issue of morality and public decorum. Due to the city’s
economic reliance on university students, civic authorities had long regulated
prostitution as a commercial issue and prostitutes as fee- and fine-paying
workers governed by a civic magistracy known as the Ufficio delle Bollette
(Office of Receipts). Established in 1376, theBollette registered “Foreigners,
Jews, and Whores” (Forestiere, Hebrei, et Meretrici ). After having tried civic
brothels and sumptuary regulations in the fourteenth and fifteenth centuries,
and residential zones in 1514 and 1525, Bolognese civic authorities of the
later sixteenth century bucked prevailing trends with comparatively relaxed
legislation that underscored the connections between prostitutes, Jews, and
foreigners as coherent communities living and working in the local body social
while remaining legally outside the body politic.4 The Bollette’s officials and
functionaries negotiated between legislation, their own interests, and the
needs of individual prostitutes when enforcing regulation. The hundreds of
women who registered annually as prostitutes were integrated into local
communities through residence and through familial, work, and affective
relationships, and had greater opportunities for agency than broader cultural,
religious, and social ideals would lead us to expect. There were bumps on the
road to this more relaxed regime. In the late 1560s, the Tridentine reforming
Bishop Gabriele Paleotti attempted to separate prostitutes and other dishonest
women from most of Bolognese society through residential confinement. Citing
the desire “to restrain their wickedness and uncontrolled freedoms of life” and
to stop them from polluting others with their “filth,” Paleotti and the papal
legate published three decrees that ordered all prostitutes, courtesans, and
female procurers to live in a handful of specific city streets. Yet Paleotti
was overstepping his jurisdiction. His ambitious reforms failed within eighteen
months, and by 1571 the civic government had regained exclusive control over
regulation.5 It returned to the more tolerant strategy employed before the
bishop’s intervention: all prostitutes and dishonest women were required to
register and purchase moderately priced licenses from the Bollette, but they
were neither required to wear distinguishing signs nor to live in assigned
streets or areas. They were free to live throughout the city. Scholars of
Roman, Venetian, Milanese, and Florentine prostitution have tracked the
contrasts between strict legislation and lax prosecution. Prostitutes regularly
lived outside of designated streets and areas, sometimes thanks to exemptions
sold by the magistrates.6 Yet these cities kept their stricter legal regimes on
the books. What was distinct about a city that largely abandoned that regime?
This essay examines the residential and social integration of prostitutes in
Bologna’s neighborhoods. It first maps their distribution across the city in
order to examine how far residential “freedom” extended in practice. While
about half of registered prostitutes clustered on sixteen specific streets, the
other half lived on eighty-five other streets with ten or fewer other
prostitutes. It then reviews registrants’ sometimes complex and contested
relationships with family, clients, lovers, friends, and neighbors using
evidence recorded in the annual registers and testimonies given to the Bollette’s
officials. Most were integrated into local networks through the familial,
affective, and working relationships they had with other local men and women,
and they gave and received support and companionship. Finally, it examines late
sixteenth- and early seventeenth-century proclamations forbidding prostitutes
from residing in specific city streets. Thesedecrees ref lect the civic
government’s pragmatism: they were issued in response to the specific
complaints of powerful convents, churches, and schools located in areas with
large prostitute populations. Trial records, cultural sources, and recent
scholarship on gossip and visibility shows that most neighbors were aware of
what these women did and that they were not troubled by it. What they did find troubling
were the displays of wealth by individual women, the noise and disorder that
some brought to their neighborhoods, and instances where neighbors lost control
over their communities. The Bollette provided a vehicle for handling these
complaints without criminalizing the prostitutes. Taken together, the
residential and legal evidence demonstrates that prostitutes lived in most
workingpoor neighborhoods of early modern Bologna and that they were largely
tolerated as a fact of life.The geography of early modern Bolognese
prostitution The majority of registered prostitutes lived in the area between
the second and third sets of city walls (see Figure 4.1), the “inner suburbs”
where the urban poor typically clustered in Italian cities.7 Only a handful of
prostitutes lived near the city center, usually on short alleys hidden behind
larger publicFIGURE 4.1Agostino Carracci, Bononia docet mater studiorum,
1581.56buildings that had been licensed for prostitution in earlier centuries.8
The civic brothel noted in the 1462 Bollette regulations had been immediately
south-west of the Piazza Maggiore and civic basilica of San Petronio, and some
prostitutes worked by particular gates and markets, but from the sixteenth
century Bolognese meretrici moved to houses across the low-rent inner suburbs.9
Table 4.1 charts the number and percentage of registrants who lived in
each quarter in 1584, 1604, and 1624. The quarters differed in size and
population as Figure 4.1 shows, and the larger quarters of Porta Procola and
Porta Piera housed more prostitutes. Few lived by the north-western city wall
in Porta Stiera, which appear on Agostino Carracci’s 1581 map (reproduced here)
as dominated by fields.10 The sharp rise and fall in the number of women
registering demonstrate the inconsistencies of early modern bureaucracy, with
total numbers increasing by 327 from 1584 and 1604 (from 284 to 611) and then
plummeting by 466 between 1604 and 1624 (from 611 to 165). Lucia Ferrante has
argued that in 1604 the Bollette was operating with unusual efficiency, and
perhaps even over-zealously.11 The f luctuations tell us more about where the
Bollette concentrated its work than about where all the prostitutes and
dishonest women actually lived. Charting residence by quarter demonstrates that
prostitutes spread themselves fairly evenly throughout the outskirts of the
city, and across each quarter. In 1604, registrants lived on at least 102
streets, yet only eight streets had twenty or more women, and only eight were
home to ten to nineteen women (see Table 4.2). A few streets housed larger
numbers, like Borgo Nuovo di San Felice, in the western quarter of Stiera by
the city wall, and Campo di Bovi, located by the eastern city wall in the
quarter of Porta Piera.12 Women also clustered in the ghetto after the Jews
were expelled from the Papal States for a final time in 1592.TABLE 4.1
Residence of registered prostitutes in Bologna’s quarters1584Porta Piera Porta
Procola Porta Ravennate Porta Stiera Total16041624Number of resident
prostitutesPercent of total registrantsNumber of resident prostitutesPercent of
total registrantsNumber of resident prostitutesPercent of total registrants41
80 69 60 25016.4 32 27.6 24 100179 175 76 131 56132 31.2 13.5 23.3 10073 44 10
26 15347.7 28.8 6.6 16.9 100*This
table includes only those women with identifiable addresses. In 1584, this was
88% of all registrants (250 of 284 total registrants), in 1604 it was 91.8%
(561 of 611), and in 1624 it was 92.7% (153 of 165). Sources: Campione delle
Meretrici 1584, 1604, 1624.The sex trade in early modern Bologna 57 TABLE 4.2
Streets with ten or more resident prostitutes in 1604, by quarterQuarter of
Porta PieraQuarter of Porta ProcolaQuarter of Porta StieraCampo di Bovi:
36Senzanome: 36Jewish Ghetto: 21Frassinago: 21Borgo Nuovo di Fondazza: 29 San
Felice: 47 San Felice by the Broccaindosso: 10 gate: 13 Avesella: 10Borgo di S.
Giacomo: 20 Borgo di Santa Caterina di Saragozza: 21 Torleone: 18 Borgo degli
Arienti: 14 Borgo di San Marino: 17 Bràina di stra San Donato: 13 Gattamarza: 13Quarter
of Porta RavennateSource: Campione delle Meretrici 1604.This was an ironic
reversal of the situation in Florence, where the ghetto was deliberately
located within the old brothel precinct in 1571.13 In 1604, twentyone women
lived in this area. Most streets in Bologna’s inner suburbs numbered only a few
prostitutes. In 1604, 84 percent (86 of 102) of the streets on which they
registered housed nine or fewer prostitutes, and these women accounted for
almost half of all registrants that year (44 percent). Further, 66 percent (68
of the 102 streets) housed five or fewer. Consequently, many of these women
lived on streets that were not dominated by prostitutes. A typical example of
this is the south-western corner of the city (see Figure 4.2). In 1604, three
of the area’s streets were heavily populated by prostitutes: Senzanome housed
36, Frassinago housed 21, and Borgo di Santa Caterina di Saragozza housed
twenty-one. However, the majority of the neighborhood’s streets had five or
fewer resident prostitutes and dishonest women: five women lived on Altaseda,
four on Nosadella, and three on Capramozza. The surrounding streets of Bocca di
lupo, Belvedere di Saragozza, Borgo Riccio, and Malpertuso had two or fewer. On
these streets prostitutes mixed with day-laborers, artisans, and merchants.
They rented rooms from pork butchers and shoemakers, lived in inns, and resided
next to potters.14 These were their immediate neighbors, separated only by the
porous boundaries of walls, stairways, doorways, and windows where they had
frequent day-to-day interactions.15 Like other working-poor women, they were
not confined to the streets that they lived on, but could and did move through
the surrounding area buying food, engaging in chores, finding work, visiting
friends, and going to the Bollette to buy their licenses.16 As Elizabeth S.
Cohen writes, prostitutes were both “seen and known” in their
neighborhoods.FIGURE 4.2Agostino Carracci, Bononia docet mater studiorum,
1581.Networks, neighborhoods, and communities The Bollette’s records reveal
prostitutes’ affective social and familial circles. Some women were registered
as living in their mother’s, sister’s, and (more rarely) cousin’s homes, while
other women’s female kin, housemates, lovers, and servants bought their licenses.
Notaries did not consistently record such details, making quantitative analysis
difficult.17 While men regularly appear in the registers paying for licenses,
the specifics of their relationships with the women were almost never recorded.
The Bollette’s records, particularly testimonies in cases of debt against
clients and long-term partners, provide rich information aboutThe sex trade in
early modern Bologna 59women’s familial, social, and work relationships.
However, the tribunal devoted more effort to investigating unregistered women
suspected of prostitution, than to the hundreds of women who had bought
licenses. The Bolognese evidence can be placed in the context of evidence from
other northern Italian cities demonstrating how prostitutes were surrounded by
family, housemates, and allies. In early seventeenth century Venice,
three-quarters of 213 prostitutes noted in a census lived with other people.
Most headed their own households, but some were boarders or lived with their
mothers. The majority of those who headed households sheltered dependent female
kin, children, and a variety of unmarried women, including servants and other
prostitutes. A few heads of households (6 percent) lived with men, who were
either their intimates or boarders.18 Roman parish censuses from 1600 to 1621
show similar cohabitation patterns: 47 percent of prostitutes lived with at
least one family member, mostly children but also siblings, nieces and nephews,
and widowed mothers.19 Everyone within the household economy benefitted from
the income and goods earned by these women. Bologna’s registers give examples
of sisters as registered prostitutes, like Dorotea di Savi, called
“Saltamingroppa” (literally “Jump on my behind”) and her sister Benedetta, who
lived together with their servant Gentile on Broccaindosso.20 Similarly,
Margareta and Francesca Trevisana, both nicknamed “La Solfanella” (“The
Matchstick”), lived together on Borgo di Santa Caterina di Saragozza for eight
years. While Francesca registered annually from 1598 to 1605, Margareta did so
only in 1602, 1604, and 1605.21 Before registering, Margareta likely enjoyed
the income that her sister earned through prostitution and may have assisted in
preparing for and entertaining clients. The Bollette suspected that she had,
and so launched an investigation against her when she became pregnant in
1601.22 Mothers and daughters also lived and worked together, like Lucia di
Spoloni and her daughter Francesca, who lived on San Mamolo by the old civic
brothel area, and Anna Spisana and her mother Lucia, who lived together on
Borgo degli Arienti.23 In 1604, Domenica di Loli bought licenses for her
daughters Francesca and Margareta, and all three lived just south of the church
and monastery of San Domenico on Borgo degli Arienti. Francesca had lived on
the street since at least 1600, and while she was no longer registering in
1609, her sister still was. Margareta continued to live on Borgo degli Arienti
until 1614, perhaps with her mother and sister.24 Prostitutes often lived together
in rented rooms, small apartments, and inns. Residential clustering was not
uncommon for unmarried women, who shared the costs of running a household
through lace making, street-peddling, prostitution, and laundering.25 The
largest could count as brothels, though there were relatively few of them. In
1583, twenty-one dishonest women lived in the house of Gradello on Bologna’s
heavily populated Borgo Nuovo di San Felice, by the eastern wall. Yet while
registrations climbed in the 1580s, the group at Gradello’s shrank to fourteen
women in 1584, and eleven in 1588.26 Moreover no other large houses appeared
through this period. In 1604, the street with mostregistrations was Borgo Nuovo
di San Felice, with forty-seven women, and the largest single group was thirteen
who gathered in the house of Lucrezia Basilia, while the rest had five or
fewer.27 On the second and third most populated streets, Campo di Bovi and
Senzanome, no house had more than six registered prostitutes living in it.28
These larger clusters were often inns, where prostitutes benefitted from the
presence of other women and the protection of innkeepers. Inns popular with
prostitutes included those of Matteo the innkeeper (“osto”) on Frassinago and
of Angelo Senso on Pratello. Seven registered women lived at Matteo’s inn in
1589, and ten lived in Angelo’s inn in 1597.29 Few women stayed at inns for
more than a year and most registered without surnames, but instead with
reference to a town, city, or region, like Flaminia from Ancona (“Anconitana”),
Francesca from Fano (“da Fano”), and Ludovica from Modena (“Modenesa”) who
lived at Matteo’s place in 1598. These could have been recent migrants or women
identifying by parents’ origins or using pseudonyms. The inns and brothels
helped them build social networks as they secured places of their own. Yet, it
was more common for women to live with one or two other prostitutes in rented
rooms and small apartments. In 1597, Lucia Colieva lived with Elisabetta di
Negri on Borgo di San Martino, and the following year she joined another
registered prostitute, Vittoria Fiorentina, on Senzanome.30 Similarly, in 1601
Isabella Rosetti, Giulia Bignardina, and Cassandra di Campi all lived together
in Isabella’s home on Frassinago. A year later Giulia had died and Cassandra
was no longer registered.31 For just under ten years, Madonna Ginevra Caretta,
who was unregistered, managed a small apartment where six to eight registered
prostitutes lived.32 Unlike Bologna’s inns and taverns, Ginevra’s household was
mobile, moving across town and back again over the years it operated. In 1588
it was located on Saragozza, in the south-western corner of the city, and the
next year it moved to San Colombano in the northwest quarter of Stiera. At
least one woman, Lena Fiorentina, followed Ginevra to the new street, where she
remained for almost a decade before moving to Paglia.33 A few of the
prostitutes lived with Ginevra for years, like Pelegrina di Tarozzi, who stayed
for four years, and Chiara Mantuana, for three.34 Domenica Cavedagna,
registered for thirteen years (1597–1609), ran a house on Centotrecento and
then on Bràina di stra San Donato.35 Seven other prostitutes lived with her in
1604, and a year later three had left but six new women had moved in. A few
stayed with her for four or five years.36 The Bollette’s registers explain why
some of the women moved out of the homes run by women like Ginevra Caretta and
Domenica Cavedagna. Some entered service (either domestic, sexual, or both)
while others moved to different streets or left Bologna entirely to try their
luck elsewhere.37 While living with other prostitutes could bring economic,
professional, and even personal security, it could also bring personal rifts or
increased attention from the police (sbirri ), who saw these homes as easy
targets for making arrests. Men interacted with registered prostitutes as
occasional clients, long-term amici, absentee husbands, jealous lovers, and as
acquaintances, if not friends.Single women, whether unmarried or widowed, were
financially and socially vulnerable, subject to sexual slander, to charges of
magic and sorcery, and to general suspicion by neighbors and authorities
alike.38 Relationships with men afforded them a degree of protection from the
financial and social marginalization they experienced because of their gender,
economic status, and work, and so women turned to them not just for income and
companionship but also for a measure of protection. The civic government had
always prohibited married women from prostituting themselves, since by doing so
they committed adultery. The 1462 statutes ordered whipping and expulsion for
the women, and fines of 100 lire for officials who looked the other way.39
Women living with husbands could not register with the Bollette, though
abandoned wives sometimes could. Francesca di Galianti claimed in 1604 that her
husband Bartolomeo di Grandi went to war three or four years previously,
leaving her with a three-year-old daughter to feed. She had since given birth
to a daughter with a cloth worker Giovanni, with whom she had been living for
about a year “to make the expenses.”40 For the Bollette, the question of
whether abandoned women like Francesca could and should register was a
practical one since women who registered were women who paid fees. These women
appealed to the sympathy of Bollette officials by claiming that they were
married but had not seen their husbands in many years, leaving unanswered the
question of whether their husbands were alive or dead. This ambiguity about the
ultimate fate of their husbands would have freed them from charges of adultery
at the archbishop’s tribunal (if the husband was alive) while at the same time
freeing them from registration with the Bollette (if he were dead). Francesca
did not state whether she thought her husband was dead or alive, and ultimately
a kinsmen Vincenzo Dainesi swore that he would ensure she left her “wicked
life” (“mala vita”) and take her into his home to live with him and his wife.41
The officials were satisfied with this, and so Francesca remained unfined and
unregistered. In 1586, Vice Legate Domenico Toschi authorized police to seize
“all married women who do not live with their husbands” caught at night in bed
with their lovers (amatiis).42 Archbishop Gabriele Paleotti believed such women
were clearly committing adultery, and Pope Sixtus V’s bull Ad compascendum
(1586) ordered that any married person whose spouse was alive and had sex with
another person—even if they had a separation from an ecclesiastical court
—should be sentenced to death.43 Toschi’s decree was reconfirmed ten years
later by the new vice legate, Annibale Rucellai, and a third time in 1614.44 If
a woman returned to her husband, she was to be immediately deregistered and
could not be allowed to practice prostitution. If she continued, she was no
longer under the Bollette’s jurisdiction, but rather that of the archbishop.
Stable relationships with men, referred to in Bologna as amici, “lovers,” or as
amici fermi, “firm friends,” offered a measure of economic security for prostitutes
by providing money, clothing, and food in varying amounts depending on the
men’s own status.45 When Arsilia Zanetti sued Andrea di Pasulini, notary of
thearchbishop’s tribunal, for compensation for their three-year sexual
relationship (“amicitia carnale”), she noted he had given her three pairs of
shoes, a pair of low-heeled dress slippers, and a few coins (a ducatone, half a
scudo, and a piastra, a Spanish coin).46 Buying the woman’s licenses could also
be part of the arrangement, as Pasulini had also done for Arsilia.47 Even
though Bologna’s monthly rate of five soldi, and annual rate of three lire, was
extraordinarily low—only onefifth of what Florentine prostitutes paid—this was
another expense that women did not have to worry about and suggested commitment
on the part of the men.48 Lovers and friends helped women in their interactions
with the law. The cavalier Aloisio di Rossi had a three-year sexual
relationship with Pantaselia Donina, alias di Salani, and when her landlord
complained to the Bollette that she had not paid the rent, di Rossi acted as
her procurator and ultimately paid the landlord.49 Other prostitutes maintained
relationships with local, low-level arresting officers (sbirri); Elizabeth S.
Cohen has uncovered many relationships between prostitutes and such men, noting
that “the two disparaged professions often struck up alliances in which the
women traded sex, companionship, and information for protection and money.”50
Such partnerships were not unusual in Bologna. In May 1583, the sbirro Pompilio
registered Francesca Fiorentina as his “woman” (“femina”) and got her a
six-month license for free.51 In 1624 three women registered as living in the
“casa” of the Bollette’s esecutore, Pietro Benazzi, on Borgo di San Martino.52
Pietro registered Caterina Furlana on January 11, 1624 and paid for her
one-month license. She was subsequently de-registered because “she went to stay
in order to serve Pietro Benazzi.” When Caterina di Rossi moved out of her
place on Borgo degli Arienti and into Pietro’s house, she paid for one month
and never again.53 Though these Bollette functionaries could not keep these
women’s names out of the registers, they could keep them from paying for
licenses, even when they were most likely still living by prostitution, and may
have protected them from harassment by other court officials. Male friends
could also be rallied for support, particularly by women who had lived in one
street or area for a substantial period of time, building reputations and
financial and social ties with their neighbors. When Margareta Trevisana “The
Matchstick” (Solfanella) was investigated by the Bollette in 1601, she had been
living on Borgo di Santa Caterina di Strada Maggiore with her sister for at
least eight years. She confessed that three years earlier she had given birth
to the child of Messer Antonio Simio, a married man.54 The Bollette had
investigated her then, allowing her to remain unregistered on the promise that
she would reform her life and go to live with an honorable woman. In 1601 she
was pregnant with the child of another man and was living with her sister
Francesca, a registered prostitute.55 Margareta produced statements signed by
two male neighbors who described her as a good woman (“donna de bene”) the
whole time they had known her, while her parish curate confirmed that she had
confessed and taken communion the previous Easter.56 On further questioning by
the Bollette, the priest claimed that he had known Margareta for about ten or
twelve years, having first met herwhen he lived in the same house as she and
her sister. He claimed not to know what kind of life Margareta led, but
admitted that she appeared pregnant, and was, as far as he knew, not married.
The priest’s testimony cleared her of charges of adultery, but could not save
her from registration, a three-lire fine, and probation.57 In May 1602,
Margareta produced statements about her “honest life and reputation” provided
by two different neighbors and another curate at Santa Caterina di Saragozza,
and her name was removed from the register.58 Margareta lived on the same
street for ten or twelve years, had relationships with neighbors and
housemates, had a sister with whom she lived, and was able to rally four male
neighbors and two parish priests to support her. She and others moved amongst
family, friends, long-term lovers, and occasional clients, building
relationships on reciprocal, if uneven, bonds of financial, emotional, and
legal support and protection. They were not just physically a part of Bologna’s
working-poor neighborhoods, but also socially and affectively integrated into
their communities.Bad neighbors While Bolognese civic law tolerated
prostitution and permitted prostitutes to reside throughout the city, public
disorder was always a concern. Decrees published by the Bolognese legate, at
the request of convents, churches, confraternities, and schools, frequently
lamented the dishonest words and daily and nightly reveling by prostitutes and
other disreputable people.59 Men socialized in prostitutes’ homes, eating,
making music, and talking.60 While some parties remained relatively quiet,
others filled the neighborhood with winefueled singing, laughing, and the
sounds of dancing and of fights over games of chance. The noise was intrusive,
disruptive, and alarming: blasphemous words, violent acts, and sexual slander
carried through windows, over walls, and into streets, squares, and other
residences. Broadsheets illustrating prostitutes’ lifecycles usually included
knife fights by men who discovered that “their” woman had another lover.61
Barking dogs, brawling men, and screaming women heard through f limsy walls and
open windows added to the noise of crowded squares, laneways, and streets.62
Men also fought in doorways and on streets in full sight and hearing of
neighbors. To reduce these disturbances, Papal Legate Bendedetto Giustiniani
forbade prostitutes from throwing parties ( festini ) or “making merry” (trebbi
) in the homes of honest people, or even from eating or drinking in taverns and
inns. Other decrees forbade games of chance and betting, like dice and cards.63
Lawmakers recognized that it was less the prostitutes than the men with them
who were the problem. In 1602 prostitutes were forbidden from travelling
through the city at night with more than three men, under fine of 100 scudi for
the men and whipping for the women.64 Eight years later, Legate Giustiniani
forbade prostitutes from going through the city at night with any men, under
penalty of whipping for both the men and the prostitutes.65Enclosed communities
of male and female religious frequently complained about the noise of
prostitution. Bolognese authorities attempted general exclusionary zones around
convents in the 1560s without success and so moved to proclamations expelling
prostitutes and other disreputable people from specific streets; this was
similar to Florence, where the streets designated for prostitution were de
facto exclusionary zones around most convents.66 Between 1571 and 1630, at
least fifty proclamations cleared twenty-five distinct streets in Bologna,
about one-quarter of all the streets inhabited by prostitutes in 1604. Most
proclamations concerned eight specific convents on the city’s outskirts, though
a few male enclosures were also protected.67 All either had elite connections
or were newly built, and most were near streets heavily populated by
prostitutes. In 1603 Vice Legate Marsilio Landriani forbade all prostitutes,
procurers, and other dishonest women from living on a cluster of streets
bordering the Poor Clares’ house of Corpus Domini, established in 1456 by S.
Caterina de’ Vigri, and the Dominican convent of Sant’Agnese (est. 1223), one
of the city’s richest and most prestigious convents with over 100 nuns.68
Landriani’s proclamation stated that the nuns were greatly disturbed and
scandalized by the daily and nightly reveling of prostitutes, procurers, and
other disreputable people, the “dishonest” words that they spoke, and the
wicked examples they posed.69 Prostitutes had just over a month to move out,
and those found there after the deadline would be publicly whipped, while their
landlords would be fined fifty gold scudi and lose their outstanding rents.70
Yet few prostitutes were actually registered on these streets.71 While
registrations generally dropped dramatically in the 1610s and 1620s, these
streets declined the most, with only two prostitutes remaining by 1614.72 In
1622, the expulsion was repeated almost verbatim with the addition of two
neighboring streets that housed a handful of prostitutes; none remained by
1624.73 Concerns about pollution continued, particularly around shrines. The
confraternal shrine of the Madonna della Neve was built in 1479 to shelter a
miraculous image of the Virgin on the street Senzanome at the south-western
corner of the city.74 Senzanome had twenty-three registered prostitutes in
1594, thirty-six in 1604, and thirty-five in 1609. Yelling, singing, mocking,
and jesting disturbed the peace, interrupted the Mass and other divine offices,
and forced young, unmarried girls and respectable residents to hide in their
houses. Confraternal brothers repeatedly complained to the legate about the
noise of Senzanome’s prostitutes and other “people who have little fear of God
and his most holy mother.” 75 Between 1587 and 1621 four proclamations expelled
dishonest people and prostitutes from Senzanome and around Santa Maria della
Neve.76 One of 1608 threatened women caught residing or lingering in the street
with a fine of ten scudi the first time, and expulsion the second time.77 Men
could be fined ten scudi the first time, and another ten scudi and three lashes
the second time. This proclamation even named three specific women, Giulia da
Gesso, Doralice Moroni, and Ludovica Giudi, “as well as every other meretrice.”
78 A year later all three of these women were still living on Senzanome, with
Doralice Moroni registeredin the house of the priest Campanino and Giulia da
Gesso in the house of a priest of San Niccolo.79 Moreover, they shared the
street with thirty-five other registered prostitutes. Yet the prostitutes
gradually did move away, and in 1614 and 1624, only two women registered on
Senzanome.80 The Legate’s 1621 decree ordered dishonorable people living on
Senzanome to move to Frassinago, to Borgo Novo, or to “another street appointed
to similar people” where there were no convents, churches, or oratories.81
Neighbors had direct, day-to-day contact with prostitutes and knew details
about their lives. Gossip—the sharing of local and extra local information—
typified neighborhoods and formed the basis of community self-regulation.82
People constantly watched and listened to their neighbors from the streets, in
doorways, through windows, on balconies, and through f limsy walls.83 Early
modern prostitution was public and visible. Michel de Montaigne remarked that
prostitutes sat at their widows and leaned out of them, while others observed
that the women promenaded proudly through the streets.84 In his Piazza
universale di tutte le professioni del mondo (1616), Tommaso Garzoni described
how prostitutes worked to catch men’s eyes while sitting at their widows,
gesturing and bantering with them.85 Some called attention to themselves by
wearing brightly colored gowns with ostentatious decorations and jewels on
their fingers and at their necks.86 Contemporary Italian broadsheets depict
women sitting at their widows and in their doorways while older women act as
go-betweens.87 Bollette testimonies show that Bolognese knew a great deal about
the prostitutes who were their neighbors. Witnesses often claimed that they had
seen women going through the streets or into buildings and apartments with men.
In 1601, Caterina Marema told that when she lived in the same casa as Lucrezia
Buonacasa, she frequently saw the tailor Gian Domenico Sesto come to stay and
sleep with her.88 Others saw more intimate behavior, like Bartolomea, daughter
of Antonio di Miani, who claimed that she knew her neighbors Margareta and
Cornelia were “meretrici” because she saw them laughing, dancing, embracing,
and kissing men. She also heard that they went to register with the Bollette.89
Still others testified more simply that “everyone in the neighborhood considers
her to be a whore,” or, “everyone says that she is his whore.” Finally, some
men talked with each other about their sexual relationships with women. Silvio,
son of Rodrigo di Manedini, claimed that over the previous three years his
friend Tarquino, a sbirro, told him repeatedly that he was “screwing”
(chiavava) Lucrezia Buonacasa.90 In this case, Silvio claimed also to have
first-hand knowledge of their relationship: he said that he had seen the two in
bed together at Lucrezia’s house on via Paradiso and at the watch house of the
sbirri. In a close knit, intensely local world like this, prostitutes and
dishonest women would have been hard-pressed to keep their relationships and
work a secret. In pragmatic terms, some women may not have wanted to keep their
work a secret: gossip and visibility acted as advertisement and could attract
better clients. Local knowledge of women’s attachments to men might also earn
them a measure of respect, even if only while the relationship continued,
especially ifthe man was honored locally because of his wealth or status. These
relationships could bring a sort of social protection. Whether or not women or
their clients and lovers made spectacles of themselves, prostitution was both
seen and known. Most working-poor people were not overly scandalized by the
fact that their neighbors lived by prostitution, or perhaps they had resigned
themselves to living amongst them. No evidence has come to light that
working-poor women and men made a concerted effort to drive prostitutes and
dishonest women as a group out of their neighborhoods. Most streets on which
registered prostitutes lived housed ten or fewer such women, and prostitutes
may have been quieter and less given to overt public display, since they did
not have to compete with each other for the attention of the men and youths who
came in search of their services. With fewer women there was less of the
serenading, violence, and harassment by rowdy students and drunken men that
offended neighbors, and less attention from patrolling officers looking to fill
their purses with rewards for arrests.91 Tessa Storey has argued that as long
as Roman prostitutes maintained local order and the appearance of
respectability, neighbors did not see them as an exceptional problem. A few
written complaints requesting the eviction of specific prostitutes from their
streets identified only the most scandalous and the loudest, on grounds that
they posed bad examples by “touching men’s shameful parts and doing other
extremely dishonest acts” in the streets.92 Those who were well behaved—and
these were actually listed by name—were welcome to stay provided that they continued
to behave. Working-poor neighbors who found the women’s work immoral or
offensive or their noise and disorder overwhelming could move to one of the 100
or so other city streets that were not heavily populated by prostitutes. Even
in 1604, the year when the highest number of prostitutes and dishonest women
registered with the Bollette, only sixteen streets had ten or more registrants
living on them, and only eight had more than twenty. At least half of all
Bolognese prostitutes were more widely dispersed through the city, and this may
explain why we see no concerted efforts to dispel them as a group. Beyond this,
it became increasingly difficult to successfully prosecute violations like
adultery or the lack of license. A 1586 order from the vice legate to the
Bollette’s officials suggested that small-scale rivalries were behind too many
frivolous denunciations. Henceforth, unless a woman was found in flagrante with
a man, the testimonies of two neighbors of good repute and the local parish
priest would be required in order to find her guilty.93Conclusion For many
working-poor Bolognese men and women, living amongst prostitutes was a fact of
life. Whether they respected these neighbors or not, they learned to live with
them. Prostitutes and dishonest women had their places in the local kinship,
social, and economic networks of their neighborhoodsand the larger city. This
is not to say that they were not mocked, or that those who treated them with
courtesy fully respected them. Yet while some prostitutes annoyed, overwhelmed,
and frightened some neighbors with their noise, scandal, and violence, they
were also the sisters, mothers, lovers, and friends of many others. Elizabeth
S. Cohen has argued that “[prostitute’s] presence corresponded to an intricate
engagement in the social networks of daily life. In practice, if not in theory,
the prostitutes occupied an ambiguous centrality.”94 Tessa Storey suggests that
restrictive legislation, especially residential confinement, elicited sympathy
from Romans, who were not overly concerned about the immorality of
prostitution.95 This was also true in Bologna, where prostitutes were far more
widely distributed across the entire city. Religious authorities like Gabriele
Paleotti found them immoral and disruptive, posing bad examples and needing to
be separated and marginalized. Yet civic authorities and most lay people appear
to have held more nuanced attitudes, engaging prostitutes in the body social
and using bureaucratic registration to mediate their place in the body politic.
The sources generated by the Ufficio delle Bollette in the later sixteenth and
early seventeenth centuries reveal these women operating within networks of
sociability, work, and family. They demonstrate women who fit within their
communities, more uneasily at sometimes than others, and who both gave and
received the resources of support, companionship, and security that
characterized the community-centered world of early modern Italy.Notes 1 Cohen,
“Seen and Known,” 402. Hacke, Women, Sex, and Marriage, 179. Brackett, “The
Florentine Onestà,” 291–92 and 296. Terpstra, “Locating the Sex Trade,” 108–24.
2 Brackett, “The Florentine Onestà,” 290–91 and 295; Cohen, “Seen and Known,”
404– 05; Storey, Carnal Commerce, 70–94; Ruggiero, Binding Passions, 48–49. 3
For expanded analysis and archival documentation, see: McCarthy,
“Prostitution.” 4 Biblioteca Universitaria Bologna (hereafter BUB), ms. 373, n.
3C, 151v–152v. Terpstra, Cultures of Charity, 205–06, 329. McCarthy,
“Prostitution, Community, and Civic Regulation,” 40, 54–61. 5 Archivio di Stato
di Bologna (hereafter ASB), Boschi, b. 541, fol. 170v, “Bando sopra le
meretrici et riforma de gli altri bandi sopra a cio fatti” (January 31 and
February 1, 1568). For more on this episode and the gendered politics of social
welfare reform in sixteenthcentury Bologna: Terpstra, Cultures of Charity,
19–54, 206–07. For the comparatively loose regime in the Convertite: Monson,
Habitual Offenders. 6 Cohen, “Seen and Known,” 403 and 405–08; Ruggiero,
Binding Passions, 49; Brackett, “The Florentine Onestà,” 292. Terpstra,
“Locating the Sex Trade,” 116-21. 7 Miller, Renaissance Bologna, 16–17.
Terpstra, “Sex and the Sacred.” 8 For example, Isotta Boninsegna and Giovanna
di Martini. In 1604 Polonia, daughter or widow of Domenico Galina of Modena
lived on Simia, while in 1614 Maria Roversi did, and in 1630 Domenica
Borgonzona lived there. ASB, Ufficio delle Bollette 1549– 1796, Campione delle
Meretrici (hereafter C de M) 1584, [np] “I” and “G” sections; 1604, [np] “P”
section; 1614, 190; 1630, [np] “D” section. 9 This street was called variously
the “via stufa della Scimmia,” the “postribolo,” or “lupanare Nuovo,” as well
as the Corte dei Bulgari. Fanti, Le vie, vol. 2, 516–17. McCarthy,
“Prostitution,” 20–67.10 Biblioteca Comunale di Bologna (hereafter BCB),
Gabinetto disegni e stampe, “Raccolta piante e vedute della città di Bologna,”
port. 1, n. 14. http://badigit.comune.bologna.it/ mappe/14/library.html 11 Ferrante, “‘Pro
mercede carnale,’” 48. 12 Borgo Nuovo di San Felice was one of the streets that
Bishop Gabriele Paleotti had ordered prostitutes to live in. ASB, Boschi, b.
541, fols. 170r–171v, “Bando sopra le meretrici” (January 31 and February 1,
1568). Zanti, Nomi, 16. 13 Muzzarelli, “Ebrei a Bologna,” 862–70. 14 Francesca
Ballerina rented from Giacomo the pork butcher (lardarolo) on Frassinago.
Giacoma di Ferrari da Reggio, Ursina de Bertini, and Lucrezia di Grandi all
lived in the house of Giovanni Pietro the shoemaker (calzolario) on Senzanome.
Lucia Tagliarini lived on Frassinago in the inn of Zanino. Giovanna Querzola,
alias Stuarola, lived on Nosadella between the potter (pignataro) and the
shoemaker (calzolaro). C de M 1604, [np] “F”, “I”, “V”, “L”, “T”, and “G”
sections, respectively. 15 Cohen and Cohen, “Open and Shut,” especially 64 and
68–69. 16 Chojnacka, Working Women; Cohen, “To Pray.” 17 For instance, in 1604,
611 women registered and only eleven mothers and four sisters were recorded as
purchasing licenses for their kin. McCarthy, “Prostitution,” 220–21. 18 Of the
213 prostitutes who appeared in the censuses, one-third had children.
Chojnacka, Working Women, 22–24. 19 Storey, Carnal Commerce, 128–29. On widowed
mothers, 114. 20 Benedetta was listed as “sorella di Saltamingroppa.” C de M
1604, [np] “B” and “D” sections. 21 C de M 1605, 175. For Francesca, see C de M
1598, 56; 1599, 49; 1600, 68; 1601, 60; 1602, 72; 1603, 72; 1604, [np] “F”
section; 1605, 86. For Margareta, see C de M 1602, 201; 1604, [np] “F” section;
1605, 175. In 1605, Margareta was deregistered when she began working as a wet
nurse for the Ercolani, a senatorial family. As the register reads: “Sta per
balia del 40 Hercolani.” 22 C de M 1601, 140. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796,
Inventionum 1601, [np] fol. 19v (June 28, 1601). 23 C de M 1584, [np] “L”
section. Both were registered under Lucia’s name. C de M 1624, [np] “A” and “L”
sections. 24 C de M 1600, 73; 1604, [np] “F” and “M” sections; 1609, 171; 1614,
172. Domenica was not registered. 25 Hufton, “Women without Men.” Chojnacka,
Working Women, 18–19. Cohen, “Seen and Known,” 406. 26 C de M 1584 and 1588. 27
Of those who registered, almost all gave their street and residence (44 of 47).
For names of co-habitants: McCarthy, “Prostitution, Community, and Civic
Regulation,” 224–25. 28 A total of twenty-seven (75 percent) of the thirty-six
women who lived on Campo di Bovi identified their homes: five lived in the
“casa” of Messer Filippo Scranaro, and the rest lived with two or fewer other
prostitutes. A total of thirty (87 percent) of the thirtyfive women who
registered on Senzanome identified their homes: six lived in the “casa” of
Giulia di Sarti, called l’Orba (the Blind), who was not registered, and four
lived in the “casa” of Giovanni Pietro the shoemaker. Otherwise, all the rest
lived with two or fewer other prostitutes. C de M 1604. 29 C de M 1589 and
1597. 30 C de M 1597, 61 and 86 respectively; C de M 1598, 95 and 142
respectively. 31 C de M 1601, 99, 78, and 176 respectively. 32 This was between
1588 and 1597. Ginevra registered once, in January 1588, when she paid for a
one-month license. C de M 1588, [np] “G” section. In 1588, six registered
prostitutes lived with her, in 1589 seven did, and in 1594 and 1597 eight did.
C de M 1588; 1589; 1594; 1597. 33 C d M 1589, [np] “L” section; 1594, [np] “L”
section. C de M 1599, 28. Ginevra was still there in 1601, when Margareta
Tinarolla lived in her home. See C de M 1601, 130.34 C de M 1594, [np] “P”
section; 1597, [np] “P” section. C de M 1597, [np] “C” section; C de M 1599,
28. 35 For her first registration, see C de M 1597, [np] “D” section. 36 Eg.,
Gentile di Sarti, C de M 1601, 79; 1605, 100, and Domenica Fioresa, C de M
1604, [np] “E” section; 1609, 66–67. 37 Lucia Fiorentina left Ginevra’s to
serve in the house of a local scholar (“Signor Dottore”). C de M 1589, [np] “L”
section. Diana di Sacchi Romana lived in Ginevra’s casa in January 1594, but
moved twice more that year, to Borgo Polese and then to Altaseda. C de M 1594,
[np] “D” section. C de M 1594, [np] “L” section, Lucia Fiorentina. It is
unclear but possible that this was the same Lucia who entered service in 1589.
38 Chojnacka, “Early Modern Venice,” especially 217 and 225. McCarthy,
“Prostitution,” 253–314. 39 See ASB, Ufficio delle Bollette e Presentazioni dei
Forestieri, Scritture Diverse, busta 1, “Statuti,” [np] fol. 8r. 40 ASB,
Ufficio delle Bollette 1549-1796, Filza 1604, [np] “Die 21 May 1604,” fol. 1r.
41 Vincenzo is described as Francesca’s “cognatus.” Ibid., fol. 1r–v. 42 This
permission was copied into the 1586 register and the 1462 illuminated statutes:
C de M 1586, [np] “Z” section (28 June 1586); ASB, Ufficio delle Bollette e
Presentazioni dei Forestieri, Statuti, sec. XV, codici miniati, ms. 64, 28. 43
For Paleotti’s reaction, see BUB, ms. 89, fasc. 2, Constitutiones conclilii
provincialis Bonon. 1586, fol. 95v, cited in Ferrante, “La sessualità,” 993. 44
ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601, [np] “Decreto d[e]lle
bolette” (November 20, 1596); Filza 1614, [np] “Dalla letura delli statuti si
cava che le Donne di vita inhonesta si possono descrivere nel campione in 4
modi” (undated). 45 John Florio defines “amico” as “a friend, also a lover.”
Florio, Queen Anna’s, 24. See also Cohen, “Camilla la Magra.” 46 The suit was
brought to the Bollette. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601,
[np] “Arsilia Zanetti” (November 12, 1601). For a detailed study of Bolognese
registered prostitutes who took clients to the Bollette’s tribunal for debt,
see Ferrante, “‘Pro mercede carnale.’” 47 Pasulini bought her two six-month
licenses in July 1598 and January 1601. Arsilia’s son, Giovanni Battista, paid
for the other months. C de M 1598, 48; 1599, 3; 1600, 4; 1601, 4. 48 Archivio
di Stato di Firenze (hereafter ASF), Onestà, ms 1, ff. 27r–31v. Terpstra, “Sex
and the Sacred,” 77. 49 Ludovico Pizzoli, the Bollette’s esecutore, claimed
that for three years Rossi had purchased her licenses because he was having a
continuous sexual relationship with her even while she was having sex with
other men: ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1606, “Cont[ra]
Pantaselia Donina[m] al[ia]s de Salanis” (August 19, 1605), fol. 1r. John
Florio defines “amicítia” as “amity, freindship [sic], good will.” Florio, Queen
Anna’s¸ 24. The Bollette’s 1602 register confirms that Rossi paid for her
licenses in person as well as giving money to Pizzoli to pay on his behalf. C
de M 1601, 160; 1602, 154; 1603, 170. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796,
Filza 1601, “Molto Ill[ust]re et Ecc[ellen]te Sig[no] re” (May 14, 1601). 50
Cohen, “Balk Talk,” 101. 51 The record in the register does not say why it was
given for free, only that Pomilio “solvet nihil.” C de M 1583, [np] “F”
section. 52 These were Angelica Bellini, Caterina Furlana, and Caterina di
Rossi. C de M, 1624, [np] “A” and “C” sections. 53 Both in Ibid., [np] “C”
section. 54 This was according to the curate of her parish church. ASB, Ufficio
delle Bollette 1549– 1796, Inventionum 1601, [np] fols. 20v–21v (June 20, 1601;
July 2, 1601). For her sister Francesca’s registrations: C de M 1598, 56; 1599,
49; 1600, 68; 1601, 60. 55 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum
1601, [np] fol. 19v (June 28, 1601) and fol. 20r–v (June 30, 1601).56 ASB,
Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601, [np] “Malg[are]ta Sulfanela”
(June 27, 1601). 57 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601,
[np] fols. 20v–21v (July 2, 1601). 58 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796,
Filza 1603, [np] (26 June 1602). C de M 1602, 21. The Convertite confirmed this
removal: ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1603, [np] untitled
(October 12, 1602). 59 See, for instance, BCB, Bandi Merlani, V, fol. 106r,
untitled, begins “Non essendo conveniente che presso li Monasteri j di Monache”
(March 24, 1603). McCarthy, “Prostitution,” 131–97 60 Cohen, “‘Courtesans,’”
202. 61 “Vita et fine miserabile delle meretrici” (“Life and Miserable End of
Prostitutes”), ca. 1600, in Kunzle, History of the Comic Strip, 275. Giuseppe
Maria Mitelli, “La vita infelice della meretrice compartita ne dodeci mesi
dell’anno lunario che non falla dato in luce da Veridico astrologo” (1692),
Museo della Città di Bologna, 2470 (re 1/425). 62 Cohen, “Honor and Gender,”
especially 600–01. Terpstra, “Sex and the Sacred,” 71, 79–80. 63 ASB,
Assunteria di Sanità, Bandi (XVI–1792), Bandi Bolognesi sopra la peste, 45,
“Bandi Generali del Ill[ustrissimo] et Reverendiss[i]mo Monsignor Fabio Mirto
Arcivescovo di Nazarette Governatore di Bologna,” (February 17, 18, and 19,
1575), fol. 2v; BCB, Bandi Merlani, V, fol. 64r, “Bando Sopr’al gioco, &
Biscazze, alli balli nell’Hosterie, & che le Donne meretrici non vadano
vestite da huomo” (December 9, 1602). 64 Ibid. 65 Thomas Fisher Rare Book
Library (hereafter Fisher), B-11 04425, “Bando generale dell’Illustrissimo,
& Reverendissimo Sig. Benedetto Card. Giustiniano Legato di Bologna” (June
23 and 24, 1610), “Delle Meretrici. Ca XXVIII,” 60–61. 66 In 1565, Governor
Francesco de’Grassi set the exclusionary zone at 30 pertiche (approximately 114
meters), while in 1566 Francesco Bossi extended the zone to 50 pertiche (190
meters). See Martini, Manuale di metrologia, 92. ASB, Legato, Bandi speciali,
vol. 3, fol. 16r (February 1, 1565); ASB, Boschi, b. 541 (February 1 and
8, 1566), fol. 115r. Florence reduced its exclusionary zone from 175 to 60
meters in this time (i.e., from 300 braccia to 100): ASF, Acquisti e Doni 291,
“Onestà e Meretrici” (May 6, 1561). Terpstra, “Sex and the Sacred,” 78–79. 67
These convents were San Bernardino, Santa Caterina in Strada Maggiore, San
Guglielmo, San Leonardo, San Ludovico, Santa Cristina, San Bernardo, Corpus
Domini, and Sant’Agnese. Proclamations also protected the new monastery of San
Giorgio, the Benedictine monastery of San Procolo, the college of the
Hungarians, the Jesuits and their school, the new church of Santa Maria
Mascarella, and the shrine of the Madonna della Neve. McCarthy, “Prostitution,”
131–97. 68 Zarri, “I monasteri femminili,” 166, 177. Johnson, Monastic Women,
235–37. Fini, Bologna sacra, 14. 69 BCB, Bandi Merlani, V, fol. 106r, untitled,
begins “Non essendo conveniente che presso li Monasterij di Monache” (March 24,
1603). 70 One-third of each fine was to go to the accuser, one-third to the
city treasury, and onethird to the esecutore. 71 In 1601, one woman registered
on Bocca di lupo, two on Capramozza, and four on Belvedere di Saragozza. In
1604, one registered on Bocca di lupo, three on Capramozza, and one on
Belvedere di Saragozza. C de M 1601 and 1604. One of the women who lived on
Belvedere in 1601 continued to do so in 1604, while another had moved three
blocks west to Senzanome, and a third had moved across town to Campo di Bovi by
the north-eastern wall. These were Vittoria Pellizani, Gentile di Parigi, and
Angela Amadesi, called “La Zoppina.” For Vittoria: C de M 1601, 204 and 1604,
[np] “V” section. For Gentile: C de M 1601, 74 and 1604, [np] “G” section. For
Angela: C de M 1601, 136 and 1604, [np] “A” section. 72 These were Camilla di
Fiorentini, who lived in the house of Caterina the widow, and Cecilia Baliera.
C de M 1614, 288 and 39 respectively.73 See BCB, Bandi Merlani, XI, fol. 28r,
untitled, begins “Non essendo conveniente, che appresso li Monasterij di
Monache” (January 18, 1622). In 1624, four women lived on Altaseta and none on
Mussolina. 74 Guidicini, Cose notabili, vol. III, 179–80 and volume III,
346–50. 75 The proclamation clearly states that the order was made at the
insistence of the “Huomini della Madonna dalla Neve, Confraternità di essa, e
persone honeste di detta strada.” BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r (August 20,
1621). 76 These were published in 1587, 1602, 1608, and 1621. BCB, Bandi
Merlani, I, fol. 449r, untitled, begins “Devieto di affitare a persone
disoneste nella contrada di S. Maria della Neve” (April 26, 1587); ASB, Legato,
Bandi speciali, vol. 15, fol. 198r, untitled, begins “Essendo la Contrada di
Santa Maria dalla Neve sempre stata Contrada quieta” (January 31, 1602); ASB,
Legato, Bandi speciali, vol. 17, fol. 225r, untitled, begins “Havendo
l’Illustriss[im]e Reverendiss[ime] Sig[nor] Car[dinal] di Bologna pien notitia”
(June 6, 1608); BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r, “Bando Contra le Meretrici,
& Persone inhoneste” (August 20, 1621). 77 “non possa, ne possano, ne
debbano sotto qual si vogli pretesto, a quesito colore fermarsi, o star ferme
per detta strada, sotto il portico, suso il lor’uscio, o d’altri, o suso
l’uscio dell’ Hostarie.” ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 17, fol. 225r (June
6, 1608). 78 “comanda espressamente all GIULIA da Gesso, all DORALICE Moroni,
alla LUDOVICA Guidi, & ad ogn’altra MERETRICE [sic].” ASB, Legato, Bandi
speciali, vol. 17, fol. 225r (June 6, 1608). 79 C de M 1609, 73, 121, and 151,
respectively. 80 These were Agata Martelli, alias Bagni, from Castel San Pietro
and Lena di Stefani who lived in the casa of Messer Domenico Bonhuomo. C de M
1614, 19 and 1624, [np] “L” section. 81 BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r,
“Bando Contra le Meretrici, & Persone inhoneste” (August 20, 1621). Though
Savelli did not specify which “Borgo Nuovo” they should move to, in all
likelihood he meant Borgo Nuovo di stra Maggiore, which had no convents or
churches on it. 82 Cohen and Cohen, “Open and Shut,” 67–68. 83 Cowan, “Gossip,”
314–16; Cohen and Cohen, “Open and Shut,” 68–69. 84 Cohen, “‘Courtesans,’”
204–05; Cohen, “Seen and Known,” 396–97. In a later article Cohen argues that
“[t]hough typically noisier and more abrasive than feminine ideals would
dictate, much of prostitutes’ street behavior was not radically distinct;
rather it fell toward one end on a spectrum of working class practices.” Cohen,
“To Pray,” 310. 85 Tommaso Garzoni, Piazza universale di tutte le professioni
del mondo, nuovamente ristampata & posta in luce, da Thomaso Garzoni da
Bagnacavallo (Venice: Appresso l’Herede di Gio. Battista Somasco, 1593), 598.
Available online from the Università degli Studi di Torino OPAL Libri Antichi
internet archive at http://archive.org/details/Scansione GIII446MiscellaneaOpal, cited in Cohen, “Seen
and Known,” 397, n. 18. 86 Ibid., especially 396–97 and 399; Storey, Carnal
Commerce, 172–75. 87 “Mirror of the Harlot’s Fate,” ca. 1657, reproduced on
278–79 in Kunzle, History of the Comic Strip: Volume 1 and Storey Carnal Commerce,
37. Vita del lascivo (“The Life of the Rake”), ca. 1660s, Venice, reproduced on
39–44 of Storey, Carnal Commerce. 88 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796,
Inventionum 1601, [np] January 22, 1601. 89 Ibid., [np] July 23, 1601. 90
Ibid., [np] January 22, 1601. John Florio defines “chiavare” as “to locke with
a key. Also to transome, but now a daies abusively used for Fottere.” He
defines “fottere” as “to jape, to flucke, to sard, to swive,” and “fottente” as
“fucking, swiving, sarding.” Florio, Queen Anna’s, 97 and 194, respectively. 91
On the attraction of lawmen to streets known for prostitution, gambling, and
drinking: Cohen, “To Pray,” 303; Storey, Carnal Commerce, 99–100. 92 The
complainants referred to themselves as honorati and gentilhuomini, curiali
principali, and artegiani buoni e da bene. Storey, Carnal Commerce, 91, n. 103.
She dates the two letters from 1601 and 1624.93 For the vice legate’s order, as
transcribed into the 1586 register: C de M 1586, [np], untitled, begins
“Ill[ustrissim]us et R[everendissi]mus D[ominus] Bononorum Vicelegatus in eius
Camera” (June 28, 1586). 94 Cohen, “Seen and Known,” 409. 95 Storey, Carnal
Commerce, 1–2.Bibliography Archival sources Archivio di Stato di Bologna (ASB)
Assunteria di Sanità, Bandi (XVI–1792) Boschi, b. 541 Legato, Bandi speciali,
vol. 3, 15, and 17 Ufficio delle Bollette 1549–1796, Campione delle Meretrici
1583, 1584, 1586, 1588, 1589, 1594, 1597, 1598, 1599, 1600, 1601, 1602, 1603,
1604, 1605, 1609, 1614, 1624, and 1630 Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filze
1601, 1603, 1604, 1606, and 1614 Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum
1601 Ufficio delle Bollette e Presentazioni dei Forestieri, Scritture Diverse,
busta 1 Ufficio delle Bollette e Presentazioni dei Forestieri, Statuti, sec. XV,
codici miniati, ms. 64 Archivio di Stato di Firenze (ASF) Acquisti e Doni 291
Onestà, ms 1 Biblioteca Comunale di Bologna (BCB) Bandi Merlani, I, V, X, and
XI. Gabinetto disegni e stampe, “Raccolta piante e vedute della città di
Bologna,” port. 1, n. 14. http://badigit.comune.bologna.it/mappe/14/library.html Biblioteca Universitaria Bologna (BUB)
Manuscript 373, n. 3C Thomas Fisher Rare Book Library (Fisher) B-11 04425 Museo
della Città di Bologna (MCB) 2470 (re 1/425)Published sources Brackett, John K.
“The Florentine Onestà and the Control of Prostitution, 1403–1680.” Sixteenth
Century Journal 24, no. 2 (1993): 273–300. Chojnacka, Monica. “Early Modern
Venice: Communities and Opportunities.” In Singlewomen in the European Past.
Edited by Judith M. Bennett and Amy M. Froide, 217–35. Philadelphia:
Pennsylvania University Press, 1999. ———. Working Women in Early Modern Venice.
Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 2001. Cohen, Elizabeth S. “Balk
Talk: Two Prostitutes’ Voices from Rome c. 1600.” Early Modern Women: An
Interdisciplinary Journal 2 (2007): 95–126. ———. “Camilla l Magra, prostituta romana.” In Rinascimento al
Femminile. Edited by Ottavia Niccoli, 163–96. Rome: Laterza, 1991.———. “Honor
and Gender in the Streets of Early Modern Rome.” Journal of Interdisciplinary
History 22, no. 4 (1992): 597–625. ———. “Seen and Known: Prostitutes in the
Cityscape of Late-Sixteenth-Century Rome,” Renaissance Studies 12, no. 3
(1998): 392–409. ———. “To Pray, To Work, To Hear, To Speak: Women in Roman
Streets c. 1600.” Journal of Early Modern History 12 (2008): 289–311. ———.
“‘Courtesans’ and ‘Whores’: Words and Behavior in Roman Streets,” Women’s
Studies 19 (1991): 201–08. ——— and Thomas V. Cohen, “Open and Shut: The Social
Meanings of the Cinquecento Roman House.” Studies in the Decorative Arts
(Fall/Winter 2001–02): 61–84. Cowan, Alexander. “Gossip and Street Culture in
Early Modern Venice.” Journal of Early Modern History 12 (2008): 313–33. Fanti,
Mario. Le vie di Bologna. Saggio di toponomastica storica, 2 volumes. Bologna:
Istituto per la storia di Bologna, 2000. Ferrante, Lucia. “La sessualità come
risorsa. Donne davanti al foro Archivescovile di Bologna (sec. XVII).” In Mélanges
de l’Ecole française de Rome 99, part 2 (1987): 989–1016. ———. “‘Pro mercede
carnale.’ Il giusto prezzo rivendicato in tribunale.” Memoria: Rivista di
storia delle donne 2, no. 17 (1986): 42–58. Fini, Marcello. Bologna sacra:
tutte le chiese in due millenni di storia. Bologna: Pendragon, 2007. Florio,
John. Queen Anna’s new world of words, or, Dictionarie of the Italian and
English tounges, collected and newly much augmented by John Florio. London:
Melch. Bradwood for Edw. Blount and William Barrett, 1611. Guidicini, Giuseppe.
Cose notabili della città di Bologna, ossia, storia cronologica de suoi stabili
sacri, pubblici e privati. Volume 3. Bologna: Arnaldo Forni, 1982. Hacke,
Daniela. Women, Sex, and Marriage in Early Modern Venice. Aldershot: Ashgate,
2004. Hufton, Olwen. “Women without Men: Widows and Spinsters in England and
France in the Eighteenth Century.” Journal of Family History 9, no. 4 (1984):
355–76. Johnson, Sheri F. Monastic Women and Religious Orders in Late Medieval
Bologna. Cambridge: Cambridge University Press, 2014. Kunzle, David. History of
the Comic Strip. Volume 1: The Early Comic Strip: Narrative Strips and Picture
Stories in the European Broadsheet from c. 1450–1825. Berkeley, CA: University
of California Press, 1973. Martini, Angelo. Manuale di metrologia, ossia
misure, pesi e monete in uso attualmente e anticamente presso tutti i popoli.
Torino: Loescher, 1883. McCarthy, Vanessa. “Prostitution, Community, and Civic
Regulation in Early Modern Bologna.” Ph.D. diss., University of Toronto, 2015
Miller, Naomi. Renaissance Bologna: A Study in Architectural Form and Content.
New York: Peter Lang, 1989. Monson, Craig. Habitual Offenders: A True Tale of
Nuns, Prostitutes, and Murderers in Seventeenth-Century Italy. Chicago:
University of Chicago Press, 2016. Muzzarelli, Maria Giuseppina. “Ebrei a
Bologna nel XVI secolo.” In Bologna nell’età moderna (secoli XVI–XVIII), v. 3,
n. 1: Istituzioni, forme del potere, economia e società. Edited by Adriano
Prosperi. Bologna: Bononia University Press, 2008. Ruggiero, Guido. Binding
Passions: Tales of Magic, Marriage, and Power at the End of the Renaissance.
Oxford: Oxford University Press, 1993. Storey, Tessa. Carnal Commerce in
Counter-Reformation Rome. Cambridge: Cambridge University Press, 2008.Terpstra,
Nicholas. Cultures of Charity: Women, Politics, and the Reform of Poor Relief
in Renaissance Italy. Cambridge, MA: Harvard University Press, 2013. ———.
“Locating the Sex Trade in the Early Modern City: Space, Sense, and Regulation
in Sixteenth-Century Florence.” In Mapping Space, Sense, and Movement in
Florence: Historical GIS and the Early Modern City. Edited by Nicholas Terpstra
and Colin Rose, 107–24. London: Routledge, 2016. ———. “Sex and the Sacred:
Negotiating Spatial and Sensory Boundaries in Renaissance Florence.” Radical
History Review 121 ( January 2015): 71–90. Zanti, Giovanni de. Nomi, et cognomi
di tuttle le strad et borghi d Bologna: Dicchiarando la origine del principii
loro. Bologna: Pellegrino Bonardo, 1583. Zarri, Gabriella. “I monasteri
femminili a Bologna tra il XIII e il XVII secolo.” Atti e Memorie della
Deputazione di storia patria per le province di Romagna n.s., 24 (1973):
133–224.5 THOUGH POPES SAID DON’T, SOME PEOPLE DID Adulteresses in Catholic
Reformation Rome Elizabeth S. CohenAdultery was no simple sexual lapse.
Intricately bound to the fundamental institution of marriage, it threatened
honor, family, and livelihood. Traditionally, this grave offense merited harsh
punishments like stoning, although by the sixteenth century these had much
softened. A sin, a crime, and a breach of contract, in early modern Italy it
could be prosecuted under several kinds of law. Beyond canon law’s jeopardy for
both spouses, under Roman law enshrining patria potestas, adultery was overwhelmingly
a wife’s transgression, to which, furthermore, she was presumed to have
consented.1 So, a vengefully passionate husband or kinsmen who killed a wife
found f lagrantly abed with a lover could claim immunity from prosecution for
murder.2 The adulteress herself figured ambiguously as a theme in Italian
paintings, prints, and stories. Nevertheless, neither law nor broader cultural
norms ref lected adultery’s complexities as social experience on the ground. To
juxtapose prescriptive and lived understandings and to test the crime’s
notoriety, we turn to judicial records. For contrast with our culturally framed
expectations and to glimpse the everyday worlds of most early modern people,
this essay reconstructs four stories from adultery prosecutions in the Roman
Governor’s court circa 1600. The particular crimes of these non-elite women and
men involved companionship and sex, but little else was directly at stake. My
accounts seek to represent both social dynamics and a vernacular culture of
sexuality accessible alike to the educated and the illiterate. I highlight a
cluster of adulteresses who cultivated not primarily instrumental, but rather
personal, alliances outside marriage. The lovers’ choices transgressed and had
consequences both at home and in the public courts. Nevertheless, their
misconduct was not radically out of step with an everyday culture of sexuality
that endured even in Catholic Reformation Rome. Adultery had a lengthy history
as a cultural, legal, and behavioral problem. From the twelfth century, an
ambivalent medieval literature on humanlove—from Andreas Cappelanus to
Gottfried von Strassburg—suggested that passion and marriage did not mix.
Despite the Renaissance emergence of more positive takes on sex, the notion
persisted that intense eroticism was seldom the business of husbands and
wives.3 The church still taught that marriage was the only licit setting for
sex, while discouraging the pursuit of pleasure for its own sake. The
iconography of love on domestic objects linked to betrothals and weddings
promoted family policy as much as private spousal gratification.4 Although
married people may not have behaved as they were told, they have left few words
about sex. If conjugal relations did often tend to routine, adultery could be
easily imagined by contemporaries, and by scholars since, as an agreeable
alternative. Popular histories have repeatedly featured swaggering Renaissance
noblemen, including prelates, who dallied sensuously with mistresses and
fathered bastards. Their female partners, who ranged from servants to
gentlewomen, were often married, and so adulteresses.5 A wife’s adultery posed
problems for both her spousal household and her natal family, but sometimes
brought them benefits as well. Under ancient Roman law still frequently cited
in the Renaissance, uncertainty about paternity and corruption of the lineage
was one major cost.6 Adultery also rattled the public honor of a patriarchal
family that could not control its assets, including the chastity and fertility
of its women. These concerns appear as conventional rhetoric, but it is far
from clear how much they actually drove Renaissance husbands’ retribution.
Certainly, charges of adultery were invoked to instigate violence against an
inconvenient kinswoman and to cover other, less high-minded goals. On the other
hand, where doctrines of sexual exclusivity could bend in practice,
adulteresses might reap rewards rather than punishments for their liaisons,
especially with powerful men. For example, Giulia Farnese, wife of the Roman
baron Orsino Orsini and the mistress of Pope Alexander VI in the 1490s,
arranged a cardinal’s hat for her brother, Alessandro, the future Pope Paul
III.7 Even bastards could be absorbed and their mothers supported. In the 1460s
Lucrezia Landriani, married conveniently to a Milanese courtier, bore four
illegitimate children to the young Galeazzo Maria Sforza before he became Duke
of Milan and took a bride. Bearing their father’s name and raised in his court,
Lucrezia’s brood included Caterina Sforza, the future indomitable Countess of
Forlí.8 The husbands of these high-f lying adulteresses managed their role, its
perks and its costs, more and less deftly. In Florence, the husband of Bianca
Cappello, the mistress and later wife of Grand Duke Francesco I, retaliated by
intemperate womanizing of his own, and died at the hands of his paramour’s
kinsmen.9 Husbands did not take adultery lightly, but there might be multiple
stakes and more than just one bloody end. The dark emotions of
adultery—jealousy and anger—struck men and women alike. Legends of aristocratic
adulteresses killed in flagrante delictu by vengeful husbands arouse pity,
horror, and titillation in later readers. Although the threat and the rhetoric
surely circulated, documented historical examples are few.10 More modest women,
too, had reason to fear even unmerited spousal violence.For example, in a
miracle attested in 1522, the Madonna della Quercia of Viterbo saved a woman
mortally assaulted by a suspicious husband, egged on by his mother.11 More peaceably,
a Quattrocento necromantic recipe promised that to make a wife “persevere in
honest alliance with her husband.”12 Moreover, although adulterers were rarely
prosecuted, women deeply resented their husbands’ philandering. In the 1550s a
pious Bolognese gentlewoman, Ginevra Gozzadini, asked her spiritual director if
she owed the marital debt to her errant husband. Though reluctant to release
his disciple from godly duties, Don Leone Bartolini allowed her to decline if
her husband refused to forgo his “public adultery and also grazing on his wife
like a pig and not a Christian.”13 Renaissance Italian visual and literary
culture depicted four roles in adultery’s drama: the wife; the husband or
cuckold; the lover; and the chorus of the public. Though shadowed by misogyny,
views of women were mixed. Ancient and medieval texts widely posited female
propensities to falling in love and to undisciplined and mercenary carnality.
Beauty, coupled with fickle mind, made women at once temptresses and easy prey
to seducers. These risky frailties in turn justified tightly constraining
rules. In parallel, novelle, poetry, madrigals, and commedia dell’arte evoked
both woe and delight with representations of love and romantic adventure.
Magic, too, offered women and men ways to attract and bind a lover.14
Mainstream cultural norms often lumped non-conforming women together as sexual
transgressors. Yet prestige and class, singled out some for celebration. Thus,
as whores, prostitutes stood for the obverse of female virtue, but courtesans,
especially those dubbed counterintuitively “honest,” earned renown among elite
men for their manners and cultural finesse. Even Saint Mary Magdalene appeared
in paintings as the brightly dressed, or undressed, playgirl who was the foil to
her model penitent. The adulteress partook of this generic bad girl, at once
attractive and corrupt, but her jeopardy under law invited ambivalence. For
example, many early modern artists represented the Gospel story of the woman
“taken in adultery.”15 Sixteenth-century Italian paintings usually depicted a
beautiful, young woman, thrust by the Pharisees’ heavy legal hand to stand
alone before a crowd to be judged. Although conventional language suggested
that she was in some sense caught or trapped, she was still deemed to have
consented to dire offense. Viewers would hear Jesus first chide her
persecutors, “Let he who is without sin cast the first stone,” and then tell
her to go and sin no more. All were sinners, not least the adulteress, but law
must not trump Christian mercy. Among the men’s roles, not the male adulterer
nor the wife’s lover, but rather the husbandly cuckold claimed a share of
cultural preoccupation. The aristocratic choice between familial vengeance or
instrumental accommodation often came down on the latter side. Instead of
destroying the adulteress, the cuckold had his reasons for complacency. In
visual imagery, art historians have shown betrayed husbands responding as much
with dismayed forbearance as with hot ire. Comparing paintings of Joseph, the
helpmate of the Virgin Mary, and Vulcan, the spouse of Venus, Francesca Alberti
explained how the aging husbands ofexceptional wives, though vulnerable to
mockery by artists and viewers, served divine ends.16 Louise Rice tracked
Italian depictions of the cuckold from a nasty late fifteenth-century
allegorical engraving through sixteenth-century literary parodies from Aretino
and Modio, and finally to Baccio del Bianco’s drawings. These last offered
whimsically ironic scenes that normalized both the cuckold and the
adulteress.17 Ambivalently allotting pleasure and agency to women and
complicating the revenge narrative, novelle offered socially more varied
cultural constructions of adultery. In the Decameron, Boccaccio exploited these
possibilities in more than twenty-five stories featuring adultery that
fancifully permuted its spousal roles.18 The married women of the novelle,
again almost always beautiful, pursued love and reaped their adulterous
pleasures with ambiguous culpability. At the expense of dull or aging husbands,
some wives schemed cleverly both to achieve their desires and to elude
discovery and punishment.19 Others, honest, virtuous, and alluring, had to be
tricked by would-be lovers into learning that sex outside marriage was more
fun.20 Lucrezia in Machiavelli’s Mandragola found similar fortune. Although
female delight was only a means to an end in the Decameron’s elegantly ironic
lessons, a more literal reading of the stories at least gave a space to imagine
wives’ extra-domestic enjoyment. Boccaccio’s cuckolded husbands reacted
variously to adultery’s challenges to honor and to its remedies in law. In Day
4, Story 9, a gentlewoman let herself fall to her death after her vindictive
husband fed her the heart of her paramour. Explained the woman, since she had
given her love freely, she was the guilty one and not the lover. In a lighter
vein, Day 3, Story 2 parodied the narratives of murder in f lagrante and, less
directly, of Christ forgiving the adulteress. A king, discovering his wife and
a groom asleep together, cut the man’s hair to mark his guilt. When the lover
woke, he scotched his jeopardy by similarly tonsuring other servants. In the
end, the king, rejecting a petty vendetta that would broadcast his dishonor,
announced cryptically to his assembled entourage: “He that did it, do it no
more, and may you all go with God.”21 In Day 6, Story 7, a hapless husband,
fearing penalty if he killed his adulterous wife himself, hauled her before the
public court, where, by statute, she faced a sentence of death by fire. Unlike
the Gospel’s submissive adulteress, the respected Madonna Filippa staunchly
defended herself with two claims. First, as in the tragedy of Day 4, she did it
for her “deep and perfect” love for Lazzarino. Secondly, having gotten her
husband to agree that she had always satisfied his every bodily wish, she
asked: “what am I to do with the surplus? Throw it to the dogs? Is it not far
better that I should present it a gentleman who loves me more dearly than
himself, rather than allow it to turn bad or go to waste?” The gathered
populace of Prato greeted this charming riposte with approving laughter and, at
the judge’s suggestion, altered the harsh statute to punish only adulteresses
who did it for money.22 Christian rules as implemented through ecclesiastical
courts also ref lected more everyday cultural norms. Although by medieval canon
law both spouses owed the marital debt, in customary practice expectations
differed for husbandand wife. As historian Cecilia Cristellon shows, the church
courts of preTridentine Venice aimed less to police sex than to stabilize
marriages and to minimize scandal.23 Many proceedings, often brought by women,
sought to formalize separations or annulments of couples who had long since
parted company. Adultery by wife or husband was a charge to blacken character
but was seldom advanced as the source of a broken marriage.24 In fact, among
the lower orders, adultery was a common product of widespread, informal serial
monogamy. Finding themselves for various reasons without present spouses,
people readily took up new heterosexual partnerships. Although adulterous, such
concubinage, sometimes with a formal blessing that made it bigamy, was often
marriage-like and, in the absence of contrary evidence, usually accepted by the
lay community. In the face of these popular habits, fifteenth-century church
courts worked to sharpen the boundaries of marriage, and the Council of Trent’s
legislation assimilated concubinage more and more to prostitution.25 Even so,
ecclesiastical judges continued less to punish adulterous sex by itself than to
seek better moral and spiritual discipline around marriage as a whole. Let us
turn now to Rome at the end of the sixteenth century to gauge the moral climate
and social textures in which our everyday adulteries took place. For some
decades Catholic reformers had worked to burnish Rome’s reputation as a fitting
capital for a resurgent church. Issuing repeated regulations (bandi ) to
suppress blasphemy and vice, local authorities particularly targeted gambling
and adultery.26 Yet these official pronouncements better registered moralistic
concern than they energized a thorough cleansing of the civic body. Parallel
rules sought to constrain the practice of prostitution, although that trade and
fornication by the unmarried were transgressive but not criminal. The
magistrates’ concerns turned mostly on guarding sacred sites from taint and
restraining violence and disorder by prostitutes’ clients. Yet enforcement of
decrees around illicit sex remained sporadic. Pius V’s ghetto for prostitutes
of the late 1560s at the Ortaccio did not last long as either structure or
policy. That moment was the reformists’ exception rather than the trend. The
early sixteenth-century celebrity of Rome’s honest courtesans had certainly
waned, but in 1580 the gentleman traveler Montaigne was still keen to admire
and visit their kind.27 More generally, the historian of crime Peter
Blastenbrei concluded that, for two decades immediately post-Trent, Rome was de
facto quite accommodating of heterosexual irregularities and sometimes
attracted couples seeking to escape sharper discipline elsewhere.28 All told,
by 1600, reform in the papal city had subdued the Renaissance culture of f
leshly pleasures, but effective suppression of non-marital sex was scarcely
true on the ground. The labyrinth of Rome’s institutions and, especially, the
mobile demography of its residents consistently subverted the religious and
moral aspirations of its leadership.29 The city’s population swelled, from
35,000 in 1527, after the catastrophic Sack by Hapsburg imperial troops, to
around 100,000 in 1600.30 Few people were native Romans. Visitors and migrants
f lowed in—men and women, of all social ranks from ambassadors and nobildonne
to pilgrims, cattledrivers,and servants. Many also left town. In a f luid
residential geography, most people rented their accommodations and often moved
house. Although many households had a nuclear core or its remnants, complete
families were fewer than in many cities.31 Lodgers and informal clusters of
housemates were common. People also changed jobs frequently, and some worked in
one part of the city but, regularly or occasionally, ate and slept elsewhere.
As a result, ordinary Romans had repeatedly to renegotiate the personnel and
terms of daily life. Furthermore, Rome’s sharply skewed sex ratio yielded
distinctive economic and marital dynamics. The urban population counted,
roughly, only 70 women for every 100 men. Celibate clerics were not the primary
culprits. Many of the surplus men came to the city to provide for the needs and
comforts of a courtly society, by serving in great households of prelates or
secular lords or by supplying goods.32 With males doing much of the domestic
work and without a major textile industry, the market for female labor in turn
was weak. Of the many men, some married in Rome to help establish themselves,
but others had wives elsewhere, or were young and not ready to settle down.33
Although some, nubile, women found husbands readily, many others were left to
improvise when fathers died or spouses left town for shorter or longer
absences. Typically, they struggled to live piecemeal from laundry, spinning,
and sewing. As in Venice, concubinage was common. Prostitution, too, though never
as rampant as some hysterical reformers claimed, was another, potentally better
paid recourse. Often informally and intermittently, younger, more presentable
or gregarious women offered mixes of sexual, social, and domestic services to a
shifting contingent of unpartnered men, and to some husbands as well. As a
concubine or prostitute, a married woman faced legal jeopardy for adultery.
When a husband did not, as obligated, support his wife, she had to find
alternatives. Sometimes, he had wasted the dowry. Often, he had been long away,
having intentionally or not abandoned his wife. A woman, in turn, unknowing if
her spouse had died, often proceeded as if he had and set up new partnerships.
In the absence of contrary information, neighbors tended to presume legitimacy
for couples who lived appropriately, including taking the sacraments at church.
Nevertheless, married women living as prostitutes, concubines, or even bigamist
wives were liable, if denounced, to prosecution. The discipline and prosecution
of adultery in early modern Rome has left only erratic traces. No trial records
survive from the tribunal of the Vicario, who bore many of the city’s episcopal
functions for the pope. 34 As an offense of “mixti fori,” however, adultery
sometimes came before the criminal courts.35 Killing women for honor was rare,
especially in the city, and the ferocity of the ancient law had attenuated.
Going to law, though risking unwelcome publicity, became more common, even for
noblemen.36 In the 1580 edition of Rome’s Statuta, carnal and associated crimes
occupied a brief three pages and mostly specified due punishments.37 In
practice, these penalties were often negotiated down, so the statutory
guidelines are interesting mostly as a ref lection of judicial thinking and broader
cultural values. This section began with sodomy and a tersepronouncement of
death by burning. Next, a longer paragraph, De Adulterio e incestu, spoke first
of “adultery with incest,” before turning to “simple adultery.” For this last,
punishments were calibrated to the woman’s honesty and the man’s social rank.
For sex with an “honest” wife, a plebian man faced a hefty fine of 200 scudi
and three years of exile. A gentleman owed double the fine and the exile, and a
baron triple. Notably, this scale of penalties targeted the common circumstance
of high-status men making alliances with women of lower rank. On the other
hand, the chance that even a middling family would successfully haul a nobleman
into court was slim. Continuing, the statute declared that if the wife was poor
and “inhonesta, but not a public prostitute,” the penalties were halved.38
Reputation ( fama) in the neighborhood legally determined a woman’s
“honesty.”39 At the same time, where early modern criminal law recognized that
virgins might resist forcible def loration (stupro), wives were still held
complicit in adultery.40 Thus, every proven adulteress was, in principle, to be
sequestered for correction in a casa pia for errant wives (malmaritate), where
her husband or family paid her expenses. From the later sixteenth century,
adultery came before the Governor’s court by two routes. By legal tradition,
reiterated in the Statuta, sexual crimes involving respectable women received
public intervention only when brought by a kinsman with honor at stake.
Institutional justice, seeking to promote itself and to tame the violence of
self-help vendetta, encouraged this recourse with some success. Thus, husbands
initiated many of the Governor’s adultery trials, although typically with a
keen eye to retaining spousal property.41 On occasion, angry women prosecuted
their husbands for adultery.42 To note, the Governor’s criminal court in
general took seriously women’s complaints, even without male backing. Their
testimony as accused or witness, usually recorded under the same intimidating
circumstances as men’s, bore analogous weight. Especially for offenders from
the lower social ranks, adultery also came to the court’s attention by an
investigation ex offitio, on the state’s initiative. Usually, a secret report
by a mercenary spy or grouchy neighbor launched the case, followed by a police
raid.43 Such arrests were often handled by summary justice that imposed a fine
and issued an injunction against further misconduct.44 A few cases led to full
trials, and my stories here of “simple adultery” are among them.45 Although
these examples were not formally typical, they involved ordinary people getting
into relatively routine kinds of trouble. Bodies and honor were at stake, but
neither money nor property were central for either husbands or wives. All the
women had engaged actually or potentially in sex with men of their own choosing
outside the bonds of marriage. From the tales of these willing adulteresses who
ended up in court, we can learn about a range of possibilities for extramarital
adventures and about the narratives and discourses that explained them and
hoped to extenuate culpability. These women, though several years married, were
often young. In other Governor’s court trials around f lawed marriages the
wives typically complained of mistreatment to justify their straying. In none
of these four stories, however, did that rhetoric appear. The husbands, when
theysuspected or learned what was afoot, were angry, but the trials were not
about ending a marriage. The lovers, themselves unmarried, were among the many
unattached men in Rome, and met the adulteresses through family and local
connections. Also telling are the ways that neighbors and colleagues took part,
both in the trysts and in their discovery and discipline. In my first two
adultery stories, unhappy husbands tried, more and less cannily, to corral
their wandering wives. For both, events transpired close to home. In the first
case, the spouses spoke of Tridentine teachings to repair a troubled marriage.
The pastoral discipline had failed to work, however, and the next time the
irate husband resorted to self-help, seriously beating his incorrigible wife.
The domestic violence brought the problem to public notice. In the second
story, the husband confronted his wife with her misconduct reported by
neighbors. When she faced down his efforts at proper spousal correction and
still continued to roam, the husband turned for help to the ecclesiastical and
public authorities. They, in time, intervened, but notably declined to rush
into a private matter without good cause. The first tale provocatively mixed
elements of Boccaccio with Catholic reform teaching to the laity. A very short
trial from May 1593 recounted adultery trouble that exploded within the cramped
premises of a fruit and vegetable seller in central Rome.46 After the
beleaguered husband, Hieronimo, had resorted to self-help, the resulting
domestic violence led an unnamed informant to alert the police. In this
instance, probably because the wife, Caterina, lay injured, instead of
collecting testimony at the prison, the notary first hurried to the respectable
shopkeeper’s premises to interview both spouses. Husband and wife testified
immediately in the heat of events and again, later, in jail. The would-be
lover, the shop assistant Leonardo, nimbly decamped before the law arrived. As
was common for many city dwellers, Hieronimo Ursini from Milan kept shop on the
street f loor and lived upstairs with his wife, Caterina, but evidently had no
children. Two garzoni (shop assistants) slept in an adjacent room. The
fruitseller had good reason to suspect his young wife. By his account,
Caterina, whom he spied often f lirting in the window “with this one and that
one,” had repeatedly tried his patience. Worse, he once had caught her at her
mother’s house, “almost in the act” of having sex with a tavern keeper.
Nevertheless, Hieronimo averred piously, “I forgave her, and she promised to do
no more wrong, and we confessed together to the parish priest and took
communion, and I took her back and led her home, pardoning everything and
keeping her always as well as possible” (ff. 1125r–v). Portraying himself as a
pious and forgiving husband, Hieronimo sought to meliorate the court’s view of
his later, less irenic, behavior. The testimony, which likely was approximately
true, shows us a man of modest status deftly invoking good Catholic teaching.
Caterina in turn confessed, “Truly, I did wrong (torto) to do what I did to my
husband, because I once fell into error (errore) at my mother’s house, where I
had sex with Giovanni Angelo the tavern keeper, and even so, my husband forgave
me and took meback into the house” (ff. 1128r–v). Here she acknowledged not
only Hieronimo’s forbearance, but also her own inclinations to illicit
pleasure. Hieronimo’s jealousy thus primed, on a May morning he climbed early
out of the bed that he shared with his f lirtatious wife. According to his
testimony, he intended to go to a garden on the edge of the city to cut
artichokes for the shop. He tried to rouse his two garzoni who were sleeping in
another room. One got up, but Leonardo, also from Milan, claimed to be sick and
would not rise. Suspecting the lay-a-bed of setting a “trap,” Hieronimo sent
the other assistant out to collect the produce, but he himself slipped into the
shop and hid behind a barrel. After a while, Leonardo entered the shop,
“sighing,” according to the hidden Hieronimo, “an amorous sigh.” A few minutes
later, Caterina appeared, asking where her husband was. “Gone to cut
artichokes,” replied Leonardo. Immediately, said Hieronimo, Caterina began to
adjust the garzone’s ruff ( fare le lattughe), and quickly the two became
playful and kissed each other. The husband, seeing that “Leonardo wanted to
lift her skirts and do his thing ( fare il fatto suo),” burst out of hiding
shouting, “Oh traitor, oh traitor, you do this to me!” (ff. 1126r–v). Seeing
his master thus enraged, Leonardo, expediently, slipped out the shop door and
disappeared from the story. Caterina retreated hastily up the stairs, and
Hieronimo surged after, beating her with a broomhandle, a domestic weapon of
choice for women as well as men, with his fists, and with his belt. So incensed
was he that he pinned her down with his knees on her belly and then on her
shoulders, while hauling on her braids, so that he left her “as if dead,”
swollen, bloody, and with bruises “blacker that your Lordship’s hat” (ff.
1126v–1127r). Hieronimo volunteered all these details, and one suspects that he
may have shocked even himself with his ferocity. Caterina’s tale of the
putative adultery and its sorry aftermath provides another perspective. Not
surprisingly, she presented herself as aggrieved and “mistreated.”
Nevertheless, she reported a similar account leading to the f lirtatious
exchange with Leonardo. Her husband, having left early without a word, she rose
two hours later. Going into the next room, Caterina rousted Leonardo to get up
and open the shop, while she swept. When she went down for a basket to hold the
sweepings, she found Leonardo, wrestling with a pair of sleeves. He asked for
help in attaching them, and the two began laughing as they struggled with the
laces. Just then, Hieronimo sprang out and began to assault his wife.
Confirming Hieronimo’s confessed details and adding blows with the head of a
hatchet, Caterina claimed that he wanted to kill her. But, “please God,” he had
not (f. 1125v). Later, pressured by the court at a second interrogation, the
wife admitted to some greater provocation of her husband. In this version, as
she came into the shop, Leonardo asked that she help lace his sleeves and
moaned about not feeling well. She joked that he was not going to die, and they
began to play so that, as in Hieronimo’s account, the garzone had kissed her
“lustfully (lusuriosamente)” on the cheek and she responded in kind (f.
1128r–v). Though more theatrical than some tales, this domestic drama had
several points in common with other neighborhood adulteries. First, illicit
relationssprouted very close to home. These were the settings—through work and
domestic propinquity—in which wives were likely to meet other men. Perhaps
surprisingly to us, these were also the spaces in which adultery—its
initiations and often its consummations—took place. People understood the risks
and costs of getting caught; at the same time, privacy, such as we imagine it,
was simply not a reality for most people. While married, Caterina had practiced
serious f lirtations first in her mother’s house and then in her husband’s,
with one of their live-in employees. Even if no real sex had transpired with
Leonardo, Caterina saw the wrongful pattern of her conduct. She evidently
enjoyed the play and appreciation of her guilty encounters, but she gave little
sign of personal feelings for her lovers. In contrast, there does seem to have
been some commitment, however f lawed on both sides, between the spouses. While
we may doubt that Caterina changed her ways, she did express a sense of
responsibility and a belief that she should make peace with her husband. The
brevity of the trial suggests that the magistrate was content to dispatch the
matter quietly. Both spouses had to answer for their transgressions— Caterina’s
sexual misconduct and Hieronimo’s excessive correction.47 The second story of
adultery is the only one of the four where the husband himself brought his
private troubles to the authorities.48 For more than six months, Bartolomeo
from Genoa, alerted by friends, investigated suspicions and then sought to
correct his errant wife, Isabetta from Rome. He had tried several times in
previous months to enlist the help of the Vicario’s ecclesiastical tribunal,
but in vain. Recently, however, he had procured a warrant, probably from the
Governor’s court (ff. 832r–v, 834r). So, a police patrol met Bartolomeo outside
the building where the lovers had been seen and at his direction made arrests
that led to the trial.49 Events took place in a shared neighborhood and within
a community of workers, several of whom testified. In this slightly larger, but
still face-to-face social terrain, friends and neighbors, notably men this
time, had a crucial role in managing their comrade’s disarray. On Saturday,
October 22, 1604, right after the arrests, Bartolomeo, coachman to a Monsignor
Dandini, complained formally against his wife and Francesco Cappelli from
Florence (ff. 831r–v). Bartolomeo had married Isabetta six years earlier;
although native Roman women were few, they often married men from outside who
sought to establish themselves in the capital. It was a second marriage for
Isabetta, who had a grown stepson and a son who lived together in another
neighborhood (f. 840v). Bartolomeo lived with Isabetta and their young son near
San Pantaleone in the city center. The accused lover, a twelve-year resident of
Rome who served as coachman to another churchman, the Archbishop of Monreale,
worked from a stable nearby. Bartolomeo’s complaint charged Isabetta with
spending “unusually much ( piu dell’ordinario)” time with Francesco. According
to reports from several men, including a third coachman, while Bartolomeo lay
on his sick bed, Isabetta came and went late in the evening from the stables
where Francesco worked. Once healthy again, Bartolomeo berated his wife for her
visits and threatened her with arrest and public whipping (f. 831r). She,
however, denied all charges and challenged her husband to do his
worst(f. 831v). Nevertheless, Bartolomeo asked his friends to spy on her
movements (ff. 833v–834r). One morning Bartolomeo’s nephew brought word
that Isabetta had been spotted a few streets away going with Francesco into the
Palazzo de Picchi. Bartolomeo sent a messenger to alert the city police. When
they arrived, Bartolomeo told them to arrest Francesco, then descending the
stairs. The husband entered the building, collected Isabetta, and sent her,
too, off to jail (f. 831v). Note that the Governor’s police were willing to
act, but left it to the respectable husband to hand over his wife. After the
arrests, neighbors and colleagues testified to having seen Francesco and Isabetta
often together over many months and hearing talk in the piazza of their being
lovers. One man observed her three or four times in the last month taking
advantage of walking her son to school to stop to talk with Francesco in the
courtyard of the Massimi family palace (f. 837v). Another neighbor, Alfonso,
intervened directly. Because, he said, Isabetta was his commare, his spiritual
kinswoman, he had invited her a month earlier to his house. There, with his own
wife present, Alfonso told the wayward Isabetta of the rumors that she was in
love (inamorata) with Francesco and having sex with him. Alfonso urged to her
to smarten up (stesse in cervello) and amend her ways, because her husband knew
and had a warrant to send her to jail, and because it dishonored Alfonso
himself, who had helped marry her so respectably (ff. 834r–v). In their early
testimonies, the lovers took different tacks. The unattached Francesco
downplayed the whole business. He acknowledged, as did Isabetta, that they had
known each other in the neighborhood for three or four years. Yet Francesco
dismissed her presence in his room or any adulterous reasons for it, “I cannot
know the heart of that woman or why she came up” (f. 835v). Isabetta, pressed
hard through several interrogations, tried ineffectually to parry the court’s
questions. She garbed herself conventionally as a dutiful housewife who minded
her own business and seldom went out: “I have to keep working if I want to
live” (f. 841r). Accordingly, she implausibly denied knowing local geography;
then, insisting that she had never set foot in the stables, she fudged the
meanings of being “inside” a place (f. 839r). She invoked her own good name,
though in an elaborately conditional mode: “What do you imagine, your Lordship,
if I had gone out while my husband was sick, that would have been a fine honor
from me” (f. 839v). Blaming her neighbors for their spiteful testimony, she
invoked the chronic enmities of local life: “what fine witnesses are these?
this is how they repay the courtesies and good will that I have used with them”
(f. 843r). Later, however, she backtracked on some of these claims with a
pathetic tale of going out at night to fetch some greens to feed the ailing
Bartolomeo. Passing by the stable’s open door, she said, Francesco had called
out to her, “‘how is your husband?’ I, in tears, answered that the doctor
offered little hope, and then Francesco responded, ‘look, if you need anything,
be it money or anything else, just ask’” (ff. 843r–v). Spun this way, the
errant wife’s visit to the stable got folded into a stirring picture of her
desperate efforts to help her husband and of the fellow coachman’s sympathetic
offer of aid.Near the end of the trial, the accused lovers, confronted with
repeated testimony to their private meetings at the stable and in the palazzo,
were pushed to address the presumption that they met for sex. As a judge said
in another trial, “solus con sola, one does not presume they are saying the
paternoster.”50 When pressed, Francesco exclaimed, “Your Lordship, I will take
100,000 oaths that I had no carnal doings with Isabetta!” He continued, “I can
show your Lordship that only with great difficulty can I go with women, and
when I do, it is rarely and to my great injury (danno), because four ribs got cut
by a Turkish scimitar when I served as a soldier on the galleys of the Grand
Duke” of Tuscany (f. 849v). Here we have detail so baroque that we may have to
believe it. Francesco aimed to suggest, with timeless logic, that his
encounters with Isabetta were not, actually, sex. Whatever it was, however, he
feared culpability and had tried, with various moves, to def lect it.
Interestingly, Isabetta’s final remarks also denied a sexual relationship by
alluding to Francesco’s behavior. In her words, “if he were as proper (netto)
with other women as he is with me, he would never have had sex with any woman.”
Then, reaffirming her veracity, she concluded with a shift to a rhetoric of
intention and sin, “If I had done wrong (errore) and if Francesco had sex with me,
I would say so freely and ask for forgiveness, but because I did not do it, I
cannot say I did” (ff. 850v–851r). Much more was at stake for Isabetta than for
her lover. Knowing well that, in sneaking around while her husband was ill, she
had erred in the eyes of her peers, she did not counter Bartolomeo’s charges
with complaints of mistreatment. Yet she stood on her word that she could not
confess a lie. There the trial record ended with the usual legal instruction
that both accused parties be released into the jail’s public rooms (ad largam)
with three days to prepare a defense. Accumulated circumstantial evidence,
rather than catching lovers in the sexual act, was sufficient for neighbors
and, in turn, their publica vox et fama attesting to the offense had weight in
court. Nevertheless, perhaps fearing retaliation, people appear not to have
turned each other in too quickly. Once an adulterous coupling became common,
local knowledge, a friend or associate might assay an informal warning to wife,
husband, or lover. Consensus likely deemed these matters family business,
better handled privately and with minimal scandal. In this case, Bernardino not
only chose official help, but had to persist to get it. In two other stories
private adultery and its public prosecution unfolded in different
circumstances. Here the adulteresses took advantage of wider urban terrains
when pursuing their romantic yearnings. The husbands, although present in the
city, were not principal players in bringing the cases to court. Neighbors, on
the other hand, took active part, facilitating the alliances or tolerating them
for some time, until a moment arrived when someone alerted the authorities.
These times, when the police raided an illicit rendezvous, they acted ex
offitio, on the newer legal premise that the court could intervene directly,
without a kinsman’s request, to ensure order among the city’s lower-status
residents. In a third episode of simple adultery, prosecuted in January 1605,
the husband, Giovanni Domenico, was in fact the last to know. The short trial
consists of apolice report and testimonies from several neighborhood
witnesses.51 Neither wife nor lover spoke on record, but procedural annotations
at the document’s end register their choice not to challenge any of the witnesses.
Most likely, the adulterers accepted a summary decision that ordered them to
pay fines and agree formally not to consort any more. Giovanni Domenico di
Mattei from Lombardy and his wife, Madalena, lived on the Tiber Island with
their two young children and an orphan boy whom they kept “for the love of God”
(f. 145v). Husband and wife shared a business selling doughnuts from their home
(f. 143r). Giovanni Domenico also commuted daily across the city to Piazza
Capranica to work as an assistant to a doughnut-maker (ciambellaro) (f. 145r).
The job required his being away overnight, but every morning he returned to his
family quarters, evidently bringing pastries to sell. One Wednesday morning,
Giovanni Domenico came home to find that Madalena had been arrested, along with
Pietro Gallo from Parma, a twenty-five-year-old barber’s garzone who lived two
doors down the street (ff. 144r, 145v). According to the official report, a
neighbor’s denunciation had informed the authorities that “every night after four
hours (10 p.m.) Pietro habitually goes to sleep with Madalena” (f. 143r).
Receiving word again last night that the barber was there, the police raided
the house late on a chilly January evening. With professional savvy, the
lieutenant posted men to watch the exits before knocking on Madalena’s door,
which she opened after a few minutes’ delay. While a search inside found no
man, a loud noise overhead alerted the police to visit the roof, but in vain.
They did soon discover the barber in his nightshirt in his own bed, where he
protested that he had been checking the premises above on behalf of his absent
landlord. Unconvinced, the police led the two lovers off to jail (ff.
143v–145r). When Giovanni Domenico came home to the unpleasant surprise of his
wife’s arrest, he learned that Pietro the barber, carrying a sword (a further
offense), had been in the house at night with Madalena. The cuckolded husband
went immediately to make a formal complaint and to demand, according to the
protocol, the severest punishments for Pietro, Madalena, and anyone with a part
in “leading him to her” (ff. 145r–v). The young orphan, Giovanni Santi,
nicknamed Scimiotto (Little Monkey), also testified then under his master’s
auspices. The boy explained that, during the four months that he had lived in
the household, Madalena had many times sent him to invite the barber to eat,
and that, when Giovanni Domenico was away, Pietro stayed to sleep. He shared
the bed with Madalena and the two children, while the young witness slept on
the f loor in the same room. The lover usually entered through the door, but
sometimes through a window belonging to a laundress (ff. 146r–v). During her
husband’s nightly absences and in plain view of the neighbors, Madalena had
carried on adulterously with, like the other women, a young, unmarried man who
lived nearby. The affair (amicizia) had been going on for as much as two years,
according to gossip in the local wineshop (f. 148v). A hatmaker who lived in
the house between the two lovers had for six months heardlocal “murmuring” that
Pietro was having sex (negotiava) with Madalena. In passing back and forth, the
neighbor had many times seen the barber in her house, their “talking and
laughing together publicly . . . sometimes in the morning, sometimes
after eating, sometimes toward evening” (f. 147r). Often, said the hatmaker,
other men also hung out convivially at the shop, eating doughnuts, or, in
season, roasted chestnuts (f. 148v). Giovanni Domenico must have been around
sometimes when such sociability, presumably good for business, took place. Yet,
about a month before the arrests, the hatmaker saw fit one day in his shop to
warn the young barber: “the people of Trastevere say you’re having sex with the
doughnut-maker’s wife; if you don’t straighten up, you’ll go to jail.” When
Pietro denied it, the hatmaker replied that it was not his business, but that
the barber had better mind his (f. 147r). Cesare the tavern keeper had also
challenged Pietro. Several weeks ago, Cesare had gone to Madalena’s to borrow
matches and found her eating with the barber and another man. Seeing the tavern
keeper, Pietro had slipped away to hide. Later that day, Madalena’s small son
came to Cesare’s house to get a light. Jokingly, he asked the boy: “who was
sleeping with your mother last night?” (f. 148r). Later still, Pietro stormed
into the tavern and began to threaten the host, saying that he should take care
of his own house and not speak of others, or that he would get his head stove
in. Cesare, figuring out how his words had passed from the child to his mother
and to Pietro, protested that he had only spoken in jest (f. 148r). Although
propinquity and opportunity during Giovanni Domenico’s regular absences clearly
favored the liaison, we must guess at what drew these two lovers together. The
unmarried barber could readily have found sex and even a quasi-domestic
companionship elsewhere among the city’s prostitutes. The illicit pair seemed
to enjoy each other’s company, alone together and also in groups. In Rome where
many men were on their own, taking meals in others’ houses, sometimes in return
for a contribution in food or money, was not unusual. Pietro’s sleeping over,
especially when he lived so close by, was less acceptable. Interestingly,
though, no one called Madalena a whore or said that she was in it for money.
This suggests that there was something companionable about the connection, and
that may have colored local reactions, at least initially. Some shift of
neighborhood opinion in recent weeks, however, had led the hatmaker to confront
Pietro and the tavern keeper to make his tactless joke to Madalena’s son. How,
then, did the cuckolded husband not suspect? Seemingly, none of the neighbors
said anything to him. At least, when he came home to discover the arrests, he
hastily adopted a posture of righteous ignorance and mustered shreds of
domestic mastery by adding his complaint to the magistrate’s file.
Nevertheless, given local practices, the marriage probably muddled on. The
fourth case shows a different pattern of adulterous assignation.52 The lovers
had been acquainted through family connections for several years. The older
married woman, infatuated with a younger man, a cloth dealer, organized their
sexual trysts. Completely absent from the trial, the cuckolded husband figured
only as an angry specter in his wife’s mind. Here again, a neighbor’s
denunciationlaunched the official investigation. Testimonies from the two
lovers and from several women neighbors arrested with them confirmed and
extended the police report. On Saturday, March 23, 1602, in mid-afternoon, a
police patrol raided a modest upstairs room in the Vicolo Lancelotti near the
Tiber river. According to their lieutenant, an unnamed local informant reported
that a married woman had been meeting a lover there on Saturdays for some
months (ff. 1219r–v). The lodging belonged to Filippa from Romagna, a weaver
and the wife of Hieronimo Morini, though evidently alone in Rome (f. 1220r).
Two other women on their own, including Filippa’s commare Marcella, also shared
the staircase. On Saturday, hearing men barge into the building, the weaver was
able to warn the lovers, so that the police arrived to find the pair, both
fully clothed, the man sitting on the bed and the woman standing beside him.
But when the man rose, lifting his cloak from the bed, the lieutenant spotted a
“shape” ( forma) betraying the couple’s activity (f. 1219r). The woman, Livia,
was known to all present as the wife of Pietropaolo Panicarolo, a carpenter
from Milan (f. 1224v). Confronted by the police, she threw herself tearfully on
her knees and begged not to be taken to prison, because “this is the time” that
her husband would kill her. The man, Marino Marcutio from Gubbio, took an
officer aside, saying “I am a merchant” and offering money or whatever he
wanted in order to let them go, the woman in particular (ff. 1219r–v). But the
righteous policeman refused the bribe, bound the pair, and sent them to jail.
The adultery’s backstory emerged from the interrogations. Livia testified that
she had been married for twenty-six years, although she likely included a brief
first marriage contracted when she was very young (ff. 1225r–v). That husband
had died before she was old enough to go live with him, and probably she had
been wed soon again to Pietropaolo. In any case, in 1602 Livia must have been
at least thirty-five and maybe older. She lived with her husband, but, like
Caterina and Hieronimo in the first story, they had no children. Besides
Livia’s fear of Pietropaolo’s violence should he discover the adultery, we know
nothing of their relationship. As in the third case, the geography in this one
spread out across the center of the city. Livia lived currently not far from
the Trevi Fountain and was accustomed to moving good distances around the city
on her own (f. 1221v). Marino, a younger man, kept shop across town on a corner
where the street of the Chiavari met the Piazza Giudea (f. 1220v). Livia had
come to know Marino eight years before in her own home, where she nursed his
seriously ill cousin, who later died (ff. 1227r, 1229r). Marino had also shared
recreation and games with her husband, Pietropaolo, and the merchant’s parents
had more recently lodged in the carpenter’s quarters during the Holy Year of
1600 (f. 1229r). Through these domestic encounters, Livia had fallen in love
with Marino and had long strategized to meet him discreetly for sex. Livia had
known Filippa for two years, during which time the weaver, who worked on a loom
in her room, had made three cloths for the more aff luent carpenter’s wife (f.
1221r). Filippa had visitedLivia’s house to collect yarn for the loom and to
deliver finished cloth, and Livia had called in the Vicolo Lancelotti, although
it was a good way from her home. So, bumping into Filippa at various spots around
town, Livia importuned her repeatedly for the use of her room to meet Marino
(f. 1221v). Though reluctant, Filippa eventually gave in to the woman who gave
her work. At risk of being charged as a go-between, the weaver said she had
refused any compensation, but Livia said that she had given Filippa five giulii
for the two recent assignations (f. 1227v). In Livia’s own words, she had
loved and been in love (inamorata) with Marino for years, and her infatuation
had propelled her to arrange a series of private encounters “not having
opportunity to enjoy him ( goderlo) in my house out of respect for my husband”
(f. 1225r). Livia and Marino both acknowledged having met privately a number of
times at Filippa’s room, and twice in the last week that was the focus of the
investigation. On the Monday before the arrests, the pair had had a rendezvous
at Filippa’s house. Duly chaperoned by a nephew, who left immediately, Livia
arrived first after the midday meal and joined the weaver in her room. Marino
appeared about a half hour later, bringing some collars for starching as a
standard cover story for his presence. After chatting brief ly, Filippa
withdrew and left the pair alone. Sometimes, the door was open during the
couple’s visits, but on this, as on another, occasion they had been locked
inside for about an hour (f. 1221r). When later the policeman asked Filippa
what the couple had been doing, she replied, “you know very well that when a
man and a woman are together, it is not licit to see what they are doing” (f. 1219v).
Although all the women witnesses echoed the sentiment that Livia was in love,
it was not clear whether, when the couple next met on Saturday, they had sex.
Livia was angry with Marino, because she thought that he was chasing another
woman, and they had had words. She also insisted with dubious piety, “on
Saturday I don’t commit sin, not even with my husband (il sabbato non fo il
peccato, ne anco con mio marito)” (ff.1221r, 1225r). Although during the
arrests Marino had tried to protect Livia, under interrogation his story aimed
first to exonerate himself. He acknowledged that he had met Livia once before
Christmas, twice before Carnival, and another two times during Lent, but, he
insisted, only to talk. Making the implausible claim that he only sought the
carpenter’s wife’s help in order to secure a “simple benefice” for his brother
who was a student, he denied sex altogether (f. 1229v). Describing their
emotional bond, he notably cast the feelings in terms of Livia’s warmth toward
him, “she is a friend to me and loving because she has helped me (mi e amica et
amorevole perche mi ha fatto de servitii ),” referring to her nursing his
mother and cousin (ff. 1231v–1232r).53 To dislodge the lovers’ conf licting
testimony and to convict Marino, the court proceeded to torture the adulteress
in front of the merchant (f. 1234r–v). Using the lighter instruments of the
sibille that compressed the hands, this formal act of judicial stagecraft
intended, as in Artemisia Gentileschi’s case, to authorize the claims of the
sexually compromised woman.54 The tactic failed, nonetheless, to elicit a
change in Marino’s testimony that denied any sex, or touch, or kisses,or even
hearing that Livia was in love with him (f. 1236v). The judge probably did not
believe Marino, but legally his respectability and his adamancy held good
weight. Livia’s unknown fate, on the other hand, would have lain in part with
her invisible husband. If less dramatic than high culture’s renderings of
adultery, adorned by the heft of law, familiar biblical tropes, and colorful
narrative in paint and words, these everyday stories of wives seeking illicit
moments of love and fun have their own art and pathos. For example, there is
the coachman Francesco’s alleged sexual impairment due to a Turkish scimitar
injury. Or the hardworking doughnut guy cuckolded by the young barber. Or
Filippa the poor weaver, who got into trouble because her friend and employer
Livia wore down her resistance to playing hostess to a sexual rendezvous.
Paradoxically perhaps, the criminal court’s address to transgression here tells
us more about what really happened, and what happened to most people some of
the time than the great dramas of high art. Despite reformers’ efforts to
discipline marriage and sex, a customary culture that tolerated various forms
of heterosexual error persisted in Rome long after Trent. In these four cases,
only one husband sought the court’s help. In the others, neighborhood
informants alerted the authorities to a public disorder, but only after an adulterous
liaison had been known in their midst for some time. While the Governor’s court
prosecuted lovers as well as errant wives, the women usually had more to lose,
but also perhaps to gain. Even if unwise, some married women broke the rules
and went looking for love. What they found was usually close to home so that
their adventures took place under the eyes of a local community. These
neighbors knew often well before the law got involved and responded in diverse
ways. Adultery posed a social problem that demanded a solution, sooner or
later. Although the law had its own ambitions, in these sorts of everyday
misdeeds justice did not intervene with a devastating external discipline.Notes
1 Cristellon, “Public Display,” 182–85, summarizes Italian legal and customary
views of adultery. 2 Clarus, Opera omnia, 51b. 3 Besides essays in
Matthews-Grieco, ed., Erotic Cultures, see Bayer, ed., Art and Love, including
essays by Musacchio (29–41) and Grantham Turner (178–84). 4 Ajmer-Wollheim,
“‘The Spirit is Ready’” 5 McClure, Parlour Games, 36–38. 6 Esposito, “Donna e
fama,” 97–98, states this standard view. 7 Cussen, “Matters of Honour,” 61–67.
8 Lev, The Tigress of Forlì, 3–20. 9 Musacchio, “Adultery, Cuckoldry,” 11–34;
on Piero’s death 17–18. 10 On wife-killing by nobleman Carlo Gesualdo in
Naples, 1590, see Ober, “Murders, Madrigals”; on Vittoria Savelli in the Roman
hinterland, 1563, see Cohen, Love and Death, 15–42. Killings of noble wives not
caught in flagrante delictu often had motives linked to claims on property or
power rather jealous rage. 11 Esposito, “Donne e fama,” 98 + n. 61.12 13 14 15
16 17 18 19 20 21 22 23 2425 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42
43 44 4546 47 48 49Elizabeth S. CohenGal, Boudet, and Moulinier-Brogi, eds.,
Vedrai mirabilia, 241. Kaborycha, ed., A Corresponding Renaissance, 172 + n.
19. Gal, Boudet, and Moulinier-Brogi, Vedrai mirabilia, 251. Examples include:
Titian (1510); Rocco Marconi (1525); Palma il Vecchio (1525–28); Lorenzo Lotto
(1528); Tintoretto (1545–48); Alessandro Allori (1577). Alberti, “‘Divine
Cuckolds.’” Rice, “The Cuckoldries.” Boccaccio, Decameron. For example, Day 3,
Story 3; Day 7, Story 2. For example, Day 3, Story 2; Day 4, Story 2. Ibid.,
241–46. My translation of the quote. Ibid., 500–01. Cristellon, Marriage, the
Church, 14–19, 159–90. For French parallels, see Mazo Karras, Unmarriages,
165–208. Ferraro, Marriage Wars also includes cases in secular courts, where
issues of property, often pursued by husbands, have greater visibility; yet
women brought many more suits than men, 29–30. In the complaints, adultery was
generally subordinate to other concerns, 71. Cristellon, “Public Display,”
175–76, 180–85, Scaduto, ed. Registi dei bandi, vol. 1 (anni 1234–1605),
passim. Storey, Carnal Commerce, 108-14, 242–43. Blastenbrei, Kriminalität im
Rom, 274–75. Cohen and Cohen, “Justice and Crime.” Sonnino, “Population,”
50–70. Da Molin, Famiglia, 93–95. Sonnino, “Population,” 62–64. See also,
Nussdorfer, “Masculine Hierarchies.” Da Molin, Famiglia, 243. The unexplained
disappearance of Vicariato tribunal records precludes Roman comparisons with
Venice. Marchisello, “‘Alieni,’” 133–83. See also in the same volume, Esposito,
“Adulterio.” Blastenbrei, Kriminalität im Rom, 273, n. 160. Statuta almae urbis
Romae, 108–09, for what follows. Forcibly abducting prostitutes was a crime.
Ibid., 109. Esposito, “Donna e fama,” 89–90. Marchisello, “Alieni,” 137,
166–68; Esposito, “Adulterio,” 26–27. Alternatively, the legal narrative for
the charge of sviamento, leading astray, shifted more blame onto the lover. For
example, Archivio di Stato di Roma, Governatore, Tribunale criminale (hereafter
ASR GTC), Processi, xvi secolo, busta 256 (1592), ff. 540r–62; see also,
Blastenbrei, Kriminalität im Rom, 272, 275. For example, ASR GTC, Processi,
xvii secolo, busta 25, ff. 17r–26v; (1603); busta 91, ff. 1153r–1159r (1610).
In parallel, the Statuta almae urbis Romae, 110, declared that men keeping
concubines were liable for fines of 50 scudi. Counts based on small numbers of
surviving records do not reflect behaviour or even patterns of prosecution.
Nevertheless, it may be useful to note that this type of “simple adulteries”
represent about a quarter of the adultery prosecutions between 1590 and 1610.
ASR GTC, Processi, xvi secolo, busta 270, ff. 1124r–1128v. References to
specific folios appear in parentheses in text. The trial record ended with the
usual note that those charged had three days to prepare their formal defense. I
have found no record of a judgment, but it is likely that the couple were
fined. ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 37, ff. 830r–851r. The charge
preteso adulterio (appearance of adultery) carried a lesser burden of
proof.Adulteresses in Catholic Reformation Rome50 51 52 53ASR GTC, Processi,
xvii secolo, busta 36, f. 63v. ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 44, ff.
142r–149r. ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 17, ff. 1218r–1238r. The range
of colloquial meanings for “amica” and “amorevole” was broad. Here Marino used
these words to indicate friendship and affiliation, rather than romantic or
sexual alliance. 54 Cohen, “Trials of Artemisia Gentileschi,” 58–59 + n.
47.Bibliography Archival sources Archivio di Stato di Roma, Governatore,
Tribunale Criminale Processi, xvi secolo, busta 256 (1592) Processi, xvi secolo,
busta 270 (1593) Processi, xvii secolo, busta 17 (1602) Processi, xvii secolo,
busta 25 (1603) Processi, xvii secolo, busta 36 (1604) Processi, xvii secolo,
busta 37 (1604) Processi, xvii secolo, busta 44 (1605) Processi, xvii secolo,
busta 91 (1610)Published sources Ajmer-Wollheim, Marta. “‘The Spirit is Ready,
But the Flesh is Tired’: Erotic Objects and Marriage in Early Modern Italy.” In
Erotic Cultures of Renaissance Italy. Edited by Sara Matthews-Grieco, 145–51.
Farnham: Ashgate, 2010. Alberti, Francesca “‘Divine Cuckolds’: Joseph and
Vulcan in Renaissance Art and Literature.” In Cuckoldry, Impotence and
Adultery. Edited by Sara Matthews-Grieco, 149–82. Farnham: Ashgate, 2014.
Bayer, Andrea, ed. Art and Love in Renaissance Italy. New Haven, CT: Yale
University Press, 2008. Blastenbrei, Peter. Kriminalität im Rom, 1560–1585.
Tübingen: Max Niemeyer Verlag, 1995. Boccaccio, Giovanni. Decameron. Translated
by G.H. McWilliam. Harmondsworth: Penguin, 1972. Clarus, Julius. Opera omnia
sive pratica civilis atque criminalis. Vol. 5. Venice: 1614. Cohen, Elizabeth
S. “Trials of Artemisia Gentileschi: A Rape as History.” Sixteenth Century
Journal 31, no. 1 (2000): 47–75. ——— and Thomas V. Cohen. “Justice and Crime.”
In Companion to Early Modern Rome. Edited by Pamela Jones, Simon Ditchfield,
and Barbara Wisch. Leiden: Brill, 2018 Cohen, Thomas V. Love and Death in
Renaissance Italy. Chicago: University of Chicago Press, 2004. Cristellon,
Cecilia. Marriage, the Church, and Its Judges in Renaissance Venice, 1420–1545.
Cham: Palgrave Macmillan, 2017. Originally published as La carità e l’eros.
Bologna: Il Mulino, 2010. ———. “Public Display of Affection: The Making of
Marriage in the Venetian Courts before the Council of Trent (1420–1545).” In
Erotic Cultures of Renaissance Italy. Edited by Sara Matthews-Grieco, 173–97.
Farnham: Ashgate, 2010. Cussen, Bryan. “Matters of Honour: Pope Paul III and
Church Reform (1534–49).” Ph.D. diss., Monash University, 2017.Da Molin,
Giovanna. Famiglia e matrimonio nell’Italia del Seicento. Bari: Cacucci
Editore, 2000. Esposito, Anna. “Adulterio, concubinato, bigamia: testimonianze
dalla normativa statutaria dello Stato ponteficio (secoli XIII–XVI).” In
Trasgressioni: seduzione, concubinato, adulterio, bigamia (XIV–XVIII). Edited by
Silvana Seidel Menchi and Diego Quaglioni, 21–42. Bologna: Il Mulino, 2004.
———. “Donna e fama tra normativa statuaria e realtà sociale.” In Fama e Publica
Vox nel Medioevo. Edited by Isa Lori Sanfilippo and Antonio Rigon. Rome:
Istituto storico italiano per il Medio Evo, 2011. Ferraro, Joanne M. Marriage
Wars in Late Renaissance Venice. New York: Oxford University Press, 2001. Gal,
Florence, Jean-Patrice Boudet, and Laurence Moulinier-Brogi, eds. Vedrai
mirabilia: Un libro di magia del Quattrocento. Rome: Viella, 2017. Grantham
Turner, James. “Profane Love: The Challenge of Sexuality.” In Art and Love in
Renaissance Italy. Edited by Andrea Bayer, 178–84. New Haven, CT: Yale
University Press, 2008. Kaborycha, Lisa, ed. A Corresponding Renaissance:
Letters Written by Italian Women, 1375– 1650. New York: Oxford University
Press, 2016. Lev, Elizabeth. The Tigress of Forlì: Renaissance Italy’s Most
Courageous and Notorious Countess, Caterina Riario Sforza de’ Medici. Boston:
Houghton Miff lin, 2011. Marchisello, Andrea. “‘Alieni thori violatio’:
L’Adulterio come delitto carnale in Prospero Farinacci (1544–1618).” In
Trasgressioni: seduzione, concubinato, adulterio, bigamia (XIV-XVIII). Edited
by Silvana Seidel Menchi and Diego Quaglioni, 133–83. Bologna: Il Mulino, 2004.
Matthews-Grieco, Sara, ed. Erotic Cultures of Renaissance Italy. Farnham:
Ashgate, 2010. Mazo Karras, Ruth. Unmarriages: Women, Men and Sexual Unions in
the Middle Ages. Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 2012. McClure,
George. Parlour Games and the Public Life of Women in Renaissance Italy.
Toronto: University of Toronto Press, 2013. Musacchio, Jacqueline Marie.
“Adultery, Cuckoldry, and House-Scorning in Florence: The Case of Bianca
Cappello.” In Cuckoldry, Impotence and Adultery in Europe (15th– 17th Century).
Edited by Sara Matthews-Grieco, 11–34. Farnham: Ashgate, 2014. ———. “Wives,
Lovers, and Art in Italian Renaissance Courts.” In Art and Love in Renaissance
Italy. Edited by Andrea Bayer, 29-41. New Haven, CT: Yale University Press,
2008. Nussdorfer, Laurie. “Masculine Hierarchies in Roman Ecclesiastical
Households.” European Review of History 22, no. 4 (2015): 620–42. Ober,
William. “Murders, Madrigals, and Masochism.” Bulletin of the New York Academy
of Medicine 49, no. 7 (1973): 634–45. Rice, Louise. “The Cuckoldries of Baccio
del Bianco.” In Cuckoldry, Impotence and Adultery in Europe (15th–17th
Century). Edited by Sara Matthews-Grieco, 215–48. Farnham: Ashgate, 2014.
Scaduto, Francesco, ed. Registi dei bandi, editti, notificazioni e
provvedimenti diversi relativo alla città di Roma ed allo Stato Pontificio,
vol. 1 (anni 1234–1605). Rome: 1920. Sonnino, Eugenio. “The Population in
Baroque Rome.” In Rome/Amsterdam: Two Growing Cities in Seventeenth-Century
Europe. Edited by Peter van Kessel and Elisja Schulte, 50–70. Amsterdam:
Amsterdam University Press, 1997. Statuta almae urbis Romae. Rome: 1580.
Storey, Tessa. Carnal Commerce in Counter-Reformation Rome. Cambridge:
Cambridge University Press, 2008.PART IISense and sensuality in sex and gender6
“BODILY THINGS” AND BRIDES OF CHRIST The case of the early seventeenth-century
“lesbian nun” Benedetta Carlini Patricia SimonsOn November 5, 1623, two
Capuchin friars sent by a papal nuncio finished their investigation regarding
whether abbess Benedetta Carlini was a valid mystic. An earlier, local study
drawn up for Pescia’s provost in 1619 had been amenable to her claims. In July
1620, she became the first abbess of the newly enclosed convent, a prestigious
appointment that suggests belief in her story. Yet Benedetta’s authority within
the nunnery was not universally accepted and she lost the support of the civic
establishment, leading to the new investigation by more distanced authorities.
They decided that she had been deceived by the devil because, according to
evidence from disaffected nuns, signs such as her stigmata were faked. New
evidence also included the testimony of the abbess’ assistant, Bartolomea
Crivelli (often called Mea), who unexpectedly told the men, in explicit detail,
about sexual relations between the two women. Most scholars were similarly
surprised when Judith Brown published the supposedly “unique” case in 1986, in
Immodest Acts: The Life of a Lesbian Nun.1 Responses were varied, the
lengthiest being Rudolph Bell’s evaluation in 1987, which argued that the
nuncio was already determined to silence Benedetta and that her subsequent
lengthy imprisonment in the convent was imposed by the nuns rather than
external authorities, a claim refuted by Brown.2 The details of the internal,
civic, and ecclesiastical power plays cannot be definitively known, but the
sexual dynamics are clear. Over thirty years later, it is time to reconsider
this case, neither adhering to a modernist notion of strict sexual identity nor
relegating Benedetta and Mea to the margins. In keeping with Konrad
Eisenbichler’s ability to draw out erotic implications from literary and
archival evidence, this essay respects the reality of the women’s intimacy and
examines textual and visual materials in order to situate them in their
spiritual and sensual context. This case offers specific details and
terminology for what might be called corporeal spirituality, the unequivocal
coexistence of amorous language, sexual deeds, pious rhetoric, and religious
faith.3Since Benedetta’s visions entailed visitations from Christ, whom she
married in a public ceremony, and messages from angels such as Splenditello, in
whose voice she often spoke, Brown claimed the two nuns were engaged in a
heterosexualized affair: The only sexual relations she seemed to recognize were
those between men and women. Her male identity consequently allowed her to have
sexual and emotional relations that she could not conceive between
women. . . . In this double role of male and of angel, Benedetta absolved
herself from sin and accepted her society’s sexual definitions of gender.4
Brown’s judgment associates male sex with masculine gender, and in turn a
presumed dichotomy between the two women is seamlessly laminated onto their sex
acts. However, this does not accord with either the women’s physical actions,
or with possibilities engendered by the sensual spirituality of premodern
Catholicism. The souls and f lesh of nuns were not as neatly divided as a
later, secular view imagines. Despite the Foucauldian point that discourses of
repression can generate the very thing they seek to silence, the presumption of
religious “purity” and feminized innocence has hardly disappeared. Benedetta’s
case remains nearly ignored in studies of European religion or is cited brief
ly with no new interpretation.5 It is seen as an aberration on two counts: she
was a nun with a sex life—considered an oxymoron—and her sexual activity was
with another woman—thought to be impossible in her time and setting. Documented
cases of nuns having sex with clergy or secular men, as well as anti-clerical,
fictional stories about such conjunctions, are taken as ordinary, natural,
feminine acts by women who were supposedly frustrated in an entirely earthly
way.6 But Benedetta, it seems, must be a “unique” case, even “bizarre,” who
assumed a male guise and cannot be assimilated into religious history.7 My
point here is to remove her from the interdependent frameworks of deviance and
heterosexuality, and to reintegrate her into a religious context. Benedetta
literally acted out what was usually a world of visual and imaginary culture.
Here I try to reconstruct a premodern nun’s agency and the imagination of
religious women, who were not necessarily repressed victims with no recoverable
history of any import. Nunneries were loci of social and economic power,
particular inhabitants inf luenced secular women and male authority figures
ranging from fathers to confessors, and some women like Benedetta negotiated
rich emotive lives for themselves. We tend to think of nuns as women restricted
by institutional confines and discourses that denied them their bodies, but
Benedetta’s story urges us to examine the materiality of passion, of art, and
of past lives. Only the report of the Capuchins told of Benedetta’s sexual
transgressions— f lirting with two male priests as well as “immodest acts” with
a woman—and only at the end of its account.8 The inquiry concluded that her
visions andecstasies were “demonic illusions.”9 Along with her disturbingly
erotic behavior, the inquirers were concerned by their discovery that apparent
signs of her special favor, the stigmata, nuptial ring, and a bleeding
crucifix, were all forged. The friars integrated Carlini’s sexual behavior with
her spiritual behavior—all were sinful and diabolically inspired. In an
important sense, we need to take this contemporary contextualization seriously,
understanding that Benedetta’s visions were not utterly divided from her
corporeal acts. The aspiring mystic, then in her early thirties, had been
having regular sex with Mea for at least two years. Neither investigation was
sparked byrumors of sexual sin, nor is it clear how central that particular
misconduct was to her lifelong imprisonment within the convent.10 Benedetta’s
story most resembles cases of what Anne Jacobson Schutte has called “failed
saints,” or what Inquisitors termed “pretended holiness” (affetata santità).11
Sixteenth- and seventeenth-century penance for a nun’s sexual sin ranged from
expulsion or permanent incarceration in the convent to just two years of
penance there.12 No witnesses or other evidence confirmed Mea’s testimony and
if she had not made a voluntary confession, no one could have uncovered the
information. The demoted abbess Carlini herself renounced her past and never
acknowledged Mea’s claims. The unusually visible sexual aspects may not be
unique. Recalling her secular life of the 1670s, and her enjoyment of men
courting her, St. Veronica Giuliani later emphatically interrupted one of her
autobiographies. A sentence written in capital letters alluded to imprecise
errors, implicitly sexual: “I bore great tribulation for the sins I committed
with those spinsters and I did not know how to confess them.”13 Cloistered
women may have enjoyed undocumented but thoroughly physical relationships in
secluded spaces. From at least the twelfth to the seventeenth century,
incidents of same-sex eroticism within female convents are recorded. Around
1660, nuns at Auxonne accused their mother superior of bewitching them, of wearing
a dildo, of kissing, and penetrating them with fingers.14 Sixteenth- and
seventeenth-century women in Italian religious refuges for convertite
(ex-prostitutes) and malmaritate (abused wives) became friends and in some
cases nearly half the inhabitants formed couples sharing rooms, where
“officials discovered women who were sexually involved with other women.”15
Close living and supportive conditions also obtained in non- or semi-cloistered
communities of pious laywomen. Bell’s critique of Brown usefully corrected
various errors, while nevertheless making new mistakes. His chief point was
that the male investigators “had no lack of imagination or conceptual framework
for describing love between two women” and that it was the nuns rather than the
Church officials who condemned Benedetta to life-long imprisonment.16
Certainly, she seems to have been a demanding, imperious abbess who could not
cope with the dissension her rule engendered, perhaps in part due to newly
instigated clausura. Brown’s label of “lesbian,” despite her careful
acknowledgment that it was anachronistic, provoked much criticism. One reviewer
of the book, using yet more historically inappropriate terms, insisted that
“Carlini is heterosexual or, more properly,bisexual in both her inclinations
and conduct.”17 Disagreements over labels and details should not distract from
the fundamental fact that physical, sexual contact took place between two nuns.
Too often, a series of dichotomies misinform discussions of sexual practices. A
binary between the mind and the body, the soul and its vessel, is often mapped
onto other seemingly concomitant divides, not only between masculine and
feminine but also the celestial and the mundane. The presumption is that
religious ideologies constantly repress bodily desires and only secular,
putatively modern, frameworks are capable of acknowledging material passion. In
a similar vein, a contrast is regularly drawn between “real sex” (whatever that
is) and “Romantic Friendships” amongst women. Both the abbess’s visions and her
sexual deeds were informed by conventions shaping the lives of all nuns as
brides of Christ at a time when dualism was not naturalized. Discussing the
exegetical tradition regarding the biblical Song of Songs as an allegory about
the soul’s union with the divine, E. Ann Matter noted that the text was “the
epithalamium of a spiritual union which ultimately takes place between God and
the resurrected Christian—both body and soul.”18 Benedetta’s mysticism links
her to a tradition of female spirituality “that made the body itself a vehicle
of transcendence. . . . Corporeal images were the stuff with which
nuns described their experiences.”19 Heterosexualization of the story is too
simplistic, too ignorant of complex issues related to gender dynamics as well
as intersex and transgender bodies. What Brown calls Benedetta’s “double role
of male and of angel” and “her male identity” was not a consistent performance
of masculinity. Speaking on occasion as an angel named Splenditello or as
Christ, the nun was a medium for the divine rather than for her “self ” in a
modern sense of individual identity, and none of her contemporaries, including
Mea, considered her male. During sex, neither seventeenth-century woman
believed the other was transformed into a man, and their sex did not
necessitate resort to “instruments” or dildos, devices that so obsessed
confessors. For two or more years, “at least three times a week,” when the
women shared a cell as mistress and servant, they had sex, in the day as well
as at night or in the early morning.20 Although Mea sought to protect herself
by claiming she was always forced, and a degree of intimidation or overbearing
insistence may well have been involved, she implicitly admitted pleasure.
“Embracing her,” the abbess “would put her under herself and kissing her as if
she were a man, she would speak words of love to her. And she would stir on top
of her so much that both of them corrupted themselves.” The women did much more
than engage in what Brown and Bell describe, using the dismissive misnomer, as
“mutual masturbation.”21 They touched each other until orgasm, in vigorous and
multiple ways, including actions that were not possible for a single person,
and had no need of a phallus. Rubbing or “stirring” their genitals together to
the point of “corruption,” they also manually penetrated each other and
actively used their mouths. Presenting herself as more passive, Mea recounted
how even during the day the abbess grabbed her handand putting it under
herself, she would have her put her finger into her genitals, and holding it
there she stirred herself so much that she corrupted herself. And she would
kiss her and also by force would put her own hand under her companion and her
finger into her genitals and corrupted her.22 A slightly later expansion of the
account accentuated Benedetta’s inventive pursuit of pleasure, saying that “to
feel greater sensuality [she] stripped naked as a newborn babe,” and “as many
as twenty times by force she had wanted to kiss [Mea’s] genitals.”23 The
document, although stressing the younger woman’s reluctance, also showed a
comprehension of how satisfying the actions could be: “Benedetta, in order to
have greater pleasure, put her face between the other’s breasts and kissed
them, and wanted always to be thus on her.” During the day in her study, while
teaching her companion to read and write, the abbess again enjoyed sensual
contact, having Mea “sit down in front of her” or “be near her on her knees
. . . kissing her and putting her hands on her breasts.” Despite the
reticence Mea tried to convey in her statement, it was clear her lover sought
mutual delight. When manually arousing Mea, Benedetta “wanted her companion to
do the same to her, and while she was doing this she would kiss her.” The older
woman was presented as active and insistent. If Mea tried to refuse, the abbess
went to the cot “and, climbing on top, sinned with her by force,” or she would
arouse herself (“with her own hands she would corrupt herself ”). Hence, in a
phrase recorded only a few times in Mea’s testimony, the younger woman
conceptualized her vigorous, forceful lover in standard terms, saying “she
would force her into the bed and kissing her as if she were a man she would
stir on top of her.” Mea probably had no sexual experience with men, so her
comparison was not based on a Freudian model of the phallus or anatomical
knowledge of a penis, but on a sense of gendered roles whereby the man took a
physically dominant position. Benedetta and Mea enacted substantive, varied sex,
in a range of modes, positions, times, and locations. Benedetta’s case spurs us
to ask questions about the management of nunneries. How did seemingly
“innocent” and “repressed” women learn about sexual details and inventively
contravene prohibitions? A stock opposition between knowledgeable yet
repressive male authorities, and ignorant nuns without any agency, cannot
satisfactorily apply. Some inhabitants of nunneries shared a degree of sexual
experience and innuendo with their companions. Dedicated to God after her
mother survived difficult labor in 1590, Benedetta was a nine-year-old villager
when she entered the religious life.24 Most other entrants (and boarders) were
similarly prepubescent or in their early teens, but some were older, sexually
experienced women, such as widows or former prostitutes. Heterogeneity was
increased by the presence of converse, servants and lay sisters who entered at
slightly older ages, did not profess, and sometimes frequented the outside
world, although the growth of post-Tridentine enclosure made this less likely
from the late sixteenth century onward. The popular and much reprinted
Colloquies (1529) by Augustinian friar Erasmus suggested that nunneries were
filled with “morewho copy Sappho’s behavior (mores) than share her talent,” and
that “All the veiled aren’t virgins, believe me.”25 Through whatever means,
cloistered women could have clear ideas about how to attain sexual pleasure. An
anonymous nun, literate in Latin, wrote a love poem to another religious woman
in the twelfth century, noting that “when I recall how you caressed / So
joyously, my little breast / I want to die.”26 Confessors and canonists
educated women in their obsessive sense of sexual sin. Due to the urging of
questioners, or to a sense of guilt that welcomed the relief of voluntary
confession, Venetian Inquisitors heard in the 1660s about how the “failed
saint” Antonia Pesenti fought in the nighttime against diabolic temptations to
masturbate.27 St. Catherine of Siena (1347–80) was tormented by sexual
visions.28 Such a woman, who strenuously resisted association with secular men
outside her family ever since she was a girl and refused to place herself on
the marriage market, nevertheless had some comprehension of the conventions of
sexual sin. Secular inspirations included farmyard sights, carnival songs, and
oral jokes. Sermons, or the queries of a confessor, further embedded a degree
of simple knowledge, horrifying yet fascinating. Nuns were governed by
regulations suspicious of erotic activity in all-female environments, such as
the provision since the early thirteenth century of night-lights to deter
illicit entries into cells, regular checks on sleeping arrangements,
supervision of female as well as male visitors, and careful control of the
grille and other points of contact with the wider world. Yet those very rules
made everyone aware of the possibility of contravention. Many penitentials and
texts of canon law voiced a concern about nuns erotically touching or using
“instruments” with each other, possibilities paradoxically furthered through
inquiries in the confessional.29 Visual culture, including widely circulated
prints and paintings of the damned, was another means whereby nuns were
incorporated into a communal imagination regarding both sin and sensual piety.
Explicit condemnations of same-sex activities led occasionally to illustrations
in religious texts or on the walls of convents.30 Sensitive contact was also
represented. Mutual tenderness and awe between the embracing Mary and Elizabeth
at the Visitation, liturgically celebrated in the musical crescendo of the
Magnificat (Luke 1:46–55) sung every day at Vespers, was powerfully pictured by
artists such as Domenico Ghirlandaio, Jacopo Pontormo, and Parmigianino (
Figure 6.1).31 Saints’ lives contained legends like Catherine of Siena suckling
at Mary’s breast or St. Catherine of Genoa tenderly kissing a dying woman on
the mouth.32 A woman’s understanding of sex and sensuality might have been
based more on discursive than experiential practices, but it could seem all the
more real in its visionary presence. The chief focus of my study is
legitimized, mystical eroticism in convents, leading to Benedetta’s mistaken,
kinetic literalization of spiritual metaphors. Her pious and sexual performances
intertwined on at least three levels of efficacy. Instrumentally, her access to
the divine persuaded the younger, initially illiterate Mea to be a witness to
the visionary experiences and to become a sex partner.Parmigianino, Visitation,
pen and wash. Galleria Nazionale, Palazzo della Pilotta, Parma.FIGURE 6.1De
Agostini Picture Library/A. DeGregorio/Bridgeman Images.Whether the ambitious
nun was a self-aware manipulator throughout, or convinced by her own delusions,
is neither knowable nor particularly pertinent. For some time Mea and the other
nuns, the confessor, local officials, and the townspeople were all caught up in
a visionary scenario they wanted to believe. At Benedetta’s funeral in 1661,
the populace had to be kept away from a body they stillthought capable of
miracles.33 The investigators eventually judged Benedetta a “poor creature”
deceived by the devil, and she agreed that everything was “done without her
consent or her will.”34 That defense of unconscious possession was already
evident during the days of her acceptance by the community, but it shifted from
being divine favor and spiritual rapture to becoming demonic deception. On the
psychological level, the two women were provided with an effective way to cope
with guilt. Until Mea “confessed with very great shame” about their sex, the
angel Splenditello convinced her the women were not sinning. 35 Initially
hesitating, in the presence of a host of saints led by Catherine of Siena, to
obey Christ’s command to disrobe so he could place a new heart in her body,
Benedetta was reassured by Jesus, who said “where I am, there is no shame.”36
The Capuchin investigators thought her putative ecstasy “partook more of the
lascivious than of the divine” but the earlier inquiry, and the convent’s
inhabitants like Mea, had not taken it amiss. After all, Saints Catherine of
Siena, Catherine de’ Ricci (1522–90), and Maria Maddalena de’ Pazzi (1566–1607)
received hearts from Christ, and numerous images in printed or painted form
continued to disseminate this aspect of female sanctity’s typology.37 Secular
poetry and pictures also represented the gifting of manly hearts as a token of
a courtly love that metaphorically elevated carnal desire into an idealized
realm, without losing sight of erotic thrill.38 Nuns were increasingly devoted
to Christ’s wounded heart, and imagined their own hearts as inner loci to be
entered by their heavenly groom. The crucial difference was that Benedetta’s
imagination was so inventive, and her belief system so literal, that representation
of her participation in this mystic ritual included
physical—“lascivious”—details. Thirdly, on the affective level, Benedetta’s
mysticism heightened her sense of desire, not only for union with the divine,
but for sex aided by angels. Equally, it could be said that her yearnings
exacerbated her mysticism. Recourse to mystical fantasy endowed her passion
with a structure and rhetoric. Rather than sublimation through piety,
Benedetta’s case history indicates an intensifying of acts spiritual and sexual.
Much of her complex psyche is summed up by the striking act of benediction she
performed after sex: as Splenditello, “he made the sign of the cross all over
his companion’s body after having committed many immodest acts with her.”39
Priest, angel, nun, lover, guilty and grateful, powerful and placatory,
Benedetta moved her hand over a body she rendered simultaneously sacral and
sensual. Alongside a renewed disciplinary zeal regulating cloistered life,
CounterReformation culture witnessed a heightening of the emotive register of
piety. In doing so, the Catholic Church accentuated a venerable, central
heritage that used human bodies to imagine spiritual passions. So, in the
Mystic Nativity of 1500–01 (National Gallery, London), Botticelli’s angels
reenact the ritual of the kiss of peace, a regular liturgical moment, but
potential eroticization is indicated by its conjunction with a nuptial kiss and
by the exclusion of sinners from the ritual.40 Primarily same-sex pairs kiss
and embrace in Giovanni di Paolo’s midfifteenth-century panels representing
eternal paradise ( Figure 6.2).41 Angels andFIGURE 6.2 Giovanni di Paolo,
Paradise, 1445, tempera and gold on canvas, transferred from wood, 44.5 × 38.4
cm. New York, Metropolitan Museum of Art. Open access.souls of the blessed
greet each other, and the blissful unions are all manifested as moments of
physical intimacy. Men in religious costume embrace, two secular women tenderly
touch, near them two Dominican nuns entwine in one unit, and angels enfold men
into the sweet realm of grace. Some female mystics were blessed with a miracle
of lactation.42 Catherine of Siena’s experiences especially inf luenced
Benedetta because her mother was devoted to Catherine and the convent was under
her aegis as its patron saint.43 That role model’s mouth drained pus from a
woman’s breast and the abnegation was rewarded by what her confessor termed an
“indescribable and unfathomableliquid” f lowing from Christ’s side.44 Both
scenes featured in one of the prints comprising a well-disseminated series
illustrating Catherine’s life, designed by Francesco Vanni and first issued in
1597, then reissued in 1608 ( Figure 6.3).45 Her confessor Raymond of Capua
presented Christ as Catherine’s sensual lover: “putting His right hand on her
virginal neck and drawing her towards the wound in His own side, He whispered
to her, ‘Drink, daughter, the liquid from my side, and it will fill your soul
with such sweetness that its wonderful effects will be felt even by the body.’”
Raymond brief ly noted that an earlier confessor had written about how “the
glorious Mother of God herself fills her [i.e. Catherine] with ineffable
sweetness with milk from her most holy breast.”46 Nurtured at the breasts of
Christ and Mary, and moaning that “I want the Body of Our Lord Jesus Christ” in
church before his body f luid miraculously satisfied her so that “she thought
she must die of love,” Catherine’s inf luential model of sanctity encouraged
women such as her follower Benedetta Carlini to believe in sensate relief of their
spiritual desires.47FIGURE 6.3 Francesco Vanni, St. Catherine of Siena orally
draining pus from an ill woman and being rewarded with liquid from Christ’s
wound, 1597, engraving, 25.7 × 28.9 cm. Amsterdam, Rijksmuseum. Open
access.Benedetta’s maleness supposedly derived from her role-playing as Jesus
or an angel, yet neither Christ nor angels were unequivocally male. In a
fundamental sense, of course, Christ was masculine, the son of God endowed with
visible, male genitals to prove the infant’s assumption of Incarnational
humanity.48 His adult manifestation was also primarily masculine and
patriarchal. Imitative adoration of their heavenly spouse could lead to
mortification and even stigmatization, but nuns were not masculinized through
such actions and they did not automatically become lovers of men. Stigmatized
like Christ or speaking at times as though Christ was delivering a
message,Benedetta was not Jesus, but his bride and servant. Cloistered women
were privileged followers of Mary’s role as sponsa, the heavenly bride
reenacting the Song of Songs and enjoying sensual relations with an adult,
loving Christ. But when a German cleric regretfully noted that “it properly is
the prerogative of his [i.e. Christ’s] brides” alone to enjoy sensual union
with a celestial bridegroom, he nevertheless vicariously enjoyed a homoerotic
fantasy by instructing nuns to kiss Christ “for my sake.”49 As scholars have
shown, in many ways the metaphorical body of Christ was “feminine” or
homoerotic or, rather, polymorphous in its sensual charge.50 Nuns imagined
themselves as suckled infants, nurtured adults, mothers, spouses, female
friends, all sharing an affinity as “sisters and daughters in Jesus Christ,” as
Catherine de’ Ricci addressed a group of nuns in October 1571 after the death
of “your dearest mother,” their abbess.51 While Christ was their child and
groom, and Mary their exemplar, nuns were also enfolded in a female genealogy
of succession and a feminine household of multiple sisters, daughters and
mothers. Fellow nuns tenderly support Catherine of Siena when she is so
affected as to faint after receiving the stigmata, painted by Sodoma in the
mid-1520s for the Sienese chapel dedicated to her within the Dominican
headquarters of her cult (Figure 6.4).52 Catherine is shown with exemplary
female acolytes whose intimate, gentle regard for her swooning body suggests a
bodily care and unselfconsciousness that requires no masculine intervention.
Nuns took on more than one persona in this labile community of affection. After
Benedetta married Christ in a special ceremony on May 26, 1619, a brief
investigation did not distrust her mysticism, and on July 28, 1620 her
religious sisters elected her abbess, head of the new Congregation of the
Mother of God.53 As such, “mother” abbess Benedetta embraced her “daughter” and
fellow “sister” Mea. Brown conf lates being male with taking on an angelic
guise, but Benedetta took on no such “double role of male and of angel.” When
using the voice of an angel, she was not adapting a role assigned to
unambiguously male figures. Since theologians such as Aquinas believed angels
might assume f lesh but had no natural bodies or functions, the ethereal
creatures were officially asexual. Names, pronouns, and visual representations
implied a degree of masculinity about God’s messengers, but often of a
childlike or pubescent and androgynous kind. At the very moment when Gabriel
carried the message transmitting the Logos into the body of the Virgin Mary,
that archangel was often depicted as especially androgynous. It was probably to
a frescoed Gabriel that the orphan,Sodoma, Giovanni Antonio Bazzi, Scenes from
the Life of Saint Catherine of Siena: The swooning of the saint, 1526, fresco.
Siena, S. Domenico. Scala/Art Resource, NY.FIGURE 6.4The “lesbian nun”
Benedetta Carlinilater Beata, Vanna of Orvieto pointed on a church wall when
she said “this angel is my mother.”54 Splenditello and Benedetta’s other angels
empowered rather than masculinized her. Splenditello and company were
celestial, barely gendered embodiments of winged eros or desire, rather than of
a particular lover. Mea’s account moved directly from details of their sex to
the statement that the mystic “always appeared to be in a trance (ecstasi )
. . . Her angel, Splenditello, did these things, appearing as a
beautiful youth (bellisimo giovane) of fifteen years.”55 The attractive
adolescent was endowed with the kind of homoerotic potential celebrated in
contemporary paintings such as Caravaggio’s The Stigmatization of St. Francis
produced in the first decade of the seventeenth century (Figure 6.5).56 Like
the contemporaneous Splenditello, the seraphic spirit of celestial love who
gently supports Francis is a creature ostensibly male but fundamentally
symbolic of an eroticism which does not insist on singular identifications of
gender or sex. The saint swoons in the arms of a lover whose pictorial form
embodies the ineffable and polymorphous. Francis’s pious identification with
the supreme exemplar Christ is physically and metaphorically consummated as he
receives the stigmata in a mystical experience necessarily represented in
erotic terms. A little more than twenty years after Mea’s confession,
Gianlorenzo Bernini began work on a three-dimensional figuration of The Ecstasy
of St. Teresa (Figure 6.6). With caressing gaze, divine light, a conventional
arrow of Love, andFIGURE 6.5 Caravaggio, Saint Francis receiving the stigmata,
ca. 1595–96, oil on canvas, 94 × 130 cm. Wadsworth Atheneum Museum of Art.Photo
credit: Nimatallah/Art Resource, NY.FIGURE 6.6Bernini, The Ecstasy of St.
Teresa, marble, 1645–52. Rome, S. Maria dellaVittoria. Photo credit:
Alinari/Art Resource, NY.delicate gestures, Bernini’s embodiment of celestial
spirit visits upon Teresa an experience of divine transport. A childlike member
of the ranks of the cherubim gently strips Teresa of her worldly garments,
lifting the robe so that blissful fire will sear her soul with what she called
“a point of fire. This he plunged into my heart several times so that it
penetrated to my entrails.”57 As Teresa described her rapture in the early
1560s, “this is not a physical, but a spiritual pain, though the body has some
share in it—even a considerable share.” Corporeal sensation was certainly
perceived by an anonymous critic who, around 1670, accused Bernini of having
“dragged that most pure Virgin not only into the Third Heaven, but into the
dirt, to make a Venus not only prostrate but prostituted.”58 Contemporaries, in
other words, were quite aware of the fine line between sensuality and spirituality,
a boundary crossed not only by Benedetta but by the renowned artist Bernini.
Benedetta’s staging of such favors as her stigmatization and her nuptials with
Christ were eroticized events akin to those depicted by artists. She involved
an entire community of nuns and a local populace in earthly manifestations of
the divine, just as Caravaggio did in oil paint, Bernini in marble, or
preachers with words. Miracles were understood to be physically manifest, and
visions subtly brought the divine into the corporeal realm. The late
thirteenth-century mystic Gertrude of Helfta wondered why God “had instructed
her with so corporeal a vision.” Her question was rhetorical, as any acceptable
mystic knew: spiritual and invisible things can only be explained to the human
intellect by means of similitudes of things perceived by the mind. And that is
why no one ought to despise what is revealed by means of bodily things, but
ought to study anything that would make the mind worthy of tasting the
sweetness of spiritual delights by means of the likeness of bodily things
(corporalium rerum).59 As the seamstress and “failed saint” Angela Mellini knew
about her visions in the 1690s, “one never sees things with the eyes of the
body, but everything is seen intellectually.”60 On the other hand, this
reassuring statement was delivered to an Inquisitor, whereas a note written by
her halting hand understood that emotional passion had very real effects.
Thinking of such things as the pains she suffered in her heart, in imitation of
Christ’s passion, she observed that “love makes me experience the truth of
sufferings through the senses, now it beats, now it purges, now it hurts and
now all sorts of torments are felt.” In order to truly convey the exactitude
and reality of her sensate love, in September 1697 she sketched a diagram of
her wounded heart, complete with lance, nails, hammer, cross, and crown of
thorns. That drawing was produced for her confessor, a man she desired so much
that she felt “great heat in all the parts of my body and particularly of
movements in my genitals.”61 Like a courtier offering a heart to the beloved,
and like the related love-imagery for the soul’s yearning after the divine,
Angela availed herself of religious rhetoric and resorted to physical signs
when lovingChrist and wooing her priest. Similarly, on Caravaggio’s canvas and
in Bernini’s chapel, light is divine and natural, the ecstasy spiritual and
embodied. So, too, Benedetta’s sensate and emotive life was a continuous blend
of illusion and reality, spirit, and similitude. Echoing her model, Catherine
of Siena, Benedetta experienced visions, stigmatization, the exchange of
hearts, and a marriage with Christ. Catherine’s reception into heaven after her
death, disseminated in Francesco Vanni’s engravings and various paintings,
entailed a tender, intercessory greeting by Mary.62 Catherine’s charitable
nursing brought her mouth into contact with one dying woman’s breast (Figure
6.3), and on another occasion she transformed an ill woman into her spouse.63
“Full of burning charity,” Catherine rushed to the hospital to tend a bereft
woman, “embraced her, and offered to help her and look after her for as long as
she liked.” She motivated herself by “looking upon this leper woman, in fact,
as her Heavenly Bridegroom.” Benedetta took the actions of her exemplar
further, embracing another woman in a relationship where each was a spouse,
each a bride. At some level, she perhaps believed the words God spoke to
Catherine, that “In my eyes there is neither male nor female.”64 To have an
impact, mysticism had to present a degree of spectacle, and thus cross into the
physical realm. The special favors bestowed on some mystics were invisible, but
then other signs had to appear, especially as the Church grew more cautious about
legitimizing local cults, feminine excesses, fakery, and piety which might turn
out to be diabolical in origin. Lucia Broccadelli’s stigmata arrived during
Lent in 1496 but only becoming visible at Easter, after Catherine of Siena’s
supplication in heaven persuaded Christ “that the stigmata should be visible
and palpable in me.”65 For several years, the Dominican visionary was highly
favored by the lord of Ferrara, Ercole d’Este, and officials, including the
Pope’s physician, examined her wounds to their satisfaction. But the fortunes
of this “living saint” suffered a reversal when her ducal patron died in 1505.
The sisters, chafing under her strict rule, were able to mount a
counter-offensive because the stigmata had disappeared. Lucia was imprisoned
for fraud within the convent for nearly forty years, until she died in 1544. A
potential mystic impressing only a relatively small town and without a powerful
supporter, Carlini also encountered a backlash from her fellow religious and
was investigated in an even more stringent climate. Once the
Counter-Reformation took hold, especially after the Council of Trent (1545–63),
there was an increase in cases of women ultimately judged “failed saints” or
diabolically possessed. Concomitantly, the number of female canonizations
decreased, with a suspicion of women deemed credulous and excessive further
abetted by Urban VIII’s more strict procedures for canonization.66 Two hundred
years earlier, Catherine of Siena’s confessor, Raymond of Capua, later Master
General of the Dominican Order, was persuaded of the veracity of her mystical
experiences, despite the invisibility of her marriage ring and stigmata, by
“watching the movements of her body when she was in ecstasy.”67 Maria Maddalena
de’ Pazzi begged Christ that her mystical ring andThe “lesbian nun” Benedetta
Carlini113stigmata be invisible, but the impulse for humility was neatly
balanced by kinetic and audible theatre similar to Catherine’s. Her very wish
not to be singled out became itself part of the record collected by her
community. In May 1619, Benedetta staged an elaborate wedding witnessed by the
secular elite of Pescia. The first inquiry into her holiness began the very
next day. But her renewal of the ring (with saffron) and stigmata (with a large
pin) only emerged in the course of the later investigation.68 Judged fraudulent
by Bell, Benedetta may nevertheless have been acting in good faith, marking her
body artificially only when doubts grew, trying to persuade the sceptics by
secondary, external signs that she truly believed were there on her soul.69
When a Capuchin nun, the blessed Maria Maddalena Martinengo (1687–1737),
piously took a needle to her own body, it was not counted diabolical. She
embroidered the instruments of the Passion “with the needle threaded with silk
. . . into her own f lesh, nice and big, as chalice-covers are
embroidered, nor without bleeding.” 70 To retain her status and stem the tide
of opposition in an increasingly fractious convent, Benedetta may have
inscribed her body without thinking that the act was forgery. Self-mutilation
recurs in the lives of mystics, including Angela of Foligno’s searing of her
genitals, Margaret of Cortona’s desire to cut her face, and Maria Maddalena de’
Pazzi’s gouging of her f lesh.71 Benedetta’s piercing, documented by a hostile
witness who came forth only after the convent turned against their imperious
abbess, may have been motivated in part by a genuine element of imitatio
Christi. Rather than judge her by later standards of verisimilitude and honesty,
it would be more appropriate to understand her actions, and subsequent
downfall, as a naïve, over-literal, and undisguised performance of spiritual
conventions that found no meaningful political support amongst higher
authorities or in a discordant convent. Like other aspirants to mysticism,
Benedetta displayed her celestial vision through mime, “motioning with her
hands as if she were taking” souls out of purgatory, for instance, but her
choreography went so far as to publicly process in a prearranged mystic
marriage, and to act out her erotic drive with Mea.72 Maria Maddalena de’ Pazzi
also kinetically staged her exceptionality. She mimed her wedding with Christ,
or in pantomime indicated to the novices under her care that she was being
stigmatized. Her charges reported that “she held her hands open, staring at a
figure of Jesus that she had on top of her bedstead; she looked like St.
Catherine of Siena. So, we thought that at that point Jesus gave her his holy
stigmata.” 73 Eroticizing a dormitory, looking at one image and mimicking
another, Maria Maddalena involved her young female audience in a highly visual
fantasy that drew on widely familiar iconography of female mysticism. Those
visualizations were further instilled through skills of internalized sight.
Trained, like all Catholics, in contemplative techniques merging the inner and
outer eye, Maria Maddalena and her faithful novices witnessed the material
reality of a vision. Meditative practices imagined narratives set in
contemporary settings, with familiar faces, placing a premium on immediacy and
recognition that was also highly valued in visual culture. Visions were
regularly made tangible,when nuns cared for and dressed dolls of the Christ
Child, acted out the stigmatization, wrote and performed religious plays, or,
in Catherine of Bologna’s case, painted and drew images inspired by her
raptures.74 To make fantasy real, to don the mantle of holy figures, was
orthodox rather than perverse. Benedetta’s concrete sexualization of her
religious scenario was not unique. In the early sixteenth century, a Spanish
canon lawyer had justified his inordinate lust for some nuns in Rome by arguing
that since, as a cleric “he was the bridegroom of the Church and the nuns were
brides of the Church,” they could have “carnal relations without sin.” 75
Imprisoned until he renounced these beliefs, the educated man had muddled
certain doctrines, but his conf lation of spiritual allegory and physical
desire was present in the writings of many a mystic and it was visualized in
numerous visions or works of art. By making her desires earthly as well as
divine, Benedetta misunderstood conventions, but she did not invent outside a
context. While she cannot be posited as a mainstream example of premodern
religiosity, there was a logic to Benedetta’s actions that does not rely on a
reading of her as a skeptical, manipulative fraud. Angelic disguise transformed
the mystic aspirant Benedetta into a forceful seductress, whose tenderness and
ecstatic passion was not rigidly fixed along differently sexed lines. Mea
reported: This Splenditello called her his beloved; . . . [and said]
I assure you that there is no sin in it; and while we did these things he said
many times: give yourself to me with all your heart and soul and then let me do
as I wish.76 Like the facilitating angel in the mystic encounters represented
by Caravaggio and Bernini, Benedetta’s guardian angel was imagined as a
beautiful, curlyhaired youth dressed in gold and white.77 The young angel was
an instrument of persuasion, the abbess a figure of command and intimidation.
Splenditello’s power derived from a patriarchal hierarchy in heaven, but he
sounded like a youth rather than a god. His counterpart in Caravaggio’s
painting does not heterosexualize that encounter; and in Bernini’s ensemble the
young angel eroticizes a spiritual ecstasy that cannot be crudely reduced to
phallic penetration by an adult man. Nor does Splenditello’s presence amidst
the couplings of Benedetta and Mea reduce them to a differently sexed twosome.
There was a third, disembodied protagonist in each of these raptures. The
divine was elemental light in Caravaggio’s painting and Bernini’s sculpture. In
Benedetta’s visions, as in her sex with Mea, the divine was literally
articulated, through voice. Christ or Splenditello was a pivot in a
triangulation of desire in which one of the results was frequent, very real sex
between two women.78 The interpretation of Benedetta’s acts within the
framework of a heterosexualized bride of Christ points to the need to
reconsider in quite what ways Jesus was a spouse. Three kinds of marital
imagery informed the regulation of female religious: liturgical, allegorical,
and mystical. While all nuns were incorporated liturgically and could picture
their souls as allegorical spouses of the heavenlybridegroom, only mystics
experienced additional nuptials. In 1619, Benedetta’s mystic marriage was an
overt, preplanned, public festival, as was her first marriage to Christ in 1599
at the age of nine, taking the veil, ring, and crown at a ceremony celebrated
by a bishop, though occasionally the celebrant was an abbess.79 In a drawing by
an anonymous German nun around 1500, enthroned Virgin Mary/Ecclesia replaces
the priest (Figure 6.7).80 Strikingly, the figure of Christ, particularly as an
adult, is absent from many such images. When he does appear, as in an
illuminated manuscript of the rule of St. Benedict produced for Venetian nuns,
he can bestow the nuptial crown on two Brides at once.81 Describing the ritual
as one involving “the giving of a woman to a man” and using the term “heavenly
husband” mistakenly suggests a scenario akin to a modern, secular, nuclear
family.82 Analogy should not be confused with actuality. The acculturation
entailed complex, multiple interchanges, evident in the drawing (Figure 6.7).
Its scroll carries the inscription “Take this boy and take care of [i.e.
suckle] me (nutri michi). I will give you your reward.”83 Like a priest
offering the veil, ring, and crown, and then the eucharist, the Virgin begins
to speak, licensing the earthly virgin to embrace the baby. But the infant
takes over, urging the young nun to suckle him and promising her eternal
reward. Her spouse is an infant, not a dominant patriarch, nor an earthly
“husband.” Christ was a communal groom, and a commonly nurtured babe. He was
more visible, and more often adult, in images of the allegorical and mystical
levels of marriage.84 Mystic marriages of saints show the adult, or often
infant, Christ as the pivotal locus of mediation, yet the rhetoric and ritual
of marriage also visually and symbolically bonds two or more female
charactersFIGURE 6.7Anonymous German nun, Consecration of Virgins, ca.
1500.Photo credit: Jeffrey Hamburger. Used with permissionwho are devoted to
God’s son. Catherine of Siena imitated St. Catherine of Alexandria’s mystic
marriage with Christ, and thereafter the subject of union became popular.85
Female saints, especially the earlier Catherine, are usually depicted in the
act of espousal to an infant Christ offered by his mother Mary, just as the
German nun remembered (Figure 6.7). Thereby, two holy women engineer a mystical
union over the body of a small child. To say that Christ becomes “the object of
exalted maternal instincts rather than sublimated sexual desire,” however, is
to assume that a nurturing woman’s affection has no component of passion, and
that all female desire must be focused on a male object.86 The child-groom can
be shown as a young, unknowing instrument guided by his mother, as in a
painting by Correggio, where the interplay of hands is particularly
sensitive.87 Courtly decorum amongst adults becomes in Correggio’s
visualization an intimate, gentle affair in which the child is too young to
grant seigneurial permission. Held close so that his body is subsumed in his
mother’s, at other times he is a virtual extension of her body, helping to
connect through compositional line and symbolic gesture a succession of two or
more female figures. His small arms and shoulder stand in for Mary’s left arm
in a later painting by Ludovico Carracci, so that his torso becomes especially
symbolic of a presence that almost need not be there.88 Guercino’s painting of
1620 depicts a gentle touch between the two women, and tender glances link the
three characters, but Christ is relegated to the opposite side.89 Visual
management of nuns’ fantasies could imagine them in very physical, explicit
actions. A cycle on the Song of Songs painted in the mid-fourteenth century on
the walls of a nun’s gallery at Chelmno in eastern Prussia imagined Sponsa
eagerly pulling her spouse into her bedchamber.90 It literalizes the Canticle:
“I will seize you and lead you / into the house of my mother” (8:2). Such
pictures made manifest an emotive intensity that the all-female audience knew they
were meant to share with other women.91 In Northern Europe, the instructional
habit of elaborating the amorous interchange between Christ and the soul
produced a sequential narrative version illustrated in comic-strip fashion,
Christus und die minnende Seele (Christ and the loving soul), written in German
in the late fourteenth century, later disseminated in printed sheets and
books.92 The divine lover embraced the soul, wooed her with music, and crowned
her in a ritual reminiscent of a wedding ceremony. She obeyed Christ’s command
to divest herself of worldly garments when he said “If you wish to serve me,
you must be stripped bare.” It is unlikely that Italian nuns like Benedetta
knew this particular text or its imagery, but the practice of encouraging a
religious woman’s fantasy through narrative, whether in sermons, sung words,
wall paintings, prints, books, or paintings, fostered a widespread, eroticized
imagination. The soul’s rapturous reach toward its divine lover from a supine
position on a bed, as represented in the Rothschild Canticles, was echoed in
Bernini’s marble display of Ludovica Albertoni arching up from a bed where the
disarranged sheets are even more telling a sign of the soul’s ecstasy.93 Within
this ideological structure, BenedettaCarlini could imagine herself as a
privileged soul experiencing ecstatic union with the actual body of Mea. On one
of the three occasions when she addressed Mea in Christ’s voice, “he said he
wanted her to be his bride, and he was content that she give him her hand; and
she did this thinking it was Jesus.”94 Even if the abbess was a manipulative
faker, as a crude and cynical reading might have it, Mea believed the illusion,
according to her self-protective testimony. If neither woman was skeptical at
the time of the conversation, then the words and gesture performed a tangible,
if unconventional, enactment of bridal mysticism. Christ was manifest in a
human—and female—body rather than only present to the mind’s eye, yet the two
believers went on with the corporeal pantomime. If one or both of the earthly
players did think that Christ was not speaking, then at least one of them heard
a marriage proposal being offered by one woman to another yet did not rebuff or
denounce it at the time. Benedetta utilized the traditional metaphors and
scenarios of erotic mysticism, but at certain moments she took the logic beyond
doctrinal limits. She only assumed Jesus’ voice during three conversations with
Mea.95 Twice she spoke “before doing these dishonest things,” first when Jesus
took Mea’s hand and suggested marriage. The second time was in the choir,
“holding [Mea’s] hands together and telling her that he forgave her all her
sins.” “The third time it was after [Mea] was disturbed by these goings on,”
and was reassured that there was no sinfulness, and that Benedetta “while doing
these things had no awareness of them.” All three occasions offered comfort and
framed sex, occurring either before or after their “immodest acts,” but
Benedetta did not present herself as a sexually active Christ. However much
bridal mysticism structured Benedetta’s actions, she never took on the persona
of Christ during sex with Mea, instead acting through an angel when she used
any guise at all. Perhaps she is best described as a mystic playwright, someone
who wrote scripts during visionary or ecstatic experiences but who acted out
rather than wrote down the dramas, for an audience that included not only Mea
but also on occasion the other nuns and the local populace. Plays by nuns were
performed by inmates who cross-dressed for the male roles.96 In 1553 Caterina
de’ Ricci played the part of twelve-year-old Jesus speaking, with “signs of
particular love,” lines from the Song of Songs to a fellow nun who was acting
as St. Agnese.97 Taking multiple roles, such as Christ or angels with a variety
of dialects and ages, as well as sponsa and anima, Benedetta was a consummate
performer whose voice and appearance fitted the occasion.98 The mutual gestures
of Benedetta and Mea literally followed the Song of Songs: “My beloved put
forth his hand through the hole / and my belly trembled at his touch / I rose
to open to my beloved / my hands dripped myrrh / . . . / I opened the
bolt of the door to my love” (5:4–6). Mea’s account of how Benedetta “put her
face between the other’s breasts and kissed them, and wanted always to be thus
on her” recalls the Canticle’s enjoyment too. In the adaptation of the biblical
Song in the Rothschild manuscript compiled for a nun, Sponsus delightsin
breasts: “between my breasts he will abide . . . Behold my beloved
speaketh to me: How beautiful are thy breasts, thy breasts are more beautiful
than wine.”99 The phrase “sister my bride (soror mea sponsa)” was particularly
apt. It occurs four times in the Song (4:9, 10, 12; 5:1), along with “open to
me, my sister my friend” (sor mea amica mea) (5:2). Imitating the soul’s
statement in Christus und die minnende Seele that “I must go completely naked,”
Benedetta “stripped naked as a newborn babe.” Each recalled the Song’s bride:
“I have taken off my garment” (5:3). The sequential narrative of the romance
between Christ and the soul also had the womanly soul say “I cannot read a book
unless you are my master” and “I will tell no-one, love, what I have heard from
you,” each lines Mea could have uttered to her abbess.100 Benedetta spoke
another line, taking on the voice of Christ to offer the symbolic emblem of
mystical marriage: “Since you delight me, love, I set a crown upon you.” She
lay on top of Mea, “kissing her as if she were a man [and] she would stir on
top of her so much that both of them corrupted themselves,” an arrangement, and
finale, which bears comparison with the miraculous levitation experienced by
the Capuchin nun Maria Domitilla in Pavia at the very same time, 1622. She
recorded that Christ united his most blessed head to my unworthy one, his most
holy face to mine, his most holy breast (petto) to mine, his most holy hands to
mine, and his most holy feet to mine, and thus all united to me so very
tightly, he took me with him onto the cross . . . I felt myself
totally af lame with the most sweet love of this most sweet Lord.101
Benedetta’s models, such as the sponsa, the anima, and Catherine of Siena, were
feminine, metaphorical, or legendary, and her mistake in dogma was to take the
symbolic literally. Benedetta acted as though the material was the spiritual:
stripping for Christ or Mea like an obedient and pleasured soul in the Northern
sequential romance; kissing a woman or suckling at a breast as did certain
female mystics or saints; engaging in mutual, manual penetration of an orifice
in line with the Song of Songs; proposing and performing marriage as though she
could take both roles in a mystical drama. Her sex partner, Mea, was always a
female figure, assigned a feminine part. Benedetta enjoyed repeated sex with a
woman, not because that was the only body available to her, but because their
religious beliefs were not predicated upon some exclusionary, modern notion of
heterosexual identity. Through the vicissitudes of confession and documentary
survival, we happen to know that in the early 1620s two under-educated women in
a provincial Tuscan convent took religiously legitimized and visualized passion
to a literal level. Brides of Christ, nurtured on the notion that their cells were
bedchambers for nuptial union with a shared, metaphorical spouse, became in
those very spaces lovers on an earthly plane. In seventeenth-century Pescia a
patriarchal logic led to an alternative rite of passion. This does not mean
that the women’s sexual arousal was incidentalor insignificant, but that their
sensual and spiritual inspirations were neither entirely insincere nor
irreligious. Benedetta Carlini was a nun, abbess, articulate angel, feminized
soul, female mystic, and woman’s lover.Notes 1 Brown, Immodest Acts, 4; Bell,
“Renaissance Sexuality,” with “virtually unique” on 487, Brown’s response,
503–09, and Bell’s reply, 510–11. I am grateful to Professor Bell for sharing
his microfilms of the documents. The Italian of two missing frames, his figs. 1
and 2, was partly published in the Italian edition of Brown’s book, Atti
impuri, esp. 184– 86. I will endeavor to place digital copies of the documents
in the Deep Blue repository of the University of Michigan. Ideas here were
first explored in a talk at the University of Michigan (January 2000). I am
grateful for everyone’s attention in numerous audiences since then, but for
conversations I especially thank Louise Marshall and Vanessa Lyon. 2 Bell,
“Renaissance Sexuality,” 501–2, Brown’s response, Immodest Acts, 507. 3
Partner, “Did Mystics Have Sex?” 296–311; Salih, “When is a Bosom,” 14–32. 4
Brown, Immodest Acts, 127. 5 An exception is Matter, “Discourses of Desire,”
119–31. 6 Documented cases include Brucker, ed., The Society of Renaissance
Florence, 206–12; Chambers and Pullan, with Fletcher, eds., Venice. A
Documentary History, 204–05, 208. 7 Matter, “Discourses of Desire”, 122–23:
“the nature of Benedetta Carlini’s sexual encounters with her sister nun is so
bizarre as to defy our modern categories of ‘sexual identity.’” 8 Brown,
Immodest Acts, 161–64. 9 Ibid., 110–14, 160–64; Bell, “Renaissance Sexuality,”
491. 10 Carlini’s imprisonment “in penitence” ended when she died in August
1661: ibid., 132. Upon Mea’s death in September 1660, the recorder referred to
Benedetta’s fraud rather than sexual deeds: when Benedetta “was engaged in
those deceits” Mea “was her companion and was always with her.” But Mea was not
imprisoned: ibid., 135. 11 Jacobson Schutte, “Per Speculum in Enigmate, 187,
195 n. 11. For another case see Ciammitti, “One Saint Less.” 12 Brown, Immodest
Acts, 7–8, 136; Rosa, “The Nun,” 221; Velasco, Lesbians in Early Modern Spain,
92. 13 Bell, Holy Anorexia, 70. 14 Barstow, Witchcraze, 72, and further cases,
139–41. Others include Velasco, Lesbians in Early Modern Spain, 113–24. 15
Cohen, The Evolution of Women’s Asylums, 92–93, 208–09 n. 65. 16 Bell,
“Renaissance Sexuality,” 498. 17 Cervigni, “Immodest Acts,” 286. 18 Matter, The
Voice of My Beloved, 142. 19 Hamburger, The Rothschild Canticles, 4. 20 Unless
otherwise indicated, quotations are from Brown, Immodest Acts, 117–18, 120– 22,
162–64 passim (with emphases added). 21 Brown, Immodest Acts, 120; Bell,
“Renaissance Sexuality,” 486, 495, 497, 499. 22 Ibid. 23 Ibid., 498 (“le ha
voluto baciare le parti pudente”); Brown, Immodest Acts, 120. 24 Ibid., 21–22,
27–28. 25 Collected Works of Erasmus, vol. 39: Colloquies, 290. 26 Coote, ed.,
The Penguin Book of Homosexual Verse, 118–21 for this and another example. 27
Schutte, “Per Speculum in Enigmate,” 192. 28 Raymond of Capua, Life of St
Catherine of Siena, 91–93. 29 Payer, Sex and the Penitentials, 43, 61, 99, 102,
138–39, 149–50, 172 n. 136.30 For a female couple sinning sexually in a Bible
Moralisée of c. 1220, see Camille, The Medieval Art of Love, 138–39, fig. 125.
For the 1468 fresco of the Inferno situated in an upper room of the convent
founded by St. Francesca Romana, with a couple of indeterminate sex, but
probably male, lying side by side on the lowest (and most easily seen) register,
see Bartolomei Romagnoli, Santa Francesca Romana, Pl. 27. 31 Ghirlandaio’s
panel is in the Louvre, Pontormo’s remains in Carmignano. 32 See n. 43 below;
Jorgensen, “‘Love Conquers All,’” 102–03. 33 Brown, Immodest Acts, 137; Bell,
“Renaissance Sexuality,” 502. 34 Brown, Immodest Acts, 108, 129, 130. 35 Ibid.,
163–64. 36 Ibid., 63, 158, with subsequent quotations from 107, 117, 164. 37
Raymond of Capua, Life of St Catherine, 165–67; Kaftal, St Catherine in Tuscan
Painting, 72–77; Bianchi and Giunta, Iconografia di Santa Caterina da Siena,
112–14 and passim; Maggi, Uttering the Word, 176 n. 15; Vandenbroeck, et al.,
Le Jardin clos de l’ame, nos. 147, 169; Brown, Immodest Acts, 63–64. 38
Camille, Medieval Art of Love, 111–19, and passim, including figs. 19, 55, 80.
39 Brown, Immodest Acts, 163. 40 Payer, Sex and the Penitentials, 105; McNeill
and Gamer, eds., Medieval Handbooks of Penance, 81, 152. When Ercole d’Este
married Renée of France in Paris in June 1528, at the Pax they kissed each
other: Gardner, The King of Court Poets, 194. 41 The quotation is from Rosa,
“Nun,” 222. A detail of embracing Dominican women from the panel in Siena’s
Pinacoteca appears on the cover of Brown’s book. 42 Walker Bynum, Holy Feast
and Holy Fast, 101, 126, 131–32, 157, 165–80, 270–73, and passim. 43 Brown,
Immodest Acts, 26, 41. 44 Raymond of Capua, Life of St Catherine, 141, 147–48
(hereafter quoted from 148). 45 Marciari and Boorsch, Francesco Vanni, 118–27.
46 Raymond of Capua, Life of St Catherine, 179. 47 Ibid., 170–71. 48 Steinberg,
The Sexuality of Christ. 49 Hamburger, The Visual and the Visionary, 390. 50
Walker Bynum, Jesus as Mother; Rambuss, Closet Devotions. 51 St. Catherine de’
Ricci, Selected Letters, 39 (no. 47). Subsequent quotations come from Letters
19, 46. 52 For the frescoes by Sodoma and an earlier one by Andrea Vanni in the
same church see Riedl and Seidel, Die Kirchen von Siena, II, pt. 2, pls. VII,
596, 627–28 (and pl. 276 for Rutilio Manetti’s canvas of 1630). 53 Brown,
Immodest Acts, 41. 54 Frugoni, “Female Mystics, Visions, and Iconography,” 139.
55 Brown, Immodest Acts, 163, a translation here adjusted according to the
cropped photograph of the passage in Bell, “Renaissance Sexuality,” 501 (fig.
2), because Brown conflates the information on Splenditello and on another
angel Radicello (a fanciullo) aged eight or nine. The common misperception is
thus that Splenditello was a boy. 56 Gregori, “Caravaggio Today,” no. 68. 57
Teresa of Ávila, The Life of Saint Teresa of Ávila, 210 (ch. 29). 58 Bauer,
ed., Bernini in Perspective, 53. 59 Hamburger, Rothschild Canticles, 165–66;
Hamburger, Visual and the Visionary, 147. 60 Ciammitti, “One Saint Less,” 149.
61 Ibid., 150–52, fig. 3. 62 Bianchi and Giunta, Iconografia, nos. 43, 438, p.
126. 63 Raymond of Capua, Life of St Catherine, 131, 133. 64 Ibid., 108–09.
During her visionary union with God, the medieval mystic Hadewijch noted that
God “lost that manly beauty” so that he dissolved and “then it was to me as if
we were one without difference”: Bynum, Holy Feast, 156. 65 Gardner, Dukes and
Poets in Ferrara, 366–81, 401–05, 431-32, 464–67, 562.The “lesbian nun”
Benedetta Carlini66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86
87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 10121Weinstein and Bell, Saints and
Society, 141–42, 220–38; Bell, Holy Anorexia, 151, 170–71. Raymond of Capua,
Life of St Catherine, 100, 175–6. Brown, Immodest Acts, 160. Bell, “Renaissance
Sexuality,” 493. Rosa, “Nun,” 201–02. Bell, Holy Anorexia, 99, 107, 175, with
other cases passim; Tibbetts Schulenburg, “The Heroics of Virginity,” 29–72.
Brown, Immodest Acts, 159. Maggi, Uttering the Word, 34 (my emphasis). On
Catherine of Bologna see Wood, Women, Art and Spirituality. Weyer, De praestiis
daemonum, 184–85. Brown, Immodest Acts, 163; Bell, “Renaissance Sexuality,”
fig. 2. Brown, Immodest Acts, 64–65, 122. On erotic triangulation, see the
classic study Kosofsky Sedgwick, Between Men, esp. Ch. 1. Hamburger, Nuns as
Artists, 56–61, 240 nn. 125–26; Lowe, “Secular Brides and Convent Brides,” esp.
43; Vandenbroeck, et al., Le Jardin clos de l’ame, nos. 168, 172. Hamburger,
Nuns as Artists, Pl. 7. Lowe, “Secular Brides and Convent Brides,” fig. 3. The
phrases are in ibid., which often uses “heavenly husband” and has the other
phrase on 44. But at 56ff she points out how often Christ is absent from
images, although the essay’s point is to suggest parallels between the secular
and religious ceremonies. Hamburger, Nuns as Artists, 56–58. Vandenbroeck, et
al., Le Jardin clos de l’ame, nos. 148, 178 and fig. 106a; Hamburger,
Rothschild Canticles, 113–15. Raymond of Capua, Life of St Catherine, 99–101,
explicitly noting the antecedent with “another Catherine, a martyr and queen.”
Hamburger, Nuns as Artists, 57, 239 n. 118. Ekserdjian, Correggio, 137–38.
Emiliani and Feigenbaum, Ludovico Carracci, no. 1. In Parmigianino’s red chalk
drawing of the subject for an altarpiece, c. 1523–24, the Child does not appear
at all: Franklin, The Art of Parmigianino, 104–06. Stone, Guercino, 84 n. 62.
Hamburger, Rothschild Canticles, 85–87, fig. 156 (and see fig. 159); Hamburger,
Visual and the Visionary, 409–10, fig. 8.5. Wood, Women, Art and Spirituality,
128ff, 252 n. 31, 253 n. 37. Gebauer, “Christus und Die Minnende Seele. Both
nuns and secular women were readers. Hamburger, Rothschild Canticles, 106–10,
155–62, f. 66r (Pl. 7); Perlove, Bernini and the Idealization. Bernini’s
motives included wanting to atone for his brother Luigi sodomizing a boy in St.
Peter’s (13–14). Brown, Immodest Acts, 163. Ibid., 163–64. Weaver, “Spiritual
Fun,” 177, 181–83. Trexler, Public Life in Renaissance Florence, 194–96.
Splenditello spoke in three dialects: Brown, Immodest Acts, 160. Hamburger,
Rothschild Canticles, 82, 179, cf. Song of Songs 1:1, 1:12, 4:5, 4:10, 7:3, 7,
8, 12, 8:1, 10. Kunzle, History of the Comic Strip, vol. 1, 23. Brown, Immodest
Acts, 162; Matter, “Interior Maps,” 64–65.Bibliography Barstow, Anne.
Witchcraze. San Francisco: Pandora, 1994. Bartolomei Romagnoli, Alessandra.
Santa Francesca Romana. Vatican City: Libreria Editrice Vaticana, 1994.Bauer,
George, ed. Bernini in Perspective. Englewood Cliffs: Prentice-Hall, 1976.
Bell, Rudolph. Holy Anorexia. Chicago: University of Chicago Press, 1985. ———.
“Renaissance Sexuality and the Florentine Archives: An Exchange.” Renaissance
Quarterly 40 (1987): 485–503. Bianchi, Lidia and Diega Giunta. Iconografia di
Santa Caterina da Siena. Rome: Città Nuova Editrice, 1988. Brown, Judith. Atti
impuri: vita di una monaca lesbica del Rinascimento. Milan: Mondadori, 1987.
———. Immodest Acts: The Life of a Lesbian Nun in Renaissance Italy. New York:
Oxford University Press, 1986. Brucker, Gene, ed. The Society of Renaissance
Florence: A Documentary Study. New York: Harper, 1971. Camille, Michael. The
Medieval Art of Love. New York: Abrams, 1998. St. Catherine de’ Ricci. Selected
Letters. Edited by Domenico Di Agresti, translated by Jennifer Petrie. Oxford:
Dominican Sources, 1985. Cervigni, Dino. “Immodest Acts: The Life of a Lesbian
Nun in Renaissance Italy. Studies in the History of Sexuality by Judith C.
Brown.” Annali d’Italianistica 5 (1987): 284–86. Chambers, David and Brian
Pullan, with Jennifer Fletcher, eds. Venice: A Documentary History, 1450–1630.
Cambridge, MA: Blackwell, 1992. Ciammitti, Luisa. “One Saint Less: The Story of
Angela Mellini, a Bolognese Seamstress (1667–17[?]).” In Sex and Gender in
Historical Perspective. Edited by Edward Muir and Guido Ruggiero, 141–76.
Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 1990. Cohen, Sherrill. The
Evolution of Women’s Asylums Since 1500: From Refuges for Ex-Prostitutes to
Shelters for Battered Women. New York: Oxford University Press, 1992. Coote,
Stephen, ed. The Penguin Book of Homosexual Verse. Revised Edition. London:
Penguin, 1986. Ekserdjian, David. Correggio. New Haven, CT: Yale University
Press, 1997. Emiliani, Andrea and Gail Feigenbaum. Ludovico Carracci. Fort
Worth: Kimbell Art Museum, 1994. Franklin, David. The Art of Parmigianino. New
Haven, CT: Yale University Press, 2003. Frugoni, Chiara. “Female Mystics, Visions,
and Iconography.” In Women and Religion in Medieval and Renaissance Italy.
Edited by Daniel Bornstein and Roberto Rusconi, translated by Margery
Schneider, 130–64. Chicago: University of Chicago Press, 1996. Gardner, Edmund.
Dukes and Poets in Ferrara. 1904. Reprint: New York: Haskell House, 1968. ———.
The King of Court Poets: A Study of the Work, Life and Times of Lodovico
Ariosto. 1906. Reprint: New York: Greenwood Press, 1968. Gebauer, Amy.
“Christus und Die Minnende Seele”: An Analysis of Circulation, Text, and
Iconography. Wiesebaden: Reichert, 2010. Gregori, Mina. “Caravaggio Today.” In
The Age of Caravaggio. New York: Metropolitan Museum of Art, 1985. Hamburger,
Jeffrey. Nuns as Artists. Berkeley, CA: University of California Press, 1997.
———. The Rothschild Canticles. Art and Mysticism in Flanders and the Rhineland
circa 1300. New Haven, CT: Yale University Press, 1990. ———. The Visual and the
Visionary: Art and Female Spirituality in Late Medieval Germany. New York:
Zone, 1998. Jorgensen, Kenneth. “‘Love Conquers All’: The Conversion,
Asceticism and Altruism of St. Caterina of Genoa.” In Renaissance Society and
Culture. Edited by John Monfasani and Ronald Musto, 87–106. New York: Italica
Press, 1991.Kaftal, George. St. Catherine in Tuscan Painting. Oxford:
Blackfriars, 1949. Kosofsky Sedgwick, Eve. Between Men: English Literature and
Male Homoseocial Desire. New York: Columbia University Press, 1985. Kunzle,
David. History of the Comic Strip. Volume 1. Berkeley, CA: University of
California Press, 1973. Lowe, Kate. “Secular Brides and Convent Brides: Wedding
Ceremonies in Italy During the Renaissance and Counter-Reformation.” In
Marriage in Italy, 1300–1650. Edited by Trevor Dean and K. Lowe, 41–66. New
York: Cambridge University Press, 1998. Maggi, Armando. Uttering the Word: The
Mystical Performances of Maria Maddalena de’ Pazzi. Albany, NY: SUNY Press,
1998. Marciari, John and Suzanne Boorsch. Francesco Vanni. New Haven, CT: Yale
University Press, 2013. Matter, E. Ann. “Discourses of Desire: Sexuality and
Christian Women’s Visionary Narratives.” In Homosexuality and Religion. Edited
by Richard Hasbany, 119–31. New York: Harrington Park Press, 1989. ———.
“Interior Maps of an Eternal External: The Spiritual Rhetoric of Maria
Domitilla Galluzzi d’Acqui.” In Maps of Flesh and Light: The Religious
Experience of Medieval Women Mystics. Edited by Ulrike Wiethaus, 60–73.
Syracuse, NY: Syracuse University Press, 1993. ———. The Voice of My Beloved:
The Song of Songs in Western Medieval Christianity. Philadelphia: University of
Pennsylvania Press, 1990. McNeill, John and Helena Gamer, eds. Medieval
Handbooks of Penance. New York: Columbia University Press, 1938. Partner,
Nancy. “Did Mystics Have Sex?” In Desire and Discipline: Sex and Sexuality in
the Premodern West. Edited by Jacqueline Murray and Konrad Eisenbichler,
296–311. Toronto: University of Toronto Press, 1996. Payer, Pierre. Sex and the
Penitentials. Toronto: University of Toronto Press, 1984. Perlove, Shelley.
Bernini and the Idealization of Death: The Blessed Ludovica Albertoni and the
Altieri Chapel. University Park, PA: Pennsylvania State University Press, 1990.
Rambuss, Richard. Closet Devotions. Durham, NC: Duke University Press, 1998.
Raymond of Capua. Life of St Catherine of Siena. Translated by George Lamb.
London: Harvill Press, 1960. Riedl, Peter Anselm and Max Seidel. Die Kirchen
von Siena: II. Oratorio della Carità-S. Domenico. Munich: Bruckman, 1992. Rosa,
Mario. “The Nun.” In Baroque Personae. Edited by Rosario Villari, translated by
Lydia G. Cochrane, 195–238. Chicago: University of Chicago Press, 1995. Salih,
Sarah. “When is a Bosom Not a Bosom? Problems with ‘Erotic Mysticism.’” In
Medieval Virginities. Edited by Anke Bernau, Sarah Salih, and Ruth Evans,
14–32. Toronto: University of Toronto Press, 2003. Schutte, Anne Jacobson. “Per
Speculum in Enigmate: Failed Saints, Artists, and SelfConstruction of the
Female Body in Early Modern Italy.” In Creative Women in Medieval and Early
Modern Italy. Edited by E. Ann Matter and John Coakley, 185–200. Philadelphia,
PA: University of Pennsylvania Press, 1994. Steinberg, Leo. The Sexuality of
Christ in Renaissance Art and in Modern Oblivion. 2nd edition. Chicago:
University of Chicago Press, 1996. Stone, David. Guercino: catalogo complete
dei dipinti. Florence: Cantini, 1991. St. Teresa of Ávila. The Life of Saint
Teresa of Ávila by herself. Translated by J.M. Cohen. London: Penguin, 1957.
Thompson, Craig, trans. Collected Works of Erasmus. Volume 39: Colloquies.
Toronto: University of Toronto Press, 1997. Tibbetts Schulenburg, Jane. “The
Heroics of Virginity: Brides of Christ and Sacrificial Mutilation.” In Women in
the Middle Ages and the Renaissance. Edited by Mary Beth Rose, 29–72. Syracuse,
NY: Syracuse University Press, 1986. Trexler, Richard. Public Life in
Renaissance Florence. New York: Academic Press, 1980. Vandenbroeck, Paul and
Luce Irigaray. Le Jardin clos de l’ame. L’imaginaire des religieuses dans les
Pays-Bas du Sud, depuis le 13e siècle. Brussels: Martial et Snoeck, 1994. Velasco,
Sherry. Lesbians in Early Modern Spain. Nashville, TN: Vanderbilt University
Press, 2011. Walker Bynum, Caroline. Holy Feast and Holy Fast. Berkeley, CA: University
of California Press, 1987. ———. Jesus as Mother. Berkeley, CA: University of
California Press, 1982. Weaver, Elissa. “Spiritual Fun: A Study of
Sixteenth-Century Tuscan Convent Theater.” In Women in the Middle Ages and the
Renaissance, ed. Mary Beth Rose, 173–205. Syracuse, NY: Syracuse University
Press, 1986. Weinstein, Donald and Rudolph Bell. Saints and Society. Chicago:
University of Chicago Press, 1982. Weyer, Johann. De praestiis daemonum (1583
edition). Translated as Witches, Devils, and Doctors in the Renaissance. Edited
by George Mora and Benjamin Kohl, translated by John Shea. Binghamton, NY:
MRTS, 1991. Wood, Jeryldene. Women, Art and Spirituality: The Poor Clares of
Early Modern Italy. New York: Cambridge University Press, 1996.7 IN BED WITH
LUDOVICO SANTA CROCE (1557) Thomas V. CohenLet us take two tawdry events, male
affronts to women, with social history’s eye to assets, both cultural and
material, and to the subtle exchanges that bound men to men, women to women,
and one gender to the other. This is social history in nearly-literary mode,
keen to read texts closely. We have text of two kinds—first the words on paper
provided by a small tangle of criminal trials. If not the actual words spoken
before and by the court or in the streets, taverns, and brothels, still these
records do come close. The conventions and imperatives of the court itself, and
the imperfect scribal hand have, as always, refracted actual speech, but the
Roman-legal habits of verbatim transcription still offer material for close,
thoughtful reading. Second comes the fabric of the city itself, for our scoundrel
and his allies prowled and enjoyed their small corner of Rome, with its
streets, squares, and assorted monuments, an urban backdrop and firm anchorage
for memories. The urbanscape, so prominent both in what happened and in the
telling, in itself invites a reading no less close than the one we accord words
on paper. So, before turning to the deeds, note the spaces where they took
place. We are in Rome’s Rione Regola, or Arenula, a zone sometimes little
changed from the 1550s and 1560s of our stories. Nevertheless, the urbanism of
first united Italy and then the Duce made drastic alterations. In the later
1880s, the wide Via Arenula ripped inwards from the Tiber, obliterating a web
of streets and squares, and demolishing the church and convent of Santa Anna, right
under the grand 1890 apartment where I once lived and wrote. The church
survives only in the names of Via Santa Anna, and of a pleasant trattoria whose
menu depicts my own abode. A second nineteenth-century destruction obliterated
the ghetto, replacing it with a grand synagogue and some lumpish buildings. And
then, under Mussolini, nostalgia for the Caesars erased the medieval fabric
around the fish market at Pescheria, reducing tight neighborhoods to sterile
archeology.So, to trace our scoundrel and his entourage, we must fall back on
the old maps, especially the splendidly accurate Nolli Plan of 1747, and read
street plans, the surviving urban fabric, and words in court, together. The
Nolli plan shows how, from 1555, once the ghetto gates went up, a street our
witnesses call the strada dritta became crucial for mobility, especially at
night. It is hard today to recapture that very ancient urban street, today the
Via del Portico d’Ottavia. Down by the old ghetto, it is now so wide that
restaurants sprawl into it to hawk carciofi alla giudia, and, on their Sabbath,
Rome’s Jews gather after services for a great chiacchiera —communal
conversation. Further north, Via Arenula and the unkempt park in Piazza
Cairoli, and a vague piazza before the baroque facade of San Carlo, have all
smudged the profile of this street, which, in the sixteenth century, was no
less tight than straight. Moreover, it was handy, skirting the ghetto to link
the fishmongers’ square at Pescheria to Piazza Giudia. It then passed the palace
of the Santa Croce, Renaissance in spirit but, like Palazzo Venezia, still
half-medieval in shape, with an ornamental square tower today lopped short. The
Santa Croce, banished by Sixtus IV, had lost their houses; readmitted, they
threw up this palace, with its elegant diamond-studding on the wall. As the
Nolli map shows, heading northwest, the street, at a bivio (a fork), slotted
into Via Giubbonari, a curving passage today still narrow. Joseph Connors, in
his “Baroque Urbanism,” discusses the extremely ancient streets of this part of
Rome, pointing out how they wander eastwards from the bridge from Hadrian’s
Tomb, now Castel Sant’Angelo, forking as they go.1 The Renaissance papacy used
these roads often, as a way to San Giovanni in Laterano and across Rome, and
palaces of the early Renaissance clustered along them. For our nocturnal
misdeeds, the wide network mattered little, but the local Strada Dritta bore
much social traffic. Our louche central character straddled lines—moral,
social, sexual, and religious. A liminal man, he was and is hard to place, and
his actions, crossing boundaries ethical and social, remind us not to put Rome
and Romans into boxes. His name reveals his hybrid nature—Ludovico Santa Croce.
At first glance, nothing strange there, but, as genealogies show, the civic
noble Santa Croce, descending, they believe, from Publius Valerius Publicola,
anti-Tarquin and one of Rome’s first consuls, in the sixteenth century named
their children almost exclusively from Livy, Sallust, and Tacitus: not a
Ludovico in sight. Moreover, law courts called him “the son of the late
Giovanni Antonio de Franchi” so, if he was a Santa Croce, the noble house
somehow adopted him.2 A friend, aware of this f limsy identity, says of him,
“The said Messer Ludovico si fa romano de casa de Santa Croce et per romano il
tengo.”3 Close reading: the friend does not call him a Santa Croce: just “si
fa”—“he claims to be”; the friend readily affirms his Roman identity but, as to
family, balks. But Ludovico, clearly, grew up some at the family’s palace. A
friend recalls: “I have known him for more than twelve years in Rome and I knew
him when he was a lad [ putto] here at the Santa Croce [qui alli Santa
Croce].”4 Magrino, the witness, a very recent Jewish convert (Feast of the
Annunciation, 1556), testifies not at the prison as is usual, but at home, asIn
bed with Ludovico Santa Croce 127he is sick, and with his “here at the Santa
Croce” shows how, now fatto christiano, he has moved a mere block or so beyond
the ghetto gate at Piazza Giudia to lodgings near the Santa Croce palace.
Ludovico is sufficiently Santa Croce that, back in Carnevale of 1557, a noble
Santa Croce helped bail him out of prison.5 But he is no signore; his cronies
call him messer instead. This title f lags both his status and its ambiguity.
In 1557, at his first trial here, Santa Croce is “about twenty-six, as he
asserts.”6 If so, then either his friend Magrino knew him longer than twelve
years or, back then, age fourteen, he had become a fairly lanky putto. He was
born in 1531 or so. By 1565, at the second trial, he would be thirty-four. No
sign of a marriage. His loves, we will see, were all casual, among the whores.
No sign, either, of a craft, trade, or civic office. He probably still lived at
the palace as, for sex, he took his hireling women to the bathhouse (stufa) or
bunked down with them at friends’ and seldom, if ever, took them home. So how
did he pass the days? He hung out at the Pescheria, the fish market at one end
of the Strada Dritta. And the company he kept: fishmongers, Jews, and recent
converts. Plus prostitutes. He ate, drank, caroused, and got into abundant
trouble. In 1565 the court asks for his criminal record: I have been in prison
three or four times, here in Tor di Nona and in Corte Savelli. I don’t remember
why. And his lordship asked him that he at least tell for what crimes and
excesses he was investigated and tried. He answered: I cannot remember things
that are fifteen or sixteen years old, but I know well that I have not been
under investigation either for homicides or for ugly things [cose brutte]. It
is true that I remember that I was in jail in Corte Savelli for having had a
brawl with another gentilhomo, and for it I paid ten scudi to Messer Pietro
Bello.7 Here, Ludovico is as evasive as his memory is fuzzy; cose brutte indeed
came up in court. The court asks after a jailbreak.8 The fight was probably in
Carnevale, 1557, when Pietro Bello was a judge on staff.9 In June, 1563,
Ludovico was wounded in a brawl where he, a reluctant fighter, stabbed a
spice-trader in the chest.10 In a trial of another unruly gentleman, the court
asks the suspect’s serving woman if her master ever wanted to kill our
Ludovico. “I don’t know,” she says, “but know that the said Ludovico was
wounded once and that [my master] Pietro de Fabii rejoiced.”11 So Ludovico is a
man on many margins. A self-proclaimed gentilhomo, he haunts the edge of his
foster-family, in a neighborhood strung between Jews and Christians, and his
socializing crosses boundaries of station, ethnicity, family, community, and
moral action. So let’s join him for the evening. We begin not along the Strada
Dritta, but atop Piazza Navona, by Torre Sanguigna and the Pace church, with
two Christians, doublet-makers both. It was before Christmas, 1556.12 Antonio
Scapuccio and Mario di Simone came offwork at the Ave Maria sunset bell. Mario,
aged twenty, lived across town, by Santissimi Apostoli. With Antonio he went
back three years, from their work.13 As for Ludovico, Antonio had known him since
childhood: “at the time I and he were lads, we had a close friendship.”14
Antonio, via Ludovico, knew that Fabritio, another convert, kept a house where
friends gathered. “Antonio brought me to the house of Fabritio,
Jew-made-Christian, who sells ironware.”15 When the doublet-makers arrived,
Ludovico was there, with Magrino, and one Giulio Matuccio, and the host,
Fabritio.16 So began their evening. “We all decided, in agreement, to go find a
Signora called Vienna Venetiana, friend of the aforesaid Giulio Matuccio.”17
Mario adds: And when we were at Vienna’s house—she lived at Torre Sanguigna—
Antonio Scapuccio knocked on the door, and the mother, if I remember, said that
she had hurt her arm and could not keep us company, and that we should let her
off.18 Torre Sanguigna was far from Ludovico’s haunts. “We left and went to a
pie-shop, also near Torre Sanguigna, and got ourselves a pasticcio. And I don’t
remember which of us paid for it.”19 Magrino, a convert, adds that the pie
contained a shoulder of pork.20 Ludovico stepped in, announcing as they walked:
let’s fetch my whore!21 So entered Betta, a cortigiana grande, says Mario,
meaning not a top-rank prostitute, but, as Magrino says disparagingly, a big
tall woman—“una donna grande longaccia.”22 Betta lived near the stufa of
Felice, near the Cavaglieri family palace, two blocks north of the strada
dritta.23 As the five trailed after him, Ludovico vaunted his sex with her: And
Ludovico said it again, while he was going with us for that woman, and he was
heading to knock on her door . . . that last night he had slept with
this woman, and he said that she had a fine ass and that it gripped firmly.24
At Betta’s lodgings, the men remained outside. Ludovico called or knocked and
the prostitute came down, and, oddly, if she really had slept with him the
night before, in error she embraced the wrong man, as if Ludovico, though a
gentilhuomo, was hard to tell from the company he kept.25 “And we asked her if
she wanted to come to dinner with us, showing her the pasticcio, and she said
yes, and came away. And going down the street Messer Ludovico and she went arm
in arm.”26 The passage illustrates handsomely some workings of Roman
prostitution. Note how complex were the exchanges between these women and their
customers. Roman prostitution was seldom simple sex for plain cash. Like many
transactions in the economia barocca, it had wide bandwidth and complex
linkages forward, backward, and across society.27 Betta here accepted a promise
of food and entertainment, and furnished public gestures of affection, a gift
to Ludovico, who could f launt her to posse and to street.In bed with Ludovico
Santa Croce 129The party, with Betta making seven, retired to Ludovico’s
hang-out, the inn at Pescheria, called after its owner Domenidio.28 It was some
hour after nightfall.29 “All of us, in company, went to dinner at the aforesaid
inn, and we brought with us a pasticcio, and we ate.”30 To this osteria,
patrons readily brought food. After dinner, the whole group went to spend the
night at Fabritio’s dwelling, near Ludovico’s own house, where Ludovico, other
times that winter, sometimes brought women: “in the time that he was made
Christian . . . he lent me the room.”31 On the way, the men say,
Ludovico again boasted of anal sex with Betta.32 The room had but a single bed;
Fabritio, leaving the bed to his gentleman guest, hospitably withdrew to a
little attic, a solarello —“no great thing”—and slept.33 Magrino “gave the
command to fetch from home a mattress, which we threw on the f loor.”34 Ludovico
and Betta undressed at once and slipped under the covers.35 There was a bed
curtain. It would have had many colors, and it was mine [Magrino’s]. And to a
question he answered: It was not spread around the bed but gathered to one
side.36 Ludovico, in his account, avers that the curtain was draped around the
bed. 37 While Magrino settled somehow on a chair, clothed, to spend the night,
the two doublet-makers and Giulio huddled on the mattress. Ludovico, meanwhile,
lay snugly in one convert’s bed and another convert’s hangings, in a convert’s
house. “Before the light was put out we were all joking and chatting, and
Messer Ludovico told us please to put out the light.”38 And then, as men
settled for the night, Ludovico thrust his arm out from the covers, making a
letter “O” with his index and middle finger.39 Lest he shame Betta he said
nothing, Antonio avers, but Mario claims he boasted loudly.40 Mirth erupted.
Everybody laughed at that and said to one another, “He has fucked her in the
ass. Fire! Fire!”41 The stake, of course. And slim regard for Betta! What is
going on here? The social psychology of this scene is tangled. We have three
Christian artisans, two ex-Jews on the f luid boundary of the ghetto, and one
semi-gentleman half outside his noble family, a troop cemented, perhaps, by
Ludovico’s leadership, occasional largess, and arrant breach of sexual and
moral rules. All six men share in Betta’s humiliation. Ludovico parades his
transgression and the risks he runs and, laughing, the cronies applaud and,
vicariously, thrill to his vulnerability. Collusion cements this solidarity.
Ludovico and Betta were the first to fall asleep.42 Much later, say the others,
invited by Ludovico to join them in the bed, Magrino left the chair, climbing
in still clothed, and fell asleep.43And then awoke, jostled by the bounce of
sex. I could feel it when he was screwing her, and she had her bottom towards
Ludovico and she was turned with her face toward me. And it was one time that I
felt it, and I did not see him stick it in because it was no affair of mine. I
know well that he was screwing her, and he was shoving her towards me, so that
it made me wake up.44 Magrino is remembering events before Christmas, almost
nine months earlier. The trial took place in August, 1557, first at the
Inquisition, at the Ripetta. Halfway through, interrogations moved to the
prisons of the Governor of Rome. That is why this record survives. Precisely
two years later, when Paul IV died, Rome’s most tumultuous Vacant See broke
out. Mobs attacked the Inquisition’s Ripetta offices, burning the papers, and
ransacked the house of the tribunal’s notary.45 Later, Napoleon’s supporters
would destroy the Inquisition’s later trials, so a transcript such as this is
rare indeed. Both at Ripetta and later, this trial has a Holy Office feel; the
magistrates treated the courtroom as a confessional, sparing neither shame nor
feelings with their swift, intrusive questions. Why did the matter slip to the
criminal court? The crime in question, though moral and involving converts,
revealed no taint of heresy. Prostitution in mixed company was no crime and the
court was after anal intercourse. He was asked if on that night he the witness
heard the said Betta moaning and crying out, because the said Messer Ludovico was
having intercourse and fucking her [ futuebat] from the back. He answered: “I
could hear it when she was screwed the first time by Messer Ludovico. She was
crying out [si lamentava]. But one can cry out for several things.” And to a
question of me the notary he said: “She can cry out the way women do.” And I
the notary asked, “And how do women do?” He said, “They can cry out because it
pleases them and they can cry out because it hurts them too. But, one time, as
I said, I felt it when he screwed her.”46 When the Inquisition hauled her in,
Betta did her all to prove it wasn’t so. Her testimony about what went on in
bed surely did her little good, as, on point after point, she lied elsewhere
about her history with Ludovico, shown as far skimpier than others alleged. Her
testimony, earthy and vehement, catches well a prostitute’s voice in court. He
never did it to me in that place. It is true that Messer Ludovico told me to
turn around, that he wanted to do it cunt-backwards [a potta retro], and I told
him, “You want to trick me. You want to stick it in contrary-wise.” And he said
no, that he wanted to do it cunt-backwards, and so I turned around and he did
it to me cunt-backwards. I know where he went in, and if he was fooled, I was
not fooled.47In bed with Ludovico Santa Croce 131Betta appears twice in the
record. The first time, to cover for the weakness of her case, she regales the
judge with promises to live in virtue. If I had consented to the other way, it
would seem to me that God would not keep me on earth. And if I have done wrong
in one way, I don’t want to do wrong in the other. And if I get out of this I
want to go to Santa Maria di Loreto, and then to my home to do good works, and
I want to go this September. And if he wants to say that he did it to me from
behind against Nature, he is lying through his throat, and he is tricked, and,
me, I am not tricked, because I protect myself from this the way I do from
fire.48 The next morning, Betta, Ludovico, and most of the posse stayed.
(Mario, sleeping clothed, had slipped off early to his shop.)49 At breakfast,
the boasts went on: She never heard a word when Messer Ludovico told us that he
had twice screwed Betta in the ass, but he said it at length to us. He was
asked if the said Betta was at the table eating with them, how could Ludovico
have said those words, since they could be heard by Betta. He answered: I will
tell you. We were kidding Ludovico . . . and when he said it at the
table she had not yet sat down.50 As current events show sadly, Renaissance
Italy was hardly the only place where, for some admirers, the swaggering abuse
of women gives callous men allure. Jump eight years ahead. It was 1565, not
1557, and Ludovico was now some thirty-four years old. Still unmarried, still
at loose ends, he haunted the same tight quarter, up to little good. He had a
new entourage; none of the same men turn up. At the center, as ever, sat that
osteria of Domenidio, in Pesheria. His cronies were, this time, two or three
fishmongers and one Cesare Vallati, son of the civic noble family that owned a
palace on the square, facing its ghetto gate. The Vallati house still stands,
pared back to its medieval core, which now bears sad plaques about Roman Jewish
deaths at Nazi hands. Cesare was gentleman enough to hold, they said, a civic
office.51 On Friday, November 23, the friends stirred up dinner at the inn.
Meo, fishmonger, says: Ludovico Santa Croce came to me, as I was in Pescheria.
It may have been a half-hour after dark, and he asked me if we wanted to go to
dinner together at the osteria of Domenidio. I said yes and so I picked up some
fish, and along with Grillo and Ludovico we went to the osteria of Domenidio,
and while we were setting up to eat Cesare arrived and said, “I want to eat
with you,” and so he too sat at the table and we were four in all.52Meo reports
that, when he left his fish-bench, he brought sardines, while Grillo fetched
clams.53 In the midst of dinner, “a Jew”—nobody names him, ever— joined the
group; no sign he ate with them.54 After dinner, except Grillo, all left
together. “Let’s go to the house of my whore,” said Ludovico. “We said, ‘let’s
go!’ and Cesare said, ‘I want to join you.’”55 The court asks later, did Cesare
and Ludovico go with sword in hand?56 Probably. The men took the strada dritta,
the ghetto to their left, the Santa Croce tower to the right, over to Il
Crocefisso, behind or under where the big church of San Carlo later stood.57
Ludovico’s woman of the month was Olimpia, who, it turned out, was off with an
amico, a regular of hers, who, she says, felt ill, so she headed homeward with
a Lorenzo stufarolo in tow.58 But when Ludovico and his cronies arrived, only
the house’s mistress, Lucretia, was yet home. Olimpia calls Lucretia the house
padrona; in court, Ludovico will call her a whore, whom he has known for years,
presumably hooking up with tenant after tenant.59 At Olimpia’s front door, the
four men, masking voices and pretending to speak Spanish, shouted, “Open up the
door!” Lucretia: “They banged six or seven times, for I was not of a mind to
open, ever.”60 At last I went to the window and told them that I did not want
to open for them under any circumstances, and told them to change their talk
because no way could I not recognize them. I knew them just fine, but, with my tenant
not home, and because, I knew, they wanted nothing of me, I had no intention of
opening for them. Instead, I said, I would throw water on their heads if they
did not get away from the door.61 The four men loped east to Via dei Chiavari,
still in Lucretia’s sight.62 There they encountered a second Lucretia. Wife of
wealthy Cyntho Perusco, and mother of two children, she was returning with a
servant—but with no light, lest she be seen and recognized—from a call on her
procurator.63 Two men armed with swords and daggers, with their swords under
their arms and the daggers in hand unsheathed, came at us and at once they
stopped me and one of them put his hand to my neck, feeling my neck, thinking
that perhaps I had some chain necklace or string of gems.64 And I said to them,
“I am a poor woman. What do you want of me?” And I was screaming, “Thieves
thieves!” When they heard that, they let go of me.65 Giovanni Maria, the
servant, thought he recognized one of the four assailants: “Ah Meo, why are you
doing this to us?”66 Meo at once hid his face behind his cape.67 Giovanni
Maria’s assailants, Meo and the Jew, grabbed him. “They were holding on to me
and they told me to keep silent, and they held the naked daggers to my neck.”68
The assailants released their quarry, only brief ly. Lucretia will tell the
Governor: “When we had walked three or four paces, the same men,In bed with
Ludovico Santa Croce 133with some others, made a circle around me and some of
them grabbed me from one side and some from the other, putting their daggers to
my throat.”69 Giovanni Maria tells the Governor: “they began punch me and shove
me and they threw me to the ground.” 70 Adds Lucretia: And they took from him a
pouch. In it were ten giulios, between testoni coins and giulio coins, and a
gold ring that was mine, with a Jesus on the top, and on the bottom, there is a
“claw of the great beast” [a fabled stone with curative powers], which was also
in that pouch, and they took from it also the belt and a handkerchief. The ring
contains 18 giulii of gold.71 Giovanni Maria adds that the pouch had been tied
to his waist and that Lucretia had removed her ring to wash her hands.72 One of
the band of four, almost certainly Cesare Vallati, as Ludovico was by now no
youngster, may have had second thoughts: When this [theft] was done one of
those youngsters took me by the hand and told me, “Come here. I promise you as
a gentleman that I will not hurt you.” And he asked me, who was that woman. And
I told him that she was not for them, and that they should let her go, and that
she was the wife of Messer Cynthio Perusco.73 Ludovico had other ideas. One of
the two underlings, probably not the Jew but Meo, asked him “Messer, what are
we to do?” “Carry her off, carry her off!” 74 And they tried with all their might
to lead me to a house, for they took me by force and they dragged me
. . . But I cried out, “Thieves! Thieves! Is this how you assassinate
people in the street!” And I told them that I had nothing on me and that they
should come to my house, that was near there.75 The assailants hauled Lucretia
into an alley.76 Lucretia was convinced that they wanted to drag her to a
stufa, a bath house of the sort Ludovico haunted. As they pulled her, Lucretia
fell in the mud, losing her pianelle, her clogs. “She told them that her clogs
had fallen off, and they told her to keep walking, and they were making her
walk up that alley, leading her, as there were three or four around her.” 77
And then, providentially, down the alley came two men, in front a servant with a
torch, and, behind him, his master, Agostino Palloni, a man of substance whose
house stood close to the Santa Croce palace.78 And when the light arrived, I
recognized the gentleman, and I begged him for the love of God to help me. And
while I was saying those words, one of those young men, who had dragged me, as
he thought that the light was not coming from that side and that he would not
be seen—Messer Agostino recognized one of those young men, who is called Cesare
Romano.And at that Messer Agostino said, “Ah Cesare, what are you doing [che
fai]. What is this! Do you see that you [tu] are doing wrong?79 Turning towards
Agostino, says Giovanni Maria, Lucretia tripped on an iron grate and once more
fell and then, as supplicant, grasped his cape: “Ah, Messer Agostino, don’t
abandon me . . .!”80 Agostino, Lucretia, and Cesare then stood
together, a threesome. First off, Cesare, to catch his social balance, tried to
place Lucretia as a Roman matron. Then Agostino did the same. Giovanni Maria
tells the Governor: The man whom Agostino had called Cesare asked Madonna
Lucretia if she knew Cyntho Perusco. She said, “Yes, I know him, and I have two
children with him, and he is my husband.” And Messer Agostino asked Madonna
Lucretia if she knew Messer Francesco Calvi, and she said yes, and if he came
to her house with her she would show him her daughter.81 Gentleman to
gentleman! Cesare Vallati, in night’s shadow, had strayed well outside his
class’s code of conduct, and Agostino’s torch jolted him back from the abyss. He
switched codes as nimbly as he could. Then Messer Agostino turned to Cesare and
told him, “Cesare, son, you have done wrong.” And then Cesare told Messer
Agostino to leave, and said that he would have Madonna Lucretia escorted by a
servant of his.82 No such thing happened, of course. After questions to
Lucretia about how she came to be out after dark, Agostino, with his torch and
serving man, conveyed them both back home.83 At her window, the other Lucretia,
the madam, had seen and heard the fracas. Outraged, woman to woman, she strove
to allay the trouble. I heard a woman who was starting to scream, and when I
looked toward where I heard that cry, I looked and saw a woman with a man, and
she was screaming, “What do you want with me, brothers, pull the door rope for
me, pull the door rope for me!” and when I heard those words, I feared it might
be some neighbor, and I knocked on the window of Diana and told her, “Listen to
your sister who is screaming,” and she answered, “My sister is here at home.”84
While Cesare and Agostino parleyed, the other three miscreants probably crept
away, and soon, all four were back at Olimpia’s door. This time they had luck,
as Olimpia turned up, with Lorenzo her bathhouse worker, and his lute. “I came
back home and I found Ludovico Santa Croce there at my door, along with Meo the
fishmonger and with two others whom I did not know, but there was aIn bed with
Ludovico Santa Croce 135Jew.”85 Lucretia opened for Olimpia and, willy-nilly,
in came all the others, with Ludovico, as usual, in the lead.86 Note Lucretia’s
version: At that moment, my tenant called Olimpia arrived, along with an amico
called Lorenzo the bathhouse worker, who played the lute, and I had to pull the
rope, and then there came in, along with my tenant, Ludovico Santa Croce, Meo,
Cesare Vallati, and a Jew.87 We learn from Olimpia several things. For one, the
Jew was a stranger, known only, presumably, by his obligatory Jew’s cap. For
another, Cesare Vallati had rejoined the crew. And, for a third, while she knew
Meo, Vallati, a stranger to her if not to the madam, was less central to
Ludovico’s habitual posse. Neither he nor the Jew had been part of the dinner’s
start; though locals, they were hangers-on. When the men entered, Lucretia, the
madam, upbraided them. “And when they were up the stairs, I said to them, ‘Oh
this is a fine state of affairs! Poor women cannot go in the street.’ And they
told me that they weren’t the ones who did it.”88 Lorenzo, with the lute, would
prove Ludovico’s undoing. The men all stayed a while in Olimpia’s room,
listening to him play. And then Ludovico led Olimpia off to the Santa Anna
stufa to spend the night. The other three escorted him down the block, then
went their separate ways.89 We catch a bit of the denouement via Barbara, Meo’s
ex-puttana, who, she tells the court, had after three years broken with him
because he owed her big money on borrowed goods. Barbara had moved to Monte
Savelli, just a block down-river from Pescheria.90 I went to bed without dinner
because I felt ill, and while I was in bed with Annibale the fish-monger I
heard passing in the street Cesare Vallati with other people whom I did not
see, and he said, “Your faithful servant, Signora Barbara, my heart!” I made no
answer.91 Annibale and Barbara went back, she says, three years; she swam as
easily among the fishmongers as a mackerel in the sea. But Cesare Vallati,
clearly, slipped through these same waters; in the intimate spaces of the city,
these men and women moved up and down class lines. Annibale, when asked, would
tell Madonna Lucretia what he knew about the crime. Small world!92 The very
next day, Madonna Lucretia sent her servant to scout the local bathhouses.
Lorenzo, the fellow with the lute, a paesano, led Giovanni Maria to Ludovico
and Meo, who would be arrested on Monday, together.93 At Olimpia’s, the four
men, said Lorenzo, had been “in a terrible mood and all of them distressed.”94
Agostino Palloni, meanwhile, refused to help Lucretia—“he sent word to me
through Cynthio that it wasn’t a gentleman’s role to accuse anybody, and that
was it was enough that I had suffered no harm.”95 Citing class solidarityhe
covered for Cesare Vallati, who either f led or ducked prosecution. The Jew,
luckily nameless, got away. We have neither a sentence nor knowledge what our
four villains did with the rest of their lives. Our story of status slippage
and hasty re-calibration, coarse male solidarity, callous abuse of women, and
female resilience models a careful reading of words, places, and actions, with
an eye to the density of webs and the fine-grained texture of lives in time and
space, to lay out the ref lexes with which Romans navigated their city.
Ludovico, uneasily perched on several margins, could build coalitions, trading
his noble connections, hospitality, slovenly rapaciousness, and access to paid
female sex and company for male support and applause. To Cesare he offered a
pathway down, to the others perhaps a step upwards. These male solidarities in
a moral grey zone show the porosity of Rome’s social boundaries and its
alliances’ often easy give.Notes 1 Connors, “Alliance and Enmity,” 208–09. 2
Archivio di Stato di Roma, Governatore, Tribunale Criminale, Processi (16o
secolo), busta 38, case 23, folio 568r: “Ludovicus de S. Cruce filius q. Io.
Ant. d. Franchis.” Henceforth, I give busta and folio only. 3 38.23, 559v:
Antonio Scapuccio, August 15, 1557, to a notary at the Holy Office. 4 38.23,
573r, Magrino, August 26, 1557, at home sick, to a notary. 5 38.23, 579v:
Ludovico cites Valerio Santa Croce and noble Mario Mellino. For Magrino’s
conversion at the Annunciation in 1555: 38.23, 573r, Magrino. 6 38.23, 568r. 7
Busta 103, 909r: Ludovico Santa Croce: “. . . costione con un altro
gentil’homo . . .” 8 103, 909v: “fregit carceres et unde exivit.” 9
38.23, 572v: “questo carnevale [1557] . . . messer Ludovico uscii di
pregione in Corte Savella.” 10 Investigazioni 80, 181v–183v, for 23–24, from
June, 1563. 11 38.19, 461v: “. . . se ne reallegrava.” 12 38.23,
577v: Betta: “. . . avanti natale.” 13 38.23, 562v-563r: for age and
employment; for the friendship and the workplace: 38.23, 562v–563r. 14 38.23,
559v: “eravamo regazi havevamo amicitia intrinseca insieme.” 15 38.23, 562v:
Mario: “Fabritio giudio fatto Cristiano che venne li ferri.” 16 We know little
about Giulio, never interrogated. Ludovico seems to place him among the
converts: 38.23, 570r–v: “Vi pratica in questa casa Julio Mattuzzo, Fabritio
doi o tre altri giudei facti christiani . . . de continuo li se ce
vengono giudei et d’ogni sorte de generatione.” But no other witness calls
Giulio a convert. 17 38.23, 563r–v: Mario. 18 38.23, 563v: Mario:
“. . . lei o la madre . . . disse che era ferita in uno
braccio et che non posseva abadarci et che lavessemo per scusata.” 19 Ibid.:
Mario: “. . . a un pasticciero pur presso Torre Sanguigna et
pigliassemo un pasticcio . . .” 20 38.23, 574r: “comprassemo una
spalla de porco.” 21 38.23, 564r: Mario: “. . . disse per la strada
che voleva pigliar detta cortigiana.” 22 38.23, 573v. 23 38.23, 563v: Mario:
“apresso la stufa de Felice presso li Cavalieri.” 24 28.23, 561r: Antonio
Scapuccio: “. . . ando con noi per dicta donna et voleva bussare la
porta . . . che haveva bravo culo et teneva bene.”In bed with
Ludovico Santa Croce 13725 38.23, 574: Magrino, for Ludovico’s call: “Messer
Ludovico chiamandola . . .”; 38.23, 564r: Mario: “credendosi di
abracciar messer Ludovico abraccio un altro in loco suo in cambio.” 26 38.23,
564r: Mario: “Mostrandoli il pasticcio et per la strada messer Ludovico et liei
andavano abracciati insieme.” 27 Ago, Economia barocca. 28 38.23, 560r: Antonio
Scapuccio: “l’ostaria de Domenidio in Piscaria.” 38.23, 574r: for the name’s
origin. 29 38.23, 564r: Mario, for the time. 30 38.23, 560r: Antonio di
Scapuccio: “tutti de compagnia . . . portassimo . . . un
pasticcio . . .” 31 38.23, 568v: Ludovico Santa Croce:
“. . . Fabritio giudio facto christiano apresso . . . [a]
casa mia nel tempo che e facto christiano et lui me impresto la stantia”; 38.
560r: Antonio Scapuccio: “presso la casa de Santa Croce.” 32 28.23, 561r:
Antonio Scapuccio for the boast: “et di poi che andassemo a magnar a l’ostaria
. . .” 33 38.23, 574v: Magrino: “un solaretto di sopra quale era poca
de cosa”; 38.23, 572r: Fabritio: “dormivo io sopra una solarello.” 34 38.23,
560r: Antonio Scapuccio: “. . . un matarazo quale lo buttassemo in
terra.” 35 38.23, 574v: Magrino: “. . . spogliati si misero sotto li
panni.” 36 38.23, 574v–575r: Magrino: “un paviglione che saria de piu colori
quale era il mio . . . radunato da una banda.” 37 38.23, 569r.
Ludovico claims to have closed the curtain: “mettevo il paviglione atorno.” 38
38.23, 564v: Mario: “et avanti che la lume fosse svitata stavamo a burlare et
ciancinare . . . che di gratia volessemo svitar la lume.” 39
38.23, 561v: Antonio Scapuccio: “. . . facendo un zeno con il deto
grosso et con il deto indice facendo uno O designando che lui haveva chiavato
nel culo dicta donna”; 38.23, 564v: Mario: “Dicendo forte con noi altri Nel
proprio facendo con il detto grosso et con il indice il tondo.” 40 38.23, 561v:
Antonio Scapuccio: “lui non diceva chiaramente per rispecto de dicta donna che
non volea svergognarla”; Loudly: Mario: “Dicendo forte.” 41 Ibid.: Antonio
Scapuccio: “. . . la chiavata in culo foco foco.” 42 38.23, 574v:
Magrino: “forno primi messer Ludovico et la donna.” 43 38.23, 574r: Magrino,
for sleeping clothed: “et io ancora dormi . . . vestito”; for much
later: 38.23, 560r: Scapuccio: “Giovanni Maria . . . dipoi a un gran
pezo . . . se ando a corigare nel medemmo lecto.” 44 38.23, 575r: Magrino:
“io ho inteso quando lui la chiavava et lei teneva le natiche verso Ludovico et
lei voltata con il viso verso di me et io una volta il sentia et io non lho
visto metter dentro perche io non ce ho tenuto le mane. So bene che la chiavava
et lui sbatteva detta [no noun] verso di me che mi fe svigliato.” 45 Hunt, The
Vacant See, 183–84. 46 38.23, 575v: notary and Magrino: “. . .
langere et lamentare eo quia . . . ipsam retro negotiabat et
futuebat. Respondit io sentivo che le quando fu chiava[ta] la prima volta da
messer Ludovico si lamentava. Ma si posseva lamentare de piu cose
. . . Si posseva lamentare come fanno le donne . . .
Se posono lamentare che li sappia bono et si posono lamentare che se li faccia
male ancora. Ma io una volta come o detto o sentito che l’habia chiavata.” 47
38.23, 577v: Betta, August 23, 1557: “lui mai ha fato in tal loco e e ben vero
che messer Ludovico mi disse che mi voltassi che me lo voleva far a potta retro
et io li disse tu me voi gabare tu me voi mettere al contrario et lui disse de
no che il voleva fare a potta retro et cossi io mi voltai et mi fece a potta
retro. Io so dove intro. Si lui se e gabbato non me sonno gabbata io.” 48
38.25, 567r: Betta, August 21, 1557: “. . . mi parrebbe che dio non
mi tenesse sopra la terra et se ho fatto male per una via, non voglio far male
per laltra, et si io ne esco voglio andare a Santa Maria de Loreto et poi a
casa mia a far bene . . . et se si gabba lui non mi gabbo io, perche
me ne guardaro come dal fuoco.”49 38.23, 565r: Mario. 50 38.23, 576r–v: “Lei
non intese mai parole . . . Noi davamo la baia a Ludovico .
. . quando lui il diceva a tavola lei non se ce era messa ancora.” 51
103, 911r: Ludovico: “me pare che sia cancelliero de conservatori.” 52 103, 906v:
Meo: “. . . voleamo andare a cena al’hostaria de domenedio insieme
. . . et cosi righai certo piscio et . . . andammo
alhosteria . . . et mentre voleamo cenare arrivo li Cesare
. . . lui se messe a tavola et cenammo tutti quatro insieme.” 53 103,
907r: Meo: “portai certe sarde . . . et Grillo porto certe telline.”
54 103, 907v: Meo: “un’hebreo . . . venne . . . mentre che
magnammo.” 55 103, 907r–v: Meo: “voliamo andar a casa della mia puttana et noi
dicemmo andamo et Cesare ancora disse io ve voglio fare compagnia.” 56 103, 911v.
57 The present Via del Monte della Farina was then Via del Crocefisso, named
for church, San Biagio del Crocefisso (or del Annulo), demolished circa 1617 to
expand San Carlo: Lombardi, Roma, 222; Delli, Le Strade, 339; Gnoli,
Topografia, 91; Adinolfi, Roma, 171. Olimpia probably lived towards San Biagio.
58 103, 913r: Olimpia: “da uno amico mio quella sera . . . tornai a
casa et trovai Ludovico Santa Croce li alla mia porta”; 913v for the name
Lorenzo. 59 103, 918r: Ludovico: “sono parecchi anni.” 60 103, 917r: Lucretia
the madam: “parlando spagnolo et contrafacendo il parlare loro solito
. . . apri qua la sporta che batterno sette o otto volte ch’io non li
volsi mai aprire.” 61 Ibid.: “. . . non li volevo aprire .
. . dovessero mutare parlare perche non potessi di non cognoscerli,
. . . ma per non ci esser’ la mia pigionante in casa et sapendo che
non voleano niente da me io non li volsi aprire anzi . . . haverci
buttato del acqua in testa se non si fussero levati dalla porta.” 62 Ibid.:
“correre verso li Chiavari.” 63 103, 889r: Lucretia the wife: “retornandome
. . . senza lume et con una cannuccia in mano per non esser vista ne
conosciuta.” One Cynthio Perusco lodged by the Minerva: Bullettino della
Commissione archeologica comunale di Roma 29, 15. One puzzle: on October 7,
1567, a Cinzio Perusci by San Marcello, not the Minerva, buried a wife named
not Lucretia but Ortensia. de Dominicis, Notizie biografiche, 275; And, at
court, (103, 899r) Lucretia appears as “Lucretia q. Petri”—no father’s family
name, no husband’s name. Is Lucretia a femina, a semi-wife? 64 Ibid., r–v:
Lucretia: “Doi armati . . . me si ferno incontro et subbito me
fermorno et un di loro me misse la mano al collo tastandomi il collo pensando
forsi ch’io havessi qualche collana o vezza.” 65 Ibid., v: “. . . io
son poveretta che volete da me strillando ai ladri ai ladri . . . me
lasciorno”; the servant confirms this and notes that other men were also
holding Lucretia: 103, 902r. 66 103, 902r: 25: “. . . perche questo a
noi.” 67 Ibid.: “se misse la cappa inanti il viso et pero non posso saper’ ne
poddi veder’ se l’era quel Meo.” 68 Ibid.: “. . . pugnali nudi
presso alla gola.” Why daggers? The gentlemen, with their swords, held
Lucretia. 69 Ibid.: Lucretia: “. . . un cerchio intorno et chi mi
pigliava da un canto et chi dal altro mettendomi li pugnali alla gola.”
Giovanni Maria: Ibid., 902r: “ci fermamo per paura.” 70 Ibid.: Giovanni Maria:
“. . . dar de i pugni et d’urtoni et mi buttorno in terra.” 71 103,
900r: Lucretia: “. . . con un yesu di sopra et di sotto c’e l’ongia
della gran bestia . . . ancho la cintura et un fazzoletto: che
l’anello ci e 18 giulii d’oro.” This “yesu” may have been a monogram. Giovanni
Maria confirms almost all these goods. 72 103, 902r–v: Giovanni Maria: “una
scarsella che io portava cinta. . . . a tenere lavandosi la mano
. . . messo in la scarsella.” 73 103, 902v: Lucretia:
“. . . vi prometto da gentilhuomo de non ti far dispiacer
. . . che non era per loro . . . che era moglie di Messer
Cynthio Perusco.” Cesare had yet to hurt the servant.In bed with Ludovico Santa
Croce 13974 Ibid,: Giovanni Maria: “messer che volemo fare . . .
menavola via menavola via.” See also Lucretia: 103, 899v: “menala su menala su
strascinala.” Why do we say Meo and not the Jew? Note Meo’s ongoing
relationship with Ludovico, their habit of joint action, plus that prompt
“Messer.” 75 103, 899v: Lucretia: “. . . con molta instanza di
menarmi in una casa che . . . per forza . . . me
strascinavano . . . a i ladri a i ladri a questo modo si assassina
alla strada, . . . che venessero in casa mia . . .” Why
this invitation? Probably demonstrate her station, not to proffer loot. 76 103,
199v: Lucretia: “per andare al arco delli catinari.” The present Via dei Falegnami
then was Via dei Catinari: Gnoli, Toponomia, 69. This Arco was demolished for
San Carlo ai Catinari: Gnoli, Toponomia, 11. 77 103, 903r: Giovanni Maria:
“. . . gl’era cascate le pianella . . . diceano che
caminasse . . . la faceano camminar . . . tre o quattro
attorno.” See also Lucretia: 103, 899v: “cascai in terra in un fangho et
lasciai li pianelle.” 78 For Agostino Pallone’s house, see Cohen and Cohen,
Words and Deeds, 136. For the two men: 103, 903r: Giovanni Maria: “arrivò quel
che portava la torcia accesa et . . . mr Agostino Palone
. . . per il medesimo vicolo.” In 1577, Agostino would be buried in
Santa Maria in Publicolis, the Santa Croce family church: de Dominicis, Notizie
biografiche, 267. 79 103, 899v–900r: Lucretia: “. . . cognobbi detto
messer . . . per l’amor de dio che me aiutasse . . .
pensandosi che il lume non venesse da quella banda et de non esser visto detto
mr Augistino cognobbe . . . Cesari romano, al quale disse Mr.
Augustino ah Cesari che fai, che cosa e questa[!] . . .” 80 103,
903r: Giovannia Maria: “casco con una gamba in una ferrata et . . .
se attacò alla cappa di Messer Augistino . . . Mr Augustino di
grazia. non me abbandonate per l’amor de Dio.” 81 103, 903r–v: Giovanni Maria:
“. . . se conosceva Cyntho Perusco, et lei disse si che lo cognosce
et ho doi figli con lui et e mio marito et . . . se la conosceva
messer Francesco Calvi et lei disse de si . . . se li andava in casa
con lei che li mostraria la figlia.” 82 103, 903v: Giovanni Maria:
“. . . Cesari figlio tu hai fatto male . . . che andasse
via che farria accompagnare Madonna Lucretia da un suo servitore.” 83 Ibid.;
Lucretia: “m’accompagno con la torcia.” 84 103, 917r–v: Lucretia the madam:
“. . . guardai et viddi una donna con un’homo che cridava: che diceva
che volete da me fratelli che volete da me fratelli et diceva tiratimi la corda
tiratimi la corda . . . dubitando io che non fusse qualche vicina, io
bussai alla fenestra della Diana . . . senti quella tua sorella che
crida . . .” “Tiratimi la corda” here refers to Lucretia’s door-rope:
“open up for me!” with a dative. 85 103, 913r: Olimpia: “. . . trovai
Ludovico Santa Croce li alla mia porta assieme con Meo pescivendolo et con doi
altri . . . ci era un’hebreo.” 86 Ibid.: Olimpia: “. . .
Ludovico fu il primo”; 103, 918: Ludovico Santa Croce: “il primo io d’intrare
in casa.” 87 103, 917r: Lucretia the madam: “. . . Olimpia insieme
con un’ suo amico che si chiama Lorenzo stufarolo, quale sonava di liuto. Et me
bisogno tirar’ la corda et alhora intro . . . Ludovico Santa [Croce]
Meo Cesar Vallati et un hebreo.” 88 103, 917v: Lucretia the madam:
“. . . o bella cosa, le povere donne non ponno andare per la strada
et loro dissero che non erano stato.” 89 103, 913v: Olimpia, “Meo et l’altri ci
accompagnorno sino alla stufa et poi se ne andorno con dio”; 914v: Meo:
“insieme alla stufa et poi io me ne tornai a casa mia e Cesare e l’hebreo
andorno a fare i fatti suoi.” 90 103, 922r: Barbara claims Meo has been her
amico for three years; 103, 904r: Barbara: “e un mese ch’io l’ho lassato perche
non mi piace piu l’amicitia sua et perche ha dieci scudi delli mei in mano.”
Monte Savelli is today’s Teatro di Marcello, now stripped bare by archeology.
91 103, 922r: Barbara: “me ne andai a letto senza cena perche io me sentivo
male et mentre ch’io stavo a letto con Annibale pescivendolo sentei passare per
la strada Cesare 92 93 94 95Vallata con altre genti . . . et disse
servitor’ Signora Barbera cor mio ch’io non li resposi altrimente” 103, 914r:
Giovanni Maria: “madonna Lucretia domando a . . . pescivendolo
predetto per che causa fussi preso questo messer Ludovico et . . .
rispose che fu preso perche haveva preso una donna nella strada.” 103, 905v:
Meo, on Tuesday: “io fui preso hiermatina in Ponte ch’io non so perche causa
assieme con Messer Ludovico Santa Croce.” 103, 901r: Lucretia the wife: “et che
stavano molto di mala voglia et tutti afflitti.” 103, 900v: Lucretia: “lui mi
mando a dir per il detto Cynthio che non era offitio da gentilhomo di accusar
nesuno e che mi bastava che io non havessi ricevuto mal nesuno.”Bibliography
Archival sources Archivio di Stato di Roma, Governatore, Tribunale Criminale
Processi (16° secolo), busta 38, case 19 Processi (16° secolo), busta 38, case
23 Processi (16° secolo), busta 38, case 25 Processi (16° secolo), busta 103Publisd
sources Adinolfi, Pasquale. Roma nell’età di mezzo, rione Campo Marzo, rione S.
Eustachio. Florence: Le Lettere – LICOSA, 1983. Ago, Renata. Economia barocca:
mercato e istituzioni nella Roma barocca. Rome: Donzelli, 1998. Bullettino
della Commissione archeologica comunale di Roma 29 Cohen, Thomas V. and
Elizabeth S. Cohen. Words and Deeds in Renaissance Rome. Toronto: University of
Toronto Press, 1993. Connors, Joseph. “Alliance and Enmity in Baroque
Urbanism.” Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana 25 (1989): 207–94. de
Dominicis, Claudio. Notizie biografiche a Roma nel 1531–1582, desunte dagli
atti parrocchiali. Rome: Academia Moroniana, n.d. Delli, Sergio. Le Strade di
Roma. Rome: Newton Compton, 1975. Gnoli, Umberto. Topografia e toponomastica di
Roma medioevale e moderna. Rome: Edizioni dell’Arquata, 1984. Hunt, John M. The
Vacant See in Early Modern Rome: A Social History of the Papal Interregnum.
Leiden: Brill, 2016.8 AESTHETICS, DRESS, AND MILITANT MASCULINITY IN
CASTIGLIONE’S COURTIER Gerry MilliganIn two unrelated sixteenth-century texts,
a Renaissance prince was described as vulnerable to assassination because of a
f lawed fashion judgment. In his Historia patria (published 1503), the courtier
Bernardino Corio recounted that just before Galeazzo Sforza left his castle on
December 26, 1476, he put on and then took off his corazina because he felt
that the chest armor made him look “too fat.”1 The lack of armored protection
was crucial as Galeazzo was famously stabbed to death during mass later that
day. In his analysis of the event, Timothy McCall provocatively suggests that
Galeazzo’s fatally bad judgment was determined by fashion; Galeazzo, according
to McCall, was inf luenced by the growing pressure to conform to cultural
expectations of a slim masculine figure.2 Sixty years later, a Florentine
prince was murdered by stabbing, and similar to the description of Galeazzo
Sforza, a chronicler of the episode points to clothing’s role in the affair.
Benedetto Varchi’s Storia fiorentina (incomplete at his death in 1565) recounts
that just before Duke Alessandro de’ Medici left his bedchamber on the night of
his murder in 1537, he contemplated whether he should wear his gloves “da
guerra” (for war) or his perfumed gloves “da fare all’amore” (for making
love).3 According to the story, Alessandro chose the love-gloves as they better
matched his sablelined cape and were suited to his planned sexual escapade. He
apparently chose unwisely. Elizabeth Currie argues that Varchi added this
presumably invented anecdote about gloves in order to communicate—through
sartorial metaphors—the gap between Duke Alessandro’s expected dutiful behavior
and his actual irresponsible conduct.4 To Currie’s analysis, I add that the
glove anecdote also participates in what had become a literary pattern of
associating men’s clothing with physical weakness. If, in the first episode,
the author indicates how a soft doublet made Galeazzo defenseless to the knife
blade, in the second, the writer implies that the outcome of Alessandro’s
evening might have been different had the princechosen his gloves “da guerra.”
The two historiographical accounts of Galeazzo’s and Alessandro’s murders
underscore not only the high stakes of men’s clothing choices but the
relationship between literary representations of dress and elements of
masculinity. Varchi, like so many writers of the fifteenth and sixteenth
century, chose to articulate men’s dress as integral components in
representations of violence, war preparedness, moral virtue, and sexuality.
Clothing was thus fundamental to Renaissance discourses of masculinity. While
masculine subjectivity as performed through dress has been the focus of several
excellent studies by fashion and art historians, what has gone somewhat
unexplored is how clothing functioned in such discourses of masculinity.5 Was,
for example, clothing presented as a symptom of men’s loss of masculine virtue
or did writers claim that clothing had a more active role in the imperilment of
men? Did so-called effeminate clothing cause men to weaken, or was it merely a
byproduct of a so-called anima effeminato? This essay will address these
questions by looking at the interconnection of male dress, effeminacy, and
militarism in Baldassare Castiglione’s Libro del cortegiano (Book of the
Courtier). I have chosen to concentrate on Castiglione’s Courtier because of
its prominent place in the history of dress and fashion as well as its role in
the history of masculinity.6 The Courtier presents male dress as a high-stakes
enterprise; a misstep in clothing not only had grave consequences for a man’s
reputation, it was also a question of life or death. Like the gloves of
Alessandro de’ Medici and the cuirass of Galeazzo Sforza, a man’s clothing
choice could lead to glory or personal injury, and it could also result in (at
least in Castiglione’s assessment) large-scale military defeat.Arms in the
Courtier Very early in the book, Ludovico da Canossa declares arms to be the
primary profession of the courtier [1.17].7 Yet, the privileged status of arms
is not a settled question, and it is destabilized during a debate of arms vs.
letters.8 The debate is framed by the same Ludovico, who asserts that the
French only respect arms and abhor letters. Ludovico extols the value of
letters by describing several successful military generals who trotted off to
battle with copies of the Iliad or other literature at their side. His examples
of successful and literary generals are offered as proof that the French were
erroneous in their belief that literature damaged a man’s ability to fight: “Ma
questo dire a voi è superf luo, ché ben so io che tutti conoscete quanto
s’ingannano i Francesi pensando che le lettre nuocciano all’arme” (1.43, p. 92)
(But there is no need to tell you this, for I am sure you all know how mistaken
the French are in thinking that letters are detrimental to arms) (1.43, p.
51).9 Ludovico’s accusation of the misguided French could as well have been
leveled against Italian contemporaries of Castiglione, since none other than
Niccolò Machiavelli himself was proclaiming that letters were injurious to arms
in both his Art of War as well as his Florentine Histories.10Contrary to the
view of the French (and Machiavelli), Ludovico proposes that letters are
beneficial to arms; letters bring glory, and glory inspires courage in warfare:
“Sapete che delle cose grandi ed arrischiate nella guerra il vero stimulo è la
gloria. . . . E che la vera gloria sia quella che si commenda al
sacro tesauro delle lettre” (1.43, p.92) (The true stimulus to great and daring
deeds in war is glory. . . . And it is true glory that is entrusted
to the sacred treasury of letters) (1.43, p. 51).11 When Ludovico notes that
literature, like the Iliad, could have a positive effect on soldiers, he shifts
the debate that began with the hierarchy of arms and letters to the correlative
and causative relationship between arms and letters.12 For Ludovico, arms and
letters are “concatenate” (conjoined) (1.46). Ludovico’s assessment of the
positive effects of letters on arms is troubled by the fact that France, at
least since 1494, had proven itself to be militarily superior to Italy. He
hedges his argument in a prebuttal, acknowledging that others might cite recent
French military success as evidence against his claim: “Non vorrei già che
qualche avversario mi adducesse gli effetti contrari per rifiutar la mia
opinione, allegandomi gli Italiani col lor saper lettere aver mostrato poco
valor nell’arme” (1.43, p. 93) (I should not want some objector to cite me
instances to the contrary in order to refute my opinion, alleging that for all
their knowledge of letters the Italians have shown little worth in arms) (1.43,
p. 51). To this objection, Ludovico states that the defeat of literate Italians
by illiterate French is the fault of only a few men: “la colpa d’alcuni pochi
aver dato, oltre al grave danno, perpetuo biasimo a tutti gli altri” (1.43, p.
93) (the fault of a few men has brought not only serious harm but eternal blame
upon all the rest) (1.43, p. 52). The debate of arms and letters in the
Courtier raises two key points for my analysis on dress and militarism. The
first is that there is an anxiety among the speakers that the actions of a “few
men” can bring shame on all men.13 The book’s project of social control depends
in great part on this anxiety. Indeed, the belief that massive military defeat
was caused by a few deviant men gives urgency to the entire masculine
normativizing process (i.e., the ideal courtier). The second point, related to
the first, is that men’s ability to win wars could be affected (positively or
negatively) by what are presumably unrelated aspects of a courtier’s masculine
identity. Throughout the Courtier, not only letters but music, dance, and of
course dress are all placed in a context of their relationship to warfare.14
When, for example, one speaker condemns music as effeminate, another will
anxiously argue that music stirs soldiers to combat, and thus it is rightfully
masculine (I.47). The book delineates the court and the battlefield as discrete
yet interrelated spaces. The courtier-soldier is expected to shuttle between
the two while performing hegemonic masculinity in both.15 The challenge is that
certain practices of masculinity were viewed as causing a negative effect in
one or the other space. The battlefield, in particular, is shown as vulnerable
to the presence of courtly practices. Analogously, the court’s refined spaces
were shown as incompatible with certain military behaviors.16 Nonetheless, the
court often measured itself against a functionality in war (e.g., music was
useful in war) just as men in court adopted martial aesthetics (e.g., court
dress was an adaptation of the military tunic).17 There thus arises a tension
within the Courtier between the masculinity of courtly practices and the
masculinity of warfare, and this tension is routinely expressed as a fear that
practices at court are deleterious to combat. The speakers never clearly
articulate how dress, letters, and music might endanger war tactics and
strategies, but they do repeatedly imply that refined behavior threatens
masculinity. The reader is then left to leap the epistemological gap that
assumes such a claim to be true. The cumulative effect of this rhetorical
technique is that a fear of effeminacy underlies the entire project to produce
an ideal courtier, and this fear is often articulated in terms of dress and
aesthetics.18Aesthetics and masculinity before Castiglione The association of
men’s dress and aesthetics with effeminacy has a literary tradition that
stretches at least back to Classical antiquity. Craig Williams’ groundbreaking
text, Roman Homosexuality, provides scores of ancient examples of writers
reproaching men’s aesthetics. In Roman texts, clothing, perfumes, and grooming
habits were frequent subjects of scorn. According to Williams, men’s aesthetics
were invoked as part of accusations of effeminacy in what was consistently a
reproach of men’s loss of dominion and self-mastery.19 More recently, Kelly
Olson’s Masculinity and Dress in Roman Antiquity has provided a systematic look
at dress in ancient Rome, and she usefully pinpoints specific elements of
dress, perfumes, and grooming to show how the Roman man “walked a fine line”
between expected grooming and dressing practice and what was considered
effeminate.20 As we move into the Middle Ages and Renaissance, writers adopted
these Classical condemnations of men’s dress and added their own brand of
Christian morality. Renaissance legal codes and prescriptive literature
justified the regulation of male dress under the auspices of protecting state
expenditures, preventing deviant sexuality, or ensuring the salvation of the
soul.21 For example, Francesco Pontano (f l. 1424–41), a professor in
republican Siena, attacked male hair styling, cosmetics, and ornate garments as
a civic and Christian moral problem.22 In his treatise Dello integro e perfetto
stato delle donzelle (On the whole and perfect state of girls), a work written
primarily about women’s vanities, the author states that “vain and superf luous
ornament” should be disdained by all males “who want to be called real men.”23
Certain men, he states, do not care if they are esteemed as masculine, and thus
they spend extraordinary amounts of time on hair and skin care.24 He complains
that men multiply the effect of their grooming habits by fussing over dress as
well: “Ma i maschi moltiplicano questo errore or co’ lisciamenti or con
continui increspamenti di falde, e arrondolamenti de’ cappucci a diadema, e
infiniti altri loro frenetichi e babionerie” (But men multiply this error,
sometimes using cosmetics and at other times with their continual ruff ling of
crinoline and swirls of hoods in the shape of a tiara, as well as their
infinite other frenzies and buffooneries) (Pontano 22). For Pontano, so-called
luxurious dress muddied the gender binary as well as presented a peril to
Christian morality since, as he states, vanities and ornament debased men, who
were “made to be equal to the angels” to a status “below pigs.”25 Dress
imperiled the body and the very soul of men. Effeminate dress, he states,
showed disrespect for God. The crowd of ornate men “non crede che Dio sia, e
che non sia alcuno altro iudice che quegli del podestà ovver del capitano”
(does not believe that God exists, and that there is no other judge than the
podestà or commander) (Pontano 22). Pontano made so-called effeminate dress a
moral and theological issue. Similarly, other writers of the fourteenth and
fifteenth centuries voiced concern about the morality of dress with respect to
sexuality and class status. The chronicler Giovanni Villani (c. 1280–1348)
worried that men’s fashion could create dangerous alliances with foreign powers
and blur class differences, and San Bernardino da Siena (1380–1444) complained
that young men’s short tunics and tight hose were too erotic.26 Ironically,
those same tight hose were reevaluated in the sixteenth century as evidentiary
proof that the male youths of the past were uncorrupted.27 There has as yet
been no systematic study of the condemnations of men’s dress in early modern
Italy, but such a study would aid our understanding of possible thematic
shifts. Not only did the targets of these condemnations vary (e.g., short
tunics, tight hosiery), so too did the rhetoric used to vilify certain dress
undergo changes. There seems to be one significant moment in the history of
dress and masculinity at the beginning of the sixteenth century, when
condemnations of so-called effeminate male dress shifted from threats of
Christian imperilment to failed militancy.28 The anxiety over dress and
militarism had real-world implications such as the standardized military
uniform, just as it may have also inspired some unexpected rhetoric, such as
the praise of an unkempt look.29 Most importantly, it made the abstract notions
of dependency and autonomy visible; men’s clothing carried the meanings of
military victory or loss. Castiglione’s Courtier has a distinct place within
the normativization process of the militaristic masculine body as it is an
early—possibly the earliest— example of sixteenth-century rhetoric of
effeminacy, dress, and military defeat. Castiglione began writing his text
during the chaotic years between the invasion of France in 1494 and the Sack of
Rome in 1527. In this period of instability, he chose to point to certain
courtly behaviors, including dress, in relation to the military losses that
were still potentially viewed as reversible. The Courtier blames the
subjugation of the Italian people on certain refined masculine behaviors that
were otherwise unrelated to militarism, but so, too, it suggests that the
salvation of Italy lay in the hands of this same class of men, men who often
marked their class by the very dress that undermined their masculinity. There
are two moments in which Castiglione suggests that men’s clothing played a role
in military loss. I will analyze these passages along with other textual
examples of men’s aesthetics and dress to demonstrate that Castiglione is in
effect not only making pronouncements about dress but, more importantly, is
establishing a practice whereby men can redeem their masculinity through
speaking about the effeminizing power of aesthetics. The spoken condemnation of
courtly dress purportedly critiques gender and class structures, but like the
dress itself, this very speech is what marks the speaker as belonging to the
properly masculine elite.30Male aesthetics and dress in the Courtier Book One:
sprezzatura and gender nonconformity In Book One, the primary speaker, Count
Ludovico da Canossa, says that the ideal courtier should have a manly yet
graceful face. What is to be avoided, he exclaims with disgust, are certain
male grooming habits: [your face] has something manly about it, and yet is full
of grace. . . . I would have our Courtier’s face be such, not so soft
and feminine as many attempt to have who not only curl their hair and pluck
their eyebrows, but preen themselves in all those ways that the most wanton and
dissolute women in the world adopt; and in walking, in posture, and in every
act, appear so tender and languid that their limbs seems to be on the verge of
falling apart; and utter their words so limply that it seems they are about to
expire on the spot; and the more they find themselves in the company of men of
rank, the more they make a show of such manners. These, since nature did not
make them women as they clearly wish to appear and be, should be treated not as
good women, but as public harlots, and driven not only from the courts of great
lords but from the society of all noble men. (1.19, p. 27) Certo quella grazia
del volto, senza mentire, dir si po esser in voi . . . tien del
virile, e pur è grazioso . . . . di tal sorte voglio io che sia lo
aspetto del nostro cortegiano, non così molle e femminile come si sforzano
d’aver molti, che non solamente si crepano i capegli e spelano le ciglia, ma si
strisciano con tutti que’ modi che si facciano le più lascive e disoneste
femine del mondo; e pare che nello andare, nello stare ed in ogni altro lor
atto siano tanto teneri e languidi, che le membra siano per staccarsi loro
l’uno dall’altro; e pronunziano quelle parole così aff litte, che in quel punto
par che lo spirito loro finisca; e quanto più si trovano con omini di grado,
tanto più usano tai termini. Questi, poiché la natura, come essi mostrano
desiderare di parere ed essere, non gli ha fatti femine, dovrebbono non come
bone femine esser estimati, ma, come publiche meretrici, non solamente delle
corti de’ gran signori, ma del consorzio degli omini nobili esser cacciati.
(1.19, pp. 49–50) For Ludovico, the so-called effeminate courtiers are not by
nature “molle” (soft) or “ femminile” (feminine), but they work very hard (si
sforzano) to make themselvesappear to be so. Moreover, he links aesthetics to
acts of despised behavior, particularly obsequious dependency. This condemned
behavior occurs when, as Ludovico explains, men affect their appearance and
speech around other men of rank. We can situate these despised men within the
context of Ludovico’s own theory of sprezzatura. Coining a new term, Ludovico
describes sprezzatura as the art of “ciò che si fa e dice venir fatto senza
fatica e quasi senza pensarvi” (1.26, p. 60) (making whatever is done or said
appear to be without effort and almost without any thought about it) (1.26, p.
32).31 In the case of the men who plucked their eyebrows, curled their hair,
and augmented certain behaviors around men of rank, they have failed at this
art. Rather than concealing a performance, as sprezzatura demands, these men
drew attention to the act of ingratiating themselves to men of authority. Their
failed performance of sprezzatura thus resulted in the loss of reputation and
power, a point also made by Ludovico in his definition of the new term:
Accordingly, we may affirm that to be true art which does not appear to be art;
nor to anything must we give greater care than to conceal art, for if it is
discovered, it quite destroys our credit and brings us into small esteem.
(I.26, p. 32) Però si po dir quella esser vera arte che non pare esser arte; né
più in altro si ha da poner studio, che nel nasconderla: perché se è scoperta,
leva in tutto il credito e fa l’omo poco estimato. (1.26, p. 60) Successful
sprezzatura, on the other hand, offered the courtier an ability to perform a
“compelling” version of himself that masked a very different, perhaps less
putatively masculine identity.32 This “manly masquerade,” however, risked
pointing to both a fantastic masculine ideal as well as to the absence of that
ideal.33 Dress and aesthetics, or more precisely, the discussions of dress and
aesthetics in the Courtier, form a paradox in the logic of sprezzatura. When
the speakers complain of the “effeminate” dress or grooming habits of men, they
imply that some idealized masculine version of these men existed before the
offending grooming or dressing occurred.34 However, this anchoring of
essentialist manhood is dismissed in the Courtier. Instead, the speakers
reaffirm that since very few men are born with the qualities of the ideal
courtier, the ideal (read masculine) courtier manipulates his body, behaviors,
and dress. If the ideal courtier is therefore a man who must alter his person
in order to be masculine, then the ideal masculine pre-altered courtier—much
like the idealized Urbino court itself—is a pastoral fantasy.35 The men who
alter their hair and posture when among men of rank, in effect, draw attention
to this absence of essential masculinity in all but the rarest courtiers. These
men fail at a sprezzatura of masculinity not because they ornament themselves,
but because they have exposed the necessity of ornamenting themselves. It is so
great an infraction that Ludovico angrily condemns these men to be punished not
as women but as “public harlots.” Of course, the reference to prostitution is
significant for it foreshadows an episode (discussed below) in Book Four where
Ottaviano explains that all courtiers must use their bodies, speech, and
behavior to gain princely favors. The irony is that the principal difference
between the despicable groomed courtier with plucked eyebrows and the masculine
courtier with less apparently plucked eyebrows is solely aesthetic; both sell
themselves for favors. The offending behavior of the groomed courtier is
therefore that he has failed to conceal this economy.Book Two: foreign dress
and foreign occupation Given the gravity of the punishment that Ludovico doles
out to certain courtiers, it is apparent that a mistake in styling and grooming
could pose a serious threat to masculinity. Thus, choosing proper male dress
also caused anxiety for the upwardly mobile courtier. In Book Two, Giuliano de’
Medici expresses his personal difficulty regarding the variety of dress
available to men, and he asks for assistance “to know how to choose the best
out of this confusion” (2.26). Federico Fregoso responds to this question by
stating that men should dress according to the “custom of the majority.”
Fregoso then states that the majority of Italians wore the styles of various
foreign cultures and that these foreign fashions signaled which cultures would
dominate Italian men.36 But I do not know by what fate it happens that Italy
does not have, as she used to have, a manner of dress recognized to be Italian:
for, although the introduction of these new fashions makes the former ones seem
very crude, still the older ones were perhaps a sign of freedom, even as the
new ones have proved to be augury of servitude . . . Just so our
having changed our Italian dress for that of foreigners strikes me as meaning
that all those for whose dress we have exchanged our own are going to conquer us:
which has proved to be all too true, for by now there is no nation that has not
made us its prey. (2.26, pp. 88–89) Ma io non so per qual fato intervenga che
la Italia non abbia, come soleva avere, abito che sia conosciuto per italiano;
che, benché lo aver posto in usanza questi novi faccia parer quelli primi
goffissimi, pur quelli forse erano segno di libertà, come questi son stati
augurio di servitù . . . cosí l’aver noi mutato gli abiti italiani
nei stranieri parmi che significasse, tutti quelli, negli abiti de’ quali i
nostri erano trasformati, dever venire a subiugarci; il che è stato troppo più
che vero, ché ormai non resta nazione che di noi non abbia fatto preda. (2.26,
p. 158)Fregoso’s fashion advice poses a host of problems regarding identity and
autonomy. By suggesting that men “follow the majority,” he undermines agency,
sovereignty, and control, themes often repeated as central to masculinity by
fifteenth- and sixteenth-century authors. Manliness is the ability to look like
others, to disappear in the crowd; but it is also ironically defined as
following the crowd’s errors. For, as Fregoso states, the majority of Italians
have made a grave error and adopted foreign dress, which leads to invasion and
occupation.37 If fitting in is a masculine virtue, it could even mean
implicating oneself in Italy’s political and military losses. Fregoso’s concern
about foreign dress is a Classical trope that has considerable fortune in the
Renaissance, where French and later Imperial invasions were not infrequently
associated with foreign fashions. 38 The epistemological link of fashion and
invasion was so imbedded in the culture that even one hundred years after
Castiglione wrote his Courtier, the Spanish priest Basilio Ponce de Leon
suggested that God castigated Italy with invasion in 1494 precisely because
Italian men wore French fashions.39 Within the Courtier itself, foreign fashion
does not incur God’s wrath, but rather, it beckons other nations to “venire a
subiugarci” (come and subjugate us). Such a logic—where large scores of men
were responsible for invasion because of their fashion choice—stands in
contrast to Ludovico’s claim in Book One when he claimed that the collapse of
Italy was caused by a “few men.” Book Two thus broadens the guilty parties of Italy’s
subjugation from a “few men” to a “majority” of (upper class) men, who, like
Castiglione himself, were bedecked in the latest Spanish and French
trends.Books One and Two: fashion theory and agency The first two books are
differentiated also by the way they discuss men’s aesthetics. In Book One, for
example, there is no association between aesthetics and military loss. Ludovico
did not state that plucked eyebrows and curled hair brought about military
defeat. Rather, his complaint was limited to gender nonconformity. On the other
hand, Book Two draws a direct line between aesthetics (foreign dress) and
military failure. This shift from Book One to Book Two might be explained by
the general ideological difference that distinguishes the two books. Virginia
Cox has convincingly argued that Book One proclaims that a courtier’s virtue
ensures him success, while in the more cynical Book Two, success at court is
depicted as at the whim of the prince.40 In particular, military bravery is
praised only when it can be observed by others, particularly by the prince. To
risk one’s life when no one is watching would be a waste of one’s personal
resources. Virtue, therefore, is whatever the courtier makes seen in the eyes
of others. In the context of Book Two, where the courtiers participate in an
economy that trades in appearance of virtue rather than intrinsic virtue,
clothing takes a central role in masculine identity construction. It thus
follows that Fregoso attempts to draw a direct relationship between appearance and
essence. He statesthat one must be attentive to what type of man he wishes to
be taken for, and then act and dress accordingly, “aggiungendovi ancor che
debba fra se stesso deliberar ciò che vol parere e de quella sorte che desidera
esser estimato, della medesima vestirsi” (2.27, p. 160) (I would only add
further that he ought to consider what appearance he wishes to have and what
manner of man he wishes to be taken for, and dress accordingly) (2.27, p. 90).
Such action is necessitated by the belief that external appearance (including
mannerisms) communicates a person’s identity: “tutto questo di fuori dà notizia
spesso di quel dentro” (2.28, p. 161) (all these outward things often make
manifest what is within) (1.28, p. 90). The body makes legible the soul, and
this externalization of virtue and morality is problematized by the fact that
the courtier is taught to manipulate the body according to his fashion. One
speaker, Gasparo Pallavicino, pushes back on the theory that dress determines
personal character. He states that one should not “judge the character of men
by their dress rather than by their words or deeds” (2.28, p. 90). To Gasparo’s
comment, Fregoso responds that although deeds and words are more important than
dress, dress is “no small index” (non è piccolo argomento) (2.28) of the man.
Fregoso’s insistence that dress is ref lective of the essence of man is,
however, hard to reconcile with the fact that one’s projected image, as Fregoso
himself states, can be false: “avvenga che talor possa esser falso” (2.28)
(although it can sometimes be false) (2.28, p. 90 translation altered to ref
lect original). Despite Fregoso’s suggestions otherwise, behavior, dress, and
bodily adornment do not convey an unproblematic version of the self. In the
elegant fishbowl of the court, courtiers manipulate dress with the hopes that
others might be duped into believing that it represents an intrinsic identity.
Fregoso’s fashion theory, though not cohesive, does communicate to other men
that a fashion faux pas imperils the courtier’s masculinity in two ways: it
points to a perceived essential effeminacy, or it demonstrates an inability to
mask this effeminacy.Book Four: Ottaviano’s paradox The last mention of dress
in the Courtier is in Book Four, and it famously gives elegance of dress a
virtuous purpose. In Book Four, Federico Fregoso’s brother, Ottaviano, declares
that dress, manners, and pleasantries permit the courtier access to the prince
so that he can provide the ruler with wise counsel. According to Ottaviano, the
courtier must fashion himself with this mask of the “perfect courtier” so that
he can lead the prince away from the ills of vice through deception,
“ingannandolo con inganno salutifero” (beguiling him with salutary deception)
(4.10, p. 213). Ottaviano’s interjection has received much scholarly attention
in part because it exposes the fashioning of the perfect courtier as a
performance of deceit.41 Berger, in particular, has noted how this deceit can
have an effect on the integrity of the courtier: The byproduct of the
courtier’s performance is that the achievement of sprezzatura may require him
to deny or disparage his nature. In order tointernalize the model and enhance
himself by art, he may have to evacuate – repress or disown – whatever he finds
within himself that doesn’t fit the model. (20) If sprezzatura requires the
courtier to deny or disparage his own nature, then there is an implicit notion
that the courtier also risks destabilizing his identity, including his
masculine identity.42 This is no more apparent than when we consider how a
courtier’s agency is compromised by the act of sprezzatura, an act of
self-fashioning that is dependent on the will of others. Ottaviano addresses
this very process head on. He states that elegance of dress, along with
singing, dancing, and general enjoyment, change a man and make him effeminate.
Relevant here, this effeminacy has consequences not only on a courtier’s
identity but also on state security: I should say that many of those
accomplishments that have been attributed to our Courtier (such as dancing,
merrymaking, singing, and playing) were frivolities and vanities and, in a man
of any rank, deserving of blame rather than of praise; these elegances of
dress, devices, mottoes, and other such things as pertain to women and love
(although many will think the contrary), often serve to merely make spirits
effeminate, to corrupt youth, and to lead to a dissolute life; whence it comes
about that the Italian name is reduced to opprobrium, and there are but few who
dare, I will not say to die, but even to risk any danger. (4.4, p. 210) anzi
direi che molte di quelle condicioni che se gli sono attribuite, come il
danzar, festeggiar, cantar e giocare, fossero leggerezze e vanità, ed in un omo
di grado più tosto degne di biasimo che di laude; perché queste attillature,
imprese, motti ed altre tai cose che appartengono ad intertenimenti di donne e
d’amori, ancora che forse a molti altri paia il contrario, spesso non fanno
altro che effeminar gli animi, corrumper la gioventù e ridurla a vita
lascivissima; onde nascono poi questi effetti che ’l nome italiano è ridutto in
obbrobrio, né si ritrovano se non pochi che osino non dirò morire, ma pur
entrare in uno pericolo. (4.4, pp. 367–68) Ottaviano’s claim marks a critical
shift from the other cited passages. It is the only time in the Courtier where
clothing (along with other courtly behaviors) is described as rendering men
effeminate. In Book One, distasteful grooming habits are practiced by those men
who “wish” that they were women, and in Book Two, foreign dress beckons
military defeat. In Book Four, clothing causes effeminacy, and the effeminized
man loses wars. The passage is not only a significant moment in the Courtier,
it is an important moment in the history ofeffeminacy. To my knowledge, it is
one of the earliest Renaissance texts that figures clothing and other behaviors
as the agents that cause effeminacy leading eventually to military defeat.43
Ottaviano’s brief interjection on clothing would have provided the attentive
listener with (again) some troubling fashion advice. The passage forms what I
call Ottaviano’s paradox: on the one hand, Ottaviano affirms that elegant dress
may be necessary to ingratiate the prince and engender virtue, while on the
other, he warns that dress has deleterious effects, effeminizing the courtier’s
soul and bringing shame to him and Italy. If the courtier performs his
requisite duties (which include ingratiating the prince with dress, dancing,
music, etc.), he cannot escape losing his own masculinity. It is unclear how
the reader is to navigate this paradox. Castiglione may have been genuinely
concerned with the possible effeminizing effects of dress, or there may have
been some irony in placing these words in the mouth of Ottaviano.44 Ottaviano
had, in fact, been derided for his unusual dress in the earlier version of the
book known as the seconda redazione (written 1520–21).45 Moreover, Castiglione
was himself quite the fashionista. His letters tell us that he was deeply
concerned with his own dress, both at court and during military operations.
Many of his letters to his mother refer to his need for appropriate clothing,
and on some occasions, he refers to this clothing as necessary for exercises
carried out in a context of war.46 The fact that Castiglione has left us
extensive writing on dress from the period raises hermeneutical questions about
Ottaviano’s statement that courtly dress and activities “make spirits
effeminate and corrupt youth” and eventually lead to the shame of Italy. Surely
the author was not suggesting that winning wars merely a matter of changing
clothing. I propose that Castiglione was less interested in changing the
garments and grooming habits of Italians than he was in investigating how the
rhetoric about aesthetics functioned in defining identity and motivating social
groups. His book explores how courtly practices, including dress, determined
the boundaries of an elite ruling class, but so too does it explain how the
language used to discuss these practices could shift the values added to such
practices. Thus, Ottaviano’s paradox—where the courtier is virtuous if he
ingratiates the prince but loses his virtue of masculinity by doing so—is in
effect a masterful demonstration of sprezzatura. When Ottaviano utters his words,
he not only explains how courtliness denigrates a man for a virtuous cause, he
also reveals how a courtier can assume an intentional and masculine
participation in this virtuous cause. He derides the very courtly practices
that he himself performs and then engenders them with virtue.47 By showing that
a courtier sacrifices his masculinity on the altar of state security, Ottaviano
offers a reclamation of masculinity for any courtier. The trick is, however,
that the courtier must be willing to decry the very practices that make him a
courtier in order to claim this masculinity. Ottaviano states, in effect, “I
criticize the grooming of men as effeminizing, but I will also perform these
acts for the larger good of pleasing the prince.”By way of a conclusion, we
will turn to this same moment in the second manuscript edition, or seconda
redazione.48 Here Ottaviano’s passage appears in Book Three (the final book of
the manuscript). It is spoken by Gasparo and, most importantly, the condemned
effeminate activities are not routine courtly behavior, but belong to young
courtiers in love: Do you not believe that the young would be doing a much more
praiseworthy thing if they were to concentrate on arms to defend the patria,
their own honor, and the dignity of Italy, rather than to go around with their
hair all coiffed, perfumed, and strolling through the neighborhoods with their
eyes glued to the windows above without considering anything in the world
except their own priorities? And what purpose do these devices and mottoes and
elegances of dress serve other than vanity and frivolity? And what is the point
of dancing at balls and masquerades as well as games and music (and other such
things that you praise so much)? What do these things offer other than to give
birth to the effeminizing of men’s spirits as well as corrupting and reducing
youth to a delicious and lascivious life? Whence, as Signor Ottaviano so well
says, it comes about that the effect of all this is that the Italian name is
reduced to opprobrium, and one cannot find a man who dares, I will not say die,
but even to risk any danger. And all of this is the cause of women.
(Translation mine) Non credete voi che li giovani facessero opera più
laudevole, se attendessero all’arme per difender le patrie e l’onor loro e la
dignità de Italia, che andar con le zazare ben pettinate, profumati,
passeggiando tutto dì per le contrade, con gli occhi alle finestre senza
pensare cosa alcuna di quelle che più gl’importano? e queste imprese e motti et
attillature insomma a che servano altro che a vanità e leggiereze? e danzare e
ballare e mascare e giuochi e musiche e tai cose, fatte con tanta diligenzia e
che voi tanto laudate, infine che partoriscono altro che effeminare gli animi,
corrompere la gioventù e ridurla a vita deliziosa e lascivissma? Onde, come ben
talor dice el signor Ottaviano, ne nascono poi questi effetti che il nome
italiano è ridutto in obrobrio, né si truova uomo che osi non dirò morire, ma
purentrare in un pericolo. E di tutto questo sono causa le donne. The
manuscript passage, like that of the final 1528 version of the Courtier quoted
earlier, tells us that men’s dancing, games, music, and elegance of dress are
dangerous to Italian sovereignty. However, there are important differences
between these two textual examples. In the seconda redazione, dressing and
music, etc. are presented as the vices specific to young lovers. This
characterization of lovers fits clearly within Gasparo’s stated distaste for
any action that involves the courtship of women. Additionally, Gasparo explains
the relationship between warfare andeffeminate behaviors in simple terms of
time allocation; men should choose to spend time fighting to “defend their
homelands,” but instead they focus on love. Thus, when he states that dancing,
masquerades, and games effeminize men’s spirits, it follows that this causal
effect is at least in part due to the fact that men are busied with these
activities and not fighting. When the author adapted the passage for the final
version, he changed not the effeminizing practices but the cast of the shameful
men, and he removed the phrase that explains that these practices simply took
up too much of the courtiers’ time. In Courtier Book Four, the list of mottoes,
devices, dancing, and dress are not described as what courtiers do to woo
women, but rather, they are general courtly practices. Indeed, Ottaviano
mentions the previous evenings’ discussions and takes aims at these activities
and practices that are described by Ludovico and Fregoso in Books One and
Two.49 These courtly practices were not performed to attract only the attention
of women, but also (and primarily) of men; in particular, these practices
attracted the attention of other courtiers and, most importantly, the prince.
What Ottaviano offers his peers is the chance to reclaim a masculinity of
purpose, even while operating in a gender paradox where dress and acts
necessarily effeminized the men who pursued this purpose. Ottaviano reclaimed
courtly masculinity by denigrating the necessary courtly practices and dress
that enabled the courtier to pursue virtue. His accusatory rhetoric allows the
disempowered male to assert masculinity even in the performance of dependency.
Castiglione’s book enacted the same performance as Ottaviano’s utterance; the
book as a whole takes aim at dress as effeminizing while explaining that such
dress typified the ideal, masculine, and virtuous courtier. These accusations
of the practices of men also served the larger function of the Courtier’s
normativizing project, where the “few men” who were responsible for the shame
of Italy might be refashioned into warrior heroes. The nagging question is just
how aesthetics figured into this degradation of Italy. It is doubtful that
Castiglione (or any other Renaissance writer) would suggest that changing one’s
ruff les and sleeves would be the key to defeating the French or the Habsburg
empire, but why, then, we should ask, did writers frame military defeat in
terms of silks and ruff les? It would seem that we still have much to learn
about how aesthetics and militarism functioned in the Renaissance projects of
social control.Notes 1 Corio, Storia di Milano, 2: 1398–99: “il duca se misse
una corazina, quale cavò dicendo parebbe troppo grosso, puoi se vestì una veste
di raso cremesino fodrata di sibelline e cinto con uno cordono di seta morella
la biretta.” 2 McCall, “Brilliant Bodies,” 472. 3 Varchi, Storia Fiorentina,
Vol. 3, Book 15, 186. 4 Currie, Fashion, Introduction. 5 See, for example,
Simons, “Homosociality and Erotics,” Currie, Fashion, Biow, On the Importance,
and Eisenbichler, “Bronzino’s Portrait.” 6 Paulicelli, Writing Fashion, 3. On
masculinity and dress in the Courtier see Quondam, Tutti i colori and Currie,
Fashion.7 All Italian quotes of the Cortegiano are from the Garzanti edition.
All English quotes are from the Javitch edition (2002) of the Singleton
translation. 8 Najemy, “Arms and Letters.” The hierarchy of arms is challenged
by Ludovico himself, who states that letters are the “true and principal”
adornment of the courtier. Moreover, Bembo argues that arms are actually the
adornment of letters; see ibid., 211. 9 Castiglione’s references to France
change from manuscript to print edition. In one of the earliest manuscript
editions of the book, he calls those who do not appreciate letters, barbari.
Pugliese, “The French Factor.” 10 For a discussion of Machiavelli’s position on
arms and letters see Najemy, “Arms and Letters,” 207–08. For a later discussion
on the danger of letters to arms see Stefano Guazzo’s “Del paragone dell’arme
et delle lettere” in which an interlocutor suggests that some people fear that
letters “si snervassero gli huomini Martiali,” Stefano Guazzo, Dialoghi
piacevoli (Piacenza: Pietro Tini, 1587), 167. 11 See Albury, Castiglione’s
Allegory, 65. 12 Ludovico is here discussing the influence of literature on war
rather than the study of combat manuals. On Urbino’s master at arms, Piero
Monte, who published the “first significant combat manual ever to be printed,”
see Anglo, The Martial Arts, 133. 13 My reading on this passage differs from
Najemy’s, which argues that Ottaviano, in Book Four, implicates the courtiers
as the few bad men, responsible for Italy’s decline. 14 In Book One, Gasparo
states that music and other “vanities” “effeminar gli animi” of men. Quondam’s
published edition of Manuscript (L) Biblioteca Medicea Laurenziana,
Ashburnhamiano 409 shows that Castiglione originally phrased his concerns
differently, without using the word “effeminize”: “e cosi fatte illecebre
enervare gli animi.” Quondam, Il libro del Cortegiano. 15 On hegemonic
masculinity, see Connell, Masculinities, 77. 16 Although warfare is typically
shown to be endangered by courtly behaviors, there are some moments in which
the court is shown to be negatively affected by the presence of warriors; see
Book I.17. 17 Newton, Fashion, 1–5; Blanc, “From Battlefield to Court.” 18 On
effeminacy in the Courtier see Milligan, “The Politics of Effeminacy.” On
effeminacy in the study of pre-modern texts, see Halperin, “How to Do.” 19 Williams,
Roman Homosexuality, 125–58. 20 Olson, Masculinity and Dress; see chapter four
in particular. 21 See Blanc, “From Battlefield to Court” for a discussion about
several fourteenth-century chronicles that blame a sudden change in dress for
battles and plague. See also Muzzarelli, Breve storia; Mosher Stuard, Gilding
the Market; Sebregondi, “Clothes and Teenagers”; Muzzarelli, Guardaroba
Medievale. 22 Francesco Pontano, along with his brother Ludovico Pontano, was a
professor at the university of Siena. On Francesco Pontano see Marletta,
“L’umanista Francesco Pontano.” 23 “Il quale tanto più è vituperoso in loro in
quanto debbono in tutto essere rimoti da ogni vano e superfluo ornamento,
s’eglino debbono e vogliono esser detti veri maschi.” Pontano, “Dello integro e
perfetto stato,” 22. All translations are mine unless otherwise noted. 24 “Li
quali non minor tempo e industria mettono raschiamenti di coteche e
scialbamenti di gote e di collo e de’ vari pelatogi e scorticatogi, e di bionde
e d’acque sublimate e stillate, che si facciano le femine.” Ibid. 25 “Talché
oggidì l’uomo che fu fatto presso che pari agli angeli ’e di sotto a’ porci e a
qualunque altro sporco e vile animale.” Ibid. On dress and gender confusion in
early modern England see the essays by Epstein and Straub, Body Guards. 26 See
Sebregondi, “Clothes and Teenagers,” which shows how preachers such as San
Bernardino da Siena complained about the erotic elements of tight hose and
short doublets. Ibid., 31 cites Sermon 37 of Prediche di San Bernardino vol. 3.
27 Sebregondi, “Clothes and Teenagers,” 36. 28 Not all writers condemned male
dress. Leonardo Fiorivanti states that the only way to make this “miserable
world” better is to dress well and eat well, and that young men dress
extravagantly and then change their dress when they reach the age to marry
and29 30 31 32 33 34 35 36 37 383940 41 42 434445have children. Fiorivanti,
Dello specchio, Book I, chapter 9, 27. On the other hand, Anton Francesco Doni
(1513–74) and Scipione Ammirato (1531–1601) both criticize military failings
while discussing men’s dress and aesthetics. In language that is contrary to
modern notions of military discipline, writers such as Pio De Rossi (1581–1667)
suggested that the most courageous warriors were slovenly, dirty, and untidy.
De Rossi, Convito morale, 42. On Rossi see Biondi, “Il Convito.” This mechanism
functions similarly to the “hypocritical rhetoric of self-censorship”
identified by Carla Freccero in that an utterance pretends to do one thing
while performing a different function. Freccero, “Politics and Aesthetics,”
271. On scholarly interpretations of sprezzatura see Javitch; Rebhorn, Courtly
Performances; and Berger Jr., The Absence of Grace. On the “more compelling
figure” see Rebhorn, Courtly Performances, 38; on the virility of sprezzatura
see Berger, Absence of Grace, 11. I borrow the term “manly masquerade” from
Finucci, The Manly Masquerade. How Renaissance writers characterized the
pre-dressed (naked) man as masculine or effeminate is discussed by Paulicelli,
Writing Fashion, ch. 3. According to Berger, Castiglione casts an idyllic,
unreal version of Urbino. Berger describes how Castiglione discloses to the
reader his process of casting Urbino as unreal in a “metapastoral” gesture
Berger, Absence of Grace, 119–78. On this passage see Quondam, Questo povero
cortegiano and Milligan, “The Politics of Effeminacy.” See Currie, Fashion;
Paulicelli, Writing Fashion. On Classical examples see Williams, Roman
Homosexuality. Castiglione himself cites an ancient anecdote of Darius III,
King of Persia (336–330 b.c.), told by Q. Curtius Rufus, Historiorum Alexandri
Magni III, 6. For Renaissance examples see Lando, Brieve essortatione, which
states that the Syrians have dominated the Italians through their perfumes, and
Lampugagni claims that Italians follow French fashions like monkeys, Della
carrozza da nolo. Lampugnani also complains of women who seek to
“dis-Italianize” themselves by adopting foreign fashions. De Leon, Discorsi
novi, published in Spanish in 1605. “E, quando in Italia cominciarono a
vestirsi all’usanza di Francia, molti ciò mirando con prudenza temerono, che i
Francesi havessero a mal trattargli; e non s’ingannò l’anima loro, come fra
pochi giorni mostrò il successo. Di modo che la natione, che lascia la sua
foggia di vestito antica, e naturale per imitare quella de’ Regni stranieri,
ben può temere, che Dio non la castighi con guerre, persecutione, rubamenti, e
mali trattamenti che le faranno fatti da coloro, i cui habiti ella va
imitando,” 628. Cox, The Renaissance Dialogue, 54. On Ottaviano’s interjection
see Rebhorn, Courtly Performances, Albury, Castiglione’s Allegory, and Quondam,
Questo povero cortegiano. Berger does not characterize courtliness as weak or
effeminizing; he instead states that the successful performance of sprezzatura
demonstrates a certain virile mastery. Berger, Absence of Grace, 1–12. In his
“Education of Boys” Aeneas Silvio Piccolomini suggests that clothing can make
boys soft and effeminate. He particularly warns against feathers and silk.
Piccolomini, “The Education of Boys,” 71. Basilio Ponce de Leon, Discorsi
(Italian Translation 1614) suggests that clothing makes spirits effeminate and
soft “Legislatori antichi giudicarono così (e la isperienza lo insegna) che non
tanta delicatezza di vestiti si assottigliano gli animi, e di virile, e forti
divengono bassi effeminate e molli,” 626. Some assert that Ottaviano’s response
might be due to his “republican” leanings. This seems to be overstated given
that Ottaviano was the nephew of Guidobaldo de Montefeltro, spent much of his
childhood at the Urbino court, and was himself a prince of Sant’Agata Feltria.
In response to how a courtier should dress, Federico responds “Voi lasciate una
sorte de abiti che se usa, e pur non si contengano tra alcuni di questi che voi
avete ricordati, e sono quegli del signor Ottaviano.” Castiglione, Seconda
redazione, II.26, 110.46 See, for example, letters 29 and 30. Castiglione, Le
lettere, vol. I, 1497–1521. 47 Ottaviano’s censoring of courtly dress follows
Carla Freccero’s analysis of “’hypocritical’ rhetoric of self-censorship,” in
that it is as much about establishing identity groups as it is about a sincere
rebuke of argument. Freccero, “Politics and Aesthetics,” 271. 48 For a useful
review of the manuscript revisions to the text, see Pugliese, Castiglione’s
“The Book of the Courtier”, 15–24. 49 “Estimo io adunque che ’l cortegiano
perfetto di quel modo che descritto l’hanno il conte Ludovico e messer
Federico, possa esser veramente bona cosa e degna di laude; non però
simplicemente né per sé, ma per rispetto del fine al quale po essere
indirizzato” (4.4) Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Nicola Longo,
367.Bibliography Albury, W.R. Castiglione’s Allegory: Veiled Policy in the ‘The
Book of the Courtier’. Farnham: Ashgate, 2014. Anglo, Sydney. The Martial Arts
of Renaissance Europe. New Haven, CT: Yale University Press, 2000. Berger Jr.,
Harry. The Absence of Grace: Sprezzatura and Suspicion in Two Renaissance
Courtesy Books. Stanford, CA: Stanford University Press, 2000. Biondi, Albano.
“Il Convito di Don Pio Rossi: Società chiusa e corte ambigua.” In La corte e il
‘Cortegiano’:2 – un modello europeo. Edited by Adriano Prosperi, 93–112. Rome:
Bulzoni, 1980. Biow, Douglas. On the Importance of Being an Individual in
Renaissance Italy: Men, Their Professions, and Their Beards. Philadelphia:
University of Pennsylvania Press, 2015. Blanc, Odile. “From Battlefield to
Court: The Invention of Fashion in the Fourteenth Century.” In Encountering
Medieval Textiles and Dress: Objects, Texts, and Images. Edited by Désirée G.
Koslin and Janet E. Snyder, 157–72. New York: Palgrave Macmillan, 2002.
Castiglione, Baldassar. The Book of the Courtier: The Singleton Translation. An
Authoritative Text, Criticism. Edited by Daniel Javitch. New York: W.W. Norton,
2002. ———. Il libro del Cortegiano. Milano: Garzanti, 1981. ———. Il libro del
Cortegiano. Edited by Nicola Longo. Milan: Garzanti, 2003. ———. Le lettere.
Edited by Guido La Rocca. Volume I, 1497–1521. Milan: Mondadori, 1978. Connell,
R.W. Masculinities. 2nd edition. Berkeley, CA: University of California Press,
2005. Corio, Bernardino. Storia di Milano. Edited by Anna Morisi Guerra. 2
vols. Turin: UTET, 1978. Cox, Virginia. The Renaissance Dialogue: Literary Dialogue
in its Social and Political Context, Castiglione to Galileo. Cambridge:
Cambridge University Press, 1992. Currie, Elizabeth. Fashion and Masculinity in
Renaissance Florence. London: Bloomsbury Academic, 2016. De Leon, Basilio
Ponce. Discorsi novi sopra tutti li evangelij della quaresima. Translated by
Ottavio Cerruto. Venice: Sessa, 1614. De Rossi, Pio. Convito morale per gli
etici economici, e politici ordinate et intrecciato si della Ragino di Stato
come delle principali materie militari. Venice: Gueriglij, 1639. Eisenbichler,
Konrad. “Bronzino’s Portrait of Guidobaldo II della Rovere.” Renaissance and
Reformation/Renaissance et Réforme 24, no. 1 (1988): 21–33. Epstein, Julia and
Kristina Straub, eds. Body Guards: The Cultural Politics of Ambiguity. New
York: Routledge, 1991.Finucci, Valeria. The Manly Masquerade: Masculinity,
Paternity, and Castration in the Italian Renaissance. Durham, NC: Duke
University Press, 2003. Fiorivanti, Leonardo. Dello specchio di scientia
universale. Venice: Sessa, 1583. Freccero, Carla. “Politics and Aesthetics in
Castiglione’s Il Cortegiano: Book III and the Discourse of Women.” In Creative
Imitation: New Essays on Renaissance Literature in Honor of Thomas M. Greene.
Edited by David Quint, Margaret W. Ferguson, G.W. Pigman III, and Wayne A.
Rebhorn, 259–79. Binghamton, NY: Medieval and Renaissance Texts and Studies,
1992. Guazzo, Stefano. Dialoghi piacevoli. Piacenza: Pietro Tini, 1587.
Halperin, David. “How to Do the History of Homosexuality.” GLQ: A Journal of
Lesbian and Gay Studies 6, no. 1 (2000): 87–123. Lampugagni, Agostino. Della
carrozza da nolo, ovvero del vestire, et usanze alla moda. 1648. Lando,
Ortensio. Brieve essortatione a gli huomini. Brescia, 1545. Marletta, Fedele.
“L’umanista Francesco Pontano.” Nuova rivista storica 26 (1942): 32–41. McCall,
Timothy. “Brilliant Bodies: Material Culture and the Adornment of Men in North
Italy’s Quattrocento Courts.” I Tatti Studies in the Italian Renaissance 16,
no. 1/2 (September 2013): 445–90. Milligan, Gerry. “The Politics of Effeminacy
in Il cortegiano.” Italica 83, no. 3–4 (2006): 347–69. Mosher Stuard, Susan.
Gilding the Market: Luxury and Fashion in Fourteenth-Century Italy.
Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 2006. Muzzarelli, Maria
Giuseppina. Breve storia della mode in Italia. Bologna: Il Mulino, 2014. ———.
Guardaroba Medievale: Vesti e società dal XIII al XIV secolo. Bologna: Il
Mulino, 1999. Najemy, John M. “Arms and Letters: The Crisis of Courtly Culture
in the Wars of Italy.” In Italy and the European Powers: The Impact of War,
1500–1530. Edited by Christine Shaw, 207–38. Leiden: Brill, 2006. Newton,
Stella Mary. Fashion in the Age of the Black Prince. Woodbridge: Boydell Press,
1981. Olson, Kelly. Masculinity and Dress in Roman Antiquity. London: Routledge,
2017. Paulicelli, Eugenia. Writing Fashion in Early Modern Italy: From
Sprezzatura to Satire. Farnham: Ashgate, 2014. Piccolomini, Aeneas Silvius.
“The Education of Boys.” Translated by Craig Kalendorf. In Humanist Educational
Treatises. Cambridge, MA: Harvard University Press, 2008. Pontano, Francesco.
“Dello integro e perfetto stato delle donzelle.” In Raccolta di scritture varie
pubblicata nell’occasione delle nozze Riccomanni-Fineschi. Edited by Cesare
Riccomanni, 13–30. Turin: Vercellino, 1863. Pugliese, Olga. Castiglione’s “The
Book of the Courtier” (“Il libro del cortegiano” ): A Classic in the Making.
Naples: Edizioni Scientifiche Italiane, 2008. ———. “The French Factor in
Castiglione’s The Book of the Courtier (Il libro del cortegiano): From the
Manuscript Drafts to the Printed Edition.” Renaissance and Reformation/
Renaissance et Réforme 27, no. 2 (2003): 23–40. Quondam, Amedeo. Il libro del
Cortegiano, v. 2 Il manoscritto di tipografia (L) Biblioteca Medicea
Laurenziana, Ashburnhamiano 409. Rome: Bulzoni, 2016. ———. Questo povero
cortegiano: Castiglione, il libro, la storia. Rome: Bulzoni, 2000. ———. Tutti i
colori del nero: moda e cultura del gentiluomo nel Rinascimento. Costabissara:
Colla, 2007. Rebhorn, Wayne. Courtly Performances: Masking and Festivity in
Castiglione’s Book of the Courtier. Detroit: Wayne State University Press,
1978.Sebregondi, Ludovica. “Clothes and Teenagers: What Young Men Wore in
FifteenthCentury Florence.” In The Premodern Teenager: Youth in Society
1150–1650. Edited by Konrad Eisenbichler, 27–50. Toronto: Centre for
Renaissance and Reformation Studies, 2002. Simons, Patricia. “Homosociality and
Erotics in Italian Renaissance Portraiture.” In Portraiture: Facing the
Subject. Edited by Joanna Woodall, 29–51. Manchester: Manchester University
Press, 1997. Varchi, Benedetto. Storia Fiorentina. Edited by Gaetano Milanesi.
Vol. 3. Florence: Le Monnier, 1858. Williams, Craig A. Roman Homosexuality:
Ideologies of Masculinity in Classical Antiquity. Oxford: Oxford University
Press, 1999.9 THE SAUSAGE WARS Or how the sausage and carne battled for
gastronomic and social prestige in Renaissance literature and culture Laura
GiannettiIn Girolamo Parabosco’s comedy La fantesca (published in 1556) the
sexual activities of a maid, the young cross-dressed Pandolfo who impregnated
his young lover Giacinta, were humorously referred to with a culinary metaphor,
that of inserting meat in the oven: People, the female servant has become a
male in two houses at once as you have seen. And she has shown that she is a
better cook than a housekeeper, because she knew better how to put the meat
(carne) in the oven than make beds or sweep the house. (V, c. 94)1 The Italian
word carne with its multiple meanings of meat, f lesh, and the masculine sexual
organ commonly served as a tool for clever word play in Italian literature from
the Decameron to the Canti carnascialeschi and enjoyed a renaissance of its own
in sixteenth-century comic prose, poetry, letters, and everyday language.2 The
early modern dietary corpus reinforced the religious association between eating
meat, gluttony, and lust. All nutritious food, in particular meat, created more
blood than needed by the body; therefore the surplus translated into an extra
production of sperm, which in turn fueled the sex drive.3 A traditional view of
the link between gluttony and lust holds that biblical accounts of the Fall
considered gluttony the opening door to lust, although the Garden of Eden’s
transgression consisted in eating the forbidden fruit, a fig or an apple
according to different versions, and not eating immoderately. Many medieval
theologians and then Pope Gregory the Great, a medieval doctor of the Church,
defined gluttony mainly as a desire to stimulate the palate with delicacies,
while also exceeding what was considered necessary for basic nourishment and
health.4 But then he drew a more precise connection between the two sins and
differentorgans of the body: “when the first (stomach) fills up excessively,
inevitably, the other are also excited to sin.”5 Gluttony excites the senses
and therefore can carry the sinner to sins of the f lesh. In Dante’s Inferno,
and following Aristotle’s Nicomachean Ethics, incontinence (of desire) was the
link between gluttony and lust. Paolo and Francesca in Canto V are among the
“peccator carnali, / che la ragion sommettono al talento” [Inf. 5.38–39]).
Although for Dante gluttony was a sin worse than lust, the common vision at his
time was that eating immoderately and lusting were both sins of carne, the f lesh.6
If early theologians’ readings discussed gluttony without referring to a
particular food, it was meat that later became the preferred target of
moralists and came to be associated with ideas of lasciviousness and lust.
Traditionally, animals such as the boar, pig, wolf, and/or ape in late medieval
and early Renaissance visual and prescriptive sources represented luxuria7 and
gluttony, as inextricably and negatively bonded together.8 Sixteenth-century
prints, paintings, broadsheets, and emblem books kept those associations alive
in society and culture even as the associations between those animals and
gluttony or voracity often surpassed their association with luxuria.9 Sins of
the f lesh were often symbolized as sins of carne in the sense of meat.10 But
before delving into the imaginative perceptions and symbolism attributed to
meat-eating it is advisable to recall brief ly what the lived practice and
experience of consuming meat in medieval and Renaissance Italy involved. Symbol
of power and violence, masculinity and aggressive sexuality, luxury and
abundance, meat was often associated with the aristocracy and its lifestyle.11
As Massimo Montanari and Alberto Capatti have shown, in the Middle Ages the
noble table first saw a triumph of big game gained through hunting but later
the preference was directed more toward smaller game such as pheasants, quails,
and/or farmed animals, like geese and capons. The new court nobility of the
twelfth century no longer identified with the warriors’ taste for big, bloody
game.12 Gross and nutritious meat was now left to peasants, usually in the form
of pork. City dwellers also enjoyed the meat of the pig in the form of sausages
but strove to differentiate themselves from the rural inhabitants by buying and
eating veal, beef, and small birds. Although Fernand Braudel famously called
“carnivore” the period in Europe between 1350 and 1550,13 Italians of the
period had other food resources and could not, and often did not care to eat
meat every day. Nonetheless, eating meat, and especially good meat, remained an
indicator of social elevation and offered the promise of good health. The
preference of the new court nobility for small birds and farmed animals
received the approval of contemporary doctors, who exalted birds as a source of
exceptional nutritional value, with the caveat that it was best suited to an
aristocratic diet.14 It was not just the symbolic and nutritional value that
was considered important; in dietetic tracts partridges and quails excelled
also for their delicate taste and their lightness. But not all agreed. Vatican
librarian and gastronome Platina (1421–81) was more open to the pleasures of
eating a much wider range of meats, demonstrating more catholic tastes. His De
Honesta Voluptate et Valetudine(first Italian edition 1487) is full of numerous
recipes that included poultry, organ meats, fowl, pork, and sausages. Still
much like many doctors, cooks, and courts stewards, he agreed that meat in
general was a food healthier than others and had an elevated nutritional
value.15 The reputation of meat as a primary source of nourishment and good
health continued in the sixteenth century, and was particularly strong among
surgeons, medical practitioners, and professors of “secrets.” A Spanish
“surgeon and empirical doctor”16 who lived in Rome, Giovan Battista Zapata (ca.
1520–86), claimed that all meat products sustained good health, as long as they
were roasted with a rosemary oil and a mixture of other herbs and spices, and
were accompanied by good wine.17 Zefiriele Tommaso Bovio (1521–1609)—a Veronese
nobleman and lawyer who later became a medical practitioner—wrote a treatise at
the end of the sixteenth century against the “medici rationali ” who wanted to
impose a strict meatless diet on sick people. He claimed that doctors knew that
eating good meat and drinking wine had the power to restore health but kept the
secret to themselves for fear of losing fees from patients who recovered from
illness and stayed healthy eating meat.18 The nutritional value of meat was
thought to rest on the idea that meat could transform into the substance, the
very carne, of the human body. The steward Domenico Romoli affirmed in his
cooking manual that those who invented the eating of meat did it both for taste
but especially for health reasons: they knew that “more than any other food, it
is meat (carne) that makes f lesh (carne).”19 In his view eating meat meant
literally giving nutriment to human f lesh.20 Renouncing meat, however, was a
crucial requirement for early Christian hermits and monks. It represented
unequivocally the mortification of the f lesh and contempt for the body,
although numerous sources show that meat-eating in many monasteries was fairly
normal. In general, the suspicion of meat running through Christian texts in
the period appeared to be based on an association of the eating of meat with
fears of the f lesh and sexual incontinence. San Bernardino’s preaching in the
fifteenth century aggressively linked meat consumption with unruly sexuality
and was particularly severe on policing widows and youths’ eating practices. He
represented the extreme side of a widespread religious censure of culinary
pleasures and the sense of taste, emphasizing the presumed dangers of uniting
desire for meat and unruly sexuality.21 Outside of the monastic world,
religious proscriptions on food dictated that for periods of fasting, such as
Lent, abstinence from animal f lesh, meat, poultry, and eggs, was mandatory to
mortify the body and its appetites. And Lent was not just the forty days that
followed Carnival; every Friday and many vigils during the year were Lenten
days when meat was proscribed as well.22 How much weight did this religious
censure or the ideology of the ascetic abstention from eating meat actually
have? Apparently not much in everyday life or culture. The desire for meat,
originally condemned as gluttony and a carnal practice that took one away from
the life of the spirit, was often identified in theliterary imagination with
positive expressions of sexual desire. The longstanding Christian prohibition
against eating meat associated gluttony and illicit sexuality, and the Galenic
dietary theory reinforced this, claiming that the body of the meat eater would
have a surplus of blood and thus an increased sex drive. Literary sources
valorized the gastronomic desirability and sexual powers promised by eating
meat. Slowly but surely the sexual/alimentary play on carne as food and f lesh,
positively portrayed in imaginative literature and culture of the sixteenth
century, battled successfully against earlier moralistic discourses insisting
on restraint of the body and its instincts.23 The emerging cultural war of the
period opposed a disciplining view of the body and posited the increasing
importance of pleasure and taste in both life and literature, with the
enjoyment of meat, carne and f lesh, at their very center.Appetite for meat in
literature Returning to the courtly taste for birds in the Renaissance, the
link between eating birds and the lustful consequences that followed was
visible in literary texts, fresco cycles, and dietary discourses, albeit with
different meanings. While Dantesque Inferno punishment scenes in late medieval
Italian dietary treatises and church fresco cycles dwelt on the negative
consequences of eating birds or eating too much meat, literary texts presented
a competing discourse. Giovanni Boccaccio’s Decameron, novelle collections such
as those by Niccolò Sacchetti (ca. 1332–1400), Giovanni Sercambi (1348–1424),
Anton Francesco Grazzini (1503– 84), and Niccolò Bandello (1485–1561), and many
satirical and licentious poems, all exploited the phallic meat metaphor to
elicit laughter as well as sexually allusive word-play.24 Boccaccio made clear
in his Conclusione to the Decameron that the obscene language he had used came
from everyday usage and included words from the culinary world: It is not more
shameful that I have written words that men and women spell out continuously
such as hole, peg, mortar, pestle, sausage, and mortadello. Dico che più non si
dee a me esser disdetto d’averle scritte che generalmente si disdica agli
uomini e alle donne di dir tutto dì foro e caviglia e mortaio e pestello e
salsiccia e mortadello. Many contemporary tales depict adulterous lovers or
lovers-to-be enjoying meals with game, fowl, and poultry in preparation for the
carnal pleasures to come. The “carne” metaphor to designate the male member had
a notable literary tradition. Giovanni Sercambi’s Novelliere (written ca.
1390–1402) presents many instances of the metaphorical/sexual use of the word
carne, in some cases distinguishing between “raw” and “cooked” meat to indicate
the male sexual organ and actual meat.25 In the novella “Frate Puccio e Madonna
Alisandra,” Pseudo-Sermini26 plays on the double meanings of food and sex and
the pleasureof tasting the meat and its f lavor.27 The metaphor of “fresh meat”
to indicate the male sexual organ continued unabated in the sixteenth century
as seen in a laughing novella by the Sienese Pietro Fortini (ca. 1500–ca. 1562)
where a lusty friar offers a pound of “carne fresca” for free to a young woman
with the excuse that religion does not let him enjoy meat that day. The novella
naturally ends with the friar being beaten by the woman’s husband and with the
laughter of the brigata listening to the story.28 The offer of an attractive
bird for a meal often opened the way to a carnal relationship. In one
sixteenth-century novella by Grazzini, the priest Agostino, enamored of his
parishioner Bartolomea, decided to entice her with the offer of a large and
plump duck. Bartolomea, who was a woman of “easy taste” (buona cucina), let him
inside her house and made love to him with the hope of gaining the duck. But
the early return of her husband allowed the priest to escape with his duck,
leaving her literally empty handed. Agostino bragged cleverly that she would
never find another duck, or another member, so large and plump. But, as often
happens in Italian novelle, women were cleverer than their lovers. Bartolomea
was no exception; when Agostino came back with a duck and two capons to make
peace and love again, she got her revenge. With the help of her husband she
beat him and sent him away barely able to walk, keeping the birds to enjoy with
her husband.29 In this novella, birds carried out their multiple roles: they
were an enticing and valued meat, able to stimulate the senses at many levels
but also able to transform gluttony and lust into laughter and pleasure. In
sixteenth-century comedies, birds such as partridges and pheasants could serve
as domestic aphrodisiacs, for both old men and young. In Donato Giannotti’s
comedy Il vecchio amoroso (written ca. 1533–36), old Teodoro, in love with the
young female slave his son has brought home from Sicily, organizes a banquet
where the food includes delicacies like fat capons, birds (starne), and
pigeons, served with wine and sweets, in order to prepare him for the rigors of
lovemaking.30 The meat of birds was believed to arouse lust because it was seen
as hot and moist; for this reason Messer Nicomaco, in the comedy Clizia, plans
to eat a half bloody pigeon before his night of love with the young Clizia.
Perhaps because of this popular belief, or perhaps because it was the most
prized and elegant type of meat, Pietro Aretino, in one of his letters from Venice
in 1547, invites the painter Titian to a dinner at his house with a famous
courtesan, Angela Zaffetta, promising that the main dish to be served would be
roasted pheasants.31 Adulterous lovers with their lascivious dinners were the
protagonists of a great number of plays and novella. Some specific language
used in sixteenthcentury poetry, dialogues, and comedies also suggested that
the desire for meat was closely connected to the practice of sodomy.32 A type
of meat that was used euphemistically to signify sodomy, either with men or
women, was the young male goat or “capretto.” Pietro Aretino in his
Ragionamento (1534) used the masculine gender and the diminutive form of
“capretto” to indicate the act of sodomy with a nun, in obvious contrast with
the word “capra,” the adult goat used to refer to vaginal sex. In describing a
moment at an orgy in a convent, Aretino exploited the culinary metaphor of meat
to its fullest: Tired, at the first morsel of the goat he asked for the young
goat . . . I tell [you] that as soon as he got it, he stuck inside
the meat knife and madly enjoyed seeing it in and out . . . stucco al
primo boccone della capra, dimandò il capretto [. . .] dico che
ottenuto il capretto, e fittoci dentro il coltello proprio da cotal carne,
godea come un pazzo del vederlo entrare e uscire. (Emphasis mine) 33 Matteo
Bandello similarly narrates a tale about Niccolò Porcellio, humanist, poet, and
historian at the court of Francesco Sforza in Milan, and well known for his
notorious passion for young boys. Bandello expresses Porcellio’s desire with
the culinary euphemism: he loved “la carne del capretto molto più che altro
cibo” (he always preferred the meat of the young male goat much more than any
other food). In his final confession, he justified his vice as the most natural
thing in the world because it corresponded to his natural taste, and it was a
“buon boccone”: Oh, oh, Reverend Father, you did not know how to interrogate
me. Playing with young boys is for me more natural than eating or drinking to a
man . . . go away as you do not know what a good morsel is
. . . oh, oh padre reverend, voi non mi sapeste interrogare. Il
trastullarmi con i fanciulli a me è più naturale che non è il mangiar a il ber
a l’uomo . . . andate andate che voi non sapete che cosa sia un buon
boccone.34 Porcellio insisted that his sexual behavior—the preference for young
male goat meat—was as natural as it was natural to eat and drink for humans.
His narrator Bandello explained first that Porcellio was forced to marry by the
Duke in order to soften the opinion people had of him as someone who always
preferred “the meat of young goat.”35 The food metaphor, so widely employed in
the novella, was indeed perfect to address his sexual desire as a manifestation
of taste, which can vary according to different people. Contemporary literature
of the Land of Cockaigne included fantastic maps of Cuccagna [Cockaigne in
Italy] where meat, in all of its incarnations, for rich and for poor, was
center stage, while the theatrical Battaglia fra Quaresima e Carnevale
regularly ended with the victory of Carnival and meat eating.36 The carne of
the lascivious goat and luxurious hot birds were generally enjoyed by the rich.
Yet it was the meat of the more humble pig, in the form of sausages that became
dominant in sixteenth-century literature as a food easily conducive to sexual
play, gastronomical delights, and a festive world.The triumph of the sausage
The Allegory of Autumn by Niccolò Frangipane, a follower of Titian, is a
remarkable painting displaying a lascivious satyr who sticks one finger into a
split melon and with his other hand grabs a sausage on top of a table full of
other autumn produce. In the cultural imaginary and in the common understanding
of the period, that sausage in hand proclaimed with a perverse smile that it
was known as a type of meat that promised and was well suited for indulgence,
alimentary and sexual.37 The metaphorical use of the term “salsiccia” was not
new. Many tales in Sercambi’s Novelliere, fifteenth-century carnival songs, and
humorous and popular print allegories of Carnival used the same metaphor
associating the consumption of meat/sausages with the pleasures of the senses,
especially sexual pleasures. In one novella by Sercambi, a libidinous widow
living with her brother, who had not arranged for her to marry again, realizes
that there is a similarity between the sausages her brother brought home and
the instrument with which her dead husband had made her happy. She decides to
satisfy “the need she had of a man” using those sausages as an instrument of
pleasure and consumes them little by little until discovered by her brother. 38
A popular sixteenth-century print studied by Sara Matthews-Grieco shows an old
lower-class woman selling a sausage during Carnival, just before the time of
Lent, when both meat and sexual intercourse will have to be forgotten. While
Sercambi’s humorous novella does not attack the widow, who is described as
young and naturally deprived of sexual pleasure, the prints and grotesque
portraits studied by Matthews-Grieco, more often cruelly satirize old
lower-class women desirous of sausages. 39 Pork occupied a particular cultural
space in the realm of meat of the time. Far from high-class birds, or
middle-class poultry and veal, the pork sausage was the food of the poor, the
peasant, or at best, the uneducated.40 Sausages, particularly pork sausages,
were a food appealing to taste but otherwise problematic as gross, humid, full
of fat, and unsuited to a delicate stomach—or so claimed several early modern
doctors and apothecaries. Humoral physiology dictated that the f lesh of a hot
and humid animal would be beneficial only to a person with a cold temperament
who needed to adjust his/her complexion: people with predominantly moist/hot
humors should therefore avoid pork.41 Practice was, however, more complex. Some
doctors associated with the Galenic revival of the fifteenth and sixteenth
centuries promoted the meat of pig as nutritious and easy to digest, although
more suited to physical workers. In fact, for all the undesirable
characteristics noted, the idea that pork was nourishing and healthful enjoyed
wide circulation in dietaries and medical treatises. From there, it was added
as a significant qualifier to the traditionally unfavorable descriptions of
pigs, and ultimately found its way into comic and burlesque literature, where
it merged with the well-established carnivalesque passion for fat meat and
gastronomical excess. The Galenic revival maintained descriptionsof pork as
gross and humid, but gave more positive press by affirming that it was a
nutritious meat. Indeed, despite these warring visions, the sausage and pork
continued to win their battles in both literature and life.42 Even with their
negative medical and social reputation, sausages had had their partisans in the
gastronomical world for at least two centuries. Platina provided a general and
expected warning against the meat of pork at the beginning of Book VI (“you
will find pork not healthful whatever way you cook it”) but then offered three
recipes for sausages, all derived from maestro Martino: pork liver sausages,
blood sausages, and the range of sausages known as the Lucanica.43 Platina was
more interested in showing how to cook and smoke the meat of pork than in
talking about social suitability. He included an elaborate recipe for roast
piglet stuffed with a mixture of herbs, garlic, cheese, and ground pepper,
beaten eggs, slowly cooked over a grill. At the end of this tempting recipe, he
added the usual medical advice: “The roast piglet is of poor and little
nourishment, digests slowly, and harms the stomach, head, eyes, and liver.”44
While the roast piglet was ostensibly not a fare suitable for higher classes,
Platina’s detailed recipe and the ingredients used meant that the medical
proscriptions against pork were losing ground to the culinary practices of
courts and an emerging gastronomical culture. In a similar way, Marsilio
Ficino, who considered pork a meat more suitable to laborers who already had
pig-like physical features, admitted that dressing pork with expensive and
luxurious spices could transform it into a valuable food.45 Significantly, in
this vein, a testimony by Cristofaro da Messisbugo (late
fifteenth-century–1548), steward at the court of the Este in Ferrara, showed
how dressing up pork and sausages elevated such meat above its common status as
a food prescribed for rustic people. Messisbugo’s cookbook, Banchetti,
composizioni di vivande et apparecchio generale (published in 1549), exalted
the famous “salama da sugo,” still today a renowned Ferrarese specialty. In his
recipe he explained how the less noble parts of pork were mixed together with
expensive spices such as cloves, nutmeg, and cinnamon to create a dish that the
Este family appreciated. Apparently, the salama was served especially at
wedding banquets because of the reputed aphrodisiacal quality of its spicy
sauce.46 Sex, pleasure, and taste were clearly winning battles for the
once-humble sausage. The salsiccia, fresh or cured, also took center stage among
a group of bawdy poems on fruit, vegetables, and other humble foods, authored
by three of the most representative poets writing in the bernesque style, Anton
Francesco Grazzini, Agnolo Firenzuola (1493–1543), and Mattio Franzesi (ca.
1500–ca. 1555). Firenzuola composed a canzone, and Grazzini and Franzesi
capitoli, praising pork sausage for its alimentary and sexual properties, and
demonstrating its social primacy over “superior” foods such as pheasants and
capons. And, as if in a philosophical debate, these poems regularly elicited
long, scholarly, and often obscene prose comments. The erotic allusions of
their verses were clearly associated with the consumption of meat during
Carnival, suggesting both the literal consumption of carne as meat and of carne
as f lesh of a more sexual variety.47 As we have alreadyseen, pig meat had a
mixed reputation because it was considered dangerous on one hand and nutritious
on the other. Imaginative literature built upon medical and gastronomical
culture to produce a more complex vision that allowed considerable room for
ambiguity and ambivalence. Pork never entirely lost its reputation for
promoting debased gluttony and pig-like manners, but it also gained a more
positive reputation as a pleasurable food suitable for both peasants and upper
classes to enjoy, as these poems demonstrate.48 The “Canzone del Firenzuola in
lode della salsiccia,” written between 1534 and 1538 by the Florentine poet and
dramatist,49 boasts of the primacy of his writing on the sausage and plays on
the double erotic sense: “Since no fanciful poet / has dared yet / to fill his
gorge with the sausage” (“poi ch’alcun capriccioso / anchor non è stato oso /
de la salsiccia empirsi mai la gola”).50 He concludes with an invocation to the
canzone itself to go and tell the poets’ friends in Florence the secrets of
this most perfect food.51 Probably written in Rome while he was a member of the
academy known as the Virtuosi52 and followed by an ironic prose commentary
signed by a mysterious Grappa,53 the poem recognizes its affiliation with the
bernesque poets. Yet it humorously affirms that they deserved an herb crown on
their head because they lauded the oven, figs, and “boiled chestnuts” but not
the sausage, “the most perfect food.”54 Firenzuola presented the pork sausage
produced in Bologna as a food worthy of poets but good also for rich priests
and lords, learned men, and beautiful women. He argued that it had a better
reputation than the highest priced meat of the time, veal. The poem blended
sexual innuendos and gastronomical discussion in its overtly simple description
of how to make the sausage. And following the bernesque tradition, it mocked
doctors’ recommendations about when to eat certain foods and reassured readers
that the sausage “is good roasted and boiled, for lunch or for dinner, before
or after the meal”; all these prepositions suggested different parts of the
body and different types of sexual intercourse.55 Firenzuola then adds what he
labels a “beautiful secret”: never use the sausage during the hot months of
summer but wait until August has passed. According to Aristotelian physiology,
men who are already by nature hot and dry are less potent in the summer when
the excessive heat of the season takes away their sexual force.56 Nonetheless,
he argues that even old men who have lost their heat can be young again thanks
to the mighty sausage.57 Finally, and appropriately, for his reportedly
polymorphous tastes, Firenzuola concluded that one could make sausages with
“every type of meat,” referring to all possible sexual practices.58 The
sausage’s morphology, then, links it to the male member and to its features
that could be seen both as gastronomic and sexual: Sausages were ordered from
above / to amuse those who were born into the world / with that grease that
often drips from them; and when they are cooked and swelled / you can serve
them in the round dish, although a few today want them with the split bread. Fur
le salsiccia ab aeterno ordinate / per trastullar chi ne veniva al mondo / con quell’unto
che cola da lor spesso; et quando elle son cotte e rigonfiate, le si mettono in
tavola nel tondo. / Altri son, che le vogliono nel pan fesso, / ma rari il
fanno adesso; / che il tondo inver riesce più pulito, / né come il pan, succia
l’untume tutto.59 When a sausage is cooked and ready to serve, Firenzuola
advised, it would be best to display it on the table “nel tondo” (the round
dish and, metaphorically, the bottom) although others preferred it served with
the “pan fesso” (split bread or, metaphorically again, a woman’s genitals). But
there are few who prefer the latter today, Firenzuola added. As a Florentine,
he prefers the domestic Florentine sausage, large and firm, red and natural,
and encased in clean skin. The metaphors roasted or boiled and the adjectives
“tondo” and “ fesso” (round and split/foolish), refer to sodomitical and
heterosexual encounters, while also alluding to different gastronomical
appetites. The poem concludes in an ecumenical and procreative tone, affirming
that the creation of sausages was intended to give pleasure and utility to
everyone, but in the end the good sausages would always be the reason why men
and women were born into this world.60 Firenzuola’s poem affirms that while the
sausage is for everybody and every taste, gustatory and sexual, when served
“after” and roasted it is good only for upper classes. Like other bernesque
poets, he seems eager to assign a higher social status to this “popular” (and
economic) food. In fact, usually it was roasted fowl and roasted meat that was
theoretically reserved for upper classes. Since he is suggesting sodomy with
the reference to roasted meat, that sexual practice is seen as the nobler
activity, although forbidden. Elevating a lower-class food to a higher status
was the perfect metaphor for speaking in favor of sodomy and introducing social
values along with the sexual. What function did this type of poetic imagery
serve in a period when sodomy was a crime and even the depiction of
non-sodomitical sexual acts in an artistic work such as I Modi proved to be so
controversial? It seems likely that images had more power to move viewers than
writings, but in an era of printing reproduction, cheap copies of poetry, like
the one produced in the Vignaiuoli and Virtuosi circle, could circulate outside
an intended audience of intellectuals and fellow poets. It is therefore
difficult to assess the impact of these texts, but the humor and the
metaphorical language dedicated to meat, vegetables, and fruits may have helped
allay the anxiety among authorities, both religious and civic, about the
diffusion and circulation of writings exalting sodomy.61 The long Capitolo in
lode della salsiccia by Anton Francesco Grazzini, which is followed by an
erudite and playful prose commentary by the same author, extolled the sausage
mainly from a gastronomical point of view, humorously contrasting its
attractions with moralizing medical lore, and interweaving it once again with
sexual innuendos.62 Presenting himself as a knowledgeable gastronome, Grazzini
also praised the primacy of the Florentine sausage, superior to capons,
partridges, and all the meat of birds, as well as to highly prized fish such as
lampreys and eels.63 After defining it as a meal worthy of poets and emperors,
and begging Greece and Rome to recognize the superiority of the sausage made in
Florence, Grazzini once again lauded its colors and its appearance. In
addition, much like the cookbooks of his day, he listed its ingredients:
well-ground lean meat and fat from the pig, salt and pepper, cloves, cinnamon,
oranges, and fennel, all stuffed in a case of animal intestines.64 However, he
clarified that his intent was not to explain how to make it but to laud the
sausage’s beauty, taste, and goodness. And citing the process of stuffing, “imbudellar
la carne,” Grazzini took the opportunity to shift the poem from the culinary to
the sexual. He saluted women who always wanted to have their body full of
sausages because they are good and healthy—another battle won in the same
sausage wars.65 The prose Comento sopra il Capitolo della salsiccia di maestro
Niccodemo dalla Pietra al Migliaio, also authored by Grazzini, makes clear that
although women love the sausage, the double sense is again a reference to
sodomy. The “buona carne,” well done, well cut, and making a good show when
displayed in the round dish, once again is a pretext to laud the male bottom.
Furthermore, the view of the tagliere wins over all the other poetic images
(including those taken from fragments of Petrarch’s poems) such as eyes, hair,
breasts, or feet of Beatrice and Laura.66 A long section of the Comento on the
gastronomical virtues of pork begins with a verse from a sonnet by Petrarch
dedicated to the name of Laura: “O d’ogni riverentia et d’honor degna.” In this
line he humorously shifts abruptly from Petrarch’s words honoring his beloved
Laura to the more mundane culinary and sexual wonders of pork, the only meal
worthy of poets and emperors.67 Even Petrarch’s untouchable Laura takes her
blows in the sausage wars. Throughout the long prose comment on his own poem on
the pork sausage, Grazzini attacked Petrarchan poetry and current medical lore
regarding sausages and pork’s meat. The playful observations on the ability of
the sausage to heal every illness—while maintaining a sexual overtone—reads
like a learned medical prescription listing several herbs and substances used
by apothecaries to prepare their confetti, pills, and tonic drinks.68 Yet
Grazzini also made the straightforward culinary point that Florentine pork and
lard, key ingredients in their sausages, were exceptionally good for roasting
and frying as well as the essential ingredient for making the popular bread
with lard called pan unto. The attraction to lard, the white fat of pork, was
echoed in a poem by the author and translator Lodovico Dolce (1508–68), “Salva
la verità, fra i decinove,”69 dedicated to a gift of wild boar he had received
from a friend. This wild pork is defined as “a magnificent and regal gift”
whose rich fatty f lavor “will make Abstinence die of gluttony and Carnival
lick his fingers.” 70 His enthusiasm for lard in the poem leads to a dream
where Dolce witnessed himself, in an Ovidian fashion, metamorphosed into a
succulent sausage, rich with fat dripping from the extremities of his body.71 Dolce
gave the transference theory of Renaissance doctors a positive spin, since
eating pork actually transformed him if not into the animal itself, into its
gastronomical essence and pleasure. Accordingly, his poem exploited the common
ideaof closeness and fratellanza between pigs and humans in an iconic and
paradoxical way that privileged the sausage.72 The third poem on sausages was
written by Mattio Franzesi who dedicated it to a certain “Caino spenditore,” a
friend presumably in charge of food provisioning in Florence.73 Franzesi
employs the language of gastronomy in an amusing pairing with quotidian
language referring to sodomy. The sausage is called “buon boccon” (excellent
morsel) and “boccon sì ghiotto and divino” when it is paired again with the beloved
specialty panunto, declared superior to two famous upper-class foods, the
impepato and marzipan.74 Franzesi, like Dolce, describes the panunto or slices
of bread with sausage inside as a divine and gluttonous morsel, definitely
superior to luxury foods like the beccafico, a fat and fresh songbird.75
Moreover, the salsiccia does not cost much and can be used in many different
ways to sustain a meal: it can substitute for a salad (i.e., a woman)76 and
priests in particular use it often because they do not need to cook it but can
just warm it up between their hands. All the affirmations in Franzesi’s poem
can be read in a double sense, as gastronomical discussion or as a metaphorical
way of talking about the phallussausage and its pleasures. He refers with
technical precision to the gastronomical side of sausages, even when
metaphorically discussing sexual acts.77 The sausage is better than prosciutto
(both come from pork), when boiled (used with women), and is a good meal for
sauces and “guazzetti ” (sauces). Moreover, all the birds in the world would be
like truff les without pepper and confetti without sugar, if not accompanied by
sausages. A meal with sausages is a meal for taste and pleasure, not a meal for
nourishment. Franzesi then describes its shape, and how to make a good-tasting,
good-smelling sausage, using spices, herbs, and the unique ingredient for
Florentine sausages, fennel. The poem ends with a list comparing the sausage in
the panunto as equal to Florentine gastronomical specialties, such as the
ravigiuolo cheese with grape, cheese with pears, old wine with stale bread, and
others. Exalting a humble subject fitted well with the agenda of the bernesque
poetry that lauded simple foodstuffs and everyday objects. But privileging
sausages over songbirds was clearly not just a rhetorical ploy because it
implied a comparison between a food for rustic people and a luxury food.
Franzesi, like Grazzini before him, contributed in his poem to elevating the
social status of the pork sausage. It was not simply a food “da tinello,” for
poor courtiers used to eating the leftovers of their lord, but a meal worthy of
rich people and important prelates.78 In sum, poets, novellieri, and dramatists
from the fourteenth to the sixteenth centuries took full advantage of the
possibilities offered by the different meaning inherent in the word carne. It
allowed them to discuss virility, sexual potency, masculinity, and sodomy under
the guise of the gastronomical discourse. The sausage poems fit well with the
constant preoccupation and advice of medical and dietary literature of the time
on how to ensure sexual potency. The novelle discussed sexuality between men
and women, endorsing a decisively masculine and traditional view that depicted
women as lusty and desirous of raw carne,which is able to heal every illness
and satisfy every need. The poems on sausages confirm this hierarchical vision
of sexuality dominated by the mighty phallus. Yet they also endorse a concept
of diverse gastronomical taste, lesso and arrosto, nel tondo or nel fesso, to
offer a variety of views of sexuality that responded to every gusto. These
poems on sausages were written in the cultural circle of the Vignaiuoli and
Virtuosi academies, well known in the period for their substantial corpus of poetry
dedicated to the comparison of fruit and vegetables to sexual organs and sexual
acts. The not-so-covert sexual sense of most of those poems exalted sodomy, in
their praise of peaches or carrots, or sexuality with women in poems on salads
and figs. Poems on the mighty sausage covered all the bases of sexuality,
although with a preference, often openly stated, for male–male sexuality.
Intriguingly, the poetic and linguistic play on carne in the form of sausage
allowed lengthy descriptions of an Italian and Florentine gastronomic specialty
of the time, totally ignoring the negative vision of pigs as gluttonous, dirty
animals presented by dietary literature. Since gluttony was the quintessential
behavior represented by pigs, what better way to reclaim pork in the sausage
wars than to use it to symbolize gastronomical richness and sexual variety? If
sins of the f lesh were often symbolized as sins of carne in medieval times,
now in a perfect reversal the pleasures of the f lesh were symbolized by the
pleasures of eating meat in all of its variety, thanks in part to these sausage
wars. Thus, while a moral and disciplinary vision tried to control the
discourse on food and eating in medical and dietetic treatises of the sixteenth
century, a counter-argument advanced playfully in literature and bernesque
poetry presented carne as a metaphor for the pleasures of the senses.79 The
conceptual pairing of gluttony and lust in medieval tradition began to lose
ground to a much more complex world of food, taste, and pleasure, and the no
longer quite so humble sausage led the way.Notes I would like to thank
Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra for inviting me to contribute to this
volume in honor of Konrad Eisenbichler, a friend and scholar who always
supported my work and my career. The research and writing of this essay took
place when I was a fellow at the Institute for Historical Studies at the
University of Texas, Austin, in 2016–17. Some of the topics of this essay were
discussed at events at the University of Toronto in 2015 and University of
Melbourne in 2012. Belated thanks to Konrad Eisenbichler and Catherine Kovesi.
This essay is part of my forthcoming book Food Culture and the Literary
Imagination in Renaissance Italy. 1 Girolamo Parabosco, La fantesca, quoted in
Giannetti, Lelia’s Kiss, 143. 2 The popularity and frequency of the word carne
to indicate the male sexual organ was matched in Renaissance literature and
culture by the use of bird terminology to indicate the virile member as well
as, less frequently, the female organ and sexual intercourse. Allen Grieco has
recently catalogued and analyzed the numerous references to birds in imagery
and literary sources and has studied birds and fowl as food to understand the
connection between eating birds and fowl, and sexuality. He has uncovered the
widely shared humoral perception of birds as a “hot” food which tended to
over-stimulateThe sausage wars3 4 5 6 7891011 12 13 1415 16 1718 19173the
senses. In this way he was able to give a deeper explanation of the theological
link between gluttony and lust typical of the period, pointing out the reason
why, in common perception, the consumption of luxurious and heating food,
especially birds, stimulated the sexual function. According to the taxonomy of
the Great Chain of Being, birds belonged to air and they were hot and humid:
when eaten they would transfer their properties to the body and stimulate
carnal appetite. See Grieco, “From Roosters to Cocks.” Albala, Eating Right,
144–47. Quellier, Gola, 15–16. Cited in Grieco, “From Roosters to Cocks,” 123.
Much later, gluttony was defined as the consumption of luxury foods,
particularly birds. On Dante’s conceptualization of sins see Barolini, Dante,
chapter 4. The Latin word “luxuria” meant extravagant/excessive desire (for power,
food, sex, money, etc.) and in the Italian form “lussuria” became the word for
lust in medieval Italy. In Inferno “lussuriosi” sinners are those who had
excessive love of others, thus diminishing their love for God. Gluttony is a
sin of incontinence like lust. In medieval bestiary and other iconographic
sources especially north of the Alps gluttony is often represented as a fat man
holding a piece of meat and a glass in his hands and riding a swine or a wolf.
Quellier, Gola, 15–23. For medieval bestiaries see chapter one in Cohen,
Animals. In Italy church frescoes represented gluttons in Hell suffering the
tantalic punishment. At the end of the sixteenth century, in the first edition
of Cesare Ripa Iconologia (without images) Gluttony (Gola) is described as
“donna a sedere sopra un porco perché i porchi sono golosi . . .” and
Gourmandize (Crapula) is identified with a “donna brutta
grassa . . .” Iconologia, 111 and 54. This helps to explain, for
instance, why the famed preacher San Bernardino da Siena in his Lenten sermons
in fifteenth-century Florence condemned the desire of Florentine young men for
capons and partridges, claiming they opened the doors to a life of sensual
foods and sensual pleasure. In particular, he linked gluttony to lust and
sodomy. Bernardino da Siena, Le prediche volgari, ed. Ciro Cannarozzi (Pistoia:
Tip. A. Pacinotti, 1934), II: 45–46, quoted in Vitullo, “Taste and Temptation,”
106. Montanari, “Peasants,” 179. Montanari and Capatti, La cucina italiana,
76–77. Pheasants and partridges represented the ideal components of a refined
and tasty banquet, possible only for people with means. Braudel, Capitalism,
129. “Danno ottimo nutrimento, risvegliano l’appetito, massime a’ convalescenti
e sono cordiali. Nuocono a gli infermi, e massime à quei che hanno la febre e
fanno venir tisichi i villani.” Residing on a high position on the Great Chain
of Being, they represented powerful people and, accordingly, were sternly
cautioned against for rustic people, to whom, according to Pisanelli, they
could be dangerous. Pisanelli, “De beccafichi, Cap. xxvi” in Trattato de’ cibi,
33. Similarly, pheasants and partridges are responsible for provoking asthma in
rustic people (Cap. xxvii and xxix). In his work, Bartolommeo Sacchi, known as
Platina, paid much attention to the idealistic principle of moderation derived
from the Greek and Roman world, along with his interest in the revival of
Epicureanism. Platina, On Right Pleasure. Eamon, Science, 163. Giovan Battista
Zapata, Li maravigliosi secreti di medecina, et chirurgia, nuovamente ritrovati
per guarire ogni sorta d’infirmità, raccolti dalla prattica dell’eccellente
medico e chirurgico Giovan Battista Zapata da Gioseppe Scientia chirurgico suo
discepolo (Venice: Pietro Deuchino, 1586; 1st ed. Rome, 1577), 37–41, quoted in
Scully, “Unholy Feast,” 85. Eamon, Science, 188. Bovio, Flagello. He gives the
example of a doctor whose wife was sick and how he cured her with a diet of
French soup, capon, and wine but could not apply the same treatment to his
other patients in fear of losing business; see 45–46. “più facilmente di carne
si faccia carne che di qualunque altra sorte di cibo.” Romoli, La singolare
dottrina; “Delle carni in generale,” 205r. Domenico Romoli (n.d.)
previously17420 2122 2324252627 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 4041Laura
Giannettiworked as a cook with the name of Panunto (oiled bread) and then
became steward for Pope Julius III. For poor people and peasants in particular,
pork continued to be the meat of choice; and although it had a negative
reputation, in the case of people occupied in heavy physical work, pork was
reputed nourishing and healthful. Florentine communal statutes of 1322
prohibited innkeepers from serving up culinary delights because they could
attract men and boys and incite them to commit the unspeakable sin of sodomy.
Rocke, Forbidden Friendships, 159. During Cosimo the Elder’s regime Florentine
Archbishop St. Antonino—in his confessor’s manual—warned against sloth, excess
food, and drink as causes of sodomy. Toscan, Le Carnaval, vol. I: 190. See
Giannetti Ruggiero, “The Forbidden Fruit,” especially pages 31–33. Later in the
seventeenth and eighteenth centuries the Church allowed consumption of eggs,
butter, and cheese during famines and epidemics. See Gentilcore, Food and
Health. One of the most important representatives of this tendency was the
Venetian noble Alvise Cornaro who wrote the extremely successful Trattato della
vita sobria in 1558. In general, moralists’ writers of the later Middle Ages
and early Renaissance continued to advise against eating food that would
produce excessive heating of the body. The dietetic literature, particularly
the influential earlier author Michele Savonarola and the later Baldassar
Pisanelli, supported the restriction of birds and fowl to particular categories
of people held to be more capable of controlling the passions they induced,
such as the powerful and rich or those needier of stimulation such as the sick
and the ailing. Grieco, “From Roosters to Cocks,” 115. See novella “De Novo
Ludo” (Sercambi, Novelliere) available online at www.classicitaliani.
it/sercambi_novelle_08.htm where Ancroia enjoys her time with the priest: “la
donna, come vide Tomeo fuora uscito, preso un fiasco del buon vino, una
tovagliuola, alquanti pani e della carne cotta per Tomeo, et al prete
Frastaglia se n’andò e con lui si diè tutto il giorno piacere, pascendosi di
carne cruda e carne cotta per II bocche . . .” Apostolo Zeno in the
eighteenth century attributed the author name Gentile Sermini to the two anonymous
caudexes containing the novelle. Monica Marchi in her critical edition of the
novelle prefers to use Pseudo-Sermini instead of the conventional name Gentile
Sermini. See Marchi, “Introduzione,” in Pseudo-Gentile Sermini, Novelle, 10–22.
The novelle were written in the first half of the fifteenth century. “[
. . . ] non altramente fece la valente madonna Alisandra che,
agustandole molto la carne e ‘l savore, per quello dilettevole giardino, preso
insieme d’acordo giornata . . .” Pseudo-Gentile Sermini, Novelle, xi,
270. Fortini, Le giornate, I, xvi, 296–300. Grazzini (Il Lasca), Le Cene, I:
vi, 80–94. Giannotti “Il vecchio amoroso,” II: i, 40–41. On remedies for
impotence, and early modern drama, see Giannetti, “The Satyr.” “A Tiziano,” in
Aretino, Lettere, 67–68. This section is partially based on Giannetti Ruggiero,
“The Forbidden Fruit,” 31–52. See “Ragionamento Antonia e Nanna,” in Aretino,
Sei giornate, 38. “The Roman Porcellio Enjoys the Trick Played on the Friar in
Confession,” in Bandello, Novelle, vi: 125. See the discussion of the tale in
Giannetti, Lelia’s Kiss, 181–82. Ibid., 181. On the battles between Quaresima
and Carnival see Ciappelli, Carnevale. Albala, Eating Right, 168 and 181. The
painting is now in the Museo Civico of Udine. Sercambi, “De vidua libidinosa”
in “Appendice,” Novelle inedite, 417–18. Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages.”
Several novelle, from Boccaccio to Sacchetti, related the closeness in everyday
life of pigs and humans in rural and urban areas and the importance of pork for
sustenance, but also the negative perception of pigs and filthy and gross
animals. For instance, see Sacchetti LXX, CII, CXLVI, CCXIV. For Boccaccio see
“Calandrino e il porco.” Already in the Middle Ages, from the perspective of
the Great Chain of Being, pork and the quadrupeds occupied a questionable
position—they were not part of Air like birdsThe sausage wars4243 44 45 46 47
4849 50 51 5253 54 55 5657 58 59 60 61nor of the Earth but somewhere in
between; and pig in particular occupied one of the lowest position among all
quadrupeds. Grieco, “Alimentazione e classi sociali,” 378–79. Pigs were
voracious animals and, according to the Galenic doctor, eating their fattening
meat would transform a person in a pig, as a later image of Gola as a woman sitting
on a pork would make really explicit. For instance, in the second half of the
sixteenth century, Baldassar Pisanelli advised eating sausages and salami in
moderation, but recognized in them some positive characteristics such as
reawakening of appetite and helping to make drinking more pleasurable.
Pisanelli, Trattato de’ cibi, c. 13. Platina, On Right Pleasure, Book VI, 281.
Ibid., 277. Ficino, Three Books on Life, Book 2, 181. See http://lauramalinverni.wordpress.com/201702/04/i-salumi-alla-corte-estensecristoforo-messisbugo/ See the section “Sausages and Salami” in
Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages.” Pietro Aretino in his comedy Il Filosofo
summarizes well this new ambivalence about pork when he had one of his
characters resolutely affirm: “refined sugary confections (the biancomangiari)
and quails do not stimulate taste as do steaks and sausages.” Pietro Aretino,
Il Filosofo, III, 15. See the text in Romai, Plaisance, and Pignatti, eds.,
Ludi esegetici, 313–15. Firenzuola is also author of the famous dialogue On the
Beauty of Women. vv. 12–14. “Canzon, vanne in Fiorenza a quei poeti,” v. 76 The
Virtuosi academy was the continuation of the Vignaiuoli academy, one of the
first “academies” of sixteenth-century Italy, an informal gathering of
intellectuals that met for dinner, witty conversations, music, and poetry in
the early 1530s. Around 1535 or slightly later, the Vignaiuoli renamed
themselves Academia della Virtù and/or Reame della Virtù and continued their
activities until ca. 1540. Meetings, often held at Carnival time, featured
improvised speeches and the recitation of poems, frequently accompanied by
music. The Vignaiuoli was one of the first academies in Italy to privilege the
usage of vernacular and became most famous for the poetic production of
so-called “learned erotica,” as well as for their anti-Petrarchan and
anti-classicist poetic stance. Grappa, now identified with Francesco Beccuti,
comments on Firenzuola’s poem. See Grappa, Il Comento. On Beccuti see Fiorini
Galassi “Cicalamenti.” The allusion here is to the poem Sopra il forno by
Giovanni della Casa, De’ Fichi by Francesco Maria Molza, and In lode delle castagne
by Andrea Lori. All three are poems dedicated to the female genitals. “Mangiasi
la salsiccia innanzi et drieto / a pranso, a cena, o vuo’ a lesso o vuo’
arrosto / arrosto et dietro è più da grandi assai; / innanzi et lessa, a dirti
un bel segreto / non l’usar mai fin che non passa Agosto.” vv. 30–35. “Perchè
in estate gli uomini sono meno capaci di fare l’amore, le donne invece lo sono
di più [. . .]? Perché gli uomini sono più inclini a fare l’amore
d’inverno, le donne in estate? Forse perché gli uomini sono di natura più caldi
e secchi [. . .]?” Aristotele, Problemi, ed. Maria Fernanda Ferrini
(Milan: Bompiani, 2000), IV, 25–28, quoted in Pignatti, ed., Ludi Esegetici II,
200. “O vecchi benedetti! / questo è quel cibo che vi fa tornare giovani e
lieti, et spesso ancho al zinnare” vv. 58–60. “Fassi buona salsiccia d’ogni
carne: /dicon l’istorie che d’un bel torello/dedalo salsicciaio già fece farla
/e a mona Pasife diè a mangiarne? Molti oggidí la fan con l’asinello
. . .” vv. 46–50. vv. 61–65. “Basta che i salsiccioli/cotti nei
bigonciuoli, / donne, dove voi fate i sanguinacci, / son cagion che degli
uomini si facci.” vv. 72–75. On the cultural function of humor see
Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages,” 37.62 For the text of the canzone, see
Grazzini, “In lode della salsiccia,” in Romei, Plaisance, and Pignatti, eds.,
Ludi esegetici, 227–30. For Grazzini “Comento di maestro Nicchodemo dalla
Pietra al Migliaio sopra il Capitolo della salsiccia del Lasca,” see ibid.,
231–309. There is no secure date regarding the writing of the Comento but it
should have been written around 1539–40. See Franco Pignatti, “Introduzione,”
in Romei, Plaisance, and Pignatti, eds., Ludi esegetici, 163. 63 Ibid., vv.
22–33. 64 Ibid., vv. 76–81. 65 Ibid., vv. 94–111. 66 “La bellezza del tagliere
non è come forse molti credono, e non consiste in l’esser bianco, non di buon
legno, non tondo, non ben fatto, ma si bene nell’essere pieno di buona carne
ben cotta e ben trinciata; . . . tolghinsi pur costoro i capelli di
fin oro, la fronte più del ciel serena, le stellanti ciglia . . .
come dire le Laure, le Beatrici, le Cintie e le Flore!” Grazzini, Comento di
Maestro, 240–41. 67 Sonetto n. 5 of Canzoniere on the name of Laura: “Quando io
movo i sospiri a chiamar voi” 68 “Perciò che quei traditori de’ medici la prima
cosa levono il porco e non vogliono a patto nessuno che n’habbia l’ammalato per
mantenergli bene il male addosso, sendo il porco e maggiormente la salsiccia,
habile e possente a guarir d’ogni malattia e più sana che la sena, più
necessaria che la cassia, più cordiale che il zucchero rosato, più ristorativa
che il manicristo, et insomma ha più virtù che la bettonica.” Grazzini, Comento
di Maestro, 280–81. The terzina commented is 103–05: “Io crederria d’ogni gran
mal guarire/ quando haver ne potessi un rocchio intero,/ancor ch’io fussi bello
e per morire.” 69 In Dolce, Capitoli. 70 “dono invero magnifico e reale,/da far
morir di gola l’astinenza/e leccarsi le dita a Carnevale.” Ibid., vv. 10–12. 71
“E chi m’avesse allora allora punto/aria veduto uscir liquor divino/del corpo,
ch’era pien di grasso e d’unto.” Ibid., vv. 43–45. 72 Some authors trying to
dignify pork, recycled Galen’s idea expressed in De alimentorum facultatibus
where he argued troublingly that pork was pleasurable because it was similar to
human’s flesh. For instance “Le carni del Porco fra tutte le altre carni dei
quadrupedi han vittorie in nutrire e dar più forza ai corpi perché cosi nel
gusto come nello odore par che habbiano una peculiar unione e fratellanza col corpo
umano si come da alcuni si è inteso che per non sapere hanno gustato la carne
dell’huomo” [For taste as well as for odor, it seems that the meat of pork has
a peculiar unity and likeness with the human body, as some reported, who tasted
human flesh while not knowing it] in Un breve e notabile trattato del
reggimento della sanità, ridotto dalla sostanza della medicina di Roberto
Groppetio 362–63 v. The little volume is attached to La singular dottrina. It
is not clear whether it was written by Panunto himself or not. For a similar
affirmation see also: Della natura et virtù de’ cibi, 68v. Not all agreed with
this troubling similarity but it was quite a common affirmation in many medical
treatises and in some literary works of the time. 73 In Romei, Plaisance, and
Pignatti, eds., Ludi esegetici, 316–18. 74 “Qui non è osso da buttare al cane,
/ e’l suo santo panunto è altra cosa/che lo impepato overo il mrzapane,” vv.
25–27. 75 “Dicon che la midolla del panunto,/incartocciata come un cialdoncino,
/ tal che di sopra e di sotto appaia l’unto, / è un boccon sì ghiotto e sì
divino, / che se lo provi ti parrà migliore/ch’un beccafico fresco e
grassellino,” vv. 38–42. It should be noted that even the luxury food, the
beccafico, had strong sexual overtones. 76 The cultural discourses that
surrounded salad in early modern Italy and Europe were complex and rich,
ranging from sexuality and manners, to taste, gastronomy, and class identity.
See Giannetti, “Renaissance Food-Fashioning.” Online at: http://escholarship. org/uc/item/1n97s00d. 77 “è un boccon sì ghiotto e
sì divino, / che se lo provi ti parrà migliore/ch’un beccafico fresco e
grassellino,” vv. 40–43. Franzesi, “Capitolo sopra la salsiccia,” 316–18.78
“Questo non è già pasto da tinello/ma da ricchi signori e gran prelati / che
volentieri si pascon del budello.” Ibid., vv. 79–81. 79 On the disciplining
vision of the sixteenth century and a counter-discourse in dramatic literature
see Giannetti, “Of Eels and Pears.”Bibliography Albala, Ken. Eating Right in
Renaissance Italy. Berkeley, CA: University of California Press, 2002. Aretino,
Pietro. Lettere. Edited by Gian Mario Anselmi. Rome: Carocci, 2000. ———. Sei
giornate. Edited by Guido Davico Bonino. Turin: Einaudi, 1975. Bandello,
Matteo. Novelle. Edited by Luigi Russo and Ettore Mazzali. Milan: Rizzoli,
1900. Barolini, Teodolinda. Dante and the Origins of Italian Literary Culture.
New York: Fordham University Press, 2006. Berni. Comento alla Primiera -Lasca,
Piangirida e Comento di maestro Nicodemo sopra il Capitolo della salsiccia.
Edited by Danilo Romei, Michel Plaisance, and Franco Pignatti. Manziana:
Vecchiarelli, 2005. Bovio, Zefiriele Tommaso. Flagello de’ medici rationali di
Zefiriele Tommaso Bovio nobile veronese; nel quale non solo si scuoprano molti
errori di quelli, ma s’insegnan ancora il modo d’emmendargli & corregerli.
Milan: Giovan Battista Bid, 1617; 1st ed. Venice, 1583. Braudel, Fernand.
Capitalism and Material Life, 1400–1800. New York: Harper & Row, 1973.
Ciappelli, Giovanni. Carnevale e Quaresima: Comportamenti sociali e cultura a
Firenze nel Rinascimento. Rome: Edizioni di Storia e Letteratura, 1997. Cohen,
Simona. Animals as Disguised Symbols in Renaissance Art. Leiden: Brill, 2008.
Della natura et virtù de’ cibi in Italiano. Tradotto dal Greco per Hieronimo
Sachetto Medico Bresciano. Opera ad ognuno per conservarsi in sanità utilissima
e necessaria. Venice: Giovanni Bariletto, 1562. Dolce, Ludovico. Capitoli del
Signor Pietro Aretino, di Messer Lodovico Dolce, di M. Francesco Sansovino, et
di altri acutissimi ingegni, diretti a gran Signori sopra varie et diverse
materie molto dilettevole. Venice: Curtio Navò e fratelli, 1540. Eamon,
William. Science and the Secrets of Nature: Books of Secrets in Medieval and
Early Modern Culture. Princeton, NJ: Princeton University Press, 1994. Ficino,
Marsilio. Three Books on Life. Edited and translated by Carol V. Kaske and John
R. Clark. Binghamton, New York: Medieval and Renaissance Texts and Studies,
1989. Fiorini Galassi, Maria Grazia. “Cicalamenti del Grappa.” In El più soave
et dolce et dilectevole et gratioso bochone: Amore e sesso al tempo dei
Gonzaga. Edited by Costantino Cipolla and Giancarlo Malacarne, 299–326. Milan:
Franco Angeli, 2006. Fortini, Pietro. Le giornate delle novelle dei novizi.
Edited by Adriana Mauriello, 2 volumes. Rome: Salerno Editrice, 1988. Franzesi,
Mattio. “Capitolo sopra la salsiccia a Caino spenditore.” In Ludi esegetici:
Berni. Comento alla Primiera-Lasca. Piangirida e Comento di maestro Nicodemo
sopra il Capitolo della salsiccia. Edited by Danilo Romei, Michel Plaisance,
and Franco Pignatti, 316–18. Manziana: Vecchiarelli, 2005. Gentilcore, David.
Food and Health in Early Modern Europe: Diet, Medicine, and Society, 1450–1800.
London: Bloomsbury Academic, 2016. Giannetti, Laura. Lelia’s Kiss: Imagining
Gender, Sex and Marriage in Italian Renaissance Comedies. Toronto: University
of Toronto Press, 2009.———. “Of Eels and Pears: A Sixteenth Century Debate on
Taste, Temperance, and the Pleasure of the Senses.” In Religion and the Senses
in Early Modern Europe. Edited by Wietse de Boer and Christine Göttler,
289–306. Leiden-Boston: Brill, 2012. ———. “Renaissance Food-Fashioning or the
Triumph of Greens.” California Italian Studies 1, no. 2 (2010): 1–16. ———. “The
Satyr in the Kitchen Pantry.” In Cuckoldry, Impotence and Adultery in Europe
(15th –17th Century). Edited by Sara Matthews-Grieco, 103–24. Farnham: Ashgate,
2014. Giannetti Ruggiero, Laura. “The Forbidden Fruit or the Taste for Sodomy
in Renaissance Italy.” Quaderni d’Italianistica 27, no. 1 (2006): 31–52.
Giannotti, Donato. “Il vecchio amoroso.” In Commedie del Cinquecento. Edited by
Nino Borsellino, 2 vols. Milan: Feltrinelli, 1962. Grappa. Il Comento del
Grappa nella canzone del Firenzuola in lode della salsiccia. Mantua:
Ruffinelli, 1545. Grazzini (Il Lasca), Anton Francesco. Le Cene. Edited by
Riccardo Bruscagli. Rome: Salerno, 1976. ———. “Comento di maestro Nicchodemo
dalla Pietra al Migliaio sopra il Capitolo della salsiccia del Lasca.” In Ludi
esegetici: Berni. Comento alla Primiera-Lasca. Piangirida e Comento di maestro
Nicodemo sopra il Capitolo della salsiccia. Edited by Danilo Romei, Michel
Plaisance, and Franco Pignatti, 231–309. Manziana: Vecchiarelli, 2005. ———. “In
lode della salsiccia.” In Ludi esegetici: Berni. Comento alla Primiera-Lasca.
Piangirida e Comento di maestro Nicodemo sopra il Capitolo della salsiccia.
Edited by Danilo Romei, Michel Plaisance, and Franco Pignatti, 227–30.
Manziana: Vecchiarelli, 2005. Grieco, Allen J. “Alimentazione e classi sociali
nel tardo Medioevo e Rinascimento in Italia.” In Storia dell’alimentazione.
Edited by Jean Louis Flandrin and Massimo Montanari. Rome-Bari: Laterza, 1997.
———. “From Roosters to Cocks: Italian Renaissance Fowl and Sexuality.” In
Erotic Cultures of Renaissance Italy. Edited by Sara Matthews-Grieco, Farnham,
89–140. Farnham: Ashgate, 2010. La singular dottrina di Messer Domenico Romoli
sopranominato Panunto. Venice: Michele Tramezzino, 1560. Matthews-Grieco, Sara.
“Satyr and Sausages: Erotic Strategies and the Print Market in Cinquecento
Italy.” In Erotic Cultures of Renaissance Italy, ed. Sara Matthews-Grieco,
19–60. Farnham: Ashgate, 2010. Montanari, Massimo. “Peasants, Warriors,
Priests: Images of Society and Styles of Diets.” In Food: A Culinary History
from Antiquity to the Present. Edited by Jean-Louis Flandrin and Massimo
Montanari, 2nd ed., 178–87. New York: Columbia University Press, 1999.
Montanari, Massimo and Alberto Capatti. La cucina italiana: Storia di una
cultura. Bari: Laterza, 1999. Pignatti, Franco, ed. Ludi Esegetici II: Giovan
Maria Cecchi. Lezione sopra il sonetto di Francesco Berni. “Passere e
beccafichi magri e arrosto.” Manziana, Rome: Vecchiarelli, 2010. Pisanelli,
Baldassar. Trattato de’ cibi et del bere del signor Baldassar Pisanelli Medico
Bolognese. Nel quale non solo tutte le Virtù & i vitijdi quelli minutamente
si palesano; ma anco i rimedij per correggere i loro difetti. Carmagnola:
Marc’Antonio Bellone, 1589. Platina. On Right Pleasure and Good Health [De
honesta voluptate et valetudine]. Edited and translated by Mary Ella Milham.
Tempe, AZ: Medieval and Renaissance Texts and Studies, 1998. Pseudo-Gentile
Sermini. Novelle. Edited by Monica Marchi. Pisa: ETS, 2012. Quellier, Florent.
Gola: Storia di un peccato capitale. 2nd edition. Bari: Dedalo, 2012.Ripa,
Cesare. Iconologia overo Descrittione dall’immagini universali cavate
dall’antichità da Cesare Ripa Perugino. Rome: Gigliotti, 1593. Rocke, Michael.
Forbidden Friendships: Homosexuality and Male Culture in Renaissance Florence.
New York: Oxford University Press, 1996. Romei, Danilo, Michel Plaisance, and
Franco Pignatti, eds. Ludi esegetici: Berni. Comento alla Primiera-Lasca.
Piangirida e Comento di maestro Nicodemo sopra il Capitolo della salsiccia.
Manziana: Vecchiarelli, 2005. Romoli, Domenico. La singolare dottrina di
Domenico Romoli sopranominato Panunto, Dell’ufficio dello Scalco, dei
condimenti di tutte le vivande, le stagioni che si convengono a tutti gli
animali, uccelli, pesci . . . . Venice: Giov. Battista Bonfadino,
1593; 1st ed. 1560. Scully, Sally A. “Unholy Feast: Carnality and the Venetian
Inquisition.” Ateneo Veneto, Rivista di scienze, lettere ed arti, CXCVI, ottava
serie 2 (2009): 79–104. Sercambi, Giovanni. “De Novo Ludo.” In Novelliere.
Edited by Giovanni Sinicropi. www.classicitaliani.it/sercambi_novelle_08.htm ———. “De vidua libidinosa” in “Appendice.”
Novelle inedite di Giovanni Sercambi tratte dal codice Trivulziano CXCIII.
Edited by Rodolfo Reni. Turin: Loescher, 1889. Toscan, Jean. Le Carnaval du
langage: Le lexique érotique des poètes de l’équivoque de Burchiello à Marino
(XVe–XVIIe siècles). 4 volumes. Lille: Atelier Reproduction des Thèses,
Université de Lille III, 1981. Vitullo, Juliann. “Taste and Temptation in Early
Modern Italy.” The Senses and Society 5, no. 1 (March 2010): 106–18.PART
IIIVisualizing sexuality in word and image10 GIANANTONIO BAZZI, CALLED “IL SODOMA”
Homosexuality in art, life, and history James M. SaslowFrom his mid-thirties,
the Lombard-Sienese painter Gianantonio Bazzi (1477– 1549) was publicly known
as “Il Sodoma.” This epithet translates as “Sodom,” the biblical city eponymous
with sexual transgressions that were then both a sin and a crime. Sodomy
bracketed multiple acts, but most commonly referred to love between men; so,
his nickname might be freely rendered as “Mr. Sodomite.” Our principal
biographical source is Giorgio Vasari, whose Vita of Bazzi (1568) recounts
several revealing or scandalous episodes. A few are exaggerated or false,
skewed by Vasari’s disdain for both homosexuality and Siena. However, his
plausible explanation of how the artist earned his sobriquet is not refuted by
other evidence. Vasari describes him as a gay and licentious man, keeping
others entertained and amused with his manner of living, which was far from
creditable. . . . [S]ince he always had about him boys and beardless
youths, whom he loved more than was decent, he acquired the by-name of Sodoma.1
While sources for private feelings are scanty and often problematic for this
period, and Sodoma left little first-person testimony, this and other records
suggest a prima facie case for the artist’s erotic interest in other males. He
is unique in Renaissance Italy as the only artist whose homosexuality was
frankly avowed and widely known. His character and sexual interests offer a
provocative case study of the intersections between eros and creativity, and
how that sensibility was manifested in his imagery. His experiences further
suggest that there were overlapping audiences eager to receive and respond to
that sensibility. Sodoma exhibited other character traits also considered
eccentric or insolent, and was fond of capricious pranks; the monks at
Monteoliveto Maggiore, his first large commission, referred to him as “Il
Mattaccio,” the “crazy fool.”2 Hewas an impudent mocker of moral decorum:
Vasari reports indignantly about the nickname Sodoma that “in this name, far
from taking umbrage or offence, he used to glory, writing about it songs and
verses in terza rima, and singing them to the lute with no little facility.” He
was also infamous for his f lamboyant clothing and for keeping an entire
menagerie in his home, including pet birds, monkeys, squirrels, and race
horses; Vasari called the house “Noah’s Ark.”3 He entered his horses in public
contests, and we can date his sobriquet back to a series of races in Florence
from 1513 to 1515. When his steed won, the heralds asked what owner’s name to
announce; Bazzi replied, “Sodoma, Sodoma,” indicating that he was already known
by that name and willing to be associated with it. The incident also reveals
the precarious social landscape that known or suspected sodomites had to
negotiate. Thumbing his nose at a mocking public backfired: a group of outraged
elders incited a mob attack, during which he narrowly escaped being stoned to
death.4 Anecdotes and documents notwithstanding, historians have long tried,
for widely differing reasons, to chip away at the foundations of a
historiographical tradition dating back to Vasari himself. For it was Vasari,
unwittingly anticipating modern queer scholarship, who first understood Sodoma
as having homosexual desires and assumed some connection between his sexuality
and his work.5 To the prudish chronicler, that connection was negative: Vasari
blamed Sodoma’s failure to achieve greatness on his excesses of character, from
laziness to carnality, scolding that if he had worked harder, “he would not
have been reduced to madness and miserable want in old age at the end of his
life, which was always eccentric and beastly.”6 Value judgment aside, the
assumption that artists’ personalities and passions are intimately imbricated
with their work runs throughout Vasari’s biographies. Modern generations,
beginning with the homophile Victorian critic-historians John Addington Symonds
and Walter Pater, acknowledged the same connection with a positive valence,
reading Sodoma’s androgynous figures and distinctive iconography as revealing
glimpses into the sensibilities of a man aware of both his own desires and the
gap separating that passion from social norms. The path they laid down guided
post-Stonewall gay studies through the early 1980s.7 More recently, postmodern
theoreticians, stressing the ever-shifting social constructions of sexuality
and identity, have countered such attempts to posit any individual sexual
identity or group homosexual consciousness, however embryonic and sporadic, in
that era. Their methodology, inspired by scholars from Michel Foucault to Eve
Sedgwick and David Halperin, dismisses such formulations as anachronistic
over-reading.8 The generational shift in goals and methods, from “gay and
lesbian studies” to “queer studies,” instigated an ongoing debate. These
theoretical polarities have implications for the present study, which aims to
excavate the embodied passions and creative process of an individual who felt
homosexual desire, and to reconstruct, to whatever extent possible, an early
moment in the gradual, fitful emergence of self-aware homosexual sensibilities
and self-expression.Although I defer consideration of this theoretical
controversy until the essay’s end, my working hypothesis parallels the nuanced
historiography of Christopher Reed, who reminds us that, although readings of
Renaissance homosexuality as similar to modern conceptions were convincingly
challenged by Foucault’s insistence that [the modern] sexual typology was not
invented until the nineteenth century, [nevertheless] no idea is without roots,
and subsequent scholarship provided evidence that convinced even Foucault to
recognize stages in the eighteenth, the seventeenth, and even the sixteenth
century leading to the invention of homosexuality as a personality type.9 As a
personality, Sodoma was among the few early modern artists who visualized
homoerotic desire. This essay investigates that process along three intertwined
axes: life, work, and historiography. His biography provides a unique
microhistory of an early avowed homosexual and his culture’s understanding of
that inclination. His works gave visual expression to his erotic sensibility,
and contemporary patrons and spectators, from pederastic monks to libertine
aristocrats, were ready to receive it sympathetically. Finally, I conclude with
a more personal historiographical meditation on the controversy over whether
embryonic homosexual consciousness can be located in early modern culture.Early
religious works Arriving in Siena as a young man, Sodoma established relations
with the Chigi family and the Benedictine order, who commissioned numerous
works, mainly on sacred themes.10 Officially, since Christianity condemned all
non-procreative sex, theological narratives offered next to no scope for
“homo-representation”; but his religious pictures nonetheless provide material
for queer readings. If a subject contained any potential for imagining or
accentuating a homoerotic subtext, Sodoma exploited it more than any artist of
his time except Michelangelo (also a lover of men), seldom missing an
opportunity to foreground male beauty or intimacy in nude or suggestively clad
bodies. Many images celebrate the boyish, androgynous type that was the most
common object of adult male desire at the time, while a few idealize the more
heroic male adult body; he often derived both figure types from classical
sculptures with a homoerotic pedigree. And many members of the audience for his
imagery, both clerical and lay, were likely to appreciate this eroticized
beauty. The first example of the interlinked sensibilities of artist and
spectators is his fresco cycle for the abbey at Monteoliveto Maggiore, outside
Siena (1505–08), depicting the life of the order’s founder, St. Benedict.11
Payment records confirm several Vasarian details about the artist, from his
early nickname, Mattaccio, to his use of apprentices ( garzoni ) and his
fondness for extravagant finery. Although the austere life of the founder of
monasticism was unpromising terrain,Sodoma found novel pretexts for inserting
numerous visual features—often rare or unique inventions—that would appeal to
the homosexual or bisexual gaze. Most striking in its novel and ironic
departure from the subject’s nominal moral is the illustration of Benedict
seeking relief from a female devil’s sexual temptation by stripping off his
clothes and f linging himself into spiny briar bushes12 (Figure 10.1). Unlike
the few earlier representations of this scene, Sodoma renders the vegetation
soft and unthreatening: rather than conveying mortification of the f lesh, he
presents in full frontal view a nude of heroic proportions, reclining
comfortably in a pose modeled on classical prototypes. The all’antica beauty of
the body displaces attention from the saint’s physical self-abnegation onto his
potential to arouse erotic desire—precisely what Benedict is trying to
suppress.13 The most personally revealing of the frescoes is the Miracle of the
Colander (Figure 10.2), in which the saint and his homespun miracle (repairing
a household sieve) are shunted to the left, leaving the central focus on the
figure of Sodoma himself, showing off his legendary wardrobe. His self-portrait
corroborates Vasari’s disdainful take on him as a fop, “caring for nothing so
earnestly as for dressing in pompous fashion, wearing doublets of brocade,
cloaks all adornedFIGURE 10.1 Sodoma, Abbey of Monteoliveto Maggiore, Saint
Benedict Is Tempted by a Female Devil, fresco, 1505–8.Photo credit:
Scala/Ministero per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.Gianantonio
Bazzi, called “Il Sodoma”FIGURE 10.2187Sodoma, Monteoliveto, Miracle of the
Colander, fresco, 1505–8.Photo credit: Scala/Ministero per i Beni e le Attività
Culturali/Art Resource, NY.with cloth of gold, the richest caps, necklaces, and
other suchlike fripperies only fit for clowns and charlatans.” Here, as
elsewhere, Vasari seems well informed about specific details of Sodoma’s life
and work: his comment is supported by the abbey account books, which describe a
garment much like the one Sodoma wears here, an embroidered gold cape listed
among elaborate items of apparel as a form of payment from the monks, who had
received it from a wealthy nobleman.14 The artist also surrounds himself with
exotic animals, just as Vasari noted he liked to do: birds and two pet badgers.
Sodoma’s sartorial tendencies and other biographical details connect him to a
contemporaneous homosexual demimonde in ways that Vasari himself was perhaps
unaware of, but which is well attested in social history of the period. His
clothing, fondness for androgynous youths, and writing of satirical poetry are
all behaviors then associated with sodomites as an identifiable group with its
own recognizable customs. Research by Michael Rocke, Guido Ruggiero, and others
into the prevalence of sodomy and the emergence of urban homosexual networks in
early modern Italy has revealed that they were so widespread they can scarcely
be called a “subculture.” As Rocke puts it, Bazzi’s brand of sexuality became
“an increasingly common feature of the public scene and the collective
mentality.”15 In Florence, a special sodomy court heard hundreds of
casesannually until 1502; a substantial percentage of males passed through at
some time in their lives.16 Hence “sodomy was . . . a common part of
male experience that had widespread social ramifications.” Rocke notes that
“this sexual practice was probably familiar at all levels of the social
hierarchy” and among a wide range of professions.17 Among those occupations are
the “beardless boys” whom Vasari blames for the artist’s nickname, probably his
apprentices and workshop assistants. Artists’ studios being all-male, “the
potential for homoerotic relations in such an environment was high,”18 and
intimate, sometimes sexual relations between assistants or models and their
masters are suggested by documents on artists from Donatello to Leonardo da
Vinci and Botticelli. Closer to Sodoma’s time, the bisexual sculptor Benvenuto
Cellini was taken to court by the mother of one apprentice for coercing him
sexually.19 This common social pattern gives Sodoma’s behavior wider
implications, since his actions were shared with countless other men. His
wardrobe is the clearest exemplar of those erotic implications. Helmut Puff has
documented the role of material culture in formulating and enacting sexual
subcultures, and how extravagant clothing was a marker of effeminacy and sexual
deviance. Exchange of rare and costly textiles or clothing could betoken
homosexual relationships, either as gifts for love or payment for services.20
By the mid-fifteenth century, San Bernardino da Siena’s sermons thundered
against boys’ receiving clothing and money for sex.21 Within the field of
costume studies, which asserts “the centrality of clothes as the material
establishers of identity itself,” clothing is understood as a set of
materialized symbols with social functions and meanings. As Jones and
Stallybrass have explored, clothes can either embody and reinforce submission
to normative social roles (uniforms) or, when deployed in violation of
sumptuary standards, mark the wearer as consciously rejecting those norms—as
Sodoma did by appropriating the dress of an aristocrat.22 Thus, portraying
himself in extravagant, coded finery was a subversive act of
self-identification with a marginalized minority: in Andrew Ladis’s phrase, “a
pose of arrant foppishness, as if the painter personified the very diabolical
temptations of the f lesh that he painted and lived, not excluding what was
commonly known as ‘the monastic vice’”23 —a revealing euphemism for sodomy. The
artist gives freest play to erotic signifiers in the scene of St. Benedict
welcoming two disciples, Saints Maurus and Placidus, amid the wealthy youths’
retinue and onlookers24 (Figure 10.3). While the disciples are modestly clothed
and posed, both the epicene youth on the center axis and the African groom at
right are shown da tergo, Italian for a rear view that spotlights the buttocks.
The central youth and his mirror image at far left are boyish androgynes,
embodying the predominant pattern of pederasty, in which mature men sought
stillfeminine adolescents for anal intercourse. Thus, some viewers, at least,
would have appreciated the erotic implications of the motif.25Gianantonio
Bazzi, called “Il Sodoma”Sodoma, Monteoliveto, St. Benedict welcomes Sts. Maurus
and Placidus, fresco, 1505–8.FIGURE 10.3Photo credit: Scala/Ministero per i
Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.Reinforcing this erotic
interpretation, the two youthful onlookers at center and left also sport
versions of Sodoma’s own elaborate clothing, as does the groom to the right of
center. They f launt the styles associated with homosexual seduction: tight
multicolored stockings, long hair, and extravagant fringes, hats, and colors.26
Such clothing had long been associated with sodomites; Alainof Lille’s De
planctu naturae (ca. 1160) lamented that these men “over-feminise themselves
with womanish adornments.”27 San Bernardino da Siena inveighed against parents
who let their sons wear short doublets and “stockings with a little piece in front
and one in back, so that they show a lot of f lesh for the sodomites,”
resulting in such an appealing adolescent always “having the sodomite on his
tail.”28 These suggestive details may have been projections of Sodoma’s erotic
mindset, but it is highly likely that they resonated with some of the monks who
were his primary audience. Shifting our focus from the artist, we should also
examine the mental world of his viewers. Reception theory or spectator theory
asks not what did the artist put into the work, but, rather, what did the
audience take out of it? What interests, beliefs, or habits of seeing did his
audience have, and how did that subject-position influence their reading of his
messages? As Adrian Randolph observed regarding the reception of Donatello’s
homoerotic bronze David, an artwork can function as “a receptacle for the
beholder’s imaginative concerns.” His and other studies have explored how
reception of religious art was determined by the viewers’ gender, particularly
in convents, where nuns often specified subjects relevant to their experience;
these insights can be extended to male religious and to sexuality as well as
gender.29 Sodoma’s audience here was exclusively male clergy, proverbially
stereotyped as sodomitical.30 Temptations were exacerbated by the enforced
closeness of clerical living arrangements: several scenes depicting Benedict
and his monks highlight their day-to-day intimacies both emotional and
physical.31 To head off such dangers, the rules of the order specified that no brother
is permitted to enter the cell of another without permission of the abbot or a
prior; if this is permitted, they may not remain together in the cell with the
door closed. And no monk may touch another in any way . . . A light
was to burn all night in the dormitory area and latrine, presumably to prevent
secret trysts under cover of darkness.32 Such precautions were not entirely
effective, as a few visual examples attest. A near-contemporary satirical
painted plate depicts a monk pointing to a youth’s bare bottom; the caption
explains, “I am a monk, I act like a rabbit” (Figure 10.4)—then, as now, a
symbol of tireless sexuality, particularly homosexuality.33 A Flemish print
depicts a 1559 event in Bruges in which three monks were burned at the stake for
“sodomitical godlessness.”34 These starkly contrasting examples dramatize the
contradictory culture within the religious world: male–male sex was
acknowledged, though officially taboo and sometimes severely punished, yet
often tolerated and even laughed about. Outside monastery walls, free from
Church proscriptions, Sodoma found more overt opportunities to celebrate such
love.FIGURE 10.4 Majolica plate, attributed to Master C.I., ca. 1510–20. Musée
national de la Renaissance, Écouen, France.Photo credit: ©RMN-Grand Palais/Art
Resource, NY.Secular subjects Sodoma illustrated secular subjects for private
patrons and domestic settings. His most career-boosting painting depicted the
Roman heroine Lucretia, whose suicide to preserve family honor after she was raped
symbolized the ideal of married women’s honorable chastity; gifted to Pope Leo
X, it earned the artist a papal knighthood.35 When the opportunity arose,
however, as with sacred images, hepaid unusual attention to the homoerotic
elements of myth and history, which offered explicit exemplars of male devotion
and passion. And the audience for his best-known classical project, a fresco
cycle for the papal banker Agostino Chigi, was the sophisticated, libertine
Roman society who were as likely to share his sexual interests and habits of
spectatorship as were the monks at Monteoliveto.36 In 1516–17, Chigi
commissioned Sodoma to decorate the bedroom of his villa, now called the
Farnesina. The wealthy financier’s love nest, shared with his mistress
Francesca Ordeaschi, offers a revealing microcosm of the hedonistic, tolerant
atmosphere of High Renaissance Rome, where even popes had mistresses and
bastards, and humanist classical culture provided justification for libertine
bisexuality all’antica.37 Numerous rooms were painted with erotic myths both
heterosexual and homosexual.38 Given Chigi’s personality and interests, Sodoma
was a sympathetic addition to his creative team. Although Sodoma married in
1510, his nickname was public knowledge by 1513, when he registered as “Sodoma”
in a list of racehorse owners, and two years later had the heralds call that
name. After describing our artist’s clothes, manners, and mocking spirit,
including the racing incident, Vasari reports that “in [these] things Agostino,
who liked the man’s humour, found the greatest amusement in the world.” The
appreciative patron requested episodes from the life of Alexander the Great,
historically implied as bisexual.39 The principal scene recreates a lost Greek
painting of Alexander’s marriage to Roxana, known through an ancient
ekphrasis—a classicizing tribute to Chigi and his beloved40 (Figure 10.5). The
emperor proffers a marriage crown to the princess, while putti cavort in
playful eroticism. To the right stand two idealized men: nude Hymen, god of
marriage, and torch-bearing Hephaestion, Alexander’s intimate companion and, in
some accounts, lover. Both figures are based on a well-known Greek statue, the
Apollo Belvedere, depicting the most vigorously bisexual of the gods.41 While
principally a heterosexual scene, then, the picture’s sub-theme is nude male
beauty and the passion Hephaestion represents. Sodoma’s audience was
predisposed to appreciate this story’s erotic duality. Many patrons and viewers
had bisexual or homosexual desires; an anecdote in Castiglione’s Book of the
Courtier (ca. 1514) reports that “Rome has as many sodomites as the meadows
have lambs.” The erotic tone among these clerics, aristocrats, artists, and
writers was light-hearted; while sodomy was outlawed, enforcement was spotty
and penalties light.42 Eyewitness testimony for “queer visuality” at the
Farnesina comes from raunchy bisexual author Pietro Aretino, who spent time
there while Sodoma was painting. Aretino recorded an ancient statue of a satyr
chasing a boy, an explicit complement to the loftier male love in Sodoma’s
fresco. He wrote to Sodoma twenty-five years later, expressing nostalgia for
their shared youth, and wishing that “we were embracing each other now with
that warm feeling of love with which we used to embrace when we were enjoying
Agostino Chigi’s home so much.”43 One glimpses the atmosphere of an
affectionately demonstrative, pansexual pleasure-palace. Like the life it
looked out upon, Sodoma’s picture is a mélange of sexualities, with intimacy
between men given “equal time.”FIGURE 10.5 Sodoma, The Marriage of Alexander
and Roxana, Villa Farnesina, Rome, fresco, 1517–19.Photo credit: Scala/Art
Resource, NY.Further evidence for the casual attitude toward
homosexuality—Sodoma’s in particular—is a set of epigrammatic couplets
published in 1517 by Eurialo d’Ascoli, a poet in the circles around Chigi,
Aretino, and Leo X, bluntly informing his readers that “Sodoma is a pederast.”
The poem celebrates Sodoma’s painting of Lucretia, which earned his knighthood;
only the final verses turn comic. Having praised the artist for verisimilitude
that brings Lucretia back from the dead, Eurialo imagines her interpreting this
miracle as an opportunity to convert the artist sexually. The narrator then
asks her his own facetious question, implying that as a sodomite the artist
would not normally be inspired by female subjects: Now beautiful Venus grants
me the nourishment of light breezes [i.e., earthly life], So that I can reclaim
you, Sodoma, from tender youths. Sodoma is a pederast; why then, Lucretia, did
he make you So lifelike? He has our buttocks instead of Ganymede. Nunc mihi
pulchra Venus tenui dat vescier aura, Ut revocem a teneris, Sodoma, te pueris.
Sodoma paedico est; cur te Lucretia vivam Fecit? Habet nostras pro Ganimede
nates.44Sodoma’s knighthood was cited by whitewashing early scholars as proof
that the artist could not have been homosexual, since such sins would have
disqualified him from religious honors.45 But here we see again how casually
this milieu treated sexual transgressions. The fabulously wealthy Chigi married
Ordeaschi in 1519, and Leo X—himself a reputed sodomite who, Vasari records,
“took pleasure in eccentric and light-hearted figures of fun such as [Sodoma]
was”— legitimized their four children.46 Worldly success was hardly evidence
against impropriety. Eurialo’s couplets recall Vasari’s statement about
Sodoma’s nickname that “he used to glory [in it], writing about it songs and
verses in terza rima, and singing them to the lute.” As with clothing, Sodoma
was participating in another cultural tradition that linked artists, writers,
and readers of non-normative sexuality in a web of self-expression. Bawdy
burlesque poetry treated all sexuality with lighthearted comedy; Sodoma’s texts
have not survived, but we can garner some sense of their contents and tone from
verses by contemporaries. What Deborah Parker labels “a poetry of
transgression,” full of sexual innuendo and whimsical exaggeration, circulated
in manuscript, public readings, and print.47 The father of burlesque poetry,
Francesco Berni, was banished from Rome in 1523 for too openly mourning a young
male lover.48 The genre became popular among visual artists eager to establish
their intellectual credentials through writing, including such homosexuals or
bisexuals as Michelangelo, Bronzino, and Cellini.49 Sodoma’s personality chimed
perfectly with the genre’s subversive insolence. Bronzino’s capitolo “In Praise
of the Galleys,” for example, unashamedly eroticizes the all-male world of oarsmen
on ships, muscular and sweaty males confined in close quarters where sex among
themselves was the only outlet: here “boiled and roasted meats are hardly ever
mixed,” a common metaphor for vaginal (wet) versus anal (dry) sex. Berni,
expanding on the trope that priests are sodomites, declares that their example
is infecting monks, using a fruity symbol for boys’ buttocks: Peaches were for
a long time food for prelates, But since everyone likes a good meal, Even
friars, who fast and pray, Crave for peaches today. Le pesche eran già cibo da
prelati, Ma, perché ad ognun piace i buon bocconi, Voglion oggi le pesche insin
ai frati, Che fanno l’astinenzie e l’orazioni.50 The sardonic, guilt-free humor
of such texts suggests, as Domenico Zanrè describes, “a marginal undercurrent
operating within an official cultural environment,” and demonstrates that
“certain individuals were able to produce alternative literary responses within
a dominant . . . milieu that attempted to contain and, insome cases,
exclude them.”51 An incident around 1530 corroborates Sodoma’s own refusal to
accept derogatory comments from authority: when a Spanish soldier insulted him,
the artist got revenge by drawing his portrait and identifying him to his
superiors.52 San Bernardino was furious precisely because so many sodomites
seemed unrepentant and unafraid of divine judgment. What enraged him and Vasari
was not these men’s behavior alone, but the quality Italians call faccia
tosta—“cheek” or “a big mouth”—refusal to give even lip service to official
mores.53 The burlesque mode evinces the first buds of an oppositional response
to social disapproval: a selfaware articulation of outsider status, and an
emerging rebellion against social convention that opened a space, however
narrow, for asserting alternative consciousness and self-affirming values.54
Greco-Roman texts and images served Sodoma, like other homosexual artists and
patrons from Michelangelo to Caravaggio, as validation for their all’antica
desires and pretexts for visualizing male beauty and eros.55 Within educated
elites, a tolerant, classically inspired hedonism held its own against legal
and clerical taboos until late in Sodoma’s lifetime, when the Council of Trent
began its anticlassical reform (1545). In this libertine culture, an artist
widely known for sexual nonconformity was able to smilingly adopt a derogatory
nickname as a public identity and even f launt his sexual interests in word and
image, with little harm to his string of major commissions and honors.Later
religious works Sodoma’s late commissions were predominantly religious. As at
Monteoliveto, these images emphasize the erotic appeal of figures who are
nominally not sexual: saints, angels, and soldiers. Whereas at the monastery it
was possible to analyze the reactions of a specific clerical audience,
commissions for more public locations could be viewed by the whole
cross-section of society, some proportion of which, as outlined earlier, would
have understood and welcomed homoerotic allusion. As Patricia Simons has explained,
“Renaissance imagery might appear to condemn non-normative sex . . .,
but it was possible for viewers to take works in other, imaginative
directions.”56 Sodoma’s best-known work, depicting Saint Sebastian (1525),
epitomizes his typical traits: androgynous classicizing male beauty, emotional
pathos and sensuous chiaroscuro (Figure 10.6).57 Iconographically, it offers a
prime example of his sensitive antennae for elements of religious narrative
with specialized appeal. Sebastian was a Roman soldier who refused to renounce
Christianity, for which Emperor Diocletian, despite their intimate personal
relationship, ordered him shot by archers. Saint Ambrose’s hagiography
establishes their strong emotional bond, open to erotic interpretation: he
notes that Sebastian was “greatly loved” by Diocletian and his co-emperor
Maximian (intantum carus erat Imperitoribus).58 Sodoma paints a virtually nude,
Apollo-like Sebastian with blood trickling from several wounds. He looks
longingly at the angel bringing a martyr’s crown—his reward for loving
sacrifice to God—with an expression that couldFIGURE 10.6Sodoma, Saint
Sebastian, processional banner, Pitti Palace, Florence,1525. Photo credit:
Scala/Ministero per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.equally connote
divine or earthly ecstasy. While his bond with the emperor offered a secular
hint at Sebastian’s sexual inclinations, the implied passion between Sebastian
and the godhead is a more important, and universal, emotional dynamic, with a
profound yet ambivalent homoerotic subtext. For all Christians, intense, loving
union with Christ was the ultimate spiritual goal; for men, however,
exhortation to the symbolically feminine ideal of passive, ecstatic submission
to another male raised the specter of sodomy. The phallic arrows piercing
Sebastian evoke sexual penetration, a symbol of the saint’s necessary, but
problematic, feminization;59 they also recall Cupid’s love-inducing shafts,
multiplying the signals for an erotic response. Cinquecento image-makers were expected
to encourage such a passionate response because, as Simons observes in relation
to Christ, for Sebastian too “the visualization of supreme beauty was necessary
in order to induce reverence.”60 Theoretically, religious images could function
on these two levels simultaneously, without contradiction: the lure of physical
beauty would hopefully lead the viewer to a higher spiritual adoration. In
practice, however, it was difficult to police the borders between earthly and
heavenly passion. We know that Sebastian’s beauty was experienced as
problematically titillating by at least one sex: the Florentine artist-monk Fra
Bartolommeo painted a nude image of the saint so appealing that female
parishioners admitted in confession that it stimulated carnal thoughts, after
which it was taken down.61 It was just such temptations that the Council of
Trent acknowledged when it set out to purge church imagery of eroticism. So, it
is not difficult to imagine that men, as well as women, were attracted to
Sodoma’s provocative Sebastian in the physical sense.62 The “seeming
contradictions of deliberately evoking erotic desire in religious painting”
have been parsed by Jill Burke, who sees in this practice “a deep and knowing
ambivalence toward sexuality” that signals “a huge variance between official
rhetoric and widely accepted practice.”63 By including formal and iconographic
cues to a homoerotic response, Sodoma could appeal to men who, like himself,
experienced love and desire in male terms. Like extravagant dress and burlesque
poetry, pictorial ambiguity opened another narrow cultural space for expressing
alternative sexuality.Historiography: a modest proposal This essay has aimed to
demonstrate three propositions: that Sodoma was known for, and acknowledged,
desire for men; that his work evinces a distinctive mode of seeing and
representing that expresses that erotic inclination; and that contemporaneous
audiences would have appreciated that sensibility. As Ruggiero asserts, It is
no longer possible to ignore the general shared culture of the erotic and its
omnipresence in daily exchange, nor is it possible to overlook the particular
subcultures that coexisted at the time and that were such a central part of
daily life.64Without claiming anachronistically that this evidence establishes
anything so coherent and exclusive as a modern “gay identity,” I submit that
these emerging networks and customs, alongside visual and literary production
on homosexual themes, constitute early shoots of an alternative sexual
consciousness that would reach critical mass only during the Enlightenment. I
accept the historiographic formulation of the Renaissance as “early modern,”
which stresses continuities from that culture into the modern era, presupposing
a model of cultural change that is gradual and evolutionary rather than abrupt
and discontinuous. To quote Reed again, “If modern ideas of sexual identity and
artistic self-expression cannot be simply mapped onto the Renaissance
. . . it is nevertheless true that these notions have Renaissance
roots.”65 However, to seek the “roots” of anything “modern” in anything “past”
has become problematic since the advent of postmodern theory. There are now, as
Reed observes, “wildly varying interpretations of Renaissance art’s
relationship to homosexuality”66 —more broadly, of relationships among desire,
behavior, identity, and self-expression. To social constructionists, the search
for glimmers of an alternative, proto-modern awareness in Sodoma’s ambiente is
misguided. There can be no transhistorical connections between sexual actors in
different periods, because sexual identity is not innate or fixed; rather, it
is created through social discourses that define and control sexuality, an
unstable product of external forces acting on the passive individual. There
were no homosexual persons, only homosexual acts. Puff ’s formulation: “Sodomy
was not thought of as a lifelong orientation, let alone a social identity,” is
echoed by Reed’s: “[S]exual behavior in Renaissance Italy was not seen as a
basis for individual identity.”67 This school coined the term “essentialist” to
disparage earlier researchers who, from Symonds to John Boswell, saw sufficient
commonality with those in earlier times who desired other men to justify
searching the Middle Ages and Renaissance for branches of a sexual family tree
dating back before 1867 (when “homosexual” was coined). Without accepting all
the methodological baggage identified with an often over-simplified
“essentialism,” one can still maintain that someone calling himself “Mr.
Sodomite” seems a prime excavation site for evidence of such genealogical
links, since his name rendered his erotic proclivity a “lifelong social
identity.” Like a genetic mutation that may crop up in random individuals, and
only gradually spread across a species’ gene pool, Sodoma constituted an
irruption of anomalous possibilities that, while not yet fully articulated,
began to diffuse new forms of sexual identity and self-expression that
increased over the next several centuries. These methodological disagreements
center on two questions: one external and sociological, the cultural
categorization of homosexual behavior; the other internal and psychological,
the conscious experience of individuals who desired other men and their degree
of agency within a hostile official discourse. There was clearly a dominant
conceptual structure of canon and civil law that confined homosexuality to
taboo acts that might potentially tempt anyone, within whichour modern notion
of inherent sexual “orientations” was not officially recognized. Just as
clearly, however, no culture is monolithic, and a complex of alternatives
operated alongside these formal structures. As we have seen, the elements of
this quasi-underworld were in place by the sixteenth century: meeting places,
distinctive behaviors, and cultural expressions.68 As Ruggiero has outlined,
such “illicit worlds had their own coherent discourse,”69 which viewed
male–male sexuality as an amusing peccadillo; suggested that some individuals
were drawn to it by distinctive character traits; and expressed awareness of
(and resistance to) the gap between official values and their own experience.
The solution to this impasse lies in moving beyond an “either–or” cultural
analysis to a “both–and” approach. Instead of setting arbitrarily precise
boundaries to ever-shifting conceptions of sexuality, it would more accurately
ref lect Sodoma’s transitional environment to acknowledge the temporal
overlapping of contrasting systems of thought and behavior, and to explore the realities
of those who negotiated the dialectic between them. Two tendencies in current
scholarship, however, militate against such open-ended rapprochement. The first
is reluctance to accept evidence for alternative sexual consciousness; the
second is ascribing to cultural discourses an unrealistic power over against
embodied experience. What follows is part summary, part personal statement: a
roadmap out of an increasingly pointless stalemate, and a brief for greater
attention to the lived experience of men-who-had-sex-with-men and its
genealogical links to later generations. Two principal examples of the discord
over what “counts” as evidence of sexual desire and identity are the tendency
to downplay or deny evidence for Sodoma’s sexuality, and the disregard of
alternative language imputing distinct personality to sodomites. First, the
present examination of how Sodoma expressed his homoerotic desires depends on
establishing that his nickname was in fact a marker of his sexuality, which
raises the question: how reliable is Vasari? Unfortunately, as Paul Barolsky
notes, “How we read Vasari depends on our sensibility and taste. We all ride
our own hobbyhorses.” 70 Since the Victorians, homophobic scholars have
attempted to discredit Vasari and defend a respected Old Master against any
implication of immorality in “his evil-sounding sobriquet.” 71 Efforts to give
it a non-sexual meaning are highly speculative: Enzo Carli supposes the
nickname was simply Bazzi’s own little joke, “with which . . . he
loved to glorify himself facetiously,” but it strains credibility that a
heterosexual man would consider a false claim of deviancy “glorifying.” 72 When
such dismissals are echoed by queer-studies scholars, the hobby-horse is
epistemological caution rather than morality, but the effect is the same: to
erase facets of queer history that conf lict with a higher belief—that
homosexuality did not (yet) exist.73 We do have to read Vasari cautiously:
despite the author’s claims, Sodoma’s wife never left him, nor did he die poor.74
Because few details in Vasari’s psychological profile are confirmed by other
sources, postmodern skepticism insists that any statement not independently
documented is probably false. But Vasariis generally most informed about
artists close to his own time, many of his artistic facts are documentable, and
details in the Vite of Sodoma and Beccafumi indicate that he visited Siena, saw
artworks, and interviewed informed sources. Moreover, his characterization of
Sodoma as capricious, insolent, and sodomitical is corroborated by three period
sources: Eurialo d’Ascoli’s couplets, Paolo Giovio’s life of Raphael (“a
perverse and unstable mind bordering on madness”), and Armenini’s account of
Sodoma’s revenge for an insult.75 Thus, this essay has followed a less
restrictive approach, accepting any statement that is not contradicted by
external sources as possible and perhaps likely. All historical reconstructions
involve judgments of probabilities; giving one’s sources “the benefit of the
doubt” can make up for any loss of positivistic certainty with gains in
breadth, depth, and detail. Secondly, there is linguistic evidence that
particular psychological traits were becoming attached to habitual sodomites;
but this suggestive vocabulary is often brushed aside to “save the phenomenon”
of an episteme of acts, not personalities. I agree with Simons that “both
categorical approaches are problematic.” A more subtle, inclusive view is
adumbrated by Robert Mills, who demonstrates that the juridical focus on
potentially universal acts was in tension with moral, Church perspectives which
also sought to make an identity of the sodomite . . . by
characterizing sodomy as a more enduring kind of practice, a vice for which one
had a particular disposition, tendency or taste. . . . [S]uch
perspectives developed unevenly, over long periods of time, [but there are]
signs that some medieval thinkers . . . wished to pin the sin down to
particular bodies and selves.76 Examples of how “Sodoma” might thus denote an
individual with an inborn sexual preference include one of Matteo Bandello’s
humorous tales (novelle), ca. 1540, in which the dying Porcellio, pressed by
his confessor to admit that he performed acts “against nature,” claims to
misunderstand the question because, he says, “to divert myself with boys is
more natural to me than eating and drinking.” 77 Similarly, Giordano Bruno’s
Spaccio della bestia triunfante (1584) praises Socrates for resisting “la sua
natural inclinatione al sporco amor di gargioni” (his natural inclination toward
the filthy love of boys).78 Dall’Orto has surveyed numerous Renaissance Italian
terms for those who commit homosexual acts, notably inclinazione, which implies
“leaning” in a particular direction.79 Similar spadework for the French cognate
inclination has been performed by Domna Stanton, while numerous other French
and English tropes, such as “masculine love,” have been catalogued by Joseph
Cady.80 Language was clearly emerging at this point articulating distinctive
traits among those drawn to sodomy: not yet an “identity” in the modern sense,
but a critical shift toward notions of internal difference. If postmodernism
underplays evidence of sexual self-awareness, it conversely overestimates the
power of discourse, unduly minimizing individual agencyand the imperatives of
the embodied self. The ability of collective discourse to enforce social norms
is never absolute. It engages in perpetual dialectic with the potentially
anarchic desires of society’s diverse individual members, a situation in which
“lived eroticism did not always conform to the rules of social hierarchy,”81
from Romeo and Juliet to Sodoma and his apprentices. This ineluctable tension
arises because discourse is inculcated into the mind, whereas sexual desire is
grounded in parts of the biological organism less susceptible to rational
suasion. Embodied experience is transhistorical: lust, like hunger, pre-exists
cultural conditioning, and “the recalcitrant realities of human conduct”82 are
insistent enough when unsatisfied to overcome any social convention. This essay
has marshalled evidence that Sodoma, and his contemporaries with similar
inclinations, felt a dissonance between their desires and the dictates of
society, and they possessed sufficient agency to imagine alternative values—what
Walter Pater viewed as a signal Renaissance development, a “liberty of the
heart” that enabled nonconformists to move “beyond the prescribed limits of
that system.”83 Individual bodies are not mere passive receptacles for an
overpowering discourse “poured into” them, but are capable of awareness of that
effort at marginalization, and of active resistance. The ultimate question
lying behind such methodological differences is: why do we do queer history?
Here again, divergent answers ride different hobbyhorses: postmodernists focus
on epistemology, while those open to historical continuity are more interested
in phenomenology. The former philosophize, “How and what can we know about
Renaissance sexuality?” answering that we can comprehend little about a shifting
discourse in which “sexuality” did not exist; the latter psychoanalyze, “How
did it feel for sexual outsiders to negotiate this social regime?,” and seek
clues in intimations of difference in life, language, and art. While the former
stress chronological discontinuity, the latter seek a “usable past,” a
narrative that produces affinities and resonances across time. The latter
project is inherently political: as George Chauncey characterizes emerging
queer studies in the late nineteenth century, claiming certain historical
figures was important to gay men not only because it validated their own
homosexuality, but because it linked them to others. . . . This was a
central purpose of the project of gay historical reclamation. . . .
By constructing historical traditions of their own, gay men defined themselves
as a distinct community.84 Put another way, this school, and this essay, seek
to recover evidence of homosexual desire and expression—however fragmentary,
ambiguous, and carefully historicized—to counter centuries of suppression, and
it seems ironic when social constructionism abets the same historical erasure.
A final image, recently attributed to Sodoma, provides an enigmatic but
tantalizing coda to this discussion85 (Figure 10.7). His hair garlanded with
leaves, beard and brows untamed, “Allegorical Man” leers like a satyr while his
rightJames M. SaslowFIGURE 10.7Sodoma (attributed), Allegorical Man, ca.
1547–8, oil, Accademia Carrara,Bergamo. Photo credit: Scala/Ministero per i
Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.hand makes the contemptuous
gesture of “the fig,” an insult that, since Martial’s Epigrams (2:28), can
imply that the receiver is a sodomite. The picture’s precise iconography
remains unexplored; Radini Tedeschi suggests the gesture alludes to Sodoma’s
nickname, and the picture may thus be a final self-portrait, literally or
symbolically. If so, it contrasts poignantly with the artist’s first
self-portraitforty years earlier ( Figure 10.2). Once young and beardless, his
foppishness a silent assertion of nonconformity, he has aged to a still
elaborately costumed but more overtly defiant graybeard, telling the world in
gesture what his burlesque poems expressed in words: I am what I am, I’ve
survived your derision, and I still don’t care what you think. Admittedly, this
interpretation remains speculative, but it would effectively bookend the
scenario of Sodoma’s life and work presented here. Our ability to entertain
such a hypothesis depends, however, on more than attribution and iconography.
The potential to recover the self-expression of creative Renaissance sodomites
also requires a polyvalent openness to a range of both personal and cultural
evidence and interpretive methods. Hearteningly, many seminal postmodern
theorists are more accepting of multiplicity than their acolytes. Foucault
praised Boswell’s conception of “gay,” while Carla Freccero deploys Foucault’s
own theoretics against his discontinuity between early modern and modern
sexuality. She approvingly cites David Halperin’s suggestion that we supplement
rigidly compartmentalized ideas of identity with concepts of “partial identity,
emerging identity, transient identity, semi-identity . . .,” the
better to “indicate the multiplicity of possible historical connections between
sex and identity.”86 Murray reassures us that “the alternative to intellectual
conformity is not a lack of coherence but rather a series of interwoven,
complementary . . . approaches.”87 Perhaps the most balanced and
inspiring methodological f lag has been raised by Valerie Traub, who recalls
that, while seeking traces of early modern same-sex eros, she assumed “neither
that we will find in the past a mirror image of ourselves nor that the past is
so utterly alien that we will find nothing usable in its fragmentary traces.”88
I have sought in Sodoma not a mirror-image, but a family resemblance. He is
“usable” as our ancestor: someone with whom we share an identifiable lineage of
desire and self-expression, in whose uniquely chronicled creative life we can recapture
the origins of an increasingly prominent familial trait.Notes1 2 3 4 5This
essay grew from a paper delivered at a 2007 conference at University of Toronto
organized by Konrad Eisenbichler. Thanks to Patricia Simons for her
constructive suggestions. Vasari, Le vite, 6: 380; Vasari, Lives, 7: 246.
Vasari repeats these accusations in his Vita of Domenico Beccafumi, ed.
Milanesi, 5: 634–35. Vasari, Le vite, 6: 382; Vasari, Lives, 7: 247. Vasari, Le
vite, 6: 381; Vasari, Lives, 7: 246. Vasari, Le vite, 6: 389–90; Vasari, Lives,
7: 251, records the old men’s protest; for documents for the 1513 and 1515
races, see 6: 389 n. 3, 390 n. 1; Bartalini and Zombardo, Giovanni Antonio
Bazzi, 44–45, nos. 15–19. A note on terminology: I use “homosexual” throughout in
the narrow descriptive sense, to refer to sexual desire or behavior between
persons of the same sex. Although modern audiences read “homosexual” with
broader connotations of psychology and identity, here it is only shorthand for
“male–male sex.” In modern typology, Sodoma would be considered bisexual, since
he was also married and a father.6 Vasari, Le vite, 6: 379; Vasari, Lives, 7:
245. The artist did not die destitute or insane: see below, n. 74. 7 Fisher, “A
Hundred Years,” 13–39, outlines the activist project of research into
Renaissance homosexuality since the nineteenth century. 8 For an overview of
this position, see Grantham Turner, “Introduction,” 8, n. 3. 9 Reed, Art and
Homosexuality, 54–55. 10 Bartalini, “Sodoma.” 11 The standard English monograph
remains Hayum, Giovanni Antonio Bazzi; for Monteoliveto see 93, cat. no. 4. See
further on the abbey Radini Tedeschi, Sodoma, 138–47; Batistini, Il Sodoma;
documents in Bartalini and Zombardo, Fonti, 15–31, no. 7. 12 Hayum, Giovanni
Antonio Bazzi, 93, no. 4.8; Batistini, Il Sodoma, no. 8. The incident is
recorded by Gregory the Great, Life of St. Benedict, chap. 2. 13 Only a few
illustrations of this subject are known: both a fresco by Spinello Aretino (San
Miniato, Florence) ca. 1387 and a panel by Ambrogio di Stefano Bergognone, ca.
1490, show a pale, unidealized body among prominent briars. A sexual reading of
the series is supported by Kiely, Blessed and Beautiful, chap. 7, “Sodoma’s St.
Benedict: Out in the Cloister.” 14 Vasari, Le vite, 6: 383; Vasari, Lives, 7:
248, for the quote and cloak. The gift, along with other payments of fabrics
and clothing, is transcribed by Bartalini and Zombardo, Fonti, 18–19, 266. See
also Radini Tedeschi, Sodoma, 78–80. 15 Rocke, “The Ambivalence,” 57. 16 Rocke,
Forbidden Friendships, 3–6; his book provides extensive data and analysis of
fifteenth-century Florence. On sodomy elsewhere, see Ruggiero, The Boundaries
of Eros; Crompton, Homosexuality and Civilization, chap. 9; Mormando, The
Preacher’s Demons. For a Europe-wide perspective, see Crompton, Homosexuality
and Civilization, chaps. 10–12; Puff, “Early Modern Europe,” 79–102. 17 Rocke,
Forbidden Friendships, 112, 134. 18 Simons, “The Sex of Artists,” 81. 19 Rocke,
Forbidden Friendships, 163; Crompton, Homosexuality and Civilization, 262–69.
20 Puff, “The Sodomite’s Clothes,” 251–72. 21 Bernardino da Siena, Le prediche
volgari, ed. Pietro Bargellini (Milan: Rizzoli, 1936), 796–97, 898, cited and
discussed in Dall’Orto, “La fenice,” 5, and n. 27 and n. 28. See also Rocke,
“Sodomites.” 22 Jones and Stallybrass, Renaissance Clothing, 2–7. 23 Ladis,
Victims, 109. 24 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 94, no. 12. 25 On anal sex as
social practice and artistic motif, see Saslow, Ganymede, chaps. 2–3; Rubin,
“‘Che è di questo culazzino!’”; Grantham Turner, Eros Visible, 274–99. Sodoma’s
Deposition, ca. 1510, similarly spotlights the rear view of a soldier: Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi, 117, no. 7. Other artists emphasized rear views, often
motivated by the formalintellectual challenge of the paragone: Summers,
“‘Figure come fratelli.’” When we have evidence of an artist’s sexual
proclivities, as with Sodoma, it is reasonable to explore whether he imbued the
motif with personal erotic interest; lacking such evidence, however, we cannot
know which other artists might have done the same. Regardless of artistic
intent, similar stimuli would invite similar audience responses. 26 Similar
figures appear in scenes no. 1, 30, and 36 as catalogued by Batistini (Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi, 93–4, nos. 1, 20, 26). 27 Alain of Lille, The Plaint of
Nature, trans. James Sheridan (Toronto: Pontifical Institute, 1980), 187, cited
in Puff, “The Sodomite’s Clothes,” 260. 28 Bernardino, as quoted by Rocke,
“Sodomites,” 12, 15; cited in Simons, The Sex of Men, 99. 29 Randolph, Engaging
Symbols, 151, chap. 4. For nuns, see Hayum, “A Renaissance Audience”; for both
sexes, Hiller, Gendered Perceptions. 30 On the prevalence of clerical sodomy
see Boswell, Christianity, Social Tolerance; Mills, Seeing Sodomy, chap. 4;
Rocke, Forbidden Friendships, 136–37. See also Parker, Bronzino, 37: “burlesque
poets tended to present clerics as sodomites.”31 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi,
93–94, nos. 4.13, 4.14, 4.21; Batistini, Il Sodoma, nos. 13, 14, 31 (illns. 59,
60, 68). 32 The regulations are in the monastery’s fourteenth- and
fifteenth-century chronicle: Regardez le rocher, 182–83, 418–19 (my
translation). 33 Illustrated and discussed in Saslow, Pictures and Passions,
103–04. 34 Frans Hogenberg, Execution for Sodomitical Godlessness in Bruges,
1578; illustrated in Crompton, Homosexuality and Civilization, 327. 35 Vasari,
Le vite, 6: 387; Vasari, Lives, 7: 250. 36 On the city’s licentious paganism,
see Bartalini, Le occasioni, 39–86. 37 Rowland, "Render unto Caesar.” 38
Other homoerotic images are in the Sala di Psiche, where Ganymede appears
twice, and one spandrel depicts Jupiter kissing Cupid; Saslow, Ganymede in the
Renaissance, 135–40; Turner, Eros Visible, 109–33. 39 Vasari, Le vite, 6:
384–88; Vasari, Lives, 7: 248–50. Alexander and Hephaestion’s love is alluded
to by Aelian, Various History, 12: 7, and other ancient authors. 40 Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi, 164–77, no. 20; Bartalini, Le occasioni, 78–81; Radini
Tedeschi, Sodoma, 193–94, no. 56. 41 On Sodoma’s use of classical sources and
gender ambiguity see Smith, “Queer Fragments.” 42 Baldassare Castiglione, The
Book of the Courtier, book 2, chap. 61. On the sexual tone in Rome, see
Crompton, Homosexuality and Civilization, 269–90; Talvacchia, Taking Positions.
Leo X’s Rome also associated sartorial effeminacy with homosexuality:
pasquinades mocked Cardinal Ercole Rangone and sodomite friends for “going
around disguised as nymphs”: Burke, “Sex and Spirituality,” 491. 43 Aretino,
Lettere sull’arte, vol. 1, no. 68 (1537), vol. 2, no. 244 (1545); Aretino, The
Letters, 123–25, no. 58. Other sources record a sculpted Antinous, Hadrian’s
lover: Bartalini, Le occasioni, 73–75. 44 d’Ascoli, Epigrammatum, 11v–12r;
Bartalini and Zombardo, Fonti, 64–67, no. 29; Radini Tedeschi, Sodoma, 71–72.
45 Ibid., 23. 46 Vasari, Le vite, 6: 386–88; Vasari, Lives, 7: 250. On Leo’s
sodomitical reputation see Giovio’s biography, in Le vite di dicenove,
141v–142v. 47 Parker, Bronzino, chap. 1; Parker, “Towards;” Rocke, Forbidden
Friendships, 3–5; Tonozzi, “Queering Francesco”; Zanrè, Cultural
Non-conformity, chap. 3. 48 Tonozzi, “Queering Francesco,” 589–91. 49 On these
artist-authors see Parker, Bronzino; The Poetry of Michelangelo; Gallucci,
Benvenuto Cellini. 50 Fisher, “Peaches and Figs,” 158–59. 51 Zanrè, Cultural
Non-conformity, 1-2. 52 Armenini, De’ veri precetti, 42–43; Vasari, Le vite, 6:
393; Bartalini, Le occasioni, 17. 53 Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,” 71-72,
quoting Bernardino, in Le prediche volgari, ed. C. Cannarozzi (Pistoia:
Pacinotti, 1934), 277. A document dated 1531, purportedly Sodoma’s tax
declaration, is even more insolent, signed with a sexual vulgarity; Bartalini
and Zombardo, Fonti, 131–33, 281–92. While now considered a seventeenth-century
forgery, it demonstrates that a “legend” about Sodoma’s sexual brazenness
persisted after his death. 54 See Milner, “Introduction.” 55 Sodoma depicted
anther homoerotic myth distinctively: his Fall of Phaeton is almost unique in
including Phaeton’s cousin Cycnus, with whom literary sources imply a loving
relationship (Hayum, 135, no. 12). Suggestively, the only other artist to
include Cycnus was Michelangelo. 56 Simons, “European Art,” 135. 57 Vasari, Le
vite, 6: 390; Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 191, no. 24; Radini Tedeschi,
Sodoma, 211–12, no. 73. 58 Acta sanctorum, 2: 629, 20 Januarii; Jacopo da
Voragine’s thirteenth-century Golden Legend repeats this phrase (s.v. “St.
Sebastian”).59 On arrow symbolism, including homoerotic potential, see
Cox-Rearick, “A ‘Saint Sebastian,’” 160–61. 60 Simons, “Homosociality,” 38. 61
Vasari, Vita of Fra Bartolommeo. For additional complaints about sexualized
Sebastians, see Bohde, “Ein Heiliger,” 86, n. 18. 62 Sodoma’s later depictions
of Sebastian evoke the same erotic subtext. In his Madonna and Child with
Saints, ca. 1541–44 (Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 257, no. 43), Sebastian
stares at Jesus, who toys with the saint’s arrow—a phallic detail seen in no
other image. Similarly unique is Sodoma’s Resurrection, 1535 (Hayum, 235, no.
33) in depicting the angels as nude putti. 63 Burke, “Sex and Spirituality,”
488–92. 64 Ruggiero, “Introduction,” 2. 65 Reed, Art and Homosexuality, 43. 66
Ibid., 47. 67 Ibid., 43; Puff, “Early Modern Europe,” 84–85. 68 On this
alternative culture in various cities see Puff, “Early Modern Europe,” 87;
Ruggiero, “Marriage,” 23–26; Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,” 61–64, 79. 69
Ruggiero, “Marriage, Love,” 11. 70 Paul Barolsky, “Vasari’s Literary Artifice,”
121. 71 Cust, Giovanni Antonio Bazzi, 10. 72 Carli, Il Sodoma, 9–12; Carli,
“Bazzi.” 73 See, e.g., Patricia Simons, “Sodoma, Il,” 286. 74 Vasari, Le vite,
6: 379, 398, citing contradicting documents, 399 n. 1. 75 On Eurialo see above,
n. 44; Armenini, n. 52. On Giovio’s biographies see n. 46; for his comment on Sodoma
(“praepostero instabilique iudicio usque ad insaniae affectationem”) see
Bartalini and Zambrano, Fonti, 83–86, no. 35. 76 Simons, “Homosociality and
Erotics,” 48, n. 4; Mills, “Acts, Orientations,” 205. 77 Bandello, Tutte le
opera, ed. Flora, 1: 95, novella 6; Bandello, Tutte le opera, trans. Payne, 1:
94–8. 78 Bruno and Campanella, Opere, 321. 79 Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,”
74–76; Dall’Orto, “‘Socratic Love,’” esp. 34–35, 46–50. 80 Stanton, “The
Threat.” See further Stanton, ed., Discourses of Sexuality; the historiographic
overview by Smith, “Premodern Sexualities”; Cady, “The ‘Masculine Love.’” 81
Puff, “Early Modern Europe,” 87. 82 Brundage, “Playing,” 23. 83 Pater, The
Renaissance, 3–6, 18–19; Fisher, “A Hundred Years,” 19–23. 84 Chauncey, Gay New
York, 285–86. 85 Radini Tedeschi, Sodoma, 257, no. 118. 86 O’Higgins, “Sexual
Choice,” 10; Halperin is quoted and discussed in Freccero, Queer, 48. 87
Murray, “Introduction,” xiv. 88 Valerie Traub, The Renaissance of Lesbianism in
Early Modern England (Cambridge: Cambridge University, 2002), 32.Bibliography
Acta sanctorum. Brussels, 1863. Aretino, Pietro. Lettere sull’arte di Pietro
Aretino. Edited by Ettore Camesasca, 3 vols. Milan: Edizioni del Milione,
1957–60. ———. The Letters of Pietro Aretino. Translated by Thomas C. Chubb.
Hamden, CT: Archon, 1967. Armenini, Giovan Battista. De’ veri precetti della
pittura. Edited by Marina Gorreri. Turin: Einaudi, 1988.Bandello, Matteo. Tutte
le opere di Matteo Bandello. Edited by Francesco Flora, 2 volumes. Verona:
Mondadori, 1952. Bandello, Matteo. Tutte le opere di Matteo Bandello.
Translated by John Payne, 2 volumes. London, 1890. Bartalini, Roberto. Le
occasioni del Sodoma. Rome: Donzelli, 1996. ———. “Sodoma, the Chigi and the
Vatican Stanze.” Burlington Magazine 143 (2001): 544–53. ——— and Alessia
Zombardo. Giovanni Antonio Bazzi, il Sodoma: Fonti documentarie e letterarie.
Vercelli: Museo Borgogna, 2012. Barolsky, Paul. “Vasari’s Literary Artifice and
the Triumph of Michelangelo’s David.” In The Ashgate Research Companion to
Vasari, 121–28. Edited by David Cast. Farnham: Ashgate, 2014. Batistini,
Alessandro. Il Sodoma e gli affreschi de Monteoliveto Maggiore. Florence:
Pontecorboli, 2012. Bohde, Daniela. “Ein Heiliger der Sodomiten? Das erotische
Bild des Hl. Sebastian im Cinquecento.” In Männlichkeit im Blick: Visuelle
Inszenierung in der Kunst seit der Frühen Neuzeit. Edited by Mechthild Fend and
Marianne Koos. Cologne: Böhlau, 2004. Boswell, John. Christianity, Social
Tolerance, and Homosexuality. Chicago: University of Chicago Press, 1980.
Brundage, James. “Playing by the Rules: Sexual Behavior and Legal Norms in
Medieval Europe.” In Desire and Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern
West. Edited by Jacqueline Murray and Konrad Eisenbichler, 23–41. Toronto:
University of Toronto Press, 1996. Bruno, Giordano and Tommaso Campanella.
Opere. Milan: Ricciardi, 1956. Buonarroti, Michelangelo. The Poetry of
Michelangelo. Edited and translated by James M. Saslow. New Haven, CT: Yale,
1991. Burke, Jill. “Sex and Spirituality in 1500s Rome.” Art Bulletin 88
(2006): 482–95. Cady, Joseph. “The ‘Masculine Love’ of the ‘Princes of Sodom’
‘Practising the Art of Ganymede’ at Henry III’s Court . . .” In
Desire and Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern West. Edited by
Jacqueline Murray and Konrad Eisenbichler, 123–54. Toronto: University of
Toronto Press, 1996. Carli, Enzo. “Bazzi.” Dizionario biografico italiano, vol.
7 (1970). www.treccani.it/enciclopedia/ bazzi-giovanni-antonio-detto-il-sodoma ———. Il
Sodoma. Vercelli: Cassa di Risparmio, 1979. Chauncey, George. Gay New York. New
York: HarperCollins, 1994. Cox-Rearick, Janet. “A ‘Saint Sebastian’ by
Bronzino.” Burlington Magazine 129 (1987): 155–62. Crompton, Louis.
Homosexuality and Civilization. Cambridge, MA: Harvard University Press, 2003.
Cust, Robert H. Hobart. Giovanni Antonio Bazzi . . . New York:
Dutton, 1906. d’Ascoli. Eurialo. Epigrammatum libri duo. Siena, 1517. Dall’Orto,
Giovanni. “La fenice di Sodoma.” Sodoma 4. Milan: Fondazione Sandro Penna,
1988. Reprinted in History of Homosexuality in Europe and America. Edited by
Wayne Dynes and Stephen Donaldson. New York: Garland, 1992. ———. “ ‘Socratic
Love’ as a Disguise for Same-Sex Love in the Italian Renaissance.” In The
Pursuit of Sodomy: Male Homosexuality in Renaissance and Enlightenment Europe.
Edited by Kent Gerard and Gert Hekma, 33–66. London: Harrington Park, 1989.
Fisher, Will. “A Hundred Years of Queering the Renaissance.” In Queer
Renaissance Historiography: Backward Gaze. Edited by Stephen Guy-Bray, Vin
Nardizzi, and Will Stockton, 13–40. Farnham: Ashgate, 2009———. “Peaches and
Figs: Bisexual Eroticism in the Paintings and Burlesque Poetry of Bronzino.” In
Sex Acts in Early Modern Italy. Edited by Allison Levy. Farnham: Ashgate, 2010.
Freccero, Carla. Queer/Early/Modern. Durham, NC: Duke University Press, 2006.
Gallucci, Margaret. Benvenuto Cellini: Sexuality, Masculinity, and Artistic
Identity in Renaissance Italy. New York: Palgrave, 2003. Giovio, Paolo. Le vite
di dicenove huomini illustri. Venice, 1561. Grantham Turner, James. Eros
Visible: Art, Sexuality and Antiquity in Renaissance Italy. New Haven, CT:
Yale, 2017. ———. “Introduction.” In Sexuality and Gender in Early Modern
Europe. Edited by James Grantham Turner. Cambridge: Cambridge University Press,
1993. Hayum, Andrée. Giovanni Antonio Bazzi—“Il Sodoma.” New York: Garland,
1976. ———. “A Renaissance Audience Considered: The Nuns at S. Apollonia and
Castagno’s Last Supper.” Art Bulletin 88 (2006): 243–66. Hiller, Diana.
Gendered Perceptions of Florentine Last Supper Frescoes. Farnham: Ashgate,
2014. Jones, Ann Rosalind and Peter Stallybrass. Renaissance Clothing and the
Materials of Memory. New York: Cambridge University Press, 2000. Kiely, Robert.
Blessed and Beautiful: Picturing the Saints. New Haven, CT: Yale University
Press, 2010. Ladis, Andrew. Victims and Villains in Vasari’s Lives. Chapel
Hill, NC: University of North Carolina Press, 2008. Mills, Robert. “Acts, Orientations
and the Sodomites of San Gimignano.” In Sex Acts in Early Modern Italy. Edited
by Allison Levy. Farnham: Ashgate, 2010. ———. Seeing Sodomy in the Middle Ages.
Chicago: University of Chicago Press, 2014. Milner, Stephen J. “Introduction.”
In At the Margins: Minority Groups in Premodern Italy, ed. Stephen J. Milner.
Minneapolis, MN: University of Minnesota Press, 2005. Mormando, Franco. The
Preacher’s Demons: Bernardino of Siena and the Social Underworld of Early
Renaissance Italy. Chicago: University of Chicago Press, 1999. Murray,
Jacqueline. “Introduction.” In Desire and Discipline: Sex and Sexuality in the
Premodern West. Edited by Jacqueline Murray and Konrad Eisenbichler, ix–xxviii.
Toronto: University of Toronto Press, 1996. O’Higgins, James. “Sexual Choice,
Sexual Act: An Interview with Michel Foucault.” Salmagundi 58/59 (1982/1983):
10–24. Parker, Deborah. Bronzino: Renaissance Painter as Poet. Cambridge:
Cambridge University Press, 2010. ———. “Towards a Reading of Bronzino’s
Burlesque Poetry.” Renaissance Quarterly 50 (1997): 1016–20. Pater, Walter. The
Renaissance. Berkeley, CA: University of California Press, 1980. Puff, Helmut.
“Early Modern Europe 1400–1700.” In Gay Life and Culture: A World History.
Edited by Robert Aldrich, 79–102. London: Thames & Hudson, 2006. ———. “The
Sodomite’s Clothes: Gift Giving and Sexual Excess in Early Modern Germany and
Switzerland.” In The Material Culture of Sex, Procreation, and Marriage in
Premodern Europe. Edited by Anne McClanahan and Karen Encarnación, 251–72. New
York: Palgrave, 2001. Radini Tedeschi, Daniele. Sodoma: la vita, le opera, e
gli allievi. Subiaco: La Rosa dei Venti, 2010. Randolph, Adrian. Engaging
Symbols: Gender, Politics and Public Art in Fifteenth-Century Florence. New
Haven, CT: Yale University Press, 2002.Reed, Christopher. Art and
Homosexuality: A History of Ideas. New York: Oxford, 2011. Regardez le rocher
d’où l’on vous a taillés: Documents primitifs de la Congrégation bénédictine du
Sainte-Marie du Mont-Olivet. Maylis: Abbaye de Maylis, 1996. Rocke, Michael.
“The Ambivalence of Policing Sexual Margins.” In At the Margins: Minority
Groups in Premodern Italy. Edited by Stephen J. Milner, 53–70. Minneapolis, MN:
University of Minnesota Press, 2005. ———. Forbidden Friendships: Homosexuality
and Male Culture in Renaissance Florence. New York: Oxford, 1996. ———.
“Sodomites in Fifteenth-Century Tuscany: The Views of Bernardino of Siena.” In
The Pursuit of Sodomy: Male Homosexuality in Renaissance and Enlightenment
Europe. Edited by Kent Gerard and Gert Hekma, 7–31. London: Harrington Park,
1989. Rowland, Ingrid. “Render unto Caesar the Things Which Are Caesar’s:
Humanism and the Arts in the Patronage of Agostino Chigi.” Renaissance
Quarterly 39 (1986): 673–730. Rubin, Patricia. “‘Che è di questo culazzino!’:
Michelangelo and the Motif of the Male Buttocks in Itaian Renaissance Art.”
Oxford Art Journal 32 (2009): 427–6. Ruggiero, Guido. The Boundaries of Eros:
Sex Crime and Sexuality in Renaissance Venice. New York: Oxford University, 1985.
———. “Introduction.” In Erotic Cultures of Renaissance Italy. Edited by Sara
MatthewsGrieco. Farnham: Ashgate, 2010. ———. “Marriage, Love, Sex, and
Renaissance Civic Morality.” In Sexuality and Gender in Early Modern Europe.
Edited by James Grantham Turner. Cambridge: Cambridge University Press, 1993.
Saslow, James M. Ganymede in the Renaissance: Homosexuality in Art and Society.
New Haven, CT: Yale University Press, 1986. ———. Pictures and Passions: A
History of Homosexuality in the Visual Arts. New York: Penguin, 1999. Simons,
Patricia. “European Art: Renaissance.” In The Queer Encyclopedia of the Visual
Arts. Edited by Claude J. Summers. San Francisco, CA: Cleis, 2004. ———.
“Homosociality and Erotics in Italian Renaissance Portraiture.” In Portraiture:
Facing the Subject. Edited by Joanna Woodall, 29–51. Manchester: Manchester
University Press, 1997. ———. “The Sex of Artists in Renaissance Italy.” In The
Renaissance: Revised, Expanded, Unexpurgated. Edited by D. Medina Lasansky,
64–84. Pittsburgh, PA: Periscope, 2014. ———. The Sex of Men in Premodern
Europe: A Cultural History. Cambridge: Cambridge University Press, 2011. ———.
“Sodoma, Il.” In The Queer Encyclopedia of the Visual Arts. Edited by Claude J.
Summers. San Francisco, CA: Cleis, 2004. Smith, Bruce R. “Premodern
Sexualities.” PMLA 115 (2000): 318–29. Smith, Timothy B. “Queer Fragments:
Sodoma, the Belvedere Torso, and Saint Catherine’s Head.” In Receptions of
Antiquity, Constructions of Gender in European Art. Edited by Marice Rose and
A.C. Poe, 169–98. Leiden: Brill, 2015. Stanton, Domna, ed. Discourses of
Sexuality from Aristotle to AIDS. Ann Arbor, MI: University of Michigan Press,
1992. ———. “The Threat of Seventeenth-Century Tribadism and its Punishments.”
Presented at the conference of the Renaissance Society of America, Berlin,
March, 2015. Summers, David. “‘Figure come fratelli’: A Transformation of
Symmetry in Renaissance Painting.” Art Quarterly 1 (1977): 59–98.James M.
SaslowTalvacchia, Bette. Taking Positions: On the Erotic in Renaissance
Culture. Princeton, NJ: Princeton University Press, 1999. Tonozzi, Daniel.
“Queering Francesco: Berni and Petrarch.” Italica 92, no. 3 (2015): 582–99.
Traub, Valerie. The Renaissance of Lesbianism in Early Modern England.
Cambridge: Cambridge University Press, 2002. Vasari, Giorgio. Le vite de’ più
eccellenti pittori, scultori, ed architettori. Edited by Gaetano Milanesi, 9
volumes. Florence: Sansoni, 1878–85. ———. Lives of the Most Eminent Painters,
Sculptors, and Architects. Translated by Gaston du C. DeVere, 10 volumes.
London: Macmillan, 1912–14. Zanrè, Domenico
Cultural Non-conformity in Early Modern Florence. Burlington: Ashgate,
2004.11 VAGINA DIALOGUES Piccolomini’s Raffaella and Aretino’s Ragionamenti Ian
Frederick MoultonIn 1539, Alessandro Piccolomini, a thirty-one-year-old Sienese
nobleman living in Padua, published a short dialogue: La Raffaella, ovvero
Dialogo della bella creanza delle donne [Raffaella, or a Dialogue on women’s
good manners].1 Piccolomini’s dialogue, in which an older woman encourages a
younger one to commit adultery, owes much to the example of Pietro Aretino’s
scandalous Ragionamenti (1534, 1536),2 in which an experienced courtesan
teaches her daughter how to become a prostitute. While the filial relationship
between La Raffaella and the Ragionamenti has long been noted, the cultural and
ideological significance of this relationship remains largely unexamined. Both
texts imagine private female conversations: what do women talk about when no
men can hear? The answer in both cases is men. Men and sex. (What else would
men think that women talk about?) Both texts are male fantasies of female
pedagogy and sexual knowledge, in which male authors adopt a voice of
experienced femininity to articulate imagined feminine perspectives on sex,
gender relations, and gender identity. In the Ragionamenti, the women’s
conversations are scandalous, but also, at times, radical and transgressive,
questioning fundamental norms of gendered behavior and exploring the role of
power in gender relations.3 Despite Aretino’s ambivalent misogyny, the
Ragionamenti imagine possibilities of female agency and power. Piccolomini’s
Raffaella, on the other hand, merely encourages women to subvert one form of
male authority in order to submit to another; it imagines freeing wives from
their husbands the better to subordinate them to their male lovers. Piccolomini
playfully suggests that this shift is doing women a favor because it
acknowledges their need for sexual pleasure.4 His text takes the subversive
energy of the Ragionamenti and turns it into a safe, sly joke. Women, it turns
out, do not want autonomy: they want to submit to younger, sexier men. In La
Raffaella, female agency is not a threat to male dominance—it simply rewards
ardent male lovers over dreary husbands.The conversations of Aretino’s
Ragionamenti take place over six days. An experienced courtesan named Nanna is
discussing with a younger prostitute named Antonia what way of life would be
best for her teenaged daughter Pippa—should she grow up to be a nun, a wife, or
a whore? Nanna spends the first three days of the dialogue recounting her own
experiences in each of these roles; at the end of the third day she
and Antonia decide that Pippa should be a prostitute. They reason that while nuns
break their vows and wives are unfaithful to their husbands, prostitutes (for
all their faults) are not hypocritical—they are simply doing the necessary work
they are paid to do.5 This ends the first volume. In the sequel, having decided
Pippa’s future, Nanna and Antonia teach her the things she will need to know.
On the fourth day, they instruct her how to be a successful courtesan; on the
fifth, they discuss men’s cruelty to women; and on the sixth they listen while
a midwife teaches a wetnurse how to make a living procuring women for sex with
men. In all the discussions about prostitution, Nanna’s instruction focuses not
on how to satisfy men but on how to manipulate them. The condition of a
prostitute is inherently hazardous, and Nanna and Antonia teach Pippa how to
survive and thrive in a world of gender warfare, where men are always seeking
to exploit women, sexually, physically, socially, and financially. Throughout
the Ragionamenti the text takes an ambivalent attitude to its speakers. On the
one hand, Nanna and Antonia are monstrous women who embody a wide range of
misogynist stereotypes. They are deceitful, amoral, gluttonous, greedy,
garrulous, and fickle. On the other hand, they are cunning tricksters, who use
their superior intellect to dupe those who try to exploit and manipulate them.
Nanna is at once a shocking figure of feminine excess and an insightful
satirist who bears more than a passing resemblance to Aretino’s own persona as
an epicurean scourge of powerful hypocrites.6 The Ragionamenti contain shockingly
explicit descriptions of a wide range of sexual activity, but almost all of
these are in the early chapters of the text, in which nuns betray their vows in
endless orgies and wives betray their elderly husbands to find satisfying sex
elsewhere.7 The chapters on prostitution focus not on sexual pleasure or
technique, but rather on how best to earn money and swindle clients. Aretino’s
whores are not particularly interested in sexual pleasure—they want money,
power, and status instead. And the best way to attain all three is by selling
the promise of sexual availability while deferring sexual activity for as long
as possible; the ideal relationship is one where a man is paying large amounts
of money without ever actually managing to have sexual relations with the woman
he is buying. As Nanna puts it, “lust is the least of all the desires [whores]
have, because they are constantly thinking of ways and means to cut out men’s
hearts and feelings.” (“La lussuria è la minor voglia che elle abbino, perché le
son sempre in quel pensiero di far trarre altrui il core e la corata.”)8
Through a series of cunning tricks, deals, and lies, Nanna ends up living in
luxury in a fashionable house protected by gangs of armed men whom she employs
to remove unwanted suitors.9 She survives and thrives by manipulating male
desire and profiting from male gullibility.Nanna’s worldly success is, of
course, a fantasy that bears little relation to the actual living and working
conditions of most early modern prostitutes,10 but the Ragionamenti admit this
as well. Nanna knows she is not normative, and that her position remains
precarious: “I must confess that for one Nanna who knows how to have her land
bathed by the fructifying sun, there are thousands of whores who end their days
in the poorhouse.” (“Ti confesso che, per una Nanna che si sappia porre dei
campi al sole, ce ne sono mille che si muoiono nello spedale.”)11 On the sixth
day, the Midwife agrees: “A whore’s life is comparable to a game of chance: for
each person who benefits by it, there are a thousand who draw blanks.” (“E so
che il puttanare non è traffico da ognuno; e percìo il viver suo è come un
giuoco de la ventura, che per una che ne venga benefiziata, ce ne son mille de
le bianche.”)12 Consequently, Nanna makes sure to spend a lot of time warning
her daughter Pippa about the many ways that men can harm the women in their
power. In contrast to Aretino’s earthy dialogue of whores, Piccolomini’s La
Raffaella consists of an imagined discussion between two upper-class women:
Raffaella, an elderly, impoverished, but well-born woman, and Margarita, a
newly married wealthy young noblewoman. The tone of conversation in La
Raffaella is certainly more polite and decorous than Nanna and Antonia’s
profane and bawdy language in the Ragionamenti.13 Raffaella, a friend of
Margarita’s late mother, presents herself as a pious widow, eager to help
Margarita adjust to the challenges of being an adult woman and the mistress of
a household. Throughout her talk of pass-times, cosmetics, deportment, and
fashion, Raffaella advises Margarita to take full advantage of youthful
pleasures; if a woman does not enjoy herself while she is young and beautiful,
she is sure to become bitter in her old age: As for God, as I said earlier, it
would be better, if it were possible, to never take any pleasure in the world,
and to always fast and keep strict discipline. But, to escape even greater
scandal, we must consent to the small errors that come with taking some
pleasures in youth, which can be taken away later with holy
water. . . . And moreover, in all this I’m telling you, presuppose
that this little necessary sin will bring you much honor in the world, and that
these pleasures that must be taken can be managed with such dexterity and
intelligence that they will bring no shame from anyone. Quanto a Dio, già t’ho
detto che sarebbe meglio, se si potesse fare, il non darsi mai un piacere al
mondo, anzi starsi sempre in digiuni e disciplina. Ma, per fuggir maggior
scandalo, bisogna consentir a questo poco di errore che è di pigliarsi qualche
piacere in gioventù, che se ne va poi con l’acqua
benedetta. . . . E però in tutto quello che io ti ragionerò
presupponendo questo poco di peccato, per esser necessario, procurerò quanto
piú sia possibile l’onore del mondo, e che quei piaceri che si hanno da
pigliarsi sieno presi con tal destrezza e con tal ingegno, ch non si rimanga
vituperato appresso de le genti.14Margarita’s husband is constantly away on
business; she is bored and feels neglected. By the end of the dialogue,
Raffaella has convinced Margarita to embark on an adulterous affair with a
young man named messer Aspasio (who bears more than a passing resemblance to
Piccolomini himself ).15 It becomes abundantly clear to the reader that
convincing Margarita to sleep with messer Aspasio has been Raffaella’s goal all
along. As the dialogue ends, Margarita looks forward eagerly to her planned
affair, completely unaware of how she has been manipulated by the older woman.
She exults, Having learned today through your words that a young woman needs,
to avoid greater errors, to pour out her spirit in her youth, and having heard
certainly from you the good words of messer Aspasio and the love he bears me, I
am resolved to give all of myself to him for the rest of my life. And thus
having pledged eternal fidelity to messer Aspasio—whom she has barely
met—Margarita goes on to offer the impoverished Raffaella bread, cheese, and
ham as a reward for her kindness.16 Given its subject matter, it is not
surprising that some readers interpreted La Raffaella as an attack on women’s
moral character: older women are presented as corrupt and amoral; younger women
as hedonistic and naive. Women of all ages, it seems, are concerned primarily
with deceiving men to obtain sexual pleasure. Beyond its general cynicism
regarding female virtue, La Raffaella also gives precise and effective
direction on ways to deceive one’s husband and to discreetly carry on long-term
affairs. Raffaella warns Margarita against writing love letters—especially if her
lover is married.17 She recommends that her lover be unmarried, if possible
(messer Aspasio is a bachelor!).18 Raffaella tells Margarita she will need a
trusted servant to communicate with her lover, and that she should choose that
person with great care.19 She recommends a rope ladder for giving a lover
access to private rooms without anyone in the household knowing.20 Raffaella
encourages Margarita to take full advantage of the pleasures that wealth and
leisure can bring, but she insists that all these pleasures are worthless
without the final consummation of adulterous sex: What’s love worth without its
end? It’s like an egg without salt, and worse. Holidays, dinners, banquets,
masques, plays, gatherings at villas and a thousand other similar pleasures are
icy and cold without love. And with love they are so pleasurable and so sweet
that I don’t believe that one could ever grow old among them. In every person
love inspires courtesy, nobility, elegance in dress, eloquence in speech,
graceful gestures, and every other good thing. Without love, they are little
esteemed, like lost and empty things. E amore poi che val, senza il suo fine?
Quel ch’è l’uovo senza’l sale, e peggio. Le feste, i conviti, i banchetti, le
mascere, le comedie, i ritruovi di villae mille altri cosí fatti solazzi
senz’amore son freddi e ghiacci; e con esso son di tanta consolazione e cosí
fatta dolcezza, ch’io non credo che fra loro si potesse invecchiar mai. Amor
riforisce in altrui la cortesia, la gentilezza, il garbo di vestire, la eloquenza
del parlare, i movimenti agraziati e ogni altra bella parte; e senza esso son
poco apprezzate, quasi come cose perdute e vane.21 The “end” of love, which in
Neoplatonic treatises was seen as a beatific transcendence of earthly desires,
is here clearly redefined simply as sex.22 As a result of passages like this,
La Raffaella was attacked both as an insult to women and as an instruction
manual for adultery.23 That the text was explicitly dedicated by Piccolomini to
“the women who will read it” (“A quelle donne che leggeranno”) only made
matters worse.24 Piccolomini was destined from youth for an ecclesiastical
career,25 and at the time he wrote La Raffaella he was starting to make a name
for himself in Italian intellectual circles.26 He had published La Raffaella
under his academic pseudonym, Stordito Intronato, but this did little to
conceal his identity. Responding to criticism of the dialogue, Piccolomini
disavowed La Raffaella almost immediately, writing in 1540 that the text was a
“joke,” written only for his own amusement.27 Clearly, he felt that La
Raffaella’s scandalous reputation was not suitable for his public image and
future aspirations. Unlike Aretino, who published the Ragionamenti in two
installments, Piccolomini not only never published a sequel to La Raffaella, he
never wrote anything like it again.28 In his retractions, Piccolomini insisted
that he had meant no insult to women in La Raffaella, and compared his work to
the licentious novelle in Boccaccio’s Decameron, intended to give “a certain
pleasure to the mind, that cannot always be serious and grave” (“per dare un
certo solazzo a la mente, che sempre severa e grave non può già stare”).29
Although Piccolomini consistently downplayed the dialogue’s significance, La
Raffaella remained in print and remained popular. There were nine Italian
editions in the sixteenth century, as well as three separate translations into
French.30 Indeed, La Raffaella is the most frequently republished of all
Piccolomini’s texts, and one of the few still in print in the twenty-first
century.31 Though criticized for its licentiousness, generically La Raffaella
was in the mainstream of the literature of its time. Neoplatonic dialogues
dealing with love and sexuality were a staple of Italian literary and academic
culture, from Bembo’s Asolani (1505) and Judah Abrabanel’s Dialogi d’amore
(1535), to Sperone Speroni’s Dialogo d’amore (1542), and Tullia d’Aragona’s
Dialogo . . . della infinità d’amore (1547). Along with books on
love, books on the status of women and on feminine deportment were also
produced in great numbers in Italy in the midsixteenth century. Advocating
adultery may have been scandalous, but men telling women how to behave was
commonplace. Besides internationally inf luential texts such as Juan-Luis
Vives’ De institutione feminae christianae (1523)32 and Baldassare
Castiglione’s Cortegiano (1528),33 there were dozens of lesser known or more
specialized books, such as Giovanni Trissino’s epistle on appropriate conduct
forwidows (1524),34 and Galeazzo Flavio Capella’s treatise on the excellence
and dignity of women (1526).35 The vast majority of these texts were written by
men, and many were prescriptive works that attempted to define appropriate
female conduct.36 Of 125 works listed by Marie-Françoise Piéjus dealing with
the status of women published in Italy between 1471 and 1560, only two were
authored by women: Tullia d’Aragona’s 1547 Dialogo . . . della
infinità d’amore and Laura Terracina’s 1550 Discorso sopra tutti li primi canti
d’Orlando Furioso.37 Given Piccolomini’s deep engagement with academic and
literary culture, it is not surprising that La Raffaella draws on a wide range
of contemporary texts. The character of Raffaella herself has a strong
resemblance to the central figure of the procuress from Fernando de Rojas’ La
Celestina,38 and passages in Piccolomini’s dialogue closely echo debates over
proper feminine dress in Castiglione’s Cortegiano.39 But arguably the most
important model for La Raffaella remains Aretino’s Ragionamenti.40 To begin
with, there are precise textual echoes: La Raffaella’s discussion of cosmetics
closely follows passages from Aretino’s work,41 as does Raffaella’s reference
to the illicit sexual activities of nuns.42 Even Raffaella’s notion, quoted
above, that youthful sins can be removed with holy water, recalls a speech by
Antonia about the relative insignificance of the sins committed by whores.43
Beyond her similarity to the title character of La Celestina, Piccolomini’s
Raffaella also recalls the Midwife from the sixth book of the Ragionamenti.
Certainly, the Midwife’s following account of her own techniques are a good
description of Raffaella, who comes across as a pious churchgoer, says she
loves Margarita like a daughter, and has endless advice on fashions and hairstyles:
It was always my habit to sniff through twenty-five churches every morning,
robbing here a tatter of the Gospel, there a scrap of orate fratres, here a
droplet of santus santus, at another spot a teeny bit of non sum dignus, and
over there a nibble of erat verbum, watching all the while this man and that
girl, that man and this other woman. . . . A bawd’s work is
thrilling, for by making herself everyone’s friend and companion, stepchild and
godmother, she sticks her nose in every hole. All the new styles of dress in
Mantua, Ferrara, and Milan follow the model set by the bawd; and she invents
all the different ways of arranging hair used in the world. In spite of nature
she remedies every fault of breath, teeth, lashes, tits, hands, faces, inside
and out, fore and aft. Io che ho sempre avuto in costume di fiutar venticinque
chiese per mattina, rubando qui un brindello di vangelo, ivi uno schiantolo di
orate fratres, là un giocciolo di santus santus, in quel luogo un pochetto di
non sum dignus, e altrove un bocconicino di erat verbum, e squadrando sempre
questo e quella, e quello e questa. . . . Bella industria è quella
d’una ruffiana che, col farsi ognun compare e comare, ognun figilozzo e
santolo, si ficca per ogni buco. Tutte le forge nuove di Mantova, di Ferrara, e
di Milano pigliano la sceda da la ruffiana: ella trova tutte l’usanze de le
acconciaturedei capi del mondo; ella, al dispetto de la natura, menda ogni
difetto e di fiati e di denti e di ciglia e di pocce e di mani e di facce e di
fuora e di drento e di drieto e dinanzi.44 In his Novelle (1554), Matteo
Bandello mistakenly attributed La Raffaella to Aretino, in part because of its
resemblance to the Ragionamenti.45 Clearly, the similarity of the two texts was
apparent to contemporary readers. Socially and intellectually, Piccolomini and
Aretino were on friendly terms in the years immediately following La
Raffaella’s publication. Piccolomini wrote to Aretino in December 1540,
publicly praising his satirical attacks on the abuses of the powerful.46 And in
1541, two years after La Raffaella appeared in print, Piccolomini invited
Aretino to join the newly founded Accademia degli Infiammati in Padua. As
Marie-Françoise Piéjus has suggested, both the Ragionamenti and La Raffaella
function as parodies of the ubiquitous conduct books addressed to women in the
mid-sixteenth century. The Ragionamenti and La Raffaella are “provocative
text[s], animated by an ironic cynicism that, parod[ies] point by point the
lessons habitually taught to women.” By focusing on women’s sexual lives, both
Aretino and Piccolomini “attest to the divorce between openly affirmed
principles and the daily conduct of [their] contemporaries.”47 What makes these
texts parodic is their sexual subject matter; they both, in differing ways,
affirm women’s fundamental sexuality and attest to the central role of sexual
desire in women’s lives. This is precisely the aspect of femininity that most
of the conduct books are trying most urgently to restrain, repress, and police.
The vast majority of sixteenthcentury conduct books written for women are
designed to make women into good wives: chaste, silent, and obedient—pleasing
to their husbands and compliant to the wishes of their male relatives.48 It is
telling that these two parodic texts are both written in the voice of women.
Rather than having a male author lay down the law for women (like Vives does),
or imagining a conversation where women listen silently as men debate (as in
Castiglione), both the Ragionamenti and La Raffaella imagine female
conversations with no men present. In Ventriloquized Voices, her study of early
modern male authors’ adoption of female voices, Elizabeth Harvey has argued
that “in male appropriations of feminine voices we can see what is most desired
and most feared about women.”49 If Harvey is right, what Aretino and
Piccolomini most desired and feared about women was their sexuality—and the
ways their sexuality creates possibilities for female agency. In both the
Ragionamenti and La Raffaella, an older woman instructs a younger one on issues
of gender and sexuality—and on ways to trick men to get what they want. In both
cases, the absence of male auditors creates the illusion that the reader is
privy to the secret truth of feminine speech. It is significant that both
Aretino and Piccolomini imagine that the main topic that women discuss in
private is their sexual relations with men. While the conversation in both the
Ragionamenti and La Raffaella is wide-ranging, both dialogues arguably fail the
Bechdel test—an assessment that asks whether or not a work of fiction has
twonamed female characters who talk to each other about something other than
their relationships to men.50 In both works, the women are constantly concerned
about their interactions with men and how their actions are perceived by men.
The very categories of female life as set forth in the Ragionamenti—nuns,
wives, and whores—are defined by the ways in which women’s sexual relations
with men (or their lack) are structured and determined. In their desire to hear
the truth of female sexuality, both the Ragionamenti and La Raffaella
metaphorically echo a tradition of masculine fantasy in which female genitalia
are compelled to speak. In the thirteenth-century French fabliau Du Chevalier
qui fist les cons parler [The Knight Who Made Cunts Speak], a poor, wandering
knight who treats some bathing fairies with courtesy and discretion is rewarded
with the magical power to make vaginas talk.51 He uses this power to discover
the truth in situations where people are lying to him: when he encounters a
miserly priest riding on a mare, he makes the mare’s vagina tell him how much
money the priest is hiding. When a countess sends her maid to seduce the
knight, he makes the maid’s vagina reveal the plot. Eventually, he makes even
the countess testify against herself by compelling her nether regions to
speak.52 The vagina, it seems, always tells the truth. This provocative trope
reappears most famously in Denis Diderot’s 1748 libertine novel Les Bijoux
indiscrets [The Indiscreet Jewels], in which a sultan has a magic ring that
makes vaginas tell all. While there is no evidence that either Aretino or
Piccolomini were aware of such tales of talking vaginas, the gender dynamics of
their texts are remarkably similar. The trope of a man magically forcing a
vagina to speak is culturally resonant on a number of levels. On the most basic
level, these stories are fantasies of masculine power: the masterful male
commands the female body to do his bidding and reveal its knowledge. There is
comedy, of course, in the blurring of function between vagina and mouth—the
earthy lower body inevitably tells a tale that refutes the refined upper body.
It is important to note that what the vagina says does not merely contradict
what the mouth says; it unerringly reveals the hidden truth of the situation.
Just as the Ragionamenti and La Raffaella ironically imagine the sexual desires
hidden behind a public façade of decorous femininity, in these stories, the
mouth tells lies, but the vagina tells the truth of the body; it cannot lie.
Indeed, in all these texts, the vagina is the truth, the essence, the thing
itself. The truth of woman is her sex. The same assumption underlies Eve
Ensler’s popular 1996 feminist play The Vagina Monologues, an episodic work in
which women of various ages and backgrounds recount their sexual experiences,
some positive, others negative. While the play was acclaimed for giving voice
to women’s sexuality, it was also criticized for reducing women to their
genitalia: as feminist scholars and activists Susan E. Bell and Susan M.
Reverby wrote, “The Vagina Monologues re-inscribes women’s politics in our
bodies, indeed in our vaginas alone.”53 But of course, in Ensler’s work, the
author who wrote the lines and the actors who perform them are all women. The
voices we hear are the women’s voices—not men’s imagination of what a woman’s
voice might sound like if there was no man there to hearand record it. In
Aretino and Piccolomini’s vagina dialogues, it is always only men talking—even
if the characters are female. Piccolomini’s ventriloquized fantasy of female
speech in La Raffaella is all the more remarkable given that the Academy of the
Intronati,54 the organization under whose auspices he published the dialogue,
was more arguably more open to women than any other sixteenth-century Italian
academy. The Accademia degli Intronati [the Academy of the Stunned] was founded
in 1525 by a group of six Sienese young men. The avowed object of the group was
“to promote poetry and eloquence in the Tuscan, Latin and Greek languages” and
their motto was: Orare, Studere, Gaudere, Neminem laedere, Neminem credere, De
mundo non curare [Pray, Study, Rejoice, Harm no one, Believe no one, Have no
care for the world].55 Membership in the Intronati was restricted to men, but
as Alexandra Coller has argued, “women were awarded much more than a merely
ornamental presence within the context of the academy [of the Intronati],
whether as sources of inspiration, correspondents in educationally-oriented
literary exchanges, or as discussants in female-centered dialogues.”56 Sometime
around 1536, not long before he wrote La Raffaella, Piccolomini himself wrote a
brief Orazione in lode delle donne [Oration in Praise of Women]. He delivered
the oration to the Intronati in person on his return to Siena from Padua in
1542 and it was published three years later.57 Utterly rejecting La Raffaella’s
notion that love must be sexually consummated to have any real value,
Piccolomini’s oration draws heavily on the Neoplatonic idealization of love
articulated in Pietro Bembo’s Asolani, and in Bembo’s concluding speech in the
Fourth Book of Castiglione’s Cortegiano. In this discourse, love is primarily a
spiritual discipline that paradoxically leads to a transcendence of physical desire.
Women’s beauty is an earthly echo of divine Beauty, and Beauty can be used by
the lover to reach a higher plane of spiritual awareness.58 Women are thus to
be served, adored, and obeyed, in the way that a Courtier should serve, adore,
and obey his Prince.59 Many texts written by members of the Intronati were
dedicated to female patrons, including a translation of six books of Virgil’s
Aeneid and Piccolomini’s own 1540 translation of Xenophon’s Oeconomicus, a
classic treatise on household management.60 A text from the later sixteenth
century, Girolamo Bargagli’s 1575 Dialogo de’ giuochi [Dialogue on Games],
describes the activities of the Intronati in the 1530s, and attests to the
support of the Academy by “many beautiful and noble ladies” (“Molte belle e
rare gentildonne”).61 Some scholars have suggested that women may have even
participated in meetings of the Academy, a rare occurrence in sixteenth-century
Italian intellectual culture.62 An unpublished dialogue by Marcantonio
Piccolomini, a kinsman of Alessandro and a founding member of the Intronati,
imagines a scholarly dialogue between three Sienese gentlewomen on whether God
created women by chance or by design.63 At the outset, however, not all the
Intronati were so welcoming to women— at least if Antonio Vignali’s Cazzaria
(1525) is any indication. Vignali’s dialogue, in many ways a defense of sexual
relations between men, is a fiercely and crudelymisogynist text, a product of
an exclusively male environment that denigrates women at every turn.64 The
Cazzaria was a scandalous text. It was initially circulated in manuscript among
the Academy’s members and was probably printed without its author’s consent.
Although it was not publicly acknowledged or defended by the Intronati at any
point, it was nonetheless written by one of the Academy’s founding members and
was one of the most prominent products of the Academy’s early years.65
Piccolomini was surely familiar with the text— indeed, his kinsman Marcantonio
Piccolomini (Sodo Intronato) appears as one of La Cazzaria’s main characters.66
However eccentric and outrageous it may be, La Cazzaria is arguably an accurate
ref lection of the attitudes towards women of at least some of the Intronati’s
founding members. If the Intronati’s respectful and inclusive attitude towards
women represented in Bargagli’s Dialogo de’ giuochi is to be believed, things
must have changed a lot by the late 1530s. But it is quite possible that the
Intronati’s relatively positive public attitude towards women masked more
negative private views. Perhaps Alessandro Piccolomini’s ironic attitude
towards women in La Raffaella is a product of this conf lict. As we have seen,
the Ragionamenti ’s attitude towards its female speakers is always ambivalent.
But La Raffaella’s presentation of its speakers is much more straightforward.
Raffaella is a manipulative woman who is working throughout with a very
specific goal in mind—to convince Margarita to have an adulterous affair with
messer Aspasio. Margarita is simply a dupe. Whatever Piccolomini’s praise of
women, whatever support the Intronati gave and received from Sienese
noblewomen, La Raffaella ironically suggests that women are fundamentally
submissive to male desire. Raffaella’s considerable ingenuity is entirely
subordinate to the schemes of messer Aspasio. She has no other function than to
help him obtain his desires, and she is in many ways an abject character,
forced to make her living by tricking young women into having sex with
manipulative men. Piccolomini’s idealistic role as defender of women in his
Orazione and elsewhere has an ironic echo in the dedicatory epistle to female
readers that prefaces La Raffaella. Here Piccolomini insists that he has always
been a staunch defender of women against their detractors. He claims that La Raffaella
clearly shows “the appropriate life and manners appropriate for a young, noble,
beautiful woman,” and holds up the character of Raffaella as proof that women
are capable of “great concepts and profound statements and good judgment.”67 He
decries the double standard that sees extra-marital affairs as “honorable and
great” for men, and “utterly shameful for women.” He admits that if a woman
were to be so foolish as to conduct an affair in a way that would arouse
suspicion, that would be “a great error,” but he trusts that his female readers
“will be full of so much prudence, and temperance that [they] will know how to
maintain and enjoy [their] lovers” for years and years. “There is nothing more
pleasing nor more worthy of a gentlewoman than this.”68 In the epistle,
Piccolomini is doubling down on the joke that underlies La Raffaella as a
whole: what women want most of all is satisfying sex with anattractive and f
lattering young man. Anyone who helps them attain this goal becomes their
greatest champion.As we have seen, Aretino’s Ragionamenti argue at length that
at least some women prefer money, status, and power to sexual pleasure. But
this is largely because the whores of the Ragionamenti are not comfortable,
upper-class women like those in La Raffaella. Aretino’s whores want power, but
his nuns and wives, whose material well-being is secured either by the Church
or by their husbands, want sex. In the more elevated world of La Raffaella, the
wealthy and well-born Margarita lives in luxury; all that is missing from her
pleasurable life is a satisfying sexual partner. The condition of Nanna, Pippa,
Antonia—and indeed of Raffaella, Piccolomini’s impoverished elderly bawd—is
much more precarious. The single-minded pursuit of sexual pleasure, it seems,
is a privilege of the upper classes, of those women who are not compelled to
participate directly in a capitalist market for goods and services in which
their sexuality is primarily a commodity used to raise capital. Aretino’s
attitude to women is often disdainful and dismissive; Piccolomini almost always
f latters his female readers. And yet, it is the Ragionamenti that imagine
autonomous women who manage to hold their own in conf lict with men, whereas La
Raffaella presents women who are entirely dominated by men in one way or
another. The Ragionamenti fantasize about the ways in which women trick men; La
Raffaella fantasizes about the ways women can be tricked. Aretino’s Nanna
provides a powerful contrast to Piccolomini’s fantasy of feminine submission.
In Book 2 of the Ragionamenti, when Nanna recounts her experiences as a wife,
she does exactly what Raffaella urges Margarita to do— she takes young lovers
who can satisfy her sexually in ways her impotent husband cannot. But the key
difference is that Nanna makes that choice for herself—she is not tricked into
it by a male suitor who is using a female confidant to manipulate her. Even
before becoming a prostitute, Nanna is always looking out for herself. She
tricks her lovers in the same way she tricks her husband. She plays to win and
is never duped. And unlike Margarita, who promises to devote herself
exclusively to messer Aspasio, Nanna’s adultery is utterly promiscuous: Once I
had seen and understood the lives of wives, in order to keep my end up, I began
to satisfy all my passing whims and desires, doing it with all sorts, from
potters to great lords, with especial favor extended to the religious
orders—friars, monks, and priests. Io, veduto e inteso la vita delle maritate,
per non essere da meno di loro, mi diedi a cavare ogni vogliuzza, e volsi
provare fino ai facchini e fino ai signori, la frataria, le pretaria, e la monicaria
sopra tutto.69 Eventually she ends up stabbing her husband to death when he
assaults her after catching her having sex with a beggar.70 It is hard to
imagine Piccolomini’s wellbred Margarita acting in a similar manner should her
husband ever catch her with messer Aspasio. Piccolomini’s Raffaella fits into
larger trends in the ways in which Aretino’s Ragionamenti were read and assimilated
into mainstream early modern culture.Broadly speaking, texts that were inspired
or inf luenced by the Ragionamenti adapted Aretino’s text in ways that made it
less subversive and conformed better to traditional ideas of early modern
gender relations. Later editions, translations, and adaptations of the
Ragionamenti focused on Book 3 of the first day, on the life of whores, and
presented the text to readers simply as a catalogue of female deceit and
monstrosity in which the satirical and subversive elements of Nanna’s character
were downplayed in order to make her a purely negative figure.71 In a similarly
reductive move, La Raffaella takes the notion that women will attempt to
deceive men, and limits it to the particular case of aristocratic wives deceiving
their husbands—a model which fits well into traditional discourses of courtly
love that go back to the twelfth century.72 Women are represented as
fundamentally passionate creatures that desire physical pleasures above all
else, and these are found more naturally with young men in adulterous
relationships than with respectable, mature, and neglectful husbands.
Margarita’s husband spends too much time on “business” and not enough with his
wife, and the well-bred and discreet messer Aspasio is the natural solution to
Margarita’s problems. Raffaella the bawd is not disrupting traditional
aristocratic patterns of behavior, she is facilitating them. As long as the
affair remains discreet, everyone will benefit and no one will care.
(Machiavelli makes much the same point in his play Mandragola, but in that case
the satiric irony is obvious.) In La Raffaella the extent to which Piccolomini
supports Raffaella’s argument is not clear. As we have seen, he explicitly
endorses her point of view in his dedicatory epistle to his female readers. But
the degree of irony in the epistle is an open question. It is enough that
Piccolomini had deniability when he needed it—La Raffaella, as he later
claimed, was obviously a youthful joke. Later commentators agreed that the dialogue,
though seemingly immoral, was actually a witty jeu d’esprit. The
nineteenth-century scholar and editor Giuseppe Zonta called La Raffaella a
“jewel of the Renaissance, the most beautiful ‘scene’ that the sixteenth
century has left us, in which didactic intent develops deliciously out of a
comic drama” (“gioiello della Rinascita, la più bella “scena” che il
Cinquecento ci abbia lasciato, dove l’intento didattico deliziosamente si
svolge di su una comica trama”).73 Many things have been said about Aretino’s
Ragionamenti, but no one ever claimed that they were a beautiful jewel.Notes 1
On sixteenth-century editions of La Raffaella, see Zonta, ed., Trattati
d’amore, 379–82; Cerreta, Alessandro Piccolomini, 175–77. There are no known
surviving copies of the 1539 edition. Zonta believes the first edition may have
been published in 1540. 2 Aretino, Ragionamento della Nanna; and Dialogo di M.
Pietro Aretino. 3 Moulton, Before Pornography, 132–36. 4 See the dedicatory
epistle to “quelle donne che leggeranno,” Piccolomini, La Raffaella, 31. Unless
otherwise indicated, all references to La Raffaella are to this edition. 5 On
prostitution as a form of labor and commerce in the Ragionamenti see Moulton,
“Whores as Shopkeepers,” 71–86.6 Moulton, Before Pornography, 132–36. On
Aretino’s public image, see Waddington, Aretino’s Satyr. 7 Moulton, Before
Pornography, 130–31. 8 Aretino, Sei giornate, 132–33. English translation:
Aretino, Aretino’s Dialogues, 116. All English quotations from the Ragionamenti
are from this edition. 9 Aretino, Sei giornate, 115–16; Aretino’s Dialogues,
102–03. 10 See Larivaille, La Vie quotidienne, esp. chapter 6 on the economic
and personal exploitation of whores and chapter 7 on syphilis. On hierarchies
of prostitution, see Ruggiero, Binding Passions, 35–37. 11 Aretino, Sei
giornate; Aretino’s Dialogues, 135–36. 12 Aretino, Sei giornate, 283–84;
Aretino’s Dialogues, 310. 13 Baldi, Tradizione, 106–07. 14 Piccolomini, La
Raffaella, 41. All translations from La Raffaella are my own. 15 Piéjus, “Venus
Bifrons,” 121. 16 Piccolomini, La Raffaella, 119. 17 Ibid., 101–02. 18 Ibid.,
94. 19 Ibid., 112. 20 Ibid., 113. 21 Ibid., 110. 22 Ibid., 135 n. 120. 23
Piéjus, “Venus Bifrons,” 82–83. 24 Piccolomini, La Raffaella, 27. 25 Piéjus,
“Venus Bifrons,” 86. 26 Cerreta, Alessandro Piccolomini, 10–48. 27 “Molte cose
che per scherzo scrisse già in un Dialogo de la Bella Creanza de le Donne,
fatto di me più per un certo sollazzo, che per altra più grave cagione.”
Dedicatory epistle to Piccolomini, De la Institutione. See Piccolomini, La
Raffaella, 7. 28 He did publish two comedies: L’Amor costante (1540) and
L’Alessandro (1545). See Cerreta, Alessandro Piccolomini, 177–78, 187–88. 29
Piccolomini, De la Institutione (f. 231r-v). See Piccolomini, La Raffaella, 8.
30 Piéjus, “Venus Bifrons,” 81, 161. 31 See the 1960 bibliography of
Piccolomini’s published works in Cerreta, Alessandro Piccolomini, 173–96. 32 An
Italian translation of Vives’ De institutione feminae christianae was published
in Venice in 1546 under the title De l’institutione de la femina. A second
edition appeared in 1561. Vives’ treatise was also the model for Ludovico
Dolce’s Della Institutione delle donne (Venice: Giolito, 1545). Further
editions of Dolce’s text were published in 1553, 1559, and 1560. 33 Burke, The
Fortunes of the Courtier. 34 Trissino, Epistola. 35 Capella, Galeazzo Flavio
Capella Milanese. 36 Kelso, Doctrine for the Lady. 37 See the chronological
bibliography of 125 works on women published in Italy between 1471 and 1560,
Piéjus, “Venus Bifrons,” 156–65. Women did address the issue in unpublished
texts, such as the collected letters of Laura Cereta (ca. 1488). See Cereta,
Collected Letters. Published texts by women were more common is the later years
of the sixteenth century. For an overview of “protofeminist” writing in early
modern Italy see Campbell and Stampino, eds. In Dialogue, 1–13. 38 Baldi,
Tradizione, 99–102. Piccolomini, La Raffaella, 11–15. 39 Piéjus, “Venus
Bifrons,” 108. On the larger influence of the Cortegiano on La Raffaella, see
Baldi, Tradizione, 86–90. 40 Piccolomini, La Raffaella, 9. Baldi, Tradizione,
100–07. 41 Piéjus, “Venus Bifrons,” 106, 118, 126. 42 Piccolomini, La
Raffaella, 43.43 Aretino, Sei giornate, 139; Aretino’s Dialogues, 158. 44
Aretino, Sei giornate, 285, 291; Aretino’s Dialogues, 312, 318. 45 Bandello,
Novelle, 1.34. Included in a list of licentious books, along with the poems of
Petrarch, Boccaccio’s Decameron, and Ariosto’s Orlando Furioso. See Piéjus,
“Venus Bifrons,” 83. 46 Cerreta, Alessandro Piccolomini, 43–44. Piccolomini and
Aretino corresponded in 1540– 41. Five letters from Piccolomini to Aretino are
included in Marcolini, ed., Lettere scritte. See also Cerreta, Alessandro
Piccolomini, 253–54. 47 “De là naît, comme dans les Ragionamenti, un texte
provocateur, animé pare une ironie cynique qui, parodiant point par point les
leçons habituellement données aux femmes, renverse la finalité d’une conduite
désormais subordonnée à la recherche du plaisir”; “Piccolomini constate, comme
l’Arétin, un divorce entre les principes ouvertement affirmés et la conduite
quotidienne de ses contemporains.” Piéjus, “Venus Bifrons,” 147–48. My
translation. 48 Kelso, Doctrine, 78–135. 49 Harvey, Ventriloquized Voices, 32.
50 The Bechdel–Wallace test was first outlined in 1985 in Allison Bechdel’s
comic strip Dykes to Watch Out For. See Alison Bechdel, “The Rule,” in Dykes to
Watch Out For (Ithaca, NY: Firebrand Books, 1986), 22. Bechdel attributes the
idea to her friend Liz Wallace, and says the ultimate source is a passage in
Virginia Woolf ’s A Room of One’s Own. See also Selisker, “The Bechdel Test.”
51 Rossia and Straub, eds., Fabliaux Érotiques, 199–239. 52 In order to silence
her vagina, the Countess stuffs it with cotton, but the Knight is able to make
her anus speak as well, and all is revealed. 53 Bell and Reverby, “Vaginal
Politics,” 435. 54 On the Intronati, see Constantini, L’Accademia. 55
Maylender, Storie delle accademie d’Italia, vol. 3, 354–58. 56 Coller, “The
Sienese Accademia,” 223. See also Piéjus, “Venus Bifrons,” 86-103. 57 Coller,
“The Sienese Accademia,” 224. A second edition of the Orazione appeared in
1549. See Cerreta, Alessandro Piccolomini, 189. 58 Moulton, Love in Print,
48–53. 59 Piéjus, ‘L’Orazione, 547. Coller, “The Sienese Accademia,” 225. 60
Piccolomini translated one of the six books of the Aeneid. For these and other
examples, see Piéjus, “Venus Bifrons,” 91–96. 61 Bargagli, Dialogo de’ giuochi,
22. Piéjus, “Venus Bifrons,” 89. 62 Ibid. She cites Elena De’ Vecchi,
Alessandro Piccolomini, in Bulletino Senese di Storia Patria (1934), 426. 63
Piéjus, “Venus Bifrons,” 93–96. The untitled dialogue is roughly
contemporaneous with La Raffaella. 64 Vignali, La Cazzaria, 40–41. 65 Ibid.,
21–26. 66 As well as appearing in La Cazzaria and being the author of the
aforementioned scholarly dialogue between three women, Marcantonio Piccolomini
(1504–79) also appears as the primary speaker of Bargagli’s Dialogo de’
giuochi. 67 Piccolomini, La Raffaella, 29. 68 “Io vi confesso bene, poiché gli
uomini fuori di ogni ragione tirannicamente hanno ordinato leggi, volendo che
una medesima cosa a le donne sia vituperosissima e a loro sia onore e
grandezza, poich’egli è cosí, vi confesso e dico che quando una donna pensasse
di guidare un amore con poco saviezza, in maniera che n’avesse da nascere un
minimo sospettuzzo, farebbe grandissimo errore, e io piú che altri ne l’animo
mio la biasmarei: perché io conosco benissimo che a le donne importa il tutto
questa cosa. Ma se, da l’altro canto, donne mie, voi sarete piene di tanta
prudenza e accortezza e temperanza, che voi sappiate mantenervi e godervi
l’amante vostro, elletto che ve l’avete, fin che durano gli anni vostri cosí
nascostamente, che né l’aria, né il ne possa suspicar mai, in questo caso dico
e vi giuro che non potete far cosa di maggior contento e piú degna di una
gentildonna che questa.” Ibid., 30–31.69 Aretino, Sei giornate, 89; Aretino’s
Dialogues, 102. 70 Aretino, Sei giornate, 90; Aretino’s Dialogues, 103. 71 Such
texts include Colloquio de las Damas (Seville, 1548); Le Miroir des Courtisans
(Lyon, 1580); Pornodidascalus seu Colloquium Muliebre (Frankfurt, 1623); and
The Crafty Whore (London, 1648). See Moulton, “Crafty Whores,” and Moulton,
Before Pornography, 152–57. 72 On Courtly Love as a cultural phenomenon, see
Newman, ed., The Meaning of Courtly Love. On the cultural origins of courtly
love, see Boase, The Origin and Meaning. 73 Zonta, ed. Trattati d’amore,
377.Bibliography Abrabanel, Judah (Leone Ebreo). Dialoghi d’amore. Rome:
Mariano Lenzi, 1535. Aragona, Tullia d’. Dialogo . . . della infinità
d’amore. Venice: G. Giolito, 1547. Aretino, Pietro. Aretino’s Dialogues.
Translated by Raymond Rosenthal. New York: Marsilio, 1994. ———. Dialogo di M.
Pietro Aretino, nel quale la Nanna il primo giorno insegna a la Pippa sua
figliola a esser puttana, nel secondo gli contai i tradimenti che fanno gli
huomini a le meschine che gli credano, nel terzo et ultimo la Nanna et la Pippa
sedendo nel orto ascoltano la comare et la balia che ragionano de la ruffiania.
Turin?: 1536. ———. Ragionamento della Nanna e della Antonia, fatto in Roma
sotto una ficaia, composto del divino Aretino per suo capricio a correttione de
i tre stati delle donne. Paris?: 1534. ———. Sei giornate. Edited by Giovanni
Aquilecchia. Bari: Laterza, 1969. Baldi, Andrea. Tradizione e parodia in
Alessandro Piccolomini. Lucca: Maria Pacini Fazzi Editore, 2001. Bandello,
Matteo. Novelle. 3 vols. Lucca: Il Busdrago, 1554. Bargagli, Girolamo. Dialogo
de’ giuochi. Venice: Gio. Antonio Bertano, 1575. Bechdel, Alison. “The Rule.”
In Dykes to Watch Out For. Ithaca, NY: Firebrand Books, 1986. Bell, Susan E.
and Susan M. Reverby. “Vaginal Politics: Tensions and Possibilities in The
Vagina Monologues.” Women’s Studies International Forum 28 (2005): 430–44. Bembo,
Pietro. Gli Asolani. Venice: Aldo Romano, 1505. Boase, Roger. The Origin and
Meaning of Courtly Love: A Critical Study of European Scholarship. Manchester:
Manchester University Press, 1977. Burke, Peter. The Fortunes of the Courtier:
European Reception of Castiglione’s Cortegiano. University Park, PA:
Pennsylvania State University Press, 1995. Campbell, Julie D. and Maria Galli
Stampino, eds. In Dialogue with the Other Voice in Sixteenth-Century Italy:
Literary and Social Contexts for Women’s Writing. Toronto: Centre for
Reformation and Renaissance Studies and Iter, 2011. Capella, Galeazzo Flavio.
Galeazzo Flavio Capella Milanese della eccelenza et dignità delle donne.
Venice: Gregorio de Gregorii, 1526. Castiglione, Baldassare. The Book of the
Courtier. Edited by Daniel Javitch, translated by Charles Singleton. New York:
Norton, 2002. ———. Il libro del cortegiano. Edited by N. Longo. Milan:
Garzanti, 2008. Cereta, Laura. Collected Letters of a Renaissance Feminist.
Edited and translated by Diana Robin. Chicago: University of Chicago Press,
1997. Cerreta, Florindo. Alessandro Piccolomini: Letterato e filosofo senese
del cinquecento. Siena: Accademia Senese degli Intronati, 1960. Coller,
Alexandra. “The Sienese Accademia degli Intronati and its Female Interlocutors.”
The Italianist 26 (2006): 223–46. Constantini, Lolita Petrarchi. L’Accademia
degli Intronati di Siena e una sua commedia. Siena: Editrice d’Arte “La Diana,”
1928.Diderot, Denis. Les Bijoux indiscrets. Paris: Garnier Flammarion, 1968.
Harvey, Elizabeth D. Ventriloquized Voices: Feminist Theory and English
Renaissance Texts. New York: Routledge, 1992. Kelso, Ruth. Doctrine for the
Lady of the Renaissance. Urbana, IL: University of Illinois Press, 1956.
Larivaille, Paul. La Vie quotidienne des courtesanes en Italie au temps de La
Renaissance. Paris: Hachette, 1975. Marcolini, Francesco, ed. Lettere scritte a
Pietro Aretino. 1551. Scelta di curiosita letterare 132. 4 vols. Bologna: 1875.
Maylender, Michele. Storie delle accademie d’Italia. 5 vols. Bologna: Lincino
Capelli, 1926. Moulton, Ian Frederick. Before Pornography:Erotic Writing in
Early Modern England. New York: Oxford, 2000. ———. “Crafty Whores: The
Moralizing of Aretino’s Dialogues.” In ‘Reading in Early Modern England’.
Edited by Sasha Roberts. Critical Survey 12, no. 2 (Spring 2000): 88–105. ———.
Love in Print in the Sixteenth Century: The Popularization of Romance. New
York: Palgrave, 2014. ———. “Whores as Shopkeepers: Money and Sexuality in
Aretino’s Ragionamenti.” In Money, Morality, and Culture in Late Medieval and
Early Modern Europe. Edited by Diane Wolfthal and Juliann Vitullo, 71–86.
Farnham: Ashgate, 2010. Newman, F.X., ed. The Meaning of Courtly Love.
Binghampton, NY: State University of New York Press, 1973. Piccolomini,
Alessandro. De la Institutione di tutta la vita de l’homo nato nobile in città
libera. Venice: Hieronymum Scotum, 1543. ———. La Raffaella, ovvero Dialogo
della bella creanza delle donne. Edited by Giancarlo Alfano. Rome: Salerno,
2001. Piéjus, Marie-Françoise. ‘L’Orazione in lode delle donne di Alessandro
Piccolomini.’ Giornale storico della letteratura italiana 170 (1993): 524–45.
———. “Venus Bifrons: Le double idéal féminin dans La Raffaella d’Alessandro
Piccolomini.” In Images de la femme dans la littérature de la renaissance:
préjugés misogynes et aspirations nouvelles, Centre de recherche sur la
renaissance italienne 8, 81–167. Paris: Université de la Sorbonne Nouvelle,
1980. Rossi, Luciano and Richard Straub, eds. Fabliaux Érotiques: Textes des
jongleurs des XIIe et XIIIe siècles. Paris: Le livre de poche, 1992. Ruggiero,
Guido. Binding Passions: Tales of Magic, Marriage, and Power at the End of the
Renaissance. New York: Oxford University Press, 1993. Selisker, Scott. “The
Bechdel Test and the Social Form of Character Networks.” New Literary History
46, no. 3 (2015): 505–23. Speroni, Sperone. Dialogo d’amore. Venice: 1542.
Terracina, Laura. Discorso sopra tutti li primi canti d’Orlando Furioso.
Venice: G. Giolito, 1550. Trissino, Giovanni Giorgio. Epistola . . .
de la vita che de tenere una donna vedova. Rome: 1524. Vignali, Antonio. La
Cazzaria: The Book of the Prick. Edited and translated by Ian Frederick
Moulton. New York: Routledge, 2003. Waddington, Raymond B. Aretino’s Satyr:
Sexuality, Satire, and Self-Projection in SixteenthCentury Literature and Art.
Toronto: University of Toronto Press, 2004. Zonta, Giuseppe, ed. Trattati
d’amore del Cinquecento. Bari: G. Laterza, 1913.12 GIOVAN BATTISTA DELLA
PORTA’S EROTOMANIC ART OF RECOLLECTION Sergius KoderaDella Porta’s brief
thirty-two-page treatise on the art of memory1 appeared in print in Naples in
1566. There was another edition in 1583; in 1602 Della Porta published a
revised Latin version of the text under the title Ars reminscendi.2 Despite the
fact that The Art of Remembering did not see nearly as many press runs as Della
Porta’s more famous works on natural magic and physiognomy, and despite (or
because of?) its brevity, his art of memory was frequently utilized by
seventeenth-century preachers.3 Given its author’s dubious reputation with
Catholic orthodoxy—and his constant difficulties with the Inquisition—this
popularity might seem quite amazing.4 In both a series of articles and a book
chapter, Lina Bolzoni has discussed The Art of Remembering; my contribution
here seeks to elaborate on Bolzoni’s work by examining the function of a
peculiar sequence of images appearing in Della Porta’s text—images that inf
luence the entire structure and character of The Art of Remembering. Della
Porta recommends the use of explicit sexual fantasies as the most powerful
images for organizing the process of recollection. The use of erotic images was
not uncommon in the medieval and early modern tradition of the art of memory.
Yet in Della Porta’s text, images depicting sex between human beings and
animals are amazingly prominent (and especially in the two Italian versions of
the Arte del ricordare than in the later Latin Ars reminiscendi ). Here I will
argue that Della Porta’s use of pornographic and even, in the modern sense of
the word, sodomitic imagery is not merely a consequence of the more innovative
aspects of his instructions for developing the capacities of memory. Rather,
these images resonate in other of Della Porta’s numerous and highly inf
luential texts—namely, his texts for the theater, on human physiognomy, natural
magic, cross-breeding, and marvels (meraviglia) in general. Such pornographic
images thus refer to the core topics of his most important texts—and,
accordingly, to his general endeavors as an early modern magus.5The art of
memory Basically, the art of memory consists of imagining a spatial
structure—for instance, a house with different rooms (loci )—and then
furnishing these spaces with objects and persons (imagines).6 The next step is
to walk through the rooms of this imagined building and to assign to each one
item one wishes to recall, in the precise order of movement through the
architectonic structure. Originally developed in classical antiquity for public
orators, this method allows a speaker to recall the general content and order
of a speech, but the “art of memory” was also used to recollect specific
sequences of words. In this “art,” it is crucial to visualize and memorize a
mental structure, with its loci and imagines, in the greatest possible detail.
To facilitate this formidable task, the masters of the art of memory frequently
recommended that the images have a strong emotional nature (imagines agentes).
Conspicuously, manuals for the art therefore often recommend erotically charged
images as imagines agentes.7 Remembrance thus becomes dependent on—and
simultaneously synonymous with—exercising vivid (and, as we shall see,
predominantly male) sexual fantasies. The imaginary loci populated by a
sequence of well-ordered and striking images tend to acquire a life of their
own. As Bolzoni writes: “it is easy to imagine how centuries of experience in
memory techniques have given scholars some idea of the complex nature of mental
images and their capacity to inhabit their creators, to come alive and escape
their control.”8 And yet the affective movement of the soul, produced by
recalling a set of emotionally charged images, clashes with the imperative of
order that is the other vital aspect of the art of memory.9 Thus—in contrast to
modern literary authors who acknowledge and actively employ this same
phenomenon in developing their texts—the masters of memory were faced with the
arduous task of restraining the life of their own figments.10Della Porta’s
mnemotechniques Della Porta’s approach to the topic is characterized by a
methodical pluralism that is typical for the art of memory. Along with the
basic principles outlined above, he presents different ways of organizing
memory.11 For example, he recommends memorizing a group of ten to twenty women
whom one has loved to organize a system of pleasant and striking mnemonic
images. He contends that when employing the phantasmata of women one has made
love to or one has desired, one can succeed in remembering not only one word,
but an entire verse or even several verses.12 Della Porta also states one
particular system as his most innovative and preferred innovative contribution
to the art. For setting up the loci, he recommends memorizing little neutral
cubicles eight palms long, each populated with different impressive personae:
here, the sexually attractive women one has made love to or has been in love
with are placed alongside cubicles occupied by friends, jesters, noblemen, and
matrons.13 Della Porta accordingly recommends the use not only of men and women
personal acquaintances, but also of charactertypes—especially from comedy—that
during the sixteenth century were populating contemporary stage plays. In this
respect, The Art of Remembering follows a widespread tradition in
sixteenth-century treatises, as seen for example in Lodovoco Dolce’s
contemporaneous Dialogo del modo di accrescere e conservare la memoria
(1562).14 Another important precept in Porta’s Art of Remembering is that the
sequence of personae must vary; for example, he suggests “a woman, a boy, a
girl, a relative, an elderly man.”15 It is crucial to note that this succession
of personae is as fixed as the structure of the cubicles where they are
placed—which they “inhabit,” as it were. This implies that the personae become
part of the spatial setting, of the architecture of the memory palace, the
locus.16 These loci/personae determine the temporal sequence in which the
imagines appear, and in turn the content to be memorized in the correct
sequence (this content I will term the memorandum). In contrast to the fixed
personae, Della Porta defines the images as “animated pictures” which we
construct or spin out ( fingere/recamare) using the faculty of fantasy to
represent things and words.17 The images are mobile and variable: they
constitute what the personae in their fixed sequence do. And these activities
must be extraordinary in every respect; clothed in lavish and shining robes,
the personae’s movements should resemble larger-than-life actors, presenting
the mind with a “painting that is new, strange, marvelous, unusual, pleasant,
varied, and horrific (spaventevole).”18 Moreover, an image should also be
composed of a variable set of living and dead objects, which, like stage props,
are added to the persona—for instance, a cornucopia or a swan. Della Porta
recommends the use of relatively few loci/personae, condensing the sequence of
memoranda to a maximum of ten images agentes, as comic and tragic playwrights
would.19 One cannot help speculating that Della Porta discloses here a vital
aspect of his writing techniques as a prolific and inf luential author of
comedies.20 He obviously followed the advice of his predecessors, shaping his
personae in ways reminiscent of the exceedingly grotesque personae in his
mannerist comedies.21 The most salient feature of these plays is that they use
a limited set of characters whose social roles and statues are fixed in a set
of stock scenes.22 The practicability of this system is obvious, because there
is no need to memorize hundreds of loci and imagines. Yet there is one obvious
difficulty. This artificial memory is rather limited, because it will only
allow the practitioner to memorize one story (or a sequence of ten words).Della
Porta’s ars oblivionis This limitation is, of course, a general difficulty for
the art. From the time of its invention, the ars memoria has entailed an ars
oblivions, an art of forgetting, that in turn allows for the memory to be
organized anew. This is a difficult task, because laboriously constructed
chains of association between personae, imagines, and memoranda must now be
erased.23 Della Porta says that if we wish to remember a new story or a new set
of words, we can assign the same set of personae, in the same sequence, the
task of forging a new sequence of images.To this aim, we must imagine the fixed
sequence of personae in their cubicles, with these “usual suspects” stripped
naked or merely covered in white sheets, all in identical upright posture,
leaning with their shoulders against the walls of their cells.24 In Della
Porta’s system, the sequence of personae set in neutral cubicles is a permanent
pattern. He compares the personae to the lines on a specially varnished sheet
for musical compositions; it is inscribed with permanent lines, but what is
written onto them can be washed off. Thus, just as the musical notes (or signs)
are impermanent and can be reinscribed onto that sheet in a new order, creating
a new melody, so the old imagines agentes may be erased, with the personae free
to assume the pose of new imagines agentes.25 It is not only the architectonic
structure that functions as locus; the personae (who are usually classified as
“images”) become an aspect or a part of “place.”26 The personae assume the
paradoxical role of living statues—and this oxymoron aptly circumscribes the
self-contradictory function of the memory images: in order to impersonate new
imagines agentes, they should be plasmatic, but at the same time their bodies
must remain precisely fixed in dress, comportment, gesture, and the
corresponding affects communicated by these visual traits. However, Della Porta
prescribes that even when the personae are imagined naked, leaning against the
wall—in order to prepare them for a new role in another story—they should not
be the neutral recipients of images. Rather, they must be imagined in a highly
individualized form. And their actions are not arbitrary: Della Porta
prescribes constructing these stock characters of the imagination in the most
fitting way with respect to “age, facial traits, occupation, and comportment
(mores).”27 The personae’s actions are predetermined by their sex, social
status, and concomitant habits. Moreover, these actions of the personae—who
become the permanent abodes of the variable imagines—have to be related to the
content of the word or the story to be remembered. Della Porta’s technique of
character development was an important and original modification of the
traditional system of loci and imagines.28 In this way, the formal structure of
the memory is brought into a strong— and reciprocal—relationship with the
content that is to be memorized. In a key example, Della Porta writes that the
entire story of Andromeda can be remembered by the image of a naked, shivering,
and wailing woman chained to a rock.29 The setup of highly individualized
loci/personae is vital for the intricate task of memorizing a sequence of
individual images. Since more than one image is required, the spatial
arrangement of the personae/imagines becomes very important. The Latin version
of The Art of Remembering supplies the following example: if the word to be
remembered is avis (bird) and the cubicle is inhabited by the persona of a boy,
then he should be Ganymede; if it is “cook” then he cooks the bird;30 if the
word is taurus (bull) and a robust boy inhabits the cubicle, then we should
imagine Hercules wrestling with Achelous;31 if we wish to remember horn
(cornus) and a virgin inhabits the cubicle, we visualize her covered in f
lowers and fruits, like a Naiad with a cornucopia in hand.32The Italian Arte
del ricordare gives different examples.33 If we suppose the word “bird” to be
the memorandum for a prostitute (meretrice), Della Porta suggests constructing
an image of Leda during sexual intercourse with Jupiter in the guise of a
swan.34 This direction is confirmed in many other examples: for instance, under
the memorandum “bull” in the locus/persona of a virgin, we might imagine the
rape of Europa.35 If the memorandum “bull” embodies the locus/persona of a
meretrice (prostitute), then we should forge an image of Pasiphaë having sexual
intercourse with the bull.36 There is no doubt that the imagery of the
vernacular Arte del ricordare is more graphic, more sexually explicit, and less
polished than the later Latin version. Yet all the versions recommend sexually
explicit, or at least erotically charged, imagines agentes. Another striking
feature of Della Porta’s examples is that all memoranda— the “bulls,” “horns”—
are words with sexual connotations. Of course, uccello “bird” in Italian
denotes the penis; thus, the sexual connotation is as present in the memorandum
as in the image. 37 This intimate thematic connection highlights the rule that
imago and memorandum must be as closely related as possible. These examples
reveal that Della Porta wishes his readers to entwine their individual memories
of (present or former) personal acquaintances with the stories of classical
mythology to construct imagines agentes; like interlacing arches, they support
the architecture of the memory palace. It seems that the thematic link between
imago agens and memorandum is rather uncommon in the art of memory. Usually the
imagines agentes are used as placeholders for any content; for example, one
could use the imagines agentes of naked women to remember any sort of text, not
only erotic topics. Della Porta’s thematic over-determination would seem to
imply that his true interest lay in the actual topics to which the imagines
agentes and their corresponding memoranda refer; namely, a discourse concerning
the human body, the porous boundaries between human beings and animals.
Inherent in these tales of sex with animals is the generation of
monstrous—marvelous—offspring.Panoptic visions and living statues From a
Foucaultian perspective, Della Porta’s vision of the defenseless personae in
their mental prison cells has a panoptic character (though the term here is
used, of course, anachronistically). Whereas gazing at naked or sparsely
dressed human bodies, even in the imagination, can be considered a form of
symbolic violence, it is a technique of visualization in which the different
qualities of men and women of various ages, sexes, and professions become—quite
brutally— reduced to their physical features, because they are bereft of their
clothing and the social insignia, which denote, circumscribe, and protect their
social status and their moral integrity. This practice of examining the
physical features of naked men and women is echoed in the art of physiognomy of
which Della Porta considered himself a master. In fact, in his lavishly
illustrated works on the topic we find many depictions of the naked bodies of
men and women, with textssupplying the reader with the character traits (mores)
ascribed to various medical complexions; that is, the constituent factors of
human bodies and their affinities within the animal world.38 Measuring and
classifying naked human bodies according to their occupational and concomitant
social status was a widespread artistic practice during the fifteenth and
sixteenth centuries following the techniques for painters described in Leon
Battista Alberti’s De pictura (On Painting, 1435). Della Porta very closely
echoes and even plagiarizes Alberti, adapting Alberti’s instructions for
painters into his art of memory. In order to create images that appear lifelike
and therefore suited for communicating human emotions, Alberti recommends that
painters first draw human figures naked and only subsequently dress them (“ma
come a vestrie l’uomo prima si disegna nudo poi il circondiamo i panni”). 39 In
this context, the parallels between Alberti’s and Della Porta’s ideas are
obvious. In order to create emotionally charged imagines agentes they must be
as lifelike as possible, which means—especially in the case of erotic
imagines—that we undress the personae. Yet, whereas Alberti had pointed to the
appropriate decorum of his images, Della Porta opts for
larger-than-life-personae—for grotesque and exaggerated representations.40
Another point of reference between the De pictura and The Art of Remembering is
that Alberti links his measurements of human bodies to the proportions of
buildings. In Alberti’s context, an implied relation of architecture and body
clearly results from the process of constructing representations of irregular,
organic forms in central perspective. The architectural space must be
circumscribed before inserting the non-geometrical figures which are to
“inhabit” that space. The parallel to Della Porta’s The Art of Remembering is
striking, since for him as well the personae are an integral part of the loci
they inhabit. Paradoxically, Della Porta’s personae can be considered moving
statues. On the one hand, they must be imbued with as much life as possible; on
the other hand, they must freeze in one position, like a tableau vivant. But
the idea that moving statues are sexually arousing is much older than Della
Porta; Andromeda (one of the key examples in Della Porta’s The Art of
Remembering) is described by Ovid as sexually arousing to Perseus, her
liberator, because her naked body resembles a marble sculpture. “When Perseus
saw [Andromeda], her arms chained to the hard rock, he would have taken her for
a marble statue (“marmoreum esset opus”), had not the light breeze stirred her
hair, and warm tears streamed from her eyes. Without realizing it, he fell in
love (“trahit inscius ignes”).”41 When viewed from the perspective of
contemporary theater, Ovid’s erotic statue of Andromeda brings to mind the
“living statue” of Hermione in Shakespeare’s Winter’s Tale (V, 3) or Othello’s
description of Desdemona’s body as “whiter skin . . . than snow” and
as “smooth monumental alabaster” (Othello V, 2, 4–5). On Shakespeare’s stage,
this transformational power from living being to statue (and back again, in the
mode of comedy) is associated with male violence against women caused by jealousy.
Such marble statues may also play an important role in imaginings of pregnant
women. In a more general context, tales of walking statues are associated with
magical arts, as demonstrated in Apuleius’Metamorphoses, a work closely
associated with magic. Lucius, the protagonist of this second-century Roman
novel, describes his arrival in Corinth, the capital of Greek witchcraft: There
was nothing I looked at in the city that didn’t believe to be other than it
was: I imagined that everything everywhere had been changed by some infernal
spell into a different shape – I thought that the very stones I stumbled
against must be petrified human beings, . . . and I thought the
fountains were liquefied human bodies. I expected statues and pictures to start
walking, walls to speak, oxen and other cattle to utter
prophecies, . . .42 A magician’s power thus is akin to what a
master of memory does: turning one thing into another. This topic is intimately
linked to Della Porta’s other interests in the arts of cross-breeding, of
physiognomy, and of natural magic. Yet the relationship between Della Porta’s
imagines agentes and contemporary painting becomes even more striking upon a
closer examination of the individual imagines agentes ref lected in
contemporary media.Ovid’s Metamorphoses as represented by Titian’s paintings
Virtually all the examples in Della Porta’s The Art of Remembering refer to the
thicket of myths recorded in Ovid’s Metamorphoses. This is no wonder; as the
most inf luential “pagan” text of the Middle Ages and beyond, the
Metamorphoses43 constitute a substantial encyclopedia of the transformations of
the bodies of gods and human beings—transformations caused mostly by violent
sexual acts of transgression on the part of gods, heroes, or powerful men upon their
helpless victims. Ovid’s text is thus a rich source for the primary task of
Della Porta’s art of memory: not only to associate but to exchange one image
for another. Moreover, Andromeda, Leda, Ganymede, Io, and Actaeon, to mention
but a few of the imagines mentioned in the Ars reminiscendi, were highly
popular subjects for contemporary artistic representation. It is thus no wonder
that Della Porta explicitly refers to the paintings of Michelangelo, Rafael,
and Titian in his writings.44 In the mode of synecdoche, these imagines agentes
serve as abbreviations for entire stories that are reduced to one single imago
agens, just as Della Porta had postulated in the case of Andromeda.
Accordingly, Titian’s most famous works supply the reader with instructive
illustrations for Della Porta’s The Art of Remembering. His key example,
Andromeda (in Perseus and Andromeda 1554–56), is represented by Titian with a
body as white as a marble statue, chained to her rock, with a vivid facial
expression, her arms depicted in an unusual, expressive pattern of movement.
The same applies to Europa (in Rape of Europa 1559–65), with the major
difference that she is not shown in an upright position like Andromeda, but
instead reclining against the back of the bull/Zeus; both female figures are
naked, their sexual organs barely covered by a piece of white transparent
garment. In all likelihood, this is whatDella Porta imagined as the lenzuola
with which the bodies of his personae should be covered in their ground
positions. Of course, Titian created many striking erotic female figures. One
thinks of his many Venuses, but also his renderings of a seductive St. Mary
Magdalen (1530–35) or St. Margaret (ca. 1565), paintings also remarkable for
the impressive movements of their subjects’ arms as well as gesture, (lack of )
apparel, and extravagant demeanor. The myth of Actaeon is the subject of two of
Titian’s most impressive paintings: the Death of Actaeon (1559) and The Fate of
Actaeon (1559–75). In the latter painting, the hunter’s head is already
transformed into the form of a horned stag. With the exception of Leda and the
Swan (by Michelangelo), nearly all the mythological subjects mentioned in Della
Porta’s treatise are represented in Titian’s most famous works. We thus do not
lack examples of contemporary paintings illustrating the imagines agentes in
Della Porta’s The Art of Remembering. Yet there is one notable exception: the
story of Pasiphaë (on whom see below). Like the imagines agentes in The Art of
Remembering, Titian’s figures seem to be frozen in their movements, despite
their vividness. An entire story is reduced to one spectacular moment—a
snapshot (to use an anachronistic term). This reduction is not merely a
convenient tool for remembering a myth in a wink of time. It also constitutes
an intervention eclipsing all other aspects of the story that are not
represented in the one imago agens. Titian’s paintings, like Della Porta’s
imagines, are evocations of a story in the mode of synecdoche. Alive and dead
at the same time, they are fetishistic representations catering to a male gaze,
for a specific set of sexual fantasies. Moreover, the fragmentation implicit in
this process also allows for a reduction of different myths to a limited set of
structural elements or topics which all point to one and the same topic. This
is exactly what Della Porta does in the examples given in The Art of
Remembering; he evokes one and the same topic (for instance, a bull) in various
loci/personae and the concomitant imagines agentes they enact. Moreover, all
the different topics he uses as examples for memoranda (bull, horn, bird) may
be subsumed under one single general topic: sex between human beings and
animals.Pasiphaë As I shall argue in what follows, the myth of Pasiphaë
fulfills a paradigmatic function for Della Porta’s memory technique, since it
corresponds so precisely with his preferred focus in natural magic, the mating
of different species and the creation of marvelous monsters. The myth is well
known. Pasiphaë falls in love with a bull, has intercourse with the animal, and
conceives the Minotaur. The sexual act leading to this monstrous birth is made
possible through the cunning intercession of Daedalus. This archetypal male
master-engineer from classical antiquity constructs a cow-shaped wooden frame
in which Pasiphaë could hide while being penetrated by the bull.45 The
remarkably imaginative and colorful myth of Pasiphaë thus conjoins illicit sex,
the art of the engineer, and the tale of a monstrous offspring.Pasiphaë is a
woman in love with an animal. She has sexual intercourse with a real bull, with
her desire thus inclined toward the animal world. Ergo, she impersonates a
highly negative image of women in the patriarchal societies through which the
myth has travelled. This gender bias is highlighted when we compare Pasiphaë to
the rape of Europa.46 Both Pasiphaë and Europa are situated in a liminal
territory of intersection between the animal, human, and divine— between
bodies, souls, and noumenal entities. Indeed, Europa is an inversion of
Pasiphaë’s story. Zeus here figures as a male lover and a god disguised as a
bull who has sexual intercourse with the maid Europa. Her fate is oriented
towards the stars. To have sex with a god in animal guise is a ticket to
immortality. To have sex as a woman with a real animal leads to ostracism and
to the birth of monsters. Thus, it is no wonder that there are copious
visualizations in fine art of the myth of Europa, but virtually none of
Pasiphaë. From the perspective of the art of memory, we may say that Pasiphae
and Europa, as imagines agentes, are inversions of each other. The mode of
synecdoche, whereby an imago agens embodies the stories of Europa and Pasiphaë,
invites a synoptic perspective on both myths, connecting as intersecting arches
in the image of a woman having sex with a bull. But this contradicts the
specific image of Pasiphaë observed in the myth, where the woman engaged in
sexual intercourse with the animal was a (real) bull covering a (dummy) cow.
Pasiphaë in fact disguises herself in what one could call a statue of a
cow-like imago in the art of memory, thus transforming the dummy cow into a
caricature of a “living statue.”47 Yet this image, on face value, shows an act
that can be observed frequently. The myth’s image of a cow and a bull mating
(again, on face value) cannot qualify as an imago agens, nor is it clear why it
should be used in Della Porta’s The Art of Remembering in the locus of the
meretrice. This does not mean the wooden cow is irrelevant to the phantasmatic
transactions that characterize the basic method of the art of memory, namely to
exchange one image for another. For the myth of Pasiphaë points in an oblique
way to Daedalus’s sublime craftsmanship, his ability to fabricate a wooden
image which deceives a bull. Despite the fact that Pasiphaë is a witch (Circe’s
sister), she seemingly has not been able to concoct a magical love potion that
would sexually attract the bull. In order to fulfill her desire, she needs the
help of a male master engineer. In Greek philosophical terminology, this
ability to produce potentially eternally lasting objects (like tables) is
called “poetic.” Daedalus is thus pursuing an activity that he shares with the
poets. Indeed Daedalus’ prop is a powerfully poetic cow, and the image he created
has the power to evoke a series of (brutally violent) images which are not the
image: they are quite literally “in” the image. The dummy cow (with its dark
inside where the male imagination can pursue its most graphic phantasies of
penetration) is a model for the associative processes at work in the art of
memory—but it is in itself not an imago agens. In marked contrast to Ovid’s
version of the story, where Pasiphaë is disguised in a dummy cow, Della Porta
apparently wishes his readersto create an imago agens in which a prostitute has
sexual intercourse with a bull without recourse to Deadalus’ prop. Pasiphaë’s
myth points to the idea that the birth of monsters, in this case the Minotaur,
requires the intervention of a male mastermind, who not only helps to beget the
deviant creature, but also provides the means to contain the dangers arising
from it, for it is Daedalus who constructs the famous maze in which Pasiphaë’s
child is imprisoned.48 This image of Deadalus as creator and container of
monsters or marvels epitomizes the role Della Porta wished to assign to himself
as a cunning magus.49 Here, at the crossroads between mechanical device and intervention
into the organic body, Della Porta’s particular form of late Renaissance
natural magic, physiognomy, and the theater unfolds. Actually, the imago agens
of a woman having sex with a bull has an interesting relationship to Della
Porta’s Magia naturalis. Here we learn of Della Porta’s keen interest in
practices of cross-breeding between human beings and animals. To bolster his
claims, he cites the usual suspects for such stories: Pliny, Herodotus, Strabo
and their tales of women who were raped by billy goats, producing monstrous
offspring.50 This leads him to believe that “some of the Indians have usual
company with bruit beasts; and that which is so generated, is half a beast, and
half a man” (Magick 2, 12, 43). Della Porta also contends that it would be
possible for a man to inseminate a fowl under the right astrological
constellation and the right medical complexion.51 In order to create a
human/animal monster, Della Porta does not resort to the kind of contraption
Deadalus constructed for Pasiphaë, but relies instead on his expertise in
measuring, not the proportions of the head as did Alberti, but rather the
lengths and depths of male and female sexual organs, the course of the stars,
and the assessment of the medical complexions inscribed in the physical traits
of human beings and celestial bodies alike. These parameters—basically a
doctrine of signatures—are also the most decisive indicators in Della Porta’s
texts on physiognomonics, where he postulates the close resemblance of human
beings to certain animals, with attendant implications for the human
character.52Apuleius’ Metamorphoses This impression is confirmed by looking at
another imago agens where a woman has sex with an animal. In both the Italian
and Latin versions of The Art of Remembering, Della Porta claims that we
remember the woman having intercourse with the ass from Apuleius’ Metamorphoses
better than we do the heroism of a Muzius Scevola.53 Apuleius’ Metamorphoses,
the second-century novel better known as The Golden Ass, is an interesting
source for The Art of Remembering, because Apuleius describes the sexual act
between an ass (not a bull) and a woman in great detail.54 Lucius, the
protagonist of The Golden Ass, is a young man obsessed by witchcraft who is
transformed into an ass after he applied the magical unguent concocted by
Pamphile, a powerful Thessalian witch. In the shape of an ass—although never
losing consciousness that he is a man—Lucius livesDella Porta’s erotomanic art
of recollectionthrough a veritable odyssey during which he is beaten and
mistreated. When one of his many keepers discovers that this ass is
particularly clever, he makes Lucius the object of special exhibitions and a
rich woman falls in love with the ass and hires it. In contrast to Pasiphaë,
this woman has sex with the animal without any recourse to a prop. Both Lucius
and the woman seem to enjoy the act, in spite of his asinine and—hence
proverbially large—sexual organ. This changes as soon as Lucius has to perform
the act again, this time as a cruel public entertainment in an amphitheater,
where a female convict, before being devoured by wild beasts, is sentenced to
have intercourse with the ass. Lucius deeply resents this act and manages to
escape.55 It is interesting to note that Apuleius explicitly links his
salacious story of the wealthy woman who has sex with the ass to the myth
Pasiphaë, given he calls the woman asinaria Pasiphaë (an ass-like Pasiphaë).56
The story is thus marked as a parody of the myth of Pasiphaë in the form of a
blunt satire on late Roman mores. Upon closer scrutiny, this story of the
noblewoman and the ass is—again structured by a set of inversions, an oblique
evocation of the myths of the rape of Europa as well as of Pasiphaë. In
Apuleius it is a man, Lucius, who has been turned into the shape of an
ass—neither a god ( Jupiter) who willfully changes his shape into a bull (as in
the Europa myth), nor a witch (Pasiphae) who desires a real bull and who needs
the help of a male engineer to fulfill her desire. Instead, Lucius is a man who
has been changed into an animal, not by a Pasiphaë (who was incapable of doing
that job for herself ) but by another relative or follower of Circe—Pamphile.
The sexualized content with a specific violence towards female bodies is deeply
inscribed into the story of Apuleius and, consequently, in the imago agens
prescribed in Della Porta’s The Art of Remembering, which again condenses the
stories of Pasiphaë (the prostitute has sex with a bull) and the story of the
sodomite noblewoman in Apuleius, as well as including the plan to showcase the
act with female convict. The extremity of this imago agens is enhanced by the
fact that such acts of bestiality were a capital crime in Della Porta’s time,
primarily because they were believed to engender monstrous offspring, to
humanize the animal world, and simultaneously to animalize the human
perpetrators.57Io: more cows Another myth Della Porta mentions in his The Art
of Remembering —this time, as an imago agens for remembering the word
“horns”—is the story of Io.58 Her story is most pertinent because it concerns a
beautiful Naiad who is raped by Jupiter and subsequently transformed into what
Ovid describes as an extremely beautiful cow. In this shape, Jupiter wishes to
protect the girl he has violated from the wrath of his ever-jealous wife.
Unexpectedly, however, Juno likes the animal and receives it as Jupiter’s gift.
Suspecting some ruse from her husband, she proceeds to have the animal
protected by Argos, the moment in the story Della Porta employs as imago agens.
According to Ovid, Io did not lose consciousness of herreal identity but,
rather, terrified by her transformation, she seeks the company of her (human)
family. Io’s father suspects that the tame, suspiciously human cow is his
daughter. He exclaims in desperation that he had been “preparing and arranging
a marriage (thalamos taedasque praeparam I, v 558), hoping for a son-in-law
. . . now you must have a bull from the herd for husband, and your
children will be cattle (de grege nunc tibi vir, nunc de grege natus habendus.
v.660).” Eventually, Juno discovers Io’s true identity, her wrath subsides, and
Io is fully restored to her former human shape. Similar to Apuleius’ story of
Lucius in his Metamorphoses, Ovid describes Io’s transformations from human
being into cow and back again in great detail.59 Io’s story is constructed as a
set of inversions of the story of Europa. Jupiter approaches Io in the form of
a human being (not as a handsome bull) and he transforms not his own body but
that of the maid into the shape of a beautiful cow, a body in which the
sexually abused girl is deeply unhappy. However, the affinities between Lucius
and Io are even more striking; their stories appear as mirrored inversions
along the gender divide. Both their bodies are transformed into the shapes of
animals (a cow viz. an ass), both are beautiful and attractive in that guise (
Juno unexpectedly takes a liking to the cow, the noblewoman has sex with
Lucius), neither of them lose consciousness of their human nature and suffer in
their shape as animals (but Io seeks the company of her father, whereas Lucius
wants his girlfriend back), both are subsequently transformed into human shape
again, and both were originally transformed in order to escape imminent
persecution. (Io is turned into a cow by Jupiter in order to protect her from
Juno’s wrath, Lucius is mistakenly transformed into an ass in order to escape
from the law.) The specific aspect making the stories of Europa, Io, Pasiphaë,
and Lucius so significant for Della Porta’s The Art of Remembering is the
constant interplay of various but related inversions of plots. Indeed, this
method is intrinsic to the modes of transformation prescribed by this
particular art.60 Interchangeability arises from the set of oblique
inter-textual references and inversions of plots, as amalgamated in a given
imago agens.61 In the mode of synecdoche, an imago agens is designed to
represent an entire story in one image. This is a constitutive strategy of
Della Porta’s mnemotechnique, which aims at the thematic interconnecting of
persona/locus, imago agens, and memorandum. For example, a prostitute Della
Porta has slept with (persona/locus) in turn embodies Leda having sex with
Jupiter (imago agens) in order to remember the word bird (memorandum). Della
Porta’s personal (phallic) imagination thus becomes entwined with classical
myth. Within the positional logic of loci/personae in Della Porta’s The Art of
Remembering, therefore, Leda, Io, Europa, Pasiphaë, the Roman noblewoman, and
the female convict all become different imagines agentes into which one and the
same memorandum may be inscribed. Thus, the porous boundaries between human
beings and animals integral to Della Porta’s imagines agentes not only indicate
his personal taste for a bizarre and grotesque imaginary and his studiesin
physiognomy; they embody the basic principles of the Renaissance natural magic
tradition of which Della Porta was a late (yet inf luential) exponent. It
allows for a “syn-opsis,” a viewing together of very different stories that
bolsters one of the foundational tenets of Renaissance natural magic: the
universal drive for wholeness permeating the entire enlivened and sexualized
cosmos, where the male and female aspects strive to unite. By dint of his
profound knowledge of the occult sympathies and antipathies between things, the
natural magus has the power to tap and organize these cosmic erotic forces so
that he may produce his marvels.62 Within this Renaissance tradition, the human
imagination has not only a specific capacity of the soul for evoking and then
transforming images that originate from sensory perception. The human
imagination also had the power to shape the body it inhabited, as well as other
bodies.The formative power of maternal longings Renaissance natural magic
coopted an ancient belief in order to exemplify the extraordinary formative
powers of the human imagination. If a woman was exposed to a strong sensation
or harbored an intense longing during intercourse or pregnancy, this state was
thought to inf luence the formation of the embryo in her womb. Renaissance magi
thus believed that the image of its mother’s obsession was impressed on the
fetus and the future child would physically resemble the entity she had longed
for during intercourse. Della Porta makes direct reference to such ideas and
related practices. Initially, it appears that he is simply repeating the highly
popular theories on maternal longings encountered in authors as diverse as
Ficino and Castiglione.63 In the circular reasoning characteristic of natural
magic, this set of beliefs about the imagination also opened implications for
purposefully shaping future children, by positively conditioning the
imagination of the mother. A frequently repeated segreto for creating beautiful
children recommends exposing women during intercourse and pregnancy to
paintings or sculptures of beautiful children, inf luencing the future child’s
shape via beautiful imaginamenta.64 Della Porta refers directly to this
bedchamber practice: place in the bed-chambers of great men, the images of
Cupid, Adonis, and Ganymedes; or else [. . .] set them there in carved
and graven works in some solid matter, [. . .] whereby it may come to
passe, that whensoever their wives lie with them, still they may think upon
those pictures, and have their imagination strongly and earnestly bent
thereupon: and not only while they are in the act, but after they have
conceived and quickened also: so shall the child when it is born, imitate and
expresse in the same form which his mother conceived in her mind, when she
conceived him, and bare in her mind, which she bare him in her wombe.65 It is
fascinating that Della Porta’s two discourses on memory and on what one could
call family planning are also interconnected through his choice of
visualexamples, of imagines agentes. As in The Art of Remembering, we again
encounter the images of Adonis and Ganymede and of Cupid. Significantly, in
contrast to Della Porta’s The Art of Remembering, where predominately female
personae cater to male sexual fantasies, all of the images that Magia naturalis
prescribes for pregnant women are of beautiful boys. Della Porta’s ideas on the
power of maternal longings entail a creative female capacity to produce such
images in the shape of children; her imagination is engaged with the future. A
master of the art of memory, on the other hand, is engaged in recollecting the
past. Hence, the process in the pregnant woman’s imagination constitutes an
inversion of the process prescribed in Della Porta’s The Art of Remembering:
the woman’s imagination allows a marble statue to come alive, whereas the
(male) master of the art of memory seeks to freeze the image of a living person
(preferably a sexualized woman) into an imago agens—that is, he turns the
figment to stone, symbolically killing the persona just when it appears to be
most alive. This excursion into beliefs about the effects of maternal longings
allows us to re-contextualize the mental process structuring Della Porta’s The
Art of Remembering. The imagination is a faculty of the human soul capable of
producing loci and imagines agentes, to be frozen into statues, into tableaux
vivants. The story of the maternal longings confirms Della Porta’s creed that
the human imagination can also materialize its products; in both cases, the
image may be unfrozen and directed back to its starting position to assume a
new pose. The master of Della Porta’s art of memory thus arrogates for himself
a phantasmatic power over life and death, inherently a much greater power that
the pro-creative capacity he has ascribed to women. The asymmetric gender bias
that emerges in this account is instructive. As in the story of Daedalus and
Pasiphaë, the art of memory also refers to the preeminent ability of the male
magus to create monsters through artificial cross-breeding, whereas the
imagination of a pregnant woman requires male protection and guidance to its
power to shape future children.Conclusion The evidence for my claim that
Porta’s choice of memory images in his The Art of Remembering is not arbitrary,
but instead it is closely related to the overreaching project he pursued as
author of texts on (and a practitioner of ) natural magic, physiognomy, and the
theater. A set of classical myths—Andromeda, Europa, Io, Pasiphaë, and
Aktaion—handed down by Ovid, parodied by Apuleius, and painted by Titian, was
put to a specific use in Della Porta’s The Art of Remembering. In the mode of
synecdoche, he instructs the reader on how to reduce an entire story to a
single imago agens (for instance, the image of naked Andromeda chained to her
rock). The imago agens thus functions as a synopsis of the entire myth. This
oscillation between the modes of synopsis and of synecdoche—entailing a
constant process of re-focalization—in effect constitutes the basic cognitive
operation in Della Porta’s The Art of Remembering. Since it reduces a whole
welter of ancientmyths to one common narrative, the mode of synecdoche
facilitates the perception of thematic or structural affinities between
different myths. Accordingly, a series of imagines agentes referring to very
heterogeneous stories allows a leveling in our perception of these different
narratives and their content. The mode of synecdoche is conducive to
focalization on a single topic via myriad topical affinities (which become
highlighted in the mode of synopsis). In Della Porta’s mnemotechnique, this
re-focalization of a series of stories may transpire not only through a
heightening affinity, but also in the mode of inversion (for instance, in the
myths of Europa and Pasiphaë). In The Art of Remembering, this results in the
reduction of the stories of Io, Pasiphaë, and Europa (as well as Apuleius’
asinaria Pasiphaë ) to the topic of women having sex with animals and
generating monstrous offspring (bulls, cows, asses). This topical affinity is
also pertinent to the relationship between of sexualized imagines agentes and
memoranda (bulls, horns, birds). The imagines agentes operate within the
imagination of the master of the art of memory. This particular mental faculty
not only receives such images; it also has the capacity to transform them into
new images—images which in turn have the power for transforming the human body.
Not only does Della Porta’s laboratory of monstrous hybridization constitute a
hotbed for the literary imaginary, but the literary image also models the
reader’s imagination, and once the imagination is infected by an image, these
images may acquire a life of their own. This reasoning has its ultimate proof
in the belief that a pregnant woman’s fantasies inf luence the form of the
future child. At the thematic intersections of literature, visual art, physiognomonics,
natural magic, the core topic—sex with animals and the generation of monstrous
offspring—becomes embedded (in the literal sense of the word) with personal
erotic experiences. The women who have intercourse with animals are
impersonated by the women with whom Della Porta has had—or wished to
have—intercourse. As mnemonic personae/loci and hence as slaves of his erotic
fantasy, they are forced to embody any role assigned to them by their master.
Della Porta is thus obliquely portraying himself in the process of recollecting
his own memories—living statues of women who have sex with animals who may be
seen as surrogates for him. In a series of constant mise en abimes mirroring a
phallic erotic imagination, Della Porta points his readers (and himself )
towards the center of a truly mannerist Minotaur’s abode.Notes I wish to thank
Marlen Bidwell-Steiner for many invaluable discussions and comments. 1 On the
art of memory, see Yates, The Art of Memory; Bolzoni, The Gallery of Memory;
Carruthers, The Book of Memory. 2 The Latin Ars reminiscendi was published
1602. L’arte del ricordare was purported to be the Italian translation by a
Dorandino Falcone da Gioia, but this was in all probability a pseudonym for the
author himself. Both texts are edited in Della Porta, Ars Reminiscendi: L’arte
di ricordare. For the first English translation of the Italian version and a
well-informed introduction to the text in English, see Della Porta, The Art of
Remembering/L’arte del ricordare. On the differences between the Italian and
the Latin versions, see in that edition2423 4 5 6 7 8 9 10 1112 13 14 15 16 17
18 1920 21 22 2324 25 26 27 28 29Baum, “Writing Classical Authority”; also
Bolzoni, “Retorica, teatro, iconologia, 340, with footnote 5; Maggi,
“Introduction,” in Della Porta, The Art of Remembering/L’arte del ricordare,
29–30; Balbiani on the fortuna of Della Porta’s Magia naturalis in La Magia
naturalis. Bolzoni, The Gallery of Memory, 175. Valente, “Della Porta e
l’inquisizione.” On which see Kodera “Giambattista della Porta,” in Stanford
Encyclopedia of Philosophy. For a succinct and highly influential discussion of
the medieval technique of the art, see Rhetorica ad Herennium, ed. and trans.
Nüsslein, 164–80 (bk III, §§ 28–40, XVI–XXIV); Yates, The Art of Memory,
63–113. On the medieval use of memory images, Carruthers, The Book of Memory,
59, writes: “Most importantly, it is ‘affective’ in nature, that is, it is
sensorily derived and emotionally charged.” See also ibid., 109, 134, and 137.
Bolzoni, The Gallery of Memory, 130–31. Della Porta, Ars Reminiscendi, 75. See
for instance Dolce, Dialogo del modo, 26–32. As Bolzoni, The Gallery of Memory,
p. 137 (with footnote 12) has pointed out, it is interesting to note that the
Ars reminscendi explicitly warns against the use of medicines or drugs for
enhancing the capacitances of memory, whereas in Della Porta had presented such
recipes in his Magia naturalis. Della Porta, Ars Reminiscendi, 68. On the
notion of phantasmata in Della Porta, see Kodera, “Giovan Battista della
Porta’s Imagination.” Della Porta, Ars Reminiscendi, 70. See Dolce, Dialogo del
modo, 92 and the attendant notes directing the reader to medieval sources of
this method. Della Porta, Ars Reminiscendi, 70. Dolce, Dialogo del modo, 33–34,
for example, does not try to assimilate the personae to the loci, but instead
distinguishes between them. Della Porta, Ars Reminiscendi, 17. It is
interesting to note that Della Porta does not seem to be picky about
terminology, as for him very different notions—similitudo, idea, forma,
simulacrum are synonyms with imago. Ibid., 79. Galileo loved exactly such
character traits in Ariosto’s heroes; cf. Bolzoni, The Gallery of Memory, 211.
Della Porta, Ars Reminiscendi, 17–18. Bolzoni, The Gallery of Memory, 167 has
pointed to the fact that Della Porta is here quoting almost verbatim from Leon
Battista Alberti’s, De pictura, 2. 40, arguing that “the theatrical tradition
becomes a point of reference to the painter who has to paint an istoria.” For a
discussion of the number of loci from a different contemporary perspective see
Dolce, Dialogo del modo, 39–43 with many references to earlier sources.
Bolzoni, The Gallery of Memory, 162–63; Dolce, Dialogo del modo, 145, footnote
345 with much scholarly literature on the connections between the art of memory
and theater. Kodera, “Bestiality and Gluttony.” Clubb, “Theatregrams,” has
called these variable parts theatergrams. One possibility is to generate a
locus which is then invariably used, because it is recharged with new imagines
that have the capacity to store a new set of memoranda. Yet if this process of
re-inscription of the extant structure proves impossible, one must destroy the
entire setup. In order to do this, many masters of memory suggested methods
that were outright iconoclastic; cf. Bolzoni, The Gallery of Memory, 142–44.
Della Porta, Ars Reminiscendi, 18. Ibid. Carruthers, The Book of Memory, 131 on
the pictorial turn of medieval art of memory. Della Porta, Ars Reminiscendi,
76. Ibid. Ibid., 17–18.30 This otherwise puzzling imago seems to be a remnant
from a manuscript version of the Arte del ricordare, which refers as examples
for imagines agentes to one of Boccaccio’s Novellae, on Chichibio, of the
Decameron VI, 4 (Della Porta, Ars Reminiscendi, 77); in that version Della
Porta also mentions two more highly salacious stories from the Decameron (III,
10 and VIII, 7); see Della Porta, Ars Reminiscendi, 79 and 95; see also Baum,
“Writing Classical Authority,” 159. 31 The hero Hercules and the river god
Achelous were fighting over Deianeira, the daughter of Dionysius. During the
battle between the two rivals, the bull-headed river god turned first into a
snake and then into a bull, whose right horn is broken by Hercules; according
to one version, Hercules took that horn down to Tartarus where it was filled by
the Hesperides with golden fruit and is now called Bona Dea (cornucopia).
Graves, The Greek Myths, 553–54; Ovid, Metamorphoses, bk. IX, vv. 1–92. Observe
that the cornucopia appears in the next imago agens. 32 Della Porta, Ars
Reminiscendi, 18. 33 This increasing prurience is a general tendency in Della
Porta’s works and is probably due to the increasingly intolerant intellectual
climate characterizing the last decades of the sixteenth century; on this see
Kodera, “Bestiality and Gluttony,” 86–87 with references. 34 Della Porta, Ars
Reminiscendi, 77. 35 Della Porta here had openly referred to the myth, whereas
in the Ars reminiscendi he only alluded to it—namely, by describing the
iconography of one of Titian’s most famous paintings (the persona of a virgin
sitting and playing on a bull and holding a crown over the animal’s head). 36
In the Latin version the prostitute was substituted with the lover of one’s
wife. In the Latin version, ibid., 22, Leda is completely omitted. 37 The word
ucello (bird) denotes penis, with birds commonly looming large in all kinds of
erotic metaphors; on the semantics of ucellare (the word denoting prostitution,
ridicule, and penis) see Alberti, “Giove ucellato,” 59–64; for similar contexts
in Della Porta’s theater, see Kodera, “Humans as Animals,” 108–09. 38 Compare
Schiesari, Beasts and Beauties, 61–64 for perceptive remarks on the gender bias
of Della Porta’s Physiognomy. 39 Alberti, Della pittura, 122–24 (bk 2, §36) For
a discussion of the relevant passages, see for instance Heffernan, Cultivating
Picturacy, 71–73. 40 Bolzoni, The Gallery of Memory, 167. 41 Ovid,
Metamorphoses IV, vv 671–675; 112. 42 Apuleius, Metamorphoses: The Golden Ass,
Book ii, § 1, 22. 43 See Innes, “Introduction,” 19–24. 44 So does Dolce,
Dialogo del modo, 146-47, mentioning Titian’s Europa and Akataion. 45 Ovid, Ars
amatoria libri tres, 26–28, bk. I, v. 289–326, Ovid., Metamorphoses, bk. VIII,
v. 134–36; Graves, The Greek Myths, 293–94. 46 On Europa, see ibid., 194–97. 47
A caricature of the animation of statues by Egyptian magi, as described by
Hermes in the Corpus Hermeticum, an account which it is well known, and haunted
many renaissance minds; for a commented edition, Copenhaver, Hermetica. 48 A
labyrinth, i.e., an architectural structure designed expressly to get lost in,
as opposed to orderly architectural structures—and also the inversion of the
clearly represented structure of loci in the art of memory. 49 See Kodera,
Disreputable Bodies, 275–93 and Della Porta, De i miracoli, 23–25, bk I, ch. 9.
50 Della Porta, Natural magick, 43, bk 2, ch. 12. 51 Kodera, “Humans as
Animals,” 109–15; Della Porta, Magia naturalis libri XX, 76, bk II, ch. 12.
This passage is an elaboration of Aristotle on crossbreeding, from De generatione
animalium 4.3, 769b. In this case Della Porta’s credulity is greater than that
of many of his educated contemporaries, who were usually more skeptical about
the possibility of producing offspring through sex between humans and animals.
For a very interesting24452 53 54 55 56 57 58 59 60 61 6263 64 65Sergius
Koderacontemporary discussion of the topic, which clearly accentuates the ways
in which Della Porta is bending his evidence, see Varchi, “Della generazione
dei Mostri,” 99–106. On this see MacDonald, “Humanistic Self-Representation,”
Kodera, Disreputable Bodies, and Schiesari, Beasts and Beauties. Della Porta,
Ars Reminiscendi, 78–79. Cf. Apuleius, Metamorphoses lib. X, §§ 19–22. For a
succinct introduction to that text, and relevant secondary literature, see
Kenney in Apuleius, Metamorphoses, ix–xli. Ibid., 84–186; 190–94, bk 10, §
19–23; § 29–35. Apuleius, Metamorphoseon, bk. 10, § 19, l. 3. See Liliequist,
“Peasants against Nature,” 408. On the increasing belief in the real existence
of such hybrid animals in the later Middle Ages, see Salisbury, The Beast
Within, 139 and 147. Ovid, Metamorphoses, bk I, vv. 588–662 and 724–45, Graves,
The Greek Myths, 190–92. Just see the example of the re-transformation: Ovid,
Metamorphoses, bk I, vv 737–46, trans. Mary M. Innes, 48. For Lucius’
transformations into an ass and back again, see Apuleius, Metamorphoses, 52, bk
3, § 25 and ibid., 202–03, bk 11, § 13–14. In that vein of thought, many more
things could be said also on the story of Hercules and the bull-headed river
god Achelous (on whom, see above, endnote 31). The Arte del ricordare mentions
not only association from the same (dal simile, Della Porta, Ars Reminiscendi,
80 and 81) but also aggiungere, mancare, trasportare, mutare, partire (ibid., 85)
and trasponimento dal contrario (ibid., 95). Kodera, “Giambattista della
Porta,” 8–9 for a short introduction to the idea that all things in the
universal hierarchy of being are moved by the (irrational) forces of attraction
and repulsion they feel for one another. Porta provides an impressive
description of the macrocosmic animal, the male and female aspects of which
mingle in a harmonious and well-coordinated way; cf. Della Porta, Magia
naturalis, bk. 1, ch. 9. Della Porta, Natural magick, 51: “Many children have
hare-lips; and all because their mothers being with child, did look upon a
hare.” For an earlier source see Ficino, De amore, 252. For an introduction to
the history of these seemingly widespread practices and the related artwork
during the Renaissance, see Jacqueline Musacchio, The Art and Ritual of
Childbirth, 128–39. Della Porta, Natural magick, 53.Bibliography Alberti,
Francesca. “Giove ucellato: quand les métamorphoses sefont extravagantes.” In
Extravagances amoureuses. L’amour au-delà de la norme à la Renaissance. Actes
du Colloque international du Groupe de recherche Cinquecento plurale, Tours,
18–20 Septembre 2008. Edited by Élise Boillet and Chiara Lastraioli, 41–70.
Paris: Champion, 2010. Alberti, Leon Battista. Della pittura: Über die Malkunst.
Edited and translated by Oskar Bätschmann and Sandra Gianfreda. Darmstadt:
Wissenschaftlche Buchgesellschaft, 2014. Apuleius, Lucius. Metamorphoseon.
Edited by Rudolf Helm. Stuttgart: Teubner, 1992. ———. Metamorphoses: The Golden
Ass. Translated by E.J. Kenney. London: Penguin, 1998. Balbiani, Laura. La
Magia naturalis di Giovan Battista Della Porta: Lingua, cultura e scienza in
Europa all’inizio dell’età moderna. Bern: Peter Lang, 2001. Baum, Gregory.
“Writing Classical Authority, and the Inter Text of Memory: From Giambattista
della Porta’s L’arte del ricordare to the Ars reminiscendi.” In Giovan Battista
della Porta, The Art of Remembering/L’arte del ricordare. Edited and introduced
by Armando Maggi, translated by Miriam Aloisio, 147–61. Ravenna: Longo Editore,
2012.Della Porta’s erotomanic art of recollectionBolzoni, Lina. The Gallery of
Memory: Literary and Iconographic Models in the Age of the Printing Press.
Translated by Jeremy Parzen. Toronto: University of Toronto Press, 2001. ———.
“Retorica, teatro, iconologia, nell’arte della memoria del Della Porta.” In
Giovan Battista della Porta nell’ Europa del suo tempo. Edited by Maurizio
Torrini, 337–85. Naples: Guida Editori, 1990. Carruthers, Mary. The Book of
Memory: A Study of Memory in Medieval Culture. Cambridge: Cambridge University
Press, 1990. Clubb, Louise George. “Theatregrams.” In Comparative Critical
Approaches to Renaissance Comedy. Edited byDonald Beecher and Massimo
Ciavolella, 15–34. Ottawa: Dovehouse Editions, 1986. Copenhaver, Brian P.
Hermetica: The Greek Corpus Hermeticum and the Latin Asclepius in a New English
Translation, With Notes and Introduction. Cambridge: Cambridge University
Press, 1992. Della Porta, Giovan Battista. Ars Reminiscendi. L’arte di
ricordare. Edited by Raffaele Sirri. Napoli: Edizioni scientifiche italiane,
1996. ———. De i miracoli et maravigliosi effetti dalla natura prodotti libri
IV. Venice, 1588. ———. Magia naturalis libri XX . Rouen: Johannes Berthelin,
1650. ———. Natural magick. London, 1658. Anastatic reprint. New York: Basic
Books, 1957. ———. The Art of Remembering/L’arte del ricordare. Edited and
introduced by Armando Maggi, translated by Miriam Aloisio. Ravenna: Longo
Editore, 2012. Dolce, Lodovico. Dialogo del modo di accrescere e conservar la
memoria. Edited by Andrea Torre. Pisa: Scuola normale superiore, 2001. Ficino,
Marsilio. De Amore/Commentaire sur le Banquet de Platon. Edited by Raymond
Marcel. Paris: Belles Lettres, 1956. Graves, Robert. The Greek Myths. London:
Penguin Books, 1992. Heffernan, James A. W. Cultivating Picturacy: Visual Art
and Verbal Interventions. Waco, TX: Baylor University Press, 2006. Innes, Mary
M. “Introduction.” In Ovid, Metamorphoses, 19–24. London: Penguin, 1966.
Kodera, Sergius. “Bestiality and Gluttony in Theory and Practice in the
Comedies of Giovan Battista Della Porta.” Renaissance and Reformation /
Renaissance et Réforme 38, no. 4 (2015): 83–113. ———. Disreputable Bodies:
Magic, Gender, and Medicine in Renaissance Natural Philosophy. Toronto: Centre
for Reformation and Renaissance Studies, 2010. ———. “Giambattista della Porta.”
In Stanford Encyclopedia of Philosophy. Stanford, CA: Stanford University
Press, 2015. DOI: http://plato.stanford.edu/contents.html ———. “Giovan Battista della Porta’s
Imagination.” In Image, Imagination and Cognition Medieval and Early Modern
Theory and Practice. Edited by Paul Bakker, Christoph Lüthy, Claudia Swan, and
Claus Zittel Leiden. Leiden: Brill, forthcoming. ———. “Humans as Animals in
Giovan Battista della Porta’s scienza.” Zeitsprünge 17 (2013): 414–432.
Liliequist, Jonas. “Peasants Against Nature: Crossing the Boundaries between
Man and Animal in Seventeenth- and Eighteenth-Century Sweden.” Journal of the
History of Sexuality 1, no. 3 (1991): 393–423. MacDonald, Katherine.
“Humanistic Self-Representation in Giovan Battista della Porta’s Della
Fisonomia dell’uomo: Antecedents and Innovation.” The Sixteenth Century Journal
36 (2005): 397–414. Musacchio, J.M. The Art and Ritual of Childbirth in
Renaissance Italy. New Haven, CT: Yale University Press, 1999. Nüsslein,
Theodor, ed. and trans. Rhetorica ad Herennium. Düsseldorf: Artemis &
Winkler, 1998.Sergius KoderaOvid. Ars amatoria libri tres/Liebeskunst. Edited and
translated by Wilhelm Adolf Hertzberg. Munich: Heimeran, 1980. ———.
Metamorphoses. Translated by Mary M. Innes. London, Penguin, 1966. Salisbury,
Joyce E. The Beast Within: Animals in the Middle Ages. New York: Routledge,
1994. Schiesari, Juliana. Beasts and Beauties: Animals, Gender, and
Domestication in the Italian Renaissance. Toronto: University of Toronto Press,
2010. Valente, Michaela. “Della Porta e l’inquisizione. Nuovi documenti dell’
Archivio del Sant’Uffizio.” Bruniana et Campanelliana 3 (1997): 415–45. Varchi,
Benedetto. “Della generazione dei Mostri.” In Lezzioni di M. Benedetto Varchi,
85–132. Florence: Filippo Giunti, 1590. Yates, Frances A. The Art of Memory.
London: Penguin, 1969.13 “O MIE ARTI FALLACI” Tasso’s saintly women in the
Liberata and Conquistata Jane TylusThe second half of Torquato Tasso’s
tormented life was taken up by his epic poem Gerusalemme liberata and the
painstaking revisions he made to it following its unauthorized publication in
1581. Posterity has canonized the 1581 poem rather than its more sprawling
successor, Gerusalemme conquistata, which Tasso proudly dedicated to Pope
Clement VIII’s nephew when he published it in 1593. Posterity notwithstanding,
Tasso claimed that his “poema riformato” was far superior to the earlier work
largely because of “the much more certain knowledge I now have of myself as
well as of my writings” (“la certa cognizione ch’io ho di me stesso e de le mie
cose”).1 One result of this new certainty seems to have been if not the
eradication of the Liberata’s female characters, at least the curtailing of
their inf luence.2 The enchantress Armida virtually disappears after Canto 13,
lamenting her failures to keep the Christian army’s strongest knight with her
forever, and no longer converting to Christianity as in the surprising end of
the Liberata. The princess of Antioch, Erminia, is denied her remarkable role
in the Liberata as the discoverer and healer of the Christian knight Tancredi’s
wounded body and the revealer of a secret plot against his captain, Goffredo.
Two extraordinary Christian women are completely excised from the Conquistata:
Gildippe, who dies fighting by her husband’s side in the Liberata’s twentieth
canto, and Sofronia, who offered her life to save the Christian refugee
community in a captive Jerusalem, and who, in turn, is saved by the Muslims’
most celebrated woman warrior, Clorinda. Only Clorinda’s tale is relatively
untouched—with the exception of her rescue of Sofronia. Both the Liberata and
the Conquistata tell of her strident independence and her baptism into her
mother’s Christian faith as she lies dying by the hand of Tancredi, who has
killed what he loved. This essay will not so much catalogue the Conquistata’s
many revisions as attempt to gauge the changing role of the female body in
Tasso’s epic practiceTylusand its relationship to Tasso’s growing ambivalence
about the status of the “arti fallaci” in his poetry—a phrase, as we will see,
that is uttered by the much altered character of Erminia toward the end of the
Conquistata. And even if Clorinda and Armida continue to stand out in their
memorable particularity in the Conquistata, they are joined by a new host of
women who exist largely to create a “dynamic that is reassuringly familial,” as
Claudio Gigante has observed, and who no longer possess the self-conscious
artfulness that characterized female characters in the Liberata.3 The contrast
allows us to see how potentially radical the Tasso of the Liberata was and at
the same time how his transformations of women in the Conquistata are tied to
his reconceptualization of himself as an epic poet.4 I will elaborate some of
these arguments by turning to developments that led to the Conquistata,
necessarily addressing selective incidents within both poems in order to depict
the nature of Tasso’s poetic transformation. One episode in particular offers
itself up for special consideration. It concerns a female figure in the
Liberata who has not attracted much attention, and who, as mentioned above, is
nowhere to be found in the revised poem: Sofronia.5 Willing to die in exchange
for the salvation of her fellow Christians, she is rescued and subsequently
exiled from Jerusalem. The contrast between this stirring episode in the
Liberata and its muted aftermath in the Conquistata could not be greater, as
the following pages will show. At the same time, they attest to what might be
called Tasso’s desire for the organicity of his revised epic, a poem in which
individual characters would be immune from the criticism launched against
Sofronia herself. For according to the Gerusalemme’s first readers, the episode
that centered on her in Canto 2 was “poco connesso” to the Liberata as a
whole.6 This lack of continuity, in turn, has a stylistic echo in the infamous
critique of Tasso’s language as “parlar disgiunto” or disjointed speech—a
disjointedness even Tasso acknowledged when he claimed to have learned it from
Virgil, admitting that it can tempt one to swerve dangerously from the “truth”
in its pursuit of fallacious artistries.7 The path toward wholeness in the
Conquistata thus marks a turn away from Virgil and toward the more narratively
f luid Homer, as readers of Tasso (and Tasso himself ) have readily
ascertained.8 But this path also goes through the body of the female,
inscripted into the Conquistata as bearer of a new epic model of integration
and personal loss. It is a body that the chastened Tasso, in his final critical
writings on his poetic output, may also have recognized as his own. * ** In the early
1680s, the prolific Luca Giordano executed a series of paintings for a Genovese
palazzo recently acquired by the nobleman Eugenio Durazzo. Among the works
Giordano designed for the entryway into a palace that was on the “must-see”
list of every foreign visitor to Genova, were portraits of the death of Seneca
and the Greek hero Perseus. But his paintings also featured a large canvas
depicting an event from the Liberata’s story of Sofronia, the brave young woman
who volunteers to die for her fellow Christians and who, along with the man who
loves her, is saved by Clorinda. Moved by the taciturn stance of thefemale
victim before her, Clorinda asks Aladino, Jerusalem’s king, to free the two
Christians in exchange for her promise that she will perform great deeds in
Jerusalem’s defense, and Giordano chooses to display this moment in his work9
(Figure 13.1).10 At the same time, Clorinda’s back is turned, so that the real
savior of the two Christians bound at the stake seems to be a painting of Mary
which angels are holding aloft—suggesting that Giordano’s work may also be
about the salvific powers of art. Mariella Utili has written of Giordano’s
intent to throw into relief the religious aspect of the story: “the exaltation
of Christianity, which had been the basis for the immediate success of Tasso’s
poem and which many other artists before Giordano had noted as well.”11 Yet
with respect to the episode of Sofronia and her would-be lover Olindo, who begs
to die with her, such a remark might seem ironic. For this story provoked
almost more than anything else in the epic the concerns of the poem’s
Inquisitorial readers, and in turn Tasso’s worries aboutFIGURE 13.1Luca
Giordano, “Olindo e Sofronia,” Palazzo Reale gia’ Durazzo (Genova).Photo
credit: Zeri Photo Archive, Bologna, inv. 110885.the extent to which its
inclusion would threaten the Liberata’s publication. So much so, that in a
telling letter written on April 3, 1576 to his friend and literary confidant
Scipione Gonzaga he writes, “Io ho giá condennato con irrevocabil sentenza alla
morte l’episodio di Sofronia” (“I’ve already condemned the episode of Sofronia
to death, and my decree is absolute”).12 Having barely escaped death at the
hands of Jerusalem’s king, Sofronia was condemned anew by Tasso. The reasons
for this condemnation are several, even as the episode contains within itself a
germ of the process that will define Tasso’s method in the Conquistata. One
reason certainly has to do with the painting which Giordano has f loating in
the sky—a touch unaccounted for in the Liberata itself, but prepared for by the
odd narrative Tasso weaves in the opening of Canto 2. For the catalyst that set
off a tyrant’s rage, leading him to sentence Jerusalem’s Christians to death,
is indeed a work of art: an image of Mary taken from the Christians’ church by
the magician and former Christian Ismeno, who is convinced of its supernatural
abilities to protect the walls of the city against the Crusaders. He places
Mary’s picture in a mosque so as to provide “fatal custodia a queste porte.”13
For reasons on which Tasso coyly refuses to pronounce—(“O fu di man fedele opra
furtiva, / o pur il Ciel qui sua potenza adopra, / che di Colei ch’è sua regina
e diva / sdegna che loco vil l’imagin copra: / ch’incerta fama è ancor se ciò
ascriva / ad arte umana od a mirabil opra”; “It was either the work of a
stealthy hand, or heaven interposed its potent will, disdaining that the image
of its queen be smuggled somewhere so contemptible” [2: 9]14)—the immagine
mysteriously disappears from the mosque into which Ismeno has smuggled it.
Certain that the Christians have contrived to steal it back, Aladino plots for
them universal slaughter, until the beautiful Sofronia steps forward to take
the blame so that her people will not die, a confession the narrator describes
as a “magnanima menzogna,” a magnanimous lie. In a letter, however, written
soon after he released the poem to an official reading, Tasso seems fearful
that the stolen immagine has invoked the ire not of Aladino but of Silvio
Antoniano, the Roman Inquisitor and official in charge of granting the right of
nihil obstat for books published in Rome. Writing to Luca Scalabrino on a later
occasion, he continued to insist on excising the “episodio di Sofronia”:
“perch’io non vorrei dar occasione a i frati con quella imagine, o con alcune
altre cosette che sono in quell’episodio, di proibire il libro” (“I don’t want
to give the friars a chance to condemn the book because of that image, or
because of any other little things found in the episode”).15 Much of interest
has been written of the status of images in the aftermath of Trent, some of it
in regard to the poem’s second canto. As Naomi Yavneh has pointed out, Trent
was preoccupied with limiting the role that excessive popular devotion played
in religious life, and its stance on images was no exception: it perforce
needed to clarify the extent to which “immagini” were only the simulacri for
the things to which they pointed. As such, the importance of an object in
referencing beyond itself—its deictic function—was accentuated by the orthodox
proclamations from the 1570s and 1580s. One typical characterization of the
post-Tridentine image, although from the Seicento, is offered by the
JesuitGiovanni Domenico Ottonelli. He suggests that in gazing at a painting,
“which represents something other than the thing which it resembles, and from
which it takes its name” (“che rappresenta un’altra cosa, di cui tiene la
simiglianza, e prende il nome”), one must recognize that “while the image
renders visible what is invisible, the image is only worthy of honor by virtue
of resemblance, not substance.”16 Moreover, as Yavneh goes on to point out, in
the episode from Tasso’s Liberata, the transformation of the painting of Mary
into a thing of “substance”— i.e., it alone can save Jerusalem from harm—is
initiated by the renegade Christian, Ismeno, unable to leave his former
religion completely behind him (“Questi or Macone adora, e fu cristiano, / ma i
primi riti anco lasciar non pote; / anzi, in uso empio e profano / confonde le
due leggi a se’ mal note”; “He adores Mohammed, as once he adored Christ, but
cannot now abandon the first way, so often to profane and evil use confounds
the two religions out of ignorance” [2: 2]). It is Ismeno who recommends that
Aladino place “questa effigie lor” of Mary, “diva e madre” or goddess and
mother of the Christian’s god (2: 5) into the mosque because of its talismanic
status—an idolatrous reading in which the Christians, who leave their offerings
before the “simulacro” do not, apparently, concur.17 One can only speculate as
to what about the “immagine” in Canto 2 might have angered Tasso’s
inquisitorial reader; the letter from Antoniano detailing his objections to the
Liberata does not survive. But it is striking that another vergine, Sofronia,
proclaims for herself the protective status Ismeno gave to the immagine of
Maria. Her sacrifice thus effects a substitution originally engineered by the
apostate. She too adopts the language of female uniqueness when boldly stating
to the king Aladino her “crime”: “sol di me stessa, sol consigliera, sol
essecutrice” (“I was the only one [who knew of it], one counselor, one executor
alone”; 2: 23). When Olindo challenges Sofronia’s magnanimous lie, arguing that
a mere woman would be unable to carry out the theft, she insists again on her
autonomy: “Ho petto anch’io, ch’ad una morte crede / di bastar solo, e
compagnia non chiede” (“I too have a heart, confident it can die but once. It
does not ask for company”; 2: 30). But Tasso links her in other ways to the
Madonna that Ismeno made into a singularly potent object. As commentators have
noticed, Tasso compares her to the stolen image when her veil and mantle are
roughly taken from her when she is led to the stake.18 Just as Mary’s image,
“enveloped in a slender shroud” (“in un velo avolto”; 2: 5) was seized
(“rapito”) by Ismeno, so are Sofronia’s veil and mantle seized from her
(“rapit[i] a lei [Sofronia] il velo e ’l casto manto”; 2: 26). And an allusion
to Mary’s face (“il volto di lei”) returns with “smarrisce il bel volto in un colore
/ che non è pallidezza, ma candore” (“the lovely rose of [Sofronia’s] face is
lost in white which is not pallor, but a glowing light”; 2: 26). And yet the
resonances between Sofronia and an inimitable female figure do not end here.
Giampiero Giampieri has noted that the white coloring of Sofronia at the stake
is echoed eleven cantos later when Clorinda, the third vergine of the canto,
dies at Tancredi’s hands. This pale demeanor at death’s arrival in turn has its
haunting origins in the phrase accompanying the suicides of Virgil’smost
prominent female character, Dido, and the historical figure on whom she is
partially modelled, Cleopatra. These intertextual allusions thus trace an
unsettling historical trajectory, insofar as far from being “vergini,” unlike
their Tassian counterparts, both women are known for their sensuality and, in
Dido’s case, unrequited passion. At the same time, Clorinda, like Sofronia,
occupies the role enjoyed by Dido and Cleopatra before romantic liaisons led
them astray. They are all the singular, female supports of their people. When
Islam’s powerful woman warrior enters Jerusalem in Canto 2, Clorinda is defined
as the self-sufficient savior of a people that Sofronia and—according to
Ismeno—the immagine of Mary have been before her. In greeting Clorinda, Aladino
bestows on her the signal distinction of the warrior who alone can protect the
city (“non, s’essercito grande unito insieme / fosse in mio scampo, avrei più
certa speme”: “though a whole host should come to rescue me, I would not hope
with greater certainty”; 2: 47). Not only does he concede to her his scepter
(“lo scettro”) but he adds, “legge sia quel che comandi” (“let the law be what
you command”; 2: 48), an honor that prompts Clorinda to ask for her reward in
advance: the release of the two Christians.19 Even as Clorinda will exact
bloody penalties on the Christians who attack the city to which she pledges her
protection, this fantasy of female potency that begins in Canto 2 will be
eclipsed outside Jerusalem’s walls when Clorinda is killed by Tancredi:
Meanwhile they whispered of the bitter chance behind the city wall confusedly
till finally they learned the truth. At once through the whole town the bad
news made its way mingled with cries and womanly laments, as desperate as if
the enemy had taken the town in battle and f lew to raze houses and temples and
set the ruins ablaze. Confusamente si bisbiglia intanto del caso reo ne la
rinchiusa terra. Poi s’accerta e divulga, e in ogni canto de la città smarrita
il romor erra misto di gridi e di femineo pianto; non altramente che se presa
in guerra tutta ruini, e ’l foco e i nemici empi volino per le case e per li
tèmpi. (12: 100) The defeat of a city in wartime evoked in this moving simile
is the fate that Ismeno believes Jerusalem will avoid if Mary’s image is placed
in the mosque; that Sofronia believes her people will avoid if she dies at the
stake; and thatAladino believes his kingdom will avoid if Clorinda agrees to
defend his city. And the moment, of course, looks backward again to Virgil, and
to the demise of another city, Carthage, upon the death of another singular
woman. “The palace rings with lamentations, with sobbing and women’s shrieks,
and heaven echoes with loud wails—even as though all Carthage or ancient Tyre
were falling before the inrushing foe, and fierce f lames were rolling on over
the roofs of men, over the roofs of gods” (IV: 667–71).20 The “città smarrita,”
the urbs in ruin: in both Aeneid 4 and the Liberata, the figurative collapse of
the city, portrayed in a simile that reveals the grim devastations of war, is
tied to the death of a woman characterized as savior. And in both cases, the
two cities of these respective poems will be invaded by the enemy—one during
the Punic Wars that are only predicted in the Aeneid, the other in Canto 20 of
the Liberata. At the same time, the simile of Canto 12 following Clorinda’s
death can be said to silence the diabolical suggestion that women’s bodies
might be sufficient protection for Jerusalem’s community; or in rhetorical
terms, that the female body stands in an analogical relationship to the city
and can procure its health. Sofronia’s self less action in Canto 2 procures
temporary salvation for the Christians. But genuine salvation arrives only
eighteen cantos later, when Goffredo’s troops invade Jerusalem and secure it
for its “rightful” owners. In the meantime, Sofronia, like the Madonna’s image,
has been withdrawn forever from the poem. Following her rescue by Clorinda, she
does not refuse Olindo her hand in marriage, and with him and others “di forte
corpo e di feroce ingegno” (whose bodies are robust and spirits bold; 2: 55)
she is banished, so fearful is Aladino of having so much virtue nearby (“tanta
virtù congiunta . . . vicina”; 2: 54). Some of the banished wandered
aimlessly (“Molti n’andaro errando”; 2: 55) while others traveled to Emmaus
where Goffredo’s troops are gathered. Of Sofronia and Olindo, however, no more
is heard. All Tasso divulges of their fate is that they both went into exile
beyond the bounds of Palestine (2: 54). Such a finale to Sofronia’s sacrificial
offering ensures—intentionally, it would seem— that the episode is indeed “poco
connesso” to the rest of the poem. Inserted into the beginning of the Liberata,
the story of Sofronia operates as a virtually self-contained unit, ending with
its main protagonist banished from Jerusalem. That the episode can be said to
trace Tasso’s ambivalences regarding “tanta virtù congiunta” in not one, but
three, female characters, is suggested by both Sofronia’s and the immagine’s
summary dispatch from the poem—as though to insist on the heretical nature of
Ismeno’s view of the painting, and the women’s views of themselves, as
sufficient to protect a city.21 But there may be another link between the exiled
women and the immagine. The latter is both more and less than an icon: it is a
work of art, in ways which the woman themselves may replicate. Much of the
threat represented by Sofronia has to do with her inscrutability, which mirrors
the unknowability of the immagine’s fate and of the painting itself. Moved by
generosity and “fortezza,” Sofronia exits alone among the people (“tra ’l
vulgo”) after Aladino orders the Christians’ houses burned. But as she journeys
publicly to meet the king, Tassointroduces some seemingly gratuitous phrases:
she neither “covers up her beauty, nor displays it,” and “Non sai ben dir
s’adorna o se negletta, / se caso od arte il bel volto compose” (“If chance or
art has touched her lovely face, if she neglects or adorns herself, who knows”;
2: 18). Similarly, she is described in relationship to the young Olindo, who
has loved her desperately from afar, as either “o lo sprezza, o no ‘l vede, o
non s’avede” (“she scorns him, or does not see him, or takes no note”; 2: 16),
and of her considerable beauty, she “non cura, / o tanto sol quant’onesta’ se
’n fregi” (“cares not for it, or only as much as required by honor’s sake”; 2:
14). Even as Tasso depicts her as a “virgin of sublime and noble thoughts”
(“vergine d’alti pensieri e regi”), he wastes no time in adding that she is
also “d’alta beltà” (2: 14), suggesting that we do not know whether Sofronia is
aware of her beauty’s effect on her admirers. In short, she is the product of
an artfulness that at once belies her sincerity and renders her inaccessibility
to public scrutiny even more pronounced. Indeed, Sofronia is impugned
throughout Canto 2 in various ways that can only force the reader to suspect if
not her motive—which emerges following her struggle to balance masculine
virility or “fortezza” and female modesty (“vergogna”)22—then at least her
self-presentation in a public space. And because she is a woman, “amore”
emerges as the vehicle through which her integrity can be compromised. Or as
Tasso says in introducing Olindo and in returning to the language used only
several stanzas before of the chaste image of Mary and its supposed ability to
provide “fatal custodia” to the gates of Jerusalem: “tu [amor] per mille
custodie entro a i più casti/ verginei alberghi il guardo altrui portasti”
(“although a thousand sentinels are placed, you [Love] lead men’s glances into
the most chaste of dwellings”; 2: 15). The uncertain status of Sofronia’s
agency and her inability to control the reception of her offer are highlighted
again after the king, furious over her assertions that she was right to steal
the image, orders her to be burned: “e ’ndarno Amor contr’a lo sdegno crudo /
di sua vaga bellezza a lei fa scudo” (“too slight a shield is womanly grace for
Love to f ling against the crude resentment of the king”; 2: 25): as though
she—or Love working through her—might cunningly be able to soften the tyrant in
his resolve. The manner in which Sofronia is tied to the stake—her veil and
“casto manto” stripped violently from her and used to tie “le molli braccia”
(2: 26)—and the ensuing appearance of Olindo beside her, “tergo al tergo,”
heighten the barely suffused sensuality of the preceding stanzas in which
Sofronia’s ambiguously constructed femininity has been a muted but persistent
theme. “O caso od arte.” This is the phrase that threatens to turn Sofronia
into the seductress Armida, who appears two cantos later at the threshold of
the Christians’ camp to lure the Crusaders away from war. Sofronia is no
Armida. Yet in depicting Sofronia’s inner conf lict between “fortezza” and
“vergogna,” while refusing to declare the extent of Sofronia’s artful
self-consciousness, Tasso highlights the problems that emerge when a woman
thrusts herself into the public gaze.23 The questioning presence of male spectators,
a group into which Tasso inserts the (male) reader by way of the narrator’s
interventions, ultimately pointsto the inability of Sofronia—and by extension,
of the immagine of Mary and of Clorinda, who has already unknowingly inspired
the passion of the Christian knight Tancredi—to control the effects of her
self-presentation. Like the Didos and Cleopatras before her, she is unable to
escape from the controlling system of gender that makes her into the object
gazed upon and fantasized about as though she were a work of art. At the same
time, what prevents Sofronia from becoming a martyr and hence giving her life
for her people is another woman, Clorinda: who at first appears to the populous
as a male warrior (“Ecco un guerriero [ché tal parea]”) but who is betrayed as
a woman by her insignia, the tiger. When Clorinda enters into the crowded
piazza where the two Christians are tied to the stake, she notes Olindo weeping
“as a man weighed down with sorrow, not pain” (“in guisa d’uom cui preme /
pietà, non doglia)” while Sofronia is silent, “con gli occhi al ciel si fisa /
ch’anzi ‘l morir par di qua giù divisa” (“her eyes so fixed on heaven that she
seems to be leaving this world before she dies”; 2: 42). Clordina’s response to
this sight—a Clorinda raised in the woods and led to disdain female pastimes
such as sewing and embroidery—is extraordinary: “Clorinda intenerissi, e si
condoles / d’ambeduo loro e lagrimonne alquanto” (“Clorinda’s heart grew tender
at this sight; she grieved with them, and tears welled up in her eyes”; 2: 43).
Such tenderness leads her to ask for the two Christians as a gift in advance of
her promised salvation of the city: a salvation, as we will soon know, she can
never achieve. Her pity for a woman like herself—at once self-contained and yet
vulnerable to others’ fantasies about her sexuality—breaks through the
religious and ethnic differences on which the Liberata as a whole depends, and
arguably questions for Muslims and Christians alike the very premise of the
war. Clorinda will be revealed later in the poem as the daughter of a Christian
mother, and in retrospect one might see her recognition of herself in Sofronia
as a premonition of her true identity. Yet, at this early point in the poem,
her alignment of herself with Sofronia, along with Tasso’s allusions to
Virgil’s fateful women, creates a potentially scandalous community of women
whose unpredictable and often unreadable actions threaten to undo the
transcendental militarism on which the poem is based. The crisis of the immagine,
in Ismeno’s feverish recasting of its significance, is like that of the women
who are endlessly substituted for it: complete within itself, it has no deictic
function, failing to refer beyond itself to heavenly powers. Sofronia, too,
points only to herself (“Sol essecutrice”), a presumed self-sufficiency that
Tasso’s narrator translates into inaccessibility. It creates for Sofronia the
same unknowable status of the stolen painting, and an unknowability Clorinda
can only admire, and in which she similarly partakes. Tasso’s simile of the
city that dissolves into f lames upon Clorinda’s death ten cantos later is thus
ultimately a failed simile. That he will go on to banish all of his Christian
women from the end of the Liberata suggests both his attempt to contain the
threat represented by the female figures of Canto 2 and his inability to
integrate Christian and Muslim women alike into the culminating events of the
poem. Clorinda and Gildippe are dead, Erminia is in an “albergo”
somewherewithin the city, Armida utters words of conversion but only on
Jerusalem’s outskirts, and Sofronia has disappeared forever. To be sure, on the
one hand, Tasso’s poem generally refuses to allow any character to stand in for
the whole and thus represent the city, earthly or celestial, by him or herself,
as the belated “Allegoria del Poema” attests and as numerous episodes involving
Rinaldo and Goffredo suggest.24 In an early letter, Tasso protests the custom
of romance that allows single characters to decide the fate of entire empires:
“non ricevo affatto nel mio poema quell’eccesso di bravura che ricevono i
romanzi; cioè, che alcuno sia tanto superiore a tutti gli altri, che possa
sostenere solo un campo” (“In my poem, I don’t allow that excess of bravura
that the romance welcomes, in which one figure emerges as greater than all the
others, capable of defending the battlefield all by himself ”).25 To this
extent, transforming the painting of Mary or the body of Clorinda into
singularly protective forces copies the excess of romanzi which Tasso claims to
avoid. Only the uniting of Goffredo’s “compagni erranti” or wandering
companions under “i santi segni” can win for the Christians their city (1:1).
The liberation of Jerusalem is the work not of women, but of men; and not of a
single man, but many. On the other hand, unlike Goffredo or Rinaldo, these
“virtuous” women do indeed disappear from the poem, suffering the fate of the
“poco connesso” and summarily excluded from the larger body into which Tasso
incorporates his men in the “Allegoria.”26 Yet is such exclusion ultimately a
penalty? While at work on the Liberata, Tasso was penning his brief pastoral
play, the Aminta, where he experiments with the inaccessibility of a vergine in
the figure of Silvia, whose own near-violation while tied to a tree is
reminiscent, even in its phrasing, of Sofronia’s violent torture. The
Liberata’s “Già ’l velo e ’l casto manto a lei rapito, / stringon le molli
braccia aspre ritorte” (“they tear away her veil and her modest cloak, bind
hard her tender hands behind the back”; 2.26) echoes Silvia’s victimization at
the Satyr’s hands.27 But the exposure of Silvia’s and Sofronia’s bodies is in
turn contrasted with the degree to which they refuse to be contaminated by the
violence that surrounds them even as they are vulnerable to varying
interpretations of their sincerity. The fact that following their rescues
neither female character is seen again suggests an additional layer of
inscrutability, as though Tasso chose to protect the privacy of his vergini from
those who would compromise their virtue.28 Perhaps only in a world where epic
values— the seizing of Jerusalem from the renegade Ismeno and the infidel
Turks—are unequivocally positive can Sofronia’s premature departure be
construed as a loss, rather than a gain. The phrase used with respect to the
mosque from which Mary’s image is taken—“a vile place heaven holds in
disdain”—might stand in for the contaminated city as a whole that Sofronia
inhabits with other embattled Christians. Tasso’s own narrative gesture with
regard to all women of “fortezza,” Clorinda included, saves them from the
bitter militarism that informs the second half of his poem, preserving for them
a space offstage—or above it. But Tasso continued to ponder the ideal
relationship of the female body to his epic project, one which would rely on
integration rather than separation. Such integration demanded a very different
kind of poem from the Liberata, whoseMuslim male warriors, if not its women,
are diabolical figures from whom the city must be wrested. The Conquistata has
typically been glossed as a work that celebrates the Counter-Reformation Church
in all its militancy. But attentiveness to the new women of the revised poem,
beginning with a lamenting Mary who has stepped out of the painting to become a
character, may suggest otherwise.29 * ** Death appears
in the Conquistata’s opening stanza, where the triumphant prolepsis of
“compagni erranti” joining together under “santi segni” no longer exists, and
where the explicit allusions to the failures of hell, Asia, and Africa to
defeat the Crusaders is replaced by a description of how Goffredo’s military
feats “di morti ingombrò le valli e ’l piano, / e correr fece il mar di sangue
misto” (“filled the plains and valleys with the dead, and made the sea run red
with blood”). With death, there is mourning—and a world, as Tasso will call it
late in the poem, of “femineo pianto” female lament (23:117). And the first
evidence of female mourning that we see in Tasso’s “poema riformato” is that of
the Virgin Mary, who makes a surprising cameo appearance at precisely the
moment occupied in the Liberata by the episode with Sofronia. Threatened, as
before, by the impending arrival of Crusaders, Aladino decides that the
Christian community within the walls poses a danger, and in his rage swears to
put them all to death. A stolen painting no longer exists to provoke his anger,
but almost immediately the subject of that painting appears, as Tasso’s
narrator redirects our gaze from the cowering Christian citizens of Jerusalem
to heaven, in two entirely new stanzas: Holy Compassion, you did not keep your
thoughts hidden to yourself, as you gazed down from the celestial and sacred
realm onto the site where the King had lain buried, and at his faithful f lock.
Thus: “Lord,” you cried, “help, help—for now I alone am not sufficient to save
their lives.” Upon seeing those moist eyes—the eyes that had wept for her Son
who died on the cross—the Father said, “now let me turn my attention to their
fear” . . . and the savage man [Aladino] tempers his insane rage. Non
fu ’l pensier, santa Pietate, occulto a te ne la celeste e sacra reggia, donde
guardavi il luogo in cui sepulto il Re si giacque, e la fedel sua greggia.
Pero’: – Signor, gridasti, aita, aita, ch’io non basto a salvarli omai la vita.
Vedendo il Padre rugiadosi gli occhi di lei che pianse in croce estinto il
Figlio, – Vo’ – disse – ch’al Timor la cura or tocchi – . . . . [e]
Tempra dunque il crudel la rabbia insana. (2: 11–13) 30Thanks to this heavenly
intervention that happens in the blink of an eye (“ad un girar di ciglio”),
Aladino will “temper his rage” by burning the fields where the Crusaders might
have found food and by exiling, rather than killing, the faithful—excepting “le
vergini”—from Jerusalem, who depart in tears (“gemendo in lagrimosi lutti”; 2:
53). But their laments will not endure for long. When they come upon the
Crusaders in their camp, they offer their services to Goffredo and participate,
presumably, in the final attack on their former city in the closing cantos of
the new poem. As in Canto 2 of the Liberata, we have a threatened community,
and once again Mary figures in its protection. But for those familiar with the
Liberata, this episode in the Conquistata’s second canto represents a loss
rather than a gain, albeit a puzzling loss. Having omitted the episode of
Sofronia that apparently, he, and many of his first readers, found so
troubling, Tasso leaves us with the mere shadow of the women who once occupied
the status, rightly or wrongly, of Jerusalem’s saviors: a mourning mother. When
Mary calls upon God to temper Aladino’s wrath, she is gazing at a tomb: “il
luogo in cui sepulto/ il Re si giacque.” Jerusalem is a place of death, both
past and imminent, and Mary is not celebrating her son’s resurrection, but
weeping for his demise on the cross. Her grief is rehearsed again in the
following canto in stanzas also new to the Conquistata, where it will be shared
by other mothers—many of them Muslim. On tapestries which Goffredo shows the
two ambassadors who have arrived from the enemy’s forces—one of them, Argante,
“intrepid warrior” (“intrepido guerriero”; 2: 91)—is the thunderous defeat of
Antioch, which the Christians have just taken. Tasso lingers not over the
victorious assault on the city but on the artist’s attentiveness to women’s
loss as they watch their sons die below them: talented artist, you made the
faces of their mothers’ pallid and pale, for life no longer was welcome to
them. From above each one gazed at her dead child, who lay on the earth by
enemies oppressed, his head affixed to the enemy lance; and tears bathed their
dry cheeks. And so he created great variety among these images of grief
. . . con viso vi [il maestro accorto] feo pallido e smorto le madri,
a cui la vita allor dispiacque. D’alto mirò ciascuna il figlio or morto che tra
nemici oppresso in terra giacque, e’l capo affisso a la nemica lancia; e di
pianto rigò l’arida guancia. E variò le imagini dolente . . . (3:
48–9) The resulting “istoria” tells of a “Città presa, notturno orror, tumulto,
/ ruine, incendi e peste”, to which the artist adds “Fuga, terror, lutto, e mal
fido scampo / . . . . e correr feo di sangue il campo” (“A city
seized, nocturnal horrors, tumult, ruin, firesand plague . . .
flight, terror, grief, and luckless escape, and he made the field run with
blood”; 50). Argante, the Christians’ enemy, is gazing on these images, and one
could argue that his perspective inf lects the presentation of the tapestries,
much as Aeneas’s grief in Book 1 colors his reception of the carvings in
Carthage that detail the fall of Troy. Yet, elsewhere in the descriptions, we
hear of the “pious Goffredo,” the “good Beomondo,” the “great Riccardo.”
Moreover, the direct apostrophes to the Christian reader (“Italici e Germani
uscir diresti . . .” [2: 17]) suggest that it is Tasso’s narrator—and
Tasso himself—who lingers over the mournful details. In fact, the singular
concentration on the Conquistata’s women as vehicles of lament suggests that
Tasso is far from making their response to loss yet another diabolically tinged
inspiration. Riccardo, formerly the warrior Rinaldo, now also has a mother, who
like Thetis, emerges from sea-depths to comfort her son when his friend Rupert
dies. The prayers of Riccardo in turn are carried by heaven to a female figure
who with tearful face (“con lagrimoso volto” 21: 74) asks God, as did Mary much
earlier, to bring aid by turning “your pitying face to my warrior” (“al mio
guerrier pietoso ’l ciglio”; 72). But as the scenes of the tapestry suggest,
women’s presence as mourners is most visible in the sections devoted to
Argante, scourge of the Christians, and in the Conquistata clearly meant to be
a double for Hector from Homer’s Iliad. To strengthen this parallel with the
Homeric poem, Tasso had to give Argante a wife to protest his going out into
battle as Andromache did with Hector, and a mother—and a Helen—who will mourn
him when he dies.31 In the Liberata, this “intrepido guerriero” was killed by
Tancredi after a bloody duel outside Jerusalem’s walls. The wandering Erminia,
in love with Tancredi, literally stumbles over the bodies when she is escorting
the spy Vafrino back to the Christians’ camp, and restores Tancredi to health
with pious prayers and herbal medicines. Argante is summarily ignored by the
pair until Tancredi insists that they carry his bloody corpse with them to
Jerusalem: “non si frodi / o de la sepoltura o de le lodi” (do not deprive him
of burial or of praise; 19: 116). But we hear no eulogies, nor do we witness
Argante’s burial, and he is as arguably isolated in death as in life. The
Argante of the Conquistata receives a very different fate after he dies at
Tancredi’s hands. His body is given to the women of Jerusalem, who eulogize him
at the close of Canto 23 as husband, father, and son, as well as fierce
protector of his city. This last role is given explicitly to him by Erminia,
rechristened Nicea in the Conquistata, who laments her inabilities to save him
in the plaintive cry “O arti mie fallaci, o falsa spene! / A cui piú l’erbe
omai raccoglio e porto / da l’ime valli e da l’inculte arene? / Non ti spero
veder mai piú resorto, / per mia pietosa cura” (“O my fallacious arts, o my
false hope! What use now the herbs that I gather and carry from the dark
valleys and the hidden sands? I no longer hope to see you risen, saved by my
compassionate healing”; 23:126). The woman who in the Liberata had collected
medicinal herbs for her beloved Tancredi, and who is addressed by him as
“medica mia pietosa” after she saves him from death, here reproaches herself
for having failed to rescue Tancredi’s enemy Argante. Ifshe saved Tancredi and
Goffredo—and the Christian cause—in the Liberata, here she can confess only her
failed arts, and in the context of prophetically imagining a future of grief
and destruction in the wake of Argante’s death: “Sola io non sono al mio dolor;
ma sola / veggio, dopo la prima, altre ruine, / altri incendi, altre morti: e
grave e stanca, / quest’alma al nuovo duol languisce e manca” (“I’m not alone
in my grief, but I alone can see after this first destruction, more ruin, more
fiery blazes, more deaths; and tired and heavy, this soul will languish and
expire, sickened by new sorrows”; 127).32 These three weeping women—mother,
wife, and friend whose arts cannot save a dead man—integrate Argante not only
into the life of the city and the family, but into the future, as the women who
survive him imagine their fates as vividly as the female survivors of Hector in
the Iliad imagine theirs. Or as Argante’s wife, Lugeria, laments, “Ne la tenera
etate è il figlio ancora, / che generammo al lagrimoso duolo, / tu ed io
infelici . . . / non vedrá gli anni in cui virtù s’onora, / Né la
fama tua” (“Our son whom you and I—unhappy— conceived only for tearful sorrow
is still in his tender years . . . he will see the years in which
virtue is bestowed on him, nor will he know your fame” (23:119). For herself,
she can envision only “foreign shores” (“lidi estrani”) and service in the
entourage of some proud, Christian lord. The lines closely follow those of
Andromache in the Iliad, much as the lament of Argante’s mother (“Difendesti la
patria, e palme e fregi / n’avesti, or n’hai trafitto il viso e ’l petto”; “You
defended our country, and had honors and laurels; now your face and breast are
pierced [by a lance]”) repeats that of Hecuba in Iliad 24. Thus just as in the
Iliad, as Sheila Murnaghan has written, female lament has the function of tying
the hero back into his community, while making it clear that the hero’s kleos
or fame is achieved at women’s expense.33 Such a constitution of a larger, more
sorrowful, poem can be allied in turn with Tasso’s new relationship to epic.
Even for a poet as relentlessly psychoanalyzed as Tasso, the creation in the
Conquistata of the familial contexts that Tasso may have longed for after the
death of his mother, never knew, may come as a surprise.34 Tasso’s redefinition
of the epic poet in his unfinished Giudizio del poema riformato, the last of
his critical works, may instead have been in response to those readers of the
pirated Liberata who complained about the inauthenticity of some of the
characters’ emotions that drove the poem. In particular, he argues forcefully
in the Giudizio for the new sentiment he seeks to generate throughout the
Conquistata: pity, or “la commiserazione e de la purgazione de gli affetti”
(“commiseration and purgation of its effects”; 165). With respect to Argante,
whom he explicitly declares to have now fashioned as “most similar to Hector”
(“similissimo ad Ettore”), he comments, where Argante earlier was not wretched,
now he’s completely so, because he’s been changed from a foreign and mercenary
soldier into the son of a king and a Christian queen, and has become the
natural prince of the city: defending his father, loving his wife, and constant
in his defense and in hisfaith; and so that pity that is denied him by
[Christian] law can be granted out of natural and human sentiment. dove la
persona d’Argante prima [nella Liberata] non era miserabile, ora è divenuta
miserabilissima, perché di soldato straniero e mercenario è divenuto figliuolo
di re e di regina cristiana e principe natural di quella città, difensor del
padre, amator de la moglie e costante ne la difesa e ne la fede; e però quella
pietà che si niega a la legge si può concedere a la natura ed a l’umanità.
(164) Arguing against the likes of Dion Crisostomos who complained about the
scenes of mourning in Homer (“Defunctum vero memoria honorate non lachrymis”
[“the memory of the dead are not honored by tears”]), Tasso strives for a
poetics “that is more humane and more appropriate to civil life” (“piú umana e
piú accommodata a la vita civile”), resisting not only Dion but Plato and the
Pythagoreans as “too rigid and severe” (“troppo rigida e severa”). Taking sides
with that “most excellent Aristotle,” Tasso argues for a poetry that will
motivate the sentiment of compassion “even for the enemy” (“ancora da’ nemici”;
178), and hence for the creation of a human community in which one takes stock
not so much of differing religious beliefs, but of the parallels that make all
humankind members of a single family. Thus, for example, the king Solimano is
to be considered not as the emperor of the Turks, but as a valorous prince and
father of a valorous and compassionate son. . . . If they were
deprived of the theological virtues, they did not lack natural virtue, nor
those bred by custom. non come imperator de’ Turchi, ma come principe valoroso
e padre di valoroso e di pietoso figliuolo . . . quantunque fosser
privi de le virtú teologiche, non erano senza le virtú naturali e quelle di
costume. (177) As a result, as Alain Goddard has observed, Solimano and Argante
both now fail to embody “a code of values opposed to that of strict Catholic
orthodoxy” (“un code de valeurs opposé à celui de la stricte orthodoxie
catholique”)35 —a failure that unleashes “a tide of ambivalence” despite the
ideological claims made throughout for Catholicism’s supremacy. And the figures
who help to generate such ambivalence and, in particular, compassion for those
with “natural virtues” are largely Tasso’s women, as the Conquistata shapes not
only a new definition of masculinity but a new role for its women.36 Tasso’s
early readers may have challenged the authenticity of Armida’s conversion, the
“saintliness” of Sofronia, the status of the missing “immagine,” and the
rationale for Erminia’s midnight foray into the Christian camp, and her
supposed self lessness when ministering to a wounded Tancredi.37 The
Conquistata seems dedicated rather to making female behavior transparent and
unquestionably sincere, a sincerity that Erminia/Nicea’s rebuke of her
“artifallaci” confirms. The ubiquitous female mourner, for whom Mary is
paradigmatic, embodies the essence of non -theatricality, conveying a spiritual
intensity which Tasso himself longed to experience as clear from his late
canzone to the Virgin, “Stava appresso la Croce,” in which he asks Mary to
become the guarantor of his own prayerful sincerity: “Fa ch’io del tuo dolor /
senta nel cor la forza” (“Grant that I may sense in my own heart the power of
your grief ”), and later in the poem, “Fa ch’l duol sia verace / e ’l mio
pianto sia vero” (“Enable my grief to be authentic, my lament sincere”).38
If—with the exception of Clorinda—there was no place for this expression of
commiseration in the Liberata, fixated as it was on the triumphant attaining of
the city, the Conquistata ensures with its weeping mothers and, on occasion,
fathers and friends, that we see Jerusalem’s conquest as mixed a blessing as
was the defeat of Troy. If the body recognized in the Liberata’s “Allegoria” is
an exclusively militaristic one, the corpus of the Conquistata is familial, in
which men are humanized, perhaps feminized, through their claims to having
mothers, wives, or children. In the meantime, Erminia’s pious arts of healing,
Sofronia’s daring sacrifice, and the immagine itself—aspects of feminine
“artistry” not easily assimilable to this model—are gone. * ** One final
glance at Luca Giordano’s painting may help to clarify the trajectory I have
attempted to chart throughout this essay. The interesting detail of Mary’s
image, lifted high above the scene of impending death, can be said to resolve
for Genova’s Counter-Reformation audience the identity of the “thief ” which
Tasso had left in abeyance. Clearly the “mano” that perpetrated the theft was
that of the queen of Heaven herself, who forcibly intervenes when her image is
placed in a mosque, and who exhibits her power by rescuing not only her
“immagine” but the brave Sofronia. Giordano restores Mary’s protective
immagine, letting us “see” it for the first time as he rescues Mary herself
from oblivion in a work that makes the exaltation of Christianity derive from
her comforting presence. To this extent, the painting confirms the overtly
Catholic structure on which the Conquistata insisted. But it does so by
countering the very notion, emphasized by Mary herself in the Conquistata’s new
second canto, that she is “not enough now to save their lives” (“io non basto a
salvarli omai la vita”). Perhaps the key word in the passage is “omai”: now, as
opposed to some earlier time when Mary presumably was sufficient. Reading
backward from Mary’s phrase in Canto 2 of the Conquistata, one emerges with a
nostalgic vision of female sanctity which the Liberata never intended to
confirm; but a vision which for Tasso may have resided in a not-so-distant past
before Trent, found in a work such as the Divina commedia, in which the Virgin
has power to do more than weep. Her compassion can be said to have generated an
entire poem, and it is thanks to her example that Beatrice is able to say to
Virgil in Inferno 2, “amor mi mosse” (“love moved me and made me speak”).
Giordano’s late seventeenthcentury painting willfully misreads the Liberata, as
it envisions a world in which Mary can glowingly transmit her power to the two
central women of Canto 2in the form of light radiating from her painting. The
work of art thus comes to possess a divine, unambiguously protective status
such as a renegade Christian, the wizard Ismeno, would confer on it—even if
Tasso himself would not. 39 This was a world that never did exist in the
Liberata. But that may finally be beside the point. Yet as Tasso tried to
create a poem “senza arti fallacy,” newly directed toward the compassionate
involvement of all its personaggi, Muslims and Christians alike, in the family
of the “vita civile,” Mary and the women like her enable a different kind of
salvation, albeit of a less dramatic kind. If threats of “parlar disgiunto” and
episodic discontinuity hang over the Liberata; if the three women of Canto 2
both embodied and actualized these threats, once we arrive at the inclusive
poem that is the Conquistata, the lonely isolation of heroic difference is no
longer a danger. And as a result, there are no more female heroes.40Notes 1
Tasso, Lettere, ed. Guasti, 5: 72; the letter is from July 1591, when he had
almost completed the Conquistata. 2 For a summary of how female characters
change in the Conquistata, see Goddard, “Du ‘capitano’ au ‘cavalier sovrano,’”
236–38. Also of interest is Picco, “Or s’indora ed or verdeggia.” 3 See
Gigante’s introduction to Tasso’s Giudicio sovra la Gerusalemme riformata,
xlviii, as well as his discussion of the Giudicio and Conquistata in Tasso,
chapter 13. 4 That the female figures of the Liberata are intriguing mirrors
for Tasso himself is not a new argument; particularly in the wake of a feminist
criticism that has focused on Armida and Clorinda. In some cases, such as
Stephens’ article on Erminia (“Trickster, Textor, Architect, Thief ” or
Miguel’s “Tasso’s Erminia,” 62–75, a female character’s narrative and artistic
capabilities are put forth as convincing evidence for self-portraits of the
author/artist. 5 For two recent studies devoted to the episode of Sofronia,
Giamperi, Il battesimo di Clorinda and Yavneh, “Dal rogo alle nozze,” 270–94;
also see the few pages dedicated to Sofronia in Hampton’s Writing from History,
116–18. 6 Some early readers of the Liberata considered the episode “poco
connesso e troppo presto,” a point with which Tasso concurred; e.g., the letter
to Scipione Gonzaga from April 3, 1576; Lettere di Torquato Tasso, vol. I,
letter #61; 153. Molinari’s edition of the Lettere poetiche of Tasso contains
this letter with ample critical text; 374. The debate over the episode went on
for a period of many months in 1575 and 1576; see the excellent account of
Güntert, L’epos dell’ideologia regnante, 81–85. 7 The syntactic “difetto” or
defect that Tasso claims he learned from reading too much Virgil is that of
“parlar disgiunto”: “cioè, quello che si lega più tosto per l’unione e
dependenza de’ sensi, che per copula o altra congiunzione di parole
. . . pur ha molte volte sembianza di virtù, ed è talora virtù
apportatrice di grandezza: ma l’errore consiste ne la frequenza. Questo difetto
ho io appreso de la continua lezion di Virgilio . . .” (Lettere, vol.
I, 115). Fortini calls attention to the symptomatic crisis of “parlar disgiunto”
in relationship to Canto 2 in Dialoghi col Tasso, 81, describing it as “la
frattura degli elementi del discorso per ottenere maggior rilievo, maggiore
drammatizzazione e magnificenza.” 8 Tasso’s references to Homer in his Giudicio
are extensive, as are his spirited defenses of Homer against those who would
call him a liar; he often invokes Aristotle’s praise of the poet. 9 On Tasso’s
impact on and interest in the visual arts more generally, see Waterhouse,
“Tasso and the Visual Arts,” 146–61 and, more recently, Unglaub’s Poussin and
the Poetics of Painting and Traherne’s “Pictorial Space and Sacred Time,”
5–25.Jane Tylus10 The image is item 176 in the catalogue Luca Giordano, ed.
Ferrari and Scavizzi. 11 See Utili’s entry on Giordano’s Olindo e Sofronia in
Torquato Tasso, 313. 12 From the letter to Scipione Gonzaga of April 3, 1576;
in Lettere di Torquato Tasso, 153; Lettere poetiche, 374. This came less than a
month after Tasso had informed Luca Scalabrino on March 12, that he was going
to add “eight or ten stanzas” to the end of the Sofronia episode, in the hope
of making it seem “more connected” (“che ‘l farà parer più connesso”); ibid.,
339. 13 I use the edition of Fredi Chiappelli; II: 6. 14 Translations of the
Liberata are from Jerusalem Delivered, trans. Esolen; occasionally modified. 15
Lettere, I, 164; also in Letter poetiche, 406; italics mine. 16 Yavneh, “Dal
rogo alle nozze,” 272–73. 17 Giampieri, Il battesimo di Clorinda, 27, has noted
in the “casto simulacro” of Mary a parallel with the famous Palladium of Troy:
Mary’s image takes the place of the Palladium, and this substitution is
extended further when Sofronia herself “porta quella salvezza che tutti si
aspettavano dall’efige della Madonna” once the Madonna is gone. 18 See Yavneh,
“Dal rogo alle nozze,” 150, as well as Warner, The Augustinian Epic, 86. 19
This line is echoed by Armida eighteen cantos later, when she proclaims herself
Rinaldo’s “ancilla,” and observes that his word is her law: “e le fia legge il
cenno” (20: 136). Intentionally or not, the line brings us full circle to the
missing image of Mary, but reducing the supposed potency of that image and the
women who mirror it to a gesture of submission to a “conquering” Gabriel. 20
Virgil, Eclogues, Georgiecs, Aeneid I–VI, 441. 21 The Judith echoes are
relevant as well, on which see Refini, “Giuditta, Armida e il velo,” esp.
87–88. But unlike Judith, who dominates the second half of the apocryphal book
of Judith, Sofronia and Clorinda disappear long before the ending. 22 “A lei,
che generosa è quanto onesta, / viene in pensier come salvar costoro. / Move
fortezza il gran pensier, l’arresta / poi la vergogna e ‘l verginal decoro; /
vince fortezza, anzi s’accorda e face / sé vergognosa e la vergogna audace” (2:
17). 23 Eugenio Donadoni remarked on Tasso’s “incapacità di ritrarre una
santa,” and while he doesn’t elaborate, he clearly has in mind the puzzling
presentation of Sofronia herself. Torquato Tasso, 324. 24 As Lawrence F. Rhu
nicely puts it, the “Allegoria,” first composed in 1576, probably functioned
“as a guarantor of acceptable intentions in the face of potential
censorship . . . rather than as a sure guide in the right
direction for a comprehensive interpretation of his poem”; The Genesis of
Tasso’s Narrative Theory, 56. At the same time, with regard to the conflict
between the “one and the many,” the poem, with its announced attention to bring
together Goffredo and his “compagni erranti,”and the Allegoria, focused on
demonstrating how the bodies of the (male) warriors are eventually incorporated
within the body of the army, seemingly speak with a single voice. 25 Lettere,
vol. 1, 84. Interestingly, Tasso will exempt Rinaldo from this rule. 26 On the
possibility that Tasso resists making his female warriors stronger than the
men, see Günsberg, The Epic Rhetoric of Tasso, 128: “female valour is described
essentially in terms of negative comparatives. This culminates in male
supremacy over a femininity that is already fragmented, and in an act
characterized by sexual overtones”—such as the deaths of Clorinda and Gildippe.
27 See Act III, scene 1, from Aminta, and Tirsi’s description of the Satiro’s
would-be rape of Silvia: She is tied with her own hair, to a tree, while “‘l
suo bel cinto, / che del sen virginal fu pria custode, / di quello stupro era
ministro, ed ambe / le mani al duro tronco le sstringea; / e la pianta medesma
avea prestati / legami contra lei . . .”; lines 1237–42; from Opere
di Torquato Tasso, Volume 5: Aminta e rime scelte. 28 For a more sustained
reading of the Aminta and Tasso’s protectiveness of his two main characters,
see my chapter in Writing and Vulnerability, 82–95. 29 In truth, a more nuanced
criticism of the Conquistata has emerged in recent years, including that of
Goddard and of Residori, L’idea del poema, as well as in the recent article of
Brazeau, “Who Wants to Live Forever?” Yet critics have been overly hasty to
dismiss the30 31 323334 35 3637 38 39 40265later poem as the project of Tasso’s
new Counter-Reformation orthodoxy. This may be the case, but surely only in
part; as the Giudicio and contemporary letters attest, Tasso was involved in a
continuing dialogue with ancient authors, and the Conquistata attests to his
desire to write a poem that creates more of a balance between opposing forces.
Gerusalemme conquistata, II: 11–12. Luigi Bonfigli’s edition, which comprises
part of his five-volume Opere di Torquato Tasso, regrettably has no notes;
there is still no fully annotated modern version of the poem. Shortly after
Argante’s death a trio of female mourners lament his loss in a passage taken
directly from Iliad 24; the fact that they appear in the Conquistata’s
twenty-third canto makes the connection structural as well as thematic. See
Stephens, “Trickster, Textor, Architect, Thief,” on Erminia, in which he talks
about Erminia’s imitation of Helen; while he finds in the Conquistata allusions
to Helen’s weaving (Canto 3), he does not consider the Homeric echoes in Canto
23. Also see my “Imagining Narrative in Tasso.” Murnaghan, “The Poetics of Loss
in Greek Epic,” 217: “As she gives voice to her role as the bearer of Hector’s
kleos, Andromache’s words fill in what Hector’s gloss over . . .
[she] insists that the creation of kleos begins with grief for the hero’s
friends and enemies alike. . . . Before it can be converted into
pleasant, care-dispelling song, a hero’s achievement is measured in the
suffering that it causes, in the grief that it inspires.” Ferguson’s Trials of
Desire and Enterline, The Tears of Narcissus explore psychoanalytic material.
Goddard, “Du ‘capitano’ au ‘cavalier sovrano,’” 240n. I want here to make note
of Konrad Eisenbichler’s suggestive work with respect to new versions of
masculinity articulated in early modern Europe, and especially to his generous
support of the volume that Gerry Milligan and I edited for his series at the
University of Toronto, The Poetics of Masculinity in Early Modern Italy and
Spain (Toronto: Centre for Renaissance and Reformation Studies, 2010). The
letters that take up these various episodes, surely to be read in the larger
context of Tasso’s oeuvre, include a majority of the letters in Molinari’s
Lettere poetiche, which date from March 1575 through July 1576. Opere di
Torquato Tasso, vol. V, 583. See Traherne, “Pictorial Space and Sacred Time,”
for a bracing discussion as to why Tasso refused to indulge in any ekphrasis of
sacred images in his work—as in his late poem, Lagrime. In the Conquistata,
Tasso adds eight stanzas (15: 41–8) representing a prophetic dream regarding
Clorinda’s future baptism as a Christian—a future less certain in the Liberata,
when a number of verbs suggest the possibility of an only apparent conversion
(“pare,” “sembra,” etc.).Bibliography Brazeau, Bryan. “Who Wants to Live
Forever? Overcoming Poetic Immortality in Torquato Tasso’s Gerusalemme
Conquistata.” Modern Language Notes 129 (2014): 42–61. Donadoni, Eugenio.
Torquato Tasso. Florence: La Nuova Italia, 1967. Enterline, Lynn. The Tears of
Narcissus: Melancholia and Masculinity in Early Modern Writing. Stanford, CA:
Stanford University Press, 1995. Ferguson, Margaret W. Trials of Desire:
Renaissance Defenses of Poetry. New Haven, CT: Yale University Press, 1983.
Ferrari, Oreste and Giuseppe Scavizzi, eds. Luca Giordano. Rome: Edizioni
Scientifiche Italiane, 1966. Fortini, Franco. Dialoghi col Tasso. Turin:
Bollati Boringhieri, 1999. Giamperi, Giampeiero. Il battesimo di Clorinda: Eros
e religiosità in Torquato Tasso. Fucecchio: Edizioni dell’Erba, 1995.Jane
TylusGigante, Claudio. Tasso. Rome: Salerno, 2007. Goddard, Alain. “Du ‘capitano’
au ‘cavalier sovrano’: Godefroi de Bouillon dans la Jérusalem conquise.” In
Réécritures 3: Commentaires, Parodies, Variations dans la littérature italienne
de la renaissance, 205–64. Paris: Université da la Sorbonne Nouvelle, 1987.
Günsberg, Maggie. The Epic Rhetoric of Tasso: Theory and Practice. Oxford:
European Humanities Research Centre, 1998. Güntert, Georges. L’epos
dell’ideologia regnante e il romanzo delle passioni. Pisa: Pacini, 1989.
Hampton, Timothy. Writing from History: The Rhetoric of Exemplarity in
Renaissance Language. Ithaca, NY: Cornell University Press, 1990. Miguel,
Marilyn. “Tasso’s Erminia: Telling an Alternate Story.” Italica 64 (1987):
62–75. Murnaghan, Sheila. “The Poetics of Loss in Greek Epic.” In Epic
Traditions and the Contemporary World. Edited by Margaret Beissinger, Jane
Tylus, and Susanne Wofford, 203–20. Berkeley, CA: University of California
Press, 1999. Picco, Giuliana. “Or s’indora ed or verdeggia”: Il ritratto
femminile dalla “Liberata” alla “Conquistata.” Florence, Le Lettere, 1996.
Refini, Eugenio. “Giuditta, Armida e il velo della seduzione.” Italian Studies
68 (March 2013): 78–98. Residori, Mario. L’idea del poema: studio sulla
Gerusalemme conquistata di Torquato Tasso. Pisa: Scuola Normale Superiore,
2004. Rhu, Lawrence F. The Genesis of Tasso’s Narrative Theory: English
Translations of the Early Poetics and a Comparative Study of Their
Significance. Detroit: Wayne State University Press, 1993. Stephens, Walter.
“Trickster, Textor, Architect, Thief.” In Renaissance Transactions: Ariosto and
Tasso. Edited by Valeria Finucci, 146–77. Durham, NC: Duke University Press,
1999. Tasso, Torquato. Gerusalemme conquistata. Edited by Luigi Bonfigli. Bari:
Laterza, 1934. ———. Gerusalemme liberata. Edited by Fredi Chiappelli. Milan:
Rusconi, 1982. ———. Giudicio sovra la Gerusalemme riformata. Edited by Claudio
Gigante. Rome: Salerno, 2000. ———. Jerusalem Delivered. Translated by Anthony
M. Esolen. Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 200. ———. Lettere.
Vol. 1 and 5. Edited by Cesare Guasti. Florence, 1852–55. ———. Lettere di
Torquato Tasso. Vol. 1. Edited by F. Le Monnier. 1854. ———. Lettere poetiche.
Edited by Carla Molinari. Parma: Guanda, 1995. ———. Opere di Torquato Tasso,
Volume 5: Aminta e rime scelte. Milan: Società Tipografica de’ Classici
Italiani, 1824. Traherne, Matthew. “Pictorial Space and Sacred Time: Tasso’s Le
Lagrime della beata Vergine and the Experience of Religious Art in the
Counter-Reformation.” Italian Studies 62 (2007): 5–25. Tylus, Jane. “Imagining
Narrative in Tasso: Revisiting Erminia,” Modern Language Notes 127 ( January
2012): 45–64. ———. Writing and Vulnerability in the Late Renaissance. Stanford,
CA: Stanford University Press, 1993. Unglaub, Jonathan. Poussin and the Poetics
of Painting: Pictorial Narrative and the Legacy of Tasso. Cambridge: Cambridge
University Press, 2006. Utili, Mariella. “Giordano’s Olindo e Sofronia.” In
Torquato Tasso: Letteratura, Musica, Teatro, Arti figurative. Edited by Andrea
Buzzoni, 313. Bologna: Alfa, 1990. Virgil. Eclogues, Georgiecs, Aeneid I–VI.
Translated by H. Rushton Fairclough. Harvard, MA: Cambridge University Press,
1974.Warner, Christopher. The Augustinian Epic: Petrarch to Milton. Ann Arbor,
MI: University of Michigan Press, 2005. Waterhouse, E.K. “Tasso and the Visual
Arts.” Italian Studies 3, nos. 3–4 (1947–48): 146–61. Yavneh, Naomi. “Dal rogo
alle nozze : Tasso’s Sofronia as Martyr Manqué.” In Renaissance Transactions:
Ariosto and Tasso. Edited by Valeria Finucci, 270–94. Durham, NC: Duke University
Press, 1999.BIBLIOGRAPHY OF KONRAD EISENBICHLER’S PUBLICATIONS ON SEX AND
GENDERBooks Monographs L’opera poetica di Virginia Martini Salvi (Siena, c.
1510 – Roma, post 1571). Siena: Accademia degli Intronati di Siena, 2012. The
Sword and the Pen: Women, Politics, and Poetry in Sixteenth-Century Siena.
Notre Dame, IN: University of Notre Dame Press, 2012.Books Translations Cecchi,
Giovan Maria. The Horned Owl ( L’Assiuolo). Translated with an introduction and
notes by Konrad Eisenbichler. Waterloo: Wilfrid Laurier University Press, 1981.
2nd ed. revised edition published in Renaissance Comedy: The Italian Masters.
Volume 2. Edited with introduction by Donald Beecher, 221–88. Toronto:
University of Toronto Press, 2009. Firenzuola, Agnolo. On the Beauty of Women.
Translated with introduction and notes by Konrad Eisenbichler and Jacqueline
Murray. Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 1992. Savonarola,
Girolamo. A Guide to Righteous Living and Other Works. Translated and
introduced byKonrad Eisenbichler. Toronto: Centre for Reformation and
Renaissance Studies, 2003.Books Conference proceedings and essay collections
Love and Death in the Renaissance. Edited by K.R. Bartlett, Konrad
Eisenbichler, and Janice Liedl. Ottawa: Dovehouse, 1991.Konrad Eisenbichler
Bibliography 269Desire and Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern West.
Edited by Jacqueline Murray and Konrad Eisenbichler. Toronto: University of
Toronto Press, 1996. The Premodern Teenager: Youth in Society, 1150–1650.
Edited by Konrad Eisenbichler. Toronto: Centre for Reformation and Renaissance
Studies, 2002. The Cultural World of Eleonora di Toledo, Duchess of Florence
and Siena. Edited and with an introduction by Konrad Eisenbichler. Aldershot:
Ashgate, 2004.Articles and essays “The Religious Poetry of Michelangelo: The
Mystical Sublimation.” Renaissance and Reformation/Renaissance et Réforme 23,
no. 1 (1987): 123–36. Reprinted in Michelangelo: Selected Scholarship in
English. Edited by William E. Wallace. Volume 5, 123–36. New York: Garland,
1995. “Agnolo Bronzino’s Portrait of Guidobaldo II della Rovere.” Renaissance
and Reformation/ Renaissance et Réforme 24, no. 1 (1988): 21–33. “Political
Posturing in Some ‘Triumphs of Love’ in Quattrocento Florence.” In Petrarch’s
‘Triumphs’: Allegory and Spectacle. Edited by Konrad Eisenbichler and A.A.
Iannucci, 369–81. Ottawa: Dovehouse Editions, 1990. “La carne e lo spirito:
L’amore proibito di Michelangelo.” In Annali della Facoltà di Lettere e
Filosofia (Università di Siena), Volume 11, 359–70. Firenze: Leo S. Olschki,
1990. Published contemporaneously in Antioco malato: Forbidden Loves from
Antiquity to Rossini, 359–70. Firenze: Olschki, 1990. “Il trattato di Girolamo
Savonarola sulla vita viduale.” In Studi savonaroliani: Verso il V centenario.
Edited by Gian Carlo Garfagnini, 267–72. Firenze: Edizioni del Galluzzo, 1996.
“Prima opera a stampa di Savonarola: I consigli per le vedove.” Città di vita
53, vol. 2–3 (1998): 161–68. Published contemporaneously in Savonarola
rivisitato (1498–1998). Edited by M.G. Rosito, 65–72. Firenze: Edizioni Città
di Vita, 1998. “Laudomia Forteguerri Loves Margaret of Austria.” In Same-Sex
Love and Desire Among Women in the Middle Ages. Edited by Francesca Canadé
Sautman and Pamela Sheingorn, 277–304. New York: Palgrave, 2001. “Savonarola e
il problema delle vedove nel suo contesto sociale.” In Una città e il suo
profeta: Firenze di fronte al Savonarola. Edited by Gian Carlo Garfagnini,
263–71. Firenze: SISMEL, 2001. “Poetesse senesi a metà Cinquecento: tra politica
e passione.” Studi rinascimentali: Rivista internazionale di letteratura
italiana 1 (2003): 95–102. Published contemporaneously in Rinascimento e
Rinascimenti: Storia, lingua, cultura e periodizzazioni, 95–102. Salerno:
Università di Salerno, 2004. “Un chant à l’honneur de la France: Women’s Voices
at the End of the Republic of Siena.” Renaissance and Reformation/Renaissance
et Réforme 27, vol. 2 (2003): 87–99. “At Marriage End: Girolamo Savonarola and
the Question of Widows in Late FifteenthCentury Florence.” In The Medieval
Marriage Scene: Prudence, Passion, Policy. Edited by Sherry Roush and Cristelle
Baskins, 23–35. Tempe, AZ: Arizona Center for Medieval and Renaissance Studies,
2005. “Codpiece” and “One-sex theory.” In the Encyclopedia of Sex and Gender.
Edited by Fedwa Malti-Douglas, Jamsheed Choksy, Judith Roof, and Francesca
Sautman, 1: 308 and 3: 1087. Detroit: Thomson/Gale, 2007. “Adolescents” and
“Laudomia Forteguerri.” In The Greenwood Encyclopedia of Love, Courtship, and
Sexuality through History. Volume 3: The Early Modern Period, 1400–1600.Konrad
Eisenbichler BibliographyEdited by Victoria L. Mondelli and Cherrie A.
Gottsleben, 6–8 and 94–95. New York: Greenwood Press, 2007. “Erotic Elements in
the Religious Plays of Renaissance Florence.” In Worth and Repute in Late
Medieval and Early Modern Europe: Essays in Honour of Barbara Todd. Edited by
Kim Kippen and Lori Woods, 431–48. Toronto: Centre for Reformation and
Renaissance Studies, 2010. “La Tombaide del 1540 e le donne senesi.” In
Alessandro Piccolomini (Sienne 1508–1579). À la croisée des genres et des
savoirs. Actes du Colloque International (Paris 23–25 septembre 2010). Réunis
et présentés par Marie-Françoise Piéjus, Michel Plaisance, Matteo Residori,
101–11. Paris: Université de la Sorbonne Nouvelle-Paris III, 2012. “Fils de la
louve: Blaise de Monluc et les femmes de Sienne.” Renaissance and Reformation/
Renaissance et Réforme 37, vol. 2 (Spring 2014): 5–18. “Sex and Marriage in
Machiavelli’s Mandragola: A Close(t) Reading.” Renaissance and
Reformation/Renaissance et Réforme 40, vol. 1 (2017): 13–35.INDEXEntries in
italics refer to figures; entries in bold refer to tables. abandoned women 61
Abrabanel, Judah 215 Accademia degli Infiammati 217 Accademia degli Intronati
219–20 Actaeon 233–4, 240 Ad compascendum (papal bull) 61 adultery: as crime of
violence 36; cultural narrative of 75–8; in fiction 211, 214–15; legal
definitions of 9; locations of 83–4; prosecutions for 75, 78–91, 92nn24, 45;
and prostitution 61, 63 Aeneid 219, 224n60, 253, 259 aesthetics: and
masculinity 144–5, 147; and military prowess 149, 152, 156n29; and social
control 12, 154 agency: of courtiers 151; female 14, 54, 78, 211, 217 Agnoletto
the Corsican 39 Agnolo di Ipolito 40–1 Alain of Lille 189–90 Alberti, Francesca
77–8 Alberti, Leon Battista 232, 242n19 Albertoni, Ludovica 116 Alessandro de’
Medici, Duke 141–2 Alexander the Great 192, 193 Alexander VI, Pope 76 Altaseda
57, 69n37 Amadesi, Angela 70n71 Aminta (Tasso) 256, 264n27 anal penetration 10,
51n42, 129–30, 188, 204n25; see also sodomyAndreoli, Andreoli 45–6 androgyny
107, 185, 187–8, 195 Andromeda 230, 232–3, 240 Angela of Foligno 113 angels,
Carlini invoking 100, 104, 107–9, 114 animals, sex with 14, 43, 227, 231,
234–7, 241, 243–4n51 Antoniano, Silvio 250–1 Apuleius 232–3, 236–8, 240–1
Arenula 125–6 Aretino, Pietro: and Il Sodoma 192–3; and Piccolomini 217;
Ragionamenti 14, 164–5, 211–13, 215–18, 221–2 aristocratic behaviour 221–2
Aristotle 32n2, 161, 168, 243n51, 261, 263n8 Armida 247–8, 254, 256, 261,
264n19 “arti fallaci” 248, 263 autonomy 145, 149, 211, 251 Averani, Pietro 38
badgers 187 Baliera, Cecilia 70n72 Ballerina, Francesca 68n14 Bandello, Matteo
165, 200, 217 Bandello, Niccolò 163 Bargagli, Girolamo 219–20, 224n66 Barolsky,
Paul 199 bastards 76, 192 beastliness 32n2Bechdel Test 217–18, 224n50 beffa
31n1, 33n14 Belforte 37 Bell, Rudolph 11, 97, 99, 113 Bellini, Angelica 69n52
Belvedere di Saragozza 57, 70n71 Bembo, Pietro 215, 219 Benazzi, Pietro 62
Benedek, Thomas G. 12 Benedict, Saint 185, 186, 188, 189, 190 Benedictine order
70, 185 Bernardino da Siena, Saint 145, 162, 173n10, 188, 195 bernesque poetry
167–8, 171–2 Berni, Francesco 194 Bernini, Gianlorenzo 110, 111–12, 114, 116,
121n93 bestiality see animals, sex with Betta la Magra 11, 128–31 Bianco, Baccio
del 78 bigamy 80 Bignardina, Giulia 60 birds: eating 163–4, 172–3n2, 174n24;
symbolising the penis 231 bisexuality 100, 186, 192, 194, 203n5 blasphemy 35,
38, 63, 79 Blastenbrei, Peter 79 Bocca di lupo 57, 70n71 Boccaccio, Giovanni 8,
21–2 Bollette see Ufficio delle Bollette Bologna: Borgo degli Arienti 59, 62;
Borgo di San Martino 59–60, 62; Borgo di Santa Caterina di Saragozza 57, 59;
Borgo di Santa Caterina di Strada Maggiore 62; Borgo Nuovo di San Felice 56,
59–60; Borgo Riccio 57; Broccaindosso 57, 59; men’s relationships with
prostitutes in 61–2; regulation of prostitutes in 61, 63–5, 68n17; residencies
of prostitutes in 8–9, 53–60, 55, 56, 66–7; sausages of 168 Bolzoni, Lina 227–8
The Book of the Courtier (Castiglione) 1, 11; arms and letters in 142–4; dress
and aesthetics in 146–54; homosexuality in 192; on women’s behaviour 215–16,
219 Bossi, Francesco 70n66 Boswell, John 2–5, 198, 203 Botticelli, Sandro 104,
188 Bovio, Zefiriele Tommaso 162 Bràina di stra San Donato 57, 60 Braudel,
Fernand 161 Brizio, Elena 8 Bronzino (Agnolo di Cosimo) 194brothels 54, 57,
59–60, 125; see also prostitution Brown, Judith 4, 11, 97–8, 107, 120n55 Bruno,
Giordano 200 Buonacasa, Lucrezia 65 Burckhardt, Jackob 1, 7 burlesque
literature 166, 194–5 Cady, Joseph 200 Camaiani, Orazio 37 Campi, Cassandra di
60 Campo di Bovi 56, 60, 68n27, 70n71 canon law 75 Canossa, Ludovico da 142–3,
146–9, 154 Capatti, Alberto 161 Capella, Galeazzo Flavio 216 Cappelli,
Francesco 84–6, 91 Cappello, Bianca 76 Capramozza 57, 70n71 Captain of Justice
(Siena) 35–40 Caravaggio, Michelangelo Merisi da 109, 111–12, 114, 195 Caretta,
Madonna Ginevra 60, 68n32, 69n37 Carli, Enzo 199 Carlini, Benedetta: becoming
abbess 107; entry into religious life 101; imprisonment of 119n9; investigation
into 97–9; marriage to Christ 113, 115–17; modern controversy over 99–100;
sexual contact with Mea 100–1, 104, 114–15, 117–19; spirituality of 102–4, 109,
111–14 carne, multiple meanings of 12, 160–5, 170–2 Carnevale (neighbourhood)
127 Carnival 90, 102, 162, 165–7, 170, 175n52 Carracci, Agostino 55, 56, 58
Carracci, Ludovico 116 Castiglione, Baldassare 1, 11–13, 142, 145, 152,
156nn35, 38, 239 castration 10 Catherine de’ Ricci, Saint 104, 107, 117
Catherine of Alexandria, Saint 116 Catherine of Bologna, Saint 114 Catherine of
Genoa, Saint 102 Catherine of Siena, Saint 11, 102, 104–7, 106, 108, 112–13,
116, 118 Cavedagna, Domenica 60 Cazzaria (Vignali) 219–20 Cellini, Benvenuto
13, 188, 194 Chauncey, George 201 Chigi family 185, 192–4 Christ: Carlini
speaking as 100, 117; Carlini’s visitations from 98, 104, 111;forgiving the
adulteress 77–8; gender of 107; loving union with 106, 114–16, 115, 121n81, 197
Christianity: and eating meat 162–3; and masculinity 144–5; and sexuality 185
Circe 235, 237 Clarke, Paula 7 Clement VIII, Pope 247 Cleopatra 252, 255
clergy: sexual violence by 35, 44–9, 98; and sodomy 190, 194 Clorinda 248–9;
baptism of 265n40; body of 256; death of 247, 251–3, 264n26; and Sofronia 255
clothing: foreign 148–9; and masculinity 11–12, 141–2, 144–7; and military
defeat 152; and sexual deviance 188–90 Cockaigne, Land of 165 Cohen, Elizabeth
7, 9, 57, 62, 67, 71n84 Colieva, Lucia 60 Coller, Alexandra 219 Colloquies
(Erasmus) 101–2 “compagni erranti” 256–7, 264n24 concubines 80, 92n44 conjugal
debt 5, 77–8 Connors, Joseph 126 Conquistata see Gerusalemme conquistata
convents: power of 98; prostitution and 55, 63–4; sexuality within 4–5, 97, 99,
101–2 Corio, Bernardino 141 Cornaro, Alvise 174n23 Correggio, Antonio da 116
cose brutte 127 Cosimo I de’ Medici, Duke 8, 37, 46 cosmetics 144, 213, 216
Council of Trent 8–9; and adultery 79, 82; and failed saints 112; and images
250–1; nunneries after 101; and sodomy 195 Counter-Reformation 104, 112, 257,
265n29 court ladies 1, 6 courtesans: in fiction 211–12; idealized depiction of
1, 6–7; in Rome 79 courtiers: ideal 1, 6, 143–4, 146–7; sacrificing masculinity
150–2 Crawford, Katherine 6 Criminal Judge (Siena) 36 Cristellon, Cecilia 79
Crivelli, Bartolomea (Mea) 11, 97, 99–104, 109, 113–14, 117–18, 119n10
cross-breeding 14, 227, 233–4, 236, 240, 243n51 cuckoldry 77–8Currie, Elizabeth
141 Cycnus 205n55 Daedalus 234–6, 240 Dante Aligheri 2, 32n2, 34n32, 161, 163
d’Aragona, Tullia 215–16 d’Ascoli, Eurialo 193, 200 de Bertini, Ursina 68n14 de
Montaigne, Michel 65 Decameron: adultery in 78; Branca’s edition of 31n1;
culinary language in 163; and Dante 34n32; and della Porta 243n30; female
heroines in 33n21; Griselda and Gualtieri in 8, 21–31; and La Raffaella 215;
Walter of Brienne in 32n8 deceit, courtiers and 150 de’Grassi, Francesco 70n66
della Porta, Giovan Battista 14, 227; Art of Memory 228–31, 240–1, 241–2n2; and
myth 234–8; and natural magic 239–40, 242n11; and nudity 231–2; and Titian
233–4 d’Este, Ercole 112, 120n40 the Devil, and sexual violence 39–40 di Loli
family of prostitutes 59 Dido 252, 255 dildos 13, 99–100, 102, 166 discourse,
and social norms 200–1 Dolce, Ludovico 170–1, 223n32, 229 Domenidio, inn of
129, 131 Domitilla, Maria 118 Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi) 188,
190 Donina, Pantaselia 62 dress see clothing Durazzo, Eugenio 248–9
ecclesiastical courts 9, 45, 61, 78–9 effeminacy: in clothing 12, 142–7, 150,
155n14, 156n43, 188, 205n41; and military defeat 151–4 Eisenbichler, Konrad
v–vi, 97, 265n36, 268–70 Elbl, Ivana 5 Elliott, Dyan 5 embodied experience
199–201 England, debts to Florence 32n6 Ensler, Eve 218 epistemological caution
199, 201 Erminia/Nicea 247–8, 255, 259–62, 263n4, 265n32 erotic forces, cosmic
239 erotica, learned 175n52 essentialism 2, 147, 198 Europa 235, 237Fabritio
128–9 faccia tosta 195 fallacious artistries 15, 248 Farnese, Giulia 76 the
Farnesina 192 female bodies 7, 218, 237, 247–8, 253, 256; see also genitals,
female Ferrante, Lucia 56 Ferrara 7, 112, 167, 216 Ferrari da Reggio, Giacoma
di 68n14 Ficino, Marsilio 167, 239 Finucci, Valeria 13 Fiorentina, Francesca 62
Fiorentina, Lena 60 Fiorentina, Lucia 69n37 Fiorentina, Vittoria 60 Fiorentini,
Camilla di 70n72 Firenzuola, Agnolo 167–9 Florence: annexation of Siena 8; bank
failures in 32n6; conquest of Siena 38, 44; ghetto of 57; homosexuality in 4,
187–8; laws on sexual violence 46, 49; nobility and tyranny in 23, 25–8, 30–1,
32n11; prostitution in 53, 64, 70n66; sausages of 169–71 forgetting, art of
229–30 fortezza 253–4, 256 Fortini, Pietro 164 Foucault, Michel 2–6, 13, 184–5,
203 Fra Bartolommeo 197 France: in Book of the Courtier 155n9; humiliation of
Italy 142–3, 145, 149, 152, 154, 156n38 Francesco I, Grand Duke 76 Franchi,
Giovanni Antonio de 126 Francis, Saint 109 Franco, Veronica 7 Frangipane,
Niccolò 166 Franzesi, Mattio 167, 171 Frassinago 57, 60, 65, 68n14 Freccero,
Carla 156n30, 203 Fregoso, Federico 148–50 Fregoso, Ottaviano 148, 150–4,
155n13, 156n44 Furlana, Caterina 62, 69n52 Gabriel, Angel 107–9 Galen 12, 163,
166, 175n41, 176n72 Galianti, Francesca di 61 Gallucci, Margaret 13 gambling
63, 79 Ganymede 14, 193, 205n38, 230, 233, 239–40 Garzoni, Tomazzo 65gender:
and art 14–15; Foucault and Boswell on 3 gender bias 235, 240 gender
nonconformity 146, 149 genitals: of animals 237; female 39, 100–1, 111, 113, 169,
175n54, 218, 224n52; male 107; mediaeval theories about 12 Gentileschi,
Artemisia 90 Gertrude of Helfta 111 Gerusalemme conquistata (Tasso) 14, 247;
female characters in 257–63; as orthodox 264–5n29; and Sophronia episode 250
Gerusalemme liberata (Tasso) 14, 247; female characters in 247–8, 253–6, 263n3;
Sofronia episode in 248–51, 263n6 Gesso, Giulia da 64–5 Ghirardo, Diane Yvonne
7 Giampieri, Giampero 251 Giannetti, Laura 12 Giannotti, Donato 164 Gigante,
Claudio 248 Gildippe 247, 255, 264n26 Giordano, Luca 248–50, 249, 262–3
Giovanni Maria 132–5 Giudi, Ludovica 64 Giustiniani, Benedetto 63 gluttony 12,
160–4, 168, 170–2, 173nn3–9, 212 Goddard, Alain 261 Goffen, Rona 5 Gonzaga,
Scipione 250, 263n6 gossip 55, 65, 87 Gozzadini, Ginevra 77 Grandi, Lucrezia di
68n14 Grazzini, Anton Francesco 163–4, 167, 169–71 Gregory the Great, Pope 160
Grosseto 46 group sex 11 Hadewijch 120n63 Halperin, David 184, 203 Harvey,
Elizabeth 217 hearts, gifting of 104 Hercules 230, 243n31 Homer 14, 259, 261,
263n8, 265n32 homoeroticism: between nuns 99, 102; in master-apprentice
relationship 188; in religious imagery 107–11, 120n30, 185, 188–90, 189, 195–7,
196; in in Renaissance Italian art 194–5, 205n38; in Sodoma’s secular work
192homosexuality: among clergy 190, 191; clothing denoting 188–90, 205n42; in
early modern Italy 187–8; Il Sodoma and 183–4, 193–5, 199; in Renaissance
scholarship 2–4, 13–14, 184–5, 198–9, 201; Saslow’s use of term 203n5; see also
lesbians; sodomy honour: and adultery 75–6, 81, 85; in Decameron 21, 24, 26–31,
33n19; male 7; and sexual violence 37–41 honour killings 80, 91n10 Il Sodoma
(Gianantonio Bazzi) 13–14; “Allegorical Man” 201–3, 202; biography of 183–4,
205n53; early religious works 185–90; historiography of 197–201; later
religious works of 195–7, 206n62; painting of Catherine of Siena 107, 108;
secular art of 191–5 Iliad 142–3, 260, 265n31 images: holy 250–3, 255, 261–2;
sexual 9, 14, 227–8, 231 imagination, phallic 235, 238, 241 imagines agentes
228, 231, 233–8, 240–1, 243nn30–1 imitatio Christi 113 immagine see images,
holy impotence 10 incest, laws on 81 incontinence of desire 161–2, 173n8 inns,
and prostitution 57, 59–60 Inquisition 3, 10, 99, 111, 130, 227, 249–51
instruments see dildos interdisciplinarity 5 intersectionality 15 inversions 235,
237–8, 240–1, 243n48 Io 233, 237–8, 241 Italian Renaissance: idealised image of
1; scholarship on sex and gender in 3–5 Jews: and prostitutes 54, 56–7; in Rome
126–9 Job 28–9, 34n27 Kodera, Sergius 14 La Raffaella (Piccolomini) 14, 213–14;
and Aretino’s Ragionamenti 211; depiction of women 214–15, 220–1; textual
sources 216–17 Labalme, Patricia 49 labyrinth 243n48 lactation, miracle of
105Landriani: Lucrezia 76; Marsilio 64 lavoratori 28 Leda and the swan 14, 231,
233–4, 238, 243n36 lenzuola 234 Leo X, Pope 191, 193–4, 205n41 Leonardo da
Vinci 188 lesbians, use of term for Renaissance women 3–5, 11, 99 levitation
118 Liberata see Gerusalemme liberata loci, in art of memory 228–32, 234–5,
238, 240, 242nn19, 23, 243n48 Lorenzo the bathhouse worker 132, 134–5 love: in
La Raffaella 214, 222; masculine 200; Neoplatonic discourse of 215, 219
Lucanica sausages 167 Lucretia, wife of Cynthio Perusco 132–5, 138n63 Lucretia
(Roman heroine) 191, 193 Lucretia the madam 132, 134–5 Lugeria 260 lust 114,
160–1, 164, 172, 173nn3–10, 201, 212 luxuria 161, 173n7 Machiavelli, Niccolò
78, 142–3, 155n10 magic: charges of 61; and love 77; natural 227, 233–4, 236,
239–41, 244n62 Magrino 126–30 male dress 142, 144–5, 148, 155–6n28; see also
clothing, and masculinity male solidarity 136 malmaritate 81, 99 Malpertuso 57
manly masquerade 147, 156n33 Mantuana, Chiara 60 Marcutio, Marino 89 Marema,
Caterina 65 Margaret of Cortona 113 Maria Maddalena de’ Pazzi, Saint 104,
112–13 marital debt see conjugal debt marriage: arranged 23–4, 33n19; mystical
115–16, 118; and passion 76 married women, sexual laws about 36, 61, 80, 88–9
Martelli, Agata 71n80 Martinengo, Maria Maddalena 113 marvels 227, 234, 236,
239 Mary Magdalene, Saint 77, 234 Mary mother of Christ: and Catherine of Siena
112; in Gerusalemme conquistata257–9; images of 249–54, 256, 262–3, 264nn17,
19; as mourner 262; and mystical marriage 107, 115, 116; Visitation of 102, 103
masculinity: arms and letters in 143–4; as conformity 148–9; and courtiers’
self-presentation 144–8, 150–2, 154; Renaissance 1, 11–13 masturbation 100, 102
maternal longings 239–41 Mattei, Giovanni Domenico di 86–8 Matthews-Grieco,
Sara 9 Matuccio, Giulio 128–9, 136n16 Mauro Criti 45–6 McCall, Timothy 141
McCarthy, Vanessa 8 Mea see Crivelli, Bartolomea meat: eating 160–3, 165, 167,
172; and sexuality 162–5, 169; see also carne; sausages memory, art of 14,
227–33, 235, 239–41, 242n7 Meo 131–5, 139n74 Messisbugo, Cristofaro da 167
Michelangelo 14, 185, 194–5, 205n55, 233–4 militarism 12, 142–3, 145, 154,
255–6, 262 Mills, Robert 200 Minotaur 234, 236 misogyny 5, 13, 77, 211–12, 220
mixti fori 80 monogamy, serial 79 monstrous offspring 234, 236–7, 241
Montalcino 43–4 Montanari, Massimo 161 Montauto, Federico Barbolani di 46, 48
Monte of the Riformatori 38 Monteoliveto Maggiore 183, 185, 186–7, 189, 192,
195 Moroni, Doralice 64 Moulton, Ian Frederick 10, 14 Murnaghan, Sheila 260
Muslim women 247, 255, 257–8, 263 mysticism: erotic 11, 100, 102, 104, 117,
197; physical signs of 112–13 myths, classical 14, 192, 205n55, 230–1, 233–5,
237–8, 240–1 naked bodies: physiognomy of 231–2; in Titian 234 Negri,
Elisabetta di 60 Neoplatonism 215, 219 Niccoli, Ottavia 49Nolli Plan 126
normative codes 8–9 Nosadella 57, 68n14 novelle 21, 77–8, 163–6, 171, 174nn26,
40, 200, 215, 217 nunneries see convents nuns: as brides of Christ 104, 107; in
fiction 212; lust of clergy for 114; and prostitutes 64; sexual activities of
4–5, 97–100, 216 Office of the Night 4 Olimpia 132, 134–5, 138n57 Ordeaschi,
Francesca 192, 194 Ordinances of Justice 25, 28, 33n18 Orsini, Orsino 76 Otto
di custodia 35 Ottonelli, Giovanni Domenico 251 Ovid (P. Ovidius Naso) 170,
232–3, 235, 237–8, 240 Paleotti, Gabriele 9, 54, 61, 67 Pallavicino, Gasparo
150, 153, 155n14 Palloni, Agostino 133–6, 139n78 Panicarolo, Pietropaolo 89
panopticon 231 Paolo, Giovanni 104, 105 Parabosco, Girolamo 160 Parigi, Gentile
di 70n71 Parker, Deborah 194 parlar disgiunto 248, 263n7 parodies 78, 217, 237
parties, prostitutes throwing 63 Partner, Nancy 5–6 Pasiphaë 231, 234–8, 240–1
Pasulini, Andrea di 61–2, 69n47 Pater, Walter 184, 201 patria potestas 75 Paul
III, Pope 76 Paul IV, Pope 130 pederasty 188, 193; pedagogical 10 Pellizani,
Vittoria 70n71 personae, in art of memory 228–32, 234, 242n16 Perusco, Cynthio
132, 134, 138n63 Pesenti, Antonia 102 Petrarch, Francesco 170; version of
Griselda story 21, 24, 29, 31, 33n19 Phaeton, Fall of 205n55 phallus, sexuality
centred around the 100–1, 171–2; see also genitals, male Philip II of Spain 37
physiognomy 227, 231, 233, 236, 239–40 Piazza Navona 127Piccolomini, Alessandro
211, 215–16, 224n60; Oration in Praise of Women 219–20; see also La Raffaella
Piccolomini, Marcantonio 219–20, 224n66 Piéjus, Marie-Françoise 216–17 Pietro,
Giovanni 68nn14, 27 piety, emotive register of 104 pity 49, 76, 255, 260–1 Pius
V, Pope 79 Pizzoli, Ludovico 69n49 Platina (Bartolommeo Sacchi) 161–2, 167,
173n15 “poco conesso” 248, 253, 256, 263n6 poetry, and homosexuality 184, 194
Ponce de Leon, Basilio 149 Pontano, Francesco 144–5 Poor Clares 64 Porcellio,
Niccolò 165, 200 pork: poetic praise of 170, 172; social attitudes to 161,
166–8, 174n21, 174–5nn40, 41, 176n72 pork sausage 166–8, 170–1 Porta Piera 56–7
Porta Procola 56–7 Porta Stiera 56–7 postmodernism 3, 184, 198–201, 203 power,
in gender relations 211–12 printing, transformative effects of 14 procuresses
54, 212, 216 prostitution: behaviour associated with 63–5; and courtesans 7;
and courtiers 148; in della Porta 231, 236–8, 243n36; evidence of 3;
ex-prostitutes 99; in fiction 211–13, 216, 221–2; and Ludovico Santa Croce
127–8; male 10; men’s interaction with female 60–3; residential patterns in
Bologna 8–9, 53–6, 55, 57; social and familial circles of 58–60, 65–7 Puff,
Helmut 188, 198 queer studies 184, 199, 201 queer visuality 192 Querzola,
Giovanna 68n14 Randolph, Adrian 190 rape see sexual violence Raphael (Raffaello
Sanzio da Urbino) 14, 200, 233 Raymond of Capua 106, 112 reception theory 190
Reed, Christopher 185, 198 re-focalization 240Renaissance Italy see Italian
Renaissance Renaissance scholarship, sexuality and gender in 1–6 Renaissance
sex 3, 13 Rice, Louise 78 the Ripetta 130 Rocke, Michael 4, 10, 187–8 Rojas,
Fernando 216 Roman antiquity, effeminacy in 144 Roman law 75–6 romance 9, 118,
256 Romantic Friendships 100 Rome: adultery trials in 9, 82–91; early modern
street plan 125–6; prostitution in 53, 59, 66–7, 79–80, 128; regulation of
illicit sex in 79–82; Renaissance demography of 79–80; sexual bohemianism in
192–3 Romoli, Domenico 162 Rosetti, Isabella 60 Rossi, Aloisi di 62, 69n49
Rossi, Caterina di 62, 69n52 Ruggiero, Guido 3–4, 8, 13, 187, 197, 199
Sacchetti, Niccolò 163 Sacchi Romana, Diana di 69n37 Sack of Rome (1527) 79,
145 saints, failed 99, 102, 111–12 same-sex eroticism see homoeroticism San
Colombano 60 Santa Caterina di Saragozza 63 Santa Croce, Ludovico 11, 126–36
Santa Croce family 126, 139n78 Sarteano 40–1 sausages 11–12, 161–3, 165–72,
175n42 Savi, Dorotea and Benedetta di 59 sbirri 60, 62, 65 Scapuccio, Antonio
127–9 Schutte, Anne Jacobson 99 Sebastian, Saint 195–7, 196, 206n62 Sedgwick,
Eve 184 self-expression 184, 194, 198, 203 self-fashioning 151 self-harm 113
semen 12–13 sensuality: in Renaissance Italy 9–10; and spirituality 98, 101–2,
111; women known for 252 Senzanome 57, 60, 64–5, 68nn14, 27, 70n71 Sercambi,
Giovanni 163–4, 166 sex crimes 4 sex ratio, in Rome 80 sexual fantasies 227–8,
234, 240sexual identity 4–5, 11, 13, 97, 119n7, 184, 198–9 sexual innuendos 10,
168–9, 194 sexual non-conformity 195, 201 sexual positions 13 sexual violence:
against women and young girls 37–8; against young boys 41–4; in art 191; in
classical myth 231; by clergy 35, 44–9, 98; laws on 4, 36–7, 49; in Renaissance
Italy 8 sexuality: female 217–18; Foucault on 2–3, 13; male 10, 172 (see also
phallus); and meat eating 162; Neoplatonic discourse on 215; newer approaches
to 3–6, 12; in poetry 194; see also homosexuality Sforza, Caterina 76 Sforza,
Galeazzo 141–2 Shakespeare, William 2, 232 shrines, prostitution around 64
sibille 90 Siena: administration of justice in 35–6; Il Sodoma in 185; sexual
violence in 8, 35–50; Vasari on 183 Simio, Antonio 62 Simon, Patricia 5 Simone,
Mario di 127–9, 131 Simons, Patricia 5, 11–13 sin, sexual 2, 42, 99, 102 single
women, vulnerability of 61 Sixtus V, Pope 61 slander, sexual 61, 63 social
constructionism 198, 201 social control 2, 12, 35, 143, 154 Socrates 200
sodomy: defences of 10; in early modern Italy 187–8, 198–200, 203; and meat
164–5, 169, 171–2, 174n21; preachers against 173n10; regulating 4; Roman laws
on 80–1; Sienese laws against 37, 42–4, 47–9; use of term 9; see also anal
penetration; homosexuality; Il Sodoma Sofronia: episode of 247–52; Giordano’s
paintings of 248, 249, 262; inscrutability of 253–6 Song of Songs 100, 107,
116–18 Speroni, Sperone 215 spirituality, sensual imagery of 97, 100, 104–12
Spisana, Anna and Lucia 59 Splenditello 98, 100, 104, 109, 114, 120n55, 121n98
Spoloni, Lucia and Francesca di 59 sponsa 107, 116–18 spousal violence, and
adultery 76, 82–3 sprezzatura 1, 146–7, 150–2, 156n42 Stanton, Domna 200
statues, living 230–3, 235, 240–1, 243n47 Statuta 80–1, 92n44 Stefani, Lena di
71n80 Stiera 56, 60 stigmata 97, 99, 107, 109, 111–14 Storey, Tessa 7, 66
strada dritta 126–8, 132 stufa 127–8, 133 subcultures 187–8, 197 Symonds, John
Addington 184 synecdoche 233–5, 238, 240–1 synopsis 239–41 Tagliarini, Lucia
68n14 Tarozzi, Pelegrina di 60 Tasso, Torquato 14–15; “Allegoria del Poema”
256, 262, 264n24; and female bodies 247–8; Giudizio del poema riformato 260–1;
and Sofronia episode 249–50; see also Gerusalemme conquistata; Gerusalemme
liberata Taylor, Andrew 6 Tedeschi, Radini 202 Teresa, Saint 109–11, 110
Terracina, Laura 216 Titian (Tiziano Vecelli) 5, 14, 92n15, 164, 166, 233–4,
240, 243n35 Torre Sanguigna 127–8 torture 41–2, 46, 49, 90 Toschi, Domenico 61
transgender 15 Traub, Valerie 203 Trevisana, Margareta and Francesca 59, 62–3
Tridentine rules see Council of Trent Tuscany, duchy of 37 Tylus, Jane 14
Ufficiali sopra la pace 35 Ufficio delle Bollette 53–62, 65–7, 69n49 Urban
VIII, Pope 112 Ursini, Hieronimo 82–4 Usinini, Terenzio 37–8 Utili, Mariella
249 The Vagina Monologues 218 vaginas see genitals, female Vallati, Cesare 131,
133–6 Vanna of Orvieto 109 Vanni, Francesco 106, 112 Varchi, Benedetto 141–2
Vasari, Giorgio 183–8, 192, 194–5, 199 Venetiana, Vienna 128 Venice:
prostitution in 53, 59; sex crimes in 4, 48, 79 Veronica Giuliani, Saint 99 Via
del Portico d’Ottavia 126 Via Santa Anna 125 Vicario 80, 84, 92n34 Vignaiuoli
169, 172, 175n52 Villani, Giovanni 145 Virgil 14, 219, 248, 251–3, 255, 262
Virgil 263n7 virtù: in Boccaccio 22–3, 32n6, 33n21; in Tasso 253 Virtuosi 168,
172, 175n52 visions, religious 5–6, 98, 111–14 visual culture 98, 102, 113
Vives, Juan-Luis 215, 217, 223n32 Walter of Brienne 23, 25, 32n8 whores see
prostitution witchcraft 10, 235–7; see also magic women: abuse of 131, 136;
depictions in Renaissance culture 14, 77, 171; honest and dishonest 53–4, 56–7,
59, 64–6, 81 (see also prostitution); in the Intronati 219–20; men writing
about 211–14, 217–22; men writing for 215–17; in myth 235; published and
unpublished texts by 223n37; see also female bodies women’s history 3–4 word
play 12 Yavneh, Naomi 250–1 Zanetti, Arsilia 61–2, 69n47 Zanrè, Domenico 194
Zapata, Giovan Battista 162 Zonta, Giuseppe 222 Giovanni Battista Modio. Modio.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Modio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745705644/in/datetaken/
Grice e
Moiso – la filosofia della mitologia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino).
Filosofo. Grice: “I like Moiso; I
would think my two favourite of his treatises is one on the ‘filosofia della
mitologia’ (think Beowulf!) --; the other is a consideration on Goethe on
‘nature and her forms’ – having built my career on the natural/non-natural
distinction, it cannot but fascinate me!”
Esperto di storia della filosofia e della scienza di fama internazionale,
ha insegnato nelle Torino, Macerata e Milano. Le sue ricerche hanno riguardato
la filosofia post-kantiana, con particolare attenzione al pensiero di Salomon
Maimon, l'idealismo tedesco, con ricerche su Kant, Fichte, Schelling e Hegel,
Goethe e l'età goethiana, Achim von Arnim, il concetto di esperienza ed esperimento
nel Romanticismo, la filosofia di Nietzsche nel suo rapporto con le scienze, il
pensiero di E. Mach. È stato membro della Schelling Kommission per l'edizione
critica di Schelling. Ha partecipato alla Enciclopedia Multimediale delle
Scienze Filosofiche di Rai Educational con due interventi sulla La filosofia
della natura tedesca e sulla "Scienza specialistica e visione della natura
nell’età goethiana". Presso l'Udine è stato istituito il Centro
Interdipartimentale di Ricerca sulla Morfologia. Fondamentali per la ricerca
filosofica e le oltre 100 pagine dedicate a “Pre-formazione ed epigenesis”, in
“Il vivente -- aspetti filosofici, biologici e medici,” – Grice: “Interesting
idea, ‘il vivente’ – we don’t have that thing in English, ‘a loose liver’ --. Verra,
Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana. Caratteristica degli suoi studi è
la connessione tra ricerca storico-filosofica e impianto teoretico, fatto
particolarmente evidente in suo saggio su Schelling. “La filosofia di
Maimon” (Milano, Mursia); “Natura e cultura” (Milano, Mursia); “Vita, natura
libertà” (Milano, Mursia); “Pre-formazione ed epigenesi nell'età goethiana, in “II
problema del vivente” Aspetti filosofici, biologici e medici, Verra, Roma,
Istituto della Enciclopedia Italiana); Nietzsche e le scienze” (Milano, Martino)--
Grice: cf. ‘gaia scienza’ – “Tra arte e scienza” (Milano, Marino);“La natura e
le sue forme,” C. Diekamp (Milano,
Mimesis); “La filosofia della mitologia,” M. Alfonso (Milano, Mimesis); “Il
nulla e l'assoluto” "Annuario Filosofico", “Teleo-logia dopo Kant” in:
Giudizio e interpretazione in Kant. Convegno sulla Critica del Giudizio
(Macerata, Genova, Idee in Schelling, in IDEA Colloquio, Roma, M. Fattori e M. Bianchi (Olschki,
Firenze); Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà
umana: e gli oggetti che vi sono connessi", Commentario A. Pieper e O.
Höffe (Milano, Guerini); Le Ricerche:
una svolta in Schelling?, in Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza
della libertà umana: e gli oggetti che vi sono connessi (Milano, Guerini); “Dio
come persona,” in Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza della
libertà umana: e gli oggetti che vi sono connessi", Commentario A. Pieper
e O. Höffe (Milano, Guerini); “I paradossi dell'infinito, in:
"Romanticismo e modernità", Torino, La scoperta dell’osso inter-mascellare
e la questione del tipo osteologico, in G. Giorello, A. Grieco, Goethe
scienziato” (Torino, Einaudi); “Schelling: il romano antico nella filosofia
dell'arte, in "Rivista di estetica", Torino, pensatore e narratore
dell'Europa, Milano, Gargnano del Garda, Milano: Cisalpino (Acme/Quaderni); E
ho visto le idee addirittura con gl’occhi, in: Goethe: la natura e le sue forme,
atti del Convegno Arte, scienza e natura in Goethe; Torino (Milano, Mimesis); C.
Diekamp,
Experientia/experimentum nel Romanticismo, in M. Veneziani, Experientia”
(Firenze: Olschki); “L'albero della malattia -- motivi della medicina in età
romantica, in Atti della sofferenza. Atti del seminario di studi. Udine, C.
Casale e G. Garelli, Itinerari, La
percezione del fenomeno originario e la sua descrizione, in: Arte, scienza e
natura in Goethe. Torino, R. Pettoello, In memoriam, "Acme", Alfonso,
Matteo, In guisa di introduzione. La filosofia della luce di Fichte, in "Rivista
di storia della filosofia,” M. Ivaldo, La fichtiana dottrina della scienza, In
memoria di Moiso. La filosofia della
natura, in "Annuario Filosofico", P. Ziche, "Un terzo più alto,
la loro sintesi comune". Teorie della mediazione, In memoria di Moiso. La filosofia della natura, in
"Annuario Filosofico", S. Poggi,
Dopo Schelling, dopo Goethe. lettore di Mach, La filosofia della natura, in
"Annuario Filosofico", F. Vercellone, Da Goethe a Nietzsche. Tra
morfologia ed ermeneutica, in In memoria di Moiso. La filosofia della natura,
in "Annuario Filosofico", Giordanetti, Interprete di Kant", in
Rivista di storia della filosofia, G. Frigo, Natura della forma e storicità
della sua comprensione, testimonianze di colleghi e allievi, Torino, La responsabilità dell'uomo per la natura nel
pensiero degli scienziati romantici in Testimonianze (Torino, Trauben); F.
Cuniberto, Corpo e mistero, in Testimonianze (Torino, Trauben, M. Alfonso, I
corsi: una lezione di ricerca, in Testimonianze (Torino, Trauben); P. Giordanetti,
Il kantismo di Nietzsche, Testimonianze” (Torino, Trauben); L. Guzzardi, Tra
filosofia della natura e morfologia dei saperi: un ruolo per l'enciclopedismo,
in Testimonianze” (Torino, Trauben); F. Viganò,
Morfologia e filosofia: la filosofia della natura come "tropica" del
reale, in Testimonianze (Torino, Trauben); A. Potestio, Lo Schelling di Heidegger (Torino,
Trauben); A. Mainardi, L'estetica
pittorica di Friedrich, Testimonianze, Torino, Trauben, A. Cazzaniga, La
filosofia dell'evoluzione, testimonianze Torino, Trauben, La natura osservata e
compresa: saggi in memoria, F. Viganò, Milano, Guerini, N. Moro, In ricordo , in "Rivista di
Storia della Filosofia", J. Jantzen,
In memoriam: In ricordo, Università degli Studi di Milano, Sala Crociera Alta, La rivoluzione di Lavoisier, in Enciclopedia delle
Scienze, Goethe e la natura, in Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, Goethe
poeta e scienziato, in Enciclopedia delle Scienze La ri-culturalizzazione della
scienza, in Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, Scheda biografica su Mimesis.
Grice: “Plato is clear about this: other than predicated of ‘shape’ (forma),
‘beautiful’ has no SENSE! Moiso learned that from Gothe –problem with Goethe is
that he was interested in the German mandibule!” Grice: “Pliny understood this
best: it’s one boring thing to see Apollo Belvedere, larger than life. The good
thing is to see or experience a ‘symtagm’, such as ‘I lottatori’ della Tribuna
– a statuary group of two males – one may say there is ONE form in the
Lottatori – Goethe would say that each body is a form – and so there are two
forms. -- Francesco Moiso. Moiso. Keywords:
la morfologia e la fisiologia del vivente --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Moiso” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702156307/in/photolist-2mLK4N4
Grice e
Mondin – il ritorno dell’angelo – la semantica filosofica – semantica pel
sistema G – interpretazione e validita -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Monte
di Malo). Filosofo. Grice:“Trust an
Aquino to provide a systematic philosophy! Mind, I’ve been called a systematic
philosopher, too!” Grice: “At
Oxford, we are very familiar with angels – but only Mondin takes angeologia
seriously! Trust an Italian! Ponte Sant’Angelo comes to mind!” Dottore di Filosofia e Religione a
Harvard. È stato decano della Facoltà di Filosofia presso la Pontificia
Università Urbaniana di Roma. Mondin membro della Congregazione dei
Missionari Saveriani. Nei suoi studi, le principali figure di riferimento sono
state Tommaso d'Aquino e Paul Tillich, da cui ha tratto l'ideale di un accordo
e di un mutuo sostegno tra filosofia e teologia. “Etica, Etica e
politica, Filosofia, Antropologia filosofica, Manuale di filosofia sistematica,
La Metafisica di Aquino e i suoi interpreti,” “Storia dell'antropologia
filosofica” Antropologia filosofica e filosofia della cultura e dell'educazione;
“Epistemologia e cosmologia; “Logica, semantica e gnoseologia; Ontologia e
metafisica Storia della metafisica, Storia della metafisica, Storia della
metafisica, “Ermeneutica, metafisica, analogia in Aquino; Storia della
filosofia medievale Dizionario enciclopedico di filosofia, teologia e morale Il
sistema filosofico di Aquino Corso di storia della filosofia, L'uomo: chi è?
Introduzione alla filosofia. Problemi, sistemi, filosofi La filosofia
dell'essere di Aquino Teologia, Piccolo trattato di mariologia “Il ritorno degl’angeli”
-- trattato di angelologia, Roma, Pro Sanctitate. Ospitato su archive.is.
Dizionario storico e teologico delle missioni Dizionario enciclopedico del
pensiero di Aquino, Essere cristiani
oggi. Guida al cristianesimo Il problema di Dio. Filosofia della religione e
teologia filosofica La cristologia di Aquino. Origine, dottrine principali,
attualità Storia della teologia Storia della teologia Storia della teologia
Storia della teologia, Gli abitanti del cielo Gesù Cristo salvatore dell'uomo
La chiesa sacramento d'amore La trinità mistero d'amore Dizionario dei teologi
Introduzione alla teologia Dio: chi è? Elementi di teologia filosofica Scienze
umane e teologia Cultura, marxismo e cristianesimo I teologi della liberazione,
“Il problema del linguaggio teologico dalle origini ad oggi” Filosofia e
cristianesimo I teologi della speranza I grandi teologi Professore I grandi teologi Professore I teologi della morte di Dio Dizionario
enciclopedico di filosofia, teologia e morale. Software Filosofia della cultura
e dei valori Le realtà ultime e la speranza cristiana Religione Nuovo
dizionario enciclopedico dei papi. Storia e insegnamenti Commento al Corpus
Paulinum (expositio et lectura super epistolas Pauli apostoli) La chiesa
primizia del regno. Trattato di ecclesiologia Mito e religioni. Introduzione
alla mitologia religiosa e alle nuove religioni L'uomo secondo il disegno di
Dio. Trattato di antropologia teologica Preesistenza, sopravvivenza,
reincarnazione Teologie della prassi L'eresia del nostro secolo Società Storia
dell'antropologia filosofica Antropologia filosofica. L'uomo: un progetto
impossibile? Philosophical anthropology Una nuova cultura per una nuova
società. In ricordo di Mondin. Un
tomista ed "oltre" del XX secolo: Battista Mondin di Pierino Montini,
Congresso tomista internazionale, Roma,
nel sito "E- Aquinas" Studium thomisticum. Grice: “Mondin
attempts a systematic semantics. Rather he has a section on ‘semantics’ --. The
expressions have to be used carefully. System itself, should be used alla
Gentzen, or as Myro does with System G in my gratitude. A semantics for System
G should include an interpretation and provisions for validity and truth!” – Grice:
“Most likely, as most Italian philosophers who haven’t read me do – he uses
‘system’ and ‘semantic’ in a rather pompouns way!” -- Battista Mondin.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mondin” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703623029/in/photolist-2mPpwbZ-2mLSzNn-2mLQA8J
Grice e Mondolfo – la filosofia romana – antica
filosofia italica -- la filosofia italiana – Luigi Speranza (Senigallia).
Filosofo. Grice: “Mondolfo is one of the few who have focused on ‘gli eleati’
as involving a locus – pretty much as I do when I talk of Oxonian dialectic.”
Grice: “Mondolfo’s study of the politics of Risorgimento is good; especially
since every Englishman seemed to endorse it!” -- essential Italian philosopher.
Like Grice, Mondolfo believed seriously in the longitudinal unity of philosophy
and made original research on the historiography of philosophy, especially
during the Eleatic, Agrigento, and later Roman periods. Figlio
di Vito Mondolfo e Gismonda Padovani, una famiglia benestante di commercianti.
Aderisce alle idee marxiste e socialiste. Studia a Firenze. Si laurea con
F. Tocco, discutendo una tesi su Condillac dal titolo: "Contributo alla
storia della teoria dell'associazione", un saggio da cui saranno poi
tratti alcuni dei suoi primi saggi di storia della filosofia. Frequenta un
gruppo socialista. Insegna a Potenza, Ferrara, Mantova, Padova, Torino, e Bologna.
Consigliere comunale nelle file del Partito Socialista. Collabora con la
rivista "Critica Sociale" fino a quando viene soppressa dal regime
fascista. Compone "Saggi per la storia della morale utilitaria"
di Hobbes ed Helvetius”; "Tra il diritto di natura e il comunismo", "Rousseau
nella formazione della coscienza moderna", "Il materialismo storico
in F. Engels" (Formiggimi, La Nuova Italia) "Sulle orme di Marx".
E tra i firmatari del manifesto degli
intellettuali anti-fascisti, redatto da Benedetto Croce. Si dedica alla
filosofia italica antica. Ciò nonostante, pur in questo periodo, grazie alla
politica di Gentile che volle coinvolgere filosofi di diverso orientamento
nell'impresa, collabora con l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Compone la
voce Socialismo. In seguito alle leggi razziali fasciste che vietavano agli
ebrei di ricoprire cariche pubbliche, Mondolfo scrisse il proprio curriculum di
benemerenze e vi inserì lo stesso Gentile come testimone il quale ha a propormi
per il Premio Reale di filosofia presso i lincei". Gentile autorizza
Mondolfo a citarlo tra i testimoni e tenta inutilmente di farlo ri-entrare tra
gli esclusi dalle leggi razziali. Costretto a lasciare l'Italia Gentile scrive
ad Alberini e lo aiuta a trovare lavoro in Argentina. Il suo archivio personale
è depositato in parte a Firenze presso la Fondazione di Studi Storici Filippo
Turati ed in parte presso Milano. Altre saggi: Sulle orme di Marx,” –
Grice: “Whitehead used to say that metaphysics has been but footnotes to Plato;
and Strawson used to say that to rob peter to pay paul you must show first that
pragmatics is but footnotes to Grice!” --
Grice: “But of course a footnote is not a footprint – only similar!” –
Grice: “While ‘footprint’ involves Roman pressum, ‘orma’ obviates that!”
-- Cappelli); “L'infinito nel pensiero
dei greci, Felice Le Monnier, La Nuova Italia); “Problemi e metodi di ricerca
nella storia della filosofia” (Zanichelli, La Nuova Italia, Firenze, Milano,
Bompiani, “Gli albori della filosofia in Grecia,” «La Nuova Italia», Editrice
Petite Plaisance, Pistoia,. La comprensione del soggetto umano nella cultura
antica, La Nuova Italia (Milano, Bompiani ). Alle origini della filosofia della
cultura, Il Mulino, “Il pensiero politico nel Risorgimento italiano,” Nuova
accademia, Cesare Beccaria, Nuova Accademia Editrice,. “Moralisti greci: la
coscienza morale da Omero a Epicuro,” Ricciardi, “Da Ardigò a Gramsci,” Nuova
Accademia, “Il concetto dell'uomo in Marx,” Città di Senigallia, “Momenti del
pensiero greco e cristiano,” Morano, “Umanismo di Marx. Studi filosofici,
Einaudi, “Il contributo di Spinoza alla concezione storicistica, Lacaita, Polis,
lavoro e tecnica, Feltrinelli, Educazione e socialismo, Lacaita, “Gli eleati,”
Bompiani,. Note Vedi Paolo Favilli, Dizionario Biografico degli Italiani,
riferimenti in. Fu una delle prime donne
italiane a conseguire la laurea (cfr. Le donne nell'Firenze). Sposò civilmente
a Firenze in Palazzo Vecchio Cesare Battisti. La sorella di Ernesta, Irene,
sposerà Giovanni Battista Trener, per anni collaboratore di Cesare. Amedeo Benedetti, L'Enciclopedia Italiana
Treccani e la sua biblioteca, "Biblioteche Oggi", Milano, Enciclopedia
Treccani, vedi alla voce futuro di Cesare Medail, Corriere della Sera, Archivio
storico. «SOCIALISMO» la voce nella
Enciclopedia Italiana, Volume XXXI, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Paolo
Simoncelli41. Paolo Simoncelli42.
Paolo Simoncelli43. Vedi Fabio Frosini, Il contributo italiano
alla storia del PensieroFilosofia, riferimenti in. Archivio, Inventari Stefano Vitali e Piero
Giordanetti. Ministero per i beni culturali e ambientali. Ufficio Centrale per
i beni archivistici. Archivio Rodolfo
Mondolfo. Inventari, Stefano Vitali e Piero Giordanetti, Roma, Ministero per i
beni culturali e ambientali. Ufficio Centrale per i beni archivistici, Paolo
Simoncelli "Non credo neanch'io alla razza" Gentile e i colleghi
ebrei, Le Lettere, Firenze, L. Vernetti,
R. Mondolfo e la filosofia della prassi, Morano, E. Bassi, Rodolfo Mondolfo nella vita e nel
pensiero socialista, Tamari); A. Santucci, Pensiero antico e pensiero moderno
in Mondolfo, Cappelli, Bologna); Bobbio, Umanesimo di Rodolfo Mondolfo, in
Maestri e compagni, Passigli Editore, Firenze 1984. M. Pasquini, Del Vecchio,
il kantismo giuridico e la sua incidenza nell'elaborazione di Rodolfo Mondolfo
(Alfagrafica, Città di Castello); C. Calabrò, Il socialismo mite: tra marxismo
e democrazia, Polistampa, Firenze); E. Amalfitano, Dalla parte dell'essere
umano. Il socialismo di Rodolfo Mondolfo, L'asino d'oro, Roma.
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. su siusa.archivi.beniculturali,
Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Opere Fabio Frosini, MONDOLFO, Rodolfo, in Il contributo italiano alla storia
del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Vita opere e
pensiero Diego Fusaro, sito "filosofico.net". Fondo Rodolfo Mondolfo
Università degli Studi di Milano. Biblioteca di Filosofia. Fondo Rodolfo
Mondolfo Fondazione di Studi Storici Filippo Turati. Italiani emigrati in Argentina – Antica
filosofia italica. La filosofia italica sin dai tempi antichi era cosi deita, e
quel che più monta, dai Greci stessi, e l'autorità non sospetta di un Platone e
di un Aristotele, che non la chiamarono con altro nome,ci sembra dar peso alle
ragioni di quanti la vogliono originaria, contro l'opposta opinione di chi tra
noi la dice por tata dalle colonie greche. Comunque sia, certo è che in questa
seconda supposizione,l'Italianonperdetuttoilsuomerito, perchè la scienza
quisorse più splendida mercè ilconcorso del genio e il sussidio delle
tradizioni italiane.-- Le scuole di cui essa può menar vanto sono due, la
pitagorica e l'eleatica. Il nome di questa scuola deriva da quello del suo
fonda tore,dicuisitieneincertacosìl'originecome iltempo della nascita;
l'origine, perchè è dubbio s'ei nascesse à Şamo della Ionia od a Samo della
Magna Grecia ; il tempo , perchè chi lo vuol nato nell'anno 584 av. C.,chi nel
608,e chi ancor prima, ai tempi di Numa,il quale, come ciè noto,mori nel 672,
dopo quarantatrè anni di regno. Tra i filosofi che vi apparten nero,chiamati
ancor essi pitagorici, con un Archita di Taranto (il più celebre di tutti), che
capitanò più volte gli eserciti, e non fu mai sconfitto, si ricordano un
Filolao, probabilmente di Crotone,unTimeodiLocri,edunOcellodiLucania.- Tacia mo
iminori o dimen notadottrina,come Liside,Clinia,Eurite, Zeleuco e Caronda; i
quali due ullimi, legislatori entrambi, di Locri l'uno, l'altro di Catania,
insigni rese l'efficacia che, per loro opera specialmente, ebbe allora la
filosofia negli ordini ci vili, quando, mutata la forma, i governi regi si
convertirono in popolari. Il Pitagoreismo ebbe vita dal bisogno di una scienza,
che, professata da uomini austeri e ornati di grandi virtû, e con giunta
all'operosità civile (in ciò la consorteria pitagorica, chè tale fu veramente,
distinguesi dalle indiane) servisse di criterio per una riforma riconosciuta
necessaria in mezzo al guasto ognor crescente della religione, dei costumi e
della libertà; lo che ci spiega le persecuzioni a cui andò soggetlo.
Scuola pitagorica. -12 Nuovo affatto è nella scienza il metodo recatovi dai
pita gorici. Questo metodo (e lo stesso dicasi del linguaggio ) è il
matematico; il quale consiste nell'applica re le idee di quantità
-13 alla natura interna ed esterna, ed al principio sommo della m e
desima; metodo che, tutto essendo nel mondo capace di numero e di misura, non
sarebbe forse tanto strano quanto a prima vista appare, se non fosse che i
pitagorici all'esperienza, che la verità ci rivela nell'ordine dei contingenti,
il più delle volte preferi rono il ragionamento a priori, error palese a chi
consideri che dal concetto, per esempio, di circolo, di triangolo, di pen
tagono, non si può argomentare che questi tipi si effettuino in natura, e chi
lo fa si espone al pericolo manifesto di costruire da sè un mondo fantastico,
un mondo che non esiste fuori della sua mente. Ma i pitagorici erano educati
allo studio delle m a tematiche; perciò non è meraviglia cheil metodo di queste
scien ze trasportassero nelle regioni della filosofia. Il gran problema
metafisico dei pitagorici riducesi adunque al seguente: trovare le leggi
mentali della quantità effettuate nella realtà, e con queste salire alla prima
cagione. Ed ecco perchè tutto è numero nel loro sistema : i principi delle cose
sono i numeri; un numero, una unità parziale è ogni cosa;un n u m e r o , u n a
u n i t à g e n e r a l e il l o r o c o m p l e s s o , c i o è l ' u n i v e
r s o o mondo , il quale comprendendo in sè tutti i numeri od unità parziali, à
in sè la pienezza d'ogni grado di entità, epperciò è decade; e la prima
cagione, il principio di tutti iprincipi delle cose, la causa che ad ogni altra
causa antecede, è numero essa pure, ma il numero per antonomasia, e quindi può
chiamarsi l ' v n i t à , l a d r a d e , l a t r i a d e , i l q u a d e r n a
r i o ( o s o l i d o ), i l s e t t e n a r i o e la decade. Ma lasciamo da
banda questo gergo simbolico,e vediamo che di sostanziale si peschi in fondo
alla dottrina pi tagorica, e come s'abbia a intendere la sua formola : Ogni
cosa è un numero. Che cosa è il numero per eccellenza , la Monade somma ,
infinita, il Dio dei pitagorici? E che sarà l'essere individuo ? Che
cosailmondooduniverso?Dioèl'entecheinsècontiene la propria essenza e quella di
tutti gli esseri, epperò tutti i contrari, cioè le cose più opposte e disparate
(inito ed infinito, dispari e pari, uno e più, positivo e negativo , quiete e
moto , loce e tenebre, bene e male ecc.), ed inoltre la moltiplicità loro
insieme concilia, risultandone una suprema unità, un'armonia
universale;Dio,insomma,è l'unità suprema di tutti icontrari.-- Le cose
particolari,gliesseriderivatidaleisonoimmaginisue, epperò consteranno anch'esse
di elementi contrari, a unità ed armonia ridotti; dunque ogni essere è un
numero ed armonia parziale.- Poni assieme tutti questi numeri, tutti gli esseri
finiti, e in modo che icontrarinon cozzino, ma formino un ---14
--- solo numero , una sola unità vastissima, immagine essa pure della Monade
Divina. Tale il mondo od universo dei pitagorici, il quale sarà l'assieme dei
contrari, non già nell'unità somma inesistenti, ma in atto e da Dio ridotti ad
armonia. Ora, in qual modo la generalità dei contrari, cioè la de c a d e , il
m o n d o i n e s i s t e v a n e l l ' u n i t à p e r e c c e l l e n z a , i
n D i o ? Q u i i pitagorici tacciono, di modo che nulla di positivo e certo
può rilevarsi dalla loro dottrina.Bensi e'ciapprendono come l'uni verso o mondo
si venisse formando per ispirazione od aspira zione.La Monade universale e
suprema, contenente in sè le unità particolari, da principio era una, continua,
indivisa, ma non indivisibile, e da ogni parte circondata da un vuoto im
menso;ilquale,aspiratodaessa,come l'aria entraneipolmoni,
siintrodussefraicontrari,ossiafralemonadi particolari,e cosi separandoli,
individuolli, e produsse la grande moltiplicità delle cose mondiali. La
formolaesprimentel'armoniauniversale (tuttoènumero) per la scuola pitagorica
può dirsi il principio di tutta la filo sofia, dappoichè essa l'applicò in
tutti tre gliordini,metafisico, logico e morale. Che cosa è l'anima umana , la
quale, diceva Filolao, giace nel corpo come in un sepolcro? !, risponde il
pitagorico, un numero, un'armonia, insieme conciliando essa due contrari, cioè
i sensi e la ragione, che sono ilnegativo ed il positivo, l'irragionevole ed il
ragionevole. E la verità, la co gnizione che cosa è mai ? Un numero,
un'armonia, come fuor dell'armonia è l'errore, essendo che per l'acquisto della
m e d e sima cooperano gli stessi contrari, quantunque la ragione si spinga più
oltre dei sensi, i quali non escono dalla sfera dei contingenti o fenomeni. E
che sarà, infine, la virtù ? Un numero , un'armonia, che risulia anch'essa
dall'accordo dell'irragionevole col ragionevole, essendo la virtù riposta nella
soggezione dei sensi all'impero della ragione,toltalaquale,all'armonia sotten
traladisarmonia,allavirtûilvizio.- Vadasèchelavirtù ci rimena alla Monade
suprema, all'ordine od armonia univer sale, che d'ogni essere è principio e
fine. Critica.-- Bene esaminando la dottrina dei pitagorici, si scuopre nella
medesima un error capitale, che à per sorgente l'abuso del metodo
trascendentale,come quello che licondusse a trasportare nell'ordine delle
realtà leastrazionidellamatema tica, e a concepir Dio quasi unità generica o
numero per ec cellenza, che è come dire quale un'essenza in cui si contengono
esiimmedesimano lecosetuttequante.Nè asalvarlidalpan teismo
implicitobastanolealteveritàframmischiatevi,eladichia -15
Senofanc,schernitoredeipoliteisti,iqualiammettono più dei, e degli
antropomorfisti, che li fingono a loro immagine e somiglianza, insegnò che Dio
è potentissimo, uno ed eterno;po tentissimo, perchè Egli è l'ente (entità,
forza, energia e potenza per la scuola italica sono termini sinonimi); uno,
perchè, tra più dèi uguali, nessuno è potentissimo per l'uguaglianza, e se
inferiori, nessuno è potentissimo per inforiorità; eterno, perchè l'ente non
può non essere, e il non ente non può divenire. Si fosse egli qui arrestato! ma
fra gli altributi divini ne annovera un quinto, dal quale poi con falsa logica
deduce una (1) Colonia ionica di Elea. (2) Elea ebbe un'altra scuola, fondatavi
da Leucippo e Demo crito, i quali spiegavano la formazione del mondo con
ammettere nel vacuo immenso una infinità di atomi eterni, il cui fortuito
accozzamento avrebbe dato origine a tutte cose (atomismo). Questa
scuola,chiamata fisica,non siconfonda coll'eleaticasemplicemente detta, e
denominata anche metafisica per distinzione. Uno razione di Filolao, Dio
essere imperatore e duce sommo, ed eterno, potentissimo, supremo e diverso
dalle altre cose; per chè d'uopo è che accetti le conseguenze chi non rinunzia
al l'erroneità dei principi. E l’erroneità del principio pitagorico sta appunto
nel far di Dio un tutto, un numero che comprende in sè ogni altro numero. « Il
sentimento religioso e morale, scri ve il dottissimo Bertini (Idea d'una
filosofia della vita) induce va i Pitagorici a collocare Dio molto al dissopra
del mondo;ma il fato della logica li forzava sovente ad immedesimarli in una
sola sostanza, e ricacciavali nel panteismo ». Scuola elearica. La scuola
eleatica ebbe tal nome da quello della città dove sorse, poco dopo la
pitagorica, per opera di Senofane, che, nato a Colofone della Ionia nell'anno
620 av. C., tardi migrò di là per l'invasione della patria,e venuto nellaMagna
Grecia,pre se stanza in Elea, e vi morì nella grave età di oltre a cent'an ni.-
SenofaneebbediscepoloParmenide,eParmenideZenone, buon patriota, che, condannato
a morte da un tiranno, corag giosamente sostenne ilsupplizio.Questi due,d'Elea
entrambi, con Melisso di Samo, il quale capitano gli Italioti (1) contro
Pericle, continuarono la dottrina del primo, e vi dettero forma più rigorosa,
se non incremento. D'altri nomi più famosi non la menzione la storia della
filosofia eleatica (2). -16 Una dottrina si ripugnante al senso
comune non poteva menarsi per buona; perciò si levarono a impugnarla e combat
terla gli empiristi, o fautori del metodo a posteriori, sostenendo
controgliEleati el'esistenzarealedisostanzefinite,elaloro contingenza e
varietà,elamutabilitàloro,attestatadall'evidenza dei fatti. Zenone, quel
valente Zenone che Aristotele riconobbe quale inventore della dialeitica
(scienza ed arte di ragionare e disputare ), come lo fu senza dubbio tra gli
Occidentali, a sua volta non lasciò senza difesa la filosofia della sua scuola
e del suo maestro,anzi incalzò gliavversari con molta lena e con buona copia
d'argomenti diretti a dimostrare, per una parte la fallacia dei sensi e
l'autonomia della ragione, per l'altra, e con sofismi ad homincm , che l'empirismo,
ilquale all'autorità della ragione oppone quella dei sensi, contiene in sè
contraddizioni ben più gravi di quelle che si dicevano implicite nella
metafisica eleatica. Ed allora, se la memoria non ci falla, sorse la prima
delle po lemiche che, per la loro importanza, ànno meritato una pagina nella
storia della scienza. ~ Famoso argomento di Zenone deito l'Achille.
strana conseguenza : l'ente è tutto od intiero, epperò nulla a lui può
aggiugnersi; donde segue che nulla può incominciare ad essere.Qui l'error di
illazione, il sofisma del conseguente è manifesto; quanto viene all'esistenza è
forse un che d'aggiunto all'infinitudine divina ? D'altronde, se nulla può
nascere o di venire, che pensare degli esseri contingenti e mutabili, cosi
detti perchè nei vari momenti del tempo sono e non sono, e mutano continuamente
? Senofane se la spicciò nettamente con negare a dirittura l'esistenza delle
sostanze finite, e sentenziò: « Tali cose non ànno altra vita fuorchè
l'apparenza, ed appartengono all'opinione. O che! sarà dunque menzognera sempre
la voce dei sensi ? E ci ingannerà di continuo l'intimo sentimento ? Che si,
rispondono in coro gli Eleati , quanto ci rilevano i sensi altro non è che
illusione; e la ragione è il mezzo unico per giungere al vero; e il vero è che
tutto è uno, e l'uno è tuito. Critica. Ma l’arte dei Zenoni, che con sofismi
strani pro pugnano la falsità del vero, e quel che è più, l'incertezza del
l'evidente, e, prova non dubbia di grande acume, perfin riesco no a dimostrare,
contro la possibilità del moto, che nella più rapida sua corsa il più celere
cavallo non raggiungerà mai una tartaruga,quantochè tardissima, la quale anche
di poco la pre ceda ("), tutta l'arte dialettica, ripeto, non sarà mai da
tanto che possa collocare sopra una base solida isistemi della scuola
Filosofia presso i Greci antichi. Principio, mezzo e fine;
infanzia,virilità e decrepitezza, o decadimento, ecco i tre stadi o periodi, le
tre età dell'antica fi losofia greca. Tra il principio e la fine corrono ben
sette secoli, all'incirca; ma noi li percorreremo in minor tempo, se non ci
manchi lena. da l'alete a Socrate. La prima età della filosofia greca antica
incomincia con Talete, e termina al comparire della filosofia socratica.
Talete, già è delio, nacque 600 anni av. C. e Socrate nel 170 ; qui dunque
abbiamo press'a poco un periodo di centotrenť anni, durante i quali sorsero due
scuole, la ionica e la sofistica; le quali, aggiunte alla pitagorica ed
all'eleatica, ci dànno in com plesso l'antica filosofia designata col nome di
italo-greca. Scuola ionica. Fondata in Mileto della Ionia, sua patria, da
Talete,primo tra i filosofi greci conosciuti, ma forse non tale veramente, que
sta scuola è, come vedremo, la men filosofica di tutte le pre cedenti. Nè la
ragione è difficile a comprendersi da chi sappia che la scienza ebbe allor
contrari i voluttuosi costumi e la ser vitù di quelle cit tà, soggette ai Lidi
ed ai Persiani, e che , a giudicarnedalsilenzioe
daipochicennidellastoria,coloroi quali la professavano erano ben lontani dalle
virtù che adorna vano i pitagorici; virtù che col venir meno a poco a poco,
pois cleatica; e sono tre: l'idealismo logico, perchè si nega l'au torità
dei sensi, per riconoscere soltanto quella della ragione; l'idealismo
metafisico, perchè si esclude la materialità, ilmolte plice ed ogni mutamento;
e, conseguenza di ciò, ilpanteismo, che ammette la sola esistenza dell'ente
immutabile ed eterno, e cosi rimuove ogni concetto di creazione. Il primo
nacque colla scuola pitagorica,mada Senofane fu recatoasistema;ilsecon do venne
accolto dagli Eleati per evitare le contraddizioni della medesima, che nell'uno
identificava le cose più opposte; il terzo sidirebbe comune alle due scuole,se
non fosse che nell'eleatica si lasciò da banda la parte corporea e mutabile, e
così si riusci a un panteismo parziale, al panteismo idealistico.Grice: You
have to love Mondolfo. As a Jew he was into Sartre’s existentialism, and the
rest of it – when Gentile inhibited Jews from teaching Italians, Mondolfo had
to stream his energy into the study of ‘antica filosofia italica’! for our
glory!” -- Rodolfo Mondolfo. Mondolfo.
Keywords: antica filosofia italica. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice, Mondolfo, e la filosofia greco-romana," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685325261/in/photolist-2mMVqb2-2mLQdrQ-2mLFBT9-2mLGjg5-2mPHbXQ-2mKfNvB-2mKgLKC
Grice e Monferrato – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Casale
Monferrato). Filosofo. Autore di opere di teologia e scienza e legato
pontificio. Entra nell'ordine francescano nella provincia genovese. Docente
presso lo studio francescano di Assisi. Compone il saggio. “Quaestio de
velocitate motus alterationis” (Venezia). In esso presenta un'analisi grafica
del movimento dei corpi uniformemente accelerati. La sua attività di
insegnamento in fisica matematica influenza gli studiosi che operarono a Padova
e Galilei che ri-propose idee simili. ‘Giovanni da Casale’, Treccani. Filosofia
Filosofo del XIV secoloTeologi italiani Casale Monferrato Storia della scienza.
Grice: “Casali dicusses the velocity of motion of alternation. He wisely
remarks that if one takes the example of the quality of hotness, onemay
conceive of a UNI-FORM hotness throughout – ‘just as a rectangular
parallelolgram is formed between two equidistant lines, such that any part you
wish is equally wide with another. ‘Let there be throughout a UNIFORMLY DIFFORM
hotness, such that it is a triangle!” -- Giovanni da Casale Monferrato. Monferrato.
Keywords: corpi inanimati, corpi animati, inerzia, un corpo animato non e un
missile guidato – Grice. La liberta dei corpi animati, uniform, uniformly
difform, difformly difform. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Monferrato” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744993161/in/datetaken/
Montanari
(Roma). Filosofo. Massino Montanari.
Grice e Montani – il debito del segno – implicatura
riflessiva -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Teramo). Flosofo. Allievo di Emilio Garroni, è
Professore di Estetica alla Sapienza Roma, è stato Directeur d'Études Associé
presso all'EHESS di Parigi e ha insegnato Estetica al Centro sperimentale di
cinematografia di Roma. La sua ricerca si concentra oggi principalmente sui
temi di filosofia della tecnica. Allievo di Emilio Garroni, per Montani
l'estetica non va considerata come filosofia dell'arte, ma come una teoria
della sensibilità umana, che ha la peculiarità di essere aperta agli stimoli
del mondo esterno. La riflessione di Montani si snoda in diversi passaggi e
attraverso il confronto con alcuni dei protagonisti della filosofia, della
linguistica, della semiotica e della teoria del cinema del Novecento, avendo
sempre come punto di riferimento la filosofia critica di Kant. Pensiero
Ermeneutica e filosofia critica. Pubblica Il debito del linguaggio, in cui,
partendo dal confronto con le teorie strutturaliste, in particolare quelle di
Jakobson e JMukarovsky, mostra come la questione del significato del testo
poetico non possa essere risolta mediante l'individuazione del codice
linguistico o semiotico di riferimento, ma rimandi ad una condizione estetica
della significazione. Questo tema viene ulteriormente approfondito in Estetica
ed ermeneutica. Prendendo le mosse dalla filosofia critica kantiana, propone di
ripensare la verità nel senso heideggeriano dell’ “a-letheia”, del
“dis-velamento” dell'essere come una situazione ermeneutica strettamente
legata all'effettiva esperienza del soggetto, seguendo la rilettura della
filosofia di Heidegger proposta da Gadamer.La formazione e il pensiero di
Montani sono stati segnati dal suo interesse per il cinema e in particolare per
Vertov e Ėjzenštejn. Di entrambi ha curato l'edizione degli scritti. Nel testo
“L'immaginazione narrative” (Guerini) coniuga l'interesse per il cinema con
quello più strettamente filosofico per il tema dell'immaginazione. Propone di
considerare l'immaginazione nei termini in cui, in Tempo e racconto, Ricœur
parla della narrazione, ovvero come di un processo di “rifigurazione”
dell'esperienza del tempo da parte dell'uomo. Per Ricoeur la narrazione ha il
potere di far fare al lettore esperienza di un tempo propriamente umano. Montani
fa propria la tesi di Ricoeur, applicandola però, all'ambito della narrazione
cinematografica. Montani ritiene che il territorio dell'immaginazione in cui
lavora il cinema sia quello dell'intreccio tra finzione e testimonianza, tra la
costruzione dell'intreccio narrativo e la documentazione del reale. La
trasformazione dell'esperienza del tempo avviene, così, ad un livello più
profondo e creativo. Tecnica ed estetica Con Bioestetica si inaugura la
fase più recente del pensiero di Montani, dedicata all'approfondimento del
rapporto tra tecnica e estetica. Attraverso il paradigma della bioestetica
Montani propone di leggere i fenomeni di biopotere che caratterizzano l'epoca
contemporanea a partire dalla loro natura innanzitutto tecnica ed estetica, cioè
a partire dal fatto che la sensibilità dell'essere umano viene sempre più
orientata ed organizzata tecnicamente. Il biopotere consiste proprio nella
capacità di canalizzare la sensibilità umana. In L'immaginazione intermediale
Montani prende in analisi i modi in cui il cinema risponde alle forme di
anestetizzazione. Prendendo le mosse dalla spettacolarizzazione della politica
emersa in seguito all'attentato delle Torri Gemelle, Montani introduce il
concetto di "autenticazione dell'immagine", che non consiste
nell'accertamento del referente fattuale dell'immagine (il vero, il reale) ma
nella rigenerazione di un orizzonte di senso condiviso, la capacità di
riferimento dell'esperienza e del linguaggio, in un'epoca caratterizzata da
crescenti fenomeni di “indifferenza referenziale” La riflessione sul rapporto
tra estetica e tecnica continua in “Tecnologie della sensibilità”, in cui viene
teorizzata l'esistenza di una terza funzione dell'immaginazione: accanto a
quella produttiva e riproduttiva vi è una funzione inter-attiva.
L'immaginazione inter-attiva diventa il paradigma attraverso cui leggere
l'epoca contemporanea, attraversata profondamente da fenomeni
dell'inter-attività digitale e dalla proliferazione di ambienti virtuali. Saggi:
“Il debito del linguaggio: l'auto-riflessività nel discorso,” – Grice: “There
is the ‘debito’ and there is the ‘credito’ or ‘price’ of semiosis, too!” --
Marsilio, Venezia; -- Grice: “Actually, Montani uses ‘aesthetic
self-reflection,’ using ‘aesthetic’ etymologically, as per what he calls
‘ermeneutica sensibile’ -- Fuori campo:
studi sul cinema e l'estetica, Quattroventi, Urbino; Estetica ed ermeneutica:
senso, contingenza, verità, Laterza, Roma);
L'immaginazione narrativa: il racconto del cinema oltre i confini dello
spazio letterario, Guerini, Milano); Arte e verità dall'antichità alla
filosofia contemporanea: un'introduzione all'estetica, Laterza, Roma); L'estetica
contemporanea: il destino delle arti nella tarda modernià, Carocci, Roma; Lo stato dell'arte:
l'esperienza estetica; M. Carboni eMontani, Laterza, Roma); Bioestetica: senso
comune, tecnica e arte” (Carocci, Roma; L'immaginazione intermediale:
perlustrare, ri-figurare, testimoniare il mondo visibile, Laterza, Roma); Tecnologie
della sensibilità. Estetica e immaginazione interattiva, Cortina, Milano. --
Note Montani, Il senso, Rai Scuola, su raiscuola.rai. I percorsi dell'immaginazione. Studi in onore
di Pietro Montani., Pellegrini,. Rinaldo
Censi, Cine-occhi e cine-pugni: due modi di intendere il cinema, su Nazione Indiana, L'immaginazione estatica. Estetica, tecnica e
biopolitica, su giornaledifilosofia.net. 2 lAlessandra Campo, Biopolitica come
an-estetizzazione. Il significato estetico della biopolitica, su
sintesidialettica. Montani, L'immaginazione intermediale, Laterza, Montani,
L'immaginazione intermediale, Laterza, Anna Li Vigni, Gli occhiali per
immaginare, Il Sole 24 Ore. La vita immersa nell’estetica del virtuale, su
ilmanifesto. Pietro Montani. Montani. Keywords: il debito del segno, Narciso e
la reflexione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Montani” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703228758/in/photolist-2mLQyAA-2mPYoE5
Grice e Montinari – sovrumano – torna a Surriento -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Lucca).
Filosofo. Grice: “If I were asked to identify the main difference between the
Italian philosopher and the Oxonian philosopher is that the Italian philosopher
takes Nietzsche seriously! But then he lived at Torino!” «Nelle istituzioni esistenti, sostenute da
immani forze di produzione e di distruzione, viene assimilata e mercificata
ogni e qualsiasi protesta, persino quella dei Lumpen, ogni tentativo di
lasciare la «nave dei folli». Se il metodo di Nietzsche può ancora aiutarci,
allora l'unica forza che ci è rimasta è quella della cultura, della
ragione.» Considerato uno dei massimi editori e interpreti di Nietzsche.
Ha definitivamente dimostrato che Nietzsche non ha mai scritto un'opera dal
titolo “La volontà di Potenza” e che le cinque diverse compilazioni che la
sorella del filosofo e altri editori dilettanti hanno pubblicato sotto questo
titolo sono testi del tutto inaffidabili per comprendere il pensiero di
Nietzsche. Si era formato alla Scuola Normale Superiore di Pisa e
all'Pisa, presso la quale si laureò con una tesi, “I movimenti ereticali a
Lucca.” Caduto il fascismo, divenne un attivista del Partito comunista, presso
il quale si occupava della traduzione di scritti dal tedesco. Mentre visitava
la Germani a Est per motivi di ricerca, fu testimone della rivolta del '53.
Successivamente, in seguito alla repressione della Rivoluzione ungherese del
1956, si allontanò dall'ortodossia marxista e dalla carriera nel partito.
Mantenne tuttavia la sua iscrizione al PCI, e rimase fedele agli ideali del
socialismo. Collaborò con le Edizioni Rinascita, e per un anno fu direttore
dell'omonima libreria in Roma. Dopo averne rivisto la raccolta di opere e
manoscritti in Weimar, Colli e Montinari decisero di iniziarne una nuova
edizione critica. Essa divenne lo standard per gli studiosi, e fu pubblicata in
da Adelphi. Per questo lavoro fu preziosa la sia abilità nel decifrare la
scrittura a mano (praticamente incomprensibile) di Nietzsche, fino a quel
momento trascritta solo da "Gast“ (Köselitz). Fonda la rivista
Nietzsche-di cui fu coeditore. Attraverso le sue traduzioni ed i suoi commenti
di Nietzsche, diede un contributo fondamentale alla ricerca storica e
filosofica, inserendo Nietzsche nel contesto del proprio tempo. Saggi: “Che
cosa ha detto Nietzsche” Roma, Ubaldini,
ripubblicato come “Che cosa ha detto
Nietzsche,” [Grice: “I convinced Montinari that ‘veramente’ is a trouser word
and should be avoided!” -- Giuliano Campioni, Milano, Adelphi. Su Nietzsche,
Roma, Riuniti, Teoria della Natura,
Torino, Boringhieri, Milano, SE, F
Nietzsche, Lettere a Rohde, Torino, Boringhieri, Nietzsche, Opere, (Milano,
Adelphi, Nietzsche, Il caso Wagner:
Crepuscolo degli idoli; L'anticristo; Scelta di frammenti, S. Giametta,
Ferruccio Masini, Giorgio Colli, Milano, Mondadori Editore, Ecce homo;
Ditirambi di Dioniso; Nietzsche contra Wagner; Poesie e scelta di frammenti
postumi, Milano, A. Mondadori, Nietzsche, Schopenhauer come educatore, Milano,
Adelphi, Epistolario di Nietzsche, María Ludovica Pampaloni Fama, Milano,
Adelphi, Nietzsche, Scritti, Milano,
Adelphi, Arthur Schopenhauer, La vista e i colori Carteggio con
Goethe,Abscondita, Nota introduttiva a
Genealogia della morale, Nietzsche e Van Gogh, due cardini del pensiero occidentale
moderno di Bettozzi (Liberal democaratici),
su liberal democratici.. «Tant qu'il ne
fut pas possible aux chercheurs les plus sérieux d'accéder à l'ensemble des
manuscrits de Nietzsche, on savait seulement de façon vague que La Volonté de
puissance n'existait pas comme telle (...) Nous souhaitons que le jour nouveau,
apporté par les inédits, soit celui du retour à Nietzsche.» (Gilles
Deleuze) Aveva infatti ottenuto una
borsa di studio della Scuola Normale Superiore a Francoforte sul Meno. Rinascita Che era stato il suo maestro.
Giuliano Campioni, Dizionario Biografico degli Italiani stituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani Giuliano Campioni, Giuliano Campioni,B
Giuliana Lanata, Esercizi di memoria, Bari, Levante Editori, (notizie su M. M.
nell'articolo su Colli anche a proposito dell'Enciclopedia di autori classici,
Editore Boringhieri, progettata e diretta da Colli e a cui M. M.collaborò).
Paolo D’Iorio, L'arte di leggere Nietzsche, Firenze, Ponte alle grazie,Giuliano
Campioni, Leggere Nietzsche. Alle origini dell'edizione critica
Colli-Montinari. Con lettere e testi inediti, Pisa, Mazzino Montinari: l'arte
di leggere Nietzsche Paolo D'Iorio, Pubblicato da Ponte alle grazie, Studi
germanici — Di Istituto italiano di studi germanici — Pubblicato da Edizioni
dell'Ateneo, Originale disponibile presso la l'Università della Virginia —
"Mazzino Montinari, Nietzsche", di Francesca Tuca Giuliano Campioni,
Da Lucca a Weimar: Mazzino Montinari e Nietzsche in Nietzsche. Edizioni e
interpretazioni, Maria Cristina Fornari, ETS, Pisa, Die "ideelle
Bibliothek Nietzsches". Von Charles Andler Montinari Pensiero di
Schopenhauer Roberto Roscani Torino#Filosofi Giuliano Campioni, Mazzino
Montinari, in Dizionario biografico degli italiani, stituto dell'Enciclopedia Italiana,. Opere di
Mazzino Montinari, Centro interdipartimentale di studi Colli-Montinari su
Nietzsche e la Cultura Europea — Pisa, Lecce, Padova e Firenze (Centronietzsche.net),
su centronietzsche.net. Grice:: “Montinari is right that ‘la volonta di
potenza’ ‘n’existe pas’ – vacuous name. Torna a Surriento. Mazzino Montinari.
Montinari. Refs. Luigi Speranza, “Grice e Montinari: l’implicatura di
Nietzsche” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745180974/in/datetaken/
Grice e Monte – implicatura – la
prospettiva e la filosofia della percezione -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Pesaro). Filosofo. Grice: “I like to illustrate a
‘scientific revolution’ with Del Monte’s refutation on the equilibrium
controversy, since it involves a lot of analyticity that only a philosopher can
digest!” -- essential Italian philosopher. Il marchese Guidubaldo Bourbon Del
Monte (Pesaro), filosoMecanicorum liber, Suo padre, Ranieri, originario da un
famiglia benestante di Urbino, discendente dalla schiatta dei Bourbon del Monte
Santa Maria, fu notato per il suo ruolo bellico e fu autore di due libri
sull'architettura militare. Il duca di Urbino, Guidobaldo II della Rovere, gli
attribuì, per meriti, il titolo di Marchese del Monte, dunque la famiglia
divenne nobile solo un generazione prima di Guidobaldo. Alla morte del padre, ottenne
il titolo di Marchese. Studia matematica a Padova. Mentre era lì, strinse una
grande amicizia con Tasso. Combatté nel conflitto in Ungheria, tra l'impero
degli Asburgo e l'Impero Ottomano. Al termine della guerra, torna nella sua
tenuta a Mombaroccio, vicino Urbino, dove passava i giorni studiando
matematica, meccanica, astronomia e ottica. Studia matematica con l'aiuto di
Commandino. Divenne amico di Baldi, che fu anch'esso studente di Commandino. Ispettore
delle fortificazioni del Granducato di Toscana, pur continuando a risiedere nel
Ducato di Urbino. In quegli anni,
corrisponde con numerosi matematici inclusio Contarini, Barozzi e Galilei e con alcuni di loro si dice abbia avuto anche
relazioni più che professionali.
L'invenzione per la costruzione di poligoni regolari e per dividere in
un numero determinato di segmento qualsiasi linea fu incorporata come
caratteristica del compasso geometrico e militare di Galileo. Proprio fu
fondamentale nell'aiutare Galilei nella sua carriera, che e un promessa ma
disoccupato. Raccomanda il toscano al suo fratello Cardinale, che a sua volta
parla con il potente Duca di Toscana, Ferdinando I de' Medici. Sotto la sua
protezione, Galileo ha una cattedra di matematica all'Pisa. Guidobaldo divenne
un amico fidato di Galileo e lo aiutò nuovamente quando dovette necessariamente
fare domanda per poter insegnare matematica all'Padova, a causa dell'odio e
della macchinazione di Giovanni de' Medici, un figlio di Cosimo de' Medici,
contro Galileo. Nonostante la loro amicizia, Guidobaldo fu un critico di alcune
teorie di Galileo, come quella relativa alla legge dell'isocronismo delle oscillazioni.
Compone un importante saggio sulla prospettiva, “Perspectivae Libri VI”, pubblicato
a Pesaro che ha ampia diffusione. E sicuramente, anche secondo il parere di
Galileo, uno dei massimi studiosi di meccanica e matematica. “Mechanicorum
liber”. Pisauri. Saggi: “Mechanicorum” (Pisauri, Girolamo Concordia – Venezia,
Deuchino -- Mecanicorum); “Plani-sphaeriorum universalium theorica” (Pisauri,
Girolamo Concordia); “De ecclesiastici calendarii restitutione" (Pisauri,
Girolamo Concordia); “La prospettiva” (Pisauri, Girolamo Concordia -- Roma); “Problematum
astronomicorum” Venezia, Giunta); De cochlea,” Venezia, Deuchino); “Le mechaniche nelle quali si contiene la
dottrina di tutti gl’istrumenti principali da mover pesi grandissimi con
picciola forza” (Venezia, Franceschi);
“Lettere” (Venezia); “La teoria sui planisferi universali” (Firenze). Galileo
(che nel frattempo era stato molto probabilmente anche suo ospite) puo occupare
la cattedra di Padova, grazie anche all’intervento delduca., che nell’ambiente
veneto poteva contare, oltre che sull’amicizia di un Contarini e di un Pinelli,
sull’autorità e l’influenza di Monte, generale delle fanterie della
Repubblica": Fondazione cardinal Francesco maria delmonte -- guidobaldo-del-monte/.
A. Giostra, La stella o cometa nelle lettere a Giordani, Giornale di
Astronomia. Galilei. Guidobaldo II della Rovere Mombaroccio, Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “There possibly is no
equivalent to perspective for the other senses. Prospettiva, as the Italians
call it. They are obsessed with it. Consider the human body. Consider Apollo
del Belvedere – it is not just a body perceiving another body, there is a
perspectival side to it!” Giambattista del Monte. Guido Ubaldo de’ marchesi Del
Monte; Guidobaldo Del Monte. Monte. Keywords: implicature, perspective in
statuary. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e del Monte," per Il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685910019/in/photolist-2mKiNkD-26dDynR-HW8b7z-GNEbxc-GUC8Z8-Guv9WS-Guvagu-GRC81o-Guv9zu-E4u3XA-GNEir2-FZ7y1G-GNEika-GuviMY-FZd4Zi-GuviZb-FZd4Hg-GUCps2-GRBWqA-GRC7Zw-FZd4wp-FZddSD-FZ7KbC-GNEior-FZ7ykj-FZ7KKJ-GNEiw2-GNE2Lp-FZ7KmC-FZddTR-FZ7L1J-FZd4An-GLk2q5-Guvj5S-GuviUm-FZ7Kbh-FZddBP-GLjUhY-GNE2hD-FZdrAe-GNEiFR-GLjTPy-Guv1bq-GRC1UW-GUCoPP-GUCpnc-GUCoZt-GUCpsT-GNEbSF-GkKUAY
Grice e Moramarco – la tradizione massonica italiana
– Luigi Speranza (Reggio nell’Emilia). Filosofo. Grice: “Unlike Moramarco, what most
people know about massoneria is via “Il flauto magico”!” Grice: “Moramarco
analyses massoneria aa a philosophical cult, talking about ‘brotherly link’
‘vincolo fraterno’ – he has unearthed a few fascinating details about
massoneria in Italy. Esponente della Massoneria te assertore di una sintesi
religiosa tra Mazdeismo e Cristianesimo. Discende da un'antica famiglia di
Altamura, di ascendenze latino-germaniche, cresciuta e ramificatasi durante il
dominio dei Farnese. Studioso di Massoneria, ha scritto la Nuova Enciclopedia
Massonica in tre volumi (1989-1995, seconda ed. 1997), importante testo di
ricerca massonologica. Un suo precedente volume, La Massoneria ieri e oggi fu
tra i primi, sull'argomento, pubblicati in Russia dopo il crollo del regime
sovietico, che aveva proscritto le Logge. Iniziato nel Grande Oriente
d'Italia il 10 dicembre 1975, divenne Maestro Venerabile della Loggia
Intelletto e Amore n. 723, e nel 1986 ricevette la decorazione all'Ordine di
Giordano Bruno, conferita a quanti si distinguono nello studio e nella
diffusione degli ideali massonici. Coordinatore scientifico del Convegno
Internazionale 250 anni di Massoneria in Italia, al quale parteciparono
studiosi quali Paolo Ungari, Alessandro Bausani, Aldo A. Mola, Alberto Basso,
Fabio Roversi Monaco, Paolo Ricca. Il convegno fiorentino costituì la prima
risposta pubblica, da parte della Comunione massonica di Palazzo Giustiniani,
alle degenerazioni della P2. Nello stesso anno, in qualità di Garante
d'Amicizia tra il Grande Oriente d'Italia e la Grand Lodge of South Africa,
richiese, d'accordo con il Gran Maestro Armando Corona, che tutte le Logge
sudafricane, peraltro già avviate in tale direzione (quando un gruppo di Liberi Muratori della
Massoneria Prince Hall era stato ammesso nella Loggia "De Goede Hoop"
di Cape Town), abrogassero l'apartheid, scelta che esse fecero, qualificandosi
tra le prime associazioni bianche a superare la segregazione razziale.
Nel 1992 uscì dal Grande Oriente d'Italia, rigettandone il laicismo, per
ravvivare i nuclei massonici di impronta cristiana e spiritualista, che
assunsero la denominazione Real Ordine degli Antichi Liberi e Accettati
Muratori (A.D. 926). Su tale concezione della Massoneria ha scritto La via
massonica. Dal manoscritto Graham al risveglio noachide e cristiano (), un
testo dal quale emerge, fra l'altro, l'importanza della devozione alla Vergine
Maria, come madre del Cristo ed espressione umana della divina Sophia, nella
genesi della spiritualità massonica. Ha ricostruito le vicende della Gran
Loggia d'Italia, l'altra associazione maggioritaria di Liberi Muratori in
Italia, nel volume Piazza del Gesù. Documenti rari e inediti della tradizione
massonica italiana, contribuendo in seguito alla realizzazione di programmi
tematici per varie emittenti televisive, tra le quali Rossija 24 (), Reteconomy
() e È TV Rete7. Ha conseguito il 33º grado del Rito scozzese antico ed
accettato e il VII del Rito filosofico italiano, che nel secondo decennio del
Novecento vide tra le sue fila i neopitagorici Arturo Reghini e Amedeo Rocco
Armentano. Fonda in Italia l'Antico Rito Noachita su patente ricevuta
presso il British Museum dall'ex Maestro Venerabile della Loggia
"Heliopolis" di Londra. Ha realizzato una colonna sonora per i
rituali massonici, dal titolo Masonic Ritual Rhapsody. presso la Loggia
"Gottfried Keller" di Zurigo, è stato ricevuto come membro
nell'Independent Order of Odd Fellows. Già attivo con Joseph L. Gentili, editore del newsletter Brooklyn Universalist
Christian, in un progetto di restaurazione della Chiesa Universalista
d'America, contro la deriva liberal di quel movimento, ha ricevuto il navjote
zoroastriano. Nel volume Il Mazdeismo Universale propone una visione eclettica
di tale religione, collegando ad essa elementi del misticismo ebraico, del
dualismo platonico e cristiano, del buddhismo Mahāyāna, e riconoscendo in Gesù
il saoshyant (divino soccorritore, messia) profetizzato dall'antica religione
iranica, in una prospettiva teologica di tipo mazdeo-cristiano, intorno alla
quale si è formata una Fraternità Mazdea Cristiana. Si è avvicinato alle
correnti latitudinaria e mistica dell'Anglicanesimo e al percorso religioso di
Loyson, confluendo in una comunità religiosa di orientamento eclettico, ove ha
potuto conservare la doppia appartenenza, cristiana e zoroastriana. Entro tale
gruppo, che nel gennaio ha assunto la
denominazione Reformed Cloister of the Holy SpiritUnione Riformata
Universalista, è un oblato di San Pellegrino delle Alpi, secondo la Regola che,
ispirandosi alle tradizioni fiorite intorno alla vita di quell'eremita del
Cristianesimo celtico, contempla almeno un atto quotidiano "di giustizia,
o di soccorso fraterno" anche nei riguardi di animali e piante.
Laureatosi cum laude in Filosofia presso l'Bologna,, con una tesi sul pensatore
indiano Sri Aurobindo (relatore il noto indologo e sanscritista Giorgio Renato
Franci), nella seconda metà degli anni Ottanta si è formato in Training
autogeno e Psicoterapia con la procedura immaginativa sotto la guida di Luigi
Peresson. Ha trattato dei nessi tra Zoroastrismo e Cristianesimo nei
libri La celeste dottrina noachita (e I Magi eterni, di fenomenologia del sacro
ne L'ultima tappa di Henry Corbin e di tanatologia in Psicologia del morire. Ha
scritto sulle esperienze di autogestione dei lavoratori nel mondo e sui
rapporti tra socialismo e religione per Azione nonviolenta, la rivista fondata
da Aldo Capitini. Con il saggio Per una rifondazione del Socialismo partecipò
al simposio "Marxismo e nonviolenza" (Firenze) nel quale
intervennero, tra gli altri, Norberto Bobbio e Roger Garaudy. -- è un
sostenitore della lingua ausiliaria internazionale Esperanto. Ha aderito al
gruppo esperantista bolognese "Achille Tellini 1912". In ambito
narrativo, ha scritto Diario californiano e Torbida dea. Si è occupato di
storia dello spettacolo, scrivendo I mitici Gufi (2001), sul celebre quartetto
di cabaret degli anni sessanta, e partecipando all'allestimento del programma
Gufologia per Rai Sat; con l'ex "Gufo" Roberto Brivio ha collaborato
sia nella riproposta del repertorio del gruppo in teatri e circoli culturali,
sia nella realizzazione di un laboratorio teatrale e musicale che vide
attivamente coinvolti numerosi alunni portatori di disabilità, presso
l'Istituto medio superiore in cui insegnò psicologia. Ha inciso quattro
CD, Allucinazioni amorose (meno due), Gesbitando, Come al crepuscolo l'acacia e
Existenz, che contengono sue canzoni e brevi suites strumentali, ricevendo il
plauso, tra gli altri, di critici come Maurizio Becker, Mario Bonanno (Musica
& Parole) e Salvatore Esposito (Blogfoolk), di autori come Bruno Lauzi,
Ernesto Bassignano, Giorgio Conte e dei jazzisti Giulio Stracciati e Shinobu
Ito. Nel dicembre è stato chiamato
da Luisa Melis, figlia e continuatrice dell'opera di Ennio Melis, il patron
della RCA Italiana, a far parte della giuria del Premio De André. Saggi: “La Massoneria” (Vecchi, Milano), “La
Massoneria: cronaca, realtà, idee (Vecchi, Milano), “Per una rifondazione del
socialismo, in: Marxismo e non-violenza (Lanterna, Genova) – PARTITO SOCIALISTA
ITALIANO --; “La Libera Muratoria” (Sugar, Milano); “La Massoneria. Il vincolo
fraterno che gioca con la storia” (Giunti, Firenze) Diario (Bastogi, Foggia)
Grande Dizionario Enciclopedico POMBA (Torino); Antroposofia, Besant,
Cagliostro, Radiestesia, ecc.). L'ultima tappa di Henry Corbin, in Contributi
alla storia dell'Orientalismo, Franci (Clueb, Bologna) “La Massoneria in
Italia” (Bastogi, Foggia) Enciclopedia Massonica (Ce.S.A.S., Reggio E.;
Bastogi, Foggia); Psicologia del morire, in
I nuovi ultimi (Francisci, Abano Terme) Piazza del Gesù. “Documenti rari
e inediti della tradizione massonica italiana” (Ce.SA.S. Reggio Emllia); Sette
Lodi Massoniche alla Beata Vergine Maria (Real Ordine A.L.A.M., Reggio Emilia)
La celeste dottrina noachita (Ce.S.A.S, Reggio E.) I mitici Gufi (Edishow,
Reggio Emilia); “Torbida dea. Psicostoria d'amore, fantomi & zelosia
(Bastogi, Foggia); Il Mazdeismo Universale. Una chiave esoterica alla dottrina
di Zarathushtra (Bastogi, Foggia ) I Magi eterni. Tra Zarathushtra e Gesù (Om, Bologna
) La via massonica. Dal manoscritto Graham al risveglio noachide (Om, Bologna )
Massoneria. Simboli, cultura, storia (consulenza scientifica di M.M.) (Atlanti
del Mistero/Giunti-Vecchi, Firenze ) Introduzione alla Libera Muratoria
(Settenario, Bologna ) Musica Allucinazioni amorose (meno due) (Bastogi Music Italia) (Bastogi Music Italia)
Gesbitando, (Bastogi Music Italia ) Come al crepuscolo l'acacia (Heristal Entertainment, Roma ) Existenz
((Heristal Entertainment, Roma ). Note
Aplogruppo Mola, Un valido impulso per una Massoneria "à parts
entières", in 250 anni di Massoneria in Italia, F. Ferrari, La Massoneria
verso il futuro (una conversazione con Michele Moramarco) v. ) Una breve rassegna di testi fondamentali
sulla Massoneria si trova sul sito del Cesnur diretto da Massimo Introvigne.
Vedi anche le recensioni di E. Albertoni ne Il Sole 24 Ore, p.1 inserto
domenicale, e di G. Caprile ne La Civiltà Cattolica, 6Il volume fu pubblicato
nel 1990, anno della dissoluzione dell'URSS, dalla casa editrice Progress, V.
Brunelli, Massoneria: è finito con la condanna della P2 il tempo delle logge e
dei "fratelli" coperti, in Corriere della sera, Il Corriere della
Sera dedicò un lungo articolo allo "scisma" (v. ). Del Real Ordine
A.L.A.M. si è occupato anche il centro di ricerca Cesnur, diretto dal noto
storico e sociologo delle religioni Massimo Introvigne,
v.//cesnur.org/religioni_italia/a/ appendice_02.htm. Il termine Real non aveva
alcun riferimento alla storia italiana, ma si richiamava alla leggenda,
contenuta negli Antichi doveri, secondo cui l'Ordine Massonico ricevé le sue
proto-costituzioni dal re Atelstano d'Inghilterra (Æðelstan); recentemente il
Real Ordine ha assunto la denominazione di Unione Cristiana dei Liberi
Muratori Rito filosofico italiano Antico Rito Noachita Masonic Ritual Rhapsody, Bastogi Music Italia,
youtube.com/watch?v=rSs0 4kpA36U. A questa esperienza è collegata la sua
iscrizione alla SIAE come autore musicale
Del percorso che lo ha condotto verso la visione di Zoroastro
(Zarathushtra) si è occupata la rivista parsi di Bombay, Parsiana, così come il
quotidiano torinese La Stampa v. mazdeanchristian.wordpress.com/ latitudinarismo, in Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, v. riformati
universalisti.wordpress.com// In questa comunità si ritrovano, su vari temi,
idee tratte dal Manicheismo, dall'Arianesimo, dal Quaccherismo,
dall'Unitarianismo, dal Giurisdavidismo e dall'universalismo hindu-cristiano
del movimento Navavidhan fondato da Keshab Chandra Sen (1838-1884). Frequenti e
significativi sono altresì i riferimenti al pensiero di aint-Martin e alla
"religione aperta"o della "compresenza dei morti e dei
viventi"elaborata da Capitini, Stracciati
Ito E. Albertoni, Tante fedi,
nessun dogma (recensione della Nuova Enciclopedia Massonica, Il Sole 24 Ore,I,
inserto culturale domenicale) M. Chierici, Nasce la Lega dei Venerabili
(Corriere della Sera) S. Esposito, Dalle radici del Mazdeismo all'Alleanza
Mazdea CristianaIntervista con Michele Moramarco (in Secreta Magazine S.
Esposito, Gesbitando: intervista con Michele Moramarco (Blogfoolk) F. Ferrari,
La Massoneria verso il futuro (una conversazione con Michele Moramarco)
(Bastogi, Foggi8) S. Semeraro, Tra la via Emilia e l'Est. Così parlò Zoroastro
(La Stampa, Torino) S. Sari, Unico e plurimo al contempo, Dio secondo gli
Zoroastriani [intervista a M.M.](Libero) G. Giovacchini, Cultura e spiritualità
della Massoneria italiana nella seconda metà del '900 [prefazione di Michele
Moramarco] (Tiphereth, Acireale-Roma )
Zoroastrismo Universalismo Massoneria Rosacroce michelemoramarco. blog del Real Ordine A.L.A.M., su realordine.wordpress.com.
Pagina sul sito di Heristal Entertainment, su heristal.eu. blog degli anglicani
latitudinari, su riformatiepiscopali.wordpress.com. Grice: “The Romans are
obsessed with what Moramarco calls ‘paganesimo romano’ – the word ‘pagano’ only
makes sense in opposition to Christ. It would be very inappropriate of the greatest
Italian philosopher ever, Antonino, to consider his self pagan!” -- Michele Moramarco.
Moramarco. Keywords: la tradizione massonica italiana. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Moramarco” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745062159/in/datetaken/
Grice e Moravia – ragazzi – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Bologna). Filosofo. Grice: “I like Moravia: he has philosophised on what makes us
‘human,’ (“il pungolo dell’umano”) – his analysis of ‘il ragazzo selvaggio’ is
sublime – and he has played with ‘reason,’ hidden and strutturata – and the
universi di senso with which I cannot but agree! – provided we don’t multiply
them ad infinitum!” -- Grice: “I like
Moravia’s idea of ‘la ragione nascosta’ – you have indeed to seek and thou
shalt find!” -- “Il Nietzsche che prediligo è il Nietzsche terreno, umano,
presente nel tempo. È il Nietzsche intrepido esploratore del sottosuolo
dell'uomo e dei disagi della civiltà. È il Nietzsche che fertilmente e
sofferentemente (non narcisisticamente) vive e pensa il nichilismo: ma per
andare oltre il nichilismo. È soprattutto il Nietzsche cheneo-illuminista forse
malgrado luivuole conoscere, capire, dare un (nuovo) senso alle cose.”
Professore a Firenze. Allievo diGarin,
si è formato in ambiente fiorentino conseguendovi la laurea in filosofia nel
1962 con tesi su Gian Domenico Romagnosi. Professore incaricato dal 1969, è poi
diventato, nel 1975, ordinario di Storia della Filosofia all'Firenze. Nel corso della sua carriera, si è
interessato particolarmente dell'illuminismo francese e del pensiero del
Novecento, della storia e dell'epistemologia delle scienze umane, con
particolare attenzione all'antropologia, la filosofia della mente e
l'esistenzialismo. I suoi studi e le sue ricerche hanno aperto nuove
prospettive interdisciplinari fra pensiero filosofico e scienze umane. Attualmente, le sue attenzioni sono rivolte
verso l'opera e il pensiero del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche del quale,
nel 1976, pubblicò già una celebre antologia dal titolo La distruzione delle
certezze e, nel 1985, una raccolta di saggi intitolata Itinerario nietzscheano.
Proprio un nuovo modo di avvicinarsi e concepire il pensiero del filosofo
tedesco lo hanno reso uno dei suoi interpreti più originali e più
discussi. Grazie ai suoi studi e
contributi filosofici, è stato visiting professor presso l'Università della
California a Berkeley, l'Università del Connecticut a Storrs e il Center for
the Humanities della Wesleyan University.
Conferenziere presso altre sedi universitarie americane (fra le quali,
Harvard, UCLA, Boston) ed europee (Francia, Belgio, Germania), è cofondatore
della “Società italiana degli studi sul XVIII secolo”, nonché membro del
Comitato direttivo delle Riviste filosofiche “Iride” e “Paradigmi”. Collabora
ai giornali Corriere della Sera, Quotidiano nazionale, La Repubblica. Saggi: “Il
tramonto dell'Illuminismo -- filosofia e politica” (Laterza, Roma); “La ragione
nascosta” (Sansoni, Firenze); La scienza dell'uomo” (Laterza, Roma); “L’antropologia
strutturale” (Sansoni, Firenze); “Esistenziale” (Laterza, Roma); “La teoria
critica della società” (Sansoni, Firenze); “Gl’idéologues -- scienza e
filosofia” (Nuova Italia, Firenze); “La distruzione delle certezze” (Nuova
Italia, Firenze); “Linguaggio, scuola e società not ‘storia’! -- Guaraldi,
Firenze); “Filosofia e scienze umane nell'età dei Lumi” (Sansoni, Firenze); “Pensiero
e civiltà” (Monnier, Firenze); “Il ragazzo selvaggio dell'Aveyron.” Pedagogia e
psichiatria nei testi di Itard, Pinel e dell'anonimo della "Décade" (Laterza,
Roma); “Itinerario nietzscheano, Guida, Napoli); Educazione e pensiero,
Monnier, Firenze, Filosofia: storia e testi, Monnier, Firenze, “L'enigma dell’animo”
Laterza, Roma); Compendio di filosofia,
Monnier, Firenze, L'enigma dell'esistenza -- soggetto, morale, passioni
nell'età del disincanto, Feltrinelli, Milano, L'esistenza ferita -- modi
d'essere, sofferenze, terapie dell'uomo nell'inquietudine del mondo,
Feltrinelli, Milano, Filosofia dialettico-negativa e teoria critica della
società, Mimesis, Milano; “Ragione strutturale e universi di senso” (Lettere,
Firenze); “La Massoneria. La storia, gli uomini, le idee, Mondadori, Milano); “Firenze
e l’Umanesimo. Arte, cultura, comunicazione” (Lettere, Firenze); Lo
strutturalismo, Lettere, Firenze); “Filosofia e psicoanalisi (POMBA, Torino); “L'universo
del corpo, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, “Animo e realtà psichica” (Borla, Roma,
"L'esistenza e il male", in:
"Mysterium iniquitatis", Gregoriana, Padova, Linterpretazione
personologico-esistenziale dell'uomo", in:
La questione del soggetto tra filosofia e scienze umane, Monnier,
Firenze) – PERSONOLOGIA – PIROTOLOGIA – Grice, persona -- Lettura
Magistrale" al Convegno Dalla riabilitazione psicosociale alla promozione
della salute(Montecatini), "S.I.R.F. News", "Mente, soggetto,
esperienza nel mondo", in La filosofia italiana in discussione -- La
filosofia italiana in discussione, Società Filosofica Italiana, Firenze), Bruno
Mondadori, Milano, "Crisi della cultura e relazioni generazionali nel
mondo contemporaneo", in Giovani e adulti: prove di ascolto, Sansepolcro
(AR), "La filosofia degli idéologues. Scienza dell'uomo e riflessione epistemological,
Letteratura italiana tra illuminismo e romanticismo, Convegno, Italianistica,
Padova, "Libertà, finitudine,
impegno -- genesi e significato della responsabilità nel mondo", in: V. Malagola
Giustizia e responsabilità (Convegno, Firenze), Dott. A. Giuffré Milano, "Dal soggetto persona alla relazione
interpersonale", Maieutica, De-mitizzazione e de- valorizzazione. La crisi
della 'forma famiglia' nella società", in: Interazioni, "Illuminismo
e modernità", Hiram, "Prove d'ascolto. Crisi della cultura e
relazioni generazionali nel mondo contemporaneo", Studi sulla formazione,
"La guerra giusta", Hiram,
"La filosofia, la conoscenza dell'umano, il dialogo col pensiero
religioso", Hiram, "Esistenza e felicità", Hiram,
"L'Occidente e la pace. Luci e ombre all'alba del terzo millennio",
Hiram,"La filosofia e il suo 'altro'. La riflessione metafilosofica di
Adorno in 'Dialettica negativa'", Iride,
"L'uomo: una storia infinita", in: Per una scienza dell'umano, Arezzo, "L’'interpretazione
personologico-esistenziale dell'uomo" – PERSONALOGIA – Grice, PERSONA. in:
L. Neuro-fisiologia e teorie della mente, Vita & Pensiero, Milano, "La
scoperta dell'inconscio, l'ambiguità del freudismo e il lavoro della
psicoanalisi sull'animale, Convegno "Meta-psicologia”, Napoli, La Biblioteca,
Bari, "Un mondo negato. L'assolutizzazione del corpo nella
psico-umanologia contemporanea", UMANOLOGIA – ibrido -- Hermeneutica,
Corpo e persona, "Complessità, pluralità, confini", in: Dal
coordinatore al coordinamento,Coordinatori pedagogici in Emilia-Romagna,
Assessorato Servizi Sociali, Bologna, Bruno Maiorca, Filosofi italiani
contemporanei. Parlano i protagonisti, Bari, Dedalo, su sapere, De Agostini. Gran Loggia del GOI
dal titolo "Tu sei mio fratello" Registrazione video della Lectio
Magistralis "Al di qua del bene e del male Nietzsche esploratore
dell'umano" Modena e Reggio Emilia Tavola rotonda del GOI "Pedagogia
delle libertà Libertà civili" Convegno del GOI "La scienza non sia
ostacolata dall'ideologia, dalla politica e dalla religione" tavola
rotonda della Comunità Oasi "Significato e funzione della pena, della
punizione e della penitenza nella promozione umana e sociale" "Catturati dall'effimero?"
all'interno del Convegno Giovanile alla Cittadella di Assisi" dsu
arcoiris. Moravia. Keywords: ragazzi, personologia. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Moravia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745009609/in/datetaken/
Grice e Mordacci – la norma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like Mordacci – in a way, like I did with J. L. Mackie,
Mordacci opposes both ‘assolutismo’ and ‘relativismo’ – and tries to
‘construct’ an ‘inter-personal’ reason out of a full-fledged personal reason.
Whereas it would seem that we enjoin the principle of conversational
helpfulness out of altruism, there is this balance between conversational
self-love and conversational other-love; and we only ‘respect’ the other that
respects us as ‘pesonal;’ against Apel, the logic of the inter-personal reduces,
in a complex way, to the logic of the personal; without it, we would be
annihilating the autonomy of the will.” Grice: “I like Mordacci’s emphasis on
reason for normativity – interpersonal reason, as he calls it!” È preside della
Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele dove è Professore
di Filosofia Morale. È Direttore del Centro Internazionale di Ricerca per
la Cultura e la Politica Europea. Laurea in filosofia presso l'Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Dottorato in bioetica presso l'Università
degli Studi di Genova. Ha svolto attività di ricerca e insegnamento presso la
Scuola di Medicina e Scienze Umane dell'Istituto Scientifico Ospedale San
Raffaele. Insegnato presso l'Università Vita-Salute San Raffaele, prima presso
la Facoltà di Psicologia e dal 2002 presso la Facoltà di Filosofia che ha
contribuito a fondare insieme con Massimo Cacciari, Edoardo Boncinelli, Michele
Di Francesco, Andrea Moro. Ha contribuito a progetti di ricerca ed è stato
membro del Consiglio d'Europa per l'insegnamento della bioetica. Dal è preside della Facoltà di Filosofia
dell'Università Vita-Salute San Raffaele, essendo stato rieletto nel
giugno per il secondo mandato.
Membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le
Scienze per la Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dal al è
stato membro del Comitato Scientifico per EXPO
come delegato del Rettore dell'Università Vita-Salute San Raffele.
Dal è membro della Commissione per
l'Etica della Ricerca e la Bioetica del consiglio nazionale delle ricerche e
del consiglio direttiva della Società Italiana di Filosofia Morale. Si è
dedicato in particolar modo dei temi: "Etica e ragioni morali",
"Etica pubblica e rispetto", "Neuroetica". Attraverso
l'indagine delle "ragioni morali" e dell'"identità
personale" e ispirandosi alla filosofia kantiana, propone una forma di
"personalismo critico" in base alla quale il fondamento
dell'esperienza morale viene individuato nella ricerca, che ognuno compie,
delle "buone ragioni" che danno forma alla propria individualità
personale attraverso l'agire. Riconoscere ogni persona come autrice della
propria identità fonda un'etica del rispetto delle persone in quanto a ogni
individuo viene riconosciuto il diritto e il dovere di esprimere le proprie
abilità e costruire la propria personalità. Si è inoltre occupato di
bioetica essendo anche stato coordinatore del progetto Bioetica della genetica:
questioni morali e giuridiche negli impieghi clinici, biomedici e sociali della
genetica umana del Miur (FIRB, Tra i suoi interessi più recenti, la disciplina
della Film and Philosophy: la riflessione su come i film possono fare filosofia
e se possono argomentare vere e proprie tesi filosofiche. In questo contesto ha
dato vita al Laboratorio di Filosofia e Cinema presso la Facoltà di Filosofia
dell'Università Vita-Salute San Raffaele, conduce il sabato pomeriggio la
rubrica "Al cinema col Filosofo" su TgCom24 (stagioni - e -) e la
rubrica "Imparare ad amare i film" all'interno di Cinematografo
Estate () su Rai 1. Riviste È membro del comitato scientifico
dell'Annuario di Etica (ed. Vita e Pensiero), dell'Annuario di Filosofia (ed.
Mimesis) e della rivista online Etica & Politica. Dalla sua
fondazione è membro del Comitato Scientifico della rivista scientifica a cura
del Comitato Etico della Fondazione Umberto Veronesi. Attività teatrale
Romeo e Giulietta: nascita e tragedia dell'io moderno, Eloisa e Abelardo:
passione e negazione, Occidente, o identità fragile: Paul Auster e le Follie di
Brooklyn, analisi filosofiche con letture sceniche, ciclo "Aperitivi con
Sophia", Teatro Franco Parenti,La violenza e l'ingiustiziaGorgia, ciclo
"Filosofi a teatro" Roberto Mordacci, Teatro Franco Parenti,
L'individuo, la libertà e il perdono. Hegel legge Dostoevskij, lettura scenica
di Roberto Mordacci e Jean Sorel, ciclo l'Intelligenza e la Fantasia, Teatro
Strehler,L'isola della verità. Divagazioni fotografiche e filosofiche, lettura
scenica di Roberto Mordacci, Anna Traini e Maria Grazia Stepparava, Cluster
Isole, Mare e Cibo, Padiglione P03-Expo Milano
(Rho-Fiera), Kant e il mare, lettura scenica di Roberto Mordacci e
Francesca Ria, agosto Saggi:“Bio-etica
della sperimentazione,” Angeli, Milano; “Salute e bio-etica,” Einaudi, Milano);
“Una introduzione alle teorie morali,” Feltrinelli, Milano, La vita etica e le buone ragioni,Mondadori,
Milano, “Ragioni personali, ragione inter-personali: Saggio sulla normatività
morale,” Carocci, Milano, Elogio dell'Immoralista, Mondadori, Milano; Rispetto,
Cortina, Milano. Bioetica, Mondadori, Milano. L'etica è per le persone, San
Paolo, Cinisello Balsamo. Al cinema con il filosofo. Imparare ad amare i film,
Mondadori, Milano. La condizione neomoderna, Einaudi, Torino,. Ritorno a
utopia, Laterza, Bari,. Note Università
Vita-Salute San Raffaele, su unisr. Governo/bioetica, su governo. Roberto Mordacci, su Le Università per
Expo,Commissione per l’Etica della Ricerca e la Bioetica, Consiglio Nazionale
delle Ricerche, su cnr. Organi della
società | SIFM, su sifm. Intervista a L'accento di Socrate, su laccentodi
socrate. Rai 1, Cinematografo estate, su
rai.tv. Scienza e etica: in uscita la
nuova rivista della Fondazione Veronesi, su Fondazione Umberto Veronesi. Chi siamo
su scienceandethics. fondazioneveronesi. Feeding the Mind: Expo-Bicocca
Conversation Hour, su unimib. Lettura scenica de "I Sensi del Mare",
su//elbareport. 1 Pearson Imparare sempre su pearson. 1º agosto. Bioetica Mordacci Robertoe Book Mondadori
BrunoSai cos'è?FilosofiaePubIBS, su ibs. L'etica è per le personeEdizioni San
Paolo, su edizionisanpaolo. Riflessioni
sul senso della vita intervista di Ivo Nardi, sito "Riflessioni",
settembre. Ci vuole più rispetto intervista a Roberto Mordacci, Famiglia
Cristiana. Ma l'etica non è un'intrusa, intervista a Roberto Mordacci,
Avvenire, Ora smettiamola di parlare inglese, intervista a Roberto Mordacci, Il
Giornale. Mordacci. Keywords: la norma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Mordacci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703225018/in/photolist-2mLQxu7
Grice e Morelli – la filosofia del digiuno –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Grice: ‘I once told Austin, I don’t give a hoot what the dictionary
says;’ ‘And that’s where you make your big mistake,’ his crass response was!”
-- Grice: “I once told Ackrill, ‘should there be a manual of philosophy, must
we follow it?’ He replied, “One thing is to know the manual, another is to know
how to abide by it!” Si laurea a
Pavia e l'anno dopo assolve all'obbligo
di leva a Trieste dove presta attenzione alle problematiche relazionali dei
militari nello svolgimento delle proprie mansioni; si è poi specializzato in
Psichiatria presso l'Università degli Studi di Milano. Direttore dell'Istituto
Riza, gruppo di ricerca che pubblica la rivista Riza Psicosomatica ed altre
pubblicazioni specializzate, con lo scopo di "studiare l'uomo come
espressione della simultaneità psicofisica riconducendo a questa concezione
l'interpretazione della malattia, della sua diagnosi e della sua cura".
Inoltre è direttore delle riviste Dimagrire e Salute Naturale.
Dall'attività dell'Istituto Riza è sorta anche la Scuola di Formazione in
Psicoterapia ad indirizzo psicosomatico, riconosciuta ufficialmente dal
Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica.
Vicepresidente della Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Partecipa a
numerose trasmissioni televisive sia per la RAI sia per Mediaset (Maurizio
Costanzo Show, Tutte le mattine, Matrix, ecc.) e per la radio. Nelle sue
opere ci sono molti riferimenti alle dottrine orientali. Saggi: “Verso la
concezione di un sé psico-somatico. Il corpo è come un grande sogno della mente
(Milano, UNICOPLI, Milano, Cortina); La dimensione respiratoria. Studio psico-somatico
del respiro, inspiro, expiro – spiro -- Milano, Masson Italia, Dove va la medicina
psico-somatica (Milano, Riza); Il sacro.
Antropoanalisi, psico-somatica, comunicazione, Milano, Riza-Endas, Convegno
internazionale Mente-corpo: il momento unificante. Milano, Atti, Milano,
UNICOPLI, Riza, I sogni dell'infinito, Milano, Riza, Autostima. Le regole
pratiche, Milano, a cura dell'Istituto Riza di medicina psicosomatica, Il
talento. Come scoprire e realizzare la tua vera natura, Milano, Riza, Ansia,
Milano, Riza, Insonnia, Milano, Riza, Cefalea, (Milano, Riza); Lo psichiatra e
l'alchimista. Romanzo, Milano, Riza, Le nuove vie dell'autostima. Se piaci a te
stesso ogni miracolo è possibile, Milano, Riza, Conosci davvero tuo figlio?
Sconosciuto in casa. Dal delitto di Novi Ligure al disagio di una generazione,
Milano, Riza, Come essere felici, Milano, Mondadori, Cosa dire e non dire nella
coppia, Milano, A. Mondadori, Come mantenere il cervello giovane, Milano, Mondadori,
Come affrontare lo stress, Milano, A. Mondadori, Come amare ed essere amati
(Milano, Mondadori); Come dimagrire senza soffrire (Milano, Mondadori); Come
risvegliare l'eros, Milano, A. Mondadori, Come star bene al lavoro, Milano, A.
Mondadori, Come essere single e felici, Milano, A. Mondadori, Cosa dire o non dire ai nostri figli, Milano,
A. Mondadori, La rinascita interiore, Milano, Riza, Volersi bene. Tutto ciò che
conta è già dentro di noi (Milano, Riza); L'amore giusto. C'è una persona che
aspetta solo te, Milano, Riza, Vincere i disagi. Puoi farcela da solo perché li
hai creati tu, Milano, Riza); Felici sul lavoro. Come ritrovare il benessere in
ufficio, Milano, Riza, I figli felici. Aiutiamoli a diventare se stessi,
Milano, Riza, La gioia di vivere. Scorre spontaneamente dentro di noi, Milano,
Riza, Essere se stessi. L'unica via per incontrare il benessere, Milano, Riza,
Accendi la passione. È la scintilla che risveglia l'energia vitale, Milano,
Riza, Alle radici della felicità. Editoriali dpubblicati su Riza psicosomatica,
rivista mensile delle Edizioni Riza, Milano, Riza, Ciascuno è perfetto. L'arte
di star bene con se stessi, Milano, Mondadori, Il segreto di vivere. Aforismi,
Milano, Riza, Realizzare se stessi, Milano, Riza, Vincere la solitudine,
Milano, Riza, Dimagrire senza fatica, Milano, Riza, Amare senza soffrire,
Milano, Riza, Guarire con la psiche, Milano, Riza, Superare il tradimento,
Milano, Riza, Dizionario della felicità, 6 voll, Milano, Riza, Non siamo nati
per soffrire, Milano, Mondadori,L'autostima. Le cinque regole. Vivere la vita.
Adesso, Milano, Riza, Conoscersi. L'arte di valorizzare se stessi. Via le
zavorre dalla mente, Milano, Riza, I
figli difficili sono i figli migliori, Milano, Riza, Il matrimonio è in crisi...
che fortuna!, Milano, Riza, Autostima, I consigli di Raffaele Morelli per un
anno di felicità, Milano, Riza, Le parole che curano, Milano, Riza, Perché le
donne non ne possono più... degli uomini, Milano, Riza, Le piccole cose che
cambiano la vita, Milano, Mondadori, Come trovare l'armonia in se stessi,
Milano, Oscar Mondadori, Ama e non
pensare, Milano, Mondadori, Curare il panico. Gli attacchi vengono per farci
esprimere le parti migliori di noi stessi, con Vittorio Caprioglio, Milano,
Riza, Non dipende da te. Affidati alla vita così realizzi i tuoi desideri,
Milano, Mondadori, L'alchimia. L'arte di trasformare se stessi (Milano, Riza); Il
sesso è amore. Vivere l'eros senza sensi di colpa, Milano, Mondadori, Puoi
fidarti di te, Milano, Mondadori, La felicità è dentro di te, Milano, Mondadori,L'unica
cosa che conta (Milano, Mondadori); La felicità è qui. Domande e risposte sulla
vita, l'amore, l'eternità, con Luciano Falsiroli, Milano, Mondadori, Guarire
senza medicine. La vera cura è dentro di te (Milano, Mondadori); Lezioni di
autostima. Come imparare a stare beni con se stessi e con gli altri (Milano,
Mondadori); Il segreto dell'amore felice, Milano, Mondadori, La saggezza
dell'anima. Quello che ci rende unici (Milano, Mondadori); Pensa magro. Le 6
mosse psicologiche per dimagrire senza dieta (Milano, Mondadori); Vincere il
panico. Le parole per capirlo, i consigli per affrontarlo, cosa fare per guarirlo
(Milano, Mondadori) Nessuna ferita è per sempre. Come superare i dolori del
passato (Milano, Mondadori); Solo la mente può bruciare i grassi. Come attivare
l'energia dimagrante che è dentro di noi (Milano, Mondadori); Breve corso di
felicità. Le antiregole che ti danno la gioia di vivere (Milano, Mondadori); La
vera cura sei tu (Milano, Mondadori); Il meglio deve ancora arrivare. Come
attivare l'energia che ringiovanisce (Milano, Mondadori); Il potere curativo
del digiuno. La pratica che rigenera corpo e mente (Milano, Mondadori). Segui
il tuo destino. Come riconoscere se sei sulla strada giusta (Milano,
Mondadori); Il manuale della felicità. Le dieci regole pratiche che ti
miglioreranno la vita (Milano, Mondadori); Pronto soccorso per le emozioni. Le
parole da dirsi nei momenti difficili (Milano, Mondadori). Movie. Grice:
“Should there be a ‘dizionario della felicita,’ I would perhaps follow Austin’s
advice and go through it!” –. Raffaele Morelli. Morelli. Keywords: la
dimensione respiratoria, inspirare, respirare, spirare, spirito, il corpo
animato spira – il corpo spira – corpo spirante, corpo animato --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Morelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744327786/in/datetaken/
Grice e Moretti – la segnatura romantica – i
romantici di roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo.
Grice: “I like Moretti – he uses a good metaphor, ‘the wounded poet,’
unless we mean Owen, but he was more than wounded, even if that implicature is
cancellable --.” Grice: “I like Moretti also because he wrote on ‘ermeneutica sensibile,’
which is exactly what I do.” Grice: “I like Moretti also because he uses
‘segnatura’ etymologically, when he writes of the ‘la segnatura romantica’ –
talk of tokens!” Nasce nel borghese quartiere Trieste, primo di due fratelli.
Ottiene il diploma di maturità classica presso il Liceo Giulio Cesare.
Successivamente consegue una prima laurea in Giurisprudenza, con una tesi in
filosofia del diritto, e, nel una seconda in filosofia, con una tesi in
filosofia morale, entrambe presso l'Roma La Sapienza. È poi borsista presso
l'Friburgo in Brisgovia, dove imposta un progetto di ricerca che, partendo
dall'interpretazione di Heidegger, mira ad un'analisi critica delle categorie
filosofico-estetiche del “romantico” in Germania, con particolare attenzione alle
opere di autori del romanticismo di Heidelberg, quali Creuzer, Görres, i
Fratelli Grimm e Bachofen, che contribuisce a tradurre e a far conoscere in
Italia. Al suo rientro insegna dapprima materie letterarie nelle scuole medie
e, in seguito, filosofia presso la Scuola germanica di Roma. La sua ricerca si amplia poi al pensiero
estetico di Novalis, di cui cura la prima edizione completa in lingua italiana
della Opera filosofica; durante questo periodo consegue il dottorato di ricerca
in Estetica presso l'Bologna. Vince la cattedra di professore associato di
Estetica all'Bari; Professore a Napoli L’Orientale. Redattore di Itinerari e Studi Filosofici,
collabora con varie altre riviste filosofiche (Agalma, Rivista di Estetica,
Studi di Estetica, aut aut, Nuovi Argomenti, Filosofia e Società, Filosofia
Oggi, Estetica) e ha spesso partecipato a trasmissioni RAI su temi filosofici e
a numerosi convegni. Saggi: ”Il
romantico: poesia, mito, storia, arte e natura” (Itinerari, Lanciano); -- roma
– romantico -- “Anima e immagine: sul poetico” (Aesthetica, Palermo); “Nichilismo
e romanticismo -- estetica e filosofia della storia” (Cadmo, Roma); La
segnatura romantica (Roma, Hestia); “Interpretazione del romanticismo” (Ianua,
Roma); “Estetica: analogia e principio poetico nella profezia romantica” -- Rosenberg
& Sellier, Torino); “La segnatura romantica -- filosofia e sentimento”
(Hestia, Cernusco L.); “Il genio” (Mulino, Bologna); “Il poeta ferito.”
Hölderlin, Heidegger e la storia dell'essere” (Mandragora, Imola); “Anima e
immagine.” Studi su Klages, Mimesis,
Milano, Heidelberg romantica. Romanticismo e nichilismo” Guida, Napoli,
Introduzione all'estetica del Romanticismo, Nuova Cultura, Roma, Il genio, Morcelliana, Brescia. Per immagini.
Esercizi di ermeneutica sensibile” (Moretti & Vitali, Bergamo); Heidelberg
romantica. Romanticismo tedesco e nichilismo europeo, Morcelliana, Brescia,
Novalis. Pensiero, poesia, romanzo Morcelliana, Brescia, Romano Guardini,
Hölderlin, Morcelliana, Brescia. Novalis, Scritti filosofici, Morcelliana,
Brescia. J. J. Bachofen, Il matriarcato (Marinotti, Milano); Novalis, Opera
filosofica, I, Einaudi, Torino, Un video
con una trasmissione RAI. Un video con un intervento di Moretti. Giampiero
Moretti. Moretti. Keywords: roma, romanzo, romanzare, romanzato – non vero.
Romanticismo filosofico, I filosofi romantici italiani Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Moretti: il
romanticismo romano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51743474602/in/datetaken/
Grice e
Mori – la coerenza dell’intransigenza – la ripproduzione sessuata fra i antici
romani -- Luigi Speranza (Cremona).
Filosofo. Grice: “I like
Mori; he wrote a treatise on Stephen, better known as Virginia Woolf’s father;
which reminded me of Bergmann who once called me an English futilitarian!” --
Professore a Torino e presidente della Consulta di Bioetica Onlus,
un'associazione di volontariato culturale per la promozione della bioetica
laica. L’etica e la bioetica con le varie problematiche connesse sono le
tematiche al centro dei suoi interessi filosofici e teorici. Mori ha studiato all’Università degli Studi
di Milano, dove ha conseguito la laurea (con Bonomi e Pizzi) e il dottorato
sotto Scarpelli e Jori. Insegnato ad Alessandria e Pisa, prima di essere
chiamato a Torino. Studia i temi della meta-etica e della logica dell’etica con
le problematiche della teoria etica. Tra i primi a occuparsi di bioetica, nella
quale ha dato contributi in tutti i principali settori, con particolare
attenzione all’aborto e alla fecondazione assistita. Sollecitato dai casi Welby
e Englaro ha dato contributi anche sul fine-vita a difesa dell’autonomia
individuale. Per primo teorizza la contrapposizione paradigmatica tra bioetica
laica e bioetica cattolica, derivante dal fatto che quest’ultima propone
un’etica della sacralità della vita caratterizzata da divieti assoluti, mentre
l’altra avanza un’etica della qualità della vita senza assoluti e soli divieti
prima facie. Presta grande attenzione al problema della liberazione animale.
Fonda Bioetica. Rivista interdisciplinare (Ananke Lab, Torino). Membro di
numerosi comitati, tra cui il comitato scientifico di Notizie di Politeia, di
Iride del Journal of Medicine and Philosophy e altre. Saggi: “Manuale di
bioetica: verso una civiltà bio-medica secolarizzata” (Lettere, Firenze); “Introduzione
alla bioetica. temi per capire e discutere” (Piazza, Torino); Il caso Eluana
Englaro. La “Porta Pia” del vitalismo ippocratico ovvero perché è moralmente
giusto sospendere ogni intervento, Pendragon, Bologna, Aborto e morale. Per
capire un nuovo diritto” (Einaudi, Torino); “La fecondazione artificiale. Una
forma di riproduzione umana” (Laterza, Roma-Bari); “La fecondazione
artificiale: questioni morali nell'esperienza giuridica Giuffrè, Milano); “Utilitarismo
e morale razionale. Per una teoria etica obiettivista, Giuffrè, Milano, La
legge sulla procreazione medicalmente assistita. Paradigmi a confronto, Net,
Milano, Laici e cattolici in bioetica: storia e teoria di un confronto, Le
Lettere, Firenze, La fecondazione assistita dopo 10 anni di legge 40. Meglio
ricominciare da capo!, Ananke editore, Torino, Questa è la scienza, bellezze!
La fecondazione assistita come novo modo di costruire le famiglie, Ananke Lab,
Torino. Keywords: la coerenza dell’intransigenza.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745063995/in/datetaken/
Grice e Moriggi – la stretta di mano – Ercole e
Cerbero – le tre implicature -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like it when Moriggi does substantial metaphysics; he
has edited a collection on ‘why is there something rather than nothing?” –
hardly rhetoric – and the subtitle is fascinating: the vacuum, the zero, and
nothingness! All in Italian, to offend Heidegger!” Specializza in teoria e
modelli della razionalità, fondamenti della probabilità e di pragmatism. Insegna
a Brescia, Parma, Milano e presso la European School of Molecular Medicine è
conosciuto al grande pubblico attraverso la trasmissione TV E se domani di Rai
3 e per alcuni interventi ad altre trasmissioni. Saggi: “Le tre bocche di
Cerbero” (Bompiani. Perché esiste qualcosa anziché nulla? Vuoto, Nulla, Zero,
con P.Giaretta e G.Federspil (Itaca) Perché la tecnologia ci rende umani (Sironi) Connessi. Beati quelli che sapranno
pensare con le macchine (San Paolo) School Rocks! La scuola spacca, con A.
Incorvaia (San Paolo, ), con prefazione rap di Frankie Hi-nrg. Stefano Moriggi.
Moriggi. Keywords: le tre bocche di Cerbero. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Moriggi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51743282837/in/datetaken/
No comments:
Post a Comment