Grice e Floridi – informare –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “’To inform’ was first used by some
Roman! It surely ain’t Grecian!” -- Eessential Italian philosopher. He has
explored aspects of Grice’s use of the expression ‘inform,’ ‘mis-inform,’ in
terms of ‘factivity.’ Insegna a 'Ferrara. Conosciuto
per il suo lavoro in due aree di ricerca filosofica: la filosofia
dell'informazione e l'etica informatica. Si laurea a a Roma.
Insegna a Bari e Ferrara. Conosciuto per i suoi studi sulla tradizione scettica
(scetticismo), ma principalmente per il suo lavoro di fondazione della
filosofia dell'informazione e dell'etica informatica, due campi che ha contribuito
a costituire. Fondatore un gruppo di ricerca interdipartimentale sulla filosofia
dell'informazione. Durante la laurea a Roma, studiato da classicista e da
storico della filosofia. Si è interessato di filosofia della logica ed
epistemologia. Si è quindi occupato di diversi argomenti filosofici
tradizionali, alla ricerca di una nuova metodologia, con l'obiettivo di
riuscire ad avvicinarsi ai problemi contemporanei in una prospettiva che fosse
efficace dal punto di vista euristico e potesse allo stesso tempo anche
costituire un arricchimento intellettuale nell'affrontare le questioni
filosofiche dei nostri giorni. Molto presto, inizia a distanziarsi da quello
che Grice chiama la filosofia analitica “classica”. Secondo Floridi, il
movimento analitico ha perso la sua spinta iniziale ed era ormai un paradigma
sempre più debole, scolasticizzato – “specialmente ad Oxford!” --. Per questo
motivo, ha concentrato i suoi interessi su una nuova fondazione dell'epistemologia.
Anda alla ricerca di un concetto di "conoscenza” “indipendente-dal-soggetto",
vicino a ciò che oggi definisce informazione semantica. è necessario
sviluppare una filosofia costruzionista, all'interno della quale il design, la
creazione di modelli e le implementazioni sostituiscano analisi frivole e esami
cavillosi (e.g. sull’uso di ‘informare,’ ‘disinformare,’ ecc.) In questo modo,
la filosofia ha la speranza di non chiudersi in un angolo sempre più angusto,
fatto di ricerche griceiane auto-sufficienti e che interessano solo a sé
stesse, e di riacquistare un punto di vista più ampio sui problemi che sono
realmente determinanti nella vita umana fuori di Oxford! Così, lentamente, è
giunto a prendere in considerazione la filosofia dell'informazione, una nuova
area di ricerca emersa dalla svolta computazionale, avvicinandola da due
prospettive, quella puramente teorica della semantica, pragmatica, sintassi,
semiotica, logica e dell'epistemologia, e quella più tecnica dell'informatica, in
particolare dell'etica, della teoria dell'informazione di Shannon -- e della
humanities computing. Il filosofo ha bisogno di acquisire conoscenze di
IT necessarie per fare uso del computer in maniera efficace. Anche il filosofo
posse essere interessato ad acquisire le conoscenze di sfondo indispensabili
per la comprensione critica dell’era digitale e dunque iniziare a lavorare
sulla branca della filosofia che si va formando, proprio la Filosofia
dell'informazione, che si augura un giorno possa diventare parte integrante
della cosiddetta “philosophia prima,” o prote philosophia della sua fase
romana!. Da allora, Philosophy of Computing and Information è diventata il suo
maggiore interesse di ricerca. In PI, sostiene che ci sia bisogno di un
concetto più ampio di elaborazione e di “flusso” causale dell'informazione –
alla Dretske -- che includa la computazione, ma non solo. Questa prospettiva
fornisce una cornice teorica molto efficace all'interno della quale inserire e
dare significato alle differenti linee di ricerca. Il secondo vantaggio è la
prospettiva diacronica, che permette di inquadrare lo sviluppo della filosofia
nel tempo. PI fornisce infatti un punto di vista molto più ampio e profondo su
ciò che la filosofia avrebbe cercato di fatto di realizzare nel corso dei
secoli. Altre opere: “InfosferaFilosofia e Etica dell'informazione” (Torino:
Giappichelli Editore); “La quarta rivoluzione, Milano: Raffaello Cortina
Editore); “Pensare l'infosfera” (Milano: Raffaello Cortina Editore); “Il verde
e il blu” (Milano: Raffaello Cortina Editore, OII: digital ethicslab. oii.ox.ac.uk,//digital
ethicslab.oIEG philosophy of information.net/ pdf/auto.pdf the newatlantis.com/publications/why-information-matters Onlife openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Opere di Luciano Floridi,.Oxford Institute, su oii.ox.ac.uk. Home page e
articoli online, su philosophyofinformation.net. Intervista e lezione durante
l'IoE talks (Internet of EverythingRoma ) La lecture su "Intelligenza
artificiale, dobbiamo preoccuparci?" presso il Centro Nexa del Politecnico
di Torino Biografia e intervista su Rai Media Mente, su media mente rai.
Biografia e intervista per l'American Philosophical Association, Cervelli in Fuga, Roma, Accenti. Wikipedia
Ricerca Informazione ciò che porta conoscenza Lingua Segui Modifica Nota
disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando il quotidiano, vedi
Informazione (quotidiano). L'informazione è l'insieme di dati, correlati tra
loro, con cui un'idea (o un fatto) prende forma ed è comunicata.[1] I dati oggetto
della stessa possono essere raccolti in un archivio o in
un'infrastrutturadedicata alla sua gestione, come nel caso di un sistema
informativo. Essa è oggetto di studio e applicazione in vari settori della
conoscenza e dell'agire umano. Lista delle vittorie di Rimush, Re
di Akkad, sopra Abalgamash, re di Marhashi e sopra le città elamite. Tavoletta
d'argilla, copia di un'iscrizione monumentale, circa 2270 a.C. (si veda Stele
di Manishtushu) Ad esempio in campo tecnico è oggetto di studio dell'ingegneria
dell'informazione, sul fronte delle scienze sociali è oggetto d'indagine delle
scienze della comunicazione e in generale della sociologia, con particolare
riguardo agli aspetti legati alla diffusione dei mezzi di comunicazione di
massa nell'attuale società dell'informazione (o era dell'informazione).
EtimologiaModifica La parola deriva dal sostantivo latino informatio(-nis)(dal
verbo informare, nel significato di "dare forma alla mente",
"disciplinare", "istruire", "insegnare"). Già in
latino la parola veniva usata per indicare un "concetto" o
un'"idea", ma non è chiaro se questa parola possa avere influenzato
lo sviluppo della parola informazione. Inoltre la parola greca
corrispondente era "μορφή" (morfè, da cui il latino forma per
metatesi), oppure "εἶδος" (éidos, da cui il latino idea), cioè
"idea", "concetto" o "forma",
"immagine"; la seconda parola fu notoriamente usata tecnicamente in
ambito filosofico da Platone e Aristotele per indicare l'identità ideale o
essenza di qualcosa (vedi Teoria delle forme). Eidos si può anche associare a
"pensiero", "asserzione" o "concetto".[2]
Evoluzione concettualeModifica Col progredire delle conoscenze umane il
concetto di informazione si è evoluto divenendo via via più vasto e
differenziato: informazione è in generale qualunque notizia o racconto, inoltre
qualunque comunicazionescritta o orale contiene informazione. I dati in un
archivio sono informazioni, ma anche la configurazione degli atomi di un gas
può venire considerata informazione. L'informazione può essere quindi misurata
come le altre entità fisiche ed è sempre esistita, anche se la sua importanza è
stata riconosciuta solo nel XX secolo. Per esempio, la fondamentale
scoperta della “doppia elica” del DNA nel 1953 da parte di James Watson e Francis
Crick ha posto le basi biologiche per la comprensione della struttura degli
esseri viventi da un punto di vista informativo. La doppia elica è costituita
da due filamenti accoppiati e avvolti su se stessi, a formare una struttura
elicoidale tridimensionale. Ciascun filamento può essere ricondotto a una
sequenza di acidi nucleici (adenina, citosina, guanina, timina). Per
rappresentarlo, si usa un alfabeto finito come nei calcolatori, quaternario
invece che binario, dove le lettere sono scelte tra A, C, G e T, le iniziali
delle quattro componenti fondamentali. Il DNArappresenta quindi il contenuto
informativo delle funzionalità e della struttura degli esseri viventi.
DescrizioneModifica In generale un'informazione ha valore in quanto
potenzialmente utile al fruitore per i suoi molteplici scopi:
nell'informazione, infatti, è spesso contenuta conoscenza o esperienza di fatti
reali vissuti da altri soggetti e che possono risultare utili senza dover
necessariamente attendere di sperimentare ognuno ogni determinata situazione.
Sotto questo punto di vista il concetto utile di informazione e la parallela
necessità di comunicare o scambiare informazione tra individui nasce, nella
storia dell'umanità, con l'elaborazione del linguaggio da parte della
menteumana e si sviluppa con la successiva invenzione della scrittura come
mezzo per tramandare l'informazione ai posteri. Secondo quest'ottica la storia
e l'evoluzione della società umana sono frutto dell'accumulazione di conoscenza
sotto forma di informazione. Nell'informazione ad esempio è contenuto know
howutile per eseguire una determinata attività o compito, cosa che la rende ad
esempio una risorsa strategica in ambito economico dell'economia
aziendale. L'informazione e la sua elaborazione attraverso i computer
hanno avuto certamente un impatto notevole nella nostra attuale vita
quotidiana. L'importanza è testimoniata, ad esempio, dai sistemi di protezione
escogitati mediante la crittografia e dal valore commerciale della borsa
tecnologica. L'uso appropriato dell'informazione pone anche problemi etici di
rilievo, come nel caso della riservatezzariguardo alle informazioni cliniche
che potrebbero altrimenti avvantaggiare le compagnie di assicurazioni mediche e
danneggiare i pazienti. L'importanza e la diffusione dell'informazione
nella società moderna è tale che a questa spesso ci si riferisce come la
Società dell'Informazione. Nei vari contestiModifica Altre definizioni
provengono dall'informatica e dalla telematica: Nel modello di Shannon e
Weaver, l'informazione è considerata parte integrante del processo
comunicativo; La teoria dell'informazione ha come scopo quello di fornire
metodi per comprimere al massimo l'informazione prodotta da una sorgente
eliminando tutta la ridondanza; Nella teoria delle basi di dati (ad esempio nel
modello relazionale, ma non solo), un'informazione è una relazione tra due
dati. Fondamentale da questo punto di vista è la distinzione tra il dato (un
numero, una data, una parola...) e il significato che si può dare a tale dato,
mettendolo in relazione con uno o più dati o rappresentazioni di concetti. In
un computer quindi, le informazioni sono numerabili, e a seconda del sistema di
interpretazione e della rappresentazione possiamo distinguere tra informazioni
esplicite, relativamente facili da quantificare (come la data di nascita del
signor Rossi) e informazioni dedotte, il cui numero dipende dalle capacità di
calcolo delle informazioni fornite al sistema (ad esempio l'età del signor
Rossi, ottenibile mediante sottrazione della data odierna e la data di
nascita). È questo un esempio di informazione dedotta esatta, ma ci sono anche
metodi per dedurre delle informazioni che non sono certe: ad esempio un
servizio di rete sociale può stabilire con una certa precisione che due persone
che hanno frequentato la stessa scuola si conoscono o hanno conoscenze in
comune, ma non può dare la certezza matematica di ciò. InformaticaModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Tipo di dato. I
computer, nati come semplici calcolatori, sono diventati col tempo dei potenti
strumenti per memorizzare, elaborare, trovare e trasmettere informazioni. La
diffusione di Internet come rete globale ha d'altro canto messo a disposizione
una mole di informazioni mai prima d'ora a disposizione dell'umanità. Alla base
di ogni informazione in un computer c'è il concetto di dato: sebbene
all'interno del calcolatore elettronico tutti i dati siano digitali, cioè
memorizzati come semplici numeri, dal punto di vista umano, invece, si può
attribuire un significato anche ai numeri. Per questo motivo, nei linguaggi di
programmazione, spesso esistono alcuni formati specifici per indicare in modo
esplicito quale significato dare ai dati. Fermandosi ai tipi di base abbiamo
essenzialmente numeri, caratteri e stringhe (successioni finite di caratteri).
Tali dati devono essere messi in relazione tra di loro per avere un
significato; se invece le relazioni valide possibili sono più di una, si può
generare ambiguità.[non chiaro] Matematica e logicaModifica Ad esempio,
1492 è un numero che da solo non significa niente: potrebbe essere una quantità
di mele (se correlato mediante la relazione di quantità con l'oggetto mela), il
costo di un anello o l'anno in cui Cristoforo Colombo si imbarcò e scoprì
l'America. La parola "calcio" può essere uno sport, un elemento
chimico o un colpo dato col piede. In genere le basi di dati che contengono
informazioni relative ad un determinato campo del sapere non risentono molto
del problema dell'ambiguità: in una base dati di chimica la parola calcio
indicherà certamente l'elemento chimico. Nelle basi di dati relazionali,
sistemi di tabelle e relazioni permettono di organizzare i dati per poter
ottenere delle informazioni senza ambiguità: se la tabella
"elementi_chimici" contiene la parola calcio, questo sarà senza
dubbio l'elemento chimico. La semplice immissione del dato nella tabella
"elementi_chimici" ha implicitamente classificato la parola
"calcio", conferendole un significato, dato dalla scelta della
tabella in cui inserire un dato (la scelta della tabella rappresenta il
trasferimento di conoscenza da una persona alla base dati). Inoltre, le basi di
dati relazionali permettono la creazione di relazioni tra dati di diverse
tabelle. Oltre alle relazioni esplicite, ci possono essere delle relazioni
dedotte. Supponiamo di avere la tabella "figlio_di": se abbiamo che
Antonio è figlio di Luigi (informazione 1), e che Luigi è figlio di Nicola
(informazione 2), allora possiamo dedurre che Nicola è il nonno di Antonio
(informazione 3). È quindi possibile formalizzare la relazione e inserirla
nella base di dati, ottenendo la tabella nonno_di senza dover immettere altri
dati: se A è figlio di B e B è figlio di C, allora C è nonno di A oppure,
ogni volta che si ha bisogno di conoscere eventuali nipoti/nonni di qualcuno,
analizzare la relazione figlio_di. E le informazioni possono essere maggiori:
analizzando il sesso di B, si potrà sapere se C è nonno paterno o
materno. Le basi di conoscenza pensate per la deduzione sono più
elastiche delle tradizionali basi di dati relazionali. Un esempio sono le
ontologie. Analisi particolarmente ricercate per il loro valore economico
ai fini commerciali sono quelle che analizzano grandi flussi di informazioni
per scoprire tendenze che permettono dedurre delle informazioni che hanno una
buona probabilità di essere vere riguardo utenti singoli o categorie di utenti.
Supponendo che Antonio abbia sempre acquistato in internet dei libri di
fantascienza, allora la pubblicità che gli si mostrerà potrà mostrare dei libri
di fantascienza o simili, che molto probabilmente lo interesseranno. Questi
tipi di analisi possono fornire informazioni talvolta sorprendenti: una catena
di supermercati in un paese anglosassone avrebbe scoperto, analizzando gli
scontrini, qualcosa altrimenti difficilmente immaginabile: le persone che
acquistavano pannolini spesso compravano più birra delle altre, per cui
mettendo la birra più costosa non lontano dai pannolini, poteva incrementarne
le vendite. Infatti le persone che avevano figli piccoli passavano più serate
in casa a guardare la TV bevendo birra, non potendo andare nei locali con gli
amici. L'esempio dell'associazione tra pannolini e birra è usato spesso nei
corsi universitari di data mining; tuttavia c'è da precisare che non è chiaro
quale sia la catena di supermercati in questione, e l'esempio, seppur valido a
scopi didattici, potrebbe essere inventato. Aspetti tecnici Modifica L'informazione è
generalmente associata a segnali, trasmissibili da un sistema di
telecomunicazioni e memorizzabili su supporti di memorizzazione. La
misurazione Modifica Secondo la Teoria
dell'Informazione in una comunicazione, che avviene attraverso un dato alfabeto
di simboli, l'informazione viene associata a ciascun simbolo trasmesso e viene
definita come la riduzione di incertezza che si poteva avere a priori sul
simbolo trasmesso. In particolare, la quantità di informazione collegata
a un simbolo è definita come {\displaystyle I=-\log
_{2}P_{i}} dove P_{i} è la probabilità di trasmissione di quel simbolo.
La quantità di informazione associata a un simbolo è misurata in bit. La
quantità di informazione così definita è una variabile aleatoria discreta, il
cui valor medio, tipicamente riferito alla sorgente di simboli, è detto
entropia della sorgente, misurata in bit/simbolo. La velocità di informazione
di una sorgente, che non coincide con la frequenza di emissione dei simboli,
dato che non è detto che ogni simbolo trasporti un bit di informazione
"utile", è il prodotto dell'entropia dei simboli emessi dalla sorgente
per la frequenza di emissione di tali simboli (velocità di segnalazione).
Quanto sopra può essere generalizzato considerando che non è assolutamente
obbligatorio che ogni simbolo sia codificato in maniera binaria (anche se
questo è ciò che accade più spesso). Quindi l'informazione collegata a un
simbolo codificato in base a è per definizione pari a
{\displaystyle I_{a}=-\log _{a}P_{i}} con P_{i} pari alla
probabilità di trasmissione associata a quel simbolo. L'entropia della sorgente
è per definizione pari alla sommatoria, estesa a tutti i simboli della
sorgente, dei prodotti tra la probabilità di ciascun simbolo e il suo contenuto
informativo. Nei casi particolari in cui a sia 10 l'entropia della sorgente è
misurata in hartley, se invece a è pari al Numero di Eulero e si misura in nat.
Dalla formula si evince che se la probabilità Pi di trasmettere il simbolo è
pari a uno, la quantità di informazione associata è nulla; viceversa se nel
caso limite ideale di Pi=0 la quantità di informazione sarebbe infinita. Ciò
vuol dire in sostanza che tanto più un simbolo è probabile tanto meno
informazione esso trasporta e viceversa: un segnale costante o uguale a se
stesso non porta con sé alcuna nuova informazione essendo sempre il medesimo:
si dice allora che l'informazione viaggia sotto forma di Innovazione. I segnali
che trasportano informazione non sono dunque segnali deterministici, ma
processi stocastici. Nella teoria dei segnali e della trasmissione questa
informazione affidata a processi aleatori è la modulante (in ampiezza, fase o
frequenza) di portantifisiche tipicamente sinusoidali che traslano poi in banda
il segnale informativo. La codifica dell'informazione Modifica
La codifica dell'informazione consiste nel trasformare un'informazione generica
in un'informazione comprensibile da un dispositivo o che sia adatta alla
successiva elaborazione. Il primo problema da affrontare nei processi di
elaborazione dell'informazione è la rappresentazione dell'informazione.
L'informazione consiste nella ricezione di un messaggio tra un insieme di
possibili messaggi. La definizione esatta è che l'informazione si rappresenta
usando un numero finito di simboli affidabili e facilmente distinguibili.
All'interno delle apparecchiature digitali l'informazione è rappresentata
mediante livelli di tensione o mediante magnetizzazione di dispositivi
appropriati. Le esigenze di affidabilità impongono che tali simboli, per una
maggiore efficienza, siano due o al massimo tre: nel primo caso si hanno solo 0
e 1, corrispondenti a 2 livelli di tensione (standard TTL: 0/5 V; standard
RS-232: +12/-12 V) che vanno a formare la numerazione binaria; nel secondo caso
si può avere un terzo stadio, indicato come HiZ (alta impedenza), che
rappresenta un livello indeterminato, causato ad esempio dal filo
"scollegato". La portata dei flussi Modifica Il concetto di informazione trasportato
su un canale di comunicazione può essere messo in analogia con quello della
portata in idrodinamica, mentre la velocità del flusso rappresenta la velocità
di propagazione del segnale che trasporta l'informazione sulla linea. Al
riguardo ogni linea di trasmissione o mezzo trasmissivo ha un suo quantitativo
massimo di informazione trasportabile, espresso dalla velocità di trasmissione
della linea stessa secondo il Teorema di Shannon. Il rapporto con la
privacy Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Privacy. Il settore dell'informazione è un
settore interessato da una continua evoluzione e da una rilevante importanza
sociale. Basta pensare alla quantità e qualità delle informazioni sotto forma
di dati personali, abitudini e consumi dei clienti, che posseggono le aziende.
La tutela dei dati personali risulta essere argomento di controversia, tra
quelli che vorrebbero un libero scambio delle informazioni e quelli che
vorrebbero delle limitazioni attraverso la tutela e il controllo. Oltre alla
tutela dei dati personali e sensibili di clienti, fornitori e dipendenti, le
aziende hanno la necessità di tutelare la proprietà intellettuale, i brevetti e
il know-how interno, in generale le informazioni confidenziali (materia che non
ha nulla a che vedere con la privacy). Note Modifica ^ Giuliano Vigini,
Glossario di biblioteconomia e scienza dell'informazione, Editrice
Bibliografica, Milano 1985, p. 62. ^ Il termine indicava originariamente
"ciò che appare alla vista", derivando dalla radice indoeuropea
*weid-/wid-/woid-, "vedere" (confronta il latino video). Esso venne
però ad assumere in seguito una grande molteplicità di significati (per esempio,
in Isocrate esso indica il "modello teorico" di un'orazione).
Bibliografia Modifica
Hans Christian von Baeyer, Informazione. Il nuovo linguaggio della scienza,
Edizioni Dedalo, 2005, ISBN 978-88-220-0226-6 Antonio Teti, Il potere delle
informazioni. Comunicazione globale, Cyberspazio, Intelligence della
conoscenza, Il Sole 24 Ore Editore, 2012, ISBN 978-88-6345-446-8 William
Aspray, The Scientific Conceptualization of Information: A survey, Annals of
History of Computing, vol. 7- n. 2, Aprile 1985 Voci correlate Modifica Asimmetria
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submodes of the indicative mode, ‘exhibitive’ and ‘protreptic’ -- influence,
inform. Conversation as rational cooperation – ‘false’ “information” no
information!” -- Refs.: Luigi Speranza, "Informazione
ed implicatura: Grice e Floridi," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51760176198/in/dateposted-public/
Grice e Fonnesu – inter-soggetivo – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Grice: “I like Fonnesu; especially, on inter-subjectivity: “I
cooperate with you; you cooperate with me” – or rather, “I co-operate with
thee; thou cooperates with me! We cooperate!” -- Luca Fonnesu (Milano),
filosofo. Professore di filosofia a Pavia.
Fonnesu si è laureato in Filosofia a Firenze con Cesa, dove ha poi conseguito
il titolo di dottore di ricerca in Filosofia. Prima di conseguire la laurea, borsista della
Fondazione Robert E. Schmidt di Heidelberg. Borsista del Deutscher Akademischer
Austauschdienst svolgendo la sua attività di ricerca presso il Leibniz Archiv
di Hannover. Borsista ‘post-doc' a Firenze. Ricercatore a Pisa. Insegna a
Pavia. È inoltre socio dell'Associazione di cultura e politica "il
Mulino", membro della Leibniz-Gesellschaft, della Fichte-Gesellschaft,
della Società italiana di studi kantiani, della Hegel-Vereinigung, della
Società italiana di filosofia analitica e del Comitato editoriale di
"Studi settecenteschi". Il professor Fonnesu è inoltre il coordinatore
del Corso di dottorato di ricerca in Filosofia a Pavia, fa parte del Consiglio
scientifico di Verifiche e del Comitato direttivo della "Rivista di
filosofia". Temi di ricerca I principali temi di ricerca
dell'attività accademica del professor Fonnesu possono essere sostanzialmente
ricondotti alla filosofia morale e alla filosofia classica tedesca. Per quanto
concerne la filosofia classica tedesca tra Kant e Hegel si è concentrato sulle
strutture concettuali, le fonti e la ricezione nella tradizione filosofica
approfondendo inoltre la presenza dell'etica kantiana nel dibattito
contemporaneo. Ha poi studiato il dibattito sulla teodicea nella tradizione
filosofica, l'illuminismo europeo, la tradizione analitica e le altre
tradizioni nell'etica contemporanea. In quest'ultimo ambito ha sviluppato in
modo particolare la tematica del libero arbitrio e della responsabilità nella
filosofia moderna e contemporanea. è un esperto di storia dell'etica.
Altre opere: “Antropologia e idealismo. La destinazione dell'uomo nell'etica di
Fichte” (Roma-Bari, Laterza); “Dovere, Scandicci, La Nuova Italia); “Storia
dell'etica: da Kant alla filosofia analitica” (Roma, Carocci); “Per una
moralità concreta: studi sulla filosofia classica tedesca” (Bologna, Il
Mulino); “Fichte, Fondamento del diritto naturale secondo i principi della
dottrina della scienza” (Roma-Bari, Laterza); “Diritto naturale e filosofia
classica tedesca” (Pisa, Pacini); “La verità. Scienza, filosofia, società”
(Bologna, Il Mulino); “Etica e mondo in
Kant” (Bologna, il Mulino); “Le ragioni della filosofia” (Firenze, Le Monnier);
“Diritto, lavoro e "Stände": il modello di società di Fichte, in
"Materiali per una storia della cultura giuridica", Rousseau e la
filosofia come "médecine du monde". A proposito di un saggio recente,
in "Intersezioni", Ragione pratica e “ragione empirica” in Kant, in
"Annali filosofia, Firenze", “Weber e l'etica” ("Iride"); Le
edizioni kantiane e la riflessione "Sul senso interno", "Studi
kantiani”; “Sullo stato degli studi fichtiani” (“Cultura e scuola"); “La
società concreta: considerazioni su Fichte e Hegel” ("Daimon. Revista de
filosofia", Murcia); “Sul pensiero di Luporini, in "Giornale critico
della filosofia italiana"); “Kant, Leibniz e la "Aufklärung":
ottimismo e teo-dicea, in Kant e la filosofia della religione (N. Pirillo,
Brescia, Morcelliana); “L'ideale dell'estinzione dello Stato in Fichte” ("Rivista
di storia della filosofia"); “Sul concetto di felicità in Hegel” in Fede e
sapere. Hegel, R. Bonito Oliva e G. Cantillo (Milano, Guerini); “Metamorfosi
della libertà nel ‘Sistema di Etica' di Fichte” (“Giornale critico della
filosofia italiana”); “Sui doveri verso se stessi”; “A partire da Kant”; “La
libertà e la sua realizzazione nella filosofia di Fichte, in G. Duso G. Rametta,
La libertà nella filosofia classica tedesca. Politica e filosofia tra Kant,
Fichte, Schelling e Hegel” (Milano, Angeli); “Sulla 'seconda natura' in
Fichte”, in R. Bonito Oliva G. Cantillo Natura e cultura, Napoli, Guida); “Preti
e le tradizioni etiche, in Parrini L. M. Scarantino, “Preti” (Milano, Guerini);
“Errori dell'ontologia. Percorsi della meta-etica tra Russell e Mackie”; in L.
Ceri S. F. Magni, Le ragioni dell'etica, Pisa, ETS, Rousseau tra filosofia e
botanica. Una nota, in M. Ferrari, I bambini di una volta. Problemi di metodo.
Studi per Egle Becchi, Milano, Franco Angeli, Presentazione, in R. M. Hare,
Scegliere un'etica, Bologna, il Mulino, Presentazione, in Foot, La natura del
bene, Bologna, il Mulino, Sulla morale kantiana, in C. La Rocca, Leggere Kant.
Dimensioni della filosofia critica” (Pisa, ETS); Presentazione, in Foot, Virtù
e vizi, Bologna, il Mulino, Etica e concezione etica del mondo in Albert Schweitzer,
Humanitas, Punto di vista morale e moralità, in “Il ponte”, Cesare Luporini, Maria
Moneti). Comandi e consigli nella filosofia pratica moderna, in S. Bacin,
Etiche antiche, etiche moderne. Temi in discussione, Bologna, Il Mulino); “Harry
Frankfurt, in “Rivista di filosofia”, Etica, in L'universo kantiano, S. Besoli,
C. La Rocca e R. Martinelli (Macerata, Quodlibet); “Kant e l'etica analitica” in
Continenti filosofici. La filosofia analitica e le altre tradizioni, M. De Caro
e S. Poggi (Roma, Carocci); Fichte critico di Kant: moralità e religione nel
‘Saggio di una critica di ogni rivelazione', in Critica della ragione e forme
dell'esperienza, L. Amoroso, A. Ferrarin e C. La Rocca (Pisa, ETS Edizioni);
“La felicità e il suo tramonto: dall'illuminismo all'idealismo, in “Filosofia
politica”, Libertà e responsabilità: dall'utilitarismo classico al dibattito
contemporaneo, in M. De Caro, M. Mori, E. Spinelli, Il libero arbitrio (Roma,
Carocci); “Genealogie della responsabilità, in Quando siamo responsabili?
Neuroscienze, etica e diritto, M. De Caro, A. Lavazza e G. Sartori, Torino,
Codice. Intersoggettività Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa
voce o sezione sugli argomenti psicologia e filosofia è ritenuta da
controllare. Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sugli argomenti
psicologia e filosofia è priva o carente di note e riferimenti bibliografici
puntuali. Intersoggettività è un concetto utilizzato in filosofia e in
psicologia con cui si intende genericamente la condivisione di stati soggettivi
da parte di due o più persone. La parola
è utilizzata con tre significati:
l'accezione più debole si riferisce all'"accordo", ovvero c'è
intersoggettività quando più persone concordano sui significati e sulla
definizione di una situazione. viene altrimenti utilizzata per riferirsi al
"senso comune", le concezioni condivise costruite dalle persone nelle
loro interazioni reciproche ed utilizzate come risorsa quotidiana per
interpretare i significati degli elementi della vita sociale e culturale. Se le
persone condividono il "senso comune" significa che utilizzano una
definizione ed interpretazione condivisa della situazione[1]. infine, il
termine viene utilizzato per riferirsi alle divergenze di significato condivise
(o parzialmente condivise). Le auto-presentazioni, le menzogne, gli scherzi, e
le "emozioni sociali" ad esempio richiedono un'incompleta definizione
della situazione, con parziali divergenze nelle condivisioni dei significati.
Chi sta mentendo è impegnato in un atto intersoggettivo perché lavora con due
diverse definizioni della situazione. L'intersoggettività intesa come nuova
modalità relazionale auspicabile tra uomo e donna ha mosso l'elaborazione non
solo politica ma anche e soprattutto filosofica e persino teologica di alcuni esponenti
di spicco del movimento femminista. In
filosofiaModifica Nella filosofia contemporanea, l'intersoggettività è un
argomento importante nelle tradizioni analitiche e continentali.
L'intersoggettività è considerata cruciale non solo a livello relazionale ma
anche a livello epistemologico e persino metafisico. Ad esempio,
l'intersoggettività è postulata come avente un ruolo nello stabilire la verità
delle proposizioni e nel costituire la cosiddetta obiettività degli oggetti. Una preoccupazione centrale negli studi sulla
coscienza degli ultimi 50 anni è il cosiddetto "problema delle altre
menti", che si chiede come possiamo giustificare la nostra convinzione che
le persone hanno menti molto simili alle nostre e prevedere gli stati mentali e
il comportamento degli altri, come la nostra esperienza dimostra[2]. Le teorie
filosofiche contemporanee dell'intersoggettività devono perciò affrontare il
problema delle altre menti. Nel
dibattito tra individualismo cognitivo e universalismo cognitivo, alcuni aspetti
del pensiero non sono né esclusivamente personali né pienamente universali. I
sostenitori della sociologia cognitiva sostengono l'intersoggettività: una
prospettiva intermedia della cognizione sociale che fornisce una visione
equilibrata tra le visioni personali e universali della nostra cognizione
sociale. Questo approccio suggerisce che, anziché essere pensatori individuali
o universali, gli esseri umani si iscrivono a "comunità di pensiero",
comunità di differenti credenze. Esempi di comunità di pensiero includono
chiese, professioni, credenze scientifiche, generazioni, nazioni e movimenti
politici[3]. Questa prospettiva spiega perché ogni individuo la pensa
diversamente dall'altro (individualismo): la persona A può scegliere di aderire
alle date di scadenza degli alimenti, ma la persona B può credere che le date
di scadenza siano solo linee guida ed è comunque sicuro mangiare il cibo dopo
la data di scadenza. Ma non tutti gli esseri umani la pensano allo stesso modo
(universalismo). L'intersoggettività
sostiene che ogni comunità di pensiero condivide esperienze sociali diverse
dalle esperienze sociali di altre comunità di pensiero, creando credenze
diverse tra le persone che si iscrivono a comunità di pensiero diverse. Queste
esperienze trascendono la nostra soggettività, il che spiega perché possano
essere condivise da tutta la comunità di pensiero[3]. I fautori
dell'intersoggettività sostengono l'opinione secondo cui le credenze
individuali sono spesso il risultato di credenze della comunità di pensiero,
non solo di esperienze personali o credenze umane universali e oggettive. Le
credenze sono ripensate in termini di standard, che sono stabiliti dalle
comunità di pensiero. Edmund Husserl, il
fondatore della fenomenologia, riconobbe l'importanza dell'intersoggettività e
scrisse ampiamente sull'argomento. Il suo testo più noto sull'intersoggettività
sono le Meditazioni cartesiane. Sebbene la fenomenologia di Husserl sia spesso
accusata di solipsismo metodologico, nella quinta meditazione cartesiana, Husserl
tenta di affrontare il problema dell'intersoggettività e propone la sua teoria
dell'intersoggettività trascendentale e monadologica[4]. L'allieva di Husserl
Edith Stein estese le basi dell'intersoggettività nell'empatia nella sua tesi
di dottorato del 1917, Sul problema dell'empatia (Zum Problem der Einfühlung).
L'intersoggettività aiuta anche a costituire l'oggettività: nell'esperienza del
mondo disponibile non solo per se stessi, ma anche per l'altro, c'è un ponte
tra il personale e il condiviso, il sé e gli altri. In psicologiaModifica Le discussioni e le
teorie dell'intersoggettività sono preminenti nella psicologia contemporanea,
nella teoria della mente e negli studi sulla coscienza. Tre principali teorie
contemporanee sull'intersoggettività sono la teoria della teoria, la teoria
della simulazione e la teoria dell'interazione.
Shannon Spaulding, dell'Oklahoma State University, scrive; "I
sostenitori della "teoria della teoria" sostengono che spieghiamo e
prevediamo il comportamento impiegando teorie psicologiche istintive su come
gli stati mentali influenzano il comportamento. Con le nostre teorie
psicologiche intuitive, deduciamo dal comportamento di un soggetto quali sono
probabilmente i suoi stati mentali. E da queste inferenze, più il principio psicologico
che collega gli stati mentali al comportamento, prevediamo il comportamento
altrui"[5]. I sostenitori della
teoria della simulazione, d'altra parte, affermano che spieghiamo e prevediamo
il comportamento degli altri usando le nostre menti come modello e
"mettendoci nei panni degli altri", cioè immaginando quali sarebbero
i nostri stati mentali e come ci comporteremmo se fossimo nella situazione
dell'altro. Più specificamente, simuliamo quali stati mentali dell'altro
avrebbero potuto causare il comportamento osservato, quindi usiamo gli stati
mentali simulati, fingiamo le credenze e fingiamo i desideri come input,
eseguendoli attraverso il nostro meccanismo decisionale. Quindi prendiamo la
conclusione risultante e la attribuiamo all'altra persona[6]. Recentemente,
autori come Vittorio Gallese hanno proposto una teoria della simulazione
incarnata che si basa sulla ricerca neuroscientifica sui neuroni specchio e
sulla ricerca fenomenologica[7].
Spaulding osserva che questo dibattito ha sofferto di stagnazione negli
ultimi anni, con progressi limitati all'articolazione di varie teorie sulla
"simulazione ibrida". Per risolvere questo vicolo cieco, autori come
Shaun Gallagher hanno avanzato la teoria dell'interazione. Gallagher scrive che
un "... importante cambiamento sta avvenendo nella ricerca sulla
cognizione sociale, lontano da un focus sulla mente individuale e verso ...
aspetti partecipativi della comprensione sociale ...." La teoria
dell'interazione è proposta per porre l'accento su una svolta interattiva nelle
spiegazioni dell'intersoggettività[8]. Gallagher definisce un'interazione come
due o più agenti autonomi impegnati in un comportamento co-regolato. Ad
esempio, quando si porta a spasso un cane, il comportamento del proprietario è
regolato dal cane che si ferma e che annusa, e il comportamento del cane è
regolato dai comandi del proprietario. Quindi, portare a spasso il cane è un
esempio di un processo interattivo. Per Gallagher, l'interazione e la
percezione diretta costituiscono ciò che definisce l'intersoggettività
"primaria" (o di base). Gli
studi sul dialogo e sul dialogismo rivelano come il linguaggio sia
profondamente intersoggettivo. Quando parliamo, ci rivolgiamo sempre ai nostri
interlocutori, prendendo la loro prospettiva e orientandoci a ciò che pensiamo
che pensino[9]. All'interno di questa tradizione di ricerca, è stato sostenuto
che la struttura dei singoli segni o simboli, la base del linguaggio, è
intersoggettiva[10] e che il processo psicologico di autoriflessione implica l'intersoggettività[11].
Una ricerca sui neuroni specchio fornisce prove delle basi profondamente
intersoggettive della psicologia umana[12] e probabilmente gran parte della
letteratura sull'empatia e la teoria della mente si riferisce direttamente al
concetto di intersoggettività.
Intersoggettività e sviluppo infantileModifica Colwyn Trevarthen ha
applicato l'intersoggettività allo sviluppo culturale molto rapido dei
neonati[13]. La ricerca suggerisce che come bambini, gli esseri umani sono
biologicamente collegati a "coordinare le loro azioni con gli
altri"[14]. Questa capacità di coordinarsi e sincronizzarsi con gli altri
facilita l'apprendimento cognitivo ed emotivo attraverso l'interazione sociale.
Inoltre, la relazione più socialmente produttiva tra bambini e adulti è
bidirezionale, in cui entrambe le parti definiscono attivamente una cultura
condivisa[14]. L'aspetto bidirezionale consente alle parti attive di
organizzare la relazione nel modo che ritengono opportuno: ciò che considerano
importante riceve più attenzione. L'accento è posto sull'idea che i bambini
siano attivamente coinvolti nel modo in cui apprendono, usando
l'intersoggettività[14].
Intersoggettività e psicoanalisiModifica Oltre che nelle scuole di psicoterapia
dove trova applicazione la teoria delle interrelazioni tra terapeuta-paziente,
anche in ambito psicoanalitico, con questo termine si intende il modello
relazionale che fa da parametro nel procedere della relazione tra analista e
analizzato. Dalla teoria alla prassi
intersoggettivaModifica Quella psicoanalisi che si attiene più allo
"spirito" del suo fondatore Sigmund Freud piuttosto che alla sua
"lettera", considera sé stessa come un metodo per la trasformazione
della realtà piuttosto che come un sistema di interpretazione della realtà. In
questo modo la psicoanalisi sembra inglobare nel suo manifesto programmatico,
almeno nei fatti, e sia pur indicando un'altra metodologia di prassi, la famosa
frase di Marxed Engels ad Hegel innanzitutto e a tutto il pensiero filosofico:
"I filosofi hanno interpretato il mondo in maniera diversa ma si tratta
invece di trasformarlo" [15] Valori
morali e valori relazionaliModifica Conseguentemente la psicoanalisi si pone al
di sopra di ogni moralismo, al di là del bene e del male convenzionali e considera
invece il modello relazionale intersoggettivo come valore supremo poiché in
esso coincidono e la terapia e la conoscenza.
Psicoterapia e psicoanalisi: guarigione o intersoggettività?Modifica Lo
stesso Freud ammise che la psicoanalisi, pur essendo nata come medicina ovvero
terapia per curare disturbi nervosi, psichici o mentali, ben presto si rivelò
un metodo di conoscenza rispetto al quale la cosiddetta guarigione del paziente
passava in secondo piano: il paziente aumenta principalmente la conoscenza di
sé stesso, simultaneamente anche guarisce ma la guarigione dal punto di vista
dell'analisi in sé è un epifenomeno. Da questo punto di vista c'è un
parallelismo tra Freud e Cristoforo Colombo: così come quest'ultimo, partito
con l'intenzione di arrivare alle Indie divenne inaspettatamente lo scopritore
dell'America, ugualmente Freud dopo aver iniziato il suo cammino con intenti
semplicemente curativi divenne anch'egli scopritore di una nuova via di
conoscenza. Il male: motore della
psicoanalisi verso l'intersoggettivitàModifica Se la psicoanalisi è una
"via di conoscenza", il male del paziente può essere considerato una
"vocazione" in quanto è proprio la chiamata dell'essere a sapere di
sé. Se non ci fosse questo male, non ci sarebbe ciò che incalza alla conoscenza
di sé. La psicoanalisi ha la pretesa di dissolvere il male trovandone il senso,
che è ben altro e ben più radicale che esorcizzare il male come fanno la
psicofarmacologia e altre tecniche psicoterapeutiche. La psicoanalisi non
tratta il male in sé ma il senso del male, la sua direzione; e nel trovare
tramite il suo metodo questo senso nascosto ne permette la realizzazione e, nel
realizzarlo, elimina il male alla radice e non nella sua semplice
sintomatologia che altrimenti potrebbe riapparire sotto altre vesti. Questo
ottiene superando quel senso che chiedeva al soggetto, che lo pativa
dolorosamente, di essere realizzato. Il male ritornerà ma non sarà più una
ripetizione, la coazione a ripetere infatti quale memoria storica di ciò che è
stato non si può chiamare vera vita e il dolore psichico che magari anche si
somatizza denuncia proprio questo. In
questo significato la psicoanalisi intesa come "autorealizzazione
dell'inconscio" trova una sua definizione da parte dell'altro pioniere
della psicoanalisi delle origini: Carl Gustav Jung, che trattava la sua intera
esistenza nello stesso modo in cui considerava la psicoanalisi:
un'autorealizzazione dell'inconscio. Infatti da quanto detto finora chiunque
intuisce che quello dello psicoanalista non può essere semplicemente un
mestiere nel senso tradizionale del termine che si dà alla parola
"mestiere" ma semmai uno stile di vita, un vero e proprio
atteggiamento esistenziale perennemente teso a scalzare la forte resistenza
alla trasparenza dell'opacità interiore che quindi coincide con una sorta di
atteggiamento alchemico coincidente con l'azione di disvelamento del
"misterium coniunctionis". Atteggiamento questo che coincide con
l'intersoggettività la quale per dispiegarsi necessita per la sua realizzazione
di una sorta di rivoluzione copernicana al livello del sistema psichico
tendente a spodestare l'Ego come ha fatto Niccolò Copernico con la Terra, ed in
un certo senso con l'Antropos, da centro narcisistico del sistema psichico per
sostituirlo con il Sé che è l'identità solo relazionale e che comprende l'uno e
l'altro della relazione come un'unità processuale indivisibile, mentre l'Ego
per sua natura non può che necessariamente essere vincolato a un'identità
storica e per ciò continuamente minacciata nella sua coerenza da ciò ch'egli
costituisce sostanzialmente come altro da sé, paventando la rottura del vissuto
di continuità. Psicoanalisi e
relazioneModifica La psicoanalisi, operando al di là di ogni moralismo convenzionale
al progressivo divenire conscio dell'inconscio, opera alla progressiva
trasformazione del modello relazionale interdipendente, (dove i due sono calati
con le loro reciproche dipendenze in un gioco delle parti per così dire
inconsapevole) nel modello relazionale intersoggettivo dove la coppia
analista-analizzato è in una relazione all'interno della quale non si danno
altri bisogni che quelli propri del processo di soggettivazione: il bisogno
della presenza dell'altro e quello di essere con l'altro in libertà. L'esoterismo dell'intersoggetivitàModifica
Esistono discipline come la psicoanalisi che non si possono giudicare
dall'esterno come per esempio la comunità scientifica richiede di fare nelle
scienze esatte con i suoi metodi statistici. Da qui l'atteggiamento
apparentemente altero di molti sostenitori della psicoanalisi, ritenuti da
altri per questo saccenti, a partire da Freud che liquidava con una battuta
gran parte delle critiche alla psicoanalisi dicendo semplicemente che chi non
ha sperimentato una analisi in prima persona non può nemmeno sapere di cosa si
sta parlando. Questo vale anche e
soprattutto per l'intersoggettività la cui teorizzazione scaturisce proprio
dalla psicoanalisi, intersoggettività che oltre ad essere una nuova modalità di
relazionarsi, è anche una nuova logica nella quale tutto viene trattato come un
processo unitario senza alcuna separazione tra i momenti di tale processo e
nella quale ogni momento del processo è anche tutto il processo pur essendo
solo uno dei momenti che lo compongono, momento del processo che contiene in sé
i movimenti già superati e quelli ancora non in essere. Freud stesso, sin dagli esordi del metodo
psicoanalitico metteva in atto questa logica rinunciando alle resistenze della
sua ragione, frammentante il reale movimento quale dinamica dell'essere, si
poneva in ascolto dell'inconscio che parlava attraverso i balbettii dei suoi
pazienti, ovvero attraverso il loro transfert e quindi anche del suo proprio
controtransfert anche se Freud possedeva qualche strumento in più del suo
paziente, strumento che gli permetteva così di non agire il controtransfertper
non riprodurre una relazione "normale" cioè interdipendente, ma
realizzare un'esperienza relazionale nuova e quindi conoscitiva più ancora che
terapeutica: in una parola, una relazione intersoggettiva. Nella sua pratica clinica Freud usava già
allora una logica intersoggettiva anche se, legato come era per la sua
formazione accademica alla scienza ufficiale, non la teorizzava. Solo dopo
molto tempo la psicoanalisi passò da una teoria pulsionale di impronta
positivisticaa una teoria veramente relazionale. In un certo senso quindi la psicoanalisi e la
sua logica che la guida nel processo psicoanalitico, l'intersoggettività, le
apparentano entrambe alle tradizioni dell'esoterismo anche se solo per un suo
corretto intendimento che vada al di là delle vulgate da rotocalco. Questo è un
dato di fatto anche se la psicoanalisi e la nuova logica intersoggettiva non si
sono mai trincerate dietro sette o congreghe iniziatiche come altre vie di
conoscenza hanno invece fatto anche se giustificate dal timore di essere
fraintese. La psicoanalisi al contrario fin dall'inizio è stata un movimento di
pensiero di chiara indole essoterica. La
fine dei ruoli e la fine del (vecchio) mondoModifica All'interno del modello
relazionale intersoggettivo che fa da parametro al procedere della relazione
psicoanalitica, non vige alcuna divisione di ruoli quali quelli di:
maschile-femminile, attivo-passivo, conoscente-conosciuto, tra chi interpreta e
chi è interpretato, tra chi dà e chi riceve, in una parola tra soggetto e
oggetto. Questo è possibile grazie al fatto che i due della relazione
psicoanalitica facendo leva sulla loro capacità riflessiva prendono distanza
via via sempre più da sé stessi e dalla situazione contingente nella quale sono
entrambi calati e si progettano nel tempo nella libertà. In questa maniera eros e logos cessano la
loro contrapposizione secolare e anzi si fanno alleati uno dell'altro. Infatti
gli "equivoci" che si danno all'interno della relazione costituita
dalla coppia analista-analizzato e che nel gergo proprio di questa disciplina
prendono il nome di transfert e di controtransfert, in ultima analisi vengono a
coincidere con la stessa modalità relazionale interdipendente la cui critica
radicale non è stata ancora condotta sino in fondo, prova ne sia che nel
modello relazionale intersoggettivo non si danno più "equivoci" non
avendo più i due partner della relazione intersoggettiva altra aspettativa che
quella del dirsi dell'altro nella libertà.
E invece sono proprio questi equivoci ciò che costituiscono l'inconscio
quali sintomi dell'interdipendenza stessa. Ciò si spiega abbastanza facilmente
se si pone attenzione al fatto che mentre il modello intersoggettivo è quello
di una relazione in cui l'unica aspettativa che l'uno ha verso l'altro è solo
quella che l'altro ci sia ma in libertà. Non è così nell'interdipendenza, ed è
proprio questa diversa aspettativa che fonda e struttura l'inconscio e tutti i
sintomi dell'inconscio: transfert e controtransfert. Il principio di intersoggettività fa del
metodo psicoanalitico, quale metodo di trasformazione delle realtà relazionali,
quanto di più seriamente critico vi possa essere dell'ordine relazionale
strutturato sulla divisione dei ruoli.
Intersoggettività e femminismoModifica Per quanto attiene ai rapporti
tra la prospettiva aperta dall'intersoggettività e quelle del "movimento
di liberazione della donna" ormai più brevemente chiamato femminismo, si
possono trovare dei paralleli non tanto nelle posizioni sindacaliste o
corporativequanto nelle posizioni più esplicitamente filosofichecome quelle
espresse da Virginia Woolf, da Simone de Beauvoir o da altri ancor più recenti
esponenti che invece presero le mosse proprio dalla psicoanalisi sia pure
Lacaniana e filtrata da una donna Luce Irigarayespulsa immediatamente da Lacan
stesso, dato il modo irriverente con cui trattava "il maestro". Importate in Italia le idee eretiche della
psicoanalista lacaniana, a Milano per opera dei filosofi Luisa Muraroe Adriana
Cavarero si è costituita una vera e propria comunità filosofica intitolata alla
maestra di Socrate, la filosofa "Diotima" tanto elogiata da Socrate
stesso. Comunità filosofica femminile che è all'origine di una corrente
filosofica abbastanza recente denominata "filosofia della differenza"
e che ha ormai esponenti a livello internazionale. Resta il fatto comunque che almeno al momento
attuale la tematica dell'intersoggettività è stata trattata e approfondita in
maniera veramente esplicita proprio dalla scienza psicoanalitica.[16] NoteModifica ^ ( EN )
http://people.brunel.ac.uk/~hsstcfs/glossary.htm ^ Hyslop, A (2010).
"Other Minds", The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Fall
Edition), Edward N. Zalta (Ed.) Accessed from
plato.stanford.edu/archives/fall2010/entries/other-minds/>;. Section 1. ^ a
b Eviatar Zerubavel, Social Mindscapes: An Invitation to Cognitive Sociology,
Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 1997. ^ E. Husserl,
Cartesian Meditations, Klumer Academic Publishers. Translated by Dorion Cairns.
^ Shannon Spaulding, Introduction to debates on Social Cognition, in
Phenomenology and the Cognitive Sciences, vol. 11, n. 4, 5 settembre 2012, p.
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(2012) “Introduction to debates on Social Cognition.” Phenomenology and the
Cognitive Sciences. Vol. 11. Pg. 433 ^ Gallese, V & Sinigaglia, C. (2011)
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Vol. 15, No. 11. ^ De Jaeger, H., Di Paulo, E., & Gallagher, S. (2010) Can
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Vol. 14, No. 10. Pg 441. DOI:10.1016/j.tics.2010.06.009 ^ Linell, P. (2009).
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Age Publishing ^ Gillespie, A. (2009). The intersubjective nature of symbols.
In Brady Wagoner (Ed), Symbolic transformations. London: Routledge ^ Gillespie,
A. (2007). The social basis of self-reflection. In Valsiner and Rosa (Eds), The
Cambridge handbook of sociocultural psychology. Cambridge: Cambridge University
press ^ Rizzolatti, G. & Arbib, M. A. (1998). Language within our grasp.
Trends in neurosciences, 21, 188-194. ^ Copia archiviata ( PDF ), su
psych.uw.edu.pl. URL consultato il 13 ottobre 2019 (archiviato dall' url
originale il 22 luglio 2018). ^ a b c
Lynda Stone, Charles Underwood e Jacqueline Hotchkiss, The Relational Habitus:
Intersubjective Processes in Learning Settings, su karger.com. URL consultato
il 10 dicembre 2014. ^ Karl Marx, Friedrich Engels: "Miseria della
filosofia", 1844 ^ Tale questione sui rapporti tra la tematica
dell'intersoggettività e il movimento femminista sono stati trattati anche in
"L'ultimo tratto di percorso del pensiero Uno - Escursioni nella filosofia
del XX secolo" di Silvia Montefoschi al capitolo 15 pag 277 dal titolo
"Il risveglio del soggetto femminile" BibliografiaModifica E.
Husserl, Sulla fenomenologia dell'intersoggettività - Prima parte: 1905-1920
(Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass) E. Husserl,
Per la fenomenologia dell'intersoggettività - Seconda parte 1921-1928(Zur
Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass) E. Husserl, Per
la fenomenologia dell'intersoggettività - Terza parte 1929-1935 (Zur Phänomenologie
der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass) M. Scheler, Essenza e forme
della simpatia, FrancoAngeli, Milano 2010 (originariamente 1913, II ed. 1923)
Martin Buber, Il principio dialogico, 1959 George E. Atwood e Robert Storolow,
I contesti dell'essere. Le basi intersoggettive della vita psichica, 1992
Jessica Benjamin, L'ombra dell'altro. Intersoggettività e genere in
psicoanalisi, 1997 Silvia Montefoschi, L'uno e l'altro. Interdipendenza e
intersoggettività nel rapporto psicoanalitico 1977 Silvia Montefoschi, La
glorificazione del vivente nell'intersoggettività tra l'uno e l'altro 1995
Donald Davidson, Soggettività, intersoggettività, oggettività 2001 Voci
correlateModifica Psicoanalisi intersoggettiva Collegamenti esterniModifica
intersoggettività, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 2009. Modifica su Wikidata ( EN ) Intersoggettività, su Enciclopedia
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freedom, free, practical reason, the good, meta-ethics, Mackie, Hare, Fichte,
Hegel, happiness in Aristotle, Kant, and Hegel, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Fonnesu” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759735816/in/dateposted-public/
Grice e Fornero
– confilosofare – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vigone). Filosofo. Grice: “I like Fornero; he surely understands
the longitudinal unity of philosophy; ‘filosofare is con-filosofare,’ I love
that: philosophy as philosophy of conversation – witness Socrates and
Alcebiades.” Si è occupato di ambiti disciplinari diversi, che vanno dalla
storia della filosofia alla bioetica, dalla laicità al diritto. Ha
compiuto studi filosofici a Torino. Si laurea con una tesi sull'esistenzialismo
italiano. Dopo aver insegnato per alcuni anni, in seguito ha svolto un'attività
di libero scrittore, curando, su incarico di Abbagnano, una serie di
aggiornamenti della sua celebre storia della di filosofia. In un secondo
momento a conferma del fatto che egli non è soltanto uno storico della
filosofia, bensì un filosofo dai molteplici interessi si è dedicato allo studio
della bio-etica, della laicità e del diritto, con saggi che hanno suscitato
ampi dibattiti e che costituiscono dei contributi importanti su queste
tematiche. Abbagnano aveva pubblicato un Compendio di storia della filosofia
per i licei che, dopo un periodo di notevole diffusione, alla fine degli anni
settanta era quasi sparito dalla scuola. Da ciò la necessità di una profonda
revisione dell'opera, che decise di affidare a Fornero. Nasceva così
l'Abbagnano-Fornero, che, anche grazie ai continui aggiornamenti e ampliamenti,
è tuttora il manuale di filosofia più diffuso. Fra le sue numerose edizioni e
versioni ricordiamo: “Filosofi e filosofie nella storia”; “Protagonisti e testi
della filosofia”; “Itinerari della filosofia”; “La filosofia”; “La ricerca del
pensiero”; “Percorsi di filosofia”; “L'ideale e il reale”; “Con-Filosofare” e “I
nodi del pensiero.” In questi lavori segue e sviluppa in modo creativo
l'impostazione metodologica di Abbagnano, mirando a un modo di fare storia
della filosofia che si qualifica per un'informazione accurata, una profonda
empatia con le tematiche trattate e l'astensione da valutazioni ideologiche e
di parte. Ha inoltre condiretto alcune collane di destinazione liceale e
universitaria: “i Sentieri della filosofia” e i Sentieri della pedagogia di
Paravia e, “I fili del pensiero” di Bruno Mondadori. Fra le grandi storie della
filosofia quella pubblicata da Abbagnano presso la Pombail cosiddetto Abbagnano
grande, uscito in prima edizione costituisce un'opera di riferimento
fondamentale, che è stata universalmente apprezzata. Dopo la morte di Abbagnano,
è uscito, sempre presso Pomba, un quarto volume di questa storia, dedicato al
pensiero contemporaneo. Anche in questo caso, era stato lo stesso Abbagnano a
incaricare Fornero di proseguire il suo lavoro, che si interrompeva con
l'esistenzialismo e presentava solo un ultimo, sintetico capitolo su alcuni
degli sviluppi più recenti. In questo nuovo volume, Fornero punta a una
ricostruzione chiara e scientifica al tempo stesso. Una ricostruzione che,
basandosi su una conoscenza diretta (o "di prima mano") degli autori
trattati, si caratterizza per obiettività e rispetto delle posizioni di cui dà
conto, evitando valutazioni teoretiche che non spettano allo storico. Al pari
del suo maestro, Fornero insiste sull'autonomia della filosofia, che non si può
dissolvere nelle scienze umane, nella politica o in altre discipline. Ma gli impetuosi
sviluppi della filosofia novecente non erano esauriti in quel volume. Di
conseguenza, pubblica un secondo tomo del volume quarto della Storia della
filosofia. Con questo contributo l'opera si configura finalmente come una
trattazione esauriente dell'intera storia della filosofia dell’Europa
occidentale. Abbagnano pubblica presso la Pomba la prima edizione del
Dizionario di filosofia, un vastissimo elenco di lemmi tematici affrontati con
grande attenzione allo sviluppo concettuale e con straordinaria capacità di
sintesi. Ne curava una riedizione ampliata. Il Dizionario restaun punto fermo
della storiografia filosofica, ma iniziava ormai a mostrare dei limiti
cronologici. Così, ha provveduto, co-adiuvato da un gruppo di specialisti
da lui coordinato e diretto, a redigerne una nuova edizione.
L'impostazione di fondo voluta da Abbagnano è conservata, cosicché vengono
escluse le voci biografiche a favore dei lemmi concettuali. Sono centinaia le
voci aggiornate, mantenendo la separazione fra il contributo originale di
Abbagnano e l'aggiornamento, e le nuove voci inserite. L'opera continua così a
proporsi come uno dei più ampi strumenti di consultazione. Pubblica presso
Bruno Mondadori Le filosofie del Novecento, una delle più ampie e sistematiche
ricostruzioni storiche del pensiero contemporaneo. L'opera muove dal
pensiero nietzschiano inteso come crocevia della modernità e presenta una serie
di capitoli che danno conto, seguendo un'organizzazione tematica, di tutti i
principali autori e filoni della riflessione filosofica contemporanea: dalle
grandi correnti del primo Novecento (neo-positivismo, positivism logico,
neo-empirismo, filosofia analitica, filosofia analitica del linguaggio
ordinario, neocriticismo, spiritualismo, neoidealismo, pragmatismo), al
marxismo e all'esistenzialismo in tutte le loro declinazioni, per giungere alle
più recenti formulazioni dello strutturalismo, del postmodernismo, dell'epistemologia,
della teologia, dell'ermeneutica e delle teorie politiche ed etiche. Forte
degli studi storiografici ormai accumulati e sempre in linea con i sopraccitati
presupposti metodologici, pubblica, presso Bruno Mondadori, “Bioetica cattolica
e bioetica laica”. Si concentra sulle posizioni della bioetica cattolica
ufficiale e su quelle della bioetica laica. Attraverso uno studio analitico e
puntiglioso dei testi e a un metodo improntato a una sostanziale imparzialità, giunge
a definire alcuni punti nodali che a suo avviso oppongono strutturalmente la
bio-etica cattolica e quella laica (sebbene non manchino posizioni intermedie e
alternative). Punti che si sintetizzano nella tesi cattolica della
indisponibilità della vita e nella tesi laica della disponibilità della
vita. Da un punto di vista contenutistico Fevita di prendere posizione a
favore dell'uno o dell'altro modello. Tuttavia, il suo contributo produce una
notevole chiarificazione delle posizioni in campo e ha il merito di porre
empateticamente sotto gli occhi del lettore le strutture teoriche e concettuali
che stanno alla base dei due "paradigmi"merito che gli è stato
riconosciuto da Vattimo, che ha parlato di «rispettosa capacità di ascolto», e
da Possenti, che parla di «giustizia intellettuale nel descrivere le varie
posizioni in gioco». Questo saggio ha originato un ampio dibattito, sia
negli studi specialistici, sia nel mondo dell'informazione (come testimoniano
le recensioni e i numerosi interventi apparsi sui quotidiani). Dibattito
continuato sia in “Laicità debole e laicità forte” sia in “Laici e cattolici in
bioetica: storia e teoria di un confront”. Quest'ultimo saggio completa il
trittico. In esso si dà conto della nuova fase del dibattito sui concetti di
bio-etica cattolica e laica e si offre una serie di chiarificazioni e
ampliamenti storico-concettuali, fra cui spicca l'approfondimento della nozione
di "paradigma" che, partendo da Kuhn ma andando al di là di Kuhn,
applica in modo originale alla bioetica. Fra le novità del volume vi è l’ammissione,
da parte di alcuni autorevoli studiosi cattolici, dell'esistenza di una
diversità paradigmatica fra la bioetica di matrice cattolica e la bio-etica di matrice
laica. Diversità di cui si auspica da molte parti il superamento con una serie
di ipotesi ampiamente documentate nel saggio -, ma che di fatto esiste e
condiziona, sia sul piano teorico sia sul piano pratico, la vita odierna. Gli
studi sulla bioetica hanno trovato una continuazione e uno sviluppo
nel lavoro di Luca Lo Sapio Bioetica cattolica e bioetica laica nell'era
di papa Francesco. Che cosa è cambiato? (Pomba, Milano ) in cui l'autore
affronta il tema delle ripercussioni bio-etiche del pontificato di Bergoglio,
mettendone in luce i tratti di novità e continuità rispetto al passato. Il
saggio è preceduto da un saggio di Fornero, in cui offre una sintesi aggiornata
delle sue idee circa i paradigmi della bio-morale cattolica e laica. Alcune
delle questioni poste in Bioetica cattolica e bioetica laica toccano il
generale argomento della laicità. Tant'è che Laicità debole e laicità forte prosegue
l'analisi in questa direzione, oltrepassando l'ambito limitato della bio-etica,
pur continuando a usarlo come campo esemplare di indagine. Ragionando in
termini teorici e non solo storici, elabora una prospettiva filosofica sulla
laicità che muove dalla distinzione analitica fra due diverse accezioni del
concetto di "laicità": una larga e una ristretta. Distinzione che ritiene
indispensabile per fare ordine e chiarezza intorno al concetto in questione e
per giustificare, senza i consueti riduzionismi, i diversi modi con cui ci si
può definire "laico” (English: lay). In senso largo la laicità allude a
una serie di atteggiamenti metodici (autonomia discorsiva, libero confronto
delle idee, pluralismo, ecc.) che, in virtù del loro carattere procedurale,
possono essere fatti propri da chiunque, a prescindere dal fatto di essere
credenti o meno (tant'è che oggi, nell'ambito di questa accezione di “laico”,
si parla comunemente di "laico credente" e di "laico non
credenti"). In senso stretto, il ‘laico’ allude invece a quella
determinata visione del mondo che è propria di coloro che non si limitano a
seguire i sopraccitati criteri metodici, ma che pensano e vivono a prescindere
da Dio e dall'adesione a un determinato credo religioso (tant'è, che oggi,
nell'ambito di questa accezione del laico, si parla comunemente di “credenti e
laici” o, in Italia, di “cattolici e laici”). Per denominare l'accezione
larga, usa l'espressione "laico debole", mentre per denominare
l'accezione ristretta adopera l'espressione "laico forte", avvertendo
che in questo contesto “debole” e “forte” non hanno il significato ordinario e
valutativo di "meno consistente" o "più consistente", ma un
significato tecnico e descrittivo, allusivo di un minore o maggiore grado di
radicalità. In altri termini, il laico in senso largo è denominata
"debole" poiché possiede una valenza essenzialmente formale o *metodologica*,
mentre il laico in senso stretto è denominato "forte" poiché possiede
una valenza di tipo materiale o *sostanziale* (in quanto allusiva della visione
del mondo propria di un non credente). L'originalità consiste quindi nel
ritenere legittimi entrambi i significati (teorici e storici) del concetto di
"laico" e nell'aver insistito più di ogni altro studioso in Italia sul
fatto che non si deve "censurare" l'accezione ristretta o “forte” del
concetto (cf. Grice on ‘weak’ and ‘strong’ – the ‘strong’ theorist, the weak
theorist). Insistenza che non gli impedisce di evidenziare come il laico
proprio dello Stato italiano pluralista e democratico coincida con il laico
debole o largo, ossia con quella capace di ospitare in sé tutte le visioni del mondo,
sia quelle di matrice religiosa sia quelle di matrice agnostica o atea. --
è vivamente persuaso del valore e della necessità della filosofia. Da ciò il
suo costante impegno ad argomentare con chiarezza questa tesi, mediante una
proposta la cui peculiarità consiste nel ritenere che, prima di chiedersi (come
si fa solitamente) se la filosofia sia utile o meno, bisogna chiedersi se da
essa si possa prescindere o meno, ossia se sia davvero possibile, per l'uomo,
vivere senza filosofare. Su questo punto non ha dubbi: la filosofia è
un'esigenza che sgorga dalla vita stessa e dalle sue ineludibili domande, al
punto che l'uomo, come non può fare a meno di respirare e pensare, così non può
fare a meno di fare filosofia. Queste considerazioni vengono più organicamente
sviluppate in “Utilità della filosofia”. Tra filosofia e diritto:
indisponibilità e disponibilità della vita. è uscito per i tipi di Pomba un
nuovo volume, forse il più importante della sua produzione saggistica dal
titolo Indisponibilità e disponibilità della vita: una difesa filosofico
giuridica del suicidio assistito e dell'eutanasia volontaria. Si tratta di una
vasta indagine filosofico giuridica che approfondisce
con chiarezza una delle dicotomie fondamentali della cultura contemporanea,
quella tra indisponibilità e disponibilità della propria vita. E ciò non solo
sul piano storico-descrittivo (nel cui ambito offre comunque una documentazione
amplissima che va dalla filosofia alla bioetica, dal diritto alla giurisprudenza
italiana) ma anche e soprattutto su quello teorico-propositivo. Esaminando
a vario titolo questo binomio e mostrandone le rilevanti concretizzazioni
giuridiche e penalistiche, l'opera approfondisce il tema del "diritto di
morire", che viene definito come il diritto di congedarsi volontariamente
dalla propria vita e studiato nelle sue tipologie più note (suicidio, rifiuto
delle cure e morte assistita). Nella parte centrale del saggio si mette
organicamente a fuoco il nesso fra il diritto di vivere e il diritto di morire,
inteso, quest'ultimo, come il versante negativo del diritto di vivere. Su
questa base,perviene a prendere apertamente posizione a favore della morte
medicalmente assistita, che viene originalmente configurata come un nuovo e
peculiare "diritto di libertà" giuridicamente articolato. Insiste
sulla "inaggirabilità" della filosofia anche in ambito giuridico,
soprattutto in rapporto alle complesse e cruciali questioni del fine
vita. La filosofia contemporanea, IV*, Pomba, Torino, Storia della
filosofia, La filosofia contemporanea, IV**, Pomba, Torino, Dizionario di
filosofia, Pomba, Torino, Le filosofie del Novecento, B. Mondadori, Milano, Opere
su bioetica, laicità e diritto Bioetica cattolica e bioetica laica, B.
Mondadori, Milano, Laicità debole e laicità forte, B. Mondadori, Milano, Laici
e cattolici in bioetica: storia e teoria di un confronto (in collaborazione con
M. Mori), Le Lettere, Firenze
Indisponibilità e disponibilità della vita: una difesa filosofico
giuridica del suicidio assistito e dell'eutanasia volontaria, Pomba, Torino.
Articoli e interventi su bioetica e laicità Un passo in avanti. Risposte a
Mordacci e Corbellini, in Vale ancora la contrapposizione tra bioetica
cattolica e bioetica laica?, «Politeia», Due significati irrinunciabili di laicità,
in La laicità vista dai laici, E.
D'Orazio, EgeaUniversità Bocconi Editori, Milano, Etsi non daretur, laicità e
bioetica da Scarpelli a Lecaldano, in Eugenio Lecaldano. L'etica, la storia
della filosofia e l'impegno civileDonatelli e M. Mori, Le Lettere, Firenze, Bioetica,
laicità e "bioetica laica", in Diritto, Bioetica e Laicità. Commenti
a Bioetica tra "morali" e diritto diBorsellino, «Politeia», Non
esiste solo la "bioetica cattolica". Nota sui rapporti fra i valdesi
e la bioetica, «Bioetica. Rivista interdisciplinare», Il "maggior bio-eticista
cattolico". Considerazioni sul paradigma bioetico di Sgreccia e sulle sue
peculiarità e differenze rispetto ad altri modelli bioetici di matrice
cattolica, in Vita, ragione, dialogo. Scritti in onore di Elio Sgreccia,
Cantagalli, Siena,Risposte ai critici, in Il dibattito su bioetica laica e
bioetica cattolica. Commenti a Laici e cattolici in bioetica di G. Fornero e M.
Mori, «Politeia»,Scarpelli e il tema della laicità, in L’eredità di Uberto
ScarpelliBorsellinoS. SalardiM. Saporiti, Giappichelli, Torino, Voce Laicità,
in Enciclopedia di bioetica e scienza giuridica, diretta da E. SgrecciaA.
Tarantino, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, Bioetica cattolica e
bioetica laica: tra passato e presente, in L. Lo Sapio, Bioetica cattolica e
bioetica laica nell'era di papa Francesco. Che cosa è cambiato?, con un saggio
di G. Fornero, POMBA, Milano, Magistero bioetico cattolico e bioetica
laico-secolare: tra passato e futuro, in
Bioetica tra passato e futuro. Da van Potter alla società 5.0, E.
LargheroM. Lombardi Ricci, Edizioni Effatà, Cantalupa (TO), Manuali Filosofi e
filosofie nella storia, Paravia, Torino, Protagonisti e testi della filosofia,
Paravia, Torino, Itinerari di filosofia, Paravia, Torino 2002 La filosofia,
Paravia, Torino, La ricerca del pensiero, Paravia, Torino Percorsi della filosofia, Paravia,
Torino L'ideale e il reale, Paravia,
Torino Con-Filosofare, Paravia,
Torino I nodi del pensiero, Paravia,
Torino. «La Stampa», 2 «Avvenire», Filosofia, bioetica, laicità e diritto. Sito
ufficiale, su giovannifornero.net. Giovanni Fornero. SWIF Sito web italiano per
la filosofia, su swif.uniba. Filosofia analitica Lingua Segui Modifica
Con l'espressione filosofia analitica ci si riferisce ad una corrente
filosofica sviluppatasi a partire dagli inizi del XX secolo, per effetto
soprattutto del lavoro di Gottlob Frege, Bertrand Russell, George Edward Moore,
dei vari esponenti del Circolo di Vienna e di Ludwig Wittgenstein.[1] Per
estensione, ci si riferisce a tutta la successiva tradizione filosofica
influenzata da questi autori, prevalente nel mondo anglofono (Regno Unito,
Stati Uniti, Canada, Australia), ma attiva anche in molti altri paesi.
OriginiModifica Alla fine del XIX secolo, Gottlob Frege ed altri portarono ad
un notevole avanzamento nel campo della logica. L'idea fondamentale del
movimento del circolo di Vienna era di applicare questo nuovo metodo logico,
detto positivismo logico, ai tradizionali problemi filosofici. I risultati di
questo metodo sono controversi, tuttavia è innegabile che tale tentativo abbia
portato importanti ripercussioni e sviluppi in una serie di campi, quali ad
esempio l'informatica e lo studio del linguaggio nei suoi vari aspetti:
sintassi, semantica, pragmatica. Tra gli altri assunti del positivismo
logico si possono ricordare la concezione della filosofia come uno strumento
d'indagine che possa emendare il linguaggio dalle sue ambiguità, dalle sue
intrinseche contraddizioni e perplessità, proponendosi come un metodo teso a
disvelare l'origine di alcuni problemi "filosofici" da un utilizzo
idiosincratico delle forme linguistiche. La filosofia analitica dopo gli
iniziModifica Se il positivismo logico aveva tratto ispirazione dalle tesi
sostenute da Ludwig Wittgenstein nel suo Tractatus, è possibile legare lo
sviluppo della filosofia analitica alle revisioni e agli sviluppi cui
Wittgenstein stesso sottopose la propria prima filosofia, suggestioni raccolte
ed elaborate in seguito da altri pensatori. La filosofia del tardo Wittgenstein
non adotta i medesimi strumenti dei neopositivisti – l'analisi logica ed il
metodo scientifico – ma piuttosto si concentra sugli scopi e i diversi contesti
reali di utilizzo del linguaggio. La filosofia analitica delle origini e
il positivismo logico condividevano un generale atteggiamento anti-metafisico,
centrato per il secondo sul principio di verificazione. I filosofi Karl Popper
con il suo falsificazionismo già dal 1934, e George Edward Moorein un articolo
pubblicato nel 1938, considerarono il principio verificazionista ideato dai
neopositivisti come esso stesso una teoria metafisica, ovvero un assunto
passibile delle medesime critiche che il Circolo di Vienna rivolgeva alla quasi
totalità delle filosofie classiche. Sul piano dell'analisi del linguaggio
quindi, la filosofia analitica sposterà la propria ricerca principalmente sugli
aspetti propri di ogni forma di asserzione linguistica – rinunciando quindi al
progetto neopositivista di costruire un linguaggio formalizzato su basi puramente
logiche – e concentrando l'attenzione sull'uso reale del linguaggio, così come
viene suggerito dal Wittgenstein della teoria dei giochi linguistici. Il
metodo Modifica Ciò che
contraddistingue la filosofia analitica non è un insieme di tesi ma piuttosto
un metodo, o uno stile, filosofico. In particolare, possiamo individuare
quattro elementi caratterizzanti. Il primo è il valore dell'argomentazione.
Quando si presenta una tesi si deve sostenerla attraverso un argomento, si
devono rendere esplicite le ragioni a favore (ed eventualmente contro) ciò che
si afferma. Affinché tesi ed argomenti possano essere valutati è fondamentale
usare la massima chiarezza possibile, ad esempio dando delle definizioni di
tutti i termini non di uso comune. Il secondo è l'utilizzo di tecniche di
logica formale nell'esposizione della teoria. Ad esempio, il linguaggio modale
(della possibilità e della necessità) viene analizzato attraverso la semantica
dei mondi possibili sviluppata, fra gli altri, da Ruth Barcan Marcus e Saul Kripke.
Il terzo elemento è il rispetto per i risultati delle scienze naturali.
Non tutti i filosofi analitici lavorano su problemi che sono vicini a quelli
trattati dalle scienze naturali, benché molti lo facciano. Ma è generalmente
accettato che non è lecito per un filosofo contraddire risultati ampiamente
accettati nelle scienze naturali, a meno di non fornire in effetti un argomento
di valore scientifico a sostegno del proprio rifiuto. Infine, viene spesso
messo in rilievo il valore del senso comune. A parità di altre condizioni, una
teoria filosofica che preserva le verità del senso comune (ad esempio che
esistono oggetti materiali, esistono persone, etc) è migliore di una che le
contraddice.[senza fonte] Il rapporto con la filosofia continentale Modifica La filosofia analitica è talvolta
contrapposta alla filosofia continentale, termine con cui ci si riferisce a
movimenti come l'idealismo tedesco, il Marxismo, la psicoanalisi,
l'esistenzialismo, la fenomenologia, l'ermeneutica ed il Post-strutturalismo.
Ad ogni modo, non mancano i tentativi di sintesi tra le due impostazioni
filosofiche (ad esempio quelli di Hilary Putnam e Richard Rorty). Breve
storia della filosofia analitica Modifica
G. E. Moore e la Common Sense Philosophy(filosofia del senso comune). Rifiuto
dell'idealismo post-hegeliano britannico. Bertrand Russell: Analisi logica,
atomismo logico. (Primo) Wittgenstein: Tractatus. logica formale. Filosofia del
linguaggio ideale. Positivismo logico ed empirismo logico. circolo di Vienna.
Rudolf Carnap. Verificazionismo. Distinzione Analitico-Sintetico. Rifiuto della
metafisica, etica ed estetica. Emotivismo. Scuola di Oxford. Gilbert Ryle, John
Langshaw Austin. secondo Wittgenstein. Filosofia del linguaggio comune. Tarde
pubblicazioni di Wittgenstein. filosofia linguistica Pragmatismo americano.
Emigrazione di logici e scienziati dall'Europa verso gli Stati Uniti. Filosofia
della scienza. Comportamentismo. Willard Van Orman Quine. Filosofia del
linguaggio. Semantica del linguaggio naturale. Donald Davidson. Oxford negli
anni settanta. Peter Strawson, Michael Dummett, John McDowell, Gareth Evans.
Revival della Filosofia politica: John Rawls, Robert Nozick, Ronald Dworkin,
Bernard Williams. Filosofia della mente, scienze cognitive. Alan Turing. Paul
Churchland & Patricia Smith-Churchland. Neopragmatismo: Richard Rorty,
Hilary Putnam. Note Modifica
^ Preston. Voci correlate Modifica
Filosofia continentale Società Italiana di Filosofia Analitica Collegamenti
esterni Modifica
filosofia analitica, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 2009. Modifica su Wikidata ( EN ) Filosofia analitica / Filosofia
analitica (altra versione), su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN ) Aaron Preston, Analytic
Philosophy, in The Internet Encyclopedia of Philosophy, ISSN 2161-0002 (WC ·
ACNP). URL consultato il 5 maggio 2017. Controllo di autorità Thesaurus BNCF 18345 · LCCN( EN ) sh85004780 ·
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Filosofia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Filosofia Ultima
modifica 2 mesi fa di Synoman Barris PAGINE CORRELATE Rudolf Carnap filosofo
tedesco Positivismo logico movimento filosofico-scientifico Note
sulla logica testo del filosofo Ludwig Wittgenstein. WikipediaGiovanni
Fornero. Fornero. Keywords. confilosofare, “Che cosa e la filosofia analitica?
Ryle, Wisdom, Strawson, Austin, Grice.” Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fornero”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759957623/in/dateposted-public/
Grice e
Formaggio – l’arte come comunicazione – filosofia della tecnica artistica –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like
Formaggio; for one, he philosophised on aesthetics – estetica filosofica, he
calls it – along phenomenological lines – on the other, he took very seriously
the idea of Latin ‘ars’ – and concludes that an ‘artificium’ is meant as
‘communicative’.” Inizia a lavorare in fabbrica quando trova impiego alla Brown
Boveri di Milano. Ben presto però la sua indole portata allo studio, supportata
da una vivace intelligenza, lo spronò a iscriversi alle scuole serali.
Quest'esperienza, che accomunava lo studio al lavoro, dura ma anche formativa
(nel frattempo aveva cambiato lavoro, passando alle Orologerie Binda per avere
più tempo libero da dedicare allo studio), acuì sempre più la sua sensibilità
verso i problemi sociali, che costituiranno in seguito, anche quando diventerà
professore a Milano e Pavia, il soggetto prevalente del suo percorso culturale,
sia filosofico che umano. Venne trasferito a Motta Visconti. Pur
insegnando, proseguì gli studi a Milano, dove si laurea, relatore Banfi, con “L’arte
come comunicazione. Fenomenologia dell'arte” o “rapporto tra arte e tecnica
nelle estetiche europee contemporanee, avveniristica per quei tempi, incentrata
com'era sul tema della “tecnica” artistica.
Nei primi anni del dopoguerra, dopo aver partecipato attivamente alla lotta
partigiana, entra a far parte dell'Università Statale di Milano come assistente
alla cattedra di Estetica. Collabora anche alla rivista Studi filosofici e
pubblica alcuni saggi, come “Fenomenologia della tecnica artistica”, riprendendo
e ampliando la sua tesi di laurea. In virtù di questo saggio, si aggiudica
l'incarico alla cattedra di Estetica di Pavia. Si trasferì in Veneto, dopo
aver vinto il concorso a cattedra a Padova, in un periodo molto difficile per
tutto il mondo accademico italiano e in modo particolare per quello di Padova a
causa delle forti tensioni causate dalla rivolta studentesca prima, e dal
nascente terrorismo armato poi, assumendo dapprima l'incarico di preside della
Facoltà di Magistero e poi quella di pro-rettore. Ricoprì la cattedra a Milano,
della quale fu poi professore emerito. Gli allievi pubblicarono un libro in suo
onore Il canto di Seikilos. Scritti per Dino Formaggio. Gli fu conferito il
premio Lion d'Or International 1996 nell'arena romana di Nîmes per le
pubblicazioni di filosofia e il suo impegno civile. A Teolo, comune della
provincia di Padova, gli è stato dedicato il Museo di arte contemporanea, la
cui nascita è stata resa possibile da alcune donazioni all'ente effettuate
grazie al suo interessamento, e la cui collezione comprende opere di autori del
XIX e Professore quali Dino Lanaro, Aligi Sassu, Medardo Rosso e Renato
Birolli. Il Fondo librario Dino Formaggio è stato donato dagli eredi alla
Biblioteca di Filosofia di Milano nel ed
è costituito dalla consistente biblioteca filosofica di studio (oltre 2200
volumi). Il fondo è stato recentemente catalogato ed è ora disponibile alla
consultazione e in parte, al prestito. Tutti i volumi sono stati associati al
possessore, riportano lo stato della copia e segnalano la presenza di note,
commenti, dediche, firme autografe. Sono in fase di catalogazione i periodici.
Potete trovare le notizie bibliografiche di tutti i testi della ricca
biblioteca nel Catalogo di Ateneo. Altre opere: “Fenomenologia della tecnica
artistica” (tecnica tecnica arte artistico); Piero della Francesca; Il Barocco
in Italia; L'idea di artisticità – arte artistico artisticita – tecnica
tecnicista, tecnicisticita; Arte; La morte dell'arte e dell'estetica; Van Gogh
in cammino; I giorni dell'arte; Problemi di estetica; “Separatezza e dominio; Filosofi
dell'arte del Novecento; Il canto di Seikilos. Scritti per Dino Formaggio,
Guerini, Milano. Pierluigi Panza, Padre dell'Estetica
Fenomenologica italiana, in Corriere della Sera, Museo di Arte Contemporanea
"Dino Formaggio" di Teolo, Introduzione al Museo, su//comune.teolo.pd.
Scuola di Milano Museo di arte contemporanea Dino Formaggio. "Arte ed Emozioni"Intervista a Dino
Formaggio, su emsf.rai. 3 Museo d'arte contemporanea Dino Formaggio, su
turismopadova. "Filosofo dell'arte e maestro di vita" di Vladimiro
Elvieri, Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani
Elio Franzini, Ricordo, Davide Eugenio Daturi, "Il perché e il come
dell'arte: l'estetica di Dino Formaggio", sito della mostra
bibliografico-documentaria Milano. Nazione comunità di individui che
condividono alcune caratteristiche comuni quali la lingua, il luogo geografico,
la storia ed un governo Lingua Segui Modifica Il termine nazione (dal latino
natio, in italiano«nascita») si riferisce ad una comunità di individui che
condividono alcune caratteristiche come il luogo geografico, la cultura (cioè
la lingua, la religione, la storia e le tradizioni), l'etnia ed, eventualmente,
un governo.[1][2] Un'altra definizione considera la nazione come uno
"stato sovrano" che può far riferimento a un popolo, a un'etnia, a
una tribù con una discendenza, una lingua e magari una storia in comune.
Una differente corrente di pensiero, che fa riferimento all'idea di nazione in
quanto realtà oggettiva e legata a pensatori riconducibili a diverse
espressioni politico-culturali, include tra le caratteristiche necessarie di
una nazione il concetto di sangue (Herder) o di «consanguineità»
(Meinecke).[3] Un'altra definizione vede la nazione come una «comunità di
individui di una o più nazionalità con un suo proprio territorio e governo» o
anche «una tribù o una federazione di tribù (come quella degli indiani nordamericani)».[4]
È appoggiandosi a tali nozioni che si è sviluppato negli anni '70 il concetto
di micronazione. Alcuni autori, come Jürgen Habermas, considerando
obsoleta la nozione tradizionale di nazione, si riferiscono a essa come a un
libero contratto socialetra popoli che si riconoscono in una
Costituzionecomune[senza fonte]. Tale concetto, in questo caso, si estenderebbe
anche a quello di patria e il patriottismonazionale verrebbe così rimpiazzato
dal «patriottismo costituzionale».[5] o grazie al concetto di "gruppo di
appartenenza": la nazione è tale dal punto di vista politico. Ciò prevede
un profondo senso del "noi", pace e ordine al suo interno, una serie
di simboli e miticomuni, la garanzia di protezione e la consapevolezza della
durevolezza nel tempo della nazione rispetto ai singoli individui.
CaratteristicheModifica Il senso del "noi" si sviluppa nella
popolazione spesso grazie al confronto con il "gruppo esterno", che
alle volte assume la forma di un odiato nemico. Un esempio può trovarsi nella
storica rivalità tra nazione francese e nazione tedesca: entrambe hanno
caratterizzato la loro identità nell'ostilità rispetto al vicino. Una nazione
può essere rappresentata da uno Stato, che garantisce un ordinamento giuridico
e ne afferma la sovranità. In tal caso si parla di Stato-nazione. Oltre gli
stati esistenti, alcuni partiti politici e associazioni rivendicano di
appartenere a nazioni senza Stato e, per quanto riguarda l'Europa occidentale,
si riuniscono nella Conferenza delle nazioni senza stato d'Europa occidentale
(CONSEU). L'organizzazione che raccoglie nazioni e popoli non rappresentati di
tutto il mondo è l'Organizzazione delle nazioni e dei popoli non rappresentati
(UNPO). Ernest Renan definisce nazione come l'anima e il principio spirituale
di un popolo, che gode di una ricca eredità di ricordi e del consenso attuale.
Ne consegue che la nazione esiste finché trova posto nella mente e nel cuore
delle persone che la compongono. L'idea di nazione matura nel
tempo. Giustificazione storica della nazione è fornita da opere
letterarie, da poesie e da canti, composti anche in un passato molto lontano ma
che vengono rapportati al presente; classica giustificazione della nazione
tedesca è riscontrabile nella Germania di Tacito, in cui i popoli abitanti nel
cuore dell'Europa vengono esaltati come valorosi, leali e incorrotti: è
probabile che Tacito abbia voluto in questo modo fare una critica della società
romana, dando comunque materiale ai tedeschi per legittimare la propria
superiorità. Nell'uso quotidiano erroneamente i termini come nazione,
stato e paese vengono usati spesso come sinonimi per indicare un territorio
controllato da un singolo governo, o gli abitanti di quel territorio o il
governo stesso; in altre parole lo Stato. In senso stretto tuttavia,
nazione indica le persone, mentre paese indica il territorio e stato la
legittima istituzione amministrativa. Per aumentare la confusione, i termini
nazionale e internazionale si applicano agli Stati. Nonostante al giorno
d'oggi molte nazioni coincidano con uno Stato, le cose non sono sempre andate
così in passato e ancora oggi esistono nazioni senza Stato[6]e viceversa ci
sono degli stati formati da più nazioni. Vi sono anche stati senza
nazione.[senza fonte] Occorre infine ricordare che con il termine
"nazioni" in passato si intendevano anche associazioni di mercanti
aventi la stessa nazionalità e residenti in uno Stato estero per motivi di
commercio verso il cui governo erano rappresentati da propri consoli (diversi
dalle rappresentanze statali presso altri stati). Il concetto di nazione
nella storiaModifica Antichità e testi sacriModifica L'archetipo della nazione
d'IsraeleModifica La Bibbia descrive il concetto di nazione (nationes o gentes)
come "una delle grandi divisioni naturali della specie umana uscita dalle
mani di Dio creatore, espressione della diversità visibile della società
umanasulla terra". Le nazioni sono il risultato della divisione
dell'umanità in schiatte, stirpi e popoli, come il fruttodel superamento
dell'unità originaria del genere umano. La Genesi racconta del passaggio
da un primitivo universalismo a una dispersione dei popoli, causata forse nel
tempo attraverso la discendenza dei figli di Noè, sopravvissuti con lui al
Diluvio universale, o repentinamente dall'edificazione della torre di Babele.
L’Apocalisse di San Giovanni pronostica un ripristino dell'antico
universalismo, secondo un piano di salvezza che riguarderà tutte le nazioni e
non soltanto il popolo d'Israele. Di preferenza, nelle Sacre scritture il
termine "nazione" ricorre per indicare i nemici pagani del popolo
eletto, quelle nazioni, cioè, che non riconoscono Dio e la sua potenza. Il
popolo di Dio deve lottare e combattere le nazioni per difendersi dalla
sottomissione e dall'errore. Tutto ciò riconduce a un sentimento di
nazionalismo. La nazione di Israele nasce come "lega sacra" tra
le varie tribù ebraiche, su una base al tempo stesso etnica e religiosa. Sarà
questa unione culturale (variabile culturale) a tenere unito il popolo di Dio,
anche in assenza di una forma politica stabile. GreciaModifica Possiamo
tradurre in greco il termine nazione con "ethnos", sebbene questa
voce abbia assunto un elevato numero di connotazioni: popolo (greco o barbaro),
forme politiche associative non riconducibili alle polis, ma anche un popolo o
una comunità etnica con un proprio statuto politico-giuridico e un'autonoma
struttura costituzionale. Il termine ethnos indica non tanto "una
popolazione dispersa su un territorio esteso, che vive in villaggi e unita da
legami politici deboli e intermittenti", quanto un insieme, etnicamente
omogeneo, di comunità politiche locali, con un'identità politica fondata
essenzialmente sull'elemento territoriale. Il termine genos indica la comune
discendenza, la provenienza da uno stesso ceppo, i vincoli di sangue, ma
generalmente non esprime vincoli di appartenenza politica. I differenti
popoli che formano la nazione (ethnos) ellenica sono accomunati su vincoli di
sangue (variabile naturale) più che da legami di tipo culturale o politico territoriale.
L'evento che più di ogni altro ha unito i greci in un sentimento unitario, sono
state le Guerre persiane.Socrate distingue la rivalità interna e la definisce
"discordia", dalla minaccia di altri popoli, che chiama "guerra".
La superiorità culturale e politica dei greci rispetto ai barbari favorisce un
sentimento di unione non solo di sangue, ma anche politica e culturale, che si
perpetuerà oltre la contingenza persiana, anche se non si raggiungerà mai la
realizzazione di una nazione in senso proprio, libera da conflitti interni e
rivolta a un espansionismo esterno. RomaModifica È nel mondo romano che
il termine nazione fa la sua comparsa per la prima volta e viene utilizzato con
sfumature diverse. Nel suo significato immediato la natio richiama la nascita e
l'origine, la comunità di diritto alla quale si appartiene per vincolo di
sangue, secondo uno degli usi restrittivi che già si trova nella tradizione
biblica. Nell'uso romano la natio è anche la terra nella quale si è nati, il
luogo d'origine, di appartenenza o di provenienza. Generalmente natioviene
utilizzato per indicare le popolazioni straniere, alleate o sottomesse a Roma.
Altre volte indica popolazioni ostili alla Res pubblica, o popolazioni barbare
e arretrate. A differenza di gens, che indica una stirpe intera (ad
esempio la gens Germanica), natio indica le singole tribù. Il termine
natio ha assunto dunque valenze e connotazioni diverse, che indicavano
l'esistenza di vincoli di appartenenza politica basati sul sangue, sull'affiliazione
tribale e sui legami territoriali, ma non la presenza di un ordine politico
complesso e articolato, di un livello di civiltà lontanamente paragonabile a
quello romano. Questo spiega perché, per indicare Roma, il sostantivo natio
venga sostituito da civitas, patria, res pubblica, Urbs. MedioevoModifica
Il Medioevo è un periodo di mezzo fra il mitodell'universalismo (realizzato
antecedentemente sotto forma di impero) e il particolarismo nazionale che si
realizzerà nei secoli a venire. È un periodo importante, che pone le basi per i
successivi mutamenti storici e sociali. Tra l'età tardoromana e l'inizio
dell'Alto medioevo vanno ricercati i fattori e gli elementi dalla cui
combinazione scaturirà in seguito la maggior parte delle nazioni storiche che
ancora oggi compongono la carta politica dell'Europa. Il Medioevo è il
periodo d'elezione per studiare la formazione di buona parte degli stati
europei. Le nationes universitarieModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Nationes, Peregrinatio academica,
Clerici vagantes e Authentica Habita. Le nationes universitarie, sorte nelle
Università medievali d'Europa dal XIII secolo in avanti, sono una delle
espressioni storicamente più significative del compromesso tra universalismo e
particolarismo. Gli scholares vagantes si muovono da tutta Europa per
apprendere nelle diverse città europee gli insegnamenti impartiti da magistri a
loro volta provenienti da ogni paese. Particolarismo dettato dalla loro
provenienza territoriale. Universalismo caratterizzato dal sapere (universale
appunto). Al tempo stesso, le corporazioni e associazioni cui davano vita
nelle città che li ospitavano per difendersi reciprocamente dalle pressioni dei
poteri locali, tendono a strutturarsi in funzione della loro differente
provenienza geografica, sulla base dunque della terra d'origine, della lingua
materna e della diversità di costumi. "L'università divenne il
centro e il punto di partenza dell'organizzazione nazionale". Le
nationes mercantili e conciliariModifica Più rilevante è stata la funzione
svolta dalle nationes mercantili. Si tratta di comunità forestiere composte da
commercianti e operatori economici stabilmente insediate all'estero.
Similitudini con le nationes universitarie: Nascita spontanea, volontaria
e limitata nel tempo; Garantire assistenza e tutelare gli interessi
professionali; L'aggregazione avviene in base a criteri
linguistico-territoriali; In generale, le nationes mercantili hanno avuto un
ruolo più spiccatamente politico-rappresentativo: non si sono limitate alla
salvaguardia dei privilegi e delle concessioni ottenuti dal potere locale o al
perseguimento di comuni obiettivi materiali, ma hanno anche perseguito lo
sviluppo delle relazioni economiche e politico-diplomatiche tra paesi e la definizione
di modelli socioculturali e d'identità politico-territoriali. Si può dunque
dire che hanno storicamente contribuito alla costruzione della futura Europa
delle nazioni. Agli interessi dei commercianti si affianca la solidarietà
patriottica, l'affinità culturale e religiosa, una lingua comune e un comune
sentimento riferiti a una città/regione/nazione. Il principio qui
stabilito, se da un lato dimostra come in questa fase storica l'appartenenza (o
identità) nazionale sia ancora priva di rilevanti connotazioni politiche,
dall'altro conferma come i valori etnolinguistici che sono alla base di quella
che potremmo definire l'idea di nazione culturale fossero già pienamente attivi
nella mente delle classi dirigenti e dei ceti intellettuali dell'epoca.
Dalla Riforma alla Rivoluzione Modifica
A partire dal '500 fenomeni come l'accentramento del potere politico nelle mani
dei sovrani, l'affinamento letterario delle lingue vernacolari, il radicamento
su base territoriale delle chiese riformate producono, su gran parte del
territorio europeo, il progressivo consolidarsi del sentimento collettivo e
della coscienza unitaria di sempre più vaste comunità umane, che cominciano ad
assumere una fisionomia e un'identità nazionale. Machiavelli: Il termine
nazione assume un significato generale ed estensivo poiché si riferisce a
collettività straniere, a popolazioni e a paesi oppure può richiamare una o più
comunità con la loro particolare fisionomia storica e culturale. Nazione indica
dunque differenze linguistiche e territoriali, diversità culturali, ma anche la
continuità storica che caratterizza la vita di un popolo rendendolo specifico e
differente dagli altri. Guicciardini: Oltre agli usi scontati (luogo di
nascita, paese di appartenenza, popolazioni barbare straniere), nazione indica
anche una comunità etnico-territoriale distinta dal punto di vista della
cultura. (Gli Svizzeri si alleano col Ducato di Milano per respingere i
Francesi). Nascita delle "chiese nazionali" (cuius regio, eius
religio). Distacco teologico ma anche politico e linguistico rafforza il senso
di appartenenza. In questa fase è possibile individuare una profondità
storica: il termine nazione non indica soltanto coloro che su un dato
territorio condividono la stessa lingua, gli stessi costumi e la stessa
religione, ma un insieme di caratteri e di legami che rimanda ad un passato
percepito come unico e peculiare, con una sua forza vincolante. Per il
periodo storico compreso tra Rinascimento e Rivoluzione francese possiamo
distinguere tre modelli o varianti del concetto di nazione: Nazione
statale: la nazione si forma sotto la spinta dello Stato. La crescita del
sentimento nazionale è proporzionata alla crescita dello Stato (territoriale).
Es. Inghilterra[7]; Nazione culturale: sviluppata in quegli stati in cui il
modello politico statuale si è sviluppato con maggiore ritardo (Germania,
Italia). La nazione coincide in questo caso con una comunità popolare basata
sulla cultura, sulla lingua e sulle tradizioni storiche. Nazione politica
sovrana. La nazione costituisce un'unione volontaria di cittadini che si pone,
al posto dell'antico sovrano, come fondamento esclusivo dello Stato. Da qui si
sviluppa una sovranità politica. Es. Francia rivoluzionaria. La nazione
culturale Modifica Si
sviluppa nel '700. Fonda la sua coesione sulla lingua, sulla cultura e sulla
tradizione (Herder), non sull'astratta rigidità di un'obbligazione politica
(Kulturnation). Secondo Herder nella vita di una nazione, l'unità di cultura e
di lingua viene prima dell'unità politica, dello Stato e della costituzione. I
vincoli culturali sono più stabili e duraturi di quelli istituzionali. Esempi
di nazione culturale (Germania, Italia). Herder teorizza la nazione come un
fattore di progresso civile e morale, nonché come un tramite fra l'individuo e
l'umanità. Realizzando sé stesso all'interno di una realtà sociale
culturalmente omogenea e spiritualmente coesa, l'uomo può più facilmente
attingere alla dimensione dell'universalità e realizzare la sua natura sociale
(visione universalistica). La nazione politica - Visione romantica di
Rousseau Modifica Pone al centro la
volontà degli individui che vi fanno parte (volontà di costituire una nazione),
piuttosto che la natura e la storia, come fattore fondante della nazione
politicamente intesa. Richiamo al sentimento piuttosto che alla ragione
(Rousseau). R. sottolinea l'importanza che le istituzioni, la volontà politica
e un agire sociale collettivo sorretto dalla passione comune e dalla
consapevolezza di sé e della propria identità rivestono nel salvaguardare e
rafforzare il sentimento di appartenenza nazionale di qualunque identità
politica. A proposito delle diversità dei popoli Rousseau afferma che sono le
forme di governo, i sistemi di legislazione e le leggi che devono adattarsi allo
spirito dei popoli e al loro carattere. Per Sieyès il terzo Stato
rappresenta la nazione intesa proprio come un organo assoluto senza il quale lo
Stato non esisterebbe. Gli ordini privilegiati sono qualcosa di esterno alla
nazione. Minoranza infima e inutile. Ciò che lega una nazione non è dunque la
comune origine storica, la lingua, i costumi o il territorio, ma la volontà
degli individui, tutti ugualmente liberi. Volontà non alimentata da retaggi
storici ma da sé stessa. Ottocento Modifica
In seguito al periodo rivoluzionario, il campo semantico del termine nazione si
allarga notevolmente: da semplice realtà collettiva caratterizzata da usi e
costumi a soggetto originario dell'organizzazione della società, la comunità
fondamentale che legittima le istituzioni che organizzano la vita
collettiva. Associazione con altri termini: popolo, patria, libertà,
cittadinanza, Stato, volontà, sovranità. Aspetto terminologico Modifica Nel
XIX secolo il concetto di nazione diventa globale e inclusivo in corrispondenza
della nascita degli stati-nazione. Indica quindi la totalità degli abitanti di
un paese, si avvicina al concetto di cittadinanza e spesso si rivela
indipendentemente da componenti culturali o etniche. Dunque nazione coincide
sempre più con "insieme dei cittadini" o "popolo", il quale
assume la valenza di un soggetto politico unitario composto da uguali. Al
contempo la nazione si compenetra alla patria. Nasce il nazionalismo.
Aspetto relativo al contesto in cui si impone la nazione Modifica Mutamenti legati alla
rivoluzione industriale (sviluppi trasporti, comunicazioni di massa,
urbanizzazione). La nazione rimane un punto di riferimento per i cittadini
innanzi ai mutamenti sociali. Attivismo politico di nuovi ceti e gruppi
sociali di matrice borghese. Dunque nazione come fattore di integrazione
socioculturale innanzi alla disgregazione delle rivoluzione industriale.
La nazione ha bisogno di basi storiche e culturali su cui radicarsi:
costruzioni più o meno spontanee da parte di poeti, storici, scrittori,
filosofi, linguisti e filologi (intellettuali). Nazionalizzazione (attribuire
un significato nazionale) dei miti del passato. Dunque dare radici storiche a
qualcosa di già esistente. Alcuni approcci alla nazione elaborati nel
sec. XIX Modifica Magnifying glass icon
mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Nazionalità. La nazione romantica Modifica Visione illuministica:
nazione come realtà nella quale si riconoscono gli esseri illuminati e i popoli
i cui costumi siano stati segnati dalla logica del progresso storico. Visione
romantica: nazione come sfera di appartenenza particolaristica ma non
esclusiva. La nazione non può fare a meno di entrare in rapporto con la cultura
e lo spirito delle altre nazioni e degli altri popoli, insieme con i quali essa
costituisce un più vasto organismo vivente. I popoli possono vivere in armonia
mantenendo la propria individualità. Passaggio dallo spirito
cosmopolitico settecentesco al nazionalismo ottocentesco. Fichte: solo la
nazione tedesca (grazie alla sua superiorità linguistica e culturale, ecc.) può
fare da guida politico-spirituale a beneficio dell'intero genere umano.
Realizzare il cosmopolitismo partendo dal nazionalismo. La Germania è
superiore: dunque è l'unica in grado di generare quell'universalità. La
superiorità linguistica della nazione tedesca, secondo Fichte, è legata alla
capacità dell'Urvolk ("popolo originario") di mantenere e
salvaguardare la propria lingua originaria ("Ursprache") da influssi
stranieri, restando stanziati sul territorio d'appartenenza, a differenza di
altri ceppi germanici che, migrando, hanno favorito il modificarsi non solo
delle proprie abitudini comportamentali, ma anche della propria lingua. Dunque,
il popolo tedesco è l'unico popolo, il popolo non corrotto dal progresso e dalle
regole. Nazione, libertà, umanità Modifica
Le differenze fra nazione culturale e politica non sono così individuabili da
un punto di vista dell'analisi pratica (sangue e volontà si mescolano).
La nazione italiana: non è qualcosa da costruire ex novo, ma è una comunità
naturale che deve essere risvegliata dandole uno Stato e un assetto politico
unitario. Per gli autori italiani, il termine nazione è unito alla libertà,
alla politica e allo Stato. Al contrario degli intellettuali tedeschi come
Herder, quelli italiani pensano che le variabili culturali siano solo un punto
di partenza per giungere a una nazione in senso politico, libera e sovrana,
dotata di istituzioni e di un governo che ne rispecchi la specificità.
Mancini: le nazioni costituiscono una dimensione naturale e necessaria della
storia umana, la cui vitalità storica dipende tuttavia dalla loro libertà e
indipendenza, dal fatto cioè di essere non un mero aggregato di fattori
naturali e storici (territorio, lingua, ecc.), bensì un corpo politico e di
possedere un governo, una volontà giuridica e leggi proprie. Senza lo Stato la
nazione rischia di restare un corpo inanimato. Mazzini vede nella nazione
la base politica della sovranità popolare e dello stato democratico: "Per
nazione noi intendiamo l'universalità de' cittadini parlanti la stessa favella,
associati, con eguaglianza di diritti politici, all'intento comune di
sviluppare e perfezionare progressivamente le forze sociali e l'attività di
quelle forze." Differenza fra Mazzini e Sieyès. Per Sieyès il
soggetto storico che fa nascere la nazione attraverso la volontà sono i
cittadini (liberi e uguali), per Mazzini è invece il popolo, inteso
unitariamente come titolare di diritti e doveri che trascendono quelli dei
singoli individui, popolo come espressione di una nuova epoca storica. Funzione
pedagogica della nazione: essa educa l'uomo al sacrificio, al dovere e
all'etica in funzione della comunità. Marxismo e questione nazionale Modifica Marx
vede la nazione come un progetto della classe borghese, la quale, proponendosi
come classe dominante, conquista il controllo dello Stato, dei suoi apparati
legali e produttivi, a scapito dei vecchi ceti feudali e aristocratici. La
nazione non costituisce dunque una totalità omogenea. I proletari vi sono esclusi.
In quanto prodotto borghese, la nazione è strettamente connessa alle dinamiche
del sistema capitalistico e come tale questa verrà meno con il superamento del
capitalismo. La nazione è dunque una realtà storico-politica contingente.
Note Modifica
^ Federico Chabod, L'idea di Nazione Bari 1961 ^ Il World Book Dictionary
definisce la nazione come “la popolazione che occupa uno stesso luogo
geografico, unita sotto lo stesso governo, e parlante usualmente la stessa
lingua” ^ LA STORIA, vol. 11, Mondadori, 2007, p.16. ^ Webster's New
Encyclopedic Dictionary (trad en-WP). ^ Il termine patriottismo costituzionale,
coniato dal politologo e giornalista conservatore tedescoDolf Sternberger
(1907-1989) fu completamente reinterpretato dal filosofo tedesco Jürgen Habermas.
^ Intervista con il Dott. G. Mayos, presidente Circolo di Barcellona di studi
della nazione.Archiviato il 4 gennaio 2012 in Internet Archive. ^ Stein Rokkan,
Territori, Nazioni, Partiti: verso un modello geopolitico dello sviluppo
europeo, in "Rivista Italiana di Scienza Politica", X, n. 3, 1980
Bibliografia Modifica
Federico Chabod, L'idea di Nazione, Bari, Laterza, 1961. Stein Rokkan,
Territori, nazioni, partiti, in "Rivista italiana di Scienza
politica", X, n. 3, 1980. (Id.), Stato, nazione e democrazia in Europa, a
cura di Peter Flora, Il Mulino, Bologna 2002 Anthony D. Smith, Le origini
etniche delle nazioni, Bologna, Il Mulino, 1998, ISBN 978-88-15-13881-1. (Id.),
La nazione. Storia di un'idea, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007 Wolfgang Reinhard,
Storia del potere politico in Europa, Il Mulino, Bologna 2001 Pietro Grilli di
Cortona, Stati, nazioni e nazionalismi in Europa, Il Mulino, Bologna 2003
Alessandro Campi, Nazione, Bologna, Il Mulino, 2004, ISBN 978-88-15-10199-0.
Jan-Werner Muller, Constitutional Patriotism, 0691118590, 9780691118598,
9781400828081 Princeton University Press 2007. Voci correlate Modifica Unità nazionale Patria Popolo
Stato Esilio Patriottismo Nazionalismo Mito-motore Etnocentrismo Etnogenesi
Comunità immaginate Comunitarismo Pulizia etnica Razza Discendenza Xenofobia
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Collegamenti esterni Modifica
Anthony D. Smith, Nazione, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1996. Modifica su Wikidata nazione, in Dizionario
di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata
nazione, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009.
Modifica su Wikidata ( IT , DE , FR ) Nazione, su hls-dhs-dss.ch,
Dizionario storico della Svizzera. Modifica su Wikidata Nazione, in
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Keywords: arte naturale, l’arte come comunicazione, fenomenologia della tecnica
artistica, natura, arte, artistico, tecnica, l’arte come comunicazione, segno
della natura, segno dell’arte, segno naturale, segno artificiale – artificiale
– segno di natura, segno di arte, ‘phuseos’ ‘theseos’ – per natura, per
positione -- la natura, la nazione -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Formaggio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759649101/in/photolist-2mRPJp8-2mRNu9t-2mQ8kJS-2mQ2SsQ-2mPTxJB-2mPXDFp-2mLHHHe-2mLznXk-gCFVD4
Grice e
Fracastoro – sull’anima – filosofia italiana – Luigi Speranza (Verona).
Filosofo. Grice: “I love Fracastoro; for one, I love a physician, since I came
to know quite a few – at Richmond!” “Grice: “I love Fracastoro; he
philosophised on mainly three topics: the ‘soul’ – in a philosophical dialogue
entitled after him, Fracastoro; on poetics, in a dialogue which he named after
his poet friend Navagero; and third, on ‘intellezione,’ in a dialogue which he
named after another friend, one Torre, “Torrius,” – Grice: “The fact that
Gerolamo, or Girolamo, is still at Verona, is fascinatingly charming!” Considerato
uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi. Insegna logica a Padova. Fu
archiatra di Paolo III, al quale dedica “Homocentrica”. A lui è dedicato il
cratere Fracastoro presente sulla Luna. Fondatori della patologia (teoria del
patire). Fu il primo ad ipotizzare e verificare che una infezione e dovuta a un
germe portatore di una malattia, con la capacità di moltiplicarsi nel corpo
dell’organismo e di contagiare altri attraverso la respirazione o altre forme
di contatto. “Sifilide, ossia sul “mal francese,” sotto forma di poemetto in esametri
e il trattato "Sul contagio e sulle malattie contagiose.” Il trattato è
all'origine della patologia, o teoria del patire. Fu il primo a scoprire che le
code cometarie si presentano sempre lungo la direzione del Sole, ma in verso
opposto ad esso. Descrisse uno strumento in funzione astronomica, poi
realizzato da Galilei: il cannocchiale. Scrisse tre dialoghi filosofici:
Naugerius sive de Poetica (dialogo di estetica), Turrius sive de Intellectione
e l'incompiuto Fracastorius sive de Anima.
Fracastoro, con il nome di Giroldano, viene incontrato da Dago,
personaggio di un fumetto argentino creato da Robin Wood e Alberto Salinas, in
una delle sue avventure, per la precisione nel n. 10 anno XIV del mensile,
proprio mentre Girolamo interroga una prostituta in cerca di informazioni per
il suo poema sulla sifilide. Una
leggenda sul Fracastoro fa parte della storia popolare veronese. Una sua statua
è posta su un arco alla fine di via Fogge, che da nord si innesta in Piazza dei
Signori (comunemente detta anche Piazza Dante). La statua rappresenta la sua
figura intera con in mano il mondo, che il popolo del tempo ha ribattezzato la
bala de Fracastoro, dove bala è il termine dialettale che indica palla. In
quella strada vi era il passaggio per il vecchio tribunale da parte di giudici
e avvocati ed era vicina a tutti i palazzi del potere di quel tempo. La bala è
legata ad una profezia: cadrà sulla testa del primo galantuomo che passerà
sotto. Finora non è mai successo. Il popolo di Verona usa questa storia per
sbeffeggiare gli uomini del potere. Enrico Peruzzi, Dizionario Biografico degli
Italiani, Ettore Bonora, Il "Naugerius" del Fracastoro,
Milano,Garzanti, Storia della Letteratura italiana, Dal Piaz Giorgio, Padova e
la Scuola Veneta nello sviluppo e nel progresso delle Scienze geologiche. Mem.
R. Ist. Geologia Univ. Padova, Dal Piaz Giorgio, Cenni sulla vita e le opere di
carattere geologico di Antonio Valleri senior. In: “Il metodo sperimentale in
Biologia da Valleri ad oggi”, Simposio nel III Centenario della nascita di
Antonio Valleri, Univ. Studi Padova e Acc. Patavina Sci. Lett. Arti, Questo
testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza
in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di
Firenze, Girolamo Fracastoro, Patavii, excudebat Josephus Cominus, Opere,
Venetiis, apud Iuntas, Homocentrica, Venetiis, Sifilide Tiziano, Ritratto di
Girolamo Fracastoro. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Enrico Peruzzi, «FRACASTORO, Girolamo», in Dizionario Biografico
degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vita
condizione propria della materia vivente Lingua Segui Modifica Nota
disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Vita
(disambigua). La vita è l'insieme delle caratteristiche degli esseri viventi
che manifestano processi biologici come l'omeostasi, il metabolismo, la
riproduzione e l'evoluzione.[1] Alberi in una foresta (Muir Woods
National Monument, California, USA). La biologia, ovvero la scienza che studia
la vita, ha portato a riconoscerla come proprietà emergente di un sistema
complesso che è l'organismo vivente. L'idea che essa sia supportata da una
«forza vitale» è stato argomento di dibattito filosofico, che ha visto
contrapporsi i sostenitori del meccanicismo da un lato e dell'olismo
dall'altro, circa l'esistenza di un principio metafisico in grado di
organizzare e strutturare la materia inanimata.[2] La comunità scientifica non
concorda ancora su una definizione di vita universalmente accettata, evitando
ad esempio di qualificare come organismo vivente i sistemi come virus o
viroidi. Gli scienziati concordano comunque sul fatto che ogni
essere vivente ha un proprio ciclo vitale durante il quale si riproduce,
adattandosi all'ambiente mediante un processo di evoluzione, ma ciò non implica
la vita perché qualunque caratteristica che hanno i viventi può essere
ritrovata in altre situazioni non considerate viventi, ad esempio alcuni virus
software che hanno un ciclo vitale e di riproduzione nel loro ambiente
informatico ma non sono vivi, o alcuni cristalli che crescono e si riproducono,
e molti altri esempi. Una più basica serie di caratteristiche della Vita sono
state avanzate, come ad esempio un sistema composto da molecole omochirali che
si mantiene in omeostasi e capace di reazioni autocatalitiche (James
Tour). Le forme di vita che sono o sono state presenti sulla Terra
vengono classificate in animali, cromisti, piante, funghi, protisti, archaea e
batteri.[1][3] DefinizioneModifica Ernst Mayr Riguardo alla
definizione di cosa sia la vita c'è ancora dibattito tra scienziati e tra
filosofi. Secondo il biologo Ernst Mayr sarebbe sufficiente individuare le
caratteristiche fondamentali della vita da un punto di vista materiale:
«Il definire la natura dell'entità chiamata vita è stato uno dei maggiori
obiettivi della biologia. La questione è che vita suggerisce qualcosa come una
sostanza o forza, e per secoli filosofi e biologi hanno provato ad identificare
questa sostanza o forza vitale senza alcun risultato. [...] In realtà, il
termine vita, è puramente la reificazione del processo vitale. Non esiste come
realtà indipendente.[4]» (Ernst Mayr) Il biologo Hans Driesch sosteneva
invece che la vita non potesse essere compresa con gli strumenti delle scienze
meccaniche, come la fisica, le quali si occupano esclusivamente dei fenomeni
non biologici, ragion per cui la biologia andrebbe separata da queste
discipline:[5] «La vita non è [...] una connessione speciale di eventi
inorganici; la biologia, pertanto, non è un'applicazione della chimica e della
fisica. La vita è qualcosa di diverso, e la biologia è una scienza
indipendente.» (Hans Driesch, The science and philosophy of the organism,
p. 105, trad. ingl., Londra 1929 2[6]) Uno studio approfondito in merito è
stato fatto dal fisico Erwin Schrödinger.[7] Nella sua dissertazione
Schrödinger nota per prima cosa la contrapposizione tra la tendenza dei sistemi
microscopici a comportarsi in maniera "disordinata", e la capacità
dei sistemi viventi di conservare e trasmettere grandi quantità di informazione
utilizzando un piccolo numero di molecole, come dimostrato da Gregor Mendel,
che richiede necessariamente una struttura ordinata. In natura una disposizione
molecolare ordinata si trova nei cristalli, ma queste formazioni ripetono
sempre la stessa struttura, e sono quindi inadatte a contenere grandi quantità
di informazione. Schrödinger postulò quindi che l'unico modo in cui il gene può
mantenere l'informazione è una molecola di un "cristallo aperiodico"
cioè una molecola di grandi dimensioni con una struttura non ripetitiva, capace
quindi di sufficiente stabilità strutturale e sufficiente capacità di contenere
informazioni. In seguito questo darà l'avvio alla scoperta della struttura del
DNA da parte di Franklin, Watson e Crick; oggi sappiamo che il DNA è proprio
quel cristallo aperiodico teorizzato da Schrödinger. Seguendo questo
ragionamento Schrödinger arrivò ad un apparente paradosso: tutti i fenomeni
fisici seguono il secondo principio della termodinamica, quindi tutti i sistemi
vanno incontro ad una distribuzione omogenea dell'energia, verso lo stato
energetico più basso, cioè subiscono un costante aumento di entropia. Questo
apparentemente non corrisponde ai sistemi viventi, i quali si trovano sempre in
uno stato ad alta energia (quindi un disequilibrio). Il disequilibrio è
stazionario, perché i sistemi viventi mantengono il loro ordine interno fino
alla morte. Questo, secondo Schrödinger, significa che i sistemi viventi
contrastano l'aumento di entropia interno nutrendosi di entropia negativa, cioè
aumentando a loro favore l'entropia dell'ambiente esterno. In altre parole gli
organismi viventi devono essere in grado di prelevare energia dall'ambiente per
ricompensare l'energia che perdono, e quindi mantenere il disequilibrio
stazionario. Questo è ciò che in biologia è stato riconosciuto nei fenomeni di
metabolismo e omeostasi. Secondo Ernst Mayr, è un'entità viva, quindi con
peculiarità che la distinguono dalle entità non viventi, l'organismo vivente,
soggetto alle leggi naturali, le stesse che controllano il resto del mondo
fisico. Ma ogni organismo vivente e le sue parti viene controllato anche da una
seconda fonte di causalità, i programmi genetici. L'assenza o la presenza di
programmi genetici indica il confine netto tra l'inanimato e il mondo
vivente. Unendo il concetto del disequilibrio con quello della
riproduzione (cioè della trasmissione ordinata delle informazioni), come espressi
da Schrödinger, si ottiene quello che può essere definito vivente: un
sistema termodinamico aperto, in grado di mantenersi autonomamente in uno stato
energetico di disequilibrio stazionario e in grado di dirigere una serie di
reazioni chimiche verso la sintesi di sé stesso.[8] Questa definizione è
largamente accettata nell'ambito della biologia, nonostante ci sia ancora
dibattito in merito.[9][10] Basandosi su questa definizione un virus non
sarebbe un organismo vivente, perché può arrivare a riprodursi ma non può farlo
autonomamente, in quanto si deve appoggiare al metabolismo di una cellula
ospite, così come non sono esseri viventi le semplici molecole autoreplicanti,
in quanto sottoposte all'entropia come tutti i sistemi non viventi. La
ricerca sui Grandi virus nucleo-citoplasmatici a DNA, ed in particolare la
scoperte dei mimivirus, quindi l'eventualità che costituiscano anello di
congiunzione tra i virus, definiti qui non viventi, e i più semplici viventi
comunemente accettati, ha contribuito ad estendere il dibattito e a rendere più
sfumata la linea di confine tra viventi e non, ed alcune ipotesi minoritarie,
suggeriscono che i domini Archaea, Bacteria, ed Eukarya possano originare da
tre differenti ceppi virali e i plasmidi possono essere visti come forme di
transizione tra virus a DNA e cromosomi cellulari.[11] Oltre la
definizione di Schrödinger, vari studiosi hanno proposto diverse
caratteristiche che nel loro insieme dovrebbero essere considerate sinonimo di
vita:[12][13] Omeostasi: regolazione dell'ambiente interno al fine di
mantenerlo costante anche a fronte di cambiamenti dell'ambiente esterno.
Metabolismo: conversione di materiali chimici in energia da sfruttare,
trasformazione di diverse forme di energia e sfruttamento dell'energia per il funzionamento
dell'organismo o per la produzione di suoi componenti. Crescita: mantenimento
di un tasso di anabolismopiù alto del catabolismo, sfruttando energia e
materiali per la biosintesi e non solo accumulando. Interazione con l'ambiente:
risposta appropriata agli stimoli provenienti dall'esterno. Riproduzione:
l'abilità di produrre nuovi esseri simili a sé stesso. Adattamento: applicato
lungo le generazioni costituisce il fondamento dell'evoluzione. Queste
caratteristiche sono, per la loro peculiarità, comunque passibili di critiche e
di parzialità. Un ibrido non riproducentesi non può considerarsi come non vivo,
così pure un organismo che ne abbia perduto la capacità nel corso del tempo.
Parimenti un'ipotetica situazione che obblighi la dipendenza da strutture
estranee per mantenere l'omeostasi, un organismo strutturalmente non in grado
di adattarsi ulteriormente all'ambiente e altre singole deficienze,
difficilmente, se prese singolarmente, possono far escludere di avere a che
fare con un vivente. Organismi viventiModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Organismo vivente. La vita è
caratteristica degli organismi viventi. In generale la vita si considera una
proprietà emergentedegli esseri viventi. Questo significa che si tratta di una
caratteristica posseduta dal sistema, ma non posseduta dai suoi singoli
componenti. Un organismo vivente, quindi, è vivo, mentre non sono vive le sue
singole parti.[14] Condizioni necessarie alla vitaModifica L'esistenza
della vita, così come la conosciamo,necessita di particolari condizioni
ambientali. I primi organismi comparsi sulla Terra si sono per necessità
sviluppati in base alle condizioni preesistenti, ma in seguito a volte sono
stati gli organismi stessi a modificare l'ambiente, a vantaggio proprio o di
altri organismi.[15] È il caso della produzione di ossigeno da parte dei
cianobatteri, che ha modificato profondamente l'atmosfera terrestre causando
un'estinzione di massa (detta catastrofe dell'ossigeno) e rendendo possibile la
colonizzazione dell'ambiente terrestre.[16] Inoltre col tempo si sono
determinate sempre più interazioni complesse tra i diversi organismi, facendo
sì che nella maggior parte degli ambienti la vita di determinate specie sia
possibile grazie alla presenza di altri organismi che creano le condizioni
necessarie[15] (spesso si tratta di microorganismi, come nel caso dei batteri
azotofissatori, che trasformano l'azoto molecolare presente nell'aria in
molecole utilizzabili per le piante[17]). Ogni essere vivente può
sopravvivere all'interno di determinati limiti relativi ai fattori fisici
dell'ambiente (temperatura, umidità, radiazione solare, ecc.). Al di fuori di
questi limiti la vita è possibile solo per brevi periodi, se non impossibile
del tutto. Queste condizioni, che sono diverse per ogni specie, sono definite
range di tolleranza.[18] Per esempio una cellula batterica ad una temperatura
troppo alta subirà la denaturazione delle sue proteine, mentre ad una
temperatura troppo bassa subirà il congelamentodell'acqua che contiene. In
entrambi i casi morirà. Anche le caratteristiche chimiche costituiscono fattore
limitante; pH, concentrazioni estreme di forti ossidanti, elementi chimici in
concentrazione tossiche, eccetera, costituiscono spesso un muro quasi invalicabile
allo sviluppo della vita. Lo studio di organismi estremofili, ha contribuito
enormemente all'individuazione delle condizioni ritenute minime per lo sviluppo
della vita, nonostante risulti chiaro che la definizione di ambiente
"estremo" è comunque relativa e diversa per ogni organismo.[17]
Determinate esigenze sono comuni a tutti gli organismi viventi. Affinché ci sia
vita è necessario che si disponga di energia, al fine di mantenere il
disequilibrio energetico del sistema (vedi sopra).[19] La maggior parte degli
organismi autotrofi sfrutta l'energia solare, attraverso la quale compie la
fotosintesi, ottenendo i nutrienti dalla materia inorganica. Questi organismi,
che comprendono piante, alghe e cianobatteri, si dicono fotoautotrofi. Altri
autotrofi più rari sfruttano invece l'energia derivante da processi chimici, e
si definiscono chemioautotrofi. Le altre specie, dette eterotrofi, sfruttano
l'energia chimica dai composti organici prodotti da altri organismi, nutrendosi
dell'organismo stesso, di una sua parte o dei suoi scarti. È necessario
inoltre affinché ci sia vita che ci sia disponibilità dei principali
costituenti biologici, cioè carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno, fosforo, e
zolfo, nell'insieme detti anche CHNOPS.[19] Gli organismi autotrofi li ricavano
principalmente in forma inorganica dall'ambiente, mentre quelli eterotrofi
sfruttano principalmente i composti organici di cui si nutrono. Tutte le
forme di vita conosciute, infine, necessitano di abbondanza d'acqua, anche se
alcuni organismi hanno sviluppato adattamenti che permettono loro di conservare
le proprie riserve di liquidi a lungo, così da potersi allontanare notevolmente
dalle fonti d'acqua. Queste condizioni sono condivise dalla quasi
totalità delle forme di vita conosciute, tuttavia non è possibile escludere
l'esistenza, sulla terra o su altri pianeti, di organismi in grado di vivere in
condizioni completamente diverse. Per esempio nel 2010 è stato trovato nel Mono
Lake in California un batterio, Halomonas sp., ceppo GFAJ-1, in grado di
sostituire il fosforo nelle proprie molecole con l'arsenico,[20] che proprio
per la sua similitudine col fosforo e per la sua tendenza a sostituirlo nelle
molecole biologiche, è tossico per la maggior parte degli organismi conosciuti,
escludendo quelli che lo utilizzano come ossidante nella respirazione,[21] al
pari di numerosi composti utilizzati a tale scopo da differenti organismi. In
seguito questa scoperta è stata messa in dubbio,[22][23] e sono in corso (2012)
verifiche per accertare l'eventuale eccezionalità della scoperta. Gli
esobiologi ipotizzano una vita basata sulla chimica del silicio anziché del
carbonio. Origine della vitaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Origine della vita ed Evoluzione della vita. Secondo
i modelli attualmente accettati la vita sulla terra è comparsa grazie alle
condizioni presenti tra 4,4 e 2,7 miliardi di anni fa, che hanno permesso lo
sviluppo di macromolecole come gli amminoacidi e gli acidi nucleici, come
dimostrato dall'esperimento di Miller-Urey, dalle quali in seguito si sono
originati polimeri come i peptidi e i ribozimi. Il passaggio dalle
macromolecole alle protocellule è l'aspetto più controverso della questione,
sul quale sono state avanzate diverse ipotesi, come quella del mondo ad RNA,
quella del mondo a ferro-zolfo e la teoria delle bolle. A partire dalle
protocellule gli organismi hanno poi raggiunto lo stadio attuale in cui li
conosciamo tramite processi, spiegati dalla teoria dell'evoluzione, lungo un
ramificato processo di evoluzione della vita. Vita extraterrestreModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Esobiologia ed
Extraterrestre. Qualunque forma di vita non propria del pianeta Terra viene
detta "extraterrestre". Questo termine può riferirsi, in maniera più
ampia, a qualunque oggetto al di fuori della stessa realtà terrestre. Tutt'oggi
l'uomo non conosce alcun esempio di essere vivente extraterrestre e il
dibattito tra scettici e sostenitori della probabile esistenza di forme di vita
aliene a quelle terrestri è molto acceso. Nella cultura
umanisticaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Vita (filosofia) e Filosofia della vita. Prima che la scienza
fornisse spiegazioni scientifiche sulla vita, l'uomo tentò di fornire risposte
riguardo ai fenomeni dei viventi tramite la mitologia, la religione e la
filosofia. Nella cultura letteraria e filosofica, l'esistenza umana
è stata associata alle emozioni, alle passioni e in generale alla storia di
ciascuna persona. Poeti, letterati, filosofi e pensatori hanno associato alla
vita significati diversi e presentando una personale concezione di vita umana.
Alcune posizioni hanno dato vita a vere e proprie correnti di pensiero, come il
vitalismo, il pessimismo, o il nichilismo. Diritto e questioni etiche
sulla vita umanaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Diritti umani e Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Nelle società organizzate, la vita umana rappresenta un valore che richiede
attenzione in termini di diritto. Questioni di tipo etico determinano le scelte
circa la difesa e la salvaguardia della vita, quando questa è messa in
discussione da altri tipi di scelte, come la pena di morte, l'aborto o
l'eutanasia. Secondo attente analisi e ricerche la maggior parte delle persone
possiede una vita infelice per cause di tipo affettive, morali, sociali,
personali e cause derivate dalle relazioni amorose, da ciò le persone possono
evidenziare idee suicide o entrare in fasi depressive. A titolo esemplificativo
può essere appropriato riportare le seguenti riflessioni che bene descrivono lo
stato d'animo della Bovary,[24]travolta dalle devastanti vicende passionali,
che la indurranno infatti al suicidio: Da che dipendeva quella insufficienza
della vita, quell'istantaneo imputridirsi delle cose alle quali essa si
appoggiava?... Ogni sorriso nascondeva uno sbadiglio di noia, ogni gioia una
maledizione, ogni piacere il suo disgusto... Vita sinteticaModifica Dalla
ricerca delle proprietà oggettive che definiscano il concetto di vita si è
sviluppato un ramo della biologia chiamato biologia sintetica che utilizza
conoscenze di biologia molecolare, biologia dei sistemi, biologia
evoluzionistica e biotecnologie con l'idea di progettare sistemi biologici in
maniera artificiale in laboratorio. NoteModifica ^ a b ( EN ) NASA -
Life's Working Definition: Does It Work?, su www.nasa.gov. URL consultato il 1º
giugno 2018. ^ Riccardo De Biase, I saperi della vita: biologia, analogia e sapere
storico, Giannini Editore, 2011, p. 97. ^ Five Kingdom Classification System,
su www.ruf.rice.edu. URL consultato il 1º giugno 2018. ^ Ernst Mayr, cap 6,
What is tha meaning of "life" The nature of life, Carol E. Cleland,
University of Colorado, Cambridge University press, 2010 DOI: [1], Hardback
ISBN 978-0-521-51775-1, Paperback ISBN 978-0-521-73202-4 ^ H. Driesch,
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gennaio 2011). ^ Roberto Argano et al., Zoologia generale e sistematica,
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arsenate in DNA from arsenate-grown GFAJ-1 cells, 31 gennaio 2012. ^ G.
Flaubert, Madame Bovary, BUR, 1992, p. 258-259. Voci correlateModifica Biologia
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Origine della vita, su minerva.unito.it. La vita e l'evoluzione, su vita-morte-evoluzione.bravehost.com.
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00570344 Portale Biologia: accedi alle voci di Wikipedia che
trattano di Biologia Ultima modifica 12 giorni fa di Gac PAGINE CORRELATE
Biologia scienza che studia la vita Organismo vivente entità dotata di
vita Che cos'è la vita? Wikipedia Il contenuto Vita (filosofia)
Lingua Segui Modifica Il concetto di vita in senso biologico non coincide con
quello filosofico. Genericamente possiamo riferirci alla biologia nel definire
la vita come la condizione di esseri che, caratterizzati da una forma precisa e
da una struttura chimica particolare, hanno la capacità di conservare,
sviluppare e trasmettere forma e costituzione chimica ad altri
organismi[1]. In filosofia la definizione del concetto di vita è diversa
e più complessa poiché risente della scarsità lessicale presente nella lingua
italiana che usa un unico termine per una diversità di significati: in senso
generale si adopera il lemma "vita" per indicare la vita animale, quella
umana, quella oltreumana e, nei riguardi dell'uomo in particolare: la vita
corporea, quella psichica, quella spirituale.[2] Pensiero anticoModifica
Nel pensiero greco antico vengono usati invece tre termini a seconda del loro
specifico significato: ζωή (zoé): il principio, l'essenza della vita che
appartiene in comune, indistintamente, all'universalità di tutti gli esseri
viventi e che ha come concetto contrario la non-vita e non, come si potrebbe
pensare, la morte poiché questa riguarda il singolo essere che cessa, lui e
soltanto lui, di vivere;[3] βίος (bíos): indica le condizioni, i modi in cui si
svolge la nostra vita. Zoé è dunque la vita che è in noi e per mezzo della
quale viviamo (qua vivimus), bios allude al modo in cui viviamo (quam vivimus),
cioè le modalità che caratterizzano ad esempio la vita contemplativa, la vita
politica ecc. per le quali la lingua greca usa appunto il termine bios
accompagnato da un aggettivo qualificante;[3] ψυχή (psyché):[4] nella lingua
greca del Nuovo Testamento ricorre nel significato di
"anima-respiro"[5], il "soffio" vitale: (EL) «ὁ φιλῶν
τὴν ψυχὴν αὐτοῦ ἀπολλύει αὐτήν, καὶ ὁ μισῶν τὴν ψυχὴν αὐτοῦ ἐν τῷ κόσμῳ τούτῳ εἰς
ζωὴν αἰώνιον φυλάξει αὐτήν.[6]» (IT) «Chi ama la sua vita la perde
e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna»
Nella filosofia greca antica tutto il reale è concepito come vivente secondo la
teoria dell'ilozoismo che nella ricerca del principio introduce considerazioni
di argomento biologico per cui: Diogene di Apolloniaconsidera l'aria come vita,
Empedocle fa risultare la vita dalla armonica fusione dei quattro elementi
primigeni, Anassagora intuisce l'origine di tutti gli esseri viventi
nell'aggregazione dei semi (σπέρματα). Tutti questi sono elementi materiali
viventi che vengono connessi con il concetto di psyché, come nel Timeo[7] di
Platone dove l'intero mondo è un organismo vivente. Un concetto di anima del
mondo, che risale probabilmente a tradizioni orientali, orfichee pitagoriche.
Secondo Platone il mondo è infatti una sorta di grande animale, la cui vitalità
generale è supportata da quest'anima, infusagli dal Demiurgo, che lo plasma a
partire dai quattro elementifondamentali: fuoco, terra, aria, acqua.
«Pertanto, secondo una tesi probabile, occorre dire che questo mondo nacque
come un essere vivente davvero dotato di anima e intelligenza grazie alla
Provvidenza divina.[8]» Anche per Aristotele la vita s'identifica con
l'anima (ἐντελέχεια), sia essa vegetativa, sensitiva o intellettiva, che è nel
sinolo «causa e principio del corpo vivente»[9] Con Aristotele il primato della
forma sulla materia porta alla contrapposizione del βίος ϑεωρητικός (bios
teoretikòs) al βίος πρακτικός (bios praktikòs), al primato della vita
contemplativa sulla vita attiva, come diranno i filosofi medioevali, vale a
dire la superiorità della conoscenza teoretica, che permette all'uomo di
cogliere la verità di per se stessa mentre quella pratica cerca anch'essa la
verità ma come mezzo in vista dell'azione, al fine di cambiare la realtà:
«...è giusto anche chiamare la filosofia scienza della verità. Infatti della
filosofia teoretica è fine la verità, di quella pratica l'opera, poiché i
[filosofi] pratici, anche se indagano il modo in cui stanno le cose, non
studiano la causa di per se stessa, ma in relazione a qualcosa ed
ora.[10]» La visione aristotelica sarà fatta propria anche dal
neoplatonismo, che nella sua dottrina emanatistica e nella concezione
dell'anima come psiche cosmica, stabilirà la connessione tra il mondo ideale,
della generazione delle diverse dimensioni della realtà appartenenti alla
stessa sostanza divina, e quello materiale delle realtà empiriche. Il
pensiero cristiano e medioevaleModifica Nella concezione cristiana nel Vecchio
Testamento la vita umana è strettamente collegata alla volontà benefica di Dio
mentre la morte è rapportata al peccato. Nel Nuovo Testamento la connessione
vita-divino si consolida nel messaggio di Gesù che assicura la resurrezione,
una vita futura a chi crede in lui. (LA) «Ego sum resurrectio et
vita: qui credit in me, etiam si mortuus fuerit, vivet: et omnis qui vivit et
credit in me, non morietur in aeternum.[11]» (IT) «Io sono la
risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e
crede in me, non morrà in eterno.» La filosofia medioevale accoglie
l'eredità neoplatonica dell'importanza del βίος ϑεωρητικός per una vita vissuta
religiosamente e misticamente come strumento per giungere alla vita
oltremondana e riprende la concezione aristotelica della vita biologica
adattando la sua definizione dell'anima come «l'atto puro di un corpo che ha la
vita in potenza»[12] alla teoria dell'immortalità dell'anima: Filosofia
modernaModifica Tra il 1600 e il 1700 la vita viene concepita come appartenente
a un essere vivente che deve essere studiato come se fosse una macchina
distinguendo nettamente ciò che riguarda gli elementi fisici da quelli
psichici. Questa tesi, dove si cimentano in particolare Cartesio e Hobbes viene
contrastata da Leibniz che definendo la monade la riferisce al principio
aristotelico della entelechìa (ἐντελέχεια) intesa come la tensione di un
organismo che mira a realizzare se stesso secondo leggi proprie, passando dalla
potenza all'atto.[13] Queste concezioni vengono superate dal vitalismo
che eredita dal 1600 i motivi neoplatonici e magici-alchemici dei filosofi
rinascimentali Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. I pensatori
dell'età romantica, Herder, Hölderlin, Schiller, Jacobi, nel filone segnato
dalla Critica della ragion pratica e dalla Critica del giudizio kantiane,
concepiscono la vita inserendola nella nuova visione della filosofia della
natura sviluppata da Goethe, Schelling e Hegel il quale in particolare vuole
contrastare sia la teoria intellettualistica che vede la vita come qualcosa di
incomprensibile sia quella romantica che contrappone l'energia della vita al
freddo sapere, riportando la vita nell'ambito dello sviluppo dialettico
dell'Idea (tesi) che si oggettiva come natura (antitesi) per approdare alla
sintesi dell'Idea che torna su se stessa colma di realtà. All'inizio del
XX secolo si costituisce la Lebensphilosophie, la filosofia della vita che
rifacendosi all'opera di György Lukács La distruzione della ragione, si esprime
in una varietà di autori che elaborano una dottrina variegata e non unitaria
tenuta assieme dall'antinomia vita-ragione. Così Dilthey, Rickert, Simmel,
Scheler, Ludwig Klages, e specialmente Unamuno, José Ortega y Gasset, Eugeni
d'Ors e altri, si rifanno a elementi del romanticismo, di Arthur Schopenhauer,
di Nietzsche oppure riconducono la razionalità a qualcosa di immanentealle
stesse strutture materiali della vita. Una «vitalizzazione della ragione» che
porta all'irrazionalismo, al misticismo, all'amoralismo: «La ragione
tende a razionalizzare la vita, nemica della ragione; qualora essa conseguisse
il suo intento, si avrebbe la morte e la negazione della vita. Nello stesso
tempo la vita tende a vitalizzare la ragione...[14]» Su queste basi
speculative nella seconda metà del Novecento la filosofia francese con Deleuze
ha sviluppato una filosofia della vita che in questo autore, attingendo agli
studi storico-epistemologici di Georges Canguilhem, porta alla fondazione di
una visione immanentistica della vita che ha come fulcro il concetto di
differenza-ripetizione «...tutte le identità non sono che simulate,
prodotte come un effetto ottico, attraverso un gioco più profondo che è quello
della differenza e della ripetizione.[15].» Sulla scia del pensiero di
Nietzsche, la differenza è concepita come affermazione pura, come atto creativo
e l'identità come un che di selettivo, che torna solo per affermare la
differenza. Attingendo alla filosofia della vita Foucault avanza la
teoria del "biopotere" cioè le pratiche con le quali la rete di
poteri gestisce la gestione del corpo umano nella società dell'economia e
finanza capitalista, la sua utilizzazione e il suo controllo la gestione del
corpo umano come specie, base dei processi biologici da controllare per una
biopoliticadelle popolazioni[16] NoteModifica ^ Ove non indicato diversamente,
le informazioni contenute nel testo della voce hanno come fonte: Dizionario di
filosofia Treccani (2009) alla voce corrispondente ^ Vittorio Possenti, La
questione della vitaArchiviato il 10 febbraio 2015 in Internet Archive. ^ a b
Martin Heidegger, Concetti fondamentali della filosofia aristotelica, Milano,
Adelphi, 2017, p. 77, ISBN 9788845978678. ^ Vittorio Possenti, Op.cit.
Archiviato il 10 febbraio 2015 in Internet Archive. ^ Richard Broxton Onians,
The Origins of European Thought, Cambridge, Cambridge University Press, 1951 ^
N. T. Gv. 12, 25 ^ Platone, Timeo, 34 b – 37 d ^ Platone, Timeo, cap. VI, 30 b
^ Aristotele, De anima, II, 4, 415 b ^ Aristotele, II libro della Metafisica,1,
993b 19-23 ^ Gv. 11, 21-27 ^ Aristotele, De anima, II, 412a 2 ^ Aristotele, De
Anima, II, 412, a27-b1 ^ Lorenzo Lunardi, Attualità di Unamuno,Padova : Liviana
Ed., 1976. ^ Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione, Il Mulino, 1971, p. 2. ^
Michel Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli, 1978 Voci correlateModifica
Esistenza Naturalismo (filosofia) Filosofia della natura Vitalismo
Portale Filosofia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di
Filosofia Ultima modifica 10 mesi fa di Narayan89 PAGINE CORRELATE Psiche
termine della psicologia Vitalismo corrente di pensiero che esalta la
vita Panpsichismo teoria Wikipedia Vitalismo corrente di
pensiero che esalta la vita Lingua Segui Modifica Il vitalismo è una corrente
di pensiero che esalta la vita intesa principalmente come forza
vitaleenergetica e fenomeno spirituale, al di là del suo aspetto biologico
materiale. Raffigurazione di Venere, principio della vita e della
fertilità che nasce dall'acqua PrincipiModifica Il vitalismo ritiene che i
fenomeni della vita, costituiti da una "forza" particolare, non siano
riconducibili interamente a fenomeni chimici, ed in particolare che vi è una
netta demarcazione tra l'organico e l'inorganico, che la vita sulla terra ha
avuto un'origine divina e non solo da un'evoluzione risalente a circa 3800
milioni di anni fa, come sostengono i biologicontemporanei. Il vitalismo
può essere anche inteso, nell'ottica nietzschiana e dannunziana, come
l'esaltazione della vita senza limiti né freni ideologici o morali, come la
ricerca del godimento (dionisiaco), come la celebrazione dell'istinto e di
quella volontà di potenzache apparterrebbe solo a pochi eletti, i quali sanno
imporre il proprio comando sui più deboli. Questa forza può così rigenerare un
mondo che Nietzsche e D'Annunzio ritengono esausto. In una tale ottica
l'evoluzionismo non sarebbe in contrasto col vitalismo, ma darebbe anzi la
conferma che la natura si serve della selezione naturale al fine di perpetuare
la propria volontà di vivere attraverso la sopravvivenza dei migliori.[1] A
differenza del vitalismo dannunziano, che nelle sue manifestazioni racchiude
molti degli elementi tipici dell'estetismo decadente, il vitalismo nietzschiano
va considerato anche nella sua accezione dionisiaca di accettazione tragica
della vita, di un'accettazione tout court della vita, finanche nei suoi aspetti
più truci e sofferenti. StoriaModifica Bambino nel grembo materno
disegnato da Leonardo da Vinci(1511 circa)[2] Pur con radici antiche, il
vitalismo si è sviluppato come sistema teorico tra la metà del Settecento e la
metà dell'Ottocento. Si tratta di una concezione ereditata in gran parte dal
neoplatonismo e dalla filosofia rinascimentale, secondo cui le idee platoniche,
oltre a trascendere il mondo, sono anche immanenti alla natura, diventando la
ragione costitutiva dei singoli organismi e di tutto ciò che esiste. Il cosmo,
in quest'ottica, risulta animato da un principio intelligente, veicolato in
esso da una comune e universale Anima del mondo.[3] Se Leibniz proseguì sulla
stessa lunghezza d'onda, attribuendo vita e capacità di pensiero anche alla
materia inerte, e schierandosi contro il meccanicismo di Cartesio e degli
empiristi,[4] Schelling vedeva invece nel vitalismo una concezione irrazionale
e perciò da scartare, in quanto affine al noumeno kantiano, preferendo
piuttosto parlare di evoluzionismo finalistico: questo era da lui concepito
agli antipodi sia del vitalismo, ma anche del determinismo meccanico, che è
incapace di cogliere la profonda unità che pervade la natura, riducendola ad un
assemblaggio di singole parti.[5] Dopo aver trovato espressione anche
nella poetica di Giacomo Leopardi,[6] il vitalismo riemerse nel Novecento con
Bergson, il quale, in una rinnovata polemica contro il determinismo e il
materialismo, torna ad affermare che la vita biologica, come del resto la
coscienza, non è un semplice aggregato di elementi composti che si riproduce in
maniera sempre uguale a se stessa. La vita invece è una continua e incessante
creazione che nasce da un principio assolutamente semplice, non rieseguibile
deliberatamente, né componibile a partire da nient'altro.[7] Tentativi di
spiegazione in laboratorioModifica (Tedesco) «Wer will was Lebendiges
erkennen und beschreiben, Sucht erst den Geist heraus zu treiben, Dann hat er
die Teile in seiner Hand, Fehlt, leider! nur das geistige Band. Encheiresin
naturaenennt's die Chemie, Spottet ihrer selbst und weiß nicht wie.»
(IT) «Per capire e descrivere una realtà vivente, si cerca sempre
innanzitutto di cavarne la vita; allora si ha la mano piena di frammenti
inerti, a cui manca solo - purtroppo - il nesso della vita. La chimica le dà il
nome di encheiresin naturae:[8] si burla di se stessa e nemmeno se ne
avvede.» (Mefistofele rivolto a una giovane matricola universitaria, nel
Faust di Goethe, vv. 1936-41) Figure di omuncoli disegnate da Antonio
Vallisnieri (1721), ritenuti i semi in grado di operare la generazione
dell'uomo Dal punto di vista biologico ci sono stati diversi tentativi di
costruire la vita in laboratorio partendo da basi il più possibile
scientifiche, per cercare di ridurre gli aspetti maggiormente irrazionali della
concezione della vita, o per poterne dare delle spiegazioni quantomeno
plausibili. I più importanti sviluppi della biochimica e dell'ingegneria
genetica sono stati i seguenti: Nel 1828 il chimico tedesco Friedrich
Wöhler, in collaborazione con Justus von Liebig, effettua la prima sintesi
organica, la sintesi dell'urea. Nel 1859 viene pubblicata la teoria
dell'evoluzione di Darwin. Nel 1897 Eduard Buchner dimostra che la
fermentazione può avvenire anche senza cellule di lievito vive ma solo con loro
estratti. Nel 1935 Wendell Meredith Stanley cristallizza il primo virus, il
virus del mosaico del tabacco. Negli anni 1932-1934 Harold Urey prepara i primi
composti organici deuterati. Nel 1953 Stanley Miller ottiene per sintesi le
prime molecole organiche. Si tratta però, allo stato, di procedimenti meramente
meccanici, che nulla dicono sul perché un certo composto dovrebbe dare la vita
a differenza di un altro. Tali esperimenti si limitano a rieseguire in laboratorio
i procedimenti naturali di generazione della vita, senza che questi siano
compresi a fondo; proprio perché ne sono un'imitazione, tali procedimenti
sembrano non differire qualitativamente da quelli operanti in natura.
Secondo il paleontologo Teilhard de Chardin, che studiando la storia
dell'evoluzione della Terra elaborò la cosiddetta legge di complessità e
coscienza, esiste all'interno della materia una tendenza a diventare
maggiormente complessa e al tempo stesso ad accrescere una propria coscienza,
passando dallo stato inanimato a quello via via più evoluto. La coscienza
sarebbe dunque il fine nascosto a cui tendono le leggi della natura, e che
potrebbe essere in grado di spiegarle.[9] Il biologo e filosofo Hans
Drieschricorse al termine aristotelico entelechia per designare questa forza
vitale in grado di strutturare la materia organica secondo leggi
immateriali.[10] Il desiderio di costruire la vita totalmente al di fuori
delle vie naturali ricorre invece soprattutto nella fantascienza; a questo
filone appartiene ad esempio il romanzo Frankenstein di Mary Wollstonecraft
Shelleydel 1818. Note Modifica
^ L'esaltazione della vita nell'opera di Friedrich Nietzsche e di Gabriele
D'Annunzio, cit. in bibliografia. ^ Dettaglio dal codice Windsor sugli studi
sugli embrioni. ^ Concetto già espresso da Platone, il quale, richiamandosi
alla tradizione dell'ilozoismoarcaico, sosteneva che il mondo è una sorta di
grande animale, supportato da una «Grande Anima» infusagli dal Demiurgo, che
impregna il cosmo e gli dà vitalità generale (Timeo, 34 b). ^ Leibniz,
Monadologia, 1714. ^ Schelling, Bruno, ovvero il principio divino e naturale
delle cose (1802), dove egli recupera il concetto neoplatonico di Weltseele o
«Anima del mondo». ^ Gaetano Macchiaroli, Giacomo Leopardi, Napoli, Biblioteca
Nazionale, 1987, p. 371. ^ Bergson, L'Evolution créatrice, 1907. ^ Espressione
composta da un termine grecoall'accusativo (encheiresin) ed uno latino, che
significa letteralmente «manipolazione della natura», con cui in ambito accademico
si indicava l'assemblaggio di componenti biologiche nel tentativo di formare un
organismo vivente (Hugo Von Hofmannsthal, The Whole Difference: Selected
Writings of Hugo von Hofmannsthal, pag. 499, a cura di J.D. McClatchy,
Princeton University Press, 2008). ^ Pierre Teilhard de Chardin, L'avvenire
dell'uomo[1959], Il Saggiatore, Milano 1972. ^ Dizionario di filosofia
Treccani. BibliografiaModifica Luigino Zarmati, Il vitalismo. L'esaltazione
della vita nell'opera di Friedrich Nietzsche e di Gabriele D'Annunzio, Leonardo
da Vinci editore, 2001 ISBN 8888926011. Gertrud Hvidberg-hansen, The Spirit of
Vitalism, Intl Specialized Book Service Inc, 2010 ISBN 8763531348. Lelia Pozzi
D'Amico, Medicina e metafisica, Nuovi Autori, 2008 ISBN 8875683301. Enrico
Marabini, La singolarità dei sistemi animati. Riflessioni e confutazioni sul
problema del neovitalismo, Il Pavone, 2008. ISBN 8895299329. Georges
Canguilhem, La conoscenza della vita, prefazione di Antonio Santucci, Il
Mulino, 1976. Scott Lash, Life (Vitalism), Theory, Culture and Society, 23.2-3
(2006). Voci correlateModifica Animismo Evoluzionismo (scienze
etno-antropologiche) Henri Bergson Collegamenti esterni Modifica vitalismo, in
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PAGINE CORRELATE Pierre Teilhard de Chardin gesuita, filosofo e paleontologo
francese Pensiero di Teilhard de Chardin Dannunzianes l'anima
L' ultimo libretto del nostro filosofo, che dal suo stesso
nome ci pervenne intitolato « Fracasto- rius sive de Anima, » dovrebbe
essere quasi la sintesi de' precedenti ragionamenti da lui tenuti intorno
all'intellezione. Ed invero fu a suo luogo notato come intendimento del
nostro Au- tore era di risalire daile estrinsecazioni del pensiero
alla sua stessa sorgente, e dalle facoltà dell'anima, prima fra le quali
la intellettiva, e dagli atti loro, alla stessa propria natura del-
l' anima razionale. Cammino inverso a quello che si era tenuto e si
teneva comunemente nelle scuole, dove, da definizioni astratte
dell'anima. GIROLAMO FRACASTORO 219 come dall'
entelecheia d'Aristotele, si faceva di- scendere e si credeva di potere spiegare
i singoli fenomeni; ma appunto perciò abbiamo annoverato il
Fracastoro fra i primi filosofi del rinascimento, avendo egli avuto
chiara coscienza della necessità di procedere a posteriori anche ne' più
ardui problemi della filosofia, della quale in tal guisa
preannunziò il rinnovamento . Nel suo libro dell' Anima adunque si
dovevano raccogliere 1 supremi sforzi dell' acume filosofico del
Fraca- storo, e tuttavia per talune ragioni che or ver- remo
esponendo, questo libretto rimane inferiore all' aspettazione del
lettore, e forse al concetto stesso che aveva guidato l' autore nel
comporlo. II. In primo luogo il dialogo è
rimasto incom- piuto perchè F autore, che da tanti anni vi me- ditava
sopra, fu prevenuto dalla morte. E per quanto si possa credere che in
confronto del- l' ampio svolgimento dato al libro dell' Intelle-
zione^ questo sull' Anima avrebbe dovuto avere un corrispondente e
proporzionato sviluppo, in ragione della più alta gravità e difficoltà
della materia, è tuttavia un libretto di non molte 220
CAPITOLO OTTAVO pagine quello clie ci è pervenuto, e che si
trova impresso nella raccolta delle opere Fracastoriane. In
secondo luogo la dottrina dell' anima è in questo dialogo trattata
limitatamente , e quasi esclusivamente rispetto alla controversia
dell' immortalità. E' ben vero che il Fracastoro cerca sin dal principio
di sollevarsi sino ad af- ferrare la « quiddità » dell' anima, però
assai brevemente, e di leggieri si scorge che non è questo, almeno in
tal luogo, il fine principale a cui mira. Notissima è la contesa
suscitata a quel tempo dal Pomponazzi intorno alla immor- talità,
da lui filosoficamente negata, cristiana- mente creduta, non diremmo
tanto per la consapevolezza del pericolo, quanto per quello strano
contrasto che accompagna le più ardite ribellioni di uomini usciti allora
dal dominio della teologia. Il che tuttavia non tolse che al
Pomponazzi stesso da taluno si facesse intendere eh' egli, ammessa per
buona la sua credenza come cristiano,, poteva essere arso soltanto
come filosofo. La dottrina del maestro ebbe contraddi- tori fra i
suoi stessi discepoli. Primo fra questi il Contarini, uomo di chiesa, la
confutò, dicendola sospetta di ateismo; nè alcuno si attenderebbe
che il Fracastoro, uomo religioso, e medico del Concilio di Trento,
avesse a difenderla. Ciò non GIROLAMO FRACASTORO 221
ostcante è errata l'opinione di coloro i quali credettero, come
riferisce pure l'anonimo scrit- tore della vita del Fracastoro, che
questi com- ponesse il suo dialogo « adversus insana non minufi
quam impia Pomponatii praeceptoris pla- cita » (pag. 8). Queste parole ci
fanno sentire r acrimonia dell' animo nei contradditori del
Pomponazzi, ma tale non è verso di lui l'animo del Fracastoro, il quale
si sforza bensì di con- fermare l'immortalità, ma senza parola di
ran- core contro di alcuno, anzi senza mai nominare il Pomponazzi,
e senza quasi mostrar di cono- scere le obiezioni da esso addotte. Il
dialogo poi fu pubblicato soltanto molti anni dopo la morte del
filosofo mantovano, onde anche per questo rimane del tutto escluso che 1'
opera fracastoriana potesse avere un fine personale e polemico. Con
tutto ciò egli è certo che il fine apologetico della difesa del dogma la
vince , nel nostro autore, sulla discussione schiettamente
filosofica; e l'aver egli ristretto un argomento sì vasto pressoché a
questa sola questione , to- glie oggi naturalmente al dialogo
originalità ed efficacia. In terzo luogo, ed è logica e necessaria
con- seguenza di quanto finora si è osservato , la forma stessa del
dialogo diviene piuttosto let- 222
CAPITOLO OTTAVO terapia che filosofica e si abbandona
a poetiche concezioni, invece di conservarsi strettamente
raziocinativa e dialettica , quale appariva nel dialogo della «
Intellezione. » Sente il nostro autore che la quistione dell' immortalità
sfugge propriamente all' indagine della ragione , on- d' egli vi
sostituisce la poesia e il sentimento, per quanto siano questi pure lati
assai ragguar- devoli dell' animo e del pensiero umano. Non- dimeno
quello che nel caso nostro più importa notare, si è che ciò facendo il
Fracastoro non pretende ancora assoggettare la ragione al dogma,
siccome era avvenuto per tutto il medio evo, ma francamente riconosce che
in quistioni di tal natura non si può procedere col rigore del
ragionamento filosofico, in guisa che non s'abbia ad accettare se non
quello che sia stato rigoro- samente dimostrato, come volevano le
antiche scuole degli stoici e dei peripatetici : « Deinde... et
duritiem severitatemque illam vel stoicam vel etiam peripateticam
exuamus, ut nihil velimus admittere nisi quod iis rationihus assertum
com- prohatumque fuerit quas comprobativas consue- vimus appellare.
In omnibus enim illas expe- tere iniustum profecto est » (pag. 207).
Queste parole ci sembrano per vero molto notevoli. Se le prendiamo
alla lettera, in esse il Fracastoro GIROLAMO FRACASTORO
223 ci apparisce, come filosofo, inferiore a sè stesso,
e verrà il Descartes a ristabilire come legge essenziale del metodo quel
medesimo rigore dimostrativo che stoici e peripapetici avevano
voluto. Tuttavia conviene ben rilevare come anche in cotesto il nostro
Autore, pur soste- nendo una tesi opposta a quella del Pompo-
nazzi, sa ben distinguere, come questi aveva insegnato a fare, ciò che
può esser soggetto di razionali dimostrazioni, e ciò che, non
potendo esserlo, va piuttosto confidato al sentimento ed alla fede.
Non v' è più qui la formula medio- evale « intellectus quaerens fidem ; »
e nemmeno Taltra « /ides quaerens intellectum », ed in cote- sta
distinzione che assegna un campo separato alla filosofia e alla fede, pur
entrambe neces- sarie a soddisfare un'imperiosa esigenza psico-
logica, tutti sanno che fu il principio di un salutare rinnovamento
oltreché scientifico, altresì morale e civile.
III. Del rimanente non è a dimenticare che al tempo del
Fracastoro quasi tutte le specu- lazioni e discussioni che si facevano intorno
224 CAPITOLO OTTAVO all'
anima , aggiravansi principalmente intorno all'immortalità. Ogni secolo
discute quei pro- blemi che più lo interessano, e non è a mera-
vigliarsi che in un' epoca in cui ridestavansi i nomi e i ricordi gloriosi
di antiche scuole filosofiche, in cui si rinnovellavano le forme
letterarie ed artistiche dell' antica civiltà greca e romana , si
cercasse con ansia profonda in quei ricordi, presso quei letterati, nei
libri di quei filosofi, la conferma o la liberazione da quei dogmi
che per secoli avevano occupato le menti di ognuno. Così avviene che di
tutta la psicologia di Aristotele, la sua dottrina intorno alla
doppia natura del Noo, da cui sembrava potersi con- chiudere, rispetto
all'anima, ora che ella è, ora che non è mortale, era stata fra le altre
parti della sua dottrina la più dibattuta da commen- tatori e
filosofi ; è i nomi stessi di aristotelismo e di platonismo si prendevano
ormai come in- segne di guerra, secondochè si mirava ad oppu- gnare
0 a difendere 1 dogmi cristiani. Indi le guerre tra aristotelici ed
antiaristotelici; e tra gli aristotelici stessi gli uni si sforzavano
an- cora di tirare le dottrine del maestro, come avea fatto la
scolastica, a razionale dimostra- zione di rispettate credenze, gli altri
invece francamente vi si ribellavano, ma tutti facevano
GIROLAMO FRACASTORO 225 segno de'
loro studi più assidui quei luoghi d'Aristotele che più da presso si
riferivano alle supreme quistioni del loro tempo. Ed ecco perchè
anche la psicologia del Pomponazzi si svolge principalissimamente intorno
all'immor- talità , come pure intorno alla stessa quistione si
agitano, pressoché esclusivamente, tutti i suoi contraddittori o
sostenitori, come il Nifo, il Contarini, il Fracastoro, l'Achillini, il
Porzio, il Zabarella infìno al Cremonini e al Cesalpino ; e in
generale tutti coloro che più o meno par- tecipando al moto impresso dal
Pomponazzi, svolsero o rifecero, sulle tracce d' Aristotele, la
psicologia del Rinascimento. IV, Premesse le
quali- cose, veniamo ora a più particolareggiato esame di questo dialogo
del Fracastoro. Sono i medesimi personaggi che avevano si
dottamente ragionato dell'intellezione, i quali ora prendono parte alia
nuova discussione intorno all' anima, ed incomincia a parlare il
Fracastoro, protagonista del dialogo. Pel cui svol- gimento, quasi dramma
intellettivo, l'autore non IS 226 CAPITOLO
OTTAVO manca in prima di tratteggiare la mirabile scena
naturale ove egli e i su oi compagni si tro- vano, al cospetto di tante
bellezze naturali di acque, di monti, di luoghi boscosi ; e tutto
ciò risuscita in loro l' immagine degli antichi filo- sofi greci,
che contemplando la viva natura s' ispiravano alle sublimi loro speculazioni.
Tal- ché pieno dei ricordi e delle idee greche, il Fra- castoro che
sin dal principio cita Teofrasto per la somiglianza del luogo ove egli ed
i suol amici erano radunati con altro luogo da quello de- scritto
nell'Arcadia, così soggiunge: « De anima... nostra cum sinais haUturi
sermonem^ in qiiam videtur musica latentem nescio quam vim et
consensum habere, apte quidem fiet si aliquan- tis per nunc ecccitetur in
noUs. » Ed alcuni carmi cantati dal solito garzonetto, accompagnati
dal suono della cetra, danno l' ispirazione e l' in- tonazione del
dialogo. Perocché in tali versi si canta del felice giovine che rapito da
Giove e dato per compagno ad Ebe, cambia la terrena dimora con V
eterna giovinezza dell' Olimpo. Questo congiungere insieme la
poesia e la filosofia (pur tenuto fermo quanto sopra abbiam detto
sulle diverse e talora opposte ragioni della scienza e dell ' arte ) è
uno dei feno- meni a mio giudizio più ragguardevoli che
GIROLAMO FRACASTORO 227 SÌ manifestano in taluni dei più
grandi inge- gni dei Rinascimento, compreso il Bruno stesso che sì
altamente e filosoficamente poetava. In- vero r Italia era allora tutto
un popolo di artisti ; e dell' arte si facevano ben sovente
ispiratori e maestri i filosofi. Tal fenomeno me- riterebbe un più lungo
studio, che qui non è il luogo nemmen di accennare, perchè troppo
ci allontanerebbe dal nostro fine principale ; però piacemi almeno di
riferire un saggio della poesia filosofica del Fracastoro, osservando
che se allora ì' arte e l' ispirazione del sentimento tenevano il
luogo delle dimostrazioni filosofiche, ben potremmo augurarci che oggi
all'inverso, di tanto mutati i tempi, la filosofia e la scienza
valessero a dar vita ad un' arte e ad una poesia nuova, quando tutti oggi
sono concordi a lamen- tare la decadenza della poesia e dell'arte.
Eceo ora la poetica finzione del Fracastoro : Ne timeas,
Troiane fiier, quod in ardua tantum Tolleris a terra: quod rostro atque
unguihus uncis Te complexa ferox volncris per inania portai.
Audisti ne unquam sublimis nomen Olympi ? Audisti ne Jovis,
tonitru, qui fulmina torquet ?. . . . nie ego sum, non haee te
volucris, sed Juppiter est, qui Haud praeda captus, diari sed amore nepotis
In summum amplexu innocuo te portai Oìympum. 228
CAPITOLO OTTAVO Astra ubi tot spedare soìes,
uhi pulcher oUt Sol Oi-tusque occasusque siios, ubi candida noctes
Currit Luna nitens, auroram Lucifer anteit. Hic ego te in numero
superum domibusque Deorum, Ver ubi perpetuum, felix ubi degitur
aetas Aeterna et semper viridis floreìisriiie iuventa, Consistam,
aequalemque annis pubcntibus ITeben Officioque dabo comitem
.Pone metum, dilecte Jovi, melioraque longe Frospiciens, charam
pucr obliviscere Troiani ; Neve Deim te iam et divorum regna
petentem lilla canum, aut Idae nemorosae cum sequatur.
Y. Tale dunque è la poetica introduzione al trattato
dell' anima. Ma l' autore entra subito in materia, e ricerca intorno all'anima
due cose : quale ella sia « qualis nam sit^ » cioè s' ella sia
eterna ed immortale o no; e che cosa sia « quid sit, » cioè la stessa sua
natura. Con rapida analisi egli raccoglie tutti gli elementi che la
riflessione filosofica scorge nel concetto che tutti possiedono dell'
anima, intesa co- me principio della vita , e che da Aristotele
erano stati cosi ampiamente dibattuti e venti- lati. Percorre tutti i
gradi della vita, e non si ferma all' antica distinzione delle specie
di anime che corrispondono alle celebri facoltà GIROLAMO
FRACASTORO 229 aristoteliche di
nutrizione, sensibilità, locomo- zione, intelligenza, pur fra loro
concatenate in modo che non sia possibile la funzione superiore se
non siano state prima attuate le funzioni in- feriori; ma sviluppa inoltre
il principio stesso della vita, separandolo, più distintamente
forse che non avesse fatto lo stesso Aristotele, dalle varie
operazioni, procedenti da altre cause, che concorrono a manifestarlo. In
ciò la sua espe- rienza di medico e 1' erudizione eh' egli posse-
deva delle dottrine vitalistiche e animistiche emesse da fisici e medici
insigni, come Andro- nico e G-aleno, ch'egli ricorda, lo pongono in
grado di meglio determinare il principio stesso della vita, procedendo
per eliminazione di tutto quanto apparisca insufficiente a spiegare
una forza 0 potenza di tanto mirabile efficacia. Così egli esclude
che bastino a dar ragione della vita la naturai complessione delle parti
d'un corpo organico, considerando quelle piuttosto come strumenti indispensabili
che come vera ed intima causa ; esclude quella temperatura o
mescolanza di umori e queir armonia o consenso delle mem- bra su
cui pur tanto si erano fermati gli antichi, scorgendo in tutto ciò
piuttosto un rap- porto da cosa a cosa, che un principio unico ed
attivo delle operazioni • esclude infine quegli 230 CAPITOLO
OTTAVO Spiriti che eia altri fiiron cliiamati vitali, o il
calor naturale, parendogli questi cosa ben dif- ferente da ciò che è
propriamente forza vivente e pensante. Ma allora che cosa è 1' anima,
come principio della vita, sia vegetativa, sia sensitiva^ sia
intellettiva ? E qui il Fracastoro torna esat- tamente ad Aristotele, la
cui celebre definizione dell' anima, fu ripetuta per tutto il medio
evo, ed in tutto il periodo del rinascimento, « nè an- cora, al
dire del Fiorentino, se n' è potuta esco- gitare una migliore »
(Pomponazzi, pag. 26.) A dir vero, quella stessa definizione
aristotelica, essere cioè V anima V entelechia prima di un corpo
fisico, organico, che ha la vita in potenza, non era forse la più
persuasiva, a cagione del- l' oscurità di queir entelecheia che ha dato
luogo a tante discussioni e interpretazioni ; tuttavia il
Fracastoro si adopera per illustrarla, e la esplica coi concetti di forma
sostanziale e di atto mo- tore, e poi di forza organizzatrice ; dei
quali i primi due erano il risultato delle teorie ari- stoteliche,
il terzo dovea essere il punto di partenza delle nuove speculazioni che
si vennero svolgendo per tutta la filosofia moderna, dallo spirito
puro cartesiano sino alla monade Leibni- ziana :«.... Aristoteles quidem
volens animae naturam et rationem eocplicare^ entelechiam
GIROLAMO FRACASTORO 231 vocavìt , qiiam alii agitationem
continuam, alìi actum transtulere : est ennn anima propria forma
corporis organici, naturalis, viventis sed QUATENUS INFLUIT VIM ET
AGITATIONEM IN TOTUM! prìmuin enim tum esse dat, tum
conservationem continuam ; per ipsam deinde fiunt attractiones
similiiim, aggenerationes, et alimenta qualitates in virtute illius alter
ant , miscent , collocante formant, figttrant . . . . et tandem
progressìones animalium , generationes semìnum , et demum similium
organizationes : quae omnia fiunt in virtute animae et formae per eam vim
quam a mundi anima ed a Beo certam et nunquam errantem recepit »
(pag. 209). VI. Non si poteva concepire in una forma
più elevata e universale questa forza efFettrice della vita,
qualunque essa siasi (dacché la sua essenza ci sfugge, come ci sfuggono
tutte le ultime ragioni delle cose) ; ne la dottrina di Aristotele
poteva avere un più chiaro e sincero interprete. Ancora è da notare come
il Fracastoro, da buon naturalista eh' egli era, presente qui l'
unità della vita nell' universo, ma riferendo 1' anim<a
232 CAPITOLO OTTAVO dell' uomo all'
anima del mondo ed a Dio, non conclude in favore di un assoluto
panteismo, idea- le 0 materiale , eh' era pure stato il retaggio di
alcune scuole antiche, ne partecipa a quelle fantastiche animazioni che
si riscontrano, come altrove notammo, in alcuni filosofi del
rinasci- mento ; bensì la stessa sua sobrietà e temperanza^ che
anche altrove abbiamo avuto occasione di porre in rilievo^ lo trattiene
dal trascendere ad affermare quanto non fosse il semplice bisogno
di concepire la natura come un tutto organizzato e vivente. Il
quale bisogno fu pure altamente sentito in tutto il Kinascimento. Ma se
si con- fronti questa semplicità e diremmo quasi buon senso del
Fracastoro, con le stravaganze che intorno all'anima del mondo ebbe
dichiarato Cornelio Agrippa nei libri « De Occulta Philo- sophia ;
» con le cose astruse e sottili che sì leg- gono nella « Pampsychia » del
Patrizzi, nel « De SuUitilite » Cardano, nel « Messaggero » del Tasso
; e in fine con le idee trascendenti enunciate nei libri « De Causa » e
nella « Cena delle Ceneri » del Bruno e nel «• De sensu re- rum et
Magia » del Campanella, si vedrà quanto l'azione moderatrice del
Fracastoro fosse oppor- tuna per volgere senza scosse la filosofia del
suo tempo dal formalismo d'Aristotele al naturalismo de' nuovi
tempi. GIROLAMO FRACASTORO 283 Però la
definizione aristotelica dell'anima abbracciata dal Fracastoro non
risolve una difl5- coltà, anzi una contraddizione sostanziale che
qui sorge improvvisa. L'anima, essendo per Aristotele forma
sostanziale del corpo è indisgiungibile da questo, come egli ebbe
risolutamente affermato in più luoghi, e segnatamente in quello
notis- simo del Lib. II cap. 1 § 12 «De Anima. » Ne perciò
Aristotele ebbe anco il pensiero di voler indagare la possibilità di un'
esistenza separata dell' anima. In tutto il suo sistema materia e
forma costituiscono nella realtà una sola cosa, entrambe sono egualmente
necessarie ed inse- parabili, essendo la materia la potenza della
forma, e la forma atto della materia, talché dove è materia è forma, e
dove è forma è altresì materia. Tuttavia questa unione e
compattezza della materia e della forma, che costituisce uno dei
cardini del sistema aristotelico, vien rotta allorché dalla realtà
applicata al conoscimento, deve la teorica d' Aristotele adattarsi a
spiegare il modo con cui si effettua in noi la cognizione, mediante
la stessa materia e la stessa forma. Invero la materia, secondo la
teoria eredi- tata da Platone , e che non pertanto torna meno
sostenibile nel sistema aristotelico, è in- definita 0
indeterminatissima, perciò ella è 284
CAPITOLO OTTAVO inconoscibile in sè stessa, come vlen
dichiarato nella metafisica. La cognizione invece è data dalla
forma; vi è però in questo una intrin- seca difiìcoltà , perchè la forma
educendosi dalla potenza della materia, parrebbe che la
inconoscibilità di questa dovesse rendere meno accettevole la
conoscibilità di questa. La diffi- coltà si aggrava quando la materia e
la forma si considerino in quei due termini estremi di tutta la
nostra conoscenza che sono l' individuo e r universale. Questi due
termini rimangono inconciliabili nel sistema d' Aristotele, e dì
qua la prima sorgente di tutte le opposte direzioni date alle varie
parti della sua dottrina, alle quali questo primo principio, per la
stessa com- pattezza del sistema, generalmente si distende. Invero
l' individuo è sensibile, V universale è intelligibile, secondo la
teorica fondamentale d'Aristotele che pure altrove abbiamo richia-
mata ; intanto l' individuo che dovrebbe parte- cipare della
inconoscibilità della materia , è tuttavia per lui il sinolo di una
materia e di una forma, ma partecipa di più della incono- scibilità
della materia a cui è più vicino ; l'uni- versale invece nella sua
massima forma rimane assoluta conoscenza, ossia pura forma, senza
mistione alcuna di materia, cioè Dio. Li tal GIROLAMO
FRACASTORO 235 guisa si viene a separare per la prima volta
la materia dalla forma, dappoiché è manifesto che mentre tutte le
altre forme^ eccetto la massima^ si compenetrano nella materia, rispetto
alla no- stra conoscenza si ammette una forma pura che viene ad
essere per così dire divorziata dalla materia. E' questa
veramente una contraddizione del sistema d'Aristotele, la quale chi ben
consideri^ non va attribuita a difetto del genio smisurato di lui,
ma accusa piuttosto una di quelle intime ripugnanze che si ritrovano in fondo
a tutte le analisi più profonde del pensiero metafisico, e che
avrebbe dato luogo più tardi alla nega- zione del principio di causa per
parte dell'Hume, e al riconoscimento di quelle intrinseche anti-
nomie le quali dovevano essere messe in evi- denza dall' acutissima mente
del Kant nella critica della ragion pura. Ora questa stessa con-
traddizione trasportata per necessaria conse- guenza di sistema nella
investigazione della natura dell'anima, dà luogo alla strana ambi-
guità di Aristotele intorno alla immortalità ed alle controversie
infinite che ne derivarono. Pe- rocché mentre dalla definizione sopra
riferita dell'anima dovea dedursi che questa non essendo
disgiungibile dal corpo non potesse avere una 286
CAPITOLO OTTAVO esistenza separata, e perciò
dovesse dileguarsi e perire, clie dir si voglia, al morire o
disfarsi del corpo, ecco invece che vien dicliiarata ad un tratto
capace di separata esistenza, e perciò immortale. Ciò è chiaramente detto
da Aristotele in altro luogo pur celeberrimo del IT. libro « De
Anima » ove è detto che /' intelletto e la potenza pensante senibra
essere un altro genere di aniìna e questa sola potersi dare che sia
se- parata, come V eterno dal perituro (cap. 2 § 9). Adunque,
stando alla antecedente definizione dell' anima (che pare dovea
comprendere tutti i generi di anime) anche l' intellettiva avrebbe
dovuto concludersi mortale ; ma giunto a questo Aristotele si arresta, e
ripigliando il cammino dalla teorica della conoscenza e dalla forma
pura, come sovra V abbiamo esposta, che si può concepire separata dalla
materia, conclude che si può dare, èvSéxexat, anche un'intelligenza
se- parata, e perciò immortale. Questa conclusione sembra tanto più
inaspettata inquantochè egli aveva fatto scaturire 1' anima intellettiva
dalle potenze inferiori ; allo stesso modo che tutte le forme erano
implicate nella materia ; e tuttavia non ostante l' antinomia delle
parti, egli è in fondo coerente all' insieme del suo sistema, per-
chè l'intelletto che si dice ora separato vien GIROLAMO
FRACASTORO 237 fuori in forza di quel medesimo ragionamento
che, nel processo conoscitivo dall' individuo al- l'universale, gli avea
fatto concepire la possibilità di una forma pura separata da ogni
materia che spiegasse 1' universale. Tale per sommi capi è la
teorica di Aristotele che qui ci siamo sfor- zati di ridurre alla suprema
possibile chiarezza traendola fuori dal viluppo delle ragioni
opposte, specialmente de' commentatori , e mostrandola come un
prodotto logico del suo sistema. Nè bisogna dimenticare inoltre che in
tutta cotesta controversia Aristotele stesso non è abbastanza
esplicito, e ciò diede luogo ai commenti infiniti degli espositori.
VII. G-li aristotelici avevano dunque un bel di-
battersi fra queste due opposte conclusioni ; il problema era insolubile.
Invero tanto potevano aver ragione coloro che avrebbero voluto
sfor- zare Aristotele ad esser logico fino in fondo, traendo dall'
inseparabilità dell' anima dal corpo la prova della mortalità della
medesima, tanto coloro che dalla forma e dall' intelletto separato
concludevano per l' immortalità. Ed è cosa nota CAPITOLO
OTTAVO nella storia che mentre i Dottori delle scuole
stavano per questa sentenza, quasi tutti i com- mentatori non scolastici,
e Alessandristi e Averroi- sti, conchiudevano per la prima opinione,
anche prescindendo dalla dottrina dell' intelletto sepa- rato come
contraria alla definizione generale dell' anima. Il vero si è che cotesti
erano sol- tanto ragionamenti a priori^ nè la natura del- l'
argomento ammetteva la possibilità di quella esperienza che ormai da
tante parti , e dal Fracastoro stesso, si contrapponeva alle
astratte speculazioni. Bisognava dunque contentarsi di queste o
abbandonare la controversia. Tuttavia notammo già che il problema s'
impone, alla umana coscienza e non è di quelli che special- mente
in un tempo in cui sì gran parte dell'edificio morale e civile e
religioso riposava su di esso, avrebbero potuto evitarsi. Se il sistema
d'Aristo- tele era impotente a risolvere un siffatto problema
bisognava sciogliersi dal sistema, ed allora a che affidarsi ? La
quistione, come altrove notammo, era stata ben posta dal Pomponazzi , la
cui dottrina ci piace qui riassumere con le cospicue parole del
Ferri nella altre volte citata sua Opera : « Se volete, dice essa, una
dimostrazione dell' immortalità, la filosofia non ve la dà, nè ve
la può dare ; ammessa invece la verità rive- GIROLAMO
FRACASTORO 239 lata, la religione ve la
fornisce, domane! alela ad essa » (pag. 219). Ora, il Fracastoro
come si comporta ? Egli è, a nostro avviso seguace giudizioso del
suo Maestro, perchè è ben vero che egli difende V immortalità la quale il
Pom- ponazzi fllosoflcamente impugnava, ma sentendo r insufiScenza
de' ragionamenti filosofici, franca- mente ricorre a quella religione
stessa che pure il Pomponazzi aveva additata. Infatti, oltre a
quanto fu già rilevato in principio, ch'egli non prometteva dimostrazioni
filosoficamente rigo- rose ; qui, dopo percorse e ripetute le ragi
oni d'Aristotele secondo la interpretazione scolastica, assai
modestamente e quasi dubitativamente conchiude esser là tutto quella che
sembravagli potersi addurre in favore della sua tesi: « atque haec
quidem sicnt quae de perìpateticorwn penu ediici posse videntur.... ; »
Di più confessa an- cora per bocca del suo interlocutore, che non
poche cose potrebbero tuttavia revocarsi in dubbio : « Non panca certe
sunt quae si conten- tiosi esse velimus possint adirne in diihium
verti » (pag. 215). Ond' egli da questo punto abbandona addirittura il
campo della filosofia per entrare in quello della teologia, e
quando viene a parlare, pur tentando di risolvere quei
240 CAPITOLO OTTAVO dubbi, di Dio e
dei fini della creazione, così dell' uomo , come di questa meravigliosa
mac- china mondana ; e di poi della beatitudine degli angeli, della
generazione del Cristo, della vita e dello spirito dei santi (pag. 209 e passijn)
egli manifestamente non parla più come filosofo ma soltanto secondo
religione, e non fa nè può far altro che ripetere le argomentazioni
dei teologanti ; nelle quali, come è giusto, noi in- competenti non
lo seguiremo. XIII. Non di meno l'
interpretazione che il Fra- castoro dà alle dottrine di Aristotele, ci
porge argomento di esaminare alcun' altra cosa che non è senza
importanza per rispetto alla storia della filosofia e in particolare
dell'Aristotelismo nel rinascimento. L'entelecheia d'Aristotele,
oltre alle altre discussioni, aveva dato luogo a dubbi intorno
all'unità dell'anima e del corpo umano ; perocché, si diceva, se 1' anima
è 1' atto e la forma del corpo organico, naturale, vivente, secondo
le parole dello Stagirita, essendo co- testo corpo organico non vera
unità, riunione di più membra tanto diverse quanto sono le
GIROLAMO FRACASTORO 241 ossa dai
muscoli, dai nervi, dalle vene, e così di seguito, come può l'anima
essere una forma unica applicandosi a forme tanto diverse ? E qui
l'acume de'commentatori d'Aristotele si era assai ingegnato di trar fuori
1' unità dell' anima, in- colume, e quale è attestata dalla coscienza,
dalla molteplice varietà delle forme corporee di cui doveva essere
l'atto e la vita. Gli uni avean detto che l' unità dell' anima dee
intendersi soltanto w genere, pur differendo le membra nelle
specie; come più animali, ad esempio r uomo, il cavallo, il bue,
costituiscono un ge- nere unico, differenti ssimi rimanendo nella spe-
cie : dove ognun vede che, se così fosse, l'unità dell' anima sarebbe
fondata soltanto sopra un concetto mentale; ma realmente nient'
altro sarebbe che un' astrazione eduna chimera. Altri poi dicevano
che in ogni corpo organico vi è sempre una parte che è principale
rispetto alle altre, anzi queste son fatte per quella e gover- nate
da quella, onde 1' anima non è necessario che si intenda esser una
rispetto a tutte le parti del corpo, ma soltanto rispetto a quella che è
la principale, e così 1' anima è unico atto od unica forma di un' unica
organica potenza,- la quale ha virtù di dare la vita al tutto.
Questa risoluzione sembra al Fracastoro più vicina alla
242 CAPITOLO OTTAVO verità del nesso fisiologico che è fra le
membra^ e Clelia loro subordinazione: tuttavia non lo ai)paga
compiutamente^ e ci sembra notevole ii principio che egli ora introduce
per definire la controversia. Anche le parti principali, die' egli
con profonda dottrina e con acuto spirito di osservazione, sono parecchie,
onde 1' unità non può risultare dal solo fatto che una di esse è la
principale. Ma da che cosa risulterà dunque? Balla loro continuità, egli
rlice, perchè ogni xmità non sì può altrimenti intendere che come
continuità; « Principale» siquidem partes, quam- quam plures sint,
fiuntper continuationem unum: OMNE ENIM CONTINUUM EST UNUM » (pag.
209 verso). Questo principio ci pare notevole perchè fa
presentire V analisi profonda che del concetto di unità fu fatto da
filosofi posteriori sino allo Spencer, il quale ne' « Primi principi »
svilup- pando il concetto che è già cosi chiaro nel Fracastoro,
dimostra che (.gni unità è continuità di parti,, perchè 1' assolutamente
uno è impen- sabile. E se il Fracastoro avesse sostituito alla continuità
delle parti del corpo organico la con- tinuità degli stati di coscienza
(e ognun sente il nesso . logico che dovea condurre da quella a
questa) avrebbe posto una delle pietre ango- lari della psicologia
moderna. La quale, come GIROlAMO FRACASTORO
243 ognun sa, si è costituito per proprio
oggetto appunto r esame della successione di quegli stati, di cui
il processo cerebrale e le parti orga- niche sono la causa occasionale,
mentre la co- scienza n'è il legame indispensabile ; e dall'analisi
descrittiva di tali stati di coscienza, dal più semplice al più
complesso, fa scaturire quella grande unità che è la nota più
caratteristica nella natura e nella vita dello spirito.
XI. Altro punto importante della psicologia fra- eastoriana
ci sembra quello ove, pur mantenendo assoluta la diversità
dell'intelletto dalla materia, riaccosta tuttavia l'uno all'altra, per
dimo- strare come l' incorruttibilità del primo non dee intendersi
altrimenti che quale conservazione di una energia sostanziale, allo
stesso titolo per cmì si ammette indistruttibile ed eterna la mate-
ria. Nulla si crea e nulla si distrugge, è il prin- cipio antico, cui
ritorna il Fracastoro, dopo le negazioni alle quali per il falso concetto
dell'atto creativo erano venute la scolastica e la teolo- gia
medioevale. Ma tale principio rimesso in Qnore anche da altri filosofi e
scienziati del 244 CAPITOLO OTTAVO rinascimento,
manifestamente segna un grande progresso, e già accenna a quella legge
univer- sale e feconda della conservazione e trasforma- zione dell'
energia, che tanta importanza ha assunto nell'indirizzo e nelle scoperte
della scienza moderna. Non diremo che nelle dottrine del Fracastoro
si giunga sino a questo, e che ciò possa avere virtù risolutiva rispetto
alla quistione dell' immortalità ; nondimeno ci par nuovo, bello e
fllosoflco il pensiero da cui egli è guidato, e ci piace rilevarlo : «
Procul dubio, die' egli, idem de intellectu dicendum erit quod de
materia, et utrumque incorruptibile et aeter- num esse. » E ripete poco
stante : « Quare et incorruptibilem ponere intellectum debemus, et
parem habere cum materia conditionem » (pagi- na 213 verso). Ed infine ci
pare manifesto che rispetto alla tesi ultima che il Fracastoro .
voleva sostenere, vale a dire V immortalità, egli abbia inteso come
non dall' astrazione o separazione dell'intelletto dalla materia, (su cui
si fondavano quasi tutti gli altri aristotelici sostenitori
dell'im- mortalità stessa) ma dal loro accomunamento era lecito
dedurre quanto di più filosofico si poteva dire suir argomento. Onde
anche in ciò il Fra- castoro dà prova così di grande acume d'inge-
gno come di retto criterio filosofico ; ed è forse GIROLAMO
FRACÀSTORO 245 questo il solo punto in
cui egli, contrapponendosi alla dottrina del Pomponazzi, ben si
appone, perocché se non riesce a dare una dimostrazione della
immortalità, che egli stesso abbastanza esplicitamente ha confessato la
filosofia non pò- ter dare; toglie almeno quella rude contraddi-
zione che non avea dubitato di accogliere il Pomponazzi, ammettendo
potersi credere cristia- namente quello che filosoficamente avea
negato. Questa massima strana, è tanto inconcepibile, che fra gli stessi
storici della filosofia vi fu chi stimò non sincero il Pomponazzi come
cristiano, ad esempio il Brucker, il quale scriveva che ha una fede
eroica chi crede sincero l' osse- quio onde fa mostra il Pomponazzi verso
la religione cristiana; mentre altri invece, come il Bitter, stimò
il Pomponazzi non sincero 0 almeno non coerente o non convinto come
filosofo. Tale incoerenza non sarebbe stata pos- sibile al Fracastoro, la
cui temperanza e il retto criterio filosofico aveano fatto scorgere
il giusto punto fin dove filosofia e religione sarebbero andate
d'accordo, e al di là del quale alla religione, non alla filosofia,
sarebbe stato lecito procedere sola. Sola ma non avversa ; perchè
quello che la filosofia avesse dimostrato assurdo, ninna religione
potrebbe mai dare a 246 CAPITOLO OTTAVO credere,
e ciò che si stima verità religiosa (leve non poter esser dimostrato
falso in filosofia. Ecco perchè il Galilei, impigliato egli pure in
quistioni religiose, doveva affermare più tardi che « due verità non
possono mai contrariarsi ; » intendendo per tali la verHà filosofica e la
re- ligiosa ; e fii pure il GFalilei quegli che riuscì a
rivendicare totalmente alla filosofia ed alla scien- za la sua autonomia
contro le antiche invasioni religiose e teologiche. Il Fracastoro
adunque, seguace del Pomponazzi nello sceverare il cri- terio
filosofico dal religioso, è più logico e più accorto di lui nel non
mettere in contraddizione F uno coir altro, ma piuttosto nel segnare
il confine d^ ambedue. E poiché in filosofia come in religione e in
morale e in politica, tutte le quistioni più gravi sono principalmente
qui- stioni dì confini, così ci pare notevole che il Fracastoro
abbia colto precisamente quei punto, in cui trovandosi la religione non
con- traddetta dalla filosofia, e offrendo questa ben largo campo
ad altre ricerche, potevasi at- tendere ben altro sviluppo da un concetto
alta- mente filosofico , quale era quello dell' energia sostanziale
e della forza, il quale sviluppo si ebbe di fatto in tutta la filosofia
posteriore fino allo Spinoza e al Kant ed all' Hege).
GIROLAMO FRACÀSTORO 247 Senza
caddentrarci più oltre in questo speciale iirgomento, che eccederebbe i
limiti del nostro studio ed il nostro bisogno, stimiamo opportuno
confortare la nostra opinione con le belle parole del Ferri, da lui poste
come conclusione del suo sapiente esame intorno alle dottrine
psicologiche del Pomponazzi , e che a noi pare conven- gano
pienamente anche a quelle del Fracastoro : « Accomunati nella energia,
manifestazione della forza, r anima e il corpo, l' interno e 1'
esterno non sono più estranei 1' uno all' altro. Intesa secondo
questo rapporto la materia, può essere sede e condizione perpetua della
vita e dello spirito senza contraddizione, e 1' anima umana può
aspirare all' immortalità senza che il feno- meno sensibile, falsamente
trasformato in cosa sostanziale ed esistente per sè, opponga a que-
sta aspirazione un ostacolo insuperabile » (La Psicologia del Pomponazzi,
in fine). X. Molte altre cose avremmo ad
aggiungere intorno a questo Dialogo del Fracastoro se vo- lessimo
per disteso riferirne tutto il contenuto; ma avvertimmo già che nell'
esame degli autori 248 CAPITOLO OTTAVO ed in
argonìento come quello che stiamo trat- tando, è da cogliere la sostanza
delle dottrine, e in quella parte soltanto che, vivificata da studi
posteriori, poteva esser cagione di nuovi avvia- menti, e render ragione
dei progressi ulte- riori della scienza. Tutto il resto può essere
abbandonato all' oblio. Nel Fracastoro, se non ci inganniamo, è manifesta
ormai abbastanza, per quanto si è detto fin qui, la somma delle sue
dottrine suU' anima. L' intelletto umano , come complesso di tutta quella
varietà di ope- razioni che erano state da lui dichiarate nel Dia-
logo precedente, è qui raccolto e sintetizzato, per così dire, in un'
entità separata, che ha qualche cosa di divino, perchè fornita di
quella virtù di pensare che è la suprema manifesta- zione della
vita e dell'ordine dell'universo. Talché in certo modo tutto è intelletto
e tutto si compendia neir intelletto : « mtellectus omnia
quodammodo fieri potest Si igitur omnia fieri dehet
intelledus, et in potentia esse ad omnia susceptiUlia, separatimi et
aUtractum necesse est.... » (pag. 214). Tale intelletto sepa- rato,
che è come l' essenza stessa dell' anima umana a cui è peculiare, a
differenza delle anime belluine o semplicemente vegetative che ne
sono sfornite, fa sì che la stessa anima umana GIROLAMO
FRACASTORO - 249 sia dotata delle virtù che a quello som
proprie, onde l'anima, come l'intelletto, può essere con- cepita
qual forma separata dal corpo, ed essere pertanto una, non ostante la
moltiplicità delle sue funzioni, ed immortale non ostante il suo
legame col corpo corruttibile. Belle sono inoltre le parole e le imagini
che nel Fracastoro qua e là ricorrono per armonizzare in un tutto
questi elementi discrepanti che convergono a spiegare" r
intelletto e V anima umana ; e quando , ad esempio,, esamina, secondo un
paragone allora divulgato, se l' animo si congiunga col corpo come
il nocchiero colla sua nave ; ovvero se sia tal parte di noi che solo da
esso dipenda tutto r esser nostro : « utrum ille assistat nohis, que-
madmodum nauta, ut aiunt, navi; an magis nostri sit ita pars, ut esse
illud , quod quisque hahet ab ilio detur {psig. 216 verso); quando
discute in che modo possano stare insieme e formare un tutto solo, un
atto o forma indi- visibile quale è l' intelletto, e una materia
divi- sibile quale è il corpo : « qiiomodo unum fieri posse ex
indivisibili actii et divisibili materia » (pag. 219 verso ) ; quando
ricerca con grande sottigliezza il moto proprio dell'anima, e se
questo a lei sia sostanziale o accidentale secondo le distinzioni
aristoteliche, collegando il moto 250 CAPITOLO OTTAVO
di essa e di tutte le cose, coli' iaimagine della catena omerica
che tutto abiuracela e stringe al primo motore (pag. 221) ; in tutto ciò,
dico, il nostro autore dà prova di grande vigore speculativo, e se
non tutte nuove sono le cose ch'ei dice, tutte però rivelano in lui una
mente analizzatrice e ricostruttrice, tale da poter stare al
confronto cogl' ingegni più acuti e coi filo- sofi metafisici più
profondi del Rinascimento. Da ultimo singolarmente importante dovea
es- sere quella parte del suo dialogo in cui dalle altezze sin qui
contemplate dell' anima e del- l'intelletto umano , partecipazione dell'
intelli- genza divina , e attività originata dal primo motore, egli
intendeva discendere a dimostrare il naturai principio di tutte le cose,
la loro produzione, origine e perfezione. Ancorcliè in- volto nel
preconcetto antropomorfico che pone l'uomo quasi centro di tutte le cose
«cuius grafia, egli dice, reliqua alia facta et ordinata fiiere »
(pag. 222 verso) non può disconoscersi che con mirabile sintesi
filosofica egli si prova a riannoda- re in un solo ordine tutte le cause
dei fenomeni naturali, e descrive la formazione delle cose. Argo-
mento bellissimo che tentò sempre V intelligenza e la fantasia de' più
grandi naturalisti e filosofi. Certo, non abbracceremmo oggi le idee del
Fraca- GIROLAMO FRACASTORO -OA storo SU tutte le
formazioni naturali ; ma, quello che è per noi più importante a notare, qui
di nuovo vediamo come accanto al filosofo risorge in lui lo
scienziato. Invero il Pracastoro intra- prende a descrivere la formazione
del sistema celeste, il numero e la distribuzione delle sfere, il
soffio divino che animò il tutto, e poi man mano le generazioni e le
varietà delle piante^ degli animali, e da ultimo degli uomini, per
mezzo degli elementi naturali, quali il caldo il freddo, le attrazioni e
ripulsioni delle cose. In tutto ciò il Fracastoro, per quanto pare a
noi, non ragiona come que' filosofi che avevano più volte
architettato a priori, e secondo certe loro idee preconcette, il sistema
della natura, ma sebbene non alieno egli pure dalle tradizioni
bibliche, fa chiaramente sentire che l' ordine dell' universo da lui
intuito è semplicemente il risultato delle cognizioni eh' egli mercè F
e- sperienza e con lo studio e l' osservazione di tutta la sua
vita, si era formato in astronomia, in matematica, in fisica; ed egli in
ciò procede come geologo, come botànico , come medico^ come
naturalista, o in una parola come scien- ziato. Dalle quali cose si ha
ancora una volta confermato come nel rinascimento la parte vitale
delle speculazioni e dei sistemi filosofici fu quella 252
CAPITOLO OTTAVO eh' ebbe a sostegno lo studio (lei fatti
speri- mentati nella natura, dai quali soltanto gl' in- gegni più
illuminati credevano oramai esser possibile tentar di spiegare il
passaggio dalla ma- teria informe alle più alte manifestazioni
della vita e dello spirito. Problema immenso, tanto alto e tanto
complesso clie nemmeno ai dì nostri si può dire di esser vicini al suo
scioglimento; non pertanto se fu almeno, fin dal Rinascimento,
dimostrato qual dovesse essere la via vera per incamminarvisi, questo è
dovuto a coloro che vollero ritemprata la filosofìa nelle scienze.
Ma questa parte del Dialogo del Fracastoro, che prometteva essere
la sintesi sublime delle sue cognizioni e delle sue idee filosofiche
intorno alla natura, all'intelletto ed all'anima, non può se non
accendere in noi un desiderio il quale non può essere soddisfatto,
percliè a questo punto il dialogo stesso è rimasto tronco e
interrotto per la morte dell' autore.Girolamo Fracastoro. Fracastoro. Keywords:
dialogo sull’anima, ovvero, il Fracastoro, di Fracastoro. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Fracastoro” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688440237/in/photolist-2mPtp3t-2mKwLu6
Grice e
Francesco – corpi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Diano Marina).
Filosofo. Grice: “I like Francesco; for one, he philosoophised, like I do, on
“I” and “We” – ‘first person’, ‘personal identity,’ and so on!” Insegna a
Milano e Pavia. Collabora alla pagina culturale del Sole 24 Ore, è stato
presidente della Società Italiana di Filosofia Analitica e presidente della
European Society for Analytic Philosophy. Altre opere: “La mente” (Mondadori,
Milano. Che fine ha fatto l'io?” (Editrice San Raffaele, Milano); “La mente”
(Carocci, Roma); “La coscienza” (Laterza, Roma Bar); “L'io e i suoi sé: identità
della persona e smente” (Cortina, Milano); “La mente” (Nuova Italia
Scientifica, Roma); “Il Realismo Analitico” (Guerini e associati, Milano); “Russell”
(Laterza, RomaBari); “Il soggeto communica al altro soggeto di un oggetto:
senso e riferimento” (Edizioni Unicopli, Milano); “Sgnificato e riferimento”
(Edizioni Unicopli, Milano). Rettore dello Iuss di Pavia. Corpo
(filosofia) concetto filosofico Lingua Segui Modifica Il termine corpo in
filosofia ripropone il significato del linguaggio comune intendendo per corpo
ogni essere esteso nello spazio e percepibile attraverso i sensi. Le
caratteristiche fisiche, biologiche, meccaniche del corpo di cui si è
interessata la filosofia ai suoi inizi, sono state poi oggetto dello specifico
pensiero scientifico, mentre la storia della filosofia nella sua totalità si è
occupata in particolare del rapporto tra anima e corpo. Filosofia antica Modifica
Nella filosofia antica e medioevale possiamo rintracciare due concezioni di
questa relazione anima-corpo: la prima risale alla interpretazione
orfico-pitagorica secondo la quale il corpo è un'entità di natura completamente
diversa e separata rispetto all'anima; teoria questa ripresa da Platone che
afferma che il corpo è la "tomba" dell'anima.[1] L'anima, infatti,
decaduta dalla sua condizione iniziale di perfezione ideale ed eternità si
trova prigioniera in un'entità corruttibile e mortale. Al pensiero
platonico si connettono sia la patristica[2]sia la prima fase della
scolastica.[3] La seconda concezione del rapporto anima-corpo si ritrova
in Aristotele che sostiene che le due entità non sono separate ma costituiscono
elementi separabili di un'unica sostanza: il corpo è la materia intesa come
potenzialità, quella che offre possibilità di sviluppo, l'anima è la forma, la
realizzazione di quelle possibilità materiali tramutatesi in attuali. L'anima è
la vita che possiede in potenza un corpo. Il corpo cioè è un puro e semplice
strumento dell'anima: ma non uno strumento inerte ma tale che possiede «in se
stesso il principio del movimento e della quiete»[4] Filosofia
medioevaleModifica Il corpo inteso come strumento dell'anima si ritrova nello
stoicismo, nell'epicureismo e nella scolastica: per Tommaso d'Aquino il corpo
si dirige a realizzare l'anima e le sue attività razionali allo stesso modo che
la materia aspira a realizzare la forma.[5], fino a tendere a diventare parte
del Corpo Mistico[6]. Questa concezione del corpo come strumento rispetto
all'anima non fu condivisa, nell'ambito della scolastica, dall'agostinismo che
vede nel corpo la forma corporeitatis per cui in questo, indipendente
dall'anima, vi è sia potenza che atto e l'anima è un'ulteriore sostanza che si
aggiunge ad esso. La filosofia modernaModifica La dipendenza strumentale
del corpo rispetto all'anima finisce con Cartesio per il quale corpo e anima
sono due sostanze, il primo res extensa, sostanza estesa e non pensante, la
seconda, res cogitans, sostanza pensante e non estesa[7]. Tra le due sostanze
non vi è alcun nesso causale: il corpo è «come un orologio, o un altro automa
(ossia una macchina che si muove da sé).»[8] La separazione del corpo
dall'anima diede origine a dottrine dualistiche e monistiche che cercavano di
risolvere il problema del rapporto tra eventi incorporei e corporei. Tra
le concezioni dualistiche la prima è quella cartesiana dell'interazionismo che
teorizza uno stretto scambio di azioni tra le due sostanze riducendo così la
diversità tra fatti corporei e incorporei fin quasi ad annullarla. In
opposizione a questo dualismo nella seconda metà del XVII secolo per le
dottrine dell'occasionalismo di Nicolas Malebranche[9] e di Arnold Geulincx
l'anima e il corpo sono unite dalla esistenza di Dio. Nell'ambito del
monismo va inserita la soluzione di Leibniz che vide un parallelismo tra eventi
corporei e incorporei connessi non da un rapporto causale ma da un regolare e
continuo legame per cui ad ogni evento materiale ne corrisponde uno immateriale
secondo un'"armonia prestabilita" tale per cui «i corpi agiscono come
se, per impossibile, non esistessero anime; le anime agiscono come se non
esistessero i corpi; ed entrambi agiscono come se le une influissero sugli
altri»[10] Tra monismo e pluralismo si colloca la filosofia di Spinoza
che concepisce «la mente e il corpo come un solo identico individuo, che è
concepito ora sotto l'attributo del pensiero, ora sotto quello
dell'estensione»[11] Nell'unica sostanza divina infatti coincidono corpo e
anima ossia i due attributi dell'estensione e del pensiero che mantengono però la
loro diversità in quanto coincidenti solo in Dio. Un rigoroso monismo
caratterizza invece la filosofia illuministica con le teorie materialiste
dell'uomo-macchina di Julien Offray de La Mettrie e Paul Henri Thiry d'Holbach
secondo le quali le attività mentali dell'uomo dipendono meccanicamente dal
corpo. Collegato al materialismo settecentesco è in parte la filosofia di
Karl Marx secondo il quale i pensieri e i sentimenti dell'uomo scaturiscono dai
suoi comportamenti corporei[12] Intendendo il materialismo in senso
diverso da quello marxiano, Friedrich Nietzsche imposta una dottrina esaltante
la corporeità in contrapposizione alla metafisica idealistica[13] La
concezione monistica che intende il corpo in senso idealistico annovera: George
Berkeley che vede il corpo e ogni realtà materiale come una produzione mentale
poiché solo la mente e le sue percezioni sono reali;[14]Arthur Schopenhauer,
per cui il corpo è nella sua essenza "volontà di vivere" e gli
oggetti materiali semplici oggettivazioni della volontà;[15]Henri Bergson che
considera il corpo un semplice strumento dell'azione pratica di una coscienza
spirituale[16]. Filosofia contemporaneaModifica Da Schopenhauer e Bergson
derivano le concezioni del corpo della fenomenologia e dell'esistenzialismo:
per Edmund Husserl attraverso una molteplicità di riduzioni fenomenologiche il
corpo viene isolato come esperienza vivente.[17] Concezione condivisa secondo
diversi modi da Jean Paul Sartre[18] e Maurice Merleau-Ponty.[19]
NoteModifica ^ Platone, Fedone 66b ^ Origene, De principiis, II, 9, 2 ^ Scoto
Eriugena, De divisione naturae, 11, 25 ^ Aristotele, L'anima, II, 1, 412b, 16 ^
San Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 91a, 3 ^ Summa Theologiae,
questione 8, articolo 3, nei tre possibili gradi della fede, carita' sulla
terra e beatitudine del Cielo. ^ Cartesio, Meditazioni metafisiche, 1. 6 ^
Cartesio, Le passioni dell'anima, art.6 ^ N. Malebranche, Dialoghi sulla
metafisica e sulla religione, 1, 10 ^ G. W. von Leibniz, Monadologia, par. 81 ^
B. Spinoza, Ethica, II, 21, schol. ^ K. Marx, Ideologia tedesca ^ F. Nietzsche,
Così parlò Zarathustra, I, «Gli odiatori del corpo» ^ G. Berkeley, Trattato sui
principi della conoscenza umana, par.7 ^ A. Schopenhauer, Mondo, I, par.18 ^ H.
Bergson, Materia e memoria, 1896 ^ E. Husserl, Meditazioni cartesiane, par.44 ^
J.-P. Sartre, L'essere e il nulla, 1943 ^ M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della
percezione, 1945 BibliografiaModifica N. Abbagnano / G. Fornero, Protagonisti e
testi della filosofia, 3 voll., Paravia, Torino 1996. F. Cioffi et al.,
Diàlogos, 3 voll., Bruno Mondadori, Torino 2000. A. Dolci / L. Piana, Da Talete
all'esistenzialismo, 3 voll., Trevisini Editore, Milano (rist. 1982). S.
Gabbiadini / M. Manzoni, La biblioteca dei filosofi, 3 voll., Marietti Scuola,
Milano 1991. S. Moravia, Sommario di storia della filosofia, Le Monnier,
Firenze 1994. G. Reale / D. Antiseri, Storia della filosofia, 3 voll., Brescia
1973. C. Sini, I filosofi e le opere, Principato, Milano 1986 (seconda
edizione). F. Brezzi, Dizionario dei termini e dei concetti filosofici, Newton
Compton, Roma 1995. Centro Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei
filosofi, Sansoni, Firenze 1976. Centro Studi Filosofici di Gallarate,
Dizionario delle idee, Sansoni, Firenze 1976. Enciclopedia Garzanti di
Filosofia, Garzanti, Milano 1981. E.P. Lamanna / F. Adorno, Dizionario dei
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Plebani, A. Scattigno (curr.), Corpi e storia. Donne e uomini dal mondo antico
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L'invenzione del corpo. Dalle membra disperse all'organismo, Negretto Editore,
Mantova 2010. AA.VV, Il corpo offeso tra piaga e piega, in Figure
dell'immaginario, rivista on line di filosofia, storia e letteratura, n. 1,
gennaio 2014, su figuredellimmaginario.altervista.org. Portale
Filosofia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Filosofia Ultima modifica
2 anni fa di 151.27.70.208 PAGINE CORRELATE Monismo (religione) Unità
psicofisica Monismo Wikipedia Il contenuto Alsmith, Adrian J. T., 2015,
“Mental Activity & the Sense ofOwnership”, Review of Philosophy and
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“Bodily Structure and Body Representation”, Synthese, first online: 5 April
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Grice e
Franchini – l’eta degl’eroi -- la gloria d’Enea– filosofia italiana – Luigi
Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I like Franchini; for one, he wrote on
the ‘metaphysics of love;’ for another, he wrote on ‘historical reason’: I
collect reasons, pure reason, practical reason, communicative reason,
historical reason…” -- Figlio di Vincenzo e Anna Scalera, si laurea sotto le armi:
visse una drammatica esperienza bellica che lasciò un segno per la vita. Studia
all’Istituto Italiano di Studi Storici, fondato da Croce a Napoli, dove ha
tenuto in seguito conferenze e lezioni. Insegna a Messina e Napoli. Fonda la
Hegel-Internationale Vereinigung, è stato socio delle Accademie napoletane
nella Società nazionale di Scienze, Lettere e Arti e dell’Istituto Lombardo di
Milano. Intensa è la sua attività di pubblicista e di scrittore. Collaborò
nell’immediato dopoguerra a giornali come “La Voce”, “L’Azione”, “Il Giornale”,
e in seguito al “Mattino” di Napoli, al “Tempo” di Roma e alla “Gazzetta di
Parma”. Scrisse sul “Mondo” di Mario Pannunzio, contribuì assiduamente alla
“Rivista di Studi Crociani”. Diresse la nuova serie filosofica della rivista
“Criterio”, fondata a Firenze da Ragghianti. Sin da adolescente frequenta la
casa di Croce, scoprendone via via la lezione di alta umanità e di profondo
significato etico-politico. Une alla vocazione filosofica la militanza politica
in nome dei valori della liberal-democrazia. Partecipa attivamente a “Nord e
Sud” di Compagna e alla “Realtà del Mezzogiorno” di Macera. Cultore delle arti
visive, di cinema e di teatro, di musica e di poesia, si cimenta tra l’altro
nella scrittura di 99 Aforismi, antologizzati nel volume degli “Scrittori
italiani di aforismi”. Redasse nel preziose “Note biografiche di Croce”, raccolte
dalla viva voce del filosofo, che furono oggetto di alcune trasmissioni radio-foniche.
La sua vasta biblioteca è a Napoli. Il nocciolo della sua filosofia sta nel
tema del “giudizio”, storico, politico, prospettico. Alla lezione di Croce, che
considera un classico della storia delle idee, si e costantemente ispirato,
riconoscendogli il merito, per lo più sottaciuto, di aver calato il pensiero
nel vivo dell’esperienza storica. In “Esperienza dello storicismo” distingue,
in continuità ideale con gli studi di Antoni, lo storicismo di matrice
vichiano-crociana dal “Historismus” tedesco, prevalentemente filologico, nella
convinzione peraltro che la filosofia dello “spirito” non fosse una pura e
semplice ripresa dell’idealismo hegeliano. Indaga il nucleo logico della filosofia
di Croce individuando, nel nesso delle categorie conoscitive (teoretica,
aletica) e pratiche (buletica, volitiva), l’*uni*-cità or ‘aequi-vocalita’ della
dialettica, di opposti e distinti. Fu tra i primi a confrontarsi con le nuove
correnti della fenomenologia, dell’esistenzialismo, del neo-positivismo e la filosofia
analica del linguaggio ordinario, segnalando nel tema del ‘nulla’ lo scacco
definitivo del sistema, insieme con il bisogno di qualificare l’ ‘irrazionale’
(il pre-razionale), che è il vasto mondo della non filosofia. Elabora una
esaustiva storia del concetto di “dia-lettica” dai Greco-Romani ai
contemporanei (Le Origini della dialettica), approdando infine alla forma
moderna della filosofia nel passaggio dalla “metafisica teologica” alla
metodologia della storia. Ha appreso da Hegel che la dialettica *è* la logica
della filosofia, distinta dalla scienza. Alla tradizione del criticismo
kantiano collega il concetto di “giudizio”, in special modo nella forma della
riflessione estetico-teleologica della terza Critica. Gli si aprirono nel
frattempo squarci significativi sul fattore esistenziale e storico del “non
essere ancora” (il potenziale, l’attuale, il divenire) che lo indusse ad
analizare il concetto di “progresso” tra la crisi del ideale dell’ illuminismo
e la dimensione etico-politica del giudizio “prospettico” – il pre-spettico, lo
spettico, il prospettico -- tra passato, divenire, e avvenire. Il futuro è in
qualche modo pre-vedibile nella prospettiva individuale di chi è chiamato ad
agire in una situazione in sviluppo. Altra cosa sono l’astratta profezia,
l’oracolo, le prassi scientifica, la scommessa (the bet), il “caso” -- che sono
forme di pre-visioni utili, finanche necessarie, ma non trascendentale (Pre-visione).
Proclama il diritto alla filosofia, la lotta per il diritto all’esercizio della
ragione contro il sofisma che limita la libertà, per ridare dignità alla ri-vendicazione
dei diritti umani (Il diritto alla filosofia). Tratta sul rapporto di filosofia
e scienza, riconoscendo a ogni sapere una funzione paritaria nella differenza
della materia e della forma. Non ha punti di partenza né approdi finali, ma
poggia sulla spontaneità creatrice del vitale nel quale Croce, in perenne confronto
critico con Hegel, indica l’origine della dialettica e una scoperta di alta
Eticità. Nell’Utile, da Croce elevato al livello dello spirito, indaga gli
aspetti ineludibili di buona parte della vita umana (la volontà, la passione,
la classificazione), per una comprensione ad ampio raggio del senso del
terrestre. Altre opere: “Critica della ragione storica” (Giannini,
Napoli); “Storicismo” (Giannini, Napoli); “Metafisica e storia” (Giannini,
Napoli); “La linea ed il circolo -- Il progresso: storia di un’idea – storia
lineale, storia ciclica -- La Nuova Accademia, Milano; L’idea di progresso.
Teoria e storia, Giannini, Napoli, “La dia-lettica e la co-loquenza”, Giannini,
Napoli, La materia della filosofia, Giannini, Napoli, Teoria della previsione,
ESI, Napoli; seconda Giannini, Napoli, “Croce interprete di Hegel” Giannini,
Napoli); “Il concetto di storia in Croce, Morano, Napoli; E.S.I., Napoli, Renata
Viti Cavaliere La logica della filosofia, Giannini, Napoli); “Il sofisma e la
libertà” Giannini, Napoli, “Autobiografia minima, Bulzoni, Roma, Interpretazioni.
Da Bruno a Jaspers, Giannini, Napoli “Consenso e dissenso” (Sansoni, Firenze); Intervista
su Croce, A. Fratta, SEN, Napoli, Il diritto alla filosofia, SEN, Napoli, Critica
delle crisi: filosofia, scienze, rivoluzioni” (Cadmo, Roma); “Il progresso
della filosofia, Storia della filosofia con testi e ricerche, Ferraro Napoli, Eutanasia
dei principii logici, Loffredo, Napoli); “Il potere e l’ipotesi. Tappe di una
filosofia delle funzioni, Morano, Napoli, Pensieri sul “Mondo”, R. Viti
Cavaliere, C. Gily, R. Melillo, presentazione di G. Cotroneo, Luciano, Napoli);
“Teoria della previsione, G. Cotroneo e G. Gembillo, Armando Siciliano,
Messina, Le origini della dialettica, F. Rizzo, Rubbettino, Soveria Mannelli,
Scritti su “Criterio”, Introduzione, testi e indici R. Viti Cavaliere e R.
Peluso, Scripta Web, Napoli. "Dizionario Biografico", su
treccani. quartotempoblog, Biografia di
Carmen Moscariello Quarto Tempo, altervista.org. critica M. Biscione,
Interpreti di Croce, Giannini, Napoli G. Gembillo, Un itinerario filosofico, La
Nuova Cultura, Napoli Coppolino, La “scuola” crociana, La Nuova Cultura,
Napoli, V. Mathieu, Storia della filosofia: La filosofia del Novecento, Le
Monnier, Firenze, G. M. Pagano, “Storicismo e azione” (Cadmo, Roma); G.
Cantillo, Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti, Napoli, E. Paolozzi, il
valore dei dettagli, in L'identità liberale di una società in trasformazione,
Napoli, La tradizione critica della filosofia. G. Cantillo e R. Viti Cavaliere,
Loffredo, Napoli, R. Viti Cavaliere, Postfazione, La teoria della storia di Croce,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, Viti Cavaliere, Profilo in Ead., “Il
giudizio e la regola” (Loffredo, Napoli); “Il diritto alla filosofia, G.
Cotroneo e R. Viti Cavaliere, Rubbettino, Soveria Mannelli R. Viti Cavaliere, Una scelta di lettere di
Carlo Antoni in "Logos", Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
//store.rubbettinoeditore/raffaello-franchini/ Fondo Franchini, Università
“L’Orientale” di Napoli. Una scelta di lettere di Carlo Antoni a
Raffaello Franchini a cura di Renata Viti Cavaliere Nota
introduttiva Si offre al lettore una scelta di lettere di Carlo Antoni a
Raffaello Franchini, tra le cui carte chi scrive ha rinvenuto una custodia, di
colore verde sbiadito, contenente la preziosa raccolta 1 . Sul risvolto di
copertina Franchini così annotava: «Sono 48 lettere di Antoni. Pubblicabili
solo dopo molto tempo: mutilarle sarebbe un grave errore». Poco più avanti
aggiungeva a mo’ di postilla: «+ 3 reperite in seguito. Sul non
mutilarle farei riserve. + 1 reperita il 6-2- ‘66». In spirito di fedeltà,
dunque, alla palese intenzione del mio maestro di vedere un giorno
stampate le lettere di Antoni, e consapevole della difficoltà a pubblicare
ancor oggi integralmente il lascito epistolare, ho preservato intatte
alcune lettere ora destinate all’attenzione degli studiosi, ma ntenendo
la massima discrezione su quei contenuti “riservati” a cui si allude
nell’appunto manoscritto. Le lettere abbracciano un arco temporale che va
dal 1948 al 1959 2 . Si è fatto in modo che non si perdesse - nella scelta
operata - il filo “logico” di uno scambio epistolare intenso, che
purtroppo conosciamo solo unilateralmente 3 , riguardante pensieri e dottrine
che in quegli anni avevano impegnato molto Antoni incidendo non
poco sull’assai più giovane Franchini , che per tanti versi si considerò
sempre idealmente suo allievo. Proprio allo scopo di non interrompere il
dialogo sotteso al carteggio, non sono ovviamente state escluse, solo per il fatto
di essere state già edite, le 6 lettere di Antoni che Franchini riportò
quasi per intero all’interno del sag gio in memoriam , scritto nel ‘69
nel decimo anniversario della morte dello studioso 1 Un sentito
ringraziamento ai figli Laura e Vincenzo per avermi messo a disposizione i
materiali dell’Archivio Franchini. 2 Su alcune buste
compare l’indirizzo vomerese di Via Michetti, ma per lo più le lettere
sono indirizzate a «Il Giornale» in via Roma, e poi in Via Nardones, nel cuore
dei Quartieri spagnoli a Napoli. 3 Non è stato in alcun modo
possibile reperire le lettere di Franchini. Esse non sono presenti nel Fondo
Antoni conservato a Roma a Villa Mirafiori, e si deve seriamente ritenere che
siano andate perdutetriestino, costruendo intorno ad esse per buona parte
l’affettuoso ricordo di una magistrale lezione 4 . Dieci anni addietro
infatti, nel corso del 1959, Franchini si era trovato ad intervenire sul
pensiero e l’opera di Carlo Antoni a distanza di appena un mese: nel mese
di luglio aveva recensito il volume La restaurazione del diritto di
natura , edito con Neri Pozza, in una lunga nota sul «Mondo» dal titolo
Le leggi di Antigone , e nell’agosto fu chiamato purtroppo a
scrivere nel giro di poche ore, con sincero rammarico, In morte
di Carlo Antoni. Amico della verità 5 , un corposo necrologio rivolto a
celebrare la maestrìa del grande discepolo di Croce, così fedele e al tempo
stesso del tutto originale. Le lettere qui pubblicate aiutano a focalizzare,
per rapidi lampi di luce, quel tratto di strada relativo ai precedenti anni
Cinquanta, vissuti da entrambi per lo più all’in terno della tradizione
crociana, dalla quale sentirono di non dover prescindere, a partire dagli
ultimi anni di vita del filosofo (morto nel ’52) sino alla
prematura scomparsa di Antoni nel ‘59 . Sorprende per certi aspetti
l’ incipit della lettera di Antoni del 6 novembre 1948: «È da
tempo che seguo con vivo interesse la Sua attività di studioso….», se si
considera la giovane età di Franchini, allora ventottenne. E’ pur vero
però ch’egli poteva già vantare una significativa produzione scientifica,
tra articoli di giornale e saggi, non soltanto di esordio, e che i primi
scritti risalgono già al 1944. Franchini aveva infatti pubblicato una serie di
brevi articoli su quotidiani napoletani come «Il Corriere» e «La Voce», e saggi
su riviste di pregio come «Ethos» diretta da Gabriele Pepe e «Lo Spettatore
italiano» curato da Elena Croce e Raimondo Craveri 6 . Non credo si sbagli ad
indicare nella recensione al volume di Antoni Considerazioni su
4 Il saggio dal titolo Carlo Antoni, lo storicismo e la
dialettica è nel volume R. Franchini, Interpretazioni.
Da Bruno a Jaspers , Napoli, Giannini, 1975, alle pp. 355-379. Era già uscito,
con titolo diverso, nella miscellanea di AA. VV., Umanità e Storia.
Scritti in onore di Adelchi Attisani , Napoli, Giannini, 1971, vol. I, pp. 507-
527. A quarant’anni dalla stesura, il testo di Franchini su Antoni appartiene
ad un legato non agevolmente reperibi le, per cui le lettere in esso
contenute risultano per i lettori d’oggi “come se” inedite. 5
Franchini racconta nelle sue note autobiografiche di aver redatto in breve
tempo, rinunciando ad andare ai funerali, l’ampio articolo commemorativo
per «Il Mondo». Cfr. R. Franchini, Autobiografia minima ,
Roma, Bulzoni, 1973. 6 Sulla prima produzione di Franchini si veda
il volumetto di G.M. Pagano, Storicismo e azione. Gli scritti giovanili
di Raffaello Franchini (1940-1955) , Roma, Cadmo, 1983. Il periodo dal ’40 al
’43 fu di formazione e di studio tra le difficoltà della guerra, privo
però di documentazione a stampa Sent from the all new AOL app for
iOSHegel e Marx del ’46 (pubblicata in quell’anno nella
rivista «Ethos») l’atto d’inizio di un dialogo filosofico che andrà
via via intensificandosi. Si può presumere infatti che Carlo Antoni, nella
prima delle lettere da me rinvenute, esprimesse un giudizio assai positivo sul
lavoro del giovane studioso avendo anche chiaro il ricordo di
quell’articolo di due anni addietro, nel quale si tracciava di lui un bel
profilo con riferimento ai precedenti volumi Dallo storicismo
alla sociologia (del 1940) e La lotta contro la ragione
(del 1942). In realtà Franchini da allora in poi, e in più
d’una occasione, ebbe sempre gran cura di rievocare i pensieri di Antoni
sia in segno di consenso sia comunque per un doveroso riconoscimento dei
suoi meriti d’interprete. Valga ad esempio la recensione allo
Hegel di De Ruggiero (in «Lo Spettatore Italiano», 1948 7 ) dove
compare un significativo riferimento alla lettura che Antoni aveva proposto
circa il carattere intellettualistico e astrattivo della dialettica hegeliana
nella prima triade della Scienza della logica . In quella occasione,
peraltro, Franchini non si limitò ad illustrare i termini di una questione dai
risvolti complessi, ma suggeriva d’intendere il rapporto dell’essere col
nulla, reali solo nel divenire, come la prova evidente dell’uscita dalla
immobilità tautologica della vecchia identit à senza vita. In altre
parole egli non mostrò di approvare del tutto l’idea di un “tradimento”
della dialettica operato da Hegel nei confronti della sua creatura più
preziosa, perché l’essere e il nulla in quanto opposti, o contrari,
animano il movimento d ella realtà lungi dal fissarlo per dir così in uno
schema triadico posticcio. Non per caso, nell’esaminare i saggi raccolti
da Antoni nel ’46, Franchini mirò subito al problema -Hegel che per il filosofo
triestino rappresentò a lungo un cruccio insuperabile, anche negli anni a
venire. Tra critiche all’illuminismo e all’irrazionalismo romantico si
può dire che Hegel abbia redatto la magna charta della
speculazione moderna che è la dialettica, quasi un segreto di difficile
decriptazione. Mentre, però, Antoni si arrovellava sul “rompicapo” che è
l’essere da cui sprizza la scintilla del divenire vitale, cogliendo in
Hegel il restauratore della metafisica tradizionale, Franchini 7
Ristampato nel volume Esperienza dello storicismo , Napoli,
Giannini, 1953, pp. 181-185. Il ricordo di De Ruggiero:
lo studioso e l’uomo sta nel volumetto Dalla filosofia della
storia alla ragione storica , Napoli, Giannini, 1953, pp. 115-118mostrava
maggiore apertura alla nuova logica che di fatto assorbe la metafisica in una
logica non più matematizzante. Molto acuta gli era pertanto sembrata la critica
di Antoni al «ritmo dialettico hegeliano come risultante da una sorta di
contaminazione tra sillogistica e dialettica degli opposti» 8 , perché in tal
caso cominciava ad emergere il problema di una preferenza del filosofo di
Stoccarda rivolta in ogni modo al sillogismo piuttosto che al giudizio. Il tema
della dialettica si trova al centro dello scambio epistolare dei primi
anni Cinquanta. Croce, nonostante l’età avanzata e gl i acciacchi che lo
assillavano, aveva scritto nuove e profonde analisi intorno all’origine
della dialettica in Hegel e sul tema della vitalità che per un verso
complicava il sistema, mentre, peraltro, lo arricchiva ulteriormente
dall’interno. Nella recensione all’ultimo libro di Croce Indagini
su Hegel e schiarimenti filosofici Franchini aveva chiamato ancora
una volta in causa Antoni, attribuendogli finanche il merito di aver suscitato
nel maestro il bisogno di un ripensamento della questione della dialettica 9 .
Antoni ne fu lusingato ma al tempo stesso si preoccupò dell’opinione del
vecchio filosofo. Scrisse al Croce un biglietto di scuse per avere
impropriamente adoperato l’espressione “dialettica” dei distinti, e a
Franchini una lunga lettera (del 31 marzo 1952) in cui chiariva forse anche a
se stesso che la differenza da lui messa in luce, alla fine degli anni
Quaranta, tra la dialettica hegeliana della contraddizione e la crociana
dialettica dell’opposizione, comunicata a Croce pur con molta
discrezione, aveva forse finito per condurre il filosofo proprio là dove egli
non avrebbe voluto e dove per la verità non si sentì mai di seguirlo: vale
a 8 Cfr. R. Franchini, Il razionalismo hegeliano , in
Id., Dalla filosofia della storia alla ragione storica , cit., p.
67. 9 Vedi R. Franchini, La crudele dialettica , in «Il
Mondo», 29 marzo 1952. Si chiedeva Franchini: che cosa è accaduto nei
quarantasei anni che intercorrono tra il Saggio sullo Hegel del 1907
e gli ultimi scritti crociani su Hegel? Cosa ha spinto Croce a tornare sul tema
della dialettica in Hegel? Certo non la pubblicazione degli scritti giovanili
di Hegel, neppure il cosiddetto rinascimento esistenzialistico-fenomenologico
del filosofo di Stoccarda, e neppure i brillanti saggi di De Negri. Semmai era
stato Carlo Antoni a sottolineare l’aporia i ntellettualistica nella
hegeliana formulazione del movimento dialettico. Croce, pur non
rispondendo direttamente alla questione posta da Antoni, aveva voluto infine includere
l’opposizione nella logica dei distinti in modo che non si perdesse di
vista la d rammaticità dell’atto generativo del prodursi del reale nel
suo significato logico-spiritualedire ad una sorta di primato della vitalità
nel suo dialettico rapporto con la vita morale 10 . Intorno alla metà
degli anni Cinquanta, come si legge nelle lettere dal ’54 al ‘57, l’intreccio
di varie vicende offre snodi teorici, e non solo teorici, particolarmente
interessanti. Direi che tre possono essere considerate le questioni più
significative, che di necessità coinvolgono filosoficamente il lettore al
di là dell’apparenza di alcune diatribe contingenti. In primo luogo si
deve collocare il fatto importante della pubblicazione del libro di Carlo
Antoni Commento a Croce (1955), coevo al Congresso di filosofia che
si svolse a Napoli (con la relazione introduttiva di Antoni) sul tema
della “conoscenza storica”. Connessa alla stampa del libro di Antoni è la
vicenda relativa al caso- Fiore (1957), che com’è evidente molto amareggiò
l’Antoni, e, infine, la questione, aperta da Croce molti anni addietro
(che per ovvi motivi torna in queste lettere), intorno al significato
dell’insegnamento della “filosofia della storia” nelle università italiane.
Gustosa, infine, l’osservazione ironica di Antoni a proposito del libro
di S prigge dedicato a Croce, relativa al celebre saggio del ’42
Perché non possiamo non dirci cristiani. Val la pena, quando ancor oggi
si torna spesso a discettare sul senso e sul ruolo di questo scritto, commentare
la strana insinuazione sui motivi prettamen te politici, benché anacronistici,
che l’avrebbero, secondo lo studioso inglese, ispirato. La recensione di
Franchini al Commento a Croce uscì dunque nel giugno del ’55
sulla «Nuova Antologia». Non so se furono pochi i lettori che ne presero
visione, come ipotizzava Antoni; certo è che ampia fu l’analisi di
quel libro all’interno del puntuale racconto (non però un esaustivo
resoconto) scritto da Franchini sul congresso napoletano di Filosofia,
racconto-resoconto che uscì negli «Atti» dell’Accademia Pontaniana l’anno
seguente 11 . L’illustre interprete di Croce dichiarò poi onestamente,
con l’umiltà dello studioso intelligente, di aver potuto vedere con
10 Rimando alla monografia di G. Sasso, L’illusione della
dialettica . Profilo di Carlo Antoni , Roma, Edizioni dell’Ateneo,
1982. Si veda anche l’esauriente saggi o di M. Biscione, Carlo Antoni
interprete di Hegel , in «Filosofia», XLVII, II (1996), pp. 173-192, con
particolare riferimento al volume postumo di Antoni, Lezioni su
Hegel 1947-57 , Napoli, Bibliopolis, 1988. 11 R.
Franchini, La conoscenza storica , in «Att i» dell’Accademia
pontaniana, N.S., V, Napoli, 1956, pp. 277-288 (rist. in Metafisica
e Storia , Napoli, Giannini, 1958, da cui si cita) maggiore chiarezza i
suoi pensieri, quasi in virtù del diradarsi di una sorta di nebbia,
attraverso l’illustrazione che ne aveva fatta il giovane discepolo. Che
posto ebbe dunque il Commento a Croce nella discussione svoltasi
durante il XVII Congresso di filosofia intorno al cruciale problema della
conoscenza storica? 12 Anzitutto Franchini poneva una questione di
politica culturale, assegnando alla relazione introduttiva di Antoni il
significato di un “riscatto” del valore filosofico dello storicismo
crociano rispetto alle posizioni “sistematiche” o, che è lo stesso,
“problematicistiche”, di coloro cioè che comunque presuppongono un
assoluto, sia esso raggiungibile oppure no. Franchini vide in Antoni una voce
laica in grado di contrastare dogmatismi annosi e quelle forze culturali poco
sensibili alle inquietudini dello spirito liberale anche
nell’organizzazione degli studi. La scelta di chiamare Antoni ad aprire i
lavori del Congresso era stata “politicamente” rilevante e teoreticamente
acuta, perché si trattò del riconoscimento di una linea di ricerca filosofica,
tutt’uno c on la ricerca storiografica, che appunto Antoni –
così scriveva Franchini - «ha spinto alle estreme conseguenze […]
nei capitoli dedicati all’origine storica della distinzione e ai rapporti tra
l’Assoluto e la storia» 13 . Il Commento a Croce fu in
quell’occa sione lo strumento di una militanza filosofica di tenore
essenzialmente etico-politico. «Solo un filosofo della storia, nel senso
metodologico e non metafisico dell’espressione, poteva in piena
consapevolezza gridare alto e forte il no dell’Etica contro le
usurpazioni del politicismo comunista» 14 . Così Franchini, forse con enfasi
eccessiva ma correttamente, collocava Antoni dalla parte dell’antitotalitarismo,
anche memore degli studi da lui fatti sulla tragedia totalitaria della
Germania nazista. Sull’ibridazione di socialismo e liberalismo Antoni non
era d’accordo, come si sa, pur tuttavia mai egli aveva negato il
carattere solidaristico di una politica economica curvata sul sociale, come
infatti emerge in alcuni tratti delle lettere a Franchini. 12
Il Congresso affiancò al tema della conoscenza storica quello su “Arte e
linguaggio”. Era stato organizzato da Felice Battaglia e dalla SFI napoletana,
e vide partecipi i principali esponenti degli schieramenti filosofici del
tempo, come Stefanini, Bontadini, Spirito, Calogero, Fazio Allmayer, Paci,
Filiasi-Carcano, e tra gli organizzatori Cleto Carbonara. Antoni fu primo
relatore e animatore, con numerosi interventi, delle accese discussioni sino
alla fine dei lavori. 13 Ibid. , p. 305Antoni fu l ieto
d’aver partecipato al Congresso napoletano, sì da trarne soddisfazione
morale e politica, benché anche in seguito continuò a vedere nella cultura
italiana sempre e solo schiere di combattenti non proprio ad armi pari, specie
là dove le idee “confessionali” tornavano per lo più a compattarsi
in vista di un certo potere. La presenza di Antoni aveva ottenuto un esito
importante: aveva consentito agli esponenti di una tradizione
storicistica sui generis , alla quale Franchini si univa seguendo il
cammino già di Ciardo, Attisani, Parente, di testimoniare la volontà di
un confronto con le altre correnti della filosofia italiana e straniera.
D’altronde, al solito pregiudizio che tendeva a stanziare gli studi
“crociani” nel Sud dell’Italia, era stato p roprio l’Antoni, nel discorso
di chiusura delle sessioni del Congresso, ad opporre la realtà del pensiero di
Croce, per eccellenza europeo e mondiale nell’ispirazione e nei suoi fecondi
risultati. Franchini non si fece tuttavia sfuggire l’occasione di denu
nciare i limiti di presunte filosofie d’avanguardia. Tra l’altro lo
stesso problema della conoscenza storica, così posto nella sua purezza, poteva
indurre nell’errore di non considerarne il rapporto con la volontà e la
vita morale, di trascurare cioè il ruolo dell’individuo umano, che è un
nulla se si vuole rispetto all’infinito, ma è quel tutto che si realizza
nell’opera singola e si trasmette storicamente alle generazioni future in
nome di una tradizione critica 15 . Non aveva forse Croce detto chiaramente che
« storicismo è creare la propria azione, il proprio pensiero, la propria
poesia, muovendo dalla coscienza presente del passato»? Chi, se non un
individuo concreto e responsabile, potrebbe essere mai l’artefice di
tanta “proprietà”? Cos’è lo storicismo se non il vero umanismo dei nostri
giorni? 16 Ad Antoni Franchini tributava in definitiva il migliore degli
omaggi sottolineando la teoreticità del libro su Croce, di quel
“commento” messo lì a dissimulare forse con un eccesso di pudore la nuova
filosofia che nasceva dalla lettura intrinseca del grande pensatore. I capitoli
sulla Distinzione e sul Giudizio sono cruciali nel libro di Antoni, profondi e
utili quelli sull’individuo nella Storia e sull’idea di progresso. Più
d’ogni altro principio quello 15 In particolar modo Calogero
e Attisani avevano messo in discussione la concezione dell’individuo in
Croce e Antoni. 16 B. Croce, La storia come pensiero e
come azione (1938), Bari, Laterza, 1966: Storicismo e umanismo, p.della
distinzione è appartenuto allo spirito italiano, da Machiavelli a Galilei, da
Vico a Croce attraverso Labriola e De Sanctis. Nella logica crociana poi la
distinzione correggeva, secondo Antoni, gli effetti indebiti di una
contraddizione perenne pur nell’unità che ne è lo sfondo. L’identità
allora diventa non già l’accordo presupposto dei contrari ma il reale incontro
dell’universale col concreto nella forma conoscitiva del giudizio
storico. Croce restaurava così – secondo Antoni -
il principio d’identità, rigenerandolo tuttavia nella nuova vita di un
rapporto asimmetrico racchiudibile nella formula a=A. E tra le categorie non
passa spazio come per un salto dall ’ uno all ’ altro contesto. «In realtà il
sistema – scriveva Antoni – è
quello di un’unica categoria reale e attiva, che è l’Io, di cui le
categorie sono articolazioni. Lo stesso trapasso della conoscenza nell’azione
non può essere inteso come un passaggio radicale da una categoria all’altra,
quasi che la conoscenza d’una situazione storica non fosse già guida ta
da una volontà e da un interesse e l’azione non fosse guidata, lungo
l’intero suo svolgimento, dalla conoscenza» 17 . La lettera del 2 luglio
del ’56, più avanti riportata, è davvero illuminante a tal proposito:
Antoni, platonicamente, indicava nell’Idea del Bene l’idea -guida dello
spirito umano, incisa in noi per definirsi nel tempo in quella che
felicemente chiamiamo “storia della civiltà”. Profonda fu
l’amarezza di Antoni dopo aver letto la recensione di Tommaso Fiore al suo
“Commento” sul numero di dicembre della rivista «Il Ponte» del ‘56 18 . Il suo
dispiacere nasceva anche dal fatto che i direttori, succeduti al Calamandrei
nella gestione della rivista, erano almeno dichiaratamente suoi amici 19 .
Nella recensione non si sottolineavano, com’è pur giusto fa re, eventuali
spunti critici per una filosofica discussione, ma si assumeva nei
confronti dell’Autore un atteggiamento ostile in partenza, probabilmente
per motivi che non si direbbero solo di carattere teorico. E difatti si
accusava Antoni, «l’unico supe rstite del crocianesimo in un mondo che crociano
non è» (come se il mondo aspettasse di assumere un colore politico o una
preferenza culturale per decreto della Storia) di aver discettato di problemi
morali e 17 Franchini cita da Antoni, Commento a Croce ,
Venezia, Neri Pozza, 1955, p. 170. 18 Vedi T. Fiore, rec. a C.
Antoni, Commento a Croce, in «Il Ponte», 12 (1956), pp.
2155-2157. 19 Tumiati assunse la direzione della rivista
fondata da Calamandrei, in un primo tempo, dal ‘56 fino al 1965, insieme
con Agnolettipolitici in maniera distaccata dalla realtà, realtà che pure in
gioventù lo aveva attratto e animato. Le “infedeltà” o presunte tali
riscontrate dal recensore nei riguardi di Croce venivano prima denunciate
in nome di un crocianesimo fossilizzato, quasi che lo si volesse difendere a
tutti i costi, e poi segnalate come devianze, talvolta vere e proprie
concessioni a un larvato gentilianesimo. Inutile dire che questo avveniva, e
poteva esser fatto, solo sminuzzando il discorso di Antoni e calcando la mano
su alcune frasi o concetti che risultavano distorti nel loro effettivo
significato. Date le premesse, non stupisce la conclusione cui giungeva il
recensore quando si chiedeva: “ ma quale crocianesimo è questo? ”
se, difatti, Antoni si era permesso di seminare dubbi, di rivelare incertezze e
contraddizioni nel sistema. La peggior cattiveria nello scritto del Fiore
consistette però nell’attribuire ad Antoni una sorta di astenia emotiva,
ben altra cosa rispetto alla passione democratica del De Ruggiero e al
civismo mazziniano dell’Omodeo, entrambi già scomparsi . Eppure Tommaso Fiore
era andato da amico e sodale ad accogliere Antoni a Bari in una precedente
visita dello studioso nella città pugliese; Fiore era un antifascita convinto e
aveva fatto parte del movimento democratico meridionale con De Martino, Dorso,
in continuità con Salvemini, Gobetti e Carlo Rosselli 20 . Un po’ d’anni
addietro, nel ’40 Guido Calogero e nel ’41 Tommaso Fiore , si videro rifiutare
e aspramente criticare il manifesto liberalsocialista da Croce, il quale
tendeva a separare il concetto di libertà, per lui superiore, dall’idea
di giustizia. Dissonanze politiche pesarono probabilmente più del dovuto
sulla “scombinata” e certo solo velatamente scientifica recensione che il Fiore
aveva redatto nel ’56 sul libro di Antoni. Per una curiosa ironia della
sorte sia Antoni che Franchini hanno ricoperto, a distanza di un
decennio, incarichi universitari nell’ambito del settore filosofico 21
sulla disciplina della Filosofia della storia, tanto avversata da Croce. Pur
tra molte difficoltà burocratico-isti tuzionali Antoni riusciva nel ’54 a
cambiare titolarità (adempiendo ad un impegno preso col filosofo),
chiamato infine sulla cattedra di 20 A Tommaso Fiore è stato
dedicato nel ’67 un intero fascicolo della «Rivista Pugliese» di Bari,
comprensivo del carteggio con Carlo Rosselli e con Guido Dorso. 21
Antoni aveva precedentemente insegnato Letteratura tedesca a Padova dal
1942 politici in maniera distaccata dalla realtà, realtà che pure in
gioventù lo aveva attratto e animato. Le “infedeltà” o presunte tali
riscontrate dal recensore nei riguardi di Croce venivano prima denunciate
in nome di un crocianesimo fossilizzato, quasi che lo si volesse difendere a
tutti i costi, e poi segnalate come devianze, talvolta vere e proprie
concessioni a un larvato gentilianesimo. Inutile dire che questo avveniva, e
poteva esser fatto, solo sminuzzando il discorso di Antoni e calcando la mano
su alcune frasi o concetti che risultavano distorti nel loro effettivo
significato. Date le premesse, non stupisce la conclusione cui giungeva il recensore
quando si chiedeva: “ ma quale crocianesimo è questo? ” se,
difatti, Antoni si era permesso di seminare dubbi, di rivelare incertezze e
contraddizioni nel sistema. La peggior cattiveria nello scritto del Fiore
consistette però nell’attribuire ad Antoni una sorta di astenia emotiva,
ben altra cosa rispetto alla passione democratica del De Ruggiero e al
civismo mazziniano dell’Omodeo, entrambi già scomparsi . Eppure Tommaso Fiore
era andato da amico e sodale ad accogliere Antoni a Bari in una precedente
visita dello studioso nella città pugliese; Fiore era un antifascita convinto e
aveva fatto parte del movimento democratico meridionale con De Martino, Dorso,
in continuità con Salvemini, Gobetti e Carlo Rosselli 20 . Un po’ d’anni
addietro, nel ’40 Guido Calogero e nel ’41 Tommaso Fiore , si videro rifiutare
e aspramente criticare il manifesto liberalsocialista da Croce, il quale
tendeva a separare il concetto di libertà, per lui superiore,
dall’idea di giustizia. Dissonanze politiche pesarono probabilmente più
del dovuto sulla “scombinata” e certo solo velatamente scientifica recensione
che il Fiore aveva redatto nel ’56 sul libro di Antoni. Per una curiosa
ironia della sorte sia Antoni che Franchini hanno ricoperto, a distanza
di un decennio, incarichi universitari nell’ambito del settore filosofico
21 sulla disciplina della Filosofia della storia, tanto avversata da
Croce. Pur tra molte difficoltà burocratico-isti tuzionali Antoni riusciva nel
’54 a cambiare titolarità (adempiendo ad un impegno preso col filosofo),
chiamato infine sulla cattedra di 20 A Tommaso Fiore è stato
dedicato nel ’67 un intero fascicolo della «Rivista Pugliese» di Bari,
comprensivo del carteggio con Carlo Rosselli e con Guido Dorso. 21
Antoni aveva precedentemente insegnato Letteratura tedesca a Padova dal
1942 10 Storia della filosofia moderna e contemporanea
nell’Università di Roma. Franchini ottenne l’incarico didattico nell’Uni
versità di Napoli dopo aver conseguito la libera docenza, inaugurando il
corso nel ’56 con una prolusione sulla Filosofia della storia , materia
che si accingeva ad insegnare. Antoni non riuscì a recarsi a Napoli per
assistervi, ma poté leggerne il testo su «Criterio» con sincero compiacimento
22 . Franchini tracciò in quell’occasione il profilo storico della
questione, dai pensatori cristiani fino a Hegel, a Spengler e Toynbee,
difendendo l’insegnabilità di una disciplina che mira a conoscere «un
secolare biso gno dell’animo umano» rivolto a dare un senso generale alle epoche
storiche. S’intende che la filosofia della storia, in quanto caso
particolare della metafisica, andava svecchiata e in un certo senso riformulata
attraverso la metodologia storica non disgiunta dalle sempre essenziali
ricerche di storia della storiografia. Egli si appellava alla tradizione
“locale” ma europea di Vico, De Sanctis, Bertrando Spaventa, Omodeo. Non
faceva però il nome di Antonio Labriola, ricordato invece da Antoni (lettera
del 14 gennaio 1956) insieme al caso Ferrero e alla oramai lontana, nel tempo,
battaglia contro la filosofia della storia in un celebre discorso che Croce
tenne al Senato del Regno nel maggio del 1913 23 . La prolusione di Franchini
si chiudeva con un omaggio «al primo docente ufficiale che di questa
materia l’Italia abbia avuto, il nostro Maestro ed Amico Carlo Antoni…» 24 . La
recensione al libro di Sprigge merita qualche nota in margine, anche a
difesa dell’interprete inglese sul quale potrebbe pesare fin troppo
l’icastica osservazione di Antoni che gli attribuisce una lettura del
rapporto di Croce col cristianesimo sulla base di mere considerazioni
politicistiche. Franchini cercò allora 22 La Prolusione uscì
in due puntate su «Criterio», la rivista diretta a Firenze da Ragghianti, nel
’57, I, n. 4, pp. 277-284 e I, n. 5, pp. 354-363. «Criterio» fu poi
ripresa da Franchini nella Nuova Serie Filosofica, e da lui diretta dal 1983 al
1990. 23 Il discorso in Senato non conteneva, contrariamente a
quanto talvolta si è lasciato intendere, alcun riferimento a Ferrero (per il quale
si veda invece la nota di Croce in Conversazioni critiche , serie I,
Bari, Laterza 1918. Il testo del discorso in Senato del 29 maggio 1913 si può
leggere in Discorsi parlamentari , con un saggio di M. Maggi,
Bologna, Il Mulino, 2002. Su Croce e Ferrero si veda la nota di F.
Tessitore in «Rivista di Studi crociani», 1 (1964), pp. 147-150. Sulla
riconciliazione di Croce e Ferrero, in nome di un comune sentire negli anni bui
del fascismo, rimando a A. Parente, Croce per lumi sparsi , Firenze, La Nuova
Italia, 1975, pp. 270-273. 24 La Prolusione fu poi ristampata in
Franchini, Metafisica e Storia , cit., pp. 105-13311 di
dipanare la controversa materia 25 , riconoscendo allo Sprigge la buona fede
pur nella ripetizione del luogo comune per il quale si attribuivano a Croce
inclinazioni e spirito conservatori. In effetti Croce aveva mostrato
sempre “comprensione” per la Chiesa cattolica, ciò non pertanto lo
scritto del ’42, che pure piacque molto per evidenti ragioni a taluni
cattolici, fu una risposta alla sfida dei fatti sulla base di principi teorici
che in ogni modo ispirarono il filosofo, il cui sguardo per necessità
mirava ad assumere connotati universali “oltre” la mera contingenza delle
circostanze politiche. E tuttavia il contenuto di quel testo è sempre
“presente” nel suo significato inequivocabile. La figura di Gesù, al
centro del cristianesimo, ha rappresentato un messaggio ancora fermamente
iscritto nel cuore della modernità e dentro la storia del mondo contemporaneo,
sia per gli appartenenti ad una chiesa sia per i laici credenti e non
credenti. Non in poco conto pertanto dev’essere tenuto il plurale
espresso in quel “noi” ( Perché [noi] non possiamo non
dirci cristiani ), che difatti esclude il discorso in prima persona, ed esclude
che si tratti della confessione di un sentimento segreto. Parimenti
estranee all’argomento crociano furon o le polemiche anticlericali, del tutto
fuori luogo in un contesto che, come può verificare ogni attento lettore, fu di
carattere teoretico e storiografico. Il cristianesimo non è stato un miracolo,
ma un processo storico; anche se proprio il fatto di aver intersecato
profondamente le vicende storiche di una così vasta parte del mondo lo rende
una sorta di evento straordinario, non però diversamente, in chiave
ontologica, dal miracolo che ogni ente è, e dall’eccezione che noi tutti
siamo. Le lettere, fatt esi più rare tra il ’58 e i primi mesi del ’59,
raccontano di vicende accademiche e di fatti quotidiani, di brevi viaggi
e di alcuni malanni che affliggevano Antoni già da qualche tempo. Al centro
peraltro sta la figura di Luigi Scaravelli, scomparso tragicamente nella
primavera del 1957. Nella Commemorazione pisana 26 Antoni aveva tracciato
dello Scaravelli, a pochi mesi dalla morte, un profilo davvero 25
La recensione al libro di C. Sprigge, Benedetto Croce, l’uomo e il
pensatore (Napoli, Ricciardi, 1956) apparve su «Criterio» con il
titolo Un profilo del Croce , 2 (1957), pp. 165-167 e fu ristampata nel
volume L’oggetto della filosofia , Napoli, Giannini, 1962, pp.
253-258. 26 La commemorazione letta nella Sala degli Stemmi della
Scuola Normale Superiore il 23 novembre 1957 è nel volume di C. Antoni,
Gratitudine , Milano-Napoli, Ricciardi, 1969, pp. 32-521956 Caro Franchini, ho
letto la recensione, che Le restituisco. Mi rallegro con Lei per il fatto che
il Suo libro sia stato recensito dalla «Historische Zeitschrift», che resta
tuttora la migliore rivista tedesca di studi storici 49 . È un onore per Lei.
In quanto alla recensione stessa, essa ha il consueto carattere informativo
delle recensioni tedesche, nelle quali di rado si prende posizione.
Naturalmente noi, abituati allo stile delle recensioni crociane, ci
impazientiamo dinanzi a tanta acriticità. Ignoro chi sia questo Funke. Con i
più cordiali saluti Suo Antoni Ha visto il mio Tramonto delle
ideologie sul «Mondo»? 50 Roma, 4 sett. 1956 Mio caro
Franchini, 49 Si tratta della recensione di G. Funke al libro di
Franchini Esperienza dello storicismo , in «Historische Zeitschrift»,
Bd. 181, 3, (1956), pp. 596-600. Antoni aveva scritto sul «Mondo» (marzo 1954)
un lungo e denso articolo sul volume di Franchini, che si può leggere nella
raccolta Il tempo e le idee , a cura di M. Biscione, Napoli,
Edizioni Scientifiche Italiane, 1967, pp. 447-451. 50 Vedi «Il
Mondo», luglio 1956, in Il Tempo e le idee , cit., pp.
232-24 12 partecipe, in spirito di amicizia e di stima per un uomo
schivo e assai colto, conversatore brillante che sapeva «passare dalla musica
classica al romanzo francese, dalla pittura alla fisica nucleare». Giunto alla
filosofia da studi scientifici, di matematica e di medicina, Scaravelli si era
infatti misurato con i grandi della tradizione filosofica specie su temi di
logica pura per certi versi, ma in virtù dell’intento di far pre
valere il capire sull’esistere. A Croce e Gentile aveva dedicato con
acume le sue fatiche d’interprete, non meno che a Platone, Cartesio,
Kant, Heidegger, Heisenberg. In ogni modo egli aveva cercato di risolvere
un suo problema teoretico. Antoni scrive a Franchini (lettera del 3 dic. 1958):
«Il problema di Scaravelli era quello di dedurre il molteplice
dall’identico, cioè di scoprire o “capire” come la grande madre genera i
suoi figli». Problema insolubile perché pur muovendo dal principio
d’identità indispensabile per la comprensione dei significati, Scaravelli
dovette infine arrendersi alla sua dissolvenza aprendosi piuttosto al giudizio
delle forme concrete dell’esistere storico. Si trattava del
problema della creazione del mondo, concludeva Antoni, riassumendo così in una
formula efficace le puntuali analisi contenute nella Critica del capire
27 , ch’ebbero il merito di rompere il silenzio con cui il libro fu
accolto, nonostante il parere molto positivo espresso nel ’42
dallo stesso Croce. Mancò, infine, il tempo per discutere tra amici
intorno all’ultimo libro di Antoni La restaurazione del
diritto di natura . Franchini ne aveva parlato nel numero di luglio del
«Mondo», accogliendo senza riserve la proposta, in apparenza assai poco
storicistica, di un “ritorno” al principio dell’etica universalmente umana, la
sola capace però «di evitare le pericolose conseguenze del predominio
della tecnica e della civiltà di massa». Egli ebbe forse bene a mente le parole
adoperate da Antoni in una lettera di qualche anno prima 28 : alla base del
giudizio storico e dell’azione morale e politica sta la luce di un
concetto universale dello spirito umano che tuttavia, proprio nella forma di un
umanesimo rinnovato, non contrasta affatto con la visione 27 Si
veda la lunga recensione di Antoni a L. Scaravelli, Critica del capire ,
in «Giornale critico della filosofia italiana», Seconda serie, II (1942), pp.
232-234. 28 Vedi lettera del 2 luglio 1956, più avanti
riportatastoricistica e dialettica della vita con tutte le sue imprevedibili e
particolarissime circostanze. *** Roma, 6 novembre 1948 Caro dott. Franchini, è
da tempo che seguo con vivo interesse la Sua attività di studioso. Così ho
letto la Sua bella recensione del libro del Ciardo 29 e il Suo articolo
sul Gramsci, comparso sullo «Spettatore» 30 . Ho ricevuto oggi la sua memoria
su Storicismo e relativismo 31 , che ho letto subito. Penso
che il suo esame del rapporto e la differenza tra “storicismo” e
“istorismo” ossia relativismo storicistico sia molto opportuno oltre che
acuto. Ella mi muove un lieve appunto: quello di aver attribuito al Troeltsch
il merito di aver introdotto nell’uso comune il termine di “storicismo”.
Mi sembra però di aver detto una verità incontestabile: anche se al
termine il Troeltsch continuava a dare un significato deteriore, tuttav ia egli
ha introdotto l’uso del termine stesso nel dominio della storiografia e
della riflessione sui metodi della storiografia. Soltanto dopo di lui si parla
di storicismo moderno, di problemi, crisi ecc. dello storicismo. Se Ella ha
occasione di venire a Roma, sarò assai lieto di vederla e di conversare con
lei. Con cordiali saluti 29 La recensione al libro di M.
Ciardo, Le quattro epoche dello storicismo , era uscita in «La
parola del passato», 6 (1947), pp. 368-373 (rist. nel volume R.
Franchini, Esperienza dello storicismo , Napoli, Giannini,
1953). 30 Si tratta dell’articolo La “metodologia
dell’azione” di A. Gramsci , uscito in «Lo Spettatore italiano», 6 (1948). La
rivista si pubblicava a Roma per iniziativa di Elena Croce, figlia maggiore del
filosofo, e del marito Raimondo Craveri. 31 Cfr. R.
Franchini, Storicismo e relativismo , in «Atti» dell’Accademia
Pontaniana, N.S., I (1949), pp. 241 -255 (rist. in Esperienza dello
storicismo, cit.)Roma, 12 marzo 1950 Caro Franchini, di ritorno da Bari,
dove sono stato a tenere una conferenza agli “Amici della cultura”, trovo
la sua lettera e mi affretto a rispondere, ossia a rilasciarle il “certificato”
che desidera 32 . Con cordialissimi auguri Suo Carlo Antoni Roma, 12 marzo 1950
È da qualche anno che seguo con molta attenzione gli scritti che il prof.
Raffaello Franchini va pubblicando nelle riviste. Alcuni di essi, infatti,
hanno già recato un contributo di chiarificazione e di critica assai notevole
nel campo degli studi storico- filosofici: Tutti, poi, indistintamente sono la
testimonianza d’un ingegno assai vivace, fine, sensibile ai più urgenti
problemi della filosofia e della vita. Oltre a rivelare una
preparazione culturale assai ricca e sostanziosa, essi indicano anche un
raro senso di umanità. Tra i giovani dell’ultima generazione il Franchini è
certamente uno dei più promettenti. Per le sue doti intellettuali e
morali ritengo anche che possa 32 Segue la lusinghiera
lettera di presentazione di Antoni sull’operosità del giovane Franchini, i l
quale di lì a poco entrò a far parte del corpo docente del liceo classico della
Scuola militare napoletanaessere un magnifico insegnante, tale da mantenere
alto il prestigio di cui ha sempre goduto il collegio della
“Nunziatella”. Carlo Antoni Roma, 1 ottobre 1951 Mio caro Franchini, ho
letto con grande interesse il Suo saggio 33 e soprattutto la parte che mi
riguarda. Ella ha afferrato perfettamente il mio pensiero (La ringrazio anche
per averne messo in rilievo la novità), tanto perfettamente da trarne le
conseguenze, che io non avevo voluto trarne, malgrado che mi avvedessi
che c’erano. In effetti Le confesso che ho i miei dubbi intorno ad una
“dialettica” dei distinti. Di questo dubbio Lei trova traccia del resto
nella recensione che feci allo “Hegel” di De Ruggiero. In ogni caso
sono assai lieto della penetrante attenzione che Ella dedica ai miei scritti.
Suo Carlo Antoni Roma, 25 marzo 1952 Mio caro Franchini, 33 Il
saggio è: Morte e resurrezione della dialettica da Hegel a Croce ,
in «Letterature moderne», 3 (1951), pp. 292-302 (rist. in
Esperienza dello storicismo , cit.) il Suo articolo 34
mi ha fatto, com’è naturale, un immenso piacere. Attribuirmi il
merito di aver provocato in Croce il bisogno di riesaminare la questione della
dialettica è, non occorre dirlo, rendermi il massimo degli onori. Ma Croce
stesso che ne dice? Vorrei sapere se approva il Suo articolo. Con saluti
cordialissimi Suo Carlo Antoni Roma, 31 marzo 1952 Mio caro Franchini, La
ringrazio per la Sua lettera e per le notizie che mi dà. Come Ella può
comprendere, la questione, da Lei sollevata nel Suo articolo, ha per me una
grande importanza. Le dirò come io veda la cosa. Quando pubblicai nel ’45
il mio saggio sulla Dialettica di Hegel, in cui ne denunciavo il
carattere intellettualistico, saggio ri stampato nel ’46 nelle mie
“Considerazioni” 35 , Croce ne prese conoscenza, tanto che mi segnalò il Suo
articolo in proposito, ma non si propose il problema. Erano tempi in cui
Croce, tutto preso dall’attività politica, non aveva probabilmente l’agio
di ritor nare sulle sue idee intorno alla dialettica. Il mio scritto suscitò
l’interesse di De Ruggiero, che lo ha citato con molta lode nel suo “Hegel”, ma
senza prender posizione. Per quanto riguarda questa mia prima
osservazione, penso che Croce abbia ragione nel negare che la sua revisione sia
stata provocata da me. 34 Il riferimento è
all’articolo: La crudele dialettica , uscito su «Il Mondo» il 29-3-
’52. Tutti gli scritti di Franchini che uscirono nella rivista di Mario
Pannunzio dal 1950 al 1966 sono raccolti nel volume Pensieri
sul “Mondo” , a cura di R. Viti Cavaliere, C. Gily, R. Melillo, con una
Presentazione di G. Cotroneo, Napoli, Luciano, 2000. 35 C.
Antoni, La dialettica di Hegel , in «Poesia e verità», 1 (1945);
rist. in Id., Considerazioni su Hegel e Marx , Napoli, 1946. Si
ricorda che Franchini recensì le Considerazioni nella rivista
«Ethos», II (1946), pp. 87-90Ma nel ’49 io giunsi all’altra osservazione e cioè
alla netta distinzione tra la hegeliana dialettica della contraddizione e la
crociana dialettica dell’opposizione. Essa si connetteva alla mia prece
dente attribuzione (del ’46) a Croce della restaurazione del principio
d’identità. Ero molto incerto se comunicare o no a Croce questa mia
osservazione, che avevo svolto nel corso universitario di quell’anno. Mi
rendevo conto, cioè, che essa avrebbe provocato un grave turbamento ed un
bisogno di una radicale revisione del pensiero crociano nei confronti di Hegel
e della dialettica in generale. Mi consultai con parecchi amici. Tra costoro
Riccardo Bacchelli, al quale ricorsi e per la sua sensibilità umana e
psicologica e per la devozione che aveva per la persona di Croce, mi dissuase
dal farlo, dicendo che oramai era meglio lasciare tranquillo il glorioso
vegliardo e non costringerlo alla sua età a un siffatto sforzo. Tuttavia la
cosa mi tormentava, dato che ritenevo che Croce avesse attribuito a Hegel la
sua propria gloria e mi dispiaceva che potesse morire senza essersi reso conto
della propria originalità nei confronti di quel suo maestro. Dopo che si fu
ripreso dalla grave malattia, che lo colpì, mi feci coraggio e gli scrissi.
Croce mi rispose con una lettera che era un’accettazione di massima, ma
contenuta in termini un po’ generici. Si vedeva che si riservava di meditare
per suo conto l’intera questione. E infatti poco dopo cominciarono a
uscire i suoi nuovi scritti intorno alla vitalità e al suo carattere
dialettico, e in genere intorno a Hegel e alla origine della dialettica
hegeliana. Il punto di partenza di questi scritti, però, è fornito dal momento
della vitalità, al quale Croce riporta tutta la dialettica: sia la teoria
hegeliana per sé stessa, sia la dialettica della vita e dello spirito in sé. In
questo modo Croce andava, in certo senso, più in là della mia
osservazione, scavalcandola e prendendo tutt’altra direzione. Le dirò che,
invece, per mio conto ho proseguito in direzione ben diversa. Nel
corso di quest’anno ho svolto un esame dell’intera questione, che mi ha portato
a risultati che contrastano con le tesi recentissime espresse da
Croce.Per concludere penso che Croce, pur essendo stimolato dalla mia seconda
osservazione, a riproporsi lo studio della natura della dialettica, è stato
condotto alle sue nuove idee dal senso più accentuato dell’importanza
della vitalità. Con cordialissimi saluti Suo Carlo Antoni Roma, 2-12-52
Mio caro Franchini, La ringrazio di aver pensato a me in questi giorni. Come
sempre succede, nei primi momenti dopo la scomparsa di persona cara, non ci si
rende conto del tutto della perdita. Il senso di vuoto viene dopo. Così accadrà
per noi tutti: ma dovremmo anche cercare di restare uniti. Il Suo articolo
comparso nel «Mondo» 36 mi è molto piaciuto. Vorrei vedere il fondo del
«Times»: non potrebbe spedirmelo in prestito? Glielo restituirei subito.
Arrivederci tra breve Suo Carlo Antoni Roma, 6 ottobre 1953 36 R.
Franchini, Benedetto Croce tra i due secoli , in «Il Mondo»,
29-1 Caro Franchini, ho ancora sul mio tavolo la lettera, che ho ritrovato
al mio ritorno dalle vacanze. Vorrei che Lei mi desse qualche notizia sul
concorso, di modo che io possa eventualmente intervenire presso i commissari.
Ho letto con piacere i Suoi due articoli: quello su Mann 37 e quello sul
libro del Sainati 38 . Sulla personalità di Mann faccio molte riserve. Si parlò
di lui con Croce, l’ultima volta che lo vidi, ed in fondo Croce era
d’accordo, quando dicevo che dagli scritti di Mann veniva su un certo
lezzo di frollo, se non addirittura di marcio. Attendo il Suo volume. Suo Carlo
Antoni Roma, 11 aprile 1954 Caro Franchini, con l’editore Pozza, che era
qui in questi giorni, ho esaminato la questione della traduzione d’una scelta
di lettere di Hegel 39 . I due volumi della nuova edizione 37
Su Mann era uscito l’articolo Nobiltà dello spirito sia
in «Il Giornale» del 30-9- ‘53 sia in «Il Gi ornale di Trieste» del 6-10-
‘53. 38 Di Sainati si parlava a lungo
nell’articolo Studi crociani , apparso su «Il Mondo» del 6 ottobre
1953. 39 Il progetto di curatela dell’Epistolario hegeliano
presentava più d’una difficoltà: la nuova edizione dell’Hoffmeister avrebbe
dovuto far fede, assai più dell’edizione curata dal figlio del filosofo, ma era
al momento incompleta. L’idea allora di rifarsi alla precedente edizione, da
integrare eventualmente con le lettere ritenute significative, si mostrò
impraticabile. Franchini avrebbe dovuto occuparsi della traduzione di una
scelta di lettere e della stesura dell’introduzione storico -critica. Non se ne
fece nulla, nonostante la buona disposizione dell’editore Pozza e
l’interessamento di Ragghiant Sent from the all new AOL app for iOSdel
Meiner, curata da Hoffmeister, arrivano al 1822. Sono previsti altri due
volumi. La nuova edizione reca il copyright con espressa riserva dei diritti di
traduzione. Per mia esperienza prevedo che le pretese del Meiner sarebbero
esose. Da un rapido confronto con la vecchia edizione del 1887, curata
dal figlio, ho tratto l’impressione che la nuova non rechi molto di
nuovo. In ogni caso, se ci si volesse attenere a quest’ultima, si
dovrebbe attendere l’uscita dei due ultimi volumi, che chi sa quando si
attuerà. Con Pozza sono quindi giunto alla conclusione che ci conviene rifarci
alla prima edizione, che reca anche sufficienti note. Ove risultasse qualche
nuova lettera molto importante nella nuova edizione, il Pozza chiederebbe il
diritto di traduzione per essa. Ella dovrebbe quindi cominciare il lavoro di
scelta. Non le nascondo che dalla lettura delle lettere il compito della
traduzione mi è apparso molto arduo. Con cordiali saluti Suo Carlo Antoni Roma,
5 maggio 1955 Caro Franchini, grazie per le Sue parole. Si tratta in fondo
d’un semplice cambiamento del titolo della mia cattedra, che era poi una sorta
d’impegno che avevo assunto con Croce. Ancora l’ultima volta che lo vidi, Croce
mi raccomandò di fare cambiare quel titolo di “filosofia della
storia”, che proprio non gli andava giù 40 . Gli spiegai allora
40 Alla notizia dell’ottenuto conferimento della cattedra di
Filosofia della storia nella Facoltà di Lettere dell’Università di Roma, Croce
nel congratularsi con l’Antoni, così gli scriveva: «Se la parola
sociologia è screditata per la sua volgare origine positivistica, quella
di Filosofia della storia è del pari screditata per la sua origine
teologica e metafisica. Lei si deve subito dar da fare per cangiarlo». Cfr.
Lettera di Croce ad che la procedura non era facile, ed infatti ci sono
voluti parecchi anni, con modifiche allo statuto, per raggiungere il risultato
41 . Sono ansioso di leggere sulla «Nuova Antologia» la Sua recensione: peccato
che sarà letta da pochi! L’intervento di Tagliacozzo mi ha sorpreso: è un
esempio del cattivo modo in cui un discepolo può seguire un maestro, cui
è affezionato. Con cordialissimi saluti, Suo Carlo Antoni Roma, 22 maggio 1955
Mio Caro Franchini, bellissima la Sua recensione, per cui Le sono molto grato
42 . Mi dispiace soltanto che essa compaia nella «Nuova Antologia», dove sarà
letta da pochi. La Sua osservazione o previsione sulla sorpresa di molti che
scopriranno quanto complessa sia la filosofia crociana, mi ha divertito e fatto
ricordare come spesso mi sia toccato di sentire che quella filosofia non
era interessante, perché non era “problematica”. Mi è piaciuto anche il
modo, assai fine, con cui Ella ha saputo definire la mia posizione verso le
dottrine del Maestro. Antoni, 26 dicembre 1946, in Carteggio
Croce-Antoni , a cura di M. Musté, introduzione di G. Sasso, Bologna, Il
Mulino, 1996, p. 73. 41 Dal 1954 Antoni fu chiamato alla cattedra
di Storia della filosofia moderna e contemporanea. 42 La recensione
al libro di Antoni Commento a Croce uscì con questo titolo sulla
rivista «Nuova Antologia» nel giugno di quell’anno Ottimo pure
l’articolo sulla Storia e conomica del Kulischer 43 , anche dal punto di vista
giornalistico. Sarà bene che ci vediamo prima della scadenza dei termini per la
presentazione delle domande di libera docenza 44 . Il 26 mi reco a Firenze per
incontrarmi con Ragghianti e Pozza, e sarò di ritorno soltanto il 30.
Cordialmente Suo Carlo Antoni Roma, 14 gennaio 1956 Mio caro Franchini, una
bronchite con i fiocchi – si direbbe ch e quest’anno sono
iettato – mi ha tenuto a letto per una settimana e ancora non so
quando potrò uscire di casa. Prevedo che dovrò rinunciare al progetto di venire
a Napoli per la Sua prolusione 45 : è un vero dispiacere per me, perché ci
tenevo ad essere presente. Il primo insegnante di “filosofia della
storia” è stato, a quanto mi consta, Terenzio Mamiani, poi a Roma
Labriola tenne tale insegnamento per incarico, con 43 Antoni
si riferiva all’articolo dal titolo Una storia del progresso uscito
su «Il Giornale» del 13-5- ‘55 (rist. in R. Franchini,
L’oggetto della filosofia , cit.). 44 Antoni si era
prodigato l’anno prima per l’inserimento della Filosofia della storia
nell’elenco delle libere docenze. Nel 1956 Franchini sostenne gli esami
di abilitazione alla libera docenza in Filosofia della storia superandoli
brillantemente. Tra i commissari Felice Battaglia, Adelchi Attisani e lo
storico Giorgio Falco. 45 Franchini inaugurò il suo Corso di
Filosofia della Storia nell’Università di Napoli nel 1956 con una
prolusione dal titolo La Filosofia della storia, il cui testo
uscì poi, nel 1957, sulla rivista «Criterio» diretta da C.L. Ragghianti, in due
puntate. Il testo della lezione inaugurale venne infine ristampato nel
volume Metafisica e Storia , cit.molto successo. Nella mia
prolusione del 1946 46 tenni ad accennare alla continuità ideale, tramite
Croce. La proposta di attribuire la cattedra a Ferrero, provocata da un
clamoroso intervento del presidente Teodoro Roosevelt, fu bocciata dal Senato.
Croce tenne allora un famoso discorso 47 , che valse a far cadere la proposta,
del resto poco gradita dal mondo accademico di allora. Suo Carlo Antoni Roma,
14 giugno 1956 Mio caro Franchini, Ella può ben immaginare con quanto piacere
ho letto e riletto la Sua memoria alla Pontaniana 48 . Anzitutto essa mi ha
confortato confermando l’ utilità del mio intervento al Congresso di Napoli. Ma
anche la parte che più propriamente riguarda il mio “Commento” mi è stata
di grande vantaggio. In fondo, si guardano i propri scritti sempre un po’
attraverso una nebbia: un osservatore acuto ed esperto , come Lei, è di grande
aiuto a discernere le linee principali del proprio pensiero. La ringrazio,
dunque, con molto affetto 46 La Prolusione dal titolo La
dottrina dialettica della storia è nel volume postumo Storicismo e
antistoricismo , a cura di M. Biscione, introduzione di A. Pagliaro, Napoli,
Morano, 1964, nella Collana di Filosofia diretta da E.P. Lamanna e P.
Piovani. 47 Antoni si riferisce al celebre discorso di Croce al
Senato del Regno, nella seduta del 29 maggio 1913, Sul disegno di
legge “Istituzione di una cattedra di Filosofia della storia presso la
Università di Roma” , che ora è possibile leggere nel volume
Benedetto Croce. Discorsi parlamentari , con un saggio di M. Maggi, cit.,
pp. 59-64. 48 La memoria accademica di cui si parla
riguardava l’ampio resoconto critico che Franchini scrisse intorno al
XVII Congresso di Filosofia che si era tenuto a Napoli nel marzo del 1955, dove
Antoni era stato invitato a tenere la relazione introduttiva sul tema della
conoscenza storica. Antonio Aliotta sul «Giornale d’Italia» del 26 marzo
1955 aveva sottolineato l’importanza di una tradizione di storicismo crociano
nell’ultimo decennio. La memoria di Franchini, dal titolo La
conoscenza storica , uscì negli «Atti» dell’Accademia Pon taniana, N.S.,
V, 1956, pp. 277-288 (rist. in Metafisica e Storia, cit.Roma,
2 luglio 1956 Mio caro Franchini, la Sua osservazione tocca un punto, che aveva
già suscitato le perplessità del mio amico Attisani. Nel mio articolo esso era
trattato troppo sommariamente. Bisognerà che ci ritorni sopra. In ogni caso
voglio subito avvertirla che non penso a qualcosa di medio tra conoscenza
storica e azione, ma al semplice fatto che noi pensiamo e
giudichiamo la storia alla luce di quel concetto universale dell’uomo o
dello spirito umano, che è il medesimo che orienta la nostra azione morale e
politica. Questo concetto, in quanto principio dell’azione morale, è
l’idea del Bene. Essa è vera, anzi è la verità che abita in noi, ma si va
definendo e chiarendo attraverso la storia, che per questo è storia della
civiltà. Aggiungo che non vi è distinzione tra categoria e coscienza della
categoria, anche se la prima appare eterna e l’altra storicamente
relativa: la categoria è sempre coscienza di sé, ma si va rendendo sempre più
cosciente, come, mi sembra, sia insegnato da Croce nelle parti storiche dei
suoi trattati. Ha fatto bene ad accettare l’invito al “Simposio”
laterziano. Sono curioso di sapere quali sono gli altri invitati. Ella
non manca di combattività, sicché sono tranquilli per la buona causa. Non sono
sicuro di resistere al caldo fino alla fine del mese. Tuttavia la prego di
telefonare a casa mia al Suo passaggio da Romagrazie per la Sua lettera di
consenso al mio articolo sul socialismo 51 . Era una conferenza, che
tenni nel gennaio dell’anno scor so a Zurigo e che poi fu raccolta in un
volume pubblicato in Svizzera. Avendo avuto una certa eco in Svizzera e
Germania, pensai che era utile farla conoscere, anche in relazione alla
situazione dei “radicali”. In effetti mi sembra di aver ottenuto qualcos
a: un socialista come Silone ha sentito il bisogno di telefonarmi per
dirmi che era d’accordo. Come Ella si sarà accorto, la parte più importante è
l’ultima, dove io cerco di venire incontro alle “istanze” sociali senza cadere
nelle confusioni del liberal -socialismo calogeriano. Mi sembra che proprio
avendo attribuito al liberismo un carattere etico-politico, si possa
dargli anche un nuovo carattere positivo, liberatore, “sociale”. In
quanto all’indirizzo del «Mondo», alcuni amici mi hanno fatto osservare c
he da alcune settimane era piuttosto “moderato”. Poiché le critiche, che
io Le esposi nella nostra conversazione per strada, le vado facendo a
Pannunzio appunto da alcune settimane, forse non è presunzione la mia, se
suppongo di aver ottenuto qualcosa anche in questo senso. Va benissimo per la
recensione allo Sprigge 52 , dove c’è da obiettare ad una sorta d’insinuazione
(Croce avrebbe scritto l’articolo sul perché non possiamo non dirci
cristiani – che sappiamo aver avuto carattere
anti-nazista – perché prevedeva l’alleanza con la
Dem. Cristiana, nel 1942!) Suo Antoni Roma, 24 nov. 1956 51
Le convinzioni di Antoni sul socialismo, sul liberalismo e sulla incongruità di
un liberalsocialismo furono sempre chiare e lineari. Franchini concordava. Qui
esse emergono nella concretezza del dibattito politico che coinvolse gli
intellettuali del «Mondo». 52 La recensione di Franchini alla
traduzione italiana del libro di C. Sprigge, Benedetto Croce,
l’uomo e il pensatore (Napoli, Ricciardi, 1951) uscì su
«Criterio» con il titolo Un profilo del Croce , 2 (1957), pp. 165-167
(rist. nel volume L’oggetto della filosofia , cit., pp. 253-258Caro
Franchini, l’infiammazione agli occhi, che mi aveva impedito di venire a
Napoli e che sembrava scomparsa, mi dà nuovamente fastidio, sicché devo
riguardarmi. Penso che Ella dovrebbe scrivere l’articolo sul primo
decennio dell’Istituto 53 . Come forse Ella sa, nei tempi in cui Croce stava
progettandolo, io insistetti presso Mattioli, affinché scoraggiasse
l’iniziativa. Infatti non avevo nessuna fiducia nella utilità
dell’istituzione. Devo riconoscere che mi ero sbagliato, anche se difatti,
errori, inconvenienti non sono mancati. In complesso, mi sembra, il
nostro giudizio deve essere positivo. Anche se ne hanno profittato alcuni
furfante lli, se, cioè, l’eterogenesi dei fini o l’astuzia della ragione hanno
operato in senso negativo, parecchi bravi giovani hanno avuto modo di studiare
e lavorare. In quanto all’indirizzo “storico” dell’Istituto, esso non soltanto
corrisponde al nome, ma al p reciso pensiero di Croce. Con i più cordiali
saluti Suo Carlo Antoni Roma, 18 gennaio 1957 Mio caro Franchini, purtroppo
devo rinunciare definitivamente alla mia gita a Napoli: non sono ancora
completamente ristabilito e devo riguardarmi da una ennesima ricaduta.
Non 53 Il 17 dicembre del ’57 fu pubblicato infatti sul
«Mondo» l’articolo di Franchini Dieci anni
nell’anniversario della fondazione dell’Istituto Italiano di Studi
Storici avvenuta nel 1947 nella s ede di Palazzo Filomarino in Napoli ho
ancora ripreso ad uscire di casa. Le faccio quindi per lettera gli affettuosi
auguri che avrei voluto farle a voce. Spero di leggere la Sua prolusione in
«Criterio» 54 . Le sono grato per il Suo proposito di propormi per
la “Pontaniana”: onore che accetto e che mi è molto gradito 55 . Eccole i
miei dati biografici: nato a Senosecchia (Trieste) il 15-8-1896; volontario
nella guerra ’15 - ’18, ferito, medaglia di bronzo e croce di
guerra; laureato in Filosofia a Firenze nel 1928; professore nei Licei
scientifici dal 1924 al 1932 a Messina e a Roma; assistente dell’Istituto
Italiano di Studi Germanici dal 1932 al 1942. Libero docente di Storia
della filosofia nel 1937; professore di Letteratura tedesca a Padova nel 1942;
membro della Giunta del Partito Liberale, Consultore nazionale,
Commissario dell’IRCE nel periodo 1944 -1946; chiamato nel 1946 alla
cattedra di Filosofia della storia di Roma. Premio Einaudi per la filosofia
1952; socio corr. dell’Accademia dei Lincei, dell’Arcadia, dell’Acc.
Peloritana, socio della Mont- Pelagia Society e dell’Archäologische
Institut. Chiamato alla cattedra di Storia della filosofia moderna e
contemporanea 1954. Suo Carlo Antoni Roma, 15-2- ‘57 54 Cosa
che avvenne. Vedi sopra la nota 44. 55 Franchini era
diventato socio ordinario dell’Accademia Pontaniana di Napoli nel 1954 su
proposta di Fausto Nicolini. Rinvio per queste ed altre notizie
biografiche al volumetto R. Franchini, Autobiografia minima , Roma,
Bulzoni, 1973. Antoni fu dal ’57 socio della prestigiosa Accademia Caro
Franchini, sono lieto per la notizia che Ella mi dà: così Ella potrà assumere
l’incarico, che, mi auguro, sia anche compensato. Lessi con piacere le
notizie della Sua prolusione. Esse mi diedero qualche conforto in un momento di
amarezza, quando cioè mi capitò di leggere sul «Ponte» la cattiva e balorda
recensione di Tommaso Fiore al mio Commento 56 . E dire che
costui, appena letto il libro, mi scrisse una lettera entusiastica! Tumiati 57
, al quale avevo espresso la mia sorpresa per la pubblicazione di siffatta
sconcezza, mi scrisse una lettera piena di deplorazioni o scuse. Ma chi mi ha
recato la serenità è stato Ragghianti, che, dopo aver fatto un breve ritratto
del Fiore, mi ha suggerit o di seguire l’aurea massima di Flaubert: «Mon cul
vous contemple». Ottimo il Suo articolo in «Criterio» 58 . Suo Carlo
Antoni Roma, 23 maggio 1957 Caro Franchini, non ho voluto che Ella attendesse
il mio libro dalla ERI e Le ho spedito oggi una delle copie a mia disposizione.
Pannunzio accoglierà volentieri la Sua recensione 59 . 56 La
recensione di T. Fiore al Commento a Croce (1955) di Antoni era
uscita in «Il Ponte», Rivista mensile di politica e letteratura, a. XII, 12
dicembre 1956, pp. 2155-2157. 57 Corrado Tumiati assunse la
direzione della rivista «Il Ponte», fondata da Piero Calamandrei, a partire
dal 1956, direzione che condivise per un certo periodo con Agnoletti
(fino al ’65). 58 Antoni si riferisce all’artic olo di
Franchini sul libro di Sprigge (vedi nota 51). 59 Si tratta del
libro di Antoni Lo storicismo, pubblicato nel ’57
dalle edizioni ERI, in cui sono raccolte le conferenze da lui tenute
nell’estate dell’anno precedente per il Terzo Programma della Radio italiana;
la 957 Mio caro Franchini, è da un pezzo che non mi faccio vivo con Lei.
Non Le scrissi quando Ella mi annunciò la fine del «Giornale», ultimo
quotidiano liberale, che, oltre a tutto, era un bel giornale, assai bene
redatto. Faceva onore a Napoli 60 . Per Lei, forse, l’esser costretto ad
abbandonare una continuata attività giornalistica è stato un vantaggio. Ella è
ad un punto in cui deve concentrare i suoi spazi. Non le ho neppure scritto che
la prefazione al Suo nuovo libro mi ha dato molta soddisfazione e mi ha trovato
pienamente consenziente. Attendo ora il libro 61 , di cui voglio occuparmi in
un articolo sul «Mondo» oppure in «Criterio» (che, dopo un intervallo dovuto a
indisposizioni di Ragghianti, riprende ora ad uscire). Sono d’accordo con
Lei anche per quanto riguarda i collaboratori del «Mondo», tra i quali la
qualità non corrisponde spesso alla quantità. Tornato dalla villeggiatura
– sono stato sul lago di Como e in Svizzera -, ho avuto
la sessione d’esami e una sessione del Consiglio Superiore. Altra sessione
di detto Consiglio è prevista per il 23 c.m. Alla fine del mese sarò a
Marburgo, invitato dai filosofi tedeschi a partecipare ad un loro congresso e a
intervenirvi con una conferenza. Cercherò d’istruirli. Con
affettuosi saluti Suo recensione di Franchini dal titolo Una storia
dello storicismo uscì puntualmente su «Il Mondo» nel giugno del ’57
(rist. in Metafisica e Storia , cit.). 60 «Il
Giornale», quotidiano liberale come ben sottolineava Antoni, uscì a Napoli dal
1954 al 1957. Fu fondato da Quinto Quintieri e Tommaso Astarita. Franchini
lavorò nella redazione del «G iornale» dal ’49 alla fine: vi era entrato
su pressione e interessamento dello stesso Croce. 61 Il libro di
Franchini in uscita era Metafisica e Storia , edito poi nel ’58
presso l’editore Giannini di Napoli 1958 Caro Franchini, La ringrazio per
aver pensato a me per una conferenza alla Società filosofica di
Napoli e ringrazio pure l’amico Carbonara e gli altri componenti del
Consiglio. La prego, anzi, di esprimere loro la mia più viva gratitudine
per un invito che mi lusinga. Ma è da un pezzo che non accetto di tenere conferenze.
Esse mi recano, infatti, molta tensione e fatica: non amo leggere, ma il
parlare richiede uno sforzo, che mi lascia prostrato. La prego quindi di
scusarmi presso la Società filosofica. Mi auguro di vederla tra breve qui a
Roma. Con saluti affettuosi Suo Carlo Antoni Roma, 20 marzo 1958 Caro
Franchini, ho una certa intenzione di muovermi per Pasqua, anche per togliermi
di dosso una certa malinconia e irritazione, ma penso che sarò a Roma per
l’assemblea dell’Associazione. In caso contrario La avvertirei in tempo. Ho un
vivo desiderio di32 parlare a lungo con Lei di molte cose, anche perché
mi vado sempre più isolando 62 : ciò che non fa bene alla salute. Con
cordialissimi saluti Suo Carlo Antoni Roma, 22 sett. ‘58 Caro
Franchini, La ringrazio anzitutto per il Suo interessamento al caso del
ragazzo, che Le avevo raccomandato. Ella ha fatto più di quanto potessi
sperare. Il trafiletto mi sembra andare benissimo: contiene alcune frecciate
brillanti. Naturalmente recherà un dispiacere al nostro Battaglia. Il quale potrà
sempre rispondere che l’organizzazione del Congresso è stata diretta da
un comitato, che conteneva fior di laici e che costoro sono stati sempre
consenzienti 63 . A mio avviso il difetto sta nell’assurdo di un
congresso filosofico, dove i filosofi laici , se decidono di intervenire, si
presentano necessariamente in ordine sparso, ciascuno con idee proprie, mentre
le chiese vi inviano schiere compatte e disciplinate. Ho pure qualche
riserva da fare sulle parole dell’amico Calogero, che hanno un significato
che non condivido: dialogare sta bene, ma bisogna guardarsi dal ridurre la
filosofia a mero dialogo, ché si rischia di ridurla ad un attualismo del
dialogare, dove il dialogo stesso diventa fine a sé stesso. Ma questo è un
altro discorso. Con cordialità 62 Trovano in un certo modo conferma
le consideraz ioni sulla “nobile solitudine” tipica di uno studioso schivo e
riservato come fu l’Antoni. Rinvio alla Introduzione di G. Sasso al
Carteggio Croce-Antoni , cit., p. XVIII. 63 Ancora strascichi polemici
sui Congressi di filosofia in Italia1958 Mio caro Franchini, in effetti
quella mia frase sull’insolubilità del problema di Scaravelli è p iuttosto
sibillina e può sembrare campata in aria. Mi piace molto che Ella me ne faccia
quasi un rimprovero. Tuttavia in una commemorazione non potevo passare ad una
critica e soprattutto non potevo affrontare per mio conto l’intera
questione 64 . Il problema di Scaravelli era quello di dedurre il
molteplice dall’identico, cioè di scoprire o “capire” come la grande madre
genera i suoi figli. Era, insomma, il problema della creazione del mondo.
Se vogliamo, era anche il problema di derivare l’estetica dalla logica,
l’individuale esistenza dall’universale categoria. Questo, se non erro, era per
lui il problema del “capire”, che, come Ella ben vede, era insolubile. Ma
Ella vede anche che se avessi dovuto spiegare perché il problema era mal posto,
avrei dovuto tenere una vera e propria lezione. Con saluti cordialissimi Suo
Carlo Antoni Roma, 8 gennaio 1959 64 Antoni aveva tenuto una
splendida commemorazione di Luigi Scaravelli nella Sala degli Stemmi alla
Scuola Normale di Pisa il 23 novembre 1957. Scaravelli era scomparso
tragicamente nella primavera di quell’anno. Così Antoni scriveva a
Franchini in data 8 maggio ’57: «Ella avrà saputo della tragica morte del
mio vecchio, carissimo amico Scaravelli. Sono stato a Firenze ai suoi funerali.
Era uno spirito amabile, brillante, fine, buono e un galantuomo anche nelle
cose filosofiche: era uno dei nostri ed io contavo su di lui. Per me è una
perdita dolorosissima».Caro Franchini, eccellente il Suo articolo su M. Weber
65 . Ella ha indubbiamente ragione nel trovare un presupposto kantiano o
neo-kantiano nella sua teoria del tipo ideale. Io ne avevo avvertito la presenza,
ma non vi avevo insistito. Assai utile il Suo articolo per quei fessi in mala
fede che pretendono di scoprire Weber e di utilizzarlo, assieme a
Dilthey, contro Croce. Raramente il rancore, l’arrivismo, la petulanza hanno
messo insieme tanta stupidità. Ma che cosa credono di concludere con
questa impresa sballata? Suo Carlo Antoni Roma, 3 marzo 1959 Caro
Franchini, penso anch’io che la Sua appartenenza alla Nunziatella
possa essere d’ostacolo ad un alleggerimento dei suoi incarichi scolastici,
reso urgente dai suoi incarichi universitari. Ho ricevuto il Suo
Kant 66 , ma Le devo confessare che non ho trovato il tempo per leggerlo.
Lo farò nei prossimi giorni. Alla fine di gennaio sono stato a Zurigo, dove ho
tenuto una conferenza e ho parlato alla radio: è stata una gita splendida, un
tempo magnifico, nella Svizzera coperta di neve. Suo Carlo Antoni
65 L’articolo di Franchini su Weber e il “regresso”
era uscito nel gennaio del ’59 su «Il Mondo». 66 Si
tratta del volume: I. Kant, Critica della ragion pratica , a cura di R.
Franchini, Bari, Laterza, 1959.Raffaello Franchini. Franchini – not to be
confused with Franchini, author of ‘I gladiatori’ -- Keywords: I gladiatori. vitale,
avvenire, divenire, storia, historismus, ragione storica, spirito, dialettica,
opposti, l’opposto, il distinto, aequi-vocalita della dialettica – dialettica
come metodo della filosofia, non della scienza; prospettico, prespetico,
spetico, giudizio, l’utile, storia ciclica, storia lineale, filosofia
analitica, historimus philologicus, critica della ragione storica; Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Franchini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51760313400/in/datetaken/
Grice e
Franci – i ostrogoti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ferrara).
Filosofo. Grice: “I like Franci; for
one, he philosophises and calls his thing ‘studi linguistici,’ for another, he
teaches in a varsity older than mine!” Insegna a Bologna. i suoi interessi si
sono concentrati principalmente sullo studio delle molteplici manifestazioni
della spiritualità. Dopo essersi laureato a Bologna con Heilmann, ha poi
compiuto studi di perfezionamento a Roma sotto la supervisione di Tucci. Direttore
del Dipartimento di Studi Linguistici, presidente dell'Accademia delle Scienze
e direttore della Biblioteca di Discipline Umanistiche presso l'Bologna. È
stato inoltre Accademico effettivo dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto
di Bologna; Socio ordinario dell'Istituto Italiano per il Medio ed Estremo
Oriente, Roma; Membro dell'European Society for Asian Philosophy, Nottingham, Socio
Onorario e membro del Comitato Scientifico dell'Associazione Italia-India; Consigliere
dell'Associazione Italiana di Studi Sanscriti; Vicepresidente del Centro di
Documentazione e Iniziativa per la Pace «Giovanni Favilli»; Membro del Comitato
Direttivo del Centro Studi, Iniziative e Informazioni «Amilcar Cabral»; Membro
del Coordinamento nazionale per l'insegnamento delle culture afro-asiatiche
nella scuola secondaria; Direttore della collana «Studi e testi orientali». Ha
inoltre insegnato presso le Calcutta per tre anni nei primi anni sessanta e di
Firenze. Insegna: Sanscrito Lingue Arie
Moderne dell'India Storia dell'India Moderna e Contemporanea Filosofie,
Religioni e Storia dell'India e dell'Asia Centrale. Gli interessi di Franci si
rivolgano principalmente all'India classica e, in particolare, allo studio del
pensiero mistico (bhakti) e dell'Advaita Vedānta shankariano. Egli non ha
mancato comunque di approfondirne anche gli aspetti moderni e
contemporanei: il ruolo dell'induismo
nell'India d'oggi; problematiche relative alla questione linguistica, con
particolare attenzione alle letterature in bengali e in inglese; studi sul
pensiero classico nell'India d'oggi e i pensatori moderni in generale come
Aurobindo. Altre opere: L'Upadesasahasri (Gadyabhaga) di Sankara: contributo
allo studio del Kevaladvaita” (Bologna); “Recenti sviluppi delle questioni linguistiche
indiane, Bologna); “Alcuni problemi e tendenze della filosofia comparata”
(Bologna); “Yoga ed esicasmo, Trapani, “Saggi indologici, Bologna, La Bhakti:
l'amore di Dio nell'induismo, Fossano); “Studi sul pensiero indiano, Bologna, Piero
Martinetti e "Il sistema Sankhya", Contributi alla storia
dell'orientalismo, Giorgio Renato Franci, Bologna, Luigi Heilmann linguista, indologo,
umanista, Bologna, La benedizione di Babele: contributi alla storia degli studi
orientali e linguistici, e delle presenze orientali, a Bologna, Bologna, L'induismo,
Bologna, Il Mulino, Induismo, prefazione di Gianfranco Ravasifotografie di
Andrea Pistolesi, Milano, Touring Club Italiano, Il Buddhismo, Bologna, Il
Mulino, Yoga, Bologna, Il Mulino, Filosofia indiana Induismo, Treccani
L'Enciclopedia italiana". Wikipedia Ricerca Ostrogoti antico popolo
germanico Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce o sezione
sull'argomento storia è priva o carente di note e riferimenti bibliografici
puntuali. Gli Ostrogoti (in latino Ostrogothi o Austrogothi) erano il ramo
orientale dei Goti, una tribù germanicache influenzò gli eventi politici del
tardo Impero romano. Palazzo di Teodorico a Ravenna, mosaico nella
basilica di Sant'Apollinare Nuovo. Sconfissero Odoacre, che aveva deposto
Romolo Augusto, ultimo Imperatore Romano d'Occidente, e si insediarono in
Italia. Furono poi sconfitti dai Bizantini. Identità con i
GrutungiModifica Fibula ostrogota a forma di aquila. La tribù degli Ostrogoti
(Austrogothi) viene citata per la prima volta nel 269[1] all'interno della
biografia dell'imperatore Claudio il Gotico (attribuita a Trebellius Pollio),
appartenente alla raccolta "Historia Augusta": essi sono ricordati
fra le tribù della Scizia che invasero e devastarono allora l'impero
(all'interno della biografia gli Ostrogoti sono citati insieme con i Grutungi,
i Tervingi e i Visigoti)[2]. Secondo Herwig Wolfram le fonti primarie
parlavano di Tervingi/Grutungi o di Vesi/Ostrogoti senza mai mischiare le
coppie.[3] I quattro nomi venivano usati contemporaneamente, ma sempre
rispettando le coppie, come in Gruthungi, Austrogothi, Tervingi, Visi.[4]
Herwig Wolfram e Thomas Burns concludono che il termine "Grutungi"
era un identificativo geografico usato dai Tervingi per descrivere un popolo
che si autodefiniva Ostrogoti.[4][5] Questa terminologia sparì dopo che i Goti
vennero fatti scappare dall'invasione unnica. A suo supporto, Wolfram cita
Zosimo che parla di un gruppo di Sciti a nord del Danubio chiamati
"Grutungi" dai barbari dell'Ister.[6] Wolfram conclude che questo
popolo erano i Tervingi rimasti dopo la conquista degli Unni.[6] Secondo questa
concezione Grutungi e Ostrogoti furono più o meno lo stesso popolo.[5]
Che i Grutungi fossero gli Ostrogoti era anche il parere di Giordane[7] Egli
identificò i re Ostrogoti da Teodorico il Grande a Teodato come gli eredi del
re Grutungio Ermanarico. Questa interpretazione, nonostante sia condivisa da
molti odierni studiosi, non è universalmente condivisa. La nomenclatura di
Grutungi e Tervingi cadde in disuso poco dopo il 400.[3] In generale, la
terminologia di una tribù gotica divisa dagli altri scomparve gradatamente dopo
l'assorbimento fatto dall'impero romano.[4] Peter Heather ritiene invece
che l'identificazione tradizionale degli Ostrogoti con i Greutungi sia errata.
Secondo Heather gli Ostrogoti nacquero solo nella seconda metà del V secolo
dalla coalizione tra i Goti Amal in Pannonia (ex sudditi degli Unni) e i Goti
foederati dell'Impero in Tracia.[8] I Grutungi che nel 382 si stanziarono
all'interno dell'Impero come foederati, secondo Heather, non erano lo stesso
popolo che fondò un regno romano-barbarico in Italia negli ultimi anni del V
secolo sotto Teodorico il Grande, ma i progenitori (insieme con i Tervingi e i
Goti superstiti dell'armata di Radagaiso) dei Visigoti. Secondo Heather, i
Visigoti nacquero agli inizi del V secolo dalla coalizione, sotto Alarico, di
tre gruppi gotici:[9] Tervingi (stanziati come foederati nei Balcani nel
382 e poi uniti sotto la guida di Alarico) Grutungi (stanziati come foederati
nei Balcani nel 382 e poi uniti sotto la guida di Alarico) Goti di Radagaiso
(invasa l'Italia nel 405, vennero sconfitti da Stilicone e arruolati
nell'esercito romano; dopo l'uccisione di Stilicone, vi fu un'ondata repressiva
da parte dell'Impero contro i soldati di origine barbarica, che decisero dunque
di unirsi ad Alarico) Secondo Heather, dunque, i Grutungi erano i progenitori
dei Visigoti, non Ostrogoti. Genealogia mitologica e storicaModific
Þjelvar (secondo la Gutasaga) Hafþi=Huítastjerna Graipr Guti
ovvero Gapt (o Gautr o Gautar) (anche Gaut, Goto, etc.) (cfr. Giordane)
Hulmul Gautrekr leggendario re dei Geati Augis
"Amala" capostipite degli
Amali Hisarnis Ostrogota (ca. 200 - 249 d.C.), primo re degli
Ostrogoti Hunuil Athal Achiulf Oduulf Ansila Edilf Vultuuf Hermanaric
(+ 376) re della tribù gotica dei Grutungi Valaravans Hunimund
Vinitharius Thorismund Vandalarius
Beremund Thiudimer (+ 474) Valamir Vidimer Veteric
= Erelieva Eutaric = Amalasunta Teodorico (454 ca. -
526) Amalafrida = (1) N.N.; (2)Audofleda (o
Audefleda) Atalarico Matasunta = (1) Vitige; (2)
Germano Giustino (1) Teodegota = Alarico II (2) Amalasunta =
Eutaric Germano StorModifica Posizionamento degli Ostrogoti in
Sarmazia attorno all'anno 380. Il regno gotico in Dacia (Gutthiuda),
271-376. Dal III al V secoloModifica Secondo le loro stesse tradizioni erano
originari dell'attuale isola svedese di Gotland e la regione di Götaland.
Nel 250 si divisero dai visigoti e nacque appunto il regno ostrogoto. Il primo
re si chiamava Ostrogota ed era della stirpe degli Amali. [senza fonte]
Nel 251 gli Ostrogoti uccisero l'imperatore Decio, più tardi saccheggiarono
alcune isole dell'Egeo e conquistarono la Tracia e la Mesia. La prima
menzione di Ostrogoti si ha nel 269, quando l'imperatore Claudio II li
riconobbe fra i barbari sciti. In quell'anno Claudio II riuscì a fermare
l'avanzata degli Ostrogoti. Nelle prime fasi della loro migrazione dalla
Scandinavia, gli Ostrogoti, o goti d'Oriente fondarono un regno a nord del Mar
Nero, dal III al IV secolo(Cultura di Černjachov). Ma nel 340
ricominciarono le scorrerie e conquistarono il regno vandalo (che prima della
conquista del Nord Africa si trovava in Dacia) e presero questa popolosa
regione. Dopo queste vittorie assoggettarono popoli slavi(sklaveni) e
arrivarono fino al Mar Baltico, e alcuni storici paragonarono le loro imprese a
quelle di Alessandro Magno, perché avevano creato un regno che partiva dalla
Grecia e arrivava fino al mar Baltico. Invasioni degli UnniModifica
Incalzati dagli Unni che li avevano scacciati dalla loro regione d'insediamento
tra il Danubio e il Mar Nero, gli Ostrogoti chiesero pressantemente asilo a
Valente, accalcandosi ai confini dell'Impero, precisamente lungo il Danubio.
L'imperatore Valente accettò di accogliere le popolazioni barbare come
foederati, allo scopo di rafforzare il proprio esercito e per aumentare la base
imponibile del fisco.[10] Gli Ostrogoti si stabilirono così nel territorio
della Mesia e della Dacia. Dopo le invasioni degli UnniModifica Travolti
dall'invasione unna, numerosi nuclei di Ostrogoti entrarono a far parte
dell'orda di Attila; dopo la morte del condottiero unno (453), il popolo ostrogoto
si ricostituì e si stanziò lungo il medio corso del Danubio, in un territorio
corrispondente grosso modo all'odierna Serbia. Dopo il collasso dell'Impero
degli Unni nel 454, molti Ostrogoti vennero spostati dall'imperatore Marciano
in Pannonia con la qualifica di foederati. Nel 460, durante il regno di Leone
I, dal momento che l'impero romano smise di pagare la quota annuale,
devastarono l'Illiria. Venne firmata la pace nel 461 in seguito alla quale il
giovane Teodorico Amalo, figlio di Teodemiro della dinastia Amali, venne
mandato a Costantinopoli come ostaggio, dove ricevette un'educazione
romana.[11] Regno in ItaliaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Regno ostrogoto e Teodorico il Grande. Il
30 settembre 489 Teodorico sconfigge Odoacre (Antica pergamena).
Estensione del Regno degli Ostrogoti. In Italia, nel 476 il barbaro Odoacre
depose l'ultimo imperatore romano Romolo Augusto, detto Augustolo, e non osando
proclamarsi imperatore si proclamò re di un misto di popoli barbari (Eruli,
Sciri, Rugi, Gepidi, Turcilingi). Egli riscattò dai Vandali con un tributo la
Sicilia, che rimase dunque unita all'Italia e ne seguì le sorti. Caduto
l'Impero romano d'Occidente, era rimasto in piedi quello d'Oriente, il cui
imperatore Zenone intendeva riconquistare l'Occidente, in mano ai barbari.
L'imperatore era preoccupato dall'intraprendenza di Odoacre, che aveva saputo
governare in modo da non urtare la suscettibilità dei Latini e da estendere i
confini del suo regno. Il periodo compreso tra il 477 e il 483 vide una
lotta a tre tra Teodorico, che successe al padre nel 474, Teodorico Strabone e
l'imperatore bizantino Zenone. Nel corso di questo conflitto le alleanze
cambiarono più volte, e buona parte dei Balcani venne devastata. Alla fine,
dopo la morte di Strabone avvenuta nel 481, Zenone scese a patti con Teodorico.
Parte della Mesiae della Dacia vennero cedute ai Goti, e Teodorico venne
nominato magister militum praesentalis e Console nel 484.[12] Solo un anno dopo
Teodorico e Zenone ripresero il loro conflitto, e di nuovo Teodorico invase la
Tracia saccheggiandola. Fu allora che Zenone siglò un accordo con Teodorico,
invitandolo a invadere l'Italia in suo nome per scacciare il re degli Eruli
Odoacre che, dopo aver deposto l'ultimo imperatore romano d'Occidente Romolo
Augusto(476) ed essersi proclamato Rex Italiae, amministrava la penisola in
totale autonomia. In numero forse di 250.000 tra uomini, donne e
bambini[13], da Nouae risalirono la Sava condotti da Teodorico loro re, si scontrarono
con Odoacre ad Aquileia e lo batterono a Verona (489). Odoacre scese invano
nell'Italia centrale per ottenere aiuti da Roma. Riguadagnata Ravenna riuscì a
battere l'avversario e a chiuderlo in Pavia: ma i Visigoti, giunti dalla Spagna
in aiuto dei loro consanguinei, ruppero il blocco. La guerra continuò un altro
anno finché l'11 agosto 490Odoacre fu sconfitto definitivamente sull'Adda[14] e
venne costretto a rifugiarsi a Ravenna. Dopo un lungo assedio a Ravenna, nel
febbraio 493 Odoacre si arrese a Teodorico con la promessa di aver salva la
vita; ma Teodorico, violando i patti, uccise Odoacre a tradimento durante un
banchetto, con le proprie mani, e ne fece uccidere i parenti e i seguaci[15].
Secondo altri, Odoacre fu invece giustiziato dopo rapido processo condotto
dallo stesso Teodorico, in quanto stava tentando di indurre alcuni generali
ostrogoti alla rivolta per riconquistare il trono. Gli Ostrogoti
costituirono un nuovo regno romano-barbarico in Italia, che si estendeva fino
alla Pannoniaa nord est e alla Provincia (l'odierna Provenza) a nord ovest.
Come Odoacre, anche Teodorico poteva vantare il titolo di patrizio e rispondeva
all'imperatore di Costantinopoli con la qualifica di viceré d'Italia, titolo
riconosciuto dall'imperatore Anastasio nel 497. Il suo regno fu caratterizzato
da un relativo ordine interno, anche se i luogotenenti reali violarono sovente
le disposizioni di Teodorico di rispettare la popolazione latina. Molti
proprietari terrieri ancora fedeli al paganesimo furono eliminati con l'accusa
di schiavismo, ma in molte circostanze fu un pretesto per consentire ai
possidenti barbari e collaborazionisti (tra cui Quinto Aurelio Memmio Simmaco)
di ingrandire le loro proprietà. Il regno sopravvisse fino all'intervento
diretto in Italia dell'imperatore d'Oriente Giustiniano I e alla susseguente
guerra goto-bizantina. La caduta Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Guerra gotica (535-553). Impero di
Teodorico - La mappa mostra i regni germanici nel 526, l'anno in cui morì
Teodorico. Oltre all'Italia, la Dalmazia e la Provenza, regnò anche sui
Visigoti. Dopo la morte di Teodorico del 30 agosto 526, le sue conquiste
incominciarono a collassare. Successore di Teodorico fu il neonato nipote
Atalarico, tutelato dalla madre Amalasunta come reggente. La mancanza di un
erede forte portò a una rete di alleanze che condussero lo stato ostrogoto alla
disintegrazione: il regno visigoto riconquistò la propria autonomia sotto
Amalarico, i rapporti con i Vandali divennero ostili, e i Franchi
incominciarono una nuova campagna espansionistica sottomettendo i Turingi, i
Burgundi e quasi sfrattando i Visigoti dalla loro patria, la Gallia
meridionale.[16] La posizione di predominanza che il regno ostrogoto acquisì
grazie a Teodorico in Europa occidentale passò ora ai Franchi. Non
sopportando la reggenza di una donna, né l'educazione romana impartita al
ragazzo, né i rapporti ossequiosi di Amalasunta verso Bisanzio e neppure il suo
spirito conciliante verso i Romanici, la nobiltà gotariuscì a strapparle il
figlio e a educarlo secondo le usanze del suo popolo. Tuttavia il giovane
Atalarico si diede a una vita di sperperi ed eccessi trovando una morte
prematura.[17] Allora Amalasunta, che voleva mantenere il potere, sposò suo cugino
Teodato, ducadi Tuscia. Costui, però, la relegò in un'isola del lago di
Bolsena, dove poi la fece uccidere da un suo sicario nel 535. L'esilio e
l'assassino di Amalasunta fu il casus belli che permise a Giustiniano di
invadere l'Italia.[18]Teodato tentò di evitare la guerra, spedendo messaggeri a
Costantinopoli, ma Giustiniano era già pronto a reclamare l'Italia. Solo la
rinuncia al trono di Teodato, e la consegna del suo regno all'impero, avrebbero
evitato la guerra. Il generale incaricato di dirigere le operazioni fu
Belisario, che da poco aveva combattuto con successo contro i Vandali, a cui
furono affidati 10.000 uomini tra comitatensi, foederati e buccellarii. Il
generale bizantino conquistò velocemente la Sicilia, per poi occupare Rhegium
(Reggio Calabria) e Napoliprima del novembre 536. A dicembre era a Roma,
costringendo alla fuga il nuovo Re dei Goti Vitige che da poco era stato
chiamato a sostituire Teodato. Rimase fermo a lungo a Roma poi, grazie a
rinforzi giunti da Costantinopoli, il generale spedì Narsete a liberare
Ariminum (Rimini), e Mundila (che battè i Goti a Pavia) a conquistare
Mediolanum (Milano). I conflitti interni fra Narsete e Belisario fecero sì che
Milano, assediata, dovette capitolare per fame venendo saccheggiata da 30.000 Goti
che, guidati da Uraia, trucidarono gli abitanti (539). Ritratto di
Teodato su una sua moneta. Nel frattempo erano arrivati in Italia anche i
Franchi e i Burgundi, discesi nella Pianura Padana al comando di Teodeberto.
Belisario riuscì a espugnare Ravenna, capitale degli Ostrogoti, e a catturare
Vitige, grazie a un'astuzia: finse di accettare l'offerta da parte dei Goti di
diventare loro re per farsi aprire le porte e conquistarla. In seguito alla
caduta di Ravenna, il tesoro regio e la corte furono trasferite a Pavia, dove
già Teodorico aveva fatto realizzare un Palazzo reale[19].Giustiniano,
spaventato, richiamò in patria Belisario lasciando campo libero ai Goti. Nel
541 salì al potere Totila, che ottenne l'appoggio della popolazione italica
grazie a una politica agraria di eguaglianza, in base alla quale i servi,
affrancati, si arruolavano in massa nell'esercito di Totila. Grazie a questo e
ad altri fattori, riconquistò l'Italia settentrionale. Totila arrivò fino a
Roma assediandola e conquistandola; per la sua difesa venne richiamato
Belisario che la riprese nel 547. Giustiniano, dopo aver richiamato Belisario,
lanciò nel 549 una nuova campagna di conquista dell'Italia, con a capo Germano.
Durante la riconquista di Roma guidata da Narsete, Totila venne ferito e morì
poco dopo. Il successore di Totila fu Teia che, sconfitto velocemente (552), fu
anche l'ultimo re dei Goti. La sua sconfitta non determinò però l'automatica
sottomissione delle guarnigioni ostrogote, che, pur non eleggendo un nuovo re,
continuarono avanti una lotta disorganizzata, chiamando in loro aiuto i
Franchi-Alamanni condotti da Butilino e Leutari: Narsete, comunque, riuscì a
sconfiggere i franco-alamanni, spingendoli al ritiro e nello stesso tempo
ottenne la sottomissione delle ultime fortezze ostrogote della Tuscia, di Cuma
e di Conza (553-555). Rimaneva però ancora da conquistare la regione
transpadana, in cui i Goti, condotti da Widin, non avevano intenzione di
arrendersi e avevano ottenuto inoltre l'appoggio del comandante franco Amingo:
la loro resistenza durò fino al 561/562, quando Narsete sconfisse sia Widin sia
Amingo e sottomise Verona, Pavia[20] e Brescia, le ultime sacche di
resistenza. La Prammatica Sanzione del 554 ricondusse tutti i territori
dell'Italia sotto la legislazione dell'Impero bizantino, e reintegrò tutti i
proprietari terrieri delle terre alienate dall'"immondo" Totila a
favore dei contadini. Gli Ostrogoti, in seguito alla vittoria bizantina,
scomparvero praticamente come componente demica, venendo dispersi o arruolati
come mercenari per servire in Oriente nell'esercito bizantino, mentre pochi
rimasero in Italia; la Chiesa ariana venne perseguitata e molti Ostrogoti
vennero convertiti al cattolicesimo, salvo poi essere riassorbiti dai
Longobardi. Cultura Modifica
Orecchini ostrogoti in stile policromo, Metropolitan Museum of Art, New York.
Architettura Modifica
A causa della breve storia del regno, l'arte di Ostrogoti e Romani non subì una
fusione. Sotto il patrocinio di Teodorico e Amalasunta, comunque, vennero
svolti numerosi restauri di edifici dell'antica Roma. A Ravenna vennero
costruite nuove chiese ed edifici monumentali, molti dei quali sono tuttora in
piedi. La Basilica di Sant'Apollinare Nuovo, il suo battistero, e la Cappella
Arcivescovile seguono uno stile architettonico tardo romano, mentre il Mausoleo
di Teodorico mostra elementi puramente gotici, tipo il mancato uso di mattoni a
cui vennero preferiti blocchi di calcare istriano, o il tetto in monoblocco di
pietra da 300 tonnellate. Letteratura Modifica
Buona parte dei lavori di letteratura gotica (redatti durante il regno
ostrogoto) sono in lingua latina, nonostante alcuni dei più vecchi siano stati
tradotti in greco e in gotico (ad esempio il Codex Argenteus). Cassiodoro,
provenendo da un contesto diverso, ed esso stesso incaricato di compiti
importanti nelle istituzioni (console e magister officiorum), rappresenta la
classe dirigente romana. Come molti altri con le stesse origini, servì
lealmente Teodorico e i suoi eredi, come descritto nelle sue opere del tempo.
Il suo Chronica, usato in seguito da Giordane per il proprio Getica, e altri
panegirici scritti da lui e da altri romani per i re Goti del tempo, vennero
redatti sotto la protezione dei signori Goti stessi. La sua posizione
privilegiata gli permise di compilare il Variae Epistolae, un epistolario di
comunicazioni di stato, che ci permette un'ottima conoscenza della diplomazia
gotica del tempo. Fibbia di cintura ostrogota da Torre del Mangano,
VI secolo, Pavia, Musei Civici Boezio è un'altra importante figura del tempo.
Ben educato e proveniente da una famiglia aristocratica, scrisse di matematica,
musica e filosofia. Il suo lavoro più famoso, il De consolatione philosophiae,
venne scritto mentre si trovava imprigionato con l'accusa di tradimento.
Re ostrogoti Modifica Magnifying glass
icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Sovrani ostrogoti. Dinastia degli Amali Modifica Valamiro circa 447-465 Teodemiro
468-474 Teodorico 476-526 Atalarico 526-534 Teodato 534-536 Re successivi Modifica Vitige
536-540 Ildibaldo 540-541 Erarico 541 Totila 541-552 (anche conosciuto come
Baduela) Teia 552-553 Note Modifica
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^ Trebellius Pollio, Historia Augusta - Divus Claudius, ~ 400. ^ a b Herwig
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Giordane, Getica, 271 ^ Bury (1923), Cap. XII, pp. 413-421 ^ AA.VV.,
Dall'impero romano a Carlo Magno, in La Storia, Milano, Mondadori, 2004, Vol.
IV.. ^ Aldo A. Settia (1999), "Il fiume in guerra. L'Adda come ostacolo
militare (V-XIV secolo)", Studi storici, XL(2): 487-512 ^ Gabriele Pepe,
Il Medio Evo barbarico d'Italia. Torino: Giulio Einaudi, 1959, p. 31 ^ Bury
(1923), Cap. XVIII, p. 161 ^ John Bagnell Bury (1923), History of the Later
Roman Empire, Vols. I & II., Cap. XVIII, pp. 159-160 ^ Procopio di Cesarea,
De Bello Gothico I, 5.1 ^ ( EN ) Filippo Brandolini, Pavia: Vestigia di una
Civitas altomedievale. URL consultato il 1º giugno 2019. ^ ( EN ) Piero
Majocchi, Piero Majocchi, Sviluppo e affermazione di una capitale
altomedievale: Pavia in età gota e longobarda, "Reti Medievali -
Rivista", XI - 2010, 2, url: < http://www.rmojs.unina.it/index.php/rm/article/view/54/357>,
in Reti Medievali. URL consultato il 1º giugno 2019. Bibliografia Modifica
Fonti primarie Modifica
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actibusque Getarum ("Origine e azioni dei Goti"). traduzione di
Charles C. Mierow Cassiodoro, Chronica Cassiodoro, Varia epistolae
("Lettere"), presso il Progetto Gutenberg Anonymus Valesianus,
Excerpta, Par. II Fonti secondarie Modifica
In inglese Edward Gibbon, History of the Decline and Fall of the Roman Empire
Vol. IV, Capitoli 41 Archiviato il 20 gennaio 2008 in Internet Archive. e
43Archiviato il 20 gennaio 2008 in Internet Archive. Thomas S. Burns, A History
of the Ostrogoths, Boomington, 1984. John Bagnell Bury, History of the Later
Roman Empire Vol. I & II, Macmillan & Co., Ltd., 1923. Peter Heather,
The Goths, Oxford, Blackwell Publishers, 1996, ISBN 0-631-16536-3. Herwig
Wolfram, Storia dei Goti, Roma, Salerno editrice, 1985 (orig. ted. 1979), pp.
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Mulino, 2002 Renato Bordone; Giuseppe Sergi, Dieci secoli di medioevo, Torino,
Einaudi, 2009 I Goti. Catalogo della mostra, Milano, Electa, 1994 Gabriele
Pepe, Il Medio Evo barbarico d'Italia. Torino, Giulio Einaudi, 1959 Giovanni
Tabacco, La Storia politica e sociale, dal tramonto dell'Impero romano alle
prime formazioni di Stati regionali, in: Storia d'Italia, vol. I, Torino,
Einaudi, 1974 Giovanni Tamassia, Storia del regno dei Goti e dei Longobardi in
Italia, Vol. II.. Peter Heather, La caduta dell'Impero romano, Milano,
Garzanti, 2005. Fonti su Teodorico AA. VV., Teoderico il grande e i Goti
d'Italia. Atti del XIII Congresso internazionale di studi sull'Alto Medioevo
(Milano, 2-6 novembre 1992), Spoleto, CISAM, 1993. G. Garollo, Teoderico re dei
Goti e degl'Italiani, Firenze, Tip. Gazzetta d'Italia, 1879. W. Ensslin,
Theoderich der Grosse, München, B. F. Bruckmann, 1947. P. Lamma, Teoderico,
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Oxford University Press, 1992. P. Amory, People and identity in Ostrogothic
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Teodorico e i suoi goti in Italia (454-526), Jaca Book, Milano 1998. B. Saitta,
La «civilitas» di Teoderico: rigore amministrativo, «tolleranza» religiosa e
recupero dell'antico nell'Italia ostrogota, Roma, L'Erma di Bretschneider,
1999. Voci correlate Modifica
Goti Sovrani ostrogoti Regno ostrogoto Lingua gotica Teodorico il Grande
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Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file
su Ostrogoti Collegamenti esterni Modifica
( IT , DE , FR ) Ostrogoti, su hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico
della Svizzera. Modifica su Wikidata ( EN ) Ostrogoti, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN )
Ostrogoti, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su
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regno ostrogoto in Italia (493-553) Tervingi Grutungi Wikipedia Il
contenutoGiorgio Renato Franci. Keywords: i ostrogoti, Staal, Grice on Indian
Philosophy – ‘the Indian philosophical culture” “The Western European
philosophical culture” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Franci” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759288276/in/dateposted-public/
Grice e Francia – i centauri – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice:
“Francia is a good one; for one, he philosophised on ‘not’: “il rifiuto.””
Grice: “Italians use rifiute and confute – as we do!” – Grice: “Ryle used to
say, to provoke Popper, that ‘to refute’ is pretentious, when “to deny” does!” Figlio del generale e geografo Orazio e di Gina Mazzoni,
dopo gli studi liceali si laurea Firenze con Carrara, di cui diviene. Insegna a
Firenze. Al contempo, svolse attività di ricerca all'Istituto Nazionale di
Ottica di Arcetri, diretto da Vasco Ronchi. Lavora presso il centro di ricerca
ottica della Ducati di Bologna fino al 1951 quando divennne professore
straordinario di onde elettromagnetiche all'Firenze, quindi ordinario della
stessa disciplina nel 1954 all'Istituto Nazionale di Ottica (Arcetri), dopo due
anni di ricerca e di insegnamento all'Rochester. Passa all'Firenze, come
ordinario di ottica su una cattedra appositamente creata per lui.
Contemporaneamente, collaborò con l'Istituto di ricerca sulle microonde del CNR
di Firenze, fondato da Nello Carrara. Fonda e diresse sia l'Istituto di ricerca
sulle onde elettromagnetiche, oggi Istituto di Fisica Applicata del CNR, che
l'Istituto di Elettronica Quantistica (sempre del CNR). Ordinario di fisica superiore
presso l'Firenze rimanendovi fino al 1991, anno del pensionamento, quindi ebbe
la nomina a professore emerito. Altresì presidente della Società italiana
di fisica dal 1968 al 1973, della International Commission for Optics della
Società italiana di logica e filosofia della scienza, del Forum per i problemi
della pace e della guerra e della Scuola di musica di Fiesole, oltre l'ambito
scientifico Torando di Francia ebbe vasti interessi culturali, occupandosi
approfonditamente tra l'altro di filosofia della scienza. Socio nazionale
dell'Accademia Nazionale dei Lincei, era anche un appassionato dantista.
Era padre dell'architetto Cristiano Toraldo di Francia. Si occupa
variamente di fisica matematica, di ottica, di microonde, di laser, di
meccanica quantistica, di elettrodinamica, di fondamenti della fisica, di
epistemologia, di informatica. Tra i suoi contributi principali sono da
ricordare, nel campo dell'ottica, la formulazione del concetto di
super-risoluzione (Toraldo filters) e del principio dell'interferenza inversa (prodromico
alla nozione di olografia), nonché la dimostrazione sperimentale dell'esistenza
delle onde evanescenti (evanescent waves). I suoi contributi più recenti
hanno riguardato la didattica della fisica, la divulgazione della filosofia
della scienza e i rapporti tra scienza e società nonché tra cultura scientifica
e cultura umanistica. Tra l'altro, in collaborazione ha curato e tradotto in
italiano il noto trattato La fisica di Feynman, opera didattica di Richard
Feynman. Altre opere: Fisica per architetti, Edizioni Universitarie, Firenze);
“Onde elettromagnetiche, Zanichelli, Bologna); “Radiazione, Istituto di Fisica,
Università degli Studi di Firenze, Firenze, “Diffrazione” (Einaudi, Torino);
“Il fotone e l’elettrone”; Istituto di Fisica, Università degli Studi di
Firenze, Firenze, “L’accelerazione della particella” Istituto di Fisica,
Università degli Studi di Firenze, Firenze); “Elettrodinamica e radiazione” Istituto
di Fisica, Università degli Studi di Firenze, Firenze. “Il metodo geometrico ed
il metodo aritmetico della fisica” Istituto di Fisica, Università degli Studi
di Firenze, Firenze, “Radiazione”, Istituto di Fisica, Università degli Studi
di Firenze, Firenze, “Il fisico (Einaudi, Torino); “Il fisico” (Guaraldi,
Firenze-Rimini, Il rifiuto. Considerazioni semiserie di un fisico sul mondo di
oggi e di domani, Einaudi, Torino, Problemi dei fondamenti della fisica, Scuola
Internazionale di Fisica, Varenna sul Lago di Como, Società Italiana di Fisica,
Editrice Compositori, Bologna, Le teorie fisiche. Un'analisi formale (Bollati
Boringhieri, Torino); “L'amico di Platone. L'uomo nell'era scientifica”
(Vallecchi, Firenze); “Le cose e i loro nomi” (Laterza, Roma-Bari); Fisica per il licei” (La Nuova Italia,
Firenze); “La grande avventura della scienza, Istituto di Fisica, Università
degli Studi di Firenze, Firenze, “La scimmia allo specchio. Osservarsi per conoscere”
(Laterza, Roma-Bari); “Un universo troppo semplice. La visione storica e la
visione scientifica del mondo, Feltrinelli, Milano); “Tempo, cambiamento,
invarianza” (Einaudi, Torino, Dialoghi di fine secolo. Ragionamenti sulla
scienza e dintorni” (Giunti, Firenze); “Ex absurdo. Riflessioni di un fisico ottuagenario,
Feltrinelli, Milano); “In fin dei conti, Di Renzo Editore, Roma); “Il pianeta
assediato. Conversazione di fine millennio” Le lettere, Firenze, Nascita di un
uomo moderno, Edizioni CNSL, Recanati, Introduzione alla filosofia della scienza”
(Laterza, Roma-Bari, Metodi matematici della fisica, Edizioni IFAC, Firenze,.
Elettrodinamica e teoria della radiazione (Renzo Vallauri e Daniela Mugnai), Edizioni
IFAC, Firenze. Per le notizie biografiche qui riportate, ci si riferisce a R.
Pratesi, L. Ronchi Abbozzo, "Breve nota sul contributo scientifico di
Giuliano Toraldo di Francia", Quaderni della Società Italiana di Elettromagnetismo,
cfr. anche aif/fisico/biografia-giuliano-toraldo-di-francia/ Elenco dei Professori di Firenze Archiviato, Florence, Italian
Physical Society, Editrice Compositori, Bologna, R. Pratesi, L. Ronchi Abbozzo,
"Breve nota sul contributo “ ", Quaderni della Società Italiana di
Elettromagnetismo, E. Castellani,
"Nodi d'invarianti: l'eredità", scienziato umanista, Le Scienze, E. Agazzi, "Ricordo", Epistemologia,
Breve nota sul contributo, su elettromagnetismo. Piero Angela, Dialoghi di fine
secolo: ragionamenti sulla scienza e dintorni, Giunti Editore, In ricordo, Riccardo Pratesi, Società italiana
di fisica. Teatro dell'assurdo Lingua Segui Modifica Storia del teatro
occidentale Teatro greco Tragedia greca Commedia greca Dramma satiresco Autori
classici greci Teatro latino Atellana Cothurnata Fescennino Praetexta Palliata
Satira latina Togata Autori classici latini Teatro medievale Sacra
rappresentazione Mistero Moralità Masque Dumbshow Commedia elegiaca Teatro
moderno Commedia umanistica Teatro erudito Dramma pastorale Teatro
rinascimentale Teatro elisabettiano Commedia dell'arte Commedia ridicolosa
Comédie larmoyante Dramma romantico Dramma borghese Dramma politico Teatro
contemporaneo Regia teatrale Teorici del teatro Teatro epico Teatro
dell'assurdo Varietà Storia della danza Storia del mimo e della pantomima
Storia del circo Visita il Portale del Teatro Teatro dell'assurdo è la
denominazione di un particolare tipo di opere scritte da alcuni drammaturghi,
soprattutto europei, tra gli anni quaranta e gli anni sessanta, a volte
prolungato agli anni settanta per quel che riguarda poi il lavoro di alcuni
autori particolari. Con lo stesso termine si identifica anche tutto lo stile
teatrale nato dall'evoluzione dei loro lavori. EtimologiaModifica Il
termine venne coniato dal critico Martin Esslin, che ne fece il titolo di una
sua pubblicazione del 1961, The Theatre of the Absurd. Per Esslin il lavoro di
questi autori consiste in una articolazione artistica del concetto filosofico
di assurdità dell'esistenza, elaborato dagli autori dell'esistenzialismo (si
vedano ad esempio le tesi di Jean-Paul Sartre risalenti agli anni trenta e
quelle successive di Albert Camus, esposte anche nelle proprie produzioni
narrative e appunto teatrale, oltre a quella consueta saggistica).
CaratteristicheModifica Le caratteristiche peculiari del teatro dell'assurdo
sono il deliberato abbandono di un costrutto drammaturgico razionale e il
rifiuto del linguaggio logico-consequenziale. La struttura tradizionale (trama
di eventi, concatenazione, scioglimento) viene pertanto rigettata e sostituita
da una successione di eventi priva di logica apparente, legati fra loro da una
labile ed effimera traccia (uno stato d'animo o un'emozione), apparentemente
senza alcun significato. Il teatro dell'assurdo si caratterizza per dialoghi
volutamente senza senso, ripetitivi e serrati, capaci di suscitare a volte il
sorriso nonostante il senso tragico del dramma che stanno vivendo i
personaggi. Tra i maggiori esponenti del teatro dell'assurdo (che
potrebbe avere come "padre" letterario Alfred Jarry) vanno ricordati
Samuel Beckett, Jean Tardieu, Eugène Ionesco, Karl Valentin, Arthur Adamov e
Georges Schehadé. Una seconda generazione ha avuto come protagonisti Harold
Pinter, Robert Pinget, Boris Vian e Sławomir Mrożek. Anche Jean Genet, autore
di Le serve, era stato inizialmente inserito da Esslin nel gruppo originario.
Fra gli autori italiani, fu spesso accostato al teatro dell'assurdo Achille
Campanile, indicandolo come un precursore.[1] Note Modifica ^ [1]
BibliografiaModifica ( EN ) Martin Esslin, The Theatre of the Absurd, Garden
City, Doubleday & Company, 1961, OCLC 329986. Voci correlateModifica
Assurdo Esistenzialismo Generi teatrali Patafisica Collegamenti esterniModifica
( EN ) Teatro dell'assurdo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Voce «Teatro dell'assurdo» nel Dizionario
dello Spettacolo del '900, su Delteatro.it. URL consultato il 19 maggio 2007
(archiviato dall' url originale il 27 maggio 2007). Controllo di
autoritàThesaurus BNCF 51160 · LCCN( EN ) sh85134575 · GND ( DE ) 4141169-9
·BNE ( ES ) XX549476 (data) · BNF( FR ) cb120486794 (data) · J9U( EN , HE
) 987007534167305171 (topic) Portale Letteratura
Portale Teatro Ultima modifica 2 mesi fa di 62.98.219.141 PAGINE
CORRELATE Esistenzialismo corrente di pensiero Eugène Ionesco scrittore e
drammaturgo francese Albert Camus et la Parole manquante Langue Suivre
Modifier Albert Camus et la Parole manquante est un essai d'Alain Costes
consacré à Albert Camus et publié en 1973. Le cheminement intellectuel de
l'écrivain est étudié sous un angle psychanalytique, et décomposé en trois «
cycles » : le cycle de l'absurde, le cycle de la révolte et le cycle de la
culpabilité. Albert Camus et la Parole manquante Auteur Alain
Costes Pays Drapeau de la France France Genre Essai Éditeur Payot Collection
Science de l'Homme Date de parution septembre 1973 Nombre de pages 252 Série
Étude psychanalytique modifier Consultez la documentation du modèle Camus
parole.jpg Cadre conceptuel Modifier
Alain Costes se propose de saisir le cheminement intellectuel d'un des
écrivains français les plus lus, aussi bien dans son pays que dans le monde.
C'est à dessein qu'il a placé cette citation de Camus en tête de son ouvrage
: « Comme les grandes œuvres, les sentiments profonds signifient toujours
plus qu'ils n'ont conscience de le dire. » — Le Mythe de Sisyphe
Alain Costes fonde son étude sur une double approche, à la fois textuelle sur
l'analyse des textes de Camus -la plus exhaustive possible- et sur une approche
biographique de l'homme. Pour lui, les deux approches sont complémentaires pour
rendre compte le plus exactement possible de ce qui a fondé la démarche
camusienne. Son objectif est de rechercher ce qui fait le désir de création
d'un écrivain comme lui et de s'attacher à expliquer les modes de sublimation
littéraire : pourquoi est-il devenu écrivain, « où puise-t-il son énergie
créatrice ? » Il est certain que dans son cas le fait parental est un
élément évident. D'une part, il n'a pas suffisamment connu son père, mort
pendant la guerre en 1914, un an après la naissance d'Albert, pour en garder la
moindre image. D'autre part, sa mère, douce et peu loquace, s'est toujours
effacée derrière la figure autoritaire de la grand-mère. L'enfant est donc
rapidement confronté à une forte absence parentale. Pour combler ce manque, il
va rechercher en particulier des substituts de père, qu'il va trouver chez son
instituteur monsieur Germain[1] puis chez Jean Grenier, son professeur de
philosophie au lycée d'Alger (ce qu'Alain Costes appelle des « imagos »[2]). Il
leur impute son amour pour le football, dont son instituteur était
particulièrement féru[3], de la nage et de la mer, qui lui viendrait de son
oncle tonnelier qui vivait avec eux chez la grand-mère, et de l'écriture qu'il
tiendrait du professeur Jean Grenier. Son amour du théâtre en découle
largement : « Le théâtre transportait Camus dans le monde qui était exactement
le sien du fait de ses identifications paternelles littéraires. » Cycle
de l'absurde Modifier
Sisyphe « L'homme que je serais si je n'avais été l'enfant que je fus. »
— Carnets tome 2, page 137. Apparemment, La mort heureuse son premier
roman, s'inscrit dans un cadre œdipien banal : Mersault entretient une liaison
avec Marthe qui va de temps en temps voir Zagreus, son ancien amant. Mais
Mersault tue Zagreus dans une crise de jalousie. Tout se complique
cependant : Mersault a surtout tué Zagreus pour le voler, Zagreus
l'estropié, (comme l'oncle de Camus)[4] infirmité qu'il a rapportée de la
guerre, cette guerre où son père est mort. Voilà la raison essentielle du meurtre
de Zagreus par Mersault, cet homme silencieux qui rappelle à Camus cette mère
absente et murée dans son silence[5]. L'analyse d'Alain Costes est
confortée par un article[6]où les difficultés de Meursault[7] se traduisent
ainsi : échec du travail de deuil, perte de contact avec la réalité[8] et
rupture des relations objectale[9]. C'est en quelque sorte le fantasme de Camus
qui a pour titre L'Étranger. L’ambivalence de Camus, le côté positif
qu’il investit dans la Nature idéalisée et le côté négatif d’une perte de
contact avec la réalité, c’est d’abord son premier recueil de nouvelles où l’on
retrouve dans le titre cette dualité : « l’endroit » qu’il projette sur la
Nature, sur l’amour et « l’envers » qui représente le monde absurde et
angoissant. Face à cette angoisse, à ses tentations suicidaires – le suicide
est « le seul problème philosophique » - Camus veut exprimer son pari pour la
vie, par-delà l’absurde à travers l’analyse qu’il livre dans Le Mythe de
Sisyphe. « Quoi qu’il en soit, écrit Alain Costes, la pierre angulaire de
la pensée de Camus réside dans les silences de sa mère[10]. Comme les mythes,
les silences sont faits pour que l’imagination les anime. » Il rêve d’une
'philosophie du minéral', « à force d’indifférence et d’insensibilité, il arrive
qu’un visage rejoigne la grandeur minérale d’un paysage »[11]. C’est la
bonne mère Nature qui réapparaît mais sous une forme dénudée, hiératique, celle
où il est souvent question de pierre ou de désert[12]. Le Malentenduaussi est
une tragédie du mutisme, de la non communication, « comme toutes les œuvres du
cycle de l’absurde »[13]. En février 1943 , quand Camus termine Le
Malentendu, il note dans ses carnets : « C’est le goût de la pierre qui
m’attire peut-être tant vers la sculpture. Elle redonne à la forme humaine le
poids et l’indifférence sans lesquels je ne lui vois de vraie grandeur »[11].
Comme le sculpteur qui fait parler la pierre, « Camus peuple le silence
maternel de ses fantasmes ». C’est le mythe de Niobé, réduite au silence pour
avoir provoqué la mort de ses enfants. Ce silence qui fascine tant Camus et lui
renvoie l’image de sa mère, il va le vaincre par l’écriture, oralité du
langage, qui tient aussi à son père mort et à son oncle muet. Cycle de la
révolte Modifier La révolte selon Delacroix
La conception de La Peste est difficile, laborieuse, trois versions se
succèdent pour composer, recomposer, peaufiner son texte. Pour Alain Costes, ce
long et pénible travail exprime la « restructuration progressive du moi
physique camusien ». Camus précise ainsi son objectif : « Faire ainsi du thème
de la séparation le grand thème du roman; c’est le thème de la mère qui doit
tout dominer ». C’est un Camus recomposé en 4 personnages, expression de la
restructuration de son Moi[14] : le docteur Rieux est le résistant Camus,
Tarrou est le fils dont le père (comme celui de Camus) assista à une exécution
capitale, Rambert le journaliste que la peste sépare de sa femme et Grand le
long travail de création. En octobre 1948 est jouée la
première de L’État de siège. Dans cette pièce, les habitants de Cadix vivent
une vie insouciante quand survient le tyran Peste et sa secrétaire. Seul Diego
s’oppose au tyran et se sacrifiera pour qu’il parte. Mais ici c’est l’image
paternelle du tyran qui est maléfique, alors que l’imago maternel est valorisé
et Diego va engager une lutte victorieuse contre le Père. Cette évolution
indique selon Alain Costes, que Diego-Camus « aborde très clairement la
situation œdipienne ». Les Justes, cette pièce ou des révolutionnaires
russes doivent tuer le Grand-duc, représentant du tsar (donc le Père) repose
sur l’histoire du meurtre du père et l’histoire d’une passion avec
Dora-Kaliayev. Les amants se rejoignent enfin au-delà de la mort dans un acte
qui transcende leur amour contrairement à l’histoire de Victoria et de Diego
dans L'État de siège. C’est pourquoi Alain Costes peut soutenir que pour la
première fois, on y trouve une problématique authentiquement œdipienne.
Lors de la gestation de L'Homme révolté, Camus prend ses distances vis-à-vis de
ses premiers maîtres, André de Richaud, André Gide, André Malraux, les
philosophes allemands… et même Jean Grenier dont il dit : « rencontrer cet
homme a été un grand bonheur. Le suivre aurait été mauvais, ne jamais
l’abandonner sera bien »[15]. L’Homme révolté, c’est la recherche de la mesure,
ce qu’il appelle la « pensée de Midi ». Camus veut dépasser le thème de
l’absurde en repartant du mythe de Sisyphe, « je crie que je ne crois à rien et
que tout est absurde, mais je ne puis douter de mon cri et il me faut au moins
croire à ma protestation[16]. C’est ce dépassement qui devient révolte. Touche
après touche, Camus trace à partir des faits accumulés (le recours au
rationnel) ce qu’il appelle la mesure, qui doit permettre de concilier dimensions
personnelle et collective, justice et liberté. On assiste selon Alain Costes au
« passage d’une pensée antithétique à une pensée dialectique, La Pensée du
Midi, synthèse de liberté et de justice, de culpabilité et d’innocence,
d’individuel et de collectif, de personnel et de lucide. Cycle de la
culpabilité Modifier
Schéma de la culpabilité Dans L'Exil et le Royaume, aussi bien Janine La Femme
infidèle dépressive qui, dans le Sahel loin de chez elle, perd ses repères et
sa confiance en elle-même que dans Le Renégat, cet « esprit confus » qui
cherche une rédemption masochiste jusque dans le désert saharien, ces deux
héros dépressifs se vivent en tant qu’objet, « en état de totale dépendance »,
en quête d’un objet perdu (le mari pour elle et le père pour lui)[17]. On
retrouve cette tendance dans la nouvelle Retour à Tipasa[18] où Camus est
effectivement retourné, mais en hiver cette fois, contraste marquant avec le
Tipasa de Noces écrasé de soleil. Il y trouve un temps de mélancolie et la
frustration du retour à Paris car « il y a la beauté et il y a les humiliés ».
Il emportera « une petite pièce de monnaie », beau visage femme côté pile et
face rongée de l’autre côté. La dépression latente, l’extrême difficulté
à écrire s’inscrit dans les deux Jonas. La nouvelle conte l’histoire –très
autobiographique- d’un peintre qui laisse envahir sa vie et ne parvient plus à
exercer son art. Il en arrive à vivre dans la gêne, à se réfugier dans une
espèce de cagibi dans lequel Alain Costes voit comme un rappel de l’utérus,
régression ultime de la dissolution du Moi. Dans la seconde version plus
optimiste, un mimodrame, Jonas se reconstruit en peignant une immense toile
mais sa prise de conscience sera fatale à son 'objet', à sa femme qui dépérit
et finit par mourir. Dans la seconde version, Camus est dans son élément, la
réalité théâtrale où il va désormais se réfugier pour quelques années,
échappant dans l’adaptation théâtrale au contenu, au fond qu’il emprunte aux
auteurs qu’il adapte. La seule nouvelle de L'Exil et le Royaume qui soit
plus « optimisme » (porte ouverte au Royaume) s’intitule La Pierre qui pousse.
Cette pierre rappelle bien sûr le rocher de Sisyphe mais ici le héros d’Arrast
va se débarrasser de sa pierre en la déposant chez son ami le coq. Selon Alain
Costes, ce n’est qu’en retrouvant la parole par sa discussion avec le coq que
d’Arrast va pouvoir « évacuer son objet persécuteur (jeter sa pierre) et clore
son travail de deuil ». Dans La Chute, son héros Clamence va s’infliger
un châtiment radical pour apaiser sa culpabilité, devenir sourd à ce cri, ce
corps qui tombe à l’eau et le poursuit depuis si longtemps. Il s’installe dans
cette ville de canaux et de brume, lui qui n’aime que le soleil de la
Méditerranée, dans le « malconfort », « cette cellule de basse-fosse », comme
Jonas va s’isoler dans sa soupente. De là, il va pouvoir prendre à témoin le
monde entier, s’auto accuser, « projeter son surmoi sur le monde extérieur »,
se réfugier dans ce personnage double de juge-pénitent. Ces années
cinquante sont les années où Camus se lance dans l’adaptation et la direction
théâtrale. Il y a, comme le note Roger Quilliot, des raisons objectives, le
décès de Marcel Herrand[19], « la crise physique et morale confinant à la
dépression » qui mobilise une partie importante de ses forces. Mais Alain
Costes y voit surtout l’omnipotence des images du père[20], « retour au
théâtre, retour aux grandes admirations adolescentes, retour au Père ».
En 1959, Camus tourne une nouvelle page. C’est en janvier, la première des
possédés qui lui a coûté tant de temps et d’efforts, en novembre il commence à
écrire Le premier homme, double quête de la mère et du père où « Camus avait
retrouvé sa créativité » à travers la sublimation par l’écriture.
Références psychanalytiques Modifier
Camus aborde plusieurs concepts psychanalytiques dans son œuvre[21] :
Surmoi : phase postérieure à la liquidation de l'Œdipe, trouvant sa source dans
l'intériorisation des interdits parentaux et constitue le représentant
psychique de la réalité extérieure ; Désintrication : arrêt d'une situation
entremêlée ; Parents combinés : fantasme très archaïque, précédant la
scène primitive, défini par Mélanie Klein où les parents apparaissent confondus
dans une relation sexuelle ininterrompue ; Processus primaire : Ensemble des
mécanismes de l'appareil psychique de l'inconscient, produisant rêve et
symptôme, lapsus et œuvre d'art. Les processus principaux sont le déplacement,
la condensation et le retournement dans le contraire ; Processus secondaire : Mécanisme
qui joue sur le pré conscient et l'inconscient avec révision du désir après
examen de la réalité extérieure. Notes et références Modifier ↑ Monsieur Germain à qui il dédiera
ses Discours de Suède, donc d'une certaine façon son prix Nobel de littérature.
↑ Image fantasmatique des représentations des deux sexes avec qui le sujet a
vécu une relation affective durable. On peut ainsi discerner d'une façon très
générale : « l'imago de la bonne mère ou l'imago de la mauvaise mère » (même
chose pour le père). ↑ Camus sera d'abord un gardien de buts accompli au Racing
club d'Alger puis un supporter assidu à Paris. ↑ Pour un portrait de cet oncle
qui vivait avec eux à Alger, voir la nouvelle Les Muets dans le recueil L'Exil
et le Royaume. ↑ Voir ses nouvelles autobiographiques dans L'Envers et
l'Endroit. ↑ Pichon-Rivière et Baranger, Répression du deuil et intensification
des mécanismes et des angoisses schizo-paranoïques, Revue française de
psychanalise, 1959. ↑ Ne pas confondre Mersault héros de La Mort heureuse et
Meursault héros de L'Étranger. ↑ Perte du réel « qui finit par une stupeur
catatonique ». ↑ Dont le fantasme se focalise sur un objet. ↑ La pièce de Ben
Jonson qu’il donne en mars 1937 avec sa troupe du Théâtre du travails’intitule
La Femme silencieuse. ↑ a et b Carnets tome 2, édition de la Pléiade, page 80.
↑ Voir les nouvelles La Halte d’Oran ou le Minotaure et Le Désert. ↑ « La
tragédie n’est-elle pas toujours “malentendu” au sens propre du terme, stupeur
et pour tout dire, surdité » commente Roger Quillot dans son essai sur Camus La
Mer et les Prisons. ↑ Morvan Lebesque écrivait déjà dans son essai sur Camus :
« En Rieux, en Tarrou, voire en Joseph Grand ou en Rambert, c’est Camus
lui-même qui se rassemble ». ↑ Carnets tome 2, page 277. ↑ Carnets tome 2, page
420. ↑ Alain Costes résume ainsi ces nouvelles : « Janine en quête d’un homme,
le Renégat courant de père en père, les muets réduits (eux aussi) au silence
par leur patron, Daru dans L’Hôte rendu étranger à son pays du fait de la loi,
d’Arrast, Jonas et Clamence ulcérés par les exigences de leur surmoi, tous sont
torturés par une problématique dont la plaque tournante est l’imago paternelle
↑ Nouvelle intégrée au recueil L'Été. ↑ Cette disparition prématurée oblige
Camus à prendre la direction du festival d’Angers. ↑ Camus recherchera la tombe
de son père avant d’aller s’y recueillir en 1957 à Saint-Brieuc. ↑ Janine
Chasseguet-Smirgel, Dépersonnalisation, phase paranoïque et scène primitive,
Revue française de psychanalyse, 1958. Voir aussi Modifier Sur les autres projets
Wikimedia : Albert Camus et la Parole manquante, sur Wikimedia Commons
Albert Camus et la Parole manquante, sur Wikiquote Bibliographie Modifier
Pichon-Rivière et Baranger, Notes sur l'Étranger de Camus, Revue française de
psychanalyse, 1959 A. Durand, Le Cas Albert Camus, Fischbacher, 1961 R. De
Luppé, Albert Camus, Éditions Universitaires, 1962 Pierre-Henri Simon, Présence
de Camus, Éditions Nizet, 1962 Jean Grenier, Les Îles, Gallimard, 1964 Jean
Onimus, Camus, Desclée de Brouwer / Fayard, 1965 P. Ginestier, Pour connaître
la pensée d'Albert Camus, Gallimard, 1969 Danièle Boone, Camus, coll. La Plume
du temps, éd. Henri Veyrier, 1987 Liens internes Modifier Société des études camusiennes
Culpabilité (psychanalyse) icône décorative Portail de la littérature française
Dernière modification il y a 3 mois par Vlaam PAGES ASSOCIÉES Le Mythe de
Sisyphe ouvrage d'Albert Camus Cycle de l'absurde La Mort heureuse livre
de Albert Camus Wikipédia Giuliano Toraldo di Francia. Francia. Keywords:
i centauri, ex absurdo; scientific realism, philosophy of physics, foundations
of physics; geometry and arithmetics as the methods in physics; observation and
perception, ‘what the eye no longer sees’ – ‘we see with our eyes”; Eddington’s
two tables – teoria relativistica, theory of relativity – theory of the
absolute, particella, relativita, assoluto/relativo – relative-assoluto –
Galilei – H. P. Grice’s discussion of the ‘relative-absolute’ distinction
vis-à-vis R. M. Hare (‘there are no absolute values’) as cited by colonial
philosopher J. L. Mackie in ‘Inventing right and wrong’ ‘absolute value’
‘relative value’ , Lemarchand, theatre, not Esslin. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Francia” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759455588/in/dateposted-public/
Grice e
Franzini – espressione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Grice: “I like Franzini; for one, he philosophised on aesthetics and
passions (‘passioni’). Sir Geoffrey [Warnock] and I philosophised on the
former, if not the latter!” Si laurea con Giovanni Piana e Dino Formaggio.
Insegna a Milano e l'Udine. Studia Husserl e la fenomenologia, nonché della
filosofia francese, ha indagato sul fronte storico e teoretico alcuni temi
cruciali dell'estetica, quali la “creazione”; “simbolo” (‘to throw two things
together, so that the recipient compares them!); “immagine”; “experienza estetica inter-soggetiva”. Sulla
scorta di una ricognizione della genesi settecentesca dell' “estetica”, vista
quest'ultima come punto di incontro tra doxa ed episteme, fra sentimento e
ragione, fra il noetico e l’estetico, -- “La noetica di Grice” -- indaga lo
statuto dell’estetica e della noetica, approfondendo il valore
volitivo/giudicativo (noetico, contenuto, p) della dimensione pre-categoriale
dell'esperienza (l’estetico). Questo percorso trovato una sintesi che mira alla
definizione di una "fenomenologia del noetico”, no dell’estetico; ossia di
una ‘noesi’ che sappia de-cifrare la ricchezza simbolica dell’estetico – rappresentazione,
immagine. Altre opere: “Dall’estetico al noetico” (Milano, Unicopli); “Sul
bello naturale” (Milano, Guanda); “Il bello naturale creato di Dio (phusei); il
bello ART-ificiale creato dall’ART-ista Vinci (thesei – ex positione)” (Milano,
Unicopli); La figura del diavolo, il discorso del diavolo” (Milano, Mimesis);
“In principio erat verbum” Favola: dal mito al logos (Milano, Guerini);
“In-scriptum, De-scriptum, ex-criptum – (Milano, Cuem); “Le leggi del cielo,
l’estetico e il patico (Milano, Guerini); “Metafora, mimesi, morfo-genesi,
progetto. Architettitura filosofica (Milano, Guerini). La Fenomenologia”
(Milano); “Differenze nello spirito romano” (Milano, Edizioni dell'Arco);
“Mondo possibile: l’interpretazione dell’espressione comunicativa (Milano,
Guerini); “Il senso, il sensibile, il sentimentale, l’ingenuo” (Milano,
Mondadori); “Il senso, sentire, sentimento” (Milano, Bruno Mondadori);
“Percezione e immagine” (Milano, Il Castoro), “Piacere, dispiacere, Gusto e
disgusto” (Milano, Nike); “Fenomenologia pura, fenomenologia impura,
fenomenologia mista – il misto, il puro, l’impuro (Einaudi, Torino); “Cezanne a
Liguria”; “Fenomenologia del noetico: Al di là dell'immagine” (Milano,
Cortina); “Il teatro, la festa e la rivoluzione. Su Rousseau e gli
enciclopedisti, Palermo, Aesthetica; "Estetica del bello, noetica del brutto,
Palermo, Aesthetica, Immagine e verita: e vero che il sole si ferma) (Milano,
Il Castoro); “L’estetico dell’espressione comunicativa” (Firenze, Le Monnier);
“L’unicita della ragione; La cosedetta “altra ragione” – il buletico e il
creditum: sensibilità, immaginazione, forma naturale, forma artificiale, forma
create dall’art-ista, Milano, Il Castoro); Il simbolico e il noetico (to throw
to things to be compared, say an Italian flag, and the love of country); Simbolo: figura, materia, e
forma – simbolo materiale – forma noetica – hyle-morphismo” (Milano, Il
Saggiatore); “La lume dell’altre ragione” (Milano, Bruno Mondadori); La
rappresentazione dello spazio – spatium (Milano, Mimesis); ntroduzione
all'estetica, Bologna, Il Mulino); “Arte, bello e interpretazione della natura”
(Milano, Mimesis); Non sparate sull'umanista. La sfida della valutazione (Milano,
Guerini e Associati); “Filosofia della crisi” (Milano, Guerini e
Associati, pre-moderno, Moderno e
postmoderno. Un bilancio, Milano, Raffaello Cortina Editore, ti dà il
benvenuto, su eliofranzini. L'estetica aujourd'hui. Conversazione» Il rasoio di
Occam MicroMega Estetica, filosofia,
vita quotidiana. Conversazione in MicroMega, su unimi Entra in carica oggi, il
rettore su unimi, contiene l'articolo Il
nuovo rettore della Università Statale di Milano prevede di mantenere a Città
Studi un polo di dipartimenti scientifici
Edmund Husserl Fenomenologia Scuola di Milano SOCRATE: Caro Fedro, dove vai e da dove
vieni? Platone FEDRO FEDRO: Dalla casa di Lisia, Socrate, il figlio di Cefalo,
(1) e vado a fare una passeggiata fuori dalle mura. Ho passato parecchio tempo
là seduto, fin dal mattino; e ora, seguendo il consiglio di Acumeno,(2)
compagno mio e tuo, faccio delle passeggiate per le strade, poiché, a quanto
dice, tolgono la stanchezza più di quelle sotto i portici. SOCRATE: E dice
bene, amico mio. Dunque Lisia era in città, a quanto pare. FEDRO: Sì , alloggia
da Epicrate, nella casa di Monco, quella vicino al tempio di Zeus Olimpio.(3)
SOCRATE: E come avete trascorso il tempo? Lisia non vi ha forse imbandito, è
chiaro, i suoi discorsi? FEDRO: Lo saprai, se hai tempo di ascoltarmi mentre
cammino. SOCRATE: Ma come? Credi che io, per dirla con Pindaro, non faccia del
sentire come avete trascorso il tempo tu e Lisia una faccenda «superiore a ogni
negozio»? (4) FEDRO: Muoviti, allora! SOCRATE: Se vuoi parlare. FEDRO: Senza
dubbio, Socrate, l'ascolto ti si addice, poiché il discorso su cui ci siamo
intrattenuti era, non so in che modo, sull'amore. Lisia ha scritto di un bel
giovane che viene tentato, ma non da un amante, e ha comunque trattato anche
questo argomento in modo davvero elegante: sostiene infatti che bisogna compiacere
chi non ama piuttosto che chi ama. SOCRATE: E bravo! Avesse scritto che bisogna
compiacere un povero piuttosto che un ricco, un vecchio piuttosto che un
giovane, e tutte quelle cose che vanno bene a me e alla maggior parte di voi!
Allora sì che i suoi discorsi sarebbero urbani e utili al popolo! Io ora ho
tanto desiderio di ascoltare, che se facessi a piedi la tua passeggiata fino a
Megara e, seguendo Erodico,(5) arrivato alle mura tornassi di nuovo, non
rimarrei dietro a te. FEDRO: Cosa dici, ottimo Socrate? Credi che io, da
profano quale sono, ricorderò in modo degno di lui quello che Lisia, il più
bravo a scrivere dei nostri contemporanei, ha composto in molto tempo e a suo
agio? Ne sono ben lungi! Eppure vorrei avere questo più che molto oro. SOCRATE:
Fedro, se io non conosco Fedro, mi sono scordato anche di me stesso! Ma non è
vera né l'una né l'altra cosa: so bene che lui, ascoltando un discorso di
Lisia, non l'ha ascoltato una volta sola, ma ritornandovi più volte sopra lo ha
pregato di ripeterlo, e quello si è lasciato convincere volentieri. Poi però
neppure questo gli è bastato, ma alla fine, ricevuto il libro, ha esaminato i
passi che più di tutti bramava; e poiché ha fatto questo standosene seduto fin
dal mattino, si è stancato ed è andato a fare una passeggiata, conoscendo,
corpo d'un cane!, il discorso ormai a memoria, credo, a meno che non fosse
troppo lungo. E così si è avviato fuori dalle mura per recitarlo. Imbattutosi
poi in uno che ha la malattia di ascoltare discorsi, lo ha visto, e nel vederlo
si è rallegrato di avere chi potesse coribanteggiare con lui (6) e lo ha
invitato ad accompagnarlo. Ma quando l'amante dei discorsi lo ha pregato di
declamarlo, si è schermito come se non desiderasse parlare: ma alla fine
avrebbe parlato anche a viva forza, se non lo si fosse ascoltato volentieri. Tu
dunque, Fedro, pregalo di fare adesso quello che comunque farà molto presto.
FEDRO: Per me, veramente, la cosa di gran lunga migliore è parlare così come
sono capace, poiché mi sembra che non mi lascerai assolutamente andare prima
che abbia parlato, in qualunque modo. SOCRATE: Ti sembra davvero bene. FEDRO:
Allora farò così . In realtà, Socrate, non l'ho proprio imparato tutto parola
per parola: ti esporrò tuttavia il concetto più o meno di tutti gli argomenti
con i quali lui ha sostenuto che la condizione di chi ama differisce da quella
di chi non ama, uno per uno e per sommi capi, cominciando dal primo. SOCRATE:
Prima però, carissì mo, mostrami che cos'hai nella sinistra sotto il mantello;
ho l'impressione che tu abbia proprio il discorso. Se è così , tieni presente
che io ti voglio molto bene, ma se c'è anche Lisia non ho assolutamente
intenzione di offrirmi alle tue esercitazioni retoriche. Via, mostramelo!
FEDRO: Smettila! Mi hai tolto, Socrate, la speranza che riponevo in te di
esercitarmi. Ma dove vuoi che ci sediamo a leggere? SOCRATE: Giriamo di qui e
andiamo lungo l'Ilisso,(7) poi ci sederemo dove ci sembrerà un posto
tranquillo. FEDRO: A quanto pare, mi trovo a essere scalzo al momento giusto; tu
infatti lo sei sempre. Perciò sarà per noi facilissimo camminare bagnandoci i
piedi nell'acqua, e non spiacevole, tanto più in questa stagione e a
quest'ora.(8) SOCRATE: Fa' da guida dunque, e intanto guarda dove ci potremo
sedere. FEDRO: Vedi quell'altissimo platano? SOCRATE: E allora? FEDRO: Là c'è
ombra, una brezza moderata ed erba su cui sederci o anche sdraiarci, se
vogliamo. SOCRATE: Puoi pure guidarmici. FEDRO: Dimmi, Socrate: non è proprio
da qui, da qualche parte dell'Ilisso, che a quanto si dice Borea ha rapito
Orizia?(9) SOCRATE: Così si dice. FEDRO: Proprio da qui dunque? Le acque
appaiono davvero dolci, pure e limpide, adatte alle fanciulle per giocarvi
vicino. SOCRATE: No, circa due o tre stadi più in giù, dove si attraversa il
fiume per andare al tempio di Agra: (10) appunto là c'è un altare di Borea.
2 Platone Fedro FEDRO: Non ci ho mai fatto caso. Ma dimmi, per
Zeus: tu, Socrate, sei convinto che questo racconto sia vero? SOCRATE: Ma se
non ci credessi, come fanno i sapienti, non sarei una persona strana; e allora,
facendo il sapiente, potrei dire che un soffio di Borea la spinse giù dalle
rupi vicine mentre giocava con Farmacea, ed essendo morta così si è sparsa la
voce che è stata rapita da Borea (oppure dall'Areopago,(11) poiché c'è anche
questa leggenda, che fu rapita da là e non da qui). Io però, Fedro, considero
queste spiegazioni sì ingegnose, ma proprie di un uomo fin troppo valente e
impegnato, e non del tutto fortunato, se non altro perché dopo questo gli è
giocoforza raddrizzare la forma degli Ippocentauri, e poi della Chimera; quindi
gli si riversa addosso una folla di tali Gorgoni e Pegasi (12) e un gran numero
di altri esseri straordinari dalla natura strana e portentosa. E se uno, non
credendoci, vorrà ridurre ciascuno di questi esseri al verosimile, dato che fa
uso di una sapienza rozza, avrà bisogno di molto tempo libero. Ma io non ho
proprio tempo per queste cose; e il motivo, caro amico, è il seguente. Non sono
ancora in grado, secondo l'iscrizione delfica, di conoscere me stesso;(13)
quindi mi sembra ridicolo esaminare le cose che mi sono estranee quando ignoro
ancora questo. Perciò mando tanti saluti a queste storie, standomene di quanto
comunemente si crede riguardo a esse, come ho detto poco fa, ed esamino non
queste cose ma me stesso, per vedere se per caso non sia una bestia più
intricata e che getta fiamme più di Tifone, oppure un essere più mite e più
semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di vanità
fumosa.(14) Ma cambiando discorso, amico, non era forse questo l'albero a cui
volevi guidarci? FEDRO: Proprio questo. SOCRATE: Per Era, è un bel luogo per
sostare! Questo platano è molto frondoso e imponente, l'alto agnocasto è
bellissimo con la sua ombra, ed essendo nel pieno della fioritura rende il luogo
assai profumato. Sotto il platano poi scorre la graziosissima fonte di acqua
molto fresca, come si può sentire col piede. Dalle immagini di fanciulle e
dalle statue sembra essere un luogo sacro ad alcune Ninfe e ad Acheloo.(15) E
se vuoi ancora, com'è amabile e molto dolce il venticello del luogo! Una
melodiosa eco estiva risponde al coro delle cicale. Ma la cosa più leggiadra di
tutte è l'erba, poiché, disposta in dolce declivio, sembra fatta apposta per
distendersi e appoggiarvi perfettamente la testa. Insomma, hai fatto da guida a
un forestiero in modo eccellente, caro Fedro! FEDRO: Mirabile amico, sembri una
persona davvero strana: assomigli proprio, come dici, a un forestiero condotto
da una guida e non a un abitante del luogo. Non lasci la città per recarti
oltre confine, e mi sembra che tu non esca affatto dalle mura. SOCRATE:
Perdonami, carissimo. Io sono uno che ama imparare; la terra e gli alberi non
vogliono insegnarmi nulla, gli uomini in città invece sì . Mi sembra però che
tu abbia trovato la medicina per farmi uscire. Come infatti quelli che
conducono gli animali affamati agitano davanti a loro un ramoscello verde o
qualche frutto, così tu, tendendomi davanti al viso discorsi scritti sui libri,
sembra che mi porterai in giro per tutta l'Attica e in qualsiasi altro luogo
vorrai. Ma per ì l momento, ora che sono giunto qui io intendo sdraiarmi, tu
scegli la posizione in cui pensi di poter leggere più comodamente e leggi.
FEDRO: Ascolta, dunque. «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che
ritengo sia per noi utile che queste cose accadano; ma non stimo giusto non
poter ottenere ciò che chiedo perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli
innamorati si pentono dei benefici che hanno fatto, allorquando cessa la loro
passione, mentre per gli altri non viene mai un tempo in cui conviene cambiare
parere. Infatti fanno benefici secondo le loro possibilità non per costrizione,
ma spontaneamente, per provvedere nel migliore dei modi alle proprie cose.
Inoltre coloro che amano considerano sia ciò che è andato loro male a causa
dell'amore, sia i benefici che hanno fatto, e aggiungendo a questo l'affanno
che provavano pensano di aver reso già da tempo la degna ricompensa ai loro
amati. Invece coloro che non amano non possono addurre come scusa la scarsa
cura delle proprie cose per questo motivo, né mettere in conto gli affanni
trascorsi, né incolpare gli amati delle discordie con i familiari; sicché,
tolti di mezzo tanti mali, non resta loro altro se non fare con premura ciò che
pensano sarà loro gradito quando l'avranno fatto. Inoltre, se vale la pena di
tenere in grande considerazione gli amanti perché dicono di essere amici al
sommo grado di coloro che amano e sono pronti sia a parole sia coi fatti a
rendersi odiosi agli altri pur di compiacere gli amati, è facile comprendere
che, se dicono il vero, terranno in maggior conto quelli di cui si
innamoreranno in seguito, ed è chiaro che, se parrà loro il caso, ai primi
faranno persino del male. D'altronde come può essere conveniente concedere una
cosa del genere a chi ha una disgrazia tale che nessuno, per quanto esperto,
potrebbe tentare di allontanare? Essi stessi, infatti, ammettono di essere
malati più che assennati, e di sapere che sragionano, ma non sanno dominarsi;
di conseguenza, una volta tornati in senno, come potranno credere che vada bene
ciò di cui decidono in questa disposizione d'animo? E ancora, se scegliessi il
migliore degli amanti, la tua scelta sarebbe tra pochi, se invece scegliessi
quello più adatto a te tra gli altri, sarebbe tra molti; perciò c'è molta più
speranza che quello degno della tua amicizia si trovi tra i molti. Se poi,
secondo l'usanza corrente, temi di guadagnarti del biasimo nel caso la gente lo
venga a sapere, è naturale che gli amanti, credendo di essere invidiati dagli
altri così come si invidiano tra loro, si inorgogliscano parlandone e per
ambizione mostrino a tutti che non hanno faticato invano; mentre coloro che non
amano, essendo più padroni di sé, scelgono ciò che è meglio in luogo della fama
presso gli uomini. Inoltre è inevitabile che molti vengano a sapere o vedano
gli amanti accompagnare i loro amati e darsi un gran da fare, cosicché, quando
li vedono discorrere tra loro credono che essi stiano insieme o perché il loro
desiderio si è realizzato o perché sta per realizzarsi; ma non provano affatto
ad accusare coloro che non amano perché stanno assieme, sapendo che è
necessario parlare con qualcuno per amicizia o per qualche altro piacere. E se
poi hai paura perché credi sia difficile che un'amicizia perduri, e temi che se
sorgesse un dissidio per un altro motivo la sventura sarebbe comune ad
entrambi, mentre in questo caso verrebbe un gran danno a te, perché hai gettato
via ciò che più di tutto tieni in conto, a maggior ragione dovresti temere
coloro che 3 Platone Fedro amano: molte sono le cose che li
affliggono, e credono che tutto accada a loro danno. Per questo allontanano gli
amati anche dalla compagnia con gli altri, per timore che quelli provvisti di
sostanze li superino in ricchezza, e quelli forniti dì cultura li vincano in
intelligenza; in somma, stanno in guardia contro il potere di tutti quelli che
possiedono un qualsiasi altro bene. Così , dopo averti indotto a inimicarti
queste persone, ti riducono privo di amici, e se badando al tuo interesse sarai
più assennato di loro, verrai in discordia con essi. Chi invece non si è
trovato a essere nella condizione di amante, ma ha ottenuto grazie alle sue
doti ciò che chiedeva, non sarebbe geloso di chi si accompagna a te, anzi
odierebbe coloro che rifiutano la tua compagnia, pensando che da costoro sei
disprezzato, ma trai beneficio da chi sta assieme a te. Perciò c'è molta più
speranza che dalla cosa nasca tra loro amicizia piuttosto che inimicizia. Per
di più molti degli amanti hanno desiderio del corpo prima di aver conosciuto il
carattere e aver avuto esperienza delle altre qualità individue dell'amato,
così che non è loro chiaro se vorranno ancora essere amici quando la loro
passione sarà finita; per quanto riguarda invece coloro che non amano, dal momento
che erano tra loro amici anche prima di fare questo, non è verosimile che la
loro amicizia risulti sminuita dal bene che hanno ricevuto, anzi esso rimane
come ricordo di ciò che sarà in futuro. Inoltre ti si addice diventare migliore
dando retta a me piuttosto che a un amante. Essi lodano le parole e le azioni
dell'amato anche al di là di quanto è bene, da un lato per timore di diventare
odiosi, dall'altro perché essi stessi danno giudizi meno retti per via del loro
desiderio. Infatti l'amore produce tali effetti: a coloro che non hanno fortuna
fa ritenere molesto ciò che agli altri non arreca dolore, mentre spinge coloro
che hanno fortuna a elogiare anche ciò che non è degno di piacere, tanto che
agli amati si addice più la compassione che l'invidia. Se dai retta a me,
innanzitutto starò assieme a te prendendomi cura non solo del piacere presente,
ma anche dell'utilità futura, non vinto dall'amore ma padrone di me stesso,
senza suscitare una violenta inimicizia per futili motivi, ma irritandomi poco
e non all'improvviso per motivi gravi, perdonando le colpe involontarie e
cercando di distogliere da quelle volontarie: queste sono prove di un'amicizia
che durerà a lungo. Se invece ti sei messo in mente che non possa esistere
amicizia salda se non si ama, conviene pensare che non potremmo tenere in gran
conto né i figli né i genitori, e non potremmo neanche acquistarci amici
fidati, poiché i vincoli con essi ci sono venuti non da una tale passione, ma
da altri rapporti. Inoltre, se si deve compiacere più di tutti chi ne ha
bisogno, anche nelle altre cì rcostanze conviene fare benefici non ai migliori,
ma ai più indigenti, poiché, liberati da grandissimi mali, serberanno la
massima gratitudine ai loro benefattori. E allora anche nelle feste private è
il caso di invitare non gli amici ma chi chiede l'elemosina e ha bisogno di
essere sfamato, poiché costoro ameranno i loro benefattori, li seguiranno,
verranno alla loro porta, proveranno grandissima gioia, serberanno non poca
gratitudine e augureranno loro ogni bene. Ma forse conviene compiacere non chi
è molto bisognoso, ma chi soprattutto è in grado di rendere il favore; non solo
chi chiede, ma chi è degno della cosa; non quanti godranno del fiore della tua
giovinezza, ma coloro che anche quando sarai diventato vecchio ti faranno
partecipe dei loro beni; non coloro che, ottenuto ciò che desideravano, se ne
vanteranno con gli altri, ma coloro che per pudore ne taceranno con tutti; non
coloro che hanno cura di te per poco tempo, ma coloro che ti saranno amici allo
stesso modo per tutta la vita; non coloro che, cessato il desiderio,
cercheranno il pretesto per un'inimicizia, ma coloro che daranno prova della
loro virtù quando la tua bellezza sarà sfiorita. Dunque tu ricordati di quanto
ti ho detto e considera questo, che gli amici riprendono gli amanti perché sono
convinti che questa pratica sia cattiva, mentre nessuno dei familiari ha mai
rimproverato a coloro che non amano di provvedere male ai propri affari per
questo motivo. Forse ora mi domanderai se ti esorto a compiacere tutti quelli
che non amano. Ebbene, io credo che neanche chi ama ti inviti ad avere questo
atteggiamento con tutti quelli che amano. Infatti né per chi riceve benefici la
cosa è degna di un'uguale ricompensa, né, se anche lo volessi, ti sarebbe possibile
tenerlo nascosto allo stesso modo agli altri; bisogna invece che da ciò non
venga alcun danno, ma un vantaggio a entrambi. Io penso che quanto è stato
detto sia sufficiente: se tu desideri ancora qualcosa e pensi che sia stata
tralasciata, interroga». FEDRO: Che te ne pare del discorso, Socrate? Non è
stato pronunciato in maniera straordinaria, in particolare per la scelta dei
vocaboli? SOCRATE: In maniera davvero divina, amico, al punto che ne sono
rimasto colpito! E questa impressione l'ho avuta per causa tua, Fedro,
guardando te, perché mi sembrava che esultassi per il discorso intanto che lo
leggevi. E dato che credo che in queste cose tu ne sappia più di me ti seguivo,
e nel seguirti ho partecipato al tuo furore bacchico, o testa divina! (16) FEDRO:
Ma dai! Ti pare il caso di scherzare così ? SOCRATE: Ti sembra che io scherzi e
che non abbia fatto sul serio? FEDRO: Nient'affatto, Socrate, ma dimmi
veramente, per Zeus protettore degli amici: credi che ci sia un altro tra i
Greci in grado di parlare sullo stesso argomento in modo più grande e copioso
di lui? SOCRATE: Ma come? Bisogna che il discorso sia lodato da me e da te
anche sotto questo aspetto, ossia perché il suo autore ha detto ciò che
bisognava dire, e non solo perché ha tornito ciascun termine in modo chiaro,
forbito e puntuale? Se proprio bisogna, devo convenirne per amor tuo, dal
momento che mi è sfuggito a causa della mia nullità. Infatti ho posto mente
soltanto all'aspetto retorico del discorso; quanto all'altro, credevo che
neppure Lisia lo ritenesse sufficiente. A meno che tu, Fedro, non abbia
un'opinione diversa, mi è parso che abbia ripetuto due o tre volte gli stessi
concetti, come se non avesse a disposizione grandi risorse per dire molte cose
sullo stesso argomento, o forse come se non gliene importasse nulla; e mi
sembrava pieno di baldanza giovanile quando mostrava com'era bravo, dicendo le
stesse cose prima in un modo e poi in un altro, a parlarne in tutti e due i
casi nella maniera migliore. 4 Platone Fedro FEDRO: Ti sbagli,
Socrate: precisamente in questo consiste il discorso. Infatti non ha
tralasciato nulla di ciò che meritava d'esser detto in argomento, tanto che
nessuno mai saprebbe dire cose diverse e di maggior pregio rispetto a quelle
dette. SOCRATE: In questo non potrò più darti retta: uomini e donne antichi e
sapienti, che hanno parlato e scritto di queste cose, mi confuteranno, se per
farti piacere convengo con te. FEDRO: Chi sono costoro? E dove hai ascoltato
cose migliori di queste? SOCRATE: Ora, lì per lì , non so dirlo; ma è chiaro
che le ho udite da qualcuno, dalla bella Saffo o dal saggio Anacreonte o da
qualche scrittore in prosa.(17) Da cosa lo arguisco per affermare ciò? In
qualche modo, divino fanciullo, sento di avere il petto pieno e di poter dire
cose diverse dalle sue, e non peggiori. So bene che non ho concepito da me
niente di tutto ciò, dato che riconosco la mia ignoranza; allora resta, credo,
che da qualche altra fonte io sia stato riempito attraverso l'ascolto come un
vaso. Ma per indolenza ho scordato proprio questo, come e da chi le ho udite.
FEDRO: Ma hai detto cose bellissime, nobile amico! Neanche se te lo ordino devi
riferirmi da chi e come le hai udite, ma metti in atto esattamente il tuo
proposito. Hai promesso di dire cose diverse, in maniera migliore e non meno
diffusa rispetto a quelle contenute nel libro, astenendoti da queste ultime;
quanto a me, io ti prometto che come i nove arconti innalzerò a Delfi una
statua d'oro a grandezza naturale, non solo mia ma anche tua.(18) SOCRATE: Sei
carissimo e veramente d'oro, Fedro, se pensi che io affermi che Lisia ha
sbagliato tutto e che è possibile dire cose diverse da tutte queste; ciò,
credo, non potrebbe capitare neanche allo scrittore più scarso. Tanto per
incominciare, riguardo all'argomento del discorso, chi credi che, sostenendo
che bisogna compiacere coloro che non amano piuttosto che coloro che amano,
abbia ancora altro da dire quando abbia tralasciato di lodare l'assennatezza
degli uni e biasimare la dissennatezza degli altri, il che appunto è
necessario? Ma credo che si debbano concedere e perdonare simili argomenti a
chi ne parla; e di tali argomenti è da lodare non l'invenzione, ma la
disposizione, mentre degli argomenti non necessari e difficili da trovare è da
lodare, oltre alla disposizione, anche l'invenzione. FEDRO: Concordo con ciò
che dici: mi sembri aver parlato in modo opportuno. Pertanto farò anch'io così:
ti concederò di stabilire come principio che chi ama è più ammalato di chi non
ama, e quanto al resto, se avrai detto altre cose in maggior quantità e di
maggior pregio di queste, ergiti pure come statua lavorata a martello a
Olimpia, presso l'offerta votiva dei Cipselidi! (19) SOCRATE: L'hai presa sul
serio, Fedro, perché io, scherzando con te, ho attaccato il tuo amato, e credi
che io proverò veramente a dire qualcosa di diverso e di più vario a confronto
dell'abilità di lui? FEDRO: A questo proposito, caro, mi hai dato l'occasione
per un'uguale presa.(20) Ora tu devi parlare assolutamente, così come sei
capace, in modo da non essere obbligati a fare quella cosa volgare da
commedianti che si rimbeccano a vicenda, e non volermi costringere a tirar
fuori quella frase: «Socrate, se io non conosco Socrate, mi sono dimenticato
anche di me stesso», o quell'altra: «Desiderava dire, ma si schermiva»; ma
tieni bene in mente che non ce ne andremo di qui prima che tu abbia esposto ciò
che sostenevi di avere nel petto. Siamo noi due soli, in un luogo appartato, io
sono più forte e più giovane. Da tutto ciò, dunque, «intendi quel che ti dico»,(21)
e vedi di non parlare a forza piuttosto che spontaneamente. SOCRATE: Ma beato
Fedro, mi coprirò di ridicolo improvvisando un discorso sui medesimi argomenti,
da profano che sono a confronto di un autore bravo come lui! FEDRO: Sai com'è
la questione? Smettila di fare il ritroso con me; poiché penso di avere una
cosa che, se te la dico, ti costringerà a parlare. SOCRATE: Allora non dirmela!
FEDRO: No, invece te la dico proprio! E le mie parole saranno un giuramento. Ti
giuro... ma su chi, su quale dio? Vuoi forse su questo platano qui? Ebbene, ti
giuro che se non pronuncerai il tuo discorso proprio davanti a questo platano,
non ti mostrerò e non ti riferirò più nessun altro discorso di nessuno.
SOCRATE: Ahi, birbante! Come hai trovato bene il modo di costringere un uomo
amante dei discorsi a fare ciò che tu ordini! FEDRO: Perché allora fai tanti
giri? SOCRATE: Niente più indugi, dal momento che hai proferito questo
giuramento. Come potrei astenermi da un tale banchetto? FEDRO: Allora parla!
SOCRATE: Sai dunque come farò? FEDRO: Riguardo a cosa? SOCRATE: Parlerò dopo
essermi coperto il capo, per svolgere il discorso il più velocemente possibile
e non trovarmi in imbarazzo per la vergogna, guardando verso di te. FEDRO:
Purché tu parli; quanto al resto, fa' come vuoi. SOCRATE: Orsù, o Muse dalla
voce melodiosa, vuoi per l'aspetto del canto vuoi perché siete state così
chiamate dalla stirpe dei Liguri amante della musica,(22) narrate assieme a me
il racconto che questo bellissimo giovane mi costringe a dire, così che il suo
compagno, che già prima gli sembrava sapiente, ora gli sembri tale ancora di
più. C'era una volta un fanciullo, o meglio un giovanetto assai bello, di cui
molti erano innamorati. Uno di loro, che era astuto, pur non essendo innamorato
meno degli altri aveva convinto il fanciullo che non lo amava. E un giorno,
saggiandolo, cercava di persuaderlo proprio di questo, che bisogna compiacere
chi non ama piuttosto che chi ama, e gli parlava così : «Innanzi tutto,
fanciulfo, uno solo è l'inizio per chi deve prendere decisioni nel modo giusto:
bisogna sapere su cosa verte la decisione, o è destino che si sbagli tutto. Ai
più sfugge che non conoscono l'essenza di ciascuna 5 Platone Fedro
cosa. Perciò, nella convinzione di saperlo, non si mettono d'accordo all'inizio
della ricerca e proseguendo ne pagano le naturali conseguenze, poiché non si
accordano né con se stessi né tra loro. Che non capiti dunque a me e a te ciò
che rimproveriamo agli altri, ma dal momento che ci sta dinanzi la questione se
si debba entrare in amicizia con chi ama piuttosto che con chi non ama,
stabiliamo di comune accordo una definizione su cosa sia l'amore e quale forza
abbia; poi, tenendo presente questa definizione e facendovi riferimento,
esaminiamo se esso apporta un vantaggio o un danno. Che l'amore sia
appunto un desiderio, è chiaro a tutti; che inoltre anche chi non ama desideri
le cose belle, lo sappiamo. Da che cosa allora distingueremo chi ama e chi non
ama? Occorre poi tenere presente che in ciascuno di noi ci sono due princì pi
che ci governano e ci guidano, e che noi seguiamo dove essi ci guidano: l'uno,
innato, è il desiderio dei piaceri, l'altro è un'opinione acquisita che aspira
al sommo bene. Talvolta questi due princì pi dentro di noi si trovano
d'accordo, talvolta invece sono in disaccordo; talvolta prevale l'uno, talvolta
l'altro. Pertanto, quando l'opinione guida con il ragionamento al sommo bene e
prevale, la sua vittoria ha il nome di temperanza; mentre se il desiderio
trascina fuori di ragione verso i piaceri e domina in noi, il suo dominio viene
chiamato dissolutezza. La dissolutezza ha molti nomi, dato che è composta di
molte membra e molte parti; e quella che tra queste forme si distingue
conferisce a chi la possiede il soprannome derivato da essa, che non è né bello
né meritevole da acquistarsi. Il desiderio relativo al cibo, che prevale sulla
ragione del bene migliore e sugli altri desideri, è chiamato ingordigia e farà
sì che chi lo possiede venga chiamato con lo stesso nome; quello che
tiranneggia nell'ubriachezza e conduce in tale stato chi lo possiede, è chiaro
quale epiteto gli toccherà; così , anche per gli altri nomi fratelli di questi
che designano desideri fratelli, a seconda di quello che via via signoreggia, è
ben evidente come conviene chiamarli. Il desiderio a motivo del quale è stato
fatto tutto il discorso precedente ormai è pressoché manifesto, ma è
assolutamente più chiaro una volta detto che se non viene detto; ebbene, il
desiderio irrazionale che ha il sopravvento sull'opinione incline a ciò che è
retto, una volta che, tratto verso il piacere della bellezza e corroborato
vigorosamente dai desideri a esso congiunti della bellezza fisica, ha prevalso
nel suo trasporto prendendo nome dal suo stesso vigore, è chiamato eros».(23)
Ma caro Fedro, non sembra anche a te, come a me, che mi trovi in uno stato
divino? FEDRO: Certamente, Socrate! Ti ha preso una certa facilità di parola,
contrariamente al solito! SOCRATE: Ascoltami dunque in silenzio. Il luogo
sembra veramente divino, percio non meravigliarti se nel prosieguo del discorso
sarò spesso invasato dalle Ninfe: le parole che proferisco adesso non sono
lontane dai ditirambi.(24) FEDRO: Dici cose verissime. SOCRATE: E tu ne sei la
causa. Ma ascolta il resto, poiché forse quello che mi viene alla mente
potrebbe andarsene via. A questo provvederà un dio, noi invece dobbiamo tornare
col nostro discorso al fanciullo. «Dunque, carissimo: cosa sia ciò su cui
bisogna prendere decisioni, è stato detto e definito; ora, tenendo presente
questo, dobbiamo dire il resto, ossia quale vantaggio o quale danno
presumibilmente verrà da uno che ama e da uno che non ama a chi concede i suoi
favori. Per chi è soggetto al desiderio ed è schiavo del piacere è inevitabile
rendere l'amato il più possibile gradito a sé; ma per chi è malato tutto ciò
che non oppone resistenza è piacevole, mentre tutto ciò che è più forte o pari
a lui è odioso. Così un amante non sopporterà di buon grado un amato superiore
o pari a lui, ma vuole sempre renderlo inferiore e più debole: e inferiore è
l'ignorante rispetto al saggio, il vile rispetto al coraggioso, chi non sa
parlare rispetto a chi ha abilità oratorie, chi è tardo di mente rispetto a chi
è d'ingegno acuto. è inevitabile che, se nell'animo dell'amato nascono o ci
sono per natura tanti difetti, o anche di più, l'amante ne goda e ne procuri
altri, piuttosto che essere privato del piacere del momento. Ed è altresì
inevitabile che sia geloso e causa di grande danno, poiché distoglie l'amato da
molte altre compagnie vantaggiose grazie alle quali diverrebbe veramente uomo,
danno che diventa grandissimo quando lo allontana da quella compagnia grazie
alla quale diventerebbe una persona molto assennata. Essa è la divina
filosofia, da cui inevitabilmente l'amante tiene lontano l'amato per paura di
essere disprezzato, così come ricorrerà alle altre macchinazioni per fare in
modo che sia ignorante di tutto e guardi solo al suo amante; e in questa
condizione l'amato sarebbe fonte di grandissimo piacere per lui, ma del massimo
danno per se stesso. Quindi, per quanto riguarda l'intelletto, l'uomo che prova
amore non è in nessun modo utile come guida e come compagno. Poi si deve
considerare la costituzione del corpo, e quale cura ne avrà colui che ne
diventerà padrone, dato che si trova costretto a inseguire il piacere anziché
il bene. Lo si vedrà seguire una persona molle e non vigorosa, non cresciuta
alla pura luce del sole ma nella fitta ombra, inesperta di fatiche virili e di
secchi sudori, esperta invece di una vita delicata ed effeminata, ornata di
colori e abbellimenti altrui per mancanza dei propri, intenta a tutte quelle
attività conseguenti a ciò, che sono evidenti e non meritano ulteriori
discussioni. Ma stabiliamo un punto essenziale, e poi passiamo ad altro: per un
corpo del genere, in guerra come in tutte le altre occupazioni importanti, i
nemici prendono coraggio, gli amici e gli stessi amanti provano timore. Perciò
questo punto è da lasciar perdere, dato che è evidente, e bisogna passare
invece a quello successivo, cioè quale vantaggio o quale danno arrecherà ai
nostri beni la compagnia e la protezione di chi ama. è chiaro a chiunque, ma
soprattutto all'amante, che egli si augurerebbe più d'ogni altra cosa che
l'amato fosse orbo dei beni più cari, più preziosi e più divini; accetterebbe che
rimanesse privo di padre, madre, parenti e amici, ritenendoli causa
d'impedimento e biasimo della dolcissima compagnia che ha con lui. E se
possiede sostanze in oro o altri beni, egli penserà che non sia facile da
conquistare né, una volta conquistato, trattabile; ne consegue inevitabilmente
che l'amante provi gelosia se l'oggetto del suo amore possiede delle sostanze,
e gioisca se le perde. Inoltre l'amante si augurerà che l'amato sia senza
moglie, senza figli e senza casa il più a lungo possibile, poiché brama di
cogliere il più a lungo possibile il frutto della 6 Platone Fedro
sua dolcezza. Ci sono altri mali ancora, ma un dio ha mescolato alla maggior
parte di essi un piacere momentaneo; per esempio all'adulatore, bestia
terribile e fonte di grande danno, la natura ha comunque mescolato un piacere
non privo di gusto. E così qualcuno può biasimare come rovinosa un'etera o
molte altre creature e attività del genere, che almeno per un giorno possono
essere occasione di grandissimo piacere; ma per l'amato la compagnia quotidiana
dell'amante, oltre al danno che arreca, è la cosa di tutte più spiacevole.
Infatti, come recita l'antico proverbio, il coetaneo si diletta del coetaneo
(credo infatti che l'avere gli stessi anni conduca agli stessi piaceri e procuri
amicizia in virtù della somiglianza); tuttavia anche il loro stare insieme
genera sazietà. Inoltre si dice che la costrizione è pesante per chiunque in
qualsiasi circostanza: ed è proprio questo il rapporto che, oltre alla
differenza d'età, l'amante ha con il suo amato. Infatti, quando uno più vecchio
sta assieme a uno più giovane, non lo lascia volentieri né di giorno né di
notte, ma è tormentato da una necessità e da un pungolo che lo conduce a destra
e a manca procurandogli di continuo piaceri a vedere, ascoltare, toccare
l'amato e a provare tutto ciò che lui prova, sì da mettersi strettamente e con
piacere al suo servizio. Ma quale conforto o quali piaceri darà all'amato per
evitare che questi, stando con lui per lo stesso periodo di tempo, arrivi al colmo
del disgusto? Quando quello vedrà un volto invecchiato e non più in fiore, con
tutte le conseguenze già spiacevoli da udire a parole, per non parlare poi se
ci si trova nella necessità di avere a che fare con esse; quando dovrà
guardarsi in ogni momento e con tutti da custodi sospettosi e sentirà elogi
inopportuni ed esagerati, come anche insulti già insopportabili se l'amante è
sobrio, vergognosi oltre ogni sopportazione se è ubriaco e indulge a una
libertà di linguaggio stucchevole e assoluta? E se quando è innamorato e
dannoso e spiacevole, una volta che l'amore è finito sarà inaffidabile per il
tempo a venire, in prospettiva del quale era riuscito a malapena, con molte
promesse condite di infiniti giuramenti e preghiere e in virtù della speranza
di beni futuri, a mantenere il legame già allora faticoso da sopportare. E
allora, quando bisogna pagare il debito, dato che dentro di sé ha cambiato
padrone e signore, e assennatezza e temperanza hanno preso il posto di amore e
follia, è divenuto un altro senza che il suo amato se ne sia accorto. Questi,
ricordandosi di quanto era stato fatto e detto e pensando di parlare ancora con
la stessa persona, chiede che gli siano ricambiati i favori resi allora; quello
per la vergogna non ha il coraggio di dire che è diventato un altro, né sa come
mantenere i giuramenti e le promesse fatte sotto la dissennata signoria
precedente, dato che ormai ha riacquistato il senno e la temperanza, per non
ridiventare simile a quello che era prima, se non addirittura lo stesso di prima,
facendo le stesse cose. Perciò diventa un fuggiasco, e poiché l'amante di prima
ora è di necessita reo di frode, invertite le parti, muta il suo stato e si dà
alla fuga.(25) L'altro è costretto a inseguire tra lo sdegno e le imprecazioni,
poiché non ha capito tutto fin dal principio, cioè che non avrebbe mai dovuto
compiacere chi ama e di necessità è privo di senno, ma ben più chi non ama ed è
assennato; altrimenti sarebbe inevitabile concedersi a una persona infida,
difficile di carattere, gelosa, spiacevole, danno sa per le proprie ricchezze,
dannosa per la costituzione fisica, ma dannosa nel modo più assoluto per
l'educazione dell'anima, della quale in tutta verità non c'è e mai ci sarà cosa
di maggior valore né per gli uomini né per gli dèi. Pertanto, ragazzo, bisogna
intendere bene questo, e sapere che l'amicizia di un amante non nasce assieme
alla benevolenza, ma alla maniera del cibo, per saziarsi; come i lupi amano gli
agnelli, così gli amanti hanno caro un fanciullo». Questo è quanto, Fedro. Non
mi sentirai dire di più, ma considera ormai finito il discorso. FEDRO: Eppure
io credevo che fosse a metà, e che tu avresti speso uguali parole per chi non
ama, dicendo che bisogna piuttosto compiacere lui e indicando quanti beni ne
derivano; ma ora perché smetti, Socrate? SOCRATE: Non ti sei accorto, beato,
che ormai pronuncio versi epici e non più ditirambi, proprio mentre muovo
questi rimproveri? Se comincerò a elogiare l'altro, cosa credi che farò? Non lo
sai che sarei certamente invasato dalle Ninfe, alle quali tu mi hai gettato
deliberatamente in balia? Perciò in una parola ti dico che quanti sono i mali
che abbiamo biasimato nell'uno tanti sono i beni, ad essi opposti, che si
trovano nell'altro. E che bisogno c'è di un lungo discorso? Di entrambi si è
detto abbastanza. Così il racconto avrà la sorte che gli spetta; e io,
attraversato questo fiume, me ne torno indietro prima di essere costretto da te
a qualcosa di più grande. FEDRO: Non ancora, Socrate, non prima che sia passata
la calura. Non vedi che è all'incirca mezzogiorno, l'ora che viene chiamata
immota? Ma restiamo a discutere sulle cose che abbiamo detto; non appena farà
più fresco, ce ne andremo. SOCRATE: Quanto ai discorsi sei divino, Fedro, e
semplicemente straordinario. Io penso che di tutti i discorsi prodotti durante
la tua vita nessuno ne abbia fatto nascere più di te, o perché li pronunci di
persona o perché costringi in qualche modo altri a pronunciarli (faccio
eccezione per Simmia il Tebano, (26) ma gli altri li vinci di gran lunga). E
ora mi sembra che tu sia stato la causa di un mio nuovo discorso. FEDRO: Allora
non mi dichiari guerra! Ma come, e qual è questo discorso? SOCRATE: Quando
stavo per attraversare il fiume, caro amico, si è manifestato quel segno divino
che è solito manifestarsi a me e che mi trattiene sempre da ciò che sto per
fare. E mi è parso di udire proprio da lì una certa voce che non mi permette di
andare via prima d'essermi purificato, come se avessi commesso qualche colpa
verso la divinità. In effetti sono un indovino, per la verità non molto bravo,
ma, come chi sa a malapena scrivere, valido solo per me stesso; perciò
comprendo chiaramente qual è la colpa. Perché anche l'anima, caro amico, ha un
che di divinatorio; infatti mi ha turbato anche prima, mentre pronunciavo il
discorso, e in qualche modo temevo, come dice Ibico, che «commesso un fallo»
nei confronti degli dèi «consegua fama invece tra gli umani».(27) Ma ora mi
sono reso conto della colpa. FEDRO: Che cosa dici? 7 Platone Fedro
SOCRATE: Terribile, Fedro, terribile è il discorso che tu hai portato, come
quello che poi mi hai costretto a dire! FEDRO: E perché? SOCRATE: è sciocco e
sotto un certo aspetto empio. Quale discorso potrebbe essere più terribile di
questo? FEDRO: Nessuno, se tu dici il vero. SOCRATE: E allora? Non credi che
Eros sia figlio di Afrodite e sia una creatura divina? FEDRO: Così almeno si
dice. SOCRATE: Ma non è detto da Lisia, né dal tuo discorso, che è stato
pronunciato tramite la mia bocca ammaliata da te. E se Eros è, come appunto è, un
dio o un che di divino, non sarebbe affatto un male, e invece i due discorsi
pronunciati ora su di lui ne parlavano come se fosse un male; in questo dunque
hanno commesso una colpa nei confronti dì Eros. Inoltre la loro semplicità è
proprio graziosa, poiché senza dire niente di sano né di vero si danno delle
arie come se fossero chissà cosa, se ingannando alcuni omiciattoli troveranno
fama presso di loro. Pertanto io, caro amico, ho la necessità di purificarmi;
per coloro che commettono delle colpe nei confronti del mito c'è un antico rito
purificatorio, che Omero non conobbe, ma Stesicoro sì . Costui infatti, privato
della vista per aver diffamato Elena, non ne ignorò la causa come Omero, ma da
amante alle Muse quale era la capì e subito compose questi versi: Questo
discorso non è veritiero, non navigasti sulle navi ben costrutte, non arrivasti
alla troiana Pergamo.(28) E dopo aver composto l'intero carme chiamato
Palinodia gli tornò immediatamente la vista. Io pertanto sarò più saggio di
loro almeno sotto questo aspetto: prima di incorrere in un male per aver
diffamato Eros tenterò di offrirgli in cambio la mia palinodia, col capo
scoperto e non velato come allora per la vergogna. FEDRO: Non avresti potuto
dirmi cose più dolci di queste, Socrate. SOCRATE: Veramente, caro Fedro, tu
intendi con quale impudenza siano stati pronunciati i due discorsi, il mio e
quello ricavato dal libro. Se un uomo dall'indole nobile e affabile, che fosse
innamorato di uno come lui o lo fosse stato in precedenza, ci ascoltasse mentre
diciamo che gli amanti sollevano grandi inimicizie per futili motivi e sono
gelosi e dannosi nei confronti dei loro amati, non credi che avrebbe
l'impressione di ascoltare persone allevate in mezzo ai marinai e che non hanno
mai visto un amore libero, e sarebbe ben lungi dal convenire con noi sui
rimproveri che muoviamo ad Eros? FEDRO: Per Zeus, forse sì , Socrate. SOCRATE:
Io dunque, per vergogna nei suoi confronti e per timore dello stesso Eros,
desidero sciacquarmi dalla salsedine che impregna il mio udito con un discorso
d'acqua dolce; e consiglio anche a Lisia di scrivere il più in fretta possibile
che, a parità di condizioni, conviene compiacere più un amante che chi non ama.
FEDRO: Ma sappi bene che sarà così : quando avrai pronunciato l'elogio
dell'amante, sarà inevitabile che Lisia venga costretto da me a scrivere un
altro discorso sullo stesso argomento. SOCRATE: Confido in ciò, finché sarai
quello che sei. FEDRO: Fatti coraggio, dunque, e parla. SOCRATE: Dov'è il
ragazzo a cui parlavo? Faccia in modo di ascoltare anche questo discorso e non
conceda con troppa fretta i suoi favori a chi non ama per non aver udito le mie
parole. FEDRO: Questo ragazzo è accanto a te, molto vicino, ogni qualvolta tu
voglia. SOCRATE: Allora, mio bel ragazzo, tieni presente che il discorso di
prima era di Fedro figlio di Pitocle, del demo di Mirrinunte, mentre quello che
mi accingo a dire è di Stesicoro di Imera, figlio di Eufemo. Bisogna dunque
parlare così : «Non è veritiero il discorso secondo il quale anche in presenza
di un amante si deve piuttosto compiacere chi non ama, per il fatto che l'uno è
in preda a "mania", l'altro è assennato. Se infatti l'essere in preda
a mania fosse un male puro e semplice, sarebbe ben detto; ora però i beni più
grandi ci vengono dalla mania, appunto in virtù di un dono divino. Infatti la
profetessa di Delfi e le sacerdotesse di Dodona,(29) quando erano prese da
mania, procurarono alla Grecia molti e grandi vantaggi pubblici e privati,
mentre quando erano assennate giovarono poco o nulla. E se parlassimo della
Sibilla (30) e di tutti gli altri che, avvalendosi dell'arte mantica ispirata
da un dio, con le loro predizioni in molti casi indirizzarono bene molte
persone verso il futuro, ci dilungheremmo dicendo cose note a tutti. Merita certamente
di essere addotto come testimonianza il fatto che tra gli antichi coloro che
coniavano i nomi non ritenevano la mania una cosa vergognosa o riprovevole;
altrimenti non avrebbero chiamato "manica" l'arte più bella, con la
quale si discerne il futuro, applicandovi proprio questo nome. Ma
considerandola una cosa bella quando nasca per sorte divina, le imposero questo
nome, mentre gli uomini d'oggi, inesperti del bello, aggiungendo la
"t" l'hanno chiamata "mantica". Così anche la ricerca del
futuro che fanno gli uomini assennati mediante il volo degli uccelli e gli
altri segni del cielo, dal momento che tramite l'intelletto procurano
assennatezza e cognizione alla "oiesi", cioè alla credenza umana, la
denominarono "oionoistica", mentre i contemporanei, volendola
nobilitare con la "o" lunga, la chiamano oionistica.(31) Perciò,
quanto più l'arte mantica è perfetta e onorata della oionistica, e il nome e
l'opera dell'una rispetto al nome e all'opera dell'altra, tanto più bella,
secondo la testimonianza degli antichi, è la mania che viene da un dio rispetto
all'assennatezza che viene dagli uomini. Ma la mania, sorgendo e profetando in
coloro in cui doveva manifestarsi, trovò una via di scampo anche dalle malattie
e dalle pene più gravi, che da qualche parte si abbattono su alcune stirpi a
causa di antiche colpe, ricorrendo alle preghiere e al culto degli dèi; quindi,
attraverso purificazioni e iniziazioni, rese immune chi la possedeva per il
tempo presente e futuro, avendo trovato una liberazione dai mali presenti per
chi era in preda a mania e invasamento divino nel modo giusto. Al terzo posto
vengono l'invasamento e la mania provenienti dalle Muse, che impossessandosi di
un'anima tenera e pura la destano e la colmano di furore bacchico in canti e
altri componimenti poetici, e celebrando innumerevoli opere degli antichi
educano i posteri. Chi invece giunge alle porte della poesia senza 8
Platone Fedro la mania delle Muse, convinto che sarà un poeta valente
grazie all'arte, resta incompiuto e la poesia di chi è in senno è oscurata da
quella di chi si trova in preda a mania. Queste, e altre ancora, sono le belle
opere di una mania proveniente dagli dèi che ti posso elencare. Pertanto non
dobbiamo aver paura di ciò, né deve sconvolgerci un discorso che cerchi di
intimorirci asserendo che si deve preferire come amico l'uomo assennato a
quello in stato di eccitazione; ma il mio discorso dovrà riportare la vittoria
dimostrando, oltre a quanto detto prima, che l'amore non è inviato dagli dèi
all'amante e all'amato perché ne traggano giovamento. Noi dobbiamo invece
dimostrare il contrario, cioè che tale mania è concessa dagli dèi per la nostra
più grande felicità; e la dimostrazione non sarà persuasiva per i
valent'uomini, ma lo sarà per i sapienti. Prima di tutto dunque bisogna
intendere la verità riguardo alla natura dell'anima divina e umana,
considerando le sue condizioni e le sue opere. L'inizio della dimostrazione è
il seguente. Ogni anima è immortale. Infatti ciò che sempre si muove è
immortale, mentre ciò che muove altro e da altro è mosso termina la sua vita
quando termina il suo movimento. Soltanto ciò che muove se stesso, dal momento
che non lascia se stesso, non cessa mai di muoversi, ma è fonte e principio di
movimento anche per tutte le altre cose dotate di movimento. Il principio però
non è generato. Infatti è necessario che tutto ciò che nasce si generi da un
principio, ma quest'ultimo non abbia origine da qualcosa, poiché se un
principio nascesse da qualcosa non sarebbe più un principio. E poiché non è generato,
è necessario che sia anche incorrotto; infatti, se un principio perisce, né
esso nascerà da qualcosa né altra cosa da esso, dato che ogni cosa deve nascere
da un principio. Così principio di movimento è ciò che muove se stesso. Esso
non può né perire né nascere, altrimenti tutto il cielo e tutta la terra,
riuniti in corpo unico, resterebbero immobili e non avrebbero più ciò da cui
ricevere di nuovo nascita e movimento. Una volta stabilito che ciò che si muove
da sé è immortale, non si proverà vergogna a dire che proprio questa è
l'essenza e la definizione dell'anima. Infatti ogni corpo a cui l'essere in
movimento proviene dall'esterno è inanimato, mentre quello cui tale facoltà
proviene dall'interno, cioè da se stesso, è animato, poiché la natura dell'anima
è questa; ma se è così , ovvero se ciò che muove se stesso non può essere altro
che l'anima, di necessità l'anima sarà ingenerata e immortale. Sulla sua
immortalità si è detto a sufficienza; sulla sua idea bisogna dire quanto segue.
Spiegare quale sia, sarebbe proprio di un'esposizione divina sotto ogni aspetto
e lunga, dire invece a che cosa assomigli, è proprio di un'esposizione umana e
più breve; parliamone dunque in questa maniera. Si immagini l'anima simile a
una forza costituita per sua natura da una biga alata e da un auriga.(32) I
cavalli e gli aurighi degli dèi sono tutti buoni e nati da buoni, quelli degli
altri sono misti. E innanzitutto l'auriga che è in noi guida un carro a due,
poi dei due cavalli uno è bello, buono e nato da cavalli d'ugual specie,
l'altro è contrario e nato da stirpe contraria; perciò la guida, per quanto ci
riguarda, è di necessità difficile e molesta. Quindi bisogna cercare di
definire in che senso il vivente è stato chiamato mortale e immortale. Ogni
anima si prende cura di tutto ciò che è inanimato e gira tutto il cielo ora in
una forma, ora nell'altra. Se è perfetta e alata, essa vola in alto e governa
tutto il mondo, se invece ha perduto le ali viene trascinata giù finché non
s'aggrappa a qualcosa di solido; qui stabilisce la sua dimora e assume un corpo
terreno, che per la forza derivata da essa sembra muoversi da sé. Questo
insieme, composto di anima e corpo, fu chiamato vivente ed ebbe il soprannome
di mortale. Viceversa ciò che è immortale non può essere spiegato con un solo
discorso razionale, ma senza averlo visto e inteso in maniera adeguata ci
figuriamo un dio, un essere vivente e immortale, fornito di un'anima e di un
corpo eternamente connaturati. Ma di queste cose si pensi e si dica così come
piace al dio; noi cerchiamo di cogliere la causa della perdita delle ali, per
la quale esse si staccano dall'anima. E la causa è all'incirca questa. La
potenza dell'ala tende per sua natura a portare in alto ciò che è pesante,
sollevandolo dove abita la stirpe degli dèi, e in certo modo partecipa del
divino più di tutte le cose inerenti il corpo. Il divino è bello, sapiente,
buono, e tutto ciò che è tale; da queste qualità l'ala dell'anima e nutrita e
accresciuta in sommo grado, mentre viene consunta e rovinata da ciò che è
brutto, cattivo e contrario ad esse. Zeus, il grande sovrano che è in cielo,
procede per primo alla guida del carro alato, dà ordine a tutto e di tutto si
prende cura; lo segue un esercito di dèi e di demoni, ordinato in undici
schiere. La sola Estia resta nella dimora degli dèi; quanto agli altri dèi,
quelli che in numero di dodici sono stati posti come capi guidano ciascuno la
propria schiera secondo l'ordine assegnato.(33) Molte e beate sono le visioni e
i percorsi entro il cielo, per i quali si volge la stirpe degli dèi eternamente
felici, adempiendo ciascuno il proprio compito. E tiene dietro a loro chi
sempre lo vuole e lo può; infatti l'invidia sta fuori del coro divino. Quando
poi vanno a banchetto per nutrirsi, procedono in ardua salita verso la sommità
della volta celeste, dove i carri degli dèi, ben equilibrati e agili da
guidare, procedono facilmente, gli altri invece a fatica; infatti il cavallo
che partecipa del male si inclina, e piegando verso terra grava col suo peso
l'auriga che non l'ha allevato bene. Qui all'anima si presenta la fatica e la
prova suprema. Infatti quelle che sono chiamate immortali, una volta giunte
alla sommità, procedono al di fuori posandosi sul dorso del cielo, la cui
rotazione le trasporta in questa posa, mentre esse contemplano ciò che sta
fuori del cielo. Nessuno dei poeti di quaggiù ha mai cantato né mai canterà in
modo degno il luogo iperuranio.(34) La cosa sta in questo modo (bisogna infatti
avere il coraggio di dire il vero, tanto più se si parla della verità):
l'essere che realmente è, senza colore, senza forma e invisibile, che può
essere contemplato solo dall'intelletto timoniere dell'anima e intorno al quale
verte il genere della vera conoscenza, occupa questo luogo. Poiché dunque la
mente di un dio è nutrita da un intelletto e da una scienza pura, anche quella
di ogni anima cui preme di ricevere ciò che conviene si appaga di vedere dopo
un certo tempo l'essere, e contemplando il vero se ne nutre e ne gode, finché
la rotazione ciclica del cielo non l'abbia riportata allo stesso punto. Nel
giro che essa compie vede la giustizia stessa, vede la temperanza, vede la
scienza, 9 Platone Fedro non quella cui è connesso il divenire, e
neppure quella che in certo modo è altra perché si fonda su altre cose da
quelle che ora noi chiamiamo esseri, ma quella scienza che si fonda su ciò che
è realmente essere; e dopo che ha contemplato allo stesso modo gli altri esseri
che realmente sono e se ne è saziata, si immerge nuovamente all'interno del
cielo e fa ritorno alla sua dimora. Una volta arrivata l'auriga, condotti i
cavalli alla mangiatoia, mette innanzi a loro ambrosia e in più dà loro da bere
del nettare. Questa è la vita degli dèi. Quanto alle altre anime, l'una,
seguendo nel migliore dei modi il dio e rendendosi simile a lui, solleva il
capo dell'auriga verso il luogo fuori del cielo e viene trasportata nella sua
rotazione, ma essendo turbata dai cavalli vede a fatica gli esseri; l'altra ora
solleva il capo, ora piega verso il basso, e poiché i cavalli la costringono a
forza riesce a vedere alcuni esseri, altri no. Seguono le altre anime, che
aspirano tutte quante a salire in alto, ma non essendone capaci vengono
sommerse e trasportate tutt'intorno, calpestandosi tra loro, accalcandosi e
cercando di arrivare una prima dell'altra. Nasce così una confusione e una
lotta condita del massimo sudore, nella quale per lo scarso valore degli
aurighi molte anime restano azzoppate, e a molte altre si spezzano molte penne;
tutte, data la grande fatica, se ne partono senza aver raggiunto la
contemplazione dell'essere e una volta tornate indietro si nutrono del cibo
dell'opinione. La ragione per cui esse mettono tanto impegno per vedere dov'è
sita la pianura della verità è questa: il cibo adatto alla parte migliore
dell'anima viene dal prato che si trova là, e di esso si nutre la natura
dell'ala con cui l'anima si solleva in volo. Questa è la legge di Adrastea.(35)
L'anima che, divenuta seguace del dio, abbia visto qualcuna delle verità, non
subisce danno fino al giro successivo, e se riesce a fare ciò ogni volta, resta
intatta per sempre; qualora invece, non riuscendo a tenere dietro al dio, non
abbia visto, e per qualche accidente, riempitasi di oblio e di ignavia, sia
appesantita e a causa del suo peso perda le ali e cada sulla terra, allora è
legge che essa non si trapianti in alcuna natura animale nella prima
generazione. Invece l'anima che ha visto il maggior numero di esseri si
trapianterà nel seme di un uomo destinato a diventare filosofo o amante del
bello o seguace delle Muse o incline all'amore. L'anima che viene per seconda
si trapianterà in un re rispettoso delle leggi o in un uomo atto alla guerra e
al comando, quella che viene per terza in un uomo atto ad amministrare lo Stato
o la casa o le ricchezze, la quarta in un uomo che sarà amante delle fatiche o
degli esercizi ginnici o esperto nella cura del corpo, la quinta è destinata ad
avere la vita di un indovino o di un iniziatore ai misteri. Alla sesta sarà
confacente la vita di un poeta o di qualcun altro di coloro che si occupano
dell'imitazione, alla settima la vita di un artigiano o di un contadino,
all'ottava la vita di un sofista o di un seduttore del popolo, alla nona quella
di un tiranno. Tra tutti questi, chi ha condotto la vita secondo giustizia
partecipa di una sorte migliore, chi invece è vissuto contro giustizia, di una
peggiore; infatti ciascuna anima non torna nel luogo donde è venuta per
diecimila anni, poiché non rimette le ali prima di questo periodo di tempo,
tranne quella di colui che ha coltivato la filosofia senza inganno o ha amato i
fanciulli secondo filosofia. Queste anime, al terzo giro di mille anni, se
hanno scelto per tre volte di seguito una tale vita, rimettono in questo modo
le ali e al compiere dei tremila anni tornano indietro. Quanto alle altre,
quando giungono al termine della prima vita tocca loro un giudizio, e dopo
essere state giudicate le une vanno nei luoghi di espiazione sotto terra a
scontare la loro pena, le altre, innalzate dalla Giustizia in un luogo del
cielo, trascorrono il tempo in modo corrispondente alla vita che vissero in
forma d'uomo. Al millesimo anno le une e le altre, giunte al sorteggio e alla
scelta della seconda vita, scelgono quella che ciascuna vuole: qui un'anima
umana può anche finire in una vita animale, e chi una volta era stato uomo può
ritornare da bestia uomo, poiché l'anima che non ha mai visto la verità non
giungerà mai a tale forma. L'uomo infatti deve comprendere in funzione di ciò
che viene detto idea, e che muovendo da una molteplicità di sensazioni viene
raccolto dal pensiero in unità; questa è la reminiscenza delle cose che un
tempo la nostra anima vide nel suo procedere assieme al dio, quando guardò
dall'alto ciò che ora definiamo essere e levò il capo verso ciò che realmente
è. Perciò giustamente solo l'anima del filosofo mette le ali, poiché grazie al
ricordo, secondo le sue facoltà, la sua mente è sempre rivolta alle entità in
virtù delle quali un dio è divino. Quindi l'uomo che si avvale rettamente di
tali reminiscenze, essendo sempre iniziato a misteri perfetti, diventa lui solo
realmente perfetto; dato però che si distacca dalle occupazioni degli uomini e
si fa accosto al divino, è ripreso dai più come se delirasse, ma sfugge ai più
che è invasato da un dio. Questo dunque è il punto d'arrivo di tutto il
discorso sulla quarta forma di mania, quella per cui uno, al vedere la bellezza
di quaggiù, ricordandosi della vera bellezza mette nuove ali e desidera levarsi
in volo, ma non essendone capace guarda in alto come un uccello, senza curarsi
di ciò che sta in basso, e così subisce l'accusa di trovarsi in istato di
mania: di tutte le ispirazioni divine questa, per chi la possiede e ha
comunanza con essa, è la migliore e deriva dalle cose migliori, e chi ama le
persone belle e partecipa di tale mania è chiamato amante. Infatti, come si è
detto, ogni anima d'uomo per natura ha contemplato gli esseri, altrimenti non
si sarebbe incarnata in un tale vivente. Ma ricordarsi di quegli esseri
procedendo dalle cose di quaggiù non è alla portata di ogni anima, né di quelle
che allora videro gli esseri di lassù per breve tempo, né di quelle che, cadute
qui, hanno avuto una cattiva sorte, al punto che, volte da cattive compagnie
all'ingiustizia, obliano le sacre realtà che videro allora. Ne restano poche
nelle quali il ricordo si conserva in misura sufficiente: queste, qualora
vedano una copia degli esseri di lassù, restano sbigottite e non sono più in
sé, ma non sanno cosa sia ciò che provano, perché non ne hanno percezione
sufficiente. Così della giustizia, della temperanza e di tutte le altre cose
che hanno valore per le anime non c'è splendore alcuno nelle copie di quaggiù,
ma soltanto pochi, accostandosi alle immagini, contemplano a fatica, attraverso
i loro organi ottusi, la matrice del modello riprodotto. Allora invece si
poteva vedere la bellezza nel suo splendore, quando in un coro felice, noi al
seguito di Zeus, altri di un altro dio, godemmo di una visione e di una
contemplazione beata ed eravamo iniziati a quello che è lecito chiamare il più
beato dei misteri, che celebravamo in perfetta integrità e immuni dalla prova
di tutti quei mali che dovevano attenderci nel tempo a venire, contemplando
nella nostra iniziazione mistica visioni perfette, semplici, immutabili e
10 Platone Fedro beate in una luce pura, poiché eravamo purì e non
rinchiusi in questo che ora chiamiamo corpo e portiamo in giro con noi,
incatenati dentro ad esso come un'ostrica. Queste parole siano un omaggio al
ricordo, in virtù del quale, per il desiderio delle cose d'allora, ora si è
parlato piuttosto a lungo. Quanto alla bellezza, come si è detto, essa brillava
tra le cose di lassù come essere, e noi, tornati qui sulla terra, l'abbiamo
colta con la più vivida delle nostre sensazioni, in quanto risplende nel modo
più vivido. Per noi infatti la vista è la più acuta delle sensazioni che
riceviamo attraverso il corpo, ma essa non ci permette di vedere la saggezza
(poiché susciterebbe terribili amori, se giungendo alla nostra vista le
offrisse un'immagine di sé così splendente) e le altre realtà degne d'amore.
Ora invece soltanto la bellezza ebbe questa sorte, di essere ciò che più di
tutto è manifesto e amabile. Chi dunque non è iniziato di recente, o è
corrotto, non si innalza con pronto acume da qui a lassù, verso la bellezza in
sé, quando contempla ciò che quaggiù porta il suo nome; di conseguenza quando
guarda ad essa non la venera, ma consegnandosi al piacere imprende a montare e
a generare figli a mo' di quadrupede, e comportandosi con tracotanza non ha
timore né vergogna di inseguire un piacere contro natura. Invece chi è iniziato
di recente e ha contemplato molto le realtà di allora, quando vede un volto
d'aspetto divino che ha ben imitato la bellezza o una qualche forma ideale di
corpo, dapprima sente dei brividi e gli sottentra qualcuna delle paure di
allora, poi, guardandolo, lo venera come un dio, e se non temesse di
acquistarsi fama di eccessiva mania farebbe sacrifici al suo amato come a una
statua o a un dio. Al vederlo, lo afferra come una mutazione provocata dai
brividi, un sudore e un calore insolito; e ricevuto attraverso gli occhi il
flusso della bellezza, prende calore là dove la natura dell'ala si abbevera.
Una volta che si è riscaldato si liquefano le parti attorno al punto donde
l'ala germoglia, che essendo da tempo tappate a causa della secchezza le
impedivano di fiorire. Così , grazie all'afflusso del nutrimento, lo stelo
dell'ala si gonfia e prende a crescere dalla radice per tutta la forma
dell'anima; un tempo infatti era tutta alata. A questo punto essa ribolle tutta
quanta e trabocca, e la stessa sensazione che prova chi mette i denti nel
momento in cui essi spuntano, ossia prurito e irritazione alle gengive, la
prova anche l'anima di chi comincia a mettere le ali: quando le ali spuntano
ribolle e prova un senso di irritazione e solletico. Dunque, quando l'anima,
mirando la bellezza del fanciullo, riceve delle parti che da essa provengono e
fluiscono (e che appunto per questo sono chiamate flusso d'amore) (36) e ne
viene irrigata e scaldata, si riprende dal dolore e si allieta. Quando invece
ne è separata e inaridisce, le bocche dei condotti donde spunta fuori l'ala si
disseccano e si serrano, impedendone il germoglio; ma esso, rimasto chiuso
dentro assieme al flusso d'amore, pulsando come le arterie pizzica nei
condotti, ciascun germoglio nel proprio, tanto che l'anima, pungolata
tutt'intorno, è presa da assillo e dolore, e tornandole il ricordo della
bellezza si allieta. In seguito alla mescolanza di entrambe le cose, l'anima è
turbata per la stranezza di ciò che prova e trovandosi senza via d'uscita
comincia a smaniare; ed essendo in stato di mania non può né dormire di notte
né di giorno restare ferma dov'è, ma corre in preda al desiderio dove crede di
poter vedere colui che possiede la bellezza: e una volta che l'ha visto e si è
imbevuta del flusso d'amore, libera i condotti che allora si erano ostruiti,
riprende fiato e cessa di avere pungoli e dolore, e allora coglie, nel momento
presente, il frutto di questo dolcissimo piacere. Perciò non se ne distacca di
sua volontà e non tiene in conto nessuno più del suo bello, ma si dimentica di
madri, fratelli e di tutti i compagni, e non gli importa nulla se le sue
sostanze vanno in rovina perché non se ne cura, anzi disprezza tutte le
consuetudini e le convenienze di cui si ornava prima d'allora ed è disposta a
servire l'amato e a giacere con lui ovunque gli sia concesso di stare il più
vicino possibile al suo desiderio; infatti, oltre a venerarlo, ha trovato in
colui che possiede la bellezza l'unico medico dei suoi più grandi travagli. A
questa passione cui si rivolge il mio discorso, o bel fanciullo, gli uomini
danno il nome di eros, gli dèi invece la chiamano in un modo che a sentirlo,
data la tua giovane età, ti metterai ragionevolmente a ridere. Alcuni Omeridi
citano due versi, credo presi da poemi segreti, riguardanti Eros, uno dei quali
è piuttosto insolente e non del tutto corretto come metro; essi suonano così :
I mortali lo chiamano Eros alato, gli immortali Pteros, ché fa crescere
l'ali.(37) A questi versi si può credere oppure non credere; non di meno la
causa e la sensazione di chi ama è proprio questa. Ora, se chi è stato colto da
Eros era uno dei seguaci di Zeus, riesce a sopportare con più fermezza il peso
del dio che trae il nome dalle ali; quelli che erano al servizio di Ares e
giravano il cielo assieme a lui, quando sono presi da Eros e pensano di subire
qualche torto dall'amato, sono sanguinari e pronti a sacrificare se stessi e il
proprio amore. Così ciascuno conduce la sua vita in base al dio del cui coro
era seguace, onorandolo e imitandolo per quanto gli è possibile, finché resta
incorrotto e vive la prima esistenza quaggiù, e in questo modo si accompagna e
ha relazione con gli amati e con le altre persone. Quindi ciascuno sceglie tra
i belli il suo Eros secondo il proprio carattere, e come fosse un dio gli
edifica una specie di statua e l'abbellisce per onorarla e tributarle riti. I
seguaci di Zeus cercano il loro amato in chi ha l'anima conforme al loro
dio:(38) pertanto guardano se per natura sia filosofo e atto al comando, e
quando l'hanno trovato e ne se sono innamorati, fanno di tutto affinché sia
effettivamente tale. E se prima non si erano impegnati in un'occupazione del
genere, da quel momento vi mettono mano e imparano da dove è loro possibile,
continuando poi anche da soli, e seguendo le tracce riescono a trovare per loro
conto la natura del proprio dio, perché sono stati intensamente costretti a
volgere lo sguardo verso di lui; e quando entrano in contatto con lui sono
presi da invasamento e tramite il ricordo ne assumono le abitudini e le
occupazioni, per quanto è possibile a un uomo partecipare della natura di un
dio. E poiché ne attribuiscono la causa all'amato, lo tengono ancora più caro,
e sebbene attingano da Zeus come le Baccanti,(39) riversando ciò che attingono
nell'anima dell'amato lo rendono il più possibile simile al loro dio. Coloro
che invece erano al seguito di Era cercano un'anima regale, e trovatala fanno
per lei esattamente le stesse cose. Quelli del seguito di Apollo e di ciascuno
degli altri dèi, procedendo secondo il loro dio, bramano che il proprio
fanciullo abbia un'uguale natura, e una volta che se lo sono procurato imitano
essi stessi il dio e con la persuasione e 11 Platone Fedro
l'ammaestramento portano l'amato ad assumere l'attività e la forma di quello,
ciascuno per quanto può; e lo fanno senza comportarsi nei confronti dell'amato
con gelosia o con rozza malevolenza, ma cercando di indurlo alla somiglianza
più completa possibile con se stessi e con il dio che onorano. Dunque l'ardore
e l'iniziazione di coloro che veramente amano, se ottengono ciò che desiderano
nel modo che dico, diventano così belle e felici per chi è amato, qualora venga
conquistato dall'amico che si trova in stato di mania per amore; e chi è
conquistato cede all'amore in questo modo. Come all'inizio dì questa narrazione
in forma di mito abbiamo diviso ciascuna anima in tre parti, due con forma di
cavallo, la terza con forma di auriga, questa distinzione resti per noi un
punto fermo anche adesso. Uno dei cavalli diciamo che è buono, l'altro no:
quale sia però la virtù di quello buono e il vizio di quello cattivo, non
l'abbiamo precisato, e ora bisogna dirlo. Dunque, quello tra i due che si trova
nella disposizione migliore è di forma eretta e ben strutturata, di collo alto
e narici adunche, bianco a vedersi, con gli occhi neri, amante dell'onore unito
a temperanza e pudore e compagno della fama veritiera, non ha bisogno di frusta
e si lascia guidare solo con lo stimolo e la parola; l'altro invece è storto,
grosso, mal conformato, di collo massiccio e corto, col naso schiacciato, il
pelo nero, gli occhi chiari e iniettati di sangue, compagno di tracotanza e
vanteria, dalle orecchie pelose, sordo, e cede a fatica alla frusta e agli
speroni. Quando dunque l'auriga, scorgendo la visione amorosa, prende calore in
tutta l'anima per la sensazione che prova ed è ricolmo di solletico e dei
pungoli del desiderio, il cavallo che obbedisce docilmente all'auriga, tenuto a
freno, allora come sempre, dal pudore, si trattiene dal balzare addosso
all'amato; l'altro invece non cura più né i pungoli dell'auriga né la frusta,
ma imbizzarrisce e si lancia al galoppo con violenza, e procurando ogni sorta
di molestie al compagno di giogo e all'auriga li costringe a dirigersi verso
l'amato e a rammentare la dolcezza dei piaceri d'amore. All'inizio essi si
oppongono sdegnati, al pensiero dì essere costretti ad azioni terribili e
inique; ma alla fine, quando non c'è più alcun limite al male, si lasciano
trascinare nel loro percorso, cedendo e acconsentendo a fare quanto viene loro
ordinato. Allora si fanno presso a lui e hanno la visione folgorante
dell'amato. Scorgendolo, la memoria dell'auriga è ricondotta alla natura della
bellezza, che vede di nuovo collocata su un casto piedistallo assieme alla
temperanza; a tale vista è colta da paura e per la reverenza che le porta cade
supina, e nello stesso tempo è costretta a tirare indietro le redini così forte
che entrambi i cavalli si piegano sulle cosce, l'uno, spontaneamente perché non
recalcitra, quello protervo decisamente contro voglia. Ritiratisi più lontano,
l'uno per vergogna e sbigottimento bagna tutta l'anima di sudore, l'altro,
cessato il dolore che gli veniva dal morso e dalla caduta, a fatica riprende
fiato e incomincia, pieno d'ira com'è, a ingiuriare, coprendo di male parole
l'auriga e il compagno di giogo perché per viltà e debolezza hanno abbandonato
il posto e l'accordo convenuto. E costringendoli di nuovo ad avanzare contro la
loro volontà a stento cede alle loro preghiere di rimandare a un'altra volta.
Quando poi è giunto il tempo stabilito ed essi fingono di non ricordarsene, lo
rammenta a loro con la forza, nitrendo e trascinandoli con sé, e li obbliga ad
accostarsi di nuovo all'amato per fare i medesimi discorsi; e quando sono vicini
tende la testa in avanti e rizza la coda, mordendo il freno, e li trascina con
impudenza. L'auriga, sentendo ancora più intensamente la stessa impressione di
prima, come respinto dalla fune al cancello di partenza, tira indietro ancora
più forte il morso dai denti del cavallo protervo, insanguina la lingua
maldicente e le mascelle e piegandogli a terra le gambe e le cosce lo dà in
preda ai dolori. Quando poi il cavallo malvagio, subendo la medesima cosa più
volte, desiste dalla sua tracotanza, umiliato segue ormai il proposito
dell'auriga, e quando vede il bel fanciullo, muore dalla paura; di conseguenza
accade che a questo punto l'anima dell'amante segua l'amato con pudicizia e
timore. Poiché dunque l'amato, come un essere pari agli dèi, è oggetto di ogni
venerazione da parte dell'amante che non simula, ma prova veramente questo
sentimento, ed è egli stesso per natura amico di chi lo venera, se anche in
precedenza fosse stato ingannato dalle persone che frequentava o da altre, le
quali sostenevano che è cosa turpe accostarsi a chi ama, e per questo motivo
avesse respinto l'amante, ora, col passare del tempo, l'età e la necessità lo
inducono ad ammetterlo alla sua compagnia; infatti non accade mai che un
malvagio sia amico di un malvagio, né che un buono non sia amico di un buono. E
dopo averlo ammesso presso di sé e avere accettato di parlare con lui e stare
in sua compagnia, la benevolenza dell'amante, manifestandosi da vicino,
colpisce l'amato, il quale si avvede che tutti gli altri amici e parenti non offrono
neppure una parte di amicizia a confronto dell'amico ispirato da un dio. Quando
poi questi continua a fare ciò nel tempo e si accompagna all'amato
incontrandolo nei ginnasi e negli altri luoghi di ritrovo, allora la fonte di
quei flusso che Zeus, innamorato di Ganimede, (40) chiamò flusso d'amore,
scorrendo in abbondanza verso l'amante dapprima penetra in lui, poi, quando ne
è ricolmo, scorre fuori; e come un soffio di vento o un'eco, rimbalzando da
corpi lisci e solidi, ritornano là dov'erano partiti, così il flusso della
bellezza ritorna al bel fanciullo attraverso gli occhi, e di qui per sua natura
arriva all'anima. Quando vi è giunto la incoraggia a volare, quindi irriga i
condotti delle ali e comincia a farle crescere, e così riempie d'amore anche
l'anima dell'amato. Pertanto egli ama, ma non sa che cosa; e neppure è a
conoscenza di cosa prova né è in grado di dirlo, ma come chi ha contratto una
malattia agli occhi da un altro non è in grado di spiegarne la causa, così egli
non si accorge di vedere se stesso nell'amante come in uno specchio. E in
presenza di questi, il suo dolore cessa esattamente come a lui, se invece è
assente allo stesso modo di lui desidera ed è desiderato, perché reca in sé una
sembianza d'amore che dell'amore è sostituto: però non lo chiama e non lo crede
amore, bensì amicizia. Più o meno come l'amante, ma in misura più debole,
desidera vederlo, toccarlo, baciarlo, giacere con lui; e com'è naturale, in
seguito non tarda a fare cio. Quando dunque giacciono insieme, il cavallo sfrenato
dell'amante ha di che dire all'auriga, e pretende di trarre un piccolo guadagno
in cambio di tante fatiche; invece quello dell'amato non ha nulla da dire, ma,
gonfio di desiderio e ancora incerto abbraccia e bacia l'amante,
manifestandogli affetto per la sua grande benevolenza. Così , nel momento in
cui si congiungono, non è più tale da rifiutare di compiacere da parte sua
l'amante, se viene pregato di soddisfare; ma il compagno di giogo assieme
all'auriga 12 Platone Fedro si oppone a ciò, obbedendo al pudore e
alla ragione. Se dunque prevalgono le parti migliori dell'animo, quelle che
guidano a un'esistenza ordinata e alla filosofia, essi trascorrono la vita di
quaggiù in modo beato e concorde, poiché sono padroni di sé e ben regolati,
avendo sottomesso ciò in cui nasce il male dell'anima e liberato ciò in cui
nasce la virtù; e alla fine, divenuti alati e leggeri, hanno vinto una delle
tre gare veramente olimpiche, di cui né la temperanza umana né la mania divina
possono fornire all'uomo un bene più grande.(41) Se invece seguono un genere di
vita piuttosto grossolano e privo di filosofia, ma ambizioso, forse, in stato
di ubriachezza o in qualche altro momento di negligenza, i loro due compagni di
giogo sfrenati, cogliendo le anime alla sprovvista e portandole nella stessa
direzione, possono compiere la scelta che tanti considerano la più beata e
mandarla ad effetto; e una volta che l'hanno mandata ad effetto, se ne
avvalgono anche in futuro, ma raramente, poiché fanno cose che non sono
approvate da tutta l'anima. Anche costoro vivono in amicizia reciproca, ma meno
di quelli, sia durante l'amore sia quando ne sono usciti, credendo di essersi
dati l'un l'altro e di aver ricevuto i più grandi pegni, che non è lecito
sciogliere perché ciò condurrebbe all'inimicizia. Al termine della vita escono
dal corpo senz'ali, ma col desiderio di metterle, cosicché riportano un premio
non piccolo della loro mania amorosa; infatti non è legge che coloro i quali
hanno già iniziato il cammino sotto la volta del cielo scendano di nuovo nella
tenebra e camminino sotto terra, bensì che trascorrano una vita luminosa e
felice compiendo il viaggio in compagnia reciproca, e che una volta rinati
rimettano le ali assieme per grazia dell'amore. Questi doni così grandi e così
divini, o fanciullo, ti darà l'amicizia da parte di un amante. Invece la
compagnia di chi non ama, mescolata con temperanza mortale, capace di
amministrare cose mortali e misere, dopo aver generato nell'anima amata una
bassezza lodata dal volgo come virtù, la farà girare priva di senno attorno
alla terra e sotto terra per novemila anni. Questa, caro Eros, per le nostre
facoltà, è la più bella e virtuosa palinodia che abbiamo potuto offrirti in
dono e in espiazione, costretta a causa di Fedro a essere pronunciata, oltre al
resto, anche con alcune parole poetiche. Ma tu concedi il perdono per le cose
di prima e serba gratitudine per queste, e, benevolo e propizio, non togliermi
e non storpiarmì per la collera l'arte amorosa che mi hai dato, anzi concedimi
di essere in onore tra i bei fanciulli ancor più di adesso. E se nel discorso
precedente io e Fedro abbiamo detto qualcosa che a te suona stonata,
attribuiscine la colpa a Lisia, che del discorso è padre, e fallo desistere da
simili prolusioni, volgendolo alla filosofia come si è volto suo fratello
Polemarco,(42) affinché anche questo suo amante non sia nel dubbio come ora, ma
dedichi senz'altro la sua vita ad Eros in compagnia di discorsi filosofici.
FEDRO: Mi unisco alla tua preghiera, Socrate: se questo è meglio per noi, che
avvenga. Da un pezzo ho ammirato il tuo discorso per quanto l'hai reso più
bello del precedente; quindi temo che Lisia mi appaia misero, quand'anche
voglia opporre ad esso un altro discorso. Recentemente infatti, mirabile amico,
un politico lo biasimava criticandolo proprio per questo, e in tutta la sua
critica lo chiamava logografo;(43) perciò forse si tratterrà per ambizione
dallo scrivercene un altro. SOCRATE: Ragazzo, la tua opinione è ridicola, e
quanto al tuo compagno sbagli di grosso, se credi che si spaventi così al
minimo rumore. Ma forse pensi che chi lo biasimava dicesse quello che ha detto
proprio per criticarlo. FEDRO: Così pareva, Socrate; del resto sei anche tu
conscio che coloro che nelle città hanno il massimo potere e la massima reverenza
si vergognano a scrivere discorsi e a lasciare propri scritti, temendo
l'opinione dei posteri, cioè di essere chiamati sofisti. SOCRATE: Ti sei
scordato, Fedro, che la dolce ansa ha preso il nome dalla lunga ansa del Nilo
(44) e oltre all'ansa dimentichi che gli uomini di governo piu assennati amano
tantissimo comporre discorsi e lasciare propri scritti, almeno quelli che,
quando scrivono un discorso, apprezzano a tal punto chi li loda da aggiungere
in testa per primi i nomi di quelli che li devono lodare in ogni singola
occasione. FEDRO: In che senso dici ciò? Non capisco. SOCRATE: Non capisci che
all'inizio del discorso di un uomo politico per primo viene scritto il nome di
chi lo loda! FEDRO: E come? SOCRATE: «Il consiglio ha deciso», dice più o meno,
ovvero «il popolo ha deciso», o entrambi, e ancora «il tale e il tal altro ha
detto» (e qui lo scrittore cita se stesso con grande reverenza e si fa
l'elogio). Poi si mette a parlare, mostrando a chi lo loda la sua abilità,
talvolta dopo aver composto uno scritto assai lungo. O ti pare che una cosa del
genere sia altro che un discorso scritto? FEDRO: Non mi pare proprio. SOCRATE:
Quindi, se il discorso regge, l'autore esce di scena tutto lieto; se invece
viene escluso e radiato dallo scrivere discorsi e dall'essere degno di
scriverli, piangono lui e i suoi compagni. FEDRO: E anche molto! SOCRATE: è
chiaro dunque che non disprezzano questa attività, ma l'ammirano. FEDRO:
Sicuro! SOCRATE: E allora? Quando un retore o un re è in grado di raggiungere
la potenza di Licurgo, di Solone o di Dario (45) e di diventare un logografo
immortale nella sua città, non si crede forse egli stesso pari agli dèi mentre
ancora vive, e i posteri non pensano di lui la stessa cosa, contemplando i suoi
scritti? FEDRO: Certamente! SOCRATE: Credi allora che uno di costoro, chiunque
sia e in qualunque modo sia ostile a Lisia, lo biasimi proprio perché scrive
discorsi? 13 Platone Fedro FEDRO: Non è verosimile, da ciò che
dici, poiché a quanto pare criticherebbe anche il proprio desiderio. SOCRATE:
Allora è chiaro a tutti che non è cosa turpe in sé lo scrivere discorsi. FEDRO:
Ma certo. SOCRATE: Ora però io ritengo turpe questo, il pronunciarli e
scriverli in modo non bello, ma riprovevole e disonesto. FEDRO: è chiaro.
SOCRATE: E allora qual è il modo di scriverli bene e quale il modo contrario?
Abbiamo bisogno, Fedro, di esaminare a questo proposito Lisia e chiunque altro
abbia mai composto o comporrà uno scritto sia pubblico sia privato, in versi
come un poeta o non in versi come un prosatore? FEDRO: Chiedi se ne abbiamo
bisogno? E per quale ragione uno, oserei dire, vivrebbe, se non per i piaceri
di questo tipo? Non certo per quelli per cui bisogna prima soffrire, altrimenti
non si prova godimento, come sono quasi tutti i piaceri del corpo, che per
questo motivo sono stati giustamente chiamati servili. SOCRATE: Tempo ne
abbiamo, a quanto pare. E poi mi sembra che in questa calura soffocante le
cicale, cantando sopra la nostra testa e discorrendo tra loro, guardino anche
noi. Se dunque vedessero che anche noi due, come fanno i più a mezzogiorno, non
discorriamo, ma sonnecchiamo e ci lasciamo incantare da loro per pigrizia della
mente, giustamente ci deriderebbero, considerandoci degli schiavi venuti da
loro per dormire in questo luogo di sosta come delle pecore che passano il
pomeriggio presso la fonte; se invece ci vedranno discorrere e navigare accanto
a loro come alle Sirene senza essere ammaliati, forse, prese da ammirazione, ci
daranno quel dono che per concessione degli dèi possono dare agli uomini.
FEDRO: E qual è questo dono che hanno? A quanto pare, non l'ho mai sentito.
SOCRATE: Non si addice davvero a un uomo amante delle Muse non averne mai
sentito parlare.(46) Si dice che un tempo le cicale erano uomini, di quelli
vissuti prima che nascessero le Muse; quando poi nacquero le Muse e comparve il
canto, alcuni di loro restarono così colpiti dal piacere che cantando non si
curarono più di cibo e bevanda e senza accorgersene morirono. Da loro in
seguito ebbe origine la stirpe delle cicale, che ricevette dalle Muse questo
dono, di non aver bisogno di nutrimento fin dalla nascita, ma di cominciare
subito a cantare senza cibo né bevanda fino alla morte, e di andare quindi
dalle Muse a riferire chi tra gli uomini di quaggiù le onora, e quale di esse
onora. A Tersicore riferiscono di quelli che l'hanno onorata nei cori,
rendendoli a lei più graditi, a Erato di chi l'ha onorata nei carmi d'amore, e
così per le altre, secondo l'onore che ha ciascuna. A Calliope, la più anziana,
e a Urania, che viene dopo di lei, riferiscono di quelli che trascorrono la
vita nella filosofia e onorano la loro musica, poiché esse, avendo cura del
cielo e dei discorsi divini e umani, emettono tra tutte le Muse la voce più
bella.(47) Per molte ragioni, quindi, a mezzogiorno bisogna parlare e non
dormire. FEDRO: E allora bisogna parlare. SOCRATE: Dobbiamo dunque esaminare
quello che ora ci siamo proposti, ossia come è bene pronunciare e scrivere un
discorso e come non lo è. FEDRO: è chiaro. SOCRATE: I discorsi che saranno
pronunciati in modo bello e decoroso non devono forse implicare che l'animo di
chi parla conosca il vero riguardo a ciò di cui intende parlare? FEDRO: A tal
proposito, caro Socrate, ho sentito dire questo: per chi vuole essere un retore
non c'è la necessità di apprendere ciò che è realmente giusto, ma ciò che
sembra giusto alla moltitudine che giudicherà, non ciò che è veramente buono o
bello, ma che sembrerà tale, poiché il convincere il prossimo viene da questo,
non dalla verità. SOCRATE: «Non parola da buttare»(48) dev'essere, Fedro, ciò
che dicono i sapienti, ma si deve esaminare se le loro affermazioni sono
valide. Anche per questo non bisogna lasciar cadere quanto ora è stato detto.
FEDRO: Hai ragione. SOCRATE: Esaminiamolo dunque in questo modo. FEDRO: Come?
SOCRATE: Se volessi persuaderti a difenderti dai nemici acquistando un cavallo,
ed entrambi non conoscessimo un cavallo, ma io per caso sapessi di te solo
questo, che Fedro reputa sia un cavallo quell'animale domestico che a orecchie
assai grandi... FEDRO: Sarebbe ridicolo, Socrate. SOCRATE: Non ancora. Ma lo
sarebbe nel caso che, per convincerti sul serio, componessi un discorso di
elogio dell'asino chiamandolo cavallo e sostenendo che tale bestia è
assolutamente degna di essere acquistata sia per uso domestico sia per le
spedizioni militari, utile per il combattimento in groppa, valente a portare
bagagli e vantaggiosa in molte altre cose. FEDRO: Allora sarebbe davvero
ridicolo. SOCRATE: E non è forse meglio essere ridicolo e amico piuttosto che
esperto e nemico? FEDRO: Così pare. SOCRATE: Pertanto, quando il retore che non
conosce il bene e il male inizia a persuadere una città che si trova nelle sue
stesse condizioni, facendo non l'elogio dell'ombra dell'asino come se fosse del
cavallo, ma l'elogio del male come se fosse il bene, e presa dimestichezza con
le opinioni della gente la persuade a operare il male anziché il bene, quale
frutto credi che mieterà in seguito la retorica da quello che ha seminato?
FEDRO: Sicuramente non buono. 14 Platone Fedro SOCRATE: Ma buon
amico, abbiamo forse svillaneggiato l'arte dei discorsi in modo più rozzo del
dovuto? Essa forse dirà: «Cosa mai andate cianciando, o mirabili uomini? Io non
costringo nessuno che non conosca il vero a imparare a parlare, ma, se il mio
consiglio vale qualcosa, a prendere me solo dopo aver acquisito quello. Questa
dunque è la cosa importante che vi voglio dire: senza di me, anche chi conosce
le cose come sono in realtà non saprà essere più persuasivo secondo arte».
FEDRO: E non dirà cose giuste, se parlasse così ? SOCRATE: Sì , se i discorsi
che si presentano le rendono testimonianza che è un'arte. In effetti mi sembra
di udire alcuni discorsi che vengono a testimoniare che essa mente e non è
un'arte, ma una pratica priva di arte. Un'autentica arte del dire senza il
tocco della verità, afferma lo Spartano,(49) non esiste né esisterà mai. FEDRO:
C'è bisogno di questi discorsi, Socrate: su, portali qui ed esamina cosa dicono
e in che modo. SOCRATE: Venite avanti, nobili rampolli, e persuadete Fedro dai
bei figli (50) che se non praticherà la filosofia in modo adeguato, non sarà
mai in grado di parlare di nulla. Fedro dunque risponda. FEDRO: Chiedete.
SOCRATE: La retorica, in generale, non è l'arte di guidare le anime per mezzo
di discorsi, non solo nei tribunali e in tutte le altre riunioni pubbliche, ma
anche in quelle private, la stessa sia nelle questioni piccole sia in quelle
grandi, e non è affatto di maggior pregio, almeno quando è retta, nelle cose
serie che in quelle di poco conto? O come hai sentito parlare in proposito?
FEDRO: No, per Zeus, assolutamente non così , ma soprattutto nei processi si
parla e si scrive con arte, come pure nelle assemblee pubbliche. Non possiedo
informazioni più ampie. SOCRATE: Ma allora, a proposito dei discorsi, hai
sentito parlare solo delle arti di Nestore e Odisseo, che hanno messo per
iscritto a Ilio nei periodi di tregua, e non di quelle di Palamede? (51) FEDRO:
Per Zeus, neanche di quelle di Nestore, a meno che tu non faccia di Gorgia un
Nestore, o di Trasimaco e Teodoro un Odisseo.(52) SOCRATE: Forse. Ma lasciamo
perdere costoro. Tu dimmi piuttosto: nei tribunali gli avversari cosa fanno?
Non fanno affermazioni tra loro contrastanti? O cosa diremo? FEDRO: Proprio
questo. SOCRATE: Riguardo al giusto e all'ingiusto? FEDRO: Sì . SOCRATE:
Allora, chi opera in questo modo con arte, farà apparire la stessa cosa alle
stesse persone ora giusta, ora, quando lo voglia, ingiusta? FEDRO: Come no?
SOCRATE: E in un'assemblea popolare farà sembrare alla città le stesse cose ora
buone, ora, al contrario, cattive? FEDRO: è così . SOCRATE: E non sappiamo che
il Palamede di Elea (53) parlava con un'arte tale da far apparire agli
ascoltatori le stesse cose simili e dissimili, una e molte, ferme e in
movimento? FEDRO: Ma certo! SOCRATE: Dunque l'arte del contraddire non si trova
solo nei tribunali e nell'assemblea popolare, ma a quanto pare in tutto ciò che
si dice ci sarebbe questa sola arte, se mai la è veramente, con la quale uno
sarà capace di rendere ogni cosa simile a ogni altra in tutti i casi possibili
e per quanto è possibile, e di mettere in luce quando un altro fa la stessa
cosa e lo nasconde. FEDRO: In che senso dici una cosa del genere? 5OCRATE Se
cerchiamo in questo modo credo che ci apparirà evidente. L'inganno si verifica
di più nelle cose che differiscono di molto o in quelle che differiscono di
pOco? FEDRO: In quelle che differiscono di poco. SOCRATE: Ma è più facile che
non ti accorga di essere arrivato all'opposto se ti sposti poco per volta che se
ti sposti a grandi passi. FEDRO: Come no? SOCRATE: Dunque chi ha intenzione di
ingannare un altro senza essere ingannato a sua volta deve distinguere con
precisione la somiglianza e la dissomiglianza degli esseri. FEDRO: è
necessario. SOCRATE: Ma se ignora la verità di ciascuna cosa, sarà mai in grado
di discernere la somiglianza dì ciò che ignora, piccola o grande che sia, con
le altre cose? FEDRO: Impossibile. SOCRATE: Dunque, in coloro che hanno
opinioni contrarie alla realtà degli esseri e si ingannano, è chiaro che questa
impressione si insinua attraverso certe somiglianze. FEDRO: Accade proprio così
. SOCRATE: è possibile allora che uno possieda l'arte di spostare poco a poco
la realtà di un essere attraverso le somiglianze, conducendolo ogni volta da
ciò che è al suo contrario, o viceversa di evitare questo, se non ha cognizione
di cosa sia ciascun essere? FEDRO: Non sarà mai possibile. SOCRATE: Dunque,
amico, colui che non conosce la verità, ma è andato a caccia di opinioni, ci
offrirà un'arte dei discorsi ridicola, a quanto pare, e priva di arte. FEDRO:
Pare di sì . 15 Platone Fedro SOCRATE: Vuoi dunque vedere, nel
discorso di Lisia che porti e in quelli che noi abbiamo fatto, qualcuna delle
cose che definiamo prive di arte e conformi all'arte? FEDRO: Più d'ogni altra
cosa, poiché ora noi parliamo in certo qual modo a vuoto, non avendo esempi
adeguati. SOCRATE: E per un caso fortunato, a quanto pare, sono stati
pronunciati due discorsi che recano un esempio di come chi conosce il vero,
giocando con le parole, possa condurre fuori strada gli ascoltatori. Ed io,
Fedro, ne attribuisco la causa agli dèi del luogo; ma forse anche le profetesse
delle Muse, che cantano sopra la nostra testa, possono averci ispirato questo
dono, poiché io non sono certo partecipe di una qualche arte del dire. FEDRO:
Sia come dici tu. Solo spiega ciò che affermi. SOCRATE: Su, leggimi l'inizio
del discorso di Lisia. FEDRO: «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai
udito che ritengo sia per noi utile che queste cose accadano; ma non stimo
giusto non poter ottenere ciò che chiedo perché non mi trovo a essere tuo
amante. Gli innamorati si pentono...» SOCRATE: Fermati. Bisogna dire in che
cosa costui sbaglia e opera senz'arte, non è vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Non è
forse evidente per chiunque almeno questo, che siamo d'accordo su alcune di
queste cose, in disaccordo su altre? FEDRO: Mi sembra di capire il tuo
pensiero, ma esprimilo ancora più chiaramente. SOCRATE: Quando uno dice la
parola "ferro" o "argento", non intendiamo forse tutti la
stessa cosa? FEDRO: Certo! SOCRATE: E quando si tratta dei termini
"giusto" e "bene"? Non siamo portati chi in una direzione,
chi in un'altra, e siamo in conflitto gli uni con gli altri e persino con noi
stessi? FEDRO: Proprio così ! SOCRATE: Dunque concordiamo su alcune cose, su
altre no. FEDRO: è così . SOCRATE: In quale dei due campi siamo più facilmente
ingannabili e la retorica ha maggior potere? FEDRO: Quello in cui vaghiamo
nell'incertezza, è evidente. SOCRATE: Pertanto chi si accinge a praticare la
retorica deve innanzitutto aver distinto con metodo queste cose e aver colto un
carattere peculiare di entrambe le forme, quella in cui è inevitabile che la
gente vaghi nell'incertezza e quella in cui non lo è. FEDRO: Chi avesse colto
questo, Socrate, avrebbe compreso un'idea davvero bella. SOCRATE: Inoltre credo
che, nell'occuparsi di ciascuna cosa, non debba lasciarsi sfuggire, ma debba
percepire con acutezza a quale delle due specie appartiene ciò di cui intende
parlare. FEDRO: Come no? SOCRATE: E allora? Dobbiamo dire che l'amore
appartiene alle questioni controverse oppure no? FEDRO: Alle questioni
controverse, non c'è dubbio. O credi che ti sarebbe stato possibile dire quello
che poco fa hai detto su di lui, ossia che è un danno sia per l'amato sia
l'amante, e al contrario che è il più grande dei beni? SOCRATE: Parli in modo
eccellente; ma dimmi anche questo, giacché io a causa dell'invasamento non lo
ricordo troppo bene: se all'inizio del discorso ho dato una definizione
dell'amore. FEDRO: Sì , per Zeus, in modo davvero insuperabile. SOCRATE: Ahimè,
quanto sono più esperte nei discorsi, a quel che dici, dici, le Ninfe
dell'Acheloo e Pan figlio di Ermes rispetto a Lisia figlio di Cefalo! Può darsi
che dica una sciocchezza, ma Lisia, cominciando il suo discorso sull'amore, non
ci ha costretto a concepire Eros come una certa realtà unica che voleva lui, e
in relazione a questo ha composto e condotto a termine tutto il discorso
seguente? Vuoi che rileggiamo il suo inizio? FEDRO: Se ti sembra il caso.
Tuttavia ciò che cerchi non è lì . SOCRATE: Parla, in modo che ascolti proprio
lui. FEDRO: «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia
utile per noi che queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere
ciò che chiedo, perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si
pentono dei benefici che hanno fatto, allorquando cessa la loro passione...».
SOCRATE: Sembra che costui sia ben lungi dal fare ciò che cerchiamo, se mette
mano al discorso non dall'inizio ma dalle fine, nuotando supino all'indietro, e
prende le mosse da ciò che l'amante direbbe al suo amato quando ormai ha smesso
di amarlo. Oppure ho detto una sciocchezza, Fedro, mia testa cara? FEDRO: è
certamente la fine, Socrate, quella intorno a cui compone il discorso. SOCRATE:
E il resto? Non ti pare che le parti del discorso siano state buttate lì alla
rinfusa? O ciò che è stato detto per secondo risulta che per una qualche
necessità doveva essere messo per secondo piuttosto che un altro degli
argomenti trattati? A me, che non so nulla, è sembrato che lo scrittore abbia
detto in maniera non rozza ciò che gli veniva in mente; e tu sei a conoscenza
di una qualche arte di scrivere discorsi, in base alla quale lui ha disposto
questi argomenti così di seguito, uno dopo l'altro? FEDRO: Sei troppo buono, se
credi che io sia in grado di vedere nelle sue parole in modo così preciso!
SOCRATE: Ma penso che tu possa dire almeno questo, che ogni discorso dev'essere
costituito come un essere vivente e avere un corpo suo proprio, così da non
essere senza testa e senza piedi, ma da avere le parti di mezzo e quelle
estreme scritte in modo che si adattino le une alle altre e al tutto. FEDRO:
Come no? 16 Platone Fedro SOCRATE: Esamina dunque il discorso del
tuo compagno, se è composto così o in altro modo, e troverai che non differisce
in nulla dall'epigramma che secondo alcuni è stato scritto sulla tomba di Mida
il Frigio.(54) FEDRO: Qual è questo epigramma, e cos'ha di particolare?
SOCRATE: è questo qui: Vergine bronzea sono, e sto sull'avello di Mida. Fin che
l'acqua scorra e alberi grandi verdeggino, stando qui sulla tomba di molte
lacrime aspersa, annuncerò a chi passa che Mida qui è sepolto. Capisci
senz'altro, come credo, che non c'è alcuna differenza se un verso viene recitato
per primo o per ultimo. FEDRO: Tu ti fai beffe del nostro discorso, Socrate!
SOCRATE: Allora lasciamolo perdere, così non ti crucci (eppure mi sembra che
contenga parecchi esempi ai quali gioverebbe porre attenzione, cercando di non
imitarli in alcun modo); e passiamo agli altri due discorsi. In essi, mi
sembra, c'era qualcosa che per chi vuole fare indagini sui discorsi è
conveniente esaminare. FEDRO: A che cosa alludi? SOCRATE: In qualche modo erano
opposti: uno diceva che si deve compiacere chi ama, l'altro chi non ama. FEDRO:
E con molto vigore! SOCRATE: Pensavo che tu avresti detto il vero, cioè con
mania: ciò che cercavo è appunto questo. Abbiamo detto infatti che l'amore è
una forma di mania. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: E che ci sono due forme di
mania, una che nasce da malattie umane, l'altra che nasce da un mutamento
divino delle consuete abitudini. FEDRO: Giusto. SOCRATE: Distinguendo quattro
parti di quella divina in relazione a quattro dèi, abbiamo attribuito
l'ispirazione mantica ad Apollo, quella iniziatica a Dioniso, quella poetica
alle Muse, la quarta ad Afrodite ed Eros, e abbiamo detto che la mania amorosa
è la migliore. E non so come, rappresentando con immagini la passione amorosa,
forse toccando da un lato un che di vero, dall'altro uscendo un po' di strada,
abbiamo composto un discorso non del tutto incapace di persuadere e abbiamo
levato quasi per gioco, con parole misurate e pie, un inno in forma di mito in
onore di Eros, mio e tuo signore, Fedro, e protettore dei bei giovani. FEDRO: E
almeno per me, un discorso davvero non spiacevole da ascoltare! SOCRATE:
Prendiamo dunque in esame solo questo, come il discorso sia potuto passare dal
biasimo alla lode. FEDRO: Cosa intendi dire con ciò? SOCRATE: A me pare che il
resto sia stato fatto realmente per gioco; ma in alcune di queste cose dette a
caso ci sono due procedimenti di cui non sarebbe spiacevole se si riuscisse a
coglierne con arte la potenza. FEDRO: Quali? SOCRATE: Il primo consiste nel
ricondurre le cose disperse in molteplici modi a un'unica idea cogliendole in
uno sguardo d'insieme, così da definirle una per una e da chiarire ciò su cui
si vuole di volta in volta insegnare. Per esempio, nel discorso fatto poco fa
su Eros, una volta definito ciò che è, a prescindere se sia stato detto bene o
male, è appunto grazie a questa definizione che il discorso ha acquistato
chiarezza e coerenza interna. FEDRO: E dell'altro procedimento cosa dici,
SOcrate? SOCRATE: Esso consiste, al contrario, nel saper dividere secondo le
idee in base alle loro articolazioni naturali, senza cercar di spezzare alcuna
parte, alla maniera di un cattivo macellaio; ma come i due discorsi di poco fa
concepivano la dissennatezza dell'animo come un'idea unica in comune, e come da
un corpo unico hanno origine membra doppie dallo stesso nome, chiamate destra e
sinistra, così i due discorsi hanno considerato anche la componente della
follia come un'idea per sua natura unica in noi: il primo discorso, tagliando
la parte di sinistra, e poi tagliandola ancora, non ha smesso prima di aver
trovato in queste divisioni un certo qual amore chiamato sinistro e di averlo a
buon diritto biasimato; l'altro discorso invece ci ha condotto nella parte
destra della mania e vi ha trovato un amore che ha lo stesso nome dell'altro,
ma è divino, e dopo aavercelo posto innanzi lo ha elogiato come la causa dei
nostri più grandi beni. FEDRO: Dici cose verissime. SOCRATE: Io, Fedro, sono
amante di questi procedimenti, delle divisioni e delle unificazioni, al fine di
essere in grado di parlare e di pensare; e se ritengo che qualcun altro sia per
sua natura capace di guardare all'uno e ai molti, lo seguo «tenendo dietro alle
sue orme come a quelle di un dio». E quelli che appunto sono in grado di fare
ciò, lo sa un dio se la mia definizione è giusta o meno, fino a questo momento
li chiamo dialettici. Quelli che invece hanno appreso da te e da Lisia ciò di
cui si è discusso ora, dimmi tu come conviene chiamarli: o è proprio questa
l'arte dei discorsi, grazie alla quale Trasimaco e gli altri sono diventati
abili a parlare essi stessi e rendono tali gli altri, che vogliono coprirli di
doni come dei re? FEDRO: Sono uomini regali, sì , ma non esperti delle cose che
chiedi. Ma mi pare che tu dia il nome giusto a questo metodo, chiamandolo
dialettico; quello della retorica invece pare ci sfugga ancora. SOCRATE: Come
dici? Potrebbe forse esserci qualcosa di bello, che anche senza questi
procedimenti si apprende lo stesso con arte? Né io né tu dobbiamo assolutamente
disprezzarlo, ma dobbiamo appunto precisare che cos'è ciò che rimane della
retorica. FEDRO: Rimangono moltissime cose, Socrate, almeno quelle che si
trovano nei libri scritti sull'arte del dire. 17 Platone Fedro
SOCRATE: Hai fatto bene a ricordarmelo. Per primo, credo, all'inizio del discorso
dev'essere pronunciato il proemio; sono queste che chiami le finezze dell'arte,
non è vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Al secondo posto viene una narrazione seguita
da testimonianze, al terzo le argomentazioni, al quarto le verosimiglianze. Poi
vengono la conferma e la riconferma, così almeno credo che dica l'eccellente
uomo di Bisanzio, il Dedalo dei discorsi. FEDRO: Vuoi dire il valente Teodoro?
SOCRATE: Come no? E poi sia nell'accusa sia nella difesa vanno fatte una
confutazione e una controconfutazione. E non tiriamo in ballo il bellissimo
Eveno di Paro, che per primo trovò l'insinuazione e gli elogi indiretti; (55)
alcuni sostengono che pronunciasse persino dei biasimi indiretti in poesia per
esercitare la memoria (in effetti era un uomo abile). E lasceremo riposare
Tisia e Gorgì a,(56) i quali videro come il verosimile sia da tenere in conto
più del vero e con la forza del discorso fanno apparire grande ciò che è
piccolo e piccolo ciò che è grande, vecchio ciò che è nuovo e al contrario
nuovo ciò che è vecchio, e scoprirono la brevità dei discorsi e le prolissità
infinite su ogni sorta di argomento? Una volta Prodico,(57) sentendo da me
queste cose, scoppiò a ridere, e sostenne di aver scoperto lui solo i discorsi
di cui l'arte abbisogna: né lunghi né brevi, ma misurati. FEDRO: Parole molto
sagge, o Prodico. SOCRATE: E non menzioniamo Ippia? Credo che anche l'ospite
eleo voterebbe con lui.(58) FEDRO: Perché no? SOCRATE: E come parleremo dei
Templi alle Muse dei discorsi innalzati da Polo, ad esempio la ripetizione o il
parlare per sentenze e per immagini, e dei Templi alle Muse dei nomi di cui
Licimnio gli fece dono per la composizione del bello stile?(59) FEDRO: E le
opere di Protagora,(60) Socrate, non erano più o meno di questo tipo? SOCRATE:
Una certa Correttezza dello stile, ragazzo, e molte altre belle cose. Ma quanto
ai discorsi strappalacrime sfoderati per la vecchiaia e la povertà, mi pare che
l'abbia vinta per arte la potenza del Calcedonio, uomo d'altronde straordinario
nel suscitare la collera nella gente e poi nell'ammansire chi aveva fatto
adirare incantandolo, come soleva dire, e potentissimo nel lanciare e
sciogliere calunnie in ogni modo. Sembra poi che ci sia comune accordo tra
tutti sulla conclusione dei discorsi, alla quale alcuni danno il nome di
riepilogo, altri un altro nome. FEDRO: Intendi il ricordare per sommi capi agli
ascoltatori, alla fine del discorso, ciascuno degli argomenti trattati?
SOCRATE: Intendo questo, e se tu hai qualcos'altro da aggiungere sull'arte dei
discorsi... FEDRO: Cose da poco, che non vale la pena di dire. SOCRATE:
Lasciamo perdere le cose di poco conto, e vediamo piuttosto in piena luce quale
potenza dell'arte hanno le cose di cui abbiamo parlato, e quando. FEDRO: Una
potenza davvero forte, SOcrate, almeno nelle adunanze del popolo. SOCRATE:
Infatti l'hanno. Ma guarda anche tu, o esimio, se la loro trama non sembra
anche te, come a me, slegata. FEDRO: Purché tu lo dimostri. SOCRATE: Allora
dimmi: se uno si presentasse al tuo compagno Erissimaco o a suo padre Acumeno e
dicesse loro: «Io so somministrare ai corpi farmaci tali da riscaldarli e
raffreddarli, se lo voglio, e se mi pare il caso tali da farli vomitare e
persino evacuare, e moltissime altre cose del genere. E dal momento che ho
queste conoscenze sono convinto di essere un medico e di far diventare medico
un altro a cui comunico la scienza di queste cose», cosa credi che direbbero
dopo averlo ascoltato? FEDRO: Cos'altro se non chiedergli se sa anche a chi e
quando bisogna fare ciascuna di queste cose, e in quale misura? SOCRATE: E se
allora rispondesse: «Non lo so affatto: ma sono convinto che chi ha appreso
queste conoscenze da me sia a sua volta in grado di fare ciò che chiedi»?
FEDRO: Direbbero, credo, che quell'uomo è pazzo, e che crede di essere
diventato un medico per aver sentito qualcosa da qualche libro o per aver usato
casualmente dei farmaci, senza avere alcuna conoscenza dell'arte. SOCRATE: E se
uno si presentasse a Sofocle e ad Euripide dicendo che sa comporre discorsi
lunghissimi su un argomento piccolo e piccolissimi su un argomento grande,
commoventi, quando lo vuole, e al contrario spaventevoli e minacciosi, e tante
altre cose del genere, e che insegnando ciò crede di trasmettere il modo di
comporre una tragedia? FEDRO: Credo che anche costoro, Socrate, riderebbero se
uno pensa che la tragedia sia altra cosa che l'unione di questi elementi ben
connessi tra loro e accordati con il tutto. SOCRATE: Però non lo
rimprovererebbero con villania, credo, ma come un musico, se incontrasse un
uomo che crede di essere esperto nell'armonia, perché il caso vuole che sappia
come si fa a produrre il suono più acuto e quello più grave, non gli direbbe
villanamente: «Disgraziato, tu sei pazzo!», ma in quanto musico gli direbbe, in
modo più affabile: «Carissimo, chi vuole essere un esperto di armonia è
necessario che conosca anche questo, tuttavia nulla vieta che chi ha le tue
capacità non sappia neppure un poco di armonia; tu infatti conosci le nozioni
necessarie e preliminari dell'armonia, non come si produce l'armonia». FEDRO:
Giustissimo. SOCRATE: Allora anche Sofocle direbbe a chi si esibisse di fronte
a loro che conosce i preliminari dell'arte tragica ma non il modo di comporre
una tragedia, e Acumeno direbbe all'altro che conosce i preliminari della
medicina, non la scienza medica. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: E cosa pensiamo
che direbbero Adrasto voce di miele o Pericle, (61) se sentissero parlare degli
accorgimenti che abbiamo elencato poco fa, cioè parlare conciso, parlare per
immagini e tutte le altre cose che abbiamo 18 Platone Fedro scorso
affermando che erano da esaminare in piena luce? Forse per villania, come
abbiamo fatto io e te, si rivolgerebbero con parole aspre e rudi a chi ha
scritto queste cose e le insegna spacciandole per retorica, oppure, essendo più
saggi di noi, ci lascerebbero di stucco dicendo: «Fedro e Socrate, non bisogna
essere aspri, ma indulgenti, se alcuni, non essendo a conoscenza della
dialettica, non hanno saputo definire cosa mai sia la retorica e in conseguenza
di questa condizione, possedendo le nozioni necessarie e preliminari dell'arte,
hanno creduto di averla scoperta; e impartendo queste nozioni ad altri
ritengono di averli istruiti compiutamente nella retorica e presumono che i
loro discepoli debbano procurarsi da sé nei discorsi la capacità di esporre
ciascuna di queste cose in maniera convincente e di collegare tutto l'insieme,
come se fosse opera da nulla!». FEDRO: Ma può anche darsi, Socrate, che sia
proprio un qualcosa del genere cio che concerne l'arte che questi uomini insegnano
e presentano per iscritto come retorica, e mi sembra che tu abbia detto il
vero; ma allora come e dove ci si può procurare l'arte di colui che è veramente
esperto di retorica e persuasivo? SOCRATE: Riuscire a diventare un perfetto
campione della retorica, è naturale, Fedro, e forse anche necessario, che sia
come negli altri campi: se per natura sei portato alla retorica, sarai un
retore famoso, a patto d'aggiungervi scienza ed esercizio; ma se manchi di una
di queste qualità, resterai imperfetto. Quanto poi all'arte connessa a ciò, non
mi sembra che il metodo proceda nella direzione in cui vanno Lisia e Trasimaco.
FEDRO: Qual è il metodo, allora? SOCRATE: Si dà il caso, carissimo, che Pericle
sia stato probabilmente il più perfetto di tutti nella retorica. FEDRO: Perché?
SOCRATE: Tutte le grandi arti hanno bisogno di sottigliezza e di discorsi
celesti sulla natura, poiché questa elevatezza di pensiero e questa capacità di
condurre tutto ad effetto sembrano provenire in qualche modo da qui. E Pericle,
oltre alla buona disposizione naturale, si acquistò anche questo: imbattutosi,
credo, in Anassagora,(62) uomo di tal fatta, si riempì di discorsi celesti e
giunse alla natura dell'intelletto e della ragione, argomenti intorno ai quali
Anassagora si diffondeva ampiamente, e da qui ricavò quello che era utile per
l'arte dei discorsi. FEDRO: In che senso dici ciò? SOCRATE: Il modo di
procedere dell'arte medica è lo stesso della retorica. FEDRO: E come? SOCRATE:
In entrambe bisogna dividere una natura, in una quella del corpo, nell'altra
quella dell'anima, se tu, non solo per esercizio e in modo empirico, ma con
arte, vuoi procurare all'uno salute e vigore somministrandogli medicine e
nutrimento, e trasmettere all'altra la convinzione che desidera e la virtù offrendole
discorsi e occupazioni rispettose delle leggi. FEDRO: è verosimile che sia così
, Socrate. SOCRATE: Ritieni dunque che sia possibile comprendere la natura
dell'anima in modo degno di menzione senza conoscere la natura dell'insieme?
FEDRO: Se si deve dare qualche credito a Ippocrate, che è degli Asclepiadi,(63)
senza questo metodo non è possibile neanche comprendere la natura del corpo.
SOCRATE: E dice bene, amico; tuttavia bisogna confrontare il discorso con
quanto afferma Ippocrate ed esaminare se si accorda. FEDRO: Certamente.
SOCRATE: Allora esamina cosa dicono sulla natura Ippocrate e il discorso vero.
Non bisogna forse ragionare così riguardo alla natura di qualsiasi cosa?
Innanzitutto si deve considerare se ciò in cui vorremo essere esperti noi
stessi e in grado di rendere tale un altro sia semplice o multiforme; poi, se è
semplice, si deve esaminare quale potenza ha per sua natura nell'agire e su che
cosa la esercita, o quale potenza ha nel subire e da che cosa la subisce, se
invece ha più forme bisogna enumerarle e vedere per ciascuna di esse ciò che si
vede per un'unità, cioè in virtù di che cosa è portata per sua natura ad agire
e su che cosa, o in virtù di che cosa a subire, che cosa e da che cosa. FEDRO:
Può essere, Socrate. SOCRATE: Dunque il metodo privo di questi procedimenti
somiglierebbe all'andare di un cieco. Chi invece persegue con arte una
qualsiasi cosa non è da rassomigliare a un cieco o a un sordo, ma è chiaro che,
se uno vuol trasmettere ad altri discorsi fatti con arte, dimostrerà
puntualmente l'essenza della natura di ciò a cui rivolgerà i suoi discorsi; e
questo sarà in qualche modo l'anima. FEDRO: Come no? SOCRATE: Perciò tutto il
suo sforzo è teso a questo, poiché in questo cerca di produrre persuasione. O
no? FEDRO: Sì . SOCRATE: è chiaro dunque che Trasimaco e chiunque altro offra
seriamente l'arte della retorica, innanzitutto descriverà e farà vedere con la
massima precisione l'anima, se per sua natura è una e tutta uguale o multiforme
come l'aspetto del corpo; diciamo infatti che questo è dimostrare la natura di
una cosa. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: In secondo luogo, in virtù di che cosa
è per sua natura portata ad agire, e su cosa, o in virtù di che cosa è portata
a subire, e da che cosa. FEDRO: Come no? SOCRATE: In terzo luogo, classificati
i generi dei discorsi e dell'anima e le loro proprietà, passerà in rassegna
tutte le cause, adattando ciascun genere di discorso a ciascun genere di anima
e insegnando quale anima, da quali discorsi e per quale causa viene di necessità
persuasa, quale invece non viene persuasa. 19 Platone Fedro FEDRO:
Sarebbe bellissimo se fosse così , a quanto pare! SOCRATE: Pertanto, caro, ciò
che verrà dimostrato o detto in altro modo non sarà mai detto o scritto con
arte, né su questo né su un altro argomento. Ma quelli che oggi scrivono le
arti dei discorsi che tu hai ascoltato sono scaltri, e pur conoscendo molto
bene l'anima sono portati a dissimulare; perciò, prima che parlino e scrivano
in questo modo, non lasciamoci convincere da loro, credendo che scrivano con
arte. FEDRO: Qual è questo modo? SOCRATE: Già usare le espressioni appropriate
non è cosa facile; ma per quanto mi è possibile voglio dirti come bisogna
scrivere, se si intende farlo con arte. FEDRO: Dillo dunque. SOCRATE: Poiché la
forza del discorso sta nella guida delle anime, chi vuole essere esperto di
retorica è necessario che sappia quante forme ha l'anima. Esse sono tantissime
e di svariate qualità, e di conseguenza alcuni uomini sono di un certo tipo,
altri di un altro; e dato che le forme dell'anima risultano così divise, a loro
volta sono tantissime anche le forme dei discorsi, ciascuna di tipo diverso.
Per questo motivo gli uomini di un certo tipo si lasciano facilmente persuadere
da discorsi di un certo tipo su determinati argomenti, mentre gli uomini di un
altro tipo, sempre per questo motivo, sono difficili da persuadere. Perciò chi
vuole diventare retore deve innanzitutto tenere in adeguata considerazione
queste cose, poi, osservando il loro modo di essere e di operare all'atto
pratico, dev'essere in grado di seguirle acutamente con le sue facoltà
intellettive, altrimenti non avrà mai niente più dei discorsi che ascoltava
quando frequentava un maestro. E quando sappia dire in modo adeguato quale
genere di uomo viene persuaso e da quali discorsi, e sia in grado di accorgersi
della sua presenza e di provare a se stesso che si tratta di quell'uomo e di
quella natura sulla quale vertevano a suo tempo i discorsi, e poiché ora è di
fatto presente deve riferirle questi discorsi nella maniera prevista, per
persuaderla di determinate cose, una volta che dunque sia in possesso di tutti
questi requisiti, sappia cogliere i momenti giusti in cui bisogna parlare e
quelli in cui bisogna trattenersi e sappia discernere l'opportunità e l'inopportunità
del parlare conciso, commovente o indignato e di tutte le altre forme di
discorso che ha appreso, allora l'arte è realizzata in modo bello e compiuto,
prima no. Ma se uno manca di una qualsiasi di queste cose quando parla, insegna
o scrive, e afferma di parlare con arte, vince chi non si lascia persuadere. «E
allora?», dirà forse il nostro scrittore. «Fedro e Socrate, la pensate così?
Dobbiamo forse definire in altro modo l'arte che è detta dei discorsi?». FEDRO:
è impossibile in altro modo, Socrate; eppure sembra un lavoro non da poco.
SOCRATE: Hai ragione. Proprio per questo bisogna rivoltare tutti i discorsi
sottosopra ed esaminare se da qualche parte appare una via più facile e più
breve per giungere ad essa, così da non procedere inutilmente per una via lunga
e aspra, quando è possibile percorrerne una corta e liscia. Ma se hai da
qualche parte un aiuto, per averlo ascoltato da Lisia o da qualcun altro, cerca
di richiamarlo alla memoria e di dirlo. FEDRO: Così , per fare una prova,
potrei, ma non me la sento, almeno adesso. SOCRATE: Vuoi dunque che io
riferisca un discorso che ho ascoltato da alcuni che si occupano di queste
cose? FEDRO: Perché no? SOCRATE: D'altronde, Fedro, si dice che è giusto
riferire anche le ragioni del lupo. FEDRO: Allora fa' così anche tu. SOCRATE:
Dunque, essi sostengono che non si devono magnificare e levare così in alto
queste cose, con tanti giri di parole; infatti, come abbiamo detto anche
all'inizio del discorso, chi intende essere sufficientemente esperto nella retorica
non deve certo partecipare della verità circa questioni giuste e buone, o
uomini tali per natura o per educazione, poiché nei tribunali non importa
proprio niente a nessuno della verità su queste cose, ma importa solo ciò ch'è
atto a persuadere: è il verosimile, a cui si deve applicare chi intende parlare
con arte. Talvolta infatti non bisogna neanche esporre i fatti, a meno che non
si siano svolti in maniera verosimile, ma solo quelli verosimili, sia
nell'accusa sia nella difesa, e in genere chi parla deve seguire il verosimile,
dopo aver detto tanti saluti alla verità; poiché è appunto questo che, se
percorre l'intero discorso, procura tutta quanta l'arte. FEDRO: Hai esposto,
Socrate, proprio le ragioni che adducono quelli che danno a vedere di essere
esperti nell'arte dei discorsi; mi sono ricordato che già in precedenza abbiamo
toccato brevemente tale argomento, e sembra che ciò sia di enorme importanza
per chi si occupa di queste cose. SOCRATE: Sicuramente hai studiato con
precisione proprio Tisia: quindi Tisia ci dica anche questo, se per verosimile
intende qualcosa di diverso da ciò che sembra ai più. FEDRO: E che altro?
SOCRATE: E avendo fatto questa scoperta, a quanto pare, di saggezza e d'arte
insieme, ha scritto che se un uomo debole e coraggioso, che ha percosso un uomo
forte e vile e gli ha portato via il mantello o qualcos'altro, viene condotto
in tribunale, nessuno dei due deve dire la verità, ma il vile deve asserire di
non essere stato percosso dal solo uomo coraggioso, questi deve confutare ciò
ribattendo che erano loro due soli, e servirsi del seguente argomento: «Come
avrei potuto io, data la mia condizione, mettere le mani addosso a una persona
come lui?». L'altro non ammetterà la propria viltà, ma cercando di dire qualche
altra menzogna offrirà subito materia di confutazione all'avversario. E anche
negli altri campi le cose dette con arte sono più o meno di questo genere. Non
è così , Fedro? FEDRO: Come no? SOCRATE: Ahimè, sembra che abbia fatto la
scoperta davvero sensazionale di un'arte nascosta, Tisia o chiunque altro sia e
da qualunque luogo si compiaccia di trarre il nome! Ma a costui, amico,
dobbiamo dire o no... FEDRO: Cosa? 20 Platone Fedro SOCRATE:
Questo: «O Tisia, da tempo noi, prima ancora che tu venissi qui, ci trovavamo a
dire che questo verosimile viene a nascere nei più per somiglianza col vero; e
poco fa abbiamo spiegato che chi conosce la verità sa scoprire benissimo le
somiglianze. Perciò, se hai qualcos'altro da dire sull'arte dei discorsi, lo
ascolteremo; altrimenti daremo credito a ciò che abbiamo esposto or ora, cioè
che se uno non enumererà le nature di coloro che lo ascolteranno, e non sarà in
grado di dividere gli esseri secondo le forme e di raccoglierli uno per uno in
un'idea, non sarà mai esperto nell'arte dei discorsi, per quanto è possibile a
un uomo. E non potrà mai acquisire queste capacità senza molta applicazione; ad
essa il sapiente dovrà indirizzare i suoi sforzi non per parlare e agire con
gli uomini, ma per poter dire cose che siano gradite agli dèi e fare ogni cosa
in modo a loro gradito, per quanto è nelle sue facoltà. Infatti i più saggi tra
noi, Tisia, dicono che chi ha intelletto deve prendersi cura di compiacere non
i compagni di schiavitù, se non in modo accessorio, ma i padroni buoni e che
discendono da uomini buoni. Perciò, se la strada è lunga, non meravigliartene,
in quanto per raggiungere grandi traguardi bisogna percorrerla, non come credi
tu. D'altronde, come dice il nostro discorso, anche queste fatiche diventeranno
bellissime grazie a quei traguardi, se uno lo vuole». FEDRO: Mi pare che si
stia parlando in modo bellissimo, Socrate, se davvero qualcuno ne è capace.
SOCRATE: Ma per chi intraprende azioni belle è bello anche soffrire, qualunque
cosa gli tocchi di soffrire. FEDRO: Sicuro. SOCRATE: Quanto si è detto a
proposito dell'arte e della mancanza di arte nel fare discorsi sia dunque
sufficiente. FEDRO: Come no? SOCRATE: Rimane la questione della convenienza e
della non convenienza della scrittura, quando essa vada bene e quando invece
sia sconveniente. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: Sai allora come, nell'ambito dei
discorsi, potrai acquistarti il massimo favore di un dio con le tue azioni e le
tue parole? FEDRO: Per niente. E tu? SOCRATE: Io posso raccontarti una storia
tramandata dagli antichi; il vero essi lo sanno. E se noi lo trovassimo da
soli, ci importerebbe ancora qualcosa delle opinioni degli uomini? FEDRO: Hai
fatto una domanda ridicola! Ma racconta ciò che dici di aver udito. SOCRATE: Ho
sentito dunque raccontare che presso Naucrati, in Egitto, (64) c'era uno degli
antichi dèi del luogo, al quale era sacro l'uccello che chiamano ibis; il nome
della divinità era Theuth.(65) Questi inventò dapprima i numeri, il calcolo, la
geometria e l'astronomia, poi il gioco della scacchiera e dei dadi, infine
anche la scrittura. Re di tutto l'Egitto era allora Thamus e abitava nella
grande città della regione superiore che i Greci chiamano Tebe Egizia, mentre
chiamano il suo dio Ammone.(66) Theuth, recatosi dal re, gli mostrò le sue arti
e disse che dovevano essere trasmesse agli altri Egizi; Thamus gli chiese quale
fosse l'utilità di ciascuna di esse, e mentre Theuth le passava in rassegna, a
seconda che gli sembrasse parlare bene oppure no, ora disapprovava, ora lodava.
Molti, a quanto si racconta, furono i pareri che Thamus espresse nell'uno e
nell'altro senso a Theuth su ciascuna arte, e sarebbe troppo lungo
ripercorrerli; quando poi fu alla scrittura, Theuth disse: «Questa conoscenza,
o re, renderà gli Egizi più sapienti e più capaci di ricordare, poiché con essa
è stato trovato il farmaco della memoria e della sapienza». Allora il re
rispose: «Ingegnosissimo Theuth, c'è chi sa partorire le arti e chi sa
giudicare quale danno o quale vantaggio sono destinate ad arrecare a chi
intende servirsene. Ora tu, padre della scrittura, per benevolenza hai detto il
contrario di quello che essa vale. Questa scoperta infatti, per la mancanza di
esercizio della memoria, produrrà nell'anima di coloro che la impareranno la
dimenticanza, perché fidandosi della scrittura ricorderanno dal di fuori
mediante caratteri estranei, non dal di dentro e da se stessi; perciò tu hai
scoperto il farmaco non della memoria, ma del richiamare alla memoria. Della
sapienza tu procuri ai tuoi discepoli l'apparenza, non la verità: ascoltando
per tuo tramite molte cose senza insegnamento, crederanno di conoscere molte
cose, mentre per lo più le ignorano, e la loro compagnia sarà molesta, poiché
sono divenuti portatori di opinione anziché sapienti». FEDRO: Socrate, tu
pronunci con facilità discorsi egizi e di qualsiasi paese tu voglia! SOCRATE: E
pensa che alcuni, mio caro, hanno asserito che i primi discorsi profetici nel
tempio di Zeus a Dodona venivano da una quercia! Agli uomini di allora, dato
che non erano sapienti come voi giovani, bastava, nella loro semplicità,
ascoltare una quercia o una roccia, purché dicessero il vero; ma forse per te
fa differenza chi è colui che parla e da dove viene. Non miri infatti solamente
a questo, se le cose stanno così o diversamente? FEDRO: Hai colto nel segno, e
mi sembra che riguardo alla scrittura le cose stiano come dice il re di Tebe.
SOCRATE: Allora chi crede di tramandare un'arte con la scrittura, e chi a sua
volta la riceve nella convinzione che dalla scrittura deriverà qualcosa di chiaro
e di saldo, dev'essere ricolmo di molta ingenuità e ignorare realmente il
vaticinio di Ammone, se pensa che i discorsi scritti siano qualcosa in più del
riportare alla memoria di chi già sa ciò su cui verte lo scritto. FEDRO:
Giustissimo. SOCRATE: Poiché la scrittura, Fedro, ha questo di potente, e, per
la verità, di simile alla pittura. Le creazioni della pittura ti stanno di
fronte come cose vive, ma se tu rivolgi loro qualche domanda, restano in
venerando silenzio. La medesima cosa vale anche per i discorsi: tu potresti
anche credere che parlino come se avessero qualche pensiero loro proprio, ma se
domandi loro qualcosa di ciò che dicono coll'intenzione di apprenderla, questo
qualcosa suona sempre e 21 Platone Fedro solo identico. E, una volta
che è scritto, tutto quanto il discorso rotola per ogni dove, finendo tra le
mani di chi è competente così come tra quelle di chi non ha niente da spartire
con esso, e non sa a chi deve parlare e a chi no. Se poi viene offeso e
oltraggiato ingiustamente ha sempre bisogno dell'aiuto del padre, poiché non è
capace né di difendersi da sé né di venire in aiuto a se stesso. FEDRO: Anche
queste tue parole sono giustissime. SOCRATE: E allora? Vogliamo considerare un
altro discorso, fratello legittimo di questo, in che modo nasce e quanto è per
sua natura migliore e più potente di questo? FEDRO: Qual è questo discorso e
come, secondo te, nasce? SOCRATE: è quello che viene scritto mediante la
conoscenza nell'anima di chi apprende; esso è in grado di difendersi da sé, e
sa con chi bisogna parlare e con chi tacere. FEDRO: Intendi il discorso vivente
e animato di chi sa, del quale quello scritto si può a buon diritto definire
un'immagine. SOCRATE: Per l'appunto. Ora dimmi questo: l'agricoltore che ha
senno pianterebbe seriamente d'estate nei giardini di Adone (67) i semi che gli
stessero a cuore e da cui volesse ricavare frutti; e gioirebbe a vederli
crescere belli in otto giorni, o farebbe ciò per gioco e per la festa,
quand'anche lo facesse? E riguardo invece a quelli di cui si è preso cura sul
serio servendosi dell'arte dell'agricoltura e seminandoli nel luogo adatto,
sarebbe contento che quanto ha seminato giungesse a compimento in otto mesi?
FEDRO: Farebbe così , Socrate: sul serio per gli uni, diversamente per gli
altri, come tu dici. SOCRATE: Dovremo dire che chi possiede la scienza delle
cose giuste, belle e buone abbia meno senno dell'agricoltore con le sue
sementi? FEDRO: Nient'affatto. SOCRATE: Allora non le scriverà seriamente
nell'acqua nera, seminandole attraverso la canna assieme a discorsi incapaci di
difendersi da sé con la parola, e incapaci di insegnare in modo adeguato la
verità. FEDRO: No, almeno non è verosimile. SOCRATE: Infatti non lo è. Ma a
quanto pare seminerà e scriverà i giardini di scrittura per gioco, quando li
scriverà, serbando un tesoro da richiamare alla memoria per se stesso, nel caso
giunga «alla vecchiaia dell'oblio»,(68) e per chiunque segua la sua stessa
orma, e gioirà a vederli crescere teneri. E quando gli altri faranno altri
giochi, ristorandosi nei simposi e in tutti i divertimenti fratelli di questi,
egli allora, a quanto pare, invece che in essi passerà la vita a dilettarsi in
ciò di cui parlo. FEDRO: è un gioco molto bello quello che dici, Socrate,
rispetto all'altro che è insulso: il gioco di chi sa divertirsi coi discorsi,
narrando storie sulla giustizia e sulle altre cose di cui parli. SOCRATE: Così
è in effetti, caro Fedro: ma l'impegno in queste cose diventa, credo, molto più
bello quando uno, facendo uso dell'arte dialettica, prende un'anima adatta, vi
pianta e vi semina discorsi accompagnati da conoscenza, che siano in grado di
venire in aiuto a se stessi e a chi li ha piantati e non siano infruttiferi, ma
abbiano una semenza dalla quale nascano nell'indole di altri uomini altri discorsi
capaci di rendere questa semenza immortale, facendo sì che chi la possiede sia
felice quanto più è possibile per un uomo. FEDRO: Ciò che dici è molto più
bello. SOCRATE: Ora che siamo d'accordo su questo, Fedro, possiamo giudicare
quelle altre questioni. FEDRO: Quali? SOCRATE: Quelle che volevamo indagare e
per le quali siamo arrivati a questo punto, ossia esaminare il rimprovero
rivolto a Lisia circa lo scrivere i discorsi e i discorsi stessi, quali fossero
scritti con arte e quali senz'arte. Ciò che è conforme all'arte e ciò che non
lo è mi sembra che sia stato chiarito opportunamente. FEDRO: Così almeno mi è
parso: ma ricordami ancora una volta come abbiamo detto. SOCRATE: Se prima uno
non conosce il vero riguardo a ciascun argomento su cui parla o scrive e non è
in grado di definire ogni cosa in se stessa, e una volta che l'ha definita non
sa dividerla secondo le sue specie fino ad arrivare a ciò che non è più
divisibile, quindi, dopo aver scrutato a fondo allo stesso modo la natura
dell'anima, trovando la specie adatta a ciascuna natura non dispone e regola il
discorso secondo questo procedimento, offrendo discorsi variegati a un'anima
variegata e dalla piena armonia, discorsi semplici a un'anima semplice, non
sarà possibile, per quanto è conforme a natura, maneggiare con arte la stirpe
dei discorsi né per insegnare né per persuadere, come il discorso fatto in
precedenza ci ha chiaramente indicato. FEDRO: Risulta in tutto e per tutto così
. SOCRATE: Riguardo poi alla questione se sia bello o turpe pronunciare e
scrivere discorsi, e quando un rimprovero sia rivolto giustamente oppure no,
non ha forse chiarito ciò che abbiamo detto poco fa... FEDRO: Cosa abbiamo
detto? SOCRATE: Che se Lisia o altri ha mai scritto o scriverà su argomenti
d'interesse privato o pubblico, proponendo leggi o scrivendo un'opera politica,
nella convinzione che in ciò vi sia una grande solidità e chiarezza, allora il
biasimo ricade su chi scrive, che lo si dica o meno: poiché il non distinguere
realtà e sogno in ciò che è giusto e ingiusto, male e bene, non può davvero
evitare di essere riprovevole, quand'anche tutta la gente lo apprezzasse.
FEDRO: No di certo. SOCRATE: Chi invece ritiene che nel discorso scritto su
qualsiasi argomento vi sia necessariamente molto gioco e che nessun discorso
con pregio di grande serietà sia mai stato scritto né in versi né in prosa (e
neanche pronunciato, come i discorsi dei rapsodi che sono recitati senza essere
sottoposti a vaglio e non mirano a insegnare, ma a persuadere), 22
Platone Fedro ma che i migliori di essi siano realmente un mezzo per
aiutare la memoria di chi già conosce l'argomento, e ritiene che solo nei
discorsi sul giusto, sul bello e sul bene, pronunciati come insegnamento allo
scopo di far apprendere e scritti realmente nell'anima, vi sia chiarezza,
compiutezza e pregio di serietà; e inoltre è convinto che discorsi tali debbano
essere detti suoi come se fossero figli legittimi, innanzitutto quello che reca
in sé, nel caso si trovi che lo possiede, poi quelli che discendenti e fratelli
di questo, sono nati allo stesso modo nell'anima di altri uomini secondo il
loro valore, e ai rimanenti manda tanti saluti; bene, un uomo siffatto, Fedro,
è probabile che sia tale quale tu e io ci augureremmo di diventare. FEDRO: Io
voglio e mi auguro in tutto e per tutto ciò che dici. SOCRATE: Dunque, per
quanto riguarda i discorsi, ormai abbiamo scherzato abbastanza: tu ora va' da
Lisia e digli che noi due siamo discesi alla fonte e al santuario delle Ninfe e
abbiamo ascoltato dei discorsi che ci ordinavano di riferire a Lisia e a chi
altri componga discorsi, a Omero e a chi altri abbia composto poesia epica o
lirica, e in terzo luogo a Solone e a chiunque nei discorsi politici abbia
scritto dei testi con il nome di leggi, quanto segue: se ha composto queste
opere sapendo com'è il vero e può soccorrerle quando ciò che ha scritto viene
messo alla prova, e quando parla è in grado egli stesso di dimostrare la
debolezza di quanto è stato scritto, una persona del genere non deve essere
chiamato col nome di costoro, ma con un nome derivato da ciò a cui si è
dedicato con serietà. FEDRO: Quale nome gli assegni dunque? SOCRATE: Chiamarlo
sapiente, Fedro, mi sembra che sia cosa troppo grande e che si addica solo a un
dio; chiamarlo invece filosofo o con un nome del genere sarebbe a lui più
adatto e conveniente. FEDRO: E niente affatto fuori luogo. SOCRATE: Chi invece
non possiede cose di maggior pregio di quelle che ha composto e ha scritto,
rivoltandole su e giù per lungo tempo, incollandole l'una con l'altra o separandole,
non lo dirai a buon diritto poeta o autore di discorsi o scrittore di leggi?
FEDRO: Come no? SOCRATE: Riferisci dunque questo al tuo compagno! FEDRO: E tu?
Cosa farai? Non bisogna lasciare da parte neanche il tuo compagno. SOCRATE: Chi
è costui? FEDRO: Isocrate (69) il bello. Cosa riferirai a lui, Socrate? Come lo
definiremo? SOCRATE: Isocrate è ancora giovane, Fedro: tuttavia voglio dire ciò
che prevedo di lui. FEDRO: Che cosa? SOCRATE: Mi sembra che per doti naturali
sia migliore a confronto dei discorsi di Lisia, e che inoltre sia temperato di
un'indole più nobile. Perciò non ci sarebbe affatto da meravigliarsi se, col
procedere dell'età, proprio grazie ai discorsi cui ora pone mano superasse più
che se fossero fanciulli quanti mai si sono dedicati ai discorsi, e se inoltre
questo non gli bastasse, ma uno slancio divino lo spingesse a cose ancora più
grandi; giacché nell'animo di quell'uomo, caro amico, c'è una forma naturale di
filosofia. Pertanto io riferisco queste cose da parte di questi dèi al mio
amato Isocrate, tu fa' sapere quelle altre al tuo Lisia. FEDRO: Sarà così . Ma
andiamo, poiché anche la calura si è fatta più mite. SOCRATE: Non conviene
rivolgere una preghiera a questi dèi prima di metterci in cammino? FEDRO: Come
no? SOCRATE: O caro Pan e voi altri dèi di questo luogo, concedetemi di
diventare bello dentro, e che tutto ciò che ho di fuori sia in accordo con ciò
che ho nell'intimo. Che io consideri ricco il sapiente e possegga tanto oro
quanto nessun altro, se non chi è temperante, possa prendersi e portar via.(70)
Abbiamo bisogno di qualcos'altro, Fedro? Da parte mia si è pregato in giusta
misura. FEDRO: Fa' questo augurio anche per me; le cose degli amici sono
comuni. SOCRATE: Andiamo! 23 Platone Fedro NOTE: 1) Celebre oratore
ateniese vissuto tra il quinto e il quarto secolo a.C., di cui restano 34
orazioni giudiziarie. Il discorso sull'amore che gli viene attribuito nel
dialogo è probabilmente fittizio. Il padre Cefalo, originario della Sicilia,
aveva una fabbrica d'armi al Pireo; nella sua casa è ambientata la Repubblica.
2) Noto medico dell'epoca. 3) Epicrate era un oratore democratico; Morico,
forse il proprietario precedente della casa, era un cittadino ateniese che per
le sue ricchezze e il suo lusso divenne frequente bersaglio dei poeti comici.
4) Pindaro, Isthmia 2. 5) Erodico di Megara, divenuto poi cittadino di
Selimbria, era un medico famoso per il suo regime di vita
"salutistico"; Platone lo menziona anche nella Repubblica e nel
Protagora. 6) I Coribanti erano i sacerdoti della dea Cibele, i cui culti erano
caratterizzati da una forte valenza orgiastica. 7) Piccolo fiume che scorre
vicino ad Atene. 8) Il dialogo è immaginato in piena estate, a mezzogiorno. 9)
Borea, vento del nord, rapì Orizia, figlia di Eretteo, re di Atene; in cambio
concesse agli Ateniesi il suo favore nelle battaglie navali. Farmacea, citata
poco sotto, era una ninfa cui era sacra la fonte dell'Ilisso. 10) Demo
dell'Attica. 11) Letteralmente 'colle di Ares', era un'altura in Atene dove
aveva sede il più antico tribunale della città, formato dagli arconti usciti di
carica. 12) Sono tutti esseri mitologici. Gli Ippocentauri o Centauri, nati
dall'unione di Issione con una nube, erano metà uomo e metà cavallo. La Chimera
era un mostro con tre teste, una di leone, una di capra spirante fuoco, una di
serpente. Le Gorgoni, mostri marini, erano Steno, Euriale e Medusa; le prime
due erano immortali, mentre Medusa, che aveva il potere di pietrificare con lo
sguardo, era mortale e fu uccisa da Perseo. Pegaso era il cavallo alato nato
dal sangue della testa di Medusa tagliata da Perseo; con il suo aiuto
Bellerofonte uccise la Chimera. 13) «Conosci te stesso» era appunto il precetto
scritto nel tempio di Apollo a Delfi. 14) Tifone o Tifeo, figlio di Gea e del Tartaro,
era un drago dalle molte teste che emettevano fumo e fiamme; al termine di una
dura lotta Zeus lo fulminò e lo scagliò sotto l'Etna. Il suo mito è ricordato
in Esiodo, Theogonia 820 seguenti. Da Tifone ha avuto origine il nome comune
indicante un vento caldo portatore di tempeste. Nel testo greco c'è un gioco di
parole, intraducibile in italiano, con il quale Tifone viene
paretimologicamente accostato al participio di "túpho" ('fumare',
'bruciare') e, tramite l'aggettivo privativo "atuphos" a
"tuphos" ('vanità', 'orgoglio', superbia'). Nel dialogo Platone fa
uso più volte di simili giochi verbali, impossibili da mantenere nella
traduzione, per creare paretimologie. 15) Alle Ninfe, divinità dei boschi e dei
fiumi, Socrate in seguito attribuirà il dono dell'ispirazione. Acheloo, oltre
ad essere un fiume della Grecia centrale, era anche dio dei fiumi. 16) Una
locuzione simile ricorre in Omero, Iliade libro 8, verso 281. 17) Saffo è la
famosa poetessa lirica di Lesbo vissuta tra il settimo e il sesto secolo a.C.,
autrice di carmi soprattutto d'amore omoerotico, divisi dagli Alessandrini in
nove libri; di essi ci sono pervenuti un'ode intera, una quasi completa e
parecchi frammenti di varia lunghezza. Anacreonte di Teo, lirico monodico del
sesto secolo, fu autore tra l'altro di poesie amorose dal tono leggero, di cui
restano pochi frammenti. Non è invece possibile sapere a quali autori in prosa
si allude nel passo. 18) Gli arconti ateniesi, al momento di entrare in carica,
giuravano che se avessero trasgredito le leggi di Solone avrebbero innalzato a
Delfi una statua d'oro della loro grandezza e peso. 19) Cipselo fu tiranno di
Corinto nel sesto secolo e fondò una dinastia di tiranni. L'offerta votiva cui
si allude era forse una statua. 20) Immagine derivata dalla lotta: Fedro
intende che Socrate a sua volta ha offerto il fianco a una critica. 21)
Pindaro, frammento 105 Snell-Maehler (citato anche in Meno). 22) Il testo greco
gioca sull'assonanza tra "ligús", 'dalla voce melodiosa', e
"ligús" 'Ligure' (con lambda maiuscolo). Questo gioco paretimologico
è probabilmente alla base della leggenda secondo cui i Liguri erano amanti del
canto. 23) Socrate istituisce un nesso paretimologico tra "èros" e
"róme" ('forza'). 24) Il ditirambo, componimento lirico corale associato
al culto di Dioniso, ai tempi di Platone era in piena decadenza. Qui il termine
ha una connotazione negativa, indicando una forma di invasamento non ispirata
da "mania" divina, e quindi non mediata dal logos. 25) L'immagine è
ricavata da un gioco fatto con un coccio (óstrakon), nero da una parte e bianco
dall'altra; i giocatori, divisi in due squadre, sceglievano un colore e a
seconda di quello che risultava lanciando il coccio dovevano fuggire o
inseguire. La metafora significa che l'amante, prima inseguitore, ora fugge
l'amato. 26) Simmia, prima pitagorico, poi discepolo di Socrate, è uno degli
interlocutori del Fedone. 27) Ibico, frammnto 310, Page. Poeta lirico corale
del sesto secolo a.C., di lui restano un'ode e pochi frammenti. 28. Stesicoro,
poeta lirico corale, visse nel sesto secolo a.C. Secondo una leggenda perse la
vista per aver accusato Elena di infedeltà in un carme omonimo e la riacquistò
per aver scritto la Palinodia (la 'Ritrattazione'), in cui sosteneva che Paride
non aveva portato a Troia la vera Elena, ma un fantasma con le sue sembianze;
questa versione del mito fu ripresa da Euripide nell'Elena. Omero invece, non
avendo fatto la stessa cosa, rimase cieco. Allo stesso modo Socrate pronuncerà
una ritrattazione del discorso precedente su Eros, nella quale solleverà il dio
dalle accuse che gli aveva mosso. 24 Platone Fedro 29) A Delfi, in
Beozia, c'era il più famoso santuario di Apollo, che dava i responsi per bocca
della sua sacerdotessa, la Pizia; a Dodona, nell'Epiro, c'era un santuario di
Zeus. 30) Questo nome designava in origine una, in seguito più sacerdotesse di
Apollo, di cui era nota l'ambiguità dei responsi; la più celebre era la Sibilla
di Cuma, in Campania. 31) L'arte divinatoria, in greco "mantike",
viene fatta derivare da "manikos" cioè 'affetto da mania'; il
composto "oionoistike", di invenzione platonica, viene ricondotto a
"oieris" ('opinione', 'credenza'), e accostato a
"oionistike", ovvero l'"arte di trarre gli auspici" dal
volo degli uccelli. Il gioco paretimologico, di cui si è provato a rendere
ragione nella traduzione, è importante in quanto è funzionale al rovesciamento
della tesi sostenuta da Lisia. 32) è il celebre mito dell'anima come una biga
alata, metafora complessa e non facile da interpretare. Se infatti l'auriga
rappresenta palesemente la ragione, non è del tutto chiaro il significato dei
due cavalli; è poco soddisfacente l'interpretazione tradizionale, secondo cui
il cavallo nero rappresenterebbe l'anima concupiscibile, quello bianco l'anima
impulsiva, e l'intera immagine sarebbe da intendere come la tripartizione
dell'anima che Platone teorizza nella Repubblica (libri 4 e 9). Infatti nel
Timeo si dice che anima concupiscibile e anima impulsiva sono mortali, mentre
qui i due cavalli fanno parte proprio della struttura dell'anima immortale,
come prova anche il fatto che essi si nutrono di nettare e ambrosia, cibo e
bevanda degli dèi, e che tale struttura è comune sia all'anima umana sia a
quella divina. è preferibile pensare che i cavalli indichino due componenti
opposte connaturate comunque all'anima immortale, che l'auriga ha la funzione
di conciliare per trovare un equilibrio. 33) Estia, dea del focolare, nella
cosmologia antica veniva identificata col centro dell'universo, che era
immobile; per questo essa, unica tra gli dèi, non viaggia per il cielo. Le
divinità che guidano le dodici schiere sono probabilmente quelle olimpiche. 34)
L'Iperuranio, il luogo 'oltre il cielo', è il mondo delle Idee. Luogo
metafisico, immagine della sfera dell'intelligibile che nella sua immutabilità
trascende la realtà sensibile, esso è raggiungibile solo dell'anima. 35)
Adrastea, letteralmente 'l'inevitabile', in questo caso è una personificazione
del destino; in Repubblica (libro 5) impersonifica invece la vendetta. Viene qui
esposto il destino escatologico delle anime e la teoria della metempsicosi,
argomento che ha una più ampia trattazione con il mito di Er nel libro decimo
della Repubblica. Nel Fedro l'assegnazione della vita futura è strettamente
determinata dalla misura in cui le anime hanno contemplato la pianura della
verità prima di tornare sulla terra, poiché ad esso corrisponde il grado di
verità connesso alla vita in cui si reincarnano. 36) Altro gioco verbale basato
su una paretimologia il termine "imeros" ('desiderio'), collegato per
assonanza ad Eros, viene fatto derivare da i-, radice di "eiri"
('andare'), "mer-" radice di "méros" ('parte'),
"ro-", radice di "roé" ('flusso'). 37. Gli Omeridi erano
una scuola di aedi nell'isola di Chio che la tradizione voleva fondata dallo
stesso Omero. Invenzione platonica sono sia i poemi segreti cui si allude
ironicamente sia i due versi citati, nei quali c'è un gioco di parole tra
"Eros" e Ptéros" (epiteto scherzosamente coniato da
"pterós" ('alato'), probabilmente suggerito da quei passi omerici
(Iliade libro 1, versi 403-404; libro 14, verso 291; libro 20, verso 74) in cui
si dice che gli dèi chiamano le cose in modo diverso dagli uomini. 38) è
impossibile conservare nella traduzione il gioco tra il genitivo
"Diós" ('di Zeus') e l'aggettivo "dios", solitamente reso
con 'splendente' o 'divino'. 39) Le Baccanti o Menadi erano le sacerdotesse di
Dioniso. 40) Zeus, innamorato di Ganimede, bellissimo fanciullo frigio, in
forma di aquila lo rapì sull'Olimpo, e ne fece il coppiere degli dèi. Per il
gioco linguistico su "imeros", la nota 36. 41) L'espressione
significa che né la temperanza umana esaltata da Lisia, né la follia divina di
per sé bastano a costruire una scienza nel senso pieno del termine, ma occorre
una giusta mescolanza delle due cose; questo, in ultima analisi, può essere il
senso del mito della biga alata. L'immagine agonistica, più che a tre
differenti gare, allude probabilmente al fatto che per vincere nella lotta
bisognava atterrare l'avversario tre volte. 42) Figlio di Cefalo e fratello di
Lisia, fu vittima delle persecuzioni politiche sotto i Trenta tiranni. 43) Ad
Atene la frequenza dei processi e l'assenza del patrocinio legale, che
obbligava l'accusatore o l'accusato a parlare personalmente in giudizio,
avevano fatto nascere la professione del logografo ('scrittore di discorsi'),
che preparava su commissione i testi da pronunciare in tribunale; le orazioni
di Lisia sono appunto la testimonianza della sua attività di logografo. Il
termine ha nel contesto una connotazione negativa, tanto da essere poco sotto
equiparato a sofista. Il parallelo ritorna più avanti, dove si allude ai
compensi che i sofisti chiedevano per i loro insegnamenti. 44) L'espressine, un
po' enigmatica, significa probabilmente che da una cosa semplice ne è derivata
una difficile. 45) Figura storicamente indeterminata, Licurgo fu, secondo la
tradizione, il legislatore di Sparta. Uomo politico e poeta, annoverato tra i
sette saggi, Solone attuò, durante il suo arcontato (594-593 a.C.), una riforma
dello stato ateniese che prevedeva la divisione dei cittadini in classi in base
al censo. Dario primo, re di Persia dal 521 al 485 a.C., fu il promotore della
prima guerra greco-persiana. 46) Il mito che segue è probabilmente creazione
platonica. Il canto delle cicale è metafora dell'ispirazione a comporre
discorsi ma anche del rischio, da parte dell'ascoltatore, di lasciarsene
ammaliare senza sottoporli a vaglio critico, un atteggiamento passivo che le
cicale stesse, intermediarie tra gli uomini e le Muse, non approvano. 47) Sulla
scia del catalogo esiodeo (Theogonia 75 seguenti), le Muse qui citate hanno
nomi parlanti Tersicore è 'colei che gioisce dei cori', Erato è connessa con
Eros, Calliope è 'dalla bella voce', Urania 'la celeste'. 25 Platone Fedro
48) Omero, Iliade libro 2, verso 361. 49) Per Spartano qui si intende
semplicemente una persona che dice la verità in modo franco e lapidario. 50) I
"figli" di Fedro sono i discorsi che ha indotto gli altri a fare. 51)
Nestore, il più vecchio dei guerrieri greci a Ilio, era famoso per la sua
eloquenza persuasiva. Abile, e soprattutto astuto parlatore era notoriamente
Odisseo. Anche Palamede, l'eroe che smascherò un tentativo di Odisseo di non
partecipare alla guerra di Troia, era fornito di capacità oratorie. 52) Gorgia
di Lentini, nato tra il 485 e il 480 a.C. e morto vecchissimo dopo il 380 a.C.,
fu uno dei principali esponenti della sofistica; a lui è dedicato l'omonimo
dialogo di Platone. Delle sue numerose opere restano pochi ma significativi
frammenti. Il sofista Trasimaco di Calcedonia, vissuto nel quinto secolo a.C.,
è uno dei personaggi della Repubblica, dove difende in modo combattivo la sua
idea della giustizia come diritto del più forte. Teodoro di Bisanzio, attivo
nella seconda metà del quinto secolo a.C., scrisse un trattato di retorica. 53)
Allusione ironica a Zenone di Elea (quinto secolo a.C.) e ai paradossi con i
quali cercava di confutare dialetticamente i concetti di molteplicità e
movimento; famosi sono i paradossi della freccia e di Achille e la tartaruga.
54) Mida era il leggendario re della Frigia che per avidità di ricchezze chiese
e ottenne da Dioniso di poter trasformare in oro tutto ciò che toccava; ma
poiché anche tutto ciò che voleva mangiare o bere diventava oro, pregò il dio
di liberarlo da questo dono funesto. L'epigramma citato è attribuito a Cleobulo
di Lindo, uno dei sette saggi. 55) Poeta e sofista contemporaneo di Socrate.
56) Tisia fu maestro di Gorgia e iniziatore, assieme a Corace, della scuola
retorica siciliana. 57) Prodico di Ceo, uno dei più importanti esponenti della
sofistica, discepolo di Protagora e maestro di Socrate. 58) Ippia di Elide, il
celebre sofista da cui prendono il titolo due dialoghi di Platone. 59) Polo di
Agrigento e Licimnio di Chio furono discepoli di Gorgia; il primo è uno dei
protagonisti del Gorgia di Platone. Nel passo si allude probabilmente a opere
di retorica dei due sofisti, come poco sotto a proposito di Protagora. 60)
Protagora di Abdera, protagonista dell'omonimo dialogo Platonico, visse ad
Atene nell'età periclea. Considerato il principale esponente della sofistica, è
ricordato soprattutto per il suo agnosticismo religioso, che gli valse una
condanna per empietà, e il suo relativismo, sintetizzato nella massima «l'uomo
è misura di tutte le cose». Nulla ci rimane delle sue numerose opere. 61)
Adrasto, il re di Argo che guidò la spedizione dei sette contro Tebe, è
rappresentato da Eschilo nelle Supplici come abile oratore; l'epiteto «voce di
miele» gli è già riferito da Tirteo (frammento 9,8 Gentili-Prato). Adrasto è
qui usato come eteronimo di un personaggio contemporaneo, forse un sofista.
Anche Pericle, lo statista ateniese del quinto secolo che radicalizzò il
processo democratico della polis portandola al massimo splendore, è qui
ricordato, con un tocco d'ironia, per le sue capacità oratorie. 62) Anassagora
di Clazomene (quinto secolo a.C.) visse per molti anni ad Atene, dove ebbe come
discepoli Pericle e lo stesso Socrate. Punto cardinale del suo pensiero è
l'esistenza di un principio razionale che dà ordine al mondo, da lui chiamato
"nous" ('intelletto'). 63) Ippocrate di Cos, vissuto tra il quinto e
il quarto secolo a.C., fu il fondatore della medicina antica; l'epiteto di
Asclepiade deriva da Asclepio, dio della medicina. Di lui e dei suoi discepoli
resta un considerevole numero di scritti riuniti nel cosiddetto corpus
Hippocraticum. 64) Città sul delta del Nilo, sede di un emporio commerciale
greco. 65) Theuth o Thoth era il dio egizio dell'invenzione, che i Greci
identificavano con Ermes; rappresentato con la testa di ibis, era scriba nel
tribunale dei morti. Con questo mito Platone assegna alla scrittura un valore
puramente "ipomnematico", ovvero la considera un mero supporto alla
memoria, e non veicolo di sapienza; la trasmissione del vero sapere resta per
lui affidata all'oralità dialettica. 66) «La regione superiore» è l'alto corso
del Nilo. Thamus, leggendario re dell'Egitto, viene considerato un eteronimo
dello stesso Ammone, una delle principali divinità egizie, venerata da una potente
casta sacerdotale e identificata dai Greci con Zeus; poco sotto infatti, la
risposta da lui data a Theuth è chiamata «vaticinio di Ammone». 67) I «giardini
di Adone» erano recipienti in cui d'estate si piantavano semi che nascevano
entro otto giorni e subito morivano; il rito simboleggiava la morte prematura
di Adone, il bellissimo giovane amato da Afrodite. Allo stesso modo i «giardini
di scrittura», ovvero i discorsi scritti, devono essere intesi come una forma
di gioco, poiché i veri discorsi latori di verità sono affidati alla dimensione
orale. 68) Citazione poetica di autore ignoto. 69) Il retore Isocrate (436-338
a.C.) fondò ad Atene una scuola in competizione con l'Accademia platonica; di
lui restano 21 orazioni. Isocrate era fautore di un'alleanza di tutte le città
greche sotto la guida di Filippo di Macedonia, in vista di una spedizione
contro i Persiani. 70) Pan, figlio di Ermes, era la principale divinità agreste
del pantheon greco, venerata soprattutto in Arcadia; presiedeva alla pastorizia
e per questo era rappresentato con sembianze caprine. Pan compare già come
protettore del luogo assieme alle Ninfe, e per questo Socrate gli rivolge la
preghiera conclusiva. «Oro» è da intendersi in senso metaforico come ricchezza
della sapienza.Elio Franzini. Franzini. Keywords: espressione, Sibley,
Strawson, ‘Bounds of Sense” -- simbolo, rappresentazione, immagine, noetico,
estetico, natura, bello, forma, materia, arte, platone, dialogue d’amore,
bello, comunicazione, rappresentazione, forma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Franzini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759406043/in/dateposted-public/
Grice e
Frixione – l’implicatura metrica di Lucrezio – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Genova). Filosofo. Grice: “The Grecians were pretty clear – and
Cicero followed suit – surely if I say ‘He made it,’ there is no implicature
that he is a poet, even if ‘poeien’ is strictly, ‘make’!” -- Grice: “Poetry is
a good place to apply the idea of implicature, as in Donne – Nowell-Smith’s
favourite obscure poet, and Blake – mine!” –Insegna a Salerno, Milano, Genova. I
suoi interessi di ricerca includono il linguaggio. Le sue ricerche riguardano il
ruolo delle forme di ragionamento non monotòno nell'ambito e il rapporto tra l’illusione
del perceptum ed il ragionar invalido. Si è anche occupato di modelli di
rappresentazione. È noto anche per la sua attività di poeta d'avanguardia
(segnalata, tra gli altri, da Sanguineti) e per aver fondato e fatto parte del
“Gruppo ‘93”. Altre opere: “Il Significato” FrancoAngeli); “La Funzione e la computabilità”
(Carocci); “Come Ragioniamo, Laterza Editore, Lista delle pubblicazioni da DBLP
Computer Science Bibliography, Universität Trier; Diottrie, Piero Manni,
Ologrammi, Editrice Zona, Insegnamenti Scuola di Scienze Umanistiche, Uiversità
di Genova.. Guida dello Studente, Corso
di Laurea in Filosofia, Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Governing
Boards of the Italian Association of Cognitive Sciences. A Cognitive Architecture
for Artificial Vision., in Artificial Intelligence, Elsevier. Francesco Prisco,
Sanguineti: «La letteratura è un gioco che può ancora scandalizzare», in Il
Sole 24 Ore, Angelo Petrella, GRUPPO 93. L'antologia poetica Angelo Petrella,
in Editrice Zona,. Marcello Frixione
scheda nel sito Genova, Dipartimento di Antichità, Filosofia e Storia, Come
ragioniamo recensione di Dario Scognamiglio, ReF Recensioni Filosofiche. It
cannot be denied that the poem of Lucretius failed to awaken any marked
interest until long after its publication. The almost unbroken silence of
his contemporaries regarding him is significant of the com- parative
indifference with which his production was received. The reasons for this
neglect are various and not far to seek. In the first place the moment
was inopportune for the appearance of such a work. "It was composed
in that hapless time when the rule of the oligarchy had been overthrown
and that of Caesar had not yet been established, in the sultry years
during which the outbreak of the civil war was awaited with long and
painful suspense." ^ The poet betrays his sol- icitude for the
welfare of his country at this crisis in the introduction of his work, in
which he invokes the aid of Venus in persuading Mars to command peace
— Efficc ut inter ea f era moenera militiai Per maria
ac terras omnis sopita quiescani '^ — and acknowledges that his
attention is diverted from literary labors by the exigencies of the
state : N^am neque nos agere hoc patriai tempore iniquo
Possumus aequo animo nee Memmi clara propago Talibiis in rebus comrnuni
desse saluti. '' Munro believes these lines were written toward the
close of 695, when Caesar as consul had formed his coalition with Pompey
and when there was almost a reign of terror.* The reflection of a state
of 1 Monimseii, Hist. Rome, IV, p. 698 (Eng. Tr. ). '
I. 29. 30. M. 41-43- ^Muiim. Luiictiiis. II. p.
30. 6 CONTROVERSIAL ELEMENTS IN LUCRETIUS.
tumult and peril is equally obvious in the opening verses of the
second book, where the security of the contemplative life is contrasted
with the turbulence of a political and military career.' Particularly
signifi- cant are the lines : Si non forte tuas legiones per
loca campi Fervere cum videas belli simulacra cientis, Subsidiis
magnis et ecum vi constabilitas, Ornatasque armis statuas pariierque
animatas, His tibi turn rebus timefactae religiones Effugiunt animo
pavide ; mortisque timores Turn vacuum pectus lincunt curaque solutum,
Fervere cum videas classem lateque vagari} It can readily be
appreciated that a period of such fermentation and alarm would afford
opportunity for philosophic study to those alone who were able to retire
from political excitements to private leisure and quiet. Moreover the
very characteristics of the Epicurean philosophy would recommend it
chiefly to persons of this description. Participation in public life was
distinctly discouraged by the school of Epicurus, who regarded the realm
of politics as a world of tumult and trouble, wherein happiness — the
chief end of life — was almost, if not quite, impossible. They counselled
entering the arena of public affairs only as an occasional and
disagreeable necessity, or as a pos- sible means of allaying the
discontent of those to whom the quiet of a private life was not wholly
satisfactory.'' Such instruction, though phrased in the noble hexameters
of a Lucretius, was scarcely calculated to enjoy immediate popularity in
the stirring epoch of a fast hurrying revolution.^ 1 Sellar,
Rommi Pods of the Republic, p. 290. 2 II, 40-47. " Caesar
after his consulship remained with his army for three months l)efore
Rome, and was bitterly attacked by Memmius. Does Lucretius here alhide to
Caesar? " Munro, II, p. 122. •^ Zeller, Stoics, Epicureans and
Sceptics, p. 491, 3, 6. * " In consequence of his mode of
thought and writing lieing so averse to his own time and directed to a
better future, the poet received little attention in his own age."
Teuflfel, Hist. Rom. Lit. I, 201 (Eng. Tr.). "It (Epicureanism) arose in
a state of society and under circumstances widely different from the
social ar.d political condition of the last phase ol the Roman
Republic." Sellar. Roman Poets of the Republic, p. 357.
IXTRODUCTIOX. 7 A somewhat ingenious, but unsuccessful,
attempt has been made to account for the indifference with which
Lucretius was treated on the ground of his assault Upon the doctrine of
the future life. It has been suggested that as the enmity of the
Christian writers was early called down upon his head for this cause, he
was likewise whelmed ' ' under a conspiracy of silence on the part of his
Roman contempo- raries and successors " for the same reason. ^ But
so general was the skepticism of his age on this question, that it is
scarcely credible that the publication of his views could have seriously
scandalized the cul- tured classes who read his lines. The same judgment
will hold true with reference to the entire attitude of Lucretius toward
the tra- ditional religion. It is a sufficient answer to the theory that
his in- fidelity created antipathy toward him to record the fact that
Julius Caesar, than whom no more pronounced free-thinker lived in his
day, was, despite his skepticism, pontifex maxi'mus of the Roman
common- wealth, and did not hesitate to declare in the presence of the
Senate that the immortality of the soul was a vain delusion.^ That he
rep- resented in these heretical opinions the position of many of the
fore- most persons of the period is the testimony of contemporary
literature. Shall we not find the better reason for the apparent
neglect of Lucretius in the era immediately following the issue of his
poem in the fact that there was no public at this juncture for the
study of Greek philosophy clothed in the Latin language .? Cicero, who
de- voted himself with the zeal of a patriot to the creation of a
philosoph- ical literature in his native tongue, complained of the scant
courtesy paid to his efforts. Xon eram nescius. Brute, cum, quae summis
in- geniis exquisitaque doctrina philosophi Graecn sermone tractavisseni,
ea Latinis Uteris mandaremus, fore ut hie noster labor in varias
reprehen- siones incur reret. Nam qiiibusdam, et Us quidem non admodum
indoctis, totum hoc displicet, philosophari. Quidam autem non tam id
reprehendunt, si remissius agatur, sed tantum studium tamque muUam
operant ponendam in eo non arbitrabantur. Erunt etiam, et ii quidem
eruditi Graecis Utter is, contemnentes Latinas, qui se dicant in Graecis
legendis operant maUe consumer e. Postremo aliquosfuturos suspicor, qui
me ad aUas Utter as vocent, * This is the view advanced by R. T.
Tyn-il of the University of Dublin. See his LiiUn Poc'try, p. 74,
(Houjrhton, Mifflin & Co., N. Y., 1895). ^ Merivale. History of the
Romans. If. p. 354. 8 CONTROVERSIAL ELEMENTS IN
LUCRETIUS. genus hoc scribendi, etsi sit elegans, personae iamen et
digtiiiatis esse negent.^ Yet this work, as he explains in his De
Divinatione,'^ was undertaken with the commendable purpose of
benefitting his countrymen. He anticipated with delight the
advantages which would accrue to them when his researches were com-
plete. Magnificum illud etiam Romanisque hominibus gloriosum, ut Graecis
de philosophia litteris no?i egeant. ^ And later he reaped his re- ward
in an awakened interest in the subjects of his studious inquiries. But he
was compelled in the beginning to cultivate a sentiment in behalf of
those investigations. Lucretius addressed himself to an un- sympathetic
public, and was likewise required to wait for applause until a' more
appreciative generation rose up to do him honor. Yet it must not be
supposed that Epicureanism exercised a feeble influence over the thought
of cultivated Romans in this period of their history. The very theme
which engaged the genius of Lucretius had also employed the energies of
predecessors and contemporaries. Among attempts of this character were
the De Rerum Natura of Egnatius, which appeared somewhat earlier than the
work of Lucretius ; the Empedoclea of Sallustius mentioned by Cicero in
the much dis- cussed passage relating to Lucretius; and a metrical
production en- titled De Rerum Natura by Varro.* Commentaries on the
principles of Epicureanism had also been extant for some time. Chief
among the authors of such compositions was Amafinius who preceded
Lucretius by nearly a century. Our knowledge of him is mainly derived
from Cicero, who says : C Amafijiius exstitit dicens cuius libris editis
commota multitudo contulit se ad eain potissimum disciplinam} Rabirius is
also mentioned by the same author as belonging to that class of writers,
Qui nulla arte adhibita de rebus ante oculos positis vol- * Dc
Finilnts, I, i. ^ Quaercnti mihi vmltumquc d diu cogitanti, quanotii
re possem prodesse qtiam plu- rimus, ne quando intervdtterem considere
reipubiicae, nulla niaior occurrebat^ quam si optimaruni artiwn vias
traderevi vicis civibus; quod conpluribus iam libris me arbitror
conseciiturn. . . . Quod enim munus rei publicac adferrc mains nieliusve
pos- s tonus , quam si docemus at que erudimus iuveiitutem^ his
praesertim in or i bus at que iemporibus, qtdbus ita prolapsa est, etc.
II, I, 2. ^ De Divinatione, II, 2. ^ Sellar, Roman Poets
of the Republic, p. 278. ^ Acad. I, 2, 5.
INTRODUCTION. 9 gari sermone disputant.^ Rabirius indulged in
a popular treatment of philosophy and covered much the same ground as
Amafinius. Another contributor to the literature of Epicureanism whom
Cicero records in no complimentary way is Catius — Catius insuber,
Epicur- eus, quinuper est vioriuus, quae ille Gargettius et iam ante
Democritus ctSuXa, hie spectra nominat. ^ The interest in
this school of philosophy among Romans of the time of Lucretius is
further apparent in the prominence which cer- tain Epicurean teachers
attained. Conspicuous among them is Zeno the Sidonian, whose lectures
Cicero in company with Atticus had at- tended on the occasion of his
first visit to Athens, 79 to 78 B.C., whom he calls the prince of
Epicureans in his De Natura Deorum,'^ and wliose instruction is doubtless
liberally embodied in Cicero's discussions of the system of
Epicureanism.* Contemporary with Zeno was Phaedrus/ who had achieved
distinction in Athens and Rome, in both of which places Cicero studied
under his direction. Somewhat later Philodemus^ of Gadara appeared in
Rome, and is mentioned by Cicero as a learned and amiable man. The
consider- able body of writings bearing his name found in the Volumina Her-
culanensia'^ indicates his position among the philosophic instructors of
his day. Scyro * a follower of Phaedrus, said to have been the teacher of
Vergil ; Patro * the successor of Phaedrus, who taught in Athens; and
Pompilius Andronicus,^" the grammarian who gave up his j)rofession
for the tenets of Epicurus, were eminent also at this period.
Partly as a result of the activity of these teachers of philosophy,
and partly on account of the prevailing anxiety to arrive at some
satis- factory scheme of life, the number of disciples of Epicurus
steadily increased at this time, and included not a few illustrious
names. »7>/j6. Disp., IV, 6. ■'Ad Fam.. XV, 16,
2. ^I. 21. Cf. Diogenes Laertius. X, 25. * Rilter et
Preller, Hist. Phil. Graec, 447. a. -^Ad Fam., XIII, i. ^De
Fin., II, 35, 119. • Ritter et Preller, Hist. Phil. Graec, 447,
a. ^Ad. Fam., VI. ii. ^Ad. Fam., XIII, i. Ad Attic, V,
11. ^•^Zeller. Stoics. Fpicnreans and Sceptics, p. 414, i.
lO CONTROVERSIAL ELEMENTS IN LUCRETIUS. These are known to us
chiefly through the writings of Cicero/ who mentions T. Albutius,
Velleius, C. Cassius, the well-known conspirator against Caesar, who may
himself be classed among those who had lost confidence in the gods/ C.
Vibius Pansa, Galbus, L. Piso, the patron of Philodemus, and L. Manlius
Torquatus. Other notable personages are apparently regarded as Epicureans
by Cicero, but grave doubts have been expressed concerning their real
attitude toward the school. It is barely possible that Atticus may justly
be denominated an Epicurean, for he calls the followers of Epicurus
nostri familiar es^ and condiscipuli.* But his eclectic spirit would seem
to forbid his classification with any single system, and Zeller^ feels
that neither he nor Asclepiades of Bithynia, a contemporary of Lucretius,
who resided at Rome and was associated with Epicureans, can be regarded
as genuine disciples of Epicurus. The discussions of the Epicurean
philosophy in De Natura Deorwn, De Finibus and other works of Cicero evince
the profound interest he had in the school, though his general attitude
was one of unfriendli- ness. What reason, then, we may ask, can be given
for his almost uninterrupted silence concerning Lucretius } The only
reference we have to the poet in all Cicero's voluminous compositions
occurs in a letter to his brother Quintus,* four months after the death
of Lucretius, in which he says, Lucretii poemata, ut scribis ita sunt:
viultis lunmiibus ingenii, viultae etiam artis; sed cum veneris virum te
putabo, si Sallustii Empedoclea legeris, hominem non putabo. These words
certainly imply that both Marcus and Quintus had read the poem, and many
scholars accept the statement of Jerome in his additions to the
Eusebian chronicle — quos Cicero emendavit — as applying to Marcus.' But
if he was closely enough identified with the work of Lucretius to edit
his manuscript, why in those writings wherein ample opportunity was
af- forded, did not Cicero mention his labors in the field of philosophy
.? ^ Zeller, Stoics, Epicureans and Sceptics, p. 414, 3.
■^Merivale, Hist. Rom., II, pp. 352, 3. ^De Fin., V, i, 3. ^Legg.,
I, 7» 21. '^Stoics, Epicureans and Sceptics, p. 415. ^Ad
Quint ton, II, II. ^ Munro (II, pp. 2-5) who discusses this
question with his usual lucidity, inclines to the opinion that Jerome,
following Suetonius, has indicated M. T. Cicero as the
INTRODUCTION. I I This is a particularly pertinent inquiry in
view of the fact that he does speak of Amafinius, Rabirius and Catius, as
we have already observed, and that he devoted so much attention to the
discussion of Epicur- ean principles. Munro answers this question by
declaring that it was not Cicero's custom to quote from contemporaries,
numerous as his citations are from the older poets and himself; that had
he written on poetry as he did of philosophy and oratory, Lucretius would
have undoubtedly occupied a prominent place in the work, and that
more than once in his philosophical discussions Cicero unquestionably
re- fers to Lucretius.^ Munro is not alone in contending that the
liter- ary relations between Lucretius and Cicero were more or less
intimate. Other critics have traced to Cicero's Aratea important lines
in Lucretius, while many passages in Cicero closely resemble
utterances of the poet. Martha quotes several remarkable parallels
between De Finibus and various lines in Lucretius.^ But it is argued on
the other hand no less vigorously that didactic resemblances prove
nothing, ex- cept that Lucretius and Cicero wrought from like sources
their several Latinizations of Greek philosophy. And herein
there is suggested a possible explanation of Cicero's ap- parent
indifference to the poet, whether he did him the favor of edit- ing his
verse or not. Cicero had made an earnest study of Greek philosophy long
before the poem of Lucretius had been introduced to his notice. He had
resorted to original authorities for informa- tion concerning
Epicureanism. Zeno the Sidonian and Philodemus of Gadara, as already noted,
had supplied him with much material. Everywhere in his philosophical
works there is evidence that he re- garded himself a sort of pioneer in
this peculiar field of investigation. editor of Lucretius,
and that this was the real fact. Sellar, Roman Poets of the Republic, pp.
284-6, though suspending judgment does not deny the probability that M.
T. Cicero performed this favor for Lucretius. Teuffel, Hist. Rom. Lit.,
I, 201, 2, while expressing doubt concerning the evidence of Cicero's
connection with the poem, declares that at any rate his " part was
not very important, and it might almost seem that he was afraid of
publishing a work of this kind." Prof. E. G. Sihler, N. Y.
University, presents an argument of great force against the prob- ability
of Cicero's editorship. See Art. Lucretius and Cicero. Transactions Amer-
ican Philological Association^ Vol. XXVIII, 1897. 1 Munro, II. pp.
4, 5. ^ M. Constant Martha, La: L^oeme de Lucrece, quoted in Lee's
Lucretius, p. xiv, I. 12 CONTROVERSIAL ELEMENTS IN
LUCRETIUS. and therefore deserving of the pre-eminence therein. He
d()u])tlcss placed no importance upon any Latin writings beside his own
which treated of this class of Greek culture. Indeed the references which
he has made to persons engaged in an undertaking similar to his own are
in no instance flattering. And Lucretius would only be esteemed by him a
competitor in the same department of inquiry, who wrote in Latin verse
instead of Latin prose. Keeping these facts in mind the comparative
silence of Cicero re- garding Lucretius does not seem wholly incompatible
with the theory of his editorship. He was himself an expositor of
Epicurus — and that too of the hostile kind. He had " popularized
the Epicurean doctrines in the bad sense of the word," and had
thrown "a ludicrous color over many things which disappear when they
are more seriously regarded. " ^ Yet his opposition to the tenets of
Epicurus would not preclude him from friendly association with many
who professed them, and if asked to lend his name to the publication
of Lucretius' verses, there could be no reason for withholding it.
But if his antagonism to Epicureanism would lead him to speak
against the doctrines of the poem, his admiration for the literary excellences
of the work, as exhibited in his willingness to stand sponsor for its
issue, would deter him from adverse criticism. Silence in such a case is
the best evidence of friendship. Mommsen ^ remarks that
"Lucretius, although his poetical vigor as well as his art was
admired by his cultivated contemporaries, yet remained — of late growth
as he was — a master without scholars." But with increasing
knowledge in what is best in Epicurus and a finer taste to appreciate the
moral and literary virtues of Lucretius, subsequent generations gave
ample recognition to the poet. Horace and Vergil were greatly influenced
by him, particularly the latter, who is supposed to refer to Lucretius in
the famous lines : Felix qui potuii rerum cognoscere causas\
Atque metus omnes et inexorabile fatum. Subiecit pedihus strepitumque
Achernntis avari.'^ 1 Lanjje, History of Materialism. I. p.
127 (Eng. Tr.). =* Hist. Rome, IV, p. 699. ^ Georgica, II. 490
2. INTRODUCTION. I 3 Ovid pronounced words of
high eulogy upon him : Carmina sublimis tunc sunt peritura Lucre
tt Exitio terras cum dabit una dies. ^ The persistency of the
Epicurean school of philosophy despite perse- cution and opposition down
to the fourth century A. D. demon- strates its marvelous vitality and the
almost deathless influence of the personality of Epicurus, whose single
mind projected its grasp upon human thought throughout the whole
existence of the sect. And not the least important agent in affecting
this result, because of his almost idolatrous devotion to his master and
the persuasive charm of his lines, was the poet Lucretius. Marcello
Frixione. Frixione. Keywords: l’implicatura metrica di Lucrezio, poetry, Ezra
Pound, Alighieri, “speranza, tela” – Tesauro – Folco -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Frixione” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759787619/in/dateposted-public/
Frontino
(catalogued by it.wiki under “filosofi romani”and ‘scrittori romani’ – vide
Marc’Aurelio Antonino.
Frontone – vide
Antonino
Grice e
Frosini – filosofia italiana – Luigi Speranza (Catania).
Filosofo. Grice: “I like Frosini; only in Italy a professor of jurisprudence –
the Italian H. L. A. Hart – would care to provide a theatrical ‘reduction’ of a
Sicilian ‘romanzo’! Genial – He has also written on Risorgimento families!” -- «Il progresso tecnologico è la nuova
democrazia di massa» (Vittorio Frosini in'intervistaalla trasmissione RAI
Mediamente ). Considerato il padre dell'Informatica in Italia, si devono a lui
le prime riflessioni generali sulle implicazioni esistenti tra diritto,
tecnologie e attività giudiziarie. Laureatosi alla a Pisa in filosofia e
studia a Catania. Studia la regolamentazione dell'informatica; ha presieduto
l'Associazione Italiana di Diritto dell'Informatica e di Giuritecnica e
l'Istituto di Teoria dell'interpretazione e di informatica giuridica presso la
Facoltà di Giurisprudenza dell'Roma "La Sapienza". Teorico di un
"umanesimo tecnologico" attento ai diritti civili, ha avviato una
ricostruzione sistematica dei problemi dell'informatica consapevole delle
diverse implicazioni economiche e sociali della regolamentazione giuridica. Nel
confronto costante tra diritto e tecnologie, il progresso produce una
evoluzione sociale continua che si riflette nel campo giuridico ed economico
come nei miglioramenti qualitativi dei diversi rapporti con le istituzioni,
favorendo un continuo e immediato confronto fra amministratori e amministrati
entro un rapporto diretto a carattere orizzontale, mentre prima era a carattere
“verticale” e così il cittadino diventa veramente attore della vita civile e
non più suddito. Di qui il profilarsi di una nuova democrazia di massa in cui si
realizza con apparente paradosso una nuova forma di libertà individuale, un
accrescimento della socialità umana che si è allargata sull'ampio orizzonte del
nuovo circuito delle informazioni, un potenziamento, dunque, dell'energia
intellettuale ed operativa del singolo vivente nella comunità». L'opera
centrale di Vittorio Frosini, Professore ed emerito di filosofia del diritto e
di informatica giuridica è indubbiamente “La struttura del diritto”. Il saggio
ebbe immediati riconoscimenti e una notevole fortuna in Italia dove ebbe
sei riedizioni pressoché inalterate. Quale suo autore ricevette un premio
dall'Accademia Nazionale dei Lincei dalle mani del Presidente della Repubblica
Italiana, Antonio Segni. Frosini è peraltro autore di saggi fondamentali
sul rapporto tra tecnologia e diritto quali: “Cibernetica: diritto e
società”; “Informatica, diritto e società” (Milano); “Giuffrè Il giurista e le
tecnologie dell'informazione” (Roma, Bulzoni); “La democrazia nel XXI secolo)”
(Roma, Ideazione ed.;, Macerata, Liberilibri); “La lettera e lo spirito della
legge” (Milano): Giuffrè Teoria e tecnica dei diritti umani” (Napoli, Edizioni
scientifiche Italiane; “Fondamentali sono anche i suoi scritti sulla rivista Informatica
e Diritto: “L'automazione elettronica nella giurisprudenza e nell'Amministrazione
Pubblica”; “La giuritecnica: problemi e proposte”; “Giustizia e informatica”; “La
protezione della riservatezza nella società informatica”; “L'esperienza OCSE
nel potenziamento degli scambi tecnologici connessi alla gestione delle
informazioni”; “L'informatica nella società contemporanea; “Riflessioni sui
contratti d'informatica”; “Il giurista nella società dell'informazione Riconoscimenti
A Vittorio Frosini sono dedicati: il premio nazionale di informatica
giuridica "Vittorio Frosini" della rivista Il diritto
dell'informazione e dell'informatica; la collezione di strumenti di calcolo e
di elaborazione automatica dei dati, utilizzati presso l'Istituto di Teoria
dell'Interpretazione e di Informatica Giuridica dell'Università "La Sapienza"
di Roma. MediaMente: "Il progresso tecnologico e ‘la nuova democrazia di
massa’", su mediamente.rai. "Net freedoms: i diritti di libertà in
rete" Dibattito sul diritto dell'informazione e dell'informatica | RadioRadicale Cfr. Frosini in una lucida testimonianza su
Università, Normale e Collegio Mussolini, Raimondo Cubeddu e Giuseppe
Cavera. Sabino Cassese, Vittorio Frosini
e lo spirito della legge, Il Sole; Frosini, La democrazia nel XXI secolo,
Macerata, Liberi libri,. Fondazione
Piero Calamandrei, Roberto Russano, degli scritti, Milano, A. Giuffrè, Vittorio
Frosini, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. La ‘morfogenesi dell’ordinamento giuridico’
in Vittorio Frosini, in "L'Ircocervo. Rivista elettronica italiana di
metodologia giuridica, teoria generale del diritto e dottrina dello stato"
Genesi filosofica e struttura giuridica della Società dell'informazione,
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, su edizioniesi. Il Gattopardo
TEATRO STABILE, ROMA Il Gattopardo - forse il film più popolare di Luchino
Visconti, tratto dal capolavoro letterario di Tomasi di Lampedusa - è ora
anche uno spettacolo teatrale. L'inedita trasposizione scenica si deve al regista
Gianni Giaconia, dal 1995 direttore artistico della sala di piazza Nerazzini, a
un passo dalla più nota piazza dei Navigatori. Suo infatti il proposito di
compiere una riduzione del romanzo da adattare alle scene.
COMUNICATO STAMPA di Giuseppe Tomasi di Lampedusa riduzione
teatrale di Vittorio Frosini regia di Gianni Giaconia
musiche di Vittorio Giannini scene di Luca Arcuri Il
Gattopardo - forse il film più popolare di Luchino Visconti, tratto dal
capolavoro letterario di Tomasi di Lampedusa si deve al regista Gianni
Giaconia, dal 1995 direttore artistico della sala di piazza Nerazzini, a un
passo dalla più nota piazza dei Navigatori. Suo infatti il proposito di
compiere una riduzione del romanzo da adattare alle scene, sua la scelta di
approntare una singolare versione multimediale della celebre opera servendosi
del testo messo a punto da Vittorio Frosini (e proprio in questi giorni uscito
in volume presso Bulzoni editore) e di inserti cinematografici appositamente
confezionati per l'occasione. Nei centoventiminuti di questa
originale edizione del Gattopardo riletto da Gianni Giaconia gli inserimenti
segneranno - non senza una certa attitudine sperimentale e trasgressiva -
alcuni passaggi della storia del principe Salina, da Tomasi di Lampedusa
mirabilmente ritratta nel doloroso passaggio, sulla scia dell'impresa
garibaldina, dalla Sicilia dei Borboni a quella dei Sabaudi, amaro volgere di
un mondo che si vede scosso e abbattuto da nuovi fremiti, dove però resta
valida la massima "se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto
cambi". In scena, impegnati a sostenere le parti che nella
memoria di ognuno di noi hanno ancora i volti e i modi di Burt Lancaster,
Claudia Cardinale o Alain Delon (per limitarsi ai soli protagonisti principali),
sono circa trenta attori, tra cui Giorgio Berini, Sergio Silvestro e Eleonora
Zimei, nei ruoli - rispettivamente - del principe, di suo nipote Tancredi e
della bella Angelica. Siciliano di origine, Gianni Giaconìa si
puo' considerare romano d'adozione. E' dal 1969 infatti che risiede nella
capitale, dove - con il nome d'arte di Marcello Monti - ha iniziato la sua
carriera d'attore proseguita tra palcoscenici e set per quasi tre decenni
ininterrotti. In teatro, è stato diretto tra gli altri da Vasilicò, Fantoni,
Sbragia, Vannucchi, Garrani e ha lavorato a fianco di Elsa De Giorgi, Gianrico
Tedeschi, Salvo Randone. Tra le sue interpretazioni e partecipazioni
cinematografiche e televisive, ricordiamo i film "Correva l'anno di grazia
1870" di Alfredo Giannetti (con Marcello Mastroianni e Anna Magnani, 1971)
e "Ligabue" di Salvatore Nocita (con Flavio Bucci, 1978), oltre a
varie pellicole con Maurizio Merli dirette da Marino Girolami (tra cui
"Italia a mano armata" nel 1976), e soprattutto a "Fontamara"
di Carlo Lizzani (con Michele Placido, 1980) dove Gianni Giaconia-Marcello
Monti è Scarpone. Ha esperienza di doppiaggio e di regia
televisiva (per fiction trasmesse da televisioni locali siciliane).
Dal 1995 dirige il Teatro Stabile di Santa Francesca Romana, per il cui
palcoscenico ha già siglato, tra le altre, le regie di "Processo a
Gesù" di Fabbri, "Vita di Galileo" di Brecht, "La
tempesta" di Shakespeare, realizzando spettacoli multimediali. La
trasposizione in linguaggio scenico di un testo narrativo - scrive Vittorio
Frosini autore della riduzione teatrale de "Il Gattopardo" - obbliga
ad esercitare sul testo originario un rifacimento, che è quasi una operazione
di chirurgia estetica; anzi, si tratta di una metamorfosi da un linguaggio
scritto in un linguaggio parlato e gestito, da una continuità discorsiva
ad una serialità episodica. Nel procedere a questa manipolazione
intellettuale ho dovuto affrontare il problema di una scelta tematica dei
motivi presenti nell'opera romanzesca: ho dato perciò risalto ad alcuni di
essi. Tale è il confronto fra la coscienza del principe e l'idea della morte,
che viene anteposto agli altri momenti della vicenda; tale è il rapporto fra
la condizione storica dei personaggi e l'irruzione dell'impresa garibaldina. Si
tratta dunque di una libera sceneggiatura del romanzo, di una interpretazione
di esso, e cioè di una lettura partecipe. Vittorio Frosini è
professore emerito dell'università La Sapienza di Roma, dove ha insegnato
filosofia del diritto, sociologia giuridica e teoria dell'interpretazione. E'
stato componente del Consiglio Superiore della Magistratura e Visiting
Professor nelle università di Tokyo e di Harvard, ed è accademico della
Real Academia di Spagna. E' autore di molti studi di carattere giuridico,
pubblicati anche in diverse lingue straniere, e di numerosi saggi di carattere
storico e letterario, dedicati in parte alla Sicilia. Orario:
da martedì a sabato alle ore 20.45, domenica alle ore 17.45; Teatro
Stabile S. Francesca Romana, Piazza Nerazzini, Roma tel: 06
5125531 Informazioni e prenotazioni: tel. 06.5125531
Biglietti: intero 25.000 - ridotto 20.000 Stagione 2000/2001 del
Teatro Stabile S. Francesca Romana: Dal 12 ottobre al 12 novembre
2000 Il Gattopardo di G. Tomasi di Lampedusa riduzione teatrale di
Vittorio Frosini regia di Gianni Giaconia Dal 21 al 26 novembre
2000 Goffredo Tofani (produzione da definire) Dal 23 gennaio
al 4 febbraio 2001 Compagnia Associazione Agitati prima dell'Uso L'uomo,
la bestia e la virtù di Luigi Pirandello regia di G. Cirillo Dal
20 al 25 febbraio 2001 Goffredo Tofani (produzione da definire)
Dal 27 febbraio all'11 marzo 2001 Compagnia I Bankarettisti Non ti
pago di Eduardo De Filippo regia di Gennaro Sommella Dal 13 al 25
marzo 2001 Compagnia I Buattari 'O scarfalietto di E. Scarpetta regia di
Paolo Savini Dal 27 marzo all'8 aprile 2001 Compagnia
Corricorri Vin santo di Roberto Giacomozzi regia di Roberto Giacomozzi
Dall'1 al 13 maggio 2001 Compagnia Associazione Agitati prima
dell'Uso L'importanza di chiamarsi Ernesto di Oscar Wilde regia di Gaetano
Cicoira Dal 22 maggio al 3 giugno 2001 Compagnia Associazione
Agitati Prima dell'Uso (una commedia da definire di E. Scarpetta) regia di
Gaetano Cicoira STAMPAPERMANENT LINK TEATRO STABILE IN ARCHIVIO [2]
WORDSTAR(S) DAL 7/1/2013 AL 19/1/2013Il Gattopardo romanzo scritto da Giuseppe
Tomasi di Lampedusa Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione –
Se stai cercando il film diretto da Luchino Visconti, vedi Il Gattopardo
(film). «Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica in
quattro e quattr'otto. Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto
cambi» (Tancredi Falconeri, nipote di don Fabrizio Corbera, Principe di
Salina) Il Gattopardo Incipit Gattopardo.jpg L'incipit manoscritto del
Gattopardo AutoreGiuseppe Tomasi di Lampedusa 1ª ed. originale1958 Genere romanzo Sottogenere storico Lingua
originaleitaliano AmbientazioneSicilia, 1861-1910, Risorgimentoitaliano
ProtagonistiFabrizio Corbera Il Gattopardo è un romanzo di Giuseppe Tomasi di
Lampedusa che narra le trasformazioni avvenute nella vita e nella società in
Sicilia durante il Risorgimento, dal momento del trapasso del regime borbonico
alla transizione unitaria del Regno d'Italia, seguita alla spedizione dei Mille
di Garibaldi. Dopo i rifiuti delle principali case editrici italiane
(Mondadori, Einaudi, Longanesi), l'opera fu pubblicata postuma da Feltrinelli
nel 1958, un anno dopo la morte dell'autore, vincendo il Premio Strega nel
1959,[1] e diventando uno dei best-seller del secondo dopoguerra; è considerato
uno tra i più grandi romanzi di tutta la letteratura italiana e mondiale.
Il romanzo fu adattato nell'omonimo film del 1963, diretto da Luchino Visconti
e interpretato da Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain Delon. Tema e
storia editorialeModifica L'autore contemplava da lungo tempo l'idea di
scrivere un romanzo storico basato sulle vicende della sua famiglia, gli
aristocratici Tomasi di Lampedusa, in particolare sul bisnonno, il principe
Giulio Fabrizio Tomasi, nell'opera il principe Fabrizio Salina, vissuto durante
il Risorgimento, noto per aver realizzato un osservatorio astronomico per le
sue ricerche e morto nel 1885. Dopo che il Palazzo Lampedusa fu gravemente
lesionato dai bombardamenti dalle forze Alleate durante la Seconda guerra
mondiale e saccheggiato, l'autore scivolò in una lunga depressione.
Stemma di famiglia dei Tomasi Fu scritto tra la fine del 1954 e il 1957,
l'anno della morte dell'autore - un erudito appassionato di letteratura, ma del
tutto sconosciuto ai circuiti letterari italiani. Il manoscritto venne inviato
alle case editrici con una lettera di accompagnamento scritta di pugno dal
cugino di Tomasi, il poeta Lucio Piccolo. La spedizione della prima copia (una
versione ancora parziale) avvenne il 24 maggio del 1956 da Villa Piccolo,
indirizzata al conte Federico Federici della Mondadori. Lucio Piccolo stesso
cercò di avere notizie circa l'esito della lettura del manoscritto da parte di
Mondadori, inviando una lettera all'amico e collega poeta Basilio Reale, per
sincerarsi se la lettura avesse sortito l'esito sperato.[2] Tuttavia, gli
editori Arnoldo Mondadori Editore e Einaudi rifiutarono. Infatti, il testo, pur
privo di alcuni capitoli, fu dato in lettura prima al conte Federici per
Mondadori, poi a Elio Vittorini, allora consulente letterario per Mondadori e
curatore della collana I gettoni per l'Einaudi, il quale lo bocciò per entrambe
le case editrici rimandandolo all'autore, e accompagnando il rifiuto con una
lettera di motivazione. L'opinione negativa di Vittorini, un clamoroso errore
di valutazione, fu da lui ribadita anche successivamente, quando il Gattopardo
divenne un caso letterario internazionale. L'avventurosa pubblicazione
avvenne solo dopo la morte dell'autore. L'ingegner Giorgio Gargia, paziente
della baronessa Alexandra Wolff Stomersee, la moglie psicoanalista di Tomasi,
si offre di consegnare una copia a una sua conoscente, Elena Croce. La figlia
di Benedetto Croce lo segnala a Giorgio Bassani, da poco divenuto direttore
della collana di narrativa I Contemporanei per la Giangiacomo Feltrinelli
Editore, e che sollecitava gli amici letterati a segnalargli interessanti
inediti[3]. Bassani ricevette dalla Croce il manoscritto incompleto, ne
comprese immediatamente l'enorme valore, e nel febbraio 1958 volò a Palermo per
recuperare e ricomporre il testo nella sua interezza: decise subito di
pubblicare il libro[4], che uscì l'11 novembre dello stesso anno, curato da
Bassani. Nel 1959, quando ricevette il premio Strega, la tiratura aveva
raggiunto in solo otto mesi le 250 000 copie, divenendo il primo best
selleritaliano con oltre centomila copie vendute[5]. La forza e l'importanza
che ebbe il romanzo in quegli anni è testimoniato anche dalla battuta che
Eduardo De Filippo nella commedia del 1959 Sabato, Domenica e Lunedì fa dire a
Memè, la zia colta di casa Priore, la quale ammonendo i parenti troppo
affaccendati nelle questioni quotidiane esce di scena ammonendoli al grido di "compratevi
il Gattopardo!". Il titolo del romanzo ha origine nello stemma di
famiglia dei principi di Lampedusa, rappresentato dal Felis leptailurus serval,
una belva felina diffusa nelle coste settentrionali dell'Africa, proprio di
fronte a Lampedusa. Nelle parole dell'autore l'animale ha un'accezione
positiva: «Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno
gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore
continueremo a crederci il sale della terra». Tuttavia, proprio sull'onda del
successo planetario del romanzo, sarebbe invalso invece un significato
negativo, facendo dell'aggettivo "gattopardesco" l'emblema del
trasformismo delle classi dirigenti italiane. A ben vedere, è anche vero che fu
Tomasi stesso con le sue fiere parole a legare la parola a un significato
ambiguo, quando prevede un destino di rassegnazione e di solo illusorio
orgoglio per l'Italia futura[6]. Nel 1967 dal romanzo venne tratta
un'opera musicale di Angelo Musco, con libretto di Luigi Squarzina.
TramaModifica Il racconto inizia con la recita del rosario in una delle
sontuose sale del Palazzo Salina, dove il principe Fabrizio, il gattopardo,
abita con la moglie Stella e i loro sette figli: è un signore distinto e
affascinante, raffinato cultore di studi astronomici ma anche di pensieri più
terreni e a carattere sensuale, nonché attento osservatore della progressiva e
inesorabile decadenza del proprio ceto; infatti, con lo sbarco in Sicilia di
Garibaldi e del suo esercito, va prendendo rapidamente piede un nuovo ceto,
quello borghese, che il principe, dall'alto del proprio rango, guarda con
malcelato disprezzo, in quanto prodotto deteriore dei nuovi tempi.
L'intraprendente e amatissimo nipote Tancredi Falconeri non esita a cavalcare
la nuova epoca in cerca del potere economico, combattendo tra le file dei
garibaldini (e poi in quelle dell'esercito regolare del Re di Sardegna),
cercando insieme di rassicurare il titubante zio sul fatto che il corso degli
eventi si volgerà alla fine a vantaggio della loro classe; è poi legato da un
sentimento, in realtà più intravisto che espresso compiutamente, per la
raffinata cugina Concetta, profondamente innamorata di lui. Il principe
trascorre con tutta la famiglia le vacanze nella residenza estiva di Donnafugata;
il nuovo sindaco del paese è don Calogero Sedara, un parvenu, ma intelligente e
ambizioso, che cerca subito di entrare nelle simpatie degli aristocratici
Salina, mercé la figlia Angelica, cui il passionale Tancredi non tarderà a
soccombere; non essendo una nobile, Angelica non avrà immediatamente il
consenso di don Fabrizio, ma grazie alla sua travolgente e incantevole bellezza
riesce a convincere casa Salina e a sposare Tancredi. Inoltre Calogero Sedara,
il padre di Angelica, fornisce alla figlia nel contratto matrimoniale tutto
quello che possiede. Arriva il momento di votare l'annessione della
Sicilia al Regno di Sardegna: a quanti, dubbiosi sul da farsi, gli chiedono un
parere sul voto, il principe risponde suo malgrado in maniera affermativa; alla
fine, il plebiscito per il sì sarà unanime. In seguito, giunge a palazzo Salina
un funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, incaricato di
offrire al principe la carica di senatore del Regno, che egli rifiuta
garbatamente dichiarandosi un esponente del vecchio regime, ad esso legato da
vincoli di decenza. Il principe condurrà da ora in poi vita appartata fino al
giorno in cui verrà serenamente a mancare, circondato dalle cure dei familiari,
in una stanza d'albergo a Palermo dopo il viaggio di ritorno da Caserta, dove
si era recato per cure mediche. L'ultimo capitolo del romanzo, ambientato nel
1910, racconta la vita di Carolina, Concetta e Caterina, le figlie superstiti
di don Fabrizio. Il significato dell'operaModifica L'autore compie all'interno
dell'opera un processo narrativo che è sia storico che attuale. Parlando di
eventi passati, Tomasi di Lampedusa parla di eventi del tempo presente, ossia
di uno spirito siciliano citato più volte come gattopardesco ("Se vogliamo
che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi")[7]. Nel dialogo con
Chevalley di Monterzuolo, inviato dal governo sabaudo, il principe di Salina
spiega ampiamente il suo spirito della sicilianità; egli lo spiega con un misto
di cinica realtà e rassegnazione. Spiega che i cambiamenti avvenuti nell'isola
più volte nel corso della storia hanno adattato il popolo siciliano ad altri
"invasori", senza tuttavia modificare dentro l'essenza e il carattere
dei siciliani stessi. Così, il presunto miglioramento apportato dal nuovo Regno
d'Italia appare al principe di Salina come un ennesimo mutamento senza
contenuti, poiché ciò che non muta è l'orgoglio del siciliano stesso.
Il dialogo con Chevalley manoscritto Egli infatti vuole esprimere
l'incoerente adattamento al nuovo, ma nel contempo l'incapacità vera di
modificare sé stessi, e quindi l'orgoglio innato dei siciliani. In questa
chiave egli legge tutte le spinte contrarie all'innovazione, le forme di
resistenza mafiosa, la violenza dell'uomo, ma anche quella della natura. I Siciliani
non cambieranno mai poiché le dominazioni straniere, succedutesi nei secoli,
hanno bloccato la loro voglia di fare, generando solo oblio, inerzia,
annientamento (il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente
quello di "fare". [...] il sonno è ciò che i Siciliani vogliono).
Garibaldi è stato uno strumento dei Savoia, nuovi dominatori (da quando il
vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza
consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe
dirigente di svilupparle e portarle a compimento [...] ho i miei forti dubbi
che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio). Questi avvenimenti
si sono innestati su una natura ed un clima violenti, che hanno portato ad una mancanza
di vitalità e di iniziativa negli abitanti (... questo paesaggio che ignora le
vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l'asprezza dannata; [...] questo clima
che ci infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; [...] questa nostra estate
lunga e tetra quanto l'inverno russo e contro la quale si lotta con minor
successo...). Classificazione come romanzo storicoModifica La vicenda
descritta nel Gattopardo può a prima vista far pensare che si tratti di un
romanzo storico. Tomasi di Lampedusa ha certamente tenuto presente una
tradizione narrativa siciliana: la novella Libertà di Giovanni Verga, I Viceré
di Federico De Roberto, I vecchi e i giovani di Luigi Pirandello ispirata al
fallimento risorgimentale, drammaticamente avvertito proprio in Sicilia, dove
erano vive speranze di un profondo rinnovamento. Ma mentre De Roberto, che fra
i tre citati è, per questa tematica, il più significativo, indaga le
motivazioni del fallimento con una complessa rappresentazione delle opposte
forze in gioco, Tomasi di Lampedusa presenta la vicenda risorgimentale
attraverso il machiavellismo della classe dirigente, che alla fine si mette al
servizio dei garibaldini e dei piemontesi, convinta che sia il modo migliore
perché tutto resti com'era. Questa rappresentazione per la prospettiva da cui è
descritta è parziale; restano fuori dal romanzo molti eventi significativi:
solo per fare un esempio, la rivolta dei contadini di Bronte, che provocò 16
morti prima di essere stroncata nel sangue da Nino Bixio che fece condannare a
morte 5 dei responsabili (oggetto invece della novella di Verga). Da
questo punto di vista quindi le mancanze de Il Gattopardo come romanzo storico
del Risorgimento in Sicilia sono evidenti. Osservava Mario Alicata: «Una cosa è
cercare di comprendere come e perché si affermò nel processo storico
risorgimentale una determinata soluzione politica, cioè la direzione di
determinate forze politiche e sociali, un'altra cosa è credere, o far finta di
credere, che ciò sia stato una sorta di presa in giro condotta dai furbi (dai
potenti di ieri e di sempre) ai danni degli sciocchi (coloro che si illudono
che qualche cosa di nuovo possa accadere non solo sotto il sole di Sicilia ma
sotto il sole tout court)». Pertanto è dubbio se il valore de Il Gattopardovada
ricercato al di fuori della prospettiva del romanzo storico; la faccenda appare
più complicata di come poteva apparire ai primi lettori dell'opera, se il
principe stesso negava di aver voluto scrivere un romanzo storico (semmai un
testo intessuto di memoria e di memorie), nella seconda edizione de Il romanzo
storico, invece Lukács riconduce Il Gattopardo al canone proprio del
genere. Di recente Vittorio Spinazzola, in un importante lavoro degli
anni novanta, Il romanzo antistorico, attribuisce alla triade formata da I
Viceré di De Roberto, I vecchi e i giovani di Pirandello, e il romanzo di
Tomasi di Lampedusa, la fondazione di un nuovo atteggiamento del romanzo
rispetto alla storia; non più l'ottimismo di una concezione storicista e
teleologica dell'avvenire dell'uomo (ancora presente in Italia nelle grandi
cattedrali di Manzoni e Nievo), ma la dolorosa consapevolezza che la storia
degli uomini non procede verso il compimento delle magnifiche sorti e
progressive, e che la "macchina del mondo" non è votata a provvedere
alla felicità dell'uomo. Il romanzo antistorico è il deposito di questa
concezione non trionfalistica della storia, nei tre testi citati il corso della
storia genera nuovi torti e nuovi dolori, invece di lenire i vecchi. Malgrado
la posizione nuova di Spinazzola, che rilegge in modo intelligente la
questione, il problema resta aperto, e la critica non ha ancora trovato una
soluzione condivisa su questo tema. È un romanzo uscito dalla tradizione
narrativa ottocentesca, della quale si avverte almeno la presenza di Stendhal;
ma nel senso della solitudine e della morte che pervade il protagonista si
rivela anche l'influenza determinante dell'esperienza decadente.[8] Un
altro elemento di differenza con altri romanzi storici è il suo essere una
trasposizione in un racconto di fantasia di vicende familiari che in parte sono
realmente avvenute e sono state tramandate attraverso la bocca dei parenti di
Tomasi di Lampedusa. A differenza di romanzi storici come ad esempio I promessi
sposi, nel quale nessun dettaglio storico era specificato che non fosse già
presente nelle fonti scritte consultate da Manzoni, Il Gattopardorappresenta
esso stesso una testimonianza storica (seppur offuscata dal tempo e dalla
tradizione orale) di come una parte della nobiltà visse quel determinato
periodo di transizione. Sterilità e morteModifica Il modulo narrativo si
discosta molto dai canoni del romanzo storico: il romanzo è suddiviso in
blocchi, con una sequenza di episodi che, pur facendo capo ad un personaggio
principale, sono dotati ciascuno di una propria autonomia. Inoltre, il
fallimento risorgimentale descritto non è un esempio di uno scarto tra speranze
e realtà nella storia degli uomini, ma sembra quello di una norma costante
delle vicende umane, destinate inesorabilmente al fallimento: gli uomini, anche
re Ferdinando o Garibaldi, possono solo illudersi di influire sul torrente
delle sorti che invece fluisce per conto suo, in un'altra vallata. La
negazione della storia e la sterilità dell'agire umano sono alcuni dei motivi
più ricorrenti e significativi del libro; in questa prospettiva di remota
lontananza dalla fiducia nelle "magnifiche sorti e progressive", il
Risorgimento può ben diventare una rumorosa e romantica commedia e Karl Marx un
"ebreuccio tedesco", di cui al protagonista sfugge il nome, e la
Sicilia, più che una realtà che storicamente si è fatta attraverso secoli di
storia, resta una categoria astratta, un'immutabile ed eterna metafisica
"sicilianità". Nella descrizione del fallimento risorgimentale, secondo
alcuni, si può intravedere un'altra riconferma della legge e degli uomini: il
fallimento esistenziale che, negli anni in cui scriveva, Tomasi di Lampedusa
poteva constatare. Correlato a questo è il tema del fluire del tempo,
della decadenza e della morte (che richiamano Marcel Proust e Thomas Mann)
esemplificato nella morte di una classe, quella nobiliare dei Gattopardi che
sarà sostituita dalla scaltra borghesia senza scrupoli dei Sedara, ma che
permea di sé tutta l'opera: la descrizione del ballo, il capitolo della morte
di don Fabrizio (secondo alcuni critici il punto più alto del romanzo), la
polvere del tempo che si accumula sulle sue tre figlie e sulle loro cose. Si
può dire che fra la tradizione del romanzo storico, siciliana ed europea, di
fine Ottocento e Il Gattopardo è passato il decadentismo con le sue stanchezze,
le sue sfiducie, la sua contemplazione della morte; l'opera di Tomasi di
Lampedusa inoltre cadeva in un momento di ripiegamento dei recenti ideali della
società italiana e di quella letteratura che si era sforzata di dare voce
artistica a quegli ideali. Il manoscrittoModifica Le fotocopie dei
manoscritti originali si trovano presso il Museo del Gattopardo a Santa
Margherita di Belice(AG), mentre gli originali sono custoditi dall'erede Gioacchino
Lanza Tomasi presso il Palazzo Lanza Tomasi a Palermo, ultima dimora dello
scrittore. NoteModifica ^ 1959, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su
premiostrega.it. URL consultato il 14 aprile 2019. ^ Samonà, pp.. ^ Gioacchino
Lanza Tomasi, «Le avventure del Gattopardo», 8 luglio 2011, www.ilsole24ore.com
^ D. Gilmour, L'ultimo gattopardo. Vita di Giuseppe Tomasi di Lampedusa,
Feltrinelli, Milano 2003, p. 172 ^ Bragaglia Cristina, Il Piacere del Racconto,
La Nuova Italia, 1993. ^ Tullio De Mauro, «Gattopardo non gattopardesco», 26
giugno 2011, www.ilsole24ore.com ^ Gattopardismo in Vocabolario – Treccani ^
Aldo Giudice, Giovanni Bruni, Problemi e scrittori della letteratura italiana,
vol. 3, tomo secondo, pag. 700, ed. Paravia, Torino, 1978. EdizioniModifica Il
Gattopardo, Prefazione e cura di Giorgio Bassani, Collana Biblioteca di
Letteratura n.4, Milano, Feltrinelli Editore, novembre 1958, p. 332. Il
Gattopardo, Collana Universale Economica n.416, Milano, Feltrinelli, febbraio
1963. Il Gattopardo, antologia a cura di Riccardo Marchese, Collana Primo
scaffale n.16, Firenze, La Nuova Italia, 1967, p. 240. Il Gattopardo e i
Racconti, Edizione conforme al manoscritto del 1957, Collana Gli Astri, Milano,
Feltrinelli, dicembre 1969. Il Gattopardo, Nota introduttiva di Maria Bellonci,
Milano, Club degli Editori, 1969. Il Gattopardo, Collana I Narratori n.229,
Milano, Feltrinelli, novembre 1974. Il Gattopardo, a cura di Giovanna Barbieri,
Collana Narrativa scuola, Torino, Loescher Editore, 1979. Il Gattopardo, Nuova
edizione riveduta con testi d'Autore in Appendice, a cura di Gioacchino Lanza
Tomasi, Collana Le Comete, Milano, Feltrinelli, giugno 2002, p. 300, ISBN
978-2-7028-7908-5. - Collana Universale Economica, LXXXVII ed., Feltrinelli,
2006 - CVI ed., marzo 2021; Collana Grandi Letture, Feltrinelli, 2013, ISBN
978-88-079-2222-0. Il Gattopardo, Prefazione di Gioacchino Lanza Tomasi,
Collezione Premio Strega, Torino, UTET - Fondazione Maria e Goffredo Bellonci,
2006, ISBN 88-02-07540-9. Il Gattopardo letto da Toni Servillo, edizione
integrale in audiolibro, Emons 2017, ISBN 978-88-6986-127-7.
BibliografiaModifica Alberto Anile, Maria Gabriella Giannice, Operazione
Gattopardo: come Visconti trasformò un romanzo di "destra" in un
successo di "sinistra", Genova, Le Mani, 2013. Rosaria Bertolucci, Il
principe dimenticato, Sarzana, Carpena, 1979. G. Bottino, Saggio su "Il
Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Genova, 1973. M. Castiello,
Il Gattopardo, Milano, 2004. Arnaldo Di Benedetto, Tomasi di Lampedusa e la
letteratura, in Poesia e critica del Novecento, Napoli, Liguori, 1999.
Margareta Dumitrescu, Sulla parte VI del Gattopardo. La fortuna di Lampedusa in
Romania, Catania, Giuseppe Maimone Editore, 2001. G. Lanza Tomasi, I luoghi del
Gattopardo, 2001. G. Masi, Come leggere Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di
Lampedusa, 1996. S.S. Nigro, Il Principe fulvo, Palermo, Sellerio editore,
2012. F. Orlando, L'intimità e la storia. Lettura delGattopardo, Torino,
Einaudi, 1998. Alberto Samonà, Giuseppe Tomasi di Lampedusa a Villa Piccolo: la
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Firenze, 1974. A. Vitello, I Gattopardi di Donnafugata, Palermo, 1963. A.
Vitello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa: il Gattopardo segreto, 2008. Luca
Alvino, Il paradigma del rosario nel Gattopardo, su Nuovi Argomenti, 2021. Voci
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Sicilia del Gattopardo Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote Wikiquote
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"Il Gattopardo" (dal programma Ad alta voce di Rai Radio 3)
Audiolettura del dialogo tra Don Fabrizio e Chevalley, su elapsus.it. Giuseppe
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giorni fa di Marcel Bergeret PAGINE CORRELATE Il Gattopardo (film) film del
1963 diretto da Luchino Visconti Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrittore
italianoIl Gattopardo (film) film del 1963 diretto da Luchino Visconti Lingua
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Cardinale e Burt Lancaster nella celebre scena simbolo del ballo finale Paese
di produzioneItalia, Francia Anno1963 Durata187 min 205 min ca. (versione
estesa) Rapporto2,21:1 (stampa 70 mm) 2,35:1 (stampa 35 mm) 2,25:1 (negativo)
Generestorico, drammatico RegiaLuchino Visconti SoggettoGiuseppe Tomasi di
Lampedusa(romanzo) SceneggiaturaSuso Cecchi D'Amico, Pasquale Festa Campanile,
Enrico Medioli, Massimo Franciosa, Luchino Visconti ProduttoreGoffredo Lombardo
Produttore esecutivoPietro Notarianni Casa di produzioneTitanus, S.N. Pathé
Cinéma, S.G.C. Distribuzionein italianoTitanus FotografiaGiuseppe Rotunno
MontaggioMario Serandrei MusicheNino Rota ScenografiaMario Garbuglia
CostumiPiero Tosi, Reanda, Sartoria Safas Interpreti e personaggi Burt
Lancaster: don Fabrizio Corbera, principe di Salina Alain Delon: Tancredi
Falconeri Claudia Cardinale: Angelica Sedara/Donna Bastiana Paolo Stoppa: don
Calogero Sedara Rina Morelli: principessa Maria Stella di Salina Lucilla
Morlacchi: Concetta Romolo Valli: padre Pirrone Terence Hill: conte Cavriaghi
Pierre Clémenti: Francesco Paolo di Salina Serge Reggiani: don Ciccio Tumeo
Maurizio Merli: Fulco, un amico di Tancredi Giuliano Gemma: generale di
Garibaldi Ida Galli: Carolina Ottavia Piccolo: Caterina Carlo Valenzano: Paolo
Brook Fuller: principe Ivo Garrani: colonnello Pallavicino Anna Maria Bottini:
Mademoiselle Dombreuil, governante Lola Braccini: donna Margherita Marino Masè:
tutore Howard Nelson Rubien: don Diego Tina Lattanzi: cuoca Ernesto Almirante:
generale Marcella Rovena: contadina Rina De Liguoro: principessa di Presicce
Valerio Ruggeri: colonnello Giovanni Melisenda: don Onofrio Rotolo Vittorio
Duse: colonnello Vanni Materassi: sergente Olimpia Cavalli: Mariannina Winni
Riva: cameriera Stelvio Rosi: sergente Leslie French: cavaliere Chevalley Gino
Santercole: uomo di Donnafugata Lou Castel: generale Michela Roc: contadina
Pino Caruso: giovane patriota Tuccio Musumeci: giovane patriota Doppiatori
originali Corrado Gaipa: don Fabrizio Corbera Solvejg D'Assunta: Angelica
Sedara/Donna Bastiana Carlo Sabatini: Tancredi di Falconeri Franco Fabrizi:
conte Cavriaghi Lando Buzzanca: don Ciccio Tumeo Pino Colizzi: Francesco Paolo
di Salina Gianni Bonagura: generale di Garibaldi Isa Bellini: Mademoiselle
Dombreuil, governante Ferruccio De Ceresa: cavaliere Chevalley Il Gattopardo è
un film del 1963 diretto da Luchino Visconti. Il soggetto è tratto
dall'omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e la figura del
protagonista del film, il Gattopardo, si ispira a quella del bisnonno
dell'autore del libro, il Principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, che fu
un importante astronomo e che nella finzione letteraria diventa il Principe Fabrizio
di Salina, e della sua famiglia tra il 1860 e il 1910, in Sicilia(a Palermo e
provincia e precisamente a Ciminna e nel feudo agrigentino di Donnafugata,
ossia CiminnaPalma di Montechiaro e Santa Margherita di Belice in provincia di
Agrigento). Il film ha vinto Palma d'oro come miglior film al 16º
Festival di Cannes.[1] TramaModifica Nel maggio 1860, dopo lo sbarco a
Marsala di Garibaldi in Sicilia, Don Fabrizio assiste con distacco e con
malinconia alla fine dell'aristocrazia. La classe dei nobili capisce che ormai
è prossima la fine della loro superiorità: infatti gli amministratori e i
latifondisti della nuova classe sociale in ascesa approfittano della nuova
situazione politica. Don Fabrizio di Salina in una scena del film.
Don Fabrizio, appartenente a una famiglia di antica nobiltà, viene rassicurato
dal nipote prediletto Tancredi che, pur combattendo nelle file garibaldine,
cerca di far volgere gli eventi a proprio vantaggio e cita la famosa frase:
"Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi".
Specchio della realtà siciliana, questa frase simboleggia la capacità di
adattamento che i siciliani, sottoposti nel corso della storia
all'amministrazione di molti governanti stranieri, hanno dovuto per forza
sviluppare. E anche la risposta di Don Fabrizio è emblematica: "...E dopo
sarà diverso, ma peggiore." Quando, come tutti gli anni, il principe
con tutta la famiglia si reca nella residenza estiva di Donnafugata, trova come
nuovo sindaco del paese Calogero Sedara, un borghese di umili origini, rozzo e
poco istruito, che si è arricchito e ha fatto carriera in campo politico.
Tancredi, che in precedenza aveva manifestato qualche simpatia per Concetta, la
figlia maggiore del principe, s'innamora di Angelica, figlia di don Calogero, che
infine sposerà, sicuramente attratto dal suo notevole patrimonio.
Episodio significativo è l'arrivo a Donnafugata di un funzionario piemontese,
il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, che offre a Don Fabrizio la nomina a
senatore del nuovo Regno d'Italia. Il principe però rifiuta, sentendosi troppo
legato al vecchio mondo siciliano, citando come risposta al cavaliere la frase:
"In Sicilia non importa far male o bene: il peccato che noi siciliani non
perdoniamo mai è semplicemente quello di 'fare'". Il connubio tra la
nuova borghesia e la declinante aristocrazia è un cambiamento ormai
inconfutabile: Don Fabrizio ne avrà la conferma durante un grandioso ballo, al
termine del quale inizierà a meditare sul significato dei nuovi eventi e a fare
un sofferto bilancio della sua vita. Produzione Modifica Difficoltà produttiveModifica Nel 1958 il
produttore Goffredo Lombardo, patron della Titanus, acquistò i diritti del
romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, quando Il Gattopardo stava riscuotendo
un grande successo editoriale. La regia venne affidata inizialmente a Mario
Soldati e poi ad Ettore Giannini, che però vennero entrambi licenziati da
Lombardo per divergenze sulla realizzazione della pellicola e sostituiti con
Luchino Visconti[2][3]. Ettore Giannini scrisse addirittura una bozza di
sceneggiatura che approfondiva le vicende risorgimentali, allontanandosi però
dal romanzo di Tomasi di Lampedusa e mettendo in secondo piano la storia
d'amore tra Tancredi e Angelica: per queste ragioni, Lombardo, con la mediazione
di Visconti, incaricò Suso Cecchi D'Amico, Pasquale Festa Campanile, Enrico
Medioli e Massimo Franciosa di scrivere una nuova sceneggiatura, accantonando
quella di Giannini, che rimase molto offeso dal comportamento del produttore e
per questo si ritirò per sempre dal mondo del cinema[3]. Il 27 marzo
1963, al cinema Barberini di Roma, il film uscì in anteprima dopo una
lavorazione che aveva richiesto quindici intensi mesi, iniziata alla fine del
dicembre 1961, mentre il primo ciak ebbe luogo lunedì 14 maggio 1962.
Nell'autunno precedente, il regista, insieme allo scenografo Mario Garbuglia e
al figlio adottivo di Giuseppe, Gioacchino Lanza Tomasi, aveva effettuato un
sopralluogo in Sicilia, che non era certo valso a dissipare le preoccupazioni
del produttore Goffredo Lombardo. Lo stesso Lombardo raccontò in un'intervista
che, recatosi sui set per raccomandare a Visconti di contenere i costi che
crescevano sempre di più, ricevette questa risposta dal regista:
"Lombardo, io questo film lo posso fare solo così. Se lei vuole, mi può
sostituire"[3]. L'investimento richiesto da questo colossal italiano
si rivelò infatti presto superiore a quanto previsto dalla Titanus allorché ne
aveva acquistato i diritti cinematografici. Dopo un mancato accordo di
co-produzione con la Francia, la scrittura di Burt Lancaster nel ruolo di
protagonista, nonostante le iniziali perplessità di Luchino Visconti (che
avrebbe preferito che a vestire i panni di Don Fabrizio fosse Laurence Olivier
o l'attore sovietico Nikolaj Čerkasov[4]), e forse dello stesso attore,[5]
permise un accordo distributivo per gli Stati Uniti d'America con la 20th
Century Fox. Ciononostante, le perdite subite dal film Sodoma e Gomorra e
da questo film, costato quasi tre miliardi di lire, causarono la sospensione
dell'attività della Titanus come produttrice cinematografica[6].
RipreseModifica Per quanto, come si è detto, la narrazione oggettiva degli
eventi sia oscurata e marginalizzata nel film dallo sguardo soggettivo del
protagonista-regista, un grande impegno fu posto nella ricostruzione degli
scontri tra garibaldini ed esercito borbonico. A Palermo nei vari set prescelti
(piazza San Giovanni Decollato, piazza della Vittoria allo Spasimo, piazza
Sant'Euno, piazza della Marina) "l'asfalto fu ricoperto di terra battuta,
le saracinesche sostituite da persiane e tende, pali e fili della luce
eliminati".[7] Tutto questo per iniziativa di Visconti, poiché il
produttore Lombardo si era raccomandato che non vi fossero scene di
combattimento. Villa Boscogrande Si rese inoltre necessario il
restauro, avvenuto in 24 giorni, della villa Boscogrande, nei pressi della
città, che sostituì, per le scene iniziali del film, il palazzo dei Salina, le
cui condizioni ne sconsigliavano l'utilizzo. Anche per le scene girate
nella residenza estiva dei Salina, Castello di Donnafugata, che nel romanzo
sostituiva Palma di Montechiaro, si scelse un sito alternativo, Ciminna.
"Visconti s'infatuò per la Chiesa Madre e il paesaggio circostante.
L'edificio a tre navate presentava uno splendido pavimento in maiolica.
L'abside decorata con stucchi rappresentanti apostoli e angeli di Scipione Li
Volsi (1622) era inoltre provvista di scranni lignei del 1619 intagliati con
motivi grotteschi, particolarmente adatti ad accogliere i principi nella scena
del Te Deum. Il soffitto originale della chiesa, in parte danneggiato durante
le riprese è stato poi rimosso e oggi non è più in sito. Inoltre la
situazione topografica della piazzetta di Ciminna sembrava ottimale, mancava
solo il palazzo del principe. Ma in 45 giorni la facciata disegnata da
Marvuglia fu innalzata davanti agli edifici a fianco della chiesa. L'intera
pavimentazione della piazza fu rifatta eliminando l'asfalto e rimpiazzandolo
con ciottoli e lastre"[7] Gran parte delle riprese ambientate all'interno
della residenza furono girate a Palazzo Chigidi Ariccia.[4] Infine, varie
scene sono state girate internamente ad alcune sale del palazzo Manganelli a
Catania. Gli interni di Palazzo Valguarnera-Gangi Il balloModifica Ottimo
era invece lo stato di manutenzione di palazzo Valguarnera-Gangi, a Palermo, in
cui fu ambientato il ballo finale, la cui coreografia venne affidata ad Alberto
Testa. In questo caso, il problema da affrontare era l'arredamento degli ampi
spazi interni. Contribuirono generosamente all'opera gli Hercolani e lo stesso
Gioacchino Lanza Tomasi con mobili, arazzi, suppellettili. Alcuni quadri (la
stessa Morte del giusto) e altre opere artigianali furono commissionate dalla
produzione. Il risultato finale valse uno scontato Nastro d'argento alla
migliore scenografia. Un altro Nastro d'argento andò alla fotografia a
colori[8] di Giuseppe Rotunno (che lo aveva vinto anche l'anno precedente con
Cronaca familiare). Degna di note, in particolare, l'illuminazione dei locali
cui, per volontà del regista che voleva ridurre al minimo l'uso delle luci
elettriche, contribuivano migliaia di candele, che costituirono un ulteriore
problema logistico, poiché dovevano essere riaccese all'inizio di ogni sessione
di riprese e frequentemente sostituite; inoltre non di rado la cera fusa colava
addosso alle persone presenti in scena. La preparazione del set, la necessità
di vestire centinaia di comparse[9] richiesero per queste scene turni
estenuanti.[10] La scena del ballo (oltre 44 minuti) a Palazzo
Gangi-Valguarnera è diventata famosa per la sua durata e opulenza.
DistribuzioneModifica Ulteriori informazioni Questa voce o sezione ha problemi
di struttura e di organizzazione delle informazioni. AccoglienzaModifica Il
film registrò un ottimo successo al botteghino in Italia, risultando campione
d'incassi assoluto nella stagione 1962-1963 con un ricavato di 2.323.000.000 di
lire dell'epoca;[11] detiene a oggi il nono posto nella classifica dei film
italiani più visti di sempre con 12 850 375 spettatori paganti.[12] Tuttavia il
mancato successo negli Stati Uniti non permise alla pellicola di rientrare
nelle ingenti spese di produzione, decretando il fallimento finanziario della
Titanus. Al momento della sua uscita nelle sale, la maggior parte della
critica americana stroncò il film, complice soprattutto uno sciagurato
montaggio che venne realizzato senza il consenso del regista, con un taglio di
quasi mezz'ora di pellicola dall'edizione definitiva.[13] Lo stesso Lancaster
s'impegnò, con scarso esito, nel montaggio della versione americana,
illudendosi di poter salvare quello che considerava, a ragione, un
capolavoro.[14] Il film fu osteggiato anche dal Partito Comunista
Italiano (al quale era legato Visconti) che non vedeva di buon occhio il romanzo
di Lampedusa, ritenuto "espressione di un'ideologia reazionaria" e
"politicamente conservatore".[15] Per questo motivo il regista montò
una versione alternativa per la critica cinematografica della sinistra di area
comunista, che includeva alcune scene del tutto estranee al romanzo originale
ma molto conformi alla sua salda fede marxista, come conflitti di classe e
fermenti di rivolta contadina[16], poi tagliate nella versione definitiva
presentata al Festival di Cannes. Questo non bastò a risparmiare le critiche di
alcuni intellettuali di sinistra che bollarono il film di
anti-storicismo.[17] Con il passare degli anni, il film è stato
rivalutato in maniera positiva dalla critica di tutto il mondo. Sul sito
aggregatore Rotten Tomatoes registra il 98% delle recensioni professionali
positive, con un consenso che recita, "sontuoso e malinconico, Il
gattopardopresenta battaglie epiche, ricchi costumi e un valzer da ballo che si
candida per la più bella sequenza trasposta in cinema".[18] Su Metacritic
ha invece un punteggio di 100 basato su 12 recensioni.[19] Martin
Scorsese lo ha inserito nella lista dei suoi dodici film preferiti di tutti i
tempi.[20] Il film è stato inoltre selezionato tra i 100 film italiani da
salvare[21]. RiconoscimentiModifica Festival di Cannes 1963 Palma d'oro a
Luchino Visconti David di Donatello 1963 Miglior produttore a Goffredo Lombardo
Premio Feltrinelli 1963 Premio per le arti - Regia cinematografica National
Board of Review Awards 1963 Migliori film stranieri Golden Globe 1964 Candidato
per il Miglior attore debuttante ad Alain Delon Premi Oscar 1964 Candidato per
i Migliori costumi a Piero Tosi Nastri d'argento 1964 Migliore fotografia a
coloria Giuseppe Rotunno Migliore scenografia a Mario Garbuglia Migliori
costumi a Piero Tosi Candidato Regista del miglior film a Luchino Visconti
Candidato Migliore sceneggiatura a Suso Cecchi D'Amico, Luchino Visconti,
Massimo Franciosa, Pasquale Festa Campanile ed Enrico Medioli Candidato per la
Migliore attrice non protagonistaa Rina Morelli Candidato per il Migliore
attore non protagonistaa Romolo Valli CommentoModifica Il Gattopardo
rappresenta nel percorso artistico di Luchino Visconti un cruciale momento di
svolta in cui l'impegno nel dibattito politico-sociale del militante comunista
si attenua in un ripiegamento nostalgico dell'aristocratico milanese, in una
ricerca del mondo perduto, che caratterizzerà i successivi film di
ambientazione storica. Palazzo Filangeri di Cutò, a Santa
Margherita di Belìce dimora estiva di Giuseppe Tomasi di Lampedusa descritta,
col suo giardino, nel romanzo. Il regista stesso, a proposito del film, indicò
come propria aspirazione il raggiungimento di una sintesi tra il Mastro-don
Gesualdo di Giovanni Verga e la Recherche di Marcel Proust.[22] Sotto il
profilo della critica, è stato notato che «Visconti traduce le pagine di
Lampedusa in termini puramente cinematografici, sia a livello drammaturgico
(larghe ellissi, sintesi, analogie temporali e tre flashback dedicati al
principe), sia come regia: l’uso del tempo antinaturalistico, la pausa, il
silenzio, la reiterazione, l’alternarsi di totali e scene più raccolte, di
protagonisti e comprimari, la funzione narrativa del paesaggio, la disposizione
dei corpi e degli oggetti, la scenografia»[23]. La rivoluzione mancataModifica
Il principe di Salina Fabrizio Corbera interpretato da Burt Lancaster. La
pubblicazione del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa aveva aperto
all'interno della sinistra italiana un dibattito sul Risorgimento come
"rivoluzione senza rivoluzione", a partire dalla definizione
utilizzata da Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere. A chi accusava il
romanzo di aver vituperato il Risorgimento si opponeva un gruppo di
intellettuali che ne apprezzava la lucidità nell'analizzarne la natura di
contratto, all'insegna dell'immobilismo, tra vecchia aristocrazia ed emergente
classe borghese.[24] Visconti, che già aveva affrontato la questione
risorgimentale in Senso (1954) e che era stato profondamente colpito dalla
lettura del romanzo, non esitò ad accettare la possibilità di intervenire nel
dibattito offertagli da Goffredo Lombardo, che si era assicurato, per la
Titanus, i diritti cinematografici del libro. Nel film, la narrazione di
questi eventi è affidata allo sguardo soggettivo del Principe di Salina, sulla
cui persona vengono raccordati "come in un inedito allineamento
planetario, i tre sguardi sul mondo in trapasso: del personaggio, dell'opera
letteraria, del testo filmico che la visualizza".[25]. Lo sguardo di
Visconti viene a coincidere con quello di Burt Lancaster, per il quale questa
esperienza di "doppio" del regista "varrà... una profonda
trasformazione interiore, anche sul piano personale".[26] È qui che
si può cogliere la cesura rispetto alla precedente produzione del regista: gli inizi
di un periodo in cui nella sua opera "...nessuna forza positiva della
storia...si profila come alternativa all'epos della decadenza cantato con
struggente nostalgia".[27] È determinante nell'esprimere questo
passaggio, il ballo finale, cui Visconti assegnò, rispetto al romanzo, un ruolo
più importante sia per la durata (da solo occupa circa un terzo del film) sia
per la collocazione (ponendolo come evento conclusivo, mentre il romanzo si
spingeva ben oltre il 1862, sino a comprendere la morte del principe nel 1883 e
gli ultimi anni di Concetta dopo la svolta del secolo). In queste scene tutto
parla di morte. La morte fisica, in particolare nel lungo e assorto indugiare
del principe dinanzi al dipinto La morte del giusto di Greuze. Ma soprattutto
la morte di una classe sociale, di un mondo di "leoni e gattopardi",
sostituiti da "sciacalli e iene".[28] I sontuosi ambienti,
vestigia di un glorioso passato, in cui ha luogo il ricevimento, assistono
impotenti all'irruzione e alla conquista di una folla di personaggi mediocri,
avidi, meschini. Così il vanesio e millantatore colonnello Pallavicini (Ivo
Garrani). Così lo scaltro don Calogero Sedara (Paolo Stoppa), rappresentante di
una nuova borghesia affaristica, abile nello sfruttare a proprio vantaggio l'incertezza
dei tempi, e con cui la famiglia del principe si è dovuta imparentare per
portare una nuova linfa economica nelle sue esauste casse. Ma è
soprattutto nel nuovo cinismo e nella spregiudicatezza dell'adorato nipote
Tancredi, che dopo aver combattuto coi garibaldini non esita, dopo Aspromonte,
a schierarsi coi nuovi vincitori e ad approvare la fucilazione dei disertori,
che il principe assiste alla fine degli ideali morali ed estetici del suo
mondo.[29] NoteModifica ^ ( EN ) Awards 1963, su festival-cannes.fr. URL
consultato l'11 giugno 2011 (archiviato dall' url originale il 25
dicembre 2013). ^ Il Gattopardo di Giannini che non vide mai la luce, in la
Repubblica, 25 maggio 2013. ^ a b c Il cinema coraggioso dell'ultimo
Gattopardo, su osservatoreromano.va. URL consultato il 4 novembre 2018
(archiviato dall' url originale il 4 novembre 2018). ^ a b Alessandro
Boschi, La valigia dei sogni, LA7, 1º gennaio 2012. ^ Caterina D'Amico, La
bottega de "Il Gattopardo", Marsilio.Edizioni di Bianco e Nero, 2001,
pag.456 ^ "Ancora a distanza di anni, Lombardo attribuisce la crisi al
costo eccessivo di due film i quali, nonostante il successo di pubblico, non
sono riusciti a coprire il costo di produzione: Sodoma e Gomorra di Robert
Aldrich e Il Gattopardo di Luchino Visconti". Callisto Cosulich,
L'"operazione Titanus", in "Storia del cinema italiano",
Marsilio, Edizioni di Bianco e Nero, 2001, pag.145 ^ a b Caterina D'Amico,
op.cit. ^ All'epoca il premio veniva aggiudicato separatamente per la
fotografia a colori e quella in bianco/nero ^ "...i costumi approntati
(oltre agli otto per gli attori principali) furono 393: gli abiti femminili
erano tutti diversi tra di loro e per almeno cento di questi si prevedevano
cappotti e sorties varie". Ibid. ^ "La vestizione iniziava alle due
del pomeriggio, alle otto di sera cominciavano le riprese, che duravano fino
alle quattro del mattino, talora alle sei". Ibid ^ Stagione 1962-63: i 100
film di maggior incasso, su hitparadeitalia.it. URL consultato il 27 dicembre
2016. ^ I 50 film più visti al cinema in Italia dal 1950 ad oggi, su
movieplayer.it. URL consultato il 27 dicembre 2016. ^ Quando gli Usa bocciarono
'Il Gattopardo' di Visconti, in la Repubblica, 27 settembre 2013. ^ Tony
Thomas, Burt Lancaster, Milano Libri Edizioni, 1981. ^ E il Pci cercò di levare
gli artigli al «Gattopardo», in il Giornale, 20 luglio 2013. ^ Torna in sala
«Il Gattopardo» con i 12 minuti mai visti tra rivolte e conflitti di classe, in
Corriere della Sera, 23 ottobre 2013. ^ Visconti e il Pci quel tira e molla sul
Gattopardo, in La Stampa, 28 ottobre 2013. ^ ( EN ) Il Gattopardo, su Rotten
Tomatoes, Fandango Media, LLC. URL consultato il 26 ottobre 2018. Modifica su
Wikidata ^ ( EN ) Il Gattopardo, su Metacritic, Red Ventures. URL consultato il
26 ottobre 2018. Modifica su Wikidata ^ ( EN ) Scorsese’s 12 favorite films, su
miramax.com. URL consultato il 25 dicembre 2013 (archiviato dall' url
originale il 26 dicembre 2013). ^ Rete degli Spettatori ^ Luchino
Visconti, Il Gattopardo, Bologna 1963, p.29 ^ Piero Spila, Quell'Ossessione che
piacque anche a Togliatti, in "Bianco e nero" 2-3/2013, pp. 58-69,
doi: 10.7371/75533. ^ Antonello Trombadori (a cura di), Dialogo con Visconti,
Cappelli, Bologna, 1963 ^ Luciano De Giusti, La transizione di Visconti, Marsilio,
Edizioni di Bianco e Nero, 2001, p. 76 ^ Giorgio Gosetti, Il Gattopardo,
Milano, 2004 ^ Luciano De Giusti, op.cit. ^ Così nel film, il principe di
Salina a Chevalley ^ Alessandro Bencivenni, Luchino Visconti, Ed. L'Unità/Il
Castoro, Milano, 1995, pp. 58-60 BibliografiaModifica Antonio La Torre
Giordano, Luci sulla città - Palermo nel cinema dalle origini al 2000, ASCinema
- Archivio Siciliano del Cinema, prologo di Goffredo Fofi, prefazione di Nino
Genovese, Caltanissetta, Edizioni Lussografica, 2021, ISBN 978-88-8243-518-9
Suso Cecchi D'Amico, Renzo Renzi, Il Gattopardo di Luchino Visconti, collana
Dal soggetto al film, vol. 29, Cappelli editore, Bologna (1963) Alberto Anile,
Maria Gabriella Giannice, Operazione Gattopardo: come Visconti trasformò un
romanzo di "destra" in un successo di "sinistra", Le Mani
editore, Genova (2013) Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote Wikiquote
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1º gennaio 2012). Modifica su Wikidata ( EN ) Il Gattopardo, su AFI Catalog of
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(data) Portale Cinema Portale Risorgimento Ultima
modifica 10 giorni fa di 93.33.20.107 PAGINE CORRELATE Tancredi Falconeri Il
Gattopardo romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa Principe
Fabrizio SalinaGiuseppe Tomasi di Lampedusa scrittore italiano Lingua Segui
Modifica Giuseppe Tomasi di Lampedusa Tomasi di Lampedusa.jpg Giuseppe Tomasi
di Lampedusa in una fotografia d'epoca Principe di Lampedusa Stemma In
carica1934 - 1957 Altri titoliDuca di Palma Barone della Torretta Barone di
Montechiaro Grande di Spagna NascitaPalermo, 23 dicembre 1896 MorteRoma, 23
luglio 1957 SepolturaCimitero dei Cappuccini, Palermo Dinastia Tomasi
di Lampedusa PadreGiulio Maria Tomasi MadreBeatrice Mastrogiovanni Tasca di
Cutò ConsorteAlexandra, baronessa von Wolff-Stomersee ReligioneCattolicesimo
«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.»
(Tancredi Falconeri, nipote materno di Don Fabrizio Corbera, Principe di
Salina, Duca di Querceta, Marchese di Donnafugata, ne "Il
Gattopardo") Premio Strega 1959 Giuseppe Tomasi di
Lampedusa(Palermo, 23 dicembre 1896 – Roma, 23 luglio 1957) è stato un nobile e
scrittore italiano. Letterato di complessa personalità e autore del noto
romanzo Il Gattopardo, fu un personaggio taciturno e solitario e trascorse gran
parte del suo tempo nella lettura. Ricordando la propria infanzia scrisse: ero
un ragazzo cui piaceva la solitudine, cui piaceva di più stare con le cose che
con le persone[1]. BiografiaModifica InfanziaModifica Don Giuseppe
Tomasi, 11º principe di Lampedusa, 12º duca di Palma, barone di Montechiaro,
barone della Torretta, Grande di Spagna di prima Classe (titoli acquisiti il 25
giugno 1934 alla morte del padre), nacque a Palermo il 23 dicembre del 1896,
figlio di Giulio Maria Tomasi (1868-1934) e di Beatrice Mastrogiovanni Tasca di
Cutò (1870-1946). Rimase figlio unico dopo la morte della sorella maggiore
Stefania, avvenuta a causa di una difterite (1897). Fu molto legato alla madre,
donna dalla forte personalità, che ebbe grande influenza sul futuro
scrittore. Non lo stesso avvenne col padre, un uomo dal carattere freddo e
distaccato. Da bambino studiò nella sua grande casa a Palermo con l'ausilio di
una maestra privata, della madre (che gli insegnò il francese) e della nonna,
che gli leggeva i romanzi di Emilio Salgari. Nel piccolo teatro della residenza
di Santa Margherita Belice, ereditata dai Cutò e molto amata da sua madre, dove
passava lunghi periodi di vacanza, talora anche in inverno, assistette per la
prima volta a una rappresentazione dell'Amleto, recitato da una compagnia di
girovaghi. Il casato dei Tomasi di Lampedusa è una diramazione della
famiglia Tomasi da cui discendono anche i Leopardi di Recanati e che la
tradizione indica di origini bizantine. Caratterizzata da grande fervore
religioso, non condiviso dallo scrittore, la famiglia vanta nell'albero genealogico
un santo, san Giuseppe Maria Tomasi (1649-1713), e una venerabile, Isabella
Tomasi (1645-1690). In epoca recente lo zio Pietro Tomasi della Torretta fu
Ministro degli esteri e presidente del Senato. Sotto le armi a
CaporettoModifica A partire dal 1911 Tomasi di Lampedusa frequentò il liceo
classico a Roma e in seguito a Palermo. Sempre a Roma, nel 1915 s'iscrisse alla
facoltà di Giurisprudenza, senza terminare gli studi. Nello stesso anno venne
chiamato alle armi, partecipò alla guerra come ufficiale d'artiglieria e nella
disfatta di Caporettofu catturato dagli austriaci, che lo imprigionarono in
Ungheria. Riuscito a fuggire, tornò a piedi in Italia. Dopo le sue
dimissioni dal Regio Esercito con il grado di tenente, ritornò nella sua casa
in Sicilia, alternando al riposo qualche viaggio, sempre in compagnia della
madre, che non lo abbandonava mai, e svolgendo studi sulle letterature
straniere. Nel 1925, insieme al cugino Lucio Piccolo, si recò a Genova, dove si
trattenne circa sei mesi, collaborando alla rivista letteraria Le opere e i
giorni. Il matrimonio con Licy von Wolff-StomerseeModifica A Riga, il 24
agosto 1932, sposò in una chiesa ortodossa la studiosa di psicanalisi
Alexandra, baronessa von Wolff-Stomersee, detta Licy, figlia del barone tedesco
del Baltico Boris von Wolff-Stomersee e della cantante italiana Alice Barbi, la
quale nel 1920aveva sposato in seconde nozze il diplomatico Pietro Tomasi,
marchese della Torretta, zio di Giuseppe. Andarono a vivere con la madre di lui
a Palermo, ma ben presto l'incompatibilità di carattere tra le due donne fece
tornare Licy in Lettonia. Nel 1934 morì Giulio Tomasi, e così Giuseppe ereditò
il titolo. Nel 1940 venne richiamato alle armi, ma, essendo a capo dell'azienda
agricola ereditata, fu presto congedato. Si rifugiò così con la madre a
Villa Piccolo (Capo d'Orlando), dove poi li raggiunse Licy, per sfuggire ai
pericoli della guerra. Alla fine del 1944 fu nominato presidente provinciale
della Croce Rossa Italiana di Palermo e poi presidente regionale, fino al
1946.[2]. La madre, che era da poco tornata a Palermo, morì nel 1946. Nel
1953 iniziò a frequentare un gruppo di giovani intellettuali, dei quali
facevano parte Francesco Orlando e Gioacchino Lanza Mazzarino. Con quest'ultimo
instaurò un buon rapporto affettivo, tanto da adottarlo qualche anno dopo. Da
quel momento in poi Gioacchino Lanza Mazzarino fu ribattezzato Gioacchino Lanza
Tomasi. L'incontro con Eugenio Montale e Maria BellonciModifica
Statua a grandezza naturale dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa
situata in piazza Matteotti a Santa Margherita Belice Tomasi di Lampedusa fu
spesso ospite presso il cugino Lucio Piccolo, col quale si recò nel 1954 a San
Pellegrino Terme per assistere a un convegno letterario, cui il parente poeta era
stato invitato per ritirare il primo premio di un concorso letterario. Lì
conobbe Eugenio Montale e Maria Bellonci. Si dice che fu al ritorno da quel
viaggio che iniziò a scrivere Il Gattopardo, ultimato due anni dopo, nel
1956. All'inizio il manoscritto del Gattopardo non fu preso in
considerazione dalle case editrici Mondadori e Einaudi, alle quali era stato
inviato in lettura, e i rifiuti riempirono Tomasi di Lampedusa di amarezza. Il
manoscritto fu giudicato negativamente da Elio Vittorini, all'epoca influente
lettore per Mondadori e curatore della celebre collana "I gettoni"
per l'editore Einaudi, che non s'accorse di aver letto un capolavoro della
letteratura italiana e mondiale[3]. Vittorini successivamente rifiuterà la
pubblicazione de Il dottor Živago di Pasternak e Il tamburo di latta di
Grass. La morte e il successo postumoModifica Francobollo per il
cinquantenario della morte Nel 1957 gli fu diagnosticato un tumore ai polmoni;
morì il 23 luglio, non prima di aver adottato come erede l'allievo e lontano
cugino Gioacchino Lanza di Assaro. Il romanzo fu pubblicato postumo nel
novembre del 1958, quando Elena Croce lo inviò a Giorgio Bassani, che lo fece
pubblicare presso la casa editrice Feltrinelli. Nel 1959 il romanzo vinse il
Premio Strega.[4] Curiosamente, anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa morì lontano
da casa come il suo antenato protagonista de Il Gattopardo, il 23 luglio 1957 a
Roma[5], nella casa della cognata in via San Martino della Battaglia n. 2, dove
era andato per sottoporsi a particolari cure mediche che si rivelarono
inefficaci. La salma fu tumulata il 28 luglio nella tomba di famiglia al
Cimitero dei Cappuccini di Palermo. Non avendo eredi, i titoli nobiliari
(duca di Palma, principe di Lampedusa, barone di Montechiaro, barone della
Torretta e Grande di Spagna di prima Classe) andarono allo zio paterno Pietro
Tomasi della Torretta, che morì nel 1962 senza lasciare discendenti diretti, ma
solo collaterali. Gli succedette il cugino Giuseppe Garofalo, figlio di Maria
Antonia Tomasi di Lampedusa, suo congiunto maschio più prossimo, che ereditò
con due cugine figlie di Chiara anche parte dei beni. AscendenzaModifica
GenitoriNonniBisnonniTrisnonni Giulio, VIII Pr. di Lampedusa (1814–
1885)Giuseppe Tomasi, III, VII Pr. di Lampedusa (1767– 1831)Carolina Wochinger
e Greco (1784 - 1845)
Giuseppe, IX Pr. di Lampedusa (1838– 1908)Maria Stella Guccia e Vetrano (1815 -
1886Giovan Battista Guccia e Bonomolo (1736 - 1834)VetranoGiulio, X Pr.
Lampedusa (1868– 1934Salvatore Papè e Gravina (1790 - 1870)Pietro Papè e
BolognaIppolita Gravina MassaStefania Papè e Vanni (1840– 1913)Vittoria Vanni e
Filangieri Francesco
Vanni e InvegesRosalia Filangieri (1774 - 1847)Giuseppe, XI Pr. di Lampedusa
(1896–1957)Lucio Mastrogiovanni Tasca e Nicolosi (1820 - 1892)Paolo
Mastrogiovanni TascaRosa NicolosiLucio Mastrogiovanni Tasca e Lanza
(1842–1892)Beatrice Lanza Branciforte (1825 - 1900)Giuseppe Lanza Branciforte
(? - 1855) Stefania
Branciforte e BranciforteBeatrice Mastrogiovanni Tasca e Filangieri
(1870–1946)Alessandro IV Filangieri e Pignatelli (1802 - 1854)Niccolò
Filangieri (1760 - 1839)Margherita Pignatelli Aragona Cortes (1783 -
1830)Giovanna Nicoletta Filangieri e Merlo (1850–1891)Teresa Merlo Clerici
(1816 - 1897)Francesco MerloGiovanna ClericiFilm biograficiModifica
Giuseppe Tomasi in età giovanile, nel 1936 La macchina per scrivere di
Tomasi (Museo del Risorgimento, Santa Margherita Belice) La tomba nel
Cimitero dei Cappuccini (Palermo) La storia dell'ultimo periodo della sua vita
e della stesura de Il Gattopardo è raccontata nel film del 2000 di Roberto
Andò, Il manoscritto del Principe. Nel 1960 Ugo Gregoretti ha girato il
documentario La Sicilia del Gattopardo in cui ricostruisce la vita e i luoghi
di ispirazione del romanzo. In occasione della quattordicesima edizione della
Festa del Cinema di Roma è stato proiettato il Docufilm Die Geburt des
Leoparden (trad. it.: La nascita del Gattopardo), regia di Luigi Falorni. Un
viaggio alla scoperta della vita dell'ultimo principe di Lampedusa raccontato
dalle voci e dalle testimonianze delle persone care[6]. DedicheModifica Nel
2011 Alitalia gli ha dedicato uno dei suoi Airbus A320-216 (EI-DSB). Gli è
stato dedicato un asteroide, il 14846 Lampedusa. A Santa Margherita di Belice è
stato allestito presso il Palazzo del Gattopardo, ex proprietà dei Lampedusa il
Museo del Gattopardo.[7] Nel 2003 nasce a Santa Margherita di Belice il parco
letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa che dà il via al Premio letterario
internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Nel 2019 viene fondata nel comune
di Palma di Montechiaro l'istituzione comunale "Giuseppe Tomasi di
Lampedusa", con direttore scientifico Gioacchino Lanza Tomasi.
OpereModifica Il Gattopardo, Milano, Feltrinelli, I ed. novembre 1958; nuova
edizione riveduta sul manoscritto a cura di Gioacchino Lanza Tomasi, Milano,
Feltrinelli, 2002. Racconti, Prefazione di Giorgio Bassani, Collana Biblioteca
di Letteratura: I Contemporanei n. 26, Milano, Feltrinelli, 1961; edizione
riveduta a cura di Nicoletta Polo, prefazione di Gioacchino Lanza Tomasi,
Milano, Feltrinelli, 1988; Nuova ed. rivista e accresciuta, Collezione Le
Comete, Feltrinelli, 2015; Collana UE, Feltrinelli, 2017. Lezioni su Stendhal,
Palermo, Sellerio, 1977. Invito alle Lettere francesi del Cinquecento, Collana
I Fatti e le Idee, Milano, Feltrinelli, 1979, ISBN 978-88-072-2420-1. Il mito,
la gloria, a cura di Marcello Staglieno, Roma, Shakespeare & Company, 1989
Letteratura inglese, 2 voll. (I: Dalle origini al Settecento; II: L'Ottocento e
il Novecento), a cura di Nicoletta Polo, postfazione di Gioacchino Lanza
Tomasi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1990-1991. Opere, introduzione e
premessa di Gioacchino Lanza Tomasi, a cura di Nicoletta Polo, Collana I
Meridiani, Milano, Mondadori, 1995; Nuova edizione aumentata, Collana I
Meridiani, Mondadori, 2004. Licy e il Gattopardo. Lettere d'amore, a cura di
Sabino Caronia, Roma, Edizioni associate, 1995. Viaggio in Europa. Epistolario
1925-1930, a cura di Gioacchino Lanza Tomasi e Salvatore Silvano Nigro, Milano,
Mondadori, 2006, ISBN 978-88-045-6477-5. La sirena, Milano, Feltrinelli, 2014
[con cd audio contenente una registrazione a voce dell'autore]. Ah! Mussolini!,
Postfazione di Gioachino Lanza Tomasi, Milano, De Piante Editore, 2019
NoteModifica ^ I racconti, 5ª ediz., Milano 1993, p. 53. ^ David Gilmour,
L'Ultimo gattopardo ^ Indro Montanelli, «La stanza di Montanelli. Elio
Vittorini fascista? Lo eravamo tutti», 11 giugno 1997, Corriere della Sera,
p.40 ^ 1959, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su premiostrega.it. URL consultato
il 14 aprile 2019. ^ «Morire, come ogni altra cosa, è un'arte». Due scomparse
indecenti e una morte ambiziosa, su elapsus.it. URL consultato il 18 aprile
2016. ^ Tomasi di Lampedusa e il Gattopardo, genesi di un capolavoro in DVD,
sul sito Luce Cinecittà, 24.06.2020, consultato il 28 giugno 2020. ^ Il Museo
del Gattopardo, su comune.santamargheritadibelice.ag.it. URL consultato il 18
aprile 2016. BibliografiaModifica Alberto Anile - Maria Gabriella Giannice,
Operazione Gattopardo, Genova, Le Mani, 2013. Manuela Bertone, Tomasi di
Lampedusa, Palumbo, Palermo, 1995. Rosaria Bertolucci, Il Principe dimenticato,
Sarzana, Carpena, 1979. Salvatore Calleri, La zampata del Gattopardo. I luoghi
dell'anima: solitudine e ricerca interiore in Giuseppe Tomasi di Lampedusa, a
cura dell'Istituto di Pubblicismo, Scialpi, Roma 2010.(Salvatore Calleri)
Carmelo Ciccia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa in Profili di letterati siciliani
dei secoli XVIII-XX, Centro di Ricerca Economica e Scientifica, Catania, 2002.
Arnaldo Di Benedetto, Tomasi di Lampedusa e la letteratura e La «sublime
normalità dei cieli»: considerazioni sulla parte prima del «Gattopardo», in
Poesia e critica del Novecento, Liguori, Napoli, 1999, pp. 65–97 e 237-50.
Arnaldo Di Benedetto, Elementi di onomastica lampedusiana, in O&L. I nomi
da Dante ai contemporanei, a cura di B. Porcelli e B. Bremer, Baroni,
Viareggio, 1999, pp. 119–23. Arnaldo Di Benedetto, Giuseppe Tomasi di
Lampedusa, «La Sirena», in L'«incipit» e la tradizione letteraria italiana, vol.
IV (Il Novecento), a cura di P. Guaragnella e S. De Toma, Pensa MultiMedia,
Lecce, 2010, pp. 447–56. Margareta Dumitrescu, Sulla parte VI del Gattopardo.
La fortuna di Lampedusa in Romania, Giuseppe Maimone Editore, Catania 2001.
Franco La Magna, Lo schermo trema. Letteratura siciliana e cinema, Città del
Sole Edizioni, Reggio Calabria, 2010, ISBN 978-88-7351-353-7 Gioacchino Lanza
Tomasi, Introduzione a "Opere" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa,
Mondadori Editore, Milano, 1995 coll. I Meridiani. Salvatore Silvano Nigro, Il
Principe fulvo, Palermo, Sellerio editore, 2012. Francesco Orlando, Ricordo di
Lampedusa (1962)seguito da Da distanze diverse (1996), Torino, Bollati
Boringhieri, 1996. Basilio Reale, Sirene siciliane. L'anima esiliata in
«Lighea» di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Moretti & Vitali, 2000. Giuseppe
Paolo Samonà, Il Gattopardo. I racconti. Lampedusa, Firenze, La Nuova Italia,
1974 Salvatore Savoia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Ed. Flaccovio, Palermo,
2010. Jochen Trebesch, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Leben und Werk des letzten
Gattopardo, NORA, Berlin, 2012. Nunzio Zago, Tomasi di Lampedusa, Bonanno,
Acireale-Roma, 2011. Steven Price, Lampedusa, a novel, New York, Farrar, Straus
and Giroux, 2019. Maria Antonietta Ferraloro, Giuseppe Tomasi di Lampedusa - Il
Gattopardo raccontato a mia figlia, La nuova frontiera junior, Roma, 2017. Voci
correlateModifica Il Gattopardo Tomasi di Lampedusa (famiglia) Altri
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esterniModifica Tomasi di Lampedusa, Giuseppe, su Treccani.it – Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Arnaldo
Bocelli, TOMASI, Giuseppe, duca di Palma, principe di Lampedusa, in
Enciclopedia Italiana, III Appendice, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1961. Modifica su Wikidata ( EN ) Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN ) Opere di
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su Open Library, Internet Archive. Modifica su
Wikidata ( EN ) Bibliografia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, su Internet
Speculative Fiction Database, Al von Ruff. Modifica su Wikidata ( EN ) Giuseppe
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fantastica, Fantascienza.com. Modifica su Wikidata ( EN ) Giuseppe Tomasi di
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Tomasi musicologo italiano Il Gattopardo romanzo scritto da Giuseppe
Tomasi di Lampedusa Tomasi di Lampedusa (famiglia) famiglia aristocratica
italianaTomasi di Lampedusa (famiglia) famiglia aristocratica italiana Lingua
Segui Modifica Tomasi di Lampedusa Coat of arms of the Family of Tomasi.svg
spes mea in deo est D'azzurro al leopardo d'oro, illeonito, sostenuto da un
monte di tre cime di verde cucito.[1] StatoBandiera del Regno di Sicilia 4.svg
Regno di Sicilia Flag of the Kingdom of the Two Sicilies (1816).svg Regno delle
Due Sicilie Flag of Italy (1861-1946) crowned.svg Regno d'Italia Italia Italia
Casata di derivazioneTomasi TitoliCroix pattée.svg Principe di Lampedusa Croix
pattée.svg Duca di Palma Croix pattée.svg Barone di Montechiaro Croix
pattée.svg Barone di Falconeri Croix pattée.svg Barone della Torretta Croix
pattée.svg Grande di Spagna FondatoreMario Tomasi Data di fondazioneXVI secolo
Etniaitaliana I Tomasi di Lampedusa sono una famiglia storica siciliana,
diramatasi dai Tomasi[2], che deve la propria notorietà in particolare al suo
esponente Giuseppe Tomasi di Lampedusa e al successo editoriale da questi
ottenuto, postumo, con la pubblicazione del romanzo Il Gattopardo.
Stemma dei Tomasi di Lampedusa StoriaModifica Origini: studi e
leggendeModifica Il castello di Palma di Montechiaro Le prime notizie
storiche sui Tomasi risalgono al VII secolo, mentre, per quanto concerne i
secoli precedenti, sono state prospettate ipotesi diverse. Secondo la
tradizione sarebbe originaria di Bisanzio (330 d.C.). Alcuni
studiosi (Sansovino, Villabianca, Palizzolo Gravina) sostengono che la famiglia
de' Leopardi da Roma si trasferì a Costantinopoli al seguito dell'imperatore
Costantino I[3]. Filadelfo Mugnosaffermò che la famiglia discendeva da
Leopardo, figlio di Crispo, primogenito dell'imperatore Costantino[4].
Archibald Colquhoun ritiene che il capostipite dei Tomasi sia stato Thomaso il
Leopardo, figlio dell'imperatore Tito e della regina Berenice.[5] Andrea
Vitello, autore che ha approfondito gli studi sulla famiglia, fa discendere i
Tomasi da Irene, figlia dell'imperatore bizantino Tiberio I, che sposò Thomaso
detto il Leopardo, principe dell'Impero e comandante della guardia
imperiale[6] Sino a tutto il XIX secolo, come segnala Vincenzo
Buonassisi, era condivisa l'opinione che individuava in due fratelli gemelli,
Artemio e Giustino, gli artefici del ritorno in Italia dei Leopardi-Tomasi; nel
secolo successivo la discendenza dai due gemelli, approdati ad Ancona e
provenienti da Bisanzio, è stata confermata da Andrea Vitello, studioso della
genealogia della famiglia Tomasi di Lampedusa, e ribadita da quanti, dopo la
pubblicazione degli scritti di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, si sono
interessati alla sua ascendenza[7]. Temendo per la loro vita a causa delle
lotte al vertice dell'Impero, lasciarono Costantinopoli dopo la morte
dell'imperatore Eracleo, tra il 640 e il 646, stabilendosi ad Ancona. Dal ramo
rimasto nelle Marche discenderebbero i Leopardi nei rami di Recanati, come pure
sosteneva Monaldo padre di Giacomo Leopardi[8], e di Amatrice, da cui discende
la schiatta, tuttora esistente anche in linea femminile [ de Sanctis di
Castelbasso e Rosati di Monteprandone de Filippis Delfico] di Pier Silvestro
Leopardi. Titoli nobiliariModifica In Sicilia non vigeva la legge salica
ed i titoli nobiliari si trasmettevano anche in linea femminile. In forza delle
norme dettate nel Liber Augustalis (III, 27 “de la successione de li nobili in
li feudi") e nei capitula "de successione feudalium", "de
alienatione feudorum","de successione feudorum"[9] e della
prammatica 14 novembre 1788 i titoli venivano trasmessi al collaterale maschio
vivente più prossimo e più anziano e, in mancanza di maschi, alla femmina più
prossima privilegiando le nubili. Il primo titolo nobiliare dei Tomasi di
Sicilia, la baronia di Montechiaro, fu acquisito per via materna come, in
epoche successive, anche le baronie di Franconeri e della Torretta. LetteraturaModifica
Il casato dei Tomasi di Lampedusa, ramo staccatosi dai Tomasi di Capua,
trasferitosi da Siena nel Regno di Napoli al seguito di Alfonso V d'Aragona[10]
è stato immortalato nel romanzo Il Gattopardo scritto dal principe Giuseppe
Tomasi di Lampedusa. Il successo dell'opera ha determinato il diffondersi
di due neologismi: il sostantivo "gattopardismo" e l'aggettivo
"gattopardesco"[11]. StemmaModifica L'arma dei Tomasi
(Palazzo ducale, Palma di Montechiaro) BlasonaturaModifica D'azzurro al
leopardo d'oro, illeonito, sostenuto da un monte di tre cime di verde
cucito.[12] MottoModifica spes mea in deo est Genealogia Modifica Baroni di Montechiaro e
duchi di PalmaModifica Il capostipite dei Tomasi siciliani, Mario (n. 1558),
capitano d'armi, si trasferì dalla Campania in Sicilia, a Licata[13], dove
sposò Francesca Caro baronessa di Montechiaro. Mario Tomasi e Francesca Caro
ebbero due gemelli, Ferdinando e Mario, governatore del Castello di Licata e
capitano dell'Inquisizione. Ferdinando (1597-1615), barone di Montechiaro[14],
appena sedicenne sposò Isabella La Restia; i coniugi ebbero due gemelli, Carlo
e Giulio, rimasti orfani del padre a nove mesi; quando i gemelli avevano
diciassette anni morì anche la madre e lo zio Mario li chiamò presso di sé a
Licata dove restarono circa sei anni. Carlo venne nominato duca di Palma
nel 1639 (il duca fu l'artefice della fondazione del paese oggi denominato
Palma di Montechiaro) ma cedette baronia e ducato al fratello e prese gli
ordini diventando uno dei chierici regolari teatini studioso di teologia.
Scrisse numerose opere in latino e italiano, cinquantuno delle quali
pubblicate[15]. Dopo la sua morte, essendogli stati attribuiti diversi
miracoli, venne avviato un processo di beatificazione e fu proclamato Servo di
Dio[16]. La famiglia annovera anche tre cardinali nel periodo bizantino (Fabio,
durante il papato di Gregorio III, Vibiano durante quello di Alessandro II e
Pietro durante il Patriarcato di Gerusalemme di Sergio III). Duca
SantoModifica La venerabile Maria Crocifissa (Isabella Tomasi), Giulio I
(1614-1669), duca di Palma e barone di Montechiaro venne nominato principe di
Lampedusa, sposò Rosalia Traina, baronessa di Falconeri, dalla quale ebbe otto
figli: Francesca (1643-1727), suor Maria Serafica, badessa del monastero
di Palma; Isabella (1645-1699), suor Maria Crocifissa, beata (nel romanzo è
ricordata come "Beata Corbera")[17]; Ferdinando (1647), che morì a
tre mesi; Antonia (1648-1721), suor Maria Maddalena; Giuseppe I (1649-1713),
cioè San Giuseppe Maria Tomasi; Rosaria, che morì a 11 mesi (1650-1651);
Ferdinando (1651- 1672); Alipia (1653-1734), suor Maria Lanceata. I coniugi
impartirono ai figli una rigida educazione religiosa; tutti, fatta eccezione
per Ferdinando, si indirizzarono alla carriera ecclesiastica. Tale fervore
religioso si perpetuò anche nei secoli successivi, tanto che i Tomasi
rischiarono spesso l'estinzione[18]. Isabella, che visse come Suor Maria
Crocifissa, entrò nel monastero, per lei e le sorelle fondato dal padre, il 12
giugno 1659, giorno dell'inaugurazione e con lei entrarono Francesca e Antonia:
Isabella aveva quattordici anni, Francesca quindici ed Antonia undici. Nel 1661
anche la madre Rosalia entrò in convento di clausura come oblata insieme alla
figlia diciottenne Alipia (l'unica che avendo solo sei anni quando vi entrarono
le sorelle non le aveva seguite); fu costretta, per amministrare i vassalli, ad
uscire dalla clausura quando il nipote Giulio II restò orfano. Giulio I
dedicò l'intera sua vita alla beneficenza e ad opere pie con tale assiduità ed
impegno da essere definito il Duca Santo; costruì numerose chiese, un asilo per
le orfanelle, un ospedale, un reclusorio per meretrici pentite, istituì un
Monte di Pietà per contrastare gli usurai, avviò bonifiche e si dedicò a
numerose opere sociali ed umanitarie. Il terzo principe di Lampedusa fu
Ferdinando I, al quale spettarono i titoli nobiliari del padre, in quanto prima
di lui erano nati solo due maschi, Ferdinando morto a tre mesi e Giuseppe I
che, rinunciando ai suoi diritti dinastici, si era indirizzato alla carriera
ecclesiastica. Tutte e quattro le figlie vollero entrare come suore di clausura
nel Monastero Benedettino. Il fervore religioso di Giulio I e dei suoi
congiunti era tale che a Palma l'intera famiglia era nota come "una razza
di Santi"[19]; è ancora conosciuta a Palma una deliziosa nenia "Il
testamento del Duca di Palma"[20]. Come il fratello Carlo alla sua morte
Giulio I venne proclamato Servo di Dio[21]. l Principi di Lampedusa,
duchi di Palma, baroni di Montechiaro e Falconeri Modifica Ferdinando I morì a soli ventun anni, l'anno
successivo alla nascita del figlio Giulio II (1671-1698), nato dal matrimonio
con Melchiorra Naselli e Carlo. Anche Giulio II, morì giovane, a ventisette
anni; dalla moglie Anna Maria Fiorito e Tagliavia, ebbe due figli maschi
Antonino morto in tenera età e Ferdinando II, che visse quasi ottant'anni,
sposò Rosalia Valguarnera e Branciforte e, rimasto vedovo, Giovanna Valguarnera
e La Grua. Giulio II restò sino all'età di sette anni nel monastero che
ospitava la nonna Rosalia (suor Seppellita) e le zie; compiuti i sette anni
assunse l'onere della sua educazione il nonno materno Luigi, principe
d'Aragona. Nonostante sia morto giovane riuscì a fondare l'Istituto delle Scuole
Pie, affidato ai Padri Scolopi. Fu allievo dell'Istituto, la cui sede è oggi
occupata dal comune di Palermo. Ferdinando II (1697-1775) ebbe dieci
figli, otto maschi e due femmine, Maria (1718-1795) suor Maria Crocifissa
monaca del monastero di Palma e Anna Maria (m. 1751) che sposò Antonio Lucchesi
Palli, principe di Campofranco. I figli maschi fatta eccezione per il
primogenito Giuseppe II (1717-1792) e per Gaetano morto in tenerissima età, si
diedero alla carriera ecclesiastica o a quella militare: Giulio (m. 1787) Abate
di Santa Maria di Roccamadore e Prelato domestico di Clemente XIV, Salvatore
(m. 1783) prete dell'Olivella, Carlo (n. 1734) gentiluomo di camera del duca di
Savoia e capitano dell'esercito sardo, Gioacchino (1739-1792) esente guardie del
corpo, Elia (1740-1790) capitano di artiglieria, Pietro (n. 1752) cavaliere di
Malta. Ferdinando II potenziò il patrimonio della famiglia e la istituzione
dell'Accademia dei Pescatori Oretei con finalità letterarie, il terzo seminario
dei Nobili retto dai padri Scolopi, e l'assunzione di rilevanti ruoli politici.
Fu nominato da Carlo VI grande di Spagna, fu presidente dell'arciconfraternita
della Redenzione dei Cattivi, capitano di Giustizia di Palermo, pretore di
Palermo, deputato del Regno, Vicario generale del Regno, maestro razionale di
cappa corta del Regio Patrimonio. Giuseppe II (1717-1792) sposò Antonia Roano e
Pollastra dalla quale ebbe tre figli Francesco morto in tenera età, Rosalia,
moglie di Gioacchino Burgio del Vio, Duca di Villafiorita e Giulio III
(1743-1812). Giuseppe II, cavaliere di Malta, fu governatore della Compagnia
della Pace, ambasciatore del Senato di Palermo presso Carlo III, governatore
del Monte di Pietà, capitano di Giustizia di Palermo, deputato del Regno,
presidente dell'Arciconfraternita per la Redenzione dei Cattivi, Intendente
Generale degli eserciti. Il figlio Giulio III sposò Maria Caterina Romano
Colonna figlia del duca di Reitano, con la quale ebbe tre figli Baldassarre
cavaliere di Malta, Antonia moglie di Francesco Arduino Ruffo marchese di
Roccalumera e Giuseppe III (1767-1833). Giulio III fu governatore della Pace,
senatore di Palermo, rettore dell'Ospedale Grande, deputato del Regno, pretore
di Palermo, governatore del Monte di Pietà, cavaliere di San Giacomo. Giuseppe
III si sposò due volte. La prima moglie, Angela Filangeri e la Farina figlia
del principe di Cutò morì di parto insieme al nascituro; dalla seconda moglie
Carolina Wochingher ebbe due femmine Caterina che sposò Giuseppe Valguarnera e
Ruffo, principe di Niscemi e duca dell'Arenella e Antonia che sposò Francesco
Caravita principe di Sirignano. L'unico maschio, Giulio IV, è il protagonista
del romanzo Il Gattopardo. Giuseppe III dovette affrontare una situazione
disastrosa sotto il profilo economico. La moglie Carolina, rimasta vedova, fu
costretta ad affrontare numerose vertenze giudiziarie e a varare un progetto di
contenimento delle spese. Il Gattopardo e i suoi discendenti Modifica Giulio Fabrizio Maria Tomasi
Caro Traina IV (1815-1885), pari di Sicilia, principe di Lampedusa, duca di
Palma, barone di Montechiaro e Falconeri, sposò Maria Stella Guccia e Vetrano,
figlia del marchese di Ganzaria e zia del matematico Giovanni Battista Guccia,
fondatore del Circolo Matematico di Palermo[22]. Diedero alla luce dodici
figli, sette femmine e cinque maschi. È il principe di Salina, protagonista del
romanzo del bisnipote. Giuseppe Tomasi di Lampedusa Salvatore,
decimo figlio, morì giovane, come la sesta, Caterina e la dodicesima, Maria
Rosa. Linea maschile Modifica
Giuseppe IV (1838-1908), primogenito del Gattopardo, sposò nel 1867 Stefania
Papè e Vanni (1840-1913), dalla quale ebbe cinque figli maschi: Giulio
(1868-1934), Pietro (1873-1964), Francesco (1875-1956), Ferdinando (1877-1920)
e Giovanni (1879-1940). Francesco ebbe un figlio, Giuseppe, morto ventenne nel
1945. Si sposarono, ma non ebbero figli, Pietro, Ferdinando e Giovanni, mentre
il primogenito Giulio V ebbe, oltre all'autore del romanzo, una femmina,
Stefania, morta a tre anni (1893-1896). Giuseppe V (1896-1957), lo
scrittore, principe, duca e barone, sposò nel 1932 Alexandra Wolff Stomersee,
figlia di un nobile baltico e dell'italiana Alice Barbi, che, nel 1920, in
seconde nozze aveva sposato Pietro Tomasi della Torretta, zio di Giuseppe. Alla
morte dell'autore del libro, lo zio Pietro, il parente maschio più prossimo,
ereditò i titoli di principe di Lampedusa, duca di Palma e barone di
Montechiaro e Falconeri. Come secondogenito era già barone della Torretta,
conosciuto però come marchese (di "cortesia" secondo gli autori),
titolo che usò ufficialmente nella carriera diplomatica. Pietro fu Ministro
degli Esteri, Senatore del Regno, ultimo presidente del Senato del Regno e
presidente del primo Senato della repubblica. Con Pietro Tomasi Della Torretta
si estinse la linea maschile. Linea femminile Pietro morì a Roma
nel 1962, nominando eredi di quanto possedeva a Ginevra le figlie della defunta
moglie, una delle quali, Alexandra Wolff Stomersee, aveva sposato Giuseppe, il
nipote scrittore. I suoi beni residui, tra i quali un lussuoso appartamento a
Roma, andarono agli eredi legittimi, suoi cugini di primo grado: Giuseppe
Garofalo, figlio di Maria Antonia Tomasi di Lampedusa, che aveva sposato il
professor Giovanni Garofalo, e le sorelle Giovanna e Maria Carolina
Crescimanno, figlie di Chiara Tomasi di Lampedusa, che aveva sposato Francesco
Paolo Crescimanno di Capodarso. Fra i diversi discendenti in linea
femminile rimasti in Sicilia, vi era Isabella Crescimanno di Capodarso,
deceduta il 13 aprile 2015, la quale scrisse Memorie, libro in cui venivano
raccontati aneddoti della famiglia. Rimangono il fratello Cesare Crescimanno e
i figli di lui Mario e Maria Laura, entrambi con figli ed altri
discendenti. Il secondogenito di Giulio Fabrizio Tomasi e di Maria Stella
Guccia, Giovanni, barone di Montechiaro, (Palermo 1840 - Baden Baden 1896)
sposò la cugina prima Carolina Guccia, Il figlio Giuseppe (1871-1936) sposò
Rosa Agliata; portava il titolo di conte di Celona ed aveva un grande biglietto
da visita in cui dichiarava di essere il solo ed unico cugino in secondo grado
di Pietro Tomasi della Torretta, senatore del Regno. Dal matrimonio nacquero
quattro figli, due maschi e due femmine. Tre non ebbero discendenti; soltanto
Carolina (1908 - 2016) ebbe un figlio dal marito Giuseppe Lo Piccolo (Palermo
1947). Carolina era vivente quando Pietro Tomasi della Torretta morì, Era la
parente più prossima in via femminile, poiché suo padre Giovanni era il
secondogenito di Giulio Fabrizio. Da questo matrimonio fra Maria Giovanni
Tomasi e Guccia e la cugina Carolina Guccia nacquero una figlia Maria Stella e
un maschio Giuseppe che sposo Rosa Agliata ed ebbe due figli maschi e due
femmine. Erano molto poveri ed i maschi morirono di tisi lavorando nelle
miniere di Montegrande, una figlia era monaca e sua sorella Carolina Guccia e
Marasà sposò l'avv. Giuseppe Lo Piccolo. Quando Pietro Tomasi della Torretta
morì questo divenne il parente più prossimo in linea femminile. Ha fatto
cognonomizzare Tomasi ed ha invertito il cognome in Tomasi Lo Piccolo. È
seguito dai discendenti di Antonia Tomasi e Guccia la figlia più anziana di
Giulio Fabrizio, che andò sposa al professor Giovanni Garofalo. I discendenti
per via femminile di questo matrimonio sono i Di Rella Tomasi di Lampedusa.
Anche loro hanno fatto cognonomizzare il cognome Tomasi di Lampedusa e sono
discendenti di Giuseppe Garofalo, l'unico cugino maschio di primo grado vivente
alla morte di Pietro Tomasi della Torretta. Nessuno dei discendenti
viventi avrebbe comunque avuto diritto - anche se la repubblica non avesse
abolito i titoli nobiliari - al riconoscimento dei titoli in capo a Pietro
(principe di Lampedusa, duca di Palma e barone della Torretta), poiché, dopo
l'Unità d'Italia ed il riconoscimento negli anni venti dei titoli borbonici,
poiché ad essi era stata estesa la legge salica, che escludeva le donne dalle
linee dinastiche. Secondo il diritto borbonico, invece, come si evince
dall'esame dei Capitula Regni Siciliae, il capo della dinastia sarebbe diventato
Giuseppe Lo Piccolo Tomasi, il parente maschio più prossimo in linea femminile.
Quando Giuseppe Garofalo morì, era vivente il figlio della sua unica figlia
Maria, coniugata Di Rella, quindi Aurelio Di Rella Tomasi ed i suo successori
sarebbero i successori secondo il diritto borbonico. In verità sono preceduti
da Giuseppe Lo Piccolo Tomasi, che non ha discendenti. Aurelio Di
Rella Tomasi di Lampedusa, avvocato, cavaliere dell'Ordine della Corona
d'Italia e componente della Consulta dei Senatori del Regno, ha tre figli, due
dei quali maschi, che si trovano immediatamente dopo di lui nella linea
dinastica femminile. Giuseppe Garofalo aveva due sorelle: Marietta, che
rimase nubile, e Giulia, coniugata con Pietro Trombetta, che ebbe cinque figli
(tre maschi e due femmine). Uno dei maschi, Giovanni Trombetta, avvocato, fu
vice comandante militare della Resistenza ai nazisti in Liguria e. in onore
della famiglia materna, assunse il nome di battaglia di "Colonnello
Tomasi". La regolamentazione dei titoli araldici vigente nel Regno
d'Italia. Consulta araldica, Libro d'Oro Con la soppressione degli
ordinamenti feudali, negli Stati dove le distinzioni nobiliari sopravvissero
vennero costituite speciali commissioni consultive per l'esame di questioni
araldiche. Si ebbero così il tribunale araldico in Lombardia, la commissione
araldica a Venezia e Parma, la congregazione araldica capitolina a Roma ecc..
Analogamente a quanto era avvenuto negli stati preunitari, anche nello stato
italiano venne istituito, con il Regio Decreto 313 del 10 ottobre 1869, un
organo collegiale, denominato Consulta araldica. Con il Regio Decreto 5318
dell'8 maggio 1870 venne istituito il Libro d'oro della nobiltà italiana.
Questo registro avrebbe man mano raccolto le concessioni di giustizia o di
grazia approvate dalla Consulta araldica. L'estratto del Libro d'oro faceva
fede del loro riconoscimento da parte del Regno d'Italia. Le successioni
furono regolamentate secondo la legge vigente nel Regno di Sardegna, e fu
quindi ammessa soltanto la successione per via maschile secondo le norme della
legge salica: maschi primogeniti. La Consulta fu varie volte mutata
nella composizione e nelle attribuzioni fino al Regio Decreto 7 giugno 1943, n.
651. La Consulta esaminava tanto le pratiche di giustizia che quelle di grazia.
Le prime erano le successioni che seguivano i principi della legge salica, le
seconde quelle successioni che avevano bisogno di una sanatoria concessa con
decreto reale (successioni per via femminile, in favore di membri della famiglia
diversi dai maschi primogeniti). Queste successioni per grazia avevano il
carattere di una rinnovazione. I titoli venivano concessi sul cognome ed erano
soggetti alla legge salica nella ulteriore trasmissione. Vennero di fatto
privilegiate le successioni che sanavano contenziosi all'interno delle grandi
famiglie e assistita la loro sopravvivenza. I criteri erano piuttosto
restrittivi, anche se il Regno d'Italia conservò spesso le regole presenti al
momento della loro concessione, per cui i titoli austriaci erano riconosciuti a
tutti i componenti maschili del casato. Il Libro d'oro stabiliva anche una
imposta di concessione per l'iscrizione ed in assenza di questa vari titoli
rimasero esclusi dall'inclusione per motivi fiscali. Era questo il caso di
famiglie che avevano molti titoli e non corrisposero la tassa per tutti quelli
che potevano rivendicare. Queste situazioni rimasero insanabili, in quanto
Umberto II non ritenne di dover sanare situazioni fiscali in vigore nel Regno
d'Italia. La trasformazione in Repubblica Italiana nel 1946 e la
successiva Costituzione del 1948 abolirono qualsiasi titolo nobiliare; la XIV
disposizione transitoria e finale demandò a una legge ordinaria le modalità di
soppressione della Consulta araldica; per molti anni non sopraggiunse alcun
atto al proposito e perciò si presumeva che l'organismo persistesse
formalmente, pur non avendo più titolo né scopo. Infatti la sentenza della
Corte costituzionale del 26 giugno 1967, n. 101, dichiarò illegittima qualsiasi
legislazione araldico-nobiliare italiana susseguitasi dal 1887 al 1943. Nel
1967 ancora la Consulta sentenziò che i titoli nobiliari «non costituiscono
contenuto di un diritto e, più ampiamente, non conservano alcuna rilevanza». Il
D.L. 112/2008 (convertito in legge 133/2008) e il Decreto legislativo 66/2010
abrogarono espressamente, rispettivamente, il R.D. 651/1943 e il R.D. 652/1943,
che regolavano i titoli nobiliari, e la Consulta araldica. Dopo tali atti
abrogativi, dunque, non esiste più alcuna norma giuridica relativa alla
Consulta araldica e detta consulta è soppressa a tutti gli effetti. La
Consulta araldica dopo la proclamazione della Repubblica La decisione di
abbandonare l'Italia da parte di Umberto II il 13 giugno 1946 non determinò una
rinuncia totale alle sue prerogative. Umberto ritenne di mantenere in vita la
fons honorum spettante a casa Savoia. A partire dal 1950, Umberto II rilasciò
numerosi titoli nobiliari, attenendosi alle prassi in essere ai tempi del
Regno. Furono sanate molte vertenze e il Libro d'oro della nobiltà italiana
continuò ad essere stampato come documento di una associazione privata. Questa
si strutturò in associazioni regionali e in una giunta centrale. Molti titoli
furono anche assegnati a vari sostenitori della monarchia ed alla borghesia imprenditoriale,
in particolare nel settore dell'edilizia. All'interno di questa prassi,
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, avendo nel maggio 1946 richiesto alla corte di
appello di Palermo di adottare il suo cugino in secondo grado Gioacchino Lanza
di Mazzarino e di Assaro, si presentava assieme ai genitori dell'adottando
Fabrizio Lanza di Assaro e Conchita Ramirez di Villarrutia in tribunale e
veniva registrato l'assenso all'adozione. Nel dicembre del 1946, alla
registrazione del decreto da parte della Corte di Appello, Giuseppe Tomasi di
Lampedusa scriveva a Falcone Lucifero, Ministro della Real Casa, del suo
desiderio di trasmettere i titoli della famiglia al figlio adottivo, in assenza
di una discendenza maschile. La lettera recava anche l'adesione e l'appoggio di
Pietro Tomasi della Torretta. Successivamente Fabrizio Lanza di Assaro si recò
a Villa Italia a Cascais ed Umberto IIcomunicò per iscritto a Lucifero la sua
adesione alla proposta di trasmettere il titolo di duca di Palma sul cognome
all'adottando. I restanti titoli della famiglia Tomasi, secondo il regolamento
araldico del Regno d'Italia, tornavano alla Corona. NoteModifica ^ A.
Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, Reber, 1912 (anche centrale/mango
online: «vanta discendere dalla famiglia dei Leopardi di Costantinopoli che si
vuole passata in Ancona sin dal 646 cambiando il cognome in quello di Tomasi»).
^ Angelo Tommasi di Vignano, Notizie storiche e genealogiche sulla nobile
famiglia Tommasi: Tommasi e Tomasi, rami di Siena, di Capua e di Sicilia, 1933
^ V. Palizzolo Gravina, op. cit., 363-364, segnala quanto segue: «sull'origine
della famiglia Tomasi dal Villabianca appoggiato al Sansovino rileviamo essere
l'antica de' Leopardi di Roma, è passata con Costantino imperatore in
Costantinopoli, ove fu grande e potente sino al tempo di Eracleo imperatore,
per la cui morte ella passo' in Italia, fermandosi in Ancona. La si disse
Tomasi dal greco trauma, che vuol dire mirabile, però che si sa i due gemelli
Artemio e Giuliano aver mostrato un ingegno meraviglioso». Tutti gli altri
autori concordano nel ritenere che uno dei due gemelli si chiamasse Giustino e
non Giuliano ^ F. Mugnos, op. cit., vol. III, al riguardo precisava: «Tuttavia
non lascerò di dire che Artemio e Giustino fratelli gemelli, ovvero nati
ambedue da un parto, cavalieri nobilissimi costantinopoliani dell'antichissima
famiglia Leopardi originata da Leopardo o da Licino Leopardo figlio di Crispo
primogenito dell'imperatore Costantino il grande» ^ A. Colquhoun, A dilemma of
Princes, Go, 1960, p. 30. ^ A. Vitello, I Gattopardi di Donnafugata, cit., p.
39: «Capostipite della gens Thomasa-Leopardi è il generale Thomaso detto il
Leopardo, principe dell'Impero Bizantino e comandante della guardia imperiale.
Fu lui a sposare Irene, figlia dell'imperatore Tiberio». Tuttavia Gilmour,
biografo inglese dell'Autore del libro, ritiene prive di prova le tesi di
Vitello e fantasiose tutte le ricostruzioni dell'albero genealogico anteriori
al ritorno in Italia della famiglia (David Gilmour, L'ultimo Gattopardo,
Feltrinelli, Milano 2003, pp 20-21). ^ Vincenzo Buonassisi, op. cit., scrive:
"«Tutti si accordano in dire, che ella sia greca di origine, e della città
di Costantinopoli non essendo però si chiaro, se ella già di antico fosse
passata in essa al tempo di Costantino, o fossevi passata di poi. Venne ella
primieramente in Ancona in due fratelli Artemio e Giustino, nati di un parto, e
tanto simiglianti nelle fattezze che era una meraviglia il vederli: onde anche
si vuole che a cagione di questa stupenda simiglianza venissero chiamati i
Tomasii, perché di prima Leopardi diceva si, spiegando l'insegna di un
Leopardo» ^ scrive Andrea Vitello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Sellerio 2008
p. 31: "della comune origine era convinto il padre del poeta che fu in
corrispondenza con il padre dell'astronomo; nella Istoria gentilizia di casa
Leopardi di Recanati il conte Monaldo sostenne appunto la discendenza dei
Leopardi dai Thomasi bizantini" ^ . I Capitula qui citati ed altri
relativi al tema della successione dei feudi sono reperibili nei Capitula Regni
Siciliae dei quali è stata pubblicata una ristampa anastatica dall'editore
Rubbettino nel 1999 ^ Girolamo Gigli, Diario Sanese, Siena, 1854, pp 548 e seg.
^ Il VI volume del Grande Dizionario della Lingua Italiana di Salvatore
Battaglia edito dall'UTET nel 1970 non riportava le due voci che compaiono
invece a pagina 410 del supplemento del 2004. I due termini non risultavano
riportati neppure nell'edizione del 1984 del Vocabolario illustrato della
lingua italiana, di Devoto-Oli, editrice Selezione dal Reader's Digest.
Entrambi i vocaboli sono invece riportati nel Dizionario essenziale della
lingua italiana di Sabatini-Coletti pubblicato dalla casa editrice Sansoni nel
2007. Compare solo il termine gattopardismo ne Il grande italiano-vocabolario
della lingua italiana di Aldo Gabrielli, edito nel 2008 dalla casa editrice
Hoepli. Nel linguaggio aulico, ha avuto ingresso soltanto di recente (Mimmo
Muolo, LA REGOLA D’ORO, Avvenire, 23 dicembre 2016, in ordine alle resistenze
nella Curia: "il Papa ne ha evidenziate di tre tipi: aperte in quanto
derivanti dal dialogo sincero, nascoste o gattopardesche, e malevole, queste
ultime ispirate dal demonio"). ^ A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di
Sicilia, Reber, 1912 (anche centrale/mango online: «vanta discendere dalla
famiglia dei Leopardi di Costantinopoli che si vuole passata in Ancona sin dal
646 cambiando il cognome in quello di Tomasi»). ^ Francesco Emanuele Gaetani
marchese di Villabianca, Della Sicilia nobile, Palermo 1757, p. 65,
"...Mario di Tomasi che da Capua passò in Sicilia, con il viceré Marco
Antonio Colonna, e fu capitan d'armi nella Licata sull'anno 1585, rispondendo
in quei tempi un tal uffizio al grado di Vicario generale regio d'oggidì"
^ Marchese di Villabianca, op. cit. p 65: "fu quella baronia recata in
dote da Francesca di Caro e Celestre, primogenita figlia di Ferdinando ultimo
barone di essa a Mario di Tomasi" ^ Tutti gli scritti di Carlo Tomasi sono
enumerati e sinteticamente descritti nella seconda parte dell'opera di Antonio
Francesco Vezzosi I scrittori de' chierici regolari detti Teatini , Roma 1780,
pp 349-359 ^ Giovanni Bonifacio Bagatta Vita del venerabile Servo di Dio D.
Carlo de' Tomasi e Caro della Congregazione de' chierici regolari Roma 1702 ^
S. Cabibbo - M. Modica, op. cit, p. 85 raccontano che la beata Isabella usava
flagellarsi a sangue sin dalla più tenera età. ^ Secondo Gilmour, op. cit., p.
22, a Capua su otto figli sei si fecero sacerdoti o monache ^ da Reinhard
Volker, Le grandi famiglie italiane, le élite che hanno condizionato la storia
d'Italia di Horst Reimann Tomasi di Lampedusa, Neri Pozza, 1996, p. 585 ^
Volker, ivi, p. 588 ^ Biagio della Purificazione, Vita e virtù dell 'insigne
Servo di Dio D. Giulio Tomasii e Caro, duca di Palma, Prencipe di Lampedusa,
barone di Monte Chiaro e cavaliere di San Giacomo , Roma, 1685 ^ Benedetto
Bongiorno, Guillermo P. Curbera, Giovanni Battista Guccia, Pioneer of
International Cooperation in Mathematics, Springer, Heidelberg 2018. Bibliografia Modifica Gian Evangelista Blasi,
Opuscoli di autori siciliani alla grandezza di Ferdinando Maria Tomasi, Caro,
Traina e Naselli, Palermo, 1770. Bonifacio Bagatta, Vita del venerabile servo
di Dio D. Carlo De' Tomasi della Congregatione De' Chierici Regolari, Roma
1702. Domenico Bernino, Vita del venerabile cardinale D. Giuseppe Maria Tomasi
de' Chierici regolari, Roma. Vincenzo Buonassisi, Sulla condizione civile ed
economica della città di Siena, Moschini, 1854. Sara Cabibbo, Marilena Modica,
La Santa dei Tomasi, storia di Suor Maria Crocifissa, Einaudi, Torino, 1989.
Francesco Caravita di Sirignano, Memorie di un uomo inutile, Mondadori, 1981.
Isabella Crescimanno Tomasi, Memorie, fondazione Piccolo di Calanovella, 2009.
Giovanni Battista di Crollalanza, Dizionario storico blasonico delle famiglie
nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, rist. an., Forni, Sala Bolognese
2011. Girolamo Gigli, Diario Sanese, Siena, 1854. David Gilmour, L'ultimo
Gattopardo, Feltrinelli, 2003. Leptailurus serval, internet. Antonino Mango di
Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, Reber, 1912. Giovanni Mattoni, Sul
sentiero della pazienza, vita di San Giuseppe Maria Tomasi, cardinale di santa
Romana Chiesa, Vicenza, 1986. Filadelfo Mugnos, Teatro genologico delle
famiglie del Regno di Sicilia, rist. an., Forni, Sala Bolognese 2007. Vincenzo
Palizzolo Gravina, Il blasone in Sicilia, Visconti & Huber, 1875 Volker
Reinhardt, Le grandi famiglie italiane. Le élites che hanno condizionato la
storia d'Italia, Neri Pozza, 1996. Salvatore Savoia, Giuseppe Tomasi di
Lampedusa, Palermo, 2010. Giuseppe Tosi, L 'eredità morale del Gattopardo,
Salerno, 1999. Andrea Vitello, I Gattopardi di Donnafugata, Flaccovio, 1963.
Andrea Vitello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il Gattopardo segreto, Sellerio,
1987. Nunzio Zago, Giiuseppe Tomasi di Lampedusa, Palermo, 1987. Voci
correlateModifica San Giuseppe Maria Tomasi Pietro Tomasi Della Torretta
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italiano Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrittore italiano Giulio
Fabrizio Tomasi nobile italiano Principe Fabrizio Salina protagonista del
romanzo Il Gattopardo Lingua Segui Modifica Don Fabrizio Corbera, principe di
Salina Il gattopardo salina01.jpg Il principe di Salina Fabrizio Corbera
interpretato da Burt Lancaster nel film Il Gattopardo. UniversoIl Gattopardo
Lingua orig.Italiano SoprannomeIl Gattopardo AutoreGiuseppe Tomasi di Lampedusa
Interpretato daBurt Lancaster Voce orig.Corrado Gaipa SessoMaschio
EtniaItaliana Professionenobile Don Fabrizio Corbera, principe di Salina, duca
di Querceta, marchese di Donnafugata, è il protagonista del romanzo Il
Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e dell'omonima trasposizione
cinematografica di Luchino Visconti. Il personaggioModifica La figura di
don Fabrizio, in parte autobiografica e in parte ispirata al personaggio
storico di Giulio Fabrizio Tomasi, rappresenta la disillusione e l'impotenza di
un'intera classe sociale di fronte ai cambiamenti della storia. Don
Fabrizio è la figura di un uomo che seppure dotato di una forza epica e di una
statura intellettuale superiore a quella dei suoi pari, non riesce a integrarsi
nella società a lui contemporanea, cui guarda con scetticismo e altera
lucidità. Emblematico è il suo rifiuto ad accettare la carica di senatore del
neo-regno sabaudo, non certo perché mosso da lealismo borbonico, ma per una
sostanziale incapacità intellettuale, che lo scrittore chiama "rigidità
morale", ad assumersi la responsabilità politica di un cambiamento di cui,
in fondo, non si sente partecipe. Il personaggio storicoModifica Nella
storia il personaggio di don Fabrizio è ricalcato su quello realmente esistito
di Giulio Fabrizio Tomasi, bisnonno dello scrittore italiano. Il
personaggio tra realtà e finzioneModifica Sarebbe sbagliato credere che la
figura di don Fabrizio sia quello di un personaggio reale: di Giulio Fabrizio
Tomasi, oltre al nome, alla statura, al colore biondastro dei capelli e alla
passione dilettantesca per l'astronomia, ha ben poco. Lo stesso Tomasi di
Lampedusa se ne era accorto, e nella ormai celebre lettera all'amico Enrico
Merlo[1]dichiarava che il personaggio del romanzo doveva apparire molto più intelligente
di quanto non lo sia stato nella realtà. In effetti Giulio Tomasi, bisnonno
dello scrittore, come Don Fabrizio, non prese mai parte alla vita politica del
suo tempo e con la sua morte, avvenuta senza aver mai fatto testamento, inizia
la lunga vicenda giudiziaria fra i suoi eredi (1885-1960 ca) che ha portato al
totale disfacimento del patrimonio dei Lampedusa. Anche la passione per
l'astronomia, che nel romanzo diventa un elemento epico, effettivamente si
tradusse nel ripiegamento in un interesse puramente personale e dilettantistico
di un aristocratico siciliano di metà ottocento. Conosciamo anche il catalogo
delle sue osservazioni astronomiche, ma nulla fa intravedere la possibilità di
una reale scoperta di corpi celesti. Insomma, sulla figura di Giulio
Tomasi pesa un giudizio critico sostanzialmente negativo che nemmeno le sue
doti in campo matematico-astronomico son riuscite a cancellare: il don Fabrizio
de Il Gattopardo è invece un personaggio puramente letterario, che in certe
sfumature psicologiche deve assomigliare molto di più al suo autore che non al
modello storico. Scrive in proposito Pietro Citati: «Con una leggera
vanità, Lampedusa immaginava di assomigliargli. Non gli assomigliava affatto:
Salina era soltanto un sogno o una remota proiezione di eleganza e di grandezza
inattingibili. Lampedusa non aveva la sua autorità, prepotenza, crudeltà,
orgoglio di classe. Non aveva la pelle bianca, i capelli biondi, né la
mitomania. Non conosceva il suo ardore carnale, l'allegra felicità fisica, il
dono di afferrare e possedere la vita. Non condivideva il suo spirito mondano,
portato anche nelle esperienze spirituali. Solo qualche volta l'antenato
avidissimo e il discendente passivo si incontrano e si abbracciano nello stesso
sentimento: quando Fabrizio rivela il proprio desiderio di contemplazione,
l'"indifferente bontà", e la sconfitta».[2] Quello che appare
un trittico di personaggi, il Giulio Tomasi storico, il don Fabrizio del
romanzo e l'autore stesso, è in realtà un unico quadro la cui chiave di lettura
è per l'appunto l'autobiografismo. Tomasi di Lampedusa, come il suo avo,
vive un'epoca di transizione: l'uno si rifugia nella scrittura, l'altro
nell'astronomia. Entrambi, rifiutano di partecipare alla vita politica del
tempo. E va qui ricordato che Tomasi rifiutò dopo una prima adesione, la
carica di presidente regionale della C.R.I., proprio durante l'ultimo periodo
bellico. Questa fu la sua unica esperienza politica, insieme alla giovanile
partecipazione alla "grande guerra". Eppure lo scrittore
Lampedusa, attraverso il suo romanzo, che a distanza di cinquant'anni dalla sua
uscita continua ad essere uno dei capolavori della narrativa italiana del
secondo novecento, come è stato giustamente ribadito da Francesco Orlando,
eterna un'epoca e il disfacimento totale di un'intera classe sociale attraverso
il suo autobiografismo, che non scade mai nel memorialismo grazie al fatto che
i suoi personaggi, come per l'appunto Don Fabrizio, non sono mai abbastanza
realistici, senza per questo essere meno "veri", per irretire il
racconto in uno schema narrativo di stampo verista, simbolista o ancor meno
decadentista. Il Gattopardo è un'opera moderna, senza per questo essere
un romanzo epocale: forse in ritardo rispetto a certi modelli europei, cui comunque
l'autore si rifà, Il Gattopardo è quanto di più squisitamente siciliano si
possa immaginare. Anche l'anti-italianismo di Lampedusa che si traduceva nel
rifiuto del melodramma, diventa un modo per affermare l'identità insulare
dell'autore. NoteModifica ^ Il cane Bendicò è la chiave del Gattopardo,
su Repubblica.it, 9 novembre 2000. URL consultato il 15 marzo 2017. ^ Fabrizio
Salina principe e gigante, su Repubblica.it, 30 novembre 1995. URL consultato
il 15 marzo 2017. BibliografiaModifica Gioacchino Lanza Tomasi, G. Tomasi di
Lampedusa. Una biografia per immagini, Palermo, Sellerio, 1999, ISBN
88-7681-113-3. Gioacchino Lanza Tomasi, I luoghi del gattopardo, Palermo,
Sellerio, 2001, ISBN 88-7681-139-7. Francesco Orlando, Ricordo di Lampedusa,
Torino, Bollati Boringhieri, 1996, ISBN 88-339-0982-4. Collegamenti
esterniModifica ( EN ) Principe Fabrizio Salina, su Internet Movie Database,
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Il Gattopardo romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa Villa
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Fabrizio Tomasi (Palermo, 12 aprile 1815 – Firenze, 1885) è stato un nobile
italiano. BiografiaModifica Giulio Fabrizio Maria Tomasi, appartenente
alla famiglia Tomasi di Lampedusa, fu bisnonno di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
nonché la figura storica a cui lo scrittore si ispirò per il personaggio di
Principe Fabrizio Salina, protagonista del romanzo Il Gattopardo. Di lui
sappiamo relativamente poco e la sua figura storica è ricostruibile principalmente
da quanto riferito dallo stesso scrittore e da quanto rimane della sua
biblioteca, oggi in parte conservata a Palermo, presso l'archivio privato della
famiglia Lanza Tomasi. Giulio Tomasi nacque a Palermo il 12 aprile 1813,
erede di quella che era allora un'importante famiglia dell'aristocrazia
siciliana: dal padre, Giuseppe Tomasi e Colonna, ereditò nel 1831 il titolo di
Principe di Lampedusa e di Duca di Palma. Fu anche Grande di Spagna e sedette
fra i Pari del Regno di Sicilia fino al 1848. Dalla madre, Carolina Wochinger,
di origini tedesche, ereditò invece una certa attitudine teutonica al rigore
intellettuale e allo scientismo illuminista settecentesco. Sposò Maria Stella
Guccia e Vetrano, figlia del marchese di Ganzaria e zia del matematico Giovanni
Battista Guccia, fondatore del Circolo Matematico di Palermo.[1]
Personaggio difficilmente catalogabile, Giulio Tomasi fu certamente un
aristocratico dotato di una cultura e di una curiosità intellettuale superiori
alla media, come dimostra la sua ricca biblioteca, dove troviamo testi di
astronomia, matematica, geometria, meccanica e fisica, fra i quali preziosi
esemplari della Meccanica Analitica di Joseph-Louis Lagrange e uno dei
primissimi volumi stampati del celebre Kosmos di Alexander von Humboldt.
Totalmente autodidatta, Giulio Tomasi fu un astronomo dilettante, ma che riuscì
ad ottenere "sufficienti riconoscimenti pubblici e gustosissime gioie
private" (Il Gattopardo, pag. 25) come ne ebbe a ricordare il pronipote
scrittore.[2] Sappiamo che nel 1853 creò un proprio osservatorio
astronomico, in una sua villa nella Piana dei Colli, a nord di Palermo:
conosciuta come Villa Lampedusa, per questa innovazione era all'epoca nota
soprattutto come "Osservatorio ai Colli del Principe di Lampedusa".
Alla sua morte, avvenuta a Firenze nel 1885, l'Osservatorio ai Colli fu
frazionato fra gli eredi e la strumentazione astronomica venduta.
NoteModifica ^ Benedetto Bongiorno, Guillermo P. Curbera, Giovanni Battista
Guccia, Pioneer of International Cooperation in Mathematics, Springer,
Heidelberg 2018. ^ Il Gattopardo tra gli astri Controllo di autoritàVIAF ( EN )
81387616 · CERL cnp01165159 ·WorldCat Identities ( EN ) viaf-81387616
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Letteratura Ultima modifica 9 mesi fa di 5.170.225.93 PAGINE CORRELATE Principe
Fabrizio Salina protagonista del romanzo Il Gattopardo Tomasi di
Lampedusa (famiglia) famiglia aristocratica italiana Villa Lampedusa
Villa Lampedusa Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce o
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presenti sono insufficienti. Ulteriori informazioni Questa voce sugli argomenti
ville della Sicilia e architetture di Palermo è solo un abbozzo. Contribuisci a
migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Villa Lampedusa Localizzazione
StatoItalia Italia RegioneSicilia LocalitàPalermo Coordinate38°09′45.72″N
13°19′44.04″E Informazioni generali CondizioniIn uso Villa Lampedusa è una
villa che si trova a Palermo, costruita come residenza suburbana all'epoca di
Ferdinando IV di Borbone, che aveva una residenza estiva, la cosiddetta Casina
Cinese, nei pressi della quale la nobiltà siciliana costruiva le proprie ville
di campagna. All'inizio del XVIII secolo venne fatta edificare da don Isidoro
Terrasi, nel 1756 vennero effettuati alcuni lavori di ristrutturazione su
progetto di Giovanni Del Frago, architetto. Degne di note le decorazione
eseguite da Gaspare Fumagalli. La villa appartenne poi ai Principi Alliata di
Villafranca ed infine ai Tomasi di Lampedusa. All'epoca del romanzo Il
Gattopardo era più noto come "Osservatorio ai Colli del Principe di
Lampedusa" dall'attività prediletta dell'allora proprietario, Giulio
Fabrizio Tomasi, bisnonno di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e figura storica a
cui lo scrittore si ispirò per il personaggio di Principe Fabrizio Salina,
protagonista del romanzo Il Gattopardo. Appariva come una costruzione a due
piani, alle spalle del corpo principale della villa; il primo piano costituiva
probabilmente lo studio, mentre il secondo, con la copertura a cupola, la
specola vera e propria. Alcuni degli strumenti in uso del principe sono oggi
conservati presso il Museo dell'Osservatorio astronomico di Palermo. Fra questi
i più rilevanti sono il telescopio azimutale Merz, il telescopio equatoriale di
Lerebours & Secretan e il telescopio altazimutale di Worthington.[1][2]
Alla sua morte, avvenuta nel 1885, l'Osservatorio ai Colli fu frazionato fra
gli eredi e la strumentazione astronomica venduta. Oggi all'interno della
proprietà, sono ospitate delle attività commerciali. All'interno del
Baglio della foresteria di Villa Lampedusa si trova una struttura alberghiera
Villa Lampedusa Hotel & Residence [3] gestita dal Gruppo Guccione.
Nelle Antiche Scuderie invece, oggi viene svolta un'attività di ristorazione
dai fratelli Cottone, con il loro Ristorante Pizzerie La Braciera in
Villa[4]. NoteModifica ^ L'Attività astronomica di Giulio Fabrizio
Tomasi, Principe di Lampedusa ^ Indice Strumenti ^ Villa Lampedusa – Hotel and
Residence, su hotelvillalampedusa.it. URL consultato l'11 giugno 2021. ^ Villa
Lampedusa, su La Braciera. URL consultato l'11 giugno 2021. Collegamenti
esterniModifica scheda su un sito del turismo a Palermo, su palermoweb.com.
storia della proprietà attuale, su hotelvillalampedusa.it. informazioni sul
restauro, su mobilitapalermo.org. Portale Architettura
Portale Palermo Ultima modifica 6 mesi fa di 5.91.251.38 PAGINE CORRELATE
Principe Fabrizio Salina protagonista del romanzo Il Gattopardo Giulio
Fabrizio Tomasi nobile italiano Palazzo Lanza Tomasi Lingua Segui Modifica
Palazzo Lanza Tomasi Palermo 0421 2013.jpg Facciata Localizzazione StatoItalia
Italia RegioneSicilia LocalitàPalermo IndirizzoKalsa, Mura delle Cattive
Coordinate38°07′04.5″N 13°22′18.52″E Informazioni generali CondizioniIn uso
CostruzioneXVII secolo Usoprivato Il Palazzo Lanza Tomasi di Lampedusa è un
edificio patrizio del XVII secolo, ubicato sulle Mura delle Cattive e
affacciato sul Foro Italico, lungomare di Palermo.[1] Panoramica.
StoriaModifica Epoca spagnolaModifica L'edificio - altrimenti definito Palazzo
Lampedusa alla Marina, con accesso in via Butera - sorge nel quartiere Kalsa,
la cittadella eletta degli Emiri, adiacente all'Hotel Trinacria. L'attuale
costruzione fu edificata alla fine del Seicento sui bastioni spagnoli,
fortificazioni erette a difesa degli attacchi e delle incursioni perpetrati da
ciurme pirata o corsare, nel contesto storico in cui imperava il bisogno
primario di assicurarsi la supremazia navale nel Mediterraneo. Dopo la
vittoriosa impresa di Tunisi nel 1535, Carlo V d'Asburgo predispose la
costruzione di nuovi bastioni per la difesa della città. Dopo il transito
dell'imperatore in molte località dell'isola, i viceré di Sicilia Ferrante I Gonzaga
prima, e Giovanni Vega poi, gestirono imponenti cantieri di fortificazioni alla
moderna. La Marina era protetta a nord dal Forte di Castellamare, a sud dal
bastione di Vega, e fra i due fu eretto il bastione del Tuono.[2] In prossimità
delle mura la zona era densamente militarizzata e soltanto nella seconda metà
del Seicento si cominciarono ad edificare i palazzi a ridosso delle mura. Il
bastione del Tuono fu demolito attorno al 1720, quello di Vega sul finire del
secolo. I primi edifici furono il palazzo Branciforte di Butera[1][3] e
la chiesa di San Mattia Apostolo con l'aggregato noviziato dei Crociferi.[1][4]
I Brancifortefurono i proprietari dell'intera cortina muraria da Porta Felice
al bastione del Tuono. Gli edifici a ridosso del bastione furono ceduti ai
Gravina[5] e da questi affittati ai Padri Teatini che li adibirono a Collegio
Imperiale per l'educazione dei nobili.[6] Il Collegio fu chiuso nel 1768
e il palazzo fu acquistato da Giuseppe Amato, principe di Galati. Questi
intervenne unificando in un unico prospetto di stile vanvitelliano la facciata
sul mare, formata da dieci finestre con terrazza. Epoca unitariaModifica
Nel 1849 il principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, astronomo dilettante,
lo acquistò con l'indennizzo versatogli dalla corona per l'espropriazione
dell'isola di Lampedusa. Gli armatori De Pace acquistarono metà del
palazzo nel 1862 e lo trasformarono secondo il gusto del tempo, realizzando il
grande scalone d'ingresso e il parquet a doghe di ciliegio e noce per la Sala
da ballo. Il manufatto marmoreo, come tanti altri elementi d'arredo, proviene
dal convento delle Stimmate, abbattuto in seguito alla costruzione del Teatro
Massimo Vittorio Emanuele. Epoca contemporaneaModifica Nel 1948 Giuseppe
Tomasi di Lampedusa, dopo la perdita del palazzo di famiglia nei bombardamenti
del 22 marzo e del 5 aprile 1943, ricomprò la proprietà dai De Pace e vi
risiederà fino alla morte, avvenuta nel 1957. Oggi è residenza del
musicologo Gioacchino Lanza Tomasi e della consorte duchessa Nicoletta Polo
Lanza Tomasi. Il figlio adottivo dello scrittore ha riunificato l'intera
proprietà e compiuto un completo restauro dell'edificio. L'ultimo piano è
sede della struttura ricettiva Butera 28 Apartments. StileModifica
Prospetto verso la marina con dodici finestre e terrazza, quest'ultima un vero
e proprio giardino pensile con fonte, ricco di essenze mediterranee e
subtropicali. La costruzione presenta quattro livelli, di cui tre
elevazioni oltre il pianoterra su via Butera. Il solo piano nobile sul fronte
mare. Piano nobile del palazzo costituisce in gran parte la casa museo
dello scrittore: Biblioteca storica di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.[7]
Nell'ambiente sono presenti due grandi bocce di Caltagirone del primo
Settecento, sulla parete sopra il caminetto, un San Girolamo, opera di Jacopo
Palma il Giovane. Sala da ballo, ambiente in cui sono esposti tutti i suoi
manoscritti: il manoscritto completo de Il Gattopardo, quello della quarta
parte del romanzo contenente una pagina che con compare nella pubblicazione, il
dattiloscritto, i manoscritti della Lezioni di Letteratura Francese e Inglese e
dei Racconti, una prima stesura de La Sirena. Nella sala è presente un piccolo
quadro di Domenico Provenzani raffigurante la famiglia del "Duca Santo"
Giulio Tomasi di Lampedusa. Scalone monumentale[7] in marmo. Tra gli ambienti
che raccorda si trovano: Sala delle Conferenze: ambiente con soffitto
affrescato ed una splendida collezione di ventagli francesi del Settecento;
Sala del Mediterraneo, l'ambiente ospita una collezione di carte nautiche
redatte dalla Marina Inglese nel 1870, di proprietà del nonno di Gioacchino
Lanza Tomasi; Museo della famiglia Tomasi di Lampedusa; Sale di ingresso[7] e
un secondo scalone. OpereModifica I restanti arredi del piano nobile provengono
da Palazzo Lanza di Mazzarino. Tra questi uno tavolo in marmo intagliato della
metà del Cinquecento, originariamente nella Villa Palagonia, due rari
cassettoni siciliani in ebano e avorio del primo Settecento, due lampadari a
gabbia di Murano modello Rezzonico e uno centrale di epoca Luigi XVI. Quadri di
Pietro Novelli, Antonio Catalano, Federico Barocci. Opere moderne come bozzetti
di Robert Wilson (regista), Arnaldo Pomodoro e Mimmo Paladino, oltre a due
ritratti a penna di Pablo Picasso risalenti al 1910, raffiguranti la marchesa
Anita, nonna di Gioacchino. NoteModifica ^ a b c Gaspare Palermo Volume
quinto, pp. 15. ^ Gaspare Palermo Volume quinto, pp. 6 e 7. ^ Gaspare Palermo
Volume secondo, pp. 358. ^ Gaspare Palermo Volume secondo, pp. 347. ^ Gaspare
Palermo Volume secondo, pp. 305 e 306. ^ Pagine 355, 384, 453 3 454, Giovanni
Evangelista Di Blasi, "Storia del regno di Sicilia" [1], Volume III,
Palermo, Stamperia Orotea, 1847. ^ a b c Arredamento proveniente dal distrutto
Palazzo Lampedusa e dal Palazzo Filangeri di Cutò di Santa Margherita di
Belice, la residenza estiva dei Filangeri di Cutò, la famiglia materna dello
scrittore, distrutta dal terremoto della valle del Belice nel 1968.
BibliografiaModifica Gaspare Palermo, "Guida istruttiva per potersi
conoscere ... tutte le magnificenze ... della Città di Palermo", Volume
II, Palermo, Reale Stamperia, 1816. Gaspare Palermo, "Guida istruttiva per
potersi conoscere ... tutte le magnificenze ... della Città di Palermo",
Volume V, Palermo, Reale Stamperia, 1816. Voci correlateModifica Alcuni
riferimenti al presente non sono più esistenti oppure risultano modificati o
ricostruiti con tecniche moderne. A Palermo: Bar pasticceria
Mazzara; Caffè Caflish; Pasticceria del Massimo; Casa del critico musicale
Bebbuzzo Sgadari di Lo Monaco, in corso Scinà; Palazzo Lampedusa, distrutto nel
bombardamento aereo del 5 aprile del 1943, oggi parzialmente ricostruito da
privati con la primitiva denominazione di Casa Lampedusa; Tomba di Giuseppe
Tomasi di Lampedusa nel cimitero dei Cappuccini. Per la trasposizione
cinematografica de Il Gattopardo: Palazzo Valguarnera Gangi,
Quartiere Kalsa; Villa Boscogrande. Santa Margherita Belice: Palazzo
Filangeri di Cutò o Palazzo Gattopardo: è un edificio costruito nel XVII
secolo, ma danneggiato dal terremoto del 1968. Nelle immediate adiacenze è
ubicato il Parco del Gattopardo. Palma di Montechiaro: Chiesa di Maria
Santissima del Rosario: la chiesa madre citata più volte, in particolare
all'arrivo della famiglia Salina a Donnafugata. Monastero delle Benedettine.
Alcuni luoghi cari ispirarono Giuseppe Tomasi di Lampedusa nelle ambientazioni
e nella stesura del manoscritto. Bagheria, con Palazzo Cutò; Capo
d'Orlando, con Villa Piccolo; Ficarra con Casa Gullà, presso l'abitazione
esiste tuttora una lapide a ricordo, (luglio - ottobre 1943), ove tra i tanti
angoli suggestivi e scene di vita ficarrese trovò fonte di ispirazione nella
creazione del romanzo Il Gattopardo, in particolare del personaggio del
"campiere". Altri progettiModifica Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Lanza Tomasi
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Ultima modifica 4 mesi fa di Asiabam PAGINE CORRELATE Palazzo Mirto palazzo
storico di Palermo Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrittore italianoVittorio
Frosini. Frosini. Keywords: gattopardo, interpretazioni filosofiche del
gattopardo, Gramsci, riduzione teatrale, Visconti, la rivoluzione perduta,
l’ordine morale, l’ordine legale, Hart, diritto naturale, diritto artificiale,
filosofia del diritto, fascismo, risorgimento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Frosini” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759338733/in/dateposted-public
Grice e
Fusaro – idealismo e prassi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino).
Filosofo. Grice: “I like Fusaro – he philosophised on a critique of
conversational reason!” Diplomato al liceo Alfieri di Torino, si laurea con
“Marx” a Torino. Studia a Milano. Insegna Gramsci a Harvard. Insegna a Milano. Cura “La ragion populista” su Casa Pound. Membro
del Risorgimento Meridionale per l'Italia. Fonda Vox Italia. Si considera allievo di Hegel e Marx. Tra gli
italiani predilige Gramsci e Gentile. Tra i moderni cita Spinoza, Fichte e Heidegger,
con un'attenzione costante per le origini romani della filosofia. Si occupa inoltre
di storia della filosofia. Tra gli filosofi studiati ci sono Koselleck, Blumenberg,
oltre ai già citati Marx, Hegel, Gramsci, Gentile, Spinoza e Fichte. Tratta Marx nell'ottica dell'idealismo, accostando
alla critica del sistema capitalistico elementi dalla tradizione del comunitarismo
e del sovranismo. Segue le orme di Preve. Altre opere: “Speranza: un saggio
filosofico” (Il Prato); “La farmacia di Epicuro: la filosofia come terapia” (Il
Prato). “L’atomismo di Lucrezio: alle radici del materialismo” (Il Prato); “La
schiavitù salariata” (Il Prato); “Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero
rivoluzionario” – cfr. “Bentornato Grice! Rinascita della prammatica” (Bompiani);
“Essere senza tempo: il concetto filosofico d’accelerazione” (Bompiani); “Minima
mercatalia: il capitalismo” (Bompiani); “L'orizzonte in movimento. Modernità e
futuro in Koselleck, Il Mulino); Coraggio, Cortina); “Idealismo e prassi in Gentile”
(Il Melangolo); “Rivolta, dissidenza, scissione” (Barney); “Il futuro è nostro:
filosofia dell'azione” (Bompiani); “Stato commerciale chiuso” (Il Melangolo); “Essere-nel-mondo
e passione” (Feltrinelli); “Europa e capitalismo. Per riaprire il futuro”
(Mimesis); “Peccato nei Grundzüge” (Il Melangolo); “Altrimenti: il dissenso
conversazionale” Einaudi, “Coscienza del precariato” Bompiani “L’ordine
dell’amore” (Rizzoli); Processo alla Rivoluzione (Il Ponte Vecchio); “Marx
idealista: una lettura eretica del materialismo storico” Mimesis); “La notte del
mondo: arte e technica in Heidegger” tecnocapitalismo, POMBA, Glebalizzazione.
La lotta di classe al tempo del populismo” (Rizzoli); “Il naturalismo di
Lucrezio” (Bompiani, Marx); “Il Lavoro salariato e capitale, Bompiani, Marx,
Forme di produzione pre-capitalistiche, Bompiani, Marx Friedrich Engels, Manifesto e princìpi
del comunismo, Bompiani, Marx Friedrich Engels, Ideologia” Bompiani, Johann
Gottlieb Fichte, “Missione del dotto, Bompiani); “L’epicureismo romano –
piacere” AlboVersorio, ESE, su uniese. Arriva al Teatro GiordanoFoggia ZON, in
Foggia ZON Curriculum Harvard, Department of Romance Languages, Rai Filosofia,
Diego Fusaro presenta Filosofico.net, su Il
di RAI Cultura dedicato alla filosofia. Diego Fusaro, Il Fatto
Quotidiano, su Il Fatto Quotidiano. 17 febbraio. Diego FusaroL'Interesse Nazionale, su diegofusaro.com. Passa dal marxismo 2.0 alla rivista più
vicina ai cattolici conservatori di CL, in Giornalettismo, Chiude Tempi,
licenziamento immediato per redazione e dipendenti, in L’Huffington Post, La
conversione del filosofo comunista: scriverà per la rivista di estrema destra,
su libero quotidiano, Author at Radio Radio, su Radio Radio. 14 marzo. Perché le turbo-stupidaggini di Fusaro non
fanno ridere ma sono pericolose, su The Vision, Gioia Tauro risultati elezioni
comunali, su corriere. Foligno, ecco l’eventuale giunta M5s: Assessore in
pectore alla cultura, su umbria Comunali Area ITALIA Regione UMBRIA Provincia
PERUGIA Comune FOLIGNO, elezionistorico,
"Valori di destra, idee di sinistra". Fusaro a bomba: nuovo
movimento ultra-sovranista, è l'anti-Salvini?, su libero quotidiano. Il
filosofo che difende il governo del cambiamento. E sogna la guerra tra popolo
ed élite, in Tiscali Notizie, Fusaro, Il capitale: un trionfo dell'idealismo
tedesco, Consorzio Festival filosofia, Il filosofo populista Panorama, in Panorama,
In memoria di Preve. Anti-europeismo
Euro-scetticismo, Meridionalismo, protezionismo, questione meridionale
Revisionismo del marxismo, revisionismo del Risorgimento, socialismo nazionale,
teoria del ferro di cavallo, sovranismo diegofusaro.com. YouTube. openMLOL, HorizonsRadio
Radicale. Filosofico.net La filosofia e
i suoi eroi. Democrito comunitario democratico, in “Giornale Critico di
Storia delle Idee”, n. 15/16 (2016). Maturità negata. Precarizzazione e
de-eticizzazione del mondo della vita, in “Giornale Critico di Storia delle
Idee”, n. 1 (2017). The Role of Aesthetics in Fichte’s Science of Knowledge, in
“Polish Journal of Philosophy”, Volume 10, Issue 2, 2016, pp. 31-43. Fichte e
la compiuta peccaminosità. Filosofia della storia e critica del presente nei
“Grundzüge”, Il Nuovo Melangolo, Genova 2017. FUSARO D. (2016). Fichte and
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la Rivoluzione francese. Note intorno a un dibattito storiografico. RIVISTA DI
STORIA DELLA FILOSOFIA, vol. 3; p. 571-591, ISSN: 0393-2516 FUSARO D. (2015).
Heidegger lettore di Marx. La metafisica marxiana come verità dell’idealismo.
STUDI FILOSOFICI, vol. 1; p. 179-199, ISSN: 1124-1047 FUSARO D. (2015). Lineare
Zeitauffassung. Temporalità e critica del dogmatismo nei Discorsi alla nazione
tedesca di Fichte . LA CULTURA, vol. 2; p. 231-252, ISSN: 0393-1560 FUSARO D.
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«Confessioni» di Rousseau e i paradossi della sincerità. INTERSEZIONI; p.
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pratico? Note sulla prima delle “Tesi su Feuerbach” di Marx . GIORNALE DI
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costellazione dell’humanitas. Mercato, cittadinanza, comunità, libertà. Civitas
Augescens. Includere e comparare nell’Europa di oggi. p. 159-173, FIRENZE:
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La dottrina della scienza come ontologia della prassi. Libero arbitrio. Teorie
e prassi della libertà. p. 253-271, NAPOLI: Liguori Editore, ISBN/ISSN:
9788820753306 FUSARO D. (2014). Il futuro è nostro. Filosofia dell’azione.
MILANO: Bompiani, vol. 509, ISBN: 9788845277177 FUSARO D. (2014). Fichte e
l’anarchia del commercio. Genesi e sviluppo del concetto di “Stato commerciale
chiuso”. GENOVA: Il Nuovo Melangolo, ISBN: 9788870189414 FUSARO D. (2013). J.G.
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FUSARO D. (2013). Fichte e l’alienazione dell’Io. GIORNALE CRITICO DI STORIA
DELLE IDEE, vol. 9; p. 89-106, ISSN: 2240-7995 FUSARO D. (2013). La compiuta peccaminosità.
La critica della società capitalistica nei «Grundzüge» di Fichte. FILOSOFIA
POLITICA, vol. 1; p. 97-116, ISSN: 0394-7297 FUSARO D. (2013). GRANDEZZE E
LIMITI DI LESZEK NOWAK. Scienza, marxismo e metafisica. Leszek Nowak e la
Scuola Metodologica di Poznan. p. 267-290, Villasanta: Limina Mentis editore,
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Bompiani, p. 6-260, ISBN: 88-452-1363-3. glebalizazzione. Diego Fusaro. Fusaro.
Keywords: idealism e prassi, Lucrezio, italianita, romanita, Gramsci, Gentile,
arte, technica, filosofia della storia, peccato, italiano, italianita, evola,
filosofia in eta antica, filosofia romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Fusaro: l’implicatura” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701379488/in/photolist-2mQPiYS-2mN8ym7-2mLP9qE-2mLF5SC-2mKw3hq-2mKbok1-2mKfNvB-2mJe9QJ
Grice e
Fuschi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cesena). Filosofo. – Grice: “I like Fuschi, and so does Eco,
Rota, and Carlini! Fuschi opposes Aquina’s truths and turns them into mistakes
– since they involve things about the past – where the apostles kept property –
it’s all pretty unverifiable, -- still Fuschi was thoroughly heretic!” – Grice:
“Fuschi is the Italians’ Ockham!” -- Michele
da Cesena Affresco di Andrea di Buonaiuto nel Cappellone degli Spagnoli
di Firenze. Al centro c'è papa Innocenzo VI; in primo piano, tre ecclesiastici
che discutono: Guglielmo da Ockham, Michele da Cesena e l'arcivescovo di Pisa
Simone Saltarelli. Rispettivamente alla destra e alla sinistra del papa vi sono
Egidio Albornoz e Carlo IV di Lussemburgo. Di grande rilievo nelle vicende
politiche ed ecclesiastiche, noto soprattutto per essere stato ministro
generale dell'Ordine francescano. Dopo avere studiato a Parigi, venne
eletto alla più alta carica dell'Ordine francescano durante il capitolo
generale tenuto a Napoli. Durante quel capitolo vennero anche approvate le
rinnovate Costituzioni dell'Ordine, note (per essere state preparate da un
gruppo di frati ad Assisi) come Constitutiones Assisienses. Si distinse
subito per una decisa persecuzione nei confronti degli “spirituali, sostenitori
dell'assoluta povertà di Gesù Cristo e della necessità di una altrettanto
rigorosa povertà dell'ordine francescano. In questa opera di repressione, e
appoggiato da Giovanni XXII. Con le lettere bollate Sancta Romana e Gloriosam Ecclesiam Giovanni
XXII riprova e scomunicava tutti gli spirituali. Si voleva così chiudere il
"caso" della frattura tra gli spirituali e il resto dell'Ordine
francescano (la cosiddetta "comunità"), sospingendo i primi
nell’eresia e nella marginalità. Incalzati dalla persecuzione, Ubertino da
Casale e Angelo Clareno, i maggiori esponenti della corrente spirituale,
dovettero lasciare l'Ordine. A Marsiglia, per la prima volta erano stati bruciati
sul rogo quattro spirituali. Tuttavia, anche i rapporti tra Michele e
Giovanni XXII si deteriorarono. Il papa, infatti, aveva riaperto il dibattito a
proposito della povertà di Cristo, e finì per abolire (con la lettera bollata
Inter nonnullos) la "finzione" giuridica, in vigore fin dal tempo di Niccolò
III (regolamentata con lettera bollata Exiit qui seminat), secondo la quale i francescani
non possedevano nulla né come singoli, né come conventi, né come Ordine, ma era
la Santa Sede a detenere la proprietà di tutti i loro beni che poi venivano
gestiti per mezzo di procuratori. Durante il capitolo di Perugia i Francescani
difesero le loro tesi sulla povertà di Cristo e degli Apostoli, come singoli e
in comune. Il manifesto francescano di Perugia (più precisamente, due lettere
encicliche scritte dal Capitolo e indirizzate a tutti i frati) venne però
condannato dal papa. Ormai lo scontro tra Fuschi e Giovanni XXII era
irreversibile. Il ministro generale venne convocato dal papa ad Avignone e
sospeso dalla sua carica. Venne confermato dai Francescani alla carica di
ministro generale nel capitolo di Bologna. Giovanni XXII gli impose una residenza
forzata ad Avignone, ma fuggì con un piccolo gruppo di frati, tra i quali Occam
e Bonagrazia da Bergamo. I fuggitivi si imbarcarono nel porto di Aigues-Mortes
e raggiunsero a Pisa il campo di Ludovico il aro, candidato al trono del Sacro
Romano Impero. Il papa depose Fuschi dal suo ruolo di ministro generale
con la lettera bollata Cum Michaël de Caesena. Con la lettera bollata Dudum ad
nostri, Fuschi, Occam, e venivano scomunicati. Tale condanna venne rinnovata con
la lettera bollata Quia vir reprobus Michaël de Caesena. Durante il
capitolo generale convocato a Parigi venne eletto ministro generale Oddone. Una
parte comunque minoritaria dell'ordine francescano rimase fedele a Fuschi,
rifiutando di riconoscere l'autorità d’Oddone e del papa stesso, ritenuto
eretico e quindi ipso facto decaduto (nel suo scontro con il papa per la
successione al trono imperiale, Ludovico il aro face eleggere papa Rainalducci
da Corbara con il nome di Niccolò V. Esponente, con Occam e Marsilio da Padova,
del gruppo di intellettuali schierati sul fronte ghibellino e protetti da Ludovico
il aro, Fuschi visse alla corte. Nomina Occam suo successore e vicario,
affidandogli il sigillo dell'Ordine che era ancora in suo possesso. M.
Niccoli nella Enciclopedia Italiana, », C. Dolcini nel Dizionario Biografico
degli Italiani riporta. L’ultimo appello di M. fu pubblicato a Monaco e non si
hanno notizie su di lui. Altre opere: “Appellatio monacensis, Armando Carlini,
Fra Michelino e la sua eresia, prefazione di Renato Serra, Bologna, Nicola
Zanichelli, Cattività avignonese Disputa sulla povertà apostolica, “Il nome
della rosa”; Ordine francescano Riforma spirituale medioevale. TreccaniEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana,. Michele da Cesena e michelisti, -- michelismo e
tomismo -- la voce nel Dizionario del pensiero cristiano alternativo, sito
Eresie Medioevo ereticale: la disputa sulla povertà, su mondi medievali.net.
Predecessore Ministro generale dell'Ordine dei Frati MinoriSuccessoreFrancescocoa.png
Alessandro Bonini Gerardo Odonis Francescanesimo Disputa sulla povertà
apostolica Filosofia. L'eresia è una dottrina considerata come deviante
dall'ortodossia religiosa alla cui tradizione si collega, come storicamente
quella cattolica.[1] Il termine viene utilizzato anche fuori dall'ambito religioso,
in senso figurato, per indicare un'opinione o una dottrina filosofica,
politica, scientifica o persino artistica in disaccordo con quelle generalmente
accettate come autorevoli. Galileo Galilei condannato per eresia
Etimologia, origine e sviluppi del termine Modifica
Goya: Il tribunale dell'Inquisizione "Eresia" deriva dal greco αἵρεσις,
haìresis derivato a sua volta dal verbo αἱρέω (hairèō, "afferrare",
"prendere" ma anche "scegliere" o "eleggere"). In
tale ambito indicava anche delle scuole come quella dei Pitagorici o quella
degli Stoici. In ambito cristiano, il termine "Eresia", assente
nei vangeli canonici, compare negli Atti degli apostoli(5:17, in origine dunque
eretico, era colui che sceglieva, colui che era in grado di valutare più
opzioni prima di, cfr. Atti, 24:5, 24:14, 26:5, 28:22) per indicare varie
scuole (o sette) come quelle dei Sadducei, Cristiani e Farisei. Sia in greco
antico sia in ebraico ellenizzato questo termine non possedeva,
originariamente, alcuna caratteristica denigratoria. Con le Lettere del
Nuovo Testamento tale neutralità del termine viene meno: in 1 Corinzi 11:19,
Galati 5:20, 2 Pietro 2:1, haìresis inizia ad assumere dei connotati
dispregiativi e ad indicare la "separazione", la "divisione"
e la rispettiva condanna.[2] Secondo Heinrich Schlier lo sviluppo in negativo
di hairesisprocede con l'analogo sviluppo del termine ekklesia: haìresis ed
ekklesia divengono due opposti.[3] Secondo Alain Le Boulluec, fu Giustino
(100-162) il primo apologeta ad utilizzare sistematicamente il termine
"eresia" per combattere le correnti cristiane considerate
devianti.[4] In ambito ebraico si evidenzia un processo analogo: sempre
nel I secolo d.C. (in corrispondenza con l'emergere dell'ebraismo rabbinico
ortodosso) il termine ebraico min (מִין, pl. מִינִים , minim; corrispettivo del
greco haìresis) assume dei connotati dispregiativi e viene utilizzato per
indicare sia i cristiani che gli gnostici. Il termine da un significato
neutro assume in un secondo momento un valore negativo e passa ad indicare una
dottrina o un'affermazione contraria ai dogmi e ai princìpi di una determinata
religione, sovente oggetto di "condanna" o scomunica da parte dei
rappresentanti della stessa. Nel caso della Chiesa cattolica, ad esempio, sono previsti
appositi sinodi per stabilire quali siano le deviazioni dall'ortodossia e la
Congregazione per la Dottrina della Fede (erede della Congregazione della sacra
romana e universale Inquisizione) per individuare coloro che vengono
considerati "colpevoli di eresia" (ovvero gli eretici). Fuori
dall'ambito religioso il termine viene utilizzato in senso figurato per
indicare un'opinione o una dottrina filosofica, politica, scientifica o persino
artistica in disaccordo con quelle generalmente accettate come autorevoli.
Eretico è dunque chi proclama con forza una propria scelta definitiva:
"eresia" può pertanto equivalere ad una scelta sia di credo sia di
appartenenza tra fazionireligiose contrapposte. Un'altra possibile
interpretazione, legata al significato di "scelta", richiama il fatto
che l'eretico è colui che "sceglie", cioè accetta, solo una parte
della dottrina "ortodossa", rimanendo in disaccordo su altre parti.
Nel registro informale, il termine viene però usato per indicare un'opinione
gravemente errata o comunque discordante dalla tesi più accreditata riguardo ad
un certo argomento. In origine il termine, utilizzato da scrittori
ellenistici, indicava una fazione o una setta religiosa, senza connotazioni
negative. Già nel Nuovo Testamento il termine assume un significato negativo e
in questo senso venne utilizzato da padri della Chiesa e scrittori
ecclesiastici. Ad esempio il termine venne ampiamente impiegato da Ireneo nel
suo trattato Contra haeresis(Contro le eresie) per contrastare i suoi
oppositori nella Chiesa. Egli descrisse le sue posizioni come ortodosse (dal
greco ortho- "retta" e doxa "opinione") in contrapposizione
con quelle "eretiche" dei suoi avversari. Ovviamente,
nell'accezione negativa, il termine eresia può essere visto come reciproco:
pochi sarebbero disposti a definire le proprie credenze come eretiche, ma
piuttosto a presentarle come l'interpretazione corretta di una determinata
dottrina, e quindi come la visione ortodossa giudicata eretica da altri. Ciò
che costituisce eresia è un giudizio dato in funzione dei propri valori; si
tratta dell'espressione di un punto di vista relativo ad una consolidata
struttura di credenze. Per esempio, i cattolici vedevano nel
protestantesimoun'eresia mentre i non cattolici consideravano il cattolicesimo
stesso come la grande apostasia. Nell'ambito del cristianesimo si tende a
fare una distinzione fra eresia e scisma: quest'ultimo comporta un distacco
dalla chiesa ortodossa, considerata conforme alle regole date, senza
"perversioni nel dogma" (secondo la definizione di San Girolamo)[5],
anche se, secondo alcuni teologi cattolici, lo scisma inveterato finisce per
assumere anche caratteristiche dottrinali [6]. Cattolicesimo Modifica
Sassetta: Rogo di un eretico «Sotto il profilo giuridico-ecclesiastico, eretico
è definito colui che, dopo il battesimo, e conservando il nome di Cristiano,
ostinatamente si rifiuta o pone in dubbio una delle verità che nella fede
divina e cattolica si devono credere» (Karl Rahner, Che cos'è l'eresia?,
Brescia, Paideia, 2000, p 29) Varie opere dell'apologeta e scrittore cristiano
Tertulliano sono dirette contro gli eretici e le rispettive eresie: Marcione,
Valentino, Prassea. Il Padre della Chiesa Agostino d'Ippona rivolse la
sua polemica principalmente contro i manichei, i donatistie i pelagiani.
In un decreto successivo alla vittoria su Licinio e al Concilio di Nicea I,
Costantino condannò le dottrine degli eretici (Novaziani, Valentiniani,
Marcioniti, Paulianisti e Catafrigi). Blaise Pascal in Pensieri si
sofferma più volte sul tema delle eresie[7]. Nel frammento 862[8] scrive
[9]: «[...] Dunque esiste un gran numero di verità, sia di fede che di
morale, che sembrano incompatibili e che sussistono tutte in un ordine
meraviglioso. La sorgente di tutte le eresie è l'esclusione di alcune di queste
verità, e la sorgente di tutte le obiezioni che ci fanno gli eretici è
l'ignoranza di alcune delle nostre verità. E di solito accade che non potendo
concepire il rapporto tra due verità opposte e credendo che l'accettazione di
una comporti l'esclusione dell'altra, essi si attaccano all'una ed escludono
l'altra, e pensano che noi facciamo il contrario. [...]»[10] Gilbert
Keith Chesterton così definisce l'eresia e l'eretico: «L'eretico (che è
anche sempre fanatico) non è colui che ama troppo la verità; nessuno può amare
troppo la verità. Eretico è colui che ama la propria verità più della verità
stessa. Preferisce, alla verità intera scoperta dell'umanità, la mezza verità
che ha scoperto lui stesso. Non gli piace veder finire il suo piccolo, prezioso
paradosso, che si regge solo coll'appoggio di una ventina di truismi, nel
mucchio della sapienza di tutto il mondo»[11] (Gilbert Keith Chesterton,
L'Uomo Comune - La Nonna del Drago ed altre serissime storie) «L'eresia è
quella verità che trascura le altre verità. Solo la Chiesa cattolica è il luogo
dove tutte le verità si danno appuntamento e riescono a convivere, pur se
sempre minacciate di squilibrio»[12] (Gilbert Keith Chesterton, Perché
sono cattolico - Tommaso Moro) «Un'eresia è sempre una mezza verità
trasformata in un'intera falsità»[13] (Gilbert Keith Chesterton, America,
9 Novembre 1935) Un esempio di verità che trascura le altre verità ci è
dato dalle tentazioni di Gesù descritte nei vangeli sinottici. Vincenzo di Lerino,
nel suo Commonitorium, scrive che gli eretici usano le Scritture allo stesso
modo di Satana, quando per tentare Gesù[14][15]: «Lo condusse a
Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: "Se tu sei
Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti: Ai suoi angeli
darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano; e anche:
Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una
pietra". Gesù gli rispose: "È stato detto: Non metterai alla
prova il Signore Dio tuo"».[16] Il Medioevo Modifica Magnifying glass icon
mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Movimenti ereticali medievali. I moti di
contestazione nei confronti della Chiesa, divampati nella prima metà del XII
secolo, come quello dei patarini e quello degli arnaldisti, avevano dato
l'indicazione della necessità di una riforma religiosa. Il movimento dei
catari, che affiorò contemporaneamente in diversi punti d'Europa, ambiva alla
creazione di una nuova Chiesa. Contro di loro papa Innocenzo III bandì nel 1208
una crociata di sterminio. Nel 1244, la caduta dell'ultima roccaforte di
Montségur, nel sud della Francia, con il conseguente rogo di circa duecento
catari, determinò la fine del catarismo. Nel XIII secolo Tommaso d'Aquino
nella Somma Teologica definirà l'eresia «una forma d'infedeltà» che corrompe la
dottrina e porta turbamento nelle anime dei fedeli. Secondo Tommaso inoltre, e
poi di conseguenza nell'ambito del cattolicesimo, si pongono alcune distinzioni
fra i diversi gradi dell'eresia. Quando si tratta dell'opposizione diretta e
immediata ad un dogma esplicitamente proposto dalla Chiesa si parla di dottrina
eretica, mentre quando ci si oppone a una conclusione teologica o ad altri
elementi derivati di una verità rivelata o ad una dottrina definibile, ma non
ancora definita, si parla di proposizioni erronee, o che sanno di eresia, o
prossime all'eresia. Note Modifica
^ Da notare che nella tradizione lessicograficaitaliana, il lemma
"eresia" indica prevalentemente quelle dottrine contrarie ai dogmi della
Chiesa cattolica. Così l'edizione del De Mauro datata 2004: «dottrina o
affermazione contraria ai dogmi e ai principi della Chiesa cattolica»; così
anche l'edizione 2004 del Devoto-Oli: «dottrina che si oppone direttamente e
contraddittoriamente a una verità rivelata e proposta come tale dalla Chiesa
cattolica»; così il vocabolario online della Treccani: «dottrina che si oppone
a una verità rivelata e proposta come tale dalla Chiesa cattolica e, per
estensione, alla teologia di qualsiasi chiesa o sistema religioso, considerati
come ortodossi»; nell'edizione online del Grande Dizionario Italiano della
Hoepli: «Nel cristianesimo, dottrina, palesemente dichiarata e sostenuta, che
si oppone alla verità rivelata da Dio e affermata come tale dal linguaggio della
Chiesa ‖ Insieme di interpretazioni personali, contrastanti con la tradizione,
che possono svilupparsi nell'ambito di una religione basata su un sistema di
dogmi ufficialmente riconosciuti». Tuttavia nel Vocabolario della Lingua
italiana Zingarelli (edizione del 2010), nella prima definizione di questo
lemma, esso acquisisce un significato ben più ampio: «Nelle religioni fondate
su una dogmatica universalmente o ufficialmente riconosciuta, dottrina basata
su interpretazioni personali in contrasto con la tradizione». ^ Schlier (1968)
^ Schlier, op. cit., pp. 182–3. ^ Le Boulluec, (2007), pp. 434-5. ^
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Lutero - Volume secondo, Siena, Ezio Cantagalli, 1933, pp. 181-182. «Insegna il
medesimo Lirinense che gli eretici, nel portare le testimonianze della Divina
Scrittura, imitano il demonio, che messo il Signore sopra la più alta guglia
del tempio, gli disse: «Se tu sei il Figlio di Dio, buttati giù: poichè sta
scritto che Dio ha comandato ai suoi Angeli ecc...».» ^ Luca 4,18, su
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Apostolici Modifica Umberto
Cocconi, La lebbra dell'anima. Gherardino Segalello e il movimento degli Apostolici
a Parma, edizioni MUP, 2018. Dolciniani Modifica
Raniero Orioli (a cura di), Fra Dolcino: nascita, vita e morte di un'eresia
medievale, Milano, Jaca Book, 2004. Voci correlate Modifica Begardi Dottrine cristologiche dei primi secoli
Inquisizione Letture e interpretazioni della Bibbia Martiri di Guernsey
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Cristianesimo Successione apostolica Altri progetti Modifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni
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Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Giuseppe De Luca, ERESIA, in Enciclopedia Italiana,
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Modifica su Wikidata ( EN ) Eresia, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton
Company. Modifica su Wikidata "Dizionario di eresie, eretici, dissidenti
religiosi", su eresie.com. URL consultato il 23 febbraio 2019. Controllo
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CORRELATE Movimenti ereticali medievali Scisma divisione causata da una
discordia fra gli individui di una stessa comunità (come un'organizzazione,
movimento o credo religioso) Catarismo movimento eretico, separato dal
Cattolicesimo durante il medioevo europeo; professava un assoluto ripudio della
materia in ogni sua forma Wikipedia Il contenuto è disponibile in base
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Keywords: “Occam excommunicated” -- Modified
Occam’s Razor”, “Cristo e povero” -- italiani eretici, tomismo, michelismo,
eresia filosofica – eretico – Occam scommunicato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Fuschi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692239470/in/photolist-2mKSeS7
Grice e Gaetani – L’implicatura di Catullo -- APVD
NEAPOLIM – filosofia italiana – Luigi Speranza (Martano). Filosofo. Grice: “I like Gaetani, for one,
he is a duke – and kept beautiful gardens at Martano – he philosophised on the
‘ottocento’, as any philosopher from the Novecento would!” Figlio di Carlo, conte
di Castelmola, e Giuseppina Chiriatti. La famiglia Gaetani annovera oltre al
ramo dei Castelmola, anche quello dei Laurenzana, di cui si ricorda il Barone
Di Laurenzana, esponente del movimento radicale. L'insegna araldica dei
Castelmola è costituita da uno scudo forgiato di due strisce blu ondeggianti
che lo attraversano in senso trasversale. I Gaetani, prima Caetani, vantarono
alcuni papi, tra cui Bonifacio VIII. Il
padre, Carlo, avvocato, fu ripetutamente eletto tra le file dei radicali nel Consiglio
comunale di Napoli. Da Napoli attiene, fino a tutta la Grande Guerra, alla cura
del patrimonio fondiario in Martano, acquisito dal matrimonio con Chiriatti.
Questa infatti si era trasferita a Napoli dopo l'uccisione del facoltosissimo
padre Paolo, nell'ambito di una torbida vicenda che vide infine coinvolta la
madre di lei, Maria Fortunato, quale mandante, assieme al prete Mariano, dato
che i due erano in tresca. Diviso il patrimonio tra le due figlie Giuseppina e
Paolina Chiriatti, e la madre stessa, vennero iniziati i lavori di costruzione
del palazzo Chiriatti-Gaetani. A Palazzo Chiriatti-Gaetani la famiglia venne a
dimorare mentre man mano la gestione delle fortune familiari passava in capo a
Gaetani, che si impegna in un'ardua opera di bonifica e di razionalizzazione
colturale, culminata con l'acquisto di diversi macchinari ad alta tecnologia. E
però proprio il malfunzionamento dell'attrezzatura finalizzata all'estrazione
dell'acqua dai pozzi, bene capitale nelle aride campagne della zona, a
determinare l'infiacchimento del capitale di famiglia e il progressivo
indebitamento verso il Banco di Napoli, che culmina con la fine del
fascismo. Frattanto Gaetani, che si fregiava del titolo di duca, a
seguito del matrimonio con la duchessa d'Ascoli, Leopoldina, si dedica alla
filosofia, mentre, del resto, ebbe a ricoprire la carica di Provveditore a
Potenza. La sua filosofia e ispirata dalla Francia, della che fu un grande
amatore, nonostante il fascismo e nonostante la sua adesione al regime, che ad
un certo punto ne impedì la circolazione in Italia. Crociano, segue lo schema
tracciato dal maestro, mentre l'ultimo ricordo della natia Martano fu un canto
dedicato alle tradizioni grike, di cui raccomandava appassionatamente la
conservazione e il culto. Nei giorni
furenti che precedettero il Referendum istituzionale appoggiò in pubblici
comizi la Monarchia, e per questo pagò dazio dovendosi allontanare all'indomani
del voto e rifugiarsi in Napoli, tutto teso negli studi letterari. Altre saggi: Villon (Napoli); “Un carteggio
inedito di F. Bozzelli (S. Gaetani, F.B ozzelli), L'Aquila, Masseria, Martano
(Lecce); “Un bilancio letterario” (Roma); “Per onorare un maestro: il Torraca,
Napoli); “Catullo” (Roma); L'Ottocento” (Napoli); “La bancarotta del rosso: commedia
in tre atti, Lecce); “Per la venuta del Duce” (Lecce); “Bernardo Bellincioni,
Galatina (Lecce); “Il benedettino-cistercense d. Mauro cassoni nel Tempio,
nella scuola, negli studi: ), Lecce, “Ricordi di Benedetto Croce, Napoli); Vicende
tipi e figure del Casino dell'Unione, Napoli); Napoli ieri e oggi: passeggiate e
ricordi, Milano-Napoli); Apud Neapolim..., Napoli); Fonti storiche e letterarie
intorno ai martiri di Otranto, Napoli. "Catullo" rimanda qui.
Se stai cercando altri significati, vedi Catullo (disambigua). Sirmione,
busto di Catullo Gaio Valerio Catullo (in latino: Gaius Valerius Catullus,
pronuncia classica o restituta: [ˈɡaːɪʊs waˈlɛrɪʊs kaˈtʊllʊs]; Verona, 84 a.C.
– Roma, 54 a.C.) è stato un poeta romano. Il poeta è noto per l'intensità delle
passioni amorose espresse, per la prima volta nella letteratura latina, nel suo
Catulli Veronensis Liber, in cui l'amore ha una parte preponderante, sia nei
componimenti più leggeri che negli epilli ispirati alla poesia di Callimaco e
degli Alessandrini in generale. Indice 1 Biografia 1.1Origini
familiari 1.2Trasferimento a Roma, vita sociale e letteraria 2Opera 3Il mondo
poetico e concettuale di Catullo 4Note 5Bibliografia 5.1 Rassegne bibliografiche 5.2Traduzioni italiane
5.3Commenti 5.4 Studi 6Altri
progetti 7Collegamenti esterni Biografia Il busto di Catullo presso la
Protomoteca della Biblioteca civica di Verona. Origini familiari Catullo
da Lesbia, dipinto di Lawrence Alma-Tadema (1865). Gaio Valerio Catullo
proveniva da un'agiata famiglia latina che aveva contribuito a fondare la città
di Verona, nella Gallia Cisalpina; il padre avrebbe ospitato Q. Metello Celere
e Giulio Cesare in casa propria al tempo del loro proconsolato in Gallia[1].
Per quanto concerne gli estremi cronologici della sua biografia, San
Girolamo[2] pone l'87 a.C. e il 57 a.C. rispettivamente come data di nascita e
di morte e specifica che appunto egli morì alla giovane età di trent'anni.
Tuttavia, poiché nei suoi carmi accenna ad avvenimenti che riportano all'anno
55 a.C. (come l'elezione a console di Pompeo[3] e l'invasione della Britannia
da parte di Cesare[4]), si è maggiormente propensi a ritenere che egli sia nato
nell'84 e morto nel 54 a.C., dato per certo il fatto che sia morto a
trent'anni. Trasferimento a Roma, vita sociale e letteraria Trasferitosi
nella capitale, si suppone intorno al 61-60 a.C., cominciò a frequentare
ambienti politici, intellettuali e mondani, conoscendo personaggi influenti
dell'epoca, come Quinto Ortensio Ortalo, Gaio Memmio, Cornelio Nepote e Asinio
Pollione, oltre ad avere rapporti, non molto lusinghieri, con Cesare e
Cicerone; con una ristretta cerchia d'amici letterati, quali Licinio Calvo ed
Elvio Cinna fondò un circolo privato e solidale per stile di vita e tendenze
letterarie. Durante il suo soggiorno prolungato a Roma ebbe una relazione
travagliata con la sorella del tribuno Clodio, tale Clodia.[5]. Clodia viene
cantata nei carmi con lo pseudonimo letterario "Lesbia", in onore
della poetessa greca Saffo, molto cara a Catullo e proveniente dall'isola di
Lesbo. Lesbia, che aveva una decina d'anni più di Catullo, viene descritta dal
suo amante non solo graziosa, ma anche colta, intelligente e spregiudicata. La
loro relazione, comunque, alternava periodi di litigi e di riappacificazioni ed
è noto che l'ultimo carme che Catullo scrisse all'amata fu del 55 o 54 a.C.,
proprio perché in essa viene citata la spedizione di Cesare in Britannia. Da
alcuni suoi carmi emerge, inoltre, che il poeta ebbe anche un'altra relazione,
omosessuale, con un giovinetto romano di nome Giovenzio. Catullo si allontanò,
comunque, varie volte da Roma per trascorrere del tempo nella villa paterna a
Sirmione, sul lago di Garda, luogo da lui particolarmente apprezzato e
celebrato per il suo fascino ameno, situato nella sua terra di origine e che
per questo induceva al poeta distesi periodi di riposo. Nel 57-56 a.C.seguì
Gaio Memmio in Bitinia: in quella circostanza andò a rendere omaggio alla tomba
del fratello situata nella Troade. Quel viaggio non recò alcun beneficio al
poeta, che ritornò senza guadagni economici, come sperava al momento della
partenza, né la lontananza riuscì a fargli riacquistare la serenità perduta a
causa dell'incostanza e dell'indifferenza di Lesbia nei suoi confronti. Fu
tuttavia una nota positiva la visita alla lapide del fratello, in occasione
della quale scrisse il Carme 101 (a cui si ispirò in seguito anche Ugo Foscolo
per la poesia In morte del fratello Giovanni). Catullo non partecipò mai
attivamente alla vita politica, anzi voleva fare della sua poesia un lusus fra
amici, una poesia leggera e lontana dagli ideali politici tanto osannati dai
letterati del tempo[6]. Disprezzava infatti la politica di allora, dominata da
politici corrotti che servivano soltanto il proprio interesse: riteneva dunque
che favorire l'uno o l'altro non significasse niente di meno che aiutare l'uno
o l'altro a perseguire il suo vantaggio personale. Tuttavia, seguì la
formazione del primo triumvirato, i casi violenti della guerra condotta da
Cesare in Gallia e Britannia, i tumulti fomentati da Clodio, comandante dei populares,
fratello della sua celebre amante Lesbia e acerrimo nemico di Marco Tullio
Cicerone, che verrà da lui spedito in esilio nel 58 a.C. ma poi richiamato, i
patti di Lucca e il secondo consolato di Pompeo. Una nota da sottolineare è il
Carme 52 dove, per usare le parole di Alfonso Traina, "il disprezzo della
vita politica si fa disprezzo per la vita stessa": (LA) «Quid est,
Catulle? quid moraris emori? sella in curuli struma Nonius sedet, per
consulatum peierat Vatinius: quid est, Catulle? quid moraris emori?» (IT)
«Che c'è, Catullo? Che aspetti a morire? Sulla sedia curule siede Nonio lo
scrofoloso, per il consolato spergiura Vatinio: che c'è, Catullo? Che aspetti a
morire?» (Carme 52) Opera Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento
in dettaglio: Storia della letteratura latina (78-31 a.C.). Marco Antonio
Mureto, Catullus et in eum commentarius, Venetiis, apud Paulum Manutium, 1554.
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Liber
(Catullo). Il liber di Catullo non fu ordinato dal poeta stesso, che non aveva
concepito l'opera come un corpo unico, anche se un editore successivo (forse lo
stesso Cornelio Nepote a cui è stata dedicata la prima parte dell'opera) ha
diviso il liber catulliano in tre parti secondo un criterio di tipo metrico: i
carmi da 1 a 60, sotto il nome di "nugae" (letteralmente
"sciocchezze"), brevi carmi polimetri, per lo più faleci e trimetri
giambici; i carmi da 61 a 68, i cosiddetti "carmina docta" d'impronta
alessandrina e per lo più in esametri e distici elegiaci; i carmi dal 69 al 116
sono gli epigrammi ("epigrammata"), in distici elegiaci. Il
mondo poetico e concettuale di Catullo Il poeta Catullo legge uno dei
suoi scritti agli amici, da un dipinto di Stefan Bakałowicz. Catullo è per noi
uno dei più noti rappresentanti della scuola dei neòteroi, poetae novi, (cioè
"poeti nuovi"), che facevano riferimento ai canoni dell'estetica
alessandrina e in particolare al poeta greco Callimaco, creatore di un nuovo
stile poetico che si distacca dalla poesia epica di tradizione omerica divenuta
a suo parere stancante, ripetitiva e dipendente quasi unicamente dalla quantità
(in riferimento all'abbondanza dei versi di quest'ultima) piuttosto che dalla
qualità. Sia Callimaco che Catullo, infatti, non descrivono le gesta degli
antichi eroi o degli dei[7], ma si concentrano su episodi semplici e
quotidiani. Per giunta, i neòteroi si dedicano all'otium letterario piuttosto
che alla politica per rendere liete le loro giornate, coltivando il loro amore
solo ed esclusivamente alla composizione di versi, tanto che Catullo dichiara
nel carme 51: «Otium, Catulle, tibi molestum est:/otio exsultas nimiumque
gestis» «L'ozio per te, Catullo, non è buono;/ nell'ozio smani e ti scalmani»
(traduzione a cura di Nicola Gardini). Talvolta il poeta ostenta il suo
disinteresse per i grandi uomini che lo circondavano e che stavano scrivendo la
storia: «nihil nimium studeo, Caesar, tibi velle placere» «non m'interessa,
Cesare, di andarti a genio» (carme 93), scrive al futuro conquistatore della
Gallia. Da questa matrice callimachea proviene anche il gusto per la poesia
breve, erudita e mirante stilisticamente alla perfezione. Si sviluppano,
originari dell'alessandrinismo e nati da poeti greci come Callimaco[8],
Teocrito, Asclepiade, Fileta di Cos e Arato, generi quali l'epillio, l'elegia
erotico-mitologica e l'epigramma, che più sono apprezzati e ricalcati dai poeti
latini. Catullo stesso definì il suo libro expolitum (cioè
"levigato") a riprova del fatto che i suoi versi sono particolarmente
elaborati e curati, le poesie raffinate e curate. Una delle caratteristiche
peculiari della sua poetica è, infatti, la ricercatezza formale, il labor limæ,
con cui il poeta cura e rifinisce i suoi componimenti. Inoltre, al contrario
della poesia epica, l'opera catulliana intende evocare sentimenti ed emozioni
profonde nel lettore, anche attraverso la pratica del vertere, rielaborando
pezzi poetici di particolare rilevanza formale o intensità emozionale e
tematica, in particolare come nel carmen 51, una emulazione del fr. 31 di
Saffo, come anche i carmina 61 e 62, ispirati agli epitalami saffici. Il carme
66, preceduto da una dedica ad Ortensio Ortalo, è una traduzione della Chioma
di Berenice di Callimaco, che viene ripreso per mostrare l'adesione ad una
raffinata elaborazione stilistica, una dottrina mitologica, geografica,
linguistica ed infine la brevitas dei componimenti, con la convinzione che solo
un carme di breve durata può essere un'opera raffinata e preziosa. Note ^
Svetonio, Vita di Cesare, 73. ^ Chonicon, ad annum. ^ Carme 113, 2. ^ Carmi 11,
12; 29, 4; 45, 22. ^ Secondo un'indicazione di Apuleio nell'Apologia, 10, la
donna a cui si riferisce Catullo rimase vedova nel 59 a.C. di Quinto Metello
Celere, sicché si può pensare a Clodia. ^ Al riguardo si veda il carme 93: «Nil
nimium studeo, Caesar, tibi velle placere / nec scire utrum sis albus an ater
homo» - «Non mi interessa affatto piacerti, Cesare, né sapere se tu sia bianco
o nero». ^ Eccezion fatta, forse, per i carmina 63 e 64. ^ Morelli Alfredo
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260-270. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina
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Massimo Lenchantin De Gubernatis, CATULLO, Gaio Valerio, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931. Modifica su Wikidata (EN)
Gaio Valerio Catullo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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spazioinwind.libero.it. Il Liber di Catullo con concordanze e liste di
frequenza, su intratext.com. Le grotte di Catullo, su smugmug.com. URL
consultato il 1º maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 9 luglio 2009).
Scansione metrica del Liber di Catullo, su rudy.negenborn.net. La Chioma di
Berenice: traduzione di Alessandro Natucci, su digilander.libero.it. Il carme
64: traduzione di Alessandro Natucci (PDF), su classiciscriptores.weebly.com.
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WorldCat Identities (EN) lccn-n79006943 Portale Antica Roma
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trattanti tematiche LGBTSalvatore Gaetani. Gaetani. Keywords: APVD NEAPOLIM, l’implicatura
di croce. Croce, Catullo -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gaetani” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
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Grice e Gagliardi – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Marino). Filosofo. Grice: “I like Gagliardi; I spent some time with medics at
Richmond, talking Greek! Anyhow, Gagliardi shows why the Angles prefer
physician – since ‘medicare’ is such a trick!” – Grice: “Philosophically
interesting bit is that Gagliardi applies ‘medico’ and qualifies it with
‘morale’!” –Nacque a Marino, feudo dei Colonna, nell'area dei Colli Albani,
come riferisce lMoroni nel suo Dizionario di erudizione, e come riferito dallo
stesso Gagliardi nel in "L'idea del vero medico fisico e morale formato
secondo li documenti ed operazioni di Ippocrate" (Roma). In effetti, il
cognome Gagliardi esiste all'epoca a Marino ed è tuttora tramandato. Fu
impegnato in ricerche morfologiche, microscopiche ed anatomo-patologiche a
proposito delle ossa, compiendo importanti scoperte in questo campo: in “Anatomia
delle ossa illustrata con le nuove scoperte", Roma) descrisse per primo la
struttura lamellare delle ossa. Inoltre effettua alcuni esami e ricerche
comparative tra le ossa umane e quelle del vitello. Descrisse probabilmente per
primo un caso di tubercolosi ossea. La sua opera fu piuttosto lodata, e l'
“Anatomia” fu ristampato. Fece importanti studi sul "mal di petto". Filosofa
sull'educazione morale. Diede anche ammonimenti contro i guaritori ciarlatani e
fornì alcuni suggerimenti deontologici.
Abitava nel rione Sant'Angelo, presso via delle Botteghe Oscure. In
questa strada un suo servo fu ucciso misteriosamente nottetempo. Durante le
villeggiature dei papi presso la Villa Pontificia di Castel Gandolfo Gagliardi
ha il privilegio di offrire la frutta al papa. Alessandro VIII gli conferì un
titolo nobiliare, ma non sappiamo quale.
I suoi lavori, conservati nelle maggiori biblioteche di Roma, rivestono
un particolare interesse se anche duecento anni dopo la loro scrittura, il
vice-direttore dell'Ospedale San Martino di Genova, Arata, diede alle stampe
una lettera inedita del Gagliardi sull'itterizia. Si ha svolto un proficuo lavoro
di ricerca su Gagliardi, scoprendo anche una firma del medico in margine ad un
saggio discusso all'Università La Sapienza.
Altre opere: “L'infermo istruito nelle scuole” (Roma); “Consigli
preventivi e curativi in tempo di contagio dati in forma di dialogo” (Roma); “Relazione
de' Mali di Petto che corrono presentemente nell'Archiospedale di Santo Spirito
in Sassia” (Roma); “L'educazione morale” (Roma). “Come sopra l'influenza
catarrale che presentemente regna in Roma e Stato ecclesiastico” (Roma). Note: Si
veda l'annotazione di “Due baiocchi” in "Castelli Romani", Bossi,
Dell'Istoria d'Italia antica, Enciclopedia TreccaniGagliardi, Domenico, Luciano
Sterpellone, I protagonisti della medicina, Girolamo Tiraboschi, Storia della
letteratura italiana, Lucarelli,
Domenico Gagliardi, Giornale de'
letterati d'Italia, Guillermo Olagüe de Ros, La "Relazione de' Male di
Petto" en el ambiente anatomo-clínico romano, in Dynamis: Acta hispanica
ad medicinae scientiarumque historiam illustrandam, Gaetano Moroni, Dizionario
di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia, Tipografia Emiliani, Antonia
Lucarelli, Memorie marinesi, 1ª ed., Marino, Biblioteca di interesse locale
"Girolamo Torquati", Ordinamento universitario dello Stato Pontificio
Tubercolosi ossea Domenico Gagliardi, su
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. 1
te cose senza profondarvi in alcuna di efse, ed allora appunto diverrete più
capaci di fare maggiori progressi, e tanto più se vi servirete per regolatore
delle vostrej operazioni di quel saggio avvertimento feftina lente:
Esplorerò dunque con private conferenze l'animo di ciascun di voi
separatamente, per meglio accercarmi di ciò,che vi farà bisogno , non potendo
il Medico dare ajuto al suo Infermo s se prima non avrà ben conosciute le
cagioni del suo male, e spero in oggi; e domani di potere ricavare da voi ciò,
che sarà più necessario, ch'Io sappia, per meglio indirizzarvi. Ritiriamoci ora
à fare il privato esame, per potere Lunedì prossimo dar principio alle nostre
Giornate. [ocr errors][merged small] [merged small][merged small][ocr
errors][merged small] M Nella quale si moftra cofa fi ricerchi
d'eljena ziale per efere Medico je ciò, che
gli rechi ornamento . Avveddi jeri dal vostro parlare;
che non siete tutti voi di genio uniformi,perche conobbi
bene, che tal'uno di voi non restava persuaso, & altri più ; ò
meno, s’appagavano delle mie ragioni, e riflettendo, che ciò possa nascere
dalla diversità delle vostre menti più o meno sublimi, & animofe. Quindi è,
che prima d'inoltrarmi nel presente ragionamento, stimo necessario di
premettere una breve partizione delli vostri ingegni, à fine di regolare
ciascuno di voi secondo la propria capacità : Ecer tamente , conforme
nell'esterno non vi assomigliate trà voi, così ancora nell'interno sarete
differenti, cioè, che non avrà ciascuno di voi la medesima capacità, &
apertura di mérite ; il medesimo talento, ē spirito, la medesima memoria , e
ritentiva , & il medesimo giudizio, o perspicacia d'ingegno; onde, ciò suppofto,
io non potrò con la medesima misurd, e regola mostrare à tutti voi ciò, che vi
converrà d'essenziale, è d'ornamento per potere diventare veri Medici. Dunque
mi converrà necessariamente dividere left fenziale dall'ornamento, perche
l'effenziale dovrà competere egualmente à voi, che fiete di mente più sublimi,
che agli altri d'inferiore capacità : L'ornameiro poi, perche non potrà
competere egualinente , nè potrà essere in tutti voi uniforme, bisognerà
regolarlo fecondo la propria capacità, e genio di ciascuir di vois con
pensare al modo, che poffino l'ingegni inferiori uguagliare per altra via
ancora nell'ornamento li più subliini ; E ciò servirà primieramente per dare
un'ottima direzzione alle menti di maggior capaci. tà, in farli conoscere
ciò, che si debba di elli premettere d'essenziale , per poscia potersi avanzare
in quello di più, di cui saranno capaci. In secondo luogoperche non si
confondano, & avviliscano le menti meno sublimi, anzi per istruirle , &
ani. marle insieme à fupplire con l'Arte al di, fetto di Natura, Certo,
che ognuno di voi deve avere il medesimo fine, cioè di divenire Medico; Onde
dovrà unitamente con gl'altri incaminarsi per la medesima strada, e fino à
tanto, ch'abbia conseguico il suo in, tento ; Mà perche chi si trova in forze
maggiori trà voi è portato facilmente dal suo spirito ad uscire dalla
careggiata, quindi è, che bisognerà idearsi un caso, che dia un buon
regolamento à tutti unitamente, che sarà il seguente : Vi fia trà voi chi
posseda in contanti due, chi trè , e chi quattro talenti , e che voglia
ciascuno per uso proprio fabricarsi una casa compita, che abbiad d'avere il
medesimno uso, e la medefima fruto struttura, certo è, che li
fondamenti converrà, che li facciate uniformi, il sopra terra dovrà alzarsi eguale,
le stanze doyranno essere di numero, e capacità consimili, altrimenti non avrà
la medesima struttura. In idearsi queste case non potrà l'Architetto eccedere
la spesa di due talenti, altrimenti non potria senza indebitarsi compire la sua
fabrica ,chi di voi hå che due foli talenti; Si dolerà facilmente con
l'Architetto chi ne hà d'avantaggio, perche non gl'abbia delineato fabrica più
sontuosa , à cui facilmente egli risponderà, è meglio, che litalenti vi
avanzinoy che manchino, perche li potrete impiegare in ornato, e così la vostra
farà più bella comparsa ; Sentendo questo voi, che avete soli due talenti vi
dolerete ancora coll'Architetto, che non vi rimarrà cosa da spendere per
ornarla , e perciò la voftra fabrica non potrà comparire bella al pari delle
altre, vi risponderà il medesimo, abbiate pazienza , che vi darò il modo per
far comparire vaga la vostra ancora al pari delle altre : Mă se per
vostradisgrazia spenderete li vostri talenti senza le buone regole
dell'Architettura, é voglia ognuno di voi farsi una casa à suo genio . Vois che
avete quattro talenti vorrete fare il doppio degli altri, vi profonderete più
del bisogno ne' fondamentis farece muri più larghi; l'alzerete più dell' altri;
con tutti li vostri quattro talenti Atenterete à copritla ; con che denari poi
la stabilirete? A che servirii la magnifiċenza della vostra casa , non
potendola in tutto compire per renderla usuale? Tanto peggio seguirà in
voi, che possedete meno, se nella vostra fabrica spetdeste più di quello; che
dovete je po tete; correreste pericolo di non poterla ricoprire, onde vi
rimarria affatto infruto tuosa, Altro inconveniente ancora potrid fascere
si nell'uno, come nell'altro caso, che saria di risparmiare ne' fondamenti
qualche porzione de’talenti per impiegarla nell'ornáto, iii questo modo le
vostre cafe fariano sempre in pericolo di rovina. $e , con tutta la sua bella
apparenzas fatta [ocr errors] ad imitazione di quei Mercadanti, che ciò
che hanno tengono in mostra , e questi sono quelli, che ben spesso si veggono fallire.
Questa fabrica , ch'ora vi hò ideato è appunto la Medicina Pratica, la quale fi
deve da tutti voi apprendere , e nella medema conformità, affinche ne ricaviate
un metodo di medicare uniforme, facile , e sicuro , e se in apprenderla voi, che
siete dotati d'ingegno più subliine degl'altri, vorrete stendervi più in oltre
delli vostri Compagni, vi confonderete con facilità con tutto il vostro bel
talento, perche fzcilmente il vostro spirito grande vi farà divagare in quelle
cose, che apprese in altritempi , che resivi più capaci, meglio lo capirete,
& adatterete al vostro bisogno. Șia per esempio, se in questo tempo, che
attendete alla pratica , vi venisse fantasia di leggere, & imparare molti,
e diversi liftemi, e li varj metodi di medicare, che Lono nella Medicina ,
questo vi reccherà confufione, contenendo tanta diversità di pensieri,d'ideese
di modi con tutto che la 7 verità delle cose sia una sola , onde
con Fagione riferisce Lacuna, (a) ch'esclamava à suoi tempi Galeno : Judicij
veri difficultatem liquidò oftendunt tot , tàmque variæ hærefes, quòt in Arte
Medicâ reper riuntur; E tanto maggiorinente, che quefti distogliendovi da
quel bell'ordine, che voi avevate preso in offervare l'andamenti de? mali con
li vostri propri occhi, vi faranno acquistare una pratica fimile alla vostra
ideata fabrica, che non farà côpita, & in conseguenza non ne potrete cavare
quel profitto,che ne riporteranno li voftri Compagni , li quali à cagione
della maggiore attenzione, che hanno in apprendere quella sola,non divertendosi
in altro, se ne approfitteranno bene, e la loro pratica sarà compita , e
potrà avere il suo uso, giacchè al parere di Cicerone : (6) Affiduus ufus, uni
rei deditus, die Ina genium ; & Artem fæpè vincit ; Sicchè in questa parte
eforto tutti voi à non applia care ad altro , allora che prendete lame
pra(a) Comment 1. Aphorism. 1. ex Lecuno in Epit, (6) Cicero pro Cornel.
Balb. 1 [ocr errors] pratica, che à quell'esercizio, che fate,
eccettuatone alcuni tempi destinati per Ja Notomia, e per la Boštanica,
Perfezionati, che farete in detta, pratica , & appreso, che avrete un
metodo facile, e più sicuro di medịcare, allora converrà di ornarla di altre
cose , che abbiano correlazione con la Medicina , secondo il proprio genio , e
capacità, con fermo proponimento però , che non vị abbiano da distogliere dallo
studio di er fa , nè da confondere ciò, che auete con li propri occhi offeryato
più volte, eţurto ciò, che avețe appreso per ornamento non l'avrete da
profeflare come negozio principale, altrimenti vi distoglierà da quello , che
avevate già acquistato dị buono nella - Medicina, ma sopra di cio più
diffusamente ne tratteremo in ap: presto Questą praticą, appunto
acquistatą, mediante le reiterate esperienze, e diligenti osservazioni fatte
intorno li Malati è quello , che fi ricerca d'essenziale nel Medico , &
oltre di questa ogn'altra cosa, che s’acquisterà di più gli servirà d'ornamento
maggiore : Che sia così,per consolazione di yoi, che siete d'ingegni meno
sublimi, yeniamo alle prove. La prima sarà con l'autorità d'Ippocrate
chiara , e testuale ; Dice dunque , egli:(a) Ars fane medica jām mihi tota
inventa ese videtur, quæ fic comparata eft, ut fingulas, da consuetudines ,
temporum occasiones doceat. Qui enim hoc pactó Artis Medicæ cognitionem habet ,
is minimum ex, fortuna pendet , fed & citrà fortunam, çum fortunâ rectè eam
adminiftrabit ; Firma enim eft Ars tota Medica , cjusque prçceptiones , ex
quibus conftat dr. Consistendo dunque tutta la Medicina in sapersi ciò,
che sia solito à farsi, e le congiunture de' tempi, nelle quali fi deve
operare, queste chi meglio di voi le potrà sapere, avendole con li yostri
propri occhi più volte osservate? e bastando ciò per bene medicare, secondo la
dottrina d'Ippocrate, sarete dunque , mediante la vostra buona pratica, allora
già divenuti Me(a) Hippocr. in lib. de loc. in bom.nesa Medici; E
fe poi desiderate sentire sopra ciò più chiaro parere d'Ippocrate , legge. xe
De decenti ornatu, dove così vi parla ; Sint cu in memoria tibi morborum curatio.
da harum modi, quo multipliciter, quomodò in fingulis fe habent; bọc enim
principium eft in Medicina , medium, & finis = che sono appunto questi il
costitutivo del. l'essenziale: Sia all'oppofto tal'uno ornato di tut, te
le scienze, nià che non abbia acquistato ancora in Medicina una buona pratica ,
questi non si potrà dire con tutte le sue scienze Medico pratico, perche non
saprà ben mcdicare, e gl'accaderà per l'appunto, ciò, che succederia ad
un'insigne Geo. grafo se volesse viaggiare senza la guida , queiti nelli bivj,
ò trivj sbaglierebbe la strada , per non averne la buona pratica , e con tutto
, che possedeffe la situazione di tutto il mondo, in un piccolo tratto di paese
si smarrirebbe; Mà tutto questo con Pesempj più chiari ve lo farò
costare, Tralasciando di riferirvi un lungo Catalogo de' Medici , che
hanno scritto in fola sola Medicina pratica, e che fiorirno con
gran lode, mentre vissero, senza effere ornaci d'altre scienze, perche lo potre
te, volendo, con li vostri proprj occhi rincontrare , leggendo i loro libri ;
Vi riferirò solamente alcuni casi accaduti à Medici, ch'avevano appreffo di noi
molta ftima', per essere versatiliminella buona pratica di medicare, e si
poteuano annoverare trà quelli, di cui parla, Ippocrate nel libro De Arte : Viri
hujus Aricis periti , re ipfi lubentiùs, quàm vero bis demonftrant ; li quali
vennero al cimento con Medici di maggior grido di loro nelle altre scienze, e
ciò , che ne seguì . Gio: Giacomo Baldini ne fù uno di questi , il quale
efsendo folamente un buon Pratico, e dotato d'isperimentată prudenza , era per
li fuoi pingui guadagni molto invidiato da alcuni di quelli, che li
riconoscevano in molte scienze superiori di gran lunga à lui, s'abbattè egli
una volta in un consulto con due Medici delli più celebri nella facondia,
1 B с рiй e più versati in molte altre scienze,e per tal
cagione poco conto facevano di lui; Ora questi avevano già premeditati li loro
discorsi molto eruditi, à fine, che meglio comparisse à tutta una nobile Udienza
, che vi dovea intervenire, la poca sufficienza, & infelice modo di
di(correre del Baldini, furono sì lunghi li sudetti eruditiffimi ragionamenti,
e s'ina oltrarono tanto in cose fuori del propofito, che in vece di dilettare
annojarono tutta l'Udienza, & avvedutofi di ciò il buon Pratico, in vece di
gareggiare con loro nell'eloquenza , fece un breve di. scorso, mà tutto
indirizzato all'urgente bisogno, conobbe meglio degl'altri il male, lo confermò
con l'autorità puntuale d'Ippocrate, fece il suo pronostico mortale, che si verificò
in breve, venne alla cura , propose alcuni rimedj, e terminò il consulto con
applauso uniuersale di tutta quella nobile Udienza , diccndo : : mo, che
ha discorso à proposito, e se ne partì tutto contento, e consolato.
Gio [ocr errors][merged small] 1 1 Giovanni Tiracorda già in
questo Archiospedale degnissimo Decano, che nella pratica Medica aveva quei bei
lumi, che felicirano le cure ardue , si abbattè in un consulto con un Medico
catedratico eruditissimo nelle lingue , c Greca in ispecie, nelle Matematiche,
ed ancora nella Teologia ; L'Infermo era Oltramontano y poco prima giunto in
Roma , che li ainmalaffe, ed in tempo di aria sospetta, il' di cui male fù
creduto dal sudetto eruditiffimo Professore eflere una febbre etica , e con
tali, erante ragioni s'ingegnava di provarlo in ispezie per il pollo basso che
aveá, che fariano per certo bastate à formarne liga gran ležzione in cattedra.
In tanto il buon Pratico Tiracorda penaya in fentire ciò, che conosceva non
potersi in modo alcuno verificare, e dovendo egli concludere , con breve
discorso fece capire essere il male del povero foratieri) una febbre maligna,e
di pelimo costume, che se presto,e validamente non era foc corso farebbe morto,
disse ciò, che con veniva B2 [ocr errors] veniva farsi con
sollecitudine, e l'esito funesto, in breve seguito , ne fù il Giu-
dice, chi di loro avesse meglio conosciu- to il male,
Riferirò per terzo ciò, che seguì ad Antonio Piacenti mio
Maestro, la di cui perizia nel ben medicare è nota , per via vere ancora molti,
che furono da effo ne’loro gravi mali bene assistiti, onde per essere io
interessato , non m'inoltrcrò di vantaggio in lodarlo, e lascierò, che facciano
altri quella giustizia , che le sue gloriose ceneri meritano. Questi ebbe
occasione più volte di trovarsi alsieme co' Professori di molto grido, per le
varie scienze, che possedevano, e vedevo, che il suo configlio, ò era
feguitato, ò volendosi fare diversamente per lo più si sbagliava; Accadde
una volta nella cura di un'Infermo, che pativa di un male graue di testa,
creduto da esso procedere da pienezza d'umori viziofi, che nel basso ventre
dimoravano, c per ciò gl’aveva proposto il dejettorio, che à ciò si oppose chi
era versato più di luiin altre scienze fuori della pratica medicinale, con il
motivo, che l'evacuazione glavria inolto pregiudicato. Stette egli faldo nella
proposta già fatta, quale fù esaminata da altri Profeffori, e conclusa: ed
eseguita che fù, l'efito moftrò d'onde procedeva il male, e chi l'aveva meglio
accertato, posciache mediante l'evacuazione ne rimnase libero. Due gran
motivi si poffono dedurre dalli riferiti casi, uno di confolazione per voi, che
non avete genio ; ò abilità all'acquisto di altre scienze, vedendo, che nella
vostra sfera pratica; abilitati che sarete , potrete ftare à fronte con quelli
di più letteratura di voi, purche abbiate prudenza , e giudizio in sapervi ben
regolare; e l'altro servirà d'avvertimento à voi d'ingegno più perspicaces che
desiderate apprendere tutto lo scibile, à non fidarvi folamente sù quello, ch'è
ornamento Medico, dovendo ancor voi poffedere Fondatamente, al pari degl'altri,
quella buona pratica Medica, ch'è la direttrice del ben curare, senza
[merged small][ocr errors] la quale sono inutili tutti gl'altri ornamenti: Consolatevi
però ancor voi, che bramate d'apprenderli : perche quando saranno uniti alla
buona pratica, vi ferviranno ancor'elli di scorta, e vi faranno divenire
eccellenti Medici, & in prova di ciò non vi mancano esempj di cafile,
guiti, che fanno conoscere quanto accrescano di chiarezza alle nostre menti le
Filosofie sperimentali, la Ģeometria, l'Aftronomia, & altre scienze, che
porfono avere correlazione con la Medici. na, mà per ora potrà bastarvi
l'oracolo d'Ippocrate allora, che scrivendo à Tel, Lalo gli notificò: Geometria
mentem acuit, e longè Splendidiorem reddit ; e nel libro de Aere, Aquis, &
locis ; Ad Artem Medicam Astronomiam ipfam non minimum, fed plurimum poteft
conferre ; Ben'è vero, che rari fono quelli, a'quali datum eft adire Corintum ,
perche tutte queste cose averle , poffederle, e maneggiarle à quel segno, che
conviene, cnon più oltre non a ricerca minor prudenza di quella, che aveva il
Re Mitridate iu reggere un Coco [ocr errors] Cocchio tirato da
bravi , e numerosi de strieri, altrimenti andandosene tutte in pampani , e
fiori, che non legano, produrranno pochissimo frutto, quantuns que fosse
vaghiflima la loro prima ap. parenza. Sicché parmi d'avervi à bastanza
mostrato , che l'essenziale del Medico non consiste in altro, che nella buona,
e soda pratica acquistata mediante le re. iterate osservazioni di ciò, che
fiegua nelli progrefli de’mali, e quanto fiac. quisterà di più fia tutto
ornamento. E da questo si possono comprende reli gran vantaggi, che
necessariamente nel ben medicare, non solamente li Gio. uani Praticanti, &
Aliftenti ne riportano dalle continue offeruazioni , che fi fanno negli Spedali
ove sono numerosi gl'Infermi, mà ancora gli Profeffori primarj, che ivi
esercitano, potendo questi, mediante le reicerace osservazioni, che si fanno in
lunga serie di anni, acquistare molta perizia pratica , e franchezza ancora nel
medicare, conforme, che ogn'uno di esli ben se ne avvedeje lo confeffa. E
finalmente, acciocchè non resti quanto vi hò detto infructuofo,converrà, che
ora vi mostri come vi dovrete contenere nell'acquistare detta pratica tutti
assieme, e conformé, fi dovrà regolare ciascun di voi ; secondo la propria
capacità , in quello, ch'è ornamento, mà effendo questi più punti , che
meritano matura riflessione, bisognerà riportarli alla Giornata di domani,
venite però tutti, e voi precisamente, ch'avere più brio, e spici:o più vivace
deglalri preparati di sofferenza, perche sarà Giornata di attenzione, e
mortificazione infieme. [ocr errors][merged small] [blocks in formation]
Nella quale si fà vedere ciò, che dovre farsi da tutti unitamente per ben
confeguire una buona prática, e quello, che dovrà operare ciaschedino secondo
la propria capacità per uguagliarsi a' Comia pagni in quello , ch'è
ornamento. Mi : I dispiace nella Giornata
di jeri accennato, ch'oggi vi mortificherei , perche jacula prævisa minus
feriunt ; Mi persuado , che di già farete venuti preparati per sentire da me
rimproveri sopra li vostri poco lodevoli portamenti, da me più volte osservati,
mà abbiateci pazienza ò perche ciò G fa per voftro bene. Ditemi di grazia
à che fine venite in questo luogo pieno di miserie ? Frana camente mi
risponderete : A prendere la pratica di Medicina; e questa in che modo la
prendete yoi più disinvolti, & allegri , che mostrate d'esfere più
spiritofi degl'altri? Con paffeggiare per lo Spe. daledale, confabulando
trà di voi sopra le novelle di queito mondo? Questo non è il modo da prendere
pratica di Medicina, nella quale si richiede una fomma applicazione, mà più
tosto da divertirvi: Sappiate, che lo Spedale non è luogo da perderci
inutilmente il tempo in divertimenti, e svari, perche è ripieno di aria
infetta, chi non brama d'approfita tarsi non si curi dimorarvi , mà se ne vada
in aria migliore, e più amena di fta, che farà per lui più utile, e sicura , e
non mi faccia cestar bugiardo, poiche in cal guisa continuando, non folamente
daria à divedere che la Medicina sia Arte lunga , mà ancora, che non si possa
in conto alcuno acquistare, essendo questo tutto l'opposto di ciò, che da
principio vimostrai. 15 TMarcello disse, rimproverando li suoi foldati,
che non aveano fatto come e doveano, e poteano il loro uffizio: Mula ta
vidi Romanorum corpora, fed Romanum vidi neminem; e così ancora io potrò
direfin'ora di voi: Multa vidi discipulorum [ocr errors] corpora , fed
difcipulum vidi neminem ; Spero però, che conforme servirono di stimolo a' suoi
soldaţi le parole risentite di Marcello per fare, che superassero nel giorno
susseguente Annibale,cosi le mie moveranno ancora gl'animi vostri in ay. venire
ad operare con più attenzione, e fervore di prima scusandovi del passa
perche non sapevate ancora in che modo vi dovevate contenere ; Qual mutazione,
oltreche recherà à voi gran vantaggio , si perche più prestamente vi
sbrigherete, e con miglior ordine v’im. poffefferete della buona pratica
Medica, à cui devono indirizzarsi tutte le vostre operazioni , sarà ancora di
mia somma consolazione. Prima però di porvi à questo ftudio pratico farà
di mestiere, che possediate , oltre il buon costume, l'Istituzioni Me diche,
con le quali diverrete già iniziati à questo nuovo esercizio, essendo legge
d'Ippocrate di non doversi praticare altrimenti, ordinando egli (a) doppo
aver detto: (a) I* Hippocratis lige : detto: Institutionem à puero
fit moribus generofis , venendo alla Medicina pratica, Hæc verò cum facra fint
, facris hominibus demonftrantur, prophanis verò nefas priùsquàm foientiæ
facris initiati fuerint ; e facendo voi diversamente non potrete capire ciò,
che vi si presenterà d'offer= väbile, e s’aveste ancora appreso la cognizione
de'mali , vi recheria quefta un sommo vantaggio, insegnando Ippocrates ( b )
che Qui autem fignorum cognitio: nem habuerit is: folus ritè ad curationem
aggredietur, caso che nò procurerete , che sia questo il primo vostro studio, e
lo farere ; con discrivere in un libretto di memorie tutti li segni , che fanno
venire in cognizione di quel tal determinato male, con indicarvi quali sono li
essenziali ; ex. gr. dell'Angina, dell' Epátiride &c. é quelli, che sono
distintivi; che fanno conoscere, se sia Colico, Ò Nefritico il male, se fia
vera , ò falfa gravidanza, e così proseguendo in tutti quei casi confimili, che
hanno bisogno di (b) la lib.de Media [ocr errors] [ocr errors] di
qualche segno proprio, che meglio li faccia comprendere , e tutto ciò è
necessario à farsi, perche attorno l’Infermo dalli segni si rinviene il suo
niale , e questi sono neceffarj d'averli à memoria, perche all'ora non si può
ricorrere à leggerli ne’libri, quando sareçe interrogati, che male quello sia ;
Dovrete ancora lasciare in detto libretto di memorie molto spazio di casta
bianca in ciasche, dun caso, doppo avervi descritti gl’accennati segni per
notarvi ciò, che biso, guerà in appresso, Acquistata , ch'avrete la
cognizione de' mali più frequenti, e che vagano in quella stagione, e questo in
breve tempo lo potrete fare , incomincierete ad osservare il modo, con il quale
si curano , & in quel medesimno libretto dove avrete descritti li segni ,
v.g. della Punfura , capitandovi d'osservare il detto male, verrete descrivendo
la cura, e mutazioni, che di giorno in giorno eslo anderà facendo, tanto in
meglio, che in peggio, con tutto ciò , che offerverece di riguardevole,
mà succintamente con qualche contrasegno indicativo,per non fare scrittura
voluminosa. Di dette cure da offervarsi contentatevi di prenderne poche
da principio, e le più facili , per poterle esattamente confiderare, e capire
bene, quali in progresso di tempo l'anderete moltiplicando, e scegliendo
secondo vedrete meglio poterle possedere , e comprendere; Avvertite però non
caricarvenc troppo, nè di tralasciarle, se non ne avete veduto l'evento felice,
ò funesto , quale noterere per meglio impoffeffarvi nelli pronoftici da farsi
in casi consimili, nelle congiunture, che vi si presenteranno . E tutto questo
è coerente al consiglio d'Ippocrate dato nella sua legge, ove dice : Ad bec
longi temporis induftriam accedere neceffe eft, quod disciplina veluti
gravidata felicitèr , & benè crescendo maturus fructus efferat.
Lo studio, che dovrete fare in casa sarà di leggere solamente dui, ò trèlibri
pratici de’migliori , che potreteavere si antichi, che moderni scelti dal
Direttore vostro Macítro, & in quelli procurerete rincontrare se ciò,
ch'avete osservato si uniformi alli loro sentimenti, e noterete, in che cosa
consista il di- . yario, per domandarne sopra ciò la cagione à chi sarà vostro
Direttore nella pratica, ò almeno alli Medici Affiftenti di detto
Archiospedale, che sono già pratici, de' quali ancora vi dovrete prevalere in
molte occorrenze, potendoli avere più pronti, e nel luogo istesso dove vi
esercitate, Mà perche le conferenze accrefcono fervore, e facilitano
insieme li progressi, per cagione dell’utile emulazione, e di sentire da?
Compagni qualche cosa di più, che talvolta non fi sapeva ; Quindi è, che almeno
una volta la settimana vi dovrete congregare tutti insieme per conferire ciò,
che ogn'uno avrà acquistato di più nel suo esercizio pratico, & à questa
conferenza potria avere qualche sopraintendenza il Medico Af fiftente di
guardia, che deve necessaria. mente [ocr errors] mente essere nello
Spedale permanente ; E quando sarete disposti à tal’utile esercizio non avrete
da affaticarvi in cercare luogo à propofito, conforme era neceffario prima,
perche voi, che di presente ftudiate avete avuta la sorte propizia, mediante
l'animo generofo , e magnitico di Monsig. Illuftriffimo Gio: Maria Lang cifi,
cho con tanti suoi incominodi, c con si considerabile spesa, à publico bene, hà
stabilito sì grandiosa, e nobile Libraria , ed in questo medesimo luogo, dove
vi esercitate, potrete ivi radunarvi, e fare con tutti li vostri commodi
l'utilissime conferenze , con quel di più, che ne potrete ricavare da'vn'abbon,
dantislima scelta di libri , che vi si custodiscono d'ogni scienza, & in
particolare, assai più numerofi d'ogn'altra in Medicina. Qual commodo fe
l'aveflimu avuto noi, che ora fiamo avanzati negl'anni, in nostra gioventù,
quanto mai ci faria stato grato; poiche per fare conferenze allora, bisognava
andare in luoghi privati à dare incommodo, e pure si face vano vano
con fervore conforme seguì int cafa del Dottor Girolamo Brafavola, dove
ogni Lunedì si teneva congreffo publico, e si leggevano un difcorso con due
problemi Medici, oltre le conferenze, che si facevano fopra altre materie,
concernenti la Medicina, è detto.congreffo continuò con fervore per molti anni
, e con profitto di chi lo frequentava. Talmente che tutta vostra la colpa
fària se voi ora che avețe derta commodità la trascuraste', non potendosi ciò
attribuire ad altro, e con vostra somma vergogna, che al poco desiderio, che
aveste di approfittarvi. Vi riuscirà più commodo di fare alcune diligenze
intorno alli Malati, che vi fiere scelti da offervare , prima della visita del
Medico Principale, che consor feranno d'interrogarli, con descrivere ciò, che
vi troverete di novità per essere sbrigati , e pronti nel tempo della visita,
nella quale sentirete voi ancora il polso à tutti gl’Infermi del Quartiere per
impoffeffarvi delle differenze di esia C e ciò e ciò farete
con qualche attenzione particolare, per meglio comprendere ciò che nel giorno
vi scorgerete differente dalla mattina , e nelle visite susseguenti, ciò, che
di divario dalle antecedenti, ed in ispecie se più , ò meno celeri, se più, ò
meno eguali , se più , ò meno duri, se più alti , ò più basli , e molte altre
differenze, che avete gia letre nel trattato de' Polfi, ed occorrendovi sopra
di ciò alcuna difficoltà , non abbiare timore di spiegarvi, e di dirlo à chi vi
sopraintende , perche da tutti con somma cortesia vi sarà spianata; Starete
attenti quando s'interrogano li Malati nuovi per rinve- ; nirne l'idea del
male, & offerverete il modo , che si tiene con quelle persone idiote, che
non sanno rispondere à ciò, che si domanda loro , & apprenderete la gran
pazienza, che bisogna averci, per potervene servire ancora voi abbattendovi in
Gimili Infermi idioti. Vi porrete à mcmoria quell'idea, che dal Medico
Principale farà stabilita à quel male, e pet non dimenticarvene la noterere
in un libretto conforme vien praticato da. gl’Afiftenti, con notarvi
insieme il no me dell'Infermo, e numero del letto, invigilerete in sentire , e
capir bene cutte le ordinazioni, che si faranno, con rincontrarne ancora li
suoi effetti, non trascurerete di sentire ciò, che si dice del pronostico del
male, e d'ogn'altra cosa concernente tal'infermità, ed in ispecie in quelli,
che vi siete scelti per osservare, e facendo yoi ciò, che vi hò decco , vi
assicuro , che quell'Arte, che Ippocrate chiamò lunga, la farete divenire più
breve di quello, che vi credevate, potendo yoi in tal guisa con facilità non
solamente apprendere il modo più sicuro di medicare , mà ancora la franchezza
del ben pronosticare, conforme insegna Ippocrate : (0) Eventa igitur per
experientiam cognita prædicenda, id enim gloriam adfert , c cognitu ejt.
facile. *Terminata , che farà la detta visita seguirete il Medico , che
vi conduce inpratica per osservare le visite, che sono per la Città, nelle
quali procurerete di fare le vostre osservazioni nel miglior modo , che vi sarà
permesso. Con il sudetto vostro Direttore, e Maestro conferirete tutte le
difficoltà, che vi occorrono, con animo però decerminato d'apprenderne li loro
documenti, essendo questi li semi di quanto di buono in voi germoglierà à
suo tempoo conforme disse Ippocrate nella sua legge : Doctorum præcepta feminum
rationem habent, non già di contradire con pertinacia à quello, che verrà da
esso detto, e risoluto, ed imiterete in ciò le Api, che succhiano il mele da'
fiori, è non già le Vespi, che pungono con li loro aculei colui, à cui si
approssimano. Credetemi, che la modestia, e li buoni costumi, l'attenzione, e
la docilità ne? giovani formano la base stabile di tutti li loro avanzamenti,
dove, che il mal costume, la pertinacia , la garrulità , e la petulanza affatto
l'atterrano, elanniçhilano. Nelli [ocr errors] [ocr errors] Nelli
tempi poi, che saranno prof fimi alle offervazioni anatomiche comincierete ad
alleggerirvi dalle occupa. zioni Mediche, per attendere con più fervore alla
Notomia, e procurerete in quelle vicinanze di trovare un'Indice delle
oftenfioni, che fi faranno , per istudiare preventivamente ciò, che pu- .
blicamente si dimostrerà, ed in oltre vi troverete presenti à tutte le
preparazioni delle parti, che si faranno in privato, non solo per meglio capire
, & impofseffarvi di quello , ch'avete letto, mà ancora per mostrarvene già
pienamente istrutti quando le vedrete publicamente dimostrare i Non
trascurerete , essendovi occafioni d'aperture de cadaveri, di trovarvi presenti
à quelle, e tanto maggior mente se avrete osservato li mali di quei poveri
defonti, e se non l'avrete visitati, procurerete informarvi delle loro
infermità , perche mediante tali ispezioni verrete meglio in cognizione del
luogo affetto, e di qualche cagione ancora di detto C 3 detto
male, e noterete in succinto nel vostro libretto ciò, che si farà rinvenuto in
quelle di considerabile , acciocchè vi resti memoria per prey aleryene à suo
tempo. Ed affinche meglio le possiate ritrovare , riporterete in un repertorio
per ordine alfabetico ciò , che offeryato avrete, tanto nelle cure de inali,
esiti de’madesimi, che aperture de' cadaveri, senza lasciare nè pure un giorno
di non notarvi qualche cosa offervata, e questo l'andrete bene spesso
rileggendo, à fine non vi scordiate di ciò, che una volta apprendeste.
Quando si faranno l'ostensioni bota taniche non occorrerà, che trascuriate
l'altre vostre applicazioni mediche,perche non richiedono queste
quell'attenzione, ch'è necessaria per la Notomia. E tanto più, che durano tutta
una stagione, onde basterà, che per tal'effetto Jeggiare qualche libro
bottanico, e con l'esercizio oculare ricontriate nell'Orto Medico le più usuali
per meglio conocerle , le quali per voi possono esse re [ocr
errors] re sufficienti con la notizia delle loro virtù.
Impiegato , ch'avrete il primo ane no, con fervore, in fare
tutto ciò, che fin'ora vi hò detto, ristrignerete poscia in
una nota tutti quei mali più essenziali à saperfi, che ancora non avevate
offer- vati, à fine , che capitandovi possiate in quelli continuare
li vostri studj, imitan. do quei Giardinieri, che vogliono
for mare un vago prato di fiori ; Questi colo tivano tutto quel
terreno, e con buona ordinanza vi dispongono li semi, à fine non vi
resti del sodo incolto, ove non nascono fiori , mà sol'erbe
campestri, e che li fiori, che nascono , non resting trà loro
confusi. Quando avrete già offervato ocularmente le cure de' mali
più riguardevoli, e frequenti, e quelle occorsevi di nuovo, l'avrete più volte ancora
rincontrate nelle cose essenziali, uniformi, e che possederete già la Notomia,
elsendo divenuti capaci di meglio discernere ciò, che fate, all'ora converrà ,
che [ocr errors] vi applichiate à rinvenire le cagioni de? mali , e non
prima, perche essendo tante , e così diverse tra loro le cagioni descritte
dagli Autori in un medeliino male per la diversità di sì numerosi
sistemi, novamente inventati, che se Galeno à fuo tempo giudicò al parere di
Lacuna che : Judicis veri difficultatem liquido ostendunt tot, tantæque variæ
hæreses, quot in Arte Medicâ reperiuntur ; Che giudizio accertato ne potreste
formare voi ora , che sono cotanto più cresciute, prima d'essere nella pratica
bene istrutti? Oggidi li giovani sono così perspicaci, per non dire arditi, che
li raziocinj, che già udirono da’loro Maestri, quali come buona femenza
dovriano conservare, & aspettare, che con il tempo crefceffero , conforme
ordina Ippocrate nella sua legge: Tempus omnia hæc ad plenam nutritionem
confirmat, in vece di çoltivarli ora non li seguitano più, & in vece di
quelli se ne scegliono delli più vaghi, onde quando ciò abbia da esfere è pur
meglio, che l'apprendiate quandofiete divenuti più suficienti à farlo, ed
all'ora appunto, che sarete à pieno informati dell’idee de'mali, delli loro
sina tomi, del modo, che s’abbiano à curare, e dell'esito , che possono avere,
perche potrete allora con più sperimentato giudizio sceglervi quel raziocinio
intorno alle sudette cagioni morbose più adattabile degl'altri al vostro
bisogno: Sentite di grazia come al proposito ve lo infinua Ippocrate : (d)
Preclara enim res eft, quæ ex opere , quod quis didicit proficifcitur oratio ;
Écon maggior chiarezza in altro lạogo , (e) dove così parla : Ncque priùs ad
ratiocinationis perfuafionem quàm ad ufum cum ratione conjunctum animum
adhibere ; Ratiocinatio enim in eorum, quæ fenfu comprehenduntur recordatione
quadam confiftit ; ed in appreffo : Nullum ex his , quæ folâ ratione concludun-
, tur fructum percipere licet , verùm ex his , qua operis demonstrationem
habent, fallax enim, & ad errorem proclivis affeverario; Ed operandosi da
voi in questo modo, effendo già divenuti più abili, e capaci, da un principio
più accertato ricaverete un ražiocinio è certo , ò per lo meno probabile, dove
che facendosi diversamente con impoffeffarvi prima d'ogn'altra cosa delli
raziocinj in aria, e di bella comparsa, che possono con danno notabile
preoccupare le vostre menti, e quefti effendo Icelti da voi per mero genio ,
fenza saperne il perche, vi faranno dedurre delle conseguenze, che vi pareranno
certe , ed evidenti, le quali in atto pratico le troverete diverse das quelle
ve l'eravate figurate; onde per acquistare pofcia la buona pratica vi converrå
deporli, conforme è convenus to farli da altrui, che se ne sono ayveduri , per
non continuare ne' loro pregiudizj, e sentite come à meraviglia fi ritrovano
costoro delcritti da Ippocrate: (f) Venuste enim cognitionis intelligentia apud
iftos sparsa ejš . Cum igitur hi ex neceffitate indocti exiftant eos ad utilem
*xercitationem cohortor . Mà veniamo all' esempio per caminare con più
chiarezza. S'idei il più bell'ingegno, che frà voi si trova, che il tal male
proceda da un' acido esaltato, è da un calore eccellivo, ne dedurrà subitamente
con la sua perspicacia , dunque và curato con gli alkalici, ò con
gl’attemperanti. Volesse Iddio, che ciò si verificaffe , non avreste per certo
bisogno d'affaticarvi tanto intorno l'Infermi per apprendere la vera pratica ,
perche in questo modo diverreste presto Medici; Mà non è questo il modo da
caminare con licurezza, perche se quella cagione non è accertata farà
neceffariamente incerta ancora la conseguenza da quella dedotta , la quale
potrà talvolta produrre all'innocenti Infermi un nocabile danno, perche Gi
tra{curerà di far quello, che s’è osservato altre volte effer loro di
giovamento per andare in traccia à ciò,ch'è incerto, e so. lamente da noi
ideato. Qual verità udite con che chiarezza si ricava da Ippocrate:(8) Quidquid
artėm artificiosè di&tum ef(d) Hippide deciørd. (e) Id, in lib.de
tracept 1 efem(f) In lib.pracept: eft, (8) Hippocr.de
decobabitki [ocr errors] eft , non autèm factum, viam, rationem artis
expertem arguit.. Opinabile fiquidem fine actione infcitiæ , nullius artis
indicium eft ; Opinatio enim cum præcipuè in Arte Medicâ, eâ quidèm utentibus
crimini vertitur; His verò qui eâ indigent exitium afferty fi namque fuis
verbis perfuafi exiftim mant se opus ex scientia profectum novisse, quemadmodùm
aurum adulterinum igni probatur,tales se ipfi etiàm produnt ; e ciò lo conferma
ancora nella sua legge, dicendo, che la sola opiņione ignorationem parit . Il
modo dunque praticabile più sicuro sarà di dedurre la cagione demali dalla già
accertata cura , osservata più volte profittevole, con que’lumi, che vi
darà di più la Notomia, e quando anche per questa strada non se ne rinvenisse
la più certa, non potrà nascerne quel pregiudizio già accennato , perche la
cura anderà a suo dovere, essendo fatta secondo le buone osservazioni pratiche;
oltre di che caminando voi con quest'ordine non vi regolerete con l'incertezza
dell'opinioni degl'uomini,ogni giorno variabili, mà bensi con la certezza delli
giudizi di Natura, sempre più accertati , come divinamente considerò Cicerone
allorche diffe : Hominum com. menta delet dies, naturæ judicia
confirwsat. Quindi è, che Pittagora non fenza cagione faceva tacere li
suoi scolari sinche aveffero compiti cinque anni di studio , perche voleva ,
che cominciassero à parlare quando appunto capivano ciò, ch'elli dicevano , e
veramente chi presto parla non ha premeditato ciò, che dice, e chi non hà
premeditato ciò, che dice, parla à caso. Per conferma di quanto vi hò
detto, ed à fine non prevarichiate ora, che avere da me sentito dire qual
potesse esfere il inodo facile sì, mà non già sicuro, da prestamente liberarvi
dall'intraprese fatiche, v'addurrò altri sentimenti d'Ippocrate,da’quali non
potrete discostarvi se vorrete essere tenuti suoi veri seguaci, dice egli ( b
:) parlando in termini difare progresso nella Medicina : At vero in Medicina
iampridem omnia fubfiftunt in eaque principium , via inventa eft, per quam
præclara multa longo temporis fpatio sunt inventa, bu reliqua deinceps
invenientur; Si quis probè comparatus fuerit, ut ex inventorum cognitione ad
ipforum investigationem feratur, Qui verò his omnibus rejectis , ac repudiatis
aliam inventionis viam ; aut modum aggrediatur, to aliquid Je invenise
jactitat, is cùm fallitur , tùm alios fallit, neque enim iftud ullo pacto fieri
poteft. Ippocrate dunque vuole, che dalle cose accertate si passi all'investigazionc
di esse,per meglio discernere ciò, che in quelle non fosse ancora palese,mà non
già, che dalle incerte si pasli à fare al. cuna investigazione , dicendo
chiaramente, che chi farà diversamente ingannerà se stesso , e gl'altri, e
tutto ciò vie. ne più precisamente individuato redarguendo quelli, che dalle
cagioni incerte ne vogliono dedurre una certa cura, come si legge in appresso:
At verò nunc ad cos , qui novâ quadam ratione artem ex přo."
propofita materiâ investigant nostra revera tatur oratio fiquidem eft calidum,
aut fria gidum, aut ficcum, aut humidum , quod hominem lædit , & eum, qui
rectè mederi volet opporret calido per frigidum, frigido per calidum , ficco
per bumidum, & humido per ficcum opitulari . Exhibeatur mihi aliquis naturâ
non admodùm robuftâ , fed imbecilliore; qui triticum crudum, & inelaboratum
edat , quale ex areà fuftulit, carnes crudas , & aquam bibat , ex qua
victus ratione non dubium eft quin multa , gravia fit perpeffurus. Nàm
& doloria bus conflict abitur, & imbecillo erit corpore, O ventriculus
corrumpetur, nequè vitam diù tollerare poterit . Quodnàm igitur ità affecto
præfidium comparandum Calidum nè , aut frigidum, an ficcum, an humidum?
Siquidem horum quodque fimplex eft. Namque fi quod lædit ab his ipfis eft
diversum contrario disolvere convenit , velut ipfifatentur - Eft enim
certifima, & evidentiffima medela , sublatis quibus utebatur cibis , pro
tritico panem exhibere , da pro crudis carnibus coctas, dj insupèr
vinum propi narly nare, neque fieri poteft , quin his commu: tatis
convalefcat ; e questa accertata cura come si è ritrovata , se non dal vedere,
che le sudette cose hanno altre volte conferito in simili casi? Seguitate
pure la strada calcata da' noftri maggiori, se non volere errare, per la quale
ebbe origine, e si è avanzata la vera Medicina, e questa è quella
dell'offervazioni, conforine chiaramente confessa Ippocrate.(i) dicendo : Neque
verò pigeat ex plebeis sciscitari fi quid ad curandi opportunitatem
conferre videatur , fic enim censeo artem univerfam coma moftratam fuiffe ,
quod fingula ex fine abi fervata, ad eadem aggregata fuerint. Animum igitur
adhibere oportet fortuit,e occafioni , qu& plerumque fe offert , quæque cum
utilitate, & lenitudine conjuncta eft, quàm cum sollicitatione, & forti
defenfione; e ricavate pure li vostri raziocinj dalle cagioni de' mali, dalle
cure à voi note, ed in quella conformità, che più vi appagano, che ottenuti in
questa guisa, se non fi) Hipp.praceptiones . [ocr errors][ocr
errors] non dimostrativi , faranno almeno inno- centi, non potendo recare
pregiudizio alcuno, e state fermi in tale proposito, per l'esempio
di più d'uno , conforme, che diceffimo, à cui è convenuto mutare li
raziocinj delle cure dapoi, che hanno osservato in pratica meglio gl'andamen-
ti de' mali, e non prima d'allora si sono accertati , che
l'opinione era assai diver- sa dalla verità, conforme nel suo sogno
ci fà conoscere Ippocrate, ( a ) non solo perche li comparvero assai
differenti trà di loro, mà perche la verità dimorava appresso
Democrito, che non s'inganna- va, e l'opinione trà l’Abderiti già
pre- giudicati, per la falla loro credenza, che Democrito
delirasse. Appreso, che voi avrete le cagioni
ancora de'mali, all'ora sarete arrivati à qualche perfezione maggiore ,
poten- do, rotto già il silenzio Pittagorico, con fondamento
parlare, e con franchezza ancora medicare, resterà solo d'istruirvi
in che modo si dovrà contenere ciasche- duno (a) Hippo in epiß.
Pbilope.2. [ocr errors][merged small] D [ocr errors] duno di voi in
ornare, secondo la propria capacità ciò, ch'avrete acquistato tutti in
commune. > Parlerò prima con voi di mente fu. blime, e generofa, che
vi pare un troppo angusto campo la sola Medicina , onde per far conoscere a
tutti la vostra maggiore abilità, volete stendervi più oltre, ed all'acquisto
d'altre scienze,conforme nelle private conferenze apertamente diceste, ove
tal’un di voi mostrò genio grande d'apprendere le Mattematiche, altri
l'Astrologia', e chi per ornamento le Lingue straniere, & in ispecie la
Grecaj e chi per divertimento ancora l'erudizioni Istoriche i Mi dispiace
d'aver sentito dire, che trà voi yi fia chi lo faccia per genio grande, perche
questo vorrei, che tutto lo ponefte alla fola Medicina's qual dovrete profeffare,
onde viva pur sempre caurelato , e circospetto chi di voi hà fimit
geniono che non gli faccia perdere -Hamore à cid, ch'avrà dianzi acquistaso;
perch'è solito, che chi apprende congenio grande una cosa nuova, trascura
necessariamente ciò, che prima se non per genio , almeno per
impegno lo ap- pagaya . Io per me non
posso, nè devo op- pormi à quanto deliderate, si perche è
onefto , sì ancora perch'essendo all'ora voi già divenuti
Maestri vorrete fare à vostro modo ; Vi dò solo questo conse- glio,
che facciate regolare la vostra in clinazione fempre dalla prudenza , e
dal giudizio, e che non la lasciare in tutta sua libertà, e facendo
voi in questo mo- do non potrete errare, perché le sudette virtù
mai non permetteranno, che fi din ftacchi dalla Medicina già appresa ,
nè che nel fare li nuovi acquisti gli rubi quel tempo, già
destinato per lei, e final mente faranno in modo , che non l'ap-
prendiate à quel segno di poterle pro- feffare , mà per solo ornamento, e
per poterne ancora voi discorrere in quella parte , che
possa servire alla Medicina. Mà vediamo d'ajurare , e consolare
insieme voi altri, che restereste altrimena 1 [merged small][ocr
errors][merged small] [ocr errors][ocr errors] timesti, non solamente per la
separazione, che faranno da voi li vostri compagni, inà eziandio per la cagione
di essa . In primo luogo parliamo chiaro intorno a'vostri difetti , per dare à
ciascheduno di essi il suo rimedio , s'è possibile. Dilli s'è poffibile,perche
se sarete affatto inetti, & incapaci mutate mestiere, conforme hò fatto
fare à qualcheduno di simile inabilità, perche altrimenti vi affaticherete in
darno fino , che viverete , mà re, ò la vostra memoria apprende con qualche
difficoltà , tenétela continuamente esercitata , che migliorerà, volendo
Cicerone, (b) che : Affiduus usus uni rei deditus, & ingenium, a artem fepè
vincit ; ò il vostro giudizio non è pronto , ajutatelo con l'attenzione, e
vigilanza, date tempo, che si farà, perche molte piante fioriscono prima, &
altre sono più tardive; ò il vostro discorso è alquanto infelice, e non siete
pronti, esercitatevi nclli discorsi publici , bene imparati à memoria,
discorretela continuamente con li vostri (b) Cicero pro Cornelio
Balbo. [ocr errors][ocr errors][ocr errors] vostri compagni più franchi
di voi, fae tevi animo, & abbiate forma fiducia , che il vostro
timore cesserà. Aspettate ora da me di sapere il modo, che dovre-
te tenere per adornare ancor voi l'ope- ra già fatta , à fine di non
iscomparire trà gl'altri vostri compagni, e con ra- gione.
Già voi non vi curate d'uscire dal- la Medicina , in
questa dunque converrà trovare l'ornamento, che sia adattato al
vostro bisogno, e doppo fatta matura rifeflione, non trovo miglior
conseglio di quello, che fi ricava da Prospero Marziano Medico di
grand’ingenuità , all'ora , che ricercando la cagione, per- che li
Medici antichi erano tanto stima- ti, & onorati assai più di
quelli, che vivevano à suo tempo, egli fù di fenti- mento, che
procedeffe ciò per effer stati. glantichi versatillimi ne'
pronostici, e non vi sia discaro à sentire ciò, ch'egli diffe : () Cur prisci
Medici tanti habiti fint apud homines, ut non folùm primas in Ci. (c)
Prosper Martian. 2.prediff. perf.23. e [ocr errors] D 3
Ciuitatibus, ac Regnis tenerent , Regibus Principibusque imperarent , fed etiàm
summus honos , Diisque folis præstari folitus, Medicis tribueretur, admiranda
enim circà agrotos , & præftitife, & prædixise eft. necessarium ; Sicut
vice versâ mirum non eft ifi nunc adeù vvilitèr tractentur, quando nèc in
curando, nèc in prædicendo quidquam spectabile pr&tent noftri, cum ea
faciant tantummodò, a dicant , quæ ipfis idiotis sunt manifefia, &
tamèn'artis pradantiam noftrorum temporum continuò jaEtant imperiti ,
Medicinamque posteriores ditasse profitentur , fed veniunt excufandi, eo quod
antiqua thefauros adhùc non percepere, quibus tota quidem Hippocratis do.
Etrina plena eft; Verùm præfens liber, [h.c. prædiétionum secundus ) adeò
abundat, ur folus paupertatem, cu miferiam artis noftrorum temporum indicare
fufficiat, nam quis nostrum eft qui centefimam partem eorum cognofcere poffit,
qu& antiquiores Medicos comunitèr prævidere confueviffe in hoc libro
teftatur Hippocrates ; Sicchè voi per fare spicco , & essere molto
stimati nella [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors]
nella professione impoffeffatevi bene de! pronostici d'Ippocrate , che uniti
alla buona pratica acquistata , vedrete, che vantaggi questi vi recheranno ,
& effendo stati ricavaci da molte offervazioni uniformi, accadute in più
secoli, non vi serviranno d'ornamento inutile,mà bensi molto profittevolese
necessario, e tanto maggiormente se spoglierere ancora ciò, che v'è di migliore
nell'Epidemj, ed in tutti gl'altri divini libri d'Ippocrate , per mettervene à
memoria più , che potrete , å fine di serviryene secondo li i bisogni,
che vi si presenteranno, e que sto studio lo farete in quell'ore, nelle
quali vi persuaderete, che li vostri compagni le terranno impiegate all'acquisto
d'altre scienzcacciocchè vi cresca il fervore ad apprenderle con
emulazione. Ornati, che sarete tutti nella conformità, che s'è detto,
ogn'uno di voi ne farà la bella comparsa ne consulti, ed all'ora si
conoscerà chi di voi avrà fatta i miglior elezione del compagno, e si
rina contrerà, che voi, ingegni, ch'eravatemeno apprezzati degl'altri, per la
voftra applicazione, e prudenza , certamente, che non iscomparirete tra gl'
altri di maggior talento di voi. Se il modo, che vi hò proposto non farà
buono, e profittevole trovatene altro migliore,& acciocche lo possiate
rinvenire più commodamente sia posto ogn' un di voi in sua libertà di
sceglierlo à fuo piacere. S'avete genio di studiare prima della Medicina altre
scienze, cosa ne feguirà facendosi, che non potendo sapere ancora cosa vi possa
bisognare vi converrà ftudiarle ex profeso, e se l'avrete apprese con genio à
quel fegno, che le pofliate profeffare, ciò, che studierete in appreffo; con
minor piacere , lo subordinerete alla prima, che di già possedere. te, mà ne
seguirà peggio ancora, che tutto farete meglio, eccettuatone il Medico,
conforme vi farò costare in appresso. Se il genio vi porterà ad
apprenderle insieme con la Medicina, che ne feguirà? Ciò appunto , che accade à
chi [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors] in un medesimo
tempo getta in un camро semi diversi, e mescolati , e che ne raccoglierà?
Un frutto confuso, e quem sto ancora à voi potrà succedere, poiche la bella
ordinanza è quella, che facilita, e felicita le grand'imprese , dove che la
confusione le preverte , e le annichila. Inoltre s'avrete studiate le
Mattematiche, con gran genio , e studio profondo, e vorrete poi fare il Medico
niuna cosa di Medicina vi appagherà, cercherere in essa le dimostrazioni
evidenti, e non trovandole, che ne seguirà, se non sarete nella pratica ancora
versatiffimi? Che per temenza d'errare vi formerete un metodo di medicare à
vostro modo , con pochi rimedj, creduti da voi sicuri à non poter nuocere , e
semplici, come fono Occhi di granci, Stibio diaforetico, Sperma ceti, un poco
di Caffia , qualche ottava di Tartaro di Bologna, qualche Clistiero, qualche
bevuta d'ac. qua di Nocera , Oglio d'Amandole dolci, Sangue ircino preparato ,
Corno di Cervo filosofico, Giacinto bianco , e cofe [ocr errors][merged
small] cole simili, tutte sicure à non poter nuocere, & in questa
conformità vi regolerete tanto ne' piccioli, ne' gravi, che ne' gravissimi
mali. Questo è un modo sicuro, mà nell'infermità benigne, e leggiere, non già
in tutti i casi gravissimi, ne' quali è chiamato il Medico per dare un pronto
riparo, non già per complimento, per espugnarlo, ò almeno per retundere la sua
veemenza , e questo pretenderete di farlo con cose innocenti? ch'è il medesimo,
che dire con cose attività ? Queste dunque adoprerete ne' bisogni
inaggiori , ne' quali : Melius eft anceps experiri remedium quàm nullum. Rimedi
sicuri vi persuaderetç, che siano quelli, che non possono fugare il male ?
Questa sarà una licurezza inutile, mentre non rileva il pericolo, sarà
sicurezza, per chi assicura, non già per chi deve essere assicurato , perche se
in quefta borasca si sommerge la Nave,non è tenuto chi assicurò al rifacimento
del perduto, mentre che và tutto à danno dell'aficurato. Un tal modo di
operare lo di poca [ocr errors] lo potrebbe ancora esercitare
, chi non sapesse altro di Medicina , perche già ch'è sicuro non ci vorrà
grand'arte per praticarlo, mentre l'arte consiste in la. per conoscere ciò, che
in un caso potrebbe nuocere, e nell'altro giovare, e per questo effetto si chiama
il Medico, onde essendo gl'accennati rimedi sicuri, e non potendo nuocere à
ch'effetto vi sarà bisogno del Medico per darli? Oltre di che, per parlarvi
ingenuamente, questo modo di medicare è assai confimile à ciò, che fanno coloro
, ch’imparano la scherma, che per non offendere, nè effere offesi adoprano
certe smarre senza taglio, ed in vece di punta acuta hanno ivi un bottone di
ferro foderato di pelle, ò cottone , qual sorte d'arme sicura in tempo di pace,
di ch'efficacia sarà all?ora, che l'inimico ci affalisce con armi
pungentiffime, lo potremo offendere , à almeno difenderci da effo? Credo di nò
con questa sorta d'armi sicure, ci converrà per certo adoprare almeno armi
eguali, e se saranno superiori riusci. ranno [ocr errors] ranno
migliori ; il fimile appunto succederia quando il male grave alfalisse, se
questo lo voleste espugnare con l'accennati rimedi sicuri, combattereste seco
con quell'armi appunto senza taglio, e fenza punta, poco atte à fare validas
difesa. E non basterà in questi casi Parme sola , mà converrà saperla ben
maneg. giare, per fare que' colpi sicuri riservati a' soli Maestri dell'arte,
quali come li fapreste fare se mai non aveste maneggiate simili armi,
volendovene talvolta prevalere? Sò, che questa voce di medicamento sicuro,
che non può nuocere'è molto plausibile appresso alcuni, che la considerano
superficialmente, mà capita bene, è molto nociva , poiche nel bisogno più
urgente non è tempo di passarlela con cose di poca attività, richiedendo quello
ajuti maggiori , ò equivalenti alIneno ad esso, e tutto ciò, ch'è sicuro.
à non nuocere non basta per rimuovere ciò,che nuoce, onde se non
ammazzano direttamente possono almeno indirettamente nuocere, per la
cagione, che non sono sufficienti à rimuovere ciò, che puol’ammazzare.
Ippocrate,che conobbe tal verità assomigliò il Medico al Governatore della
Nave: questi appunto trovandosi in una borasca di mare cofa dovrà fare ? Deve
in primo luogo alleggerire la Nave, con gettar via ciò , che più l'aggrava,
acciocchè tando più galleggiante non venga ricoperta dall'onde; Voi già mi
capircte, onde non occorrerà mi spieghi di vantaggio, potendo considerare da
voi medefimi , che alleggerimento rechino a'corpi, che si ritrovano nella
tempesta del inale, eripieni di viziosi umori, si piccoli , e poco efficaci
medicamenti. Io non pretendo già porvi in difcredito li dettirimedj,
perche in qualche caso possono essere profittevoli : Per esempio ne' veleni
corrosivil'oleofi, ed in qualche altro caso ancora grave sono utilissime le
copiose beure d'acqua, e cose simili, mà che siano sufficienti questi
per per curare tutti li mali, dicovi apertamente di nò , perche in molti
mali gravi convengono altri rimedi più efficaci, conforme ordinò Ippocrate :
(d) V alentibus verò morbis, valentin natura medicamenta exbibeantur ; &
altrove : Extre. mis morbis extrema remedia optima funt. Anzi, che se si
tralasceranno da voi li più efficaci in quei casi, che competono per
sostituirvi questi più leggieridico, che peccherete d'omissione gravemente,
potendone nascere pregiudizj gravi alli vostri Inferini in trascurar ciò, che
li compete,per dar loro ciò, che non può recare profitto equivalente al
bifogno. E quando il solo differire un rimedio possa recare del danno, come
bene avvertì il divino Ippocrate : (e). Cum enim ab omni ante aliena fit
procrastinatio, tùm verò maximè in Medicina , in qua di. latio vitæ periculum
affert ; quanto maggiore lo recherà l'omiffione , essendo difetto più
conliderabile della dilazione Ne (d) Hipp de loc. in hom. (e)ld.in epift.ad
Crat. Nè per cimore d'essere tacciati di omiffione dovrete fare
d'avantaggio di quello , che fiete tenuti di fare, perche all'ora incorrereste
in un'altro errore , non inferiore al primo, mà come vidovrete in ciò regolare
ve l'insegna Ippocrate nel primo Aforismo in tal guisa: Seipfum præftare
oportet opportuna, & quit decent facientem. Se divenuti Profeffori
d'Astrologia farete ancora il Medico , non vi capiterà Infermo, che non vorrete
alzargli las figura del decubito, non gli darete ri. medj se non che a' buoni
aspetti de' Pianeti, e fuggendo li cattivi,cosa ne seguirà? Che perdendosi
l'occasione pronta d'operare, l'Infermo se n'andrà all'altro mondo à
riconoscere più da vicino li suoi malefici Pianeri, stanteche Occasio præceps,
à quella bisogna , che indirizziate tutta la vostra attenzione, oltre di che vi
servirete d'una scienza più incerta della Medicina per accertare ciò, che in
essa crederete fallace. E se ornati di tutte l'erudizioni Istoriche vorrete
esercitare ancora las Medicina per far pompa in quello, che meglio saprete ,
& è di vostro genio, comincierete à discorrere con li vostri Infermi,ò con
altri, che ivi si troveranno presenti ab Urbe conditâ fino al tempo dell'Impero
Romano, e con vostro sommo piacere , il meno poi , che farete sarà di pensare
all'Infermo , che avete avanti gl’occhi, à cui dovete dare ajuto. Iddio
guardi, che tal’uno di voi , ch'avefse più spirito, che prudenza, s'annojasse
di far ciò, che ho detto intorno l'osservazioni Mediche, e si volesse
porre à fare il Medico senz'avere acquistato un buon metodo di medicare,
affidato solo in una gran scelta di belle, ed efficaci ricette, questi sarebbe
simile à colui, che custodisce delle bellissime armi, mà non le så maneggiare,
ed in conseguenza caderia in uno delli maggiori errori, che si possino mai
commettere nella Medicina , cioè di divenire un gran Ricettante, e de' più
validi, e pronti ri مرور rimedi si Chimici, che Galenici, che
avemo, e non sapendo il modo d'adopee rarli l'applicheria à casa, con tutto,
che fi fosse ideato d'imitare un Capitano, che per conseguire la vittoria fi
serve di valorosi soldati, e questo modo d'ope, rare quanto possa riuscire
dannoso, lo lascerò considerare à voi, per quando farete divenuti già provetti
; solo riflettete ora, che quel Capitano, che non sa comandare li suoi valorosi
soldati, in ve. ce di vittorie riceverà bene spesso delle sconfitte, e quel
troppo ardire indica ignoranza, come afferi Ippocrate: (a) Audacia verò, artis
ignorationem arguit : E in altro luogo :(b) At quod temerè fit nullo modo
fubfiftere videtur, sed nomen tantùm inane efle . Non riuscendo dunque
tanti altri modi ricercati da voi sarà neceilario,che seguitiate quello, che
v'è stato da me proposto, con il quale farete sicuri di abilitárvi à poter
divenire veri Medici E )quan(a) Hippocr. de lege. (b) Idem in lib.
de Arte,pro ftri fore inp Ver ner te, fo fe quantunque
fiatc trà voi d'abilità difu. guali, & in particolare per quel profittevole
uso, che potrete ricavare dalle diligenti, creiterate offervazioni fatte
intorno l'Infermi, non potendosi questo apprendere in altro modo , conforme
giudicò Ippocrate : (a) Usus namque, qui in fapientia , tùm in arte ei adjuncta
, doceri nequit ; e questo di quanta efficacia fia, sentitelada Cicerone: (b)
Aljungant ufum frequentem, qui umnium Magiftrorum precepta fuperaf. Mà
non vorrei, che tornaste ora à contriftaryi, voi, che fiete di natura
malinconici, parendovi forse troppo, quanto v’hò proposto per neceffario in
acquistare la buona pratica , perche se vorrete diyentare veri Medici, ed
eflere compresi nel minor numero di quelli, di cui parlò Ippocrate nella sua
legge così: Medici nomine quidèm multi, re ipfa perpauci , sarà necessario, che
facciate dal canto voftro ogni posibile, & à fine pro(c) Hipp.de decenti
ornatu . (d) Cicero 1.de Oratore . [ocr errors] proseguiare con maggior
fervore li vostri studj, vi mostrerò in domani quella fortuna propizia, che vi
potrà toccare in premio delle vostre virtuose fatiche. Venga pure chi di voi la
desidera ottenere, che gli farò conoscere quella forte, ch'è sempre favorevole,
non essendo soggetta à vicende, à fine, che di efla se ne innamori.
1 [ocr errors][merged small][merged small] GIORNATA III. Nella
quale si mostra la fortuna , che deve defiderare, e procurare il vero Medico
, e la via più figura per ottenerla, A D un gran cimento oggi
m'espon in volervi mostrare la vostra buona fortuna, posciache
desiderandovela propizia, durevole, e senz'effere soggetta á vicende, qual
potrà essere mai questa fortuna sì prospera Quando nè le grandezze, nè gli
onori, nè le ricchezze, né le delizie, e piaceri,cose cotanto bramatç nel
mondo, la possono in cale stato costituire ? Appena è arrivato l'uomo alle
grandezze, od onori sommi, che questi cominciaio da bel principio à contriftarlo,
alle ricchezze, che l'infaftidiscono, alle delizie, e piaceri, che questi
ancora non gli rechino goja, e confiderabile danno: in somma si scorge
chiaraméte,che Nemo fua forte contentus. [ocr errors][ocr errors] In
conferma di ciò riferisce Ippon crare nella lettera scritta à Damageto , che
Multi fene&tutem exoptant, cumque cò pervenerint gemunt, nulloqae in fatu
firmâ mente perfiftunt . Principes, ac Reges privatum beatum prædicant ,
privatus Re. gium Imperium affe&tat , qui rem publicam regit, artificem
tamquàm periculi expertem laudat , artifex verò illum velut in omnia potentiam
exercentem. E pur questi quan to mai avranno desiderato fimili fortu. ne,
quanto vi ayranno faticato peč conseguirle, & ottenute , che l'ebbero,
punto ne rimasero contenti; Ela cagione di ciò fù, che questi andavano in
traccia della bell'apparenza della fortu. na fallace, non glà della di lei
sostanza ftabile , e quello, ch'è peggiore , la cer. cavano ancora fuor di
strada, conforme nella sudetta lettera fi legge: Rettam enim virtutis viam
puram , minimèque af peram, ac inoffenfam non cernunt ; Questa via dunque
bisognerà , che ancora vi mostri, acciocchè pofliate tutti ottenere il yoitro
intento, ed io uscire dal mio. E 3 cie [merged small][ocr
errors] [ocr errors] cimento con reputazione ; state attenti per non
isbagliarla, perche si tratta di fare acquisto di una fortuna stabile,eterna, e
non soggetta á vicende. Che il Medico debba essere foriu. nato non vi
cade ombra di difficoltà ; mentre , che se fosse diversamente, chi mai fi
vorria prevalere dell'opera di coPii, al quale la forte foffe contraria ,
Paveffe affatto abbandonato, e che non gli piovessero addosso da per tutto, che
infortunj, e miserie, da ogn’uno sarebbe certamente sehernito, e per necessità
gli converria mutar mestiere, sicchè è incontrovertibile, che Oportet Medicum
fe forfanatum Mà qual fia questa fortuna, che strada dobbiate tenere in
cercarla, e ciò, che dovrete fare per confeguirla , procurerò ora mostrarvi con
la buona fcorta d'Ippocrate, à fine non possiate sbagliare. Due sorti di
fortune fi ritrovano descritte da Ippocrate, (e) una delle quali (c) 110
lib.de loc:in hom. 1quali è quella, ch'è fuori di noi, & ope* ra
independentemente da noi, e l'altra, ch'è sempre con noi , & opera conforme
noi vogliaino . Quella, ch'è fuor di noi così apa punto egli la descrive
: Sui enim juris eft, Fortuna , nulli imperio paret , neque ad cujusquam votum
fequitur; qudla poi, ch'è sempre con noi l'accenna con dire : Mihi enim foli bi
fortunatè afequi , idemque infortunatè non assequi videntur , qui recte quid ei
malè facere fciunt , e dependendo il bene, ò male operare da noi, la for tuna
dunque, che da ciò resulta, da noi dependerà, e sarà questa per sempre
inseparabile da noi medesimi. La fortuna dunque, ch'è fuori di noi è
quella, ch'è affatto cieca , e non considera il merito di chi benefica, ma dà à
chi più le aggrada di vantaggio ancora di quello, che il beneficato da ella
sappia mai desiderare : Talvolta ad un Contadino avvezzo å zappare la terra, fà
discoprire un tesoro; capace à farlo divenire molto ricco, con tutto, che
le sue 1 E 4 fue brame fossero di pochi soldi; Ad un?
altro ancora più miserabile farà conseguire una grazia nel giuoco, che lo
toglierà per sempre dalle sue miserie, e tutto ciò proviene-, perche vuol fare
à suo modo, giacchè Sui juris eft, nulli imperio paret L'altra poi; che
risiede in noi, è quella, che secondo, che la trattiamo ella ci corrisponderà,
se la vorremo propizia , se variabile, fe peffima, propizia, variabile ; e
pelima ancora l'otterremo, conforme da ciò, che Ippocrate c'insegnò li puol
dedurres & ancora dall'esperienza di coloro , qui rectè quid, vel malè
facere fciunt, giornalmente vediamo. Certamente, che la prima fortuna non
è quella, che deve essere desideratiz, e procurata da voi, che non dovete
zappare la terra , nè tampoco dilettarvi del giuoco, ed anco maggiormente ,
ch'effendo cieca, forda, e per non dispensare à dovere le sue grazie ingrata
ancora , questa non deve effere defiderata da voi, che dovete conseguire il
premio per giu Aizia, stizia , ed à quel segno, che vi si deve
; Oltre di che la sua sola istabilità bafte, rebbe per farvela
odiare, dovendo voi defideíare una forte stabile, e permanen-
te; per non provarne le di lei vicende, Esclusa dunque la prima
forte, neceffa- riamente dovrete contentarvi della se conda;
e tanto maggiormente, che la potrete regolare à vostro
piacere. In trè modi dunque potrete
fabri- carvi la vostra fortuna, ò buona , ò va- riabile , ò
peffima , se la vorrete buona , dovrete operar bene, conforme
v'inse gnò Ippocrate nel detto libro in tal gui- la :
Fortunatè enim affequi eft rectè facere, hoc enim, qui fciunt
faciunt , ed allora cià otterrete , quando scaccierete affatto
da voi li vizj, e farete in modo, ch'ella sem pre
ammiri le vostre virtù, e si ponga in soggezione, quando anche non
voleffe, di operare a'vostri vantaggi. Se poi la
bramerete variabile, fatela conversare con le vostre virtù, e
con li vostri vizj, che imparerà dal diverso modo d'opera
re, che li pratica trà esli ad effere variag bile [ocr
errors] 2 1 ; bile ancor essa. Qual modo l'indicd ancora con
dire : (f) Ego verò fi omnibus modis ditefcere voluiffem ; cioè se per
via di virtù, e de vizj avesse voluto fare fortuna , non ad vos decem
talentorum gratid, fed ad magnum Perfarum Regem proficiscerer ; con che fece
conofcere ancora l'incostanza di detta fortuna, rimirandosi ella ben {peffo
istabile, sì in quei fervigj, che dependendo dalla volontà di molti con la sola
virtù non s'acquistano, come bene speiso l'esperimentano i Medici condotti; che
nelle Corti, ove trà molti altri la provorno tale Seiano e Bellisario.Se poi
vorrete farla divenite pellima, consegnatela in potere de' vostri vizj, che
apprenderà da questi i loro pessimi costumi , e perima certamente diverrà, ed
udite con quantas chiarezza ve lo dice egli nel libro sopracitato : Qui enim
non reftè quid facis, non fortunate afēqui poterit? quum reliqua , que
æquum eft facere non faciat. Talmente, che la vostra buona fortuna, the
voi do! (f) In epif.Abderir. Hippo dovete procurare è quella
che proviene dalle vostre buone, e virtuose opere, c questa l'avrete propizia,
e ftabile fino, che vorrete , effcndo subordinata al vostro sapere, e volere,
giacchè al parere d'Ippocrate nel luogo sopracitato, effa fi può felicemente
conseguire, da chi sda e vuole: Et facile eft ipfam felicitèr alle. qui, fi
quis fciens uti velint, d'onde faa cilmente n'è nato quel detto: Virtute dua
cey comite fortuna. Non basterà però d'avervi ciò brem vemente accennato,
per potervi cons sicurezza determinare il modo , che dov vrete tenere in
procurare questa buona, e tanto desiderabile fortuna, perche ciò, che vi hò
detto fin'ora , non è sufficiente à farvi capire in che maniera vi dovrete
contenere , allora, che sarete Eper porvi in viaggio per cercarla, e ciò,
che dovrete fare nel progresso di quello , 6 quanto di felice ne potrete
riportare dalla vostra lunga, ò breve navigazione, onde sarà necessario, che
per meglio esaminare li sopr’accennati punti, che cifiguriamo d'essere già
presenti al porta dell'imbarco , e che nel fare detto viaggio mi serva della
seguente ideata maniera per iinitare ancora in ciò Ippocrate, che dovendo
andare a trovare la sua fortuna in Abdera, conforme udirete in appreffo, ancor
egli vi si porcò per mare, ed in una nave non presa à caso, mà scelta da lui
con molta cautela,come si legge nella lettera prima scritta à Damageto, che
comincia : Cum apud te Rbodi ejem Damagete, navem illam vidi , cui Solis infcriptio
inerat , quæ mihi perpulbhra , puppi probè, idoneâ carinâ inAructa , muliaque
transtra habere vifa eft, tu verò eam comendabas c. cam ad nos mitrito @c. E
tutto ciò, non senza gran mistero, mentre circospetto, e con il buffolo da
navigare avanti gl’occhi deve viaggiare chi cerca la fortuna, e deve per
tale effetto scegliersi un bastimento sicuro. Questo Porto è appunto il
luogo , da dove s'intraprende, il camino verso il Tempio della felicità, ove
dovrete por. ancora tarvi 1 tarvi, per conseguire la
buona forte a. e queste trè navi sono già qui allestite per ogn’uno di voi, che
voglia fare il sudetto viaggio , converrà , che à vostro piacere ve ne
scegliate una di esse, mà prima , che facciate tal'elezione , nella quale
facilmente potreste ingannarvi, fentite da me un breve ragguaglio di tali
bastimenti, del loro modo di viaggiare, de pericoli, che s'incontrano, e dell'
esito, che si hà della navigazione in ciascheduno di efli. Mirate colà à
finiftra, quella si chiama la nave del Sole, ivi la Prudenza regge il timane,
la Giustizia invigila al buffolo , la Fortezza regola l'antenne ela Temperanza
sopr'intende al tutto: ivi non risiedono altro, che virtù,e tutte attente alli
loro assegnati ministerj. Per entrare in questa si ricercano due requiz fiti, e
sono i Attestato di abilità, e provę di buoni costumi , altrimenti chi n'è
privo, non vi fi può imbarcare. L'altro bastimento, che stà alla deftra ,
li chiama la nave di Giano, questa hà [ocr errors][ocr errors] hà
parimente buoni Piloti, che sono le accennate virtù, che regolano la nave del
Sole, mà vi è solamente di male, che vi si trovano alcuni vizj, e tra questi vi
è il proprio interesse, la Politica,la Menzogna, l'Adulazione, il Secondo fine,
vestiti tutti di Zelo, ela Malizia, che s'infinge tutta umile, in somma vi sono
con le virtù mescolati li vizj, che per dimorare insieme con esse conviene loro
di stare molto circospetti, e tramutati in altri sembianti, e per entrare in
detto bastimento, non si ricerca altro attestato, che dell'abilità. Il
terzo poi, situato nel mezzo, che fà sì bella comparsa, si chiama la nave
felice : ivi al timone presiede la Malizia, al bussolo sopr’intende l’Inganno ,
lw vele si maneggiano dall'Astuzia, la Maledicenza,e l'Impostura consultano
continuamente trà esse cose gravi, la Lussuria , la Gola, con tutti li vizj
consimili festeggiano , ciripudiano tra loro, ed allettano chiunque vedono- ivi
approfsimarsi ad entrare nella loro nave, dicen do [ocr errors][ocr
errors][merged small][ocr errors] do à tutti: Per entrare quì trà noi non si
ricercano tanti requisiti; qui non serye abilità, li buoni costumi non
s'apprezzano, basta, che abbiate genio à gustare de’noftri piaceri, che
subitamente vi ammetreremo, e condurremo in un trata to al porto della
felicità. Vado vedendo, che tal'uno di voi è portato dal proprio genio di
eleggerli questa nave, che ha il nome felice, con tutta l'apparenza di
prosperità, senza pensare più oltre, conforme:(8) Magna pars hominum eft, que
navigatura de teme peftate non cogitat. Mà riflettete bene à ciò, che fate,
poiche non bisogna tosto fidarsi di quel bel nome, e di quella prima vaga
comparsa, conviene ancora ri. flettere al fine, che può avere una simile
navigazione, che ora vi spiegherò. Si ftaccherà questa nave dal porto con
allegria, mà nel viaggio incontrerà molti pericoli , perche non è regolata
dalla Prudenza, e quantunque la Malizia , e l'Inganno facciano quanto
pollo [merged small][merged small][ocr errors] no, (g) Sexeca de
Traxq.Anims.sapoll. 1 no, acciocchè non si sommerga, nulladimeno
questa non potrà sfuggire il passo dell'Ignominia , che stà situato un buon
tratto di camino prima di giugne. re al porto della felicità, (dove bisogna
neceffariamente arrivare per ottenere la buona forte) si rimira ivi uno scoglia
grande, ove è la residenza maggiore di tutti li vizj, hà nella sua estremità,
ver, so il sudetto porto alzate due gran colonne, ove è scritto : Non plus
vltrà, affinche sappiano tutri li vizj, che fino colà possono giugnere , mà che
più oltre è vietato loro il passare. Approdata, che sarà detta naye al sudetto
scoglio, è su, bitamente visitata , e ciò, che di viziosa ivi si trova, con
tutti'li viziosi , e vizj loro viene arrestato, non potendo anda, re più oltre
simil pefte , cosa di buono vi potrà mai essere dove fono tanti vizj,
consideratelo voi? Onde farà necessario, che tutto ivi rimanghi in potere de'
vizj. Che faranno all'ora quei miserabili, che s'imbarcarono in fimile
navę, renduti schiavi de'proprj vizj ; qual fortunaspropizia avranno ritrovato,
quando, che la loro pessima ancora l'abbandonorà, per non restare ancor essa
schiava ed il tormento maggiore, che avranno, farà di rimirare con li propri
occhi tra, passare quelli, che navigano ne i bastimenti del Sole,e di Giano
ancora,fe chi viaggia in questa fi farà regolare dalle virtù ; oh che cattiva
elezione avreste fatto mai se aveste condesceso al vostro genio ! come vi
trovereste, che farele in fimili miserie , privi della libertà, e della forte?
Plinio ciò predisse faggiamente, dicendo, ( a ) che Habet has vices conditio
mortalium , ut advere fa ex fecundis , ex adverfis secunda ne 2
cantur. Sicchè fuggire, per quanto potete, i simili imbarchi , che vi
conducono, non al porto della felicità, mà bensì à quello ?
dell'ignominia , e delle miserie ; onde bisognerà, che vi scegliare è la
nave del ? Sole, ò quella di Giano per giugnere ti al desiato porto della
felicità, per ri, F tro(a) In Panegir. at Trajan. [ocr
errors] 2 [ocr errors] trovare la vostra buona fortuna Il proprio
genio vi farà inclinare talvolta d'entrare più costo in quella di Giano, con la
quale crederete di poter ritrovare una miglior fortuna, à questo non mi
opporrò, perche dove vi è la Prudenza , c la Giustizia, sc farete à lor modo ,
con tutto, che vi siano vizi ancora, questi non potranno molto nuocervi; Mà
prima di entrarvi, sarà bene, che sappiate il viaggio, che fanno, si questa , à
cui vi porta il vostro genio, che quella del Sole, che voi poco gradite, e che
tributo portano sì l’una, che l'altra al Tempio dell'Eternità, affinche meglio
fiate informati di tutto, prima , che vi determiniate all'imbarco.
S'incaminerà con prospero vento la nave di Giano verso il porto della felicità
, incontrerà nel camino varie tempeste , mà la Prudenza, e la Giustizia, che la
regolano, le opereranno senza il disturbo de’vizj, le supereranno tutte con la
loro buona condotta; capiterannó molte, e varie occasioni assai vantag
giose, [ocr errors][ocr errors][ocr errors] giose, se n'approfitterà più
, ò meno chi farà ivi imbarcato , secondo, che si consiglierà con li vizj, ò
con le virtù, fe darà orecchie a’yizj , & in ispecie al proprio interesse,
gli dirà, che tutto può fare, fe alla Giustizia , se non quello , che deve,
ch'è convenevole, e giusto, arriverà all'accennato passo dell'ignominia si fermerà
per iscaricare ivi tutti i vizj, con tutto quello, che di vizioso fi ritrovi
nella ricerca generale, che ti farà della nave, e se per disgrazia di chi ivi
s'imbarcò, Coffe ftato guadagnato da? vizj, e fossero questi in detto viaggio
divenuti arbitri della sua volontà, resterà ivi tutto l'acquisto fatto,come
cosa proveniente dalla loro viziosa industria, e quel, ch'è peggio, ne seguirà
del mifero passeggierofatto schiavo, ciò, che successe à chi navigò nel
bastimento felice, le povere virtù con l'infelice forte abbandoneranno chi le
tradì, chi le vilipese, e se n'andranno altrove à ritrovare chi meglio le
tratti. Succedendo poi diversamente, è cie l'in [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] F 2 [ocr errors][ocr errors] l'imbarcato abbia fatto
tutto quello che gli fu suggerito dalla virtù fattosi il sudetto espurgo, e
lasciati ivi tutti i vizj, proseguirà la nave il suo viaggio verso il porto
della felicità, dove appena giunta, che si scaricherà tutto ciò, che fi porta
al Tempio dell'Eternità, e lo presenterà la Gloria avanti il Tribunale della
Giustizia eterna, che ivi à tal'etfetto presiede, domanderà questa, se quel
tributo, che si offerisce sia stato in alcun tempo inescolato con robbe viziose
, & inferce , risponderà la Gloria , che quantunque fia venuto accompagnato
da' vizj, nulladimeno, che sia Rato già espurgato à bastanza nel pallo
dell'Ignominia, dove tutto ciò, chew d'inquinato vi era , fù lasciato assieme
con i vizj; non basta, risponderà la Giuftizia, è tributo, che ha avuto
comercio una volta con cose infette, non deve andare à dirittura al Tempio
dell'Eternità, fi consegni al Tempo , che gli faccia fare una lunga , e
rigorosa quarantena onde bisognerà aspettare la discrezio [merged
small][ocr errors] ne del Tempo, quando le vorrà eternare! Il viaggio
poi, che fà la nave del Sole , è bensì più adagiato , perche que fta non naviga
à tutti i venti, hà delle tempefte , mà le supera, perche la regge la Prudenza;
non fà grandi acquisti, mà fono sicuri, perche li regola la Giustizia, nel passo
dell'ignominia non si ferma punto, perche non hà seco li vizj, che la facciano
trattenere per il loro sbarco, giugne finalmente al porto della fesicicà, non
avendo quanto si porta per offerta avuto in alcun tempo comércio con cose
infette, e viziose , appena presentato dall'Umiltà senza pompa avanti il
Tribunale della Giustizia, che questa fubitamente ordinerà , che si trasporti
tutto al Tempio dell'Eternità , eflendo cose pure, e non sospecte
d'inquinamento alcuno, e che fi registri ancora trà gli Eroi il nome di colui,
che l'offerisce, ed ecco la sua fortuna divenuta già stabile, ed eterna, per
goder’ancor'effa i favori dell'Eternità. AveteAvere già sentito il tutto,
ora siete in istato di deliberarvi, e di prendere quel partito , che vorrete
per consiglio mio, imbarcatevi pure nella nave del Sole, se avete tutti li
requisici necessarj, che sono abilicà, e buoni costumi, e se ne siete privi,
procurareli pure à tutto costo, perche farerc più sicuri di portare
offerte , fe non molto considerabili, alimeno sincere, ed affai gradite
dall'Eter nità, se lo farete di controgenio : Durum eft confcendere navim
; sappiare però, che è un quieto vivere, dove l'ainbizione non perturba la
fantasia, l'ira non rode il cuore, l'invidia non consuma le mi. dolle, la superbia
non accieca , e dove finalmente tutti gl'altri vizj non possono punto nuocere,
ftantechè non vi dimorano, l'ingresso vi parer à duro, mà il rimanente vi
riuscirà felice, e quando non aveste altro motivo di sceglierla, vi doyria
animare å farlo , che Ippocrate per andare in Abdera à cercare la sua forte non
fi fervi della nave felice, nè di Giano, mà benisi di questa del Sole, e
la : CO- . [ocr errors][ocr errors] comendò non solo prima
d'averla provata, mà molto più dapoi, dicendo; (b) Cui cum Solis figno, etiam
fanitatem apponito cùm re verâ , prospero numine vee la fecerit . E certamente,
che prospero numine ancor in questa si navigherà per, essere regolata dalle
sole virtù. Se poi sarete risoluti di cercare la vostra forte sù la nave
di Giano, procurerete almeno di non navigare à curti li venti, e terrete
frenato il vostro inte. resse,acciocchè quando la Giustizia non potrà navigare
, esso non ordini il disancoramento, e che quando la Sincerità vorrà operare,
allora l'Adulazione non la turbi, e finalmente difautorerete tutti li vizj, che
ivi ritroverete, e li porrete in catena , come tanti schiavi, altrimenti sotto
specie, ed ombra di virtù v'inganneranno sempre: Fallit enim vitium fpecie
virtutis, umbra. Operando voi in questa maniera, acquisterete più gloria,
che se navigate nella (b) In 1.6 2.epift. ad Damagetum. F4
[ocr errors] nella nave del Sole, perche vi farete saputi ancora difendere
dagl'inimici domestici , e la vostra fortuna restando ammirata del vostro inodo
d’oprare , vi sarà molto propizia , e gli darete voi medesimi stimolo
d'invigilare à vostro favore, vedendo , che operate per eternarla; sappiate
però, che in tutto il tempo di detta navigazione, vi converrà stare
vigilantissimi , e non meno di quelli, che passeggiano sopra precipizj, mà à
far questo hoc opus : bic labor eft. Da queste trè figurate navigazioni,
comprenderete non solo ciò, che nel corso di vostra vita vi potrebbe accadere,
mà il modo ancora di schivarne ogni finiftro, che fosse valevole à ritardarvi
l'acquisto della buona fortuna , perche se voi da bel principio vorrete darvi
in preda a' viziosi piaceri , che progreffi mai potrete fare ? E che fortuna
prospera potrete conseguire? Ed incominciando una volta à gustare le viziose
delizie , non avrete più palato capace di assaporare il nettare delle vir
tù; [merged small][ocr errors] [ocr errors][ocr errors] tù ; la malizia,
l'inganno , e la frode vi sosterranno sino che gl'è à grado , mà alla tine
avendo conseguito ciò, che bramavano da voi , vi lasceranno cadere, anzi forse
ajuter anno, come fanno l'infidi compagni, nel precipizio maggiore delle
miserie, nel quale ritrovandovi, di chi vi dovrece lagnare? forse che della
vostra mala sorte innocente , quando, che voi medesimi ne licte stati glautori.
La vostra fortuna non ha mancato , ella troppo hà fatto per esservi propizia,
ambiva di favorirvi, mà voi all'ora la tenevate lontana, perche credevate, che
il trovarvi in delizie, in ispafli, e viziosi divertimenti, fosse il miglior
negozio, che potreste mai fare : E se talvolta v'infinuava la strada delle
virtù con qualche stimolo interno , voi la rigettavate con dispreggio , onde
meritamente esclama contro costoro Ippocrate : (c) Indoetus autèm qui eft ,
quomodò fortanatè affequi poffit? Si quid enim etiàm affequatur, non Memorabilem
fanè fucceffum babebit ; Qui enim (c) Hippode locis in bom. 3.
A 3 [ocr errors] cnim non rectè quid facit , non fortunate affequi
poterit , quum reliqua , quæ æquum et facere, non faciat;cd altrove :(d) Ego
verò ut fortuna quidem quavis in re non nibil tribuo , ità certè cenfeo malè à
morbis curatis , ut plurimùm adverfam fortunam contingere ; e nell'epistola à
Damagero così dice, parlando di simili sfortunati viziosi: Eorum res adversas
derideo,eorum infortunia intento rifu excipio. Veritatis enim instituta
violant. Se poi vorrete seguitare la strada di mezzo, e mantenervi amico
delle virtù senza discostaryi affatto dalli vizj, e questa con tutto sia meno
pericolosa, non è molto sicura , perche quantunque in essa farete più
ricchezze, stante il fecolo corroto, il buon nome non l'acquisterete stabile, e
di lunga durara, edin conseguenza incostante farà la vostras fortuna ,
inercèche tutti quegl’artifici usati, quelli difettucci d'adulazione di qualche
bugiòla à tempo, e di quelle mormorazioncelle coperte, di quel zeloaf(d) De
Arteaffettato, e giustizia con il secondo fine, modi più tosto appresi da
Correggiani ozioli, che da buoni Maestri, scoperti , che saranno dagl’uomini di
stima , e di senno, questi vi perderanno quel concetto, che prima avevano di
voi. Oltre di ciò, che vita mai infelice sarebbe la vostra, dovendo servire à
due Padroni Deo, Mammona : Deo, ch'è il Protettore delle virtù, & Mammona
de' vizj: Nemo poteft duobus Dominis fervire , Deo, Mammond . Mà dato
ancora il caso, che vi riusciffe di farlo, che vantaggio ne ricavereste mai,
mentre le dolcezze dell' ingenuità ve le amareggierà l'adulazione, quelle della
giustizia ve le dissapo, rerà il proprio interesse, quelle del zelo
l'attolicherà il secondo fine, vivereftę continuamente inquieti , stando sempre
vigilanti, che non si scoprissero li vostri difetti, perche vorreste passare
per ingenui , e non sareste , per giusti, e prende reste ogni arbitrio contro
il dovere, con qualche cosa di vantaggio -; ficchè il partito più sicuro farà di
vivere lontani da, 1 da'vizj, e starsene con le fole virtù ;
perche quantunque le ricchezze non vi pioveranno addosso da per tutto, nè
l'aura popolare vi porterà molto in alto, con tutto ciò quel buon nome, quel
buon concetto, che formeranno di voi gl’uomini sensati, non vi sarà mai tolto,
durando sempre stabile ; perche è fondato sù le vostre virtù, permanenti sù il
vostro onore immutabile, che est Splendor virtutis , come S. Ainbrogio negli
Officj asserisce. Onde voi operan+ do bene otterrete la sorte stabile, conforme
ve lo predice ancora Ippocrate, (e) dove così parla : Fortunatè enim affequi
eft re&tè facereshoc autem qui sciant faciunt , e d'avantaggio, viverete
con una somma tranquillità d'animo,perche goderete tutto quel gran dilettoyche
apportano le virtù a' loro seguaci, non potendosi ciò per altra via conseguire,
mentre: (f) Semita certè=Tranquilla per virtutem patet unica vitæ ; nè per
questo non istabilirete la vostra casa, anziche 1 le). Deloc.in hom. [f]
Juvenalis forira 10: me ز meglio degl'altri, e per due
ragioni, la prima, per avere fatto li voftri acquisti onoratamente con le fole
virtù; l'altra poi, perche il mondo non è così spopolato d'uomini, che amano, e
seguitano le virtù, quanto da alcuni si crede, effendovene di molti, onde voi,
che se guitare questa buona via ò sarete pochi, ò numerosi ; se pochi, viverete
bene, perche da molti Tarete stimati, fe poi į farete numerosi, converrà,
che li viziosi ancora , ch'avranno bisogno dell'opera vostra
s'accommodina alli vostri retti costumi. Caminando dunque voi per la via
delle fole virtù , potrete senza fallo conseguire la vostra buona sorte, e por
trete allora dire çon ragione : Nos te, Nos facimus fortuna
Deam, coloque locamus • Dove che caminando voi diversamente,
appena vi sarà permesso il poter dire : Nos facimus fortuna Deam ,
mundos que locamus, Stan [ocr errors] Nos te , Stanteche
appena sù l'aura popolare iftabile, in tal caso, la potrete appog. giare,
nella quale non si curò punto Ippocrate di fondare la sua fortuna, come da più
motivi si ricava, c primieramente, da ciò, che scrisse egli à Democrito,
manifestandogli, che dal volgo, disprezzatore delle buone opere, aveva ricayato
più tosto riprensione, che onore, con che fà credere, ch'egli non procurava có
compiacergli da cattivarselo, affinche aveffe detto bene di lui, e l'avesse
onorato, perche la sua politica solo consisteva, in operare, conforme si
doveva, ed in far ciò, che solamente era decente al vero Medico, conforme fi
spiegò nel primo de' suoi Aforismi in tal guisa : Se ipfum præftare oportet,
quæ decent facientem; e ciò in termini prù preciâ l'individua affai meglio in
altro luogo , (8) dove così dice : Neque verò gratiam, qua tibi homines
demerearis subtrabo , cum fit Medici præftantia digna , eorum autem, que per
Instrumenta adhibentur, & de mon (8) Hipp in lib de
præcepto monftrationis eorum, quæ fignificant , reliquarumque ejusmodi
memoriam adeffe oportet, quod fi vulgi tibi audientiam comparare voles, id non
valdè gloriosè insti. tuas , neque tamen cum ostentatione portia. câ fiat,
industrie enim impotentiam arguit, neque certè probo induftriam multo labore
partam in alium ufum transferri , quod per Se fola ut eligatur grata fit ;
Inanem enim fucı laborem cum ambitiofà oftentationes tibi impones. In
oltre tal verità si ricava ancora , dall'aver egli ricusato il servigio del
potentiffimo Rè Artaserse, mentre certa cosa'era, che se avesse desiderato
d'acquistare l'aura popolare , non doveva egli ricusarlo, poiche ritrovandosi
in un tal posto, senza dubbio alcuno tutta la Persia saria corsa ad onorarlo,
niuno averia potuto più dir male di lui per tema di non incorrere
nell'indignazione del Rè potentissimo Artaferse, onde con averlo ricusato dà à
divedere, che egli non fi curava punto di dett'aura popolare, nè delle
ricchezze, e fortuna, che dacssa provengono, conforme apertamente fi spiegò
nella lettera scritta alli Abe deritani, dicendo ivi: Ego verò fi omnibus modis
ditefcere voluifem viri Abderia tæ , nè decem quidè m talentorum gratiâ ad vos
venirem, fed ad magnum Perfarum Regem proficiscerer , ybi &c. E per
far conoscere meglio à tutti, ch'egli non caminava per la via dell'aura
popolare, nè delle ricchezze, mà bensì per quella della sola virtù volle
portarsi in Abdera , folainente per visitare, e trattare con Democrito, e
questo perche lo faccffe lui medesimo lo confesso, dicendo : (b) Eum autem
gravibus , firmis moribus ele præditum intelligo ; talmente, che stimò egli
fortuna maggiore quella, che sperava ottenere con trattare con un'uomo di
questa sorta , per apprenderne da esso qualche buon dor cumento, non solamente
de i dieci talenti offertigli dagl’Abderiti,inà ancora di tutte le ricchezze, e
grandezze insie: me della Persią, & udite con quantan chiz (h) in
etir. Abderit. [ocr errors] chiarezza lo dice : (a) Rex Perfarum nos ad
fe vocavit nefcius mibi potiorem of fapientiæ , quàm auri rationem . E
finalmente , acciocchè meglio comprendiate , che quanto v'hò detto intorno alle
trè strade, che vi sono per cercare la fortuna, o qual di queste dobbiate
scegliere, s'uniformi sempre più con i sentimenti del gran Maestro,
confermiamolo ancora con l'accennate trè vie di cercare la fortuna , contenute
in detta lettera. Primieramente con il quomodocumque ditefcero ci addita un
bivio, cioè tanto la strada, che conduceva in Persia , à fare acquisto di
cesori, e grandezze considerabili, che quella di Abdera , che allettava
all'acquisto di dieci foli talenti ; La prima di queste egli non la ftimò à
proposito, perche conduceva in paesi barbari, inimici, e dove vi era la peste ;
La seconda nè tampoco , perche dubitava, che quel vizio dell'inte, resse, que'
dicci talenti, avessero possuto rendere servile, e schiava la sua virtù,
G cosa (a) Hippo in epiß. Denetr. cosa fece egli per battere su'l sicuro,
fi fabricò la terza via, espurgata da ogni vizio, e prima d'incaminarti per
essa la descriffe in tal guisa all’Abderiti: Mihi verò ad vos venienti , non
Natura , neque Deus argentum promiserit . At nequè vos [viri Abderite] per vim
obtrudite, fedlia berè artis liber â elle finite operâ . Qui autem mercede
operam fuam locant, hi fcien. sias, tamquàm ex priore libertate manci. pio
dantes , fervire cogunt . Oh Ippocrate, se questi tuoi documenti fossero
stati mai dati à rivedere à quel Quinto Petilio Pretore Urbano, à cui
pervennero in mano i libri del dia finganno composti da Numa Pompilio ,
certamente che,ò l'averia fatti brugiare, conforme che fece quelli, o pure ti
averia fatto quel favore , che fecero gli Abderiti al suo Democrito, che lo
dichiarorno pazzo, e fi faria servito come Precote delle seguenti cognecture
per dichiararti cale, primieramente avrias dedotto contro di te, che tu per
portarti da Democrito, da cui non potevi sperare bene alcuno, perche appena
aveva un Platano, che lo difendeffe dal Sole, ed un sedile di pietra, dove
potesse sedere, mostrasti smoderato desiderio d'andarvi, conforme costa nella
prima lettera scritta à Damageto , dove così dicit Navem ad nos mittito , fed
fi fieri poteft, Hon remis , fed alarum remigio instruct amo res enim, eu amicitia
urget. In oltre, che per benc andare in Persia , dove, oltre
offerte sì grandiose , eri tanto desiderato da un Rè potentissimo, cu fosti
prontissimo à rie cusar la chiamata , conforme costa nella lettera da te
scritta ad Hiftano, senza riflettere , che quel potentissimo Rè poo teva
distruggere la tua Patria per tua cagione. Chi dunque procura , ed effettua con
tanta sollecitudine, ed anfietà una cosa, che non gli può recare profitto
alcuno , e ricusa con altrettanta prontezza ciò, che gli può moltissimo
giovare, senza considerare ciò, che può sopravenire di male dal ricusarla ;
certamente, ch'egli si può condannare per pazzo. Saria stata però troppo
ingiusta que [ocr errors] quefta sentenza di Petilio , quando
l'avesse cosi pronunziata , poiche per condannare un'uomo savio per pazzo, prio
mierainente si ricercano più rilevanti prove di queste : in oltre bisognava
dargli le sue difefe', in cui deducesfe lc sue: ragioni prima di condannarlo,
nelles quali faria stato dedotto, primieramente, che non sussisteva in fatto,
che da Democrito non se ne poteva sperare bene alcuno, costando
dall'Ippocratica confeffione , quanto mai di bene egli ne ficavasse , ch'è
questo: (b) Tum ego Democrite præftantisime magna hofpitalitatis tud
munera mecum in Co reportabo, cùm multa me fapientia tua admonitione
compleveris. Prçco enim tuarum laudum rem vertor, quod natura humana veritatem
inveftigasti, a mente complexus es; Acceprâ autem à te mentis curatione discedo
; La grand'ansietà dunque di andare à fare simili acquisti, non era indizio di
pazzia, ma bensì di somma prudenza , di sommo giudizio. Che poi per noneffere
andato in Persia foffe censurato a torto è chiaro, mentre non avendo alcun
bisogno di quanto gli poteva da ciò risultare, conforme egli confesso: (c) Nos vietu,
veftitu, domo, omnique read vitam neceffariâ cumulatè frui ; Perfarum autem
opibus uti , nequè mihi æquum eft; non doveva esporsi di andare à fervire
popoli barbari , ed inimici, e quanto erano maggiori l'offerte, che gli faceva.
no , tanto più lo costituivano loro schia, vo. E quando vi fosse andąco, cosa
mai averia riportato? Oro, argento, onori sommi, e grandezze, e quetti potevano
paragonarli all'acquisto, che fece, con Democrito, di dottrina, e faviezza di
mente maggiore? Ed essendo egli andato per curare uno creduto pazzo, per
cagione di quel medesimo ei ritornò più savio, e più dotto di quello, che era
prima ; e da ciò fi può dedurre quanto mai bisogna stare cautelato à dichiarare
pazzi coloro che non sono potendo queIti tali talvolta illuminare ancora i
Savja L'or(c) In epif. Hylani. [ocr errors] L'ottima dunque di
queste trè ftrade fi scelse Ippocrate , per acquistare la sua fortuna, e
Pottenne profpera, stabi. le, ed eterna i poiche fino, che il mondo durerà, la
fua fortuna ancora sarà ri. fplendente; per questa voi dunque vi dovete
indirizzare le volere effere suoi veri seguaci, e questa ancor meglio la
scorgerete, dapoi, ch'avrere nella Giornata di domani udita la gran deformi. tà
de' vizj, ed il danno grande , che possono apportare questi al Medico, che
caminasse per quella via , giacchè conto traria juxtà fe pofira magis
elucefcunt , GIOR [blocks in formation] Nella quale si tratta delli
vizj , mostrando quanti pregiudizi poffona apportare al Medico , e le in
lui alcuni di esli pana fcufabili , almeno quelli, che sembrano
Ermafroditi. [ocr errors][merged small] Na dura , ed ardua Provincia
og gi intraprendo per voi, dovendo parlare contro la corrutela del
tempi, ' lati, e contro uno stile già invecerato , con tutto ciò bramando
voi sapere da me il vero per non ingannarvi, dirò con Seneca ; (f) Quaramus
quid aprime fa&tum fit, non quid ufitatissimum, & quod nos in
poffeffione felicitatis eterna conftituat, non quod vulgo veritatis peffimo
interpreti probatum fit. Vorrei potcre scusare ancor io li vizj, conforme
fanno quelli, che li rimirano solamente mascherati con gli abiti delle virtù à
fine di consolarvi, sc cofa G4 [merged small][ocr errors]
[ocr errors] 104 Dell'Idea del vero Medico. cosa difficile vi sembrasse mai il
poteryene affatto spogliare. Per esempio ricoprono la bugia con il manto della
prudenza , e dicono, ch'è prudenza di celare all'Infermi la verità, perche ciò
fi fà per loro bene , acciocchè non si contristino maggiormente del male, che
foffrono. Gli adulano ancora talvolta se defiderano qualche cosa , che non
competa loro, con tutto, che possa molto nuocere, sotto pretesto d'aver carità,
ed à fine, che vietandola non s'inquietino maggiormente, e così vanno
ricoprendo molti altri vizi per renderli familiari, e meno deformi . Mà perche
hò promesso di parlarvi con chiarezza, e fincerità, non potlo, nè devo
adularvi. Li vizj li dovrete cenere per vizj; e le virtù per virtù : Li vizj, e
le virtù le dovete considerare , come due linee p2rallele, che non possono in
alcuna delle loro particombagiarli, come due contrarj diametralmente opposti,
che non possono tra loro convenire; Dovete con. fiderare li vizj come mostri
spaventofi , che che avvelenano con l'alito chiunque ad effi fi
avvicina , come dunque ardin, Tete d'accostarvi ad essi per ricoprirli?
Mà conceduto ancora , che si poteffero mai travestire, ditemi di grazia,
viaggiorefte voi con una comitiva di ladroni, benche fossero travestiti in
abito di gatantuomini, caminereste sicuri di non effere offesi da essi, con
tutto, che fossero sì civilmente adornati a Certamente mi risponderece di nò:
Tali apa punto fono li vizj, poniamoli addosso quelmanto, che volemo, e questo
non facendoli mutare il loro perverfo costume, sempre vizj saranno, sempre
nuoceranno di molto ; E siccome li Leoni, e le Tigri per quante carezze loro fi
fac ciano mai deporranno la fierezza, cosi ancora al parere di Seneca: Vitia
nun, quàm bona fide manfuefcuniş trasmutateli pure in che sembiante volete,
anzi, che essendo questi travestiti , faranno de danni peggiori, perche non
potendosi conoscere per vizj à prima vista, non li potranno subitamente
scacciare da chiKabborrisce, onde ancora trà questi ayeriano all'ora maggior
campo libero da machinare le loro infidie, ed acciocchè meglio putiare scoprire
li loro tradimenti, contentatevi, che ve ne descriva qualch’uno di quelli , che
nel Medico fono più decestabili, e nocivi, con pers mettermi che non servi
quell'ording solito à praticara da chi tratta di esli , perche essendo
fregolati non meritano di effere trattati con buon'ordine, ba. standomi solo di
farvi capire la loro deformità, c quanto erano mai da Ippo, crate odiari, e
creduti nocivi al vero Medico, mentre giudicò essere parte di buona Medicina il
saperfi:(8) Qua faciunt ad demonftrandam incontinentiam quæftuofam, &
fordidam Professionem ixexplebilem habendi fitim , cupiditatem, de traditionem,
impudentiam , fiquidem iftas Spectant ad eorum cognitionem dc.e non già à fine
di seguitare , må bensì di fug. gire fimili diferci. La bugia, inimica scoperta
del ge nerc (g) De decenti babita. nere umano, come tratta li suoi
fidi re. guaci & Li separa, scoperti che sono, dal publico, e privato
commercio de viventi, fà, che niuno presti loro più fede, gli costituisce
infami, e li pone il più delle volte in evidente pericolo di vita, facendoti
publicare ciò, che non fù mai verità, e questa come si potrà scusare nel Medico
in ispecie, in cui ella è reato più grave, che non è in altri Profeffori, sì di
Legge, come ancora di Teologgia, e che ciò sia, veniamone alle prove, Dica una
bugia il Procuratore al suo Cliento gli potrà pregiudicare nella robba, venendo
talvolta à perdere mediante quella la sua lite ; La dica un Teologo, che abbia
di già prevaricato, à chi è da lui diretto nello spirituale, gli farà perdere l'anima
; La dica il Medico al suo Ammalato, gli farà perdere la robba, la vita, e
l'anima insieme , ed ecco l'esempio chiaro: Dica il Medico al suo Infermo, il
di cui male si avanza : Lei stia di buon'animo, che la sua infer. mità non è di
gran momento , li segni non [ocr errors] nonsono mortali , Ella
guarirà , fi fidi di me, viva pure sicuro, e riposato ; mediante questa bugia
l'Infermo non pensa a' casi suoi, non aggiusta le partite dell' anima, che
premono tanto, non fà téItamento, non dinunzia li suoi crediti, è ripostini
segreti, non accresce diligenze, acciò la sua cura sia allistita da Me. dici
più esperti, si avanza tanto in un tratto nel male, che si sopisce, o sų aliena
di mente, resta incapace à fare cosa alcuna di proposito, e se ne muore, ed ec
che ha perduto la vita , la robba, e l'anima ancora, se per ispeciale grazia di
Dio non fù illuminato à pentirsi de' suoi peccati prima , che diveniffe
incapace à poterlo fare, e questi sono trè reati nati da una sola bugia, la
quale benche dete ta à fine di sollevargli lo spirito, in vece di ciò gli hà
cagionato un'improvisas morte, per lui così svantaggiosa. Dis spongono le
leggi, che li delitti sono maggiori, e più qualificati, quando li delinquenti
ne hanno commessi numero maggiore, è della medesima fpeçie, ò CO,
equivalenti, ficchè calcolandosi mag. gior numero di tali reati nella bugia del
Medico, che in quella del Legista, e del Teologo, in conseguenza viene , che è
più grave delitto la bugia nel Medi. co , che negl'altri due sopr'accennati
Profeffori. In oltre se il Medico, per persuadere al suo Infermo, acciò
prendesse con maggior fiducia il rimedio da lui propostogli, affermasse, che
quel medesimo avesse giovato ad altrui, e ciò non fosfe vero , rincontrandosi
poscia la verità, in che discredito rimarria ape preffo à cui disse tal
menzogna, certo è, che non lo terria in avvenire più nel numero de' veri
Medici, mà bensì di parabbolani,de' quali Ippocrate cosi disse: (h) Virtutis
apud ipfos modus eft , id quod deteriùs eft, mendacii enim ftudium exercent ; e
parlando de' Medici menzogneri così disse: (i) Quapropter veritate nudati,
omnem improbitatem, ac ignominiam ing duunt. L'adulazione è vizio, che
s'infinua dol(h) In epiß. Domag. (i) Dedec.bablik, dolcemente, e
con galanteria , è un veleno , che fi beve fraposto con un'apparente netrare, e
questa parimente nel Medico cresce in qualità di reato, posciacchè dica
qualsifia altro Adulatores à taluna, ch'è deforme, non meno di aspetto, che
povera di abilità.: Voi Giete una bellissima, una compitissima , egalantiffima
Giovane, fiete eccellente in molte cose; nelle quali non avete chi vi fuperi ;
le darà compiacimento bensi con formo suo diletto, ma non l'ucci derà ; Dica il
Medico ad una sua Infer. ma, che desidera gustare un grappolo di uva: V. S. ne
puol mangiare un poco , perche bisogna condescendere qualche volta al desiderio
dell'Inferma , quod face pit nutrit , lo faccia pure liberamentes Se la povera
adulata Inferma lo farà, non folamente vi averà compiacimento, e diletto per
allora , mà poscia potrà ancora morire per tal cagione, non è quem sto caso già
da me inventato, mentre si legge in Ippocrate seguito nella figlia di
Eurianatte, che per aver gustata l'uvale crebbe non solo notabilmente il male,
mà se ne morì, dice egligdoppo di avere narrato, che l'era sopragiunta la
refrigerazione delle parti estreme il delirio: (1) Ifta autèm ut ferebant ex
deguftata uva huic contigerat ; potrete dunque voi nel Medico scufare
l'adulazione omicida per conciliarvi la grazia dell'Infermo ? Risponderà Ippocrate
certamente di no, perche dice egli in termini precisi dell'adulazione nella
regola dal vivere: (m) Is velut res horrenda vitari debety a gratia vitanda per
quam unitas deperit. E non solamente è reato gravissimo nel Medico
l'adulazione in ciò, che riguarda la regola del vivere, mà ancora nel
prescrivere medicamenti . V'incontrerete in molte contingenze, nelle quali
gl'Infermi , ò glastanti proporranno riinedi, ed il più delle volte quegli, che
non saranno à proposito, in questi casi avvertirete bcnc à non adulare il genia
di chi li propose', mà doverete fare ciò, che il bisogno richiederà, e non
altri menti: (1) Epid.lib.3./46.2.egroting (in) Do pracipe. [ocr
errors][ocr errors] per adula menti: Conforme ancora, se venendo
proposto da altri Medici ciò, che non vi parerà essere profitcevole
all'Ammala- to, in tal caso non dovereste zione tacere, e lasciar
correre ciò, che fù proposto da altrui , mà bcnsi con tut- ta
civiltà addurre li vostri motivi, cra- gioni, che avete in
contrario, à fine venghino esaminati,essendo questo l'ob- bligo de
veri Medici, conforme Ippo- crate insegnò, dicendo: (n) Qui quid-
quid do&trinâ acceperunt in medium profen & facultate
dicendi utuntur , ad gratiam comparati, & pro gloria,qua indè provenit
decertare parati,doctrinam fuam ad veritatis lucem repurgantes.
Dell'Ateismo vizio esecrando non ve ne saria d'uopo parlarne , perche egli è
cosi repugnante, che chi hà uso di raa gione mi pare assai difficile vi poffa
in effo cadere, con tutto ciò, perche certe proposizioni, che sparse, e
feminate alle volte fi ritrovano in alcuni libri, che vengono da lontani paesi,
potriano alle menti (n) De decohabitu. runt , 1 0
[ocr errors][ocr errors][ocr errors] inenti di voi, che volete volare troppo i
alto,recare qualche disturbo, non istimo superAuo di dar loro sopra ciò
qualche luine, à fine stieno più circospette, e cautelare, e
particolarmente nel sentire certe proposizioni dirette à ridurre le
operazioni animaftiche alla sola machi26 na, e struttura del corpo fatta
dalla na tura, con sì mirabile artificio, guarda tevene pure da
queste , perche hanno de l'ateismo nascosto, e tenete fermo, che en vi voglia
sempre un primo Movente di . ftinto, e separato dalla struttura, perche
de quantunque la detta struttura fia necef. faria alli moti interni, ed
esterni , nulla- dimeno senza il primo Moyente, che è l'anima
rationale nell'uomo , cessa ogni li moto regolato, come si scorge chiara.
mente ne' cadaveri, ne' quali con tutto, che rimanga la mirabile
struttura , sepa- rata ch'è l'anima dal corpo iyi
ogni mo- le to regolato finisce. Nè
solamente nel leggere ciò , che viene scritto converrà stare cautelati, e
circospetti, mà ancora in quello fi sente [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] riferire intorno alle pazzie di coloro , che, per essere
reputati di singolar dottrina , tralasciorono di credere ciò, che dovevano,
perche non capacitava le loro meni materiali, se non ciò, che con li propri
occhịrimiravano, ò palpavano con le loro mani, contro de' quali Sant' Agostino
fortemente inveisce, chiamanı doli uomini di carne. Spero dunque, che per
quanto leggerete di male in questo genere , ò sentiFete dire, non diventerețe
così pazzi , che vi vogliate assomigliare alle bestie , Je quali, in ciò, che
riguarda il dare un minimo contrasegno interno d'eternità, punto non
s'assomigliano all'uomo,mentrechi mai di effe ha saputo ritrovare il modo di
scolpire, ed intagliare l'effigie brutale di alcuna della sua , ò d'altra
fpecie, come seppe inventare l'industria umana? ed ancora in durissime pietre ,
per conservarla visibile, tale quale appunto ella fù vivente, per secoli
innumcrabili? e ciò donde è proceduto ? se non da quell'interno desiderio ,
che l'uo ) [ocr errors] Puomo hà in fe fteffo d'eternità.
L'Ira è un vizio, che deforma li suoi seguaci, li quali conforme diffe un sayio
Letterato, molto da me stimato, eriverito, fe questi li potessero rimirare
nello specchio , allora, che sono nel suo furore, yedendosi divenuti così
deformi, e trasfigurati in mostri,odierebbono,non solamente cal vizio , anziche
se medesimi; Modo tenuto dalli Spartani,che per fare concepire orrore
all'ubriachezzas conduccyano li loro figliuolini in certo tempo dell'anno, nel
quale fi concedeva libertà d'ubriacarsi, in luogo publico , affinche questi
vedessero , che deformę spettacolo cagionava tal vizio, per concepirne in
avvenire di esso maggior spavento . Voi dunque per meglio apprendere à che
segno dobbiate tenere lontana da voi l'ira, non accaderà velo moftri con parole
, essendo di maggior efficacia , che rimiriate con li vostri propri occhi , in
chi si trova adirato, più al vivo una tale, c tanta deformità, giacchè: H
2Segnius irritant animos demiffa per aures [ocr errors] Quàm quæ
funt oculis subiecta fide "libus, E così comprenderete meglio ancora
, se tal vizio sia tollerabile nel Medico, che deve avere sempre l'animo
compofto , conforme comanda Ippocrate de Medico : Eum quoque spect are oportet,
ut animi temperantiam excolat, non taciturnitate folùm , verùm etiam reliquâ
totius vita moderatione , quod ad illi comparandam gloriam plurimum affert
adjumenti ; e più chiaramente, ancora lo comanda in altro luogo, (a) dove dice:
Ne quid perturbato animo facias ; Ed è la cagione appunto di ciò, perchè il
Medico, che deve invigilare con somma attenzione alle cure de' suoi Infermi,
non deve avere la mente turbata, per poter meglio discernere li partiti
megliori, e più profittevoli, che dovrà prendere à prò de fuoi Malati, ed à
tale effetto Ippocrate comanda, che sia incombenza del Medi co (a] Inlib
de decora. co il sedare litumulti, ordinandoli ef pressamente:(6)
Tumultus verbis caftiges, G ad omnia fubminiftrandi te prome ptum
adhibeas. [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] Converrà però prima in voi medesimi se mai foste dall'ira predominati,
che sediate li vostri interni cumuli, per poter muovere più facilmente glaltri
con il vostro buon'esempio ad imitarvi. Mà vi sono alcuni Iracondi, che
credono essere cosa nociva alla salute il ceprimere in un subito li loro primi
moti, onde per tal cagione lasciano termin nare il loro corso : Mà quanto
questi s'ingannino lo fà vedere Ippocrate con dire :(c) Ira contrabit , cor,
pulmonem in fe ipsa, din caput, & calida , bumidum; il qual testo Vallesio
così la spiega : Ira eft furor fanguinis circa cor c. hinc fit ut
fervente Sanguine,cor , pulmo , & caput calefcant , & repleantur.
Nimirùm fanguis fervore tumet, & venas, arteriasque tumefacit, fed ob
vebementem calorem, qui illis in locis eft, co contrabitur ubi[b]
Dodec.hab. [c] 6.Epid.fe5.4., [merged small][merged small][merged
small][ocr errors][merged small] [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] H
3 ubique fanguis. Undè fit, ut multis ob iram oculi, du vene frontis
intumefcant, & tota facies rubore suffundarur , eo tempora pulfent , &
caput doleat , quin do febris fuu perveniat . Si persuadono dunque questi, che
gl'accennari danni che cagiona l'Ira à parti sì principali, sia più vantaggio
di pazientarli, che di rimuoverli? Onde non dovrete in conto alcuno farvi
dominare dalla collera, e non solamente per quello che riguarda la buona
direzione della cura, mà ancora li vostri proprj avanzamenti, stanteche quel
povero Infermo pur troppo annojato dal suo male , avvedutofi, che ancor voi gli
accrefcere moleftia, adirandovi per ogni piccola cagionc,se ne disfarà
facilmente per non potervi più soffrire. La Superbia nella Medicina à che
segno sia deforme riflettetelo in Menecrate Medico, che insuperbito forfe per
effergli alcune piccole cure riuscite felici, ed ayer sentito dire, che
Esculapio, in quei tempi rozzi per tal cagione fù annoverato trà Dei, egli
volendolo su pe [ocr errors][ocr errors][merged small][merged
small][merged small] perare, scrivendo ad Agesilao Ř è de Spartani ; pose nella
soprascritta : Ager filao Regi Menecrates Juppitèr ; gli calzò bene però la
risposta, che gli fù data da quel saggio Rè in tal guisa : Menecrati Medico
Agefilaus Rex mentis fanitatem; nè fù ciò sufficiente per reprimnere la sua
superbia , mentre riferisce Leone Sansio, (d) che : Eo furoris in hoc genere
delatus eft , ut quofcumque liberaffet à morbo jurejurando anté sanitatem
rcceptam adıētos , Jecum deindè benevalentes adduceretistatis temporibus
tamquam fervos; atquè jatellites, eâ tamen lege, ut alius quidèm Herculis
insignibus indutus ; alius Apollinis babitum gerens ; alius Mercurii perfonam
fuftinens , alius aliumi mutatus in Deum, Menecratem, utpote Jovem Optimum
Maäimum Dii minorum gentium sequerentur. Onde converrà, che la teniate lontana
da voi , per non essere stimati pazzi, e maggiormente quando vi troverete nell'
auge delle vostre prosperità , perche allora la superbia molto vi potria
nuocere, fc [d] In Florid.9.prafat. [merged small][merged
small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged
small][merged small] H 4 se foste da efla dominati, allora vi sforzeria à
distaccarvi dalli vostri più antichi, e cari amici, solamente perche vi
conobbero prima, che le vostre fortune incomincialfero : E pafferia ancora più
oltre allora il suo ardire, fe ella potesse dominaryi à suo modo, meiltre vi
faria prendere tal compiacimento di tutte le vostre, sì grandi, che picciole
opere, come se fossero singolari, e da niun'altro fattibili à quella
perfezzione, che voi fatte l'avrete, senza permettervi punto d'indugiare å
formarne concetto, con forine far fi deve delle cose proprie , almeno fino a
tanto, che dal tempo fiano tolte dalle mani dell'Adulazione, e pofte in quelle
della libera sincerità, à fines che doppo averle ben confiderate dia loro il
suo giusto valore, secondo il quale , e forse meno deve stimare le cores
proprie, chi si trova in prosperità di fortuna , per goder egli il favore
dell'adulazione. Onde in tutti gli stati , e maggiormente in quello di
prosperità, nel quale sarete più oiservati da tutti doveteseguitare l'ottimo
conseglio d'Ippocrate , (e) che dice : Medicum urbanitater quamdam fibi
adjunétam babere convenit, affinche possiate effere da tutti tenuti cortesi,
umani , e senza superbia. La defiftimazione, ed il disprezzo del compagno
è un vizio dependente dalla superbia, onde develi dal vero Me dico abborrire,
al parere d'Ippocrare: Ne superbus , do inhumanus videatur ; E tanto più , che
deve essere d'animo modesto, e cemperato , di ottimi coitumi, umano, e giusto,
conforme egli giudicò nel libro de Medico : E se il Si. gnore diede à voi
maggior talento degl' altri vostri compagni, perche nel coufronto, che ne fate,
in vece di ringraziarlo, mostrate più tolto di biasimarlo, con dire, che
difetraffe in non fare uguale à voi chi è d'inferiore capacità di voi, potendo
il disprezzato rispondervi : Ipfe fecit nos, & non ipfi nos; Dunque, che
colpa è la mia 2 E non avendo voi ragione da dotervene meco,
prendeteveland con Tel Dedec.org. [ocr errors] con chi mi hà fatto
; sicchè fuggire pure fimil vizio, che può ancora paffare più
oltre,inentre da quel disprezzo,da quel- la disistimazione
nascendone il discredi- to del vostro compagno, chi sà, che
non vi facessero divenire pessimi Medici, fer- vendovi di
caloccasione per procurare qualche servigio di colui, che fù da voi
posto in discredito? Olère di che;chi fos- te mai di simile viziosa
natura disprez- zeria ancora bene spesso quelli piccoli mali, che
in breviffimo tempo possono divenire giganti con non piccolo disca-
pito della sua esistimazione. Qando mai potessero
fcufarsi, che non credo , in alcrui li vizj spettanti alla gola,
che sono la crapula, e l'ubriachez- za , nel Medico sempre faranno
molto condannati, perche dovendo egli gior- nalmente opporsi a'
defideri depravati de' suoi Infermi, con ordinar foro las dieta,
come mai potrà persuadergliela, se non gli darà egli buon'esempio?
Fa- cendo più profitto questo di qualunque ragione, al parere di
Seneca, che vuole, che [ocr errors] 1 [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] 20 che (f) Longum iter eft per præcepta,
bre ve, & efficax per exempla. E se poi de' la vostri disordini ne
fossero stati spettatori in li vostri Infermi, come mai potreste per
fuader loro il contrario, di ciò, che voi seco faceste? Se volete dunque essere
ub bediti fiate fobri, e tali certamente dooi vrete essere, se non
vorrete essere peg{ giori de' bruti stessi, perche conforme riferisce
Ippocrate:(g) Sitit quidem Aper, oli sed quantum aquæ appetit, Lupus vero
di. laniato quod Je se obtulit necesario alimento, quiescit; Mà quando
tutto ciò non vi bastasse vi doveria far abborrire que fti vizj la sola
rifellione, che questi poffono ó abbreviarvi la vita, ò per la meno
rendervela penosa, fino, che viverete. co Non essendovi cosa nel mondo
più nociva della Lussuria, chi potrà mai scue farla negl’uomini, quando, che la
vedianio sì moderata , e sì ben' regolata dal solo istinto di natura in quasi
tutte le bestie prive dell'uso di ragione , alla riserva folainente di alcune
poche , trà quali (f) Epift.6. [5] In cpif.Demag: [ocr errors][ocr
errors] ti [ocr errors] quali vi sono quelle , che più s'assomis gliano
all'uomo, che sono li Scimiotti, e Gatti mamoni, rare volte li bruti à
confusione de' sensuali fi veggono do. minati da detto vizio, se
non sono proffimi à quei tempi destinati dalla natura, per la moltiplicazione
della loro fpecie, solamente il Lussurioso è più brutale di effi , che non ha
in ciò hà in ciò tempo determinato, essendo in ogni tempo dominato dal
suo vizio, che lo consuma , & annichila, conforme riferisce Ippocrate : (b)
Ep annorum quidem temporum ordo terminus eft brutis ad choitum, at homo
perpetuò insano libidinis aftrostimulatur. Qual'estro infano di libidine
faria più , che in altri detestabile nel Medico, fe non lo sapeffe reprimere
con la sua continenza , posciacchè dovendo egli giornalmente conversare con
donne conforme avverti l'istesso Ippocrate:() Et omni horâ mulieribus ,
virginibus illi occurrunt; Sicchè Iddio guardi, ch'egli non corrispondesse con
tutta fedeltà à quella (h) In epift.Damage (i) De doc.ork
[ocr errors] per ca. quella somma confidenza , à cui gione della
sua profeflione; viene am- meslo, diverria ogni suo trascorso reato
gravillimo, sì proprio, che della pro- fellione isteffa , talınente, che
l'innocen- te Medicina ancora ne faria calunniaca. Onde voi, che
desiderate far molti pro- grelli in essa , dovrete vivere lontani,
e detestare simil vizio ; Altrimenti perde- reste ogni speranza di
fare un minimo progresso in effa ; Converrà dunque,che fedelmente
offerviate il seguente giura- mento d'Ippocrate : Juro &c.fed
castam, bu ab omni fcelere puram, tùm vitam , tùm ætatem meam
perpetuò præftabo. Ecercamente, che non dovrete fare diversamente,
sì per li vostri avanzamenti, che per profitto delli vostri Infermi, mentreche,
come mai potreste applicare con attenzione alli vostri vantaggi, alle cure de'
vostri Infermi, se le vostre menti in quel tempo divagassero altrove, e fossero
distratte in linili oba brobriosi pensieri ? Confido dunque,che con la vostra
prudenza, e temperanza [ocr errors][merged small] nonnon sarete per
cadere in simili reati , che sono detestati da putti, per essere mancamenti
commessi in mestiere di buona fede, conforme è la Medicina,
L'Ingratitudine è vizio ancor esso detestabile, per essere aborrito ancora
dalle fiere, essendosi osservata tal’una di esse aver usata gratitudine al suo
benefattore ; mà questa sarebbe ancora più detestabile, se nella Medicina
seguisse , che lo Scolare si mostrasse ingrato al suo Maestro, mostreria
certamente, è una natura molto perversa, ò di aver perduto l'uso di ragione,
mentre qual gratitudine mai potria egli sperare, che non l'usò à cui tanto era
tenuto, quali progrefli mai potria fare, allontanandosi da chi gli porge la
mano per sollevarlo, e promoverlo? Credo,che un simile yizio, Ò Giovani
generosi farà sempre lontano dalle vostre menti, conforme deve stare dalla
mente di chi spera divenire Maestro, per il motivo di non aver à ricevere il
fimile contracambio da' suoi Scolari, che stimolati dal suo mal'esempio
faria facile facile loro riuscissero essi ancora ingrati.
Quindi è, chę Ippocrate per esimere li suoi Şcolarida un fimile
obbrobriofo ar- tentato gli faceva obligare con poliza e promettere
con giuramento le seguenti cose: Juro , & ex fcripto Spondeo
planè obfervaturum, Præceptorem quidem , qui me hanc artem edocuit
, Parentum loco ha- biturum , eique cùm ad viftum, tùm etiàm
ad usum neceffaria , grato animo communi- çaturum, & fuppeditaturum,
ejusque poftea ros apud me eodem loco 9.quo germanos
fratres, eofque, libanc artem addifcere volent,absque mercede, fyngraphâ
edoctu [ocr errors][ocr errors][merged small] rum &c. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Da un'altra poco inferiore ingratie tudine
spero vi guarderete voi, che ambite avanzarvi per la via delle virtù , & è,
che se sarete da qualche vostro come pagno fatti chiamare à dar consiglio, ò in
loro assenza sostituiti à curare tal* uno de' suoi Malati , non tramerete contro
loro insidie , per subentrare in sua vece , stanteche tal’enorme ingratitudia
ne, non è usata, fe non da quelli, che sono ignoranti, e che diffidano per la
buona via delle virtù potersi avanzare ; e per tal cagione si servono di quella
del vizio ; Onde con ragione consigliava Ippocrate al Medico à non prevalersi
delli Softituti ignoranti , ftanteche de’loro errori ne resta debitore colui,
che li propone, in questo caso però non ne re, steria punto debitore, poiche
pagheria il mancamento commesso con la sua elpulfionc , & affinche non
abbiate da ri, cevere fimile ingratitudine v'iinpegnerete quanto meno potrete
di promovere ignoranti, e maliziosi , 34 0 fono e
€ L'Invidia, che per lo più proviene dalla mancanza di ciò, che fi
desidera, è da altri si vede possedere , come la po. trere seguitare senza
condannare voi stesi inabili à potere conseguire ciò, che bramate , avendolo
potuto ottenere un' altro vostro compagno, questa non vi avyedete, che vi fà
dichiarare da voi medesimi da poco, e codardi ? Onde impiegherete aflai meglio
tutto quel tenipo,e pensieri,che malamente li spregano [ocr errors][ocr
errors] in invidiare il bene altrui, con cercare di conseguire ciò, che
desiderate , per le sue yie proprie, & oneste, e credetemi, che questo vizio
non regna se non negli animi vili, e codardi , trà quali voi, che avete
abilità, e spirito vi dovete vergognare di esservi annoverati,e tanto
maggiormente, che questi viziofi furono da Democrito giudicati ancora stupidi,
ed ignoranti,allorche ad Ippocrate disse:(a) Et certè fufpicor pleraque in Arte
tuâ aut per invidiam, aut per ingratitudinem palàm contumeliâ affici ; & in
appresso dice , Cum fint ignorantes , quod melius eft dama nant , calculoruin
enim fuffragia stupidis attribuuntur, nequè ægrotantes fimùl ap probare
volent, neque ejusdem Artis focii bi teftimonio confirmare , cùm invidia
obfter Gr. Veritatis enim nulla eft cognitio, nei què teftimonii
confirmatio, Ed è certamente cosa assai difficile, i che li seguaci di
simil vizio poffino con tenersi nel semplice desiderio di ciò, che da
essi è invidiato, senza passar più oltre [ocr errors] ne (a) In
epift.Damaget. in procurarlo ancora , e con modi ignominiofi, anziche si
serviranno talvolta della calunnia, e dell'inganno, per confeguirlo, e vi pare,
che simili maniere fiano degne del vero Medico rationale ? Quando Ippocrate (b)
giurò, che : Medicum ratione utentem, alterum numquàm invidiosa calumniaturum?
Mà che siano modi praticati solamente da quelli, che Forensem quæftum fectantur
, trà quali non faria convenevole, che voi fofte annoverati. Mà acciocchè
possiate mantenervi lontani da simile obbrobrioso yizio, sarà necessario, che
vi dia alcuni utili avver. timenti, che sono: Vedendo yoi avanzare qualche
vostro compagno nellinegozj,è cosa nacurale,che fentiate dentro di voi un certo
stimolo, che incomincicrà da principio a farvi contriftare,e questo sarà
appunto il primo seme, che insinuerà dentro di yoi l'invidia per farvi divenire
suoi seguaci, di questo, affinche efla non trionfi di voi, è servitevene
disprone per avanzarvi ancor voi, con imitarlo, se il detto vostro
compagno opererà conforme si deve, ò di remora, fe vedrete ,
ch'egli si avanza per la via del vizio, ed in tal caso, con
riflettere solamente, che à voi non conviene d'in- vidiare ciò,
ch'è disdicevole al vostro onore, detto seme verrà in un tratto di-
Itrutto. In oltre sappiate, che non do- vete rimirare solamente
l'efteriore com- parla, che fà il vostro compagno, mà ancora
dovrete rillettere à quanti disag- gi, che talvolta soffrirà egli per
effajalle fatiche eccellive,all'inquietitudini grane di, alla
scarsezza del tempo, ch'egli hàg che gli toglierà ancora il riposo
necessa- rio, le quali cose se tutte le rifletterete , certamente
in vece d'invidiarlo , più tosto lo compatirete, e direte con Vir-
gilio : Non equidem invideo miror magis. A tempo di
Seneca vi era un certo vizio vagabondo, chiamato da lui Core curfatio, che
necessitava li suoi scguaci andar girando continuamente per las I 2
Città [ocr errors][ocr errors] Città allo sproposito cercando li negozi
senza aver prima determinato nella loro mente quali, mà solamente quei, che à
ventura si presentavano loro d'avanti, e questo tal vizio lo descrive
per un'inquieta dapocaggine, un perdimento di tempo, con non altro
profitto,che d'una certa stanchezza di corpo,acquittata per tanto girare ora in
quà , ora in là. Galeno, conforine egli riferisce nel principio del suo
merodo , fù da alcuni di quelli, che pareva, che l'anassero più degl'altri ,
stimolato fortemente à seguitare questo vizio, dicendogli, che se non
tralasciava d'essere tanto indagatore del vero, e non si accomodava allo stile
di quel tempo, d'andar girando tutta la mattina, à visitare per complimento li
Signori, e la sera d'andare à cenare seco, non saria stato amato, nè averia
contratto le loro amicizie, riferendolo appunto in tal guisa : Me verò ex iis ,
qui me unicè diligere funt visi, nonnulli fæpè increpant , quòd plus justo
veritatis studia Jim addiétus , quafi nec mibi ipfi ufui , niec ipfis
[ocr errors] [merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged
small][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] ipfis in totâ
vità fim futurus , nifi, & ab hoc tanto veritatis indagande
studio defi- ftam, da manè salutando circumeam , vefperi apud
potentes cænem. His enim artibus tum amari , tùm amicitias
conci- liari, tùm verò pro artificibus haberi &c.
Ed in tanto non volle egli condescende- re à farlo, perche la
giudicò per cofa impropria di chi era seguace di ottimo
Maestro, soggiugnendo in appresso da- poi averne commendato
alcuni di que- fti : At horum nemo , nèc mane potentium
fores ipfos falutaturus , nè vefperi cænatu- rus frequentabat , fed ficut
Hefiodus cer, cinit : Namque alium ditem cernens cui
deeft, quod agatur : Ipfe folum vertit tauris, &
semina ponit. Onde fuggirete ancora voi simile
vizio, se desiderate d'essere veri seguaci d'Ip- pocrate.
La Pertinacia, e lo spirito di con- tradizzione sono
due difetti nel Medico di sommo rimarço, e non si possono per
con [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] I 3 conto alcuno in lui scusare ; se vi contaminasse
mai il primo, vi costituirebbe ignoranti, cogliendovi quella bella proprierà, che
hanno li Dotti, ch'è : Sapientis eft mutare confilium ; vi faria anche di
peggio,che vi costituirebbe simili alle bestie, perche farebbe divenire ancor
voi incapaci di ragione , e perciò venendo esclusi dal commercio degl'uomini
savj cosa fareste infectaci di simile vizio? Se poi, che Iddio je me liberi
fofte invali da quel 'cattivo spirito di contradizzione y guai alli vostri
Infermi, perche venendo loro proposto da altri ciò, che si deve, e voi non
volendo, che fi eseguisse , mà più tosto in vece di quello , altra cosa
contraria, come anderebbe l'a cura facendosi à vostro modo, se foste ancora
pertinaci? Ippocrate insegnò à questo propofito ciò che si debba Fare, e che ne
risulti di male facendosi diversamentc , & è:(0) Neque fanè indecorum fuerit
fi Medicus in rei præfentis anguftiâ , circà agrum verfaturz imperitiæ etiam
tenebris circumfufus , alios quoque accerfiri jubeat, quo communi confilio ,
que in rem agri sunt disquirantur, & illi ad præfidiorum facultatem operas
fuas confoTint; e cosa ne seguirà seregneranno trà di essi questi vizj? De eo
munimini ambitiosè contendere, se ipfos ludibrio exponere, Sicchè voi , che
sperate divenire veri Medici Ippocratici, vi converrà tenere lontani da voi
tali vizj, che tanto vi potriano pregiudicare. etiam [C]
Hipp.præcept. L'Avarizia fù talmente odiata da Ippocrate, che se avesse
potuto l'averia del tutto sbandita dal mondo, poiche scrivendo à Crateva
erbario famofiffimo de' suoi tempi, così appunto gli manifeftò il suo desiderio
: Quod si Crateurs amaram pecuniæ cupiditatis radicem excindere poffis , ut
nulla ejus reliquia extent, hoc probè teneto, quod unâ cum hominum corporibus ,
etiàm malè affeétos purgaremus, fed hæc quidem in votis habenda : Tanto scrisse
Ippocrate, con tuttoche non gli fossero ancora giunti à notizia li documenti di
Demnocrito , cheportandosi poscia alla sua cura in Abdera da lui medesimo sentì
, trà quali vi fù questo contro l'avarizia: (d) Quinàm enim Leo aurum defolium
in terrum abdidit? Quinàm Taurus , alienum ufurpandi cupiditate , ad prælium
impetu quodam delarus eft &c. e con ragione così esclamava Democrito
scorgendo l'uomo caduto in tal vizio peggiore de'bruti. Quanto mai cresca
la deformità dell'ayarizia in chi è avanzato negl'anni sentitelo da
Cicerone:(6) Avaritia senilis vituperanda eft maximè : Poteft enim quidquañ
effe abfurdius , quàm quo minus via restat , eò plus viatici quærere? Mà
più d'ogn'altro la saria obbrobriosa nel Medico , perche essendo stato da
Ippocrate dichiarato fimil vizio per male più grave della pazzia, cgli farà
tenuto non solo di crederlo tale, mà ancora di medicarlo, onde se in vece di
far ciò lo procurasse, ecustodisse in femedesimo con diletto , in qual
trascorso egli incorreria? E certamente più grave, e me [d]
inefiß.Damag. [e] In Cat,Maior. [blocks in formation] e meno scusabile
faria, che in ogn'altro, per non aver egli apprezzato li documenti d'un tanto
Maestro, che sono li seguenti: (f) Miserabilis sanè eft humana vita , quòd ad
eam totam intolerabilis are genti cupiditas, velut hybernus flatus pervaferit,
ad quem morbum infania graviarem curandum , utinàm Medici umnes potiùs
concurrerent. E lo dimostra in termini precisi altrove , () dove così
saggiamente consiglia : Neque verò exigenda mercedis cupiditate duci oportet,
nifi ut ad artem edifcendam tuos inftruas , fuadeoque nè in eo inhumanitèr
nimis te geras, fed & opum affluentiam, & facultates refo picias,
interdùm gratis cures , itaùt memoris gratitudinis potiorem,quàm præfentis
existimationis rationem habeas. Quòd fi thofpiti, vel egeno largiendi occafio
se te offerat his , vel maximè fuccurrendum eft. Qui enim erga homines humanum
fe exhibuerit, is artis amore teneri censetur. Cofa dirà l'Avaro , & altri
viziosi leggendo, tanti ottimi consigli, dati loro da Ippo crate? [f] In epif.
Senar. Abderit. [5] Inlibede prai: [ocr errors][ocr errors][ocr errors]
crate 2 Mi persuado; che quello appunto , che diffe Quinto Pecilio Pretore
Urbano, riferito da Livio, allorche ebbe terto li libri di Numa Pompilio, che
erano stati tanti secoli sepolti : Se fe eos in ignem coniecturum , perche ,
dos legi, fervarique non oportere; e questo perched non per altro, perche egli
era Pretore, e non gli compliva, che altri sapessero , che molte cofe, ch'egli
faceva erano mal fatte , poiche que' libri altro non contenevano, che di
rimuovere ciò, che non era ben fatto, e ciò, ch'era sommamente pregiudiziale al
popolo, trattandosi in quelli De diffoluendis falfis religionibus. Questo
vizio certamente non farà scusato da chi è di mente sana , nè da chi ben riflette
à quanti disaggi mai soggiacino li miseri Avari senza potersi sapere ad utile
di chi lo faccino. In beneficio proprio certamente che nò, poiche non altro,
che travagli ne ricavano dal cumulare, che fanno ; A prò degli Eredi 2 nè
tampoco, perche se potessero immaginarsi , che gli Eredi volessero
go [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][merged
small] godere con ispendere liberamente, priveriano fubitamente dell'eredità,
fic. che di questi solamence Padrone ne rimarrà l'avarizia , inentre per
sodisfarla esi cumulano , c questa , che ne farà di tanti avanzi ? facilmente
non sapenda servirsene li consegnerà al lusso, affinche disipandoli in un
tratto ne impingui altri Avari. Ippocrate odiava il lusso grandemente, à
segno , che compose un libro contro di effo, ch'è appunto quello De Decenti
ornatu , nel quale non solamente incarica à Medici di fuggirlo , mà dà ancora
per cagione del lusso il modo di distinguere li veri Medici da Parabolani, de
quali ultimi parlando, così dice: Si enim conventu facto ambitiofa, e quem
fuofâ fuâ profeffione decipientes in urbium circulis verfantur, Quos ex veftitu
, cum cæteris ornamentis, quis cognofcere poterit, quin etiam quò fumptuofiùs
ornati fuerint , cà majori odio adversandi , ab eis, qui eos confpexerint ,
fugiendi ; dove de veri, e buoni Medici cosi ne parla : Quia bus
[ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] bus non ineft exquisitus,
nequè cariofus ornatus, qui fe fe excultus venuftate, cu frugalitate, non tam
ad fuperfluam curiofitatem,quàm ad optimam existimationem, prudentiam, e animi
moderationem compararunt , ad inceflum verò eo femper sunt habitu ; Sicchè dal
Medico seguace d'Ippocrate devesi fuggire il lusso per quanto gli preme la
propria riputazione ; certe mode straniere, e galanti non gli competono , come
si legge (b): Peregrie nus cultus immodicus calumniam tibi com. parabit .
Tiberio s'ingannò, allorche propoftofi in Senato di proibire il gran luffo di
quei tempi, essendo egli di sentimento contrario, persuadendoli, che in lasciarlo
correre à briglia sciolta, da se medefimo si faria stancato, e perciò disse :
Nos pudor , divites satietas, pauperes egestas in meliùs mutet; qual vergogna
ne' suoi {moderati succeffori punto non si mirò mentre in Nerone si vidde à che
segno s'inoltrasse il lufto. Mi persuado però,ch'egli si volesse ingannare per
altro fine politico, mentreche girandosi dal lusso
continuamente la ruota della fortuna , gli compliva più di vedere tante
muta. zioni di stato ne' suoi sudditi, che disau. torato chi li
cagionava, e tanto mag- giormente che avendo questo vizio un
dominio tirannico s'uniformava al suo governo . Tiraneggia per verità il
luffo li suoi seguaci , mentre l'impoverisce e vuole eliggere da
tutti gradimento di quanto male fà loro. Ordina , che dalla Persia
, e dall'Indie sia trasportato un drappo non più veduto , forza li suoi
sem guaci à prenderlo ad ogni maggior co- ito, e fà, che oltre il
gran dispendio ringrazjno quel Perfiano, quell'Indiano ancora, che
lo portò, perche appagò il loro desiderio , li quali ne resteranno
fa- cilmente ammirati, non meno di quello ne rimanesse Tacito ,
allorche li Romani per abbassare gl’animi dell’Inglesi, li fe- cero
assuefare à molti costumi loro, e da essi non più praticati, e
l'appresero per foimo favore , mà ben se ne ayvide Ta- [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] cito del fine, che in ciò si aveva dicendo: (i)
Que humanitas cenfebatur, cùm efet Species fervitutis. L'Infedeltà, e
Fellonia sono vizi confederati, e detestabili in ogni qualità di Persone, mà
più d'ogn'altro nel Medico, posciache ogn'uno ciò, che ha di più prezioso, che
sono la vita, e l'onore glielo fida; Onde se csso mancaffe, à cui gli prestò
tanta fede, che gastigo mai li potrebbe trovare de' maggiori, che lo potesse
punire à bastanza , avendo commesso un reato di fimil forta, un mancamento di
buona fede ? Sicchè odiateli pure simili vizj esecrandi, conforme l'abborriya
Ippocrate, non volendo insegnare la Medicina à chi non aveva giurato prima sù
tutte le Deità ciò,che segue, cioè: (1) Nequè cujusquam precibus adducturus ,
alicui medicamentum letale propinabo , neque hujus rei author cro , nequè
simili ratione mulieri pellum subdititium ad fætum corrumpendum exhi
bebo, (i) In Vita Agricola. 11) In lurejuri Hippocr.
[ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] bebo, fed caftam, ab
omni fcelere puram, tùm vitam , tùm diatem meam perpetuò præftabo . Sicchè con
ragione, e con giusti motivi verrà escluso chi mai in fimili vizj cadesse
dall'effer vero Media co, e degno seguace d'Ippocrate, Non è piccolo
difetto nel Medico l'essere troppo curioso di quelle cose , che non fanno al
suo mestiere, conforme tra l'altre sono li fatti domestici de' suoi Infermi;
onde da tal vizio ye ne dovre. te aftenere,perche tal curiosità vi potria
tenere distratti da quel negozio, à cui dovete principalmente applicare, ch'è
il ben dirigere le cure de vostri Infermi, come y'astringe il giurainéro
d'Ippocrate,ch'è questo:In quafcumque domos ingrediar , ob utilitatem
Ægrotuntium intrabo. Mà di più di questa ancora può efa fere viziosa la
troppa curiosità delle cose moderne, e peregrine, e particolarmente ne' Medici
giovani, che non pofsedono ancora la Mcdicina à quellas perfezzione , che fi
richiede ; onde da questo vizio v'asterrete , sì perche vi fa [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] ria divagare inutilmente in cose,
che ancora dal tempo non sono state ben digerite , come ancora vi terria
lontani da ciò, che farà necessario di fare, cioè d'impossessarvi bene di quanto
è stato da molti secoli confermato, à segno, che diverreste periti nelle novità
incerte, rimanendo inesperti nell'accertate da lungo tempo , quali poscia
sentendole vi giugneranno nuove ,. sopra di che mi riporto à ciò, che disli
nella secondas Giornata , nella quale mostrai, come vi dovrete regolare per
divenire Medici. Solo ora vi foggiugno quello, che à questo proposito ne dice
Ippocrate, ed affinche meglio discerniate tutto il vizioso, per tenerlo lontano
da voi: (m) Multæ namque ad ambitiofam quamdam operam comparat& videntur ,
ea videlicet , qua de nulla re utili quaftiones agitant ; E quali siano le cose
utili nella Medicina, lo spiega in appresso soggiugnendo : Priusquàm verò ad
Ægrum ingrediaris , fac cognitum habeas quid agendum fet ;. ple(m) De dec.org.
che pleraque enim non ratiocinatione , fed au» dia xilio indigent :
E se ciò non fosse chiaro ida à sufficienza passiamo al libro De Fractua
cioè ris, dove parlando de' Medici , qui sao da pientiam fibi falsò
arrogant , così chiaracha mente dice : Verùm enimverò multa hoc stil modo hac
in arte æftimari folent. Quod la enim peregrinum eft , nèc dùm conftat an en
utile fit, confueto, quod jam norunt utile elle anteponunt , quodque ab
ufu communi day abhorret ei, quod eft probè cognitum ; e non evi vi sia discaro
di sentire quanto mai à ci proposito redarguisce Ippocrate coloro, ei che vanno
cercando le belle idee : (a) ei Hujufmodi igitur , ubi præellem non tàm
de vi curandi ratione cum illis conferrem, verùm, m ut auxilium ferrent audactèr
peterem : Veo d. nuste enim cognitionis intelligentia apud eito istos Sparfa
eft , cum igitur , bi ex necesitait; te indocti existant, eos ad utilem
exercitaci- tionem cohortor, ubi prçceptorum cognitione .: deftituuntur.
L'Ozio padre di tutti li vizj, se non t; lo terrete lontano da voi, vi potria
farperdere tutto ciò, che di buono aveste mai acquistato; Egli è capace di
farvi nauseare le virtù , d'arrestarvi nel mezo della vostra carriera,
d'abbatęrvilo spișito , e finalmente di trasfigurarvi in quella mostruosa
figura, che più sarà di suo genio, e sențite appunto, come ne parla Ippocrate
di questo pessimo vizio: (b) Quod enim otiofum eft , nilque agit ad
improbitatem viam affectat, ad eamque rendit ; Talmente che per divenire voi
yeri Mcdici, dovrete fuggir l'ozio , deftruttore d'ogni yostro bene; c per ciò
farç, vi dovrete ancora astenere dalle frequenti musiche, dalli ridotti de'
Novellifti, e da altri consimili divertimenti, ne? quali non si puol'acquistare
altro, che dį pascere inutilmente la curiosità, ed il proprio genio , e ciò con
ragione fi puol giudicare tempo perduto, perche profitto alcuno da essi non se
ne ricava. Gran infortunio sarebbe della Me. dicina, quando v'entraffe la
Malizia à corteggiarla, avendo questa già impa rato (h) Dedecenti
babits, [ocr errors] rato adimitare tutte le bạone virtù con finzioni
soprafine , ed in che guisa, ne parleremo più diffusamente in appresso;
Solamente ora vi avvertirò, che se tal? uno di yoi reftasse mai inferrato
da fimi31 le vizio diyerrebbe subito uniforme à 1 quei Medici descritti da
Ippocrace :(9) Qui quidem Perfonarum, quæ in Tragediis producyntur maximè
fimiles esse videntur ; mentrechę farebbe tante comparse difi ferenti,
quante gliene dettasse la sua madi lizia nelle congiunture à lei opportune , ci
mà come termineria la tragedia lo moAd stra Ippocrate chiaramente doppo aver N
avvertito, che Orium , ignavia mali tiam quærunt, soggiugnendo: (d) Hi
enim - Sunt, qui fora frequentant , ruditate, ac Ti infcitia sua imponentes,
& circulis Civita tum verfantes ; Talmente che per non cheffer yoi
posti nel numero di Parabolani necessariamente vi converrà fuggire , afe
e detestare fimil vizio . Il timore, e l'ardire , con tuttoche K 2
sem- (c) In Hippocratis lege. (d) Hippoer.de dec. habitu.
[ocr errors][ocr errors] 2. [ocr errors] sembrino trà di loro
contrarj, nulladimeno vengono molto biasimati da Ippocrate nel Medico,
dichiarandoli in lui per segni viziosi d'ignoranza, dicendo egli : (e) At verò
imperitia malus eft thefaurus , malaque opes reconditæ iis, qui ram tùm
opinione ipfi, tùm revera possident fecuritaris animi, du lætitiæ expers,
timiditatis, & audaciæ nutrix; Ac timiditas quidem impotentiam , Audacia
verò artis ignorationem arguit. Perloche non di potrete nè segúitare, nè
scusare, nè anco sotto lpecie nel primo di circospezzione, e nel secondo di
spirito, perche diversi sono trà loro il timore, e la circofpezzione, l'ardire,
e lo spirito . Il timore vi farà perdere l'occasione pronta , che vi si
presenterà di operare per non faperla voi conoscere, ma non già la
circospezzione, che nasce dal poffe dere molto bene ogni danno , ed ogni
profitto, che ne poffino risultare da ciò, che voi farete, onde questa vi
renderà folamente per breve tempo irresoluti, e fino (e) Hipp Text.
[ocr errors][ocr errors][ocr errors] e fino a tanto, che averete bilanciato il
bene, & il male, e conosciuto, ch'avrete quale delli due prevalga , sarete
prontissimi esecutori di quanto avrete deliberato. L'ardire poi per essere
temerario vi porterà con violenza ad operare , onde non vi farà diftinguere
quando ve ne dobbiate servire , dove, che lo spirito , che vi rende perspicaci,
& accorti, Ve. lo farà ben capire , quando fia tempo. opportuno di farlo,
conforme egregiamente avverti Ippocrate : (f) Temeraria namquè proclivitas, do
promptitudo,quam. vis valdè fit utilis, despectui eft , at confiderandum quando
bis uti liceat. L'Odio è un vizio, che trà li maggiori può divenire il
primo, quando fi stenda fino alli ultimi confini della sua iniquità, cioè alli
benefizj ricevuti, pafsando allora à quell'esecrando reato , che solamente trà
gl'uomini regna, esfendone le bestie più fiere esenti, conforme da tanti esempj
registrari nello Istorie si può comprendere, & in ispecie di (f) In
lib.de Medica [merged small][ocr errors][merged small] K 3 [ocr
errors] [ocr errors] di quel fiero Leone , che nell'Anfiteatro Romano il' véce
di divorare il suo Beriefattore condannato ivi ad bestias, lo difese dalla
violenza delle altfc, mà quellos che si rende più considerabile, si è, che alle
volte' , quanto č maggiore il benefizio, tanto più viene perseguitato
dall'odio, giacchè al parere di Tacito: (g) Beneficia coʻusquè leta sunt , dùm
videntur exfolvi poffe, ubi multum antevenere pro gratia odium redditur;
Darebbe l'animo à voi non dico di seguitare' vizio sì obbrobrioso, e
ripugnante' ad ogni in il pretesto del naturale di chi lo segue ,
inclinato a farlo, per non potersi moderare. Senticenc però prima d'impegnarvi
à ciò, cosa ne diffe ad Ippocrate, quel grand’amatore della giustizia Democrito:(b)
Plerique' verò quæ natur& hoc adSéribentes Benefactorem odio' habent, co
parům abeft ut indignè ferant fi debitores effe puténtur , fed eu pleriquè
artis ignorantiam in se ipfis habeotes, a imperiti (g) Annal. lib.4. [h].
Epiß. ad Damageexiftentes, id quod meliùs eft purgant intero
stupidus enim fiant suffragia. Talche il solo sospetto
d'essere infetti da un fimile vizio, vi renderia incapaci per
sempre di quanto voi bramate conseguire.
Quanto mai sia difficile d'esprimere tutte le trame dell'ingarinoz
ed impostu- ra, sentitelo riferire da Ippocrate in tal guisa : (i)
Difficile eft multorum malorum machinatricem folertiam verbis
exprime- re, cum eorum fit infinitas quædami din bis cum dolofis
conimentis prava mente in- ter le conversentur; apud eos autèm
virtu- tis modus habetur , quod eft deteriùs; men- dacia enim
amant, do in bis fe exercent, voluptatis ftudium extollunt; legibus
mini- me parentes a Certamente che meglio non fi poteva da
Ippocrate esprimere l'inganno vizio tanto diletto da' maližiofi Impostori,
mentre da questi li modi più improprj, che si praticano sono credati per loro
virtù , nè fi seguita da efi altro studio, che della menzogna, nè fi
atten de (i) In epist.Domaget. [merged small][ocr errors][ocr errors][merged
small][ocr errors][ocr errors] K 4 1. avendo de ad altro, che
à piaceri, e diversi- menti, fenz'alcun timore di gastigo. Le
tristizie di costoro non si pofsono mai à bastanza esprimere,
stanteche, fingen- dosi questi Mcdicis con modi improprj.
accreditano li loro medicamenti , non punto di rossore ne di
servirsi di testimoni corrotti, che con menzogna: attestino il gran giovamento,
che das quelli ne ricevettero con tuttoche non se ne fossero mai prevaluti, nè
di ripromettere ne' mali incurabili quella certa salute, che non è in potere
de' Medici, , quantunque espertislimi , il farla conseguire ; In oltre
giudicano graviffimi, e inortali tutti quei mali, benche di sua natura leggieri
, purche rechino aglo Infermi qualche apprensione, affinche credano questi
esfere stati mediante la. loro virtù risanati , e d'avantaggio , per non essere
riconvenuti d'aver errato ne? pronostici, parlano con doppio linguag. gio , à
tal’uno diranno, che quel tale Ammalato deve necessariamente morife,& ad
altri, che deve infallantemente mie [ocr errors] rllanare, per
avere pronto si nell'ano, che nell'altro evento chi contesti la loro, fimulata
perizia in sapere ben prevedere gl’esiti de' mali; Milantano in oltre costoro i
loro grand’arcani, con i quali fi vantano d'avere refuscitato molti, già fatti
spediti da Medici. Solamente dico. no con verità, che in mano loro niuno.
muoja, perche ridotti che li hanno in: pessimo stato di salute, abandonano li
loro Infermi, non potendoli più lusingare con le solite false speranze di
salute, de' quali prima fi servivano per ifmugnere le loro borse. Per
inantenersi poi in creditozli pongono forto alte protezioni, e sfuggono
d'incontrarsi con Medici dotti, ed esperti, non porendo ftare à fronte con chi
ben sa discoprire la loro ignoranza . Al divino Ippocrate furono note alcune di
queste verità, mentre egli (1) così ne parla : Qui igitus in ignorantia
profundo fubmerfi funt , ij prædicta ( cioè l'operare con ingenuità) minimè
percipiunt , cum Medici nomine iz digni [] Intib.præcepat [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] 'digni re ipfà comprobent ; quàm
repente evetti fint , fortune tamén egentes per die vites quofdam
ex anguftiis emergunt viri- que es éventu nominis celebritatem adepti
&c. ed in appreffo : Qui certè ad curatio- nem non accedunt ;
ubi vident miserabilcm effe affectionem, c ejulatibus plenam,
alio- rum-Medicorum congreffum fugiunt; e in altro luogo: (m) Qui
igitur eos reprébena dunt qui viltis à morbo manus non admo- vent ,
non minùs adhortantur ad ea fufci- pienda , quæ attingere fas non eft ;
quàm que fas eft , in eoque apud eos qui nomine tenus Medici sunt
admirationem fibi conci- liant , ab artis verò peritis ridentur.
Mà crescerebbe più oltre ancora l'iniquità di costoro, quando ; che
unisfcro alle loro male arci l'ippocrisiaj conforme che più volte si è
osservato' ins ral'uno di essi,che postosi adosso un'abito di fimulata
penitenza, e' čutto umile con li seguenti artificj procurava di maggiormente
accreditarli. Introdotto, ch'egli era clandestinamente in qualche
cura (m) in lib.de Arte, čura, doppo di aver fatte molie insolite,
ed affetrate offervazioni intorno all'Ammalato, cosi incominciava à parlare :
Io coinpatisco infinitamente li Signori Medici, che lo curano s perche questo è
un male'assai oscuro , e difficile à ben curarsi, non essendo ciò da cutti, fin
qui scorgo , che hanno fatto tutto quello , che sapevano", nè io drdisco
di biasimare ciò, che fino ad ora harino fatto, perche quest'abito ; che porto
in doffo non mi permette di dir male del mio prosimo, nè di togliere la
riputazione à Profeffori cotanto accreditatie tanto maggiormente, che quando
anche non foffe ftato fatto a fuo' dovere ciò, che si è fatto sin’ora', non
siamo più in tempo d'impedirlo, dico bene , che io peccherei mortalmente, se
non' dicelli libera.. mente ciò, che debbasi fatie in avvenire, questo male à
conto mio và curato in tal guisa : Primieramente gli si devono dare i tali, e
tali' rimedi , e dipoi develi fare in questo modo, e ac fi opererà diversamente,
io mi protesto che questo poveroInfermo se ne morirà quanto prima ; e lo.
vedrete con vostro cordoglio. É fe tal uno degli astanti più
prudente lo prega- va d'abboccarsi con li Medici della cura, à fine
di comunicar loro questi suoi sen- timenti, ei ricusava tal congresso,
con pretesto , ch'essendo odiato da tutti li Medici per la sua
ingenuità, e dottrina non fariano mai condescesi à quanto di buono
egli avesse proposto, onde , che reputava non solamente superduo
tale abboccamento , må ancora non pratica- bile da un suo pari, che
deve,per l'umil- tà, che profetava, effere injinico delle
difcordie; onde avessero pure fatto ciò, che ad esli pareva , e piaceva ,
bastando- gli d'aver accennato il gran pericolo, ed il modo
insieme più sicuro da sfuggirlo per mera carità di giovare à quel
povero Infermo così aggravato , non già per in- teresse alcuno, da
cui egli n'era lonta- nisiino. Infinite confusioni cagionarono
simili parole pietose in più cure , stante- che tal’uno de' più creduli,
che vi si tro- vorno presenti, diffe : Sentiste , con che
[merged small][ocr errors] modestia parlava quel sant'Uomo, se non fosse
così scrupolofo, oh quanti errorici averia discoperti, commesli da' noftri
Medici ignoranti in questa cura ! Si vede però, ch'egli intende, perche hà
fatto certe osservazioni particolari intorno all'Ammalato, che non le abbiamo
vedute fare da' noftri Medici. Ed altri di più consigliavano à licenziare tutti
li Medici per farlo curare da esso folo, per-. fuadendofi, ch'egli l'averia
certamente guarito . Quali danni ne riportino li poveri Infermi da costoro, che
Medicorum congreffum fugiunt,gli espresse assai bene, e con pochissime parole
Ippocrate nel sopracitato libro , dicendo ivi; Ægroti verò dolore conflictati in
utrâque improbia tate natant ; cioè in quella dell'ignoranza, e dell'inganno di
simili viziosi Impostori. Quello però, che reca non ordinaria meraviglia
si è, che il popolo più volte caduto à dar fede à fimili viziosi Impostori con
danno notabile, & evidente della propria falute ritorna di bel
nuo nuovo a creder loro , & à restarne insieme nuovamente deluso,
conforme ancora che con tutto abbiano questi nociuto à molti, niuno contro di
essi dell'offesi ne fà risentimento , e la cagione di ciò / non puol'essere
altra, che godono questi quel vantaggio, che hanno le donne di mala vita, da
cui ne s'allontanano molti, che da esse furono danneggiati, nè alcuno contro di
esse ne fà rilentimento proporzionato al male ricevuto', e ciò cre. do, che
segua sì nell'uņo, che nell'altro caso,per la vergogna,che ogn’uno di essi hà
di manifestarsi con atto publico per imprudéte, onde perciò pazienta,e
ţaçe. E finalmente se per disaventura un fimile yizio contaminafle mai il
Media co dotto, ma politico, oh quanti danni ancor peggiori di questi
apporteria à molti, posciacchè inestandosi al ben radicato sapere l'inganno , e
l'impostura , che frutti velenosi mai produrrią unas fimile pianta ? e nocenda
questi senza effere creduti nocivi, non solamente trà l'idioti , mà ancora trå
li più cautelati, e cir. ) ) e circospetti troveriano
lo smaltimento, c per non diffondermi più oltrc, dirò solamente che il Medico
dorco, e politico, quando che fosse divenuto Impostore, avendo egli perduto la
sua ingenuità diverrebbe allora non solamente tiranno de' suoi Infermi, facendo
loro arţificiosamente credere , che da esso depende lą loro falute, anziche la
vita isteffa , e che non poțriano nè pure un momento di più yiyere, quando si
allontanassero dal suo consiglio,& ajuto,mà ancora di tutti gli altri
Professori ingenui , potendoli conculcare à suo piacere per prevalersi egli
delle frodi somminiftrategli dall'inganno, alle quali non potendo contraporre
le proprieşper esserneprivi,conviene loro cedere , per non sapersene schermire,
giacchè Års luditur Arte. Fuggite dunque yoi, che ambite di mantenervi ingenui,
e divenire veți Medici fimil vizio, e voi, à cui specta d'invigilare alla
publica salute. Non tantum tollerate nefas hanc tole lite peftem.
Ded [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors] Del
miserabile vizio dell’Ignoranza poco sarà d'uopo parlarne, sì perche vi è già
nota la sua deformità, sì ancora perche vi vedo incaminati à gran passi per la
strada della sapienza,solamente vi riferirò per vostra consälazione, affinche
prestamente ne diveniate veri possessori di questa, ciò, che Ippocrace à questo
proposito insegnò, con una bella somi glianza , & è: (n) Non alitèr
enim ac Miniftri , & Miniftræ in domibus tumultuantes, ac ceriantes , fi
quando de repente eis hera adfuerit, attoniti conquiefcunt , fimilitèr etiàm
reliqua animi cupiditates malorum, hominibus funt administre, at ubi fapientia
in conspectum fe dederit, tanquàm mancipia reliqui affe&tus difcedunt.
Insegna parimente Ippocrate nell'iscoprire li seguaci di tal vizio il modo da
conoscere li Medici ignoranti, mà di ciò non devo parlarne, perche il mio fine
è diretto à detestare li vizj , fenza andar cercando li viziosi. Non però
tacere devo il gran danno, che questi apportanoalla povera Medicina riferito da
Ippocrate irel principio della sua legge in tal guisa : Omnium profectò artium
Medicina nobilisfima, verùm propter eorum , qui eam exercent ignorantiam c.
omnibus artibus iàm longè inferior habetur . Finalmente con la
Maledicenza terminerò io ancora di dir male de vizji questa è un vizio assai
incivile, perche opera sempre contro li buoni costumi, e contro la civiltà ,
questa certamente non si dovrà seguitare da voi, venendovi da Ippocrate tanto
proibita nel libro : De Medico, che in tal guisa incomincia: Hoc fcripto Medico
imperamus, eo dicimus, dove tra l'altre cose, che coinanda vi sono le seguenti:
Ut animi temperantiam excolat , non taciturnitate folùm, verùm etiàm reliquâ
totius vitæ moderatione , bom nis, ac honeftis fit moribus, & æquus in omni
vitæ confuetudine fe præftare debeat ; Le quali cose come le potrete osservare,
essendo maledici ? Ed affinchè meglio comprendiate quanto il ben moriggerato
Ippocrate odiasse questo vizio, passia L mo [ocr errors] mo à
rillettere ciò, ch'egli dice nel libro De Arte , il quale comincia così :
Non nulli turpitèr in sectandis artibus artifi. cium suum collocant
, neque id, quod facere Se credunt meo quidem judicio obrinent ,
sed Jue scientia oftentationem faciunt aci E poi soggiugne :
Qui verò ea, quæ ab aliis sunt inventä inhoneftorum verborum arti-
ficia contaminare contendit , nequè quida quàm corrigit, fed
à peritis inventa, apud imperitos traduçit . Is fanè prudentice exiftimationem
tueri velle non videtur , fed potiùs naturam fuam, aùt ignoratiam nem malitiosè
prodere : Solis enim artium ignaris, hoc opus competit, qui ambitiofiùs quidem
contendunt , neque tamen improbie tate suâ ullo modo præftare poffunt, ut
aliorum opera, vel recta calumnientur , vel non recta repræhendant : Eos igitur
, qui in alias artes hoc modo invadunt,coerceant, fi poffint , quibus hæc cura
eft, quorumque id intereft. Vedete voi à che segno odiava il divino Ippocrate
li maledici, che voleya , che fossero ristretti , essendo indegni di convivere
tra uomini di ono. re [ocr errors] [ocr errors] re. Crederei, che
quanto hà detto cosi chiaramente , & al propoliço Ippocrate vi pofsa
bastare per odiare un limil vizio, e tanto maggiormente se rifletterete, che
quanto voi direte di male degli altri, altri ancora ne potranno dire di voi ,
ficchè parlate bene degl'altri, Ò tacete Țacerò ancor Ia per non
nausearvi di vantaggio nel descrivervi la laidezza di tutti gl'altri vizj,
sperando , che ciò, che vì hò detto di questi pochi,pofsa baftare, per farvi
prendere odio a tutti gli altri, ed à quel segno , che li viziofi lo porteranno
facilmente alle virtù, qual? odio pero spererei, che in un subbito deponessero
į viziosi , se spogliati per pochi momenti d'ogni loro difetto, si aboccaflero
insieme con effe, allora cofa disebbono sentiamolo da Seneca; (a) Quidquid
opravi inimicorum execrationem puto ; Quidquid timui Dii boni quantò melius
fuit , quàm quod concupivi cum multis inimicitias gefi, & in gratiam ex
odio res L 2 dii (a) De Vita beata cap.2. [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] dii buc. quid aliud quàm telis me opposui
dc. Avere inteso come parlerebbero bene li viziosi se avessero la forte
dili berarsi da? loro difetti solamente per breve tempo, approfittatevene
dunque voi, giacchè per sempre, se vorrete, potrete effere di mente capaci di
conoTcere la loro deformità, e fuggirla. Mà quando mai credeste per cosa molto
difficile di potervene affatto spogliare, fate almeno, che con le vostre virtù
vi si fra. meschi solamente tanto di vizioso, quanto communemente si tollera
nell'oro di lega bassa , c non più , che non arriva ad avvilirlo, nè à fargli
perdere il suo vago Splendore. Passerò ora alla seconda parte per
esaminare se li vizj ermafroditi si possino alıneno tollerare nel Medico.
Per vìzio ermafrodito intendo quello, che dalla malizia , e dall'inganno viene
talmente trasmutato in virtù, che difficilmente si potrà discernere, se prima
non si scoprono le sue parti vergognose, che و [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] che fino ad ora non hanno sapuco,
ne potuto ricoprire. Sia per esempio, se la malizia,e l'in-
ganno vogliono , sono capaci di trasfi- gurare così bene la
superbia in umiltà, l'iniquità in zelo di giustizia , che
diffi, cilmente senza l'ajuto del disinganno , che
scopre le loro vergogne , li potranno distinguere. Nel prino caso
si serviran- no facilmente de' seguenti artificj. Da-
rete à suo tempo voi un'opera alla luce, ò vi riuscirà felice
la cura di un male grave, è cosa facile, che ne abbiate del
compiacimento interno, e questo avvan- zandosi più del dovere, è facile
ancora, che palli à farvene qualche poco insu- perbire, di
quell'opera, di quella bella cura, cosa faranno la malizia, e
l'ingan- no per farvene affatto insuperbire ? Ri. copriranno la
piccola vostra superbian con il manto dell'umiltà , & in
congiun- tura, che sentirà lodarvi gl'insinueranno in tal guisa à
rispondere : Questo non so- no cose degne di lode, sono bagattelle,
non meritano d'essere lodare da un Vir: L3 tuofo suo pari, sono parsi di
un debbole ingegno ; Chi sentirà si limili risposte resterà sorpreso da üná
tanta umiltà, ed állora maggiormente s’infervorirà dilo darvi, entrerà nelli
meriti della causazed allora appunto avranno compito il loro negozio,in farvi
maggiormente insuperbire, che cosa converrà fare per iscoprire le vergogne alla
in ascherata superbia , per conoscere se quella umiltà sia stata vera ; ò
fimulata; bisognerà ricorrere al disinganno, che la scopra. Aspetterà questi
facilmente la congiuntura proposito, & in vece di lodaryi dirà tutto
quello, che la finta yostra umiltà aveva già detto di voi, con qualche par,
ticolarità di più, che sarà vera , sì perche il disinganno non mentisce; sì
ancora perche i chi è capace d'insuperbirli, non essendo di gran prudenzaś può
in qualche cosa trascorrere ; Allora sentendosi la superbia toccata sul vivo
lacererà in un tratto il bel manto dell? umiltà, e da se medesima mostrerà le
fue vergogne rispondendo : Come ! non fono [ocr errors] [ocr
errors][ocr errors] ز sono cose degne di lode? sono parti di un
debbole ingegno sono bagáttelle? sono tutte cose d'eterna memoria ;
voi non le capice, perche liete un'ignorantë. Che ne dite ? questa
è quell'umiltà, che una volta parlava così bene; è forse scu-
sabbile nel Medico avendo questa un naturale si fraudolento? Mi persuado
, che ora, che la conoscere ; non la scuse- rete, anzi la
biasimerete più costo. Nel secondo caso se venisse in pen-
siero à tal’uno, che Iddio non voglia, di promovere al
servigio d'un'Ipocondria- co da lui curato qualche suo
amorevole, mà dovendosi rimovere chi attualmente lo serve, e
competencemente bene, sen- za l'ajuto della malizia, e
dell'inganno.». non si poiria ciò effettuare. Questi cacci-
vi vizi per servirlo, che cosa faranno ? procureranno di
vestire l'iniquità con abito di zelo di giustizia, e che diča
à quell'Ippocondriaco, ch'è vero, che viene servito
bene da quel suo Ministro, mà che premendogli tanto la sua salute,
il suo zelo, & il suo obligo richiedono [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] gli procuri sempre li
suoi vantaggi, ed in ispecie trattandosi di propria salute, e di salute, che
gli premetanto, per 12 conservazione della quale il Signor Tale foggetto nel
suo mestiere unico, che non hà pari, saria veramente à propofito , mà non per
questo è dovere di far perdere il pane à chi lo ferve, si dice solamente, che
lo sappia , che vi è chi lo servirebbe assai meglio, caso che capitasse mai
congiuntura ; Fatti, che hà l'iniquità questi projetti ad un'Ippocondriaco, che
non brama altro, che vivere, con tutto quel di più di male, che sentirà
dire per altre vie di quel povero galantuomo, che lo
serve,procurate da chi vuole lubentrare; Credete voi, che non si
effettuerà fimile tentativo dall'iniquità? Forse prima di otto
giorni farà espugnata la Piazza, perche tanto si batterà, che si farà
brec- cia, e vi si porrà dentro, e di sì bella impresa ne trionferà
la sola iniquicà. Voglio, che sia vero , che il Ato ne sia capace,
má vediamo un poco se il fine è stato retto, e se il zelo digiu-
stizia 1 che il propo [ocr errors] [ocr errors][merged
small] stizia ne fù egli il primo motore? Chi avrà procurato simile ingiustizia
, certainente, che non sarà molto eccellente nel suo mestiere, perche chi è
tale, è ancora giusto , e prudente, dunque ve ne saranno de' più esperti di
lui. Ciò supposto procuriamo, che il disinganno ne faccia le sue diligenze, e
questo facil. mente farà infinuare al sudetto Ippocondriaco, che giacchè hà megliorato
nella mutazione di quel suo Ministro, procuri ancora di mutare il Medico , e ne
trovi un'altro megliore di quello, che ha presentemente, e piacendogli
tal'insinuazione, cd effettuandola, cosa dirà colui, quando si vedrà fuori del
servigio? fi lamenterà forsi del torto, che gli ha fatto, avendolo tanto tempo
ben servito ? mà di chi si lamenterà? dovrà dolersi di se medesimo, perche gli
è stata fatta quell' ifteffa giustizia , ch'esso hà procurato foffe fatta
altrui; Dà dunque a conoscere chi operò in questo modo, che non ebbe per fine
il zelo di giustizia , perche questo non gli è piacciuto, mà forse ne
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] ebbe [ocr errors][ocr
errors] ebbe qualchedun'altro di quelli, che low no chiamati secondi fini, cosa
ne dite voi di questo vizio ermafrodito & vi pare di poterlo scusare nel
Medico; e se ve ne fofreche non credo ; tal’uno trá efi to scusereste forse ?
Io per me lo scuserei nella forma appunto , che diffe di fimili viziofi
Democrito ad Ippocrate: (b) Cum igitur tot indigenas; e miferas ánimas videamus
quomodò eorum vitam ejusmodi intemperantja deditam ludibrio. non bao beamus
2 Molte altre frodi,tramåte dalla malizia, e dall'inganno potrei orá
riferirvij fe non dubitäsli, palesate; che fosseros che tal’uno ( di voi non
dico , che siete di ottima inclinazione ) sentendole riferire se ne potesse
abusare; onde in ciò procurerò con Tacito più tosto Artem oblivionis , quàm
memoria. Avete già udito la gran deformità de' vizj, il danno, che
apportano a'suoi seguaci, ed il non doverfi seguitare ; nè fcufare in conto
alcuno , che possonofervirvi di motivi efficacissimi per tenerli lontani da
vois purche non si siano di già radicati ne' vostri cuori, nel qual caso faria
necessaria la gran Medicina proposta da Ippocrate per isvellere affatto li
vizj, ch'è la seguente: (C) Equidem omnes animi morbos vehemences(che sono
appunto i vizj) insanias reputo ; cùm opiniones quasdam, da vifa rationi
fufcitant, ex quibus fanéscit s qui per virtutem repurgatur.Preparerò dunque
per la Giornata di domani la sudetta Mediciija,dalla quale se ne avrete bisogno
rimàrrete certamente sanatis casos che nò, preservati almeno da fimili
infezioni, in avvenire . Venite tucci, che vi aspetto con desiderio ; perche
sarà Giornata di molto profitto quella , in cui si parla delle virtù.
[ocr errors][merged small] [blocks in formation] Nella quale. fi discorre
dell'acquisto delle virtà, e del bene , che apportano al vero Medico , e se
alcuna di effe fi poffa in lui cenfurare non Vanto mai sia
infelice, e miferabile la condizione umana,lo dimostra. 110 non
solamente li vizj,mà anca. ra le virtù, posciacchè li primi,che tanto nuocono,
spontaneamente in noi germogliano, e le seconde, che sono così utili,
senza reiterare fatiche, & una lun. ga , & industriosa coltura si
acquistano. Appena nasce l'uomo, che in lui subitamente l'ignoranza si
manifesta, e quel primo vagito , che dà n'è il primo contrafegno , mentre non
ne sà ancora il perche egli lo faccia : Cresce, ela malizia fi scopre, l'ira, e
la gola si manifestano ; S'inoltra nella gioventù , e la lussuria si risente, e
di mano in mano , che gl’anni fi avanzano, li vizj tutti un dop
[ocr errors][ocr errors] doppo l'altro fi veggono germogliare; Con
ragione dunque disse Democrito : (d) Totus homo ab ipfo ortu morbus eft
; e ne assegna la cagione : Talis enim ex materno cruore Sanie
permixto promicuit Infelice , e miserabile dunque condizio ne
umana, che per fare acquisto di ciò, che l'è nocivo, punto non hà d'affaticar-
si, perche spontaneamente li vizj li fan- no possessori di noi, essendo
concepiti, e nascendo con noi medesimi, e questa è la cagione,
perche erunt vitia donec homines, dove, che per ottenere ciò , ch'è
di nostro sommo bene dupplicate fatiche si ricercano; La prima delle
quali consiste nello svellere da noi le tanto im- poffeffate radici
de vizj, e l'altra d'an- dare à poco à poco introducendo in sua
vece li semi delle virtù, e ciò non basta, perche conviene ancora di
cuftodirli fino à tanto, che siano assicurate bene le loro radici,
per non essere dove sono se, mentari suolo nativo. E perche ò lante
virtù spontaneamente ancor voi, ccon quel(d) In
epi.2.Damaget. [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][merged
small][merged small] quella medesima
facilità non germoglia.. te in noi per renderci felici? Conosco, che voi fiere
un'attributo divino, ma non per questo, vi dovęte tanto sdegnare di unirvi con
noi, che siamo creati ad im. magine, e fimilitudine di Dio, conosco ancora, che
per ricevervi li richiede abitazione espurgara da ogni iminondezza, pura, e
proporzionata à voi, e se per questa cagione voi state lontane da noi, la colpa
non sarà la vostra, mà bensì di noi medesimi, che siamo quelli, che vi
impediamo l'ingresso, e che ritardiamo si gloriofe conquiste, che ci possono
rendere beati, con trascurare ciò, che voi richiedete Oggi sì, che voglio
far prova di voi per conoscere à che segno liano gli animi vostri generosi, e
se avere ancora acquistato l'uso di ragione , potendo, se vorrete, ciò che si
trova d'infelice in voi commutarlo in prosperità, e ciò, ch'è disgrazia in
fortuna: Accingetevi pure, se ne sarete sprovisti, all'acquisto delle belle
virtù, se ambite divenire Semidei, dicendo apertamente Ippocrate, (e)
ches Medicus Philofophus Deo &qualis habetur ; e cosa voglia intendere per
Medici Filosofi lo spiega divinamente in appresso, cioè quelli, che habent ,
quç faciunt ad demonstrandam incontinentiam, quatuoSam, ac sordidam
profefionem, inexplebilem habendi fitim , cupiditatem , detraa &tionem,
impudentiam ; che sono per l'appunto quelli, che seguirano le virtù , ed hanno
in abbominazione li vizj. Sbandito dunque , che avrete da voi ogni
vizioso inquinamento, e perciò renduti più capaci dell'acquisto delle eroiche
virtù, proporrò in primo luogo ciò, che concerne alla Religione, come quella,
ch'è la suprema di tutte le virtù, & ancora la loro base fondamentale, in
cui sono appoggiate tutte le altre. La Religione quanto debba essere
àc cuore al Medico, sentitelo da Ippocrate: (f) Hactenus igitur cum
sapientia, communionem , eorumque etiàm plurima habet Medicus, nam & Deorum
cognition [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] дет
(C, &f) Hippode $65.0TMnem ipfe potiffimùm animo complectitur , cumque
aliis in affe&tibus , & casibus Medicina multum Deos colere comperitur
duc. e tutto ciò lo afferisce dapoi di avere insegnato, che nella Medicina vi
era ancora: Superftitiofi metus aversatio preAantia Divina . E non solamente à
benefizio vostro ciò converrà , che facciate , mà ancora à prò de' vostri
Infermi, perche venendo ogni bene dal Cielo , nelle vostre più gravi, e
pericolose cure converrà , che non vi fidiate della vostra fola perizia, mà
ancora, che supplichiate Dio, che vi assista con la sua santa grazia à bene
indirizzarle; qual pio sentimento si ritrova ancora descritto in Ippocrate, e
dato à coloro, che disprezzando gli ajuti Divini , fi raffidavano solamente ne'
loro incantesimi, à cui cosi parlò risentitamente; (8) Quos contrafacerc
decuerat, facra facere nimirùm , & precari , ad Templa deducere, Diis
fupplicare ; e sotto dice: Maxima ergò, fceleratisima peccata Deus expiat ,
dapu rificat (g) De morbo facro.. rificat tuteláque noftrâ existit
; e non imitando voi la gran pietà di tanto Maestro come potrete essere
annoverati trà suoi seguaci ? A questa viene in seguela la Prudenza , la
quale è una virtù al parere di Democrito riferito da Ippocrate, che non
solamente fà conoscere, e bene distinguere il prasente, mà ancora fà prevedere
il futuro: (a) At folus hominis sensus recta intelligentia eminùs splendescens.
Quod præfens , & futurum eft prævidet; E questa è quella, che toglie ogni
confufione, e libera da qualunque pericolo chi la poisede : Qui enim hæc ipsa
prudenti cogitatione difponunt , ii & facilè liberantur , meum risum
fubleuant ; E questa non si può ottenere senza prima rimovere da noi tutti quei
vizj, che prevertono la nostra mente, trà quali li principali sono l'ira , la
superbia , l'avarizia , l'invidia, e l'inganno, li quali sono tutti capaci di
farla prevaricare, e renduta che sarà per la mancanza di M que(a)
Epist. ad Damag. [ocr errors] questi quieta, e tranquilla , la Prudenza
con maggior facilità si potrà acquistare. Senza questa bella virtù,
regolatrice di tutte le buone operazioni, non pensate di potere esercitare la
Medicina, perche come vi potrete regolare senza effa , allorche v'incontrerete
in Maláci indiscreti, e disobbedienti, in mali simulati, in controversie con
altri Profeffori, ed in tanti altri emergenti, che vi possono giornalmente
accadere, in quali laberinti vi trovereste? in quante confufioni, se non aveste
la scorta della Prudenza, quali inquietudini provereste se foste privi di sì
bella virtù ? (6) Non poteft effe vita jucunda, à qui abfit Prudentia , come
disle Cicerone; Cni possiede detta virtù hà quanto di buono poffa mai
desiderare, ftanteche (c) Nullum Numen abest fi fit Prudentia. Quindi è,
che Ippocrate fino, che visse non solamente fi fece regolare in tutte le fue
operazioni da questa virtù, come nelle sue memorie si scorge, mà consiglia li
suoi seguaci , e comanda loro insieme à non discostarsi punto dal suo
patrocinio, insegnando ancora il modo per acquistarla, conforme da moltislimi
suoi documenti potrete comprendere , de' quali ve ne riferirò quei soli, che
sono registrati nel libro De decenii habitu , dove doppo aver descritto il
vestire positivo del Medico accreditato, soggiugne : Qui se fe, ex cultus
venuftate , frugalitate, non tàm ad fuperfluam curiofitatem , quàm ad optimam
existimationem, prudentiam, e animi moderationem compararunt; e passando à ciò,
che deve provedersi di necessario con(b) 5.Tufculon. (c)
Juven.fat.10 per il suo mestiere , lo avvertisce, che sia prudente
in farlo, altrimenti : Horum penuria mentis inopiam, at detrimentum affert ; Vuole
anco in appreffo, che usi prudenza in prevedere ciò, che può avere di bisogno
j'Infermo, che non operi con animo turbato, che sedi le confusioni, e li
tumulti, che sgridi l'Infermi disobbedienti,l'intimorisca , mà insieme con
prudenza, che Blandè eos excipiendo, consoletur , confor [ocr errors][ocr
errors] [ocr errors][ocr errors] me ancora, che avverta di non li prevalere di
Sostituti imperiti, affinche de' loro mancamenti non resti esso debbitore, e
quelli , che opereranno in tal guisa cosa acquisteranno? Gloriam tùm apud
majores, tùm apud pofteros fibi comparabunt; e finalmente insegna il modo di
conseguire con facilità la sudetta virtù, soggiugnendo : Qui etfi non multarum
rerum cognitionem habent , earum tamen ufis afliduo prudentiam affequuntur
. Apprendercla dunque ora, che fapete il modo facile per conseguirla ,
caso,che non ne foste proveduti à sufficiene za , per imitarlo anco in
questa. La Giustizia, una delle altre virtù principali confifte, al
parere di Galeno , di dare à ciascheduno ciò, che gli compete: (d) Naturæ
iustitiam in eo confiftere, ut quod unicuique competit distribuat ; E. questa
non la potrete acquistare, se da voi non terrete lontana l'iniquità, con turti
li suoi vizj feguaci, che sono le passioni, l'adulazione, ed altri, che operano
tutto il contrario di ciò, che alla Giustizia piace. Il bene, che
apporta detta virtù è dupplicato, perche non fo- lamente benefica
chi la riceve , mà an- cora, chi l'esercita; chi la riceve ottiene
tutto quello , che deve desiderare, e conseguire, e chi l'esercita non
puoles- sere censurato à ragione, perche le sue operazioni saranno
sempre regolare con giustizia, e tutta quella giustizia, che si fà
, si riceve ancora da altrui, in ciò , che riguarda gli proprj
avanzamenti ftanteche (e ) Fundamentum perpetud coe mendationis,
famæ eft juftitia, fine qua nihil effe poteft laudabile.
Meritamente dunque compete al giusto di fiorire co- me la Palma :
Juftus ut palma florebit, perche conforme la Palma quanto è più
caricata di grave peso, tanto maggiore mente sormonta , così ancora il
giusto, quanto più fi procura deprimerlo, tanto maggiormente viene
inalzato. Questa eroica virtù non solamente
viene incaricata da Ippocrate al Medico [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][merged small] M 3 con (e) Cicero
i.de Offic. con precetti, dicendoli : (f) Æquum autem in omni vitæ
confuetudine se preo ftare debet ; e ne assegna la ragione, fog. giugnendo: Cum
omnibus in rebus multum fit in justitia præfidii; mà ancora fù da lui medesimo
seguitata, conforme in tutte le sue memorie si può rincontrare, trà quali per
non dilungarmi, riferirò solaméte ciò,che si legge in una lettera da lui
scritta al Senato di Abdera, nella quale dicc à tal proposito : Ego verò fi
omnibus modis ditefcere voluiflem viri Abderita , nè decem quidem talentorum
gratiâ ad vos venirem , fed ad Perfarum Regem proficifcerer , ubi Urbes tote
opibus humanis refertiffime occurrissent; e ne assegna la cagione, perche ei
non lo fece foggiugnendo: Regias autèm opes ignominia mihi futuras, opulentiam
Patria inimicam reportaffem, quibus circumaffuens Urbium Grecia deftructor
exifterem ; Antepofe dunque Ippocrate à sì confiderabiliffimi proprj vantaggi
il publico bene, fù dunqu'egli perciò disinteressarissimo,e come tale (t)
De Medico. [ocr errors] tale fece conolcere à che segno amava la
giustizia, non potendolo chi veramente l'ama con prove più demostrative far
costare, che con quelle dell'essere di. finteressato. Custodire dunque la
Giustizia co. me pupilla delli vostri occhi , perche questa è quella , che vi
può rendere feli. ci, non potendoyi mancare cosa alcuna, quando la vostra mente
sia giusta, come viene espresso in due versi esametri scol. piti sopra la Porta
Romana di Marino mia Patria, Feudo Nobile dell'Eccellentiffima Casa Colonna,
che sono: Hic tibi tuta quies, do que cupit odia virtus. Defisietquè
nihil, fo mens non deficit equa , Infeparabile dalla Giustizia deve
effere la Fortezza, pofciacchè non sempre li potrebbe eseguire ciò, che la
prima dispone senza l'autorità della seconda. Ippocrate diede la legge conforme
fi avevano da regolare gl'Infermi,mà ordinò ancora al Medico fuo
Esecutore, che M 4 che in caso di trasgressione de' suoi
Malati fi armasse di fortezza per farla eseguire : (8) Eumque à fuis cupiditatibus
deterreat, bu fimul quidèm cum amaru- , lentiâ vehementèr increpet . E questas
virtù come s’acquista ? con togliere da noi ogni timore, ogni pufillanimità,
con invigorire lo spirito, e rendere l'animo pronto, & obbediente ad
eseguire ciò, che li viene dalla discrera Giustizia ordinato'. Doppio
bene parimente ne nasce mediante la sudetta virtù ; Il primo è , che sono
sicuri gl'Infermi curati da chi è giusto di non essere adulati, ponendosi da
essi in esecuzione tutto ciò, che loro compéte, e non di vantaggio, e l'altro
è, che chi la possiede ne riceve stima , erispetto,ponendo in sogezzione
coloro, con quali si tratta . Örnatevi dunque voi ancora di quefra
neceffaria virtù, dovendo nelle occorrcoze resistere alli'defiderj dopravaci de
voftriInfermi, male avvezziin sanità ز [ocr errors] à cra (5)
Hippode decenti ornatu , [merged small][merged small][ocr errors] *
crapulare giornaliente , e dovendo opporvi à ciò, che fuor di proposito
ver- rà motivato dagli aftanti, come potreste resistere, se non foste
armati di fortezza, e costanza , neceffariamente caderefte
nell'adulazione con danno sì della loro Calute', che della vostra
riputazione ; oltre di che con pochi contradittori vi abbatterete ,
perche conoscendovi di quell'animo descritco da Orazio ;
Juftum ; tenacem propofito virum. Non Civium ardor prava
jubentium, Nec vultus instantis T yramni
: Mente quatit. Per loro quiete più di uno vi
lascierà stare senza recarvi moleftia . La Temperanza è
quella virtù, che frena li noftri (moderati desiderj, e li restrigne dentro i
limiti dell'onesto , e ci rende finalmente padroni di comandare à noi stessi ;
Quindi è, che Democrito, fiinproverando coloro, che hanno defiderj smoderati ,
(h) disse : Et cùm multis dominare velint , fibi ipfos imperare ne queunt
: (3) Hipp. epif.Damag,queunt ; Senza questa bella virtù nelle maggiori
prosperità non si puol godere di quelle e Alessandro il Grandes appena ebbe
notizia, che vi erano più mondi, che subitamente si concristòs e perdette tutto
quel contento, che forli aveva ris cavato dalle coniquifte di più Regni ,
perche gli crebbe subitamente il delide, rio ambizioso di fare maggiori
progrefli. Come s’acquisti questa virtù linsegno Seneca s ( b ) con dire
: Sani erimus , cu modica concupifcemur, fi unusquisque se numeret ,
metiatur fimul corpus , fciatquè hec multùm capere, nec diù pode ; Nihil tamen
æquè tibi profuerit ad temperantiam omnium rerum, quàm frequens cogitatio
brevis avi, a bujus incerti, quidquid facies refpice ad mortem ; Octima Media
cina, e degna veramente di quel gran Morale per moderare i nostri sfrenati
desiderj. E con ottimi sentimenti ancora si ritrova registraro in Ippocrate in
tal guisa: (i) Quod fi quis omnia , quæ facit pro viribus mente verfaret, vitam
ab omni cafu (h) Epif.94. (i) Inepif. Damago cafu immunem fervaret,
se ipfe probè non fcens, fuam ipfius concrétionem apertè intelligens,
cupiditatis ftudium in infini, tum non extenderet, fed naturam divitem, &
omnium alumnam per ea, quæ abundè suppetunt, sequeretur. Quemadmodùm autèm
optimus corporis habitus affectionum periculum denunciat s lic magnus rerum
fucceffüs lubricus eft. Elsendo dunque tanto utile questa virtù, quanto è
desiderabile la propria felicità, la dovreté bramare, e procurare insieme, e
non solamente per vostro proprio bene, ma ancora delli vostri Infermi; perche
se sarece immersi profondamente nelli vostri fmoderati desiderj, avrete la
mente sempre così distratta da quelli, che à tutt'altro penserete, che à ciò,
che possa essere di profitto agli Ammalati, e se pure lo farete, farà cog mence
stanca, per breve tempo, e di paffaggio, doveche avendo roli delide, rj onesti,
questi poco vi affaricheranno la mente , onde avrete campo di applicare con più
attenzione alle cure, e da [merged small][ocr errors] [ocr errors]
inferioris che eravate al negozio, divers sete superiori, alleggeriti che ne
farete, con notabile vantaggio di chi si prevalerà dell'opera vostra. E
tanto maggiormente, che l'offervanža di si bella virtù non fù solamente
incaricata da Ippocrate a' suoi seguaci, comandando loro:(2) Eum quoque
Ipe&t are oportet, ut animi temperantiam excolat, non taciturnitate folùm,
verùm etiàm reliquả totius vite moderatione Quòd ad illi comparandam gloriam
plurimum affert.adjumenti ; Ed altrove: (m) Bonum Medicum minimè impellit ut
fuam atilitatem quærat , verùm ut potiorem fuæ existimationis rationem habeat ;
Itaques longè satiùs eft à morbo fervatis exprobrare, quàm perniciosè
habentes emungere ; Mà di più per darci esempio la volle egli medesimo religiosamente
osservare, po. sciacchè chiamato dal Rè Artaserse, e con che promesse !.(n)
Auri igitur quana fum volet, reliquaquè quibus indiget effuse ei
(1") De Medico. (m) De precept. (n) Ix epift...
Hellefp.Præfee. 6110 ei exhibeto, di ad nos mittita, cum Perform
rum enim optimatibus eodem erit honore; Şicchè la promessa confilteva in
ricchezze, commodi , & onori à quel fegnio, che ne ayeise potuto
defiderare, cosa rifpo e il modeftiffimo ? (0) Quàm celerrime refcribe, nos
vietu, veftitu , domo, omniquè re ad vitam neceffaria cumulatè frui; Pere sarum
autèm opibus uri neque mibi fquum eft; E scrivendo à Demetrio
manifesto anche meglio la sua moderazione, di, cendoli: (P) Rex Persarum nos ad
fe vocavit nefcius mihi potiorem effe fapientiæ , quàm auri rationem; Chi altro
farebbe itato di animno sì moderato in fimili congiunture, che ad una chiamata
di un Rè potentissimo, alle offerte sì grandiofe si fosse potuto contenere con
quella moderazione Ippocratica di ricusarle? Ne crediate, che Ippocrate non considerasse
li vantaggi , che ne poteva riportare, perche in congiuntura, che ricusando,
per non rendere schiava - la scienza Medica delle venalità, li dieci talenti
offer [ocr errors] tigli (0) In epift.2. Hystania (p) In
epift.Demetr. . tigli dalli Abderitani per la cura di Democrito ,
così loro rispose :(9) Ego verò ja omnibus modis ditefcere voluiffem viri
Abderit , ne decem quidèm talentorum gratiâ ad vos venirem, sed ad magnum
Perfarum Regem proficifcerer, ubi Ürbes tot& opibus humanis refertiffimæ occurriffent
dc. divitiæ non funt pecuniæ undequaquè comparat&; Magna enim sunt virtutis
facra , quæ à juftitiâ non teguntur , Jedin apertum fe proferuntur. Ex morbis
quajtum non facio. Sono tutti questi esempi, che provano un'eroica
moderazione di animo, una somma temperanza, e se è vero ciò, che riferisce
Seneca, (r) che Platonc, ed Aristotele ricavassero più profitto dalli costumi
di Socrate, che dalle sue parole. Questi del nostro Ippocrate sono tali, che
possono bastare à togliervi dalIa mente ogni (moderato desiderio per farvi
divenire seguaci di sì eroica virtù , come è la Temperanza, ed allora potrete
con essa ridervi di quelle vagheapparenze di felicità da alcuni tanto apa
prezzate, consistendo tutte in fottilidima superficie, mentre dentro di se, non
altro contengono, che incommodi. Un legno dorato fà una vaga apparenza,mà
dentro di se, non altro nudrisce, che molte tarle , che lo divorano, nè vi G2
discaro à sentire ciò, che ne dice Seneça: (S). Et cum auro teita profundimus
quid aliud , quàm mendacio gaudemus ? Scimus enim fub illo auro feda ligna
lati. tare buco omnium istorum, quos incedere altos vides bracteata felicitas
eft , infpice , e disces fub iftâ tenui membrana dignitasis quantùm mali lateat
. Sicchè la vera felicità non consiste nell'esterna apparenza , non nella
superficie vaga, må bensì nel godere internamente una tranquilla calma, che
dalla bella apparenza esterna più costo viene turbata, che dotta. Hò
cercato, come si fuol dire , per mare, e per terra un ritratto al naturale della
verità pro per farvelo vedere, mà non
l'hd 17 Epiß.115. 1 1 l'hò potuto ritrovare à
proposito, perche, chi l'hà dipinta con il viso coperto, chi dentro un pozzo al
bujo, chi l'hà profondata anco più bassa, onde non sapevo come fare per farvela
vedere , non troyandola delineata in formas ostensibile . Mi venne in pensiero
diricercare in Ippocrate , fe in occasione, che fù per curare Democrito
l'avessi à forte potuto vedere nel suo emi abbattei per l'appunto nel
sogno, che egli fece prima di andare in Abdera , nel quale al vivo descrive la
Verità , ed in quella guisa appunto, che gli comparve in sogno, (t) ve la
descriverò ancora io. Gli parve di vedere, nel primo spuntare dell'Aurora una
bella Dea alta, e risplendente, ornata positivamente, e senza pompa , li suoi
occhi risplendevano come dui scintillanti stelle, ed avendolo preso per la mano
lo conduceva per la Città di Abdera à passo lento, e finalmente nel disparire,
che fece ella gli disse , ch'era la Verità , e che nel giorno pozzo,
se(1) Is Epift.P hilop. 3 [ocr errors][ocr errors] seguente lo
aspettava da Democrito do. ve dimorava. Meritano veramente molte circo.
stanze di questo misterioso logno d'efservi interpretare; La prima delle quali
è la sua maestosa bellezza, e questa denota, che la verità è degna di essere da
tutti amata; La seconda il suo ornamento positiuo, e senza pompa significa, che
non hà bisogno di francie, nè di altri abbellimenti superfui ; La terza, li
suoi occhi risplendenti mostrano , che ella abbia necessità di buona vista,
dovendo vedere , e ben discernere li vizj, che la perseguitano; La quarta, con
il prendere per la mano Ippocrate fà comprendere, che non vuole contraere
amicizia con gente di cattivo costume, perche bene li avvedeva, che
appreffo ad Ippocrate non si accostavano nè la bugia, nè l'adulazione ; La
quinta il condurlo à palli lenti inferisce, che chi vuole andare accompagnato
con la verità non deve caminare in fretta, mà adagio , come faceva Ippocrate.
La festa il dire, che lo N aYC [ocr errors] averebbe
aspettato da Democrito, dove ella dimorava, significa, che non ama le grandezze
del mondo, ne vuole fare la fua comparsa, se non in quei luoghi , dove alla è
conosciuta , e rispettata con fchiettezza, e sincerità. Obella Dea, se
questi sono li voftri fentimenti, date à divedere , che voi fiete troppo
folitaria , modesta, e circospetta; E perche non frequentate luoghi più
magnifici, e non vi fate vagheggiare publicamente ? Forse, che temete di
faziare chi vi rimira con il vostro afpetto, conforme fù detto di Poppea
Sabbina bellissima Dama de' suoi tempi, per non farsi vedere in publico , che
col viso coperto ? E finalmente , perche non conversate con persone di sfera
inaggiore de poveri Filosofi, con quali domesticamente voi trattate? Sapete
come risponderà facilmente la Verità: lo son contenta di ftarmene così
solitaria, perche fono troppo odiata , sentendomi dire da per tutto : Veritas
odium parit ; ed io, che abborrisco di soggiacere à quest' [ocr errors]
odio, per vivere quiera , e tranquilla , son forzata nel mondo à ftarmene folie
faria ; Solamente nel Cielo godo ogni libertà , ivi sono amata da tutii, ivi
sono il Caduceo di eterna pace, e fapete per. che ? Perche ivi l'Invidia non mi
perseguita , l'Adulazione non mi tradisce, l’Iniquità , è la Malizia non mi
possono punto nuocere, come dunque posso io in Terra liberamente conversare ,
senza pormi à rischio di perdere quanto ho di buono, quanto ho di pregiabile,
ch'è ciò, che dico. Se io comparisle da per tutto, non potrei fare di meno di
non incontrarmi bene spesso con miei iniqui, e fraudolenti persecutori, e se
questi, che fanno tante prede mi guadagnassero con lodare la inia bellezza, e
mi facesseroprevaricare , non farei più virtù, onde per mantenermi tale, quale
devo essere sono forzata vivere in folitudine con il mio bene accostumato
Democrito. Avrete da quanto vi hò descritto sin'ora compreso non
solamente la bele N 2 lezzalezza della Verità , mà ancora li suoi
divini costumi, onde fi accinga pure ogni uno di voi à sposarla , perche cosa più
bella , ed utile di questa non potrete ritrovare, e tanto maggiormente, ch'è
affai facile à potervi fortire una simile ventura, bastandole , che
finceramente l'amiate, che farà tutta vostrą. Vi avverto però, ch'ella è
gelofillima, ondę vi converrà per conviverci in pace odiare la menzogna,
l'adulazionc, l'iniquità, e l'inganno, altrimenti vi perderefte in un'istante
la sua grazia. Mi perfuado , che lo farete di cuore, perche Ippocrate ,
ch'ebbe la sorte, come dilli , di rimirarla una sola volta , ccome in sogno, ne
restò così invaghito di ella, che fino, che visse l'amò fedelmente, à segno di
esporsi ad evidente pericolo di perdere tutto il suo acquistato concetto;
Posciacchè nella cura di colui, ch'era avvezzo di vivere à suo capriccio, e
perciò facilmente fù ferito in testa, confesso candidamente di averlo curato
male, dicendo , ivi : Hoc me latuit [ocr errors] latuit sectione
opus habere , deceperunt aux sèm me future.(a) Biasimerà taluno di quelli
che amano più la loro estimazione, che la Verità questa tua confeffione publica
ò Ippocrate, trattandosi di un'errore di questa forta , c tanto maggiormente,
che niuno ti forzava à palesarlo, e ti diranno : Dovevi pure prevedere, che la
maledicenza avrebbe fatto contro di tè quanto poteva per iscreditarti, à cui
egli rifponderia facilmente, se vivesse, non mi dà faftidio, che si mormori di
me, purche io non tradisca la Verità, hò voluto lasciare
quest'esempio,acciocchè li miei seguaci non cadano in simile errore, e segua
pure contro di me quel male ne så seguire ; Sapete, che danno ne hà riportato
Ippocrate da simile confessione ? Due elogij frà gl'altri, capaci à renderlo
glorioso per tutta l'eternità, che sono li Teguenti: Cornelio Celso così
ne parla di questo fatto : (b) A futuris fe deceptum effc (a) L16.5.Epid
<grot.-7. (b) Lib.8.cap.4. N 3 effe Hyppocrates memoriæ prodidit
, more fcilicèt magnorum virorum ; & fiducian magnarum rerum habentium; Năm
tevia ingenia ; quia nihil habent, nil fibi detrahunt; magno ingenio, multaque
nihilominùs babituro convenit etiàm fimplex veri errò: ris confeffio;
præcipuèque in eo ministerio , quod utilitatis causâ pofteris traditur, ne qui
decipiantur eâdem ratione ; qua quis antè deceptus eft. Quintiliano
ancora lo commenda in tal guisa: (c) Hyppocrates clarus in Arte Medicâ videtur
honeftifimè fecife , dùm proprios quofdam errores confeffus eft , boc fine , nè
posteri peccarent. Certamente, che non avrebbe riportáte tante lodi
Ippocrate, se avesse tenuta celata tal verità, e se non avesse confessati li
propri errori, non li darebbe tanta credenza à ciò, che dice. Dunque
animateyi voi ancora à ree guitare un sì glorioso Maestro, e non remete dalla
Verità , che sposerete , doverne riportare alcun svantaggio, anzi
te (c) Lib.z. cap.8. [ocr errors][ocr errors] tenete per
infallibile di poterne voi ana cora ricavare glorie immortali. Il
difensore maggiore, ch'abbia la Verità è il Disinganno, egli è quello, che
discopre ciò, che si fà contro di essa, che impiega ogni sua attenzione , &
efficacia à suo prò, non prendendosi alcuna soggezione de' vizj, anco maggiori,
in manifestare le loro iniquità; Hà finalmente tal possanza, che qualunque
Verità più occulta la rende palese à tutti Niuno senza il di lui ajuto sarebbe
capace d'avvertire alli proprj errori ; onde converrà se vorrete seguitare la
Verità paffare con esso lui ancora buona corriso pondenza , rispettarlo, e
farvelo vostro amico di confidenza ; Vi avverto però, che se vorrete veramente
confederaryi con il Dilinganno, non dovrere effere ostinati, nè pertinaci nella
vostra opinione, perche altrimenti nel meglio vi abbandonerà , onde converrà di
farvi regolare in tutto da lui , e vedrete come vi favorirà nelli maggiori
vostri bifogni. Se non si fosse fatto regolare Ippo: crate da questa
eroica virtù, come mai fi sarebbe potuto avvedere del sopr’accennato errore, e
d'altri, e proprj, e del Medici suoi coetanei , che egli riferisce ; Certo è,
che se fosse stato pertinace nella sua opinione il Disinganno non gli avrebbe
fatto conoscere la Vericà qual' era , & in ispecie nel caso di
quell'Ancella di anni dodici, nella quale ei confessò,:(d) Hoc cognitum eft
rectè fe&tione opus habere , fecta eft autèm non velut opportebat , fed
quantùm reli&tum eft , pus in ipso factum est ; Et in questo confeffa, che
non fù fatto il taglio à suo dovere . Nel male di Eupolemo, chi gli averia
manifeftato:(e) Hic videbatur biberari pofle, fa unicâ amplå feftione fectus
fuiffet ; E perche non si fece ? Mortuus eft. Conforme ancora nel caso di
quell' Uomo quafi leproso, (f) che andando al bagno di acqua solfurea guarì dal
male,che aveva, mà morì poscia Idoprico per la retrocesfione del primo; E di
Scamandro, (8) à cui gli accelerò la morte un potente folutivo, come avrebbe
possuto dire : Videbatur plus temporis fubstinere potuille. nisi ob vim
pharmaci; E nel figlio di Teoforbo :( 6 ) Huic exulcerats est alvus fortitèr à
magnâ pharmaci vehementia , moru tuus eft autèm tertiâ die poft potionem ;
Nella moglie di Antimaco , à cui : (i) Datum eft potu Elatherium vehementius ,
quàm opportebat, pou mortua eft circà mediam noctem; In quell'uomo Eubeo, (i)
il quale:Cùm bibiffèt pharmacum expurgans fres dies purgabatur, e mortuus eft ;
E nel caso di Artandro, (m) il quale : Sanus erat à catapotio extinctus eft ; E
finalmente in quello di Trinone , (n) lasciando di riferirne altri : Cùm ad
nervum fanè parum medicamentum erodens fuiset adhibitum, opistotono mortuus
eft. Dunque queste utili memorie, che noi leggiamo in Ippocrate tutte le
dovemo al Disinganno, che gliele fece cos nofcere. Ovirtù così sublime, perche
ancora non consigliaste tanti altri Profeffori eccellenti, che scriveffero
ancor esli con questa Ippocraticà ingenuità nello scoprire li propri errori à
pofteri; Quanto bene averia apportato à noi simile verità; Hanno scritto; è
vero, molo te mirabili osservazioni, mà hanno ancora con quelle più tosto
cantato li loro trionfi, che compianto le altrui sventure. Fate almeno, che li
secoli venturi godano di questo bene , & à voi toccherà di ereditäre ò
Giovani ingenui questa purità di scrivere Ippocratica ; se vi uniformcrete
conforme egli fece alli consigli del vostro disinganno: yemo (g)
Epid.lib.5.&gr.15. (h) Ep.lib.5.&gr.17. (1) Ep. lib.s. agr.18. (1)
Ep.lib.5.agro3s. (m) Lib.s. agr.42: (a) Lib.gi .gr.74 7 La Vigilanza
à che segno sia neceffaria nel Medico , ne dà non piccolo contrasegno il
sagrificio, che bramava Esculapio del Gallo, fiinbolo della vigilanza, volendo
facilmente quell'antico Nume della Medicina far capire a suoi seguaci ciò
medianto, che desiderava da essi, più d'ogn'altra cosa , la vi [ocr
errors] ) [ocr errors] vigilanza, e con ragione, stanteche nella Medicina
: 60 ) Occafio præceps; occafio in que tempus non multum ; E se à prenderla
quando si presenta , non li fà con atten zione è cosa facile di perderla , con
dia scapito di ciò, che si poteva ottenere in vantaggio dell'Infermo ; Quindi
è, che Ippocrate dà titolo di ottimo Medico à colui solo; che prevede le cose
future, dicendo :(p) Medicum prænotionem adhibere optimum effe mihi videtur ;
Prenoa scens enim , & prædicens apud ågrotos, da prafentia, &
præterita, & futura ; E questo non già per altra via , che per quella
della vigilanza , si può ottenere. Per conferma di ciò fà à proposito la
somiglianza, che apporta Ippocrate (9) del Medico con il Governatore della
nave, che si ritrova in tempeita, à cui non conviene già dormire per non
sommergersi insieme con il suo baltimento trà l’onde; Ed in verità yi converrà
essere nelle vostre cure molto circospetti, e vigilanti, non (0)
Hipp.Præceptiox. (9) De veteri Medio. (p) Di Prenot.
non essendo sufficiente la fola vostra pea tizia , mentre che al parere
d'Ippocrate: (r ) Bonis autèm Medicis fimilitudines pariunt errores , ac
difficultates; E cresce maggiormente à tempi noftri tal neceffità per
cagione della separazione, che ha fatto la Medicina dalla Cirugia , e Farmacia,
perche fe allora baftava una parte di vigilanza , dicendo il detto Ippocrate :
Nec folùm feipfum præftare oportet opportuna facientem, verùm, e agrum,
affidentes de exteriora, a' quali dovendo invigilare il Medico, acciò non
trascurino di fare ciò, che da esli si deve, ora maggior obligo gli corre di
dupplicarla per questa nuova aggiunta. Nè vi riferirò, per perfuadervi ad
essere vigilanti, l'esempio, che ne diede in se stesso Ippocrate, per non avervi
à ripetere tutto ciò che abbiamo di esso, mentreche non fi legge nelle sue
opere cosa che non denoti una somma avvedutezza, una grandissima vigilanza ,
& in ifpecie ne' suoi pronostici, ne'quali fi puol (r) Epid.
lib.6.dift, &: puol dire con ragione, che ancora de Bercore collegit
aurum , onde spero , che con rincontrarle ocularınente à fuo tema po, sempre
più vi crescerà lo stimolo di efsere vigilanti, e tanto maggiormente ne sarete,
quando in quelle leggerete, (che : Vigilantia verò &c. ad vitæ boneftatem refert
. Majorem enim apud alium fibi gratiam conciliat, fi ad artem traducatur ,
eique decus, ob gloriam comparat ; & in appresso: Bonus Medicus vigens
ipfus artis opifex nuncupatur. Della Vigilanza è compagna inseparabile, e
fedele la fatica , la quale per essere opposta all'Ozio padre di tutti li vizj,
li può chiamare madre di tutte le virtù, e questa nella Medicina è cosi
essenziale, che senza essa è impoflibile di poterli acquistare, esercitare, ed
ampliare , A voi dunque, che desiderate essere veri Medici converrà
accingervi à triplicara facica. La prima vi servirà per fare acquisto della
Medicina; La secon dada per impiegarla nell’efercizio di effa , ela terza
finalmente per lasciare degną memoria di voi in ampliarla à quel fegno', che vi
farà permesso dal vostro ingegno. Già della prima ne fù discorso nella
seconda Giornata, nella quale fù moftrato ciò, che si debba fare per conseguire
la buona pratica ; mi resta fola. mente ora da soggiugnervi, che quella sola
non può bastare per farvi vivere ripofati , e senz'altra briga , ftanteche
quantunque, fia sufficiente per potere esercitare la Medicina, nulladimeno per
essere ancor voi annoverati trà Proferfori più esperti, e capaci di dare più
accertati consigli vi converrà infino al fine di voftra vita faticare in fare
sempre nuovi acquisti, restandoyi tuttavia molto da apprendere, sì per
incontrarvi alle volte in mali non più osservari, conforine Celso avvertì ,
dicendo : Sæpè vero etiàm nova incidere genera morborum , che per essere la
Medicina scienza sì va#a, che niuno fin'ora ha potuto scoprire li suoi ultimi
confini, nè Ippocrate, nd tampoco Esculapio, che ne furono l'Inventori ,
conforme egli confessa ingenuamente :(t) Ego enim ad finem Medicinæ non
perveni, etiamfi iàm fenex fim, nequè enim ipfius Inventor Esculapius.
Quale appunto debba essere la seconda fatica nel professarla, così ve la
descrive: (1) Crebro ægrum invife diligentem considerationem adhibeas, ut iis,
qui decepti sunt per mutationes accurras; Facilior enim tibi cognitio fuppetet
, fimula què te promptiùs expedies • Instabilitèr enim moventur quæ in humidis
confiftunt. Questo testo è così chiaro , che non hà bisogno di dichiarazione
maggiore, ris' chiedendo da voi Ippocrate nell'esercizio pratico la fatica
unita alla vigilanza, e facendo voi in questo modo vi assicura, che minori
brighe avrete, perche presto tirarete à fine ciò, che facendo con trascuraggine
vi apporterebbe maggiori incominodi, La terza fatica è arbitraria, e
viene fo(t) In Epif.Democt (0) De decenti babiru. [ocr errors]
folamente abbracciata da quelli fpiriti investigatori, che hanno unita la
vivacità dell'ingegno alla prudenza, e questi per il desiderio , che
hanno di eternare li loro nomi, riescono in tale opera profittevoli, de' quali
credo , che frà voi ve ne farà caluno abile, dal quale spero non si ricuserà
fatica sì gloriosa,abbracciata, e consigliata insieme da Ippocrate, dicendo:
(*) Nunc verò ea , quibus summo studio prudentes incumbere debent, partim
quidèm à majoribus excerpta, partim verò etiàm nunc per nos inventa ad te
fcripfimus. Nè delista taluno di voi, che sia abile à sì gloriosa impresa
d'effettuarla per vedere impallidito di volto, emaciato di corpo, &
invecchiato prima del tempo chi abbracciò fimile fatica; posciacchè da
quell'emaciazione di corpo, da quel pallore di volto, e dal comparire più
vecchio, ch'egli sia, gran benefici ne hà ritratti che sono,maggior vivacità di
mente , senno, e prudenza. Mà (x) In Epif ad Reg.Demetr. [ocr
errors] Mà quando ancora da tal gloriosa cagione ne risultasse qualche fisico
svantaggio, fi bilanci qualsia peggiore, se quefto, ò pure quello, che ne
proviene dall'ozio; e si vedrà senza fallo, che l'oziofi non solamente sono
soggetti ad infermità peggiori di quello fieno gli ftudiofi, mà ancora , che
terminano più presto la loro miserabile vita , onde non è prudenza il temere
ciò, che può recare minor danno per andare in traccia à ciò, che ne può recare
maggiore, e con lo svantaggio di più, che à prò degl'affaticati Letterati stà
sempre preparata un' eternità di gloria, dove, che à danni de gl’oziofi una
perpetua ignominia. Non mi stenderò di vantaggio in esaminare le altre
virtù , che restano perche vi si richiederia più tempo di una sola giornata, e
tanto più , che poffedendo voi le già descritte vi si renderanno famigliari
tutte le altre; Solamente del più bel frutto , che producono le virtù , ch'è il
buon costume, non sarà fuori di proposito oggi parlarne , stante
che che questo da Ippocrate viene stretta. mente incaricato al Medico ,
per farvi conoscere insieme à che segno egli lo profeffava . Il buon
costume è un'abito essence ziale per la vita civile, acquistato solamente da
chi poliede un'aggregato di moltiffime virtù', trà quali risplendong la
Prudenza, la: Sincerità, la Gratitu, dine , l'Umiltà, la Discretezza , la Bez
nedicenza , l'Urbanità, e la Conyenienza, e questo abito deve essere
continuato, perche fe la Superbia , l'Ira , l'Ambizione, & altri vizi di
fimile perversa natura l'interrompono, il buon costume passa fubitamente in
cattivo, Chi hà la forte di poffederlo è ricchisiino, mentre hà un tesoro, del
quale quanto più ne fpende , tanto più resta in capitale ; Per csempio, chi hà
il buon costume di lo-, dare, non solamente non riceve alcun discapito dalle
lodi, che dispensa, mà n'è perciò egli ancora lodato. Devesi nondiineno usare
prudenza in non eccedere molto con affettazione ne' buonicostumi, ftantęche
alle volte, quando sono soverchiamente adoperati, e con affettazione nauseano,
& in vece di apportare del bene,fanno del male, e tanto maggiormente,
quando ciò viene regolato da qualche secondo fine, nel qual caso la lode
istessa può essere nociva, e perciò ebbe à dire Tacito ; Peffimum inimicorum
genus laudantium. A che segno sia necessario al Medi, co il buon costume,
mediante il quale viene colta ogni ambiziosa contesa, lo dimostrò Ippocrațe
doppo di aver fatto , conoscere la necessità , che vi sia di consultare con
altri Profeffori li mali oscuri, soggiugnendo : (a) De eo minimè am. bitiosè
contendere , fe ipfos ludibrio exponere; Pofciacchè fimil maniera non è propria
de' Medici racionali, mà solamente di quelli triviali, che : Forenfem queftum
fectantur , conforme egli dice in appreffo. Nè solamente il mal costume
pone in discredito chi lo esercita , mà passt O 2 per [a] De
Præcept, و 'per causa sua ancora nell'innocente Medicina la
calunnia ; L'esempio è chiaro : Contrasteranno due Medici tra di loro
acerrimamente, se fi debba, ò no dare un'orzata in un male acuto, se debbali, ò
nò colare,fe prima debba darsi, ò doppoi il seccimo giorno, e se sia
praticabile ayanti, che il male sia terminato, le quali essendo questioni
inutili, e come fi fuol dire , di lana caprina , perche con l'esperienza fi può
rincontrare se ne posfa feguire quel gran danno, che si figura chi contradice,
onde finili contese non poffono à mio credere autenticare al che
l'imprudenza, e mal costume di chi le promove, e picciol male recheriano, se la
colpa di ciò restafse trà li foli Artefici altercanti, il peggio è, che ne
passa alla Medicina la calunnia; Quest'esempio non è stato inventato da me,
ritrovandofi descritto da Ippocrate così bene, che non vi recherà punto di noja
il sentirlo riferire : (b) Que igitur ignorantur bee funtó quanam de causâ in
morbis acutis, quidam Medici toto vita tempore in Ptifanî non colatâ exhibenda
perfeverents rectè fe curare existiment; Quinàm etiàm omni ratione contendunt',
ne ullo modo hordeum æger devoret , quoad indè magnum fecuturum detrimentum
exiftiments morbis (b) De ration. Tic.in morbiacut. tro,
verùm per linteum excolantes ejus fuccum porrigunt . Horum etiam nonnulli ,
nequè Ptisanam craffam , neque succum exhibent, ubi quidem dùm feptimum diem
eger attigerit , alii verò dùm in totum morbus judicatus fuerit ; E ciò, che da
simili altercazioni ne fiegua l'esprime in tal modo : At verò Ars tota magnam
quidèm apud vulgum calumniam fubftinet , ut nullam omninò Medicinam efe
exiftiment a kquidem in acutis morbis, in tantùm inter Te diffentiunt Artifices
, ut quæ alter exhi. bet, veluti optima reputans , etiàm mala alter exiftimet.
Due ingiurie vi farei nel medesimo tempo , se pretendesli d'insegnarvi il buon
costume: una saria di riputarvi male accostumati, che per ļa Dio grazia
non siete, e l'altra di credervi stolidi, ed incapaci di ragione , per
non esservi approfittati di ciò, che vi disli, detestando quei vizj, che
costituiscono il mal cos ftume. Continuare di buon'animo á fuggire li vizj, e
seguitare queste virtù, che vi hò mostrato, e non dubitate , perche Hi vostri
buoni costumi in breve diverranno ottimi, & acciò possiate conseguire con
più facilità fimil sorte vi rappresenterò alcuni costumi eroici d'Ippocrate, li
quali vi potranno fervire di norma in moltissime vostre occorrenze , che vi si
presenteranno facilmente à suo tempo. Egli fù così esemplare
nell'offervanza degli ottimi costumi, che non sò fe trà Medici ( alla riserva
di quelli dia chiarati già Santi) ve ne sia stato, ò ve ne sia di presente ,
chi lo possa uguagliare La Pietra del paragone per cono. fcere se il
costume sia ottimo sono li onori, ftanteche honores mutant mores , onde quando
l'onorato non cambia li fuoi costumi in peggio per cagione dell? onore
ricevuto's tenete pure per certo, che ) che il suo costume
sia ottimo. E la ca. gione di ciò è, perche con gli ottimi regna l'umiltà in grado
eroico, e dove è questa , la fuperbia non s'accosta, fa. pendo per esperienza,
che inutilmente impiegheria ogni sua fatica, e la superbia è quella, che
perverte il buon co. stume , mà contro l'ottimo non fi ci meriti,
) Che Ippocrate abbia ricevuti onori fommi non trovo fi controverta da
ale cuno, mentre fù chiamato dal Rè potentiffimo Serse, con promesse di ciò,
che egli avesse saputo desiderare, oltre di costituirlo Magnato della Persia,
fù cre duto ancora, che discendeffe dal Dio Esculapio, che fosse in grazia del
Rc Demetrio', e di molti altri Potentati, e finalmente, che ricevesse dagli
Ateniefi onori maffimi, non solo umani, mà ancora divini effo vivente, come
costa per Senatus Consulto, ch'è questo : Ut igitur conftet Populum Athenienfem
Græcis femper utilitèr confuluife , utquè dignam pro meritis Hyppocrati gratiam
referat, decrevit Poo 0 4Populus ut is magnis mysteriis ; Hor fecùs
at Hercules Jovis filius publicè initiaretur, O coronâ aureâ mille aureorum
coronaret tur. Coronam ipfam Quinquatribus magnis in gymnico certamine pręcone
proclamante, omnibus Coorum liberis liceat non fecùs às Atheniensium
Athenis pubertatem ageres quod coram Patria ejufmodi virum proCreavit,
Hyppocrates verò, ut Civitatis jis re, victu in Pritaneo toto vita tempore
donetur. E questi commi onori qual mücazione produsero ne' suoi costumi?
niuna appunto, mentre non furono capaci di farlo insuperbire, come fi legge
nella sua lettera , che scrisse già divenuto vece chio à Democritó : Et ego
fanè plus repræhenfionis , quàm honoris ex arte mihi confecutus videor ; Vedete
quanto stimava l'onori maslimi, e se s’infuperbivad punto di quelli, credendoli
inferiori ad una picciola riprensione , dico picciola, perche delle grandi non
n’era capace un’Ippocrate . Più gli premeva , per quanto li può congetturare
dalla mede fima lettera, la cagione delli ònori,mentre mostrava di
dolersi, che eisendo diyenuto già vecchio non era potuto ancora giugnere à
tutta la perfezione dell' Arre; volendoci forsi con questo far conofcere, che
non sono tanto pregiabili gli onori, quanto è la cagione, che li produce, ch'è
la virtù , la quale dipende tutta da noi, doveche gl'effetti di quella
dipendono dall'altrui volontà; Avendo dunque Ippocrate resistito à non fare
alcuna mutazione nelli suoi buoni coftumi in tanti, e tali onori ricevuti, è
contrasegno evidente, che foffero arri. vati al grado dell'ottimo , nel quale
solamente, come fi è mostraro, sono im.mutabili li costumi. Che vi sia
stato à luo tempo, ò dapoi fino al presente chi abbia.conseguito limili onori,
non se ne ritrova memoria, per quanto fia stata cercata, onde non hà
alcun'altro Medico avuto occasione, doppo di lui di mostrare ugual costanza del
suo buon costume in fimili prosperità; Ricevendo dunque voi onori,
faprece [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] con l'esempio di un tanto
Éroe, confora me vi doyrete contenere affinche le prosperità, che ne risultano
da esli , non vi facciano, conforine appunto fecero prevaricare li antichi
Romani, che fusono ne' primi secoli della Repúblicas esemplari in bontà, mà
avanzandoli pom fcia nelle ricchezze andavano declinando , e finalmente
nell'auge delle loro felicità, e grandezze da buoni divennes ro cattivi , onde
con ragione esclamò Tacito : Felicitate corrumpimur. Mi di{piacerebbe però
sommamente,che simili sventure si verificassero in voi, perche goderei vedervi
tutti esemplari, e degni imitatori d'Ippocrate, non solamente nella dottrina,
mà ancora negli ottimi costumi Mi rimane per totale conferma del mio
intrapreso assunto di corroborare con altri esempi ciò, che hò proväto con le
ragioni ancora. Il primo de'quali sarà di farvi vedere, con quanta
civiltà egli scrise de gli antichi intorno à quelle cose che effi
11011 [ocr errors][ocr errors][ocr errors] non sapevano, e che furono
dalla sua induftria inventate . Dice egli intorno la regola del vivere : (c)
Alii quidem aliud ättigerunt, totum verò nes unus quidem adhùc ex his , qui
antè extiterunt ; Neque tamen eorum quisquam reprehendendus , quòd invenire non
potuerint ; quin potiùs Jaudandi omnes'; quod quædam inveftigao tione aggreffi
fint ; Neque ergò que recta dieta non funt argüere decrevi , fed his , qué
abundè funt cognità affentiri in animo habeo ; quæ igitur ab iis , qui antè nos
fuerunt reétè di&ta funtzde bis fieri non poteft fi alitèr ferihatur, ut
reétè fcribam, quæ verò non rectè dixerunt fi ea quidem , quod ità non habeant
redarguero nihil profecero ; E cosa abbia fatto in questo caso lo dice in
appresso, cioè: Que non rette fuerint cognita aperiam; Quin etiàm qua corum
nultus , qui antè me fucrunt explicare aggreffus eft qualia fuerint demonftrabo
; Ed altrove con chę prudenza ne parla:(a) Sed nequè de victus ratione
quid quàm [c] Dx viftus ratione lib.i. [d] De ratione vitus
in grutis. [ocr errors] quàm effatu dignum veteres fcriptis tradiderunt
, eamque , quamvis magna res fit, omiserunt s Varia tamen morborum fingua lorum
genera , multiplicemque eorum divid fionem non ignorarunt quidàm. Avete of
servato con che creanza , con che giua stizia; e con che prudenza ne parla un'
Ippocrate de' suoi Antichi, scusandoli in ciò, che non seppero, e non
pregiudicandoli punto in seguitare, e confeffare ciò, che di buono efi dissero;
Si è praticato questo buon costume da alcuni de' noftri Moderni verso li
Antichi? Mi pare di leggere, per dire il vero, più tosto il contrario, anzichè
mi sono avveduto, che taluno di efli há palleggiato con tal fasto invidioso
dace sopra quelle gloriose ceneri, che ne sono rimasto molto scandalizato,
rifettendo, che Ippocrate con li suoi Antichi diversamente faceva, nė vi
riferirò da vantaggio per non farvi nauseare di ciò, che essi ancora hanno
fatto di bene .; Per fecondo vedremo, come egli fi portò in quelle cose,
che lo toccavanoal vivo. Gli pervennero à notizia alcune predizioni
(e) credute da Prospero Mar. ziano suo Espositore accurato, Astro-
loggiche, che appresso gli Egizj si prati- cavano in quei tempi, che
erano alli Greci ancora ignote, le quali non li pia- cevano,
mentre disse : Egnautèm hujuf- modi vates effe nolo ; e con
ragione, per- che gli pervertevano ciò, ch'egli con
tanta diligenza aveva ricavato dalle proprie offervazioni intorno
alli prono- stici de' mali, e che aveva appreso dagl'
altri, e pure con questa modestia si con- tonne : Prædictiones
Medicorum referun- tur permultæ tùm præclar& , tùm
admira- tione dignæ, quales neque equidèm prædixi,
neque quemquàm, qui prædiceret, audivi; e cosi destramente se
ne liberò senza contradirle . Questa maniera sì dolce
non è stata già praticata nel giugnere à notizia tante belle
invenzioni Anatomi- che ; contro la circolazione del sangue
cosa non fù detto mai? Senza possedere un'ottimo costume non
fi può lodar ciò, che (e) Lab.2.Prædi&ionum [ocr errors]
che perverte un'abito fatto da lungo tempo, e che si è praticato per lunga
serie di anni. Per terzo riferirò comę egli firegelaya quando era
necessitato à palesare qualche errore commesso. Questo lo faceya senza
individuarne l'Autore, ece cettuatone li proprj, li quali publicamente
confessava , come già fentiste, parlando del disinganno, e questo, da chi vien
praticato Solainente d'Ippocrate fi racconta fimile ingenuità, & in caso
ancora, che abbią apportato laws morte, Per quarto finalmente per far
trionfare la sua gran bontà riferirò il giuramento, ch'egli fece, che nella
Medicina à suo tempo non vi era alcun Medico razionale, (f) che non fosse di
buoni costumi, e questo giuramento, chi lo farebbe à tempi nostri ? Onde
bisogna neç ffariamente confeffare, che unico fia stato Ippocrate non solamente
nella dottrina, mà ancora nell'ingenuità de' co stumi; [f] In lib.de
præcept, [ocr errors][ocr errors] ftumi ; Sicchè con ogni giustizia li
com. pere il principato nella Medicina, che egli da tanti secoli
pofliede. Dovrete yoi dunque per essere tee nuti degni, e veri suoi seguaci
non folaa mente abbracciare,& uniformarvià ciò, ch'egli scrisfe in Medicina
, mà ancora ftrettamente osservare quanto nella morale si debba fare, ftimando
forG il buon' Ippocrate più necessarj li buoni costumi al vero Medico, delli
suoi Fisici docu. menti, mentre questi li lasciò in libertà di ciascheduno di
seguitarli, mà li primi con giuramento forzava tutti ad offer. varli
esattamente, obligandoli a giurare di essere grati, di vita incolpabili,
onorati, casti, giusti, modefti, pudichi, fedeli , e di somma segrerezza , e
sentite sotto che pena l'obligava: Hoc igitur jusjurandum , fi religiosè
obfervavero, ac minimè irritum fecero , mihi liceat cum fummâ apud omnes
existimatione perpetuò vitam felicem degere's & artis uberrimum fruEtum
percipere , quod fi illud violavero, pejeravero , contraria mihi
contingant ; E quan [ocr errors] E quanto mai il buon costume nel
Medl att [ocr errors] mente si può comprendere da ciò,
dice nel libro Di lege : Quifquis enim Medicine scientiam
fibi vere comparare volet eum his ducibus voti fui compotem
fieri oportet natura, dottrina , moribus generofiss è chiunque di
questi ne farà privo, come uomo profano, diverrà im-
meritevole gli sia dimostrata una scien- za sì facra ,
conforme e la Medicina, soggiungendo ivi : Hæc verò cum sacra
fint , facris hominibus demonftrantur , pro- phanis verò nefas,
Sono dunque, secondo la mente d'Ippocrate , effcnziali nel Medico le
virtù morali , e nientemeno di quello fieno li documenti Fisici, ed in
conseguenza ancora come tali apporteranno necessaria- . mente un commo bene al
vero Medico , non potendo esser tale, se non ne farà ornato à sufficienza,
conforme in termi. ni precisi più diffusamente lo dimostra lo stesso Ippocrate
nelli libri De Medico, © De Decenti ornatu, e nel libro De Pre و (
9 ceptionibus , ove affinche non se ne possa dubitare l'attesta con prova
legale, cioè mediante il suo giuramento, ch'è questo : Hoc namque jurejurando
affirmare audeam , Medicum ratione utentem , alterum nunquàm invidiosè
calumniaturum, fic enim animi impotentiam prodit. Verùm id potiùs faciunt , qui
forensem quastum seEtantur . Sicchè per essere veri Medici razionali
dovrete essere ornati di virtù , e non contaminati da’ vizj , conforme sono
quelli, che per essere meri mercenarj non meritano il titolo di vero Media co ,
quantunque fossero nelli documenti Medici versati ; e perciò saggiamente egli
nel libro De Lege asserisce: Non folùm verbo , fed etiam opere Medici
existimationem tueri oportet; ch'è quanto dovevo mostrarvi nella prima
parte. Se poi alcune virtù fi poffino giuftamente censurare nel Medico,
che è la seconda parte del mio discorso, in qualche caso crederei di sì,
conforme con un'esempio riferito da Ippocrate brevemente vi farò vedere.
P TutteTutte le virtù hanno un fine retro, e se fi lasciano operare à
tutto loro potere s'inoltrano con tanto fervore, che da alcune di esse in vece
di ricavarné profitto , se ne riporterà del danno, La Giustizia, & il Zelo,
tra le altre , fe si cferciçano con sommo rigore, & à quel segno, che
arriva la loro autorità. Quefte sono capaci di porre cutto il mondo in
sconcerto, e perciò diffe Salomone:(+) Noli effe juftus multùm; onde è
necessario unirlo alla civiltà per renderle fruttuose.Simili fconcepci appunto
potrebboro giornalmente accadere nella Medicina, fe il Medico si voleffe
fervire della sola Giu. ftizia, del solo zelo con quell'Inferma male avvezzo in
fanità à fare à fuo modo , allorche trasgredendo alla regola di vivere,fosse da
esso con tutta giustizia riprefo, & afpramente sgridato di tal’erróre, cosa
se ne ricaverebbe di profitto da çal giuftiffima,mà indiscreta riprensione? Se
non che, ò l'Infermo facesse peggio in; (1) Ecclef.cap.79 1
[ocr errors] in avvenire, e che senza alcun profitto perdesse ogni çispetto à chị
lo riprese, ed in questo ca fo giustamente il Medico verria censurato, perche
non si servi in fare una simile riprensione del prudens ziale consiglio
d'Ippocrate, (a) che dice ciò, che deve fare, doppo di averlo afpramente
{gridaco,& è : Simulque cum commonefaciendo , & blandè excipiendo
consoletur ; & altro ve dice : Condonandum aliquid consuetudini ; Quel poco
di dolce, che gli porgerà doppo l'amaro della riprélonę opera tato di bene che
faràche la Giustizia usata divenga profittevole , Il ţimile pariinentě ne
seguirà se voi, con zelo poco discreto , vorrete riprendere taluno , che sia
ricaduto in mali venerci ; questo tale, quanto più lo [griderețe , tanto peggio
farà , bisogna dolcemente che gl'infinuate , e gli facciate capire il danno ,
& il pericolo, che gli può sopravenire da fimili ricidive, le miserie, la
morte penosa inevitabile saranno quelle , che, inlinuate con gius [ocr
errors] (a) In lib.præcept. [ocr errors] dizio, lo potranno più
facilmente perfuadere di fuggire simili errori, perche questi motivi restano
impressi per lungo tempo nella mente , mà le gridate, che passano presto in
oblivione , riescono infruttuose, perche sentendosi con animo irritato , non
s'apprendono quanto: fi dovriano . Molti altri esempi potrei apportarvi, mà credo
, che li riferiti pollino essere sufficienti per farvi capire tal verità ;
Volete dunque, che le vostre virtù non fiano censurate , accompagnatele, e non
le fare operare fole, e fate appunto conforme si suol praticare con le donzelle
vistose à fine non si mormori di loro che accompagnate con altre donne più
provetre , e prudenti possono trattare in privato, e comparire in pliblico
senza taccia. Mi persuado che li documenti, le ragioni , e gl'esempj
d'Ippocrate, che vi (hò addotti fin'ora, saranno senza fällo sufficienti a
farvi incaminare per il retto fentiero delle virtù , il quale spianato in tal
guisa , fe à caluno di voi paresse tut tavia [ocr errors]
tavia disastroso, non occorrerà s'affati chi di vantaggio, perche per lui
non fa. ranno à proposito le virtù, e per tanto se ne viva pure à
suo bell'agio con li suoi vizj diletti, nè occorrerà, che in do-
mani quivi si presenti, perche voglio in avvenire parlare solamente a
quelli, che hanno generosamente determinato d'ab- bandonare affatto
li vizj, e seguitare le sole virtù. [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][merged
small][ocr errors] G. I Ô R N Å TA V I. Nella quale s'accenda il modo di
prévalerfi del consiglio delle virtù contra l'infidie. de
vizj, affinchè il vero Medico poffan godere una vita iranquilla , e
lasciare di se doppio morte una gloriufi memoria : [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] On mio contento non ordinario
vi vedo oggi, prima del solito , quì tutti preferiti; posciacchè
averidoviderto nel fine della Giortiada di jeri, che chi nơn s'era già
determinato di seguitare le fole viétừ, non occorreva ch'oggi forfè venuto;
temevo che almeno quelli , che gliscorgevo più pensoli degli altri, foffero
mancati; Mà vedendo quì ancor voi, e più ilari , e disinvolti del consue. to, è
chiaro contrafegno, che le vostre menti, che si ritrovavano nelle Giornate
passate ambigue, non sapendo ancora à che partito appigliarsi, abbiano già
déterminato di seguitar le virtù, avendo jeri gustato, e meditato in
appressoquanto di benc da elle ne possa risultaa re; Onde tutto il giubilo
interno; che voi ora provares non nasce da altro, che dall'essere divenuti
padroni del vostró volere. Spero dunque, che tutti inGeme äverere avuto la
medesima forte d'allontanarvi affatto da' vizj, e di confederarvi con le sole
virtù, e queste fatele ora padrone dispotiche della vostra voz lontà, e non
temere de viżj , che fuor di voi fi ritrovano , che possano essi punto
nuocervi, con tutto che vi tramaffero continue insidie per lo sdegno concepi .
to contro di yoi's che ve ne siete da efti affatto allontanati , perche farà
curau delle virtù il difendervi: Vi säria gran timore quando questi inimici
teneilero tuttavia assediato il vostro cuore, e fiorreffero liberamente
d'intorno alla voftra volontà ; Allora sì che tion potreste fidarvi delle loro
insidie , ftanteche in tal caso le virtù non potriano affiftervi. Vivete dunque
cautelati á non tradire. voi stesli orche ne fiece liberi; e questo seguiria facilmente
quando apriste qual [ocr errors] che segreta porta , per dove poteffero
i'vizj dentro di voi tornare. Per altro faccino pure fuori di voi
quel più , che possono s che punto non vi potranno danneggiare.L'esempio
l'abbiamo chiaro ne i Romani, che fino ch'ebbero Annibale nell'Italia stiedero
con ragione molto mesti, ed affitti per il timore delli gran danni , che poteva
loro apportare, mà appena partito, sollevorno lo spirito, con tutto che
proseguisse à molestarli, e di niuna cola elli ebbero più spavento, che della
guerra intestina, la quale alla fine fù cagione , che perdelfero la loro
libertà. Parerà oggi discorso superfluo il mio,mentre voi avêdo in
abbominazione li vizj;ed essendovi dichiarati seguaci delle virtù, potrete con
la guida di esse consigliare più tosto gl'altri, che aver bisogno di Direttore,
con tutto ciò perche non avete à bastanza ancora acquiftato Puso di prevalervi
di effe , non vi farà infructuoso il sentire da me in compendio quel bene , che
à suo tempo, ed [ocr errors] [ocr errors] in tutti i vostri maggiori
bisogni , questo vi apporteranno , potendo ciò ancoras fervire per confermarvi
di vantaggio della vostra lodevole risoluzione. E cominciando prima dalla
Religione, che con puro cuore profeffate , poiche Non fi comincia ben se
non dal Cielo ; Qucfta non solamente vi darà lume, e vi fervirà di scorta per
quello che riguarda l'eternità, mà vi configlierà di fare fempre uniti con le
virtù, facendovicon chiarezza vedere la deformità de' vizj, e li gran danni che
apportano; Quindi è, che neceffariamente la fapienza deve ftare unita con la
Religione, conforme diffe Lattanzio : Homines ideò falluntur , quòd aut
Religionem fufcipiunt omissá Sapientiâ , aut Sapientia foli student omissa
Religione , cum alterum fine altero non poffit effe verum ; Oltre di che vi
farà conofcere meglio di che forta d'amici avrete da fare elezione, perche fe
vi abbattete con taluno di coloro, che sono affatto increduli di ciò, che non
veggono, v'in [ocr errors] [ocr errors] finuerà, che questi non sono à
proposito per voi , che ci trattiace quanto porta il mero bisogno ; ma non più
oltre, perche questi sono tenuti da Sant'Agostino per tomini carnali , dicendo
; In homine carnali tota regula intelligendi est consuetudo cernendi quod
solent videre credunt ; quod non folentznon credunt; conforme ancora, che
fuggiare ogni altro vizioso , è che v'intrinfechiare solamente con chi è
seguace delle virtù, e finalmente vi terrå fempre circospetti in non prestare
fede à ciò,che leggerete, ò sentirete dire; che poffa in qualche parte
alienarvi dal suo vero sertimento Non ritrovandovi ora in istato di
potere profeffare la Medicina , per non essere totalmente esperti in essa , vi
converrà cercare ottimi Direttori, nella di cui elezione consigliandovi con la Pradenza
, v'insinuerà, che vi appoggiate -à quell'appunto, che descrive Cicerone in tal
guisa : Eft igitur adolescentis majores natú vereri, ex iisque deligere
optimos, e probatisimos , quorum confilio , atque au auctoritate
vitantur : Ineuntis enim ætatis, inscitia ferum conftituenda da regenda
prudentiâ eft. V’insinuerà d'avantaggio la giustižia come vi dovrete
contenere per acquistarvi il loro affetto , che sarà, oltre l'accennato
ossequio, di esser loro fede li, e schiecti z di moftrarvi sempre pune è
tutali, obbedienti, e diligenti in tutti li affari, che v'insporranno,
perche operando või in questa guisa, non solamento v'istruifanio con tutto
l'amore, må vi loderanno da per tutto, dalla quale preventiva commendazione
germoglieranno à suo tempo li principi delle vostre fortune', e troveretegià
spianata la ftria da de voftri progreni s állorché principierete à
medicáre. Intraprendendo con questi felici principj l'attual'esercizio
della Medicinás allorche' già farete divenuti esperti , non pafferă lungo tempo,
che molti di prevaleranno dell'opera vostras & allora appunto li vizj vi
comincieranno à muoa vere guerras e Vinvidia farà la prima ämoà
molestarvi. Questa già da bel principio vi aveva fissato adosso li suoi maligni
sguardi , mà non prima di vedervi avanzati si muoverà per suscitarvi contro li
suoi seguaci, e le comanderà, che spargano da per tutto, che fiere troppo
giovani , che non avete ancora pratica sufficiente, e che dicano con finto zelo
: Oh poveri Malati, che si pongono nelle voItre mani, se questi guariscono
seguirà per miracolo, non per la vostra perizia, e se vedrà, che ciò non basti
per arrestaryi ne' vostri progrelli, invigorirà allora li suoi comandi, e farà
disseminare dalli medesimi, che siete veramente infelici, mentre quanti Malati vi
capitano, tanti ne muojono, e che non sanno capire , come siano così pazzi
coloro, che vi chiamano. Sentendovi calunniare à torto in tal guisa, cosa
dovrete fare? Non altro, che consigliarvi con la Prudenza, e con la Giustizia,
che vi favoriranno assai bene : primieramente vi esorteranno a non prendervene
alcun fastidio, perche è affai migliore la vostra forte و
sorte , per essere invidiati , che non è quella delli vostri calunniatori , che
non hanno chi l'invidj, mà appena tal’uno, che li compatisca. Vi consiglieranno
poscia à non prendervela con quei miseram bili , e vili esecutori dell’Invidia
, perche operano come suoi schiavi, non già come uomini liberi, e se foffero in
loro libertà opererebbero come voi, che aba borrite simili iniquicà. Vi consiglieranno
bensì à mortificare l'Invidia in questa forma, cioè, di contraporle la vostra
umiltà, quando d'Invidia vedrà, che voi non siete ricorsi alla vendetta rarne
il suo ajuto, mà in sua vece vi servite dell'Umiltà, resterà talmente forpresa,
e confusa, che si vergognerà in avvenire di ciinentarsi più sola con voi,
avyedendosi di non potervi abbattere ; mà cosa farà per non cedere? Si unirà
con il Dispreggio, e con lo Sdegno per necessitarvi à ricorrere alla Vendetta.
Questi vizj baldanzosi comanderanno à qualchuno de' suoi petulanti seguaci,
cine vi faccia una mala creanza, e vi mo per implom desti senz'averne
data occafione, in queIto caso ricorrete subbitamente per consiglio alla
Prudenza, che vi farà capire, che di tal'ingiuria , non ne doyete chiedere
fodisfazione dalli seguaci del Dispregio, e dello Sdegno, perche quei, che
seguitano questi yizj , come imprudeņti, sono ancora pazzi, & į pazzinon
essendo capaci di discernere ciò che fạnno, non sono tenuti di renderne conto;
Contro li principali dunque, & autori caderà il vostro sdegno , e questi,
come vi consiglierà che li mortifichiace ? Non già con la vendetta, perche
questo appunto desidereriaạo che faceste, cioè, che ricorreste ad un'altro
vizio, che vi tradise, e cogliessę nel mezo per forzarvi å rendervi à loro
discrezione, inà bensì con la sola sofferenza tanto da essi temuta per il
grandanno, che loro apporta, & affinche lo facciate con aniino generoso vi
riferirà li seguenti casi. A Diogene Filosofo Stoico, mentre stava
disputando particolarmente della collera , gli fù da un protervo giovane
fpu Sputato in faccia , sopportò egli il tutto piacevolmente , e da
savio, e solo disse: Io non vado veramente in collera , mà non lasciò però di
dubitare , fe in questa occasione doveffi farlo. Catone mentre staya
difendendo una causa ricevette da Lentulo giovane seditioso ua folenne
sputacchio nella fronte, egli si nettó, e rasciugò la fronte , & armato di
una gran sofferenza, solo diffe: lo affermarò à tutti, ò Lentulo, che fi
gabbano quelli, che negano, che tù abbi bocca. Rifettendo voi dunque
all'ingiuria maggiore della vostra fatta ad uomini di tanta stima, & al
modo, che si conțennero vi si renderà più facile l'esecuzione del confimile
ripiego propostovi dalla prudenza , mediante il quale avvedutosi il Dispregio,
e lo Sdegno, che in vece di quocervi vi hanno accresciuto ftima appresso tutti,
desisteranno ancora eff di più moleftärvi, vedendosi dalla vostra sofferenza
delusi, e vinti, Arriverete al fior degl'anni avan. [ocr errors] zati già
ne' commodi, & in conseguenza con più lautezza nudriti. Allora vorrà
facilmente la lussuria cimentarsi con voi, e per farvi qualche danno
considerabile, vitenderà molte insidie , vi farà trovare occasioni pronte;
procurera, che siate con vezzi, e lusinghe adescati; Allora cosa farere?ftate
faldi,perche sarà contro voi questa una gran guerra, mentre non avrete campo in
quel punto preso di consigliarvi con le virid, ftanteche : Vinum, &
Mulieres faciunt prevaricare Sam pientes., come ben diffe Salomone. State faldi,
che è pur troppo vero, che molti si sono arrenati per questa cagione nel meglio
de’loro avanzamenti : Vi converrà dunque procurare di prevenire l'infidie della
lussuria, e non aspettare di cssere prevenuti da effe , e questo lo farere ,
quando sarete prossimi à quel tempo con chiamare à consiglio generale turte le
virtù per risolvere cosa sia efpediéte,che facciate,ò di accasarvi,e con chi,
ed in che tempo, ò di continuare lo Aato libero,e con che cautele maggiori,La
Prudenza, e la Giustizia vi con figlieranno facilmente à prender mor glie, con
il motivo gịultiflimo,che quel la vita, che da voltri genitori riceveste con
voi non si estingua, mà che per la conservazione della propria specie law
propaghiate ne posteri, ed à buon fine ancofa, che non abbiate tanto da
impazzirvi nella vostra vecchiają à cercare l'eredi, conforme ad alcuni, che
non mai fi cușorono del titolo di padre è accaduto; La sola difficoltà si
rifringerà allo sciegliere chi faccia per poi , perche la Prudenza, e la
Giustizia vi vorranng consigliare diversamente da quello si pratica in alcuni
luoghi, dove il folico di cercare chị abbią dotę groffa , chi sia bella,
e fpiritosa; la Prudenza non vorrà, che cerchiate questo, in primo luogo, mà
bensì, chi sia di buoni natali, di perfetta faļute, e di ottimi costumi, ¢
ben’educata ; e con ragione, perche non deve essere affare di minore impostanza
l'accasarsi, di quello, che sia di fær compra di un cavallo; e se per
comprare un [merged small][merged small][merged small][ocr errors]
[merged small][ocr errors] un cavallo ( che non riuscendo buono fi può
subitamente dar yia) fi ricerca in primo luogo la buona razza, fe fia fano, e
se abbia vizio'alcuno, perche nel pro- : vedersi della compagnia inseparabile
non si hanno da fare fimili diligenze Sicchè trovato che ayrete chi abbia le
condizioni sudette stringete, senza più indugiare , il vostro matrimonio, con
quella dote, che avrà, senza ricercarne d'avantaggio, che farete un'ottimo
negozio, perche quattro faranno le doti, che prenderete, una sola apprezzata ,
e trè inestimabili , per non effervi prezzo, che le uguagli', e saranno, la
buona nascita,la salute, e gli ottiini costumi, con la buona educazione, &
avvertite à non fare diversamente , per non cadere nella sventura di Socrate,
che fi abbatte in una inquietisima Santippa. Circa il tempo in cui lo dovrete
fare viconsiglieranno, che non lo facciate nè troppo giovani , nè croppo
vecchi, mà bensì nell'età virile, ed allora appunto, che ayrete stabilito
un'assegnamento suffi ciente 1 [ocr errors] ciente per
il inantenimento della vostra fameglia, e non prima , pèrche si
ricerca fenno, e cominodica per effere, buon Pa- dre di fameglia.
Non troppo giovani, per non distogliervi da vostri studj, ed
avanzamenti, ne' quali non sarete anco- ra bene stabiliti , nè troppo
vecchi, per non lasciarli, se avrete figliuoli, troppo immacuri, e
senza avyiamento, e per non foccombere ancor yoi fotto il peso del
matrimonio prima di quello , che fareste vivendone disciolti , conforme
à tanti è accaduto , Şe poi voi adurrete alla
Prudenza , e Giustizia li seguenti motivi, che avete
esimervida simile legame, che sono; ò che già vi è nella vostra fameglia,
chi sia atto à sostenere un simil peso, ò che dubitate , che la moglie, e
l'educazione de'figliuoli vi possano distogliere dalla voftra professione,
qualche altro inotivo à voi folamente noto non crediare, che yi forzeranno già
à farlo, vilascięrano in tutta yostra libertà, vi consogneranno bensì alla
Fortezza, e Tempe Q: per [ocr errors] ranza, }
ranza , acciocchè vi consiglino, e prestino ajuto in caso, che la Luffuria vi
fa. ceffe qualche violenza . Il consiglio, che quefte virtù vi daranno sarà
facilmente, che siate circospetti, ed appena , che vi sarete avveduti di
qualche laccio, che yi tenderà la Lussuria di troncarlo,e prima che vi poniate
il piede, che siate fempre cautelati nel parlare , ę fentendo qualche parola
equivoca, l'interpreciate sempre à favore dell'onestà, né la crediate detta per
voi, che ricevendo qualche cortesia insolita, la crediate fatta solamente per
isperimentare la vostra modestia, e non ad altro fine , onde la cancellerete
subitamente, acciò la rimembranza di quella non turbi la vostra fantasia ; Che
vi moftriate sempre sostenuti più tosto, che galanti in certe occasioni di
confidenze, dalle quali con bel modo procuriate di liberarvene , che da certi
luoghi sospetti,se ne potrete fare a meno, ne stiate lontani, & andandovi,
procuriate efservi in ore, che vi fieno altri, perche al parere di Seneca :
Magna pars peccatorum tollitur fe peccaturis teftis alibi Aat(a);
ed ivi non vitrattenjate più del bisogno necessarios e sempre con
discorsi serj, ed uniformandovi alli consigli della Fortezza,
e Temperanza non diffidate punto della loro allistenza nelli maggio
si vostri bisogni, che dureranno lino à tanto. che sarà in auge il
fervore della vostra gioventù . Il vizio
della gola vorrà aticor'egli fare tutti li suoi sforzi contro di voi
in decto tempo più profpero di vostra vita, per vedere se vi
potesse adescare; e cofa farà a comanderà facilmente à
qualche- dano de' suoi ricchi feguaci , che facen- do uno de'
fuoi sontuolillimi pranzi, o cena; conviti ancor voi; considero ,
che vi troverete in quel punto preso incri- garislimi,
perche rifletterete allora , che le ricuserete tale invito ,
sarete' tenuti per uomini incivili, che non gradite li
favori, e cortefie, che vi fi fanno; fed
l'accetterete,metterere ad un gran risico Ja vostra temperanza ,
onde vi converrà (*) Episi 11.di questo ancora chiederne preventivo
Consiglio s. per aver pronto il suo fano imedio per quando vi capitaffe il bio
fognb. si Consigliandovi preventivamente con la Prudenzás.per sapere in
che modo allora vi dovrete contentere, sarà facilesi chievi dica;;che se viritroverete
in luoo ghi dove sia solito, e che frequentemente li Medici fiano convitati,
& intervenghino in fimili bancheteis. non ricusate tali inviti s perche
quelle cose, che sono folite', nou recanto alcuna aimniirazione, non
facendosene caso,basterà solamente; che yi sappiate regolare con giadizio in
non pregiudicare di molto alla vostra consueta fobrietás perche
nuocerestu e è più li denti nel masticare , che la gola nell'inghiottire
si e diportandovi in tal guisa,la gola avrà poco guadagnato con voi; Sepois
dove voi dimorerete , non fosse in uso, mà solamente, che di rado li Medici
v'intervenissero con modo al fai civile, che lo ricusiate pure,non man..
candovi legittima scusa, mentre ò la vo(tra complessione non assuefatta à
fimili disordini, ò qualche cura riguardevole, che avrete in quel tempo, queste
vi potranno efiinere onestamente da qualunque taccia d'inciýiltà . 03.15
Sò che vi appagherete di tal distinzione saviazfatta dalla Prudenza, effendo.
voi capaci di riflettere , che dove i Mea dici ricevono spesso simili correfie
fono molto stimati, ed in conseguenza i loro difetti non sono con tanta
attenzione norati da tutti, come l'opposto segue dove di detta stima si
penuria. E certamente l'esperienza hà fatto vedere, che nel secondo caso,
quando li Medici si sono voluti azardare à fimili cimenti, se ne sono poscia
pentiti, ftante che, ò per non essere cosa solita , ò mediante la curiosità di
vedere in che modo si regolavano coloro, che tanto biafie mano la crapula,
hanno ritrovato iyi molti spettatori de' loro portamenti, che li hanno posti in
qualche suggezio. R 4 [ocr errors] ne, he', mediante la quale
; se hanno procutato di contenerli nella sobrietà, hanno. fentito
de'motteggiametitizñiehte da effi graditi, e se hanno disordinato, gli sono
giunti all'orecchie certi sussurri della's fervitů z che diceva : Il buon
Medico che biasima tanto li disordini , egli troppo fà peggio di noi, andiamo à
credere cið, ch'egli dice; Se poi taluno di elle fia restato gabbato dal vinos
non hà troVato già chi l'abbia seusato ; conforme fece Seneca a favore di
Catone; impuitato di fimile vizio, dicendo, che non poteva essere, che un
Catone fi ubriacasses mà quando che ciò fosse stato vero, in un Catone fimile
vizio faria passato in virtù . Mà non si sono già pentiti quelli ; the
civilmente ricufarono fimili inviti, mentre fattisi capaci coloro, che
desideravano di vederli crapolare; dalli giusti motivi apportaci per iscusa,
rimasero più tosto edificati, che disgustati da fiinili repulse, ed in segno di
ciò ne diedero in avvenire attestati di maggior ftima: Ne ро [ocr
errors] [ocr errors] potrei di questi efempj riferire alcuni a mà, per non
dilongarmi troppo , ftimo bene di tralasciarli . Sicche, per vincere la gola ,
il partito più sicuro sarà di fuga gire l'occasioni pronte di crapolare con
un'onesta ritirata , conforme la Prudene za configlia : Stabilito che
avrete il vostro itato à quel fegno che potrete ; non solo per decentemente
vivere , e mantenere con decoro la voftra casa j mà ancora con la vostra economia
accrescerla commodamente; allora l'ingordigia , e l'infariabia lità di cumulare
vi comincieranno & muover guerra, e quello, che farà più formidabile con
apparenze vantag: giofe v'infidieranno alla vita , mentre vi Itimoleranno, e vi
violenreranno infieme ad accettare tutto ciò che vi si pre fenterà davanti , e
fe quefto non bastera à renervi nottése giorno occupati, vi ftimoleranno à
procurarne de' nuovi fervigj, e certainente non per altro fing, che per
distruggere in breve il vostro inzia dividuo con una eccelliva fatica,
con una 1 250 Dell'Idea del vero Medico. una continua
inquietudine di animo,con una perpetua schiavitudine, credute tutse dal Mondo
pazzo per felicitàe per prosperità di fortuna Cosa dovrete dunque fare per
rimuovere da voi un sì evidente pericolo di vita, che vi sovrasta 2 Vi converrà
certameute prenderci rimedio prima, che questi nemici facciano breccia nel
vostro cuore., e parlamentino con il vo. ftro desiderio, perche altrimenti con
lo fplendore dell'oro li guadagneranno, ed il suo rimedio ficuro farà, che
quando ' non ifta concento di ciò che hà, e vorrà procurare cofe
maggiori, di consigliarvi tosto con la Prudenza, che questa facilmente lo
quieterà con dirvi : Cofa bramate d'avantaggio a non avete, più di quello vi
bisogna rimirate quanti altri, che hanno accor essi egual merito alvoftro, sono
più attempati di voi, e pure non sono così ben proveduti, come voi fiere:
Ditemi, che tempo avete , che vi avanza , quando appena ne resta tanto ,che
basti per lo studio necessario's e pery il bisognevole riposo ? E quale
di questi due tempi vorrete impiegare nelle cure di più, che deside rate
confeguire ? forse il primo ? La Giustizia se'ue sdegnerà per non esser vostro:
Forse il secondo, che è cutro vostro & come potrete vivere s fapendo voi,
che: Quod caret alterna requie durabile non eft. Riflettete attentamente, che
lo le pioggie curte cadessero sopra pochi campi, in vece di ravvivarli, e
rendera li più fécondi , opprimeciano più costo quanto di verde li ricopres e
che la gran Providenza ,che saggiamente opera, dispensa il publico bene à prở
di cucţi; facendo, che il Sole non per pochi, mà bensi per tutti risplenda', c
finalmente che le taluno vorrå soverchiainente cam ricare il suo stomaco, anco
di dolcissimo cibo , gli converrà ben spesso soffrire aspri dolori di ventre.
Risplende molto l'oro, må riflettere ancora , ch'è più' grave di qualunque
altro metallo , onde neceffariamene ammaffarne di molto non si può
G può senza restarvi affatto oppresli id Breve sotto il suo grave peso, o per
la meno perderci la propria libertà; Quindi è, che faggiamente Curio ricusò
da'. Sanniti tutta quella gran quantità di oro, che gl'avevano portato 5
dicendo foro, che esso credeva cosa più gloriosa il poter comandare à chi
molt'oro possedeva , di quello che fosse il possederne di molto ; volendo in
tal guisa farci ca. pire, che non si poteva cumulare oro in: gran copia, e
mantenere la sua libertà. Il mio configlio dunque è, che freniate il vostro
defiderio, acciò non bramjata nè pure una cura d'avantaggio di quel le, che
potrete commodamente reggere, e tanto maggiormente, che quefta voce Cura
appresso li Latini non significa altro, che Briga, è travaglio, ex eo quod cor
edat, dw excruciet, delle quali conviene ayerne folamente tante,quante baftino
à poterle fofferire, e non più , verificandosi in esse più, che in ogn'altra
cosa quel detto: Ne quid nimis . Sentitene però il parere della Giustizia per
res go: [ocr errors] golarvi fino dove vi potrete stendere;
per non incorrere nella caccia d'insa- ziabili. Voi sarete
facilmente rimasti per ora appagati di quanto vi avrà detto
la Prudenza, à segno, che non vi curerete sentire altro
conseglio, con tutto ciò per convenienza almeno sarete
tenuti,aven- dovi ciò la sudetta incaricato, di sentir-
ne il parere della Giustizia , intorno al vostro regolamento, e con
tale occasio- ne vi potrete consigliare ancora sopra un certo
ripiego, che facilmente il vo- ftro desiderio visuggerirà, cioè di
all.com gerirvi de’ servigi antichi per proveder- vi
de' nuovi di maggior vostro profitto, e minor briga, il quale non
lo dovrete porre in esecuzione senza l'approvazio- ne
della Giustizia. Esposto , che avrete a questa fanta virtù ciò, che
bramate sapere, ella cortesemente y'insegnerà ciò, che dovrete fare intorno al
vostro regolamento, che sarà di misurare in primo luogo le vostre forze , &
il tempo, che vi resta libero, [ocr errors] e poi l'impiego , che vi si
presenta, e se rincongrerete le misure proporzionate trà di loro , accettatelo
pure, senz'alcun timore della taccia d'insaziabili; Vi suggerirà però, che
stiate bene oculati in prenderne le dette misure à suo dovere, affinchè non
reftiate ingaonati, perche . altrimentiaffatto infructuofo riusciria il fuo
configlio,ed acciocchè non segua un tale errore, vi darà lei medefima dug meze
canne, una delle quali la troverete molto scarfa, e l'altra affai vantaggiosa;
con la prima yi ordinerà, che miluriate le voitre forze, & il tempo, che vi
ayanza ; con la feconda l'impiego, che vi li presenta, e prendendo voi le
misure in questa guisa yi assicura la Giustizia , che non potrete errare. Doye
che facendoli da voi diversamente, tutte le altre meze canne , che adoprerete
ve le porgerà il yostro desiderio fatte à suo modo, e saranno tutte yantaggiose
di molto quelle, con le quali misurerete le vostre forze, & il tempo, e
scarsiffime quelle, delle quali yi servirete per misurare l'occasio
ni, [ocr errors][ocr errors] ni , e questa è la cagione de? sbagli, che
fi prendono contro il volere della Giuftizia , c per due capi, (primieramente,
perche chi misura in cal guisa erra per abbreviare la lunghezza di fuá vita ,
divenendo omicida di fe medesimo, sì ancora per il danno,chie nc poffono
riceveré alcunische ad ore affai incongrue, ed à mente stracca gli cocca per
fimilisbagli essere curati. In glçre vi dirà apertamente, che non dovrere
in conto alcuno disfarvi delli servigi antichi per prenderne de' nuovi in fua
veće, perche non avete alcuna giusta cagione di farlo , anziche facendolo,
mostrereite una somma ingratitudine in abbandonare chi in temро de'
vostri bisogni vi fù grato , e chi vi favori ne' vostri avanzamenti, non con
altro motivo, che de' yostri maggiori vantaggi ; se poielli, senza alcuna
vostra colpa, fi alienaffero da voi , in questo solo caso, perche volenti nan
fit injuria, lo potreste fare senz'alcuna taccia d'ingratitudine; e së
esercitaste la Me256 Dell?idea del vero Medica, Medicina in certi luoghi
lontani, dove alcuni li prevalgono di un Medico fino à tanto, che lo vedono
incominciare à far negozj, ed allora se ne disfanno per prenderne à proteggere
un altro : İyi basterebbe pazientare un poco, che vi li presenterebbe
l'occasione di poter: lo fare, mà dove ciò non li costuma vị convien’essere
grati, e costanti, fische sarete capaci di medicare, Con tutto che
resterere per qualche tempo appagati di quanto vi hanno consigliato la
Prudenza, e la Giustizia perche il vostro desiderio yerrà conținuamente
bersagliato daļli sudettį ab. bominevoli vizj, sarà necessario, chcimploriate
l'affiftenza della Fortezza , e Temperanza , acciò perseveriare sempre Itabili
nell'offervanza di detto consiglio, & il maggior bene, che dette virtù vi
potranno apportare, sarà d'infinuaryi diverse istorie di coloro, che per essere
Itati insaziabili, nel colmo delle loro credute prosperità sono mancati, eche
infelice memoria di esia ne fią rimasta trà noi [ocr errors] و
[ocr errors] noi, mentre chi ha lasciato la sua fameglia appena slattata ,
senza indirizzo, a senza guida, chi intricata la sua eredità , per non aver
avuto tempo in vita di ben'impiegare li suoi avanzi; chi, doppa fofferta una
lunghissina, e dispendiosa infermità, acquistata per li suoi grans Strapazzi ,
appena hà lasciato tanco, che bastasse al suo funerale; e finalmente cosa sia
stato detto di tutti doppo morti, cioè, che non'ınericavano d'essere compatiti,
perche erano morti per colpa loro, avendo voluto abbracciare troppo, e più di
quello, che potevano reggere, çon tutto quello, che la maledicenzą gradita, e
senza timore alcuno så inventare di peggio contro i poveri des fonti,
Impresli, che avrete sì spaventosi esempj nelle vostre menti, con la
riferfione, che il simile seguirebbe in voi, fc cadefte in tali errori,
non temeţe più , che il vostro disiderio possa essere superato da simili vizj ,
perche questi gļi serviranno di un gran freno , R Nelle Nelle
vostre maggiori prosperită l'Adulazione ancora vi farà doppia guerra la prima
confifterà in ispargere di voi più lodi di quelle , che meriterete, per
risvegliarvi contro l'Invidia , quando fi foile mai adormentata, mà trovandovi
già premuniti de' buoni avvertimenti dativi dalla Prudenza, non vi potrà punto
nuocere in questo primo asfalto, e se uniręcę alla fofferenza una profonda , e
fincera umiltà, supererete l'Adulazione, el'Invidia nel medesimo tempo,
Màvedendofi da voi la maliziosa Adulazione fchernita , adoprerà tutte le sue
frodi per violentarvi ad essere suoi seguaci , e per farvi divenire per forza
Adulatori, come farà mai ? Sentite bene; Pren. derà l'occasione di qualche cura
grave, nella quale intervengano molti parenti, & amici dell'Infermo, e vi
farà da queiti porre in angustie di diventare Adulatore per forza,
per li seguenti impulsi : Vi dirà taluna di esli , questo male si aggrava,
perche non gli fate applicare quattro vefficatorja se ne morirà senza
questo [ocr errors][ocr errors][merged small][merged small] questo
rimedio, e la colpa farà tutta yostra, che trascurate un rimedio sì efficace.
Un'altro vi dirà: perche non gli date una buona Medicina da tirare giù ? lo volete
lasciar morire senz'ajuto? ayver, cite, se muore , fentirere, che si dirà di
voi, à me basta di avervelo avvisato. Vi sarà ancora trà essi chị vi ayyertirà,
che se gli cavate sangue morirà certamente, perche non gli conviene; e
d'avantaggio vi dirà , che se lo cayerere lo amazerete, e derro male farà per
appunto un'infiammagione interna , nella quale non conviene ciò, che viene
proposto , e gli sarà necessario quanto viene ritardato. Vedete in chę angustie
, in che laberinţi vi troverefte, se non aveste la Prudenza configliera ?
Imitercste senza dubbio, ò quel Medico, à cui un tempo fà , fù suggerito da
un'amico dell'Infermo , in un caso simile , un certo riinędio, dicendo, che lo
proponeva , perche cra esso ancora mezo Medico ; A cui alquanto alterato gli
rispose: & io son tutto Medico , conviene dunque, che la mecà ce [ocr
errors][ocr errors][merged small] fi: 28 公 1 da al tutto; Io, che sono tutto, non voglio che si
dia , non si deve dunque dare; O pure quell'altro, che ritrovan. dosi in un
fimile intrigo», doppo aver dette le sue ragioni , senza profitto, rifpose :
Giacchè loro Signori ne fanno più di me, facciano loro la cura , e se ne
andiede via, mà ciò non lodandolo la Prudenza, sentirete dunque da lei , in che
forma vi dovrere regolare. Sentendo riferire da voi questo fatto la
Prudenza disapproverà molta, che chi non è Professore, ardisca così francamente
di proporre, ed escludere quelli rimedj, che in mali sì gravi danno molto da
pensare alli medesimi Professori provetti, e che pongano à cimento li onorati,
con modi si violenti, di diventare Adulatori, e facilmente in tal guisa vi
consiglierà: Dite le vostre ragioni à chi bisogna, con animo composto, e
questi, ò fi appagheranno di quelle , ò nò, se ne resteranno fodisfatti,
rimarrà già terminata la controversia , e potrete fare liberamente à voftro
modo, se poi persisterahtio ancora ostinati nella loro opis nione , allora
suggerite, che tratrandosi di un male sì grave con tante controverfie,
desiderate nella cura di avere altri Professori compagni per meglio risolve. re
ciò, che si debba fare ó e procurate, che con sollecitudine ciò segua y
acciòcchè la lunga dilazione non pregiudichi all'Ammalato, e che ne consulti
siano presenti coloro, che fuscitorno le controversie , affinche sentano con quante
circospezioni sono serviti gl'Infermi, ed ancora se avranno qualche cosa di più
la poffano dedurre à tutti. Facendo voi à modo della Prudens za, non
dovete avere più timore di prevaricare, perche la Fortezza vi assisterà, c
consolerà insieme , l'assistenza sarà di non farvi prendere in questi casi
certi : dannosi ripieghi, che sariano , in vece de' vefficanti d'applicare li
senapismis di un purgante , dare un leniente, ed in tanto d'andare differendo
la sanguigna , facendovi conoscere, che l'operare in questo modo non è da
Medico, mà bensi [ocr errors] 9 [ocr errors] da Adulatore, e che
quancunque questi tali nelli funesti eventi fieno dall’Adulazione tenuti
indocenti, e difefissorio però dalla Giustizia creduti rei di gran colpa s con
tutti quelli, che ne diedero l'occasione, e vi confolerå parimente la Fortezza
con dirvi: Si poffono chiamare tempi felici nella Medicina li presenti, non
vedendoli ora l'Adulazione premiata à quel segno, che era ne' tempi di Galeno,
nè la lincerità così vilipesa; Allora trionfavano li Medici Adulatori, erano
ricchi, e potenti gerano stimati , e riveriti, ogn’uno facęya à gara di
fayòrirli, eli onorati, sinceri, e docti se ne stavano abbandonati, derisi,
evilipeli, e se non fosse stata la mia grand'alistenza,che prestavo loro , nè
pure úgo ne sarebbe rimasto di efli, anzi Galeno isterlo, che non avesse
prevaricato per quanto venivano violentati dall'Adulazione :' So, che
presterete fede à quanto vi dico, mà volendovene accertar meglio di quanto
fuccedeva in quei cempi leggere ciò , che Galeno riferisce nel primo del
suo [ocr errors] me. [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][merged small][ocr errors][ocr errors] metodo, che appunto è questo:
Eoque jure fit cum ægrotare cçperint Medicos advocent , non quidem optimos į
utpotè quos per Sanitatem noscere nunquam ftuduerunt , fed eosy quos maxime
familiares habent ; quique ipfis maximè adulentur , qui du frigidam dabünt; si
banc popofcerint, lavabunt cùm juferint; a nivem; vinum= que porrigent poftremò
quidquid jubebitur mancipiorum ritu facient &c. itaque non qui meliùs arten
callet ; fed qui adulari aptiùs novit apud iftos magis in pretio eft , buic
omnia plana's perviaque funt , huic ædium fores patent ; hic brevi efficitur
dives, plurimùmque poteft &c. Quali violenze oggidì sono cessate , mercèche
hanno imparato molti à proprie spese à non commertere più la loro vita in mano
degl'infidi Adulatori, e perciò essendo mancati per loro l'impieghi, e li gran
guadagni, che in breve facevano,è mancato ancora quel grand'impulso, che vi era
à dover effere Adulatori per essere adoperati, e tutto questo mi costa
per essere io la Fortezza, che affifto à quei ز e. lig a fe ne be
he ni dy 112 to 5, 10 generofi spiriti,che abborriscono l'Adulazione ,
& abbandono quei vili, che se le danno in preda Se poi non bastasse
all'Adulazione d'avervi fatto violentare da parenti, ed amici, mà volesse
ancora farvi forzare dall'Infermo isteffo à divenire suoi fem; guaci , in
questo caso, fatte che avete le diligenze propostevi dalla Prudenza; e. che
mediante quelle egli non resti appagato, la Giustizia non vi violenterà già à
continuare il servigio, vi forzerà bensì à non divenire Adulatore , onde in
questo caso, con tutta civiltàs procurerete ( quando l'Infermo' non deliri) di
consegnare ad altri ciò, che non fà per la vostra riputazione ; ben’è vero, che
questi sono casi rarissimi avendo molte altre cose da penfare l'aggravato
Infermo, che di voler'essere adulato, con tut per farvivedere, che ve ne
sia stato qualcheduvo, che abbia desiderato di cllcre adulato fino alla morte,
viriferirò la presente istoria : Una persona di qualità cospicua, molti anni
sono, dovendosi pro to ciò [ocr errors] [ocr errors]
provedere di Medico; ne scelse uno tutto di suo genio, ed avendolo participato
al suo amico di confidenza ; questi in vece di rallegrarsene seco se ne
condolse, dicendogli apertamente, che poteva fare meglior'elezione ,
essendovene tanti più esperti del già eletto 3 replicò à questo: Lolo-sò
beniffimo, mà hò voluto pren derne uno, che faccia à mio modo ancora quando mi
trovo ammalato, perche io non poffo Coffrire quel Medico, che allora mi voglia
forzare à fare à suo modo, gli rispose saviamente l'amico : Signore, chi fà à
suo modo quando ft benes: conviene , che faccia à modo del Medico quando ftà
male, non poffo lodare la sua elezione, con tutto che sia di suo genio, perche
si tratta di Medico, à cui si consegna la propria vita, non già di un servidore
di mera comparsa ; che poco importa di che abilità egli sia, mà non paffarono
molti anni, che detto Signore cadde inferino di lunga , e fiftidiosa malacia,
che terminò finalmente, per essere vissuto à suo inodo in un'ascelfo interno,
espurgava della marcia per feceffo , la vidde l'isteffo Infermo, che diffe, non
farà marcii , må bensì il pangrattato, che hò preso questa mattina lo domandò
al suo Medico, che gli rispose per dargli gufto, quello appunto & Signore,
e con quel pangrattato se ne mori, adulato sempre fino al fine della fua
vita. L'Iniquità, e l'Inganno confederati , nôn porerido più Toffrire,
che voi godiare quella bella tranquillità interna per cagione delle vostre
virtù, vorranno ancora effi con le loro frodi adoperare ogni sforzo possibile
per turbarla ; ed in fare ciò vi toccheranno facilmente nel più vivo,
inolestandovi in qualche cosa di vostra somma premura , e doppo di aver
consultato trå fe più danni,risolve, ranno alla fine di farvi perdere il
servigio di quelli, che vi sono più á cuore, € tanto si adopereranno,e con
tanti mezi s'ingegneranno, che finalmente gli riufcirà ciò, che bramavano i
onde voi, senza faperne il perche , e senza averne data و
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] data alcuna occafione ,
essendosi con in? sidie segrete proceduto , all'improviso vi troverete esclusi
da quel servigio da voi tanto prediletto. E che farete allora? vi dolerete
forse con la Giustizia ; che siete stati licenziati à torto ? Avvertite , che
facendo in tal guisa imitereste Santippa, che si doleva della morte di suo
marito , perche si faceva morire å torto, à cui il sapience Socrate rispose : E
che desideravi forse, che io foli fatto morire à ragione ? questa appunto è la
mia gloria, che sono fatto inorire à torto. Sicchè alla Giustizia non vi
cooviene ricorrere, må berisi dapoi che fi sarà alquanto calmato quel senso,
che neceffariamente vi avrà apportato una nuova ingrata, ed improvisa, dovrete
ricorrere alla Pradenza per riceverne il suo configlio à fine di poter più
spedicamente restituire all'animo vostro quella bella calma, che dall’Iniquicà,
e dall'Inganno gli era stata rubata : La Prudenza senrendo da voi tal
novità vi consolerà certamente, ftate al [ocr errors][merged
small][ocr errors] allegri, dicendovi , che questa è una's grazia, che vi fà la
Divina Providenza, facendovi capire , che vi dovete alquana: to staccare da
ciò, che nel mondo vi è più caro , per confidare solamente in lei, che non mai
hà abbandonato chi fedelmente la serve. E di che vi dolete? forse perche
perduto avete un servigio à voi caro ve ne restano pure tanti altri? com- ..
partite tra questi il vostro affetto, che così non avrete fatta perdita alcuna
potendone del vostro amore ricevere da molti maggior ricompensa di prima, ò
pure (che sarà meglio ) questo vostro amore non gradito dagl'uomini
accrefcetelo à Dio, che vi recherà molto maggior profitto di quello , che vi
rendeva prima. E se veramente amate di cuore quella casa, che avete perduta g
non vi dovete contristare della perdita vostra , mà bensi della sua , avendo
lasciato voi, ch'eravate già istrutti da tanto tempo nelle complessioni, e mali
di chi ivi conviveva per prenderne uno affatto novizio , che prima , che ne qa
divenuto 1 capace à quel segno, che voi siete, vi vuole del tempo
affai, & in tanto come anderà? e poi se questo nuovo eletto fù complice
ancor'egli nelli segreti trattati dell’Iniquità, e dell'Inganno , che bell.
acquisto , che averà fatto, prendendo uno di simili costumi in vostra vece ,
che fiete uomini di onore, talche non voi, mà chi vi lasciò hà occasione
d'afAliggersi, perche danno à se stesso feçe, non à voi, che per essere esenti
da questa briga ne ricevere sollievo ; chi è pari. mente entrato in luogo
vostro , se pur? egli è complice, come disfi , ayrà molta occasione da
contristarsi per la finderesi, che gli resta di non avere operato come dovea, e
per il timore, che un giorno il fimile possa succedere à lui ancora.Quietatevi
dunque , giacchè rammarico alcuno non vi resta d'averli mal serviti, con questa
ferma fiducia, che in quel sito ( come tante volte è accaduto ) da dove la
malvagità, e l'inganno hanno tolto à viva forza un virgulto , la Giustizia vi
pianterà un vago, e glorioso lauro con [ocr errors] con questo
motţo ;Ųno avulo splendidior non deficit alter; molto di più vi potrei dire, se
non lo riputaffe superfluo, poiche gl’animi vostri ben moriggeräti con pochi
motivi si sodisfano, e li calma. no, allorche vengono da accidenti im. provisi
turbati, Udifte come vi consolo bene la Prudenza, e con che fortį motivi
, li quali fe li cerrețę impressi nelļe vostre menti, quantunque vi giungano
simili accidenti in avvenire, punto non vịcontristeranno, avendo questi forza
di disporre gl'animi vostri à foffrirli coftantemente, ed in conseguenza di
fare, che li sudetti vizj delle loro iniquità non trionfino. L'Ambizione
yorrà ancor'effa nell' auge delle vostre fortune tentare, fe potesse fare
con yoi quaļche acquisto; s'ingegnerà di porvi nella mente idee grandiofe ,
viftimolerà à molte imprese, con pretesto di rendervi a' pofteri gloriofi : Per
esempio , fe y'insinuerà di comporre qualche vago sistema di Medicina, qualche
nuoyo metodo di medicare , à qualche altra cosa non pensata , nè tencat fin'ora
da altri, e voi ricorrere subbita. mente alla Prudenza per consiglio, e vedrete
come v'indirizzerà bene ; intorno à nuovi sistemi, e metodi di medicare vi farà
questo dilemma: O ve ne sono trà gl’inventari de' veri,ò nò; Se ye ne sono,
perche non li seguitate? che cosa yolete cercare di megliore della. verità? Se
poi non vi è cosa ancora accertata in quelli, avendoyi per tanti secoli
frayagliato una infinità d'uomini dotti, cosa yi persuaderete di fare di
vantaggio ? non vi avvedete , che indarno faticherefte ancor voi, senza
speranza alcuna di gloria, e se pure la conseguiste saria per pochi momenti; Il
sistema, ed il metodo corrispondono al tutco, e quando questo non regge , e non
suflifte, è se. gno evidente, che le fuc parci costitutive fono difertose;
Impiegate dunque ogni voftra fatica in accertare , e rendere palese qualche
parte di esli, che vi avvedrere, che sia oscura, ò che manchi, la quale benchc
minima , nulladimeno una gran gloria vi apporterà, allorche l'averete
accertata, e rinvenuta , e lascierete tali imprese grandi a' pofteri , che fi
renderanno più facili a'medesimi, ale lorchè acquistate, saranno maggiori
notizie delle loro parti costitutive,di quel, le ve ne fieno al presente; E per
non effere creduți imprudenti scegliere di queste le necessarie , come avvertì
Cicerone, (a) dicendo : Alterum eft vitium, quòd quidàm nimis magnum
gran ) ftudium , multamque operam in res abfcuras , atque diffaciles
conferunt , eafdemquè non necesarias; e quelle ancora, che sieno proporzionate
alle vostre forze, come insegnò Orazio :(b) Sumite materiam vestrisqui
firibitis aquam. Viribus , & verfate diù quid
ferrere cufent Quid valeant humeri. E
perciò vi consiglierà la Prudenza d'impiegarvi in yostra gioventù intorno į a'
ritrovamenti Anatomici , Chimici, of[a] Primo de Officiis. (b] De Arte
Poetica. osservazioni Mediche e d'altre cose utili, che
richiedono ayvedutezza di mente, buona vista , afsiduità , pazien-
za, e sanità, e questi accertati, che sono incontrovertibili, rimangono
per fem- pre, e vi dissuaderà in detta età di dare alla luce
trattati di nuovi modi di inedi. carc,essendo allora appunto come i frut-
ti fuori di stagione, che non hanno tutta la loro sostanza,
dovendosi ciò maturare nell'età avvanzata, e colma d'esperienze
pratiche , dal che si può dedurre la ca-- gione, perche talvolta
ne’libri,che trat- tano di pratica , alcune cose, che vi fi
ritrovano non si verificano punto, e ciò proviene , perche furono
descritte da Medici , che non avevano ancora tutta l'esperienza
necessaria per meglio accer- tarle. Vedendo questo vizio di
non avere { potuto nella vostra persona fare alcun guadagno, vorrà far
prova, se per l'amore, che portate à qualche vostro figliuolo vi potesse far
prevaricare, e vi anderà suggerendo à poco a poco, che avendo S
voi [ocr errors][ocr errors] voi de' buoni Protettori, gli procuriate,
mediante il loro ajuto, qualche titolo nobile , qualche carica onorifica
superiore alla vostra condizione per inalzarlo, e dargli insieme attestato del
vostro amore, e benche questo non cada nella persona vostra direttamente, con
tutto ciò, venendo procụrato da voi, tanto sarete tenuti consigliarvege con la
Prudenza, anzi con la Giustizią-ancora , e consigliandovi con queste virtù vi
diranno concordemente, che il maggior benc, che voi potrete fare a' vostri
figliuo, li sarà, il procurare con ogni maggiore judustria , che divengano
capaci , e meriteyoli di dette cariche, di detti titoli, che così, con poco
ajuto de' vostri Protettori, potranno à suo tempo conseguire ciò, che sapranno
desiderarc, e gloriosamente, venendo loro ciò conferito à cagione del proprio
mcrito, ed operando voi in tal guisa , l'Ambizione nonpotrà trionfare di voi;
trionferebbe bensì, quando che voi usaste violenze in procurar cose, delle
quali non ne fossero [ocr errors] me [ocr errors] meritevoli, nel
qual caso ancora quanto farete loro ottenere sarà per l'appunto consimile à quel
titolo nobile, e speciofo, che si legge nel frontispizio di qualche libro,
à'cui la materia rozzamente, senza dottrina in esso trattata non gli
corrisponde, che in vece ne formi concetto di esso chi lo legge, e considera,
lo muoye più tolto al risos e perciò resta in un cantone derelitto, senza che
alcuno più lo consideri, L'Avarizia con duplicato pretesto di zelo vi
assalirà ancor'effa, ftantechę se non avrete figliuoli, ò nipoti y’infinuerà,
che facciate degl'avanzi più che potrete, à fine di stabilire qualche degna, e
grandiosa memoria di voi à prò de' posteri; fe poi gli averete, li facciate
ancora per lasciarli più commodi, ed in questo frete bene circospecti,
poichè Fallit enim vitium fpecie virtutis , du umbra; Onde appena,
che in voi fentirete certi impulli, certi stimoli infolici di cumulaà tali
effetei, consigliatevi con 13 S2 PruePrudenza, e con la Giustizia, le
quali vi faranno capire ciò, che dovrete fare , c vi diranno facilmente intorno
alla memoria grandiosa, che meditate di lasciasciare, essere meglio, che la
lasciare ale quanto meno magnifica, e senza alcuno ajuto dell'Avarizia, che
grandiosa con viziosi avanzi, perche tutto quel di più, che mediante il vizio
l'accrescerete, in vece di apportarvi gloria , vi recherà ignominia , e che
rispetto al cumulare di vantaggio per li figliuoli, e nipoti non lo facciate,
perche quello lascierete loro di più,acquistato con Avarizia consumerà ciò, che
avrete onestamente acquiftato, in oltre che voi siete tenuri di lasciar loro
tanto, che li bafti à potersi avyanzare ancor'essi nelle virtù, stante
che : Haud facilè emergunt quorum vir tutibus obftat Res
angufta domi . : E v'infinueranno d'avantaggio, che Ippocrate v'insegnò'
chiaramente à tal proposito ciò, che dovete fare, dicen dovi [ocr
errors] [ocr errors][merged small] dovi: (a) Neque verò exigende mercedis
cupiditate duci oportet , nisi ut ad artem edifcendam tuos instruas; E
che quando gli averete duplicato, ò triplicato ciò, che fù lasciato
à voi, e vi bastò per di- venire virtuosi, sarete giudicari da
tutti per buoni Padri di fameglia, e che av- vertiate bene, che
certe ricchezze, che superano la propria condizione, e per altro
non bastano à mantenersi in altra sfera superiore , sono
pericolosissime, perche à cui fi lasciano , volendosi trat- tare
quefti d'avantaggio di quello, che compete loro, preftamente le
dißiperan- no, conforme l'esperienza quotidiana lo dimostra
ben? fpeffo , per non volere questi tali ad altro impiego applicare
, che à quello dello dispendioso diverti- mento, non
servendo ftrertiffimi Fide- commiffi , nè altri legami inventati
per impedirlo; ftanteche nella medesimais conformità,
che da'viventi si passeggia sopra li sepolcri de’defonti, cosi
ancora per l'appunto si passa sopra le loro vo- [ocr
errors][ocr errors] lon(a) De pracept. S 3. 278 Dell'Idea del vero
Medico. lontà, e che quello, à cui dovrete invia gilare più d'ogn'altra cosa
farà, di lasciarli virtuosi, ben’educati, e con buoni avviamenti, che allora ,
quantunque li lascierete con mediocri commodi, da se medesimi potranno divenire
ricchi, e con questo vantaggio maggiore , che quelle ricchezze, che da se
medesimi fi accumuleranno , non già le disliperan10 , conforme bene speffo in
quelle , che si ereditano succede. Ponderate bene questi consigli, e
servitevene, se volete in tutto abbattere l'Avarizia. Incominciando voi à
porre il piede nella vecchiaja , à cui conviene di cedere, ve ne avvedrete
facilmente, quando che non potrete con quella facilità di prima reggere le
voftre solite occupazioni , ed allora cosa farete? Non altro certamente che di
consigliarvi con tutte le virtù, che v'indirizzinó per qual via dovrete
caminare acciocchè voi , li quali sarete utili alla Republica per la lunga
esperienza, che avrere, possiate più lungamente giovarle. La [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] La Prudenza, come Maestra di tutte le altre
virtù vi dirà, che non è convenevole d'abbandonare tutti quei fervigj di
coloro, che da voi per lungo tempo ne hanno ricavato del profitto nella loro
salute , ed anco lo sperano in avvenire, per la fiducia , che hanno in voi,
efsendo in istato ancora di potere ben'oprare , nè tampoco parte di elli ,
perche faria molto odiofa una tale vom ftra parziale risoluzione ; onde voi non
potendo disfarvene, per non sentire ilamenti dei vostri clienti, vi converrà
perfare di andare sostituendo qualcheduno, che vi poffa alleggerire almeno la
fati ed acciò abbiate facilità in eleggerlo, vi apporterà le trè malime
sostituzioni , che il mondo tutto rimirò nel primo secolo della commune falurcs
cioè : La prima, che fù fatta da Augusto in persona di Tiberio ; La seconda da
Galba in quella di Pilona ; e la terza da Cocceo Nerva in quella di Trajano; ed
in tal guisa facilmente v'istruirà , dicendovi : Nella prima Augusto ebbe una
$4 pelli [ocr errors] pessima intenzione,inentre scelse un soggetto
di reprobi costumi; un Tiberio ben noto per la sua iniquità, ed al sostituente
più di ogn'altro, stanteche: (6) Comparatione deterrimâ fibi gloriam quafavisse
. Nella seconda vi fù ottimo fine, perche fù eletto un meritevole, solamente si
mancò ne i mezi , e di questo ne fù cagione l'avarizia di Galba, giacchè:(c)
Confit at potuiffe conciliare animos, quantulacunque parci jenis liberalitate,
c perciò ebbe l'esito infelices Nella terza finalmente tutti li requisiti
furono ottimi, non vi fù punto di vizioso sì nel principio, che ne i mezi, e
fine , e perciò fù gloriofiflima. Queste , benche fie00 state sostituzioni
maflime, nulladime‘no possono servire di norina ancora nelle picciole, mentre
dalla prima ne ricaverete, che vi sarà che vi sarà poco bene accostumato;
chi farà vizioso non meriterà di essere da yoi eletto ; Dalla seconda ne
dedurrete, che chi elegge deve stare lontano dall'avarizia, e non esser
punto do[b) Tasit. Annal lib. 1. [] Tacit. Hia.Jib.1. redominato da
questo vizio, se brama, che tutto vada felicemente ; Sicché la terza, in cui
concorrono tutte le buone condizioni farà quella , che si dovrà imitare da voi
per fare una degna elezione,mentre non fù già eletto da Cocceo Nerva Trajano
per cagione di parentela , nè di {moderato amore, che gli portasse , mà bensì
per il suo merito, e per la bontà de' suoi costumi, e non ebbe già per fine
principale di gratificare l'eletto, mà solamente coloro , che doveano effergli.
fudditi, e perciò riuscì un'ottimo Imperatore, e felicissimi tempi furono
chiamati quelli del suo Impero. Non intendo già per questo di consigliarvi
d'abbandonare li parenti, gl'amici, e quelli, che più d'ogn'altro ainate,
perche ciò non saria ragionevole, anzi vi dico, che fiere tenuti à preferirgli
ad ogn'altro eguale, ed anco qualche poco superiore à loro, conforme vi
ordinerà la Giustizia isteffa , vi avverto solamente, che non vi serviate della
parentela, dell'amicizia, e dell'amore per inicroscopio, acciò ز
[ocr errors] vingrandischino di molto il soggetto, che prendete di mira per
sostituirlo, altrimenti v'ingannerete , e chi lo mirerà fenza questi microscopj
se ne avvederà molto benes conforine capirete anco voi istelli rimirandoli
fpassionatamente ins fimile forma : E' ud verso affai trito; mà però che cade
molto al proposito quello, che dice: Quifquis amat ranam, ranam
putat effe Dianam; E la cagione fiè, perche l'amore non solamente så
ingrandire il merito , mà ancora så ricoprire li difetti degl'oggetti amati. Se
farere dunque voi la vostra elezione con rimirare li soggetti calig quali
realmente sono 1109 alterati, per quali vi pofsono parere, non solamente sarà
questa gradita , e profitcevole, mi eziandio riuscirà per voi gloriosa ,
conforme seguì à Cocceo Nerva, à cui la maggior gloria , che gli fia rimasta
trà tante altre è quella ; di aver'egli saputo eleggere un Trajano per fuo
successore all'Impero , e solo da questi ogn'uno [ocr errors] ora
comprende à qual segno giugnesfero la sua prudenza , il suo giudizio, e la sua
integrità, ed essendo questi documenti della Prudenza per appunco coerenti à
ciò, che Ippocrate c'insegna, cioè :(d) At verò imperitis nunquam quidquàm
procurandum committes. Sin minùs ejus, quod malefactum eft vituperium in te recidet
&c. non potrete da esli punto discoItarvi. Palliamo ora
all'incunbenza, che dovrà avere questo vostro sostituto, il quale essendo da
voi scelto di buoni cos stumi, e dotto, caminerà in curto fecon: do la vostra
direzione, onde profitcevole in conseguenza sarà , à cui l'avrete proposto,
perche ne riceverà da esso un servigio alliduo, animato dal vostro prático
configlio, e di questo ve ne prevalerete da principio ne'casi più leggieri, per
poi, fecondo che v’andrete inoltrando negl'anni, avanzarlo ne'.gravi, con
questo però, che abbiate l'occhio arrento al servigio, con visitare ancor voi
di quando in quando gl'Infermi, per diriga gerli meglio con li vostri più
accertati consigli , e facendo voi in questo modo non solamente non avranno
fcapitato punto li voftri Infermi, anzi che più toito acquistato , restando
loro tutto il voAro consiglio come prima con l'afiftenza maggiore del giovine
sustituito, che da voi , mediante le vostre occupazioni, non lo potevano
esiggere, e precisamente nelle ore più fastidiose, e tutto questo benefizio
sapete perche lo riceveranno, ftanreche il sostituto fù scelto da voi, e da voi
non preso à caso, mà bensì capato trà li buoni per il migliore, dove che se
fosse stato preso per via di raccomandazioni, e senza la vostra dependenza ,
non caminerebbero le cose così felicemente, poiche sdegneria tal da voi
independente sostituto caminare con le yostre direzioni, volendo far'egli à suo
modo, e non saria picciolo favore,quando ve lo facesse, in caso di qualche
controversia , di non ispargere da , che voi siete vecchi rimbambiti, e
che quan; [d] De dec.orn. non [ocr errors] non fiete più
capaci di medicáre, per iscreditarvi con fimili menzogne, e da ciò qual
vantaggio se ne riporteria à prò degl'Infermi, se non che una confusione, una
inquietudine continuata , ponendosi in dubbio talvolta à chi de* due fi dovesse
prestar maggior fede, se al giovane petulante, e scostumato,ò al vecchio,
benche ingiustamente vilipeso; Con ragione dunquc Ippocrate inveisce contro
costoro, che per vie indiretre si avanzano, dicendo: (e) Quàm repentè evecti
fint, fortunæ tamèn ægentes per divites quofdam ex anguftiis emergunt utrique
exi eventu nominis , celebritatem adepti, & in pejus ruentes luxu diffluunt
, quæ in arte nulli rationi reddende sunt obnoxia negligunt ac. In questo
proposito il Disinganno, che hà il cuore sincero vi scoprirà un'altro
pregiudizio delli massimi , che corrono trà alcuni , che non sono nella
professione versati, quali credono per cosa utile nelle cure le controversie, edissenzioni
trà Medici, e dicono, che essendo trà essi discordi, si scopra allora meglio la
verità, confondendoli da quefti tali ciò, ch'è disputa virtuofa , utile anzichè
neceffaria , dalla diffenzionc, e discordia superflua, e viziosa, nata dal mal
costume . Il Disinganno vi scoprirà il tutto, e vi dirà: la disputa neceffaria
è quella, che risulta da qualche indicazione dubbiofa per meglio discernerla, e
questa trà Professori esperti, e di buoni costumi termina prestamente ; perche
seguitandofi da elli solamente il configlio megliore, in un subito si
accertano, le quali ragioni , e quali motivi prevalgono, se gl’affermativi, ò
pure li contrarj, ed à megliori concordemente si appigliano ; Dovechè la
diffenzione, e difcordia , che proviene dal mal costume, che per lo più viene
fomentata da puntigli, e germoglia da picciole occasioni, non solamente è molto
dannofa , inà perche si yà al cattivo, non mai viene affatto
terminata,stanreche in simili contenzioni = Qui velit ingenio cedere
nullus eriti [ocr errors] erit ; ela cagione di ciò n'è, perche
tutto proviene dalle volontà discordi,che non amano di unirsi assieme, nel qual
caso lę ragioni più valide, li motivi più evidenti, ò non appagano, ò non si
vogliono capire, à segno , che alla fine annojarifi del troppo altercare, in
vece della decifione letteraria fi passa qualche volta all' obbrobriosi
improperj, senza ricavarne altro profiețo, che : Şeipfos ludibrio exponere ,
come insegnò Ippocrate , (f) € questo è per appunto quell'ideato bene', che à
prò degl'Infermi se ne riportą da fimili contese, sicchè non v'è altra strada,
che quella della concordia, à cus uniteci il consiglio già propostovi dalla
Prudenza, & approvato dalle altre virtù entrando voi nella vecchiaja, se
bramate con vantaggio,e profitto de' vostri Infermi alleggerirvi dalle fatiche,
nel qual caso trovădoyi aggravati dall'ostinata Discordia , la Giustizia non vi
obligherà à paziétare di vataggio,mà farete, che ogn’uno si serva pure à suo
piacere , (6) Lib. de Praçept. [ocr errors] Inoltrati, che poi sarete
nella vecchiaja , che ve ne avvedrere pur troppo, se non vi vorrete lusingare,
dalla notabile mutazione, che proverete in voi da quello , ch'eravate una
volta, poiche le forze del vostro corpo languiranno, il vostro perspicace
ingegno, la vostra. gran memoria, la vivacità del vostro fpirito, il discorso
così spedito non si scorgeranno più quelli, che già furono, rincontrandoli
ogn'uno molto mutati. In tale stato inevitabbile, cosa vi converrà fare? Non
altro certamente, che d'imitare quei celebri Pittori, che per non perdere quel
glorioso nome, che per lo passato aveano acquistato, allorche si avvedono, che
i loro pennelli non sono più à dovere regolati dalla tremolante mano li
sospendono per trofei delle loro opere già fatte, e terminano in questa guisa
gloriosamente il loro mestiere. Seneca assomigliò faggiamente la
vecchiaja alla nave, che comincia per la sua antichità à scomporsi,
dicendo: Quem 12 [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] Quemadmodùm in Have, que sentinam trabit uni rime , aut alteri
obfiftitur : Ubi plurimis locis laxari cæperit , q cedere,
fuccurri'non poteft navigio dehiscenti : Ità in fenili corpore
aliquatenùs imbecillitas fuftineri , c fulciri poteft, ubi tamquàm
in putri ædificio omnis junctura dilabitur , Odùm alia excipitur ,
alia difcinditur cir- cumspiciendum eft quomodò exeas . E po- tendo
egualmente la detta nave, che il vecchio, pericolare nel suo
consueto viaggio, converrà dunque ad ambedue prendere il sicuro porto
per prolungare più, che sia poflibile il suo essere. Mà
questo distaccamento vi parerà il più duro, il più difficile di qualunque altra
cosa, che averete emendata in voi sino à quel tempo; sì perche quest'impotenza
insensibilmente se ne verrà ayanzando, onde in un subbito non ve ne potrete
avvedere, e forse non prima di allora , che voi sarete renduti affatto inabili
per la repugnanza grande , che hà Pumana natura à dichiararsi inabile, come
ancora, perche non godendo più T quel е quella bella
perspicacia di mente, quella pronta risolutezza di prima, non saprete così
bene, come una volta, scegliere, e prontamente eseguire li buoni consigli della
Prudenza, e se il buon'abito fatto non vi ajuterà allora à fare tal
risoluzione, infingardamente procrastinando di giorno in giorno ad effettuarla
, farete più tosto voi prevenuti dalla neceflità, di prevenirla ; Sicchè prima,
che voi abbandoniate li negozj; elli averanno lasciato voi's Quindi è, che per
non cadere in fimile obbrobriofa miseria converravvi, per ben consultarla, nè
d'afpettare allora , che la vostra mente farà notabilmente deteriorata, nè, per
eseguirla, quando sarete molto proflimni al non potere più operare, e quanto
queste risoluzioni più generosamente intraprese saranno , tanto più
gloriosamente, e facilmente vi riusciranno, nè crediate , che un simile
distaccamento, con tutto che la nostra natura vi repugni , lo sia impoflibile à
farsi, mentre lì è veduto praticare da più d'uno , e trà gli altri dalMedico
Romolo Spezioli , il quale nel colmo delle sue prosperità, doppo un lungo
servigio della Regina Cristina di Svezia , di gloriofiflima memoria, che
continuò finche ella visse; doppo essere ftato Medico Pontificio della santa
memoria di Alessandro Ottava, incaminatosi già per la via Ecclesiastica,
proseguì questa, e lasciò affatto nell’auge delle sue occupazioni, e della sua
età con generosa risoluzione, contento di ciò che aveva acquistato ,
l'esercizio della Medicina , nè alcuno de' suoi clienti si è potuto dolere con
ragione di lui, perche li abbandonò è vero, mà per
servire folo à Dio, che con quanta esemplarità egli lo faccia ,
offenderei non solamente la fua modestia con riferirlo, mà temerei ancora, con
fargliene molti encomj, che non restaffe à bastanza appagato chi con occhio
fincero giornalmente rimira le fue degne operazioni. Nè devo in questo
proposito paffare sotto silenzio il ritiro , che fece Antonio Piacenti di
felice memoria, mio di T 2 let [ocr errors][ocr errors]
lettissimo Maestro, avendo voluto egli tra le altre fue virtù, per compimento
della sua gloria collocarvi questa ancora del bel distaccamento dal mondo,e
nell' istabilirlo mi disse, che lo faceva per prevenire la sua inevitabbile
impotenza, ftimando , che il prevenirla fosse cosa più vantaggiosa , che
d'effere da effas prevenuto per gl’esempj, che aveva offervati in alcuni , che
quantunque decrepiti, e finemorati, con tutto ciò non vollero lasciare di fare
il Medico' più per rendersi ridicoli appreffo li giovani, che punto non li
compativano, che di effere a' suoi Infermi profittevoli, e con ammirazione di
tutti ponevano à pericolo quel buon concetto , che avevano fino allora
acquistato, per un tenuiffimo, c miserabbile premio, del quale non nc avevano
alcun bisogno, per essere già divenuri molto ricchi. Sicchè per isfuggire
simili sventure vi converrà d'andar pensando in tempo opportuno, e quando
ancora sarete con fegtimenti vegeri, à questo buon ritiro, c fino
[ocr errors] la e fino da quel tempo appunto, che.co“ mincierete ad
alleggerirvi le fatiche, perche ciò, che la Prudenza allora vi consigliò fù
tutto preordinato à questo effetto, e la prima diligenza, che vi converrà fare
sarà di agiustare li yoftri affari domestici in quella forina appunto, che
fogliono praticare quei saggi viandanti, che devono sempre stare allestiti per
passare in remotislimi paesi, e che non possono indugiare punto, allorche sono
ayyifati per partenza. Questi tengono sempre pronto ciò, che fà di
bisogno per il loro viaggio, si aggiustano le loro puntuali rimelle , e poi
danno la sopraintendenza generale di ciò, che possedono à chi fedelmente lo
custodisca, ed à tal ministero eleggono un proprio figliuolo,se farà prudente
economo,e fenza vizj,altrimenti un'estranco di provata fedelcà, economia, e
prudenza . Dato un buon fefto , che voi averen te alli vostri affari
domestici in tanto, che anderete vedendo se caininerà tutto à vostro modo , per
poterlo emendare, [merged small][ocr errors] [ocr errors] fe in qualche
cosa difettasse, à fine di non avervi più da inquietare intorno ad csso ,
fupplicherete le virtù, che vi configlino , e preftino il loro ajuto, in questo
penultimo paffo, che dovrete fare, le quali avendovi sempre affiftito per lo
paflato, certamente che non vi abbandoneranno nel meglio, ed allora appun
che vi trameranno infidie la fastidiofaggine, l'impazienza, il sospetto,
l'incostanza, l'amore proprio, con il soverchio timore di ciò, ch'è
inevitabbile , vizj tutti, che aspettano il quando voi farete languenti non
meno di corpo,che di mente, per dominarvi à fuo modo ; nel qual compaflionevole
stato cosa fareste mai di buono, se non ayelte le virtù consigliere?
Queste divideranno facilmente il loro conGglio in sette parti; La prima farà il
quando lo dovrete farê; La feconda il come ; La terza dovë ;La quarta con chi ;
Quinta;con che preparamenti; Sesta, cosa dovrete allora fare; Ela settima, che
cosa fuggire. Primo, ز Primo ; circa al quando, vi dirà la
Prudenza, che allora appunto facciate il vostro distaccamento, quando che
proverete sensibile il peso degl'anni, che la memoria vi anderà notabilmente
mancando, e che fentirete la fatica, benche allegerita, molto molesta , ed
averete allora giusto motivo di pensare solamente à voi stessi , senza più
indugiare à farlo. Secondo, intorno al come lo doyrete fare, vi
consiglierà la Giustizia di usare ogni maggior civiltà possibile in licenziarvi
da tutti quelli, che si prevagliono di voi, con far loro conoscere, che fino à
tanto, che avere potuto, non avete risparmiato nè fatica, nè incommodi per
servirli bene, ma ora, che vi sono mancate le forze, il solo buon'animo, che vi
resta, non lo credere sufficiente per li loro bifogni, e che li confoliate
insieme, che avendoli già voi proveduti di soggetti non inferiori à voi ,
potranno essere da questi in avvenire affai bene affiftiti; Ne
seguirannofacilmente varj atti di reciproca tencrezza, mà fate, dirà la sudetta
virtù, che questi nè vi distolgano dalla risoluzione già fatta, nè vi pongano
in qualche forta d'impegno d'averla in qualche loro occorrenza, ò
imprudentemente da ritrata tare , ò mancar loro di parola. Terzo, nè vi
consiglieranno già , che vi scegliate qualche solitudine remota per fare il
vostro ritiro, mà bensì un'appartamento assolato della vostras casa, nel quale
vi sia minore strepito, anzichè vi dissuaderà la Prudenza, se aveste mai qualche
pensiero d'allontanarvi dal. la Città, d'effettuarlo, per li seguenti motivi,
perche ne' piccioli luoghi non potrete ritrovare tutti quei commodi, nè godere
di quei vantaggi, che nelle fole città vi sono, dove il governo risiede, la
civiltà, e la convenienza rcgnano, doveche al contrario questi mancano, ò
almeno scarseggiano, oltre il correre rischio di penuriare di molte cose,
s'incontrano facilmente de' disguki, à cagione della poca cognizione,
e civiltà, che ivi li suol praticare , & in ispecie con quelli,
che la dottrina, & il valore l’inalzò, essendo perciò molto
dall'inciviltà odiaci, e benche Scipione il Grande nel suo, non tutto
volontario ritiro in Linterno; (perche lo fece per accomodarsi alla
necelli:à di quei calun- niosi tempi) avesse la sorte di essere
stato venerato da molti uomini facinorofi,che ivi accorsero per
ainmirarlo, è stato egli quasi singolare in questo, mentre altri
furono assai diverLamente trattati, trà quali basterà riferirne uno
solo,mirabbi- le per l'accidente, che vi
s'incontro. Venne volontà nel secolo passato ad un' Officiale maggiore di
guerra,doppo molsi illustri fatti felicemente occorsili, di ritirarsi alla sua
picciola patria, già dia venvto vecchio, per godere ivi la sua quiete. Mà
appena giontovi , che incon minciò ad essere deriso, e beffeggiato da quei
rpstici abitatori; Ditali impropri trattamenti se ne rammaricava il valo, roso
vecchio, mà per non prenderla con tanti, andava disimulando. Si suscita.
[merged small][ocr errors][ocr errors] tono in questo mentre alcuni principj di
guerra, ed ecco all'improviso Inviati con sacchetti d'oro, che andavano
cercando quel merito così vilipeso da quella rustica progenie, allora quel
meritevole prendette spirito, e per mortificare li suoi persecutori fece spandere
quell' oro alla vista di tutti, che ammirati attoniti, e confusi ebbero
occasione di ravvederli del loro errore ; mà se quell' oro non compariva , il
merito ivi non già risplendeva. Mà perche avanzandovi nella vecchiaja non
potrete sapere à che segno la vostra salute si di corpo, che di mente vi
potranno reggere ; Quindi è, che per compire faggiamente il corso di
vostra vita, le virtù vi consiglieranno à sceglicre chi potrà essere à
proposito per voi, allorche vorrete vivere solamente à voi medefimi, tanto in
caso di felice, che di penosa vecchiaja , e facilmente yi diranno la Prudenza,
e la Giustizia : fceglietevi å tal'effetto un Direttore spiricuale de' più
dottia e discreti, che vi COR [ocr errors] conservi vivi li yoftri
abiti virtuofi. Una amico fido, e prudente, che vi suggerisca ciò, che dovrete
operare, caso che, ve ne dimenticaste , che sopraintenda.a’ vostri
interessi,acciocchè non fieno trafcurati,per negligenza di chi li maneggia. Un
parente amoroso, e disinteressato, per supplire all'amico, e dare anco
soggezione à chi vi serve, ed un servidore abile, che vi allista con carità ,
amore, e discretezza, e questi non basterà , che yeli siate scelti, mà dovrete
ancora mane tenerveli ben’affetti, altrimenti disguftandoli con voi , vi troverete
intrigati a, e sappiate la cagione del disgusto de' trè primi, quale potria
effere ; l’incommodo, senza loro utile, delle frequenti visite, e brighe
continue per voi, mediante le quali annojari , fi potriano facilmente alienare
da voi;mà per rimediare à quefto, non dovrete fare altro, che di fervirvi della
potentissima efficacia di qualche cortesia usata loro si che, se ve ne farà
d'uopo, cambierà in un tratto ogni più dura fatica in ispasso", ogni noja
in ز piacere, ed ogni più grave disaggio in dilettevole
divertimento ; caso poi, che non ve ne fosse molto bisoglio, diportandovi voi
con esli grati , essi ancora verso di voi saranno più diligenti, aslidui , ed
affezionati : Munera , crede, mihi placant, bomines que, Deosque ; E
renete pure per certo , che favolosi sono quei casi, che di alcuni Gentili fi
raccontano, che tutto elli facevano per puro amore, e che l'incommodo maggiore
degl’altri era da questi lo più ricercato; Mà però con il servidore abile, che
dovrà stare affiduo con voi, per tenerlo contento, vi converrà praticare due
modi, uno privativo, che consisterà in non maltractarlo nè con fatti, nè con
parole, dovendo voi, che avrete bisogno di lui, acquistarvi il suo amore, e
facendo voi diversamente, in vece di guadagnaryelo , più tosto lo perderefte,
quando che ve qe portasse : E vero, che difettando egli, lo dovrete correggere,
mà pero con maniera umana, con farglicapire'il suo fallo, non già con
ingiuriara To, e caricarlo di strapazzi, perche venendo trattato da voi in tal
guisa , cosa ne seguirà ? O che vi abbandonerà nel meglio, e voi come
rimarrefte? O continuerà a fare peggio di prima, e voi cam fa avreste
acquistato ? E l'altro positivo, che consisterà in fargli capire, che voilo
amate di cuore, e non per solo vostro vantaggio , mà come fosse un vostro
figliuolo, e che ciò sia, lo crederà allora appunto quando si vedrà trattato
bene da voi, comandato con discretezza, c meglio di ogn'altro glielo farà
capire , quando si vedrà regalato da voi con giudizio , e questo regalo non
consisteria in altro, che di usargli un'amorevolezza pecuniaria , à proporzione
del vostro potere, ogni anno nel vostro giorno natalizio,con promettergli
negl'anni venturi sempre di raddoppiarla, e questa, con tutto che sia una gran
cosa in apparenza, voi, che sarete avanzati negl’ anni, la potrete ufare con
più generosità de' padroni giovani,che sperano di cains pare lungo tempo, &
al servidore gli sarà grato à segno, che non lascerà cosa, che possa giovare à
farvi vivere più luagamente, che non la procuri. Avrà fempre timore , che non
vi disgustiare , che non patiate , & allora appunto lo avrete già
interessato nella vostra vita, e nericaverete un'ottimo servigio.
pare Quinto, oltre li preparamenti neceffarj già da voi fatti
per sostentamento, e sollievo del corpo, vi consiglieranno facilmente,
& in ispecie la Fortezza , à farne ancora degl'altri per l'animo, non meno
necessarj de primi, e questi saranno di proyedervi di molta sofferen ed
ilarità, che facilmente ve ne bifogncranno , acciò non venga turbata la vostra
bella tranquillità di animo, che goderere, santeche trà mali familiari
dell'inoltrata vecchiaja yi fi annovera quello ancora della fastidiosaggine, e
questa non con altro rimedio si puo curare che con l'abbituara sofferenza
; E perche danneggiano ancora di molto pell’età avanzata la malinconia, &
il di za , [merged small][ocr errors] disgusto; Quindi è, che
per tenerli lone tani, vi è d'uopo dell'ilarità , mediante la quale solamente
diverrete ad essi superiori. Sesto , parerà forse cosa impropria à chi
udirà , che voi come Medici provetti possiate avere di bisogno allora del
parere altrui intorno à ciò, che dovfete, ò non dovrete operare, mà fe ben
rifletterà , che non mai fù nocivo ad alcuno il caminare con il consiglio della
Prudenza, e della Giustizia in ispecie, cambierà facilmente parere , e tanto
maggiormente, che niuno in caufa propria puol'essere competente Giudice e più
precisamente in quella età, in cui tutto ciò, che abbiamo di meglio, allora
languisce; Le virtù luderte vi diranno à tal proposito, che non crediate
già,che il vostro ritiro abbia à servire per totale riposo del vostro corpo, 8c
acciocchè se ne stia affatto ozioso, & infingardo, perche passereste in tal
caso, da un'estremo vizioso all'altro, senza profitco alcuno, essendo questo
egualmente nocivo dell' dell'anrecedente, perche, come ben sapete,
consistendo la vita nel continuo movimento de fluvidi , che dentro il nostro
corpo si aggirano , & ancora, che questo venga agevolato dalle pressioni
musculari , sicchè ogni qualvolta cefferete di muovervi, non avendo tanta forza
li muscoli, in istato di quiete , di propellere , neceffariamente seguirà , che
detti duvidi lentamente scorreranno, e più d'ogn'altro ne' vecchi, impoveriti
de' spiriti, onde in conseguenza ne verrà, che la vira iftelsa ne riceverà del
danno notabile, mancandole ciò, che se le deve , per il suo più necessario
prolongamento, oltre di che ne' vecchi cade un'altra necessità particolare di
doversi muovere, & è, perche tendendo eli alla ficcità, li loro tendini, e
legamenti, atti più dell'altre parti à contraerla , cessando di moverli si
possono irrigidire à segno, che impediscano loro affatto il poter più camminare
, conforme più chiaramente fi scorge in quei vecchi, che à cagione di qualche
loro [ocr errors] indisposizione per lungo tempo forzata-
mente giacciono in letro, li quali, ben- che abbiano superato quel male,
che li teneva al riposo, nel volere camminare si accorgono di
non poterlo più libera- mente fare come prima. Il sudetto ritiro
dovrà servire bensì per riposo, e calma della vostra mente, già stanca
per li so- verchi pensieri, la quale non dovrete', nè potrete
quietare con renderla affaito oziosa , mà bensì con contracambiare
quei di già nojosi con altri più ameni , ! quei cotanto laboriosi, con
altri, che non la stanchino di vantaggio, mà più tosto la ricreino,
conforme in appresso diremo. Mà ritornando al moco
, che vi competerà di fare , questo sarà appunto quello, (vi
dirà la Giustizia ) che altrui di età avanzata voi avrete consigliato,
cioè di farlo in tempi sereni, & aria ri. scaldata dal Sole, non già
irrigidita del- la notte, & allora appunto, che il vostro
stomaco ayerà digerito il cibo, con que- fta avvertenza di più, che
avvedendovi di non potere continuare l'esercizio, a quel segno di prima, lo
modererete, non tutto in un tratto, ma bensì à poco à poco, finche vi poniare
in una regola di poterlo continuare, senza voftro disaggio, & à quel segno
, che lo stimerete necessario , e ve lo permetteranno levostre indisposizioni,
che soffrirete, & acciocchè sia continuato per quando non potrete uscire à
cagione de' tempi fred. di ventofi, ò umidi,lo farete in casa. Solevano à
tal'effetto una volta li vecchi praticare l'esercizio chiamato dell'attacco,
che conGsteya in istringere con le mani un certo ferro foderato di corame, che
era conficcato in due lati prossimi ad un'angolo della stanza, all'altezza di
un'uomo, al quale attaccati , non solamente si distendevano , mà con maggior
agilità ancora movevano faltellando li piedi, modo appreso forse da Eumene, che
ritrovandosi assediato, per avere più agili li suoi cavalli, caso che gli fosse
convenuto fuggire, in un modo assaiconfimile a questo li esercitaya, mà fù
nel fea secolo passato già dismesso tal'esercizio, con molti altri
neceffarj alla salute,e non se ne sà comprendere altra cagione, se
non perche, non erano commodi, stan- teche strapazzavano il corpo', il
che fi congettura dal vedere , che da allora in qua non si è aèreso
ad altro, che à cerça- re questo commodo, fe pure commodo
si potrà chiamare ; (soggiugnerà la Pru- denza) ciò, che incommoda
la salute ; Commodo si potrà dire una carozza,che posi shule Molle
con cignioni lunghi, che non isbarta punto, allorche le sue ruote
urtano ne' faili, per chi foffre il inale di pietra nella vellica, per
chi parisce bru- ciori di orina , per una giovane gravida, folita
di abbortire, perche ò non posso- no soffrire lo sbattimento, ò è loro
no- civo; onde : conviene , che facciano conformc è
loro permesso; Mà per un giovane sano, à cui lo
sbattere gli conferisce alla salute, af- sodandogli la sua buona
complessione commodo non si deve chiamare,mà ben- si incommodo,
perche presto glicla in- [ocr errors][ocr errors][ocr errors] ز
[ocr errors] 0 el [ocr errors] .com commoderà. A questo
proposito vi riferirò un caso terribile di un Cavaliere, il quale à cagione di
propria commodità non moveva nè pure un dito, se non gli era accompagnato da
chi lo serviva, fi faceva fino imboccare, quanto mai egli era commodo ; onde lo
conduffe la sua pazzia à diventare un tronco, mercechè volendo una volta
muovere un braccio, non lo poteva più fare,un piede nè tampoco , e come un
ciocco gli convenne vivere, se pure quello vivere li [ocr errors][ocr
errors] poteva dire, Dall'esercizio corporale ritorniamo à quello della
mente, la quale, conforme dicemmo, non la dovrete stancare di vantaggio con
cose laboriose ayendo voi à tal'effetto bramato, e procurato il vostro ritiro,
mà nè tampoco converrà di tenerla affatto oziosa, acciocchè non ritorni à
coltivare le specie antiche, non sapendo, che altro fi fare. Nel principio del
vostro distaccamento, come vi suggerirà la Prudenzala terrete occupata in
diverse cose, con il suo rin par [ocr errors][ocr errors] partimento
dell'ore più proprie ad esse. Ne darete alcune agl'esercizj fpirituali à prò
dell'anima vostra , secondo il configlio del vostro Direttore,qualche altra
servirà per l'esercizio corpcrale, e le rimanenti alla quiete della mente
faranno da voi destinate in due maniere , cioè, con leggere , ò sentirlo , e
con il riposo; Li libri da leggere, proprj per tal'effetto, già ve li sarete
scelti , allorche vi preparaste per il ritiro , e si può supporre, che saranno
inorali, prediche, vite più esemplari de' Santi, e cose confimili, e se vi
sarete serbato qualche libro Medico, questo facilmente non tratterà di altro,
che del regolamento della vecchiaja, e del modo conforme si possa più
agevolmente ella sopportare , & inoltrandovi finalmente nella penosa
vecchiaja, non troverete maggior refrigerio, e sollievo, che di uniformarvi in
tutto nella volontà di Dio, e se giornalmente farete qualche meditazione sopra
la morte, vi recherà questa del vantaggio , perche divenendo perciò
superiori [ocr errors] ad effa, non vi potrà punto contristare, allorche
da vicino la scorgerete venire, e tanto maggioripente se meditandola
rifletterere, che se ne viene per togliervi dalle miserie, e collocarvi in
un'eternità di bene, essendo voi vissuti con le buone direzioni delle virtù,
non già con le lufinghe fallaci de vizj. Settimo, finalinente, diranno le
vir. tù , se volessimo rammentarvi tutto ciò, che non è convenevole, che ora
facciate inolto averelimo da dirvi, solamente alcune cose vi avvertiremo, nelle
quali potreste facilmente cadere . La prima delle quali sarà , ( se vorrete
caminare con le buone direzioni della Prudenza ) che avendo voi una volta per
giusti motivi risoluto di lasciare la Professione, non mai più dovrete
pentirvenç, e ritornar di bel ouovo à profeffarla», se non in quel caso
impossibile, che voi cựngiovenifte, altrimenti facendolo acquisterefte ritolo,ò
d'instabili , imprudenti, ò per la meno di superbi, potendosi da ciò
.cognetturare, che allora non lo facesteper impotenza, mà bensì per
isdegno concepito per non vedervi stimati à quel segno, che
bramavate di essere. La seconda, se vi venisse mai
volon- tà di mutare, senza giusta, & urgentili- ma
occafione , il vostro già fatto tefta- mento, mà solamente per
motivo di me- gliorarlo, che non lo facciate, vi coman-
deranno la Prudenza, e la Giustizia in conto alcuno, mentre
questo saria uno delli maggiori infortunj , che vi poteffe
allora accadere, perche se quello , che avrete fatto in tempo
, ch'eravate con sentimenti più vegeti, ora non è di vo- stra
sodisfazione , come potrà fodisfarvi l'altro fatto da voi ,
dapoiche vi siete ri- tirati, à cagione di debolezza , non
nie- 110 di corpo,che di mente la quale entre- rà
prestamente, per essere in quella età sospettosa nella casa della
dubietà, mà ritrovandofi ancora languida , e piena di
timore tosto le sembrerà un laberinto, non sapendone
rinvenire la strada das uscirne, e perciò la sera penserà ad
una cosa, e depofta quella, la mattina ad un'
altra, [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] V 4 altra, oggi farà di un genio, e domani facilmente
di un'altro, e durando per qualche tempo così incostante, non folamente si
confonderà, mà s'inquieterà ancora ; onde quel tempo, che avevate dato alla
calma del vostro animo , in questo modo glielo rubbereste per darlo alla vostra
inquietudine , fenza ricavarne un minimo profitto, perche se pure giugnefte à
fine di stabilire la vostra ultima disposizione, sarà questa assai peggiore
della prima, e se non arriverete à compirla , l'inquietudini riccute, che
giovamento viaveranno apportato ? E quanto dette virtù vi hanno ordinato,
l'esperienza pur troppo l'hà fatto vedere, mentre chi nel suo ritiro hà avuto
simile tentazione, non solamente è vissuto inquietissimo tutto quel tempo, che
aveva destinato alla sua quietc, mà hà fatto una nuova disposizione del suo
avere così intrigata, così confusa, che hà dato di fe molto da dire . In niun
tempo si deve andare in traccia dell'ottimo, essendo questa distruttivo del
bene, mà [ocr errors] 1 mà in questo stato meno d'ogni
altro nel quale è molto espediente di dare orecchie à ciò, che si
legge in Tacito, ed è : Confilium , cui impar erat fatu per- mifit
; E certamente, che quando siete meno capaci di risolvere, è pur
meglio, che lasciate correre ciò, che faceste di vostro genio
quando eravate più atti, che di mutarlo divenuti meno sufficienti
ancora ad emendarlo. Vi pregiudicherà per terzo
ancora di molto la troppa curiosità, & in ispecie
de fatti domestici , come ben vi avverri tirà la Prudenza,
perche più d'una vol- ta sentirete cose tali, che vi turberanno
notabilmente la vostra quiete,& affinche dal non ricercarli fi
scanzi ogni pregiu- dizio, fate., che quel vostro amico, quel
vostro parente, de' quali da principio parlammo, gli diano il suo
rimedio, ci pensino essi, che meglio di voi lo faran- (no , e
senza inquietudine vostra. E caso poi, che la necessità portaffe di
farvenc consapevoli sfuggano per quanto si può di dirvelo di
sera , per non togliervi 0 [ocr errors] il riposo della
notte. La quarta intorno à ciò, che dovrete fuggire in caso di qualche
incommodo abituato, che da soverchi anni procedere , la Giustizia, e la
Temperanza vi diranno : Ricordatevi, che una volta in altri non l'avreste
curato, mà folamente mitigato; onde non facciate, che la molestia , che vi
recaffe vi stimoIalle ancora à divenire carnefici di voi medesimi , con
pretendere di farvelo curare, conforme à più di un Medico avanzato negl’anni è
accaduto , per esserfi voluto esporre al taglio della pietra , quantunque ad
altri così avanzati in età non l'averiano consigliato.Questa penfione , che
Iddio hà posto sù il gran benefizio della lunga età che vi ha conceduta ,
vuole, che da voi fi paghi, altrimenti il fudetto benefizio mancherà
prestamente 5 Limnolesti pruriti esterni , li bruciori d'orina , le vigilie
frequenti, che bene spesso ne' vecchi accadono , fapete pure, che non vanno
curati con rimedi eradicativi, mà mitigar ben fi de [ocr errors]
1 [ocr errors][ocr errors] devono con cose anodine, trå quali il
latte , amico de vecchi asciutti hà il primato , e per essere ancora egli
il pris mo querimento, che si prende, non è disdicevole , che non
venendo à cagionc del soverchio sonno ritardato, sia ancora
Pultimo, conforme praticò con profitto Fabio Mafsimo nella sua età
decrepiti. Per quinto avvertimento vi con-
verrà stare molto circospetti per non cadere in certi errori,
che li vecchi li stimano sussidi dell'età cadente, ftante-
che provando languidezza di forze fi, portano con desiderio
(moderato à pre- valerli de’yini più generosi, e di altri
più fpiritosi liquori , intorno a' quali vi ricorderà la
Temperanza, che sapete pure quanto di male apportino alla in-
languidita tefta , all’inaridite viscere, e quanto di solfo communicano
alli ni- trofi fluvidi, ed in conseguenza di che danno essi
siano , che voi ben lo sapete, onde in vece di questi vi servircte
più ļosto del perfetto cioccolato , de' buoni brodi,
de' vini gentili, e delicati, c di altri liquori consimili, presi con
moderazione, e con questa distinzione , che effendo taluno di voi grasso, &
avendo disposizione al soverchio sonno prenderà spesso il cioccolato la
mattina, nel doppo pranzo , ò di sera il caffè , ò il the, è la bollitura di
salvia , sc poi sarà dimagrito , e sottoposto à vigilie, las mattina
frequenterà più tosto un brodo con la fetta del pane ivi bollita, e del
cioccolato se ne servirà qualche volta doppo pranzo immediatamente, conforme ancora
in vece del thè, e del caffè ricorrerà all'uso della bollitura dell'orzo
abrustolato, resa grata con qualche odoroso liquore, all'emulsioni fatte in
brodo , con semi di meloni , in particolare fe farà molestato da pertinaci
vigilie. Per fefto , fuggite ogni sorta di be vanda gelata, vi diranno la
Fortezza, e la Temperanza , quantunque la moleIta fete, che alle volte suole
travagliare li vecchi vi rendesse ansiosi di effe, perche sapete pure quanto
danno vi po triano [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] triano recare, & in vece di queste servis teyi
delle bevande attualmente calde , che vi smorzeranno con più facilità
la sete per quella cagione à voi nota, che sciogliono li liquori
caldi più facilmente quei fali, che titillando le papille del gusto
non solamente le costringono, mà recano ancora aridità à tutta la
mem- brana interna del palato , & esofago in- crespandola à
guisa di carta pecora, e questi con il liquore caldo vengono più
facilmente sciolti, & ancora le parti ina- ridite con più prontezza
fi distendono, doveche dalle gelate ne segue l'opposto, e per
questa cagione tali acque sono consimili à quelle , che Quò
plus sunt potæ , plus fitiuntur aqud; E perciò
non si sà capire per qual cagio- ne in particolare ne' vecchi sia stato
dif- messo il bevere caldo tanto praticato dagli antichi Romani , e
tanto maggior- mente, che dall'abuso di dette acque gelate ogn'anno
ne seguono delli casi funesti, coine ben sapete ; Dal soverchio
bere, 7 bere, con tutto che non sia gelato, ve no asterrete
ancora, effendoyi noto quanto di male possa apportare alli stomachi
debilitati dagl’anni, potendo non sólamente inlanguidire li fermenti digestivi,
mà opprimere insieme preventivamente quel calore, che stà per finire.
L'esperienza dimostra chiaramente , che le piante annose inaffiate à suo dovere
si conservano, mà soverchiamente più preftamente mancano, Per settimo,
v'avvertiranno la Prudenza, e la Giustizia di non porvi in una regola rigorosa
di vivere, con il motivo della moderazione del vostro esercizio consueto ,
perche la natura già affuefatta da tanto tempo à quella quantità di nutrimento,
vedendolo tutto in un tratto notabilmente scemare ne riceveria incommodo
considerabile, costando pur troppo per esperienza , che alcuni vecchi,li quali
l'hãno voluta tanto ristrignere preltamente sono mancati. Quello, che dovrete
praticare sarà di guardarvi da certi cibi di dura cozzione, di cattiva
qua qualità atti à poter nuocere , per altro nella quátirà l'anderete
moderando con occasione, & avyedendovi di non poterla ben diggerire, allora
l'anderete scemando, mà però lentamente, accioca chè non riesca molto fenfibile
derta mutazione, perche è cosa evidente, che allora appunto, che i vecchi
allentano di mangiare , poco resta loro di vita. Peggiore di questo ancor
saria, se cadefte in quella opinione tanto dangosa , che per vivere fano sia
neceffario di prender cose, che non facciano escrementi, mà che con l'odore
delle vivande, con qualche brodo di sostanza, si possa meglio , e con più
salute campares di quello si faccia con tante altre cose piene di parti
escrementose, perche la Datara vuole fi camini per le sue strade ordinarie,
vuole da tutti egualmente efiggere ciò, che brama . Quell'incommodo, che vi
reca nel restituire le feccie ella sà per quali fini lo faccia , non è à caso.
Non n'elimè già Alessandro Magno dal suo fetore, conforme che li suoi Cor
teg teggiani adulandolo dicevano , perche ella non sà cosa sia signoria,
e grandezza fà che la morte (a) Æquo pulsat pede pauperum tabernas,
Regumque Turres. Per tre gran benefici la natura volle , che vi fossero
li tanto odiati escrementi: Primo, perche dentro di noi si facilitassero
mediante queste tante digeftioni, che vi si fanno , conforme l'esperienze chimiche
ad evidenza lo dimostrano, in tante digestioni fatte con il Fimo, e da quì
rifletcete quanto s'ingannino coloro, che procurano anziosamente à forza di
tanti reiterati purganci star-, ne senza; Per secondo, che nell'uscire che
fanno impari à conoscere ogn’uno se stesso, à che segno debbasi insuperbire chi
dentro di se conserva fimili fetidillime materie; E il terzo per convincere chi
non credesse il primo, con farlivedere quanta fecondità questi rechino alli
terreni sterili, che colsuo beneficio divengonono fertiliffimi , talche
erroneaè à priori quell'opinione di potersi nudrire con cose, che non abbiano
escrementi, conforme ancora tale à pofteriori si dimostra per essersi veduto
chi l'hà voluto praticare divenire un marafino, che in breve fini i suoi giorni.
Per ottavo , & ultimo finalmente, ch'è forse il più forte di tutti, vi
diranno le virtù : Guardatevi da quelli trè gran persecutori de' vecchi, che
sono, la caduta, il catarro, & il corpo soverchiamente lubrico ; La caduta
, voi sapere molto bene, che per due gran motivi è nella vecchiaja più dannosa,
che in altre etadi, sì per essere li vecchi di mi. nor vigore, e li più facili
à terminare la lor vita , ritrovandosi arrivati allo scorto di effa , sì
ancora, perche cadendo come un tronco ciò, che viene loro percoffo riceve colpo
pieno, non venendo riparato dall'agilità delle mani, nè dallo scanzo della vita
, come segue ne' giovani di maggior agilità di loro, onde per evitare una
simile fventura dovrete andare sempre con il vostro bastone, ne fa
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] farere come alcuni, che
l'abboriscono per mofrar braura , quando braura più tosto sembreria l'ayere in
mano il bastone di comando"; onde non senza mia stero fù chiamato da’
Latini il bastonc della vecchiaja Scipio, & il prendere Sufcipio.
L’occasioni di prendere li catarri à che segno le dobbiate fuggire,
l'efperienza altrui ve ne fece maestri, (vi suggerirà la Temperanza) mentre
osservaIte, che chi li espose all'aria rigida, chi ftiede in luogo soverchiamente
caldo, chi disordinò in cibi grossi, come sono il formaggio, legumi , &
alrre cose consimili furono da essi moleftati, converrà dunque à voi ancora
fuggirli, se non avrete quell'erronea massima, che ebbe quel Medico, che
disordinava molto, sù la fiducia, che niuna cosa gli potesse nuocere, dicendo,
che li Legislatori non sono soggetti alle leggi, mà gli convenne soffrire la
morte immatura per questa sua falsa credenza; e finalmenre quanto dobbiate
stare cautelati, per non incor rere 1 rere nella foverchia
lubricità di ventre, non occorrerà vi sia suggerito, sapendo i da voi
medesimi, che l'abuso de' dolciu mi, cde'frutti producono fimile
indifposizione. L'irascibile ancora spesso in, citata con l'abuso de' cibi
caldi per accrescere pungoli alla bile , quanto la poffino rendere frequente
nell'età avanzata lo sapete assai bene, con tante altre cagioni, che farà
superfluo viliano ram, mentate. i Essendo voi dunque nel corso
della vostra vita camminati sempre con le dii rezioni delle virtù, avete da
sperare fer mamente di potere incontrare una gloriosa morte, perche esse
in quel vostro estremo bisogno, più che non fecero in é altri,vi
assisteranno; La Prudenza vi farà soffrire ciò, ch'è inevitabile, con
animo generoso ; La Giustizia sperare quel pre7 , mio, che sarà dovuto
alle vostre gloriose opere ; La Fortezza vi darà cuore da refiftere
intrepidi ad ogni patimento più duro ; e finalmente la Temperanza vi consolerà,
con farvi vedere, che trà X 2 quel [ocr errors][ocr errors] ز
quelli molti , che vissero, pochi ne giunsero all'età voftra ; onde voi, che
avrete sempre dato saggio di tanca moderazione, come potrete non contentarvi di
essere già vissuti à bastanza, potendo con intrepidezza dire : Vixi, quem
dederat curfum for tuna peregi; Sicchè felice sarà la vostra morte ,
& invidiabile da tutti , nè crediate che fiano per abbandonaryi queste
doppo morte , perche allora più che mai saranno inseparabili da voi,posciacchè
quando ancora eravate viventi si poteva dubitare, che potefte essere, ò nò, prudenti,
giusti, forti, e temperari, perche in realtà potevate dare occasione à dette
virtù d'alienarsi da voi, mà doppo morte, che tal cagione finì, non si potrà
più dire di voi, che prudenti, giusti , forti, e temperati non foste, ficchè
resteranno allora da voi eternamente inseparabili le vostre virtù. E chi mai
rimarrà doppo morte più glorioso di voi? forse il ricco? questo no, perche le
sue ricchezze già al [ocr errors] Ja morte, allora passarono
in altri, non sono più fue; Forse il potente ? nè anco, perche la
sua grandezza è rinchiusa allora den- tro la sua urna , & il suo
potere è diven- tato un niente; Forse chi ottenne fingo- lari
prerogative di natura , come sono la somma bellezza, salute , e
robustezza di corpo? questi nè tampoco, perche quelle già furono, e
non sono più doppo restando un
nulla , giacchè : Quod fuit, non eft pro nihilo reputatur .
Solamente dunque chi vive seguace del- le virtù può sperare di ritenere
ancora per se doppo morte quanto gadè in vi- ta, e fù suo proprio ,
con tutta quella gloria imınortale, che acquistò chi visse
virtuosamente, de' quali parlando Ip- pocrate (*) così diffe : Quique hac
viâ incedunt gloriam tùm apud
majores , tùm apud pofteros fibi
comparabunt, ch'è quan- to dovevo mostrarvi. Ed
eccoci giunti al fine della festa Giornata, e convenevole sarà di
ripo- sarci,farci, in venerazione di chi creò l'Universo, giacchè
egli ancora requievit die Septimo ab universo opere , quod patrarat , do
benedixit diei feptimo , & fanétificavit illum [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][merged small] X 3 (-) De decenti babita , è à
priori (2) Horat.Carnr. odc 4 fa. dicom (e) Hipp.de
Pracepticx. fo quan (1) De
pracept: fione [d] Epidem.lib.5. @grot.28. ex Valefio. [e] Epid.lib
5. ægrot.7. (f) Epidilib.5.>.g. ap(4) In epift. Abderit. (r)
Epift.6. rano (d) In Comment Hipfoer. de Fraft. fers (b) 18
epiß. Damogit, alla (a) In epif Philop. K per(a) In lib.præcepto
ch' Th. In lib.de pracept: fprone [b) De preception.
Set era (b) In 2.epiji. ad Domeg. 1 F 3
i [ocr errors] fare 1 (h) Hippocr. de veteri
Medico C2 pra(c) De decerti babits. In. Morale,
DE'FIGLIUOLI e Medica DEL DOTTOR DOMENICO GAGLIAR DI Divisa in due
Parti. PARTE PRIM A Sopra l'Educazione Morale. DEDICATA ALLA SANTITA'DI
N.S. INNOCENZO XIII, Neglectis urenda filix innascitur agris Hor.
Sat. 3. lib. I.
In ROMA, MDCC XXII. Nella Stamparia di Pietro Ferri alla Minerva.
Con licenza de'Superiori . [blocks in formation] [ocr errors] sien
L Titolo gloriofifsimo di Padre Universale , it quale viene fo lamente
attribuito all'Altissimo Merito di Voltra Santità , mi rende più a
3animoso à consagrarle la prcfentc Opera sopra l'educazione de'figliuoli Morale,
e Medica, con ferma speranza , che Ella comc zelantissimo amatore del buon
costume non solamente la riceverà sotto il potentissimo fuo patrocinio; ma le
farà di vantaggio godere gl'effetti della sua somma clemenza ; mercecche non
permetterà già qucsta, che rimanga infruttuoso ogni qualunque suo documento
profittevole allo stradamento de'figliuoli per farli divcnire amanti dellc
virtù, cd aperti nemici de' vizj, essendo tal desiderio appunto il maggiore che
possa avere un'ottimo Pan dre; mente dal principio del suo
Gloriofiflimo Pontificato ha fatto la S. V. colle operazioni più gloriofe
conoscere al mondo tutto; vedendosi tanto il suo Paterno Zelo, quanto la sua
somma beneficenza indiri, zati folamente al giusto, ed all' onesto, gastigando
i 'rei , c premiando i meritevoli: conforme appunto costumarono tanti
Santillimi Pontefici suoi Antca natì di gloriofiffima memoria. Talmente che
l'Eroiche Virtù in V. Beatitudine essendo ereditarie, si trovano profondamente
radicate,e queste di fimin le natura debbono neceffaria, men, a
4 zarsi, seppure l'ottimo potranno sormontare. i Nè lì veggono nell'
Antichissima , c Nobilissima Famiglia de Conti ereditarie l'eroiche virtù
dc'suoi Maggiori nei foli Sommi Pontefici ;. mentre risplendono questo ancora ,
in tutti gli altri, c. con applausi universali; cssendosi veduti do. po la
dcgnissima esaltazione di V.B. al Trono Pontificio, nc' più a Lei congiunti di
Sangue la medesima nioderazione di animo, ed affabilità princicra ; assegno
chc,non senza ammirazione,fan ben conoscere a tutti, che le presenti felicità
non han na a gli animi generosi, e forti, in cui regnano abituate
l'Eroiche Virtù. In tempi dunque felici, o fortunati,ne'quali la verità
svelata pud comparire avanti al Principe , godo la forte di presentarle prostrato
à Santissimi Piedi di V.B. e consagrarle inficmc qucfte mie fatiche, diret. te
non ad altro, che al publico bene; mostrando queste a Padri di faniglia,non
folamente l'obbligo loro, ma cziandio il modo più facile d'indirizare benc i
proprj figliuoli, affinche non divengano elli viziosi per. turbatori della
publica quie te. ritevole dell'efficace Patrocinio del Principe,
essendon'egli di essa vigilantissimo Custode: Contribuendo dunquc alla felicità
del Principato la buona cducazione de'figliuoli , como cagione della publica
quicte; affinchè là S. V. possa godere tutta quella lunga serie di anni felici
, che ardentemente le bramo con ogni maggiore offequio la supplico à volerlo
rendere degno del suo Supremo Patrocinio, potendo questo accrescere alle sue
prove, e ragioni momento di forza bastevole a renderle più convincenti nel
ripulire gli animi rozi,dano, e baciandole i Santillimi Piedi con profonda
venerazione mi umilio. Di Voftra Beatitudine Omilifs,e fedeliss.
Suddito Domenico Gagliardi. AL C On rilevanti motivi ho
intrapre so lo scrivere sopra l'Educazione de' figliuoli : primieramente,
perchè leggendola Sacra Scrittura ho con chiarezza conosciuto l'obbligo grande
col quale da essa viene aftretto ciascun Padre ad educar bene i propri figliuoli;
ordinando l'Ecclesiastico al 30. Curva cervicem ejus in juventute, fu tunde
latera ejus, dum infans eft, ne forte induret, Ego non credat tibi, Er erit
tibi dolor anime . Doce filium tuum , E'operare in illo , ne in turpitudinem
illius offendas; e trovandomi molti figliuoli era anch'io compreso nel numero
di questi . Incominciando dunque a cercare qual modo foffe il migliore , per
sodisfare a’mici doveri, benc mi avvidi alla prima, ch'era d'uopo conosce
per congetturare meglio ove le proprie inclinazioni li aveffero portati . In
feguela di questo considerai, che indarno si sarebbe affaticato ogni qualunque
ben’esperto educatore, se l'educando difetrasse nella esatta regola del vivere,
quantunque fosse dotato dalla natura di un'ottima indole ; mercecche il
nudrimento , eccedente in quantità, e qualità, potrebbe cagionargli
internamente tal moto inordinato negli spiriti, che fosse capace di togliere
alla sua mente quella limpidezza neceffaria a chi ha d'apprendere la buona
educazione . Si avanzò più oltre la mia mente coi suoi pensieri,
cominciando a meditare se co gli ajuti medici, allorchè già introdotto negli
educandi l'accennato interno sregolamento, si fosse potuto questo calmare; c
con molti lumi ricevuti da Ippocrate, ove tratta de Aere Aere , Aquis
, EX Locis , arrivò a comprendere, che potevano queste giovaredi molto in tale
occasione. Accertatomi per le fudette rifleffioni, che l'educazione de'
figliuoli poteva trattarsi da un Medico provetto, appartenendo appunto ad ello
più che ad ogni altro il conoscere i temperamenti, donde nascono i naturali, la
regola del vivere, ed il modo di calmare gi’interni moti inordinati de’fluidi,
mi accinsi a tale impresa, non potendomisi addoffare da critici, che io abbia
contravenuto al documento, che insegna Orazio nella sua Arte poetica a chi
brama di scrivere con profitto, cioè: Sumite materiam veftris qui
fcri bitis æquam Viribus , & versate diu quid fer re
recufent, Quid valeant humeri. E per corrispondere con attenzione,
grandezza dell'argomento intrapreso, formai alla prima la seguente partizione
di effo. Divisi primieramente la presente Opera in due parti, cioè in
Morale, c Medica, affinche con facilità maggiore ti riuscisse di apprendere
quanto scris vo trovandolo non confuso. Nella prima Decade troverai
descritti molti avyertimenti, che dò, acciocche chi voglia accasarsi; possa
provederli di ottima moglie; nè ti paja ciò fuori del nostro proposito ; perchè
se non si abbatcerà in una moglie prudente, ed onesta , duc gran mali riceverà
l'educazione de' suoi figliuoli; il primo de'quali sarà ereditario dicendol’
ArioIto: Di vacca nascer cerva non vede sti, Ne mai colomba
d'aquila, nè figliaonefti E l'altro poi come potrà queste ajutarti ad educarli
bene , fe non sapràche cosa sia la buona educazione, per non averla mai in se
medesima sperimentata? Laonde conviene conchiudere, che la base fondamentale
della buona educazione consista in iscegliersi una ottima consorte; ed avendola
trovata, fi danno parimente molti documenti utili per mantenerla costante nel
suo buon costume ; ed inoltre si mostra di quai modi si doverd fervire avendo
sbagliato alla prima nel provedersi di effa , affinche molto minori divengano i
suoi infortunj. Nella seconda Decade principia. 1'Educazione Morale de
figliuoli; ed in questa scorgeranno i Padri di famiglia quanto siano tenuti
d'invigilarci, e quali inconvenienti nascono dalle loro era, [ocr
errors] zio la similitudine de campi, nc'quali fa vedere di che pregiudizio sia
questa, dis cendo: Neglectis urenda filix innascitur agris E che le
Madri non debbansi abu, fare dell'amore verso i figliuoli, essendo questo
trascorso molto nocivo allawi buona educazione, a segno che, se molti non
avessero avuto l'asilo materno per esimersi da gastighi, averebbero depofti
quei vizj,percui poscia divennero infelici . Troverai parimente documenti
facili, e profittevoli, de quali potrà ogniuno feryirsi sccodo le diverse loro
inclinazioni per educarli. E perch'è il compimento della buona educazione
l'istradarli a ciò, che doveranno applicarsi, quindi è, che si tratta ancora
del modo, col quale si doveranno provedere i figliuoli secondo gl'impieghi,
de que quali si conosceranno meritevoli ; e dandosi il caso per
lorosventura, che i genitori morissero, trovandosi elli di tenera età, si propone
ciò, che pare conveneyole a farsi in simili calamitose cótingenze:e' per non
lasciare poi in abbandono i poveri, che non ponnoricevere tutti quegli ajuti da
Macstri conforme possono avere i figliuoli de'bene Itanti, fiè pensato anche ad
essi per dare un ripulimento più universale contro vizj,essendo tal semenza in
tutte le condizioni degli uomini perniciofiffima per la Republica.
Quattro sono gli interlocutori ideali della presente opera : Sempronio giovane
molto accorto, il quale brama d'istruirsi; Mecenate , e Publio prudenti
direttori, ed il Medico provetto , per dilucidare alcune cose appartenenti alla
Medicina. Mi fono servito di Publio ammogliato per la sperienza grande,
chc che si trova colui, il quale per molti an ni è vivuto in tale stato:
di Mecenate sciolto da tal legame, periscoprire quel di più,chenon può eslere
noto, a chi hà moglie,rimirando le cose più sincere chi si trova in disparte,
enon ha abbagliato la vista dalle proprie passioni. Inoltre raccontando
Publio cioca chè costumavası fare in tempi meno rilassati, farà maggiormente
conoscere la differenza de'correnti, & additerà ancora il modo, che si
potrebbe tenere per emendarli,quando questi discordafsero molto da quelli . Nè
potrà dolersi alcuno di quanto io con tutta sincerità procuro di darti a
notizia; essendoche conforme il Medico non può trovare il rimedio opportuno al
male se non forma l'idea giusta, con esaminare esattamente la natura, cagione,
e gli effetti di esso, così ancora nel ritrovare isimedj ai vizj, che sono mali
dell'animo b 2 caca [ocr errors] è necessario sapere precisamente
la natura, le cagioni, e li cattivi effetti di esli ; oltre di che, non
parlando io in particolare di alcuno, ma solamente in generale diciò, che
è detestabile, non si potrà dolere di me se non chi da se medefimo conoscerà
d'essere macchiato di tali difetti,come a tale proposito disse S. Ambrogio
ne'suoi serm.pag.102. Ego non de omnibus loquor Etc. ego neminem nomino :
conscientia fua unumquemque conveniat. Averei potuto ancor darui la feconda
parte; ma per maturare meglio alcune cose contenute in essa ci è d'uopo di
maggior tempo, c per iftabilirle ancor con provo più convincenti; ti baa Iti
per ora un picciolo abbozzo di ella affinchè poffi da questo comprendere il
progresso da me tenuto per compire una educazione più generale . Quattro sono i
punti Medici prinche convenga nel tempo, che sono già cipali, che si
tratteranno nella Decali de terza, in ordine alla buona educazione; il
primo fiè quello , che deesi fare per vantaggio di essa, prima di concepire
figliuoli: Il secondo, cioc [ocr errors] in ito lif [merged
small][merged small][ocr errors][merged small][merged small] per cola
[ocr errors] concetti, e dimorano nell'utero materno; il terzo che far si
debba, dati che sono alla luce, e finattanto, che dura la loro pucrizia: Il
quarto finalmente, ciocche convenga allorchè sono in età, nella quale dee in
effi manifestarsi l'uso di ragione , indugiando questo. Nel primo si farà
vedere assai difficile il potersi avere figliuoli di buona indole, e docili ,
se tra marito, e moglie regneranno continue discordie; se faranno l'uno, o
l'altra di essi dediti all'ubriachezza, ed alla crapula; con dimostrare loro
donde ne provengala cagione; oltre le sperienze dimostrative di ciò. b 3
Nc [blocks in formation] [ocr errors] Nel secondo, che non debba una
deviata madre tenere la medesima vita, che faceva , prima di concepire; con
mostrarle ancora gl' incomodi che può ricevere ella medesima, ed il feto, che
porta riell'utero, per tal cagione, e quanto possa venire danneggiata la buona
educazione da questo. Nel terzo si farà conoscere , dati alla luce, di
qual latte debbano nutrirsi, e qual regola in cffi debba tenersi, allorche
saranno slattati, per deprime. re quel principio , che si scorgesse avvanzato
in loro a danni della buona educazione; e qual cuftodia abbia d'aversi di esli
, affinche non divengano di cattiva complessione, la quale sarebbe molto
pregiudiziale alla buona educazione, E finalmente nel quarto , vedendosi
questi ne' buoni documenti morali non fare progressi, fi esamina sela
sero avere pofsanza tale da deprimere, o innalzare alcuni principj in esli, o
foverchiamente assottigliati, o più del dovere sopiti; mediante i quali ne
nascesse ostacolo alla mente nell'apprendere, e ritenere i documenti necessari,
e questo sedebba farli con ajuti più efficaci mostrandoci anche Orazio, che
Incultæ pacantur vomere sylve. Nella quarta Decade poi troverai dieci
ragionamenti sopra i vizj, e le virtù, con esaminarsi ancora ifrutti di ambidue
; e servendo questa come di una appendice all'opera, goderà il vantaggio di
efsere trattata con ragioni, e documenti filosofici, medici , morali, e
naturali, secondocheayerà d'voро di essi ; & intanto si sono queste
materie poste nel fine , per non dilungare troppo i ragionamenti, potendo ciò
renderli tediosi; ed essendo per altro neceffario il farc: ben
comprendere a tutti quanto di buond, o cattivo nasca dalla buona, o cattiva
educazione; doveva questo non trattarsi solamente di passaggio, conforme si era
già fatto nelle antecedenti conferenze; ma farfene bensì particolari
ragionamenti a parte per dimostrarlo con più di chiarezza, potendone da ciò
risultare un infinito bene; conciosiacosache fàconoscere chiaramente il nostro
Ippocrate nella risposta, che diede agli Adderiti, essere feliciquei Popolizi
quali ben sapeano, che la loro sicurezza non consisteva nelle alte torri,cd in
altre materiali fortificazioni;mà bensì nella bontà de Citradini,e ne'loro
prudenti consigli:spiegandosi ivi : Beati profectò funt populi , qui sciunt
bonos viros suaesse munimenta, nonturres,neque muros, fed fapientum. vi. rorum
sapientia confilia ; É venendo interrogato Socrate nel convivio de'sette
fa fapienti di Platone, qual fosse la più ben munita Città, egli rispose
: Que bonos viros habet . Quale la più felice : In qua præfe&ti focietate
conjunguntur: E finalmente qual fosse la migliore di tutte, egli disse: In qua
plurima virtuti premia proposita sunt . Nè può di ciò dubitarsene, insegnandoci
l'oracolo della Divina Sapienza al 6. Multitudo fapientum fanitas orbis.
Spero finalmente, che saranno ricevute queste mie fatiche con animo benigno da
quei, che sono amanti delle virtù, e se faranno vilipesc da chi ha già fatto
l'abito di āteporre i vizja queste,verranno da essi più costo a loro mal grado
onorate; riputandole di pregionó dissimile a quelle cose solite da essi a
pofporsi; mi basterà, che fiano grate a chi possiede il buon costume, ed utili
a chi brama di acquistarlo, perchè gid sono divenuto capace , che nel mondo
erunt vitia conec homines; con questa diferenza solamente del più, o del
meno,nè io pretendo di vantaggio. Vivi costante nel bene operare per continuare
ad essere felice, e far conoscere agl’infelici viziofi colla tua tranquillità
di animo meglio le loro mi serie. Si videbitur Reverendissimo Patri
Sacri Palacii Apoftolici Magiftro. N. Barcbarius Episc. Bojanen.
Vicefg: APPROVAZIONI. Etta, è considerata del si gnor Dottore
Domenico Gagliardi , intitolata l’Educazione de figliuoli morale ; o medica ;
per commissione dei Padre Reverendiffimo Gregorio Sel. Seri Maestro del Sagro
Palazzo Apoftolico; non ci hò trovarà cosa vervna , chic fia contraria alla
Fede, o clic offenda i buoni costumi . Con verità bensi poffo; c debbo
attestare; che una tale opera per mio sentimento è degna di uscire in luce,
perchè oltre l'effere or: nata di scelta crudizione, e di soda dottrina ; può
essere molto fruttuosa ; ed al publico, ed al privato, spiegandosi ia essa con
dotta; e giudiziola chiarcze [ocr errors] za la maniera di ben educare la
prole, affare di somma importanza , come è ben noto a chi non hà cicco
l'intendimento, ed offuscata la ragione. Cosi ne giudico ; c francamente mi
persuado, che altrimente non ne giudicherà chiunque col leggerla dalla forza
del vero G conoscerà obbligato ad approvare con giusta lode il zelo ben
commendabile, e con eso l'erudito , e saggio faperc del chiarissimo autore, che
per la publica utilità non hà ricusato di addosCarG acl colmo delle sue Mediche
applicazioni una cale fatica, che ben lo palesa non meno versato negli studi
più propri della sua professione, che negli altri, per cui sono degnamente
accreditati i più celebri per fama di erudizione. Io Fra Tomaffo Maria
Minorelli de'Pre dicatori Maestro di Sagra Teologia, « Bibliotecario
Cafanastense Per P Er commissione del P.RñoGregorio
Selleri Macstro del Sagro Palaze zo Apostolico avendo letra , e confiderata
l'opera dell'Eccellentiffimo Signor Doctor Domenico Gagliardi , intitolata
L'Educazione de figliuoli morale,e Medica, non avendo trovato nella medesima
mala fimc repugnanti alla nostra Santa Fede, ed alla bontà de costumi, nè
discordanti da i buoni fondamenti della nostra Professione di Medicina la
considero degna di publicarli con la Stampa questo dì 20. Gennaro 1722.
Michelangelo Paoli IMPRIMATUR. Fr. Gregorius Selleri Ordinis
Prædica corum Sac.Palat. Apoft. Magift. Delle Conferenze,
INTRODUZIONE ALL'OPERA, Pag, į DECADE PRIMĄ CONFERENZA I. Sopra
l'elezione della Moglie , e sue condizioni più essenziali. IS CONFERENZA
II. Sopra l’età più propria, epro. porzionata di accasarsi ; e quale sia
svantaggio maggiore, farlo prima del tempo convenevole, 9 nella vecchiezza
: 33 CONFERENZA III. Dove la mostra,in che cose faa esenziale
l'uguaglianza nei Matrimonj; e quali jvantaggi nascano dalle disuguaglianze in
queAte. 53 CONFERENZA IV. Sopra gli antichi costumi, pras ticati
appreffo alcuni Popoli per la generazione ; ę se sia più vantaggioso lo
scoprire scambievolmente i propri , corporali difetti , prima di sposarsi,
o l'occultarli. 77 CONFERENZA V. Nella quale si mostra , in che modo si
maritino le belle , le ricche , ę le deformi quantingue povere.
CONFERENZA VI. Nella quale si esaminano piut distintamente i pregiudizi,
che risultano dai matrimonj fatti senza l'intervento della Pruden74.CONFEREOZA
VII. Sopra i difetti , e le virtu delle donne. 253 CONFERENZA VIII. Come
si debba regolare l'uomo colla moglie scelta di ottime qualità. 188
CONFERENZA IX.Come si debbano regolare i saggi mariti con le mogli imprudenti
, e viziose . 213 CONFERENZA X. Sopra i ripiegbi prudenziali , che
debbonsi prendere in diverse occorrenze dalle mogli saggie ,
incontrandosi in viziosi, ed indiscrefi mariti, 254 DECADE
SECONDA Sopra l'educazione Morale de'figliuoli, CONFERENZA I. Nella quale
si mokra, che co Ta sia edncazione , cui appartengo piid di ogni altro; e
sefia necessario luogo particolare, ove debba farsi . 301 CONFERENZA II.
Intorno a quello , che debbas farsi da Genitori per educar bene i
figliuoli . 323 CONFERENZA III. Intorno all'uffizio, e qualita dell’Ajo, e dei
Maestri . 350 CONFERENZA IV. Sopra l'educazione delle Pin gliuole,
377 CONFERENZA V. Sopra l'etd opportuna d' apa prendersi le scienze, ed
il modo più facile per accer tarsi delle particolari inclinazioni
de'figliuoli . 403 CONFERENZA VI. Sopra gl' impieghi , che do vranno
darsi da saggi Padri a figliuoli ben’educati, e dotti. 421 CON
CONFERENZA VII. Come debbano i Padri rego larsi nel provedere i figliuoli
ingnoranti , e viziosi. 447 CONFERENZA VIII. Sopra il modo di ben
collacare le figliuole. 473 CONFERENZA IX. Sopra l'educazione de
Pupil li : e come debba ciascuna portarsi verso i suoi Genitorį
defonti, 499 CONFERENZA X. Sopra l'educazione de'figliuoli poveri,
e donde venga questo danneggiata . 539 [ocr errors] IN TRODUZZIONE
ALL OPERA. Sempronio , ( Mecenate . V [ocr errors] Sem.
Engo talmente af frettato da mici cogiunti a prender moglie, che non mi
lasciano vivere, sti molandomi giornalmente di farlo; a segno che, per
non poterli più sentire, sono in necessità di compiacer loro : solamente due
core mi ritardano; e fono l'educazione de figliuoli, che possono nascere,e la
cura, la quale fi dec avere di esli, efsendo in ciò inesperto ; per altro mi
trovo già pronto a consolarli : istruitemi, Mecenate, in queste, potendo voi
fare due beneficj in un tempo;cioè, d'istruire me, econsolar' efli, che tanto
bramaDo le mie nozze. : А Mer. Mec. Mà questa moglie,ci è già
scelta approposito per voi ? Sem. Ci sono tante giovani oggidi belle ,
galanti , e ricche, che essendo anche io giovane,e commodo di beni di fortuna
la posso scegliere a mio genio, e fodisfazione in brevissiino tempo. Mec.
Però non sò se tutte queste belle , galanti, e ricche, faranno per cala
voftra,leggendo in Ateneo che: demens eft , qui oculis uxorem accipit : come
fece appunto Monimo il quale , avendo sposata una Giovane , senza
ricercare prima i suoi costumi, divenne infelicillimo marito; c dolendosi della
sua {ventura con Olimpia madre di Alessandro, lo riprese della sua trascuragginc,
usata nello sceglierla. Sem. E che ! la dovrò prendere forse deforme ,
scoriese, e povera ? Mec. Neanco questa farebbe al caso voftro.
Sem. E chi dunquc doverò prendere? Mec. Una's clic lia donna di
propo, fito, Sem, [ocr errors][ocr errors] Sem. E
quelle, che sono belle , egalanti, sono donne ancora di propofito. Mec.
Mà non tutte buone per voi. Sem. Quali saranno quelle, che voi Itimate
buone per me? Mec. Quelle appunto, che sapranno softenere con senno, e
con prudenza la metà del peso della casa, e dell'educazione de figliuoli; onde
quando voi la tropaste di queste qualità avercre risparmiato la metà del
penfiere dell'educazione, e cura de figliuoli; e queste sono appunto quelle
Itimate appropolito da Plauto, in Stiche, ove dice: UI per orbem cum
ambulent Omnibus , os obturens , ne quis meritò maledicat fibi. Essendo
queste ornate di tutte quello desiderabili prerogative, descritte daw Seneca in
O&avia. Probitus , fidesque conjugis , mores, pue dor placeant
inarito. Sem. Io credea , foffe fufficiente, che ja moglie sapeffe far
figliuoli, c chou ogr’una di queste fosse a propofito.Mec. Per farli, lo credo
ancheio, ma non già per educarli bene, e per adempire quanto dee' una vera
madre di famiglia; essendo che per far questo liricerca, che sia dotata di
senno e di prudenza' : vi avvedete voi ora del vostro errore, e che come si
suol dire, ponevate il carro avanti i buovi, con istruirvi nell'educazione de'
figliuoli , senza sapere ciò, che ci vuole per iscegliersi una buona moglie: e
se v'incontrasto in una imprudente, garrula, e contenziosa, à che vi gioverebe
il sapere educar bene i figliuoli, se quanto di buono voi operaste, ella
sarebbe capace distruggere colla sua imprudenza, e garrulità ?, allor sì che
fareste caduto in quella fyentura descritta dal Poeta Saririco : Semper
habet lites, alternaque jure gia lectus In quo nupta jacet, minime
dormia tur in illo . O.pure vi abbatteste in una, che fosse di quella
natura superba, descritta dal me. desimo, la quale dicesfc; Нос [ocr
errors] voluntas ; Imperat ergo viro. In questi casi educate bene i
figliuoli se potere . Sem. La bramerei savia, e prudente, ma vorrei, che
foffe anche gentile, e galante ; perche le donne di fattezze grossolane non mi
sono mai andate a genio. Mec. Se questa sarà sana , e prudente non ci hò
cosa incontrario, ma se poi colla sua gentile, e delicata complesfione ci fosse
unira qualche indisposizione di animo, e di corpo, il che suole alle volte
accadere, non vi consiglierei a farlo. Sem. E perche ? Mec. Vi porreste
in tal caso a pericolo di fare una cattiva razza; eredicandog da figliuoli non
meno il bene , che il inale di effe ; ed hò sentito da Medici, che più dalle
Madri, che da i Padri questo si ritragga, per il nutrimento dato loro quei nove
mesi, che li portano nel ventre nè fi può fperare, che [ocr errors]
A 3 che dal seme velenoso del nappello nasca un giglio, o una rosa: non
sarebbe poco, quando meno velenosa germogliasse quella pianta , che dee ello
produrre : e poi voi, il quale vi dilettate de cavalli, dovreste sapere per
isperienza, che quelli nati da cattiva razza, riescono i meno generosi; e
perciò dovete anche riflettere, che il limile poffa seguire negli uomini, come
lo descrisse Orazio. Fortes creant ur fortibus , du bonis : Et in juvencis,
eft in equis patrum Virtus : nec imbellem feroces Progenerant
aquile columbam . Sem. In maggior confusione di prima ora mi trovo, sentendo da
voi , lian neceffario ancora di scegliere una donna savia, e prudente per
moglie; onde, per liberarmi da tanti guai, seguiterò le vostre orme, e viverò
libero da questo legame anche io, e dicano ciocche vogliono i miei
parenti. Mec. Non fatedi grazia, Sempronio, questo sproposito,
Sem. [ocr errors][ocr errors] Sem. E voi perche l'avere fatto ?
Mec. Non aveva allora la sperienzas d'adesso ; nè mi abbatiei in consigliere
sincero; e sappiate , che mi sono pentito più volte, e particolarmente
avanzaadomi negl’anni, di averlo fatto. Sem. E per quali motivi?
Mec. Perche non anderei tanto lambiccandomi il cervello in cerca del mio erede
(briga dolorosa dell'età avanzata) se avesli figliuoli. Sem. Essendo voi
tuttavia robusto, farefte anche in tempo di farli. Mec. E che vi dispiace
forse la mina robustezza, che me la vorreste far perdere? non sono più in
tempo di farli; hò procurato finora di non esser ridicolo, & ora più del
passato son tenuto di farlo, e voi mici varrefte far diventare per cantare di
me forse ciocchè disse il Taffo di Vincilao : Vincilao, che sì grave , e
faggio innante Canuto pargoleggia, e vecchio amants : Queste risoluzioni,
Sempronio , deona fare in gioventù , per poter vedere i suoi figliuoli
bencincaminaci prima di mori. re, essendo che a me potrebbe succedere ciò che
dice Plauto: Poft mediam ætatem, qui ducit uxorem, Si eam fenex
prægnantē fortuitò feceris , Quid dubita's quin fiet parasū
nomen puero . Poftumus? Sem. Dunque saranno ridicoli tani vecchi,
che si accasano,e con giovanette anche belle? Mec. Io non debbo entrare
nei freci altrui, debbo bensi pentire 2 cali miei, ora che ho il pieno uso di
raggione, acquistato cò gli anni; ma questi sono discorsi fuori del nostro
proposito, dovendo voi risolvervi a prender moglie , per non avervi a pentire
poi ancor voi di non averla pigliata ; e per ciò dovere farvi ora istruire in
quello, ch'è necessario per fare un ottima elezione. Sem. E da chi?
Mec. Da colui, che la seppe far ottima , e perciò gode vita felice , e
tranquilla.Sem. Ma io non vorrei, Mecenate mio, palesare alero , che à voi il
mio interno; perche sapete pure qual vento spiri oggidì, che si van cercando id
fecti alcrui per mantenere allegre le nostre notturne assemblee, laonde di
scoprendo le mic debolezze ad un'altro, sarebbe cosa facilissima si
divulgoffero fra molci. Mec. Viverenino in tempi infelicissim mi, re in
Citcà si vasta la secretezza re. gnasse in me solamente, Sem. Mà non
potreste voi solo istruire mi in cucto , essendo vomo di molta fperienza nelle
cose del mondo. Mec. In teorica potrei darvi molti avvertimenti, ma in
cose pratiche nors posso consigliarvi ; perche essendo io sciolto da limil
legune, no ho avuta occasione di approfittarmi in tal faccenda. Sem. Oh
quanto mira meglio colui, il quale stà in disparte, i difetti dongeschi di
quello facciano i mariti! e come giudice spassionato , quanto li distingue
anche meglio! Mec. Voi sapete quanto vi amo, u per: perciò non
lascierei cosa alcuna, che non facessi per consolarvi; mà conos . cendo io, che
meglio potreste essere iftruito in tutto coll'intervento di chi averà navigato
felicemente molti anni per questo gran mare , perche vi amo, dico questo ;
potendo egli molte cose aver conosciute in atto pratico,alle qualinon possono
giungere le mie teoriche. Sem. Se lo giudicare necessario bisognerà farlo
: ma chi sarà ral'consigliere? Mec.Ci sarebbero Publio Roscio,che per lo
spazio di quaranta tre anni, e vivuto in pace con sua moglie. Massimo
trentanove anni parimente, senza contendere,e Silvio Paterno trentadue;ora
sceglietovi, chi volere di questi. Sem. Oh bene avete trovati i parenti
più prossimi à Noè, che sono in questa Città ! quai consigli mi potranno dare
questi vecchi decrepiti, che non firicordano del seguito nel dì avanti; e poi a
tempi loro non usandofi le galanti maniere constumate oggidì, a che mi
fervirebbono i loro ancichi consigli , non pra. praticabili a tempi
nostri? Mec. Tutte queste eccezioni, che da. te loro sono in vantaggio
vostro; per, che, se non si ricorderanno quello , che udiranno da voi, niuno
risaprà i fatti voftri , e se, senza tante galanti maniere di oggidì, fi
feppero far amare dalle loro consorti, insegnando a voi i modi, da loro tenuti,
ci guadagnerere molto in saperli, e se non siete ancora informato della
capacità de’vecchi, apprenderes la da Ovidio, Jura fenes norint , dow
quid liceata que , nefasque, Falque fit inquirant, legumque exa.
mina servent. E da Cicerone , il quale, de Senectute, così parla del Vecchio:
Non facit en que juvenes, at verò multa majora, meliora facit ; non enim
viribus , aut ves locitate corporis res magne gerantur , fed confilio , authoritate
, fententia , quia bus non modo non arbari , fed etiam auga. ri senectus folet.
Laonde faggiamento l'Ecclef. al 25. dico ;- Corona fenun muba ta peritia
: Sem Sem. Sceglietene dunque uno di quefti a vostro genio, e
quello, che conoscerete più approposito per il bisogno mio. Mec. Publio
sarebbe più al caso, per. che quantunque egli meno si ricordi delle cose
presenti, conforme sono tutti i più vecchi, ha felicissima memoria nel
ricordarsi delle passate:e poi avendo numerola famiglia, e così bene accostuinata
, saprà anche istruiryı nella educazione di essa. Sem. Attenderò dunque
con anfierà i consigli di Publio; ma faprà istruirini incio, che riguarda la
cura, che si dec avere per conservare la prole con buona falute Mec.
L'esperienza, avuta in molte cõgiunture ad esso accaduce lo averà facilmente
renduto capace, a darvi qualche buon consiglio in questo ancora; ma non già con
tanta esattezza cõforme farebbe chi foffe profeffore di Medicina. Sem.
Sarebbe dunque bene u’interveniffe uno di questi; c difcegliere tra periti il
migliore Merg. Mec. Il vostro Dottore è pratichiffimo, avendo avuti
molti figliuoli, è anche ingenuo , e sò che vi ama di cuore, onde migliore di
ello non saprei sccglierlo. Sem. Così è: or ditemi, come doverò contenermi
nelle nostre conferenze? Mec. Domanderete quando si presenterà
l'occasione tutto quello, bramate di sapere; e non vi vergognate di fare anche
quesiti di poco rilievo ; perche non facendoli, rimarrete con perplessità in
molte cose. Sem. Come si farà per informare Publio,che al Dott. parlerò
io modelimo' Mec. Sara inia cura d'informarlo di tutto, e già che siamo
di primavera potremo portarci al mio giardinetto, contiguo alle mura della
Citrà, ove come disse il Petrarca: Non palazzi , non teatro , e loggia ,
Ma in lor vece un abete , un faggio, un pino, Fra
l'erba verde , el bel monte vicino , Levan di terra al ci el nostro
intelletto , E faremo ivi due volte la settimana le nostre conferenze.
Sem. Mà non sarebbe meglio, per approfittarmi prestamente , il farle tre volte
? Mec. Vicompiacerò anche in questo, purche le occupazioni degl’aleri lo
permettano ; ma voi, Seinpronio, averete già dato luogo nel vostro cuore a
qualche oggetto, perche bramate sapere con sollecitudine se quefto ci abbia da
rimanere,viconsiglierei però quádo ciò fosse, a spogliarvene prima, per
applicare tutto il pensiero a quella, che converra à yoi, & alla vostra
casa , che vientri per meglio stabilircela , Sem. Non sono
determinato ancora, quantunque abbia posto l'occhio in più parti, onde posso
facilmente spogliarmene affatto, e starò con anfietà attendendo l'avviso del
giorno, in cui si darà principio alle nostre conferenze. DECADE
PRIMA CONFERENZA PRIMA Sopra l'elezione della Moglie, e fue
condizioni più ellenziali. Mecenate , Publio, Sempronio , e Medico.
Mec. O notificato à Publio ciocchè voi bramate da esso, il quale vi
copatisce a maggior segno; posciache egli ancora si trovò in un fimile
laberinto,allor che dovea prender Moglie, comc jeri appunto mi disse, e da lui
medesimo sentirere ora con vostra confolazione. Pub. Quantunque anch'io
venifli Atimolato da mici Genitori ad accasarmi andavo nulladimeno téporeggiado
d'effettuarlo;perche apprendeva fosse schia vitudine grande la vita
cognugale, ma la ritrovai, per verità, assai diversa das quello, che io mi avea
figurato ; & efsendo stato sempre mio costume, anche da giovane di
regolarmi col consiglio d'uomini favii , c provetti, mi portai da un di questi
mio amico, che non aveva alcun interesse in cal affare, per consigliarmi seco ,
fe dovessi risola vermi a prender moglie, il quale uditas ch'ebbe tale
proposta, cortesemente mi disse: figliuol mio è tempo ormai , che vi risolviate
di farlo ; perche avendo voi già l’età di venticinque anni poiere esser capace
d'indrizare una donna per la buona strada , quantunque aveste sbagliato in
isceglierla nelle cose meno essenziali, e sappiate, che l'uomo savio bene
spesso fa divenire la moglie non dissimigliante da lui , siccome l'imprudente
donna precipita l'uomo poco avveduto : figuratevi alla prima di dover navigare
per un vasto oceano dover essere voi il nocchiere, che guida la nave :
sappiatevi ben regolare nelle [ocr errors] e di [merged
small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] nelle tempeste, per non sommergervi ; prendetela sana, ben
accostumata, e di buon parentado, non vi lasciate abbagliare dalla bellezza,
dote, e nobiltà; e risolvetevi ; perche quanto più differirete, altrettanto
inaggiore sarà il morivo di pentirvi della tardanza: raccommandatevi al Signor
Iddio, essendo che: A Domino autem propriè uxor bona , come disie Salomone;
procuratela giovane, nè tardate di vantaggio. Sem. Quanto mi consolo ,
che vi siete ancor voi trovato in fimile laberinto; e son sicuro, che perciò
compatirete le mie debolezze. Pub. Vi comparisco a maggior segno figliuol
mio , fatevi però animo ; perche quantunque paja la vita conjugale alla prima
di un gravissimo peso, quando però questo viene portato concordemento d'ambedue,
riesce molto leggiero, an. zi foare'; e tal fortuna l'hò sperimenta. --ta io
medelimo. Sem. Vi abbatteste à caso in sì buona compagnia, o pur faceste
preventivos [merged small][ocr errors][ocr errors] diligenze per
isceglierla 2 Pub. Le feci certamente esatciflimus per non operare da
balordo ; perche se per provederci de' cavalli, cani, anzi di vili giumenti si
fanno efatte diligenze', acciocchè siano sani , edi buona rizzi; quattro
maggiormente sono neceffario queste nello provedersi di moglie, come puntualmente
si trova registrato in Tcognide, Canes quidem, a afinos querimus , •
Cyrne, dequos Generofos, cu hec quisque vult ex bona progenie Sibi parare
; uxorem aurcm ducere malam Ex mala progenie non curat 1. Vir bonus ;
modo fibi pecunias multas 1offerat. * Sem. E qual modo teneste in farle?
- Pub. Avendo posto l'occhio ad una Gentildonga modesta,non diriguale alla mia
condizione, & in età nubile, miraccomunaadai di cuorc al Medico , che fa.
Noriva la mia casa , acciocchè avessesavesle ben Dell'Elezione della Mog. 19
procurato di accertarsi della sua salute , avvertito à non ingannarsi, per non
ave. re a fare ancor esso la penitenza del suo fallo; posciache se fosse stata
mal sana, dovendola curare, briga maggiore gli averebbe apportata; senza
speranza di premio straordinario ; per esserne egli Itaro la cagione, che fosse
entrata in inia casa; ciò però dilli per ischerzo. m Sem. E detto Medico,
come lo potcs va scoprire, se non l'avesse avuta ini cura ? Pub. Penetrò
tanto, che mi bastò , Sum. Com'egli fece ; Pub. Avendo
confidenza col suo Speziale, segretamente cercò nel di lui libro maltro, se vi
era descritto alcune medicamento, servito per effe lei, e non trovandovi cosa
di rilievo, mi disse : ftiamo bene di salute, perche none, si è mai purgata
. Sem. E leu fosse fervita di qualches altro Speziale? Pub. Questo non si
costumava di fare in quei tempi tanto allo Speziale, quanto al Medico.
Una volta, ch'essi erano ftati ammessi, fino alla morte continuavano,
ed'eravamo per ciò ben serviti; imperciocchè con molto amore effi s'in.
tereflavano ne i nostri vantaggi,conforme comprenderete da quanto soggiungerò.
Non si appagò già l'affezzionato Medico di questa fola diligenza usata', mà
volle far di vantaggio, e fu d'abboccarsi col Dottore, che medicava in quella
casa,introducendo seco discorso sopra la poca salute, che godevano alcune
giovani, ch'egli curava, attribuendone la cagione di ciò al poco esercizio,
ch'esse facevano ; e di poi passò à domandargli, di quali rimedij egli si
prevaleva per conservare in salute quella , che doveva appunto essere la mia
futura fpofa, la quale in appareaza mokravas essere più sana dell'altre; cui
replicò, ch'avendo ella sortito un ottimo temperaméto, no aveva d'uopo
dell'opera lua, & in segno di ciò nel mal de vajuoli da ella sofferto
appena cgli vi fu chiamato nel oel fine', tanto la natura le fu
propizia , che senza alcuno ajuto medico fece il fuo corso felicemente; e con
questa seconda diligenza mi accertò della buona salure, ch'ella godeva.
Sem. Questo favore toccherà à voi, Dottore, di farmelo... Med. Non mi
ponete di grazia in Gmile intrigo ; perche non essendo io si avveduto, non
vorrei errare nello scoprire gli altrui difetti : e poi se îi desse il caso,
che io avelli curato quella giovane, l'onor mio n'anderebbe di mezo ,
discoprendovi la verità delle cose con, fidateini. Sem. Della vostra
avvedutezza punto non dubito: e poi porrò la mira a qualcuna, che non fia
medicata da voi; onde non mi contriftate col recufare di f.2vorirmi ; perche
altrimenti sarete voi cagione, che io non prenda moglie, noa potendomi fidare
meglio di alcun altro in questo, se non di voi. Med. Per servirvi la
vedrò, considererò il suo temperamento, e fisonomia; B 3 mà
mà tante altre diligenze, praticate per Publio, non vi prometto di firle;
perche ora non si costuinano più molte cose, che si facevano allora. Sem.
L'usanze buone non si debbono dismerrere mai, io mi dichiaro con voi, non per
ischerzo, come diffe Publio , mà con tutto il fenno: che se non sarà fana ,
toccherà à voi di curarla senza fperanza di ricompensa , succedendomi per colpa
vostra tale sventura'. Mega Vorrci, Sempronio, che mi mostraste qual
privilegio voi avere più del Dottore di dismettere l'usanze buone; essendo ch'è
pur usanza buona riconoscere col dovuto guiderdone il Medico, il che voi volete
disinertere', obbligandolo di più ad osservare quello, che fa per
voi. Sem. Lo dicevo per animarlo, 20ciocchè lo facesse con più fervore:
non già tutte le cose, che si dicono si fanno. Mec. Questo però non è già
premio , che animi, mà bensì minaccia , che avvilisce più costo ; olore di che
non è già ben ܪ ben fatto di proporre con tanta franchezza ciò, che non si
vuole praticare, Sem. Non parliaino più di ciò; palliamo al costume ;
questo in che dee cons Giftere, avendomi voi significato, non essere
necessario, che la moglie lia garbata, e galante? Mec. Cerra cofa è, che
il buon costume della donna, non dee coolisterer in questo, mà bensì in aver
cura delle casa, in saperla ben reggere, e gover: nare di cui parlando ne?
;suoi Proverbij Salomone diffe : Confickeravit. Jemitas domus fue , panem
otiofa non comedia Ed il Nazianzeno nei suoi documenti che da alle vergini,
così dice Neque domibus cxternis olideas , neque menfis. Ed altrove
contro le donne più del doc yere ornate, così parla . Mos eft mulieribus
[res pretiofa] domi manere [ocr errors] Plurimum, & divinis
alloqui sermonibus Telaque , fufoque ( hoc enim munus eft mulierum)Ancillis
opera distribuereservos vitare , Labiis vincula ferre,
oculis,atq;genis: Neq; pedē exirà vestibula Sepè babere; E Menandro
comico greco così dice , Intus manere mulierem oportet oportet :: Bonam,
egredientes autem foras nullius pretii sunt . Sem. Come scopriste, Publio
, che fosse di questo costume la vostra Conforte? Pub. Avevo in quel
tempo un servitore molto affezionato, & insieme accorto, diedi ad effo
segretamente l'incombenza, che lo aveffe scoperio ; e fi pora tò egli così
bene, che in brieve fui informHo ditutio. Sem.' E come fece? Pub.
Conduffe, ove questi sogliono ricrearsi, un certo fuo conoscente, il quale da
molto tempo serviva in quella casa, e dopo d'essersi insinuato avvedutamente
appresso di lui,introdusse discor. so, come è lor costume, sopra le stravaganze
de padroni, & interrogato, che l'ebbc de cractamenti, che riceveva
dal fuo suo, passò alla giovane, di cui ne diffe un infinito bene,
con individuargli alcune particolarità, le quali denotavano forfe savia, c
prudente . Sem. Questi come poteva essere apa pieno informato delle
qualità della gior vane, non trattando in quei tempi lei padrone con
servitori? Pub. I servitori in ogni cempo sono ftati curiofillimi di
scoprire i fatti de'padroni, & anco i più segreti', come ava vertì
Giovenalc. Scire volunt fecreta domis, atque inda timeri. E siccome
sempre vi è stata qualche affezionata corrispondenza tra essi, e le donne di
servigio, onde per questa via, ciocche effi nonodono, ne offervano, lo
penetrano : nè è stato mai possibile, che le donne di servigio ili fiano
astenute dal'non palesare i difetti del: le padrone , almeno a questi loro favo
riti, per mostrare con elli confidenza. Sem. Vi bastò quefta sola notizia
? Pub. Procurai in oltre rincontrarl24 da più parti prima di crederla ;
pofçiag che che udito efferii da quella casa partita disguitata una
donna , fecidiella prenderne inf rmazione, la quale contesto le medelime
cose,che dette aveva il servitore; ed essendo uniforine à questo notizie il
publico conceito, che di essa fi aveva nel vicinato, mi appagai del suo buon
costuine ie non feci altre dili. genze intorno à questo. ni Sem Manon
sarebbe stato ineglio vi foste informato da qualche Uomo das bene? Pub.
Non lo stimai neceffario , avendo rincontrato da più parti il medesimo: e poi
per dirvela giusta , chi è buonio non è curioso d'investigare gli altrui
difecii; ed anco sapendoli si guarda molto bene dal publicarli..."
Sem. Il vostro Ulisse, Mecenate, sa, rebbe approposito per iscoprire gli altrui
difetti in Mec.. Ma non in questo affare, perche egli cicala troppo: si
ricerca in tale affare chi sia destro, e serio , che compri, c non venda.
Sem. Sem. Palesatemi ora , Publio, qual modo usaste nell'informarvi della
prosapia della vostra Conforte ? Pub. Vi era in quel tempo un certo
sfaccendato investigatore de' fatti altrui, il quale andava curiosamente
cercando le memorie delle antiche famiglie negli Archivi ; cui feci parlare dau
un'amico, è che mostraffe desiderio, tanto delle notizie della mia famiglia,
quanto dell'alcra, con fargli promertere un convencvole riconoscimento per le
sue fatiche'; e per verità in brieve tempo d'ambidue pose in chiaro quanto
circa ad un secolo a poteva tro. vare, e seorgendo verificarsi ciocchés aveva
detto della mia, prestai fedes à quanto aveva ritrovato dellal, tra; e vedendo,
che fiftava quasi del pari tanto nel bene, quanto nel male's non ini curai fare
diligenze di vantag. gio'intorno a questo ancora potendomi bastare. Sem.
Dunque quantunque sapeste, che in quella viera qualche eccezione,
non [ocr errors] [merged small][ocr errors] non ne faceste caso?
Pub. Mà se vi era questa nella mias ancora, come potevo farne caso, do. vendoci
ne' Matrimonj servare uguaglianza. Mec. Credete forse, Sempronio, che
tutti noi descendiamo da Cerari, e che per non interrotta serie di molti secoli
le nostre famiglie siano state sempre illuftri? Se li potesse ora ritrovare la
de. scendenza vera degli Arsaci; e Tolomei, oh quanti di questi si troverebbero
esercitare arti vili, e forse core peggiori ancora . lo per tal motivo no mi
fon punto curato di far ricercare dell'albero della mia casa , se non l' ulcimo
secolo ; e tanto maggiormente, che un mio amico, il quale si mostrò più curioso
di me, bramandolo di due , dopo di avere speso di molto in ricercare i fatti
de'suoi antenati; vi trovò alcune cose, che forse nulla li piacquero, o fece
tralasciare l'opera:solamente queIto guadagno vi fece, che non milançava più la
sua nobiltà , come prima.Som. Di avere però l'albero della sua casa lo stimo
neceffario, affinche i posteri seguirino i loro illustri maggiori.
Mec. Lo credo anch'io , mà però non conviene farne publica mostra , se uon cui
averà trà suoi ascendenti chi abbia goduta la Sovranità, mediances la quale
degnamenre merita la preminenza sopra tutte le altre una sì illustre famiglia.
Potrei riferirvi à questo proposito ciò, che fece un saggio Prencipe, cui fu
presentato l'albero de'suoi antenati; lo rinirò egli ben bene , & essendoli
avveduto , che l'adulazione vi avca innestare alcune cose ideali, lo fè
piantare profundamente in una fund Villa, atfinche da quello germogliaffed
l'albero de'suoi descendenci più glorioso, essendoche lo fc piantare ivi ad onta
dell'adulazione. Med. Licredo anche utili detti albe. ri per prova della
salute goduta dagli asccadenti ; posciache se il Padre mori ottuagenario , il
nonno parimente in età decrepita , conforme anco l'atavo , ed il tritayo,
sarebbe questa una provas grande della perfetta falure in quella famiglia; e
tanto più se questa si proyaffe ancora per parto delle donne; dove che se
fossero morti giovani , e vi foffero regnati tra eli mali creditarj, farebbe
far un cattivo negozio, d'incftare a piante si cattive la propria. Sem.
Riuscirà ora cosa difficile à potersi sapere i difetti del casato, col quale
dov.erò apparentare, per non esserci più quegli avveduti indagatori dei difetti
altrui. Mec. Non dubitate, perche non ci è questa penuria ; sono stati, e
saranno sempre nel Mondo niolti, a quali premono più i farti altrui , che i
proprj, ricavandune da ciò notabile guadagno ; basterà essere loro grati,
perche di quc sto vivono , per altro ne troverete molti: e poi ci sono ora
tanti manoscritti, e libri anche stampati, i quali trattano delle nostre
famiglie, che vi si renderà più facile di quello, che credete, à Caperlo giusto
; Sc però non averanno, tore scritto con passione, clivare; il che
si difeerne facilmente, non potendosi mai celare questi canto , che non si scuoprano.
Sem. In questo supplicherò voia favoriemi, avendone già pratica di molte ; Ini
mette solamente pensiere il mor do di scoprire ciò, che accennò il Dor
concernente all'età , che fieno viyuti, & alla loro falute, ed in questo
ancora vi prego , Dottore , che mi ajutiate. Med. Questa non è incombenza
di Medico, dovendo egli cercare i vivi per 'risanarli , se sono infermi ; ma ai
morti qual bene potrà apportare, ricercandoli ? Sem. Apporterete à me il
bene, le non lo farcte a defonti, con trovarmi moglic , che descenda da
famiglia sana, ed in conseguenza ancora a miei descendenti. Mec. Il
Dottore ha da fare, non gli date questa briga ; vi voglio inícgnare io il modo
per uscoprirlo; posciache, fc [ocr errors][ocr errors] se la famiglia,
colla quale voi volete app arentare, sarà illustre, e di antica pro fapia, ci
saranno tante lapidi sepotcrali,ove son descritti i fatti degli ascendenti , ed
ivi troverete anche gli anni, che questi vissero ; se poi saranno famiglie
moderne, l'invidia farà palese più di quello, che bramerete sapere di cfle ,
ritrovandosi ricche. Sem. Passiamo ora all'età più propria
d'accasarsi. Mec. Voi,Sempronio, vorreste essere in un sol congresso
istruito di tutto; riferrete di grazia,che Publio è vecchio, ed il Dottore ha
le sue occupazioni ; non ci abuliamo della loro sofferenza.; e poi non è già
vostro vantaggio di far lunghe conferenze, perche meno a apprendono li troppi
documenti, di quello si faccia udendone pochi per volta ; differiamolo dunque
alla seguente Conferenza. CON, CONFERENZ A 11. Sopra l’età
più propria, e proporzionata di accasarsı ; e quale fia
svantaggio maggiore , farlo prima del tem-
po conyenevole, ò nella vec- chiezza. [ocr
errors][ocr errors] Sempronio , Publio , Mecenate, e Medico. [ocr
errors][ocr errors] Sem. 01, Publio , che avete avuto fortuna nel vostro
accasamento, ditemi di grazia: in qual'età cravate,quádo prédeste
moglie? Pub. Appena io avca terminato l'anno. vigelimo quinto. Sem.
E la vostra sposa qual’età avea? Pub. Era allora appunto entrata nel
vigefimo. Sem. Perche non la prendeste prima?Pub. Perche non mi pareva di avere
acquistato ancora turto quel conosciméto necessario per far passaggio a detto
stato. Oltre di che trovando scritto questo Sacramento per ultimo , ftimai bene
d'effectuarlo dopo l'età stabilita da conferirsi il Sacerdozio, per non
errare. Sem. Ma prendono pur tanti moglie prima di questa età ?
Pub. Da ciò forse deriva , che molti fi lagnano ancora di essersi accafati ; ed
è cola facile, che per non sapersi in quell'età iinmarura regolare con
giudizio, e prudenza , incontrino più disastri, che consolazioni, Sem.
Dunque avendo i vecchi più fperienza, senno, e prudenza de giovani converrebbe
aspettarsi a farlo fino all' età fenile. Pub. Per altri motivi però,
apportati da Euripide , non si dee aspettar tanto, dicendo egli: Et nunc
juvenes adhortor omnes, Ne in senecture nuptias celebrantes
[ocr errors] Vix liberos procreént;nec enim voluptas
eft, Sedres inimica mulieri fenex vir,
Ed altrove, Amarus juveni uxori fenex maritus .
Sem. Sono però accaduti à rempi noftri cafi felici ne’vecchi sposati con
le giovani, ed hanno avuto prole. 3 Pub. Questi matrimonj bisogna ,
che riuscissero assai infelici anticamente;podi sciacche di Omero racconta
Erodoto į nella di lui vita, che sdegnatoli egli con tro alcune donne,che
sacrificavano à Co. rcre in un trivio, imprecase loro questo o gran
male. Audi flavi Ceres precor, hoc mihi perfi ce votum: Hanc
numquam juveni matronam junge I marito, Sed tremulo fit nupta feni , cui
vertice cani Fundantur crines, E non avendo saputo augurare loro
infortunio peggiore di questo;qual felicisà dunque potranno essi godere?
Potrà [ocr errors][ocr errors] effere tal volta, che le donne di oggidi
fieno divenute più savie di quello fossero allora; o pur,non trovando alcune di
esse mariti giovani fi contentino di quelli, che possono avere , senza
contristarsene punto; se pure non è qualche caso singolare questo da voi
riferito , il quale non è sufficiente à formare Aato. Sem. Bramerei in
primo luogo sapere da voi , se debba essere uguale l'età dell' uomo à quella
della donna, per servare in tutte le cose perfecta uguaglianza? Pub.
Appunto per cagione di proporzionata uguaglianza , non debbono essere ambidue di
consimile erà , perche deesi, come ben'avvertì Euripide regolar questa dalla
durazione della fccondità , non dagli anni , dicendo egli. Malum eft juvenem
uxorem adolescenti conjungere. Diuturnior autem eft marium vigor ,
Fæmineum verò corpus citiùs puberta. sc deftituitur . Sem. [ocr
errors][ocr errors] Sem. Quefta differenza di età in che doverà consistere , e
quanti anni doverà avere più l'uomo della donna? Pub. Sopra questo
particolare ini persuado , che non si possa dare certa, c determinata regola;contutto
ciò potrà dire il Dottore, quello ch'egli ne senta. Med. Aristotele pone
la fecondità dell'uomo fino all'età di 70. anni, e quella della donna sino à
50.jma perche ora forse sono le complessioni deceriorate , e perciò non si
osserva, se non di rado giugnere à questo termine, voglio in ciò
regolarmi con quello , che piu } frequentemente suole accadere,il quale
appunto è; rispetto all'uomo incirca al 60.anno ; & alla donna intorno al
40. talmente che nello spazio di 20. anni, confifterebbe detta fecondità
di più o nell'uomo che nella donna.Ciò ftabilito, ogni qual volta nou
trapali in detrá - proporzione il triplo l'età dell'uomo sempre farà in
uguaglianza g rispetto al sempo di poter generare; purche non C 3
VCI yenga variata da qualche indisposizione morbofa. Sem. Sicche
dunque un uomo di 40. anni farebbe- nell'uguaglianza , prendendo una giovane,
che ne avesse venti? Med. Così è: uscirebbe bensì da calc proporzione ,
se la prendesse di 14.anni; poiche trovandoli la donna nell'età di anni
34.avendone il marito 60. sarebbe già divenuto sterile sei anni prime di
effa. Sem. E se la donna fi accalaffe in età maggiore di quella del
marito , che ne potrebbe seguire da ciò ? Pub. Le riuscirebbe certamente
pii facile di fare à suo modo; imperciocche non prendendosi quella soggezione
del marito , che suole apportare di più l'anzianità, disporrebbe, tụtto à fuo
piacere;ed Iddio guardi,che la diffcrenza degli anni foffe tale, che il marito
le potess’essere figliuolo,allorsi,che lo vor. rebbe tenere, e regolare da
subordinato in tutto à se medesima : e poi è da riflet. tersi, che
difficilmente inducendoli ladonna, se nő è molto stimolata dal senso, à
congiungersi in macrimonio con ginvani di tanta disparità; onde in questo caso
soffrirebbe il povero marito per molti capi penc considerabili: solamente
la gelosia, che ne potrebbe ella avere gli i recherebbe tormento grando; olere
di chc, comc vuole Leonide , sarebbe sen- za prole, e senza moglie,
posciacche egli dice: Conjuge nec frueris,nec frueris
fobole . Sem. Io , che non voglio tanti guai, la bramo più giovane di mie; mà
diremi, Dottore, qual'è l'età competente della donna,per cffer moglic?
Med.La giovane può prendere marito allor'appunto, ch'è atca à concepire ,
effédo divenuta già dóna;c può succedere questo alle volte nell'età di 12.
anni, altresì di 13., 0.14.3 e più tardi ancora ; onde in detço tempo porrebbe
divenire sposa. Mes. Sarebbero però quelle di 12., 0 13.anni spose
immature; e non só quanto potessero riuscire buone mogli; poi
che [ocr errors][ocr errors] C 4 che lasciando la conliderazione di
do. versi queste scegliere uno stato nel quale conviene perseverare fino alla
morreu, cd in conseguenza averebbero bisogno di più maturo senno per fare detto
passo: e senza riflettere a tanti disaggi, che ponno incontrare nei primi
parri; doinando, come si sapranno bene regolare col marito, e nell'educare i
figliuoli? Med. Hò considerato anch'io queste difficoltà; mà dall'altro
canto è da riAettersi ancora, che prendendoli così giovanette ; si possono ind
rizare, come li vuole ; ed abbiano l'esempio nelle piante, le quali allorche
sono tenere , con facilità grande le poisiamo piegare a nostro compiacimento ;
mà non già questo accade allorche sono indurate Virgilio parlando di domar la
gioventù, dice, che nell'età più tenera con più facilità succeda. viamque
infifte domandi, Dum faciles animi juvenum, dum mo bilis ætas. Mec. Io mi
maraviglio, che. voi co [ocr errors] me [ocr errors] meMedico non
vi opponiate 'a maritag: gi di età si tenera, potendo meglio di chi non è
vecfato in medicina conoscere il danno, che possa apportare alle cenere giovani
similc mutazione di stato . : Med. Non vi maravigliare di questo, perche
noi circgoliamo nel modo di vivcre colle consuetudini de? paefi', insegnandoci
il nostro Ippocrate, che: dandum fit aliquid regioni, & confuetudini; e non
per questo , che qualche.caso liano seguito funesto, debbong esse variure,
essendoche cziandio consimili cali fe, guono nelle più adulce, pericolando
queste ancora ne parti. Mec: Lasciamo le consuetudini dan parte, e dicemi
di grazia, se inariterelte una vostra figliuola in età si tenera ? Med.
Ci penserei alquanto , & anderei procrastinando il trattato , fin tanto che
li assodasse un poco più negli anni; c tanto maggiormente, se non fosse ben
complessa ; poiche non vorrei, che nel cominciare si prestamente à far figliuo.
li , quello, che dovesse andare in suo [ocr errors] crc [ocr
errors] crescimento , G.deviasle altrove..' Sem. Si differiranno
facilmente quefti maritaggi, per non ispropriarsi della dote, e voi alori
Medici, che fiete renuti alquanto interessati, forse per ciò differirete di
effettuarli. -:" Med. Non fiamo però sì ftolidi, che non riflettiamo, che
la dilazione non paga debito, e che questo fodisfacendosi fpedicamente ci
libera da cravagli di doverlo pagare.. Sem. Qual'età voi realmente
credere più propria da prendersi marito? Med. Se la giovane goderà
prospera falute , mi persuado , che intorno al vigelimo anno lia la più
convenevole ; le poi foffe gracile, si potrebbe anche in. dugiare qualche anno
di più, per meglio ftabilirsi; purche non paffalse il vigefimo quinto;
ftantccche facendoli talri. soluzione di accasarsi, per godere prole
sufficiente alla conservazione della fami. glia , ciè d'uopo di figliuolanza,
che fopraviva, e ci fiano ancora de'maschi , e ciò nello spazio di 20. anni di
fecons [ocr errors][ocr errors][ocr errors] dità si può commodamente
ottenere. Semi Talmente che, chi bramasse di avere più numerola
figliuolanza,gli coverrebbe prendere una giovane di 15. anni? Med. Per
istabilire bene la sua casa, non fi dee solamente procurare il nuinero
defigliuoli, mà ancora la robustezza, e vitalità de'medefini; e questi,co. me
vuole Aristocile nel 7. della sua politica, nascendo da Padri giovanetri, sono
di poco vigors, almeno i primogeniti, i quali fogliono per lo più accafarsi.
Quindi è, che Tacito, ove parle de'costumi de'Germani, dice; che tras cffi le
vergini fi maricavano già adulte, cche perciò passasse ne'figliuoli la ro, bustezza
dei genitori. Sem. E l'età dell'Uomo più congrua di accasarsi, quale sarà
? Med. Quella appunto, che si contiene erà lo spazio di 25.,
30.anni;quando ciò da altro impedimento non venga ri. tardato. Mes, Lo
credo anch'io, che da molte cagioni potrà essere ritardato : im. percioche, se
averà egli impieghi,i quali richiedono applicazione grande, e non si troverà
sufficientemente proveduto di beni di fortuna, per sostentare la famiglia ; fe
non goderà salute competente; se in casa averà molte sorelle, e madre in
particolare, che fosse donna risentita, in questi casi doverà indugiare a
farlo, fin tanto almeno, che si troverà in istato più opportuno, non essendo
convenevole porli sotto ad un giogo di questa forta con simili impedimenti
svantaggiosi alla quiere conjugale. Semi Vorrei sapere, quali danni
risulterebbono,s’io tardasli a prender moglie fino alli anni 35. Mec. Se
voi tarderete tanto, temo, * che non la prenderete più, e per ducor motivi:
primièramente perche trà tana to facilmente' vi potreste deyiare, cd
abbattendovi in qualche donna scaltrita , saprà ben'ella distorvi da tal penfie
ro con le sue arti; e guai a voi, le fi af fomigliaffe questa a quella donna
impu dica,descritta da Salomone al 7. dc' suoi Proverbj, la quale ;
ornatu meretricio prçparata ad capiendas animas; e con quali artificj !
victimas pro faluse vovi, hodiè reddidi vota mea ; idcirco egreffas fum in
occursum tuum, defiderans te vin dere , e reperi ; intexui funibus lectulum
meum , ftravi tapetibus pietis ex Ægypto, aspersi cubile meum mirra , a aloe
br. E poi trovandovi in quell'età, farà facile, che comincierete a rifertere sù
l'incertezza di poter'invecchiare, e facilmente direte ; come anderebbe allora
la niiafamiglia séza’l mio stradaméto;qual pensiero , se non vi distogliesse
affitto, vi renderebbe almeno irrisoluto nell'effettuarlo; onde farc à mio
modo, risolvetevi, e non procrastinate di vantaggio: perche altrimenti vi
seguirà cioco ch'è accaduto à me medeliino, che mi fono invecchiato senza
successione. E sapere , che diranno di voi le donne, elsendovi avanzato negli
anni? Questi è vecchio, che ne vagliamo fare? E perciò converrà allora,
volendola prendere, ассо accommodarvi a chi troverete , con le
condizioni che da ella vi saranno date; dove che adesso farà a vostro modo
quella , che vorrete prendere. Sem. Questo certamente sarebbe svantaggio
grande per me; laonde non bisognerà perderci teinpo. Pub. E tanto più
sollecitamente vi risolverete,sentendo li pregiudizj grandi , ricevuti da cui
tarda moltó a pren. dere moglie,i quali sono anche maggioridi quelli, che
possono accadere à chi lo fà prima del tempo. Sem. Quali sono, Dottore,
questi Matrimonj fatti prima, ò più tardi del dovuto tempo? Med. Li
preventivi sono; se un giovanetto fi accasaffe in età di 15.9 16. anni; e li
tardivison quelli, che si fanno, allorche tal’uno è divenuto già veça
chio, Sem. Quali danni apporterebbe ad un giovane lo accafarli di 15.
anni? Med. Questi accompagnandosi con, una giovanetta coetanea , non
saprebbe [ocr errors] regolare le sue operazioni; c s'egli in quello
primo fervore fregolato pregiudicaffe allo proprio individuo, quanti svansaggi
ne riporterebbe? E qual'indi. rizzi sarebbe capace di dare a suoi figliuoli,
avendo egli bisogno di chi lo dirigeffe? E stando tuttavia in crescimeto,
defraudandofi questo per il diyiamento della miglior parte del suo sanguc
iinpiegata nella troppo sollecitas generazione, come potrebbe convertirli in
suo beneficio ? Oltre di che noll possono fperarsi frutti perferti da simili
piante, le quali non sono arrivate an. cora alla loro perfezione, Pub.
Aristotile nel 7. della sua Politica fà sopra di questo un'ottima riflerfione ;
cioè, che fimili figliuoli, che pajono quasi coetanei a Padri, poco rispetto
portano loro, querclandofi sovente sopra il governo della casa contro di
efli. Med. Ci sono però alcuni cafi, che debbonsi eccettuare
dall'accénata regola , e tra questi sono quelli unichi , cd [ocr
errors] ed antichi rampolli di qualche illustre, e ricca famiglia, che per non
vederlas estinta , fi procura in età tenera di accafarli. Siccome ancora, se si
vedesse un giovanetto ben complesso, che comincialle a deviarhi, non avendo chi
lo tenesse a freno;onde per non vederlo precipitare , converrebbe accasarlo ,
senza indugiare di vantaggio ; ed in questi casi li doverà prendere un'altra
inisura , competendo loro piu tosto una saggias giovane, che avesse qualche
anno di più di loro, affinch'essa regolaffe alcune operazioni concernenti alla
salute , potendo la moglie saggia molto adoperarfi in fimili affari. Sem.
I poveri vecchi allorche foffero robufti, perche non potrebbero divenire fposi
anch'elli? Med. Perche, conforme dice Euripide. Sed, aut feneétus
Veneri valere jubet; Aut Venus senibus molefta eft . Onde per tal cagione
si accelerarebbero la inorte, çssendo anche potenti, e ritrovandosi inabili a
questo , si contri- sterebbero per molte cagioni:primiera-
mente per essersi accinti ad un'impresa, nella quale non riescono abili
perlochę verrebbero anche derisi,e beffeggiati da giovani, e per
non vedersi corrisposti dalle loro conforti con quelle maniere
cortofi, ch'elli vorrebbero, e final mente per essere privi della
bramatas. prole, come descrisse Virgilio ;: Nec dulces
natos , Veneris nec prçmian noris. E vi
parc,che questi poffano vivere con- tenti? Con ragione dunque
Blepirone appresso Aristota ne diceva: -Heu, mihi infeliciis
qui senex. cxiftens duxi uxorem. E Menandro
esprimendo le fvcnturc de?. vecchi amanti, così fayella:
Nurde miferius poteft daramante Seine, Hifi alius fenex
amans; Nam , qui frui cupis rebus , à quibus Propten tempus,
quomedò ille non mi Jerefte), 06.01.10 D
Mere [ocr errors][ocr errors] arasiit Mec. Ia questo li credo
infelici anch? io, leggendo in Catullo : Er fenis amplexus culta puella
fugit. Ed in Arenco ciocche disse Teognide, ch'è appunto. Sero Viro
juvenis uxor magna calamiras. Cymba fine anchora , effractisq;
Tudensibus. Pub. Udite ciocche dice Plauto di questi: Tum capire cano
amas fenex nequif fime? Si unquàm vidiftis pictum amantem, bem
illic eft. Ed Ovidio, ch'era informatiffimo de' genj delle donne di quei tempi,
così ebbe a dire : Que bello eft habilis , Veneri quoque convenir , stas
; Turpe fenex miles', turpe fenilis amor. Quos petiere Duces annos in
milise aforit Hos petir in focio bella puella viro. Laonde, qnando a
vecchi venitfe in fantasia di preader moglie, a configlino con 2
con Orazio , il qualc dice : Intermiff - Venus diu Rursùs bella
moves:parce precor precor, : Non fum qualis eram. Sem. Riceveranno questi
certamente, prendendo moglie , svantaggi affaimag. giori di quelli, che
incontrano i giovanerti? Med. Senza fallo; posciacche questi, crescendo
loro con gli anni il senno, u la robustezza, vanno incontro al tempo
migliore ; dove quelli sempre più u precipitano nel più miserabile : or
re dere voi, Sempronio , che danni apporta il diffrire tanto lo
accasamento Mec. Ho conosciuto però un vecchio, il qual, essendo caduto
nelle reti di Venere, piangeva dirottamente la sua sventura; e volendolo io
confolare, persuadendomi, che li lagnasse dell'errore commesso; cgli mi rispose
: oh che fallo hò commiffo io a non prendere moglic, quando era giovane!
poiche fe valoroü so mi son portato nell'età inaridica della un vecchiezza ,
quanto più farei stato nel , [ocr errors] 2 la verde giovenile? Gli
replicai però: guai à voi, se in quel tempo foste stato così dedico à fimilc
piacere; posciacche vi averebbe farro inyecchiare prima del ecinpo; dicendoli
dell’ainor lafcivo. Ef juvenis juvenes, qui facit ille fenes. E per
meglio illuminarlo gli apportai l'iscrizione sepolcrale di Menelao, ch'è
questas Inter opus medium lafcivå mørte for lutus; Hic fitus eft , dom
init jam Menelaus bumum ; Qui blande. Veneri visa facraverat Haud aliter vitam
ponere juffus eraf. Sem. Or ditemi : questa uguaglianza come dec essere
nelle altre cose? Pub. L'esamineremo in appresso. [ocr errors] [ocr
errors][merged small] CONFERENZA III. :2 [merged small][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] Dove si mostra,in che cose sia esenziale
l'uguaglianza nei Matrimonj; quali svantaggi
nascano dalledisuguaglianze
in queste. Sempronio ; Publio , Mecenate's
Medico. M [ocr errors] Sem. I persuado, Publio, che non
essendo seguite trà voi, clas voftra conforte, al. tercazioni,e discors
die, averece goduta la sorte di una perfectisfima uguaglianza in tutte le
cose. Pub. In tutte è impossibile poterlos ottenere ; bafta solamente ,
che difuguaglianza non sia nelle più esenziali, nelle quali certamente fui fortunato,ef.
fendo di verificato in me il Proverbio diSalomone: Qui inuenit mulierem bonam,
invenis bonum : du auriet jucunditatem à Domino Sem. E queste quali
sono? Pub. La prima è il genio buono uniforme in ambidue: e questo non
potrete credere, quanto mai trà noi foffe reciproco ; poicche, quanto io
volea,senza repugnanza alcuna cra grato anche ad effa ; ed in quello poteva
immaginarini, che fosse stato di sua sodisfazione, ci concorreva anche la mia,
à segno, che delle nostre volontà, sen'era formata una sola ; onde di noi con
ragione si poteva dire, ciò ch'è registrato nell'Ecclesiastico al 25.,ch'è
grato à Dio, ed à gli uomini : Vir, & mulier benè fibi confentientes
. Sem. Sicche dunque se vi potevate immaginare, che avesse deliderato un,
bell'abito, ò una nobile Stufiglia allas inoda,voi l'avereste compiaciuta
prontamente Pub. Non desideravano le mogli queAte cose in quei tempi,
ne'quali non costu. [ocr errors] costumavano ; bramavano bensì di
avej re provisioni abbondanti di lini, cana pc, e cottoni per farne
lavorare copio se biancherie ; di vedere fatte le provi. i sioni à tempo
debito , di quanto biso gnava per servizio di casa cutto l'anno ; di
avere otrimi maestri per istruire bene i figliuoli; e servitù fedele, e benc
accoltumata. Sem. O tempi felici: non poteva io essere nato allora
! Pub. Ed io vorrei trovarmi giovane in questi coll'uso di ragionc, cd
esperienza , che godo : Sem. E la seconda quale sarà ? Pub. Che
questo genio uniforme fi ftabilisca sopra le virtù cristiane, e morali in primo
luogo; c di poi in tutto le altre cose utili per lo stabilimento della casa,cd
in queste è stata veramente seinpre singolare; imperciocche vedendo, che
bramavo di sodisfare all'. obbligo, che corre ad ogni benestante, di sovvenire
i poveri, essa ancora facea le sue parti con mia somma consolazio
D4 ne ; ne; e nel rimanente vedendomi artento agli affari
domestici, s'ingegnava per quanto poteva, di sollevarmi in molte cose ;
talmentecche hò sperimentato in me ciò, che diffe. Appollonide : Certè
inter homines Non aurum , non regnum , non divitia. .. rum luxus Voluptates tam
eximias prebent , Quam buni marici , & uxoris pia Volunt as jufta , &
legitimè affecta. Sem. Lo credo anch'io[facendo voi cosi]che potevare
godere una perpetua felicità. Pub. E voi ancora la potrete godere, se
farete il medesimo. Sem. I tempi calamitofi , ne'quali siamo , non
lo permettono. Pub. Se dipenderà da tempi, converrà avere pazienza ;
perche farà irremcdiabile; mà se dipédeffe poi da voi,senza fallo potrete porvi
rimedio: or'vediamo,da chi dipenda. I tépi calamitofi dāneggiano co carestie,
pestilézcguerre, terremuoti,c tempeste ; c queste non effens
20 [ocr errors] effendoci ora crà noi,come possono corbare il regolamento
della propria casa? Onde vedere, che dipende da noi', non da tempi ; dunque à
torto vi lagnate de'tempi ; essendo voi , non cfli l'origine della vostra
infelicità; e se poressero questi parlare , direbbero in loro dif colpa: voi ci
calunniare à torto, per ricoprire i vostri mancamenti; perche vi piace tale
modo di vivere, e vi dilet. ta, quanrunque ne moftriate un'appa. rente
rammarico. Sem. Si pratica oggidi fare diversa. mcate d' allora i
conviene accomodarli ai più : bisogna averci pazienza . Puh. Questo è un
pretesto peggiore i dell'antecedente; perche voi conoscere, che fate
male; ed avere la cognizione, che non facendolo fareste felice ; porche dunquc
lo fate , dipendendo da voi il farlo, ò non farlo? Ohcecità ! volere piuttosto
effere imitatore di chi voi conofcete; che faccia male, che di quellig che
operano bene; e poi, se voi dite che ci vuole pazićza,perche vi lagnate?
Som. [ocr errors][ocr errors] Sem. Operavano allora cutti in questa
forma? Pub. Io non andava cercando, se vi era caluno , il quale
diversamçare operaffe ; perche volendo prendere l'esempio da chi lo faceva ;
questi solamente rimiravo, per imitarlo. Mec. Sempronio mio, non vi
avanzate più oltre in questo, perche Publio. vi convincerà di vantaggio ; e vi
farà anche conoscere, che i vecchi non sono storditi, conforme alcuni credono;
efsendo che al parere di Plutarco;la mente in vecchiaja ringiovenisce.
Sem. Vi è altro trà le cose neceffarie. da fervarli uguaglianza ? Pub.
Nella ftatura ancora ci vuoly, se non totale uguaglianza, almeno proporzione ;
posciacche, se sarà la spora pigmea, ed il marito gigante , se ne avyodrà ella
ne'parti, ed in alere segrete occasioni ancora ; laonde à questo proposito
parlò Ovidio : Quàm malè inæquales veniunt ad aran tra juvenci,Tam premitur
magno conjuge nuptas minor. : Sem. Sarebbe dunque bene prendernc prima le
misure di ambidue per formarne una giusta pariglia. Pub. Non è ciò
necessario, nè conve. niente ; perche coll'occhio ancora fi può discernere la
notabile disuguaglia, za. Debbo ancora avertirvi , che li rim cerca la
proporzione de'beni di fortuna; ? perche se vi apparentaste con gence mi
lerabile, alla vostra casa coccherebbe il mantenerla: altrimenti non vi sarà
pace con vostra moglic; perche la vora rà soccorrere di nalcolto, sc non potrà
farlo palesemente. Sem. E la Nobiltà dee entrare ancora essa trà le cose
necessarie da ugu2 gliarli ? Pub. Questa uguaglianza non è ftia mata
essenziale , secondo il sentimcnto i di Platone, registrato nel tive del
suo Regno; ovcper teffere la tela della buo. na discendenza , cgli procura
di moa strare, non ricercarli cosa più effenzia, le [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] ke ne'maritaggi, che d’innestare le virtù
; per esempio, al temperamento forte unire il moderato : onde potendo questa
unione formarsi con inferiori di condizione ancora ; non si ricercheranno nè
ricchezze, nè poffanza, nè altre credute dal mondo vantaggiofe condizioni, per
tesserla a suo dovere ; come appunto lo fà contesfare à Socrates ; perche egli
considerava talc affare in ordine al bene univerfale , non particolare di
ciascuno ; persuadendosi, che congiungendoli in tale forma , fi potesfc porre
il mondo in migliore consonanza. Ed in conferma di questo, cade in acconcio la
bella concione , fatta dawa Camulejo Tribuno della plebe l'anno 310. ab Urbe
condita, la quale viene riferita da Livio; e dimostra questa con vive ragioni
tutti quei vantaggi, che possono apportare i maritaggi scambie. voli trà
nobili, c plebei alla Republica. Io però mi persuado , che più decoroso fia,
secondo l'apparenza del Mondo, fceglierla non plebca. Mec. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mec. Voi dice benc , Publio ; malo
colla nobiltà fosse unito il mal costume scegliere te forte piuttosto una
Meffalina, che una ben'educara, c prudente plebea per vostra consorte?
Pub. Questo poi nò ; perche in tale caso mi perfuado minor caccia, porerne
ricevere, sposando una plebea , la quale col suo buon costume,.c fenno, in
brieve tempo fi farebbe conoscere non dissomigliante à quelle nate nobili;
doveche la nobile mal’educata , e viziola, degenerarebbe in plebea fenza
fallo. Mer. Vedete dunque, che la sola nobiltà non dee attendersi, mentre
voi medesimo la posponere al buon coftu. Sem. Vi sono esempj di nobili
savj, che abbiano sposate giovani ignobili? Pub, Molcillimi. Vifu Teodofio
lin. peratore , il quale antepose la figliuola di un povero Filofofo à cutte le
più nobili, riconoscendola meritevole di tale grandezza , per la fua buona
educazioac. Ed Abramo che desiderò, volen do [ocr errors] 1
70 me. [ocr errors][ocr errors][ocr errors] do prendere moglie?
Uditelo das. Ambrogio : Difce quid in uxore queratur : "Non aurum , non
argentam quafivis Abraham, non poffiones , fedt gratiam bons indolis : lib.i.
de Abr. cap.9. Sem. Nella bellezza, ò deformità fi dovrà cercare proporzione?
Pub. Qualche forta sarà bene di procurarla ; perche , fe diforme sarà il
inarito , c bella la moglie, dirà ogni rivale, ammirato di questo; con Virgilio
: Mopfo Nisa datur , quid non fperemus amantes! ! Oltre di che in un
continuo tormento di gelosia fi ponc, chi la prende éon fimile disuguaglianza;
e tanto maggiormente , dicendo Giovenale : Rara eft concordia forma, •
Atque pudicitia. 21 che viene anche confermato dal Petrarca in tal guifa
: Due gran nemiche erano insieme ago gionte: Bellezza, ed'oneftade
Oltre di che poi [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Fastus ineft
pulcbris, fequitur superbiaus formam . Sem. Nelle ricchezze fi dee
cercare od uguaglianza? Pub: Quella appunto , che fu detta i dell'ecà ,
cioè, che sem pre fiano ad una certa proporzione inferiori quelle della
cala, con cui volete apparentarvi,perche, come disse ben Marziale :
Inferior Matrona fuo fit, Prifce marito, 4 Non aliter fiunt femina,virque
pares.. Sem. Sc uno volcffe prendere moglic in lontani paesi, e di diversi
linguaggi, indurrebbe questo disuguaglianza alcuna ? Pub. Forse che si,
quando non s'incontrasse donna di gran fenno ; perche il costume , e modo di
vivere differenti, prima, che si accomodino a quelli, che troveranno , possono
fare nafcere molti diffapori ; se pure potranno mai uniformarli; come ne
dubitano Emilio Probo : Non cadem omnibus funt honefta atque turpia , fed omnia
majorum inftitusis, judicant ; nemaque nibil rectum puosat, nifi quod patriæ
moribus convenit. Ed Ovidio così canto: Nefcio que nasale folum dulcedine
cun stos Ducit , immemores non finit effe fui. Beo'è vero però, che in
quei luoghi, fe Veducazione delle giovani fosse mi gliore di quella del
vostro paese, forse che potrebbe questa accrescere vantaggio a voi. Sem.
Se il marito farà dotto, indur. rà disuguagliáza l'effere la moglie
ignorante Pub. Anzi più tolo disuguaglianzas apporterebbc , fe fosse
dotta, ed erudi-$perche come vuole Giovenale ; Non habeat matrona , tibi qua
junctae recumbit Dicendi genus , aut curtum fermones rotatum.
Torqueat enthimema, nec biftorias soins ? omnes, Sed quædam ex libris, non
intelli. Ed udite, come dice l'Ecclesiastico di ques [merged
small][ocr errors] queste al 28. Lingua tertia mulieres vin ratas ejecit, o
privavit illas laboribus fuis ; Qui respicit illam non babebis rea quiem , nec
habebit amicum in quo requieJoar. Mec: Posso a questo proposito riferire
ciò, che è accaduto a tempi noftri. Vi tù un dotto Jurisconsulto, che aveva una
sua figliuola, e volle addottrinarla nelle materie legali,cd avendo acquistato
detta giovane molta perizia in esso le convennc,morto il padre,
prédere,inarito, e si trovò la povera giovane talniente confusa nelle faccende
domestiche, che si pentiva grādemente di avere applicato allo studio, dicendo:
che mi serve ora di sapere le leggi, non avendo įmparato quello, che mi
conviene fapele per governare la casa? Sem. Già fu parlato della
uguaglian. za, o proporzione , ch'essere dee tra l'uomo , e la donna intorno
all'età ; ina se portasse la necessità , che un attempato unico della sua
famiglia dovesse prédere moglic, pornon lasciarla cftinguc: E [ocr
errors] re re, ditemi, Dottore , quale sarà l'età, se non proporzionata ,
almeno più fe. conda della donna, con cui dovesse con. giungersi Med.
Quella, nella quale più facilmente li concepisce, ch'è tra i venti, e li
venticinque anni. Sem. Orsù Mecenate risolviamoci ambidue a prendere
moglie, potendo ogn' uno di noi provedersela della medesima ctà, e non
permettere , che la vostra famiglia si illustre fi cftingua in voi. Mec.
Credeva essermi già bastantemente spiegato nella prima conferenza, ma voi non
avete capito le mic raggioni, tornando la seconda volta a configliarmi 'l
medesimo, con mostrare premura maggiore per la mia descendenza, che per me;
onde vi torno a dire, che nella mia età non è più convencvole lo aceafarli;
dicendo Euripide : Verùm fonecta jubet valere Cypridem, Et ipfa
rursus senibus infensa est venus. Quindi è, che Sofocle interrogato allorch'era
già vecchio s'egli esercitava [ocr errors] a più gli atti venerei : Iddio
me ne guardi diffe, che io mi sono guardato un pezzo fa da coresti, come
da una impetuofa, e violenta tirannide, Valerio Mallimo lo riferisce.
Sem. Io ne domando scusa, dichiza randomi non averlo detto a questo fi ne
, Delidero ora faperc i pregiudizj; EI che apportano ne' matrimonj le disus
guaglianze; ed in primo luogo ; fe faranno di genio differenti tra loro.
Pub. Dice Salomone: Melius eft habitars in terra deferia , quam cum mulieu
rerixoja, litigiofa; onde vi potrete i figurare di vedere la casa piena di
con fufione, ove regnano genj differenti; * pofciache ciocche vorrà il
marito, ve nendo ad essere disapprovato dalla mo glie, onon fi
effettuerà, o per la meno I in qualche parte verrà variato, e que Ito
medelimo darà occafionc à discordie perpetue tra effi , fe il marito non averà
la prudenza di Giove , cui Giunone si opponeva sempre come vuoo le
Omero,Dum moliuntur,dum comitur annus est. Sem. Ed il rimedio per questo,
quaEin le farebbe? Pub. Lo diremo a suo tempo. . Sem. Ho conosciuto
marici alti due palmi più delle mogli, e il doppio più i grossi, ne da
questa disuguaglianza ho veduto seguirne inale alcuno. Med. Ed io ; che
fon più vecchio di voi, ho medicato più d'una di questo nel tempo, che stavano
per partorire, ridotte a termine di morte, per non poter dare alla luce i loro
figliuoli, se non dopo alcuni giorni , e coll'ajuto del Chirurgo, e di
queste, alcune sono pei rite. Succederà a quelle di avere parto felice
che nella gravidanza avendo fi avuta inappetenza grande, il feto si sarà
poco nudrito; e perciò rimanendo picciolo, questi non averà ftentato ran
to nel uscir fuori; o pure la cassa del o corpo della madre, con quanto è
neces sario, per rendere meno difficile il parto , sarà stato in queste
proporzionato al bisogno. Ma preventivamente alcu [ocr errors] ne di
queste cose non costumandoli ri. conoscere tra noi , conforme appresso alcuni
popoli li faceva, e perciò, per esimerki da tal pericolo, conviene riAeterle
prima del maritaggio, toccan. do questo a'padri di famiglia. sem. Sc un
bel giovane prendeffe per moglie una donna deformc , che male potrebbe ciò
apportare? Pub. Niuno, quando però foffe egli fodisfatto, e la donna
fosse prudente, e non l'avesse presa per cagione di grofsa dote; perche si farà
quest'invaghito delle sue rare qualità, ed averà egli facilmente appreso da
Salomone ne' suoi Proverbj, che: Fallax gratia , e vana eft pulcritudo : mulier
timens dominum ipfa laudabitur. Sem. E se il motivo di prenderla foffe
Itata la dote Mec. Seguendo per lo più simili deliderij in giovani , i
quali penuriano di beni di fortuna, la pace tra essi dyrerebbe lintanto, che la
dote foffe in picdi: mà appena consumata questa , allo. ra 1
[ocr errors] racomincierebbero reciproche doglian. ef ze; quelle del marito
sarebbero, diri. trovarsi vicina la moglie deforme, e della donna di non
vedere più la sua dote, Caduceo di pace tra di loro. Sem. Dandosi però
vincolata , ciò non potrebbe seguire . Mec-Non si può ottenere questo in
limili disuguaglianze ; perche vogliono tali sposi libero il danaro, per
vincolarsi cili colla deformità della moglie, finche dura la doce. Sem.
Non so capire perche s'abbiad d'apparcntare con casc men facoliose ; perche
questo apporterà. svantaggio nella dote. Pub. Ma però quiere maggiore,
ove entrerà limile sposa; perche quella giovane , la qual’esce da una casa, ove
con gran laurezza viveva, difficilmente po trà acomodarli alla vostra,
ove 1101 i potrete con quel fasto trattarla ; onde da ciò ne nasceranno amarezze
continuc ; o pure (arece forzato , volendola consolare, ad impoverirvi
prestamente. E4 Sen. of [ocr errors] Sem. Il prendere
una moglie nata in paesi lontani potrebbe forse recare gran vantaggio ; perche
non avendo parenti vicini, sarebbe più ossequiosa al marito, nè lo
disgusterebbe, e ciò farebbe felicità grande. Pub. E voi credete, che 'l
Padre fia sì sciocco, che non penserà ancora di raccomandarla à chi lia
d'autorità , acciocchè le assista in caso di bisogno? c quando avesse cgli
difetrato in questo, credere voi, che chi parte dal suo pae. sc, sia così
insensata di non sapere col suo ingegno trovare chi la protegga in un suo
urgente bisogno? Qual patrocinio cal volta sarà molto più autorevole; ed
efficace di quello, potesse ricevere da suoi congiunti: non v'invaghite di
straniere, se non in caso, che mancare sero donne del paese, ove voi
dimorate. Mec. Sono andato più volte rifectendo, che non sarebbe forse
svantaggio lo sceglierla , non dico da paesi remoti, ma da città convicine, e
mi ha mosso que in questo pensiero Giovenale, con dire Malo
Venofinam , quam te Cornelia [ocr errors][merged small] Grascorum , fi
cum magnis virtutibus be affers Grande supercilium, & numeras in dos
be te sriumphos ; id Perche queste riescono più docili, eve nendo in
città più nobile, gradisco no ?: quanto si fa loro, più delle proprie cita
tadine, e fogliono ancora eslerc meno dedite al luflo , Pub. Vi sono le
sue difficultà in queste i . ancora . Imperciocche Carone, con e tutto
che fosse uomo sì faggio, quanti di guai ebbe con la sua moglie Acrorias I
Paola, quantunquc povera, e nata in ¿ un villaggio ? fu questa superba, vio2
lenta , e debole di mente. Laonde a tal propofito S. Girolamo lib. 1. in
Joviniznum diffe; Nequis putet si pauperem dy xerit fatis fe concordie
providili &c. E bij maggiormēte ora che il lusso ha polto il piede da
per tutto; ne crediare che vorranno vestirc con minore pompa delle E
2 Fu 과
[ocr errors] Junonem autem non adeo accuso, neque irafcor, Semper enim
mihi consueta eft impedire quidquid intelligo, Sem. Ma quale rimedio ci
sarebbe in questo caso per fuggire le discordie? Pub. Conoscendo' voi il
costume di vostra moglie, che sia di contradirvi, come espresse Terenzio,
Novi ingenium mulierum Nolunt ubi velis, ubi nolis Cupiunt
ultro. In questo caso ordinate tutto l'opposto di ciò, che bramare, per esser
ubbidi to. : Sem. E se avesse poco fervore nellas pictà, e
trascurassc alquanto gli affari domestici, scorgendo quancunque suo marito
attcntiffimo a tutto? Pub. Sarebbe segno, che avesse altre cole, credute
da essa di premuras maggiore di queste , che le andasse. ro per la mente;
perche non si trascurano affari si rilevanti, se non da quel. le, di cui disse
Terenzio ;ciccadine, se non s'incontrerà in savie, c prudenti. Sem. Mi
piacerebbe di avere una moglie, la quale mi sollevasse con qualche storietta ;
perche dunque il fatirico dice: Nec historias feiat omnes? Pub. Perche,
con sapere le donne molte storie, essendo cosa facile il poterG abusare di
qualcuna di esse, niun vantaggio vi apporterebbe ; e sappiate che ci sono libri
molto lascivi, i quali non comple in conto alcuno, che da esse si leggano,
confessando tal verità Ovidio medesimo quantunque fosse impudico, con dire :
Eloquar invitus, teneros no tange poetas , Summoveo dores impius ipfe
meas . Callimacum fugito non eft inimicus e mori, Er cum Callimaco tu
quoque Coe noces . Carmina quis potuit tutò legifeTibulli ? Veltua, cujus Opus
, Cintia fola fuit ? Quis potuit lecto durus difcedere Gallo? Er mea, nefcio
quid, carmina tale fo E [ocr errors] [ocr errors] E poi due cose
non si possono fare: die vertirsi nel leggere, e reggere la casas; e
dovendo a voi premere la secondands ( conviene ch'essa abbandoni la prima ;
¢ sappiate, che Giovenale dice a questo proposito Quis ferat
uxorem,cui conftent omania? Mer. Plutarco però dice, che sarebbe di
profitto al marito d'istruire la mo* glie nella geometria, ed in alire cores o
dottrinali, ed onoratissime ; perches ď allora si spoglierebbe affatto delle
leg. gierezze, e vanirà de pensieri , e si aAterrebbe dal danzarc,
Pub. Che la moglie s'istruisca nei buoni documenti morali, e di pietà da mariti
è cosa ucile, e lodevole; maw, che s'impieghi ad apprendere la geomei
tria , quando fi trovare inadre di più fi: gliuoli, non so come le
potesse riuscire avendoli d'intorno , per lo strepito ch' delli fanno ;
se poi fi allontanaffe da elli , ecco che l'educazione loro anderebbe a
male. Sarebbe ciò solamente tollera. bile in una donna itcrile, avendo
servis tà tù sì buona, della quale si potesse ad chiusi occhi
fidare, per divertirsi con tale scienza, c passare la noja che le recherebbe il
trovarsi senza figliuoli; per altro se abbiamo d'aspettare , che las geometria
tolga la yanità donnesca, regnerà questo difetto per sempre nelle donne : e poi
la mia moglie, che nulla sa di geometria, odia la vanità, ed i balli; dunque
possono fuggire detti vizi quelle ancora, che non sono geome tre.
Sem. Vorrei sapere distintamente, che cosa fia questo matrimonio ; perche dovendomi
accasare bramo di esserne informato, per non operare alla cieca in così
rilevante materia ? Mec. L'udirete da me nella venturas conferenza.
CON [merged small][ocr errors][ocr errors] Sopra gli antichi costumi ,
praticati apprello alcuni Popoli per la gene- razione;
e se sia più vantaggioso lo scoprire scambievolmente
i proprj corporali difetti ,
prima di sposarsi, o l'occultarli..
Mecenate, Sempronio ; Publio e Medico. i Mec. On mi ftéderò
molto nel riferirvilan. tichissima libertà de? Greci, nè tampoco
l'incestuoli modi de' Persiani, praticati ne gli atti conjugali, per non
contaminare le vostre orecchie; mentre i primi a guisa di bestie
moltiplicavano, conoscendo i figliuoli solamen te te le loro madri,
comme scrisse Tzetzes Iftorico Gracorum priùs mulieres per Greciam,
Non quemadmodum nunc , conjunge- bantur legitimis
viris, Sed inftar jumentorum mifcebantur om-
nibus volentibus ; Erant igitur unius naturæ tunc filii ,
Sobas agnofcentes matres , non patres, Ed i secondi non avevano orrore di
esse. re figliuoli, c mariti, come riferisce Catullo, Nafcatur magus ex Gelli,
matrique nefando Conjugio , con discat Persicum aruspi cium ,
Nam Magus ex matre, donato gigne tur oportet i
Si vera eft Perfarum impia religio. Sem. Ma il Cielo lasciava
impunici fi effecrandi delitti Mec. Non già; perche, come si ricaya dal
fudecco Tzetze furono mediante il diluvio puniti, dicendo egli in
appreffo.a Poft illud , quod in Ogygis tempore
inci. dit diluvium , Cecrops acceffit ad
Aibenas Gracia, Has Ashenas cū vocaffet ex Soi Ægypti, Cum multis
aliis rebus commoda vis Gracia; Tùm lege conftituit mulieribus
nuptias 5 legitimas, 1M Ex quibus filii cognoverunt duos pa rentes.
Anzi per farvi conolcere , che la natura stessa abborrisce l'incestuosi
connubj, vi posso apportare molci csempj de bruti, tra quali, non solamente il
camelo lo ha in orrore, uno de' quali ammazzò il suo cuftode , che lo ingannò a
coprire la madre, appena avvedutofene , coine riferiscono Aristocile , ed
Eliano ; ma Plinio ancora racconta, che nellad campagna di Rieti vna cavalla
avvedu tasi di questo, immediatamente si prei cipitasse, e Varrone
fcriffe, che un ca vallo per la medesima cagione faceffe tale impeto
contro il suo armétiero, che l'uccidcffe:e dell'elefante raccora il me
deliof desimo avvenimento Nicolò Lirense. Sem. Ma come faceano a
riconoscersi i figliuoli da' Padri,avendoli cosi confufamente generaci . ; Pub.
Appreffo alcuni Popoli, allorche i figliuoli aveano compito il quinto anno,
quei, che più li assomigliavano a gl’incerti padri, erano tenuti da essi
per loro figliuoli; come racconta Stob. Ser. 42. Sem. Quanto è stato
peggiore il mondo in quei tempi di quello fia oggidi ! Mec. Se voi
sapeste il rimanente, ftu. pirere anche di vantaggio. Sem. Eche, vi sono
state altre scelleratezze ancora? Mac. Contentatevi di non udire altro
per ora ; e lasciate simili notizie , per quando farete più proveito : passiamo
aderlo a' tempi incno infelici. Ristabilito, che fu il matrimonio, s'introduffe
da alcuni popoli il contratto della vendita delle loro figliuole, cioè da'
Greci, Traci; Aliri, Arabi, Indiani, ed al, tri, come da Tiraquello nelle sue
leggi COS [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] · conjugali si racconta, e Sofocle intro- o duce le donne, che
cosi favellano fo- pra dició: Ubi
verò ad pubertatem hilares perve- nimus
Pellimur foras, atque divendimur Procul à Diis patriis, a
parentibus, Alia quidem peregrinis, alia barbaris. De' quali
parlando Pomponio Mela riferisce, che: proba , formof&que in pretio erant
. Sem. In quei tempi saranno stati con: ienti i padri, nascendo loro
figliuole , e non già mesti, conforme ora sono, che debbono dotarle, mercecch'essi
al-, Jora ne ricevevano utile grande; oltre I di che saranno state anche
molto più cu stodire queste mogli a caro prezzo com* prate di quello si
faccia ora, ch'effe b con grosse doti comprano noi; poiche offervo, che
se un cavallo ci costa molK to, abbiamo somma premura di esso. Mec.
L'interessati padri può effere, di che lo faceffero, ma non già i buoni, che le
amavano, e perciò riflettevano, F [ocr errors] ancora, che se non
portavano dote le loro figliuole, non acquistavano, ovc foffero entrate,
dominio alcuno. Ele mogli fi ftimano c rispettano ancor adeffo da giusti, e
saggi mariti , per questa modelima cagione ; e poi quelle, che portano grosse
doci fanno ben farli portare rispetto anche da’mariri non favj , dicendo
Giovenale : Intolerabiliùs nibil eft, quam fæmina dives. Dicendo ancora
Cleobulo appreffo Stobeo: Si babebis uxorem ditiorem , aut nobiliorem, dominos
habebis , non affines. In oltre si costumava da altre nazioni ancora comprarsi
dalle mogli i mariti; conforme fi ricava da Virgilio; Teque fibi generū Thethis
emas omnibus undis. E Boetio, nel lib.z. de Commenti alla topica di
Cicerone, così parla. Tribus modis uxor habebatur,usu,farre, &
coemptione ; fed confarreatio folis Ponsificibas conveniebat; quæ autem in mamum
per coemprionem conveperat , hæc [merged small][ocr errors][merged
small][ocr errors][ocr errors] mater familias vocabatur &c.; Sem. Si
è costumato in alcun tempo, che non fa corsa tra contracnci dote ale cuna
ne’inaricaggi? Mec. Nelle leggi di Solone, Licur. go, e di Platone fu
stabilito questo ; ben è vero però, che la sperienza has fatto conoscere, che
fuccedevano più di rado i matrimonj , per non effervi il suo fuflidio dotale ;
essendocche pochi vi erano', che volessero soccomettersi al grave pero di
essi, senza il follievo della dote; onde vedendoli dan ciò risultare notabile
danno alla Republica , la prudenza Romana ftabilì con leggi le doti,da
consegnarsi alle figliuole , per sostentare non solamente li peli del
matrimonio, ma per allettare maggiormente ancora, mediante effe, gl uomini a
prender moglie, come disse il Satirico, Veniunt à dote sagitsa . Pub.
Erano certamente troppo pregiudiziali fimili leggi, dalle quali lcfcludevano le
dori; c perciò Aristotilo discordò dall'opinione del suo Macftro Platonc provando
ne' suoi Problemi , che fia cosa obbrobriosa prendere moglie indotata ; e che
sia anche gran pazzia di colui , che lo facefle , dovendo egli riflettere al
peso, che se gli accresce: onde sopra di ciò interrogato Anafsandro, cgli
'rispose ; che sarebbe divenuto servo certamente colui il quale bisognoso
prendeva moglie indotata; perche in vece di se solo, dovea alimentare più
persone. Quindi è, che con somma prudenza fu risoluto nel Concilio Arelatcose;
che non si dovesse fare matrimonio alcuno senza dotc , como riferisce il
Fontanella. Sem. E' stato costumato da nazione alcuna il prendere più
d'una moglie nel medesimo tempo ? Mec. Anzi tuttavia dagl'infedeli fi
pratica ; ben è vero però, che tra eli le mogli sono trattate , come schiave , tenendosi
racchiuse , e guai a voi, Sempronio, se vi fosse permesso più di unas moglie ,
allora vedreste in che travagli maggiori vi porrebbero le donne , che
go [ocr errors][ocr errors][ocr errors] godono la libertà, ond'è stato
fantisfimo il provedimento , che unica fia la conforte. Sem. E da chi
ebbe origine, questo matrimonio in fimile forma? Pub. Dal grande Iddio ;
posciacche, crcato Adamo, formò Eva, e glicla died'egli medesimo per conforte;
onde ad iinitazione di questo gran matrimonio dce ogni fedele contentarsi di
una's fola compagna, e di rispettarla ancora, conforme fece il primo marito, il
quza le allorche la ricevette per sua sposas, così disse : Hoc nunc os ex
ossibus meis, caro de carne mea , hæc vocabitur virago, quoniam de viro fumpta
eft : quamobrem relinquer homo patrem fuum, a matrem, adbarebit uxori
suæ, derunt duo in carne una; e da ciò comprendere, quale ftima li debba fare
della propria moglie. Sem. Ma tornando alle doti, queste da principio in
che quantità furono ftabilire ? Mer, Non fu allora ciò determinaco,
ben [merged small][merged small][ocr errors] F 3 ben è vero però,
che in appresso, essendo divenute ecceffive, furono stabilite in una certa
quantità, secondo le condizioni delle persone ;. e particolarmçate nei domini,
ben regolati. Sem. E questo viene offervato? Mec. Qualche volta, ma
non sempre; fentendosi assegnate a caluni in fommas più considerabile
degl'altri,quantunque fiano della medesima condizione Pub. Mi piacerebbe
lo stabilimento fiffo , secondo lo fato delle persone, ma da che proviene
questa inosservanza? Mec. Dal lusso accresciuto, il quale effendosi
anch'esso posto tra le spese necessarie per il sostentamento matrimoniale,
viene anche considerato per tale da chi dee accasarsi ; e perciò dice, tanta
dote io voglio , per pocer fare quello, che si costuma dagl'altri. Pub.
Qnando io preli moglie, e per qualche cempo in appreffo , & contentava
ogn’uno di ricevere competente dore; perche questo lusso di oggidi non non vi
era. More [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mec. A tempo ancora,
che vivevas Gnco Scipione, le doti parimente erano molto proporzionate al
vivere di allora , ascendendo la più pingue, quale ebbe Magulia, che fu
chiamata las dotata, a cinquecento mila affi, come riferisce Valerio
Maffimo. Sem. Non erano dunque si tenui les doti ascendendo a tanta
somma. Mec. Avvertite Sempronio, che gli affi non erano già scudi; ma
solamente ogo’uno di essi arrivava appena al valore di quattro de' noftri
quattrini di rame; onde turci icinquecento mila afli formavano la somma di
circa quattro milas fcudi de' noftri; e poi le più frequenti erano di dieci
mila asli, come ebbe Tacia figliuola di Cesone , il quale non era ignobile, e
cal somma appena ascendeva a scudi ottanta, Sem. Ma da che proveniva, che
corressero doti si tenui in quei tempi ? Mec. Non da altro, che dal non
efservi lusso, Sem. Ma perche non si pone dal Prin cipe [ocr
errors][merged small] F4 cipe sopra di ciò la prammatica ? Pub.
Perche aon ci è bisogno in queIto della sua autorità. Sem. Come non ci è
bisogno? Pub. Ditemi, Sempronio, se voi poteste senza l'autorica del
Principe far cosa, che fosse anche di sua fodisfazione, vi sarebbe bisogno
della sua autorità per farla? Sem. Non ci sarebbe certamente di uopo di
essa. Pub. Or ditemi, s'è in voftra libertà, nel farvi un'abito ,
spenderci 50. ò pur 100. scudi , ed in una carrozzas 500.Ò 1000. in questo vi
astringerà forfc il Principe alla spesa maggiore? Sem. Certamente, che
no; Pub. Perche dunque non lo fate confiftendo in qưesto la prammatica
? Sem. Perche gl'altri non costumano di farlo. Pub. Or dunque
domandate a questi, che pongano efl'la prammatica, non al Principe, il quale
non comanda, che fi ecceda gel lufto,Mec. A questo proposito essendo ftato
supplicato Tiberio , a porre moderazione all'eccellivo lusso, che correvad in
quel tempo, egli negò apertamente di farlo, dicendo come riferisce Tacito:
Pauperes neceffitas, divites fatietas, Nos pudor in melius muter; onde da ciò
comprendete , che noi siamo i padroni di prendere quelle misure, che più ci
aggradano nei nostri trattamenti ; & udite da Tacito medesimo, come mai lo
espresse al vivo nel secondo de' suoi Annali: Cur ergò olim parfimonia
pollebat? Quia sibi quisque moderabatur : non ritrovandoli Gneo Fabrizio, e
Quinto Emilio, che un tondino, ed una saliera di argento, per servirsene nei
sagriticj; per altro tenevano da se lontano ogni luflo , conforme fecero ancora
i Publicoli, i Curj, i Scauri, & altri valoroG uomini, i di cui pensieri
non si aggi. rayano già intorno alle ricchezze, ma bensi agli onorevoli
Consolati alle me. ravigliose Dittature, ed ai Trionfi , per çimagcre immortali
nella pofterità: cos me [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] me riferisce Valerio Malimo : Sem. Hò capito a bastanza, e conofco,
che il mancamento viene da noi. Notificatemi ora, Dottore , quali sono questi
difetti corporali delle donne, i quali voi meglio degli altri
conoscerere: Med. Non posso servirvi in ciò, ele sendo che quanto sò di
occulco, non, debbo palesarlo. Mec. Il Dottore è compatibile in questo,
perche s'entrasse egli in disgrazia delle donne, potrebbe dire di aver finito
di fare il Medico; imperciocche, comincierebbero queste a dire, che tutti di
suoi infermi muojono, e perciò sias sfortunatissimo nel medicare, e di vantaggio
sia un vecchio stordito, che non sappia ove si abbia la testa; e sapere purc,
che queste muovono gl'animi colla loro eloquenza più di Demostene; onde lo
porrebbero in una totale defiftimazione, non facendoli scrupulo alcuno di far
ciò quanrunque fosse di pregiudizin grande a professori, il dicui merito effe
non sanno conoscere, per vedersi [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] da
effe anteporfi gl'adulatori a questi. Med. Non è questo il motivo, che mi
ritarda il palesarli, ma bensì, l'avere io qualche segreto di cal’una, che si
trova con qualche imperfezione, onde non vorrei , che mi credesse manca. core
di fede , figurandofi, parlaffi di lei: per altro, non mi ritarderebbe già di
farlo quello, che voi avete accennato; perche, se dicessero mal di me, diverrei
Medico fortunato, essendo che non me . dicando , non mi potrebbe morire alcuno,
e per questo riposo ancora goderebbe la mia mente tranquillità maggio
[ocr errors][ocr errors] re. Mec. Queste sono belle rifleffioni, ma -
però ad ogn'uno piace l'effere adopera to, e questo senza protezione
difficile mente si conseguisce. Med. Piacerebbe a me ancora quan. do ciò
non distruggeffe il mio indivi. duo ; e cercherei ancor io queste pro-
tezioni, quando accrescessero dotčrina ; ma non potendo le stelle cramandare
i quci benigai inguda, ch'effe non hanno onde onde per tal cagione
mi persuado, che queste ancora non potranno addottrinare. Voi conoscere il mio
naturale ; di grazia non diciamo altro. Sem. Se non diremo altro, non
termineremo la nostra conferenza, ed io rimarrò senza essere istruito.
Mer. Vi consolerò io , ch'essendo già vecchio, niū fastidio mi prédo delle
doglianze feminili, non curandofi esse più trattare meco. Vi persuaderete
forse, Sepronio, che tali difetti personali occulti sieno cose grandi ,
essendo, che il Dottore ricusò palesarveli? questi non sono altro, per quanto
mi vado immaginando, che un poco digobba, la quale viene ben uguagliata da
buftini ripieni nella parte mancante . Sono qualche palmo di giunta
ne'calcagni, per potere coparire al par delle altre ; qualche piaghetta,ò
fistola occulta,o ferore di naso, ò di bocca ; ò pure altro impedimento,
mediante il quale si rendono infeconde: Ma non crediate già, che tutte le donge
abbiano fimili imperfezioni , effen, do [ocr errors] do solamente
alcune poche queste così imperfette. Pub. E'
certamente curioso quel caso riferito a tal proposito da San
Vincenzo Ferrerio nei suoi fermoni. Aveva un giovane sposato una
donna , la quale gli parea di giusta ftatura , rimase poi cgli
quando la vide porsi a letto manca- ta in un momento per metà. Dubito
da principio, che gli fosse stata cambiata, mà miratala bene in
viso, si avvide effe. re la medesima , onde stimò bene dirle, cosa
avesse fatto dell'altra metà della sua persona ; l'accorta non fece altro
, che mostrargli le sue pianelle, ò tram- pani per la loro
grandezza, che appun- to allora si era cavati, i quali non erano
inferiori all'altezza della base di una co- longa. Sem. Fra tutte
l'accennate imperfec zioni, niuna mi darebbe maggior faItidio del fecore del
nalo, ò della bocca ; perche io, che sono dilicato, non potrete credere , che
avversione ciò mi recherebbe; onde di questo , prima difpofarla, voglio
ben'accertarmi in vicinanza tale, che possa scoprirlo io medefimo. Pub. E
che ? forse temete, udendolo per relazione altrui, d'incontrare las bontà di
quelle donne, che redarguite, perche non avessero palesato il fetore della
bocca de loro mariti, effe rispofero ; che credevano , che tutti gl'uomini
odorassero in quella forma? D.Hier. in Jovin. Sem. Come si potrebbe fare
per isco. prire quefti difetti corporali occulti? Mec. Doverebbero
palesarsi reciprocamente alla prima, altrimenti, essen. do il matrimonio un
contratto, vi farebbe inganno, ciò non facendosi : E fe nei contratti delle
compre de' schiavi, ò cavalli, quando la frode fi scuopre, esli si possono
riscindere, così mi persuado, che sia in questo, cadendo-yil'inganno in cose
essenziali alla fecon- N dità; oltre poi, quando non si poteffc riscindere , quante
occasioni daranno di perpetui disturbi tra di effi fimili diferti.
Sem, [ocr errors][ocr errors] 3 Sem. Şi è dato mai il caso, che
siang palesati questi prima delle nozze? Mec. Molti esempj ci sono, e tra
gli alori, quello di Crate Filosofo Teba. no, cui portando grand'amore
Hipparchia, la quale aveva non inferior genio col Filosofo , che colla sua
doctrina , onde richiedendolo per marito, che, fece egli ? si scoprì il dorso,
cmostrolle la sua gibbosità; e di poi posto in terra il maorello, bastone, e
tasca , che 2veva, le disse: Signora, queste sono tutte le mie supellectili, la
mia defor mirà già l'avete veduta, onde considerate seriamente ciò, che fare
per non. avervene a pentire . La saggia donnarei plicogli, che aveva già
sufficientemen te proveduto ogni bisognevole, e confiderata ogn'altra
cosa, e perciò credeva, che più bello di lui, e più ricco non fosse nato al
mondo; onde che l'avesse pure condotta dove voleva , come sua moglie . Ed il
simile fece ancora nel discoprire la sua gibbofità il Padre di Sergio Galba a
Livia Occellina Daman mol per mo molto ricca, è bella, per
non ingannarla. Sem. Bisogna, che queste non credersero deformità
svantaggiosa la gobbas de’loro mariti , perche hò osservato i figliuoli di
cocefti molto diritti , e belli; mà vorrei sentir riferire qualche caso di
donna, che avesse scoperto all'uomo i suoi difetti. Pub. Vi fu una
giovane bellissima amata teneramente da un Gentiluomo, il quale avédola farta
chiedere glie , fi scusò ella di non poterlo compiacere, onde da simile ripulsa
s'accese di desiderio maggiore , per averlas; mà che fece la savia giovane,
vedendo , ch'egli non defifteva ? gli fe intendere, che lei medesima gli
averebbe palefata la cagione, per la quale ritardava di condescendere alle sue
brame, e c011"certato il luogo , ed abboccatisi insienie gli scoprì il suo
petto , e felli vedere un canchero , ch'aveva in una zinna, dicendogli,Signore,
questa carne, ch'è incominciata ad incadavcrirli voi amato [ocr
errors][ocr errors] ta [ocr errors][ocr errors][ocr errors] canto! Rinase
egli confuso nel rimira, re tale spettacolo, il quale frenò in gran parte
quell'ardente amore, che le portava's desistendo in avvenire di farla più
importunare. Sem. lo credea , che le donne non fossero facili a scoprire
i loro difetti, sarauno però rari questi esempi : Mec. Il simile credo
anch'io, e da ciò facilmente oasceranno molte contese cra mariti, e mogli ,
d'onde provengono i divorzj, e fe li palesaffero alla prima scambievolmente i
loro difetti, forfe che non seguirebbero; posciache essendune ainbidue
consapevoli, non li pom trebbero allora dolere, se non di loro medefimi.
Sem. Perche non si potrebbero fare ri. conoscere ambidue prima del matrimos nio
per meglio accertarsene? M26. Questo ripiego fu disapprovato, quantunque
lo aveffe proposto Platone; onde che fi dirà apportandolo you?' Evi pare, che
l'oneltà lo debba permettere? Appena le leggi Romane antiche tolle.
G [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr
errors] 98 Conf. 4. Dec. prima il rarono una tale ricognizione nell'uomo,
proibendola efprenainente nelle donne: e re Platone aveffe osservato cioccheri
feriscono Plinio, e Solino, che i cadaveri delle donne galleggiano sù l'ondes
con il ventre all'ingiù, e degli uomini all'opposto, cercamente, che averebbe
appreso dalla natura il documento di doverte, trattare con maggior onestà,
vedendoli naduralmente risplendere un non fo che di modestia in eile, anche
dopo morte. 1. Pub. A questo propofito lessi in Plufarco, con mią grande
ammirazione, ciocch'egli racconta di quelle Vergini Milelie, le quali ,
divenute pazze a cagione d'influenza peftifera,che ivi vagava, erano forzate
dal loro delirio a morire appiccare, e questi spectacoli giornalmente fi
trimiravano nella Città di Mileto ; fenza che le preghiere, e le dagrimé de'
genitori potessero impedirli; solamente il contiglio di un Savio porè
rimuoverlig. e fu di procurare con decreto del Senato, che tutte quelle,che si
sospendessero in avvenire , forfero esposte nude in nezo alla piazza a vita di
ogniiuno:Indusfe nella fancatia di cucina te le giovani tale spavento, ufc4to
sopra di ciò l'editto, che manco affatto Porrido fpettacoto, aftenendoli
age'unas in avvenire di farlo ; perche concerioz per cola assai peggiore
perfere veduta ignuda , benche morta, che vestica ap. piccata . Med. Due
altri fatti poffo riferire anch'io di donne savie : Polisena fu unas di queste,
di cui così ne parla Euripi de, At illa jam moriens tamen
Multum providit , ut honeftè caderet . Celaretque', que celare oculos
virorum oportet i Ed Ovidio ancora, nelle sue Metamor, foli, così
dice della medesima , Tunc quoque cura fuis partes velare, pudendas Cum
caderet , castique decus fervare; pudoris ; E l'altra fu Olimpia madre di
Alessan dro il Grande , che trovandoli proffiina alla morte, con i propri
capelli, e vefti ricopriva ciocche l'onestà non permetteva - Acimirasle
scoperto . Sem. E chc G farà delle belle, delle ricche, e delle brutte, e
povere ancora , come troveranno queste marito? Mes, L'udirete in appreso.
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Nella quale si mostra, in che modo si maritino le
belle, le ricche, e le deformi
quantunque povere. Mecenast , Sempronio , Publio ,
& Medico. Mec. A lunga sperienzando che hò del mondo, grá
cose mi ha fatto conoscere intorno a_matrimonjoli qua, li per essere
contracti, come fu detto, hò scoperto in effi ancora i suoi scnsali , conforme
fono negli alori trafichi. In quei fatti a doves re de quali già parlammo hò
offervato sempre mezana la Prudenza, la le non già di approveccia di alcuna
fensaria per se medesima, come sogliono qua, praticare gli altri
sensali dc' matrimo. nj. Sem. Quali sono questi altri? Meci Amore ,
l' Ambizione, e las Bugia. Sem. Che fofle Amore sensale Ò, 'mezano de'
natrimonj' lo sapevo anch? io; ma questi alori mi giungono nuovi; e come mai
l'Ambizionc potià trattare i matrimoni? Mec. Vi sarà una giovane brutta
ral. volca , e povera , c perciò Amore l'averà abbandonata'; ma perche si trove
rà umfratello, che si potrebbe avanzare nelle armi, ò nelle letrere, che farà
l'Ambizione? li metterà a trattare il di lei matrimonio, e con motivi si
efficaci darà ad intendere , che da quel mari. taggio, ne risulteranno vantaggi
tali a prò di quel giovane, cui la propong, che lo porranno in grandezze,
edonorificenze molto considerabili in breves tempo - Sem. Ma non li
avvede, ch'ella è de forme Mero Mec. In questo l'Ambizione s'inge.
gnerà di non fargliela comparire tanto brocca con mostrarli, che ci sono tante
più deformi di effe, le quali pure hanno trovato marito; e di poi gli caricherà
tanto le specie dell'apparence bene futuro, che arriverà ancora , quantunque.
fyfle brutiifiina a fargliela comparire vaga a segno, che lo farà divenire diella
amante. Sem. Ma questi sarà impazzito, se non diftinguerà ciocche a leoli
esteriori si fa palese. Mec. Credere forse voi,che solamen. ce Amore
faccia impazzire gli Orlandi? l'Ambizione ancora è capace di farlo; e questa
appunto è la sensaria, ch'ella brama: cioè di vedere fuori de'suoi sen. rimenti
anche gli uomini savj, e talvol? ta quelli ancora , che si stimavano capaci di
dare ottimi consigli ad altri. Sem, Ed Ainore, che fensaria ritraer da?
suoi maritaggi? Mes. Non altra ; che di vederli in brieve tra di loro
disgustati, essenda,che come si luol dire per proverbio; chi per amore si
prende, per rabbia li lascia. Sem. Ela Prudenza , che ne ritrae di
sensaria? Mec. Di vederli con perfecta pace tra elli, di sentirli dire
con Aufonio trai di loro : Uxor vivamus , quod viximus', dove teneamus,
Nomina, qua primo fumpfimus in than) lamo : Nec
ferat ulla dies, ut commutemur in Ævo, Quin juvenis
tibi fim, tuque puellas mibi. Sem. Questa per verità è un'ottima
fenfaria, che volentieri si può pagare da curti,e con fomino diletro.Ma
palliamo ora all’Avarizia ; com’enera questa nei matrimoni, vedendosi
introdottas oggidi tanta pompa , e splendidezza in elli , che pajono più costo
trattari', u regolati dalla prodigalirà sua nemica. Mec. Cosi non ci
cotraffe: : vedrete una giovane non solamenté bructa, ma [ocr
errors][merged small] anche mal sana , ricca però affai: e chi mai [poserebbe
questa , con cucce le sue ricchezze, se l'Avarizia non trattasse il suo
parenrado ? Sem. E come mai ella opera ? Mer. Si porrà d'intorno ad
un bel giovane, ma povero , e gl'infinuerà, che quel partito potrebbe farlo
divenia re molto riccbi e gli riempirà la testad fcema, che si ritrova, di
molte, ei molte migliaja di scudi; dicendogli , che potrà allora godere, e
stare allegramente; e susurrandogli qualche altra cosecca di più alle orecchie,
lo farà fare in tutto, e per tutto a suo modo; fenza che gli amici lo possano
più rimuovere con tutta la rectorica di Cicerone, e l'energia di
Demostene. Sem. Questi ancora mi sembra un paz-s zo. Ben è vero però,
ch'è caso raro , effendoci fatto divenire dall'Avarizia i posciache i suoi
seguaci non buttando il loro non sono tenuti pazzi; conformea potrà contestare
il Dottore', che conos sce, che cosa fja pazzia, Mede [ocr errors]
Med. Cilono però diverse specie di questo male; laonde se non sono di quefta
fpecie di di:Sipare il loro gli Avari sa-, ranno di qualche altra; mentre
alcuni di essi, per non ispropriarli del danaro , divengono tiranni di se
medefimi i ed inoltre, quanti Avari vi sono stati, che per leggiere cagioni
hanno dato la morce a se incdelimi , e quetti di riputere: voi forse savj? e
tornando al caso proposto, à me pare, che per avarizia coftui spreghi il
meglio, che si ritrovas, ch'è appunto il fiore delli suoi anni, spofando una
donna mal fana, e brutta . ..Sem, Che sensaria mai può guadagnare l'Avarizia in
far questo? » Mer Ella spera di potere acquistare tanti seguaci di più, quanti
poveri arricchisce per questa via, essendoche quando erano poveri, non potevano
: cflere Avari, perche non avevano mo-> do da cumulare i dove che arricchiti
poffono averlo .. Sem. Mà come potrà avanzare? dicendogli, che faute, che
avesse il pa. ren rentado, averebbe goduto, e sarebbe ftato
allegramente , e questo non si può tare da quelli , che vogliono cumula
Meo. Voi non capice il parlar equivoco dell'Avarizia ; ella non già intende il
godere , e stare allegramente dispendiofo , ma bensì quello di cumulare ,
creduto da efla , e suoi seguaci piacere , e contento maggiore di tutti gli
alori"; è ben vero però, che in questi cali rimane ella fovente delusa ;
posciache i giovani dislipano tanto in tali occalioni, che bene spesso si pente
l’A. varizia di esservisi ingerita. Semi Com'entra la Bugia ne'matri.
monj? Mec. In quanti se ne fanno, senza le direzioni della Prudenza essa
vuole-ingerirsi, e per un verso; d per Palero ci vuole avere in questi la sua
parte. 7 Sem. Si dice però communemente, che la Bugia abbia le gambe
corte, onde fi fcoprirà, e non potrà perciò fare breccia. diri Mele
1 Mec. Non è così perche non opera già sola. Se Amore per esempio trarre.
rà un parentado, essa pronta vi accorre, e si affatica tanto per fare apparire
quel. la giovane , per cui si tratta , savia, prudente, e di abilirà : ò quel
giovane di costumi angelici, e di abilità sommas; quando per verità farà tutto
l'opposto. Sem. Mà quelto in brieve si può scoprire. Mec. Prenderà
ben ella il contratempo, e quando vedrà che i genj, mediante Amore, saranno
cominciari as collegarsit, allora, ciocche ella dirà , sadà creduto per vero;
nè fi pafferà più oltre per iscoprirlo, quantunque fosse falfifsimo: lo fomina
in tali occasioni la Bagia si affatica tanto; che arrivò as dire un Filoloto,
che s'ella non si ri-, mescolaffe à questo segno si troverebbe per certo il
mondo.più spopolaco notabilinente Sem. E come ? e perche ? Mec.
Popolandoli il mondo, median-> te i matrimonj, quando questa non aju.taffe à
farli, oh quanti di meno ne le guirebbero! Onde per mancanza di effe molto
fcemerebbe ; talmente ch'essad lo mantiene cosi popolato . Sem. Non credo
però; che abbia tanta parte in essi, quanta voi dite. ) Mec. Ed io credo
di vantaggio ancora; imperciocche dicemi: nel mondo, quali sono più numerosi, i
buoni, ò i carrivi? Sem. Questo calcolo non so chi l'abbia fatto : ti
dice bene da pertutto, che gran parte in esso vi sia di cattivi. · Men E
credete voi, Sempronio, che questi trovassero moglie, se la Bugiai non
ricoprisse i loro vizja: Sem. Io credo di nò; Mec. Dunque non
facendosi tutti questi, che danno considerabile apporterebbero alla popolazione
del mond? Sem. Ditemi, che fensaria ella riceve ? Mec. Non altra,
che di trionfare allorche li scuoprono gl'inganni da efsa orditi; e li prende
sommo piacere del lc de discordie, e dissensioni, nate da ciò tra
in arirari. Sem. Oh che razza di gusti deprava Mic. Quéli appunto
sono i piaceri, che li prendono i vizj, non confiitendo in altro, che nel
vedere precipitato chiunque dura loro fede, e perciò non iè bene di prevalerli,
Sempronio, della opera loro in conto alcuno. -- Semi Mirpersuado , che la
Prudenza non tratterà fimili mariraggi, onde pochi faranno quelli, nel quali
effa s'in. trometterà : per efeinpio, se sarà bella da giovane, lascierà
trattare il suo pa. rentado ad Ainore, ed effa fi discolto. rà.
Mec. Non è così ; perche la Prudenza non è già tanto indiscreta, che odj la
bellezza, c fe vedrà, che colla beh - lezza ci fia unica anche l'onestà, ed
il buon costume, li tratterà , e concladerà infieme; ma quando poi fi
ávvedesse, che colla bellezza, questi non ci fossero, allora ne lafcierà la
libertà ad A mo more , che le marici a suo piacere : Sem. Mà
ci sono elempj di queste belle accasate dalla Prudenza? Pub. Tanti
appunto, quante donne helle hanno mantenuta la fede illibata) ai loro mariti; e
di queste Plutarco ne riferisce molte, parlando delle donne illuftri į
confessando ancora l'Ariosto nel canto 37. non esservene stata mai pea nuria di
esse, con dire: E di fedeli , e caste , e faggie , e forti Stare ne
fon, ne pur in Grecia, e ithead [ocr errors] Roms, Ma in ogni
parte, ove fra gl'Indi, gl’Orti Dell'Esperidi
il Sol spiega la chioma; Delle quai sono i pregi, e glonor mortis
Sì ch'appena di mille una finoma, E questo perche avuto hanno a'lor
tempi I Scrittori bugiardi, invidi , ed empji. lSem. E nci
maritaggi con ricche doti s'ingerisce mai la Prudenza , effendo disuguali di
condizione ? Mes. In questi ancora , quando ritrova, che amili ricchezze
fono venu te te per vic oneste;descritre così da Sene's ca de Vila
beat a cap.2 3. Nulli detractas, nec alieno fanguine cruentas , fine cujufquam
injuria parias , fine fordidis quæstibus, quarum tam honeftus fit exitus,quàm
introitus, quibus nemo ingemifcat , nifi malignus. E non scorgendo di mal
cofume chi le poflede, li conclude ancora; perche come mostró Platone į non
induce disuguaglianza disdicevole las fola disparita di condizione. Sem.
Quale farebbe questa disugua. glianza disdicevole? Mec. Sarebbe appunto,
se un nobile, per cagione della gran dote, volefse sposare l'unica figliuola
map educa. ta di un vile, e sordido arcista; l qual matrimonio non solamente
darebbe da dire a molti, ma ancora per lungo tempo sarebbe privo di potere
conversare con uguali, chi prendesse una fimile Spofa, Sem. Vi fuschi di
Te in fimile congiuntura, che de mormorazioni solamente per qualche tempo
duravano, mà chc che le grosse dori rimanevano per sem., pre; io
però non sono di genio si vile. Méc. Credo, che voi manterrete il decoro
di Gentiluomo,má replico bensis a colui, che punto non lo consideras :: che i
figliuoli ancora riinangono per : seinpre di somiglianti inclinazioni, e co.
ituini; essendoli osservato in molii, che hanno voluto canto digradare dalla
lo-> ro condizionc, con prendere per moglie giovani mal nate , e di poco buon
co-> itume', 'credirarsi da loro descendenti » gonj vili, c plebej; cosa
alai più dannoia , e pregiudiziale , di quello sieno le mediocri picchezze
nelle famiglie ile luftris onůc perciò il poeta Satirico conrra di questi
disle,....... 9. Scilicet expectas, us tradat mater boSo do neftosigilom
Aut alios mores, quam quos babet? E quell'altro anche canto Infequitur
leviter filia matris iter... Olere diche certi matrimonj fatti con tanta
disparità di condizione, se non, averà prudenza la moglie , riescono ang che
infaufti a mariti; come provò Fulvio, il quale avendo sposato una Ichigvå, fu
dalla medeliina tradico, denunziando ove egli era nascosto, csendo tra i
proscritti in tempo del Triumvirato ..., Sem. Vorrei anche sapere, fela
Pru-, denza tratti marrimonj didonne brurce, e ditettofe... * Mec. Questi
ancora maneggia , quando ci trova il suo conto; cioè a dire che quella da voi
creduta deformità non pregiudichi a fare figliuoli, nè alla pace
doinestica. Sem. Io mi perfuado, che la brut. tezza poffa ritardare
'ambidue ; perciocche, come si potrà amare una donna deforme e non amandoti
questa, come li potranno avere figliuoli, ed esserci la pace domestica di
Mec. Dovete sapere , Sempronio ; che due bellezze sono nelle donnc ; una delle
quali è di fola apparenza, e perciò viene detta eftcriore, e l'altra inter, Da,
la quale risicde nell'animo: la pri. [ocr errors] ma si rende inanifesta
ad og i uno, che Ja rimira; la seconda poi, quanto più si nasconde tanto
maggiormente risplende'; quale di queste due voi bramerefte, Sempronio, che
avesse il primo luogol nella vostra sposa ? Sem. Quella , che porelli
vedere, we godere insieme. Meci Questa sarebbe lefterna , che per breve
tempo la potreste vedere, er godere ; essendocche prettamente fier nisce,
venendo da' Poeti assomigliatas alla rosas Collige virgo rofas dum fos novus,
o nova pube's, Er memor efto , ruum fic properare tuum. Ed altri:
Rofa viget breve tempus, fi autem pra
terierit Quærens invenies.non rofas, fed fpinas. E
Seneca dinle Anceps.forma bonum mortalibus , Exigui donum
breve temporis , U velox celeri peide laberis : H 2 8.
Ed [ocr errors][ocr errors] Ed il Petrarca ancora così ne parla
Questo noftro caducong fragil bene, Cb'è vento ed ombra , ed ha
nome beliade. L'altra bensì, effendo radicata nell'ani. ino, non
languisce in alcun tempo; anzi che in certe contingenze fa vedere quanto opera
in conservare la pace domeftica. Vi potrei a questo proposito addurre molti
csempj; ma quello riferito da Enea Silvio della moglie di un celebre Medico
Sanesc fa al nostro propofito. Questa era molto deforme , nulladimeno, per le
fue rare viciù, l'amaya suo marito svisceratamente, chiamandola la sua buona
Ladiç; ed appunto d'onde possa ciò nascere lo spiega Lucrezio, dicendo : Nee divinitùs
interdum , Venerisque sagittis , Deteriore , fit ut a forma
muliercula ametur ; Nam facis ipfa fuis interdum fæminar factis
Morigerisque modis , cu mundo corpore cultu Ur fucile insuefcat
fecum vir degere vitam. Sem. Ma effendoci l'efteriore , per- · che non
potrebbero ancor' acquistare 1.1 bellezza interna coll'industria de’lo"ro
mariti? Moc. Onanto siete buono, Sempronio, che vi volete affaricare in
merte, re "il giudizio, ove non sia ; e non sapite, che fin'ora non è bastato
l'animo ad alcuno di porcelo: bisogna pregare Iddio, che non vi abbarciate in
caluna, che penurj di effo; perche altrimenti è tuito tempo perduto quello, che
s'impiega per farlo entrare, ove non sia. Pub. Sempronio procurare di
grazia di stare cautelato; perche questa bellezza esteriore, che voi tanto
bramare, fi uniforma alle volte a quella dei tempi degl'Egizj, ch'erano belli
di fuori, e e brunti al di dentro : oltre di che apprendere questo utiliffimo
documento da S. Girolamo : non facilè cuftodisor, quod omnes amant, O in
quo totius popu. li vosa fufpirant; e canto maggiormen te , [ocr
errors] H 3 .te, che il Nazianzeno la chiama : temporis, & morbi
ludibrium : Santamente, dunque l’Ecclesiastico dice: Ne respicias in muliere
speciem, nec concupiscas mulierem in fpecie. Scm. Coinc fa la Prudenza a
conosce. re, che questo giudizio vi lia, ove law bellezza non regna? Mec.
Lo comprende ben ella allorche rimira una giovane modesta , circospetra nel
parlare, non curiosa, ftabile, attenta , ed applicata a fare ciocche dee; onde
la reputa perciò giudiziosa; mà le poi la scorge incostante, disapplicata,
curiosa', garrula , c vana , que. Ito le basta per crederla imprudente, c non
fi prende penfiere alcuno di essa. Sem. Ho udico raccontare più volte,
che alcune giovani pri na di maritarsi fieno ftatc tenute per giudiziose, e
prudenti, ma che poi fattefi (pose sieno diveoute l'opposto di quello, che
dianzi erano reputate , per avere sciolta labri. glia a tutti quei vizj, che
tenevano ce.Mec. Bisognerebbe con esattezzas esaminare, per colpa di cuilia ciò
provénuto , se di effe, o de i loro mariti; u se fi rincontraffe , che avessero
in ciò peccato i mariti, sarebbero esse degne di compaffione, dovendo come
subordinate regolarli secondo quello, che a medelimi vedranno operare; potendo
ancor esse scusarfi, come fecero le don. ne Ebrce allorche furono riprese,
perche fagrificavano nell'Egitto, le quali dillero : Numquid fine noftris viris
fecimus? fer: 44. Sem. Come Opera la Prudenza per concludere fimili
matrimoni? Mec. Primieramcnte con fare riflettere al giovane, che brama
di accasar fi, quale sia il fine principale del matri,-monio , cioè per
ottenere figliuoli, o che questo non fi orriene mediante los bellezza, ma bensì
per la sanirà del corpo;: onde che non debba quell'anceporsi a questa ; ficcome
ancora cons fare confiderare i danni, che potrebbe qucla bellezza ofteriore
apportare [ocr errors][ocr errors] mariti, li quali provò appunto Uria
per la bellezza di Bersabea ; ed Abramo uomo saggio per isfugirli, che cosa
facelle, avendo Sara per moglie, donna. belliffima , allorche dovea andare in
E. gitto, e fu , Gen.12. Novi quod pulchra fis mulier, & quod cum viderint
te Ægyptii di&turi funt : uxor illius eft, interfcient me, o te refervabunt
: dic ergò obfecro te, quod foror mea fis &c.: Eche quando simili
infortunj, non accadersero per cale cagione , potrebbero per altro succedere
dicendo Leucippo:che la bellezza sia una saetta, la quale ferisce con maggiore
velocità di quellow, che viene scoccata dall'arco : e Ciro che debbali più
temere questa, del fuoco, il quale non offende in qualche distan. za conforme
fa la bellezza; insegnando l’Ecclefiaftico al 9. Propter Speciem mulieris multi
perierunt , & ex bac concipifcentia quafi ignis exardefcit : oltre di che
gli farà ben capire, che non solamente,egli viventesquefta polsa danneggiarlo ,
ma cziandio clinto che sarà , c CON [ocr errors] con qaciti motivi
lo ani nerà a scize glierti per inoglie più costo la laggine, che la
bella. Sem. Mà come dalla moglie belles potrà strapazzarli il maritu
defanto? Mec. Lo comprenderete dal seguente avvenimento riferito da
Petronio Are bitro. Dimorava in Efeso una Matrona, non meno bella, che stimata
da tutti di fomma pudicizia ; ed essendole morto il inarito, non solamente
dirottitfunamente lo pianse, mà, accompagnatolo al sepolcro, delibero volere
ivi termic nare la sua vita con esso ; nè fu porabile, che i parenci , anzi il
Magistrato stesso la potessero rimuovere daral penfiero. Già sofferri. avea
cinque giorni di rigorosa astinenza, quando un sol. dato, il quale cuftodiva
alcuni cadaveri de ladri, ch'erano stari, giustiziati vicino a quel sepolcro,
si avvide di notte, che usciva un cerro lume da unas contigva casetta , ed
udiva insieme ivi piangerl ; vi accorse , cd animalo vi entro, e calato che fu
dove si piangeva, ap [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Conf. 5.
Dec. prima appena vedute due donne'appreffo ad un cadavero, sen tornò in dietro
a prendere la sua poca cena, e ritornato che fu, cominciò a consolarle con
offerire loro quel poco di ristoro, che feco portato avea. La più addolorata ,
la qual'era la sudetra Matrona non mostrò punto di gradire le cortesi
esibizioni del feldato, anziche più costo'raddoppiava ischiamazzi con svellersi
i capelli, e percuoterfi maggiormente il perto : non si perdette egli di animo
per questo , ma fi accosto all'altra, ch'era la fervente , offerendole
cortesemente il vino, che avea ; ed ella non fi moftro canto ritro. fa;
posciache'riftoroffi con quello,e guftò ancora il cibo'; ed indi si pose ad efpugnare
la pertinacia della sua padrona, e tanto le leppe dire, che alla fine la vinse,
eristoroffi anch'ella. Vedendo il soldato, efferli renduta in questo, passò più
oltre', e coll'ajuto della fervente gli riusci di prenderla per moglie, non
dispiacendo alla vedova l'aspetto del fudecco giovane ; ¢ ciò fu concluso
frete [ocr errors][ocr errors] frettolosainente . Dimorarono tre
gior- ni in decto sepolcro i sposi, uscendo ap- pena di noite tempo
il soldato a prove- dere ciocche faceva d'uopo per alimca- tarsi
tutti. In questo montre da' paren- ti degli appiccati fu portato via uno
di quei cadaveri , ed avvedutofene il sole dato lo palesò alla sua
fpofa tutto con- tristato ; dicend le, che non era coave- niente di
aspettare la sentenza del giu- dice , essendo egli incorso nella
pena di vita , per la sua trascurata custodia ; on. de che gli
avesse pure preparato il luo. go per fepelirlo allieme coll'altro suo inarito,
essendo egli già disposto a darli la morte . Ciò udico, la compaffionevole donna
rispose: non sia mai, che io abbia da vedere due de' mici carifli. mi
mariti, defonti nel medesimo tempo; desidero più costo appiccare il inorto, che
di perinettcre, che il vivo perisca: deh prediamo questo cadavero,e
collo? chiamolo, ove manca quello del ladro. Ubbidi prontamente il
soldaco ; e nel di seguente cucco il popolo f maravi. Conf. s. Doc. prim.
gliò, coine inai quel njorto, così teneramente pianio, fosse stato posto sopra
un paribolo: Sem. Talmente che saranno tutte finzioni quei gran pianti, e
schiamazzi, che fanno le donne vedendo morti i mariti? Mec. Per lo più
cosi credo anch'io ; perche, non avendo queste la prudenzas virile, con
faciliià grande fi pongono as piangere, ma noui tono già così gli uo. mini
. Pub. Voi mostrato di non avere letto Filostrato in Sofijt.: il quale
raccontas ciò, che fece Erode il Sofista nella morte di sua moglie, ch'è questo
appunto. Non si contentò egli di averla pianta dirottilmamente, stando anche
sopra terra, ma volle continuare a farlo tutto il rimanente di sua vita : e
come se le inura della sua casa pocessero essere as parte del suo dolore, le fè
tutte vestire di bruno, e la sua casa fu dall'alto al barlo così bene dipinta a
color nero, chu rendca gränd'orrorc: inoltre volle, che tutti quei, ch'erano
al suo servigio fof. sero mori, o per natura, o per arte: cgli stesso si fè
cignere co’carboni il vol. to, per portare ancora in fronte la di. visi del suo
dolore. Tutti i suoi mobili anche i piatii, e bacili', ne' quali li lavava
crano neri . Passò del tempo in questa bizaria, senza volere udire alcu. no di
quei, che volcano persuaderlo a cambiare risoluzione. Lucio, che gliera amico,
gli aveva più volte parlato di questa materia, mà senza frutto; allas tine una
sola parola di scherzo lo guada. gnò. Le sue serventi lavavano un giorno alla
fontana certe rape; le vide Lucio , e domandò , fe quelle doveano servire per
la tavola del loro padrone, il che affermarono; se ciò è cosi disse Lucio ;
riferitegli da mia parte, ch'egli fa un gran torto alla sua moglie, e che non
dee mangiare rape bianche in casas vestita tutta di nero ; onde che si era
infinitamente maravigliato , com' egli non riparasse a cosi grave disordine,
dovendo il suo bere, cd il suo mangia. [merged small][ocr errors][ocr
errors][merged small] TC re essere vestiti come lui di gramagliw; ed a
queste parole cominciò ad aprire gli occhi, per vedere, e riconoscere le sue
stravaganze, e questi era pur Filosofo non già donni ! Sem. Iftruitemi di
grazia meglio sopra i matrimoni, fatti senza l'intervento della Prudenza, per
non cadervi. Mec. Nella: ventura conferenza vi consoleremo. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] 100,
avendola me CONFERENZA VI. 6'1 Nella quale si esaminano più distintamente
i pregiudizj', che risultano dai matrimonj farci fenza in l'intervento
della Prudenza. Sempronio, Publio
, Mecenate © Medico 6,156 OL Uanto mai mi ha contriftato la
storia riferita della cru. dele donna di Efe. fo glio considerata . Pub.
Non bisogna sgomentarsi, Sempronio , per fi lieve cagione ; perche.
primicramenre chi fa , le veridico lia tutto ciò , che in esta si racconta
parendoini molto inverisimile , che li di lci parentis cd amici l'avessero del
cute [ocr errors] to cata, avendo, oltre i natali, Giulio s
1981 Conf. 6. Dec. prima qualche concerto maggiore, per lo
sviscerato amore mostrato verso suo marito; oltre di che, chi potrà mai
credere, che una donna, i dopo efsere stata cinque giorni, con tanta attinenza,
poreise pensare , non che effettuare ciò , che fi lppone facesse : e poi,
quando' realmente fosse ciò foguito , vi posso riferire moltissini esempj
dimogli fedeliflime, le quali o per vero dolore sono morte, quando videro i
loro consorti estipfi, è dettero chiari atteftati del loro fincero , e costante
amore. Laodamia fù una di queste, la quale mori di cordoglio sopra il çadavere
di Protesilao fuo marito , ucciso da Etrore. Ed Artemisia a che segno amò le
ceneri di Mausolo suo marito , che fin volle , stemprate tolle sue lagrimc, dar
loro ricetto nel suo corpo ingojandole a poco a poco! 'E finalinente, per non
diftendermi di vantaggio nel riferirne inolte altre : Peponilla moglie dime
riferisce Xitilino, sotto l'Impero di Vespasiano, aon visse nove anni con suo
marito dentro un sepolcro, ove diede la vita a due figliuoli? e questa lo tenne
lontano dal supplicio, per quanto le fu permesso, non già ve lo mandò. ?
Sem. Tutto va bene; ma però, che una donna, dopo tante lagrime sparse per suo
marito, l'abbia esta condannato al patibolo, mi pare grave, e detestabilc
facro; posciache, se non amava quel cadavero, à che fine bagnarlo di tante
lagrime? e se poi l'era ficaro, come mai ebbe tanto cuore di fare un' atto si
crudele contro di esso, feuzan averle data occasione alcuna? Mec. Quell'iniqua
fantesca fu la cagione di tanta fceleratezza; impercioc" che la povera
padrona, dopo cinque giorni di dolorofa inedia sofferta, non trovando
dalla morte pietà alcuna in voler porre fine ai suoi cordogli, e vedendosi
imporcunara dalle preghiere di essa s’induffe à prendere quel poco diria
ftoro', offertole non già da pareoti , che I l'ave [ocr
errors][ocr errors] l'avevano abbandonata, mà bensì da un cftranco, che fu la
ruina della sua réputazione, perche chi d'altrui preode, se Iteffa vende.
Sem. Mà come! nc anco dentro il repolcro è sicura la pudicizia , ed allas
prcfenza del marito defonto! Mec. Diceva il Re Filippo, che non era
inespugnabile quella fortezza, ove fusse potuto entrare un mulo carico di oro;
e voi credere sicura una donna bella, guardata da una sola fancesca in luogo
remoto ? quando trovandofi già languida è affalita da un soldato armato,
giovane bello , ed avvenente , ristorandola col cibo , adulandola, e
lusingandola insieme con dolci parole. A queIto proposito cade in acconcio il
proverbio di Salomone. Mulierem fortem quis inveniet? E tanto inaggiormente,
quando il marito giace estinto, e per. ciò nè può correggerla, nè punirla. :
Sem. Queste ragioni non mi appaga. no punto, onde per non avere a cadere in
fimili infortunj , bramerei che voi con [ocr errors][ocr errors]
con la vostra solita ingenuità mi scopriIte molti altri pregiudizj, che
potrebbero nafcere , non avendo la Prudenza parte uc'maritaggi ; e perche avete
voi conversato molto in yostra gioventù , vi sarere incontrato facilmente in,
più contrasti nati tra i mariti , e mogli. Mer. Gli hò uditi certamente
fpefso riferire , e letti ancora ; e quantunque non li abbia provati, per
essere vivuto libero, con tutto ciò sono appicno informato di molciffimi
avvenimenti in fimili materie. 1 Sem. Or dunque, in quelli fatti per
opera d'Amore, senza intervento della Prudenza , che vi avere offervato di
inale ? Meo. Ne hò veduci tanti di questi principiare bene, ma poi
cambiare in un tratto la bella apparenza, ed allas fine rerminare infelicemente
ancora . Sem. Come cominciali bene, e poi mutarfi? fe: Chi ben
comincia , bà la metà dell'opra? Mec. E pur così è seguito ; impera
cioc [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors]
I 2 ciocche alla prima, in quel fervor di afferro, la sposa era tenuta in
pianta di mano; ma appena intiepidito questo de qualche lieve cagione mutava
faccia il tutto, e quel grand'amore in breve pafsava in noja, ed alla fine
questa si avanzava al dispregio. Quindi è che l’Ap. piense disse: 174 Ef modus
, dulci, nimis immodera ta voluptas Tædia finitimo limite semper babet :
Cerne nouas fabulos rident florente colore
Piet a, velut primo vere coruso at bumus, Cerne diu tamen bas,
hebetataque lumi- na fleetas, Et tibi
conspectus nausea mollis erit. Pub. Voi, Sempronio, avete lascia.
to il meglio, cioè, Non si comincia ben se non dal Cielo. E credete, che
facendosi il matrimonio per opera d'Amore senza l'intervento della Prudenza,
sia esso cominciato dal Cielo ? Sem. E perche no, avendol per fine
la la conservazione della propria specie ? Pub. Il fine è fanto, ma
il da voi proposto mezo, per conseguirlo , non è buono;non dovēdosi ricorrere
ad Amore per farci conseguire una buona moglie, ma bensì a Dio, conforme
c'insegna Salomone : Uxor prudens à Domino · Sem. Per quali motivi si
avanzano di poi al dispregio? Mec. Per molti ; lasciando in disparte
l'interesse della dote (molto tenue per l'ordinario nelle donne belle)
promessa, e per lo più non pagata; che suole frea quentemente turbare la pace
domeftica: Il primo de' quali è il dominio, che vuole acquistare la donna bella
sopra il marito; imperciocche come vuole Mcnandro : Superba res eft
pulchra mulier: E pretenderà per giustizia di poterlo efiggere mediante il
favore , che gli hà fatto di prenderlo, essendofi veduta vagheggiare da tanti
altri, che la bramavano per inoglie. Il secondo sarà la gelolia, che apporterà
tra loro una continua guerra.... Sem. Come la gelosia, essendosi pre . fi
per amore? Mer. Amore medesimo , che li uni, per prendersi di elli
diletto, s'ingegnerà di suscitarla ; e per promoverla, ba. sta, che faccia
concepire ad un di effi un minimo sospetto di essere passato in altri
quell'affetto , ch'egli godeva intiero; non essendo altro la gelosia al parer di
Cicerone , che : Ægritudo, 6x quod alter quoque poriatur co , quod ipse
concupicris, e come questa operi uditelo dal Taffo N'arde il marito, e
dell'amore al fuoco Ben della gelosia s'agguaglia il gelo, E va in
guifo avanzando a poco , a poco Nel tormentato petro il folle zelo
, Che da ogni uomo l'afronde in chiuso loco; Vorria celarlo a tutti
occhi del Cielo. Sem. Mà questa Publio potrebbe anche nalcere,
quantunque la Prudenzas avesse avuto parte in detto matrimonio, Pub. Difficilmente,
essendo che aves reb [ocr errors] rebbe ella saputo scegliere una
donna saggia , che avesse colte fiınili ombre, quando fossero nate nella mente
del marito, senz'occasione alcuna , e che non fosse ella stata capace di
suscitarvele. Sem. E come potrebbe far questo una donna? Pub.Con
fuggire ogni eccesso di vanità; insegnando S. Crisostomo nell’onilia 21. al
popolo : Ornatus Zelotypia fuSpicionem ingerere folet; cd in appresso, che ;
modeftia ornatus omnem improbar fufpicionem expellis, omni autem vinculo formius
conjugium conciliat. Sem. Vi sono casi seguiti di donne, ch'abbiano usata
tanta prudenza? Pub. Certamenre , che ve ne sono molti antichi, e moderni
ancora: tra gli antichi , la moglie di Focione , di Trajano , & Alpolia
moglie di Ciro, e di Arcasserse, e tra moderni. Madama di Chantal, come scrive
il Padre Cordier uclla sua famiglia Santa , fu unan di quefte; posciache ella
non G vede.rs giammai meglio vestita , che quando [ocr errors] doveva
trattenersi col marito; se doveva egli andar fuori, e fare qualche viaggio, non
ornava mai il suo corpo, che quando cia di ritorno : le fu detto un
giorno, troyandofi lontano da molto teippo il Barone suo marito: Madamas ogn'un
crederà , ch'abbiate vendute le vostre velti, ed i vostri ornamenti, voi non li
fate più comparire, come se dubitafte, che da alcuno dovessero esservi rubati:
non mi parlare di questo rispose ella , pofciache gli occhi , a' quali devono
piacerc,sono cento leghelungi di quà. Riferisce anche il medesimo, che la
Ducheffa di Gandia Vice-Regina di Catalogna avesse una somma modederazione nel
yeftiré, non curandosi di portare abiti di fera , nè con oro. Una delle sue
confidenti prese parimente un giorno ardire di così favellarle: Madama di altro
non discorre per tuttas questa città , che della riforina de' vostri abiti,
pare', che sempre voi diveniate di minor condizione di quella, fiecc Aata ; più
vi fi accrescono beni di for [ocr errors][ocr errors][ocr
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fortuna, meno ve ne service ; cui rispose:2 ine non dà il cuore di portare nè
seta, nè oro, quando il mio marito vas sempre ricoperto di un'aspro cilizio ,
ed in questo anche riflettere, quanto operi il buon'esempio del marito, per
frenare la vanità donnesca. Sem. E quelli, che tratta l'Ambizione senza
l'intervento della Prudenzas, che fine fortiscono? Mec. Pellimo, stante
che, non verificandosi punto quanto s'era da essa promeso, li riinane con
moglie deforme, ed indotata ; e di vantaggio ancora, è con molti figliuoli sulle
spalle ; ed alle volte ancora privi di elli', senza speranza di poterli
ottenere, per la poca falua te di fimile consorte . Sem. Se vi avesse
avuto mano la Prudenza, come si potevano fuggire queste disgrazie ? Pub.
Avcrebbe con maggiori cautele questa consigliato, cfaininando atcentamente, che
fondamento potevano avere le milácate speranze; ç rinvenute le [ocr
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le acree, ed insuffiftenti, averebbe dilsuaso più costo, di effettuarlo ; ò per
la meno nella dubietà di cffe averebbe assicurato meglio le buone qualità
dellas donna, affinche'andando le speranze a male, fosse piinasto questo di
certo : di aver una donna prudente in casa,la quale quantunquc povera , come
vuole Salomone. Sapien's mulier edifcat domum fuam. Ne averebbe già permesso a
Tiberio, che avesse sposato Giulia, las quale oltre il disprezzarlo, come non
uguale a lei; ci faceva lecito di vivere a luo piacere; conforme riferisce
Tacito nel primo de' suoi Anoali. Ne tampoco Silio averebbe sposaro Meffalina,
vivente Claudio, se la Prudenza vi forse intervenuta:nè già di Claudio
Mellalina sarebbe stata conforte. Sem. E li matrimonj fatti dalla solas
Avarizia, che danni possono apportarc? Mec. Maggiori di quello, che vi potrete
mai perfuadere; posciache in tali casi non li sposa già la giovane, mà bensi la
dote i mercè che : veniunt à dote;di fagitta ; onde considerare voi, come ella
ella sarà trattata dal marito, e che amoal re le porterà; quando
l'affetto non è inndi dirizzato alla moglie, ma bensì tutto alinero
interesse ; ed avvedutali effa di E essere posposta ad una cosa
inanimatas, che dirà, e farà mai, troyandosi ricBt ca ? Sem.
Bisognerà ben, che soffrá , I ftia focto l'ubbidienza del marito .. 1 Mec. Voi
fempronio non avere letto Anafsandro , e perciò parlare in cal # guisa ,
il qual dice, Si quis pauper pecuniofam uxorem 1 Duxerit, non uxorem ,
fed dominam habeti [ocr errors] Cujus eft famulus , de
feruus ; E credete forse , che quancunque paja- no fortunati
coloro, che prendono grof. u se dori, realinente siano sempre? Oh quanto
sono infelici ! come conobbs o anche Menandro con dire : Quisquis uxorem
unicam heredem cupit adfcifcere Divitem ,is vel irasis pænamluit
Diis, Vel inf. lix effe vult s-sub nomine for tunati. Sem. Gran
cose si dicono da questi poeti, che fono favole; lo vedo, che le grosse doti
arricchiscono le cafe. Meca Li poesi son chiamati Vates da’ Latini, qual
voce significa anche indo. vino, ed in questo ho osservato , che per lo più
l'hanno indovinato; oltre di che tra efli vi sono stati Filosofi celebri. Io
non nego, che qualch’uno prendendo groffe doti Gi sia potuto arricchire;
essendosi però incontrato con moglie saggia; mà quanti li fono finiti di
fpiantare per questa medesima cagiore, elsendosi abbattuti in mogli
imprudenti? Sem. E come ciò può accadere, prendendofi quantità grande di
danaro in fimili matrimoni? Mec. Per questo medelimo segue;po. fciache
addolorato diceva Demenao. Argentum accepi ; dote imperium ven didi. Laonde,
comandando esse , sono capaci di darli fondo, con difsiparlo in bre
ale fon ve tempo.; ed eccovi appunto il guadagno, che si ricava da
effe. Sem. Questo però seguirà , quando di incontreranno mariti, che non
sapranno farG ubbidire. Mec. Porrà accadere agl'altri ancora dicendo
Giovenale; Intolerabilius nihil eft , quam fæmina EI dives, i Ed
andare a cozzar con queste ? andate le a riprendere; ed affinche Gate
meglio informato ; udite ciocche dice a questo & propofito Artemone,
fazio, ut fcias Quid periculi fir dotata mulieri convi cium dicere. Si
potranno con facilità maggiore reg. gere bensì quelle, che non averanno portata
dote, come si ricava da un detto greco: Sponfa indotata non habet
libertatem, fiuè audaciam loquendi. Sem. Questo ardıre lo potranno avere
forse le belle. Mec. Lo hanno le brutte ancora re [ocr errors][ocr
errors] fa [ocr errors] saranno ricche , e superbe , come vien riferito
da Gellio , Me miferum, qui Corbulam duxi , & talenta decem Nanam ,
mulierculam, cubitalem, cujus Superbia adeò intolerabilis eft! Sem. Ed in
che cosa potrà gettare il fuo la moglie, dovendo essere soggetta al
marito? Mec. Chi è ricca, come abbiam detto, non vuole stare soggetta ad
esso; onde vorrà spendere a luo modo : se vedrà, che una sua uguale condurrà
tre servitori, ella per la sua grossa dore, pretenderà condurne sei, bramerà
anche gli abiti di inaggior valuta; Carrozze più nobili, e suntuose s e vorrà
effe. refrattara in tutte le cose con magnificenza superiore alle altre; e se
il marito non si troverà commodo di farlo, elibirà cfla medesima la sua dore ,
per fupplire a quanto bisogna ; e durando molto que, fta vita , anderà in
malora la dore , con tutto il capitale del inarito . Or vedete , che fortuna
s'incontra nel prendersi grof. [ocr errors][ocr errors] is grosse
doti, e che svantaggi ne riceveranno da questa anche i loro figliuoli.
Sem. In questo io vorrei mostrare spirito, e farla fare a mio modo. Pub.
Vi voglio riferire un caso a quefto proposito assai curioso ; Una certas giovane,
che si trovava ricca dote, la prima sera , che cenò col suo marito , non volle
gustare cosa alcuna , e ftando in tavola molto contristata, le fù domandato ;
da che ciò provenisse , e qual occasione la rendeffe così meftas,' ella
rispose; come volete, che io man. gi, se non vi è l'uomo nero, che ini
ser1 va in tavola ; e non hò piatti d'argen , proporzionati alla dote,
che hò portata : il marito le rispose, che nel giorno seguente averebbe fatto
trovare più d’un uomo nero, i quali l'avercbbero servita , come desiderava :
fec'egli comparire nel tempo del delinare due mori ben neri , acciocche la
servislero, s'icfierà per tal cagione la giovane a segno, che si levò di tavola
, e nacquero da ciò infiniti disturbi tra di elli,onde vedete voi, Sempronio, che
vantaggi risultano dall'essere risentito in fiinili contingenze: bisogna pregar
Iddio, che la moglie ricca, sia ricca anche di senno, aliriinenti la casa andrà
in malora , quantunque avesse portato il doppio di dote. Sem. Hò udito
sempre dire, che las metà della dore non si possa alienare, e che li
fidecommiffi rimangono sempre in piedi; come dunque potranno seguire
l'accennati dilapidamenti? Mec. Il lusso però oggidì hà usurpato il
privilegio di poter alienare ogni reliduo dotale, e di svincolare ancora ogni
più stretto fidecoaimiffo . Sem. Mà in che modo?.. Mec. Si fingono
pericoli di case, che stanno per cuinare, e per tal cagione di toglie ogni più
stretto vincolo, posto sopra i capitali: mà passiamo ad altro, perche questa è
materia molto lagrimevole. Sem. Talmente che a derro vostro re alla
moglie ricadesse quaich'eredità; con [ocr errors][ocr errors]
converrebbe rinunziarla, per non incorIf rere in fimili fventure ? Mec.
Muta faccia il cafo ; perche la moglie, ch'è vivuta qualche anno col marito,
trovandosi molti figliuoli, ed a vendo già passato quei primi fervori del. le
nozze , ne' quali si spende molto, non averà genio più a dissipare, ed effen•
dosi assodata nel governo della casa, se pur farà qualche sfarso di più ,
sarà con i moderazionc , e proporzionato al suo Itato, Sem. Or io ho
capito, come si abbia da scegliere la moglie, che sia di tutto proposito ; cioè
nè povera , nè riccas, e che abbia più cervello, che bellezza, acciocche
non si abbia da dire di essaie : quello mi fu raccontato una volta, che
dicefle la scimmia , effendo entrata nella bottega di un arteficet, che
lavorava modelli di cera, ove prendendo nelle inani una bella cesta, dopo di
averla ac carezzata, e baciata, mettendo den| tro di essa la mano, c
trovatala vota gridò: Oh che bella gefta, mà de manca il cervello !
K Pube [ocr errors] Pub. Or sì, che voi la capite per il suo verso;
e scegliendola di questa forta allora sì, che farere forçunato, e potrete dire
di avere presa una grandislima dote , conforme è succeduto a me: evi voglio
raccontare ciocche ini seguì nel tempo , che io era sposo : mi fù domandato da
un mio, amico, che dote io avca ricevuto, e trovandomi sodisfatto delle buone
qualità della mia compagna , gli rispofi ; che credeva di aver ricevuto cento
mila scudi ; rimase egli ammirato , sapendo , che io non eras folito di
milantare le mie cole, nè fimile dote fi costumava allora, folamente mi
replicò: in che corpi li avete ricevuti? cui soggiunfi, in contanti dieci mida,
ed in giudizio il rimanente ; egli di pose a ridere; cd io non ho avuta sin ora
occasione alcuna di contristarmi di ciò. Sem. Desidererci ora sapere, che
altri miali, poffa apportare la Bugia , concludendo etsa il matrimonio?
Mec. Se lo-traria di passaggio , non suolo apportare danni molto
conlidera 1 i bili; mà se poi s'interna nelle cose cffen
ziali, guai a chi si fida di essa ; pofciache se ricoprirà i mancamenci d'una
donna impudica a segno, che quel povero uomo, che la vuole sposare, la creda
una casta Penelope ; effettuandolo diverrà infelice; e se vorrà fare com
parire le ricchezze dello sposo affai e maggiori, s'ingegnerà ben ella di
pro: curarlo, e con infolite maniere : che non ha fatto a giorni nostri
in fimile afa fare! e arrivata fino a fingere le note dell'avere, nelle quali
vi erano regiftra ti molti crediti fruttiferi , senza il no* i me de?
debitori; con pretesto, che si celavano questi , perche , essendo
fiignori di qualità, non volevano essere nominati; e nebanchi ancora non
è arrivata a fare apparire grosli depositi in faccia di Tizio', i quali
erano mere imei prestanze, che nel dì susseguente tor navano a credito di
Sempronio suo vefo posseditore? Sem. Bisognerà dunque vivere molto
caurclaro'nci trattati de matrimonj,per K 2 non [ocr errors]
non essere dalla Bugia tradito sin Mer. Udite di più : se una poverad
giovane sarà ingannata da esla's facendole apparire il suo futuro sporo ricco;
che tenga carrozza; si trovi las cafa ben fornita di preziose suppellettili, a
segno che le faccia credere che quel partito sia una gran fortuna; cadendo. vi
in effettuarlo, in un tratto si avvede. rà, che il cutto fù mera apparenza;
pois che appena consumato il matrimonio, sparisce il palazzo incantato di
Armida, e li cavalli, o carrozza tornano al fuo padrone ; : e per vivere
conviene dar di mano alla sua dore, trovandosi il mari10 fpiantato. Vi voglio
raccontare una storiella, nella quale scoprirete l'astuzia usata da uno di
questi miserabili,che con inganni giunse a sposare una ricca giovane. Se ne
stava egli nel giorno fta. bilito per le nozze penlierofo , e mesto, a segno
che la Suocera si mofle a domandargli cosa egli aveva; cui replicò, che
certamente non aveva cosa alcuna ; fco. perte, che furono di poi le fue
miseric,G dolse leco la medesima, ch'era statas da esso ingannata ; replicò il
ribaldo: fignora lei si ricorderà benissimo, che's io le diffi nel tal
giorno, domandando i mi cosa io aveva, che niente le replicai? che
occasione dunque ella ha da dolerlei dime , se le palesai la verità, con
dirle', che nulla avea. Sem. Accadono questi cali? Mer. Cosi non
accadeffero, anzi ve ne sono de'peggiori ancora. Sem. E quali sono
? Mec. Volendo la Bugia accasare un giovane deviato, che farà? comincie.
rà a lodare il suo buon costume, la sua modeftia, a fegno, che lo farà
compa0 rire in iftato d'innocenza cadendo las povera fpofa a
credere questo, tuttaa allegra acconsentirà, non solamente al
matrimonio, mà sicuramente ancoras converserà seco; non dico altro,
che in breve diverrà un cadavero, median- tc i quel malo
;-col-quale l'averà mal concia. Şom. Sono vesiquefi
cali, Dottore? Med K 3 Med. Accadono, e non di
rado;quando però liamo avvisati in tempo, diamo loro il suo rimedio ; ma
allorche il malfattore vuol fare da Medico., la finisce di stroppiare con quei
secreti, che talvolta averà egli in se medelimo provati , i quali applicati in
una compleffione gentile, essendo rimedji mercuriali, potranno in vece di
giovamento apportarle danno notabile. Pub. Questi pregiudizj tempo fà non
seguivano; imperciocche, se allora cal uno cadeva in fimili mali, îi faceva
prima curare , e risanato, ch'era perfertamente prendeva moglie. Sem.
Talmente, che questa Bugia ne matrimoni cagiona danni molto confiderabili,
ond'io procurerò di tenerlas lontaga allorche tratterò il mio
accalamento. Mec, Bisognerà, che stiáre però molto avvertito; posciachc
comparirà travestiça; e sotto specie dį verità per ins gannarvi. Sem, Io fona
un bell'umorcänon cres derò 1121 N derò allora
all'istefa verità, per non di ingannarmi, giacche la Bugia fi vestu dei suo
manto. Mec. Alla verità conviene prestarlo d fede in ogni tempo, mà
però vi è il modo da discernerla, quando cssa sia pura , ò simulata. Sem.
E come? Mec. Quando voi vedrete ingrandire le cose assai più di quello ,
che fieno ve. risimili, ivi ftà nascosta la menzogna, e datele la tara di due
terzi meno di quello vengono rappresentate, che così di poco sbaglierete. E se
vedrete poi in alcune altre ufarsi artificj, c diligenzu u maggiori, di
quello, che convenga, per farvele credere, e voi togliete tre terze parti
a ciò, che fi dice, e credete solamente quello , che rimane, che così
l'indovinerere. Sem. Dovendo io prendere moglie poco fastidio mi prendo
dei difetti de gli uomini , vorrei bensì sapere quei i delle donne,
da' quali doverò guardarini. K 4 Mer. [ocr errors] Mec. Nella
ventura Conferenza farete istruito in questi. Pub. Bisognerà fargli
conoscere ancora le virtù di esse, affinche fappia difcernere quali siano le
buono. [ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] CONFERENZA
VII. Sopra i difetti, e le Virtù delle donne. Sempronio ,
Medico , Mecenate e Publio , M Sem. I persuado Dottore,
che niuno meglio di voi conoscerà les imperfezioni delle donne , effendo
voi meglio di ogni altro informato de' naturali, e tempera menci
loro. Med. Secondo il parere di Democri. to, le povere donne soffrono ,
per cam gione dell'utero, seicento mali di più degli uomini ; come si legge
nella lettem ra da esso scritta ad Ippocrate', over Sexcentum arumnarum mulieri
auctorSem. Io non voglio sapere da voi li mali dell'utero, ma bensì quelli
dell'animo, non quelli, che sono ad effe di moleftia, ma quei che possono
altrui ancora nuocere, conforme sono i loro vizj. Med. Di questi ogni
uno, che per qualche tempo le abbia trattate , ne può effere bastantemente
informato . lotor110 poi al temperamento delle donne, vi poffo ben dire, che
una volta fu promossa questa gran disputa ; qual foffe più caloroso, l'uomo , ò
la donna, e dipoi essersi molto dibattute le ragioni dell'una, e dell'altra
parte, fu detto, che quando la donna non fia di temperamento più caldo di
quello dell'uomo , non si possa mettere in dubio che non sia più callida di
esso ; cioè a dire più astuta Pub. L'aluzia però, quando non è maliziosa,
c fraudolenta, non entra tra i difetti deteftabili; dicendo Teren. zio in
Andria i Aftutum fallere difficile eft. [ocr errors] [ocr errors]
201 [ocr errors][ocr errors] Onde questa può ftimarsi avvedutezžas,
Jodata dall'Ecclesiastico al 19. Aft ut us agnoscit fapientiam.
Mec. Nelle donne però farà sempre detestabile, non essendo
quefte fcarse di malizia, e d'inganni, al parerc di Se1 neca
in Hippolyto : 1 Sed dux malorum foemina , d fcelerum
artifex, E di Plauto in milite : Quid pejus
muliere ; atque audacius? Quid? Nibil. E l'Ariosto così ebbe
a dire di effe Non siate però tumide,
efastofe + Donne per dir,che l'uom fia vostro figlio,"
Che dalle spine nascono le roje, E d'una ferid'erba nafce il
giglio. Importune', Superbe , e dispettose Prive di amor; di fede ,
e di consiglio; Temerarie , crudeli, inique, ingrate , Per
peftilenza eterna al mondo nate. Pub. Piano di grazia , Mecenaco;
cliente perche parlando in tal guifa', correcc pericolo di essere
lacerato dalle donne come fucceffe ad Orfeo, di cui parlaw
Pla 1 Platone ne' suoi simposj. Per tal unas, che sia stata
cattiva tra effe , con questo vostro modo di parlare cosi generale,
pregiudicate a tante illustri femmine degne di eterna memoria, anzi che as
vostra madre medefma, e con essa a voi ancora. Leggere,le opere di Cristina
Pisana, è di Lucrezia Marinelli, che troverete ivi, quanti più iniqui,
escellerari uomini vi sono stati, che donne ; onde ci comple stare cheri; e
tanto maggiormente, che le donne cattive, fono appunto come le vipere, le
quali, sc non vengono compresse, o con altri modi irritate, non mordono già ,
nè avvelenano; ina gli uomini perverfi, non sono già così, assomigliandoli al
lupo quel detto greco: homo homini lupus: da cui non giova punto l'allontanarsi
; perche ello va cercando di danneggiare. E parliamo con tutta sincerità; avete
voi veduto mai alcuna donna andare di. predando i.paffaggieri per terra , ò per
mare, conforme, fanno gli uomini E giacche avere apportato l'Ariosto con
[ocr errors] 1 [ocr errors][ocr errors] tro di esse, perche non riferite
ancoras el ciò, che dice a loro favore? che apporDe tai nella conferenza
quinta, ch'è appunto : E di fedeli , e caste, Saggie, e forti State
ne fon ne pur in Grecia,e in Roma; ti Ma in ogni parte , ove fra gl'Indi ,
6 "gl’orti Dell'Esperide il fol spiega la
chioma, Delle quai sono i pregi, e gi’onor morti, Si ch’appena di
mille una fi noma , E questo, perche avulo hanno a lor sempi Iscrittori
bugiardi , invidi , empj. E finalmente doverebbe bastare ciocche dicono
Socrate, e Platone di esse per frenare la lingua di chi ne dice male,
1 cioè, che sono capaci molce di effe d? amministrare la republica ancora
. Mec. Bisognerà dunque credere, che le donne non abbiano difetti, per
non pregiudicare a qualcuna , che tra esse fia ed Itata buona? Pub.
Io non pretendo difendere les cattive , ma fulamente cancellare lo buone del
numero di queste, nè voglio fcu 1 scusare i vizj, chc
insidiano le donne ; ma se le Virtù non isdegnano di accompagnarsi con effe,
come posso tenerle çelate in pregiudizio di cante? e precisamente di quelle di
cui l'Ecclesiastico al 26. ne fa gloriosi encomj,chiamandole : Lucerna
splendens ; columna aurea super bafes argenteas ; fundamenta æterna: Laonde ,
Mecenate, non dobbiamo in conto alcuno dir male delle donne; poffiamo bensì
censurare quei difetti, che le perseguirano; perche facendo in tal guisa non fi
potranno dolere di noi le buone , le quali non danno a' vizj ricerto; no
tampoco, se taluna cadeffe a darglielo, farà contro di noi risentimen. 10
alcuno, per non dichiararsi da se medelima viziosa : e regolandoci con que. Ita
norma faremo conoscere, che non odiamo le donne, ma bensì quei vizj, che da
loro medefimc debbonli odiaren come loro capitali nemici. Sem. Iftruitemi
dunque, Mecenate, sopra questi vizj, scorgendovi molto informato di effeMec Di
alcuni ne fono informato; ma cutti tutti io non li so: perche mi fido' guro che
siano tanti appunto, quanti so. i no i caratteri Cineli: vi posso riferire li
più principali , che doverebbe fapere ogni marito, per potersi ben regolares
scorgendoli nelle mogli. Il primo di questi è la Vanità, la quale ha un
gran i seguito di altri vizj, a se fubordinati, mà cominciamo ora da
questa, che die ď poi parleremo degli altri. Sem. Che cosa è
precisamente, ed in che consiste questa vanità? :) Mec. Credo, che fia un
vižio, tanto in esse, quanto negli uomini effeminati, diretto a procurare ftima
maggiore, che competa loro in genere di bellezza.in c. 10,4:19.fi Sem.
Spiegatevi di vantaggio affinche possa comprendere meglio quanto avete
detto. Mec. Ciocche dilli mi pare chiaro', con tutto ciò mi spiego più
diffusamente , e dico: che se una donna, ò-un uomo effeminaco deformi
procureranno pre all prevalersi di superfui abbellimenti a
fine di comparire belli, pretendendo das ciò ricevere stima maggiore nel
concetto delle persone intorno alla loro bel. lezza. Questi saranno vani.
Sem. Dunque le belle non saranno vane, non avendo d'uopo di fienili
abbellimenti. Mec. Ponno cadere queste ancoras in detto vizio ; quando
paresse loro di non essere tanto belle, che abbiano a rapire il cuore di tutti,
e perciò effe credessero colla vanità di potere diveairvi a quel segno.
Sem. Come fono numerose le donne di questo genio? Mer. Poche sono quelle,
che non lo abbiano ; la moglie di Publio è tras quefte, che odiano la
vanità. Sem. E che! la vostra moglie, Publio, non si ornava, come le
altre , quando era giovane ?: Pub. Si ornava in quella forma, che io
desiderava, a fine di compiacermi,non già per fare pompa di fa con altri.
Sem. [ocr errors][ocr errors] 1 1 Sem. Come vi contenevate
per firla di perseverare in cotal guisa? posciache a alcune per breve
tempo incominciano a farlo, mà dipoi vedendo le altre , che fi adornano,
b-lasciano trasportare dal i mal costume anch'efle Pub. Avevå ella fomma
venerazione alle fentenze de' Santi Padri, ed affinche meglio le comprendeffc,
l'erano da me spiegate : onde adducendole sopra ciò quella bella sentenza di S.
Cipriano, che dice : Non eft pudica, qua affeet at animum "altorius movere
, etiam Jalva corporis caftitate ; fi afteneva ella perciò dal vestire con
pompa, dovendo uscire di cafa, Sem. Se faceffero tutte cosi, andrebbe la
maggior parte assai positivamente vestira ; imperciocche li mariti per
non u ispendere, non direbbero già loro, che fi ornassero, e
studierebbero giorno ,' notte fentenze contro la vanità. Mes. Che male
ciò apporterebbe loro 2 Sem, Non altro, che si farebbe di ef fe oggidì
poca ftima; essendo che, chi non fa la lụa comparsa, come le altre, non è punto
contiderata , Mec. E te taluna la faceffe con inde. bitarti, chi sarebbe
di queste due più considerata , la yana, ò la modefta? . Sem. Certamente
quella, che più di ornaffe, perche niuna và cercando, come questa comparsa si
faccia , effepdo molto noto quel detto : Unaè bibe'as, quaris nomo,
Sedopor. tet babere. Mec. Si cercano, come anche voi di. ceste, più i
fatti altrui oggidi, che i proprj; onde per questo motivo yi ammetto, che
sarebbe più considerata la ya-na , che la modefta; e poi quando quefti non si
cercassero, non credo già, che i mercanti vogliano donare il loro; onde
dipoi,che averanno aspettato un pezzo, forzati a domandare giudicialmente il
loro nelle publiche udienze vi pare, che possa stare celato? ell'essere conf.
derata in questo modo, vi pare, che posla apportare decoro , ò vituperio?
Pub, [ocr errors][ocr errors] d Pub. Senza queste vostre
rifellioni, di forma cattivo concetto delle vane solamente a rimirarle, şi era
ornata Thamar c deposti avea gli abiti yedoyili più modefti, e Giuda
quando la vide i in quella forma, che concerto ne fè di effa? Suspicatus
eft efe meretricem: Genef. 38. vedere dunque yoi, Sempronio, come sono
considerare le vane da parenti anche più congiunri? Sem. Dicemi, che
altro pregiudizio apporti questa yanicà ? Mec. Quando esce fuori de' suoi
limi. ti, hà due altri vizj, che per l'ordinario noll'abbandonano, e sono la
prodi. galità, e l'impudicizia Sem. Sono queste certamente due peflime
compagne, le quali possono apportare gran male, infidiando alla ro. ba, ed
all'onore; mà è seguitata da alţri vizj? Mer. E più correggiata la yanità
das cu efli, di quello sia un Generale di esser cito da 'suoi Officiali,
posciacche 120 fuperbia, l'invidia, il dispreggio, l'ineganno, con molti altri
di questa perversa natura, a vicende la servono, onde chi è vana, è anche
superba , invidiosa , dispreggiatrice, e fraudolenta, tramando sempre inganni,
e frodi. Pub. In conferina di questo, diffe S. Crisostomo. In Gen.fim
Homilia 41. A corporis cultu innumera frunt mala , arrogantia, que intus
nafcitur, defpectus proximi , faftus spirisus, animą corruptio, voluptatum
illicitarum fomes &c. Sem. Questa vanità fino a che segno potrebbe
tollerarsi nelle donne? Mec. Sarebbe certamente indifcreto quel marito,
che non tollerasse alla moglie giovane una mediocre vanità, quantunquc da
questa fi poffa facilinente fare passaggio alla grande ; dee bensi per tema di
ciò egli ftare vigilante, affinche non trascenda questa i suoi limiti, li quali
le vengono prefissi dall'onesto: e lidee questa tollerare ancora, affinche
s'inducano alcune più facilmente a pren. dere marito. Pub. Sant'Agostino
riprese rigorofa men [ocr errors] [ocr errors] mente Eudicia per
voler andare troppo ncgletta nel vestire, e le fè incendere, che averebbe
dimostrata umiltà maggiore con ubbidire a suo inarito , che a vestirsi di panno
vile, per lo spirito di contradizione , esclamando il Santo : quid
absurdius, quam mulierem de bumi. I li vifte fuperbire ? Sem. Come li
conoscerà, che questa trascenda i limiti prefilli dall'onesto a
Mer. Allorche una donna vorrà rico- prirsi di gioje, e di oro, e quello è
peg. gio, senza riflettere se le sue entrate lia- no sufficienti a
poter fare tante spele, venendone di ciò ripresa da Ovidio poe- ta
lascivo, dicendo: Quis pudor eft cenfus corpore ferre
Juos? Ed altrove. Gemmisque auroque
teguntur Omnia , pars minima eft ipfa puellae
fui. E Properzio dice anche di più. Matrona incedit
cenfus induta nepa- tum Pub. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] L 3 Pub. Seneca al 7. de Benef. dice
ancora : Video uniones non fingulos fingulis auribus comparatos; jam verò
exerci14 aures oneri ferendo funt ; junguntur interje, & infuper alii binis
fupponuntur Non faris muliebris injania viros fubjegerat , nifi bina ar terna
patrimonia auribus fingulis pependisent. Ma meglio di ogni alero S. Ambrogio :
De Nabut. Ifrael. cap.s. lo fa capire . Dele&tantur compedibus mulieres
dummodo auro ligentur non putant onera effes fi pretiofa funt: non pusant
vincula efi, fi in iis shefauri corufcant : delectant de vulnera , ut aurum
auribus inferatur, do margarita depen. deant c. E finalmente conchiude . Non
parc unt dispendio , dum indulgent cupidisati. Laonde fantamenre dice l'Ecclefiafte
; Averre faciem tuam à muliere compta. Sem. Må se sarà nobile , non potrà
fare di meno, quantunque le sue rendi. te foffero tenui, di non ornarsi
pomposamente, vedendolo praticare da chi è mcno дobile di ella.
Mece [ocr errors] Mes. Ditemi per cortesia, forle che questa sua nobiltà,
senza danaro, potrå fodisfare il costo di tante pompe? Sem. Mi perfuado
che nòsmå pare una certa cosa, il comparire meno delle alo tre, alla quale, chi
è nobile non si può accomodare. Mec. Anzi queste , per fár comparire
maggiormente la loro nobiltà, non doverebbero soggettarsi a cose vandag per far
conoscere inlieme, ch'essa rin fplenda assai più dell'oro, e delle gioje.
Sencite, ciò che diffe a tale proposito la saggia moglie di Focione ; come
riferisce Plutarco nella di lui vita. Şi trovava un giorno questa illuftre Dama
ins conversazione di altre donne, ornate tutte pomposamentes vi fu chi le
disse: perche non era venuta essa ancor adornata come le altre, cui rispose :
che le bastava per ornamento la virtù di suo marico, al che non seppe che
replicare la più curiosa, e vana delle altre. Pub. A questo proposito
dice Aristocile, che il buon ornamento nelle don ne', non debba già
consistere nella pompa, mà bensì nella modeftia, e nel modo onesto, e decente
di vivere ; il quale fu da Aspasia praticato, come riferisce Eliano ,
quantunque ella avesse avuto per mariti due gran Monarchi; cioè Ciro,
& Artafferse, ciò non ostante fi feppe ella così bene guardarc dalla
soverchia curiosità, e pompa, che recò am mirazione a tutto l'universo.
Elodando Plinio la moglie di Trajano, non seppe apportare fatto più glorioso di
queIto a suo favore: che di efferli, come donna mantenuta sempre lontana dallas
vanità superflua. Sem. E se l'entrare fossero sufficienti, potrebbe dirsi
vana una, che trascendeffe i sudet i limiti? Mec. Se la vanità non fosse
unira col. la prodigalità, forse che in questa, se non trascendeffe molto,
sarebbe rollera bile, ma il vizio della prodigalità non le permetterà
moderazione alcuna; posciache: Prodiga non sentit pereuntem fæminas fenfum. E
poi credete voi, che'l fine, per cui fi orna a quel segno, fia sempre onesto?
non lo credetre già Seleuco , quel gran Legislatore de' Locri, il quale fè
quefta legge; che non fosse permesso ad altre donne di ornarsi pomposamente, se
non a quelle che volevano amoreggiare, e fare anche di peggio; e sappiare ,
che, fù questo un gran rimedio contro la vanità; posciache divenne quel Dominio
per qualche tempo modeftiilimo, spor gliandosi le donne delle loro fupes Aves pompe.
Quindi è, che da saggio padre operò Lisandro, come riferisce Plutara co, con
rimandare a Dionilio tiranno le preziose vefti, che aveva mandate in dono alle
sue figliuole, con tutti gli altri ornamenti; con fargli incendere; che
averebbero più tosto tali ornamenti viruperato le sue figliuole, in vece di or.
narle. Sem. E le ricchissime, che non soggiacciono al pericolo
d'impoverire,perche non poffono fare tutto quello sfara fo, che bramano?
1 [ocr errors] tutte Mec. Non tutto quello, che si può, è convencvole
a farli. Giovanna di Navarra consorte di Filippo il Bello, trovandosi in
Burges, mortificò molte Dame, che andarono a visitarla con abiti sontuofiffimi
, dicendo loro. Credeas effere in questa città io solamente la Reging, mà ne
trovo mille. Pub Chi brama servirsi bene delle proprie ricchezze, non dee
impiegarle per fodisfare le sue voglie, ed in cose superflue ; dee ancora
pensare and quelle, che sono maggiormente necef• farie, che ornano l'anima,
come insegna S. Cipriano dicendo : locupletem te effe dicis e utere divitiis ,
fed ad bonds are tes; divitem te fentiant pauperes &c. Sem. Se taluna
fosse deforme , potrebbe ornarli più dell'onesto per comparëre bella e
Mec. Faccia pure quanto può la deforme , che fempre scoprirà di vantage gio la
sua deformità; e guai a quelles, povere damigelle, che vi harno a conbattere,
perche rimirandofi allo fpero [ocr errors] chio, deteriorare più
costo con quelli abbellimenti, che li pongono, si per-
suadono, che per difetto di effe ciò deo tivi', non sapendo bere
addattarli, ed a questo proposito cosi parla Giove- nale,
Quid Pfecas admifit , quænam eft culpa
puella Si tibi difplicuit nasus tuus? Sem. Consideriamo i
sarti quanti rimproveri riceveranno di vantaggio Mer. Vi fù uno di questi
gli anni scorfi, che avendo portari alcuni abiti ad una ricca, e deforme, ed
allorche se li provava , diffe, che non erano ben fata ti; perche non le
stavano bene al viso ; quel povero uoino vi ebbe un pezzo fof. ferenza, må alla
fine le disse : Signora io gli ho fatti a misura della sua vita , alla quale
vanno benissimo , non già del suo viso; onde questa non è colpa mia , mà deila
natura, se non stanno bene ad effo. Sem. E le brutte, è belle, che
siano adoperando i bellectiglo fanno per vanitá a Moc. Mec. Questo
certamente è molto dubioso; posciache, se lo fanno per essere stimate più
belle, s'ingannano, mentre ogni uno, che le rimira, le tienes per copie mal
dipinto, non già per ori . ginali, e voi sapete ; quanto lieno più timati
gli originali delle copie, quantunque pajano ben colorite; e poi quel mal
odore, che tramandano quegli unguenti posti sul viso, come le possono rendere
amabili? ed udite Plauto, come ne parla, Vei fefe sudor cum unguentis
fociavit illico, Ibidem olent, quafi cum una multa jura confundit
coquus, Quid oleas , nefcias ; nifi id unum male olere intelligas. E
Giovenale così dice: Interea fæda aspectu , ridendaque's multo Pane tumet
facies, aut pinguia popeana Spirat, hinc miferi vifcantur Labra marici.
Ed in appresso; Tal Tot medicaminibus , coctaque filiginis
Offas Accipit , & madido, facies dicetur
anni ulcus ? E guai a queste se intervenissero al giuo, .co, che
inventò Frine, riferito da E rasmo lib. 6. Apophtegn.pofciache si troverebbero
confufe, e mortificate. Ef sendo ella in conversazione di donne; tra quali ben
si avvide effervene non poche bellettate , introdusse il giuoco del1e
penitenze, uscendo a forie chile doveffe comandare; e toccando a lci, ordinò,
che fosse portato un gran carino pieno di acqua', e che ciascuna dovesse ja
varsi il viso, come ella faceà ; 'non poterono le altre scufarfi,
effendoli'impegnate ad ubbidirç, e ne seguì da ciò tal metamorfofi,che li
domandava il nome ad alcune non riconoscendosi più per quelle , ch'erano
prima. Pub. Bisognerebbe , che leggeffero S.Ambrogio : Examer. 6. cap. 8.
per illuminarsi, ove dice : Deles picturam' mulier , f vultum tuum materiali
candore,oblinius, fi acquifito rubore perfundas : ila la pi&tur a via, non
decoris eft ; illa pi. Eura fraudis , non fimplicitatis eft ; illance pictura
temporalis eft, aut pluvia, aut Judure fergiiur : illa pi&tura fallit, de
ripit, ut neque illi place as , cui placere de laderas , qui:nielligit
non tuum, fed alicnum effe, quod placeas, & tuo displiceas auctori , qui
vidiet opus fuum efl deletun; ed apporia inoltre, lib.i. de Virginibus, un
dilema affai calzante a questo propofito, dicendo, fepulchra es, quid
abscomderis? fi deformis, cur te formosam effe mentiris? neç tud conscientia ,
nec alieni gratiam erroris habitura? Şem. Lo faranno çalvolta le bruite
per ricoprire ļa ļoro deformità. Mes. Quanto s' ingannano queste;
posciache in vece di ricoprirla più costo in tal guisa la rendono palese a
tutti; cfsendo che non potendo mai fare in modo, che non si conosca ciocche di
più del naturale si sono poste sul viso, das Joro medesime si discuoprono per
defore mi, çon pregiudizio anche delle bells, Şe [ocr errors] [ocr
errors] se ciò facessero; perche saranno queste ancora credute di ayere difetti
tali, che abbiano d'uopo di essere ricoperti; E se poi la deformità proveniffe
dall'improporzione delle parti, che non è male da biącca, come la potranno
rimcdiare? posciache converrebbe in tal calo inventare il modo da profilare
mcglio il naso, ristringere la bocca, e di slargare la fronte, ed a questo non
potendo ațrivar esse senza maggiormente deformarli, perche dunque li pongono a
garreggiare col Divino Artefice, che così le formò per fini a lui ben
ooti? Sem. Hò udito però, che quelle, che cadono in fimile errore, sia
impoffibile, che possano più aftenersi dal non farlo, e queste in che modo le
coayincereste Publio? Pub. Sono certamente infelici quelle donne, che non
piacciono a se medefime , come disse S. Cipriano , de Bon. Pud. femper eft
mifera, que non fibi places qualis eft. Onde queste difficilmense potranno
convincerli; con tutto ciò, quan: Tollens ergo quando' mai
godessero un momento di mente tranquilla , domanderci loro, se amano più la
bellezza dell'anima, è quella del corpo, e dicendomi, come è più verifimile ,
ch'amino più quella dell'anima , apporterei loro ciocche dicc S. An:brogio : in
Examer 6. cap. 8. ergo membra Ch ifti faciam membra meretricis? Abfit,
quod fi quis adulteret opus Dei; grave crimen admittit , grave eft enim crimen
, ut pures, ut melius te bomo , quam Deus pingat . Grave eft , ut dicat de te
Deus, non cognofco 16lores meos , non agnofco imaginem meam, non agnofco
vultum, quem ipse" formavi, Rejicio ergò quod meum non eft , illum quare,
qui te pinxit , cum illo habeto confortium , ab illo fume gratiam, cui mercodem
dedifti. Quid refpondebis ? ed udite ancora quanto lo detefta S. Cipriano de
Habit wirg. Manus Deo inferunt quando illud, quod ille formavit,
reformare, transfigurare contendunt , nefcientes quod opus Dei eft omne
quod nafcitur:Diaboli, quodeumque mutatur ac, tu te exi, Jimas impunè
Laturum tam improbare meritatis audaciam Dei artificis offenfama Ut enim
impudica circa bomines, du inn cefta fucis lenocinantibus non fis ,' corruptis,
violatisque, qua Dei funt péjor adultera derineris dc. Sem. Quelle, che
fi bellettano, mi persuado certamente, che non averanno uditi gliaccennati
sentimenti di queisti Santi; perche in verità, sc riflettes sero attentamente a
ciò , che questi di cono, fi alterrebbero dal farlo; mà vor: rei sapere in
oltre da voi, Dottore, se pollano queste lordure, che si pongor Ho le donne sul
viso, essere di nocumento alla loro salute? Med. Sono senza dubio molto
dannosi; perciocche se il tingerfi solamenrei capelli ha apportato a molte la
mor- to, come riferisce Gal. de comp.medic. fec. locos , cap.3. de tinet.capil.
oye dice: Non folum enim in periculo verfatas fape frio -fæminas ; fed mortúas
ex perfrigeratione capitis per hujufmodi pharmaca induéta , Ed Aczio parimeate
afferisce , libr. 6. M CAP 1 cap: 57. di averne vedute
morire alcune per tale cagione apoplettiche, e tabide; quanto più facilmente
potranno es. fere danneggiate da cosmetici , ne' quali entra il solimato? E
posso io asserirvi di avere veduta più di una di queste divenute , ò asmatiche,
ò apopletriche, à paralitiche, ò idropiche in érà proverra; senza poi quel
danno, che suode recare in gioventù a tutte , ne' loro denti ; e gignive; nè
preftino fede a coforo, che fabricano belletti, quantun. que dicano di averli
fatti fenza folimato, poiche le gabbano. Sem. Si che dunque aon
gioveranno ne per l'anima, ne per il corpo? Mas come si doveranno regolare i
poveri mariti , fe queste fi oftinaffero in voleres tutte le cose alla moda
2 Mer. Io non farei altro, che spiegare loro i seguenti vèrsi di
Properzio ar. vocato di effe : * Quid juvat arnato procedere vitta ca
pillo Et tenues Cos vete movere finns ?Aut quid orontea crines
perfunderes mirra? Teque peregrinis vendere muneribus
? Naturęque decus mercato perdere cultu? Nec finere in propriis
membra nitere bonis estir's Ed altroye: Nunc etiam infectos demens
imitance Britannos Ludis, o caterno gincta colore caput, E soggiunge
: Ut natura dedit, fic omnis recta figura, Turpis Romano Belgicus
ore colar E Plauto ancora, che pone in derisione queste tante variazioni
di mode : dicendo in Epidico Quid ifta ? Quo quotannis nomina in
In veniuntur noua * Tunicam rallama tunicam spilam
Linteulum, Cæcisium, Indosiatam, Palegiatam. Calšbulan, aut
Crocotulam. er. Pub. Allai meglio facente, Mecenate, a fare intendere loro ciò
che dice San Cipriano dihi de babitu Kirginum ; ovewi . Ceterùm fi
tu te fumptuofiùs cumas, per publicum notabiliter incedas , oculos in se
juventutis illícias', fufpiria adolefcentum poft te trabas , concupifcendi
libidinem nuFrias, peccandi fomitem yuccendas, ut fi ipfa non pereas, alios
tamen perdas, velut gladium te, du venenum videntibus se prabeas * excufari non
potes , quafi mente cafta fis, do pudica s redarguit te cultus improbus id
impudicus ornatus , conforme lo fa conoscere Aufonio in Delia, od ei Delia, nos
miramur ,'eft mirabile , quod tam Diffimiles eftis ruque , fororque túa ;
?> Hæc habitu casta , cum non fit caffats videtur, Tu preter cubium
nil meretricis habes. Cum caffi nores sibi fint , buic cultus honeftus,
Te tamen, cultus damnat, caftus cam. Sem. Parfando ora all'ira ,
queltas noir mi pare, che abbia tanto dominio i nelle donne, quanto negli
uomini, aven do [ocr errors] do veduto adirati più questi, che
quelle alcune volte, che mi sono abbattuto seco in Gimili contingenze. x
Mec. Non doverebbero certamente le donne adirarfi ; pofciache divengono allora
talmente deformi , che più non si riconoscono , .quanto mai li erasfigurano;
onde avendo effe in orrore la deformità, doverebbero anche odia. re la cagione
di essa ; Ma yoi , Sempro, nio, le averete facilmente trovate in bonaccia, non
già in tempo di furore ; e perciò dite, che vi pajono gli uomini più colerici
di esse; fe però vi foste abbattuto nel vedere adirata Ja moglie di quel
povero, Grammatico riferito lepidamente da Ausonios diversamente para lcreste ;
mentre di essa cosi dice: Anma', virumque docens, atque arma virumque
peritus':' Non duxi uxorem , fed magis arma do 1 ܢ ܀
Namque dies fotos y Botafque ex ordine ! noctes :: Liribus oppugnat a,
meques meumque Ata [ocr errors] M 3 giam ! Atque , ut
perpetuis dotata à Marre duellis risin Arma in me follit , nec datur
ulla quies: Jamque repugnanti dedam me, wide nique victum Jurget ob
hoc folùm, jurgia quod fuOltre di che Salomone, che non 'mentisce, dice ancora:
non eft ira fuprà iram mulieris . Sem. Non saranno però ofinate les
donne, che averanno i marici più rifenciti di effe , e non tanto buoni, come
era il sudetto Grammatico? 0:0, Mec. L'oftinazione alle volte liavanza
tanto in effe , che le rende incorre. gibili, come comprendercte ancora dal
feguente avvenimento riferito dal Poga gi. Vi fu una di queste» che dopo ave.
rc ricevuto moltisms bastonate da fuo marito, non potendola far ritrattare
dall'ingiuria, che gli facea, chiamaadolo pidocchiofo,la calò anche nel poz .
30, fin tanto che poteva parlare sem.. pre [ocr errors] pre fu
percinace nel medesimo disprego gio ; finalınente, avendo anche la te. ita
fommersa nell'acqua, colle unghie de deti grosli soprappoftę gli faceva cenno
di quello , che averebbe colla voce pronunziato , se avesse potuto Oltre di che
il vizio della vendetta facilmente di collega con esse, dicendo :
Giovenale:
Vindicta Nemo magis gaudet , quam femina. Sem. Le finzioni, e
le menzogne and che segno s'internano acll'animo dona, nesco ? Mec. Nelle
donne scaltrite più affai, che nelle milense:Ben è vero però,che se
s'incontreranno in mariti accorti, apporteranno loro gran danno le proprio
finzioni, e menzogne; come appunto seguì alla moglie di Teodofio à allas quale
avendo egli donato un pomo di eccessiva grandezza , volle ella gratifi care con
esso uno de principali Signori della corte, il quale due giorni dopo mandollo
in dono all'Imperatore ;quantunque mostrasse apparentemente di gradirlo n'ebbe
per ò egli intern rammarico;perloche essendo cornato dipoi dall’Imperatrice,
domandandole, se riteneva più quel bel pomo; gli rispose, che lo aveva
mangiato, ed avendola pregata, che avesse fatta matura riflessione a quanto
diceva, ella ostina. tamente confermava il suo derto; allo. ra l'Imperatore per
convincerla lo fè portare in sua presenza, ele disse: Voi Giete una finta donna
; ne mostrò in av. venire feco più confidenza . Sem. Hò uditi con molto
mio rammarico i difetri donnefchi; consolatemi ora voi, Publio, con riferirmi
le Virtù delle donne, ed in ispecie qvelle, che ponno apportare profitto alli
mariti. & Pub. La Prudenza, e l'Amore Gince. ro sono le principali virtù,
che debbono risplendere nelle mogli. Sem. Ma di queste Virtù sono capaci
Je donne? Pub. Non può dubitarf di ciòyinenero le le ftorie non
solamente profane, ma faa cre ancora lo confermano, e presentemente vediamo
anche risplenderé mole cisime di effe con fimili virtù. Sem. Perche
duaque fi dice tanto ma le delle donne Pub. La cagione di ciò la trovo in
Euripide, il quale dice: Miferrimum eft muliebre genus , femel Nam
, quæ peccant etiam immeritis Dedecorifque funt mulieribus,
com municant vituperium, Mala non malis , Ma questo, e un abuso
grande, ed in. giusto posciache contro di noi altri uomini non si costumà
addollarsi a' buon il vituperio de' cattivi, e qual ragione dunque vuole, che
ciò militi contro di effe ? Ovidio però le difende da tale in. giusta
maledicenza con dire: Parcite paucarum diffundere crimen ist
Spectesur meritis quaque paella fuis. Sem. Voglio credere che
donnes prudenti vi siano ffate ayendo udita rasa omnes :
raccontare molci saggi farci delle Porzie, Cornelie , Paoline, e Paoline,
e di altre ; Mà di queste , che con amore sincero abbianoamato i loro mariti
vorrei udirne riferire qualche altro csempio per meglio accertarmene.
Pub. Vi posso fodistare in questo picnamente, e principiando dal grande, e
fincero amore', che mostrarono a loro mariti carcerarile donne Spartane;men. tre
queste andando a visitarli li ferono vestirc de iloro abici, ed effc rimasero
carcerate: pafferò poi a riferirvi, ciocche fè Cabadis Reina di Persia, la
quale parimente liberò suo marito carcerato con vestirâ ella de' suoi abiti, e
rima. nere priva della sua libertà , c vita ancora · Riferisce parimente il
Tarcagnota un fatto molto riguardevole a tales proposito. Avendo ottenuto per
capi. tolazione di uscire solamente le donne dalla città di Vespergia cariche
di quello, che più loro piaceva, abbandonando queste oro, e supellectili
preziose, she avevano, trasportarono sulle spal. le [ocr
errors][ocr errors] le i loro più congiunti. Ed udite finalmencé un esempio
singolare dell'amorce sincero di una saggia Regina, riferito dal Padre Cordier
· Roberto Re della gran Bertagna si trovava ferito con una laetta velenata , fu
giudicato da’Medici per unico riinedio il farla succhiare da cui avesse voluto
esporre la propria vita, per salvare quella del Re ; la Regina sua moglie fi
mostrò prontislima di farlo, ma non voleva in conto alcuno il Re permetterle,
che si esponesse a tal pericolo. Chę fè l'amorosa moglic ! aspetto, che fosse
addormentato , ed allora appunto, sciolta la ferita , succhiolla
intrepidamente, e con tanto felice successo, che rifano il Re, senza riportarne
nocumento alcuno l'amorosa Consorte... Sem. Persevereranno queste
prudenti, ed amorose consorti semipre nella. medesima forma ? Pub. Se
faranno i mariti prudenti in faperle bene diriggere, lo fåranto, come udirete
nella seguente ConfeTenzi. CON CONFERENZA VIII. Come si debba
regolare l'uomo colla moglie scelta di ottime
qualità. Sempronio , Publio, Mecenase , e Medico
M Som. perfuado, chief sendo la giovane di ottimi costumi,non
civoglia grandparte nel regolarla, po sciacche da se mca delima sapra ben
governarsi. Pub. Non è già così , Sempronio ; quantunque sia buona, ci
vuole anche attenzione in reggerla , affinche non divenga cattiva , perche
conforme fi dice, che prendendo marito, muci sta10, può anche cambiare costume;
im, [ocr errors] L2perciocche il corso è di molti anni, é fi
dee navigare in un mare, nel quale s'in. contrano de' scogli, e continuando la
metafora , descrittami da quel vecchio, che la donna sia la nave; questa quan.
tunque non abbia difetto alcuno, da se fola, e senza chi la indirizzi, a fola
di: screzione de' venti , che sono i suoi pen• ficri, non può giugnere al
defiato porto della felicità , onde conviene, che l'uomo faccia da nocchiere, e
non dor ma; quantunque fia bonaccia.. Sem. Infegnatemi, dunque come do.
vrò regolarmi, per non errare? Pub. Potrò riferirvila direzione del la
quale io fteffo mi sono servito, eve: drete, fe questa vi aggrada. ' Sem.
Avendola voi posta in esecuzio. nc felicemente, poffo fperarne anch'io
profitto. Pub. Ebbi alla prima quest'avverte11za di non addomesticarmi
seco in ecceso fo, ma solamente, quanto bastava per -farle conoscere, ch'io
l'amava , c perciò la rispettava , ferviva, ed oporava s mà mà çon
tenere sempre un tale qual den, coroso fuftegno. Procurava in oltre, ché non
iscopriffe il mio debole, c per fare prova del suo afferto, di quando in
quando, mi facea da essa scorgere penberolo, ed alle volte ancora alquanto
mesto: non li assicurava ella di ricerca. fc la cagione di ciòs solameore dopo
qualche giorno, faccosi animo, mi diss fe: Signore, yorrei vedervi allegro,
comc debbono essere i spost ; fe poffo io sollevarvi in cosa alcuna , eccomi
pronta': comandatemi, ed indirizzatemi che non ricoferò di obbedirvi . Mi senti
a tale corcese offerta immediatamente giubilare il cuore, e le rispoli con
faccia ilare : Signora viringrazio delle obliganti esibizioni, che voi mi fate,
u vi afficuro , che me nc prcvalerò, avendomi molto sollevato con questo voftro
-corcese parlare : E guitai immediatamente di quella confolazione registrata
nell'Ecclesiastico al 26. Gratia mulieris -Sedula delectabit virum fuum,
copaiba ljus impinguabit . Sem. 6 [ocr errors][ocr errors]
Sem. E se fosse entrata in sospetto , che voi non l'aveste amata? Pub.
Questo non poteva crederlo perche, come diffi , la rispettava, cd onorava con
particolare artenzione ; cd essendo ella prudente, ben fi avvedeva, che della
sua persona era sodisfattiffimo; sospettava bensì, come mi riferi dipoi,
il che da altre cagioni ciò veniffc ; u con bel modo tanto fè, che alla
fine un i giorno, dapoi avere presa meco confia denza maggiore ,
interrogandomi sopra ciò, seppe da me la cagione de' mici turbati penfiori ;
cioè : che questi dcrivavano dal timore, che io aveva di non cffere ancor
baltantemente capace di cducare bene i figliuoli, e di non sapere mantenere
fino alla morte il reciproco affetto coniugale a quel segno, che fi dovea
. ! Sem. Che rispofe ella? Pub. Con volto ilare mi replicò, che a
questo dovea anch'effa contribuire la sua parte , ic perciò ca ayefli pur
deposto la metà di detti pensieri , ch'erano tuoi. Sem. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Sem. E se vi aveffe risposto ; penfiamo ora a
darci bel tempo : figliuoli non po abbiamo quando quefti nasceranno Gi farà,
come li potrà, non ci contriftiamo ora di quello, che non è presente.
Pub. Non fi parlava così in quei rempi, ne' quali il divertimento non erao
anche divenuto affare creduto rilevan. te, ed essenziale, che richiede sfe
giornata intera ; era bensì creduco effenziale il provedere quanto faceva
d'uopo, ed il prevedere ciocche poteva fuccca dere. ... Sem. Vi manrenne la
parola data di sollevarvi , quando sopravenne il bisagno Pub. Fè anche di
vantaggio, pofcix che fcoperto ch'ebbi il suo buon animo, un giorno così le
parlai: Signora mia, voglio, che camminiamo di buon conia certo in reggere la
casa ; abbiamo tansto assegnamiento, che può bastare as Amantenerci nel nostro
stato decorosamente ; pofliamo tenere tre fervitori, due per lei, ed uno per mc
, una ser [ocr errors] vente, ed una matrona, ed avere la noftra
carrozza, che serve ad ambiduc; of dividiamo ora l'incumbenza: voi pen+ ferere
alla tavola, alle biancherie, ed io al rimanente ; dell'esazioni
voglio ne fiare anche voi consapevole per vom ftro governo ; ficcome
ancora dell'esi- to, per caminare di buon concerto tra noi nello
spendere: debiti non voglio ne facciamo, nè avanzi considerabili
fino a tanto, che abbiamo l'assegnamen. to fiffo , c non amministriamo
tutte le rendite; e basterà , che solamente po- niamo da parte ogni
anno qualche cosa, per fupplire alle stagioni fterili, alle ri-
tardate rescoffioni, ed alle spese straor- dinarie, per non ritrovarci
allora bilo- gnosi di danaro : All'educazione de' fi- gliuoli
penseremo concordemente, al- lorche Iddio li manderà. Sem. Ed
essa accettò queste brighe ? Pub. Anziche mi ringraziò ; mo-
strandofi contentissima, per averla po- fta a parte del governo.
Sem. E se aveffc risposto; io non vo- glio ingerirmi in questo affare ;
pensateci voi, col maestro di casa; perche non voglio prendermi questo
tedio? Pub. Sarebbe stata troppo ardıca simile risposta in quei tempi, ne
quali crano molto rispettati dalle mogli i mariti , contentandoli vivere
subordinate ad effi , e non succedca già come dice l'Ecclefiaftico al 26. Mulier
si primatum babeat , contruria eft viro fuo; perche qucfta maggioranza non la
godevano. Sem. Mà come riusciva in quelle cose , che le toccavano di
fare? Pub. A maraviglia bene; posciache aveva la matrona , ch'era donna
savia, e consigliandosi con essa lei, divenne in breve tempo espertisfima in
tutte quelle cose, che le appartenevano. Sem. Chi potrà trovare oggidi
quefta matrona non costumandosi più tal servigio ? e poi quando anche si
trovassc, diventerei ridicolo, se prendesi, per servire mia moglie, la matrona
. Pub. Perche ridicolo? forse che fa. rebbe cosa mal fatta?
Som. [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Sem. Non dico mal
facta , mà effendo in disufo , farebbe segnato a dito, chi
l'introduceffe. Pub. Mà da chi? forse da' savj, u prudenti? Sem.
Non credo da questi ; mà bensi da tutti quelli, che non costumano te.
nerla. Pub. Or io di questi non mi prendcrei soggezione alcuna; mi
dispiacereb. be bensì , che i savj biasimassero le mie operazioni ;
imperciocche possono farvi altro dispetto costoro,che non son savj, che di non
conversare con esso voi? E che perdita da ciò riceverefte? ogni qual volta
questo provenga, non per cagione di cosa malfatta, mà più tosto decorosa, ed
onesta, che sono vantag. giose per voi ; nel qual caso efli li renderebbero
meritevoli della censura de' savj. Io vi poffo ingenuamente confessare, che se
non fosse stata in cafa mia la matrona, che avesse indirizato da pria. cipio la
mia consorte , non averci già goduta quella tranquillità di animo fpe
[ocr errors][ocr errors][ocr errors] rimentata fino al presente; posciacche
questa matrona essendo nata civilmente, e così ancora trattata da me, dando
alla mia conforte buoni conligli, la istruiva ottimamente, e perciò non vi è
stata occasione alcuna di discordie tra noi; il che non sarebbe già seguito, se
fi fosse configliata con qualche donnas ordinaria, e giovane, da cui facilmente
pellimi consigli averebbe ricavati. Sem. Questa matrona itava al fervia
gio attuale? Pub. Quantunque fosse falariata, era però distinta
dall'altra donna, che mi serviva, e faceva molce cofe spontaneamente di più di
quelle, che le toccavano, per l'amore, che portava alla casa, ove sperava
terminare i suoi giorni; non costumandofi licenziare queste , fe non per
cagioni assai gravi, le quali raro volte accadevano ; e quando la Signora
partoriva , essendo pratichisimas; non li può esprimere , che aflistenza le
prestava in tutto quello, lc occorreva ; ed in tempo di malattie cra
singola re; 2 re; oltre di che nell'educare bene i figliuoli,
e le femine in ispecie, cra mol. to eccellente, sapendosi far amare, a
rispettare insieme: or vedere voi quali danni ha apportato privarsi di
effe. Sem. Mà perche è stato dismesso si buon fervigio ? Pub. Io
precisamente non lo sò, può essere, che sia noto a Mecenate. Moc. Io ho
udito riferire più voltes che queste volessero fare troppo lezelaati, e perciò
fi fia verificato in esse la favola di Efopo, ove parla del trattata di accordo
fatto tra il lupo, e la pecor ra,contro la soverchia custodia de' cani; e per
verità, vi erano alcune, di esse, che facevano la guardia alle figliuolo più di
quello , che facciano i cani alle pecore; -mà questo non era motivo fufficiente
per dismettere un servigio cotanto utile al decoro, ed onestà dellas casa, conosciuto
ciò, anche da Tibullo quantunque molto lascivo, mentre egli consigliò: At tu
cafto precor maneas, fanétique pue Aft [ocr errors] dorisa
N3 Affideat cuftos fedula femper anus . Sem. Come regalavate,
Publio, fperso la vostra sposa? :- Pub. Oltre le mancie solite del
Natale, e del giorno mio natalizio, che consistevano in dodici piastre
per.volta, e quando si riscotevano grosse somme, fempre qualche moneta di oro
le davas, perche mi è piaciuto , ch'ella 'manegiafle danari. Sem. E che
ne faceva 279 Pub. Quando arrivava a cumulare la somma di cinquanta scudi
, creava un cenfo, e la metà del frutcabo di effo dispensava a poveri, c fi
verificava in lei ciò, che dice Salomone delle donne savie: Manum fuam aperuit
sinopi , & palmias suas extendit ad pauperem , dell'altra si serviva per
vestirdi:. ;1 Sem. E le fpilte non se l'era riservate ne' capicoli
matrimoniali? LifPubi Questo non costumava allora... non facendofi tanto
consumo di effe,come 'oggidì, che liveste alla moda . Sem. Eche a non fi
vertiva alla moda in quel temposPub. Si vestiva all'usanza propria det [ paese,
quale era di non cangiare sì di sovente, quella , che correva. Sem.
Non è questa la vera moda, mà bensì quella, che oggi si porta da paeli
stranieri, ed indi a pochi meli, venen, done un'altra, la prima non si usa più
, perche le ultiine sono quelle , che dilectano, ed appagano gli occhi .
Pub.E degli abiti di vecchia moda anche in buono essere che fe ne fa?
Sem. Si esitano a quel prezzo, che fi trova, e con discapito grandissimo,
Pub. Come costa questo vestire all? ultima moda , perche io, che vivo all
antica, non ne sono in formato ? Sem. Costa assai per verità, essendo che
bisogna pagare sempre di più del suo valore quel drappo di nuova moda; mà ad
alcuni ciò non da fastidio, perche i mercanti sono cosi cortesi', che lo danno
in credenza. ti ''p Pub. Questa , per parlarvi con tutta fincerità, mi
pare la vera moda diandare in malora; perche estendo sì cari, Conf. 8.
Dec. prima ed il mercante volendo alla fine essere pagato, che si farà allora ,
non essendovi danaro per sodisfarlo? Mec. Si mucerà paese, e per verità
quando questa nuova moda non era tanto in uso non si vedevano già i galant'
uomini , divenuti per essa miserabili, nè mutare paese, essendo per loro poco
sicuro quello, ove vestirono a tutta moda. Sem. Con chi coversava la
vostra fposa ? ? ? Pub. Con i suoi parenti più proflimi , li quali in
giorni festivi, in occasione di male , ò di altri bisogni venivano as
visitarci, ed altresì noi con effi loro facevamo. Sem. Ma non recavano
noja fimili conversazioni Pub. Anzi erano di sollievo grandislimo;
essendoche i capi di casa fi ritiravano in disparte a difcorrere fopra gť
iatereffi domestici; consigliandosi tras loro, per meglio regolarti, nel far
colcivare la campagna, ne irinvestimenti da da farsi, e nel governo
economico della casa : le donne poi colli ragazzi, ftavano divertendosi tra
loro. Sem. Ed in che? Pub. Nel domandare , che profitto facevano i
figliuoli,che belli premj avevano avuti da loro maestri, e come fi portavano le
figliuole ne' loro lavori, i quali bene spesso portavano seco queste, per farli
vedere ; e ciò serviva per eccitar emulazione tra elli a portarli meglio
in avvenire, lodandosi, e premiandos ancora chi s'era portato benc. Sem.
In detto tempo a costumavad giocare? Pub. Questo non fi faceva ,
eccettuato, che in tempo di carnevalc. Sem. Si giocava alle ombre in
detto tempo? Pub. Questo si costumava ; posciache ove si giocava, non vi
era Sole . Sem. Voglio intendere colle carte di fpade , bastoni , coppe,
e danari. Pub. Queste ne pur si conoscevano in quel tempo da esse, e se
l'avessero co no [ocr errors] nosciute', non averebbero giocato con
carre tantó-misteriose, le quali fanno vedere , che le spade, i bastoni, e le coppe
, malamente adoperate consumano tutto il danaro , .. Sim. Ele conedie li
udivano allora? Pub. Queste erano frequentare', ò'da curiofi forestieri,
è da paesani ožiofi per alcro le donne se n'altenevano ; e se non era
più, che qualche rappresentazione facra, fatta di giorno, avevano rossore di
comparirvi. Sem. Eli passeggi si costumavano ins quel tempo? Pub.
Passeggiavano ancora, mà per essercitare iutto il corpo a beneficio della
salute , non già come si fa oggidi, per 'indolirli folamente la schiena , a
cagione di tanti inchini, che Gi fanno, fenza muovere un paffo. Sem.
Lecafe, come erano bene a dobbate Pub. Asai meglio', che non sono adesso,
rimirandovisi appcfi nelle pareti di effe akuni quadri di carte', ches
er [ocr errors][ocr errors] ga in erano le piante delle tenute, che
si possedevano,dalle quali & ricavava groffi ffimo frutto, ed allora non vi
era tanto luffo; poiche loro, ch'oggidì s'impie in apparenze superflue
d'indorature, e nelle vanità alla moda, fi ipendeva in quei tempi assai meglio
in compre diterreni, e di alcre cose fructifere. Ne si commettevano già furti
di piatti, fottocoppe , bacili, candelieri, ed altri vali di argento ; perche
questi allora. erano. assai meglio custoditi ; effendo pochi elli, che gli
aveano, e perciò di rado ancora venivano adoperati. -Sem. Sapete Mecenate, che
mi crovo confuso a cagione di questo racconto fatró da Publio, riflettendo a
ciò, che sarebbe più utile , mà non lo potrò seguitare, per il diverso costume
introdotto oggidi ; e dichiarandomi volere vivcre così, non troverò moglie;
dall' altro canto a seguitare il modo, che si tiene, sono arrivato a
comprendere , che è molto dannoso per cutti i verfi. Dunque che dovrò fare?Mec.
Di non isbigottirvi punto per qucsto. Scegliete voi il modo, che credece
migliore, e dichiaratevi pure apertamence , che questo volete seguitare e
troverete ciò non oftante moglie, u forse senza d'uopo di ricercare tanto al
minuto il costume; posciache quelles giovane,che si contenterà di essere
tratcata in questa guisa , sarà certamente fac via, e bene accostumata .
Sem. Mà se le altre non la vorranno trattare per non seguitare ciocche effe
fanno, come si troverà ? Mec. Che pregiudizio risulterà a voi & ad
effa da questo, che farebbe la voftra fortuna? anzi voi medelimo lo do. vreste
procurare, affinche non la deviaf. sero dai suoi doveri. Sem. Or io così
farò, e dica ogn'uno ciocche vuole ; perche hò uditi molti mariti sospirare
frequentemente; da che provenisse questo, non lo só precisamente, sò bene, che
senza cordoglio non ti sospira . Or ditemi , che altro doverò fare per
mantenerla costante nel fuo [ocr errors] suo buon costume ?
Pub. Nun altro, che di non darle al. cun mal'esempio, e di tenerla
continuamente occupata in devozioni ; affari do. mestici; e nell'educazione de'
figliuoli; perche la vita oziosa è pessima, dicenda l'Ecclefiaftico: Mitte
illum in operationem, ne vacet; multam enim malitiam docuit otiofitas .
Sem. Come mi dovrò contenere intorno alla devozione? Pub. Le darete in
questo voi huono esempio ,' conforme richiede l'obligo voltro ; imperciocche
tanto io , quanto la mia conforte cravamo favoriti dal medesimo direttore
spirituale , c trequentavamo sovvente le nostre devozioni ; la sera poi colli
figliuoli, e servitù fi recitavano alcune preci, e li leggevano anco libri
fruttuosi per l'anima, ed in oltre da noi si sovvenivano bene spelso i poveri,
e da ciò ne hò ricavato quel bene, che si trova registrato nell'Ecclefiaftico :
Mulieris bona beatus Vir, numerus enim annorum illius duplex . Sen.
. Sem. In che altri affari domestici la tenevate occupata ? Pub.
Effendomi avveduto , ch'aveya desiderio di copiosa biancheria , ordinavo, che
fossero proveduti nelle fiere canape, lini , e cottone, é veden. dole si
rallegrava molto, e li faceva filare, e reffere a suo modo; e ciò per verità la
teneva impiegata qualche ora del giorno , ingegnandosi ancor essa di filare , ò
d'inaspare; e facendosi le bucate in casa, rinnacciava a maraviglia , quanto ne
aveva bisogno, affieme colla matrona ; ed io rimirandola cosi diligente ne
godevo fommamente, vedendo verificarsi in essa quella condizione ancora di
donna saggia, descritta da Salomone: Quafivir lanam, d linum, operara eft
confilio manuum suarum. Sem. La conducevate in Villa? Pub. In certe
belle giornate lo praticavo; anzi che le faceva vedere le nostre tenute, e
tutti quegli stabili, che la casa godeva in campagna, con istuirla ancora,
sopra quello che si poteva fars [ocr errors] fare di van aggio, per
renderli più frutriferi; sopra di che ne ricercavo ancora il suo parere, da poi
che la vidi ben, informata di tutto Sem. E qual bisogno avevate di
configlio donnescovoi, che fiece sì esperto in tali affari? Pub. Il
prendere consiglio giova agli inesperti, e non pregiudica mai a i pratici; e
poi sapere voi il mio fine qual’ era:che, se Iddio mi avesse chiamato a se
prima di essa fosse riinasta informata. di tutte le cose: e sappiate, che le
povere vedove sono gabbate da loro miniftri, quando non si trovano informace
degl'interessi domestici; il che non legue già allorche fanno ciò, che debbas
farsi. Ne crediate già , che sia cosa im, propria alle donne d'essere informate
della campagna, ponendo tra le condizioni di saggia donna Salomone anche questa
: Consideravit agrum, a emis eum: De fructu manuum fuarum planiavit vineam. Sem.
Nell'educazione de' figliuoli, che [ocr errors] che diligenze
usavate Pub. Eravamo tanto io, quanto essas attentiffimi a tutte le loro
operazioni, per poterli di ogni minimo difetto correggere da principio; eflendo
che le piante velenose fi svellano alla primas con facilità grande dalla
terra,mà allorche sono ben radicate v'è d'uopo di maggiore facica. E
riflettendo che tanto si fà, e quanta industria si pones per ridurre docile un
cavallo da maneggio, mi pare che questa sia più necessaria d'impiegarla a pro
de' figliuoli, da quali vantaggi maggiori si ritraggono senza fallo, che da
cavalli . Sem. Come viriusciva facile il correggerli? Pub. Per
verità facilisimo, perche erano docili ; e questo beneficio l'hò riconosciuto
dal buon naturale della madre, il qual passò anche ne' figliuoli; scorgendoli
bene spesso all'opposto i vizj de genitori paffare ne' figliuoli
ancora. Sem. Quale induftria usavate nel di. riggerli ?un canto viera
l'altarino con tutti li suoi Pub. La prima fu d'istruirli nella pie-***
Tu tà cristiana, e d'insinuarla bene ne'lo. si ro cuori ; primieramente col
buono esempio, e poi colle parole; ed era vely ramente di consolazione
grande il vede re quei figliuolini attenti, e divoti nel fare orazioni ;
e di poi, per meglio afficurarmi delle loro naturali inclinazioni, aveva fatto
preparare per divertirli varie cose in una stanza spartata , ove in [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] arneli; sin altro
l'armariuccio con certe armi di legno tinte, che sembravano di ferro ; vi erano
ancora in altra parte din versi giocarelli puerili, ed altrove qual che
libretto in una picciola scanzia ; c nelle ore di recreazione li conducevo ivi,
affinche si divertisfero. Quei ch'erano portati dal genio all'Ecclefiaftico,
correvano alla prima all'altarino, el ornavano in quella forma į che l'ayeano
veduto in chiesa; e ciò serviva per renderli maggiormente attenti alla
devozione: altri poi secondo le loro incli O [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] na. nazioni si divertiyano, coi libri, è
colle armi,e di rado alcuni di efli li spas, favano co i
giocarelli; e stava attentifli- mo osservando quelli, che
persevera- vano nel medesimo genio ; perche con- forme
averete ancora voi osservato, non è fempre uniforme l'inclinazione
de’ra- gazzi, e mi sono finalmente accertato , che quelli,
ove il genio li portava , sono stabiliti in esso divenuti
adulti,col- tivava però sempre le loro inclinazioni, vedendole
disposte al buono. 1 Mec. Gli Archieli foleano condurre i
loro figliuoli ad una fiera, per com- prendere i loro genj, e quei,
che ve- deano desiderosi di provederli de' libri, li
mandavano all'Accademia, quei poi , che aveano compiacimento a
rimirare le armi, li deftinavano per
la guerra Sem. E le figliuole, che facevano ?
Pub. In altra ftanza fi syariavano,afliftite ò dalla Madre,ò dalla Matrona,ove
erano coscinetti, per commodo das cucire ; ferri da fare calzette,
piccio. [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Dell'Elezione
della Mog. arr le conocchie, ecommode per filare ; e diverse pupazzine vestite,
ò da spose , ò da monache ; ed ivi ancora chi affifteva loro', fcorgeva
Vinclinazio ni, ch'avevano", rimirando a’ quali di queste cose le portava
il genio ; ed in fatti quella, che si fè monaca, non si divertiva in altro, che
in ispogliare, e rivestire la sua pupazzetta in abito da monaca, e l'altra, che
prendette marito , sempre giocolava colla sua pupazzetta vestira da sposa
. Sem. Felice coppia! non saprei anch' io abbattermi in simile
compagnia. Pub. La troverete anche voi cercandola, perche non è già
estinta nel mondo la razza di quelle di cui parlò l'Ecclesiastico al caj. 26.
Mulier fortis obleEtat virum fuum, de annos vitæ illius in pace implebit.
Sem. Sì bene, mà se per mia sventura m'incontrafí in una , che non fosse così
buona; che doverò fare in sal caso ? Meca, L'esaminereino nella venturas
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] conferenza, nella
quale meglio anche apprenderete il modo, che dovrete tenere in, fare
perseverare la buona, co(tante nel suo lodevole costume avendola scelta per
vostra conforte, CON, the te CONFERENZ A IX. [ocr
errors] Come si debbano regolare i faggi mariti con le mogli
imprudenti, e viziofe. Publio , Mecenate , Sempronio ,
& Medico Pub. O, ch' hò navigato lungo tempo per questo vasto
Oceano degli ammogliati, posso servire di fida scorta a voi,che doyete
entrarvi. Le maffime principali, che dovrete tenere sono queste : primieramente
di operare più col buono esempio, che con semplici parole, confessando Platone,
ed Aristocile che maggiore profitto fi ricavava da ciò, che si vedeva fare a
Socrate, che da' suoi morali documenci. Quindi è, che'Plutarco ne' suoi
ammaestramenti matrimoniali ebbe a dire: che non preten. da il marito di far
divenire la moglie buona economa , s'egli coll'esempio non le mostrerà efferlo
anch'effo : onde non recherà maraviglia, ciocche diffos Ovidio. Dum fuit
Artrides una contentus , illa, Caffà fuit , vitio eft improba
fuftaus viri. Mec. L'esempio però di Socrate appresso la sua moglie
Santippe nulla giovava, Pub. Sapete perche ? Si abbatte il una donna
talmente pazza, che dovea più tosto essere legata colle catene, che ammonita
con esempi, e parole : mà di questo ne parleremo a suo tempo. Or proseguendo il
mio discorso; in secondo luogo deesi togliere ogn'occasione, che possa farle
cambiare di buona in cattiva, perciocche quantunque ottima da principio, per
trascuraggine del marito può divenire peffima, ed in che mo [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] modo uditelo da Euripide.
Sed nunquam nunquam [ neque enim, femel
dicam Oportet prudentes, quibus eft uxor, Ad uxorem in domibus
accedere finere Mulieres, ipfæ enim præceptores funt
malorum. E che più ! Levina donna da principio
caftiffima per la libertà, che le diede suo marito di andare
vagando per il mondo , quanto , quanto si mutaffe mutasse , sentitelo da
questo Épigramma. Cafta , nec antiquis cedens Levina Sa
binis, Et quamvis tetrico triftior ipsa viro, Dum modo
Lucrino , modò fe permitrit Averno, Et dum
Bajanis fæpè fovetur aquis, Incidit in flammam, juvenemque fe-
quuta , relicto Conjuge, Penelopes
venit, abiit Helena. E d'onde ciò avvenne, se non dalla li. bertà,
che le diede il marito ? Nè Mef- salina averebbe già commessa quella
sì enorme scelleragine di sposarli con Silio [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] publicamente, e nel palazzo imperia, le , fe Claudio
Imperatore l'avesse condotta seco ad Oftia; del qualc attentato parlandone
Tacito arrivò a dire : laborabit annalium fides; c credete forse , che se
Ottone non avesse lodata a quel segno la bellezza di Poppea Sabina sua moglie
alla presenza di Ncrone, glie l' averebbe tolta ? non già ; ma il pazzo arrivando
a dire, nel levarsi dalla menfa dell'Imperatore, che se ne andavas lieto a
trovare sua moglic stupore di bellezza, a lui solo concedura, e desiderata da
tanti, e volete chc Nerone, udendolo non s'invaghisse di essa ? Sem.
Averanno forse da tenerli chiu. se le mogli per far verificare, ciocche disse
il Satirico ? Pone feram choibe , fed quis custodiet ipfos Custodesē
cauta eft, & ab ipfis inci pit uxor. Pub. Io non intendo dire questo,
mà folamente di trattarle, come diffe Tacito del popolo Romano , che: nec
tam, tam [ocr errors][ocr errors] fam feruitutem pati poteft, nec
totam libertatem , cioè colla misura di mezo, discreta, e giudiziola e
finalmente conviene compatire molte leggiere debolezze di effe con non farne
calo, di quelle particolarmente, ove non si scorge malizia, e cattivo fine ; ¢
quando mai vi fosse d'uopo di rimedio, non dee questo darsele in publico, nè
con istrepito contenzioso, e riflettere a ciò, che dice Plutarco; che Venere fù
collocata dagli antichi vicino a Mercurio, affinche con arte, ed avvedurezza ,
e non con violenza in tali faccende li procedesse ; e lasciando il profano da
parte, vediamo che rispetto avesse a sua moglie il nostro primo padre Adaino :
dipoi di avere detto, ch'era una porzione di se medesimo; cioè: cara de carne
mea; soggiunse « quamobrem relinquer bomo patrem fuum , & matrem,
&adbarebit ukuri sud, do crunt duo in carne una Gen. cap. 2. Sem.
Questo però mi reca gran tercore, perche se Adamo trattò così bere
sua : sua mnoglie, ed erano nel Paradiso terrestre ; ne- ella
poteva essere stata crea . ta da mano più perfetta , contuttociò ingannò suo
marito a segno , che tutti noi ce ne risentiamo, che farà dunque una figliuola
di essa in questo mondo? Pub. Fu fedotta però dal serpente, allorche
Adamo dormiva, onde apprendetene dà ciò questo documento: di non dormire,
quando vi sia il serpente, che tenti sedurre voftra moglie. Sem. Mà qual
serpente ci sarebbe, se io sposarsi una giovane, che da zitellas aveffe dato
sempre saggio di somma mo. deftia ; ed appena entrata in casa mias, cominciasse
a dire ; voglio un'altro abito alla nuova moda: queste gioje non; sono legate
all'usanza; voglio lo scarabattolo, come hanno le altre mie pari; qual
ferpente la tenterebbe in questo caso, per farla parlare in tal guisa ? Pub.
Sarebbero due non che un fojo, li serpenti; cioè l'eccessiva vanità, e
l'ambizione proprie ò insinuate,e quefti converrebbe scacciarli,er. [ocr
errors] Sem. Ed in che modo? Pub. Voi averece già scelta la giova.
CH ne nata da? savj, e discreti parenti, and mutt quali avrete
facilmente manifeftato l'animo voftro , in che forma la vorretes trattare;
accordandomi ciò, mi pare, cosa quasi impossibile, che una giovane
ben'educara possa alla prima avanzarsi Q a domandare imperiosamente ciocche
be brama ; se pure non sarà stata mal con figliata; da qualch’una poco
prudente, i onde per ovviare questo, converrà , che alla prima stiate
attento di non farlas trattare , se non con quelle, che voiconoscerere savie, e
prudenti, delle quali potrete essere sicuro, che non sarà configliata a questo;
ò pure se voi medelimo nolle darete mal'esempio ; conforme a questo proposito
avvertiscePlutarco, ne? suoi precetti matrimoniali, oye dice'; vir corporis
ftudiofus, uxorem reddit la sciviori cultui deditam ; voluptuofus amas,
toriam, & libidinofam ; boni , honestique amator , modeftam , &
honeftam: E sog. giugae di vantaggio; nè putes à super, [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] mo, fuis , profusifque fumptibus uxorem
temperaturam ; fi te ad hæc omnia minimè contemnentem confpiciat', quin potiùs
auratis poculis , pietifqae cubiculis, mulorum, & equorum phaleris
gaudentem videat ; non enim fieri poteft, ut à mulieribus luxus removeatur, quo
viri circumfluunt . Sem. Mà come farà praticabile il pri se terrà visite
publichce ove ogn' una farà a gara di comparire con mag . gior pompa
dell'alere? Pub. Se conoscerete, ch'ella abbias la prudenza della moglie
di Focione, di cui già parlammo, permetteteglielo pure liberamente; perche farà
della natura di quella , di cui parla l’Ecclefiaftico al cap. 26. Mulier
fenfata, tacita non eft immutatio eruditæ animæ : mà per al. fro, se non farà
di tal senno vi porrete ad evidente cimento di essere forzato a tractarla
meglio delle altre , e con pompa maggiore, per esfere sposa novella. Sem.
Ma queste non si potranno fuggire; imperciocche lo potrebbero incon
fra: [ocr errors] trare inimicizie, ricusa adofi ; ò per la a meno li
darebbe moito da dire à tuttaa la città. Pub. Se non si potranno fugire, e
voi permettetele. [ocr errors] Sem. Mà facendolo poi bisognerà ,
che seguiti ciocche praticano le altre. Pub. Non è da porsi in
dubio. Sem. Consigliacemi dụnque, che dovrò fare. Pub. Non mi dà
l'animo. Sem. E perche ? Pub. Perche scorgo più volonterolo
voi di queste visite, di quello che sarà la voftra sposa, compiacendovi forse,
che si vedano le vostre grandezze, e sono molti del vostro genio', che mostrano
in apparenza dispiacimento di tal cosa, che internamente con ardenza la bra.
mano; e fanno come diffe Tacito di Ti. berio : Specie recufantis vebementiffime
cupiebat. Sem. Mà è possibile, che non ci siad mezo termine per isfuggire
queste prime vifte, senza che rimanga alcuno disgutaco? Pub. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][merged small] Pub. Si potrebbe questo
trovare,ogni qualvolta però non abbiate voi compia. çimento di averle. di Sem.
E questo quale sarebbe? Pub. Di condurre la vostra sposa fuofi della
città in distanza tale, che non rioscisse facile alle altre di venirla a
visitare. Sem. E chi sà, se la sposa fi contentasse di questo? Pub.
Non vi contenterete voi ; perciocche una giovane bene accostumatas farà ciocche
vorrete : toccate voi ora colle mani, che i mariti sono per lo più arrefici
delle loro ruine, e non le povere mogli. Sem. Mà andando fuori, e poi
tornando , faremo nei medefimi termini di prima, rispetto à queste visite
: Pub. Così credo anch'io ; pofciache vorrete fodisfare allora al
desiderio,che avere di riceverle; mà udite di grazias, ciò che ne potrebbe
nascere di buono da questa vostra lontananza dalla città : Che intanto voi col
vostro giudizio po tre [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] trefte istradarla in modo , che non sarà poi facile,
che diça , qucsto voglio, po: sciache le potrete far ben conoscere
i precipizi , che nascono dall'ecceffivo lusso, ed i danni, che
apporta l'ambi, zione;ed averefte inoltre in quelto men. tre, che
dimorerete in villa , tempo op: portuno d'istruirla ancora nella
buona economia, la quale è l'unico antidoto contro la prodiga
vanità. Sem. Insegnatemi dunque, che dovrò fare fin
tanto che staremo in villa? Pub. Contratto, che averete trà voi
quel santo amore conjugale, le farete comprendere, che guadagno abbia recato
alla vostra casa l'efferyi portaticolà, e che per farle conoscere , che voi non
l'avete fatto già per avarizia , ma per esimervi bensì dalle confuloni, u
disturbi, che nascono da tante visite, e rivisite, che si costumano, donare ad
effa la metà di detta somma avanzatas; affinche ne faccia una soccita di
animali, ò la rinvesta a suo piacere, c commodo, e procurerete , che facendosi
detta foccita, non abbia questa disgrazia alcuna per più anni, con foggiacere
voi as quei discapiti, che l'inclemenza delle Stagioni potrebbero apportarle, e
vedrete in atto pratico y qual amore effa. porrà all'economia. Le prime
impresfioni sono quelle , le quali radicateli negli animi foftri tanto del
bene', quanto del male, difficilmente fi cancellano più, mentre che, Quo
fuerit imbut a recens feruabir odo rem Tefta diu. Sem. Questo
mi piace affaislimo; perche mi concilierà l'amore di essa, edonerò senza fare
discapito alcuno ; mentre ciocche dono, rimane in cafa; mi farebbe discaro
bensì, quando andaffe in börfá de mercanti: Mà se in progrefso di tempo
desiderasse qualche abito , come mi dovrò regolare? Pub. Dovrete
invigilare di provederla preventivamente di ciocche è necefsario al decente
ornato, secondo il voItro grado ; affinche non sia forzatas [ocr errors]
chiedervi cosa alcuna . Sem. Mà se ciò non ostante lo facesse, hò da
negarglielo? Pub. Se voi la scorgerete attaccatas, al danaro non glielo
negate , questo si, che in vece di spendere voi, date la moneta ad ella,
acciocche la spenda a suo modo, Mec. A questo proposito posso riferire un
caso accaduto. Venne voglia ad una donna civile di farsi una certa scuffia alla
moda; il di lei marito, ch' era accorto , non glie la negò; ben è vero,
che le diede il danaro nuovo di zecca per farsela ; ella cominciò à con, tare,
e ricontare dette monete, li le parvero assai belle, e perciò non
s’induceva à spenderle ; le domandò į egli pallato qualche tempo, se fi
cras ancora fatça la scuffia; cui rispose, che non aveva potuto trovare
cosa appropo. fito; le replicò : fatela quando vi piaci ce, perche il danaro
è vostro, e se lo Ha volere impiegare in altro, fate voi; mà ella non lo spese
già per goderselo. P Sem : [ocr errors] le qua [ocr
errors][ocr errors] Sem. E se fosse liberale ; che non fa. ceffe conto del
danaro ? Meo. In questo caso pariinente non mostrare renitenza in
sodisfarla ; dite bensì, che commetterete fuori, e farété venire merletti più
belli, e più alla moda di quei, che sono in città; perche intanto, ò le passerà
la voglia di farsela, ò si murerà la moda , come si vede giornalmente accadere,
e potrebbe anche darli il caso, che un giorno fi rendeffe capace di ciocche
disse Crate, Filosofo : che ornamentum eft, quod orhaf:ornat autem quod
mulierem boneftiorem reddit. Quindi è, che secondo quel detto greco :
Mulieri ornamentum mores, e non [ocr errors] durum Sem. E se le
venisse tentazione di porfi qualche manteca nel viso, per comparire più
vaga? Pub.Ciò non dovrete tolerarlo in conto alcuno riso.it Sem.
Che averò da fare? sgridarlas .forse, e mortificarla inleme Pub. [ocr
errors] fa Pub. Questo poi nd; pofciache me. no verrece seco alle brutte,
meglio semnot pre farà per voi, ed affinche possiate di in ciò regolarvi con
prudenza, vi rifeac rirò per convincerle dolcemente, cioc che dice
Zenofonte nell'economico, ch' è questo: Die mihi uxor, nonne hisce legibus
matrimonium inivimus, ut quod effet utrique faculsatum, invicem communica.
remus ? annuit illa . Jam ait , fi poftquam tu tuam portionem bonæ fidei
contulifes, ego pro veris gammis fiétitias , prò auro puro, adulterinum darem ,
prò torquibus aureis vitrum auri bracteis oblitum prò monilibus folidis , ligna
'auro, argen to, incruftamentis obducta, num boni confuleres, aut judicares ,
me plus tibi contuliffe ; fi talibus technis tibi imponerem, quam fi quod
baberem', uti eft in medium conferrem? quod illa excipiens , cave , inquit, ne
mibi talis fis , neque enim te ex animo amare pollem; quo audiio ille fic
perrexit : atqui nos in hoc potisimum convenimus, ut alter alteri corporum
Noftrorum copiam faceremas, quod P. 2 [ocr errors][ocr errors] h
cum Pub. Nira maltrattato ? cum uxor annuiset. Sum ne, inquit , tj
bi gratior, aut carior futurus, fi corpins boc, uti eft, nullo medicamento
vitiatum Communicem, an fi os,oculofque minio infestos tibi ofculandum
preberem? At ego in. quit uxor; minimum nunquam attigerim, neque fucatos oculos
gratius, quam tuos afpexerim . Et mihi , ait ille , puta mentem eamdem effe:
nec tam mentito (quem tu cerufit, fib:oque inducis) colore delectari, quam tuo
nativa. Quo tam commado fermone caftigata mulier abjecit omnia tectoria,
formaque medicamenta . Onde di questo convincentissimo ragionamento vi potrete
anche voi prevalere per ridurla a suoi doveri, senza contendere seco,
Sem. E se diveniffe fastidiosa, iraconda, e garrula, che dovrò fare? Pub.
Tutto l'opposto di quello , che farà lei, imperciocche altrimenti sarà la. casa
vostra un continuo inferno. Sem. Come si potrà praticare questo
Pub. Non vi potrà fare mai peggio di uxor. unda , quello, che
faceva Santippe a Socrate, e pure la sopportava , come viene dea
scritto da Bigo poeta :
Ferendum eft Socratis exemplo quodcumque peregerit Xantippen,
fiquidem convitia multas moventem , Cum blando
argueret, fædatus defuper Nil nifi deterso, poft tanta tonitrua,
dixit Vertice, se pluviam non ignorante se quutang Sem.
Bisognerebb’essere però Socrate per sopportare tanta ingiuria . Pub.
Cominciando ad operare da Socrate potreste anche voi divenire simile ad esso ;
posciache interrogato per qual cagion'cgli sopportava tanti strapazzi ricevuti
dalla sua insolente moglie, rifpofe : Cum illam domi talem perpetior ,
infuefco, dw exerceor ,'ut ceterorum quoque foras patulantiam, et injuriam
facia liùs feram; laonde con sopportare l'in giu [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] P 3 [ocr errors] giurie della vostra
moglie, diverreste Socrate anche voi. Sem. Mà se fosse altera , ambiziosa
di commandare, e non volesse fare ciocche dal marito le veniffe ordinato
Pub. Socrate sopportava questo ancora .. Sem. Mà voi, Mecenate, che non
fieţe Socrare, che fareste? Mec. Vi posso riferire ciocche fecero alcuni
in fimili casi, e con profitto . Vi fu una certa vedova, cui erano morti trè
mariti, a cagione dei gran disgusti dati loro da essa ; non trovava questas più
alcuno, che la volesse prendere per moglie, un giovane alla fine, sapendo
ch'era divenuta inolto ricca la volle sposare ; mà cosa fè questi ? ordinò, che
fosse trovato il cavallo più indomito, che fosse nella città, con ordinare al
fuo cocchiero, che nella mattina feguente alle sue nozze lo avesse fatto andare
furiosamente per il cortile del suo palazzo, e che avesse di poi eseguito
puntualmente ciocche da esso gli fareb, be 1 be stato
comandato; in quella macci na il cavallo fè furie grandi ; venne cuole
riosità alla sposa di vedere da che pro cedesse quel gran rumore, che
udivano in si affacciò alla feneftra, e nel medesimo tempo ancora vi
accorse lo sposo, il quale domandò al cocchiero , la cagione di ciò, cui
rispose : Signore, è unas beftia, che non si può domare, e perciò ogni giorno
farà il medesimo; allora egli comandò, che fosse trucidato, conforme
crudelmente seguì; la povera sposa rimase attonita da sì risoluto comando, c
voltatosi lo sposo verso di effa , le disse : Signora mia, quando le bestie non
G poffono domare è necessario di venire à queste risoluzioni : das dovero, che
mutò ella modo di vivere, e di leone divenne agnella. Vi fù parimente una
moglie assai disobediente,alla quale avendo ordinato il marito, che non fosse
uscita di casa ogni giorno, e tornata di notte, mà vedendo , che
colle buone non ricavava profitto alcupo; udite un giorno quello le fece
nel [ocr errors] P 4 tor tornare a casa : teneva'pronte le
forfici, e le recise i capelli, dipoi le disse : oh adesso andare fuori di casa
quando volete, che farete una bella comparsa : sapete voi, che se ne
aftenne, ed in avvenire fu più obediente a suo marito. Sem. Vedete voi,
Publio', che con mostrarsi risentito, si possono anco togliere i difetti
donneschi? Pub. Questi sono casi rariffimi, che felicemente riescano : I
più frequenti però fanno vedere il contrario. Nacque una volta competenza tra
il Sole e l'Aquilone, a chi di loro fosse riuscito più agevole, a togliere da
dosso il mantello ad un viandante : si adoperò con tuttas la sua violenza il
secondo, mà, ftringendoselo alla vita chi lo portava , non fu mai possibile
farglielo lasciare : cominciò dipoi il Sole, senza usare violenza, a
percuoterlo coi suoi continuati raggi ; refiftè egli per qualche spazio di
tempo ; mà alla fine & spogliò non solamente del mantello, ma del giuppone
ancora; e da questa ápologo.com, pren: [ocr errors] i prenderete se
riesca più utile la violenob za , ò la piacevolezza continuata per ri
muovere i difetti donneschi : ed Ovidio che le conosceva bene,così
canto: Define, crede mibi, visin irritare vetado Obfequio
vinces aprius ipfe tuo. Sem. E se fosse ostinata in non volere
cedere mai, mai , allorsì , crederei , che fosse d'uopo prevalera di quel
rime dio contenuto in questi due versi : .. Rendon più frutta donne , afini
, e noci A cbi ver loro ha le mani più atroci . Pub. E da cui
apprendeste, Sempronio, modo sì ingiusto, e villano das trattar le mogli? forse
che dall'indiscreto Ercolano Sanese ? il quale, conforme racconta il Dolce nel
secondo del. le istituzioni delle donne, avendo comprati certi tordi , mentre
li stava mangiando con sua moglie, le diffe ; se aveva mai veduti tordi più
grassi di quelli ; vi replicò la moglie ; ch'erano merli, mà , volendole far
capire il marito, ch'erano tordi, non fu mai possibile, crsendofi oftinata
nella sua falsa credenza;alla fine, dopo le contese, l'Ercolano fi avanzò a
percuoterla col bastone, il quale non tolse già la sua pertinacias; posciache
in capo all'anno disse al marito, che in quella medesima sera era Itata così malamente
trattata per quei maledetti merli, ch'egli diceva essere tordi ; e convennegli
fare l'anniversario ancora , con batterla nuovamente, come accadè in molti anni
seguenti. Or vedere, che profitto apportano le battiture alle donne pertinaci?
Poteva l' Ercolano crederli anche per storni; perche ciò non diminuiva loro già
il sapore: mà, se fosse egli stato sotto la censura di Catone, non averebbe
certamente commesso fimili attentati; imperciocch'egli voleva, che i mariti,
che percuotevano le mogli, foffero puniti col medesimo gastigo, che si dava a
coloro,che rubavano nei tempi dei loro Dei, come riferisce Plutarco. ES.
Crisosto. mo nella umilia 26. epift. prima D. Pau. li ad Corinthios, così dice:
Neque verberandam uxorem dico , abfit: ultima nam [ocr errors]
201 [ocr errors][ocr errors] namque ignominia eft non ejus qui
verbe- ratur , fed qui verberat &c. e dipoi , vos viros illud
admoneo , nullum fit tam magnum peccatum, quod ad verberan- dum
uxorem vos compellat , per lo che meritamente cantò il Guazzo:
Offende il Cielose il santo amor discioglie Quel che con empia man
baste la moglie. Sem. E se si credesse impudica, li ha da fare da
Socrate in permetterglielo ? Pub. Questo poi nò : fi dee bene fare da
Socrate in non ingannarsi nel crederla cale, quando non fosse ; perche alle
volte la gelosia fà travedere le ombre per corpi; e fa credere, anche le
menzogne rapportate da uomini sceleraci per cose vere; ed udite a tale
proposito questo prodigioso fatto. Si trovava al servigio di S.Elisabetta Regina
di Portogallo un paggio di ottimi costumi, u perciò da effa amato, di cui si
prevale va per suo elemofiniero ; fu questi ca* lunniosamente imputato
appreffo al Re di soverchia confidenza verso la sua pa. drona, ed
anche reciproca di essa verso . di [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] di lui ; fu data credenza alla calunnia ; onde il Re adirato fè
ordinare ad un fornaciaro, che avesse gettato dentro l'ardente fornace il
primo paggio, che nel di seguente gli mandava; comandò dunque all’innocente ,
che si portafíe colà; mà perche udà sonare la campana di una chiesa, mentre era
in viaggio, la sua devozione lo spinse ad andare verso quella parte ove si
trattenne in ascoltare più messe qualche spazio di tempo; mà, perche il
Reviveva impaziente di udire il successo, ftimò bene inviarvi l'altro paggio
calunniatore, il quale, essendo arrivato il primo , conseguì il meritato
gastigo, ch'era preparato per l'innocente : ed arrivato poi il secondo portò al
Re l'avvifo, di essere ftato ubbidito; e risaputali poscia las cagionedal Re,
perche fosse egli indugiato tanto, ben si avvide della sua innocenza, e della
giustizia di Dio. Viene riferito dal P. Crodier. Sem. Mà corne potrò
conoscere d'a. vere occafione di dubitarne con fondamento? Pub [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Se voi per esempio non ufafte a ad
Jei tutta quella fedeltà dovuta , ò pure se per cafî faceste conversare
gioventù in più vistosa di voi, e con tutta libertà; allorsì forse forse,
che, se non fosse più, che la carta Penelope, ne potreste alquanto
dubbitare. Sem. Ed in questo caso, che dovrei fare per correggerla , e
gaftigarla ancora bisognando?, Pub. Bisogna , ch'esaminiamo prima chi
foffe il reo principale in questo caso, se voi, ò essa? Sem. Sarà essa
lei , perche io voglio, che sia pudica. Pub. Voi volere, chefia, e fate
ogni possibile, che non lia. Sem. E come? Pub. Con darle
primieramente mali esmpio col vostro cattivo modo di operare; e poi con darle
commodo di fare ciocche ella vuole. Credetemi, Semipronio , che le donne, se
non hanno il cattivo esempio dato loro di mariti, ad ditficilmente
s'inducono a far male, Scn 3 d Sentite ciocche dice a
tale proposito Euripide, Stulla quidem fumus mulieres,
non nego, Cum autem infit hoc animis , peccat
ma- ritus Faftidiens connubia , imitari vult Mulier viruń, co aliui
parare ama fium. Ed operandosi in questa guisa , tutto questo procede per
colpa de' mariti, e sentitene ora il parere de' Santi Padri, | S. Agostino così
dice , lib. 2. de adult. conjug. Periniquum effe videsur , ut pudicitiam vir ab
uxore exigat, cum ipse non exhibeat , ed inoltre dice , ui quales volumus
uxores noftras invenire , ipfe nos inveniant , du fi intactam quærimus, intatti
fimus ; c Lactanzio, de vero cul. cap. 2 3. Exemplo continentiæ docenda uxor,
ut fe caftè gerat , iniquum eft enim, út id exigas, quod ipse præftare non
poffis; e poco in appresso, uxorem ejus qui circa corrumpendas alienas uxores
occupatur , exemplo ivcitatam, aut imitari se putare,aut vindicare; e l'uomo di
Dio Giob così parla , fi deceptum eft cor meum fue 2 per per
muliere, a fi ad oftium amici mei infi diatus fum , fcortum alterius fit
uxor mea, od fuper illam incurventur alii , e notare quella parola alii,
che denota, che non sarà un solo. Sem. Ma se per colpa mia non venisse,
ed ella fosse sì pazza , che volcsse trau dirini, che dovrò fare? 1 Pub. Questo
sarebbe caso rarissimo, s poiche avendola scelta di famiglia ono rata;
non facendole mancare cosa alcu. na, e non dandole veruna occalione di tradirvi,
sarebbe una grandiflima ini. quità , fe lo faceffe ; in questo caso dunt. que
da principio dovere stare vigilantes alla di lei custodia con fare molte caure
diligenze. Sem. E da che me ne potrò avvedere? Pub. In primo luogo
dal suo affetto til vero, che s'intiepidirà verso di voi, ef sendo che
questo non può portarlo a dụe gel medesimo tempo Sam. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Sem. E se fosse finta, come potrò di. stinguere
il vero dal fimulato affetto ? Mec. Con un poco di tempo ve ne av.
vedreste beniffino, con dirle, che volete fare un lungo viaggio con essa lei, e
cominciando a porre all'ordine ciocche fa di bisogno, per farvi conoscere
risoluto ; può essere, che da principio diffimuli, onde se vedrete, che in
progresso di tempo ella li contristi, almeno in assenza vostra , credere
pure, che qualche cattivo pensiere le va per las mente, essendo quaGi
impollibile , che chi hà simili attacchi, non si rammari. chi allorche dee
allontanarsi; e tanto maggiormente, quando non abbia avu. ta in altri tempi
repugnanza alcuna di viaggiare . Sem. Io che dovranno confiftere
l'accennate diligenze ? Pub. Principalmente in vedere, che fidata servicù
voi avete in casa ; posciache, se farà al vostro servizio qualcuno bizarro, che
faccia spese disorbitanti, di questi non vi fidate punto, che non
ten [ocr errors] di tenga mano, perche d'onde gli vengoo? no l'entrate da
spendere tanto, non ba stando la sola paga per far queste ? licenziatelo
dunque alla prima, e se il ma le da ciò procedeffe , tal volta potrebbe
in questo solamente bastare.In oltre sareb-'. be anche ben fatto,
sospettando voi dela la di lei fedeltà, d'intraprendere qualche viaggio ad
onefto titolo di devozio ne; con andare a visitare qualche Santi
tuario ; ed in tale occasione le userere, delle cortesic più del ordinario, per
riscaldare quell'affetto, che si era inties pidito verso di voi; e fatela
girare un gran pezzo, che così le ritornerà il rens no, che aveva incominciato
a perdere; e voi sapete, Dottore , quanto bene può apportare il viaggiare in
questi casi. Med. Certo è, che allontanandoci da quell'oggetto, che turba
l'animo postro, può quefto più facilmcórc cálmarfi , conforme lo conobbe anche
Proper: zio dicendo : Unum erit auxilium mutatis Cinthia terris
Quan 1 [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Quantùm
oculis, animo tàm procul ibis. Amor. Ma per addurvi autoricà più propria
vi apporterò ciò , che ne dice Cornclio Celso : Mutare debere regiones , fi
mens redis , annua peregrinatione effe jaDandos. Sem. Hò da farne alla
prima risenti. mento, cominciando a sospeccarne con fondamento Pub.
Questa è materia molto gelofa ; onde con prudenza grande doverà cratcarli, e
con molta circospezione. Mec. Così credo anch'io, rifetten. do a ciò, che
dice Ausonio: Toxica zelotipo dedit uxor maca ma wire. Sem. Mà se il caso
si avanzasse tant' oltre, che mi accertalli di tale misfatto? Pub. Due
rimedi ci sarebbero, un o legalc, cl'altro suggerito dalla somma
prudenza , o fancità, Sem. Lasciamo il legale ; l' altro qualid? Pub, Marc'Antonio
Filosofo Impera [ocr errors] bi tore prudentissimo diffimulò, come
rac conta Giulio Capitolino ; il gran torto 1 fattogli da Faustina sua
moglie, dicenddo di esso : tantùmque abfuiffe , ut de cas ejufque
adulteris fupplicium ex lege fumeret, ut illos fibi non ignotos (gran
virtù in chi tutto poteva ) pra ceteris ad ve#rios honores, &
magistratus promoveret s du in iis Tertullum, quem cum ea prandena sem
aliquandò deprebenderat. E S.Paolo Eremita, come vien riferito da Socr. in
fripart. historia lib. 1. cap. 2. Avendo ritrovato la sua moglie adultera, che
fec' egli. Nil aliud , quam tacitè subrifis, jureque jurando affirmavit , fe
nunquam cum ca concubiturum , ad adulterum au tem; tibi, inquit , tam
babeto, & cuma 1 difto adberemum abiit . Mec. Rimali sorpreso da
maraviglia, Dottore, quando lesti nel lib. de cap. util. ex adverfis , come mai
il vostro Carda no autore di esso ;' uomo sì celebre, vi * abbia posto
gli utili , che ne' possa ri portare il marito dalla moglie adultera ;
pour essendoche quanto da fimile misfattorisulta , è tutto danno, e'
vituperio. Med. Non parla ivi il detto autore dell'utile onesto, e
decorofo , mà bensi di quello, che si ricava (per servirmi della frase di
Tacito) Ex induftria facinorofa ; ed avendo egli intrapreso l'affunto di
ricavare da tutte le avverGità quell'utile, che ponno dare, da questo non si
poteva ritrarne altro che un vàntaggio viziolo e detestabile chiamandolo egli
medesimo:surpe auxilium. Sem. E se li moftcafie gelola di me? Pub.
Sarebbe segno, che molto vi amasse, nel qual caso, facendole cono. fcere, che
sono vani quei sospetti, che concepisce di voi, che vivete, comes debbono i
buoni mariti, farebbe colas facile, che deponeffe tal gelosia. - Sem. Ma
se non vivefli offervantiflimo, ed andafli in qualche luogo un poco fospetto,
solamente per divertirmi , mà fenza fare inale alcuno 1 Pub. Evoi
tralasciate di andarvi,che così cesserà ancora.la gelosia; altrimensi quel
vostro divercimento xi.cofterà са [ocr errors][ocr errors] caro ,
togliendovi la pace domesticas; e rifertere di grazia allo spaventofo fuccesso
seguito nell'isola di Lenno; ove, le donne per gefolia z ch’ebbero, che i loro
marici fi foffero invaghiti di alcune belle schiave, congiurarono contro di
essi talmente, che divennero ftudiofamente tutte vedove in una notte : oltre di
che, udite ciò, che dice l’Ecclefiaftico al 26. Dolor: cordis , do luctus
mulier zelotipa : : Sem. Mà se pretendeffe poi,che io so. disfaccffi al
debito matrimoniale di vantaggio , che fosse convenevole, cho dovcrò
fare? Pub. Avendola voi scelta di buoni coo stumi, non avere da temere
questo ; se pures non ile darete occasione di farlo! Sem. E quale sarebbe
questa ? 15,368 Pub. Potrebb’essere il gran confumo di cioccolata , e
pistachiara , di rosolà, e vini generosi, e di altre cose, che
accendeffero il sangue , che si faceffe in * casa vostra ; orde basterebbe ,
che lo toglie te via ; imperciocche, [ocr errors] Sine Cerere ,
Bacco friget Venus . Sem. E se questo rimedio non baItasse? Pub.
Allor conviene ricorrere alla prudenza , con farle ben capire, che quello
sarebbe il modo da farla divenire prettamente vedova ; e che per non farle
provare una così infelice fyenturas, dovete opporvi alle sue eccedenci
brame... Mer. Ad un certo marito, che si tro. váva spesso in fimili
angustie , gligiovò molto il fare l'astrologo, posciache non mostrava già di
opporli a quanto deside, rava la moglie, ma bensì le diceva , ch' cra d'uopo
trovare prima nell'Effemeri. di, se in quel punto G farebbe generato figliuolo
sano ; ed alle volte le dava ad intendere, che sarebbe nato cieco, altresi
zoppo, onde in questo modo operava tanco, che li bastava per indurre a fare a
suo modo la credula moglie . Sem. E se non volesse applicare a farai
domestici, come mi doycrò conteacre ? Pub. 7 [ocr errors][ocr
errors] #1 Pub. Bisognerà , che voi claminiace boy bene d'onde ciò
provengà ; pofciache, se nascesse per cagione di qualche indis1
posizione di testa sopravenutale il non ad potere applicare i converrebbe,
che voila comparifte, cd in tal caso potrcbI be fupplire la matróna a
quanto ad ella spettava, 18 Sem. Si che dunque non potrò fare di
meno di non provedermi di questa matrona , potendonc avere bisogno grande di
essa? Pub. Questo non è da porta in dubbio, fe bramercte, che la
direzione della vostra casa vada bene, e non vorrete voi medefimo fare da
donna', Sem. E se non provcnifle dall'accennata cagiones Pub.
Doverete anche informarvi, se ciò procedeffe, perche qualcuno voftro favorito
le volefle fare da sopraftante, il che non sarebbe conveniente, ed in tal calo
to doverefte ammonire a defi. ftate, quando nollo vogliate rimuovere, ed allora
vedretc, cho e Ha sarà appli ciui 1 [ocr errors] cata, ò pure
, se si divertisse ia altre cose per dare sodisfazione a voi, ael qual caso non
potrebbe applicare alli facci domestici : per esempio, se vi veniffe voglia,
che imparasse, a sonare, a cantare, e ballare, ò pure qualche linguage gio
straniero , certamente, che non potrebbe ella applicare con attenzione a tante
cose ; onde mutando voi fimile pensiero la vedrete tornare attentissima alle
cose domeftiche, Sem. Mà se non vi fosse alcuna delle fudette cagioni ,
mà che per il suo catcivo nacurale volesse inquietarmi con operare da pazza,
che doverò fare? Pub. S. Crisostomo insegna in questi casi gell’amilia
26. epist. 1. D. Pauli ad Corinthios, che cosa si debba fare: cioè quello,
appunto, che pratica un buono agricoltore nel coltivare il sao campo, il quale,
fe lo conosce sterile, procura di ajutarlo con industria, per farlo divenire
fecondo ; e non per questo, sem mentato che abbia ivi il grano, nafcendovi
dell'erbs.catcive, si duglefe. co, perche le abbia prodotte ; mà beni sì con
sofferenza grande le carpisce a po co a poco , senza danneggiare
punto quel seme di frumento, che ivi vede - germogliato. Or perche non si
ha dad praticare il medesimo colla moglie? fors' ella è meno meritevole
del campo di ricevere simili ajuti ? è forse il seme umano inferiore a quello
del frumento? ed udice ciò, che dice il fudeko Santo: quotiescumque aliquid
molefti domi contigerit, fi quid uxor peccaverit , confolare, cu noli marorem
augere Licèt enim omnia proiicias, nibil, moleftius continger, quàm non, babere
benevoham domi uxorem; licèt quodcumque dixeris peccafuni, nuha lum magis dolendum
, quam cum uxorlu Jeditionem habere. Quod fi inuicemones ra ferenda funt ,
multo magis uxoris, fi pauper fi, noli exprobrare fistulta, noli ei infultare ;
fed efto modeftior . Etes nim tuum membrum et Garo una fa&i cfis. Sed falta
eft cbrid auracundai Igitus dolendum eft , nox irafcendum ut e poi soggiunge.
Quod fi vorberaveris [ocr errors][ocr errors] exafperabit morbum ;
afperisas enim mare fuetudine , , non alia afperitate disolui Sem. E sc
le veniffe voglia di vedere tutte le comedie , andare a' festini , c di
frequentare tutti gli altri divertimenti, che doverò fare Pub. Arendola
alla prima assuefatta diversamente, come potrà venirle tale volonca ? E quando
in particolare averà più figliuoli, ò pure farà anche gravida: non li potrebbe
dare altro caso, che le faceftc mutare costume voi mcdefimo, divenendo curioso
, c vagabondo : mantenetevi costaoce nel ben operare i ch'ella ancora
persevererà nelles medefima forma; ed usatele ancora in quei tempi qualche
amorevolezza di vantaggio, per tenerla contenta . Mer. Questo lo credo
anch'io ben fatto, avendo conosciuto un certò marito , cui era discaro, che la
sua moglie, c figliuole fossero andate alle comedies & ad altre publiche
feste, mà che cosas egli faceva ? in cambio di questo , leroy [ocr
errors] o galava in quei tempi frequencemente, dando loro l'equivalente a
quello , che averebbe potuto spendere in fimili died vertimcoti; e
quantunque ad effe dispia cesse per allora di non andarvi, nulladi. meno
vedendo quelle insolite cortelier, si consolavano, e terminato poi
ch'eras # quel tempo, diceva la madre alle fi gliuole : nulla averemmo
guadagnato di buono , se fossimo state alle comedie, dove che da non averle
vedute, ne ab. biamo ricavato molto; e poi per verità erano una volta proibice alle
donne certe feste notturne, come da Tito Livio, lib.g.Dec.4. fi ricava,che in
compendio, e questo: Viri per noctem fæminis, dousenere etati turpiter
miscebantur . Qua nc comperts , fuere S.C. fublata, din mulros animadverfum
fuit. E Svetonio lo conferma nella vita ancora di Octaviano Augusto Sem.
Ditemi finalmente, se uno avefin se pensiere di sposare una vedova , come du fi
doverebbe regolare in diriggerla ? Pim. Se questa averà avuto un
mari [ocr errors] Ate condizioni unite è cosa difficilissima ,co saggio,
sarà facile parimente, che un altro faggio marito la poffa regolare, mà elsendo
stata assuefatta di fare a sno - inodo, non si potrà mai piegare a far
diversamente : posciache una pianta assodata con cattiva piega, non si può più
addirizare. Io non consiglierei a prendere queste per moglie,se non chi(quando
fosse tuttavia in età di farlo) si trovarfe molti figliuoli, e non avesse tempo
d'invigilare attorno ad effi; e che fosse pienamente accertato, che la detta
vedova avesse dato faggio di somma prudenza in casa del defonco marito; e che
in oltre non avesse figliuoli proprj, nè fosse più in iftato di farli, e li
trovaffe prospera falute; mà chi abbia tutte que di trovarla dall'altro
canto non essendoci queste, si prepari-pure a soffrire molti travagli, chi
vorrà applicare a fimili matrimonj , poiche queste fogliono effere troppo
scaltrite . Sem. Vado riflettendo, che molti di Q uesti buoni consigli
non saranno prati [ocr errors] [ocr errors] [merged small][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][merged small] cabili nei nostri tempi, onde se
I ddio non ci provede , non sò come potremo più softenerci in avvenire .
Pub. Perche non sono praticabili forse che non dipende ciò da voi? Sem.
Dipende da me , mà è dura cosa di essere il primo riformatore degli abusi.
Pub. Non si fanno già queste riforme colla corda al collo, come disponevano le
leggi di Ligurgo; c poi non sareste già il primo voi , essendoci i Curj oggidi
ancora, ma questi non si rimirano già per non averli da in mirare; onde questo
sarebbe appunto quello , che vi doverebbe animare a farlo : posciachei non
volendovi gli altri seguitare, non riferterebbero con attenzione a quello, che
voi operafte. Sem. E nella ventura Conferenza sopra clie fi
tratterà? Pub. Bisognerebbe confolave quelle povere mogli-faggie, che G
abbattono in mariti viziofi, ed insegnare loro coinc debbanfi contenere in
simile sveninca.CONFEREN ZA X. Sopra i ripieghi prudenziali, che debbonsi
prendere in diverse occorrenze dalle mogli saggic, incontrandosi in viziosi, ed
indiscreti mariti. Sempronio , Publio, Mecenate , € Medico.
Semi mag Iferitemi , Publio , quali sono i vizj,de' mariti cattivi.
Pub. Questi sono molti, e forse non minori di quelli delle mogli
pellime : iinperciocche , fe farà egli trascurato, da tal difetto ne verrà il
precipizio di tutta la casa: se prodigo peggio che peggio : se avaro , farà
mancare ancora quello , che sarà necefsario : fe fcapestrato, guai a quella
povera moglie, che dovrà combattere fe [ocr errors] [ocr errors]
seco : se giocatore , fi porrà a peri. colo in una sola notte di perdere quan,
to egli possiede : se lascivo, non li con. tenterà dell'onesto : fe affatto
impotente, poco amore per lo più suole avere verso la moglie : sc goloso fuori
dimo. do, oltre di soggiacere a continue in. fermità , sarà oppresso anche da
dobbiti. Or vedere in che miserie Gi troveranno le saggie donnc in mano di
costoro ? E se per disgrazia fi abbattessero ancosa in taluno debole di senno,
che avesse appresso di se qualche servitore fcal. trito, il quale lo dominaffe,
c lo facesse fare a suo modo, oh quanti disaggi se converebbe soffrire !
Sem. Come dunque li doverà regolare una donna saggia , ed attenta col 04rito
trascurato ? Pub. Con ama rlo teneramente, quancunque fi avveg ga della
sua trascurag. gine. Sem. E come lo potrà fare? Pub. La prudenza le
infinuerà di far. lo, per vedere , fe per questa via lo po acres
[ocr errors][ocr errors] réffe indurre ad essere applicato,, perciocche, fe per
sua sventura facefle il contrario, e cominciasse a sgridarlo , certamente
ch'egli si mostrerebbe assai più trascurato ; e credete pure per co. fa
certa, che colle buone più profitto ne ricaverà, che irritandolo. Sem. E
se vedeffe , che ciò non ostanu Te', continuasse ad cssere trascurato , doyrå
ella perfeverare in questo grand'amore? ... Pub. Senza fallo ; anzi che, invece
di scemarlo; più costo, glie lo dee accrescere; poscia sche, se non sarà più ,
'che'affatto iosensato , fi avvedrà alla fine, che lo ama di puro caore ; ed
accertatoli di questo, come potrà fare di meno di non amarla anch'effo ?
Platone, allorche gli fu riferito, che Zenocrate Two scolare enipiamente
parlaffe di esso, * *ffpofe : non essere credibile : ut quem tantoperè amaret ,
ab eo invicem non di ligeretur; ed intal proposito dice Sene• Ed Lpift.g.
Ego tibi monftrabo amatorium Dane medicamente fine berba , fine ullius
0 [ocr errors][ocr errors][ocr errors] er veneficæ carmine ; fi vis amari
, amau. :l Ed udite anche ciò, che dice S. Ago stino : Nulla est major ad
amorem in vitai tio , quam prævenire amando. Sem. E che le gioverà questo
reciproco amore , quando le cose domestiche andranno di male in peggio?
Pub. Assai più di quello , che voi credete; imperciocche quando sarà ac.
certata di questo reciproco amore, ed informata insieme dei disordini
domestici, in certe congiunture, che le donne fanno prendere, lo saprà con
dolci maniere ben'effa illuminare. f Sem. Ed illuminato , che fosse,
se non sarà capace di operare di vantaggio, a che gli potrà servire
? Pub. A molte cose ; imperciocche prenderà ben' ella un'alera simile
congiuntura, e ne otterrà ciò, che saprà bramare; che farà appunto il maneggio
dispotico della casa : e vi pare, che questo amore abbia operato poco a far. le
spuntare tanto dominio? Sem. E se glie lo negasse ? R Pube
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Non è
possibile, che ciò faccia, se pon farà più che inumano . Sem. E se fosse
? Pub. Allora converrebbe prendersi altre vie, senza però scemare punto
del suo cordiale affetto. Sem. Queste quali sarebbero ? Pub.
Essendo egli trascurato sarebbe cosa facile, che potesse la saggia donna
trovare qualche buon canale fecreto,da far penetrare a chi comanda lo stato,
nel qual li trova quella infelice casa. Sem. Basterà poi questo , per
farlo divenire applicato? Pub. Oh quanto opera tale istanzas fatta da
faggia, e pudica moglie ! si udirå all'improviso dichiarato unEconomo al
trascurato marito, e si verificherà in Jui il proverbio di Salomone : Qui
ftultus eft ferviat fapienti ; ò pure quell’al feruus fapiens dominabitur
stultis filiis : e recherà ammirazione, che non potrà penetrare, donde fia
provenuta tale istanza, non potendosi egli mai persuadere, che l'abbia
procurata la sofferentiffima moglie. Ed ecco rimediato a tutto
senza strepito, e concesa alcuna; non dovendosi a queste esporre le
fag- gie donne; conformc lo dimostra il la- crificio, che costumava
presso i gentili farsi 2 Giunone Dea delle nozze, cui non ardevano
già le vittime, alle quali non era stato prima levato il fiele,
eget- taro via , per denotare, che non deb- bano mai marito, e
moglie adirarsi in- fieme. - Sem. Qualche volta però è
riuscito alla moglie, che ha mostrato perto , di ottenere ciocche
voleva da suo marito. Pub. Sì bene dal marito prudente,mà non già
dall'imprudente , e vizioso . Santipre non averebbe già fatto fare a fuo modo ,
fe invece di Socrate foffe stato marito suo l'Ercolano, di cui parlammo ; e
ragionando noi ora de' mari. ti viziosi, e mogli saggie, nulla gioverebbe a
queste,il mostrare petto;anzi facendolo doverebbero cancellarsi dal
numero delle prudenti. mi Se fosse prodigo, come ella si [ocr errors]
dovrà contenere ? Pub. Oltre di amarlo, come si è detto di sopra, dovrà
guardarsi dal riprenderlo soverchiamente, e con modi aspri per non irritarlo
maggiormente; insegnando Plutarco, che l'austerità della donna dee, come quella
del vino , renderá giovevole, e grata , non già amara, e dispettosa, conforme
quella del. l'aloe. Sem. S'indurrà facilmente la moglie, per goder ella
ancora de' suoi fcialacqui, a non riprenderlo. Pub. Non è così ;
perciocche la donna faggia patisce fuori di modo, nel vedere dilapidarsi la
casa; anzi che procurerà di non goderli per quanto può, u fi conterrà nel
vestire pulita si, ma senza alcuna vanità; mostrando Plutarco, che l'unico mezo
per acquistarli la grazia del marito, fia la vita esemplare, lontana da cutte
le vanità superflue : cu quando il marito, la volefie forzare a far
diversamente, sarà capace di scusarfi con un santo pretesto di divozione,
dal [ocr errors][ocr errors] dal quale venga moffa a vestirsi di unj
abito votivo, cd accompagnerà ancor'a questo astinenze, ed orazioni, per
ottenere da Dio la grazia , che il marito fi ravvegga. Sem. E le ciò non
ostante, egli continuafle nella medelima forma , non sarebbe pur ineglio, che
godesse ancor essa, potendo in tal guisa dar gusto as suo marito? Pub.
Non lo farà essendo prudente; perciocche considererà , ch' essendo due a
dilapidare, più prestamente si darebbe fondo a tutto ; mentre due deAtrieri,
che concordemente corrono al precipizio, poco indugiano a cadervi; dove che,
quando uno di essi è refio, lo può ritardare di vantaggio. Sem. Sin ora
però non iscorgo riparo alcuno. Pub. E credere voi, che il marito ,
vedendola così ben composta, e così esemplare nella modestia, a lungo andare
non s'illumini? Quello esempio, çh'egli avrà continuamente avanti gli
[ocr errors][ocr errors][ocr errors] occhi, sarà di tanta efficacia , che
finalmente lo farà rayvedere : ed udite ciò, che dice Euripide a cale
proposito: Domiperdam etiam virum probibet UXOR Bona , ci
conjuncta , fervat domum. Mà meglio ancora apprenderete tal verità da S.
Crisostomo in Joan. Homil.60. Nil potentius muliere bona ad inftruendum, &
informandum virum, quodcumque voluerit : neque tam lenitèr amicos, neque,
magistros , neque Principes patietur, ut conjugem admonentem , atque
consulentem . Habet enim voluptatem. quamdam admonitio uxoria, cum plurimùm
amet, cui consulit. Multos poffums afferre viros asperos, immises per uxores mites
redditos, & manfuetos; ipfa enim mensa, lector. E conclude:fi prudens erit,
& diligens, omnes vincot. Sem. Tutto questo bene si potrà ottenere,
allorche avrà dilapidato ogni cosa; ed à che le potrà giovare l'effersi tanto
affaticata, allorche averà ricevu., to il colpo facade? Pub. [ocr
errors] Pub. Non è così, Sempronio ; perche se indugiass’egli molto à
ravvedersi, non già trascureranno i propri parenti ò pure colui, che
aveffe con autorità suprema a porgervi riparo, mossi dalla gran sofferenza della
saggia donna. Sem. Ma non sarebbe rimedio più speditivo, che intentasse
la donna il giudizio contro di esso, per farlo dichiarare dilapidatore?
Pub. Questo non farà mai chi è saggia; perche considererà molto bene, che dopo
un simile paffo non vi sarebbe più pace tra loro : e poi diciamola giusta, per
via di liti, se facesse il marito comparire, che in vece di effere
dilapidatore, fosse più costo economo, che cosa se li potrebbe fare ? sapete
pure, che i raggiri non mancano. Sem. Quale sarebbe dunque il rimedio per
ovviare fimil male , quando colle buone non si potesse ottenere ? Pub. Di
porre un'altra testa capace à governare bene la casa, in vece di quella, che
governava male, qual sarebbeappunto un'altro Economo, per fare verificare ciò,
che dispone l'Ecclesiaste: Servo fenfato liberi serviant . Sem. Io
bisogna, che parli, come la intendo: ho veduto alcuni Economi in breve tempo
arricchirsi con queste ainministrazioni; onde non vorrei, che simili economati
servissero di apparenza; mà che poi in sostanza le cose continuaffero nella
medesima forina ad andar male; con questa differenza solamente; che quello ,
che si deteriora, non apparisca, passando nascostamente in borsa dell'Economo;
il che mi perfuado , che possa esser'errore peggiore del primo ; mentre
facendolo il padrone confumerebbe il suo ; mà l'Economo fi apo
proprierebbe quello degli altri. Pub. E di quelli , che hanno
amministrato con ucile considerabile dell' economato, ne avete veduto
alcuno? Sem. Di questi ancora. Pub. E de' prodighi , chi avete
osservato, che non abbia dissipato tutto il fuo? Serg Sem. A
lungo andare niuno. meh Pube Or dunque complirà alla Repu blica, che vi
sia detto economato; e 1 particolarmente , se la moglie sarà pruI dente, e non
vorrà anch'essa approvece ciarsi di qualche cosa; nel qual caso i non potrà già
l'Economo fare dispotica mente a suo piacere, avendo ch’invigi li
attentamente alle sue operazioni : 0 i poi se questi si arricchiscano, ponno
far lo con altri impieghi onoratamente , essendo uomini di somma
abilità. Sem. Mà non sarebbe meglio, che separasse la sua dote, e
riconoscesse il fuo? Pub. Queste voci di mio, e tuo non sonavano bene
alle orecchie di Platone; e le detesta Plutarco in bocca delle mogli, volendo
che tanto il bene, quanto il inale sia comune tra efli: ed io credo, che questa
reciproca comunanzas fia molco vantaggiosa per il marito; pera che se la moglie
crederà per sue ancora tutte l'entrate della casa, non ispenderà con tanta
facilità queste in cose sus per: [ocr errors] perAue , essendo le
donne di natura tenacissiine nello spropiarsi del proprio. Sem. E se
foffe Avaro a quel segno, che per ingordigia di cumulare moltoro facesse
mancare il bisognevole alla moglie, ed a' suoi figliuoli ? Pub. Questo
non dovrebbe farsi, e da persone civili maggiormente, essendo padri di famiglia
; tanto per non dire a’figliuoli mal'esempio , quanto perche dee l'uomo civile
lasciare a posteri gloriosa memoria di se medesimo; questa non si acquista già
mediante l'oro viziosamente radunato; perche non sarà più suo dopo morte,
passando all' erede, per lo più prodigo, il dominio di effo, il quale
scialacquandolo ravviverà bensì l'ignominiosa memoria dell'Avaro, che lo
cumulò; dicendo ogn'uno allorche lo vedrà spendere malamente in bagordi ,
crapole, e luffi : vedere dove và l'oro dell'Avaro ? onde à che gli sarà
servito l'effere stato tiranno di se medesimo nel cumularlo, e che bei vantaggi
ne avrà riportato ? Quindi è, che non 0. non senza inistero
fà da un'ombra del suo inferno domandare il Dante all'Avaro. Dicci , che
'l sai, di che sapor è loro 3 Mec. Se l'avesse doinandato à Crasso,
averebbe risposto francamente, ch'era molto amaro amaro,
come dice il Petrarca. E vidi Ciro più di sangue avaro , Che Crafo
d'oro,e l'un, e l'altro n'ebbe Tunto alla fin, che a ciascun parves
amaro. Mec. Fu data una bella risposta à colui, che trovandosi presente
al sontuoGislimo funerale fatto dal figliuolo generoso al Padre zvaro, domandò
ad un suo amico : che averebbe detto il defonto se fosse risuscitato, ed avefle
veduti tanti lumi di cera ardere nel medesimo tempo, quando egli vivente, in
casa sua, non pocea Coffrire , che più di una lucer, na di olio ardeffe ; cui
rispose : nullas certamente, posciache tuito s'impic-. gherebbe in estinguere
prestamente col suo fiato quei lumi, affinche non li logoralsero di vantaggio;
ayerebbe bensi [ocr errors][ocr errors] mu mutato con sollecitudine
il testamento; perche tal generoso erede non gli sareb. be piaciuto. Sem.
Vorrei sapere, che dovrà fare la povera moglie, e come lo potrà amare,
trovandosi priva del bisognevole? Pub. Ciò non oftante conviene, che lo
ami, lo serva, e gli faccia tutte le maggiori finezze poslībili, con mostrarne
anche piacere de' suoi sordidi avanzi, fintanto che sarà divenuta padrona del
suo cuore per regolarlo à suo modo. Sem. E questo appunto egli
defidererà; mà in tanto la meschina patirà doppiamente, facendolo di
contragenio. Pub. Abbia un poco più di sofferenza; perche guadagnato ,
che avrà l'animo di esso, farà allora ciocche vuole, essendoci moltissimi
esempj di Avari fatti divenire anche prodighi dalle mogli; onde quanto sarà più
facile a renderli persuali, di dover fare le loro convenienze: Mec. Si
racconta dal Sabellico un ingegnosa maniera, della quale si servi ladem faggia
moglie di un Signore molto avatro. Questi per ammassare quantità im mensa
di oro, che si produceva dalle di miniere, scoperte nel suo dominio, tei nea
impiegati à tal opera tutti i conta dini, che coltivavano la tèrra ; e
perciò n'era nata grandissima carestia, per la quale correva pericolo di essere
tagliato in pezzi l'autore di essa, se las iaggia moglie colla sua prudenza non
lo aveffe illuminato. Questa dipoi di csferfi ben internata nel suo affetto fè
dan molti artefici formare coll'oro tante vivande, quante n'erano necessarie in
un sontuosislimo banchetto, e perfezionare segretamente che furono , invitò fuo
marito à definare nel suo appartamento, e portatovig rimase egli ammirara
allas prima, nel vedere quel sontuoso imbardimento di vivande, tutte di
oro, e fi persuadeva, che ciò fosse itato fatto per ; una.vaga prima comparsa ;
mà rimirane. do in appresso, che non compariva a'.tro, che oro in varie forme
di vivaride lavorato , le disse ; Signora ;, e quan do do verranno
le vivande da potersi mangiare ? Replicogli la moglie, che trovandosi tutti li
contadini applicati alle miniere , non si attendeva più à coltivare la terra ;
onde bisognava accomodarsi à mangiare oro, perche de' soliti comestibili già si
penuriavad affatto ; fi avvide egli del suo errore , e fe dismettere tal lavoro
per attendere à quello, ch'era più neceffario, e dopo piamente utile per la
conservazione del suo individuo. Sem. Essendo il marito scapestrato , che
cosa dovrà fare l'infelice moglie? Pub. Arinarsi di' una santa sofferenza
con amarlo più, che sia possibile . Sem. Maltrattando però anch' ellas
con fatti, econ parole; non sò, come potrà continuare ad amarlo, e
fopportarlo. Pub. Non potendosi cimentare seco la saggia moglie, non
potrà farne di meno; perche altrimentine anderebbe sempre di sotto ; come
accennò Ovidio nel secondo de' Fasti: Quid faciet? pugnet? Vincetur
fæmina pugnans • E parlando altrove d'Ipemnestra , le fe dire : Che
deggio io far del ferro? in che con viene Coll’armi una donzella 2 io più
conformi Ho le braccia , le man, la forza , ib cuore All'ago,
all'apo , alla conocchia, al fufo, Che all'armi crude, e bellicosi ferri
. Laonde sempre meglio farà à soffrire', 1 andandolo bensì illuminando a poco
ad poco con dolci modi, mediante i quali le fiere stesse depongono la
loro crudel. tà; e s'egli non averà un cuore più cru do di quello
delleone , non incrudelirà - certamente contro di essa, raccontando
Plinio di questo animale : ubi sævis, in viros, plus, quam in fæminas
fremeres 1 veluti natura eum docuerit mulieres mi tius, quam viros elle
tractandas. E for tuttavia perseverasse à rampognarla, si serva di
quell'avvertimento, che diero no [ocr errors] no i capitani di Ciro
ai suoi soldati : che venendo i loro inimici alla zuffa gridan. do , con
silenzio gli avessero accolti ; mà se tacendo, andassero efli ad inveftirli
gridando; dal che ne cavo Plutarco layvertimento, che debbano tacere le donne,
allorche vedono i mariti adiraci; quando sono mesti bensì debbano animarli, e
dar loro sollievo con affettuose, ed efficaci parole. Sem. Voglio
credere, che la moglie manierosa lo possa addolcire à fine, che seco non
contrasti; mà fuori di casa come lo potrà trattenere, che non prenda impegni di
duelli, ò di riffe ? Pub. Quello , che seguirà fuori di casa, essa non
potrà cercamente impedirlo, essendoche non dee andargli appreffo; lo domerà
bensì in questo caso qualcun'altro, perche vexatio dat intellecium ; onde
maltrattandolo qualcuno, ò effo altri, in ambidue i modi potrebbe mettere
giudizio; poiche, feri. ceverà, oh quanti mutano vita dopo di avere fofferta
qualche disgrazia confi. de. [merged small][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] derabile , e se offenderà altri, il gasti. go ancora, che
gli sovrasterà lo potrebu be far ravvederc . Mer. Hò conosciuto molti di
questi , che hanno perseverato qualche tempo nelle loro stravaganze, e poi si
sono domati, e particolarmente quei, che hanno sofferte considerabili
sventure. Pub. Alcuni di questi ancora si ravveggono allor , che
divengono padri di numerosa famiglia, crescendo loro il pensiero di provederla
, e particolarmente avendo molte figliuole ; onde non dee mai la saggia donna
disguItarsi con fimili mariti; dee bensì raccomandarli al Signore , che li
faccia ravvedere , ed abbandonando le vanità mondanc, attendere al governo
dellas sua casa più diligentemente, che sia poflibile. Sem. Essendo
giocatore, come dovrà regolarsi con esso lui ? converrà che lo seguiti
anch'essa per darli sodisfazione? Pub. Per andare in rovina prestamente,
cosi potrebbe fare.Sem. Forse che nò; perche tal volta perdendo uno, vincerebbe
l'altra, e maggiormente, che sogliono le donne vincere sempre ; onde potrebbero
andare le cose compensate, e senza veruno discapito. Pub. E se perdessero
ambidue, bella compensazione , che seguirebbe! Le donne possono vincere con
licurezza solamente quando si contentino di fares perdite maggiori,terminato il
giuoco, è prima di principiarlo; per altro sono anch'esse soggette alle
perdite. Mec. E curiofo,ciò che accadette una volta in mia presenza :
giocava un mio amico con una donna alquanto atrempata, ed avendo egli carte
superiori, io gli disli, che non le avesse scoperte, e fi foffe fatto vincere,
giocando con una donna. Questi mi rispose, che non las teneva più per donna
altrimenti, avendo passico li quaranta anni, mà bensì per uomo. Sem. Or
ditemi , che cosa debbas fare? Pub. [ocr errors][ocr errors] [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Amare, e sopportare il marito,
ed i suoi difetti. Sem. Questa è la solita canzona; mà intanto in una
notte potrebbe giocarsi tutto il suo; ed allora che le averebbe giovato
l'amare, ed il sopportare? I. Pub. Dite voi dunque ciò, che dovesse fare
per darvi più opportuno riparo . Sem. Diricorrere, farqi sentire con iftrepito,
per impedire, che non potefse più giocare. Pub. Oh bene ! É non sapete
voi, che nitimur in vetitum ; onde questo sarebbe à appunto il motivo di
fargliene venire maggior desiderio di prima ; e se avesse dismesso per lo
passato il giuoco à meza notte, di farglielo durare in avvenire sino à giorno,
per fare dispetto all'imprudente moglie. Sem. Mà che dovrà fare questa
infei lice donna? Pub. Non altro, che sofferire , ed amare, più che mai,
ed udite ciò, che dise S. Ambrogio Sec. Offic. Quid tam ino. [ocr
errors][ocr errors] S 2 S [ocr errors][ocr errors] inolitum , atque
impreffum affe Etibus humanis, quam, ut eum amare inducas in animum, à quo te
amari velis? Sem. Penurierà la casa del necessario, non si pagherà la
servitù, i debiti cresceranno, le tenure deterioreranno, anderà tutto da male
in peggio, e questo sarà appunto il frutto del soffrire , ed amare. Pub.
Forse , che lo schiamazzo della moglie, quantunque giugnesse à quel fegno
descritto da Virgilio: Fæmineum clamorem ad. cæli fidera's tollunt.
potrebbe dare riparo à tanti mali? certo che no, mentre, come dicemmo,
diverrebbero maggiori. A tal pro- en pofito cade in acconcio la risposta , che
diede il Re Filippo à coloro, che lo fti- dic molavano à muovere guerra ai
Greci, i quali beneficati da esso sparlavano della sua real persona, che fu
quefta : Quanto peggio farebbero , se fossimo nemici la loro ? Sem. Però
se io fosfi ne. suoi piedi, [ocr errors] non [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] non potrei essere così amoroso di un marito, che
procura di mandare la casa in malora. Pub. E che fareste dunque di
vantaggio? 50 Sem. Sei iniei parenti non mi volesseed ro dare
ricetto in casa loro , me ne sta rei in un appartamento separato , e pro.
1 curerei di non trattarlo più; perche, come si suol dire : occhio non
vede, cuor non duole. Pub. Sarebbe questa certamente una gran pazzia
conosciuta anche da Eui ripide per tale; mentre egli fa dire ad Giunone;
non esserci altro rimedio più opportuno , di questo, per riconciliare
gli animi, che il conversare insieme , dicendo: Ho disegnato
a lunghi lor contrasti Ho giammai di por fine con un modo
Segreto, e nuovo a lor, unırli insieme. i Onde qual vantaggio
riporterebbe dallo ftare lontana dal marito, e di abbandonare affatto il
letto nuzziale , fe non di eternare le discordie? e se non sapete,
che [ocr errors] S 3 che cosa guadagna la donna , con fare la
disgustata, udirelo da Salomone: Qui confundit domum fuam poffidebit ventos ;
onde fi ritroverà alla fine colle mani piene di vento, e questo sarebbe appunto
tutto il guadagno, che averebbe fatto. Mec. Io, che in mia gioventù sono
fato amico di qualche giocatore , il qual faceva grosse perdite , in occalione,
che taluno di effi mi riferiva le sue sventure, non potevo contenermi di non domandare,
se la sua moglie n'era consapevole, e mi dicea, non avere potuto farne diineno
di non palesargliele, allora, che dovendo fodisfare la grossa perdita già fatta
, gli era convenuto più volte chiedere le gioje, per impegnarle, non trovandosi
pronto il danaro; cui replicavo : che schiamazzi averà fatto ella trovandosi
doppiamente disgustata ; e rimaneva ammirato nell'udire, che qualcuna di effe
con prontezza grande glie le dava ; e di vantaggio mi riferiva, che non vi era
già pericolo, che la trovasse colcata, quando cornava quancunque avesse tardato
molto; anzi, che con faccia molto allegra li dava la buona sera, allorche lo
vedeva comparire; e mirallegravo seco dellas buona sorte, che godeva nelle sue
sventure, essendosi abbattuto in una sì prudente moglie; ne mi poteva
contenere, avendo seco confidenza, di non riprenderlo in tale occasione con
dirgli:c voi siete sì crudo, che non avete comparfione di farla ogni sera tanto
parire: troppo fo, mi dicea egli ; perche se non pensasli ad essa talvolta, che
mi trovo sotto nel giuoco,chi sà quando lo avessi terminato, e che perdita
maggiore avessi fatto ; allicurandomi inoltre che di tanti incomodi, che le
aveva recati , ne averebbe avuta viva rimembranzada à suo tempo, per farla
godere, se soprayiyeva ad esso, pensando di lasciarlas erede, non avendo
figliuoli; conforme appunto è seguito ; onde la sua sofferen· za , fu
alla fine rimunerata . Sem. Ed in quei giocatori, che avevano le mogli
risentite, vi siete mai abbattuto? Mec. [ocr errors] S4 Mec.
In questi ancora, e domandan. do loro, che dicevano le mogli allorche sapevano
le loro grosse perdite, vi fu tra questi chi in tal guisa mi rispose : il
maggiore tormento, che io abbia allorche fo qualche groffa perdita è di vedere
inviperita mia moglie, cui chiedendo le gioje, per impegnarle, me le hà sempre
negate ; mà io l'hò mortificata con vendere altre cose, ch'erano di sua somma
fodisfazione ; affinche conoscesse, che io era il padrone. Pub. Vedere
dunque , Sempronio , quanto sia meglio soffrire in questi casi, che fare
risentimento; e voi Mecenate, di grazia cessate di dir male più delle donne,
avendo confeffato, che vene sono delle prudenti ancora . Mec. Sono però
queste di fimile natura rariffime, non contentandosi per lo più le mogli di
farli impegnare le gioje, e particolarmente à sodisfare per le perdite fatte
nel giuoco . Sem. Come debbonsi le mogli regolare, quando scorgogo i
mariti diviati a Pub [ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr
errors] mente, Pub. In niuna altra occasione si conosi sce meglio
la donna saggia , quanto in fi questa ; imperciocche le tocca sul più 1 vivo;
onde doverà adoperarvi cutta la prudenza poffibile per divertirlo. Sine
tanto, che il fatto sarà secreto, non dee darsene per intesa; e se taluna lv
rapportasse , che viene tradita da fuo marito , dee ella replicarle con
risentimento: ch'egli l'ama , e crede ferma che per questa cagione non le
possa fare un simile torto, dee però servirsi dell'avviso, per rincontrare
dalle mutazioni , che scorgesse in lui , tanto nell'affetto, quanto nella stima
verso di lei, se debba prestarle fede. Sem. Doverà dunque lasciar correre
trascuratamente, senza darci riparo , male fi considerabile, una donna in
particolare, che non gli da occasione alcuna di farle simile torto? Pub.
Ho udito dire da' Medici, che ci siano alcuni rimedi , che sono peggiori del
male, al quale si applicano ; onde non vorrei, che questo fosse uno di
quelli; palesatemi dunque voi qual credereste in questo caso essere il suo ri.
medio più valido , quando non vi piacciano i più beoigni . Sem. Di
fuggirsene immediatamente in casa de' suoi genitori, con animo di non tornare
più da suo marito. Pub. Questo appunto sarebbe uno di quei peffimi
rimedi, posciacche dandofegli campo libero in avvenire di fare, ciò, che vuole,
accrescerebbe non folamente il male antico, mà ne produrrebbe, anche degli
altri, che sono las totale discordia conjugale, ed il divul. garsi da pertutto
ciò, che non è bene, venga publicato. Sem. Che cosa dunque ella dovrà
fa , per non morire accorata , dimorando in casa del marito ? Pub.
Conyerrebbe , in questo caso principalmente , ch'ella ben apprendesse quel
consiglio dato da Platone as Zenocrate, qual fù : che sacrificate alle grazie ,
per essere più avvenente, che per lo passato ; e così con dolci manie.
re [ocr errors][ocr errors][ocr errors] re [ocr errors][ocr errors]
re potrebbe facilmente conciliarsi il suo affetto ; dicendo Salomone che:
Mulier gratiofa invenit gloriam. E quali debbano essere queste dolci maniere ;
non occorre, che mi diffonda per istruirne le donne, cfsendone di effe maestre:
diro solamente, che se la palma, ch'è un albero insensato arriva, come vuole
Plinio, à piegarsi, allorche stà vicino alla sua palma femina , volete , che il
marito ancora non si renda alle piacevoli maniere di una saggia moglie? Fu
interogata Livia Drufilla da una Dama, perche faceva fare ad Augusto marito suo
ciò, ch'ella volea ; così rispores : perche fo volentieri quello, che io
conosco essere di Cesare in piacere, e non ricerco i fatti suoi , come racconta
Dio. ne. Sem. E se faceffe praticare per casas una sua qualche
donna Atraniera, come la potrà tollerare ? Pub. Anzi la dee, per non
irritare maggiormente l'animo di suo marito, e farle corresie ancora, mostrando
di non essere consapevole di cosa alcuna ; conforme appunto fè Terzia Emilia
moglie del maggiore Affricano, la quale, non solament’egli vivente, diffimulò
di fapere, che suo marito amaya una fuas schiava, mà dopo la morte di
esso las fè libera, e la diede per moglie ad un suo liberto ; come racconta
Valerio Massimo. Ed Omero riferisce di vantaggio, che la moglie di Antenore
aveffe egual cura di un figliuolo fpurio di esso, di quello , che avea de
proprj, per non disgustarfi suo marito. Plutarco ancora racconta nel libro
delle donne illuftri, che Stratonica si prendesse il pensiero di educare bene i
figliuoli di Dejotaro suo marito, quantunque forsero nati da Elettra sua
serya : oltre poi quello, che dice la facra Genefi di Sara, ė di Rebech ab 16.
& 30. Sem. Questo però non lo porrà mai fare una moglie di spirito ;
non potendo questa soffrire un simile torto . Pub. Quefte, che hò
riferite , avevano spirito, cprudenza; ne mi persua [ocr errors][ocr
errors][merged small][merged small][ocr errors] deco, [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] derò, che possiate darvi à credere , che - Olimpia madre di
Alessandro il Grande lie non avesse spirito, e pure questa , venendole
rapportato, che Filippo suo marito era talmente invaghito di una giovine di
Teslaglia, che si credea communemente, foffe ammaliato ; volle conon scerla ,
ed appena veduta, che l'ebbe le disse : Tecum enim philtra babes, quanto mai le
parve bella ! e non fu questa picciola finezza il dire ad una sua rivale, che
rapiva il cuore di tuti. Mec. Io so, che alcuna di queste per aver
ricevute.cortesie obbliganti dalle saggie mogli, sono fervite di mezane , per
riconciliare l'affetto era effe,e i loro mariti : altre poi, che hanno ricevuto
strapazzi,sono state cagione di odj mag. giori tra essi ; onde seinpre hà
giovato alle mogli saggic, di non inafprire maggiormente la piaga con
irritarla. Pub. Un'ottimo ammaestraméto vien dato à queste da Plutarco,
ed è di non allontanarsi mai dal marito, perche facenda altrimenti, la rivale
diverrà af for [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors]
soluta padrona, non solamente del letto mà ancora della casa tutta, Sem.
Mà durerà sempre questo disordine ? Pub. Non durerà, perche la prudente
moglie saprà vincere col tempo las violenza dell'altra, come ben cspreffe Ofeo
Poeta : Capitur ergo ab infirmis celer, Aquilamque brevi testudo
vincit. E la testuggine appunto, essendo Gimbolo della donna onefta, non
recherà maraviglia, se questa ancora frenerà il volo dell'aquila, con aspettare
però l'occafione opportuna, la quale potrebbe essere, allorche li fa dimora in
villas, ove l'amica non fosse presente; ed il maggiore argomento che potesse
addurre per allontanarlo dall'amore impudico, sarebbe appunto di fargli
conoscere colle buone, il cattivo esempio, che ne prendono i figliuoli; con insinuargli
ancora,per giuoco,quel detto di una pudica donna, tratta å forza dal Re
Filippo: deh lasciami andare, gli disse, per [merged small][ocr
errors][merged small][merged small][ocr errors][ocr errors] na , Il che
tutte le donne , portata via la lucer sono simili ; mà se poi imitasse *
quella prudenre Gentildonna Sicilianad di cui fa menzione Lodovico Vives,
nel *' lib. 2. de Christiana fæmina , quanto mai u lo renderebbe à se
affezionato? Questas andava osservando ciò , che facevano i servitori, che
fosse al padrone marito suo più grato, e quello ella facea di sua mano
studiosamente; se bene talora con estrema fatica fua, quello poi , ch'era di
meno travaglio, fatica, e noja, comandaya à servitori. Sem. Mà quando non
fosse deviato altrove il marito, che cosa porrà fare la i donna savia , à fine,
che non ecceda con i essa lei in pregiudizio della propria falute ? Pub.
La saggia donna non dovrà mostrarsi renitente à fodisfare le brame di E fuo
marito ; ben è vero però, che dee'as 1 poco a poco, andargli dolceinente
infio nuando il danno, che potrebbe appor tare l'immoderata frequenza
degli arti conjugali , potendogli questi abbrevia Per que .
re anco la vita con danni notabili della sua famiglia ; e starà ben ella
circospet- ta nell'ordinare vivande, calorose per la mensa, ed
ancora nel tenerlo lonta- no dallo frequente uso del cioccolato,
erosolì. Crescere res poset nimiùm damnofa
libido. Come vuole Ovidio . Sem. Prometteste, Dottore, di mo. strarmi
sino à che segno poffa giugnere l'uomo in pagare il debito matrimoniale senza
discapito della propria salute. Med. Epicuro, Democrito , Averroe, ed
altri Filosofi ancora credettero, che sempre sia molto dannoso l'uso venerco :
Altri poi lo credono solamente, allora, ch'eccede i limiti dell'onesto.
Sem. Or io non voglio andare cercando malanni ; per battere al sicuro mi
contento starmene senza prendere moglie ; perche la propria salute mi dee
premere molto più della moglie. Med. Ditemi di grazia , Sempronio, senza
andare in collera : Voi che avete fpiriti generosi, fe venisse un
esercitoDell'Elezione della Mog. 289 per distruggere la vostra patria, per
salvare la propria vita, abbandonereste la difesa di essa é o pure vi porreste
ad evidente pericolo di morte per difenderla ? Sem. Sarei un gran
codardo, quando l'abbandonaffi; dovendo per sua difesa porre à pericolo la vita
con tutte le mie sostanze Meda E per conservare la vostra specie, la
quale può difenderla ne' suoi bisogni, perche ricusate di farlo? non ponendo
già ad evidente pericolo, nè vita , nè roba , contenendovi dentro i limiti
della moderazione, esponendovi in tal caso solamente à pericolo di soffrire
qualche moderato, e breve disaggio: e se voftro Padre fosse stato di questo
sentimento come farefte voi [ocr errors][ocr errors][ocr errors]
naro ? Sem. Converrà dunque farlo ; mind u questa moderazione nell'uso
venereo, in che doverà confiftere? Med. Primieramente in fuggirlo più,
che sarà possibile la state: dicendo Cel. co 10, aftate in fptum, fi fieri
poteft, abftinen. , dum ; e nell'autunno dice : neque autumno
utilis venus eft ; nel rimanente poi dell'anno non abufandovene sarà sempre
meglio per voi, Sem. Mà da che potrò comprendere tale abuso? Med.
Dalla stanchezza, che riceverete dopo di esso, perseverando questa, per qualche
tempo, nella forina , che descriffe Ovidio di averla osservata in un amante
Vidi ego cum foribus laljus prodiret amator Invalidum referens ;
emeritumques latus, Sem. E cadendo io in questo, che rimedio averò da
praticare? Med. Aftenervene per qualche tempo, dicendo Virgilio nella
Georgica; Nulla magis vires industria firmat Quam Venerem, cæci fimulos
aver tere Amoris, E di questo niuno meglio, che voi ne potrà essere
giudice s purche sia la voItra mente libera, e non preoccupatas
dall [ocr errors] [ocr errors] dall' estro libidinoso . Şem. E per
fuggire questo, qual ri# medio sarebbe opportuno ? Med, Il vitto
moderato, e la moglie - favia sono i veri antidoti per indurre moderazione
nelli cimenti di venere. Pub. Vedere dunque , Sempronio, quanto possa
giovare una saggia donnas nel fare prolungar la vita à suo marito ? prendetelo
dunque à buon fine, quan do la vostra moglie vi frenaffe in que1 fto,
facendolo per noftro bene. Met. Or io non vorrei starmene raffi, dato
alle donne sopra di ciò; perche affai di rado fi riceverebbe da effe tale
beneficenza;vorrei più tosto prendere l'efeinpio dai bruti, i quali , toltone
quei tempi prefisli loro dalla natura, non si ac. costano più alle
femine, nè tampoco ef: se appetiscono i maschi; ed udite come lo conobbe
bene Democrito riferito , Dottore, dal vostro Ippocrate nellas u lectera
scritta à Damageto; Anniversa riorum temporum ordo, brutis quidem
danimantibus coitus finem adfert , homo T2 verò [ocr errors]
[ocr errors] verò infano libidinis stimulo continenter agitatur. Sem.
Dandosi il caso, che il marito fosse impotente, ne viverà contristatas la
povera moglie di questo? Pub. Prescindendo dal rammarico, che averà,
trovandosi priva di figliuoli, credetemi , ch'essendo prudente, non fi prendera
di ciò fastidio alcuno;perche considererà ben'ella, che quel momentaneo diletto
è compensato da molti altri tormenti, che îi soffrono, non solamente nelle
cattive gravidanze, e laboriofi parti , mà quello, ch'è di travaglio maggiore,
nell'educar beoe i figliuoli , de' quali taluno alle volte riesce scapestrato
laonde se rifletterà à ciò che dice l’Ecclefiaftico al 16, Utile eft mori fine
filiis quam impios habere, aidarà pace essendo priva di elli. Sem. Io
conoseo alcune di queste sterili, che non fanno alcro, che sospirare; eso che
volentieri introdurrebbero il giudizio del divorzio. Pub. Ed io conosco più di
una di que [ocr errors] 2 fte, fte, che si
trovano nella medefima nave, le quali stanno contentiflime, e pensano
perseverare col suo marito fino allas morte, quantunque sia impotente. E forse
credono quelle , che il tentare questo divorzio sia qualche delizioso
divertimento ? Sappiano, che converrà loro esporsi à prove, e recognizioni ,
che danno molto da cicalare per tutta la citrà. Ed inoltre, facendo ciò,
mostreranno ancora di essere libidinose,deliderando avere più validi
mariti. Sem. Mà coine ci potrà essere pace i tra simili conjugi?
Pub. Se la moglie sarà prudente, non i ci sarà discordia alcuna ; perche vedenÛ
dofi il marito così impotente, procurerà per altre vie divertirla , se
non fürà del tutto disamorato. Sem. Mi persuado , che poco averà ·
da dolerâi la moglie del marito goloso , * quando però faccia anche ad essa
gufta10 re qualche delicata viyanda? Pub. Non è così; perche la donnas
prudente di questo fi rammarica al parodi tutti gli altri difetti, essendo che
fis mile vizio persevera per lo più fino allas morte ; onde con facilità grande
può far impoverire; conforme si legge nell' Ecclesiastico al 21. Qui diligit
epulas in egeftate erit, qui amat vinum, Q pin. guia non ditabitur . Oltre poi
imali, che suole apportare alla salute. Sem. Mà comc ci potrà dare
rimedio ? Pub. Conosco anch'io, che farà cola difficile il poterlo
affatto rimuovere, mà la prudenza, e l'ingegno donnesco potranno darvi bensì
qualche riparo , con guadagnarsi l'affetto del suo marito, il quale acquistato,
se le réderà à poco à poco facile à titolo di sanità, d'introdura, re qualche
moderazione ia effo : avvertali però, che la servitù rimanga in qual. À che
parte compensata di quegli avanzi della mensa , de' quali soleva partici- ;
parne, altrimenti questa per tal cagione sarà capace suscitare discordie traefo
sa, e suo marito, con inventare infinite menzogne, Sem. 11
[ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] Sem, Ed abbattendosi con
mariti di la mente debole, come hanno da fare per di rimuovere dalla loro
grazia certi servis I tori favoriti, che li dominano ? Pub. La donna, che
colla sua pru. denza può giugnere à rimuovere dal cuore di suo marito caluna,
che lo porfedeya indebitamente, con quanta facilità maggiore potrà allontanare
questi,quando voglia abusarli della dilui grazia ; ed in ciò non occorre
istruirla di vantaggio, essendone espertissimas; basterà solamente accennarle ,
che faccia passaggio delle cose leggiere, e nelle gravi norf operi con violenza
grande, per non porlo in impegno di sostenerlo ; mà venendo l'occasione
opportuna in qualche fuo trascorso rilevante, gli faccia conoscere , ch'ella
non opera per passione, ma bensì per suoi vantaggi. Sem. E se aveffe
anche la Suocera cartiva , la quale consigliaffe suo figliuolo à Itrapazzarla ,
che cosa doverà fare? Pub. Di sopportarla , amarla , erispettarla , come
costuma fare con fuo [ocr errors] [ocr errors] marito ; perche non nascono
già per altra cagione le discordie tra suocera, u nuora , che dalla gelosia ,
che hanno le madri , che i figliuoli amino più le mogli ch'esse, da cui
ricevettero l'efsere Sem. Mà se ciò non ostante continuarse à fare il
medesimo, non sarebbe me. glio di metterla in discredito appresso il figliuolo,
à fine che non le desse più credenza ? Pub. Questo non dee fare la donna
saggia'; dee bensì riflettere à ciò, che, fi costumava nella città di Lepidi in
Affrica per meglio imparare à soffrire. Racconta Plutarco, che ivi era
costu che nel giorno seguente alle nozze la sposa mandasse à domandare
alla suocera una pentola, la quale le venivad negara ; e questo si facev'à fine
che, non G sdegnafre, le in avvenire le avesse negato alcuna cosa. Sem. Converrebbe
ora discorrere fopra le stravaganze grandi, che nascono tra i marişi çattivi,
cle mogli peffime , [ocr errors][ocr errors] me , [ocr
errors][merged small] Pub, [ocr errors] Pub. Non è certamente neceffario
parlarne ; posciacche, à chi darebbes l'aniino di consigliare costoro, che sono
incapaci di ragione ? Bisogna, che tra loro si aggiustino, e fogliono per lo'.
più essere concordi', perche niuno di loro può rinfacciare all'altro i difetti,
elsendone ambidue colmi . Il danno è bensì de' poveri figliuoli , che non si
educano bene, tanto per l'esempio cattivo, che danno loro, quanto per la
direzione, della quale eli penuriano : ben è vero però, che quando questi li
avanzano alle discordie', non effendoci mezo capace à poterli più riconciliare
tra loro, solamente l'autorità del prencipe può impedire le rovine maggiori che
possono nascere per i dilapidamenti delle loro sostanze, 'à fine și non vedea
ce mendichi i loro discendenti. Sem.Sarebbe però un vantaggio grande, che
tutti i mariti catrivi prendesse. ro mogli (imili ad essi ; perche alloran per
i buoni rimarrebbero le buone solamente. Pub. Pub. Succede
frequentemente così , essendo questi portati dal loro genio ad amare simili ad
essi, secondo il pro-. verbia : aqualis æqualem delectat, ý semper à fimili
fimile amatur. Il che viene confermato dal Nazianzeno , di. cendo: Pulli
quidem pullis amici , coruique corvis , [ocr errors] Et furnis
sturni , puro autem pretiofus. eft purus : Meglio però di tutti l'insegna
l’Ecclesiaste: Diligit fimile fibi , dow omnis homo fimilem fibi, omnis caro ad
fimilem fibi conjungitur, omnis homo fimili sui sociabitur. Onde se accaderà,
che una catciva giovane prenda un buon marito non sarà già di sua volontà, mà
verrà bensì sforzata da' parenti à farlo, e das quefto nc nascerà quello
appunto, che, dice l'Ecclefiaftico al 26. Mulieris ira , o irreverentia , &
confufio magna: on- ; de guai à chi toccherà limile infortunio. ; Sem. Mà
che potrebbe fare chi li trovafle in simili miserie?Pub. Di prevalersi di
quest' ottimo consiglio, riferito.da Gel. in Sat.Menip. Vitium uxoris's aut
tollendum , aut ferens dum ; perche : Qui tollit vitium, uxorem commodiorem
præftat , qui ferte se fe meliorem facit. Sem. E cui riuscì il potere far
questo in core rilevanti ? Pub. Tra gli altri à Socrate; come ris ferisce
Plutar.de Choib. ira: il quale avendo seco à defináre Euridemo, quando nel
meglio si alzò in piedi Sancippe , e dopo di avere caricato di villanie socrate
roversciò la tavola in terra; onde Euridemo si alzò in piedi addolorato per
partirli; cui Socrate disse con gran Aemma: non accadè poco innanzi in casa
tua, che una gallina yolando fece l' isteffo ? e pure niuno vi fu , che li
contriftaffe disinile avvenimento; perche dunque voi ora lo fate 2 Sem.
Non si è parlato Gin'ora, come fì abbiano da regolare le povere donne per
iscegliersi un buon marito Pub. Nom dçe la donna sceglierli as suo
suo compiacimento il marito; mà bensì riceverlo da' suoi più congiunti, e di
questo ne parleremo nell'educazione de' figliuoli, mostrando le diligenze, che
doveranno farg da' padri å fine di provederle bene. Sem. Spererei di
sapere scegliere las moglie, ora che ini trovo in ciò istruito; mà sposata che
l'avefli mi troverei intricato nell'educare i figliuoli, quando Iddio me li
concedeffe, non avendo ancor appreso à bastanza il modo das regolarmi per bene
diriggerli. Pub. Nella seguente Decade tratteremo di questo. [ocr
errors][merged small] Sopra l'educazione morale de' figliuoli CONFERENZA
PRIMA Nella quale si mostra, che cosa sia educazione, cui appartenga più
di ogni altro; e se sia necessario luogo particolare,ove
debba farsi. Sempronio , Publio , Mecenate e Medico.
[ocr errors] Sem. N che consiste l'edu-. cazione? Pub. Nello
svellere da gli animi de' tcneri figliuoli tutti quei vizi, che
spontaneamente germogliano in elli, e nell inestarvi in loro vece i preziosi
gerini delle virtù ; effepdoche, come ben'er preffe Virgilio nella
Georgica parlando degl'innesti ; Pomaque degenerant , fuccos oblita
priores, sem. Come! in noi spontaneamente nascono i vizj! Pub. Non
è da dubitarnę mentre nascono molti vizj con noi medesimi insę. gnandoci il
Profeta : Ecce enim in iniqui, tatibus conceptus fum ; du in peccatis concepit
me mater mea; verità conosciutas, anche da' gentili ; posciacche Orazio così
scriffe: Nam vitiis nemo finè nafcitur. Optimus Qui minimis ur
getur . E Democrito, che ; totus homo ab ipfo are fu'morbus eft ; ed inoltre,
che secondo l'età in noi germogliano i vizi propri di effe, i quali se non
saranno a tempo dçbito estirpaţi, quei della puerizia fivedranno adulti nelle
altre età; ma vie peggio ancora, che vedo verificarsi ciò che diffe Orazio
nell'Odę 6. lib.3. cioè i Ætas parentum pejor avis tulit Nos
nequiores, mox daturos Pro ille eft, Sopra l'educ. de
figliuoli. 303 Progeniem vitiofiorem , E da ciò comprenderece à che segno debba
essere ora l'educazione più esatta di prima. Mec. Ed io che soglio
conversare spesso co' miei amici ho veduto più di una volta, in occasione, che
questi as. pertavano qualche visita di soggezione, verificarli ciò, che dice
Giovenale nella satira 14, Hofpite ventura ceffabit nemo tuorum ;
Verre pavimentum, nitidas oftende co- lumnas,
Arida cum tota defcendat aranea tela, Hic lavet argentum, vasa aspera
fer- geat alter, Vox domini fremit inftantis, virgam.
que tenensis. Ergo mifer trepidas ne stercore fæda cao ning Atria
difpliceans oculos veniensis amici, Ne perfufa luto fit porticus, tamen
uno Semodio foobis , her emendat fervulusE quel ch'è peggio ancora , che
vedo verificarli appresso alcuni ciò, che se gue : 14 [ocr
errors][ocr errors] Illud non agitas, ne sanctam filius
omni. Afpiciat fine labe domum, vitioqae ca-
rentem, Sem. Vi concorre altro alla cattivas 90 Educazione,
che la trascuraggine ulata in non eftirpare à tempo debito gli ac GE cennati
difetti Pub. Potrebbero anche renderla peg el gior e i cattivi esempj
dati a' figliuoli, luz dicendo Giovenale nell'accennata satira. Sic
natura jubet velociùs, du citiùs nos Corumpunt vitiorum exempla
domeftica magnis Cum subeant animos
auctoribus . Quali cattivi esempi potrebbero a’proprj accrescere gli altrui
difetti . Sem. Mà come possono essere capaci in di cattivi esempi i
teneri fanciulli non distinguendo questi ancora il bene dal male?
Pub. [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Dice Plutarco
nell'educazione de' figliuoli, che s'imprimono gli ammaestramenti in elli
conforme appunta fanno nella cerà molle i sugelli, e che perciò il divino
Platone saggiamente avertisce le balie à non raccontare loro favole di
ogni sorta , mà solamente u quelle, che ponno essere giovevoli al buon
costume;confermandoci ciò S.Ba, filio, il quale, scrivendo à quei
dellas città di Neocesarea , confessò loro di ellere debitore di
una buona parte della sua divozione alla nutrice, la quale,non
perdendo mai alcun sermone di S. Gre. gorio, li serviva di molti belli
derti uditi da esso in tutte le congiuntùre, che se le presentavano
per imprimnerglieli benc nel cuore ancora tenero ; laonde saggia-
mente diffe Focilide : Mentre fanciullo lei, virtute impara
, Ma oltre il malesempio', pregiudicano anche ad elli molto le
carrive insinua. zioni, Sem. Ma questi mali esempi non sa.
ranno dati già loro dai genitori, quants [ocr errors] 3 ci
[ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] cunque fossero
viziosi; perche vediamo i ciechi desiderare i figliuoli bene illuminati, ed i
zoppi, che questi liano liberi, e spediti al moto: ne tampoco infinueranno loro
cose cattive. Pub. Così appunto dovrebb’essere, e pure ciò non liegue ;
posciache alcuni hanno voluto insinuare à i loro figliuoJini l'invecchiati
difetti da' quali esli erano contaminaci. Vi furono due di questi, di cui fa
menzione Enea Silvio libr. 1. comment.; che dediti all'ubriachezza procuravano
, appena slactati ch'erano i loro figliuoli, di affuefarli al vino facendone
gustare loro de' più generofi, che si trovassero; ed uno fti, persuadendosi ,
che non averle il suo figliuolo bastantemente bevuto vino di giorno, volle di
notte, in tempo chc dormiva,farglielo ingojare con un cannellino; mà perche
sonnacchioso corceva la bocca ingiuriò aspramente las moglie ; dicendole, che
non era suo fi. gliuolo legittimo, per non affomigliarsi ad esso, cui tanto
piaceva il vino. E vi [ocr errors] ed uno di que [merged small][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] re [ocr errors] recherà
orrore il sentire di vantaggio bu quello, che riferisce S. Gregorio di un li
esecrando bestemmiatore il quale ingi nuava ad un suo figliuolino di
cinque anni di ritrovare bestemmie anche infoJite, e riferisce ancora il
gastigo , che da Dio ricevette per sì detestabile dclitro, Mec. Mà senz'
and are cercando gli antichi esempi ; non ci è stato à giorni noftri un Padre,
che premiava de' suoi figliuoli quello, che cimentandoli co i suoi
fratelli, rimaneya vittorioso nel d fare à pugni ? cosa tanto crudele ,
che non fi racconta già praticata da Gladiatori Romani tra fratelli, Sem.
Le Madri però non saranno state così perverse nel mal'educarli, Pub.
Queste ancora sono state colpevoli di ciò; scrivendosi di Draomirad, :
Principessa molto vana, che per colpa fua diveniffe Boleslao parricida, e
fratricida ; dove che il fratello Vinceslao educato da Ludimilla sua ava
molto fagi gia, e pia divenne un Sanco , come nela [ocr errors] [ocr
errors][ocr errors][merged small] la sua vita si riferisce; e da ciò
comprendere quanco di profitto apporti la buona educazione. Mec. Questo
non è da porfi in dubio, scorgendoli anche ne bruti profittevole; mentre
racconta Plutarco, che Licur. go per fare conoscere tal verità a? Spartani fè
comparire due cani , uno de quali era avvezzato per la caccia, e l'altro,
dedito in tutto alla sua naturale inclinazione, non attendeva ad altro, che à
leccare pentole di cucina, e nel mede: simo tempo à vista loro fè portare anche
una lepre, ed un carino di broda : nel vedere il primo fuggire la lepre li pose
a seguirla ; e l'altro se ne andò verso il catino; soggiungendo egli
a’Spartani: così faranno appunto i vostri figliuoli ancora , se saranno, ò nò
istruiti. Quindi è che avendo Tolomeo Re di Egitto domandato ad un Savio quale
foffe las negligenza maggiore, che regnava tra gli uomini, egli prontamente
rispore : ch'era la trascuragginc nell'educare i figliuoli, mercecche da questa
infinitimali ne potevano nascere: Sem. Mà à chi dev'essere più à cuore
questa educazione? Pub. A coloro, cui dev'essa maggiormente premere, che
sono i genitori, e questi debbono con industriose, e diligenti manière
spogliarli d'ogni difetto, e d'andare ne i loro teneri cuori giornalmente
istillando il prezioso liy quore delle virtù, senza desistere mai;
essendoche, come avvertì Plutarco questa voce costume , pronunziata in lingua
Greca, significa anche continuo esercizio, onde da ciò si può comprendere che
non ci vuole trascuraggine nell'educare i figliuoli. Riferisce Orazio Flacco,
le diligenze in ciò usate da suo padre; verso di lui lib. 1. Sat. 6. che
furono. Sed puerum est ausus Romam portare docendum; Ipfe mihi cuftos
incorruptiffimus omnes Circum doctores aderat , quid mulia? pudicum, Qui
primus virtutis bonos , fervavit ab omni Non 11 [ocr errors]
V 3 [ocr errors][merged small] Non folùm facto verùm opprobrio quo
que furpi. Santamente dunque ordina Salomone ne' suoi proverbj : erudi filium
tuum , do refrigerabit te, & dabit delicias anime tudo Sem. Mà le
saranno i Padri talmente occupati, che non abbiano tempo das poterlo
fare? Pub. Se averanno occupazioni più riLevanti di questa, saranno
compatiti, caso che nò, sono tenuti di farlo, e non facendolo meritano la
riprensione del vecchio Crate,qual disse;contro costoro: Dove andate meschini,
d voi, che nel cercare di farvi ricchi movete ogni pietra; e nondimeno de'
voftri figliuoli, a' quali lieto per lasciare le vostre facoltà, vi prendere
poco pensiero ; al che sog. giugne Plutarco, che questi operano in quella
maniera, come se alcuno governaffe bene le sue scarpe, e de i piedi non fi
curaffe punto. Or ditemi di grazias qual potrà essere l'occupazione più
riguardevole di questa ? Sem. [ocr errors][ocr errors] [ocr errors]
Sem. I publici affari, per esempio, oltre il decoro personale, i quali ricer.
cano somma attenzione, e si può dalli buona amininistrazione di questi
ricavarne molta gloria, e molto lustro, vantaggiosi ai figliuoli ancora,
onde perciò non potranno distrarsi per educarli bene. Pub. E questo
lustro, e gloria se si estingueffe nc'figliuoli mal educati qual i
acquisto averebbero fatto i Padri? Gli Ateniesi nelle feste di Cerere
faceano un misterioso giuoco, ed era , che comparivano avanti l'alcare quei
destinati ad effo à prendere ivi un luine acceso, qual dovea porgersi ad
un'altro , che in una decerininaca distanza lo stava aspettando, per
consegnarlo ancor esso ad altri, che in egual lontananza lo atrendevano: se il
detto lume si foss' estinto prima di giugnere all'ultima mera , era in libertà
di ogni uno beffeggiare colui in inani di cui si estinguěya. E Platone fu di
se. timento nelle sue leggi, che : gignentes, alentes liberos vitam
tanquam 1 [ocr errors] lampada alii aliis tradunt. Or figuratevi
ancor voi, che questo splendore, che voi dite debba passare ne' posteri; come
rimarrebbe colui , che per la sua malas educazione lo estingueffe ? in che
ludibrj egli li troverebbe venendo da tutti, beffeggiato ? e sapendosi, che vi
ebbe colp’anche la poca applicazione del padre in educarli, dirà facilmente
qualcuno : quanto era meglio un poco meno di luftro, mà più durevole nella sua
descendenza. Mec. Da questo dunque procederà, che alcuni figliuoli di uomini
illustri sono di costumi tanto diversi da efli , che pajono più tosto nati dal
disonore, averanno quelli facilmente difefcato nell' educarli. Pub.
Plutarco ne adduce ancora un alıra cagione credendo egli che i fi. gliuoli
degli uomini illustri divengano facilmente superbi, ed arroganci; e lo comprova
coll'esempio di Diofanto figliuolo di Temistocle, il quale solevas, dire ne
cerchi, che tutto ciò, che li fos se [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][merged small] se piaciuto sarebbe anco al popolo d'A. tene piaciuto;
perche quello , che voleva egli voleva la inadre; e quello che la madre
Temistocie, e quello che Temistocle anco tutti gli Ateniefi. Sem. Credo
però , che più comparibili polfano essere le Madri se diferteranno in deira
educazione, essendoche alcune di esse hanno impiegato turte le ore del giorno
in adornarli, in ricevere, ò fare visite, in passeggi , ò conversazioni;
talmente che pochissimo tempo potrebbe rimanere loro di badare a'
figliuoli,quando non foffero diftrarte an. che nel giuoco . Pub. Già sono
capace, che premono oggidi ad alcune più i divertimenti, che i propri
figliuoli. E vi pare, Sempronio, che debbanli queste scusare? Non averanno
certameote occasione alcuna di lagnarli , se faranno questi cartivas riuscita
;. perch'esse vi hanno difettato non solamente colla trascuraggine, w cziandio
col mal esempio dato loro ies S. Girolamo scrivendo a Leta non diffgià, che
foss'esfa scufabile, dando a'figliuoli mal esempio, mentre così parla: Nihil in
te, & in patre suo videat , quod fi fecerit peccer . Sem. Non si
potrebbe supplire coiu Maestri, & Aij alla propria trascurag
gine? [ocr errors][ocr errors] Pub. Si potrebbe in caso di necessità; mà
però è assai differente l'industria,che adoperano i propri genitori da quellas,
che sia l'altrui, ed eflendo questa à proporzione dell'amore , quanto maggiore
sarà quella de' propri genitori, che più di ogni altro li ainano? Si suol dire
ingeniofus amor , e questo appunto è quello, che li ricerca nella buona edu.
cazione . Sem. Se dunque li può supplire, saranno scufabili quei
genitori, che sostituiscono in loro vece chi lo faccia. Pub. Non per
questo però debbonli affatto allontanare da efsa, senza averci qualche
sopraintendenza particolare, e non usando questa non si potranno mai scusare,
Mer. [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] Meg. Siete Publio troppo rigoroso, e questo credo , che
proceda , perche voi foste l'educatore de' vostri figliuoli; mà non sono ora
più quei tempi felici , ne' quali si pensava di lasciarli più rosto ben
educati, che ricchi; non sarà poco, che abbiano ora i figliuoli un Ajo di ti.
tolo , che non li lasci almeno precipi. tare in tutti i vizj ; onde da alcuni,
che sono arrivati a conoscerlo a è trovato quel santo ripiego di porli nei
seminarj, assai giovanetti, e prima che la malizia fi avanzasle in elli.
Pub. Or io non mi sono curato di porre i miei figliuoli in questi seminarj;
perche ho voluto fare a modo del Profeta , il qual dice : Filii tui ficut
novelle oliva. tum in circuitu menja tuk. Sono questi seminarj
fantissimi,istituci ostimi per ap: prendere il rimore di Dio, mà oh quanto fà
di più quel Padre amoroso , ed actento, quella Madre faggia, e divora, in
educarli in tutto , avendoli appreffo di loro ! e questo ben lo conobbe Orazio
ringraziando suo padre della buo V è C. na sua
educazione in tal guisa . Laus illi debetur,à me gratia major; perche :
obiiciet nemo fordes mihi . Mac. Voi aveste però la fortc,, che vi furono
i vostri figliuoli, tanquam novelle olivarum ; perche, se riflettiamo alli rami
di elli, sono simbolo di pace , e tali appunto sono li vostri ellendo dotati di
ottimo naturale ; fe al frur. to, è vero ch'essendo immaturo , inolto
amaro, ma questo con industria diviene anche dolce, ed il fimile è seguito in
elli, essendo giovani; se poi final. mente al sugo, che da' suoi frutti maturi
si esprime, ch'è l'olio, questo non fà alcun movimento, solendosi dire per
proverbio : è cheta come l'olio , e contimnili à questo sono anche i vostri
figliuoli, contro de' quali aon si è senci. to alcun richiamo fin'ora, e spero,
che trovandosi già avanzati negli anni , cresceranno sempre più in bontà: mà se
in vece di novella olivarum Iddio ve li avelse dati, come piante di mirto,
questi non iftavano bene in circuitu menja tud. Sem. [merged
small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr
errors] [ocr errors] Semi E per qual cagione, producendo il mirto un fiore
gratissimo ? Mer. Sì bene, mà però senza alcun frutto, ed è pianta
dedicata à Venere, e tra esli facilmente si annidano i serpenti, e se fossero
ftati di limile cattiva natura i vostri figliuoli, Publio, come vi fareste
contenuto con efli loro? Pub. Gli averei ben domati io; perche più fieri
de'Leoni non potevano già essere, e pur questi coll'arre divengono mansueti, e
vi assicuro, che non averei fatto da cerusico pietoso; avendo appreso da
Salomone il rimedio qual'è; nos li subtrabere' à puero disciplinam ; fi enim
percufferis eum virgâ, non morietur. ** Més. Sapete pur, che Dione, con forme
racconta Plutarco nella sua vita, per il soverchio rigore usato , e fatto
ufare, nell'educare il suo figliuolo, fu cagione, che per disperazione cgli si
precipitasse da una finestra : il rigore paierno non è sempre moderato , per
cagione, che il più delle volte questo parsa dal soverchio amore, al
foverchio (de [ocr errors] 9 [deg no ; e poi i Padri
vorrebbero in un tracto estinguere tutti i difetti de’loro figliuoli, e questi
han d'uopo di tempo preparatorio non meno, che le valide medicine, come fa il
Dottore. Med, Questo è veriflimo, perche dandoli un violento rimedio,
senza prepa, sare prima gli umori, danno maggiore potrebbe apportare ; quindi è
che il noItro Ippocrate c'insegnò : Corpora cum quis purgare volucrit oportet
Auida facere , Pub. Però se Neocle non avesse usato tanto rigore , con
arrivar sino à privare della sua eredità il figliuolo , certamente, che la
Grecia non avrebbe avu. PC to il gran Temistocle, il quale ritrovan. doli
in tali angustic ricavò dalla necefficà la virtù, essendo che bene spesso :
veWatio dat intellectum . GULE Mec. Questo esempio appunto fa conofcere,
che sotto padri tanto rigorofi non possono educarli bene i figliuoli ; fpc
posciache avendolo diseredato lo mandò ancora fuori di casa, e perciò averàalırove
trovato chi lo cducasse con più discretezza; e poi questo fu un bene per
accidente, il quale assai di rado rie. sce con tanta felicità, rimirandosi
dall' altra parte infiniti, che discacciati da' propri genitori , datisi in
preda maggiormente de vizj, terminarono infelicemente la loro vita negli
spedali, ò disperati, di trovare modo da vivere, presero il soldo militare, per
foftentarli in quel breve tempo, che vissero . Pub. Or io sono di questo
parere, che debbano i propri genitori educare i loro figliuoli; perche, se
saranno buoni , e docili, riuscirà facile l'educarli; re poi perversi, ed
ostinati niuno credo, che potrà usare diligenza , ed attenzione maggiore di
cfli: saprete pure quel che seguì tra lo scolare, ed il maestro, fingendo il
primo di studiare diceva sotto voce : tu credi, che io studj, e non istudio, al
quale sotto voce anche risspoodeva il secondo : e cu credi, che jo mi curi di
questo che nulla mi preme. Mec. Voi dite orcimamche, perche [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] fete capace
di farlo, e fiete anche pru. dente, mà come pretendete esiggere
tutto questo da un Padre imprudente, e vizioso, il quale non rifletterà
punto à quel saggio documento di Giovenale registrato nella Satira
14. il quale è: Maxima debetur puero reverentia, so
quid Turpe paras, nec tu pueri contempferis
annos, Sed peccaturo obfiftat tibi filius infuns, Nam fi quid
dignum cenforis feceris ira, Quandoque fimilem tibi ; te non
corpore Bantung Nec vuleu dederit, murum
quoque filius, & cum Omnia
deterius tua per veftigia peccer. Pub. Allorsì, che
converrebbe tro- vare chi foffe capace di farlo , per la ra- gione,
che Giovenale medefimo appor- ta successivamente nella Satira da
voi citata : Unde tibi frontem, libertatémque pa-
rensis Cum facias pejora fenex? Wacuumque
cerebro Jam [ocr errors] [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] Jampridem capul huc venioja cucurbito quçrat . Mà
però, che l'educatore insieme coll' educando dimorassero in propria casa.
Mec. E se in casa propria, oltre il mal esempio, la laurezza del vivere
ritardassero i loro progressi? Pub. Confesso,che in questo caso
converrebbe mandarli fuori, ed in paesi anche remoti; acciocche il mal esempio,
e la trascuraggine grande de' genitori, colà non giungeffero.Mà è possibile,
che questi, a' quali non dev'esser cosa di maggior premura di questa, possano
as proprio compiacinento dare mal efempio a' figliuoli? e poi se non sono
prudenti, perche s'inducono à divenire Padri ? Certa cosa c,che i figliuoli mal
ducati non apporteranno loro altro, che confulione, dicendo l’Ecclesiastico al
22. Confusio pat.is eft de filio in disciplinato. Mer. Il mondo oggi
corre cosi, mol. ti sono. Padri di nome, e solamente perche li hanno generati ,
onde perciò con vie. [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] X viene ricorrere ad altri Padri savj, u prudenti ,
che gl' istruiscano, e fuori del proprio nido , essendo ora gran parte de' genitori
divenuti imitatori de' corvi, è dello struzzolo, che gli abandonano, non già
delle aquile, che con tanta attenzione istruiscono i loro polli. Pub.
Polliamo dunque conchiudere , che se i genitori saranno capaci, e diligenti
nell'educare i loro figliuoli, niu. no meglio, di efli potrebbe farlo; e fe
nella casa paterna si vivesse, come conviene non sarebbe d'uopo cercare altro
luogo per educarli,potendosi con profit. to istruire in effa. Sem. Che
doverà fare il buono educatore, sia Padre, è estraneo, per isvellere da efsi i
difetti? Moc. Questo lo vedremo nella seguente Conferenza.
CON [merged small][ocr errors] Intorno à quello, che debba farsi
da' Genitori per educar bene i
figliuoli. [ocr errors] Mecenate , Sempronio , Publio , e
Medico [ocr errors] мес. . L peso maggiore, che abbiano i Pa. dri ,
mi persuado che sia l'educazione dei figliuoli s perche si tratta di
navigare sempre contro acqua, dovendo opporsi bene spesso alle loro cattive
inclinazioni, e superarle à forza d'ingegno; e si trovano alle volte torrenti
si rapidi, che si rende assai difficilc poterli alla prima superare. Sem.
Non mi fono risoluto fin ora di prender moglie; perche hò consideratoanch'io le
molte difficoltà, che s'incontrano in questi tempi à ben’educare i fi. gliuoli
, ne' quali vedo , che appenas slattati che sono, pretendono di fares à lor
modo, senza avere alcun riguardo à quanto viene ordinato loro da'genitori
. Mec. Non vi sgomentate per questo ; Sempronio mio, essendoci il suo
rimedio , quando chi sopraintende há prudenza, e la prendere, come li suol
dire, la lepre col carro. Vi dirò io sci avvertimenti generali, che vi potranno
molto giovare, allorche sarete Padre di famiglia ; nel particolare poi sarete
meglio istruito da Publio.Ed il primo farà; che tanto voiquanto la vostra con.
forte diare loro buono esempio. Sem. Ed in quali cose ? Mer. In
tutte ; perche se voi sarete in continue discordie con vostra moglie, come
potrete correggerli, quando mai foffero discordanti tra fratelli? se vorrete,
che non disordinino nel nutrirsi, come lo potranno fare vedendovi cra
po [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][merged small] polare
giornalmente se li bramerece divori, come potranno essere, se non mostrerete
voi coll'esempio, ciò, che volete , ch'essi facciano 3 E scoprendovi tutti
dediti agli spasli, e piaceri, come pretenderece,che siano applicari allo
studio, divagandosi ancor elli collaa mente nel pensare di fare il simile
quanto prima , per imitarvi? non fate 10 una parola, che quel difetto,che
volete da effi (vellere lo rimirino in voi medeliini, dovendo voi imitare
Agricola, quando fi portò al governo dell'Inghilterra , allorche si trovava
molto rilassata, il quale prima da se medelimo cominciò à dare il buono
esempio. Sem. Ed il secondo qual sarà ? Mec. Di trattarli ugualmente
tutti, senza mostrare parzialità benche minima verso alcuno. Sem. Che
male potrebbe apportare questa parzialità paterna Mes. Infinito ;
percioche usandola voi, non solamente darette occasione di odio tra fratelli,
ed ecco, che invece [merged small][ocr errors] che il pre ce di
svellere da esli i vizj gli accrescere. ste di vantaggio, mà ancora, che il
diletto sarebbe meno attento degli altri ad approfittarsi de' vostri buoni
docu. menti, persuadendosi egli, che' compacirete i suoi difetti, per l'amore,
che loro mostrate, e gli altri,dal mal esempio di questo, che profitco
farebbero ? Igenitori debbono : imitare il Sole, e la Luna , che risplendono
ugualmente as benefizio di cutri : e sappiate che la parzialità, che usò David
per Ammone fu la sua ruina ; impercioche questa lo fè divenire incestuoso, e
quell'amore troppo tenero, che fè trascurare tal mi. sfatto,incitò Abfalone à
divenire fratri. cida; mancamenti tutti derivati dalla connivenza
paterna. Sem. Il terzo qual sarà ? Mec. D'accomodare l'animo vostro
alla dolcezza, ed al rigore secondo le occasioni, che vi si
presenteranno. Sem. E queste quali saranno ? Mec. Se voi li vedrete
attenti , e che & approfittino dei buoni documenti che [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] avete dati loro, in quel tempo sarà opportuna
la dolcezza; mà se poi vedre. te, che trascurino, e diferčino, dovrete servirvi
del rigore per correggerli. Sem. In tutti i loro trascorsi mi dove. rò
contenere ugualmente severo? , Mec. Ci sono alcuni difetti, de' quali non
si dee far caso, essendo prudenza alle volte non darsene per inceso; altri sì,
benche minimi in apparenza, non debbonsi lasciare impuniti : per esempio una
tal inavvertenza, nata più tosto da disapplicazione, che da disubbidienza è
compatibile; mà non già una benche picciola bugia , ò una finzione maliziosa
anche minna, dovendosi quefte con risentimento svellere affatto dow principio ;
perche se prendono piedes non li svellono più ; ed in correggerli di queste non
dovete usare il rigore alla prima, mà bensì colle buone far loro confeffare la
verità, e conoscere il mancamento, e dipoi con risentimento ainmonirli, facendo
loro capire , per quan. to sarà poflibile, la deformità grande [ocr
errors][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] di tali vizj, con
non perderli sopra quefti più di mira ; concioliacosache come insegna
l’Ecclesiastico al 20. Mores hominum mendacium fine bonore : du confufro
illorum cum ipfis fine intermifione . Sem. Il quarto quale sarà ?
Mec. Di essere tanto voi, quanto las Madre sempre concordi in ammonirli; perche
se un di voi li coreggerà, e l'altra li vorrà scusaro, non solamente non fi
approfitteranno della correzione , mà prenderanno animo di far peggio, trovando
chi li difenda ; ed in questo errore fogliono cadere frequenteinente le Madri
con danno evidente della buona educazione; come par che l'accenni Salomone ne'
suoi proverbj al 29. Puer qui dimittitur voluntati sur confundit miirem suam :
ond'effe , per non cadere in questo, debbono imitare quelle faggio miatrone del
testamento vecchio tra le quali che non fece Sara per l'educa. zione d'Isac,
Rebecca di Giacob, od Anna di Samuele ; siccome ancora Sansa Monaca, S.
Celinia, che fecero ofetime educazioni de' figliuoli, dilendo- ne
da queste nati un S. Agostino, un S. Remigio: tra le quali merita
anche di essere annoverata la pia , e zelance Madre di S.
Andrea Corfini, che non desistè giammai d'industriarsi Gintanto,
che non lo vide di lupo cambiato in agnello. Sem. Riferitemi
ora il quinto. Mec. Dovete parimente tener celato l'amore, che portate
loro, ne tampoco con quotidiani gaftighi far loro credere, che Giete disamorato
affatto verso di essi ; perche il soverchio amore li farà prendere troppa
confidenza con voi ; ficcome alli continui gastighi facendovi il callo,non li
prezzeran più . Quella correzione risentita , fatta à suo tempo, cou parole,
che li pungano, serve as molei di stimolo maggiore ad operare bene, più di
quello che facessero le sferzate . La scimmia, allorche si moftras madre
sviscerata de suoi parti,con troppo ftringerseli al lato li uccide, e questo
segue per lo soverchio amore, che por [ocr errors] porta loro , non
già per isdegno. Il destriero più generoso colle continue sferzate divien
reftio. Ordinariamente de Madri sogliono peccare di troppo affetto , ficcome i
Padri di soverchio rigore; e da ciò ne viene , che più amorosi li portano i
figliuoli verso le Madri, che verso i Padri, de'quali hanno bensì maggior
timore. Sem. Ed il sesto finalmente ? Mec. Di non farli trattare in
assenza vostra con persone, che possano distrug. gere quanto di buono avere in
esli inlinuato; posciache debbono anche credere, che cutti abbiano da operare
in quella forma, che voi prescrivere , che elli vivano; e se per disavventura
udiranno da qualche malvagio consigliero maslime contrarie alle vostre , quanto
male apporterebbero queste infinuandosi in quelle tenere menti, e non atte
ancora à ben discernere qual sia il veleno, e quale l'antidoto. Ne vi starò
so-. pra di ciò à riferir esempj, perche di Umili miserie ne accadono
giornalmen tes [ocr errors] E te, come voi ben sapere ; vi
addurrà solamente ciò che si osserva in un certo animale (come riferisce
il Salier Hs: - Juppon:) che dimora in una montagna del regno di Gotto
nel Giappone, il quale è in grandezza, e figura fimile al
lupo ; viene però ricoperto da un pelo morbidiffimo al par della seta, e
la sua carne è delicatissima al gusto;entra que- sto animale bene
spesso nel mare; mas se per fua
(ventura s'inoltra molio in effo, diviene pesce, ricoprendosi di squame, de'
quali essendone stato presentato uno al Re di Gotto, che per metà era divenuto
squamoso, e nel rimanente conservava il suo morbidissimo pelo, fè ciò conoscere
tal verità. Or se il conversare co pesci può far divenire un'animal si morbido
anch'effo squamoso,che farà l'innocente giovanetto conversando cou cattivi? Che
apprenderà di buono da quel lacche vizioso? da quel cocchiere scapestrato, è da
altri viziosi? quando non facesse altro discapito, imparerà a correre, ò pure à
guidare land carrozza, oh che belle prerogative di un giovane nato per
governare, e reggere qualche parte del Mondo! Quindi è che rettamente ordina
l’Ecclefiaftico al 7. Difcede ab iniquo , & deficient man la abfte. E S.
Agostino scrisse che : fitcilius eft fortem stare in martyrio, quam in pravå
societate . Sem. I Genitori, Publio , debbono ugualmente essere à
parte dell'educazionc Pub. Certamente, che sì ; mà però in modo,
che uniforine vada la dettaa educazione, e perciò debbono in tutto portarli
concordeinenre: si possono bene tra loro dividere alcune incombenze; per
esenipio la Madre, essendo assidua, e non vagabonda,averà maggior campo
d'infinuare loro , ed anco di fare apprendere in primo luogo ciò che riguarda
alli precetti Divini , dovendoli allan sofferenza donnesca questa lode, che,
per non attediarsi punto in replicare le medesime cose infinite volte, riescono
in ciò lingolari, cd in segucla d'iftruir. [ocr errors] li nel Galateo
oon affetrato, e vano, ma bensì nel serio , ed in quello, che insegna ciò, che
appartiene ad un gentiluomo cristiano, il quale non solamente è diretto alle
cose mondane, mi alle divine ancora; e sopra tutto al rispecto, e venerazione,
che si dee à Dio in ogni tempo, come dispone l’Ecclesiastico al 2. Serva
timorem illius, do in illo veterafce; perche soggiunge: Quis enim permanfit in
mandatis ejus , & dereli&tus eft? aut quis invocavit eum, &
difpexis ilum? Sem. Ed il Padre quale incombenza doverà prenderli ?
Pub. Essendo un poco grandicelli, e come li fuol dire già smammari, dee il buon
Padre cominciare ad iftruirli in modo, che possano riuscire graci, ed utili
alla Republica, come faggiamence viene avvertito da Giovenale : Gratum eft ,
quod patria civem , popu loque dedifi Si facis,ut patria fit idoneus,
utiliser E per fare questo dev'essere vigilaore',non solamente à rimuovere da
elli certi primi difetti, che sogliono in quell'età manifeítarli, come sono la
pertinacia , e disubbidienza , con certa vivacità di spirito contenziosa , e
questo farlo più tosto con uno sguardo severo , e con minaccie, che con
percosse in sì tenera età ; e qualche volca ancora il togliere loro parte della
colazione è un gastigo molto profittevole ; 'mà divenuti, che saranno alquanto
più capaci dee istillar loro maslime nobili, cd onorate, e replicatamente, à
fine, che se le imprimano bene nel cuore. Pub. E queste quali sono
? Pub. La prima, ch'è la più essenzia. le, sarà di amare sopra tutte le
creature Dio, e di venerare tutci i Sanri, con fare loro comprendere , che
tutto il bene, che abbiamo, viene da Dio, e che non amandolo, non lo potremo da
esso conseguire, non potendo avere altro, che lui, che ci soccorra nei nostri
maggiori travagli: dicendo appunto l’Ecclefiaftico al 33. Timenti deum non
occur. rent [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] rent
mala, fed insentatione Deus illums confervabit, & liberabit à malis ,
Sem. E dopo questa ? Pub. La seconda farà di amare il noftro prossimo
come noi medesimi, e di non fare altrui ciò, che sarebbe discaro à noi stesi ;
e far loro di vantaggio capire, che ognuno sarebbe miserabile in questo mondo ,
se non fosse soccorso dal compagno : e venendo l'occasione di comprare qualche
cosa,andare infinuan. do loro in quel punto questa verità, che se quel povero
uomo non avesse faticato per noi, se sarà farto per esempio , noi . anderemmo
nudi , ò vestiti al più di pampini , con mostrar loro ancora, che conviene
sodisfarlo delle dovute mercedi , affinche possa vivere per averci à servire
con puntualità un'altra volta : Capitando lavoratori di campagna farà bene che
conprendano,che se quei miserabili non iftassero di giorno al sole, e di notte
allo scoperto,non si mangierebbes quel bel pane , nè li berebbe quel buon vino,
che ci portano in tavola, onde [ocr errors][subsumed][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] degli altri. che debbonsi
con prontezza sodisfare, acciocche possano con amore attendere à coltivare la
terra, che li produce mediante la loro industria ; e non perdere alcuna delle
occasioni , che capitano per meglio imprimere in quei teneri cuori l'amore
verso il prossimo, clas puntualità in fodisfare quanto si dee a' poveri
mercenarj. Sem. Offervo però quei, che sono più puntuali in
sodisfare,peggio serviti Pub. Non è così, Sempronio, può effere che vi
sia taluno, che operi con questa ingratitudine, mà nell'universalc offervo, che
chi ben tratta è ben tractato, e poi non ci dee già muovere à ben operare il
proprio vantaggio; mà bensì, perche in coscienza liamo tenuti di sodisfarli
puntualmente, ed udite che grave eccesso commette colui , che traIcura di farlo
: Panis egentium, dice l' Ecclesiastico al 34. vita pauperum eft : qui detrabit
illum bomo fanguinis eft. Qui aufert in fudore panem, quafi qui occidis
pre [ocr errors] proximum fuum . Qui effundit fanguinem, e qui fraudem
facit mercenario , fratres '. funt. Mec. Queste massime sono certamen. te
necessarie , affinche divenuti adulti non si facciano guadagnare dal mal
esempio di alcuni , che costumano di fa. re ciocche non conviene ; e sarebbe anche
necessario nel medesimo tempo d’in. finuare ne'loro animi la benevolenza
neceffaria verso la servitù ; affinche la possano riscuotere reciproca dalla
medefima ; perchè, conforme chiaramente fa conoscere Seneca nell' Epistola 47,
è falso quel detto : Quot servi tot hoftes , dicendo egli : non habemus illos
boftes, fed facimus; per non tratçarli in quellas guila: Quemadmodum tecum
fuperiorem velles vivere. Onde io sono camminato sempre colle massime di questo
grande Uomo nel inorale ; che il servitore: 60lat magis dominum , quàm timeat,
e për cagione di ciò assegna:quod Deo fatis eft, quod colitur, eu amatur ; onde
che più di questo noi non dobbiamo esiggere, Y da [merged
small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] da noftri servitori, e tanto più
che non paseft amor cum timorë mifceri. Pub. Dice questo grand’uomo
cercamente il vero ; perche se non farà reciproco l'amore tra il servidore, ed
il Padrone, avendo continuamente questi. al.lato,continua sarà ancora
l'occasione prossima di rammarico tra efl ; e fatto che averà l'abito in
questo, non potrà più aftenersi di non contriftarlo, per ogni lieve
cagione. Sem. Dunque, Mecenate, al parere del vostro Seneca non si
potranno licenziarei servitori, chcli porteranno male? Mec. Non pretend'
egli questo ; ma folamente, che non fieno i Padroni in fervos fuperbiffimi,
crudeliffimi , dow contumeliofiffimi ; come pocrete vedere nella citata
Epiftola. Sem. Essendo però noi li Padroni, toccherà ad efli soffrire qualche
noftra ftravaganza . Pub. Dobbiamo anche noi riflettere, fino a che segno
possano quest' esferes forferte da cali perchè se le nostre stra-,vaganze
fossero grandi, e continue, ci renderemmo noi meritevoli di
riprenfio. ne : vietandoci l'Ecclefiaftico il farlo al 4. ove così
dice: Noli effe ficut leo in doa mo tua evertens domesticos tuos, &
oppria mens fubjeétos tuos . E c'insegna di van-' taggio , come ci
dobbiamo portare co") fervitori senfati al settimo , dicendoci
: sonladas fervum in veritate operum, ne- que mercenáriun danten
animam fuam. Servus fenfatus fit sibi dilectus , quas ani: ma sua ;
ne defraudes illum libertate, nebo que inopem derelinquas
illum, - Sem. Ma se divenissero a noi importu. ni,
contradicendo a quello, che noi bra. miamo di fare, doveremo anche
collea rarli? Pub. Se saranno fedeli, e parleranno per zelo a
bneficio voftro, dovrete non solamente tollerarli, ma eziandio amar-, li più di
prima; perche farà segno, che non vi adulano,facendo cosa ucile a voi,
quantunque la considerino svantaggiosa a loro medefimi, con moftrarne voi
dispiacere ; ed udite l'oracolo dell'Eccle siasti [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Aico al 33. Si eft tibi seruus
fidelis, fortis bi quafi anima tua : quasi fratrem , fic cum tracta , quoniam
in janguine anima comparasti illum. sibaforis eum iniuftè, in fugam
convertetur. É cosa averete acquistato con perdere per vostro capriccio un
servitore tanto fedele? quando ne trovarete un' altro fimile ad eiro ? &
abbiate da me questa certa notizia, che l'adulazione ne' servitori, si è
avanzata a questo segno , per il dispiacere,che alcuni Padroni mostrano
nell'udire la verità fincera : laonde esli, per non perdere la loro grazia ,
vengono forzati ad adularli , c tradirli insieme. Ma vorrei, che questi, che
hanno a male di udire da fervitori la verità, facessero attenta riflessio. be a
quello che dice Giob al cap-31. che è questo: Si contempla fubire judicium cum
Servo meo, e ancilla mea, cum discepia. rent adversus me : quid enim faciam cum
Surrexerit ' ad judicandum Deuse du cum quaferis quid respondebo illi ?
Nunquid non in utero fecit me ; qui & illum operatus eft, & formavit me
in vulva unus? Semp. Sem. Quando però saranno grandi li figluoli li
scorderanno di questi utili avvertimenti . Pub. Non sarà così quando il
Padre, oltre il rammentarli frequentemente', li praticherà esso ancora, dal di
cui buono csempio comprenderanno meglio, che debba farli così.. Sem.
Vorrei sapere , Publio, fe il Pa. dre possa condurre i suoi figliuoli a vedere
le maschere? Pub. Anzi dee farlo, con que sta avvertenza però d'imprimere
ne loro cuori , che quei,che con sembianti sì deformi, e spaventofi si
trasmutano,sono paz. zi, e che quei sconci gefti, e parole oscene,chc dicono,
sono tutticffetti della loro pazzia, con infinuare loro, che divenendo effi
grádinon lo facciano per non essere anch'elli tenuti pazzi. Sole. vano i
Spartani fare ubriacare i schiavi, c li facevano vedere a loro figliuoli, af.
finchè prendessero orrore all’ubriacheza za da quelle pazzie, che da fimile get
tc agitata dal vino fi commetreyades rem ied effendo riuscito a
quelli profittevole; fperarei, che facesse il fimile anco a quefti, e tanto
maggiormente non avendo il mal'esempio da i genitori, perchè se ne aftengono ,
cd essendo veriffimo quel detto : Quo fuerit imbuta recens fervabit ode
Tefta diu. Impreffe che faranno da principio ne' cuori de' fanciulli fimili
verità, difficil. mente si cancelleranno più. Sem. E crescendo negli
anni, & avan. zandosi nella capacità, che averaano da fare i
genitori? Pub. Di prevenire tutti concorde mente i mali, ne'quali
potessero cadere; insegnandoci l'Ecclesiastico al 18. Antò languorem adhibe
medicinam , per lo che doveranno porre un antemurale a vizj in questa forma:
Già efli averanno cominciato ad aver l'uso di ragione, e potranno comprendere
qual fia il male, & il beno,cominciando a conoscere gli effetti dell’uno, e
dell'altro; : onde venendo loro questi meglio spiegati comprende
ran. ranno con più facilità qual mostro orrendo sia l'uomo vizioso, e
quanto preggiabile sia colui, che abborrisce i vizi, quanto odiati da cucci
siano i primi, ed amati li secondi, prenderanno in questa forma ancor efi
orrore al vizio; efe non averanno compagni più che cattivi, i quali vadino
seducendoli, come potrà cflere, che non s'incamminino ancor'eff per la
buona via ? ed una volta, che fi sono incamminati per essa colla grazia di Dio,
e con l'occhio paterno vigilante sarà cosa difficile il discostarsi più das
quefta . Sem. E delle massime di onore, e de puocigli cavallereschinon ne
discorrere? Pub. E che credete voi , Sempronio, che le massime di Dio non
siano anch'effe di onore, e cavalleresche? Impoffel fatevi bene di queste, che
tutte le altre vengono di seguito ; non sapete voi, che la prima vircù : Eft
vitium fugere, fapientia prima Stultitiâ caruifle. Datemi uno , che abbia in
orrore il via zio, cche lo fugga, che io lo crederò perfetto in cutro.Sem. Io
credeva, che queste matsime dovessero servire per i figliuoli, che s’indirizano
alla vita religiofa,non per quel. li, che debbono vivere nel mondo, ove senza
aver un poco d'inganno pare, che non a polla convivère; Pub. Quanto ficte
in errore ; perchè ugualmente sono necessarie le mailime di Dio per i
Religiosi, che per i fecolari, dovendo tutti indirizarci per la via dell' ecernità
; nè crcdiate che godano quelli, che vivono,come voi dite al mondo, van. taggio
alcuno di più di coloro, che ope. rano come si dee; anzi sono infelicillimi ,
& uditelo dall'oracolo dell'Eccle. {iastico al 2. V & duplici corde ,
d. labiis fceleftis, du manibus malefacientibus, peccatori terram ingredienti
duabus viis. Va disolutis corde, qui non credunt Deo; & ideo non
protegentur ab.co. Va his, qui perdideruns Justinentiam, & qui
dereliquerunt vias rectas, diverterunt inue vias pravas. Et quid facieni cum
infpicera esperit Dominus ? Se dunque lo mafime del mondo faranno differenti da
queste abban, [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] -
abbandonatele puré , che non fanno per voi , perchè come vi troverete senza il
-Patrocinio di Dio? Sem. Dicemi, se in casa ci saranno,oltre i genitori,
altri parenti, li doveran. no ancor questi ingerire nell' educazione Pub.
Questi ancora , ma però più con dare loro buon' csempio, che con pas role;
posciache è cola inolto difficile, che tutti questi siano uniformi nelle buone
direzioni di effa'; oode fe taluno di questi-inlinuasse tal cosa, la quale
sembrasse differente a quella , che udi da'genitori, o ficonfonderebbe, o per
lo meno non prestérebbe la dovuta crea denza a quanto verrà foro insinuato da suo
Padre, è questo lo mostrerò col segucnce. esempio . Nel domare i pola Icdri [
che "polledrucci anco possono chiamarsi i figliuoli, avendo bisogno'ral
volta ancor esli di effere domati ] fcfaranno diversi li cozzoni, non folamen
te ci vorrà più tempo in renderli docili , ma ancora potranno correre pericolo
di pren. [ocr errors][merged small] -prendere qualche vizio ;
perchè fentendo, oggi una mano più gravę, nel di seguente altra più legiera,e
certe speronate differenti dalle altre , pon comprenderanno così bene quello ,
che doveranno fare; e cal, volca inasprendoli diverranno anche restj. Se questi
paren. ti fossero tutti uniformi, e caminaffero colle medesime direzioni,
potrebb'effere meno male, ma sempre meglio farà , che sia uno solo quel
complesso , & armonia vaiforme de propri genitori savj, e prudenti,
da'quali una sola volontà li forma. i 37. Sem. Voi, Publio, che avete
educa. toi vostri figliuoli da voi medesimo, in, segnatemi di quali documenti
xifiere servito per iftruirli nelle þuo be creanze, cda cui gli apprendelte per
potermene ancor'io prevalere a suo tempo 2 Pub. Per non crrare mi sono
servito di quci, che non possono fallire, aven, doli ricavati dalla Sacra
Scritsura. Sem. E che parla quefta ancora delle buone creanze, che debbono
insegnarli a'figliuoli? Pub. [ocr errors][ocr errors] Cena
Pub. Divinamente ne tratta l' Eccle. El di fiaftico al 31. ove dice:
Utere , quafi himo frugi iis , que tibi apponuntur , ne cum manduces multum,
odio babearis; cela prior causa disciplina , el noli nimius effe, ne *
forsè offendas. Et fi in medio multorum fe. disti prior illis , e
exsendas manum fuam , nec prior pofcas bibere. Sem. E del rispetto, che
debbe avetfi a Maggiori, ne parla ? Pub. Di questo ancora al 32. dicen.
do: Adolefcons loquere in quâ causå vix', fibis interrogatus fueris ; babeat
caput rée Sponfum fuum ; in multis efto quasi infciusi, audi taceus fimul'
quçrens • • In me dio Magnarum non presumas, & ubi sunt fenes non
multùm loquaris : talmente che leggendo voi attentamente la Sacrae Scrittura ,
potrete divenire un'ottimo educatore de i vostri figliuoli. Sem. Vorrei
sapere ancora qual vizio giudicace peggiore di tutti gli altri, in un uomo
civile, è facoltoso, sopra il quale fia d'uopo d'invigilarci più, che negli
altri, per porerlo affatto svellere da figliuolis [ocr errors] Pub. Io ho
stimato sempre tutti i vizj per pesimi, non effendoci alcuno di effi
tollerabile; quello però, che ho sem. pre proccurato di svellere con più
attenzione da miei figliuoli, è stato l'avarizia; perchè ho sempre creduto,
che, crescendo questa avesse superato tutti gli alcri, figurandomi l'avaro come
una lacuna,che assorbisce in fe moltiffimi rivi, che debbono scorrerc ad
inaffiare, e rendere fecondi molti campi; onde che, stagnando effi, possono apportare
notabile danno a molti, c.quel ch'è peggio con danno notabile di chi li divia:
ed udine, come a propofito l'efpreffe \'Eccicfiaftico al s.F4 & alia
infirmitas peffima, quam vidi fub Jole : divitia conservala in malum Domini fui
, pereunt enim in afflictione peffima, & in appresso miserabilis prorsùs
infirmitas : quomodo venit,fic revertetur . Quid ergo prodeft ei , quod
laborauit in ventum ? Cunétis dicbus vitæ fua comedit in tenebris , & in
con ris multis, & in ærumna, aique friftitiâ ed il perche lo efpresc Orazio
con dire Jemper Avarus eget.Sem. Ora io, che ho udito tanto, non sarà mai
pericolo, che divenga avaro , sembrandomi la vita di questi infelicissima . E
tornando all'educazione: se il Padre non fosse capace di educare, ela Madre
fosse poco prudente, chi si dove. rà sostituire in loro vece? Mec. Buoni
Maestri, è se saranno ricchi , potranno provedersi anche dell' Ajo, di cui
discorreremo nella ventura Conferenza. [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] CON. CONFERENZA III. Intorno
all'uffizio, e qualità dell'Ajo, Ĉ dei Maestri: [merged small][ocr
errors] V [ocr errors] Sem. Ual'è l'uffizio dell' Ajo
? Pub. L'Ajo dee at- tendere precisame- te
al costume, ed a ciò ch'è ordina. to ad effo. Sem. Ed al
Maestro, che apparticoche di fire ? Pub. Oltre quello, che riguarda il
costume, dee ancora insegnare loro le scienze, & tutto quello, che ha da
premettersi per il conseguimento di elle. Semp. Ma non potrebb’essere
anche Ajo Ajo il Maestro, giacche attende questi al costume ancora
? Pub. Alcuni lo praticano ; altri poi più facoltosi provedono di Ajo, è
dit Maestro i loro figliuoli , credendo il far ciò diligenza maggiore.
Semp. Ma realmente, chi di quefti fa meglio? Pub. Se s'incontrasse un uomo
versacissimo nell’una, e nell'altra profesione , mi perfuado :, che questi
foffe di profitto maggiore, ma per essere raris : fimi quefti,quindi è, che chi
può li provede dell'uno, dell'altro. Sem. Che condizioni dee avere
l’Ajo? Pub. Dovcado egl'istruire nel costume, lo doverà avere anche
otti mo in priino luogo , dovrà essere prus Idente, ed accorto,
industrioso, e diri piego prontojalliduo, crudito nelle ftoorie, non
molto colerico, sostenuto, che di abbia ancora parti da faríi amare , fia
prarichissimo delle cose del Mondo , e se fosse versato in medicina, sarebbe
anche ile requisito. Sem. [ocr errors] Sem, -Mà trovare tante parti
in un uomo farà cosa molto difficile. Pub. E perciòi rari fono quei , che
facciano l'uffizio loro come si richiede; contenrandoli', alcuni Padri di
averly nobile sì, mà nel riinanente , come si diffe; folamente di citolo,
battando loro di avere l'ombra , e non tutto l'effenziale di efia,
persuadendosi , che questa possa essere sufficiente. Sem. E come,
anderebbe Gmil'educa. zione? Pub. Quafi nella medesima maniera , che se
non ci foffe chi la dirigeffe , porendo fare l'educando a fuo modo . Mac.
lo so, che dovendosi provede re un Signore di qualità dell'Ajo, furongli
proposti diverli ; trà quali vi era un nobile ,'mà poco erudito; un Poera
infigne ; ed un eccellente Geografo, ed Aftrologo insieme ; niuno di questi
volle al suo fervigio ; ricufando il primo, per il motivo, che di nobiltà il
suo figliuolo nè aveva a sufficienza ; al secondo oppose , che Aimava fi fosse
potuto trop. U troppo divagare dal suo ufficio chi at tendeva
a comporre poemi, nè volle il che terzo, perchè dubitava che l'aveffe
fated to troppo girare colla mente, non che avendo altro , che discorrere
seco, che di cielo, e di terra: alla fine gli fu pro* posto un buono
Istorico, eccellente Fi. losofo, e Matcematico , questi disse fà al mio
bisogno: perchè gli mostrerà come fi dee yiyere cogli esempi altrui,
l'insegnerà a tirare le linee recte , ed a prendere col compasso le misure
giuste 3 ; e lo fermo al suo fervigio, Sem. In qual'età li dee porre
sotto la cuftodia dell'Ajo l'educando? Pub. Più prestamente, che si
può. Sem. Mà 'non sarebbe fpefa superdua questa , ponendosi in età, nella
quale non è ancora capace di comprendere i buoni documenti? Pub. Non li
chiama mai spesa super, fua quella, che & fà per educare i pro· pri
figliuoli, essendo ucilisfimo rinvesti. ·mento,perciocchè, acquistato che
averanno elli le virtù si troveranno un gran tesoro, e non soggetto alle
vicende della fortuna; ed in quella età, quantunque non comprendano i buoni
documenti, nulladimeno questi in qualche parte, cominciano ad imprimerli nella
loro mente oltre;di che quanto gioverà, per conoscere le inclinazioni nacive
l'averli ayuci in custodia da çenerį anni? Meç. Si disse tempo fà di uno,
che gettava il danaro avendo posto l’Ajo al figliuolo di età adulta, e divenuto
già alquanto vizioso, perchè non averebbe allora potuto egli più emendarlo,
aven. do prelo già possesso in esso i vizj. Pub. Questo lo credo anch'io
; per. chè le piante tenere sono quelle , che si possono piegare a proprio
compiacimento, dove che le già cominciare ad assodarfi vogliono crescere
co’loro di. fepti , quantunque ci si adoperi ogni in. duftria per emendarli.
Quindi è che l'Ecclefiaftico al7.così ordina. Filii ribi sunt, Erudi jllos,
& curva illos à pueritia illorum. Sem. nes [ocr errors]
Sem. Qual onorario si dee dare all' ile Ajo ? Pub. Non ci è danaro,
portandosi be che uguagli il beneficio, ch'egli apporta , onde deefi
generosamente trattare, Mec. V'era un’mio amico', che solea dire che se
avesse trovato un educatore, a suo modo , per i suoi figliuoli, non solamente
lo averebbe trattato assai bene, mà di vantaggio gli averebbe anche la. sciato
nn grosso legato nel suo tcftamento , per maggiormente animarlo ad impiegare
ogn'industria poffibile pro de fuoi figliuoli, Pub. Costui mostrava
conoscere cer. tamente l'utile maggiore de suoi figliuoli; perchè ben
comprendeva, che rimanendo dopo la sua morte efli bene educati quancunque
fossero alquanto meno ricchi di beni di forcuna , sarebbe questo stato
compensato dall'utile assai più riguardevole, che risultaya loro dalle virtù
acquistate, posciache al pa. rere di Cicerone.Ora:pro Sexto: virtus in
[ocr errors] tempeftate fava quieta eft,lucer in tenebris , expulsa loco manet
tamen, atque hş. ret in patria , Splenderque per fe semper, neque alienis
unquam fordibus obfolefcit , quale sorte cerçamente non godono le
richezze. Sem. In qual modo si hanno da prevalere della loro industria, e
prudenza nell'educarli? Pub. Secondo l'età si debbono anche regolare. Nè
teneri fanciulli con maniere foavi debbono insinuare loro quello, a che dicemmo
essere tenuti i propri genitori, ę fucceffivamente fecondo vedranno i narurali
così debbono opcrare Som. Di quante fpecie possono essere questi
naturali? Pub. E quì presente il Dottore, che meglio di me potrà
fodisfarvi ; iftruite, lo di grazia in questo brevemente e con termini chiari
da capirsi da ogn'uno : Med. Secondo la diversità de temperamenti sono
varj ancora i naturali ; posciache questi da quelli in gran parta
des [ocr errors][ocr errors][ocr errors] derivano, ed effendo quattro le
specie bi principali de temperameati a quattro sorte ancora si potranno
ridurre li naturali de figliuoli, cioè all'igneo , o biliofo, che dir vogliamo
, al femmatico, al melanconico, o al soverchiamente allegro, detto fanguigno.
Ci sono poi altre specie subalterne, che nascono dalle diverse mescolanze dei
liquidi, che nella massa umorale predominano, de quali ora non ne parlo.
Sem. Per meglio distinguerli dunque i doverebbe l'Ajo essere Medico
ancora. Med. Cimancherebbe questo d'averci anche da impazzire co'ragazzi,
forse che non ci danno da fare a bastanza allora che sono infermi? Sem.
Questi naturali sono sempre uniforme in tutte l'età? Med. Sogliono
variare fpeffe volte nelle mutazioni di esse, offervandoli ciò manifeftamente.
Sem. E per quali cagioni? Med. Perchè varia la massa de Avidi, secondo
che ci avanziamo nell'età acquis [ocr errors][ocr errors] 2 3
acquistãdo energia maggiore alcuni fer, menti col crefcere gli anni, ficcome
questa si può scemare ancora accostandoci alla vecchiaja. Sem. Come si
dovrà regolare con chi è di naturale biliosoa, Med. In quefti, per quanto
si può, è sempre meglio servirsi della dolcezza ; poscia che colle afprezze
maggiormente si accendono, ed allora divengono pertinaci. Sem. E se di
questa si abusaffero? Med. Allora la dolcezza dell' Ajo dee cambiarsi in
rigore per far loro conofcere , che nel mele, e nel zuccaro ancora è nascosto
l'amaro.' Pub. Di questo già raggionammo baftantemente nella paffata
conferenzas istruendone i Padri, onde non stiamo.a dilungarci di
vantaggio Med. Siami permesso di aggiungere, a quanto fù detto, una mia
rifeflione, ed è quefta : che le severe correzioni riescono più utili fatte a
sangue freddo, canto per profitto dell'educando quanto per vantaggio dell'Ajo ,
che può senza ira insinuargli le sue più mafurate ammonizioni , e restano anche
maggiormente iinpresse ricevute di mattina a ventre vuoto, essendo la mente
anche più limpida, dove che ricevute allorche si trovano già agitati
dall'errore commesso, non sono cosìcapaci di comprenderle. Sem. Come si
doverà contenere co' sanguigni. Med. Questi sono più facili de primi ad
educarli ; perchè sogliono essere difinvolti ;basterà tenerli frenati in
certi eccelli , ne quali potrebbero cadere', di soverchia allegria, e
curiosità, ed avvicinandosi all'età giovenile tenerli lontani da cose veneree
. Sem. Che potrà fare il povero Ajo allor che sono grandicelli, ed averanno
quei stimoli, che fanno prevaricare anche i saggi? Medi Il miglior
antidoto , che fias contro li stimoli della lussuria c, di condurre qualche
volta i giovani ne noftri Spe. [ocr errors][ocr errors][merged
small] 24 spedali , ed in tempo, che si faccias qualche amputazione di
parti genitali putrefatte, a cagione del morbo gallico: e cercamente induce
loro tale spavento sì crudele spettacolo, che si sono alcuni di questi
spogliati affatto di fimili pensieri, per l'orrore conceputo allorchè udirono,
che da donne era ve. nuto quel tanto male, e che per esse conveniva soffirire
sì atroce tormento di ferro, e di fuoco, e di vantaggio di non essere più
uomo. Sem. Ec i malinconici come vanno trattati? Med. Questi
appunto sono quelli , che fanno fofpirare non solamente i poveri Aji, mà ancora
noi quando essi sono malati; perchè hanno un naturale stravagantissimo, é
maggiormente fe regierà in elli qualche porzione di umore chiamato atrabilare :
bene è vero però, che nell'età tenera non hà tal'umore. quella energia, che si
manifesta colcrefcere essi negli anni, e questi ò danno al byono, e divengono
eroi, ò al pessimo , elo. [ocr errors] [ocr errors] e sono molto
iniqui, e perversi; debmit bonsi dunque con grande industria queili
fti trattare, e senza usar loro molta vios lenza, e più coll'affiduirà ,
e colli efemin pj fatti da lor medesimi leggere, o rifei riti di persone
viventi da loro cono, of sciute, che con aspre sferzate;debbonsi anche
tenere divertiti, & applicaci a più cose, alle quali abbiano genio.
Sem. Come divertiti, & applicati, parendo queste cose contrarie Med.
Divertiti, dico, con far loro prendere aria amena , conducendoliins villa
più frequentemente degli altri, & i applicati alle volte a cose diverse dallo
studio, come farebbe il suono, il quale se sarà di loro genio li può
tenere lontani da que pensieri tetri, che occupa no continuamente le loro
menti; ma di o questo converrà discorrerne più diffusamente a suo tempo.
Pub. Egliflemmatici come van regolati ? Med. Questi sono quelli, che se
non faranno onore all'Ajo gli recano almeno poo [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] pochi travagli; perchè fogliono essere
pacifici, e tardi d'ingegno: Ben'è vero però, che nelle mutazioni dell'età
sogliono alle volte sciogliersi, e divenire un poco più spiritosi, e fare
ancora com petente riuscita. [ocr errors] Sem. Come suole essere,
Publio, di profitto l’Ajo, facendo anche da Maeftro, nelle scienze ? Pub.
Se terrà lo stile praticato da Mae. Ari, riuscirà egregiamente come dicemmo ;
ma se vorrà poi insegnare colla medesima maniera le scienze, che insinua il
buon costume,anderà tutto peffimamente. Sem. E perchè Pub. Lo stile
tenuto dagli Aji in istruire nel buon costume è d' infingare tutto in voce, il
quale nulla giova per fare loro apprendere con fondamento le frienze ; perchè
queste sarebbero superficialmente adattate , & à quella guifas appunto, che
G soprapone loro ridotto in fogli al legno, il quale col tempo di. sperdendol
rimane legno ciò, che mo. Atraa [ocr errors] tre ftrava di essere
oro, dove che il Maes po stro, professore esperto, procura d'in= finuarle
nella mente colle sue regole, e collo scritto, affinche abbia pronto il comodo
di ricordarli di quello , che si fosse mai dimenticato. G Mec. Ora
comprendo da che fia pros ceduto, che viaggiando molti anni fono udj in
una Città discorrere alcuni giovani co molto spirito in ogni scienza, i quali
per essere di poca età mi recarono ammirazione ; ma avendo avuto curiosità
alcuni anni dapoi di sapere se profitto maggiore avessero farto, mi fu
risposto, che avevano più tosto deterio. rato; bisogna dunque che il loro
Ajo gli de aveffe istruiti a braccia , e non con fon10 damento. Pub.
Nerone, che fu istruito da Seneca in questa guisa, fece alla prima las < sua
bella comparsa, ma terminò poi u peffimamente. Sem. L'autorità
dell' Ajo sin dove fi Atende? Pub. Tanto'oltre, quanto
quella del Padre,dovendo essere amplifima, a fine che f. rendano ossequioli,
& obedienti ad effo, Mec. Le Madri però sono quelle, che procurano di
ristrignerla,imponendo loro, che non li gastighino, nè li sgridino, ma che li
compatiscano se non si approfittano de’loro documenti; e questo lo fanno per
rimore, che non fiammalina, e bene spesso,per questo timore di male ideale , ne
nasce il certo male della possima educazione loro ; perchè per non disgustarle
gli Aji fanno a lor modo, comportando quanti difetti efG hanno: le saggie madri
però lasciano che li gastighino ad arbitrio loro, eli correggano secondo il
bisogno , conoscendo queste per isperienza, quello che per dottrina ancora
conobbe Salomone al prover. 22. ftultitia colligata eft in corde pueri, d
virga disciplina fugabit Cam • Sem. Debbono usare distinzione alcu, na in
questo, secondo l'erà ? Pub. Essendo l'Ajo prudente saprà re. go:
ne [ocr errors] golarsi anche in questo , & accomoderă i il gastigo
secondo l'erà, econ quei mo. di, che conoscerà effere all'educando più
sensibili ; per esempio se lo scorgessc goloso, il fargli sottrarre qualche
pietanza in tavola gli sarà di gran gastigo ; se giocoliero, togliendoli
quell'ora di divertimento, lo toccherà lül vivo; e fe averà un certo roffore in
sentirsi sgridare, questo sarà appunto l'opportuno suo gastigo ; in somma il
migliore sarà quel. lo, che si renderà più sensibile. Sem. Può l’Ajo per
qualche suo af. 1 fare allontanarsi da effo ? Pub. Per quanto meno farà
possibilu dee farlo; perche non mancano scelerati adulatori, i quali, per
guadagnarsi la grazia de padroni giovani,infinuano loro ciò , che può
dilettarli , quantun. que lia pregiudiziale, e per ciò se mai doveffe
allontanarsi da effo per qualche tempo, dee avere di chi possa fidarsi in sua
assenza . Sem.E qual sorta di divertimento deb, bono permettere
loro? [ocr errors] [ocr errors] Pub, :: Pub. Tutti quelli, che non
sono viziofi, e fono ad esli geniali, per esempio il giuoco delle boccie, della
palla, del volanıę, ed altri, anche più laboriosi di questi, competenti alla
loro età. Sem. Nel tempo che sono direrti li fi. gliuoli dall’Ajo possono
i Padri educarli ancor effi? Pub. Se saranno capaci di uniformarfi alle
buone direzioni dell'Ajo, pofranno qualche cosa contribuire ancor essi,
L'incombenza loro però è di offeryare qual profitco facciano, e di sentirne
anche il parere di più persone capaci sopra i loro buoni progrefli , esaminati
che li averanno; per altro scorgendo, che yą. da tutto a lyo dovere non debbono
con fondere i figliuoli con documenti diffc. reori, ne contristare l? Ajo con
varjare il loro metodo; bafterà la loro vigilante Lopraintendenza ; mà muta
quando non vogliano come doverebbero, effimedelimi in tutto instruirli.
Sem. Bramerei ora sapere le condi. zioni che doyerà avere un ottimo Mae.
Aro Pub. [ocr errors][merged small] [ocr errors] 101 Pub. In
primo luogo dev'essere di via ta esemplare, dotto , c prudeme , siccodel me è
necessario ancora, che abbia buo na comunicativa, per farsi ben
capire, fia sostenuto, diligente, e si sappia far 1 amare, e temere, e
sia anche pratico delle tristizie de figliuoli, per non farq gabbare da
effi. Sem. Trovandogi un uomo di tante buone qualità potrebbe anche
servire I per maestro di casa, ed elascore nelme, desimo tempo; perchè
facendosi ben ca. pire, indurrebbe più facilmente i debi, tori a pagare
ciò, che debbono particos e larmente ora, che sono tanto renitenti di
farlo, Med. Questo e uno degli errori mal. fimis perch'essendo talunò
ottimo per un impiego 2 con darglicne tanti fi fa in modo , che divenga
trascurato in tutti; essendo grito quel detto; Pluribus intentus minor eft ad
fingula fenfus. Or io coftumo questo s chi mi serve., faccia solamente
l'ufficio suo ; perchè considero,' che non sia poco,che li riesca in una
sola cosa, cosa, ed ho provato con isperienza, che se taluno
procura ingerirsi in più, confondendole tutte , ne pur una ne farà bene.
Pub. Voi Sempronio vi figurate, che fia picciolo affare l'insegnare a figliuoli
le dottrine , e ben picciolo il generarli, mà non già il farli divenire uomini
eccellenti; perchè in un istante si generano, e con poca fatica , mà per bene
addottrinarli non solamente vi è duopo di molti anni, mà ancora di attenta , ed
induftriosa applicazione . Per abbozzare una statua ci vuole poco, mà per
ridurla a somma perfezzione numero infinito di sealpellate di più ci vogliono;
C riflettendo voi al valore della statuas abbozzata, ed a quello della ridotta
a perfezione, ben comprenderete il van. tagio di più che ne ricaveranno i
vostri figliuoli dal Maestro, che istruisce con profitto. Sem. Io lo
dicca a buon fine ; perchè risparmiandosi qualcheservitore,mi riufciva più
comodo di fargli un buono af4 fegnamento , acciochè viveffe contea. to.
Pub. Glie lo dovete fare senza accrom (cergli maggiori brighe, se bramare, to
che la statua da voi abbozzata abbia iti ma , e valore grande, Mec.
Veramente in quei casi conviene deporre l'avarizia', ed ogni parkmonia ; e non
fare come quel Padre sciocco riferito da Plutarco, che domandando ad Aristippo
; quanto paga. mento ricercava per ammaestrare il suo figliuolo, udendo
domandare inillo dramme rispose ; questo è troppo ; perchè con mille dramme
potrei comperarç un servo; çoi saggiamente replicò: duna que averai due
servi, tuo figliuolo, e e quello, che comprerąi: facendogli conoscere,
che se non era bene ammacftrato, sarebbe diyenuto un servo il fuo figliuolo ancora.
Sem, Quale farà l'incombenza del Macftro? Pub. Gjà per quanto appartiene
al co. fune seguirerà quello, che si è detto CON [ocr errors]
Аа 1 con cominciare prima da Dio ;' nel rima, nente poi lasciate
pensare ad esso, per; che avendolo scelto pratico, e dotto faprà secondo l'età,
e capacità andarlo itruendo come fi dee: bensi voi di. chiaratevi apertamente
com voftri fi, gliuoli alla sua presenza , che volete,che lo ftimino, ed
obbediscano da Padre, con dargli ogni più ampla facoltà di cor. eggerli, e
gaftigarli severamente in ralo di bisogno; perchè bramare di riconofcere per
figliyoli solamente quei , che studieranno, e faranno passata nelle ccienze 1
Mec. Quanto fu mai eroico l'atto, che fece l'Imperatore Teodosio ; impercioche
avendo scelto Arsenio per Maestro del fuo figlinolo, ed avendogli detto;
Pofthac tu magis pater ejus quam ego, come riferisce il Baronio
all’A.380-avvenne un giorno, che passando Teodo, 'fio per la camera, oye
Arsenio faceva la repetizione a suo figliuolo, osservò , che il Maestro fe ne
stava in piedi, e lo [colaro affifos ne bo potè coptcnere di non
[ocr errors][ocr errors] non dimostrare ad Arsenio il suo dispia çimento ;
veramente gli disse ini avvcdo, che voi non sapere far bene il vo. ftro uffizio
; tenete, tenere il grado di Maestro, e non di scolaro : Sagra Mac fta ,
replicò Arsenio, non sarebbe punto convenevole, che io mi ponelli a se. dere
per dar la lezzione ad un Imperatore; ciò udito Teodofio tolfe la Coro, na di
capo al suofigliuolo,c comando ad Arsenio , che fedesse ; & ad Arcadio
suo figliuolo, che stasse in piedi colla testad á scoperta, fin tanto che
il Maçstro gli parlaffe , Sem. E se non faceffero tutto quello i
profitto, che io defiderasli, che averò el da fare? Pub, Vedere,
Sempronio, parliamo chiaro, i Padri yorrebbero dopci in bre. yiflimo
tempo i loro figliuoli, onde in quefto non abbiate tanta fretta,
lasciateci porre il sempo neceffario per impof sessarsi bene; må se poi
vi accorgette, nel che oon dare tempo al tempo non li apejet profitrassero,
doveţe esaminare d'onds A a 7 prox , [ocr errors]
erro [ocr errors] [ocr errors] provenga la cagione, e se saranno più
Hgliuoli, vedendo , che taluno di edi li di approfittaffe, e gli altri
rimanessero indietro, la colpa non sarebbe del MaeItro, ma bensi dei figliuoli,
e che non applicassero, o che non fossero di mente ancor capace di apprendere.
* Sem. E se la cagione venisse dal Mae. Itro, che fosse disapplicato ,
contenzio, so, o troppo bestiale ? Pub. E'voi trovarene un'altro į mas
non date fede loro alla prima ; perchè dopo , che averanno ricevuto il gastigo
verranno a piangere da voi, el dole. che il Maestro fia bestiale; ma non
diranno già la cagione giusta; per çui li ha gastigati; ed in questo caso
avvertite a non dar mai ragione a loro trovandosi presenti,anzicon volto afpro
sgridageli , e dite loro che lo averanno meritato : informatevi però bene come
è andato il fatto , per ritrovare la verità. Sem. Ma venendo per colpa de
figliuoli che averà da fare? Pub, ranno, Pub. Se saranno
disapplicati, vedete ancor voi di usarci diligenza , con promettere loro premi
per animarli ad essere più attenti ; e fe poi venisse dall'incapacità in
qualcuno, bisogna averci pazienza; e rimirate le dita delle vostre mani, che
ancor’esse non sono uguali , e pur la mano turta insieme fa l'uffizio suo; così
parimente sarà la figliolanza, quando venga secondo la sua capacità impiegata
bene. Sem. Dolendosi il Maestro di questo, e dichiarandosi di non poterci
aver più pazienza? Pub. Confolatelo, & animatelo ad averci ancor effo
pazienza, conforme conviene, che P abbiate ancor voi Mec. Si doleano con
Antipatro i MaeAtri, che i suoi figliuoli non volevano per tante fatiche, e
diligenze usate loro , approfittarsi punto dei loro documenti, e per consolarli
egli dicevan che vi era un paese nel mondo, ove le parole si gelayano in tempo
di verno appena uscite dalla bocca, a cagione digio freddi ecceffivi, che
le racchiudevano nell'aria, ma appena comparfa la primavera,fgelandoli queste
allora si udivano.. Non dubitate , diceva loro » che verrà ancora in essi la
primavera ; ed alloras queste parole, che odon'ora da voi , fi Igeleranno ancor
effe; continuate pura parfare , per , per uđitne all'ora di vantago Sem.
Dovero comparire nel cempo , che si fa scuola? Pub. Anche, frequentemente
s per ve. dere che si fa, per aninarli insieme a portarfi bene, c tenerli in
freno. Sim. Stimate neceffario ohre di tea net loro il Maestro di
mandarli alle fouo: le publiche? Pub. Per godere di quei vantaggi, che
apporta l'emuluzione può essere utile : debbonfi però avvertire due cofe; la
prima , che vadano sempre accompa. gnati dal reperirore, perchè del fetvis rore
in curto non vi dovete fidare, poa tendolo indurre fare a lor modo:Pal. tra poi
che fixno vicini in feuola a come pa [ocr errors][ocr errors]
mpagni bene accostumati, perchè ivi po. trebbero divenire maliziosi
trattando con carrivi. eri Mec. Bisogna ancora stare molto cau.,
telato nello scegliere questi reperitori, detçi comunemente Pedanti,
perchè vi è stato tra esfi cal’uno, che insegnaya of a' figliuoli
il fare la fabbatina , il giuoco delle carte, & altri vizj in vece delle
virtù; e vi è stato chi di questi ancora così iniquo , che ha procurato,
che abbandonaffe il figliuolo la casa paterna , dopo d'ayer rubaro al Padre qualche
fomma di danaro considerabile, e seco conducendolo fuori di stato , per ispre.
garla. Onde se non si sappia che siano di ottimi costumi, non debbonli
consesgnare ad effi i propri figliuoli, per non ricevere quella riprensione,
che fece Diogenç Sinopio a quei di Megara, dicendo loro, come riferisce Eliano,
che fi contentava di essere più rosto un ariete della lor mandria, che loro
figliuolo, perchè a custodire quello impiegavano uomini fedelilimi, & ad
iftruire questi ripų [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] A a 4 riputavano abile chiunque fi folfe loro
abbattuto dinanzi. Sem. E le figliuole fi debbono regola. re nella
medesima forma? :) Pub. In alcune cose non vanno regolate così, conforme
udirete nella seguente Conferenza. w CON [ocr errors][merged
small][merged small][merged small] Semn. He differenza cie tra
l'educazione dei С figliuoli, e quella delle figliuole ? Pub.
Primieramen: te, che queste,non dovendosi incamminare per la via delles
fcienze , non hanno d'uopo di tanti maeftri; e poi essendo diverli i loro vizj,
e naturali inclinazioni,debbonsi quefticon differenti manicre correggere
, Sem. ' quali sono questi vizj delle figliuole 22 Pub. La vanità
par che nasca con lo ro, quçfta opera, che moltissime di effe [ocr
errors] cffe sino dalla nascital par che mostrino compiacimento in
fegtir lodare la loro bellezza : ha poi la maggior parte di cffe, un certo
difpreggio, il quale viene da alcuni creduto per vivacità di fpirito; altre poi
fin d'allora moftransi vezzofe, e molto affabili; e vi sono ancora di quelle,
le quali danno a divede. re appena nate la loro dispettosa rozzez. za ,
contrafegni tutti non leggieri di ciò, che possa nell'età pid avanzata ope.
rare la loro naturale inclinazione. Sem. Di correggere tali difetti cui
partiene principalmente * Pub. Alle Madri, che con affiduità amorosa
aflifton loro ; dovendo i Padri portarsi giornalmente fuori di casa per affari,
che li tengono alle volte lungo tempo occupati; c quefte avendo bisogno di una
affidua cuftodia da niuno meglio, che dalle Madrila poffono riccvc, re: debbono
però i Padri per quaaco fa. rà perineslo lorosinvigilarci attenicamene te
anch'effi. Sem. Che dovranno fare le Madri in quella tenera età, nella quale ne
put capiscono ciò che loro si dice? Pub. Poffono far tholco, con impea
dire ancora, che non rimirino , ed odino ciò che non è convenevole; perchè
quello, che mostrano inclinazione alla vanità; non bisogna cominciare ad
ornarle vanamente, pe å far loro certi ýczzi disdicevoli, perchè s'imprimono
quelle vanità, e quegli atti con facilità grande in si tenera età; quelle bensi
che mostrano dispettosa rozzezza pof. fono follorarli con fimili vezzi
per inco minciare a poco y a poco a renderle più [ocr errors][ocr
errors] umane. [ocr errors] Sem. E di poi cominciando a capire , che
dovrà farsi? Pub. Allora farà tempo d'incomina ciare a far loro
apprendere , che la bela lezza della donna non confiste ja altro che nella
bontà de'coftumi. Sem. Oh capiranno beneche cosa dano costumi le picciole
figliaole? Pub. Non importa, perchè quantunque allora pon lo capiscano,
nulladime nos [ocr errors][ocr errors] no , effe continuando
ad udirlo a fuo tempo ben lo comprenderanno; basta che allora non si secondino
le innate inclinazioni loro viziose. Sem. Mà fe la Madre avesse
compiacimento di essere stimata bella, c fpiritofa, e forse anche vana , come
potrà istruire la sua figliuola diversamente da sè medesima, e che non abbia da
compiacerli anch'essa di ciò ? Pub. Ora entriamo nei guai grandi, perchè
se la Madre non diriggerà bene tal affire, l'educazione anderà pellina
menic. Sem. In questo caso che dovrà farsi? Pub. Quello appunto,
che fù da me praticato, di provederli d'una buona matrona ; e se questa fù
utile alla mia famiglia, essendovi la Madre capace, evigilance, ; quanto
più sarà geceffaria in questo caso, che voi mi rappresentare ? Sem. Lo
credo anch'io; dunque essendo duopo provedersi della matrona, ditemi quai
requisiti dovrà avere per far bene l'uffizio fuo ; perchè essendog [ocr
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dismesso questo buon servigio, non si potranno trovare con facilità quelle ,
che siano esperte. Pub. Non dev' essere giovane , nè vecchia , mà di età
conlistence, Sem. Perchè non vecchia , pocendo quest' avere maggiore
sperienza del mondo? Pub. E vero , mà la vecchiaja ancora la può rendere
più fastidiosa , e meno attenta : e poi se dovrà cuftodire le vostre figliuole,
che hanno da nascere, chi sà se fosse allor viva ; e vivendo farebbo decrepita
, quale età non lega.molto colla gioventù, e perciò non sarebbe ad effe
accetta,dec ancora essere di buo. ni costumi, e pia,di parentato civile, ed
onoraco , prudente , discreca, attenta, affezzionata', che sappia ben cucire di
bianco , leggere , fcrivere mediocres mente, e che non sia curiosa di leggere:
libri profani, e lascivi. p9 Sem. O che mal farebbe, se leggere ancora
l'istorie profane, potcado fervire si di effe per meglio iftruirlo?
Pub, -1 Pub. Le storie profane non tutge conferiscono alla buona
educazione, el, fondovene alcune molto nocive ad essą come già dicemmo, onde
chi sà, che prendendo diļetto in udirne riferire alGuna di queste, non
prendessero amo, re anche l'educande a simile lectura Sem. E se sapesse la
lingua francese , o spagnuola, non sarebbe maggior van taggio , per insegnare
loro quel parla. xe , che oggidi è tanto in uso ::Pub. Che pretendete ? forse
di mari, farle in Francia, o in Ispagna ? Sem. Non lo dico per questo
fine, mà veáendo qualche lignora di quei paeli , o trovandoli con alcuna , che
la parlasse, sarebbe da esse capita, e por trebbero risponderle. Pub, Voi
vorreft'educare le vostre fi, gliuole per far pompa del loro spirito , e non vi
accorgete, che quefta non è la sua strada; e qual nccefficà avete,cheessa
converfino , e tratejno con gence ftraniera s volere forse, che apprendano į
cofumi loro diffepsadi dai noftri? Sem, [ocr errors] [ocr errors]
GB [ocr errors][ocr errors] Sem. Non bramo quefto, mà hò sentito dire ,
che sia vantaggio grandes e l'avvezzarle disinvolte, e spiricosc, perchè più
facilmente fi maritano queste, Pab. Voi prendereste moglie di spiritofa,
e disinvolta Şem. Io non già, ora chc sò come debi ba sceglierli.
Pub. E perchè dunque volete incam, minare le vostre figlie per una yia , che
voi la ftimate non recta e non vi avve, dere , che in ţal guisa mostrarefte di
amarle poco a Sem. Il saper ricamare ancora mi per, suado, che la
requisto necessario nella matrona : i Pub. Per far che ? per educarle
forse nella vanità e non sapete, che cosi fa comincia bel bello ; posciache
dalla sem ta fi paffa al’oro, e dall'oro alle perle per formarne ricami
di gran valore.Cor. 4, nelia madre dei Gracchi fe conoscere a quella
gentildonna Capuana, la quale 0 era alloggiata in sua cafa, allorchè
moArolle i ricami ida effa farsi,per mio fvario. bano essere i layori
delle Madri, con farde yeder i suoi figliuoli, ed in qual forma da effa fi
aducavano, che non era già nelle vanità, mà bensì nelle virtù . Sem.
Bramerei almeno , che sapesse insegnar loro un poco fuono, e di canto,
Pub. Questo poi sarebbe peggio, per: che l'educherebbe cantarine, & im.
parandolo per vostro syario, non lo di fimparerebbero già, per non dilectare
an, che gl'altri. sem. Contenendom’io in questo vo. fro antico rigore mi
farefte mutare il mondo. Pub. Io non pretendo tanto : voi mi vichiedere
del regolamento della vostra cafa ;c chcaforse pretendece che da queta debba
prendere la norma tutto il mondo a facciano gli altri ciò che vogliono , mi
basterebbe di ottenere, che voi, che ricercate il mio parere appren. deste ciò,
che dovrete fare, Sem. Io resto perfuafiffimo di quanto dite per
benefizio mio, ma sifetto añ, cora [ocr errors][ocr errors] cora
nel medefimo tempo a quello , che li il mondo dirà, operando diversamente
da quanto ora li costuma dalla maggior parte . Pub. Qual parte del mondo
stimate voi, che sia più saggia, la maggiore, o la minore? Sem. Ho udito
sempre dire, che sia la minore, Pub. Or dunque; perchè da voi medelimo
volete porvi nel numero de i meno saggi? deh seguitate la più sana , e non vi
prendere fastidio alcuno dell' altra , quantunque sia più numerosa :
prendete di grazia la mira verso quò eundi dum, non quò itur. Sem.
Rimango persuaso, e quanto m'insegnafte voglio risolutamente fare. Or ditemi
per mia istruzione ; scelto che averò questa matrona , della quale voglio
provedermi prima di prendere moglie, che averò da fare io, e qual' incumbenza
apparrerrà ad essa ? Pub. Voi, allor che le consegneretç la vostra
figliolanza, le direte: che Bb fia [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] lia cura sua d'istruirla principalmente nella
pietà , e devozione, e che rimuova da essa tutti i difetti allorche li ye desse
comparire , senza indugiarvi un momento ; anzi che meglio farebbe an. cora, se
preveniffc al bisogno con semi, narę anticipatamente ne’loro animili preziosa
semenza delle virtù, e che per questo procuri di non perder la mai di vifta : e
vedendo ch'ella li porti diligen. te nel suo uffizio usatele più gratitudine,
affinche non habbia da parerle penosas quella vita tanto soggetta, che farà ; e
credetemi, che il premio è il maggiore incentivo a farci fare con amore quelle
cose, che senza di esso ci parrebbono molto penose. Mec. Questo è
certiffimo, posciache chi mai li porterebbe il primo a scalare una muraglia,
difesa da tanti nemici are mati, se non se {perasse da questo un premio grande
? Sem. Fatto che avrò le mie parti, in che forma essa adempirà le sue ?
Pub.. Nato che sarà alcuno de' vo [merged small][ocr errors][ocr errors]
ftri figliuoli, principierà il suo minister ro con invigilare, venendo
lattato,dal... la balia, a quanto sara necessario, con i fare anche da
soprabbalia , nè permetteo ra già, come dicemmo, chc oda,quan tunque non
le comprenda ancora , cer, i te canzone amorose, nè pure, che fifli i
suoi occhi innocenti a'rimirare certi datti scomposti, & indecenti;
perchè quantunque non siano allora da esso conosciuti per quel che sono ,
nulla dime, no in progresso di tempo, conforme fi apprendono le parole, così
ancora può insinuarsi nell'animo qualche cintura noSeminaciva di tali
difetti; e procurando, che D in vece di quelle oda, e rimiri cose
profittevoli,cd oneste, delle quali se ne i apprenderà alcuna particella,
resterà questa a benefizio dell'educazione, e i procurerà ancora nel
tempo della lacta zione colle buone sue maniere , di prin- cipiare
ad affezionarselo. Sem. Che dovrà fare dipoi ? Pub.
Già toccherà ad effa slattarlo, e * si perderà il sonno più di una notte. B b
2 Sem, [ocr errors][ocr errors][ocr errors] liri Sem. Sarà
bene, acciocche non lo perdiamo anche noi, di tenerlo in qualche mezanino
lontano dalle nostre stanze, Mec. Per questa cagione sono andato io più
volte in collera co i miei amici , avendo osservato lontani dal loro
appartamento i figliuoli anche lattanti,per timore, come dicean'o , che non
turbarsero il loro riposo, e diceva loro: pere dete pur tanto tempo, e vegliate
tanto per il giuoco, e continue conversazioni, oh bene non potete vegliare un
poco pe’ vostri figliuoli? E se non lo volece perdere voi, cui tanto debbono
premere , vi persuadete forse, che le donne mercenarie di servigio vorranno
perdere il fonno? Dormiranno ben bene, e lasciefanno piangere chi vuole; ma da
questo quanti mali ne saranno seguiti lo faprà meglio il Dottore. Med. lo
dalle offervazioni fatte sono arrivato a conoscere questa verità ; che più
fortunati siano nel mascere, e nel imorire i poveri, che i ricchi; perchè
quelli dalle proprie Madri sono lattaţi, eand custoditi diligentemente con
amore;docal ve che questi sono consegnati alla indi screta servitù, e
trattati assai diversadai mente in tutto ; e posso riferire a que fto
proposito di averne curati alcuni,che caduti dal letto, per trascuraggine del.
le balie , ebbero a perdervi la vita , ed altri, per il gran pianto fi
allentarono , negando cal volta loro il latte le balie, allorche ne avevano
bisogno; e per avere loro ripercosso secretamente il lat. time, quanti ne sono
periti? Giccome ancora quanti ne sono morti af gati per averli tenuti
negligentemente nel proprio letto ? avvenimenti tutti, che afa sai più di rado
G odono accaduti tra po veri , quantunque questi siano assai i più
numerosi, che i bene stanti. Della morte dei ricchi non parlo, perchè
ave. rete uoi medesimo osservato questi, be ne spesso, per li soverchi, e
conculcati : rimedj, dati loro, più facilmente , che i poveri perire,
& alle volte in mano de Ciarlatani. Pub, Se voi dunque
avercte amore per [ocr errors][ocr errors] Bb 3 per i
vostri figliuoli non li terrete lontaa ni dalle vostre stanze in ogni tempo
per. che tal vicinanza darà stimolo maggiore alla matrona di avere per loro più
attenzione , & all'altre donne di fare me . glio il loro uffizio.
Sem. Riferitemi ora il modo, che doverà tenere in appresso per conoscere meglio
s'ella, operi a suo dovere? Pub. Già fu discorso, ma non sarà mai a
bastanza, di quello, che dovrå farli intorno ad imbeverarli ben bene del fan.
to cimor di Dio, e crediate pure per cofa certa, che questo è il fondamento
principale della buona educazione; efsendo esso solamente capace di rimuovere
tutti i vizj, non porendo questi far breccia ove si ricrova benradicato: è vero
però, che questo feme santo noni basta piantarlo solamence, na decli col.
rivare sempre con atrenzione, e fervore, acciocche non perisca, essendo che a
poco a poco germoglia ne teneri par. goletti, ed in questo doverete aricor voi
invigilarvi. In seguela poi dovrà, appe 19 and appena che le
figliuole faranno capa. ci, tenerle impiegate ad apprendere qualche
lavoro di quei necessarj a saperG dalle donne, che sono il cucire , far
calzerte, cessere, e filare, e questi disporli secondo l'ctà, e capacità loro :
nel medesimo tempo impareranno a leggere, e di poi a scrivere, e questa sarà
l'incumbenza , che dovrà avere intorno al lavoro, Sem. O ben le donne
civili, e nobili averaono da teffere, e filare che han. no forse da
procacciarsi il vitto con que. fti lavori Mer. Intorno al filare non
avete occasione di risentirvene, perchè è torna, ta l'usanza di farlo ; non sò
però se per bizzarria, o per profitto ; averere pur veduto, Sempronio, nelle
case civili conocchie sì ben fatre , che fanno venire la voglia di adoperarle
anche a noi al. tri uomini. Sem. Queste le ho veduce certamente, ma però
stare oziose, onde mi perfyadeva, che fossero state fatte per col locarle
dentro i loro scarabattoli nonri: mirandole punto adoperate . Mer.
Nonaveranno filato in presenza vostra, perchè non avendo voi moglie non era
tempo ancora, the imparaste a filare alla moda. Pub. Le caste donzelle in
questo s'im: piegavano anticamente, e tralasciando di riferire, che lo
facessero Penelope, Lucrezia , & infinite Matrone Romane; Alffeandro Magno
fi vestiva co gli abiti teffuti dalle fue Sorelle, come racconka Curzio ; &
Augusto non portò già altri abiti , che quelli, che dalla sua Moglie, Figliuola
, e Nepoti erangli ftati fatti, come riferifce Svetonio: Onde se no li
vergognavano queste di farlo, per qual motivo potranno aftenersene le tanto
inferiori ad effe ? Sem. Ma fe non avessero genio di fardo , tanto più
non vedendolo praticarea alle Madri? Pub. Questo genio può farfi venire
con riferir loro qualche bell'esempio, & appunto de racconta uno il Surio
nel di fe fecondo di Maggio, che se coinincies ranno a gustare le
cose di Dio sarebbe assal a propogto: dice dunqu'egli, che andando S. Antonino
Arcivescovo di Firenze, per una contrada di qite!la città vide un buon numero
di Angeli, che formavano come un corpo di guardias e sopra il tetto di
una povera časa ; li ven , ne in pensiere di catrarvi, e di riconoscere
l'occasionc y per cui meritava canto favore da Dio; non vi trovò, che und Madre
con tre sue figliuole , le quali filavano per guadagnarsi un poco di pane, e
stavano con gran modestia : vedendo il Santo il bisogno , che avevano, fc loa
to una buona limosina :-Dopo qualche tempo ripassando per la medesima strada
vide, che la stessa casa era ricoperta di piccioli folletti, armati di tutti
quei stromenti, che fogliono portare li dediti alla libertà del mondo : entrò,
evide le medesime, che passavano il tempo a ridere, scherzare', e motteggiare ,
e fare le belle: Riferito questo, si poa trebbe soggiungere loro, che se
Iddiogradisce canto il non stare in ozio in quelle, che sono miferabili, quanto
più lo gradirà in effe, che spontaneamente, e fenza bisogno alcuno lo fanno e
credetemi, che non mancano modi per fare applicare le figliuole, effen. do
queste più docili demaschi. Sem. Oltre il lavoro, che averanno da fare di
vantaggio ? Pub. In tutte le cose deve esservi la buona ordinanza, la
quale tutta dcpende dal sapersi ben compartire il tempo , onde queste essendo
pratiche divideráno Je ore def giorno in questa guisa ; la pri. ma della
mattina , dette che saranno le figliuole, e veftite di tutto punto, sarà
impiegata al servigio di Dio con fare orazione, o sentire qualche cosa di
quanto esso vuole da noi; ciò fatto dcefi ristorare colla colazione moderata il
corpo, per poi passare quelle ore de. ftinate al lavoro; e terminate queste ,
conviene di fare alquanto esercitare il corpo in cose non violence, e
permettendolo il tempo, in aria con affatto [ocr errors] rac [ocr
errors] .. 395 K tacchiusa. Avvicinandosi poscia l'oras del definare
converrà prendersi il nutrimento a proporzione dell'età, e poi dopo di questo è
neceffario godere alquan. to di riposo, per potere alle ore destitiate tornare
al solito lavoro. Sem. Sino a qual'età possono i maschi ftare sotto la
custodia della matrona? Pub. Fin tanto appunto, che, cono. scendo le
lettere dell'alfabeto, possono consegnarli al Maestro, per tenerli in quelle
ore , che dovrà far egli scuola fotto la sua custodia; ben è vero peròs che non
essendovi l’Ajo,possono ritornare, per quelle ore, destinate al diverti
mento, sotto la cuftodia della medelima $ matroni. Semi. Nascendo tra
fratelli, e sorelle qualche contrasto come doverå regolarli la marrona?
Pub. Sogliono i fanciulli vivaci essere molesti alle forelle, e da ciò ne
nascono bene spesso trà loro reciproche aleercam zioni, mà se la matronal
manterrå fotenuta a segno, che non pregdano les [ocr errors][ocr errors]
confidenza , avendone rimore di essa, difficilmente si avanzeranno a contendere
tra loro, ma caso che la sua efficacia non bastasse,dee di ciò farne
consapevole il Padre, o il Maestro , affinchè pensano a prendervi il più
opportuno rimedio con tenerli separati. . Sem. Crescendo le figliuole in
età, e scoprendosi in esse qualche differto donnesco, come li dovrà regolare la
matrona per estirparlo? Pub. Non aspetterà quefta , essendo prudente, che
giungano fimili diffetti a manifestarsi ; perchè come dicemmo procurerà con
preventivi ripari di ab. batterli prima che si manifestino. Sem. Venendo
le figliuole negli anni , ne' quali sogliono alcune cominciare a contristarsi,
e fofpirare, che averà da fam rela matrona? Pub. Le figliuole ben'
educate difficilmente cadono in fimili debolezze; ma quando mai ciò seguisse in
alcuna, alJora si conoscerà il senno, e la prudenza della matrona; posciachè si
saprà inters ! [ocr errors] e nare nella sua confidenza per consigliarl
a far cose non disdicevoli alla sua condi* zione,ed a lasciarsi regolare dal
suo amo. roso Padre. 3 Sem. Ma non sarebbe meglio, quan. do si
vedellero contristate, porle in monastero per compire l'educazione? Pub.
Se sarete sicuro , che colà possano vivere con più ritiratezza, che in casa
vostra , ed abbiano migliori direttrici cui dia l'animo di calinare le loro
passioni, potrebbe farsi ; mà se poi vivessero con libertà maggiore, qual
vantaggio ne ricaverebbero ? Sem. Vivono colà tanto ritirate, che la
porta di rado si apre; ne viene permefso l'ingresso libero ad alcuno.
Pub. Qucfto non basta se gli occhi, c le orecchie staranno maggiormente aperte;
perche per esse po lono entrare le cagioni de' sospiri: e poi voi,
Sempronio,mostrate di non fidarvi della voftra matrona , la quale totalmente
dipende da voi, enon diffidate punto di tanţe servenci de’monafterj, sopra le
qua; [ocr errors] di autorità niuna yoi avere. Sem. Sarà ben
vigilante in questo chi averà cura dell'Educayde, Pub. Voi
y’ingánate$épronio, se crede, te,che l'altrui vigilanza superi quella de
genitori attenti , e capaci : onde mi perJuado , che nella casa paterna queste
ftiano meglio , che altrove, Mec. Voi dite bene,Publio , che fiee te
capace di custodirle come li dee, mà datemi un Padre, ed una Madre, che ad
ogn'altro pensino, che all'educazione delle figliuole , e tanto maggiormente se
non averanno una tale donna capace , e fedele a ben diriggerle, o saranno prive
di Madre, la sola casa pater. na sarà sufficiente a custodirle? Pub. Credo
certamente di no. Mec. Or dunque, che fi hà da fare in questo caso per
non lasciarle a discrezio. ne dell'infida servitù ? o bisognerà, chę qualche
faggia parente la conduca in casa sua, o porle in monasterio , sotto Ja
direzione di saggia Maestra, Pub. Non è questo il rimedio appro;od [ocr
errors][ocr errors] priato al loro male, che congste in una gran passione , la
quale non si : può rimovere da esse senza cósolarle.Ne certamente si
cureranno già di ricevere i queste in casa loro le saggie parenti : e
ricevendole le imprudenti qual vantaggio ne potreste Iperare ? E ponendole in
monaftcro sotto la cura di faggiaMaestra qual bene potranno ricevere da
essa ef$ sendo tra loro discordanti di genio ? fa rebbe più capace tal
una di queste di sedurre altre compagne,a far che si unifor massero al
suo genio , più tosto, che di u mutarlo; onde nè ad esse, nè al monastero oi
tornerebbe conto , che vi entrassero, 1 Intorno poi al sudetto riincdio ne
parleremo a suo luogo , e tempo, Şem. E quelle figliuole, che non avea se
ranno le accennate paflioni ponno eduei carsi ne monasteri? Pub. Se i
loro genitori sarın capaci, ed attenti, e viveranno all'antica, non fra farà
d'uopo cercare altra casa , che las paterna per educarle, come dicemmo
parlando de figliuoli della Conferenzís [ocr errors] 1, della presente
decade ; mà se poi foffe il contrario,non sarebbe buona per esse, ¢ converrebbe
anche fanciulle racchiu. derle in monafterio, affinchè si discostas sero
dalrimirare i mali efsempj domesti ci, specialmente quei, che potrebbero dalle
Madri ricevere , Sem. Vorrei che mi diceste, Mecena, te,in che possono
difettare le Madri nella educazione dellc figliuole? Mec, In due cose
principali, che so. no l'eccessivo amore che portan loro,e la libertà che
vogliono mantenere per fare ancor esse tutto a lor modo. L'amore non le
permetterà di contriftarle, ne riprenderle, e la libertà,che vogliono godere ,
le disanimerà a procurare di farle .vivere diversamente da quello ch'esse
.coftumano, e vi voglio riferire un caso seguito in mia presenza, Si trovavano
in una conversazione alcune gentildonne în tempo di carnevale , le quali
domandavano l'una l'altra quante volte avevano condotte, le loro figliuole alle
commediese per verità non udj già che alcu na if ve le avesse
condotte poche volte; vi fù f, bensì la più attempata dell'altre, che hin disse
in tempo ch'ella era zitella rare tudi volte G costumava condurvele, e se non #
era modeftiffima l'opera, che si recitava cui non potevano già udirla le
zitelle; vi fù chireplicò ancora che non si poteva oggidi far di meno di
non condurle;perchè altrimenti fi contrifterebbero tanto, che non ci si
potrebbe più vivere ; non dico altro,che vedo il mondo andare da male in peggio
come predisse Orazio. Sem. Oh consideriamo come anderà l'educazione delle
cittadine , e dello à plebce ! Mec. Sappiate, che a queste fi è dato da
qualche tempo in qua un'ottimo regolamento, essendosi aperte scuole publiche in
ogni Rione, e mantenute dalla generosità del nostro Prencipe , - ove
vengono dirette da Maestre molto esemplari numerose figliuole,molte delle
quali si tratrengono ivi tutto il giorno; onde non solamente hanno occasione
tutte di apprendere il fanto timor di Сс Dio, Dio, ed il buon
costume, ma eziandio d'approfittarli in molti lavori dooneschi utili, e
necessari per la casa , tenendoli in oltre lontane da quelle occasioni, che
potrebbero in esse introdurre difetti; onde fpererei, che quando questo fanto
istituto giuagesse ad eliere sufficienre anche per le più miserabili, un'infinito
bene, e più universale se ne porelle ricevere Sem. Bramerei ora di sapere
quale sia il tempo più opportuno d'apprendersi de fcienze? Pub. Si
parlerà di questo quando ci rivedremo , [ocr errors][merged small] [ocr
errors][merged small][ocr errors][ocr errors] 1 Sopra l' età opportuna
d'apprendersi le scienze, cd il modo più façile per accertarsi delle par.
ticolari inclinazioni de' figliuoli, Sempronio , Publio , Mecenate
, & Medico, [ocr errors] Pub. A proporzione delle cose li
può chiama. re ànima del monL do ; essendo che questa lo
mäntic ne, clo fà risplen. dete : sconcerto grande certamente formano
quelle cose, che sono prive di efsa. Se per sua sventura veniffe genio ad uno,
che avesse voçe rauca abituata di fare il Musico,non doverebbe certamen
Сс 2 quali deb bago Z
S Semo 1 1 [merged small][ocr
errors] [ocr errors][merged small] 3. onde
to H fpo. F 2 Dum Sem, A
2 Mec. 127. ÇON: IOI ani te egli effettuarlo ;
perchè non troverebbe, quando anche giugnesse a saper cantare, chi si prendesse
diletto del luo ingrato canto. Converrà dunque in tutte le cose prendere la sua
proporzione giu. sta, con proccurare attentamente, in fare ciò, di non
ingannarli. Sem. L'erà dunque proporzionatas ne' figliuoli per apprendere
le scienze quale sarà? Pub. Quantunque secondo il loro spi. rito, e
capacità deel cio regolare ; nulladimeno prima di dodici, o tredici anni farà
difficile, che questa sia proporzionata ; e tanto maggiormente, che debbonsi
prima applicare ad imparare la lingua latina , per meglio intenderle.
Sem. Ho sentito dire da qualcuno, che la lingua latina li potrebbe imparare
come Gi apprendono gli altri linguag. gi, o nella manicra, che s'impara la
lingna nativa, o dipoi col sentir parlares altri che la possiedono. Pub.
Vedete , Sempronio, se voi bra. mate fare da buon Padre di famiglia, sia.
tc * t'e a mico di fare poche novità nell'edu care, & istruire
i vostri figliuoli, e fere vitevi di questo avvertimento,che i Maa rescalchi,
che non inchiodano i cavalli da essi ferrati, sono quelli, che pongono il
chiodo nella guida vecchia · Anzi che vi dico di vantaggio,che se vi
abbaca tefte per vostra disgrazia in Maestri, che $ volessero
sperimentare modi nuovi per addottrinarli, non vi prevalete di loro; i
perchè avendo i vostri figliuoli perduto ; tempo in mano di questi, converrebbe
farli tornare da capo. Mer. Vi fu a questo proposito un cer. to Maestro
di musica, chiamato Timor teo, che pretendeva doppia mercede & da
quei, che avcano imparato l'arrej 1 senza buoni fondamenti , adducendone op per
cagione , che doppia facica glicon veniva fare ; cioè, che
disimparasfero essi ciò che avevano appreso, e poi d’indi fegnare loro le
vere regole dell'arte : onde se dupplicata riuscirà la fatica a Maestri nel
caso , che non avessero pre. sa la strada diritta, il fimile seguirebbe Cc
3 an. [ocr errors][ocr errors] anche a voi per doverli far
dilimparare ciocche malamente apprefero. Pub. E poi,che cosa averebbero a
fa. re i figliuoli allorchè non hanno ancora la capacità di apprendere le
scienze e quando mai ne acquistassero alcuna parte di esse, seguirebbe ciò per
la felicità di memoria ; ina non capirebbero già quello che elli avessero
appreso, nè tampoco saprebbero prevalera di quel documento generale,non ben
capito,in molte particolari contingenze; onde tal'età non sarebbe proporzionata
per fare acquisto delle scienze. Sem. Ma se caluno avesse ingegno, e
capacità maggiore degli altri, perchè non potrebbe questi esserae capace anche
nella tenera età ? Pub. Dee benli avvertirsi di vantag. gio in questi
se.convenga allora porli a fimili laborioli studi ; perchè il buono agricoltore
, quancunque abbia un campo fertilissimo, a suo tempo vi getta il seme, e lo fa
riposare ancora , per non vederlo divenire sterile, e poi chi sà
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] si, che non sia un fiore senza
frutto quello, che comparisce prima del suo tempo 2 e che poi allorche
gli altri,erci đuti di minor ingegno si vedranno cari, chi di frutti,
questi non si rimiri spogliaco di efi? ricordiamoci, che: nil violentum
durabile. Met. Aveva un giovanetto di questi fatto una bella composizione
in lode di un gran Personaggio, e recieztala alla sua presenza con tanto
spirito, che ne. i rimase ogn’uno degl’ascoltanti ammira to; il meno
ingegnoso, é fpiritoso, che vi era tra efli , domandò al suo Maestro, che ivi
si trovava presente, sçra ftaja composta dal detto figliuolo, cui rispoe
fe di fi ; e voltatosi egli a quel Personag gio gli dise : fogliono
alcuni avere spirito, c capacità grande da giovanetti, la quale perdono
poi avanzati che sono o negli anni. Udendo questo il figliuolo 1 rispose
prontamente a costui: ma voi Sigaore, da giovanetto bello spirito, c |
capacità che averete ayura ! Rimafer quel Signore in vdir si propra, ed
argu Сс 4 ta ta risposta, la quale fe credere a tutti
la composizione essere fata fua. , sem. Questi ingegni dunque , per
quanto ho udito, averanno d'uopo più tosto di ritegno, che di stimolo.
Pub. Voi non dovere dubitare di ciò, vedendolo praticare giornalınente nella
vostra scuola di cavalcare, ove tra i precerci, che averete avuci , vi sarà
questo, di non lasciare la libertà del freno a quei destrieri , che sono più
fpiritoli degli altri. Sem. Come mi dovrò regolare per conoscere, che
sieno i figliuoli proporzionati più ad una, che ad altre scienze? Pub.
Dovrece principalmente fare esplorare il loro genio ftabile qual Ga,
eriflettere,fe corrisponda questo alla loro capacità, e disposizione
naturale. Sem. Come si potrà conoscere, che fia stabile questo genio
? Pub. Ciò di discerne benissimo; pofciache i figliuoli dalla più tenera
età cominciano a mostrare le loro inclinate egli effettuarlo ; perchè non
troverebbe, quando anche giugnesse a saper cantare, chi si prendesse diletto
del luo ingrato canto. Converrà dunque in tutte le cose prendere la sua
proporzione giu. sta, con proccurare attentamente, in fare ciò, di non
ingannarli. Sem. L'erà dunque proporzionatas ne' figliuoli per apprendere
le scienze quale sarà? Pub. Quantunque secondo il loro spi. rito, e
capacità deel cio regolare ; nulladimeno prima di dodici, o tredici anni farà
difficile, che questa sia proporzionata ; e tanto maggiormente, che debbonsi
prima applicare ad imparare la lingua latina , per meglio intenderle.
Sem. Ho sentito dire da qualcuno, che la lingua latina li potrebbe imparare
come Gi apprendono gli altri linguag. gi, o nella manicra, che s'impara la
lingna nativa, o dipoi col sentir parlares altri che la possiedono. Pub.
Vedete , Sempronio, se voi bra. mate fare da buon Padre di famiglia, sia.
tc * t'e a mico di fare poche novità nell'edu care, & istruire
i vostri figliuoli, e fere vitevi di questo avvertimento,che i Maa rescalchi,
che non inchiodano i cavalli da essi ferrati, sono quelli, che pongono il
chiodo nella guida vecchia · Anzi che vi dico di vantaggio,che se vi
abbaca tefte per vostra disgrazia in Maestri, che $ volessero
sperimentare modi nuovi per addottrinarli, non vi prevalete di loro; i
perchè avendo i vostri figliuoli perduto ; tempo in mano di questi, converrebbe
farli tornare da capo. Mer. Vi fu a questo proposito un cer. to Maestro
di musica, chiamato Timor teo, che pretendeva doppia mercede & da
quei, che avcano imparato l'arrej 1 senza buoni fondamenti , adducendone op per
cagione , che doppia facica glicon veniva fare ; cioè, che
disimparasfero essi ciò che avevano appreso, e poi d’indi fegnare loro le
vere regole dell'arte : onde se dupplicata riuscirà la fatica a Maestri
nel caso , che non avessero pre. sa la strada diritta, il fimile seguirebbe Cc
3 an. [ocr errors][ocr errors] anche a voi per doverli far
dilimparare ciocche malamente apprefero. Pub. E poi,che cosa averebbero a
fa. re i figliuoli allorchè non hanno ancora la capacità di apprendere le
scienze e quando mai ne acquistassero alcuna parte di esse, seguirebbe ciò per
la felicità di memoria ; ina non capirebbero già quello che elli avessero
appreso, nè tampoco saprebbero prevalera di quel documento generale,non ben
capito,in molte particolari contingenze; onde tal'età non sarebbe proporzionata
per fare acquisto delle scienze. Sem. Ma se caluno avesse ingegno, e
capacità maggiore degli altri, perchè non potrebbe questi esserae capace anche
nella tenera età ? Pub. Dee benli avvertirsi di vantag. gio in questi
se.convenga allora porli a fimili laborioli studi ; perchè il buono agricoltore
, quancunque abbia un campo fertilissimo, a suo tempo vi getta il seme, e lo fa
riposare ancora , per non vederlo divenire sterile, e poi chi sà
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] si, che non sia un fiore senza
frutto quello, che comparisce prima del suo tempo 2 e che poi allorche
gli altri,erci đuti di minor ingegno si vedranno cari, chi di frutti,
questi non si rimiri spogliaco di efi? ricordiamoci, che: nil violentum
durabile. Met. Aveva un giovanetto di questi fatto una bella composizione
in lode di un gran Personaggio, e recieztala alla sua presenza con tanto
spirito, che ne. i rimase ogn’uno degl’ascoltanti ammira to; il meno
ingegnoso, é fpiritoso, che vi era tra efli , domandò al suo Maestro, che ivi
si trovava presente, sçra ftaja composta dal detto figliuolo, cui rispoe
fe di fi ; e voltatosi egli a quel Personag gio gli dise : fogliono
alcuni avere spirito, c capacità grande da giovanetti, la quale perdono
poi avanzati che sono o negli anni. Udendo questo il figliuolo 1 rispose
prontamente a costui: ma voi Sigaore, da giovanetto bello spirito, c |
capacità che averete ayura ! Rimafer quel Signore in vdir si propra, ed
argu Сс 4 ta ta risposta, la quale fe credere a tutti la
composizione essere fata fua. , sem. Questi ingegni dunque , per quanto
ho udito, averanno d'uopo più tosto di ritegno, che di stimolo. Pub. Voi
non dovere dubitare di ciò, vedendolo praticare giornalınente nella vostra
scuola di cavalcare, ove tra i precerci, che averete avuci , vi sarà questo, di
non lasciare la libertà del freno a quei destrieri , che sono più fpiritoli
degli altri. Sem. Come mi dovrò regolare per conoscere, che sieno i
figliuoli proporzionati più ad una, che ad altre scienze? Pub. Dovrece
principalmente fare esplorare il loro genio ftabile qual Ga, eriflettere,fe
corrisponda questo alla loro capacità, e disposizione naturale. Sem. Come
si potrà conoscere, che fia stabile questo genio ? Pub. Ciò di discerne
benissimo; pofciache i figliuoli dalla più tenera età cominciano a mostrare le
loro inclinapo [ocr errors] ruti zioni, & in proseguimento di essa li
van. no spiegando meglio, & alla fine avvici. nandosi al tempo di
risolversi , la palesano espressamente, ed in questo caso è veramente
stabile, e fissa. Oh quanto die si conobbe bene fin da suoi teneri
anni il genjo di Marco Catone : posciache quanrunque venisse
violentato con fiere minaccie a fare cosa da esso creduta di-
sdicevole da Quinto Popedio Latino, si mantennc sempre costante nel suo
senti- mento; il di cui animo intrepido G. avan- zò, crescendo
negli anni; posciache condotto alquanto più grandicello, da
Sarpedone fuo pedante a casa di Silla per visitarlo, e vedendo nel cortile
di decto palazzo la lista de' proscritti, eb. be a dire : è
possibile, che non vi sia chi ammazzi un tiranno sì crudele comes
Silla? domandò egli al suo pedante un coltello, dicendogli , che ad esso
fareb- be riuscito facile il poterlo uccidere ; perchè fi poneva a
sedere accanto a lui come riferisce Valerio Massimo, Sem. E
se nell'ecà genera avessero mo. stra, strato qualche
inclinazione ad una scien. za, e poi dopo qualche anno li fossero invogliati di
qualche altra , ed alla fine, venuto il tempo da determinarli, voJeffero
apprenderne alera differente da queste, che doverà farsi? Pub. Questi
sono di genio istabile , e non li fiffano mai, onde a qualunque fcienza si
applicheranno, non sarà mai di lor piena sodisfazione , ed in questo caso
consigliatevi con chi ben conosce. rà il loro talento, come sono i Macítri, e
da esli comprenderete in quale fcienza ciascun di loro potrà riuscire più atto,
e fare in modo , che in quella fi applichi. Sem. Ma fe moftraffero non
avervi genio ? Pub. Questo si fa venire con far suggerire loro, che
quella scienza , la qua. Je si crede proporzionata alla loro abilità, sia la
più bella, la più nobile, la più utile, c la più dilettevole, che li
accomoderanno senza indugio a volerla apprendere. Sem. [merged
small][ocr errors][merged small] Sem. Sarebbe necessario, che m'in formaste
ancora sopra la facilirà , che uno possa avere in apprendere più una scienza,
che un'altra Pub. Se voi scorgerece un figliuolo serio, e prudente, per
quel che potrà portare la sua età, divota', e che inclis ni all'ecclesiastico,
questi pare nato per istudiare Teologia, Se serio parimente, e prudente ,
volonteroso di studiare, s che tal volta nelle picciole altercazioni nare tra
fratelli effo fi frapponga , e mostri voler giudicare , chi di loro abbia
corto, o ragione , a questi fate pur studiare Legge, che diverrà un'altro
Bartolo. Se poi obiecterà , sarà riflessivo, tirerà frequenti conseguenze ,
questi averà cutti'li buoni requisiti per divenire un'eccellence filosofo . Se
lo vedrere ingegnoso in adattare, e difporre i suoi giocarelli puerili,
prendere misure di alcune cose, il suo genio lo porterà ad apprendere le
Marcematiche ; conforme seguì in Protagora, ed in Biagio Pa. fcali:c fs lo
mirerete sonrinyamente ap [ocr errors][merged small][ocr
errors][ocr errors] applicato a disegnare, o rimirar picture, la sua
inclinazione naturale lo porterà a fare il Pittore : finalmente se lo vedrete
afliduo nel tempo, che qualcuno sia malato in casa, e desideroso d'allistergli,
c stare con attenzione ad ascoltare ciò, che dirà il Medico, il genio, e
l'abilicà lo portano a studiare Medicina. Sem. Se sarà nobile però come
potrà effere Medico, non costumandoli das pertutto che questi esercitino cale
pro feffionc Pub. Dunque sarebbe affai fortunato uno de’vostri figliuoli;
se fosse Medico; perchè essendo singolare , che stimas grande averebbe egli, e
che belli acquisti apporterebbe a casa vostra ? Sem. E se tal uno
morteggiaffe, che odoraffero questi alquanto di cattivo? Pub. E voi fate,
ciò che fè Vefpafiano a Tito, allorchè riseppe, che aveva ciò motreggiato,
quando pofe la gabella fopra l'orina , cioè di fargli odorare i danari, che da
detta imporzione furono esatti, e trovò il buon figliuolo, che [ocr
errors] [ocr errors][ocr errors] il modo di medicar cavalli, alcuni nou 3
che non avevano alcun cattivo odore, Dita ed il (mile seguirebbe anche in
questi. Mec. Vorrei sapere da voi, Sempro>nio, se vi sia stato alcun
nobile, che abbia imparato a medicare cavalli? Sem. Che voi non lo fipete!
essendo. !ci quel vostro amico, che non solamen te lo sà fare, mà anco
l'esercita , peel rò nobılmente. Mec. Oh Dio buono,per medicare le bestie
s’ha da impiegare senza alcun moc teggiamento un nobile ! e per curare un
-2.14 uoino tanto più nobile di esse hà d'ave. mai retinore di essere
motteggiato! più no bile dunque farà creduto da questi of l'esercizio del
Manescalco, che quello del Medico, giacchè quello è esercitato da nobili,
e questo da essi viene abbor. rito? Pub. Hanno dato alla luce libri,sopra
bili, tra quali vi è Pasquale Caraccioli Cavaliero Napolitano, e Marino Gir,
zoni Senatore Veneto ; laonde potrebbero meglio impiegarsi i nobili nello
elpi scrivere di medicina, per imitarc
Corne. lio Celso nobile Romano. Med. Vi è stato anche a giorni nostri
Roberto Boile nobile, e ricco Inglese , il quale non hà risparmiato, ne spefa ,
ne fatica per accrescere la filosofia fperimentale ; e quanto di bene egli
abbia fatto, le sue opere lo mostrano , avendolo queste renduto glorioso a’posteri
. Mec. In questo particolare bisogna , che io parli contro di noi
medesimi : per ispregare le nostre ricchezze in lussi, lo facciamo prontamente
; per impiegarle poi a beneficio della viriù, non ci sappiamo indurre, perchè
pajono ad alcu. ni spregate, quantunque realmente non fiano. Mà torniamo al
nostro assunto. Sem. Vorrei sapere dal Dottore, da che proceda la varietà
dei genj . Med. Questo secondo il mio debole fentimento credo , che da
temperamenti poffa in gran parte derivare, perchè colui , ch'è malinconico
averà genio as cose serie, il bilioso ad altre più risoluto, il demmático
gradirà la quiete, ed 1 [ocr errors][ocr errors] il sanguigno amerà
la varietà delle cose, e poi rifletto, che l'arie ancora, ove al-
cuni nascono, ponno contribuire molto alla determinazione de genj,
essendoche vi sono alcuni luoghi,ove quasi tutti at- tendono ad un
solo metiero, ed in un tal clima li osservano genj affai
differen, ti dall'altro; ben è vero però, che alle volte ancora le
altrui fortune fanno ve. nire il genio più ad una cofa , che ad
un'altra per esempio l'essere un semplice Soldato divenuto Generale, ha
fatto venire il genio a più d'uno di seguitare la guerra : l'avere
lasciato un Medico ricchezze considerabili, ha dato moti- vo a molti
di applicare alla Medicina ed il fimil è accaduto nell'altre
profes- sioni. Leggo però che nella Cina, cd in alcuni altri dominj
fuori dell'Europa quefi genj sono già fissati , non essendo
permesso ad alcuno il fare differente me- stiero da quello di suo Padre.,
e perciò colà igenj sono stabili non potendoli
yariarere a suo modo. Şem. E se quedo genio, che
taluna do [ocr errors] de'figliuoli hà, non corrispondeffe
alla sua capacità, che doverà farsi? Pub. Questo suole per lo più corrifpondere,
quando nasca spontaneamente, e aon da impegno; perchè ci potrebb' essere
taluno, che avendo genio il suo compagno di applicare, per esempio alla legge ,
e questa quantunque non geniale nulladimeno per non discoftarli da esso,
volesse anch'egli ftudiarla , ed in questo caso, vedendo voi, che non avesse
quell'abilità, che tale profes. fione richiede, potreste farlo allontanare dal
detto suo amico per qualche tempo, senza che penetrasse il perchè, e così il
genio , che nasce dall'impegno,fi muterà facilmente, quando non vi concorra
anche il proprio . Sem. Come mi potrò allicurare, che fia proporzionato
il genio, e l'abilità alla scienza , la quale bramano di acquiItare ?
Pub. Niuna cosa vel potrà far meglio conoscere , che lo profitio , che faran.
no ja quclle, perché è impossibile che con [ocr errors][ocr errors]
di concorrendovi l' abilità , ed il genio , questo non si faccia anche da
principio, ed accertato, che voi sarete di ciò vivea te pur quieto di
mente, che ci è la sua of proporzione. Sem. E se non ci sarà detto
profitto, G doveranno levare da questa per porli ad apprendere alcra
scienza? Pub. Conviene maturare bene fimile si risoluzione, per conoscere
meglio don de proceda il non farsi profitto, poten. do ciò nascere da due
cagioni, cioè,o da fimulata inclinazione, o da inabilirà : se provenissc dalla
prima potrete fare da qualche loro confidente scoprire i qual fia la loro
propria inclinazione, ; dove il genio li porti, e prima di perdere
maggior tempo ponereli in quellas ad essi geniale ; se poi nascerà dalla
inabilità, ovunque li porrete, questa farà sempre impedimento al conseguimento
di essa. Sem. E se procedesse dall'essersipenriti, ritrovandola più
difficile di quello, che se l'erano figurata ? Dd Pub. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] Pub. Questi cenereli per istabili,
poltroni, che poco di buono ne potrete tiçayare; perchè ovunque gli
applicherere , sempre faranno il medesimo, non avendo fermezza , ge sofferenza
per la fatica, Sogliono però alle volte alcuoi di questi rimetçerli nella buona
strada , quando ciò venisse da una certa pufillanimità di cuore , onde farà
bene di ajugarli da principio con buoni repetitori, mediante i quali animandosi
, prosegui. ffono poi con profitto , Sem. E se non ayeffe taluno genio a
fofa alcuna, come mi doyero regolare Pub. Vi potrete con questi regolare
a yostro modo , ogni qual volca či liau Pabilità, e l'ingegno ; perchè sogliono
alcuni per modestia in tutço , e per tut: to forromergersi al volere paternoję
queIti riescono per lo più virtuofi , ogni qual voltą abbia l'ayerţenza di
farli applicare a quella scienza, che Gia proporzionata al loro talento, come
già di. femmo Sem. Stimate bene che nel tempo,i che applicano alle scienze si
possano , pare per loro divertimento, far applicare al plin suonogal canto, o
ad altri civili diverčia 0,1 mçnti? open Pub, Şe li yoletę far divertire day *
quells, fateli applicare anche a questi , A Colui, che applica, e li approfita
in cose ferie , non bisogna distrarlo con çosę amene, perchè le
prendeffe cal vol. i ha genio grande a queste come ande, rebbero ,
Sempronio mio, le serie an zi che, se ne moftrassero efli genio,dove. a
fe da questo diftorli, con dire loro, che approfittati, che saranno nelle
scienze, * yoi medelimo volere, che si divețiano o in quelle, ed in turti gli
alțri civili orna mengi . In un caso solamente fi potrebbe ciò
permettere, cioè quando il figliuolo fosse di temperamento molto malin. conico,
e çetro per solleyargli l'animo contriftato, Sem. E se la foyerchia
applicazione allo {tudio danneggiasse la salute, che converrà farsi, Dottore?
Med. Primieramente procurerere, DI? che [ocr errors][ocr errors]
illbuono per evitare i nocu. che si moderi ciocche sarà eccessivo;perchè
quello che non fi può apprendere ia un giorno, fi apprenderà nell'altro, e fe
voi vedrete , che ciò non basti, levateli affatto dallo studio ; perchè è me.
glio il figliuolo fano, quantunque fias ignorance, che dotto divenuto inabile a
godere il frutto delle sue faciche: e non vi fate dare ad intendere da
parabolani, che a forza di rimedi possa superarsi tal incomodo, perchè in tal
caso averà due nemici, che lo perseguiteranno;cioè l'applicazione soverchia, ed
il rimedio da taluno credulo, o malizio. menti di effa, quando lo specifico rimedio
consiste nella totale rimozione dall'applicazione: Sem. Approfftrati che
saranno i figliuoli, che dovrà fare il buon Padre di famiglia per provederli
bene? Pub. Ci penseremo trattanto, e la di. scorreremo in appreffo.
CON. 421 CONFERENZA VI. [ocr errors] Sopra gl' impieghi, che
dovranno darsi da faggi Padri a' figliuoli ben’educati ,, e dotti.
[ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] Pub. o sviscerato ainore de Padri verso i figliuoli, li fa bene
spesso cadere in mol. ti eccelli, e partis colarmente allorche questi
nascono ; pofciache fino da quel punto di figurano alcuni di efi , e senza
alcun fondamento, di far loro ottenere grandezze, & onori confiderabili, e
per ciò allora dispongono d'indirizare il primo per l' Ecclesiastico, a fin che
giunga a sublimi posti; di acca fare il fe con el Dd 3
[ocr errors] condo , e fargli ottenere una groni lima dote : d'incamminare il
terzo per un generalato di esercito: ed al quarto ; c quinto di dat per moglie
figliuole ereditieres e ricche, acciocche poffano passare la quelle famiglic ad
ereditarne archie il cognome. Se tali chimere, senza verun fondamento ideates
riuscisfero , oh chie bella cosa che sarebbe! l'averebbero con quefti modi
certamen. té accomodati tutti affai bene : mà benedetta sia quella volta, che
pur una di queste si verifichi in tutto ; posciachè al destinato per
l'ecclefiaftico viene genio di prender moglie; a quello per la moglie di farsi
ccclefiaftico, o religioso; all'altro per condurre eserciti d'imparate a guidar
bene un biroccio ; o muta i fei; ed agli altri destinati, pet rostegno di
famiglie altrui, di rovidare, per quanto poisono s la propria , con giuochi , é
bagordi ; a quali si darino in preda : e sapete ciò da che nasce dal non avere
i Padri appreso bene da Salomone al 16. quello che debbatio fare , qual'è?
Cor. bos st bominis difponii viam fuam, fed Domini eft. n diriģere
grefus fuos; onde per voler fare to tutto da se medesimi, perciò non poffo. !
nio avere buon fine i loro disegni . of Mec. Questo l'ho confiderato anche dio
più volte, in occasione, che seativa I dire a Padti: questo l'ho già destinato
i per la tal via ; e quello per quell'altra s # conforme ch'elli fossero stati
arbitri del la Providenza Divina , che regge turto, a difpofitoti
assoluti delle inclinazioni de figliuoli ; é volendo ammonire sopra di
ciò talun di quefti , mitróncava il dia scorso con dire che già poneva da para
te gli assegnamenti necessari, e che pensava ancora alle fpefe straordinarie ;
per i quando avessero conseguito quelle caris che; che bramavano di fare
orretiere 2 figliuoli; ed era quelto trent'aniti primas che le potessero
conseguirt , onde mi sembra vano le loro menti teatri di commedie, ove fiori
personaggi paffeggiano · Sem. Non ci averanno dunque das penfare, i Padri
allorche nascono i Ai gliuoli di far conseguire loro vantaggi? DI 4Pub. Non
hanno allora da pensare a questo, mà bensì di proccurare, che divengano abili a
conseguire quella buona sorte , che Iddio 'averà preparata a meri. tevoli : e
perciò fantamente un saggio Padre aveva in una tela fatti dipingere i suoi
figliuoli colla sola camicia, e con questa iscrizione. Tocca a Dio lo
stabilire In che guifa han da vestire . Volendo significare , che a lui
non toccava fare altro, se non ricoprirli colla ca. micia, affinchè non
comparisfero affatto nudi ; nel riinanentę poi si uniformavi colla volontà di
Dio, acciocche li avesse rivestiti a suo modo, e che questa prima copertura non
consisteva in altro, che nella buona educazione , alla quale dovea cffo
pensare; onde non prima , che fiano educati, ed istruiti questi nelle
virtù,possono i Padri comprendere, che voglia Iddio disporre di eli. Sem.
Qual di questi il Signore Iddio averà disposto per acca farsi? E sem. Quello ,
che conoscerece più (e frio, sano, e sensato, e che averà inclina.
kizione a questo, perchè avere pur udito bu qual capacità , e segno ci
vuole per prenaf dere moglie? Sem. Se il primo genito , al quale si suol
dar moglie, non avesse tutte queste condizioni, e foffe volonteroso
d'accasarsi, che si averà da fare? Pub. Se gli mancaffe la sanità, o
faviezza sarebbe segno, che Iddio non vo. lesse; e voi potreste sostituire ad
esso chi fosse più capace.. Sem. É se ci fosse il maggiorasco, che ma
potrò far io venendo egli chiamato as [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] Pub. Farete dal canto vostro tutto quello , che potrete ;
perchè non manca. no, ripieghi in simili contigenze, per farlo rinunziare a
questo, con serbarli un buon assegnamento; mà se poi non vi riufciffe converrà
averci pazienza; perchà vostra non è la colpa , mà di chi lo chiamò a questo,
che non pensò a tanto. Sem. E per l'ecclesiastico, chi dielli a doverà
incaminare, Pub, [ocr errors] Pub. Il più docilc, dotto, e divoto.
Sem. E se non avess' egli tal genio ? Pub. Sarebbe segno che Iddio
non lo volesse per questa via, e voi sostituitene un altro ad effo, che l'abbia
, quartunque foffe men dotto; o pute incominciatead istradarlo per questa via
alla lon. tana, che può essere's che tal genio gli venga . Sem. É quale
sarebbe questa via Pub. Quella della Avvocatura, se fará inclinato alle
materie legali; mà non to fare Avvocato di dome, perchè cið (crvirebbe a
nulla. Sem. Come mi dovrà regolare in far questo? Pub.
D'incaminarlo per la medesima via , che calcarono quelli che sono riufciti
eccellenti in tale professione ; i quali ne'primi anni cominciarono a rivolta.
fé protocolli negli offizj de Notari. Sem. Mà una persona nobile non
potrà far questo. Püb. E percið non potranno forfe giugnere ancora alla
perfezione di quellig che lo fecero: More [ocr errors][ocr errors]
Med. Vannio pure alla guerra ventu. fieri moltissimi nobili con pericolo
giornalmente di morte, e cominciano meri fanci di volontà; perchè dunques non
possono fare ancor questo, nel quale non li incontra un fimile pericolo, ed il
fine ancora, è retrissimo,onoratiffimos crfendo diretto all'atimigistrazione
della giustizia ? sem. E dipoi che dovranno fare Pubs Prendere
pratica delle cause appreffo i migliori Curiali , ed esercitari in questa,
passare a prenderla dagli Avvo. cati con iftare sotto la loro dettatvra , se
forà bisogno : e finalmeiite im poffeffati, che saranno in detta pratica
ascoltare attentamente per qualche tempo i Giudici de primi tribunali; ed allor
si, che po. tranno porsi a fare gli Avvocati , tros Vandofi colmi di doctrina ,
e di sperien2à. Sem. Esercitato che averanno l'Avvocatura che faranno
? Pub. Avendo acquistata perizia maga giore in tal ministerio , c per
averlo lom de. [ocr errors] deyolmente qualche tempo esercitato ,
potranno per giustizia , non già per grazia pretendere i migliori posti della
Republica, e di grado in grado avanzandosi, potranno conseguire ciò, che bra.
mano: Sem. E’lsudetto genio come verrà ? Pub. Chi averà amministrato
con rettitudine la giustizia, sarà senza dubio rimunerato da Dio; se lo fè a
Salomone per avere solamente mostrato desiderio di esser giusto,fupplicandolo
di ciò,come fi legge al 3. dei Rè: Quia poftulafti ver. bum hoc , bu non
petiffi tibi dies multos ; nec divitias &c. ecce feci tibi fecundum
Sermones tuos &c. fed, hæc que non poftulasti, dedi tibi : divitias
fcilicet, do gloriam; ed udite ciocche dice per bocca d'Isaia al 51. Facite
justitiam &c. ed ins appreffo: Beatus vir , qui facit hoc; e nel libro
della sapienza al primo : diligite ju, ftitiam , qui judicatis terram ; come
volete dunque che, a questi non dia las vocazione ancora di servirlo;
cffendogli sì grata la sua servitù.Sem. Se taluno di eisi volesse farsi re,
ligioso, che dovrò fare? Pub. Non altro ch'esplorare se fia vera
vocazione, o soggestiones perchè se farà vera vocazioneld, dioè, che lo chiama;
onde a questa non dovete opporvi s perchè si sono veduti gastighi assai
evidenti fulminati contro chi si è opposto al Divino Volcre , : Sem. Come mi
porrò accertare di questa vera vocazione ? Pub. Dovete alla prima
mostrare res nitenza in dargli permissione, che lo faca cia : conducerelo
continuamente con esso voi, ed informarelo sinceramente di tutte le difficoltà,
che potrebbe in. contrare nella vita religiosa ; come anco delle astinenze, ad
altre penitenze, che tra effi fi costumano, con doverfi privare della propria
volontà, allorchè sarà religioso; e se si manterrà sempre saldo, é costante nel
suo proposito, crem dete per certo, che farà vera vocazione. Sem. Mà non
sarebbe bene, che lo condücelli alle conversazioni, alle comig me
medic, ed ai passeggi per divertirlo me, glio, caso che lo vedcili
malinconico? Pub. Questo poi non dovretç fare ; perchè allor îi che perderebbe
quanto di buono egli acquisto nell'educazione; e non facendoli poi Religioso vi
farebbe fofpirare, per averlo voi con defii mo: di improprj sedotto , E non
crediatę gia che facendosi Religioso, per vera vocazione,egli viverà infelice,
anzi che sarà il più contento, e felice degli altri, per, che godono questi ,
quando non abbia. no ambizione, ed altri attacchi mog, dagi, sommą tranquillità
d'animo, Sem, Sicchè dunquc sarebbe bene, che facefî venirç a qualcun
aloro ancosa la yolontà di farsi religioso, giacchè elli vivono così feļici, e
particolarmense a quelli, che fossero incapaci di alcu, no impiego della
Republica . Pub. Ayversite, Sempronio, di non far questo, con modi
suggestivi, per fini mondani; come sarebbero, per far di, venire gli altri
fratelli,che sono al secolo più facologi mediapre l'augumento delo
la la sua parte șinunziara , o perchè non saperç a che impiegarlo, mentre
questo non piacerà a Dio, onde contentatevi di dare solamente a Dio quelli,
ch'esso yuole, e non quelli che non fanno per voi, come sogliono pure troppo
effettuar re alcuni, che sc hạnno raluno de figliuo, li difertosi, o di poco
fennolo consacra no a Dio, essendo questo il sacrificio apo punto di Çaigo ,
che gli daya le vittiine più magre, e tanto maggiormențe chę essendo questi
turti suoi operarj? come volere, che poslano fervirlo bene, se non avranno
capacità sufficiențe di farlo? Mec, Sarebbero dunque, come quelle
vittime, che si offerivano agl'Idoli di Moloc, ed a quello di Sapurno dai
Gentili, che morivano nelle loro braccia jufocate senza esser capaci di alçro,
che di piançi. Sem. Se paluno & volçís'elimçre da qualunque impiego
per starsene senza pensare a cosa alcuna,che averò da fare? Pub. Coltui
bramerebbe darG all' ozio, e non è volontà di Dio, che stia l'uo l'
uomo ozioso leggendosi nella Geneli al 2. Pofuit eum in paradiso voluptatis, ut
operaretur, e se in luogo di delizie non volle , che stesse ozioso l'uomo ,
come lo permetterà nel mondo? quando allorchè ye lo pose gli disse : In Judore
vultus fui vefceris pane tuo, donec rever. teris in terram ; quale poi fa il
danno, che apporta l'ozio uditelo dall'Ecclefiastico al 33. Multam malitiam
docuit otio. fisas; e maggiormente questo può nuocere a chi hà beni di
fortuna', perchè essendo l'ozio il padre di tutti i vizj, che ne seguirebbe da
questo? Allorsi che la buona educazione gli gioverebbe poco; onde per ovviare a
ciò potreste farli suggerire, se bramasse entrare in corte ove fi sta per lo
più a sedere , gon si fatica, ne fi applica a cose di rilievo, discor, rendosi
bensì delle novelle della città, e del mondo,e li fà una vita neghittosa,la
quale farà facilmente confacevole al suo genio, e perciò, che la provasse un
poco: caso poi, che ricusasse questa ancora, allora vedete a chc aveffe genio,
e la. [ocr errors][ocr errors] sciateglielo fare, perchè sempre
sarà meglio, che faccia qualche cosa', che stia coralmente in ozio ; e tra
gl'impieghi onorevoli ci sono la pittura, nella quale alcuni malinconici i sono
con genio esercitati : il lavoro alcorno : il dar las vernice indiana , ed
altre cose simili , confacevoli a chi non voglia intraprendere affari di
suggezione, ed udite ciocchè consigliava ancora San Girolamo Epist. ad Ruftic.
Vel fifcellam texe junco, vel canistrum piecte viminibus ; più costo che ftare
ozioso. Sem. E se tal uno di essi volesse applicare a far negozj di
cambi, e ricambi, edsagl’affitci'de dazj, averò da permetterglielo? Pub.
Ci penserei prima d'accordarglielo; non solamente perchè nostro Signore Gesù
Cristo levò S. Matteo da far simili esercizj, mà ancora, perchè questi
impieghi, che mediante un fallimento, o altri accidenti del mondo ponno
scomodare di molto, non sono negozj licuri, anzi azzardolidimi in chihà da
perdere molto del suo ; che questo lo faccia chi poco può discapitare di
proprio gl’è tollerabile. Sem. Avendo taluno genio alla caval. lerizza, e
li dilettasse di mantenere più cavalli di quelli, che Geno necessarj,averò da
collerarglielo? Pub. Essendo tal genio diretto alle bestie, quando fi
eccedesse nel numero , o nell'amore verso di effe, non sarebbe tollerabile:nel
numero, perchè al parere del Petrarca: in Dial. de equo; Quot equorum mores
totidem equitum pericula; e nell' amore, perchè gl'uomini quantūque grádi, che
vi cadettero, furono di ciò biasi. mati; tra’quali Alessandro, Augusto, ed
altri. Quindi è, che faggiamente dispone il Deutero.al 17. Rex non
multiplicabit fin bi equos ; or dunque come potrà ciò permcttersegli, essendo
anche dispendioso? Sem. Vado or riflettendo come G rę. goleranno quei
figliuoli educati benc da Maestri,criusciti eccellenti nelle scienze, se non
averanno i Padri attcari, e 'capaci di dar loro direzioni buone in [ocr
errors] j tempo, che debbono prendere stato : © che faranno ancora quci
nati da Padri poco nobili, e meno ricchi,effendo d'uopo riflettere a tante cose
per accomodarli bene? Pab, La gran providenza di Dio supa plisce a questo
; effendoche : bong menfi fuccurrit Deus,Allorchè questi faranno divenuti
capaci,cd abili, da loro medesimi comprenderanno qual ha il volere Divino, ed
avanzandosi colla loro prudenza giugneranno felicemcate fin dove Iddio averà
disposto, che arrivino. Sem. Io sono rimasto sorpreso allo volte nel
vedere cerți mal educati, e poco dotti , ed anco per vie indirctte , giu. gnere
a gran posti; ed altri, alle volte quanrunque di vita esemplarc, meritevoli, e
capaci, rimanere indietro, Pub. Questo ancora è un arcano della
Providenza Divina ; posciachc essas I tollererà , che caļuno s'avanzi per
queste ich vie; mà che ? vedendosi questi nell'au, ge delle loro fortunc
cadere a terra, çi i fa credere, che senza il Divino ajuto for [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] formino la statua di Nabucdonosor,
12 quale mediante un picciolo falsolino s' atterra, come appunto provò Sejano.
I E quelli poi, che rimirate non avanzarsi, avendo merito, Iddio conosce, che
quel posto,che voi credere, che compete. rebbe loro, e non lo conseguiscono,
non fàrà per loro,effendoche, oc'incontrerebbero delle disgrazie, o pur sarebbe
dannoso alla loro eterna salute, e di quefta verità non dubiterere punto
; perchè alle volte: honores mutani mores, ondes chi sà, che in questi non
seguisse cosi? se volete udire altre ragioni sopra di ciò leggete Seneca che
tratta diffusamcnte di questo nel libro:quare bonis viris mala accidant cum fit
Providentia . Sem. E che dice di più di questo? Pub. Tra le altre
cose urili dice la Pro. videnza Divina a coloro, che di ciò si prendono
rammarico al cap. 6.Quid habetis quod de me queri pofitis vos, quibus recta
placuerunt? Aliis bona falsa circum. dedi , animos inanes velut longo , falla.
rique fomnio luff, Auro illos , argento , ebo [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] ebore ornavi: intus boni nibil eft . Ifti quos
profęlicibus aspicitis fi non quâ occurrunt, sed quâ latent videritis, miferi
sunt , fordidi , turpes ad fimilitudinem parietum fuorum extrinfecus culti .
Non eft ifta folida, sincera folicitas: crufta eft, quidem tenuis . It aque dum
illis licet ftare, co ad arbitrium suum oftendi, nitent , da imponunt cum
aliquid incidit , quod difurbet; ac detegat , tunc apparet quantum alta , ac
veræ feditatis alienus Splendor absconderit. Vobis dedi bona certa, manfura
quanto magis versaveritis , & undique inspexeritis,meliora,majoraque
permisi vobis , metuenda contemnere , cupienda fastidire. Non fulgetis
extrinfecus : bona veftra introrsum obverfa sunt . Non egere feu licitate
fęlicitas veftra eft. Ferte fortiter, bc. · Sem. Sin ora abbiamo discorso
intorno al modo da provederli senza soccorrerli di proprio , vorrei , che ora
m’ istruiste come mi doverò regolare con efli loro nel sovvenirli, vivendo io,
e dopo la mia morte ? Pub, [merged small][ocr errors] Ec 3
Pub. Questo è un prudente quesito, e dev'esaminarsi seriamente, dependendo da
questo il mantenimento ancora della buona educazione acquistata ; posciache
bene spesso conforme diffe Tacito: felicitate corrumpimur. Sem. Come
dunque mi dovrò regola. re coll'ammogliato ? perchè non vorrei pensare al suo
mantenimento , fentendo giornalmente molci dolersi de loro Pa. dri, che non li
provedono in tempo opporcuno di quanto fa loro bisogno; oltre di che sò ancora,
che così pensa mio Padre trattarmi. Pub. Voi dovrete affegnargli unas
convenevole, c fufficient entrata, che pofsa baftare per il suo mantenimento ;
con questa considerazione di vantaggio di accrescerla, secondo che anderà mul.
riplicando la famiglia. Sem. Mà non averà d'avere qualche cosa di
vantaggio del bisognevole? Pub. Qualche cosarella credo anch' io di fi,
perchè accadono alle volte certe spefarelle impensace, alle quali nonfi farà
dato il suo equivalente assegnamento; mà per altro non debbono i buoni Padri di
famiglia essere molto generoli co'suoi figliuoli ammogliati. Sem. E per
qual cagione? Pub. Perchè dagli affegnamenti soprabbondanti ne nascono il
lusso, las crapola, e cento altri vizj. Sem. Mà se farà ben’educato non
caderà in questi trascorsi . Pub. L'essere ben’educato opererà , che
questi non si dolga del conveniente, e giusto assegnamento fattogli da suo
Padre ; mà per altro fate, ch'egli si ritrovi denaroso, troverà ben più d'uno,
che gli li porrà d'intorno per farglielo spendere in cose voluttuose, onde
toglieregli affatto l'occasione di far questo, che vivererc voi più quieto , ed
egli più fano Sem. Si dovrà quest'ingerire nell'amministrazione
dell'azienda ? Pub. Anzi sarà necessario, che lo facciate istruire in
tutte le cose, dovendo egli, non solamente dopo la vostra mor [merged
small][merged small][ocr errors] te reggere la casa , mà eziandio se mai per
disgrazia voi v'inabilitaste; o pure per la soverchia età volerte attendere
alla quiere. Señ. Ed agl'altri figliuoli dovrà farsi assegnamento per
farli vivere da se ? Pub. Questo nò: li doverece bensì voi provedere di
quanto farà loro'bisogno, al più, che vi potreste stendere; sarebbe d'assegnare
loro un tanto per vestirsi, con qualche cosarella di più, mà non già con
prodiga mano ; perchè l'abbondanza del danaro è la rovina dei giovani, anco ben
educati, e credetemi, ch' io sò qualche cosa in questo particolare, e Mecenate
ne sarà tal-volta informato più di me. Mec. Voi dire la verità, poichè se
un figliuolo di famiglia maneggierà danaro, sarà corteggiato da più d'uno, e
tentato da questi a prendersi divertimenti d'ogni genere, dove che se non
averà, questi Teduttori faranno come le formiche, che non li accofano ove gon è
grano ; come dille Ovidio. Hora [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] Horrea formicæ tendunt ad inania nunquam Nullus ad amisas currit
amicus opes. Sem. Guadagnando taluno di questi, dovrò continuare a fare con
effo lui quello, che fo con gl' altri? Pub. In questo caso voi potreste
fargli da economo , affinchè non ispregasse, con rinvestire in faccia sua i
suoi guadagni , per animarlo ad accrescerli; ed infieme, per eccitare gli altri
fratelli ad imitarlo; e continuerete voi a mantenerlo, essendo la casa non
bisognofa ; mà se non bastassero l'entrate al comune mantenimento, il figliuolo
bene educato spontaneamente vi soccorerà col proprio guadagno; non potendol
prevalere del consiglio di Solone, come riferisce Plutarco: che solamente i figliuoli,
abbandonati da loro Padri, non fossero tenuti, allorche questi avessero avuto
bisogno di esser soccorsi da figliuo, li, efli didarglielo. Sem. E se uno
de miei figliuoli foffo; destinato a qualche giverno, o 'alera [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] ca. [ocr
errors] carica dispendiosa,per servigio del Prencipe? Pub. In questo
caso,Sempronio , con. verrà,che voi facciate tutti li sforzi por. fibili in
soccorrerlo, anche oltre il bisognevole:e per queste cótingenze debbo. no i
buoni Padri avere cumulato danaro per prevalersene, e non bastando, pofsono
anche fare debito; perchè questo si chiama rinvestimento, che a suo tempo,
oltre il decoro , recherà anco utile alla casa. Sem. Vediamo ora come
dovrò lasciarli dopo la mia morte, ed in primo luogo come averò da contenermi
coll' ammogliato; se lasciarlo padrone libero, o usufruttuario con fare la
primoge, nitura ? Pub. Lasciandolo voi, che sia arrivaco in età affodata,
e senza vizj, attento alla casa, e versato nel maneggio di effa, potreste anche
fare di meno di legarlo con fidecommisso; con tutto ciò, perchè non potrete
sapere i naturali de' figliuoli, che da esso nasceranno, e se [ocr
errors] e se sarà in tempo, per qualche accidca: te di poterlo far esto, non
sarebbe male d'istituirlo, con lasciare ad esso qualche porzione libera, per
fargli conoscere, che non diffidate della sua bontà, ed at. tenzione in
moltiplicare la roba. Sem. Ed agl’altri, che dovrò lasciare Pub. Un
Ogorevole mantenimento per potere decentemente vivere fecon. do la loro
condizione, ed a colui, che foffe capace di avanzarsi nelle cariche, qualche
cosa libera per poterlenc prea valere ne'suoi urgenti bisogni , quando le averà
ottenure ; må dite che farefta di vantaggio voi, Mecenate ? Mes. Avendo
veduto , che alcuni apa pena eftinti i genitori , quantunque fora to la loro
dirczione foffero ftati mode tariflimi in tutto, pull adimeno pelle o
pompe funebri, clutto incominciarona di a slargarli in modo, che non mostravano
o essere più quci di prima , cosi ben disci· plinati nella parhimonia ; questo
dico mi o farebbe, avendoqualche rimedio, acciocche non foffe in tutta libertà
loro di manifestare quel ge nio ch'era quando vivevano i padri fie mulaco,a
fine di precluder loro affatto la via di darsi all'eccessivo lusso. Pub,
Sapete pure quanto sia difficile il volere regolare le cose canto al minuto
dopo morte ? e quante disposizioni si fanno, che non fi osservano dagli eredi?
or come potrete far mai, ch'elli allora fieno buoni economi di quello, che non
è più vostro? Mec. Tutto va bene, mà però certe cose possono farfi
eseguire anche dopo morte , perchè li dispongono in vita, ed allor'appunto, che
sono proprie; onde perchè non le potrei conseguire difpo. nendo, che si dovesse
ogn'anno rinvestire una parte dell'entrate, la quale io credelli soprabbondante
al loro decente. sostentamento? Pab. E che pretenderefte farne di tal
vincolato investimento? Med. Vorrei che dovesse servire per dotare le
figliuole ; e credetemi, che que [ocr errors] [ocr errors] queste
doti d'oggidì, che sono divenute eccessive, sono la rovina delle care, onde
quando queste non si dovessero linen. brare da' capitali mi persuado, che
sarebbero esenti dal deteriorare per questa parte. Farei ancora assegnamento
maggiore a Cadetti, di quello, che alcuni costumano di fare, e particolarmente
a quei, che sono ben incaminati per la strada della letteratura, o militare,
non servendo questo scarso, ed insufficiente assegnamento ad altro, che a fare
maggiormente spregare a primogeniti, godendo più grosse rendite del loro
bisogno con pregiudizio de progressi altrui, perchè in sostanza tutti debbonli,
e gualmente considerare per figliuoli, e fenza demerito alcuno dell'amore
paterno portandoli tutti seco rispettofi. Sem. Voi Mecenat vorreste reftringere
tanto i poveri Primogeniti, che poco rimarrebbe loro per vivere, perchè una
parte dell'eredità paterna la vorreste porre a moltiplico, ed oltre di
questo pre [ocr errors][ocr errors] pretendere ancora di accrefcere
gli assegnamenti consueți de Cadetti;onde stencerebbero i poveri Primogeniti a
vivere anchę mediocremente, Mer, lo non hò preteso di appor. car ļoro
danno alcuuo, ma bensi più fofto giovamento, liberandoli dallas penosa briga di
dover pensare alle dori delle loro sorelle, e figliuoic, facendo trovare queste
pronte in tempo , che ne potranno avere biso, gno, Şem, Sę tante
deligenze si dovranno praticarç per li figliuoli ben educati, e dosti , che
doverà farsi per quei , che non si farango approficcati nell'educa, zione, e
nelle scienze Pub. L'esaminaremo ia appreso, SON [ocr
errors][merged small] Come debbano i Padri regolarsi nel provedere i
figliuoli ignoranti, ç yiziosi, Publio , Sempronio , Mecenate
, & Medico. [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors]
Pub. Alomone non solamente notificò il giubilo grande,che godono i Padri
allorche vedono i lo ro figliuoli ben di. sciplinati , come al 23. dc
suoi Proyerbj dice ; Exultat gaudio paser jufti : qui fapientem genuis
lætabitur inco; Må eziandio espresse il rammarico, che ne hanno quei , che li
vedono viziofi al decimo ferrimo ove dice ; Ira patris filius ftultus,
dolor matris, qua genuit eum. Quindi è, che è, che l'Ecclesiastico
al 16. conchiude: Utile eft mori fine filis , quàm impios habe re.
· Sem. Questi cattivi , e viziosi forse non averanno avuto dircttori nei loro
teneri anni, che gli abbiano ben'educari. Pub. Ci sono di quei, che
l'ebbero an. cora, e pure da essi niun giovamento ne riportarono Sem.
Come è possibile questo? Pub. Dovete voi sapere, che quando il vizio è
radicato nel cuore de figliuoli, e che di la si propaga al capo, ardua impresa
fi renderà il poterlo svellere, perchè fi rende allora effo quali padrone della
volontà ? Sem. Mà perchè questi non possono. coll'educazione estirparsi
dal cuore, e dalla mente quando di effa fi foffero impoffesfati ancora è
Pub. Ardua impresa, come disi farà prenderla con vizj chiamati da Salomone
nelle sue Parabole al 2 2. Stultitia colligata in corde pueri; e tanto maggior.
io figliuoli, pensare allnde mente quando chi n'è contaminato non
coopererà ancor ello per rimuoverli? Sem. E come potrà farac di meno,
avendo avanti gli occhi canti buoni esempj, ed udendo saggi documenti , e
ragioni convincentisfime ! Pub. Si trovano questi talmente accecati, e
sordi, che non veggono, nè capiscono nè esempj, nè ragioni ; e queIto nasce
ancora dal loro naturale , egenio perverso, che in vece di apprende. re, e
vedere con loro profitto li fà porre in deriGone quanto odono, e veggono, come
saggiainente insegna Salomone al 15. de suoi Proverbj: Stultus irridet
disciplinam patris fui, qui autem cuftodit increpationes astutior fiet.
Sem. Questi genj perversi donde nascono ? Pub. Dalla poca cognizione
dell'onefto, e del vero bene , e da questa deriva, che credono ogni qualunque
cosa, che appag! la loro volontà, per onesta, quautunque sia detestabile, ed
avendo, fatto in tal falfa ccedenza l'abito, quc FF Ito
[merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Ito palsa in naturalezza, e genio, per es. ser
divenuta la loro fantasia quasi consimile a quei cristalli con artificio
lavorati, che fanno comparire le cose proporzionate,e belle per i isconcie,e le
íconcie per belle , e proporzionate . Sem. Indicatemi ora qualcuno di que.
Iti vizj tanto perversi. Pub. Se voi scorgerete in un fanciullo certa
crudeltà ferina, qual fù di colui, che con un ago cavava gli occhi a cerci
uccelli : d'altri che feriva col coltello, o bastone il compagno, e scorgendo
sgorgare sangue maggiormente s'infieriva: o pure una certa inclinazione a
trafugare, e nascondere cose non comestibili , prese anco da qualche scrigno:
l'essere pertinace, e perseverante nel non dire mai verità, e fare qualche
danno per imputarlo altrui; overo quantunque corretto,e gastigato più volte il
continuare tuttavia a non volere apprendere cose di Dio, con avere dispiacere
di sentirne anche parlare ; imparando ben l'altre dannose al buon costume : non
rispettare [ocr errors] i i genitori , anzi beffeggiarli di più quanworld
do sono da elli correcci; e tutti questi di fetti crescendo esli negli
anni vedendosi avanzati più rosto, che diminuiti, credete pure, che limili vizj
sono già divenuti padroni del cuore , e della volon. tà. Mec. Vi fù uno
di questi, che in età di cinque anni ammazzò con coltello un fuo
compagno, e non essendo capace, i per essere di sì tenera età, di
gastigo, o proporzionato a tal'eccesso, commesso anche con crudeltà
per li rinovati colpi, a che gli diede, fu fatto caftrare in pe na
da quel Prencipe dominance, dicendo egli, che non voleva razza di simili fiere
nel suo dominio . Sem. Mà hò udito riferire più volte, che pur si rendono
máfuete le fiere ache o più crudeli; com'è poflibile dunque, che questi,
in qualche modo, dall'industrias umana non si possano domare? esaminiamo di
grazia, se vi poress’essere qual che rimedio, per rendere mansueci anco o
questi, o pur datemi sopra cio, per mio Ff 2 re regolamento,
qualche buon consiglio ; perchè , fe Iddio per gastigarmi mi desse un di quefti
figliuoli, io sarci il più infelice uomo tra tutti i vivenci. Pub. Lo
credo, e perciò bisogna, che cominciare da or'a supplicarlo, che non vel dia ,
ed essendo egli sì misericordio. fo, potrete dopo reiterate preghiere an. che
sperarlo ; e voi, Dottore, avete alcun rimedio di quelli, che chiamare
eradicativi per isvellere questi vizj? Med. Se non foffero cotanto
radicati spererei disì, mà farò qualche studio particolare , anche intorno a
questi, per vedere se G trovasse alcuno specifico, almeno, che potesse minorar
loro tant' orgoglio , Pub. Se si trovaffe questo sarebbe gran vantaggio ;
perchè allora coll'educazione li potrebbe fare qualche cosa di più, se non in
cutti, almeno in alcuni di esli , onde pensateci seriamente, e fare qualche
sperienza tractanto , per riferire a suo tempo ciò, che averete ritrovato
giovevole. Sem. [ocr errors] . Elio Sem. Mà intanto
insegnatemi almeno แบ่งชี้ quello, che li potcffe fare di vantaggio 11
nell'educare questi, perchè poi, che averà ritrovato qualche rimedio il Dotcore,
mi informerà di quello. Pub. Şe fi potesse discernere in tempo, che
prende il latte quel figliuolo,in cui la crudeltà volesse fare progresi, la
prima cosa che farei, sarebbe, di mutargli la nutrice, se fosse donna risentita
, e tiera, ed in vece di questa gli farei dal Dottore scegliere un latte di
balia pacifica , e femmatica; effendocche di ciò me ne porge morivo quello, che
seguì all'Imperatore Commodo, il quale per essere stato nudrito da una donna
rifen tita, e barbata come un uomo , data* gliela affinchè diveniffe
generoso; mà in vece di questo divenne un gladiatore , per non
dilergarfi di altro, che di sangue, j e di caroificine, ed hà ben creduto
talun che appunto detta balia fosse figliuola di gladiatore. Med. Olrre lo
sceglierla proposito,fi potrebbe anch'essa far nudrire di erbe,ed altri cibi di
tenue sostanza, e toglierle ache affatto l'uso del vino, e slattato che fosse
il fanciullo converrebbe non fargli gustare, ne vino, ne carne per alcuni anni;
mà è cosa difficiliffima, per non, dire impossibile , a conoscer quisto ne?
bambini. Sem. A questi sarebbe bene, fin dalla tenera età cominciare ad
usarglı gran rigore per vedere di domarlo? Pub. Se si verificasse
realmente che le vespe muojono nell'olio, e risuscitano nell'aceto,converrebbe,per
estinguere vizj li perniciofi, valerli più costo del dolce lenitivo, che
dell'afpro pungente; contuttociò per assicurarsi meglio con. viene regolarfi
secondo gli effetti, che produrranno in loro i gastighi ; essendoche xlcuni
fanciulli nella tenera era acora s'infieriscono allorchè fi veggono perciotere
colla sferza, onde senza pro ditco alcuno questi di batterebbero, come
insegnò Salomone : ne suoi Proverbi al 27. fi contuderis ftultum in pila quafi
pofanas feriente de super pile, non aufes retur ab eoftultitia ejus Semo
erli che Sem. Ponendosi questi per la buona via , con deporre gran parte
della loro fierezza, si potrà sperare, che divengano buoni? Pub. Dee
sempre temersi, che possano ricadere nel medesimo eccesso, non potendosi ne
anco alle bestię togliere af. fatto la fierezza nativa, quantunque mostrino
essere divenute mansuete. Mec. Riferirò a questo proposito ciò che seguì
di un Leone : questo era divenuto apparentemente fi mansueto,chę girava per
tutta la città senza recare molestia ad alcuno; mà abbattendosi un giorno in un
macellaro , che portava sulle spalle un gran pezzo di carne , se gli avventò
alla vita, lo ferìgravemente colle unghie,e se non era pronto a dargli la detta
carne,l'averebbe anche sbranato. Così mostrò la sua fierezza , che teneva di
anzi celata. Sem. E quelli , che mostrano inclinazione al furto ?
Pub. Questi ancora, se Iddio non gli ajuta', termineranno malamente la
lor [merged small][ocr errors] Ff 4 loro vita; effendo cosa assai
difficile, per non dire impoffibile, il poter svellere af. fatto tal vizio ;
perchè quanrunque alcuni non siano forzati dal bisogno, las cattiva loro
inclinazione li porta a rubare, Sem. Si possono questi gastigare colle
sferzate ? Pub. Così fi dee fare, perch'essendo vili di natura, enon
superbi come i primi , dalle percoffe possono ricevere profitto,almeno in
aftenersene per qual che tempo. Mec. Abbiamo l'esempio di colui ,
che condannato a morte per ladro, conducendosi al paribolo fè premurofiffima
istanza di rivedere sua Madre, ed oricnura che l'ebbe, avicinoffi tanto ad
essa, che coi denti le svelre un orecchia, dicendole: per colpa voftra io vado
al paribolo, perchè, fe foffi ftato da voi ga. ftigato da piccolo, non vedreste
tale spettacolo, ne tampoco io soffrirei queIta ignominiofa morte. Pub. E
neceffario ancora condurli a 31 2 vedere far giustizia, e con
tal occasione insegnare loro qual gastigo meritano quei, che rubano', e che in
oltre sono semprc miserabili questi infelici, come ben conobbe Salomone al is,
de' suoi proverbj:Alii rapiuni non fua, & femper in egeftate funt ,
Mec. Un simile obbrobrioso speccacolo indusse una volta gran terrore ad uno
quantunque ftolido mendico ; poscia che per essere stato giustiziaco un
monctario falso, aveva una collana appesa al collo di dette monete falsificato
da esso, e credendo il mendico, che per quelle monete foffe fatto morire , al.
lorchè taluno gli esibiva una moneta di argento, la ricusava con allontanarli
da eslo , contentandofi solamente di quelle di rame, che non le aveva vedute
appese in quella collana di vituperio. Sem. Mostrando poco rimor di Dio ,
e meno rispecto a genitori? Mec. Questo appunto, essendo il vi. zio
peggiore di catti, diviene incorrig. gibile per opera de'genitori. [ocr
errors][ocr errors] Sem. E per opera di chi fi potrebbe emendare? Mec.
Polemone essendo giovane fu viziofiffimo a segno che si portò un giarno alla
scuola di Zenocrate, non già per apprendere da esso alcun buon documento, mà
bensì per disturbare più tosto quei, che aveano genio d'apprenderli; avvedutofi
di ciò il saggio filosofo, cominciò a favellare sopra il vivere onesto, e li
vantaggi, che da esso firiportavano, e con tali convincenti ragioni , che
rimase sorpreso il vizioso giovane a segno, che abbandonò i suoi viziosi
compagni per seguitare Zenocra. te, da i di cui buoni documenti, u modo di
vivere esemplare, si cambiò da peffimo , ch'egli era , in ortimo, e da ciò ne
deduco, che ancor voi non dovete indugiare un momento di più, essendo il
figliuolo in età capace, di non mandarlo in qualche esemplare seminario ,
affinchè , co'i documenti, e colli buoni esempj apprenda , e miri ciocche fare
gli convenga; e proccuracedi non farlo tornare più a casa vostra, se non averà
mutato costume , e state ancor voi lontano da esso, mostrandovi dif. gustato
del suo modo di vivere'; e sapranno ben quei buoni' directori, ayvezzi a domare
fimiliceryelli, allertarlo al bene, e con modi più spedienti correggerlo, e
punirlo, affinchè li emen. di. Pub. Debbono parimente i Padri ftare
cautelati nel gastigare i viziosi loro figliuoli, divenuti grandicelli, perchè
fi potrebbe dare il caso, che questi sentendosi percuotere, fi rivoltassero
contro di effi , e li znaltrattassero ancora : Sem. Se per disavventurà
de poveri genicori rimanessero questi incorriggibi. li , che fi averà da fare
per provederli? Pub, Udite come mai parla bene a in questo proposito
l'ecclesiastico ál 22. Confufio Patris eft de filio indisciplinato: onde
come potrà mai in simile confun fione régolarsi egli con prudenza! Certa cosa
è, che per prender moglie questi non sono buoni ; per Rcligios- neanco;
. de [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] de maneggi
della Republica non sono capaci; talmente che non sapranno, che impiego
potessero far loro ottenere. Sem. Perchè non sarebbero buoni a prendere
moglie ; pofciachè chi sà, che divenendo capi di casa non mettessero giudizio
? Pub. A voi darebbe l'animo di convivere insieme con costoro, se vi
foffero compagni Sem. A me difficilmente. Pub. Or dunque, perchè
volere porli a convivere con una giovane senza fpe. rienza? ed a che vica
infelice fiespor. rebbe questa con marito si vizioso? E poi roi procurate fare
il poffibile per togliere da effo i vizj, e non essendovi ciò riuscito ,
pretendere forse far razza de suoi difetti In quanto poi, che il prendere
moglie li possa fare mutar coItume, non è credibile ; perchè, se Mulieres
faciunt prevaricari fapientes, che faranno a vizioli di questa specie? Ne fi
potrà persuadere alcuno, che questi tali non abbiano già provato le dissolu.,
sez: [ocr errors][ocr errors][ocr errors] tezze di Vegere, perchè i vizj
al parere di Seneca non vanno mai foli; e se quem ste non hanno moderato il
loro orgoglio, che più potranno acquistar di buono conginngendosi in matrimonio
Il dir poi, che si prenderanno il pensiero dei loro tigliuoli nell'educarli,
questo è lontano dal vero ; perchè li vorranno bensì allevare limili adelli, e
quando ciò non riuscisse loro palcsemence, mediante le diligenze usate in
contrario dalle Madri, faranno il possibile nasco, ftamente di conservare in
effi, alincno in propri difetci, acciocche non li dica, che non liano loro
degni figliuoli; come ap parisce dagli esempj dell'ubriaco, e de beftemmiatore
riferici di sopra . Sem. E qualcuno di questi perchè non si potrebbe indirizzare
per la vian Ecclefiaftica Pub. Peasate voi che questi abbias vera
vocazione di caminare per queIta santa via. Sem. Mà se G dichiaraffe, che
a volesse indirizare per essa , e mi pregafle, che [ocr errors][ocr
errors][merged small][ocr errors][ocr errors] che gl'impetrafli qualche pingue
beneficio, averò da ricusare il farlo 2 Pub. Certamente che sì, perchè
quefi farà mosso dall'intereffe, cioè dal conseguire l'utile del pingue
beneficio, non già dal servire a Dio, come far dovrebbe ; onde farà non diffimile
a colui, che brama prendere moglie, non per il fine del santo Matrimonio, mà
per l'intereffe della pingue dore, che si ritrova colei , che vuole
sposare. Mec. A proposito di groffa dote fece una donna accorta una bella
burla al suo futuro sposo: Ella era per verità alquanto deforme, e perciò più
d'uno dicca al giovane, che la voleva prendere, il qual era molto bello, che
l'aveffe rimirata meglio prima di sposarla,cui rispondea, che li bastava di
effettuare il matrimonio , per dare di mano alla grossa dore , che aveva; per
altro, che di tal moglie punto non si curava i Fù ciò riferito alla giovane, la
quale fe portare da una sua damigella, allorchè fi dovea spofare, una grolla
borsa di danaro in Chiesa, ed aspete [ocr errors] [ocr errors][ocr
errors] aspettò , che il Parroco avesse domandato allo sposo se la voleva,il
quale udito ciò disse, senza indugiarvi punto: disi; allora l'accorta donna si
fe sporgere la preparata borsa , e tenendola nelle mani, allorchè fu ricercata
anch'essa del suo consenso, nulla rispondeva ; ne fi sapeva che fine doveffe
fare quella borsa; perchè il futuro sposo si speranzava, che dovesse servire
per un publico donativo per effo , ed i Chierici, che fosse la mancia per
loro : alla fine stimolata più volte a rispondere ella disse; se questo fignore
si è dichiarato volersi sposare collas mia dore, questa, mostrando la
borsa,essendo parte di essa, mentre non risponde, è segno , che non lo vuole
qual consenso dunque hò da dare io s'egli brama la mia doce, e non già me? e
così confuso, e mortificato partì il giovane ; onde non vorrei , che facesse il
beneficio ancora il Gmile, di ricusarlo, facendo con esso l'amore a cagione
della sua dote. Pub. E poi dovreste anche rifletreredi quanto scandalo
sarebbe un ecclefiastico vizioso , dovendo cgli essere lo fpechio de'buoni
costumi; ne fperace , che questi,che si muovono per fimile fine possano divenir
buoni ; ponno divenire benli peggiori impiegando il danaro sa. gro in cose
viziose. Sem. E se caluno di questi volesse applicarsi al governo della
Republica, c chiedesse il mio ajuto,per poter e ottencre qualche posto per via
di favori, e di regali; perchè non ho da compiacerlo? Pub. Questo ne
tampoco doverete fare, perchè se fosse d'uopo amministrar la ! giustizia,nó
direbbe già egli quello, che diffe Giulio Cesare : che per un Regno di poteva
far torto alla giudizia, perchè lo farebbe per assai meno, effendo ano
che capace di farlo per sodisfare an folo de suoi viz); onde tanto voi,
quanto chi vi avesse contribuito entrerette a parte di tutte l'ingiustizie, ed
iniquità chia capace di commettere un vizioso. Sem. Che dunque doverei
fare , per non vivere da disperato , quando avelli alcuno di questi?
Pub. [ocr errors] Pub. Mandarlo alla guerra per fargli provare come Gi
vive, cd alle volte qucIta è l'unica medicina di questi cali; perchè se
fono fanguinarj possono faziarsi del sangue de nemici; se attendono alla rapina
nc'saccheggiamenti possono sodisfare la loro ingordigia;se poco cimorati di
Dio, e niente rispettoG a genitori, vedranno quanto temere Gi debba , e
rispetrare un Capitano quantunque non gli abbia creati, o generaci; onde
poirebbe essere, che il Signore Iddio gli toccaffe il cuore, e facesse
comprende, re, che se tanto li fa per un uomo , quant. to di più fi doverà fare
per Iddio, e per chi lo gencrò !e sappiate , che dalle lega gi di Mosè venivano
questi condannati ad esser lapidati dal Popolo, come nel Deuteronomio al 21. Si
genuerit homo filium contumacem, da proteruum, qui non audiat Patris , aut
Marris imperium, co coercitus obedire contempferit, appraben. dent cum, ducent
ad seniores civitatis illius, & ad portam judicii , dicentque ad ços c.
lapidibus eum obruet populus Civis Gg tatis [ocr errors][ocr
errors][merged small][ocr errors][ocr errors] taris, ut auferatur malum de
medio ucStric. onde in vece di vedere fimile spettacolo sarà pur meglio
mandarli alla guerra, la quale faggiamente fu difi. nita: Infolefcentis generis
humani tonfura. Sem. E se ricufaffe di andare alla guerra ? Pub. E
voi figuratevi, che vi sia già andato, e fatto prigione ; onde rinchiudetelo in
qualche fortezza : non avendo però commessi ancora reati gravi , affinchè non
siano puniti dalla giustizia con morte ignominiofa; conforme qualche volta è
seguito; e tenerelo ivi fin tanto che camperere, che così farcte sicuro, che
non commetterà gravi eccelsi, trovandosi guardato, e custodito , Non bisogna
però, che prendiate cal risoluzione a sangue caldo, mà fateci matura
riflessione : c regolatevi ancora col consiglio di qualche faggio , e buono amico,
Sem. Per dopo la mia morte comes avero da disporre le cose ? Pub.
Pub. Con lasciare a cattivi figliuoli ma solamente tutto quello, che non potrei
te cogliere loro, non per odio persona le; mà de loro vizjicon questa
condizio. ne però , ch'effendosi ravveduti, dopo un triennio di vita esemplare,
poffino godere un tanto dei frutti della vostra eredità; e perseverando nel ben
operare abbiano ancora d'avere qualche accrescimento maggiore ; qual perdano
intieramente, ed immantinente, ricornando a menare vita scandalosa. Sem.
E se fingeranno di essere divenuti buoni a fine di poter godere quel i frutto
maggiore? Pub. Non sarà meglio, che facciano così,che operino
sfacciaramente male ? de l'interno Iddio solamente lo rimira ; le
l'esterno appena è palese a gli uomini, i quali di questo solamente pouno
appa- garsi; e poi vi è stato qualcuno ancora , ch’hà incominciato
a menar vita mi- gliore , per conseguire qualche premio, che poi si
è ravveduto da dovero. Mec. Vi è l'esempio di quel Soldato,
che [ocr errors][ocr errors] bu COM [ocr errors] [ocr
errors] che si racconra essere stato convertito da S.Francesco Saverio : Questi
era un pessimo uomo, ed iracondo a segno, che non averebbc sofferta una parola
anche indifferente, che non l'avesse appresa detta per lui, e volesse anco
vendicarsene . Le ainmonizioni, ed esortazioni faccegli dal Santo nulla
giovavano; alla fine li disse mostrandogli una moneta di oro, se voleva
guadagnarsela rispose francamente di sì : or sù dunque replicò il Santo venire meco
, e giriamo d'incor. no l'esercito ; Io la porterò in mano, affinchè la
miriate, e voi non avete a fare altro, che di sopportare con pazienza quello,
che udirete dire contro di voi. Fù dato principio alla grande ope. ra,ed egli
rimirando con occhi tifi l'oro, si rideva di quanto male udiva contro di sè, e
cerininato felicemente il giro, guadagnò il premio. Allora il Santo tiratolo da
parte gli disse: figliuolo mio per una si vile mercede voi avere potuto
sopportar tanto, e per un Dio non poteie sofferire una minima particella
diquesto ? il Signore Iddio in quel punto $ gli toccò il cuore , e fi ravvide
per sempre. Sem. Mà se poi i difetti de' figliuoli non fossero gravi a
questo segno, e fos. sero di quelli, che pure non disdicano ganto, per essere
divenuti ormai familiari, potrebbero con questi proporsi a sudetti ministeri,
ed impieghi ? Pub. Spiegatevi apercamente, quali voi intendere per questi
vizj familiari? Sem. Per esempio se caluno di esli avesse principiato da
14: 0 15. anni a dimorare la maggior parte della notte fuori di casa, e
quancunque suo Padre l'avesse più volte ammonito, che non lo facesse , ed effo
ciò non oftante continuafle ; contraeffe debiti; e perchè è figliuolo di
famiglia, non potendosi obbligare, facesse obbligazioni dette pagherà. con
grandissimo difcapito, senza data , per firmarla dopo la morte di suo
Padre; ed altre cosarelle non tanto familiari; come dir male del profimo , di
mancare alle volte alla parola data ; ne ga: [ocr errors][ocr
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gare ciò, ch'egli averà avuto; e se riyscirà , di gabbare il compagao nel
giuoco; con altri piccioli vizj di questa forte? Pub. Cofarelle, piccoli
vizj voi chiamate questi! E non riflettere,che quando il giovane li sarà
abituato in questi ugua. glierà egli taluno de vizioli di primo rango: ad uno
che sarà avvezzo la maggior parte della notte dimorare fuori di sua
casa, e sarà giovane, voi volere impetrare beneficj Ecclesiastici, ed im.
picghi gelosi della Republica ? Và forse a studiare in quelle ore, o a farsi la
disciplina negli oratorj, quando i studj, e questi sono ferrari ? e come vi
persuadete, che possano adempire l'obbligo loro, effendo scarf di dottrina , e
di buoni costumi, ed applicati a cose, in cui per la meno inutilmente si perde
il tempo a e fatta che averete rifcllione agli altri loro vizj, che avete
apportati ; consigliatevi colla vostra coscienza se lo potrete fare : mà
esaminiamo di grazia donde ciò proceda, e se sia solamente colpa de figliuoli
canto deviamento. Sem. [ocr errors][merged small] Sem. É' loro
certamente; perchè hò sentito lagnarsene i Padri di questo, col. le lagrime su
gli occhi. Pub. Questo fu il pianto del coccodrillo, che piagneva il suo
figliuolo allorchè lo aveva ucciso: come si sono portati questi Padri
nell'educarli? Sem. Certa cosa è, che tante diligenze, quante ne hò udite
nelle nostre conferenze,non le han faute. Pub. Or dunque, se non gli
hanno educati bene, a dolgano della loro trafcuraggine, perchè viziosi li vollero
efli. Sem. Mà che averanno da fare ora? Pub. Questa penitenza
appunto, che Iddio manda loro;di sopportare figliuo. li viziogi . Sem. Ci
sarà pure qualche rimedio? Pub. Ciè certamente, ed è questo; di fare alli
piccioli nepoti ciò,che non fece. ro a loro figliuoli, cioè di educarli bene;
perchè altrimenti, non essendo capacii loro Padri di fare questo, i vizj non li
fyelleranno mai dalle loro famiglie: Sem. Voi diceste,che questo cocchi
al Padre, Pub, [ocr errors][merged small][ocr errors] Gg 4 Pub.
Sibene quando sia capace di farlo, e vi pare , che questi viziofi fiano abili
ad educare i figliuoli a suo dove-' re? Il loro mal esempio come permetterà,
ch'essi apprendano le virtùd Onde quantunque schiamazzino alle volte redendo i
loro figliuoli viziosi,č incerco se lo facciano per zelo di amore, o per
invidia , perchè non possono essi più con. tinuare fimile vita rilassata
essendo vecchi. Sem. Io hò cap to a bastanza , ed ora compreоdo la
cagione; perchè nell'universale non si possono affatto estirpare i vizj, mà
voglio approfittarmene per casa mia, per non avere anche io a fare il pianto
del coccodrillo. Ma le povere figliuole come si doveranno provedere? essendo
gran disgrazia loro, quando capitassero in mano di simili viziofi. Pub.
Esamineremo anche questo , nà non è ora tempo ; perchè richiede affare si
rilevante lungo ragionamento. CON [merged small][merged small][ocr
errors][merged small] [ocr errors] Pub. Onfesso ingenuamente che non séza
rigione alcuni Pa. driffi contristano ál. lorchè nascono tan, co loro
figliuole ; perchè il penfare a collocarle bene non è piccolo intrico,
chiamandoli questo affare dall'Ecclefiaftico al 7.opera grande dicendovi: Trade
filiam, & grandes opus feceris, o bomini fenfato da illam; posciache saranno
state educate alcune di effc col timore di Dio, senza lusso ,c vagità, modeste
comc fi dee, istruite inquanto è necessario per il buon regolamento di una
casa; mà che servirà loro tutto questo , se capiteranno in mano di un marito
imprudente , vizioso, ed indiscreto! e fimile appunto a quello , ch' ebbe
quell'innocente Giustina , il di cui Epitatio sepolcrale è questo.
Immitis ferro secuit mea colla mari. [ocr errors] Dum propero nivei
folvere vincla pedis Durus, ante thorum , quo nupér nupta
coiur, Quo cecidis noftrę virginitatis honos. Nec culpâ meruisse
necem bona Numi- na testor, Sed jaceo fasi
forte perimpia mei Discise ab exemplo Juftine , difcite pa.
tres Ne nubat fatuo filia veftra viro. Or vedete Sempronio, che
gran facenda è questa ! Mec. La conobbe afrai bene Democr. appresso Stob.
dicendo: Qui bonum generum nactus eft invenis plium, qui verò, malum, fimul
& filiam perdidit: quindi è, che [ocr errors] che saggiamente
fù conligliato da Temiffocle quel Padre, che desiderava das effo fapere , cui
dovesse dar per moglie l'unica sua figliuola; se al dotto povero, o al ricco
vizioso, replicò egli a mè aggrada più l'uomo, che ha bisogno di ricchezze, che
le ricchezze , che hanno bisogno di uomo : come dice Val. Mas. Sem. Mà
quando si sono fatte le dili. gen ze necessarie, e fiè già rincontrato, che sia
imprudére, e vizioso chi la vuole perché non si esclude fimile soggetto ?
Pub. Se voi sapeste quante fraudolenti manifatture Gi fanno, per avere unas
giovane savia per moglie, stupireste; anzi quante più d'imperfezzioni hanno i
giovani, che vogliono accasarli seco, tanto maggiormente queste si adoperano,
tanto si fa,che alla fine riesce fimile facenda. Sem. Mà chi sono questi,
che faranno tante manifatture , non essendo capace un fimil giovane di farle
? Pub. Se non sarà cgli, saranno ben’i suoi congiunti , i quali
raffidati, che per [ocr errors] [ocr errors] Il fingo della futura sposa
cffo possa divenire saggio, tanti ponti di oro le faranno , che alla fine
caderà a dire di sì. Sem. Mà i genitori come lo permetteranno? ·
Pub. Saranno ancora effi sforzati a chinare la cesta, quando colla linguas non
poteffero arrivare a proferire quel doloroso sì. Sem. Saranno dunque
anche i suoi genitori poco prudentia Pub. Oh bene : non fiete voi ancora a
pieno informato dal mondo; mà ne ben Mecenate. · Mec. Ne sono pur troppo,
anzi fono arrivato a conoscere , perchè fi dica insa geniofus amor; avendo
scoperto, che amore aguzza l'ingegno de fuoi fenfali, e rende anche artificiofa
la lingua alla menzogna . Sem. Mà che potrebbero fare questi, quando il
Padre steffe faldo in non volergliela dare? Mes. L'ingegno agguzzato fi
ferve dell'autoricà, e la dispone in modo , che [ocr errors][ocr errors]
niuno più degno di merito si affacci a chiederla, per rispetto di colui, col
quale si tratta : e sapere pure, che in questi cali, per non fare inimicizie,
non li vicne mai alla negativa scoperta , potendovi costringere ad addurre un
ignominiofa cagione,per cui far non si vuole: Siprude bensì un mezzo, termine,
quale è che la giovane pensa di farsi monaca; laonde in questo mentre dal
sudetto pretendente fi fanno affacciare tutti li peggiori, ed i più scapestrati
giovani, che siano nella Città a chicderla,e cutci inferiori di condizione ad
ello; talmente che il Pae dre , che la vorrebbe maritare, trovan dofi
annojato, alla fine li piega, per non che trovare soggetto migliore, che la
fac. i cia domandare : e tanto più, che si tro verà circondato da
consiglieri già guadagnati da chi la pretende. Sem. Sarà dunque peggiore
, e più id svantaggiosa la condizione della donna nell'accasarsi , che
dell'uomo. Pub. Non ci è dubbio alcuno, perchè l'uomo non è ricercato, ne
violentaco per [ocr errors] en [ocr errors] per parte della
donna, mà beasi effa da chi la brama. Mec. Può essere,che quando voi
prendeste moglie ciò non li coftumaffe ; mà ora posso dirvi di certo, che
questo li pratica, essendo seguito in persona mia, che ho avuto più d'una
richiesta fe.voleva accasarmi colla tale, senza ricer carla. Sem.
Or io quantunque non fia versato sufficientemente nelle cose del mon. do,
procurerei segretamente di trovare un giovane favio,quantunque meno ricco, e la
darei a questi; perchè sposata , che fosse,hò sempre udito dire, che: multa
facta tenent, così finirebbe ogni conresa. Pub. In somma in questi casi,
chi più sà, più s'inviluppa nelle difficoltà; onde alle volte riescono migliori
certe risoluzioni fatte senza tante rifellioni ; c voi Sempronio, non avete
detto male; mà non saprete già scegliere questo giovane savio così
all'infretta; converrà dunque che l'impariats, ed [ocr
errors][ocr errors] Ff 3 Ес Pub. . [ocr errors]
1 [ocr errors] 1 Sem. Come si doverà dunque fare per
conoscerlo? Pub. Il Padre che ha figliuole da mai ritare dev'essere un
Argo, per rimirare nel medesimo tempo cento giovani, ed offervare i loro
andanlegri. Mec. Oggidì però non è necessario averne tanti ; perchè con
soli due occhi moltissimi difetti li possono ritrovare ne giovani, ed in breve;
quantunque non corrano quei calamitosi tempi, che accenna Giovenale alla satira
13. Humani generis mares sibi noffe volenti Sufficit una domus , paucos
confus me dies, do Dicere te miferum poftquam illic vec [ocr
errors] neris, [ocr errors] Pub. Fatemi piacere dunque voi,
Mecenate,d'istruirlo in questo giacchè fiece più pratico di mè nel discernere i
giova. nili mancamenei correnti; perchè a tempo mio la gioventù viveva
diversamen. te, e perciò fi ftentava più in iscoprire i loro difetti. Mec. Lo
faro, perchè non voglio, ri CU: [ocr errors] cusandolo, che vi
confermiate nellas credenza di qnello , che di me sospettafte,che io fia nimico
delle doone,poscia. chè io ammiro la virtù in alcune di esse, e perciò non
vorrei, che questa mancafse affatto, abbattendosi in viziofi mariti: onde se
voi, Sempronio,vedrere un gio.. vane accompagnarfi, e conversare continuamente
con taluno, conosciuto da voi per vizioso y tencte pur ancor esso per tale,
senza fare altra diligenza; verificandoli quel proverbio:all'accoppiar ti
veggio. Sem. E se fi desse il caso, che questi non converfaffe con
altri? Mec. Questo è difficile oggidì, che fi conversa tanto; mà se
caluno fuggisse le conversazioni,mirate bene la sua firo. nomia, e se la
scorgerete tetra , e inalinconica tenerelo pure per uomo infociabile, e non
senza i suoi difetti proprj; se poi foffe allegro, disinvolto, e non
converfasse oggidi con altri, formatene buon concetto di esso; perchè lo farà a
cagionc , che non troverà coma pa de pagni bene accoftunati uguali
ad effo. Sem. Vorrei qualche altra regola,per meglio potermene avvedere ;
perchè se non conoscefli per viziofi quei, co’quali egli conversalle, potrei
ingannarmi. Mes. Se voi vedrete un giovane stare in chicfa con poca
divozione, e discorserc ivi co i compagni comc farebbe in piazza, questi farà
poco timorato di Dio; se frequenrerà le feste, cd i passeggi, e rimirerà con
grand'arrenzione le donne, in cui si abbaite, farà egli effemminato ; se
dispreggerà i suoi compagni, cvorrà avere sopra di essi una certa superiorità ,
farà superbo ; se li piacerà vestire con pompa , sarà vanos se poi oggi dirà
una cosa, c domane ne farà una alıra, farà incostante; e finalmente se
frequenterà i ridotti, ove si giuoca , gran genio egli avrà a questo vizio; in
somma da se medesimo colle sue operazioni manifeftcrà i suoi difetti.
Sem. Starei fresco, se aventi d'accomodare una mia figliuola in questi tempi,
dovendo fare tante diligenze; mi cor. H vers pa [ocr errors]
verrebbe prendere la fantcrna di Diogene, ed andare per la città dicendo: homi.
nem quæro, e caminare più di un giorno per trovare, chi fosse in cucco; e per
turto, senza alcun de'detti diferci. Moc. Mà chi non vuole affogarla ,
dee anche servirsi del cannocchiale del Galileo,che scuopre le macchie del
sole. Sem. Io mi persuado, che se i Padri, c le Madri riguardassero al
minuto curti i differti , pochi troverebbero moglie. Mer. Sarebbe questo
la fortuna de i giovani; perchè non trovandola allorsi che incomiacierebbero a
spogliarfi do loro vizj, ed in breve diverrebbero bene accostumari, ed a tale proposito
posso riferirvi ciò , ch'è seguito in una riguardevole città. Affinchè iCadetti
andassero con più fervore, di quello faccano , alla guerra, cominciarono le
donnc a non ammettere alle loro conversazioni coloro, che non avevano fatte
almeno dues campagne in gucrra viva ; conciofiacofache li reputavano vili, e
codardi.Servi tale renitepza di Aimolo grande a tutta la Die la
gioventù per andare alla guerra; segnoche pochi furono quci, che non Si
seguitassero i primi, che vi andarono: " or se una fimile ripulsa molte
canti ad andare incontro alla morte; dovrebbe certament’essere di stimolo
maggiore, per andare incontro alla vita migliore, quando questi non trovasfero
inoglie. Pub. Vedete voi,Semprouio,che sconcerti sono questi, di non potere
con facilità come prima trovare mariti a proposito per le figliuole, c.questo
da che na. sce, se non dalla cattiva educazione della gioventù ?
rifecrcte dunquc quano co debba premcre questo affare anco alla
Repubblica, Sem. Io lo scorgo molto bene; mà che fi dovrà fare
ritrovandoci in queste an. [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mec.
Quello che disse quel Filosofo, che presc per moglie una donna allai picciola,
allorchè fu interrogato, perchè l'avesse scelta così, egli rispose : perchè del
male conveniva prenderne il minore: il fimile anche dirò io de'mariti
difetto Hhafi; di prendere quei che hanno vizj me. no considerabili , che
fono appunto quelli che riescono men disdicevoli alla condizione del
galantuomo. Sem. Maritandofi dunque con questi, che buona direzione
doverà darfcle da genitori? Mes. Debbono i genitori allorche le maricano
non seguitare quel caccivo costume di alcuni , che le consigliano a farli
rispectare, e ftare sostenute con tutti, di non farli sottomettere alla prima,
perchè diverranno, così facendo, infelicissime, quantunque portassero groffa
dote, mà le consiglino bensì nella forma, che fecero i genitori di Sara,
allorchè la consegnarono per isposa al secondo Tobia con groffa dore; ed uditc
ciocchè fecero Tob, 10. Apprebendentes parentes fo. liam suam ofculari funs
eam, & dimiferunt ire monentes eam, bonorare foceros, diligere maricum,
regere familiam, gubernare domum, da se ipsam inreprebensibilē exhibere.
Sem. E se un Padre avesse tre , o quattro figliuole, che si volessero mari
tare [ocr errors][ocr errors][ocr errors] tare cuite, chc dovrà egli
fare, non efrendo molio ricco? Mec. Maricarle , con dar loro quella dote
più congrua, che può. Sem. Mà li scomoderebbe troppo privandosi di sì
considerabile somma di danaro, o quantità di roba, che con. veniffe dar loro
maritandole turce. Mec. E come potrebbe farac di me00? Sem.
Potrebbe farlo beniffimo con efortarlca fará Monache. Mec. E se non Gi
volessero fare? Scm. Non mancano modi al Padre accorto, che ci facciago,
o colle buones ocolle cattive. Mec. Padre voi chiamare colui, che vuole
sforzare la volontà delle figliuole? chiamatelo Padrigao, non accorto,
màcrudele; perchè qual delitto hanno queste commesso da chiuderle in vitas.
contro il loro genio? Sem. Come chiuderle in vita, trattantandosi'di
darle, e consagrarlo a Dio? Mes, Non si chiama darle a Dio , [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] qualia quando la loro volontà non ci
concorra, nè consacrarle a lui, quando non ci sia il lor consenso : questo li
chiamná porle a penare continuamente, non avendole iddio chiamare a questo
stato : ( guai a quei Padri , che lo faranno, perchè del bene, facendone tanto
poco, che non basterà loro , punto non ne parteciperanno: del male si che ne
faranno partecipi di molto, essendo capaci di farlo, trovandoli in iftato di
disperazione. E fappiate, che mi fù riferito un caso orribile di una di quelle,
fatta Monaca per forža, la quale , quando ebbe eseguito quanto defideraya il
Padre, lo chiamò alle grate del Monastero, cgli disse alle orccchie : fignor
Padre or farcte conten. to, che mi avere levata di casa.in que: fto mondo
non ci rivederemo più ; må bensi nell' altro ed in pellimo luogo, perchè ci
danneremo ambiduc . E che vitupero è questo ; per far godere i maschi, li hanno
da porre in disperazione Je feminine? Se voi non potere dar loro dieci mila
sçudi di dorc, dategliene me no, [ocr errors] cina no , ed
acca sacele; quando volontaria. mente non siano inclinate alla vita reli
giosa. Non vi chiederanno già quel tal e giovane per i sposo, mà vi faranno
dire bensì, che la loro vocazione sarebbe di accasarli . Starà
dunque al Padre marii tarle a chi più gli aggrada ; mà so ben io da che ciò
procede. Sem. E da chc? Mec. Dall'eccellive doti, che corrono, le
quali oltre il dispendio,che apportano per le spese grandi, che si richiedono
allorchè â prendono, angustiaao ancora quando hango a darli altrui nel
maricarsi le figliuole. Sem. Or io non voglio nell'anima. mia questo
peccato ; fe li vorranno maricare cutte, le lascierò mnaritare; mi diremi: che
dote farebbe proporzionata, Publio ? Pab. Quella , che fi foleva comune.
mente costumare prima , che foffero inse dal Prencipe , come già dicemmo ;
e se [ocr errors] Hh 4 feaveste da trattare co persone
discrete, potreite anche di loro francamente, che non vi curate di tanti lussi,
e perciò volece dare quella dote, che si costumava in quel tempo, che questi
non vi erano: o fi contenteraano, e voi averete fatto doppio negozio, essendovi
anche accertato di appareatare con gence discreta , e capace; se poi non lo
vorranno fare , averete scoperto , che non sono a proposito per vostra
figliuola, volendo clli vivere con pompa , e lusso eccellivo. Sem. Questa
dote li dovrà consegnare libera ? Pub. Questo poi nò; perchè potreb. be
alienarli , c restare la voftra figliuola indotata, Sem. E se non
vorranno concludere il matrimonio fenza la dote libera? Pub, E voi
sconcluderelo affatto ; perchè è un pessimo segno, quando si pretenda questo,
denotando che ci sia bisogno in quella casa di danari. Questo sì, che sposata
che farà, consegnare allo fpolo quanto gli avste prometo; perechè non porrere
immaginarvi mai, quan. ti difturbi aascono tra conjugi per quem fta benedetta
dote promessa, e non pio gaca ; provando bene spesso le povero mogli, per tal
cagione, molti mali trace tamenti. Sem. E se non mi trovali il danaro
pronio? Pub. Prendcrelo più costo ad interesse, e perciò i saggi Padri di
famiglia sogliono essere buoni econoini, con met. tere da parte ogni anno
qualche fommi di danaro, per essere anche puntuali allorchè locano le loro
figliuolc; e fanno coato allora di fare vantaggioso rinvs. Itimento. Som.
Sarebbe dunqne bene, che s'iq. dutriassero i Padri di famiglia coi trafichi, e
s'impiegaffero con fervore in fare confiderabili avanzi. Pub. Di far qucfto
non sono cenuri in costo alcuno; bilta ch'elli non fcia. lacquino le loro
rendire, perchè li poslono anche fare avanzi congderabili in questo modo ,
ellendo che: Parfimonias eft magnum veftigab. Sem. [ocr errors][ocr
errors] 1 [ocr errors] di ; Sem. Almeno lo doverebbero fare,
avendone molte da maritare. Pub. Neanco; perchè il buon Padre re, ed
avendole educate bene,molti concorreranno a prenderle, e con onesta doto,perchè
porranno a cõro la buona educazione per qualche migliajo di scudi, essendo
realmente essa l'equivalente;onde saggiamente diffe. Plauto in Aulu. Dummodo
morata rectè veniat dotata eft fatis, ed Orazio nell'ode
24.li: 3. Dos eft magna parentum Virtus, metuens alterius
oiri Certo federe caftitas. Sem. Oggidi vogliono però dote, e
non chiacchiare. Pub. Sì quelli che s'innamorano della dote , o vogliono
spendere più della loro pollibilità ; quelli però, chcbramerango avere una
moglie saggia, conlide. reranno in primo luogo le sue buone qualicà, e di
queste faranno maggior ca. pitale, che della dore, la quale è mero bene di
fortuna, dove che quelle, non fo [merged small][ocr errors][ocr
errors] [ocr errors] solamente non sono soggette alle sue in- costanti
vicende, mà sempre crescono di valore , onde faggiamente Orazio eb-
be a dire nella r. Epistola. Vilius argentum eft auro , virsusibus
au- [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Sem. E se il Signore mi
delle', in 32stigo de mici peccati, una figliuola risentita', vana, pronta,
loquace, contenziosa, che con tutta la buona educazione non si fosse potuta
mutare, volendo questa marito, che averò da fare? Pub. Trovarle uno
simile a Socrate, che fu li sofferente colla sua dispetrosa Sancippe ; cioè a
dire un giovane sodo , prudente, non iracondo, mà soItenuto. Mec. Vi fu però
quel filosofo,il quale diede una sua figliuola simile a questa ad ug fuo
nemico, e ricercato perchè avesse ciò fatto , rispose : per gastigarlo :
Sem. Doverò in quello caso conte. nermi nella moderata dore ? Pub. Per
levarvi di casa una figliuo: la di questa forra, non dovete reftare per
dat [ocr errors] . 492 Conf. 8. Deco feconda la doro, perche date allo
sposo un grande osso da rodere, onde, è di dovere, che gli diate ancora un poco
più di polpa, per consolarlo , cd a fine, che ci abbia ancora un poco più di
soff:renza. Sem. E se questa, la prima volta , che contrastasse con suo
marito, tornaflc a casa mia ? Pub. Voi immediatamente dovete rimandarla a
casa sua, senza darle alcun ricetto, e sgridarla ancora; acciochè non fi
avezzafle a farlo più in avvenire ; con dirle apertamente, che colà hà da mori.
re, perche se il Padre comincierà a dar. le ricetto, è finira; ogni giorno
seguirango'nuovi sconcerti, e perciò il Profeta saggiamente disse: Obliviscere
domum Pa. tris tui. Mec. Un saggio Padre in fimile avveniincnto fè
questo: Si portò egli medelimo colla sposa dal genero , e gli disse. Per grazia
vi chieggo, che per questa prima volta le perdoniate per amor mio, nà se mai
succederà cosa fimilc in avvemire, datele pure quel gastigo, che vor.
гс [ocr errors] rece; perchè io non intendo più inters porre nè pur una
minima parola a suo favore ; anzi che non la reputerò più per mia tigliuola ,
trasgredendo i vostri, e miei comandi. Ella , che credeva, che suo Padre fosse
scco andato per isgridare fuo marito, perdè l'orgoglio a segno, che in avvenire
muco modo di vivere. Sem. Se avelli una figliuola brutta, c mal fina, e
volelle marito, che avcrò da fare? Pub. Primeramente vi dovrete informare
col vostro Dottore,se possano i suoi difetti pregiudicarle nel pártorire, con
porre a risico la sua vita ; accertato che farete di questo , che non poffa
seguire, maritätela pure nel miglior modo, che potretc, darele anche buona
dote per avere un uomo di propofito. Mec. Vi fu molti anni sono una
lice per cagione, ch'essendosi sposata senza il consenso de suoi Genitori una
giovane, perchè il di lei Padre pretendevas darle la dote stacutaria, e lo
sporo ne chiedeva di vantaggio ; essendo che oltre gli altri difetti , che
aveva era statas sempre senza denti : giunse queftas istanza all'orecchie del
Prencipe , il quale ordinò che fossero alla rolitas dote accresciuti duc
mila scudi di più , per uguagliarc i difetti, che aveva la sudetta sposa.
Sem. Mà se non si affacciaffe alcuno, che li voleffe, non si potrebbe stimolare
a farsi Monaca? Pub. Questo sarebbe peggiore facrificïo dell'altre, che
volevare dare a Dio, essendo stata rifiutata da tutti gli uomini; e militando
per questa ancora le medefine ragioni, non lo dovete fare ; se non farà
chiamata da Dio a questo stato; onde la potrete tenere in casa vostra , e
procurate, che ha servita più degli altri voltri figliuoli:non dovendo voi
permetrcre che all'interne sue imperfezzioni, vi si aggiungano anco gli esterni
(trapazzi. Sem. E con quelle che averanno la vocazione di farsi Monache,
come mi doverò contenere ?, Pub. [ocr errors] Pub. Primieramente di
far esplorare beo bene la loro volontà , per accertarvi, le lia vera vocazione,
c non disperazione ; perchè alcune in questa cadono alle yo!ce, e precisamente
quando non possono avere quel marito, che bramano; e scoperto che ayerere, che
siano chiamate da Dio,adocchiare tre, o quat. tro Monasterj de più osservanti,
į di diversi istituti, e fare ad effe leggere le i loro regoles acciocchè
sappiano ciò,che - doveranno fare ; e dipoi dice loro, che fi scelgano
quell'istituto,che piace loro, e fatele pur monacare. Sem. Sarà bene di
tenere loro una conversa per forvirle? Pub. Sc alcuna fosse
stroppia, venendole permesfo,fatelo, per altro non inno. vate cosa di vantaggio
di quello, che ivi fi suole praticare dalle altre ; questo sì che dovrete far
loro il livello costumandosi, e consegnarlo, acciocchè lo faccia. no riscuotere
a loro modo,affinchè nó ab. *biano da stare dopo la vostra mortc all'
indiscretezza de fratelli, i quali foglio [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] no essere molto trascurati in
soddisfarle, e trattatele in modo, che nő abbiano bi. sogno di soccorso altrui;
perchè così viveranno staccatiffime dal secolo. Sem. E se qualcuna
volesse imparare a cantare,efsendol già dichiarata di far. fi Monaca?
Pub. Non permetterei quefto ; perchè, se poi fi mutasse , ilche sarebbe cosa
ficile cantando delle belle ariette, voi rimarrette colla cantarina in casa;
ditele bensì che lo imparerà allorchè larà Monaca, perchè ivi averà delle altre
compagne ancora, colle quali si potrà esercitare per meglio apprenderlor
Sem. E se volesse viaggiare un poco per il mondo , prima di chiudersi?
Pub. Questo neanco firebbe ben fit. to ; perchè col viaggiare si può vedere, e
trattandosi,udire più d'una cosa, che po. trebbero rimuoverla dal suo fervore,
e. quando questo desiderio procedesse per cagione di divozione, conducerela in
qualche luogo de più vicini,ove sia qual. chc divoro Santuario, per consolarla
. Soma 1 '1 Sem. Se bramasse vestirsi da sposa prima di
monacarsi, e ricoprirli di gioje, hò da permetterlo ? Pub. Alifte por
motivo di potersi fare l'antichissima consuetudines per altro doyendofi sposare
col Signore , non mi pa. jono simili abiti da esso graditi, mà ben. † sì
i più modefti: Una sola riflessione in & favor di ciò ci potrebbe essere,
che si portassero per dispreggio, facendo vedere allorchè li spoglia di
esli per rivestira dei sacri, che li rinunziano tutte le pompe, e vanità
mondane. Sem. Rimanendo redove le figliuole , averò da riceverle più in
casa inia? Pub. Effendo uscire da casa vostra, ed essendosi già
dimenticate, come vuole fil Profeta,di essa, non siete più tenuto di
riceverle :- e perciò fi foleva ancora nei Kriti degli átichi Romani praticare
colle Spose di muoverle nell'uscire dalla casa paterna più volte in
giro affinché si die : menticassero affatto di ritornavi più . 4 Sem. Mà
se rimaneffero vedovc affai giovani,e senza figliuoli,che averebbero da fare
così solc li Pub. [ocr errors] Pub. In questo caso, se volessero
corparvi, mostrerebbe essere crudele quel Padre, che ricusaffe riceverle.
Sem. E volendoli queste rimaritare toccherà al Padre penfarci? Pub. Lo
ponno fare senza il di lui consenso; bene è vero però, che le fuggie figliuole
fogliono col consiglio pacerno regolarsi in tutte le cose, ed in particolare in
affare di tanta premura , conforme è questo. Sem. E se avesse più
figliuoli anche pargoletti potrebbe penfare il Padre prima di morire a qualche
ripiego, affinchè fossero questi ben' educaci;perchè rimaritandoli la loro
Madre poco penlicro Gi prenderebbe di effi il Patrigno nell'edu. carli.
Pub. A questo ci vuole un poco di tempo per rillerrerci bene, onde ne pare
leremo nella seguente.i Sopra l'educazione de Pupilli: e come debba ciascuno
portarsi verso i suoi genitori defonti. [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors]
Mec. A pena maggiore, che possa avere il Padre moribondo, essendo egli in
sen. timenti, mi persua do che sia questa: di lasciare i figliuoli
pargoletti, dubicando, che non solamente possano esserc danneggiati nella roba,
mà ezian. dio nell'educazione; posciache rifletterà facilmente , che quando la
Madro pallasso alle seconde nozze, poco penGaro li prenderebbe di elli il
Patrigno, ela pro propria Madre molto certamente farebbe dividendo
l'affecto per merà trà elli , cd i figliuoli gencrati col secondo mari. to.
Laonde la loro educazione Iddio sà comc anderebbe. Sem. Mà ti è pur
bastantemente proveduto 'a tali sventure, con Tutori, e Curatori ; come dunque
potrebbe andar male l'educazione di effi, venendo cosi bene affiftiti?
Mec. Può essere , che a tempi antichi li Tutori fossero di giovamento a Pupil.
li : oogidì però tra questi fanno nulla i mediocri; fanno bensì del gran male i
cattivi, e gli occimi, che operino all'antica sono così pochi, che non sò se
arriveranno al numero di quelli buoni , di cui parla Giovenale : Boni
quippe homines numero vix funt totidem quof Thebarum poriæ , vel
divitis oftia Nili. Sem. Udii pur da voi , Publio, nella Conferenza
decima della decade passa. ta;effere utili alla Republicà gli Economi; or come
dunque i Tutori, essendo an [ocr errors][ocr errors] anch'elli
Economi, possono apportarc e questo gran mile. Pub. Tra l'Economo, ed il
Tutore ci è differenza potabile; conciofacosache all'Economo non appartiene
l'educazione de figliuoli; ed essendo egli splendidamente riconosciuro delle
sue fatiche procura di servire con somma fedeltà, per accrescere, o mantenersi
almeno il credito acquistato , a fine di essere ados, perato in altre fimili
contingenze; essendo che per profeffione lo esercita ; dove che il Tutore,
dovendo anche invigilare alla educazione , vedendosi poco, O nulla riconosciuto
delle sue maggiori fatiche, non è cosìgeloso della sua estimazione in cal
ininisterio , per non cu. rara punto di fimile briga inutile ,
fpecialmente chi non opererà per virtù, la qual'è da pochi seguirata, e
maggiora mente se non si vede rimunerata secondo il sentimento di Giovenale, il
quale dice: Quis enim virtutem ample&titur ipfam Prema fi
tollis? Laon. [ocr errors] 0 li 3 Laonde non
recherà maraviglia se eras efli vi saranno de cattivi. Sem. E questi, che
mali potrebbero apportare, Mecenate? Mer. Primieramente di lasciar fare a
figliuoli ciocche eff vogliono , e poi ponno prendere tanto amore alla roba
de’Pupilli, che se vogliono, possono arri. vare ad appropriarsene buona parte
di cffa. Sem. Edin che modo ? Mec. Faranno comparire debiti antichi,
i quali furono gia pagati, ed accordandoli con detti finti creditori, fi
divideranno per metà il furto, dando loro indietro l'antiche ricevure ; lascic.
ranno vendere all'incanto i corpi più frucciferi , ed effi vi faranno offerire
sot. to mano ; & farà cal vendita, nella quale farà grossa senfaria a lor
favore; faranno rinvestimenti con persone fallite , e non senza
considerabilitimi approvesci loro; in somma, per non infpiegarmi di vantaggio,
sarebbe assai meglio, che questi non ci fossero ; perchè almeno se
spregasscro i figliuoli anderebbe per sodisfare i ca. pricci di chi
n'è padrone. Sem. Costumeranno di far questo i più
bisognofi. Mec. I bisognosi lo faranno per biso . gno, ed i non
bisognosi per arricchirsi di vantaggio. Sem. Mà è possibile, che nel
Mondo ci sia gente così iniqua che lo faccia? Mec. Questa è questione di
fatco; di. cendomi il mio Procuratore , che giornalmente accadono liti di
rendiinenti de'conti in cause de Pupilli, e che si vedono prodotti certi libri
di amministrazione così intricati, per ricoprire le magagne, che ben si scorge
essere stati fatti così da gente molto maliziosa . Sem. Talinente che voi
non lodate, che si diano a Pupilli questi Tutori? Mer. I cattivi
certamente noa posso lodarli. Sem. E quali saranno i buoni?
Mec. Quelli, che ricuseranno di ac- cettar qucfte brighe
Sem. I cattivi non sono a proposito, i buoni non vogliono accettarle ; dunque
bisognerà cadere a prédere per necelfità i mediocri, che non fanno nè bene nè
male. Oh confideriain corne p')trà andar bene l'educazion de figliu li !
Mec. E perciò doverebbe ogni b:100 Padre di famiglia aver un amico confidente
di lom na integrità, è che fosse anche informato de fuoi interelli, e que. fti
impegnarlo da molto tempo prima ad accettare, se li delle mai il caso, ch' egli
morisfe in tempo, che i suoi figliuo. li avessero bisogno di guida, che voleffe
fargli carità di tenerli, ed allevarli, come se foffero fuoi ; senza però
discapito di borsa; ed è cosa facile , che prene desse allora l'impegno di
farlo, perchè fi lusingherebbe, che ciò non fosse per seguire in breve.
Sem. Signor Mecenate mio, scusate. mi, se passo taor'olore; vedo oggidi il
mondo così corrotto che dubiterei molto, che l'amico si ponesse anche in luogo
di Padre con isposare la moglie del l'amico rimasta vedova . Mec.
[ocr errors] Mec. Questo non doverebbe farli da un buono amico, Sem.
Questo ancora è di fatto, conoscendone qualcuno , che lo hà bevislimo
praticaco, e lo sò con tutto che io ab. bi. meno anni di voi. M:c. Losò anch'io;
mà questo diceva per vedere di fuggire il maggiôr male; or dunque bisogna
conchiudere, che doppia disgrazia lia, quando i Padri muojono giovani,
Sem. In fimile intrico dunque o biso. gierà , che il Dotcore trovi rimedio, che
in tal erà non si inuoja , o pure tro. Vire chi poffi fedelinente indirizire
cali Pupilli: avete voi, Doctore , un simile rimedio ? Med. Rimedio per
non morire non si è trovato fin'ora; ben è vero però, che a prolungare la vita
con tenersi lon, tani da cerci spropositi massicci , che possono abbreviarla, a
questo si può are rivare. Sem. Ed in che modo Med. Contenendosi con
moderazione nel [ocr errors][ocr errors] nell'esercizio
conjugale; perchè ci so. no taluni, che si pongono alla disperata in tale
facenda, come se nel dì seguente la moglie dovesse essere loro rubata, senza
avvederfi, che ruberà la morte elli alla moglie , continuando tal vita; oltre
poi tanti altri disordini accompagnati a queste. Bisogna dunque, che viva re.
golato chi ha figliuoli di tenera età , e non li fidi della gioventù ; perchè
que. sta tradisce bene spesso, e che consideri il danno, che apporterebbe alla
sua famiglia , con morire prima d'invecchiarli. Sem. Questo si può fare ;
mà se non baftaffe ? perchè hò veduto morire anchci giovani non aminogliari , e
ben regolati ancora ; che doverebbe dunque farli per terminare la vita non
tanto dolorosamente? Pub. Hò udito riferire, che in alcune città vi lia
una specie di magistrato , composto di persone di sperimentata integrità, le
quali invigilano a questo ; onde introducendoli trà di noi potrebbe
con consolar molto i Padri, cui seguiffc fimil e disgrazia duplicata, per
lasciare i figliuo li non atti ancora a poterli da se regola [ocr
errors] re. [ocr errors] Sem. Questo mi piacerebbe, e vi prometro, che
procurerei ach'io di entrare in derto magistrato. Pub. Se vi avelli da
porre io, due di difficoltà ci avrei ; la prima , che fiere troppo
giovanezessendo cariche da con. ferirsi a persone di provetta e à, e l'al
tra perchè voi lo chiedete, essendo che A finili impieghi, doyendosi conferire
a solimericevoli, aleuoi di questi più toe $ fto li ricusano, che li
domandino; ed è a cosa cerca , che colui, che brama un ins cumbenza, non
solamente senza lucro, mà di molto incomodo ancora', qualche fine vi hà per lo
più vantaggioso per se.. medesimo, il quale potrebbe rendere infructuoso ogni
vantaggio, che da ello, si speraffe . Serth Che averebbero da fare
quefti? Pub. Primieramenre d'inventariare fedelmente tutto quello, che
avesse la. [ocr errors] sciato quel defonto, di eficare poi il superfluo
, e non fruttifero, e rinvestire il ritratto in faccia de Pupilli , con fare le
cose chiare, e senza procacciarli emolumento alcuno . Sem. E che
altro? Pub. Di dare fefto immediatamente all'educazione; con porre nel
migliore feminario i maschi, se saranno di erá ca. paci, e le femmine in un
Monastero dei più csemplari. Sem. Ele rendite chi le amministrerà? • Pub.
Un ministro salariato, che fia capace, o più secondo l'azienda che foffe, i
quali rendessero esatto conto ad uno dei detti sopraintendenti dell'ope. rato
ogni settimana, per potersi poi, da più di elli congregati ogni mese, risol.
vere gli emergenti più difficili, che ac. cadeffero. Sem. E degli avanzi,
che si farebbe? Pub. Andarli rinvestendo , allorche foffero arrivati ad
una certa somma, con tutte le dovute cautele acciocchè fosse. ro fatti a
ragione veduta.Sem. Nello stabilirli poi divenuci adulti chi ci
penserebbe? Pub. Quci deputati medesimi, che sopra intendono
all'amministrazione. Sem. E se caluno di questi avesse figliuolo , o
figliola, ed apparenrasse cilin eli: 0 pur faceffe quello che fu obiettaco a
Tutori. Pub. Vi sarebbero sopra di ciò, le suc regole, in quali casi li
dovesse proibi. re, o ammettere tra esli l'apparentarli; perchè quando mai
fossero eguali, che male farebbe l'appareatare con gente scelta, e capace a
bene dirigere. Oltre di che con qual amore di vantaggio liarebbe amministrata
quella roba ; ¢ qual educazione più vigilante riceverebbero questi in cal
casoBafteşebbe, che non entraffero poveri in detra soprainten denza affinchè
non seguissero casi disdif cevali, che daffero occalione di inormo, rare , ed
essendo questi scelti nobili, c bencftanti, non li indurrebbero a far quelle
cose, che furono obiercare a Tucori, c tanto più ch'essendo molti a for
pra [ocr errors] sopraintendere difficilmente tra questi vi sarebbe chi
potesse, anche volendo, defraudare iPupilli in cosa alcuna per la vigilanza
degli altri. Sem. E se in detta amministrazione seguisse qualche disgrazia,
chi sarebbe teauto-a risarcirla? Pub. O questa seguirebbe casual. mente,
senza colpa altrui, ed in questo caso non sarebbe a ciò tenuto alcuno , mà se
poi ci fi scorgesse inalizia ; il delinquence farebbe obbligato a
risarcirla. Sem. A fare ottenere loro buoni impieghi, e provedecli di
cariche proporzionate alle loro condizioni, e capacità, chi vi doverebbe
pensare, fatti aduki ? Pub. Il medesimo inagiftrato, atinchè con ragione
di potessero chiamare quei, che lo compongono veri Padri della Patria, cgran
sollevatori de Pupilli ; mà divenuti questi capaci sapranno da se medesimi
farli strada per il conseguia mento di effe. Sem. Sino a quale ctà
doverebbero Rarc fotto tal depucazione? Pub. 11 [ocr errors]
Pub. Le femmine fino a canto,che fora ossero collocate ; i maschi poi non
sareb* be male in tempi si calamitosi, che vi stessero fino a tanto, che
fossero atti, è 1 capaci di sapersi regolare da se mcdefifoto mi
nell'amninistrazione de loro beni. Sem. E se caluno di questi rimaneffe d
incapace di operare a dovere? Pub. Affinchè non dilapidaffe il fuo,
converrebbe tenerlo soggetto sin tanto, i che vi fosse chi porelle prendere
partii colare direzzione di effi, come sarebbe di qualche fratello di giudizio
, o altro pa• from rente ricco; pio , ed onorato. Sem. Mà questi pareori,
perchè non potrebbero anch'elli prendersi il pensie. iro di amministrare detta
roba de Pupilli, alineno lin tanto, che foffe ftabilico fimile
magiftrato? Mec. I Parenti , Sempronio mio, talia dc quali però, sono peggiori
degli altri, perchè prendono maggior contidenzas colla roba de fuoi
parenti è perciò facilmente se l'appropriano;onde di questi non vi prevalec, se
non quando li scor gere gerete con lunga sperienza, che siano ve.
ramente difinteresati, Pub. dove sono andati quei parenti antichi , che
avevano premura maggiore della roba de loro congiunti,che della propria : hò
veduto io alcuni di que. Iti mettere fuori somme confiderabili di danaro per
folicvarli nelle loro angustic, ed ancor fenza alcuna usura ; ve ne fu uno tra
gli altri, che prese l'amministrazione di un luo cognato, il quale eras quali
che fallito, e lo ripose in piedi, con liberarlo da tutti i debiti da esso
fatti, che ascendevano a fomma molto considerabile. Sem. Ritornando alla
grand'opera di cariià del sudetto Magistrato , mi perfuado, che in quei luoghi,
ove li costu. i Padri morranno senza avere da pensare all'indirizzo , che
dover ango • avere i loro figliuoli divenuti Pupilli. Pub. Occalione non
hanno di ricerca.. re altri inodi : posciache questo Magiftrato pensa non
solamente a diriggere i Pupilli ricchi, ma anche quei che riman goo
[ocr errors] gono con mediocre commodo. Sem. Oh luoghi fclici, ove la
morte non reca tanto cordoglio, divenendo ivi l'amore, e l'autorità paterna a
guisa di fenice, che rinascono, ed alle volce più i profittevoli a
figliuoli di quello, che fos fero prima a cagione dei Padri trascura#ci,
e nel costume , e nell'economia , e se per questi ancora ci fosse qualche
cenfoi se, quanto anderebbero meglio le cose? Mer. Voi, Sempronio, che
non avein te ancora piena sperienza del mondo vorrelte aggiustarlo in un
tratto ; come fogliono fare alcuni zelanti giovani , allorch' entrano a
governarne qualche particella di efto. Abbiare de me questo configlio, cavato
da Licurgo, che nelle riforme bisogna camminare affai lenta. mente, e con molta
circospezione , per non cadere in peggio. Sem. Che doveranno fare i
figliuoli per mostrarâ grati verso i loro genitori defonti? Pub. Due
cosc, la prima è di mante, gere nel mondo la meinoria onorovolsdielli, e
l'altra, che maggiormente preme, di alleggerire le loro pene, che possono
foffrire nell'altra vita. Mec. La prima dagli Egizi li praticava con
imball mare i corpi de' loro genitori, e questi conservavano anco gli atavi , i
tritavi, con quel auiero maggiore degli ascendenti, de quali furono eredi, e
con quanta stima, c vencrazione universale! che se ac loro sommi bifogni
avessero avuto necessità di danari, impegnando una di queste mumie, ne
trovavano quanti facevano loro bisogno ; perchè avevano il pensiere di
riscuoterle in breve. Gli antichi Romani ancora fabricavano tempj alle memorie
de’loro Padri, o per lo meno ftatue per mano di eccellenti scultori. Sem.
Come si doverà fare per mantenere viva la memoria de genitori? Mec. Se sono
stati illustri per le loro rare virtù, e maneggi, debbonsi anche imitare da
figliuoli, per fare scorgere a chi non li conobbe, di essere le loro virtù
passare in effi; insegnandoci l’Ecclelia. [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] ftico al 11. che in filiis agnofcitur vir. Sem. E se
avesse dato alla luce opero letterarie , doverà imitarlo in queste ? Mer.
Certamente più in queste che pcll'edificare ville sontuose, posciache quelle di
Cicerone, e di Seneca fono già da gran tempo distrutte, ma non già i loro
libri, i quali continuano i loro anni sempre più gloriofi alla fama. Pub.
Fù interrogato un favio, se fosse più defiderabile l'acquistare un regno, o
l'avere dato alla luce qualche operas dottrinale, utile a posteri; rispose egli
che la seconda ; perchè della prima non pofsiamo eslerne altro, che meri
usufrutruarj, privandoci della proprietà di esso la morte, dove che della
feconda ne Gamo perpetui poffeffori ,accrescendo più tosto la morte il valore
di essa, e perciò con ragione diffe Giovenale : fat. 8. Libera fi dantur
populo fuffragia quis să Perditus ut dubitet Senecam preferre
Neroni. Sem. E se non avessero fatto cofa
al- cuna memorabile ? Kka
Mer. [ocr errors] Mec. Debbono i figliuoli incominciare a farl’elli
; perchè diccndoli poi fatte dal figliuolo del rale, anco i genicori faranno
partecipi della gloria di efsi. Sem. E se fosse stato un gran Capitano,
ed il figliuolo non avesse quel coraggio, che si richicde in tal carica ?
Mec. Procuri egli di uguagliare la fua gloria in cose concerncati alla pace;
perchè si dira:il Padre fè prodezze grandi in guerra, e questi le ha fatte in
affari di pace. Sem. Lasciando debiti più del suo capitale dovrà il
figliuolo fodisfarli del fuo, quando avesse? · Mec. Certamente che sì, per non
farlo dichiarare fallito ; e di vantaggio le fors' egli ne paeli Elvetici, per
non riceverne infamia; cottumandog colà gaftigare anche i defonci , che per
malizia feceto più debiti del loro capitale. Sem. E se avesse ricevuto fuo
Padre qualche ignominioso gastigo?. Mec. Doverà egli allontanarli dos
quel qu I paesc, per non udirne dir male pui blicamente, non potendolo
scusare; per altro se fosse stato' cattivo a quel fcgno , che non avesse
meritaco‘limiles ignominia,doverà colle opere buone, e a gloriofe
cancellare ogni memoria po. co buona di esso; perch' essendo pro? prietà
della luce scacciare le tenebre così ancora delle buone operazioni
pre fenti è di cancellare la memoria delle 8 carrive passate.
Sem. E se lo avesse privato dell'eredi. tà parerna doverà farannullare il
testa. mento , avendo ciò fatto senza cagione? Mec. Sofferendo ciò farà
credere, che certamente lo faceffe fenza cagione , . i poichè facendo
altrimenti, se non l'ebbe allorchè lo fè, la previde, per dichia. rarsi
dopo la sua morte il figliuolo concrario alla sua volontà, e di ciò ne dierono
un memorabil'esempio i figliuoli di Metello, i quali, quantunque esclisfi
contro le leggi, non vollero,per riverenza dovuta ai Padre , far istanza alcuna
in contrario. Sem. Kk 3 Sem. Se un Padre ainoroso de fuoi
figliuoli, ed anche pio, volesse, allorchè stà vicino à morte, far distribuire
qualche fomma confiderabile di danaro a poveri , ma perchè l'amore verso i
figliuoli lo portasse a farne effi consapevoli, per vedere se fossero contenti
di ciò, come dovranno contenerfi in fimi. le affare? - Mec. Uniformarsi in
tutto , e per tutto al volere paterno , c sappiate che Iddio non solameate
gradirà tal atco , mà lo rimunererà ancora . Pub. Un caso prodigioso si
racconta a questo proposito nel Prato spirituale di un uomo dabene, e fomnmo
elemosiniere', il quale, ritrovandosi vicino a morte, chiamò il fuo figliuolo,
cui dopo avergli fatto vedere una gran somma di danaro disse:figliuolo,che
gradirete più, che vilasci questo danaro, o pure, che vi deputi Gesù Cristo per
vostro curatore rispose il figliuolo: averò più accaro il mio Gesù per curatore
: ciò udito fece dispensare a poveri tutto queldanaro: cosa fè il giusto, e
supremo Cu. ratore? Si ritrovava in Costantinopoli, ove egli dimorava , uno
de'principali, ch'aveva una sola figliuola, la quale per essere ricchissima
veniva da molti desiderata per moglie ; il gran Curatore dell'orfano ispirò
alla Madre di essa, che infinuaffe a suo marito, qualmente la loro figliuola
avesse più bisogno di un uomo faggio, che di ricchezze, e che maritandola a
qualche Signore correva pericolo ch'ella fosse malamente trattata: Piaccque cal
consiglio al marito , il qnale repplicolle : preghiamo dunque Sua Divina
Maesta, che glielo dia a foo compiacimento, ed andare voi in quefto punto
alla Chiesa a supplicarla,e có. ducetemi quello, che immediatamente entrerà in
Chiesa dopo di voi ; qual fù appunto il pio, e generoso pupillo, dal suo grã
curatore arricchito in un istáte. Mec. Or vedere voi, Sempronio, ch'
effetri buoni produce l'uniformarii colla pia volontà del Padre, e quanto si è
detto del Padre doyerà aacora inrcn. der, [ocr errors][merged
small][ocr errors] Kk 4 dersi della Madre, in tutto quello, che
apparterrà a figliuoli. Sem. In che doverà con Gftere il bene che sono
tenuti di fare i figliuoli, per l'anima dei loro genitori? Mec. In
sodisfare in primo luogo tutti i loro debiti, e legati pij, ed adempio re
prontamente le loro disposizioni. Sem. Må se non ci saranno danari
pronti, si averanno d'alienare gli effetti? vi saranno pure i suoi tempi da
sodisfar-, li con commodo ? Mer. Sapete che detti effetti , ne' quali ci
è debito; non vanno considerati come propri, e per ciò, non entrando
nell'eredità a favore dell'erede, che gli dee importare, che si vendano ? fe
poi li vuole appropriare a se, ci prenda danari sopra, se non gli hà, e
fodisfaccia chi dee averc;; e se per cagione di detta dilazione quella povera
anima penaffe in. tanto, oh che bcll'amore moftrerebbe il figliuolo per
suo padre, lasciandolo cor. mentare ! Il più chiaro contrafegno di affetto
verso fuo Padre è questo, di ob be [ocr errors] Les bedirlo
sollecitamente in fodisfare cioco che diipone li faccia seguita la sua
morte Pub. Or io sono di questo parere, che non si debba aspettare fino
alla morte a fodisfare i debiti contratti, c le opere o pie, che si
vogliono fare, e maggior meate mi sono confermato in questo leggendo, che
vi fosse un certo uomo civile sì, mà assai povero, non avendo altro, che quattro
Sparvieri avvezzati alla caccia, coi quali si alimentava; vc nendo egli a
morte chiamò tre suoi fi& gliuoli, ene lasciò uno per ciascuno, di
cendo loro, che il quarto lo vendeffero, e ne facessero tanto bene per
l'anima sua morto che fosse. I detti figliuoli il di venente, per
vivere se ne andarono alla caccia coi quattro uccelli, uno de quali
seguitando la preda non tornò più : co- minciarono a contrastare tra loro
di chi fosse il perduto, ed ogn'uno giurava, che quello, che era
ritornato, ed aveves sulle mani era il suo ; fi accordarono
alla fine, che il perduro era quello , che do- veva impiegarli in
beneficio dell'anima del [ocr errors] ! [ocr
errors][ocr errors] del loro comune Padre ; il quale rimase privo di quel
bene. Sem. Oltre di questo doveranoo far altro? Mec. Avere
giornalmente una viva memoria di essi, col raccomandarli a Dio in tutte
l'orazioni, che faranno, fervencemente; perchè non è picciolo il bene, che da
cfli ricevettero, conGitendo in tutto il loro etlere, e ciò facendo oltre il
sodisfare a propri doveri, daranno anche chiaro indizio deila loro buona
cducazione. Sem. Vorrei sapere da voi , Publio, so la vedova possa essere
capace di ben’ educare i propri figliuoli,parendomi che da principio ne
dubitaffe Mecenate, con dire, che non farebbe poco a dividere il suo amore
materno tra i primi figliuoli, e gli altri avuti col secondo marito, Pub.
Perchè nò ; quando ella perseyerasse costante nello stato vedovile, fosse
dotata di senno, e prudenza, ftesse attenta , ed avesse petio da farsi ftimare,
c rispettare da efl, e Mecenatc parlò del na delle vedove , che
prendono altro mari to, non di quelle di cui diffe Ovidio, [ocr
errors] che. bes 01 ol Sustinent in viduâ triftia figna
domo. Sem. A trovare però oggidi chi sia il dotata di tante virtù sarà
cosa molto difficile, dicendo di queste Giovenale. Rara avis in terris nigroque
fimillima cygno. Pub. Si a voi, Sempronio, che forse of anderete
solamente in cerca de diferti ili donncschi, mà non già a chi brama di
trovare le virtù, per approfittarsene, o gi ainmirarle; e non crediare già, che
ogbe gidi le virtù sieno affatto efiliate dal d mondo, anzi sappiare, che
quando paa re, che i vizj (i dilatino maggiormente, do allora è il tempo ,
ch'esse li affaticano in trovare ricetto dai più lavj, per risplendere
maggiormente : ed io vi poffo finceramente palesare, che ci sono presentemente
alcune vedove, le quali vivono con tanta csemplarità , che ponno uguagliarsi
alle antiche matrone, delle quali i Scrittori fecero tanti grandi elogj.Sem.
Bisogna che queste vivano molto ritirare ; c da ciò trascerà che, da me non son
conosciute, laonde notificatemi chi sono, affinche possa anche io fodar. le, ed
onorarle, come meritano , ed apprendere insieme dalle loro operazioni qualche
urile documento. Pub. Mostrare certamente troppa cu. riosità , Sempronio,
con volerle conoscore', e se avete deliderio di apprendere qualche documento
dalle loro operazioni , questo lo potrete appagare con udire le relazioni
dell'operato da esse, e tanto maggiormente, che queste non operano a fine di
acquistare gloria, må bensì di bene istruire i loro tigliuoli, e perciò non fi
curaro punto di essere lodate da alcuno, ed a voi è vietato anco il farlo
dall'Ecclefiaftico al 2. dicendo : Ante mortem non laudes hominem
quemquam. Sem. Informatemi dunque del modo, che questo hanno tenatoy e
tragono in educare i figliuoli? Pub. Quefte , Sempronio , sono quela
le res ope mogli,che amarono di vero cuore i loro
mariti, e perciò appresero da Didone ciò, che rifeșisce nel quarto
dell'Enei- di Virgilio : Ille meos primus qui me fibi junxit
ame- Abftulit ille, babe ai
fecum, fervetque se-
pulchro. laonde quantunque rimase vedove nel più bel fiore degli
anni, non vollero giammai acconsentire a rimaricarsi ; inà bensì
rimirando ne'figliuoli qualche par. ic de’loro genitori collocarono in
elli, per tal cagione cutto il loro materno affetto; e non li
potranno mai baftantemente esprimere le deligenze da esse usare
a pro dei loro vantaggi ; posciache , ia cu- ftodire,
ed accrcfcere le sostanze di clli, che cosa non fanno mai?
Sem. E come possono , essendo mancato il capo di casa, crescerle?
Pub. E pure ciò non ostante , l'hò osfervato in più di una di effe, c quello,
che mirende ammirazione, senza fordida economia , perchè mantengono illo
[ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] ro to
grado decoroso, senza scemarlo puoto: laonde sono meritevoli di quell'encomio,
che fè Cicerone a Craffo , ed a Scevoli, chiamando il primo moderatiffimo nello
fpendere fra i fplendidi , e l'altro splendidiffimo tra i moderati ; vi potrei
anche dire di vantaggio, che avendole osservate e faccillime jipitatrici del
bombice, il quale per formare la sua casa poge tutta la sua miglior softanza in
essa, onde spero, che l'imiteranno anche dopo morte, con divenire farfalle per
volarsene più speditanicnte al Cielo. Sem. Hò udito esaggerare tanto
cótro il luffo nelle passare conferenze ; como mai queste si fanno così bene
regolare in tempi, ne quali ci troviamo.? Pub. Vidifli parimente in
quelle , se ben vi ricorderete , che non mancava presentemente ancora, chi
viveffe net costume ancico, e che non si osservalle da tutti chi operava in tal
forma ; perchè pochi erano l'imitatori di efli, c da ciò nasce, che queste di
regolano con tan. tanta aggiustacezza, perchè vivono a quella
usanza, e se li vagliono di qualby che cosa dello presente, lo fanno con
gran moderazione, e più per salvare una certa apparenza, a fine di non singolarizzarsi,
che per vanità. Sem. Mà nell'educarli di che norma si servono ?
Pub. Di quell' appimnto, di cui già i parlammo , ina con grandiilima
atten#zione ; folamente di vantaggio hò osserte vato, che avendo quefte già
bene im bevuti i figliuoli del rispetto dovuto ad effe ne'ceneri
anni, divenuci poscia più ci adulti, deposto il rigore priiniero si so no
servite più costo della piacevolezza ; coli ed in questo modo hanno
continuato ad elggere curta la venerazione ad else dovuta da
figliuoli. Sem. E nel provederli d'impieghi comc li porrano? Pub.
Volelle Iddio, che con tanto fervore operaffino noi alori Padri conforme esse
fanno' in questo; effendoche taluna li ha così ben accomodaci , che
: non non si è renduta loro fenfibile la perdita fatta del Padre,
trovandosi presen!emente in istato tale, che possono contentarsi. Sem. Oh
fortunati figliuoli; se io fossi nei loro piedi , non mi dimenticherei gianımai
di tanto beneficio ricevuto da effe. Pub. Ed io pasferei più oltre, cioè
a riflettere i disaggi, che averano sofferto, per fare conscguire questo bene,e
quanto averanno cenuto occupata la mente co’pensieri, e quante vigilie averanno
sofferte. Or ditemi, vi pare che qucftc, che operano in tal forma, si possano
paragonare alle antiche Porzie , alle Cor. nelie, alle Avie , ed alle Pauline
che cosa fecero quelle più di queste, che meritarono la corona di pudicizia,
pero effere vivate nella stato vcdovile esem. plarissime e Sem.
Certamente che meritano qucm Ite ancora di esser coronate, e credecemi, Publio
, che questo vostro racconto mi hà sommamente confolatozed animato ingeme a
prendere moglie; perchè se io arrivafli á scegliermi una di queste, morrei
certamente men contristato , avendo chi supplirebbe le mie veci nel ben educare
i figliuoli. Mec. Abbiamo finora parlato della cducazione dei figliuoli
de benestanti, e di quelli de' poveri non abbiamo fatta menzione alcuna.
Pub. Conyerrà certamente discorrere anche di questi, essendo cosa essenziale
ondc lo porteremo alla ventura Conferenza. [merged small][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] CONFERENZA
X. Sopra l'educazione de' figliuoli poveri, e donde venga queita
danneggiata. Publio , Mecenate , Sempronio , i Medico.
Pub. He bella cosa fareb. be , se nel monС do ognuno viveffe
conforme richiede l'obbligo cristiano: di non fare altrui, ciò, che a se
dispiace: oh bell’armonia, che nascerebbe da questo allorsì che ciascuno
potrebbe vivere ad occhi chiuli, non trovandosi chi ingannasso il coinpagno ; c
tanre sorte di supplicj , inventare per reprimere', c. gastigare la malizia
degl'uomini rimarrebbero affas. [ocr errors] to oziose; e li ministri di
Giustizia a che | servirebbero, essendo ciascuno retrislimo giudice di se
medesimo? Oh felice, c mi fortunato vivere che sarebbe, essendo ritornato
il secol d'oro, nel quale come lo descriffe Ovidio ne suoi fafti.
Proque metu populum fine vi pudor
ipfe
regebar, Nullus erat justis reddere jura labor.
E Giovenale nella fac. 6. Cum furem nemo timerer Caulibus,
aut pomis, tu aperto vive. ret borte,
Mà quanrunque fiafi tanto affaticato Platone per farlo ritornare , appena
c rimasto ogni suo pensiero riposto nel ga- binetto delle sue
Idee, senza recare vei runo profitto; onde si può conch iudere, che
questo probabilmente non tornerà [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][merged small] Sem. Mà non fi potrebbe almeno far ritornare quello di
argento ? perchè a sopportare da gran tempo in qua il secolo di ferro, già
divenuto rugginoso, fembra dura , ed insoffiribile cola. L12
Sem. [ocr errors] Pub. Questo è difficile; e non meno, che a far divenire
un pezzo di ferro argento; intorno al cui lavoro tanti ci si affaticano indarno.
Non sarebbe poco se a questo di ferro,che noi abbiano, il quale ben diceste,
che sia divenuto rug. ginoso, se gli potesse dare una ripulitura, affinchè non
comparisse tanto deforme, come presentemente par, che sia diveDuto • Sem.
Facciamolo dunque ; ma da che parte di esso si doverà principiare? Pub.
Da quella più tenera, come abbiamo fatto finora nei nobili, cioè dalla tenera
gioventù, ove la lima può più facilmente attaccare : cominciate voi dunque a
portarmi il lavoro, che io li. merò. Sem. Qiello , che' mi premerebbe più
d'ogni altra cosa, sarebbe che in. cominciassimo a ripulire un poco i
servitori. Pub. La ruggine in questi è troppo dura; come volete voi, che
limi, efsendo di già quefti divenuti adulti; por [ocr errors][ocr errors]
tatemeli giovaneci, che io cominciero limarli. Sem. E come potranno
questi allora discernerli? Offervandoli, che ne pur i loro figliuoli hanno
genio a fare tal meftiero; ideandosi tanco i Padri, quanto effi, allorchè
cominciano a conoscere i vantaggi della vita civile, di voler parfare ad
effa,con avanzarli di condizione. Pub. Dunque se non si sà precisamente
chi voglia incaminarli per questa via, cominciamo da tutti i figliuoli poveri ,
che cosi comprenderemo quelli da incaminarsi in cursi li mestieri nel
inedeliino tenipo. Sem. Che doverà farfi in questi prima di ogni altra
cosa ? Pub. Quello appunto, che già dicem. mc:infinuare bene nell'animo
loro il fan. to timor di Dio, base fondamentale di O tutte le virtù
morali, e cristiane Sem. E chi doverà far questo? th Pub. I loro
genitori. Sem. E se questi non ne avessero appreso tanto, che hastaffc
loro ? Pub. Ci sono i Parochi de'quali è incombenza,non solamente di
proccurare, che fieno istruiti i figlioli, mà anche, i genitori medelimi,
Mec. Se ci fosse un fol pastore in una gran greggia di pecorelle, molte ne
divorerebbero di più i lupi ; onde come potranno baltare questi, che sono pochi
a tanci? Pub. Ci sono i Maestri, che supplisco. no ancor ela. Mec.
Mà quelli che non hanno modo da tenerli? Pub.Sogovi tante scuole per i
poveri, che possono ben ivi apprendere ciocche appartiene a questo Mec.
Mà fe trascureranno di andarvi, ed intanto innoltrandosi i vizj come firi.
medierà?. Pub. Colgastigo, che servirà dierempio agli altri, che non ci
cadano, ed a tal effetto ci è per questi la casa di correzione, ove sono
severamente morti. ficati. Mec. Vorrei, che vedeflimo, Publio , se
[ocr errors][ocr errors] fc ci fosse modo di non avere rovente bisogno di
limili gastighi; perchè vado rifcttcndo, che molti pochi sono correcti da eso ;
e quantunque ci licno le forche alzate, tanto i delicti fi comincitono gel
inedefimo tempo. Pub. E che prerendete forse, che nel monda non feguano
delicti? Mec. Non pretendo tanto, mà solamente che sceinino questi più
notubilincnte, ed in conseguenza ci sia meno duopo digastigo. Pub. E come
fareste per procurare che minor numero deili presenti ne leguillero? Mec.
Vorrei in diverse parti della cietà scegliere i più caritativi ; e pii
artetici, che ci foffero in ogni profeflione, ed a questi consegnare , e
raccomandare più di uno dei giovanetti, arrivati in età di poter cominciare ad
apprendere i principi di quell'arte, alla quale 'mostraffero inclinazione, ed
abilità. Pub. E prima di detto tempo chi ne averebbe il pensiero di
andarli istruendo nel beo operare ? Mr. [merged small][ocr
errors][merged small][ocr errors][merged small] [ocr errors] Mec. Ci sono pur
tanti pii, cd esemplari operarj , zelantisfimi del buon costume, cui non
recherebbe gran briga l'invigilare sopra di elî, con un ben regolato
ripartimento, li quali per rimediare a'disordini maggiori, che incontrasfero
doverebbero avere chi desse loro assistenza, e braccio autorevole; e credetemi,
che dupplicato bene da ciò ne risulterebbe: cioè, che non anderebbono in quelle
ore vagabondando per la città, e li approfitterebbero insieme di molti buon
iavvertimenti, e cosi la gregge averebbe pastori a proporzione del fuo bisogno:
e fapere pure, che quantunque tanto si operi da questi zelancisfimi nello
svellere i vizi già adulti, nulladimeno per lo più poco, o niente di frutto da
cfsi si ottiene , onde mi parrebbero fatiche con profitto maggiore queste
impiegate, allorchè i vizi sono anco teneri, potendosi allora con più facilità
sradicare; che quando sono già adulti,senza tralasciare però d'invigilare a
fradicare anche questi assodati. Pub. [ocr errors][ocr
errors][merged small][ocr errors] Pub. E chi manterrebbe detti figliuoli da
quei artefici; acciocchè l'istruiffero fin tanto, che il loro lavoro meritalse
premio ? Mer. Sarebbe facile qui tra noi a trovarsi il modo, essendoci si
numerose, e considerabili limosine di pane , da diftribuirli a poveri; nè si
potrebbe dubicare in conto alcuno, che questi non folsero tali ; onde sarebbero
con giustizia , e profitto impiegare in essi ; nè potrebbero gli altri dolerli,
perchè verrebbero anche distribuite colla discreta propora zione rispetto agli
altri bisognosi invalidi; ne apporterebbero gran briga cinque, o sei ragazzi di
questi, provedusi già di pane, avendoli in bottega; ecenendo loro gli occhi
sopra, non potrebbero andare vagabondando in cerca de vizj conforme
facevano. Pub, E'pensiero questo da macurarsi meglio per discernere, che
vantaggio conliderabile potesse apportare. Sem. E se avessero genio di
studiare? Mec. [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mer. Di questo
ne discorreremo nel fine. Sem, Or ditemi dunque quali sono i vizj
familiari a ragazzi poveri ? Mec. Possono essere innumerabili, se non
sono sradicati alla prima da qual. cuno, e tanti appunto, quante sono l'erbe dannose
, & inutili, che nascono in una siepe abbandonata da chi la coltivi.
Posciache questi poffono essere primieramente affatto ignoranti dei misteri
della Santa Fede; non hanno in bocca altre parole, che difonckte, appreses per
istrada, e ral volia per essere figliuolini nè pur fapranno i loro ligniti.
cati ; fi afsucfaranno da teneri anni al rubare, e cominciando dalle core
commefibili faran passaggio all'altre ancora ; diverranno poi tanto impertin
nenti, che daranno fastidio a tutti; bu. giardi , fraudolenci, bestemmiatori, e
malizioli a segno, che quabrunque fico no di dieci, e undici anni saranno già
capaci in pratica di tutti i vizj concernenti alla luffuria . Puo.
[ocr errors] [ocr errors][ocr errors] De i buos
[merged small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] prove, e do
po [merged small][ocr errors][ocr errors] Sem. Ma è poflibile, Dottore,
che in sì tenera età facciano questo? Med. Io più d’uno di questi ho
vedy. to venire zoppi all'ospedale per ca. gione di buboni gallici, che avevano
acquistati con tali viziose ritrovata la verità gli ho anche mol. to bene
sgridati. Sem. Da che diviene questa gran facilità di cadere in fimili
vizj? Med. Lo spiegò Socrate a Teodata bellissima meretrice,allorche li
gloriava di superarlo nel saper sedurre più facilmente essa i suoi scolari,di
quello avess' cgli potuto fare colla sua dottrina in rimuovere dal suo amore i
suoi drudi, con risponderle,che lo credeva , nè punto fi maravigliava di ciò;
perch'ella li tirava all'ingiù , & a seconda del precipizio con poca sua
fatica dove ch'egli dovendoli tirar fuori da questo aveva d'uopo impiegarvi
fatica maggiore; come riferisce Eliano, Sem. Oh so, che crescendo questi
vizj con gli apoi, quanci mali effetti eli pros [ocr errors][ocr
errors][merged small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] 540 Conf. 10. Dec.
feconda produrranno ! riempiranno per la meno le galee di genec facinorosa, se
pur que. fti non anderanno sulle forche; onde conosco anch'io, ch'è troppo
necessa. rio darci riparo, altrimenti di questi viziosi ne toccheranno ad
ogn'uno per servitori, o per arrifti: ma come fi potrebbe fare almeno , che non
cre. scessero di vantaggio? Mes. Se non li trova il modo, che non vadano
vagabondando per le piazze, e di cenerli lontani da quei, che fono un poco più
adulti di essi, sempre correranno tali pericoli; e perciò lag. giamente ordinò
Ligurgo, che i figliun. li fossero allevati per i villaggi, e gli Egizi non li
faceano porre alla mensa per cibarsi, se prima noa avcano corso a piè nudi due,
o cre leghe. Ed appresso i Parci, se i loro figliuoli non avevano colla frezza
colpito, e fatto cadere il pane, che posto avevano in luogo eminente, non
facevano gustar loro altro; conforme ancora facevano le donne dell'Isole
Baleari, ma colla fionda, c CO: [ocr errors][ocr errors] così li
tenevano occupati , affinchè non aveflcro campo di avanzarli ne'vizj. Ma
trovandosi tra noi impicghi con direttori discreti, sarebbero questi affai più
profitcevoli; potendoli eziandio formare scuole d'apprendere arti, dove fossero
istruiti, e nella pierà, & in quel mestiero al quale applicassero di genio
; ma per opere sì magnifiche crè cose si ricercano , le quali sono ; l'autorità
del Prencipe ; valido soccorso; & allistenza allidua di uomini pii,
ezclanti del buon costume. Sem. Ma vi è pur S. Michele a Ripas grande ove
si fa tutto queito; perchè dunque andate cercando altro? Mec. Abbiamo
certamente tal Ospizio Apostolico utiliffimo, esantißimo, ove col timor di Dio
G avvezzano, e si approfittano ancora in diverse arci, era sendo usciti di là
molti , ch'erano prima senza indirizzo, e modo da softcocarli, divenuti capaci
d'alimentare se medesimi, e le loro famiglie; ma questo folo non è sufficiente
per educare tutri i [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors]
nigliuoli poveri, che sono nella Città; nè è poffibile moltiplicarne canti
altri confimili ad effo, che foffero fufficienti; onde bisognerebbe trovare un
modo praticabile , acciocche fossero istruiti nella medesima forma, ma senza
ag. gravio di spesa equivalente alla proporzione di quella . Pub. Tutto
si potrebbe fare, ma però se non si toglieffe prima quello , che dasse loro
mal' esempio, gioverebbe a nulla. Meo. Questo è veriffimo;.perchè
entrando caluno al servizio, quantunque fosse semplice, e di buon costume ,' fe
cominciarse a comandargli il suo padione certe cose, che non li possono dire in
pubblico, effendo indecenti, como potrebbe far di ineno obbedendolo as non
divenire ancor esso diviato ? effen. do che: a bove majori discit arre minor ,
Se quantunque foffe sobrio, e vedeff: continuamente banchettare , & a vesse
tutto il commodo da disordinare anch' effo, come non diverrà gologfimo? E
par [ocr errors][ocr errors][ocr errors] last particolarmente se si
abbatteffc in chi, come dice Giovenale, Radere tubera terra Boletum
condire, codem in jure na, tantes Mergere facedulas didicit
Sco ap Et cana monstrante gula. Se si accorgerà poi, che manchi di pa.
rola, imparerà anch'esso a farlo dicen. do: se lo fa il mio Padrone, ben lo
posso far arch'io , perchè farà forse oggi di civiltà prar carlo. Voi
dunque, Semi pronio, vidolete attorto dei servirori; doleceri bensì dei
padroni, che gli ac- coltumano viziosi. Sem. Ma io
per la Dio grazia non fò di questo, e pure mi sono capitati molci
cattivi fervitori. Pub. Saranno stati prima corrotti da altri padroni se
non gli avete corrorti voi, e perciò imparare a non mutarli tanto spesso ,
potendovi abbattere ins peggiori, i quali non sarebbero più correggibili:
Barbatos licet admoveas, mille inde magiftros.Mec. Non solamente i servitori si
approfittano del mal'esempio de' padroni, ma tutti gli artisti, e mercanti
ancora, dandosi da caluno di esli a questi, invece del danaro, che avanzano,
certe mercaozie, le quali non trovano ad clitare, e le pongono a prezzi
altissimi, e da ciò essi imparano ad alterare i conti, ed in che forma !
Sem. Ma ci sono pure i periti, che li rivedono, e tarano? Mec. Si bene,
ma però elli l'informano, e fanno ben loro capire, che hanno ricevuto, a
ragione di contanti, assai di meno di quello pretendevano di aver dato loro, a
cagione dei prezzi alterati delle robe ricevute. Sem. Sicche faranno un
bel guada. gno questi , che daranno roba in vece di danaro; e ditemi, Dottore,
se ciò si pratica collo Speziale ancora ? Med. Taluno per quanto ho udito
lo fa. Sem. Consideriamo, che buone medicine daranno loro questi, che
sono così malamente pagari. Med. Med. Li poveretti troppo fi
sforzano die a servirli bene; ma certa cosa è, che vo gliono starci in
capitale almeno, c peri ciò non daraano già loro i migliori ri1 nedj.
Pub. I mercanti Moscoviti, prima che it fosse data loro la libertà di uscire
dal El Regno, avevano una bella maniera di contrattare, la quale era di
chiedere soSelamente il giusto prezzo delle loro mer canzic, e guai a
colui, che l'avesse altea si raco; posciache sarebbe caduto in pene sd
gravissime. Mec. Sicoftumerebbe tra noi ancora, 1 se correffe
puntualmente il danaro; må dovendosi tener morto questo più anni, e poi
pagarfi Iddio sà come, bisogna pur, ch'ella pensino al modo, che debbo.
no tenere per guadagnarci ; diano dunSe qne i primi ad edi buon csempio, che
fa raono imitati. Sem. E per fare, che i servitori non divengano
viziosi, olcre il non dar loro mal'esempio, che si potrebbe fare di e
vantaggio ? Mer. [ocr errors] Mm Mec. Bisogn' anche
procurare, che non abbiano occasione di addocrinarli in certe cose, che
mal'interpretate da efli, da buone che sono potrebbero divenire pesime; e vi
riferirò a tale proposito un esempio. Si abbatte un giorno un mio amico, che
seco aveva due fervi. tori, ad udire un certo discorso morale, fatto da un buon
religioso, mà molto semplice, sopra il furto, e venuto al par. ticolare, a che
fomma questo doveste giugnere per essere peccaminofo , avvedutosi egli,
ch'erano attentissimi i suoi fervitori in udirlo, chiese incontinente
licenza,con iscusa di dover fare certo ur. gentislimo negozio in quel punto;mà
come egli,ini riferì il negozio era, che non udifícro questi , che li potesse
con ficura coscienza rubare una anche minima cosa, perchè, come diceva, costoro
l'averebbero reiterato tante volte in un giorno, che in breve mi farei
impoverito . Pub. Mi persuado ancora, che non convenga dar loro il comodo
di approvecciarsi malamente, con fidarsi alla sjeca di cili, dando loro gran
maneggio; per [ocr errors][ocr errors][ocr errors] perchè la
comodità appunto fà l'uomo ladro. Mec. Vi era uno di questi, il quale
prendeva cutto all'ingrosso, e con vantaggio grande, e dipoi lorivendeva a
minuto, ed a prezzo rigoroso al suo padrone, e vi faceva giornalmente guada.
gno considerabile, scusandosi in far ciò, ch'era per sua industria
, perchè non gli aveva ordinato di far questo il suo padrone ; onde ingannavafi
costui in credere di non aver obligata, ad effo tutta la sua industria, come
difatto avea . Sem. Sarebbe dunque riuscito van taggioso per loro se
avessero studiato , ed appreso le buone dottrine. Mic. Se avessero fatto
questo non si porrebbero a servire, come disse uno di questi al suo padrone,
allorchè lo sgridava, ch'era un ignorante, cui replicó: signore se fossi dotto
non servirei , mà bensì averei chi mi servisle. Sem; Ne hò però ayuti di
quei, che sono stati alla scuola, e sapevano anco ra un poco di latino.
Ner. [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr
errors] Mm 2 Mec. Mà che serviva loro questo? Sem. A nulla ; mà
però se non mori. vano i loro Padri si sarebbero tirati aranti nello studio, e
forse sarebbono riusciti uomini dotti. Mer. Vorrei , ch'esaminaflimo ora
qual fosse meglio: chci figliuoli dei poveri s'incaminassero per la strada
delle lettere , o pure fi ponessero da principio ad apprendere le arti,
Sem. E che pretendereste forse voi impedire, che ogn’uno non s'incamini a suo
bellagio per la via , che giudica per fe più vantaggiosa ? Capece pure, che vi
sono stati molti plebci , che sono riusciti in esso come accennò Orazio
fat.6.1. Multos fape viros nullis majoribus oj tos, Ei vixise
probos , magnis du honoribus auctos. Mec. Questi non saranno stati però
miserabili, perchè dice ancora GioveHaud facilè emergunt quorum virtutibus
ebfas.Res angufta domi. e poi se taluno di questi, inà molto
di rado, è riuscito, oh quanti sono andati a inale! onde vorrei, che
vedeffimo quali di questi fieno quelli , che possono essere capaci
di compire questa carriera , ed a quali non getti conto ; perchè il
sen. tiere delle scienze, é assai lungo , ed crto, ed ha difficile
ancora il suo ingres- so; come bene lo descrive Silio Italico
dicendo. Ardua faxofo perducit semita clive , Aspera principio,
nec enim mihi fallera, mos eft, Profequitur labor ad
nitendum intrare volenti. Onde chi non potesse caminarvi fino al
fine, che farcbbe trovandosi nel mezo di esso ? non vorrà tornare indiccro per
vergogna, nè potrà ivi foftentarli., per essergli mancata la provisione
neceffaria; onde non faprà a che partito appigliarfi; dove che la via delle
arti, efiendo assai più piana, e più breve, ed ancomeno dispendiosa, li renderà
più facile, e [ocr errors] Mm 3 van. vantaggiosa a questi di
poterla cerminare. Sem. Sicchè dunque farà meglio, e più vantaggioso per
loro d'incaminarsi per il sentiero delle arti, giacchè questo si renderà più
facile a poveri di compirlo. Mec. Così credo anch'io, perchè almeno
giugneranno a guadagnarli il pa. ne più spedicamente, e con minor pericolo di
rimanere inesperti . Sem. Come pensate voi di fare questa scelta, di chi
sia capace d’incaminarsi per essa, e chi per l'altra più piano delle arti
. Mec. Se per esempio ci fossero figliuo. li di mediocre talento de
poveri artisti, o di vedove, che appena colla loro fati. ca arrivano ad
alimentarli parcamente, questi sarebbero perduti, volendoli incaminare per la
trada delle scienze, e maggiormente, se saranno i loro genitori avanzati negli
anni ; perchè morendo questi, chi li softenterà trovandoạ nella carriera a
qualcuno di quei, che sono nel principio del camino può essere,
che; torni indietro, econ ripugaanza gran3 de si ponga ad apprendere
qualche arre, quelli, che saranno però più inoltraci , vergognandosi di
farlo, come si trove. ranno i meschini, non avendo chi più li sostenri ?
talmente che per procac. ciarli il vitto saranno costretti di fare ogni viltà,
purchè salvino l'apparenza del proseguimento di tale impiego , ch' esli si
avevano figuraco di voler esercitare; laonde poftisi in doslo una toghetta,ed
un perucchino, ne quali consiste il loro capitale, tutti lindi si porranno ,
essendo ignoranti, a far da guasta mestiere: e vi pare che questi possano
apportare utile alla Republica, stroppiando cause, se prenderanno la via legale
? e quello ch'è peggio , che se per quella della medicina s'incamineranno
quanti ne animazeranno impunemente ? Olere poi il discredito, che ne
riceverebbono professioni (i nobili, per cagione di essi. Sem. Mà perchè
se ne prevalgono di questi? Mec. [ocr errors] Mm 4 Mec.
Perchè la maggior parte, chc litigano sono ignoranti; e simili a questi ancora
sono quelli, che si trovano malati; onde come potranno discerneru questi a che
segno giunga la di loro abilità? ctanto più, che quantunque penuriando di
dottrina i guasta mestieri, non si trovano già scarû di malizia, per dare ad
intendere lucciole per lanterne quando vi sia duopo, essendo questi gran;
mensognieri. Sem. Quali voi crederefte, Mecenate, che potessero
incaminarli per la via del le scienze con sicurezza maggiore? Meo. Quelli
solamenre a quali il Padre morendo in questo mentre , poresse lasciare 'ranto,
che fosse sufficience a poter terminare i loro studj, cche fossero di buono
ingegno; perchè se non saranno cali gertato averebbero quel danaro, e rimanendo
mendichi, ed ignoranti, questi ancora fi porrebbero a fare molce viltà, e
perciò l'Ecclesiast. al 27. csclama. Propter inopiam multi deliquerunt;
de'quali così ebbe anco a dire Orazio . Ma Magnum pauperies
opprobrium jubet. Quiduis , @ facere, & pari, Virtutisque viam
deferit arduam. Sem. A chi toccherebbe di farne la prova del loro
ingeg:10 , e capacità ? Mec. Niuno meglio de' loro maestri , che li
avessero cominciati ad istruire sarebbe più a proposito; mà taluni di questi alle
voltc consigliano i poveri Padri con poca carità a fare proseguire loro l'opera
mal’incominciara . Pub. Sapere, Mecenate, che non è disprezabile pensiero
questo da voi apportato, e rifletto ora anch'io, che il voler porre con tanta
facilità i poveri all'acquisto delle scienze possa essere una delle cagioni,
che ritardano più tosto la buona educazione,e mi inaraviglio che non si dia già
dato opportuno riparo a questo inconveniente, Mec. Sicte pur pratico del
mondo, e non riflettere , che non tutto arriva all' orecchie di chi vi può dare
rimedio,perchè se vi giugnessero tutte le cose, quanti buoni regolamenti si
prendereb [ocr errors][merged small] Res nale fac. 3:bero dalla
vigilanza di effo. Pub. Che imparassero i figliuoli de’ poveri, a
leggere, scrivere , e l'abaco lo stimerei necessario ; mà che questi poi si
applicassero alli studi delle scienze, non avendo nè capacità necessaria, nè
modo da foftentarli, ora che voi ave. te mostrato tanti inconvenienti lo stimo
dannoso anch'io. Sem. Come fecero Publio, quei celebri filosofi antichi,
i quali erano affatto privi de’beni di fortuna, a divenire così dotti;
efsendomi stato raccontato di Diogene, che appena avesse una botte
per difendersi dall'inclemenze dell'aria : e di Socrate, chę altre di
calcare sem, pre la terra co’piedi nudi, appena venisse ricoperto da un sordido
mantello. Pub. Affinchè meglio comprendiate la verità di quanto diffi,
dovete sapere, che considera S. Tomaso la povertà in due maniere ; ove parla :
Contra genti. Jes; cioè: aut ex coactâ neceffitate, aut ex propriâ voluntate.
Questi filosofi da voi mentovati erano poveri; perchè non [ocr
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e riputandoli dannosi non istudiavano di cumulare richezze, quantunque
das queste 'venissero adescati . Mentre , che non fece Alessandro
il grande per ri- muovere dalla sua bramata povertà Diogene ,
quantunque in darno? Quan, . to non fi adoperò Archelao per fare
divenire ricco Socrate ? mà egli per liberarsi dalla di lui generosa
importunità li fè intendere , che in Atene a vile prezzo si vendevano le
farine, e che colà le acto que nulla costavano; e perciò questa voin lontaria
povertà, non folamente non li * contristava , mà serviva loro più tosto
di ajuto per la filosofia; come riferisce 1 Stobeo, fer.93, che confeffalse,
l'isteiro Diogene . Anzi Epicuro passò più oltre, come si ricava da
Seneca nell'epift. 2 1. persuadendosi egli,che la volontaria poi
vertà , la quale si uniforma alle leggi di natura , non debba riputarsi
povertà, į inà più tosto ricchezza superiore a tutte 3 le altre, di qual
sentimento , oltre molti altri filosofi, fù ancora Democrito; men
[ocr errors][ocr errors] tre tre venendo egli interrogato, come ri.
ferisce Scobeo, qual fosse il vero modo da divenire molto ricco, rispose : con
divenire povero di desiderio. Sem. Potrebbero dunque i nostri poveri
figurandoli volontaria la loro forzata povertà, divenire Filosofi ancor
efli. Pub. Non è più quel tempo antico, nel quale i poveri si contentavano
audrirli di solo pane, ed acqua , o di sole erbc , come riferisce Eliano, che
faceffe Diogene; onde questa povertà volontaria, senza un special dono di Dio
si renderà impollibile a conseguirsi . Sem. Vorei sapere, perchè questa
povertà forzata abbia da ritardare l'acquisto delle scienze, c la volontaria
più tosto da promoverlo? Pub. Perchè la forzata contrifta fortemente
l'animo,apprendendo chi la sof. fre di essere infeliciffimo, dove che la
volontaria, riputandoli per feliçità da cui si gode, lo rende sommamente
cranquillo : Laonde chi mai coll'animo con, [ocr errors] tristato potrà
applicare a cose tanto serie, conforme sono le scienze ? le quali richiedono
attenta meditazione da cui brama d'approfittarsene. Quindi è, che Aristotile
nel primo della sua Etica ebbe con ragione a dire: Impoffibile eft indigentem
operari bona ; e più chiaramente nel secondo della politica : Impoffibile eft
inte digentem ftudio vacare ; c non potendosi i poveri di spontanea volontà
chiamare in digentes,non milita contro di esli l'autorità di Aristotile; perchè
questi hanno ciocche, fà d'vopo al loro necessario sostentamento, ed è ciò
sufficiente per effi , avendolo fatto conoscere Socrate, riferito da Stobeo al
serm. 95. allorchè diffe: Si res 'mea mibi non fufficiunt, du ego ipfis
fufficio, as fic etiam ipfa mibi; al opposto i poveri, che non hanno povero il
loro desiderio ancora , non li appagano punto di ciò, chè fi trovano , braman.
do sempre di vantaggio, sembrando loro quanto hanno per esli insufficiente, c
per tale cagione vivono perperuamente contristati. Or ditemi, Sempronio,
se [ocr errors][ocr errors] avere da dire altro intorno al morale?
Sem. Non altro certamente intorno a questo, e credo di avere udito tanto, che
se me ne approfitterò saprò scegliere la noglie approposito , ed allevare nel
buon costume anche i miei figliuoli, che nasceranno : mi rimane solamente di
sentire dal Dottore, quali vantaggi potrebbe apportare all'educazione la
Medicina, e specialmente in quei figliuoli , che ricalcitrano nello approfittarfi
de buoni documenti morali. Med. Di questo ne tratteremo nella ma
Parte . seconda parte Il fine della Prima Parte.Grice: “I like Gagliardi.
In honest Italian prose, he manages to write a treatise for the week: the first
day (or giornata) and so forth. It is an empirical ethical treatise along
Aristotelian lines of the type I classify as ‘is’ rather than ‘ought’. Recall
that the fundamental question I pose for pragmatics is why maxims ought to be
followed rather than being, as they are, mainly and ceteris paribus followed!
My answer to that is in three stages, and the first ‘answer, dull and
empirical’ is that the maxims ARE, as a matter of EMPIRICAL fact, followed.
This far Gagliardi goes – and succeeds!” – Grice: “He wrote extensively, knowing
British parents, how a father must take care of his son, or at least find him a
good tutor!” Domenico Gagliardi. Gagliardi. Keywords: “a dull (if at a certain
level adequate) answer to the fundamental question about the conversational
categoric imperative”; moralia, etica, mos, ethos – Grice on morality – morals
– educazione – “We learn not to tell lies from our parents” Hardie, Ethica
Nichomachaea, la formazione del carattere. “Empirical fact we’ve learned since childhood
and it would be difficult to diverge from the practice” – “This is a dull
empirical.” -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Gagliardi” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691219431/in/photolist-2mPYy6p-2mPqEYR-2mKRfHn-2mKCfz1-2mKM1De-mw5RV7-mw5QTh-mw5PVA-mw4r44-mw2gNX-mw2JS4-mw5LT3-mw3Tvr-mw2Mpi-mw2eZ6-mw264R-mw45RG-mw2QUp-mw2Ton-mw27EB
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