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Sunday, April 3, 2022

GRICE E FALZEA: IL SENTIMENTO CONDIVISO

  Può il diritto penale di una moderna democrazia liberale essere invocato a tutela di sentimenti? L’idea della protezione penale sembra di primo acchito stridere nell’accostamento a oggetti come i sentimenti. Eppure, il problema non è estraneo alla realtà normativa italiana: nel codice Rocco il sen- timento religioso, il pudore, la pietà dei defunti, il sentimento per gli animali sono gli esemp i più evidenti. Di fronte all’impiego legislativo di suddetta terminologia, si apre il problema della definizione dell’oggetto di tutela: il presidio è rivolto a stati psicologici individuali? Oppure l’evocazione di sentimenti va ri- ferita alla collettività, quale salvaguardia di una sensibilità che si as- sume come propria della maggioranza dei consociati? La definizione in termini di sentimento comunica, in prima istan- za, l’attenzione verso aspetti non strettamente materiali della vita de- gli individui: riconosce la possibilità di recare offesa alla persona su versanti che trascendono la mera fisicità. Un richiamo a fenomeni che interessano la sfera psichica, e che si pongono di fronte al diritto come realtà da decifrare. La prima parte dell’indagine sarà dedicata a una mappatura del- l’orizzonte conoscitivo, attraverso contributi di conoscenza esterni al mondo del diritto. Cercheremo di sviluppare un dialogo interdisciplinare esteso non soltanto alle scienze lato sensu psicologiche, ma anche alle discipline sociologiche e filosofiche, secondo un’apertura che dà rilievo ai ca- noni metodologici elaborati in seno alla branca di studi della dottrina statunitense denominata ‘Law and Emotion’. A seguito di tale sintetico ma importante excursus, entreremo nel- la dimensione normativa, analizzando sia le fattispecie penali del- l’ordinamento italiano in cui l’oggetto di tutela viene definito come ‘sentimento’, sia le peculiari sfumature di significato che emergono dai discorsi dei giuristi. Culminata tale parte della ricerca, la quale è finalizzata a delinea-  XVI Tra sentimenti ed eguale rispetto re il quadro di riferimento normativo e a fissare le coordinate meto- dologiche di fondo, cercheremo di analizzare una specifica declina- zione del problema della tutela di sentimenti: i rapporti fra sensibilità soggettive e libertà di espressione. L’approfondimento di tale questione assume oggi una peculiare ri- levanza dovuta alla crescente conflittualità che si registra nel discor- so pubblico delle società occidentali, con particolare riferimento ad argomenti ad alto tasso emotivo dove vengono in gioco ‘appartenenze significative’ dell’individuo. L’asserita impossibilità che il diritto possa muoversi all’interno di coordinate eticamente neutrali impone di riflettere attentamente sul- la dimensione politica del problema penale, all’interno di una dialet- tica i cui poli opposti sono rappresentati da posizioni di individuali- smo democratico contrapposte a concezioni di tipo comunitarista- identitario. La parzialità dei sentimenti, la loro mutevolezza, la loro essenzia- lità per la persona acutizzano il problema degli equilibri fra coerci- zione e libertà. L’obiettivo è riuscire a bilanciare esigenze di rispetto per le persone con la salvaguardia di forme e contenuti comunicativi la cui libertà è anch’essa parte essenziale del reciproco rispetto dovu- to da ciascuno a tutti. Una misurata e accorta diffidenza verso il tessuto affettivo- emozionale è la premessa per un approccio critico che metta il diritto penale in condizione di distinguere richieste di riconoscimento da tentativi di sopraffazione, per «non confondere il pensiero e l’auten- tico sentimento – che è sempre rigoroso – con la convinzione fanatica e le viscerali reazioni emotive» 1. In questo senso, un confronto con i sentimenti sarà forse utile a meditare sugli spazi per una convivenza tra le diverse libertà che chiedono ascolto nella società pluralista.  1 MAGRIS, Laicità e religione, in AA.VV., a cura di Preterossi G., Le ragioni dei laici, Roma-Bari, 2006, p. 110.  PARTE I EMOZIONI E SENTIMENTI TRA FATTO E NORMATIVITÀ   2 Tra sentimenti ed eguale rispetto   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 3 CAPITOLO I FENOMENI AFFETTIVI E DIMENSIONE GIURIDICA: COORDINATE EPISTEMOLOGICHE E METODOLOGICHE «se trascuriamo tutte le reazioni emozionali che ci legano a questo mondo [...], noi trascuriamo anche gran parte della nostra umanità, e precisamente quella parte che sta alla base del perché noi abbiamo una legislazione civile e penale, e di quale aspetto essa prenda» NUSSBAUM M.C., Nascondere l’umanità. Il disgusto, la vergogna, la legge, p. 24 SEZIONE I L’orizzonte di indagine SOMMARIO: 1. Diritto penale, sentimenti, emozioni: panoramica dei problemi. – 2. Fulcro dell’indagine: il richiamo al sentimento nella definizione dell’oggetto di tutela. – 2.1. Oltre il lessico legislativo. 1. Diritto penale, sentimenti, emozioni: panoramica dei pro- blemi «Anche se nel diritto penale domina il fenomeno oggettivo ed esterno del comportamento, si trovano in esso frequenti espliciti ri- chiami ai fenomeni soggettivi e interiori del sentimento. Purtroppo si tratta di semplici richiami, dai quali nessuno finoggi ha tentato di as- surgere a una trattazione sistematica unitaria. Il peso di queste lacu- ne non può non accusarsi in sede di teoria generale perché sono gli  4 Tra sentimenti ed eguale rispetto istituti penalistici a offrire a uno studio giuridico del sentimento gli esempi più numerosi e più importanti» 1. Con queste parole, nel 1972, il civilista e teorico del diritto Angelo Falzea richiamava l’attenzione sulla rilevanza che i fenomeni affettivi assumono nella dimensione penalistica, lamentando l’assenza di stu- di specifici che avrebbero potuto giovare a un più esaustivo inqua- dramento teorico dei fatti di sentimento nella sfera giuridica. A distanza di decenni le parole di Falzea mantengono inalterato il loro valore di impulso a riflettere su ruolo e significato del sentimen- to nel diritto penale. Ad oggi il tema non è stato ancora compiuta- mente indagato in una prospettiva di sistema, per quanto l’attenzione della dottrina penalistica italiana sia andata crescendo negli ultimi decenni. I limiti dell’approfondimento, quasi una ‘presa di distanza’ dai fat- tori affettivi, non costituiscono una peculiarità del microcosmo pena- listico ma sono da contestualizzarsi in un atteggiamento del pensiero occidentale che ha considerato sentimenti ed emozioni come un fat- tore di distorsione del pensiero cognitivo e, conseguentemente, anche come elemento distonico in rapporto all’asserita ‘razionalità’ degli isti- tuti giuridici e delle riflessioni ad essi inerenti 2. 1 FALZEA, I fatti di sentimento, in AA.VV., Studi in onore di Francesco Santoro Passarelli, vol. VI, Napoli, 1972, p. 353. 2 «Si è soliti associare al concetto di “decisione” il qualificativo “razionale”, come garanzia di esattezza dei presupposti da cui promana e di “bontà”/coerenza delle ripercussioni che intende provocare. Ragione/razionalità come promessa di succes- so, di eliminazione dell’errore, di metodo fondato su argomentazioni logiche e su- scettibili di controllo critico», così CAPUTO, Occasioni di razionalità nel diritto penale. Fiducia nell’“assolo della legge” o nel “giudice compositore”?, in Jus, 2/2015, p. 213. Il tema della razionalità giuridica e penalistica affiora in innumerevoli scritti che non appare possibile menzionare esaustivamente; per un quadro di sintesi v. LA TORRE, Sullo spirito mite delle leggi. Ragione, razionalità, ragionevolezza, Napoli, 2012; con riferimento all’ambito penalistico, v. ex plurimis, LÜDERSSEN, L’irrazionale nel diritto penale, in AA.VV., Logos dell’essere Logos della norma. Studi per una ricerca coordina- ta da Luigi Lombardi Vallauri, Bari, 1999, pp. 1151 ss. Un eloquente monito a non dare per scontata la razionalità del giuridico si deve a GRECO, Premessa, in BIANCHI D’ESPINOSA-CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ, Valori socio-culturali della giurisprudenza, Bari, 1970, p. 29: «nel mondo del diritto [...] l’attenzione è tradizio- nalmente rivolta ai contenuti strettamente giuridici delle leggi e della giurispruden- za e v’è una propensione ad attribuire significati razionali o “ideali” non soltanto al reale giuridico, ma anche a quello che tale non è. Ora in un mondo ampiamente dominato da leggi economiche e dai corrispondenti dinamismi socio-politici, la pre- tesa di considerare il fenomeno giuridico in linea generale negli stretti limiti della “scienza giuridica” propriamente detta è illusoria e illusionistica». Per un’interes- sante prospettiva sui rapporti tra razionalità dell’intervento penale ed emozioni mo-   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 5 Il modo di intendere le dinamiche del diritto, soprattutto del dirit- to penale, si è fondato implicitamente, forse anche inconsciamente, su una ‘narrazione convenzionale’ 3 che ha attribuito a sentimenti ed emozioni un ruolo negativo, quasi antagonistico rispetto alla ragione, e che ha portato in questo senso a marginalizzare il ruolo dei feno- meni affettivi, sia riguardo alla dimensione di razionalità della con- dotta del reo4, sia (soprattutto) in relazione al modo di concepire l’agire delle figure tecniche cui sono affidate le dinamiche applicative del diritto 5: soggetti, questi ultimi, idealmente assimilati, anche a li- vello di immaginario collettivo, a modelli di razionalità pura, secon- do veri e propri stereotipi che caratterizzano il modello culturale di diritto radicato nel mondo occidentale. Tale vulgata influisce tutt’og- gi sull’insegnamento per la preparazione di giudici e avvocati, ten- denzialmente, e forse talvolta ingenuamente, proiettati alla ricercadi una non ben definita ‘razionalità’, ma forse non ancora adeguata- mente messi in condizione di conoscere, studiare e gestire la com- plessità delle euristiche del pensiero e dei rapporti con l’emotività 6. rali v. MURPHY, Punishment and the Moral Emotions, Oxford, 2012. Quale testo di riferimento per un inquadramento in chiave socio-psicologica della razionalità umana, v. ELSTER, Ulisse e le Sirene. Indagini sulla razionalità e l’irrazionalità, tr. it., Bologna, 2005, pp. 85 ss. 3 Definizione di BANDES, Introduction, in AA.VV., ed. by Bandes, The Passion of Law, New York, 1999, pp. 1 ss. 4 Il tema è sviluppato principalmente in ambito criminologico; per una sintesi v. FORTI, L’immane concretezza. Metamorfosi del crimine e controllo penale, Mila- no, 2000, pp. 207 ss.; cfr. PALIERO, L’economia della pena (un work in progress), in AA.VV., a cura di Dolcini-Paliero, Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. I, Mi- lano, 2006, p. 594, il quale, in superamento di tale teorica, afferma che ormai non è «pensabile immaginare un attore della scena penalistica che sia contempora- neamente affekt-, tradition- e wert-frei». 5 È la critica di BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, in 8 Annual Re- view of Law and Social Science, 2012, p. 162. 6 HARRIS, “A(nother) Critique of Pure Reason”: Toward Civic Virtue in Legal Education, in 45 Stanford Law Review, 1993, pp. 1773 ss.; per la critica al modello di pensiero sotteso all’insegnamento del diritto nel panorama occidentale vedi pp. 1785 ss. Emblematica è la figura del giudice, il quale per definizione si dovrebbe differenziare da figure atecniche, prive di una formazione giuridica e che dunque dovrebbero essere più esposte a condizionamenti emotivi (testimoni, imputato, pubblico), ma che andrebbe più realisticamente inteso, e studiato, anche come soggetto emotivo: «Judges are human and experience emotion when hearing ca- ses», v. MARONEY, Emotional Regulation and Judicial Behaviour, in 99 California Law Review, 2011, p. 1487; si veda soprattutto pp. 1532 ss. per il discorso sulla gestione delle emozioni; EAD., Angry Judges, in 65 Vanderbilt Law Review, 2012, pp. 1258 ss.; cfr. BANDES, Introduction, cit., p. 2. Sul tema delle emozioni del giu-   6 Tra sentimenti ed eguale rispetto I tempi sembrano però essere cambiati: i saperi sul mondo7, e dunque le scienze con cui anche il mondo del diritto deve confrontar- si – utilizziamo il termine ‘scienze’ in un’accezione lata che compren- de sia le scienze c.d. ‘dure’, sia le scienze sociali e le discipline filoso- fiche – inducono oggi a un ripensamento di fondo: non solo relativa- mente alla distinzione dicotomica ragione/emozioni 8, ma più in gene- rale al ruolo che emozioni e sentimenti assumono anche in rapporto alla qualità morale delle scelte di un individuo 9. dicante si veda anche WIENER-BORNSTEIN-VOSS, Emotion and the Law: A Fra- mework for Inquiry, in 30 Law and Human Behaviour, 2006, pp. 236 ss. L’emo- tività del giudice viene analizzata anche nel panorama italiano: fra le monografie v. FORZA-MENEGON-RUMIATI, Il giudice emotivo. La decisione tra ragione ed emozio- ne, Bologna, 2017, pp. 21 ss., 71 ss.; CALLEGARI, Il giudice fra emozioni, biases ed empatia, Milano, 2017. Fra gli articoli v. CERETTI, Introduzione, in Criminalia, 2011, pp. 347 ss.; LANZA, Emozioni e libero convincimento nella decisione del giudi- ce penale, in Criminalia, 2011, pp. 373 ss.; BERTOLINO, Prove neuro-psicologiche di responsabilità penale, in AA.VV., a cura di Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del pre- cetto e della sanzione penale alla prova del processo, Napoli, 2014, pp. 116 ss. Per una critica all’attuale formazione dei giuristi, e la proposta di introdurre le scien- ze cognitive nel percorso di studi universitario v. PASCUZZI, Scienze cognitive e formazione universitaria del giurista, in Sistemi intelligenti, 1/2007, pp. 137 ss.; si sofferma sulla debolezza del modello di ‘azione razionale’ fatto proprio dal dirit- to, in una prospettiva mirata principalmente al diritto civile, CATERINA, Processi cognitivi e regole giuridiche, in Sistemi intelligenti, 3/2007, pp. 381 ss. 7 Traggo tale definizione da PULITANÒ, Difesa penale e saperi sul mondo, in AA.VV., a cura di Carlizzi-Tuzet, La giustizia penale tra conoscenza scientifica e sapere comune, Torino, in corso di pubblicazione. 8 La bibliografia sul tema è sterminata. Ci limitiamo a indicare alcune opere che, anche in virtù dell’attitudine divulgativa, hanno contribuito a favorire un dia- logo interdisciplinare. Un Autore che in tempi recenti ha impresso una svolta, an- che dal punto di vista comunicativo, per la confutazione della dicotomia ragio- ne/emozioni è il neuroscienziato portoghese Antonio Damasio, a partire del cele- bre studio intitolato L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, tr. it., Milano, 1995, al quale si sono aggiunti successivamente Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello, tr. it., Milano, 2003 e Il sé viene alla mente. La co- struzione del cervello cosciente, tr. it., Milano, 2012. Si vedano anche gli scritti di Joseph Le Doux, il quale pone lo studio delle emozioni come base per la cono- scenza della mente umana, LE DOUX, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozio- ni, tr. it., Milano, 2014. Per una prospettiva interdisciplinare, di taglio socio- filosofico, opera di riferimento è NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, tr. it., Bologna, 2004; per un quadro di sintesi di taglio prettamente divulgativo v. EVANS, Emozioni. La scienza del sentimento, tr. it., Roma-Bari, 2004, pp. 27 ss. 9 «Il problema non è mai stato, soprattutto da Hume in poi, ammettere che le emozioni possano essere motivi dell’azione umana, ma semmai ammettere che ne siano ragioni morali, che abbiano un’autorità, una forza normativa, pari a quella che il razionalismo classico attribuiva a principi della ragione incontaminati dalle   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 7 Non è possibile in questa sede addentrarci nello sconfinato dibat- tito; riteniamo però di poter sintetizzare lo stato dell’arte con un’elo- quente affermazione di Jonathan Haidt, psicologo di matrice intui- zionista, e dunque incline a riconoscere la primazia dell’intuizione emotiva nell’economia dell’agire umano: «la razionalità umana di- pende in maniera cruciale da un’emotività sofisticata: è solo perché il nostro cervello emotivo lavora così bene che i nostri ragionamenti possono funzionare» 10. Un’‘emotività sofisticata’: se la razionalità umana è il risultato di una complessa combinazione in cui anche la dimensione emotiva ha un ruolo importante, ne deriva l’esigenza di un ridimensionamento delle pretese di razionalità ‘pura’ che ci si ostina (o ci si illude) a ri- cercare nei prodotti legislativi e anche nelle condotte degli operatori del diritto (giudici, avvocati). In altri termini, appare tutt’altro che in- scalfibile la plausibilità dell’impostazione veterorazionalistica cui la tradizione giuridica occidentale 11 ha conformato i propri paradigmi e alla cui ombra sembra ancora coltivare l’autorassicurante illusione della legge e del sistema giuridico come dominio della ‘razionalità’ 12. passioni e che il sentimentalismo, d’altra parte, finiva per trattare solo nella con- tingenza del loro incidere su una ragione pratica», v. PAGNINI, Il rispetto al centro della morale, in Il Sole-24Ore, 22/04/2012; sul rapporto fra emozioni e ragioni mo- rali, un’opera che riassume lo stato dell’arte è AA.VV., ed. by Bagnoli, Morality and the Emotions, Oxford, 2011. 10 HAIDT, Felicità. Un’ipotesi, tr. it., Torino, 2008, p. 16; per un’esplicazione più dettagliata v. ID., The Emotional Dog and Its Rational Tail: A Social Intuitionist Ap- proach to Moral Judgment, in 108 Psychological Review, 2001, pp. 814 ss. Il tema è sconfinato; per una sintesi del dibattito v. MACKENZIE, Emotions, Reflection and Mo- ral Agency, in AA.VV., ed. by Langdon-Mackenzie, Emotions, Imagination and Moral Reasoning, New York-London, 2012, pp. 237 ss.; OATLEY, Psicologia ed emozioni, tr. it., Bologna, 1997, pp. 239 ss., 300 s. Una posizione che afferma l’esigenza di non trascurare l’effetto di possibile alterazione della razionalità da parte delle emozioni è quella di ELSTER, Emotions and Rationality, in AA.VV., ed. by Mansted-Frijda- Fischer, Feelings and Emotions. The Amsterdam Symposium, Cambridge, 2004, pp. 30 ss. Un’efficace sintesi, anche sul piano comunicativo, è il libro di GOLEMAN, Intel- ligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, tr. it., Milano, 2013. Da ultimo, v. MORIN, Sette lezioni sul pensiero globale, tr. it., Milano, 2016, pp. 15 s. 11 Per un interessante quadro di sintesi sull’atteggiamento del pensiero giuridi- co occidentale teso a prendere le distanze dalla dimensione emotiva (senza peral- tro riuscirci), v. MUSUMECI, Emozioni, crimine e giustizia. Un’indagine storico- giuridica tra Otto e Novecento, Milano, 2015, pp. 15 ss. 12 «The mainstream notion of the rule of law greatly overstates both the de- marcation between reason and emotion, and the possibility of keeping reasoning processes free of emotional variables [...] It is also likely that emotion, by its very nature, threatens much of what law hopes to be. To the extent legal systems   8 Tra sentimenti ed eguale rispetto È emblematico l’assunto con cui la giurista statunitense Susan Ban- des apre un importante studio collettaneo intitolato ‘The Passions of Law’: «[l]e emozioni pervadono il diritto»13. Possiamo dire che ne im- pregnano sia la fase genetica sia la dimensione applicativa; la domanda cruciale non è se emozioni e sentimenti diano luogo a forme di intera- zione con la realtà giuridica, bensì in quali termini essi interagiscano e come possano essere ‘gestiti’ a livello teoretico e in ambito applicativo. L’osservazione della Bandes vale in misura ancora maggiore per il diritto penale, il quale intrattiene con le emozioni un rapporto di problematica contiguità, poiché coinvolge, e spesso travolge, beni che rivestono un ruolo importante nella scala dei bisogni e delle prefe- renze soggettive: per proteggere interessi rilevanti per la sopravviven- za e lo sviluppo della persona umana è chiamato a incidere su inte- ressi altrettanto essenziali (le libertà) 14. thrive on categorical rules, emotion in all its messy individuality makes such cat- egories harder to maintain [...] The notion of the rule of law is based, at least in part, on the belief that laws can be applied mechanically, inexorably, without human fallibility», v. BANDES, Introduction, cit., p. 7. Nella cospicua letteratura statunitense si vedano, ex plurimis, BRENNAN, Reason, passion, and “the progress of the law”, in 10 Cardozo Law Review, 1988-1989, pp. 3 ss.; DEIGH, Emotions, Values and the Law, Oxford, 2008, pp. 136 ss.; KARSTED, Emotion and Criminal Justice, in 6 Theoretical Criminology, 2002, pp. 299 ss.; MARONEY, The Persistent Cultural Script of Judicial Dispassion, in 99 California Law Review, 2011, pp. 630 ss. 13 BANDES, Introduction, cit., p. 1. Per una panoramica di taglio generale si ve- dano anche i contributi pubblicati in AA.VV., coord. Palma-Silva Dias-de Sousa Mendes, Emoções e Crime. Filosofia, Ciência, Arte e Direito Penal, Coimbra, 2013. 14 Il problema della razionalità del punire si identifica con anche l’esigenza di un equilibrato rapporto con la dimensione affettiva: nella sua versione più primi- tiva e brutale, la pena si manifesta come reazione istintiva a un torto: «Definendo la pena primitiva come ragione cieca, determinata ed adeguata soltanto agli istin- ti ed agli impulsi – in una parola, come azione istintiva – volevo innanzitutto ed in primo luogo porre con ciò in rilievo, nella maniera più efficace possibile, una caratteristica negativa della pena primitiva»: v. VON LISZT, La teoria dello scopo nel diritto penale, tr. it., Milano, 1962, p. 15. Cfr. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, IX ed., Roma-Bari, 2008, p. 327. Il diritto penale costituisce il ramo dell’ordinamento in cui è maggiore è il rischio di assecondare istanze vendicative o bramosie punitive slegate da una razionalità strumentale e guidate da una ‘cieca’ emotività, esso vive in una continua dialettica con l’irrazionale: cfr., ex plurimis, DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti. Note su morale e sicurezza come beni giuridici, a margine della categoria dell’“offense” di Joel Feinberg, in Riv. it. dir. proc. pen., 4/2008, pp. 1576 ss.; v. anche ID., Metodo democratico e metodo scientifico nel rapporto fra diritto penale e politica, in AA.VV., a cura di Stortoni-Foffani, Critica e giustificazione del diritto penale nel cambio di secolo. L’analisi critica della scuola di Francoforte, Milano, 2004, p. 85; BARTOLI R., Il diritto penale tra vendetta e riparazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/2016, pp. 101   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 9 L’azione dello strumento penale è di per sé ‘emotigena’, ossia fat- tore di stimolo a emozioni 15. Vale per la fase precettiva, ossia l’espressione di divieti che, a se- conda degli interessi coinvolti, possono suscitare negli individui atteg- giamenti emotivi di diverso tipo 16 i quali finiscono per influire sul gra- do di adesione alla norma e dunque sulle condizioni di osservanza del precetto, in una dimensione che potremmo definire come ‘risvolto emozionale’ del problema della legittimazione delle norme penali 17. E vale, forse in modo più rilevante, per la fase applicativa, in cui si accertano le responsabilità e la sanzione ‘prende corpo’. Non è un ca- so che la dimensione emotiva nel diritto penale venga convenzional- mente collocata, e sovente circoscritta, a fasi e momenti in cui emo- zioni e sentimenti risultano più ‘visibili’18: la realtà delle aule di tri- ss.; PADOVANI, Alla ricerca di una razionalità penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2013, pp. 1087 ss. 15 «In effetti, il reato è la mistura di un fatto che suscita reazioni immediate negative e di un’imputazione dalle origini spesso motivate politicamente e dagli effetti sempre stigmatizzanti», LÜDERSSEN, L’irrazionale nel diritto penale, cit., p. 1155. Per uno studio ad ampio spettro sulle emozioni suscitate dal fatto crimina- le, con particolare riferimento al sublime, v. BINIK, Quando il crimine è sublime. La fascinazione per la violenza nella società contemporanea, Milano, 2017. 16 Sul richiamo ad atteggiamenti emotivi della collettività come parte di un più ampio problema concernente adesione a valori, consenso sociale e normazione penale, v., per tutti, PALIERO, Consenso sociale e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/1992, pp. 852 ss. 17 Nella letteratura italiana v. FORTI, Le ragioni extrapenali dell’osservanza della legge penale: esperienze e prospettive, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2013, pp. 1125 ss. Sui rapporti fra la dimensione sociale delle emozioni e le scelte di politica del di- ritto si soffermano BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, cit., p. 172. 18 Sui rapporti tra dimensione ‘visiva’ del crimine e ruolo delle emozioni v., per un’ampia panoramica, AA.VV., a cura di Forti-Bertolino, La televisione del crimi- ne, Milano, 2005; per l’analisi di un caso emblematico, v. CERETTI, Il caso di Novi Ligure nella rappresentazione mediatica, in AA.VV., a cura di Forti-Bertolino, La televisione del crimine, cit., pp. 451 ss.; sul tema v. anche PALIERO, Verità e distor- sioni nel racconto mediatico della giustizia. Uno sguardo d’insieme, in AA.VV., a cura di Forti-Mazzucato-Visconti A., Giustizia e letteratura, vol. II, Milano, 2014, pp. 671 ss.; più diffusamente, ID., La maschera e il volto (percezione sociale del crimine ed ‘effetti penali’ dei media), in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2006, pp. 523 ss.; PALAZZO, Mezzi di comunicazione e giustizia penale, in Politica del diritto, 2/2009, pp. 193 ss.; volendo, v. BACCO, Visioni ‘a occhi chiusi’: sguardi sul problema penale tra immaginazione, emozioni e senso di realtà, in The Cardozo Electronic Law Bul- letin, 2/2015, pp. 1 ss. Sull’approccio ‘visuale’ in criminologia v., per una sintesi globale e per le coordinate di fondo, v. BROWN, Visual Crimonology, in http://- criminology.oxfordre.com/view/10.1093/acrefore/9780190264079.001.0001/acrefore- 9780190264079-e-206?print=pdf, 4/2017, pp. 1 ss.   10 Tra sentimenti ed eguale rispetto bunale e la dialettica spesso tumultuosa fra i soggetti del processo 19. E infine il carcere, il dramma umano della pena, da sempre intriso di atteggiamenti emotivi che si dividono fra vendetta, odio per il tra- sgressore e compassione 20. Siamo solo alla punta affiorante di un intreccio che affonda le proprie radici in un substrato per lo più invisibile 21. È bene riflettere non solo sulle emozioni che il diritto penale su- scita, ma anche sugli atteggiamenti emotivi e di pensiero che sono alla base e che modellano la fisionomia dell’intervento punitivo22, nelle forme e nei presupposti23. L’esigenza di riconoscere e proble- 19 Sulle emozioni della vittima, v. da ultimo BANDES, Share your Grief but Not Your Anger. Victims and the Expression of Emotion in Criminal Justice, in AA.VV., ed. by Abell-Smith, The Espression of Emotion. Philosophical, Psychological an Legal Perspectives, Cambridge, 2016, pp. 263 ss. 20 Richiamiamo, nella sconfinata letteratura, alcune opere in cui viene affron- tato lo specifico tema delle matrici affettive; per una sintetica ricognizione filoso- fica, a partire da un’analisi etimologica, v. CURI, I paradossi della pena, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2013, pp. 1073 ss.; nella letteratura angloamericana, SOLOMON, Justice v. Vengeance. On Law and the Satisfaction of Emotion, in AA.VV., ed. by Bandes, The Passions of Law, cit., pp. 123 ss.; POSNER, Emotion versus Emotional- ism in Law, in AA.VV., ed. by Bandes, The Passions of Law, cit., pp. 317 ss.; MUR- PHY, Punishment and the Moral Emotions, cit., pp. 94 ss.; NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, cit., pp. 525 ss.; EAD., Rabbia e perdono. La generosità come giustizia, tr. it., Bologna, 2017, pp. 284 ss. 21 «Emotions pervades not just the criminal courts, with their heat-of-passion, and insanity defenses and their angry or compassionate jurors but the civil court- rooms, the appellate courtrooms, the legislatures. It propels judges and lawyers, as well as jurors, litigants, and the lay public. Indeed, the emotions that pervade law are often so ancient and deeply ingrained that they are largely invisible», v. BANDES, Introduction, cit., p. 2. Cfr. ABRAMS-KEREN, Who’s Afraid of Law and the Emotions?, in 94 Minnesota Law Review, 2010, pp. 2033 s. 22 Secondo l’istanza razionalistica che è alla base del diritto penale postillumi- nistico, le emozioni sembrano subire una sublimazione che ne rende più difficol- toso riconoscerne la presenza pur avvertendone gli effetti: «The institutions of criminal justice thus find themselves in a paradoxical situation. They offer a space for the most intensely felt emotions – of individuals as well as collectivities – while simultaneously providing mechanisms that are capable of ‘coolig off’ emotions, converting them into more sociable emotions, or channelling them back into reasonable and more standardised patterns of actions and thought», v. KARSTED, Handle with Care: Emotions, Crime and Justice, in AA.VV., ed. by Karsted-Loader-Strang, Emotions, Crime and Justice, Oxford and Portland, 2011, p. 2. 23 Nella dottrina penalistica italiana è stata avviata una riflessione concernente il raffronto fra la logica razionalistico-consequenzialista e una diversa prospetti- va, più marcatamente intuitiva e a base emozionale, nell’approccio a problemi di   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 11 matizzare il ruolo della dimensione emotiva si pone dunque anche in rapporto al processo di deliberazione delle politiche penali e più in generale all’esercizio delle scelte pubbliche 24. Appare opportuna una tematizzazione delle connessioni fra diritto penale e dimensione affettiva, in relazione non solo al funzionamento di istituti del diritto vigente, ma più in generale all’assetto logico e te- leologico delle categorie penalistiche, le quali sono frutto di atteg- giamenti di pensiero e di cultura intrisi di emotività. In altri termini, il ruolo delle emozioni e dei sentimenti va concepito non solo come elemento da ‘incastrare’ all’interno di geometrie concettuali tradizio- nali, ma soprattutto come fattore che contribuisce, e ha contribuito fino ad oggi, a influire sulle geometrie. Le relazioni tra emozioni, sentimenti e diritto penale non sono dunque confinabili a singoli territori della c.d. ‘dogmatica’, né posso- no circoscriversi a particolari settori della parte speciale del codice 25. Il rapporto fra dimensione affettiva e diritto penale appare in defini- tiva come un intreccio di questioni che si dispiegano da monte (fase genetica) a valle (fase applicativa) dell’ordinamento normativo. Più radicalmente, è l’idea stessa della responsabilità penale, il suo dover essere e i suoi obiettivi, a essere in buona parte co-determinati da at- teggiamenti emotivi, dalla sensibilità sociale e dal sentire dei legisla- tori: un presupposto fondamentale per ogni riflessione penalistica, e che giustamente viene oggi evidenziato come dato preliminare nella presentazione del problema penale 26. regolamentazione normativa e a casi concreti: v. DI GIOVINE O., Un diritto penale empatico? Diritto penale, bioetica, neuroetica, Torino, 2009, passim; EAD., Una let- tura evoluzionistica del diritto penale. A proposito delle emozioni, in AA.VV., a cura di Di Giovine O., Diritto penale e neuroetica, Padova, 2013, pp. 344 ss. 24 WESTEN, La mente politica, tr. it., Milano, 2008; più recentemente, sul ruolo della componente emotiva nelle scelte politiche e nell’adesione a orientamenti va- loriali, fedi, ideologie, si veda HAIDT, Menti morali. Perché le brave persone si divi- dono su politica e religione, tr. it., Milano, 2013, pp. 93 ss.; una sintesi dei proble- mi in ROSSI, Emozioni e deliberazione razionale, in Sistemi intelligenti, 1/2014, pp. 161 ss. 25 Un’analisi del ruolo del fattore emotivo nel contesto applicativo evidenzia come il richiamo a emozioni sia ben presente nelle argomentazioni giurispruden- ziali anche al di là di un definito inquadramento in particolari istituti, e rappre- senti in questo senso un ausilio argomentativo polivalente, adoperato soprattutto in relazione alla colpevolezza e ai criteri soggettivi dell’art. 133 c.p., v. AMATO, Di- ritto penale e fattore emotivo: spunti di indagine, in Riv. it. med. leg., 2/2013, pp. 661 ss.  26 FIANDACA, Prima lezione di diritto penale, Roma-Bari, 2017, pp. 9 ss.  12 Tra sentimenti ed eguale rispetto 2. Fulcro dell’indagine: il richiamo al sentimento nella defini- zione dell’oggetto di tutela La dottrina penalistica parla oggi espressamente di ‘ruolo delle emozioni e dei sentimenti nella genesi e nell’applicazione delle leggi penali’, proponendo una classificazione dei profili di interazione fra stati affettivi e diritto penale basata su cinque piani prospettici i quali possono a nostro avviso sintetizzarsi in due macrocategorie: 1) profili pertinenti la genesi del diritto, della legge penale, e il dover essere della pena (ruolo della dimensione affettiva nelle scelte di politica del dirit- to e riflessi sulla configurazione del bene oggetto di tutela penale; in- fluenza sul modo di concepire i concetti o le categorie della teoria del reato, riflessi sul modo di concepire significato e scopi della pena); 2) profili concernenti la dimensione applicativa (ruolo di emozioni e sen- timenti nel giudizio di colpevolezza; influenza della dimensione affet- tiva nella riflessione del giudicante) 27. Questioni come l’influenza della dimensione affettiva sulla teoriz- zazione dei concetti della categoria del reato, sul modo di concepirele funzioni della pena e sulla graduazione della colpevolezza costitui- scono tematiche che, secondo un gergo ‘endopenalistico’, orientano la riflessione verso temi più vicini alla ‘parte generale’; appaiono maggiormente pertinenti a problemi di ‘parte speciale’ profili riguar- danti il ruolo di sentimenti ed emozioni nella configurazione di og- getti di tutela. Una prima ricognizione può essere condotta attraverso uno sguardo al diritto penale vigente, al testo prima che al contesto 28, alla ricerca di norme in cui vengano evocati fenomeni psichici lato sensu riconducibili a sentimenti ed emozioni; ed effettivamente nel codice penale italiano tali richiami non mancano. Un’avvertenza: partire da una lettura delle norme è funzionale a fornire delle coordinate di base per l’inquadramento delle questioni 27 FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti nella genesi e nell’ap- plicazione delle leggi penali, in AA.VV. a cura di Di Giovine O., Diritto penale e neu- roetica, cit., pp. 215 ss. 28 Adoperiamo la diade testo/contesto per indicare due distinti livelli di analisi: il primo relativo alla dimensione letterale delle norme, il secondo, che non affron- teremo nella presente indagine, relativo all’emersione del lessico emotivo nelle applicazioni giurisprudenziali anche in relazione a disposizioni e istituti che non richiamano espressamente stati affettivi. Sul rapporto fra testo e contesto v. PA- LAZZO, Testo, contesto e sistema nell’interpretazione penalistica, in AA.VV., a cura di Dolcini-Paliero, Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. I, cit., pp. 525 ss.   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 13 che sono più strettamente legate al diritto vigente, evidenziando in questo modo le connessioni più immediate, ma non traduce una scel- ta metodologica tesa a ‘ontologizzare’ il lessico legislativo e a farne la chiave di lettura prioritaria. Al contrario, il lessico delle norme, con le sue approssimazioni, deve indurre a chiedersi quale sia, al di là delle formule, il ruolo dei fenomeni affettivi richiamati nelle dinami- che della penalità. Prendiamo le mosse dalla parte generale del codice penale29. Ri- chiami al lessico dei sentimenti e delle emozioni emergono in istituti relativi alla graduazione della colpevolezza: nel titolo relativo all’im- putabilità, l’art. 90 c.p. parla di stati emotivi e passionali 30; fra le cir- costanze del reato spiccano il riferimento allo ‘stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui’ e la ‘suggestione di una folla in tumulto’ (artt. 62 c.p. e 599, comma 2, c.p.). Menzioniamo le suddette norme poiché contengono richiami testuali, senza allargare il campo a ulte- riori situazioni in cui gli stati affettivi rappresentano un elemento che può concorrere a integrare, o a influire dal punto di vista naturalisti- co, sulla configurazione di importanti istituti: pensiamo al dolo e alla 29 Menzioniamo gli istituti e le fattispecie in cui vengono richiamati espressa- mente fenomeni psichici definiti come sentimenti ed emozioni, o comunque a essi riconducibili; non si tratta quindi dell’elencazione di tutti gli istituti che rimandi- no a concetti psicologici; per una sintesi in tal senso vedi di recente NISCO, La tu- tela penale dell’integrità psichica, Torino, 2012, pp. 25 ss. 30 La norma che stabilisce che gli stati emotivi e passionali non escludono l’imputabilità è una disposizione controversa e dibattuta fin dalla genesi; per una sintesi v. MUSUMECI, Emozioni, crimine, giustizia, cit., pp. 82 ss.; FORTUNA, Gli stati emotivi e passionali. Le radici storiche della questione, in AA.VV., a cura di Vinci- guerra-Dassano, Scritti in memoria di Giuliano Marini, Napoli, 2010, pp. 347 ss. La rigidità della disposizione normativa viene oggi criticata, fino a farla definire da attenta dottrina come una delle finzioni più odiose del sistema, v. DI GIOVINE O., Il dolo (eventuale) tra psicologia scientifica e psicologia del senso comune, in www.penalecontemporaneo.it, 1/2017, p. 7; BARTOLI R., Colpevolezza: tra persona- lismo e prevenzione, Torino, 2005, pp. 137 ss.; ma è tuttora ben solida nella giuri- sprudenza, v., ex plurimis, Cass. pen., sez. VI, 20/04/2011, n. 17305, con nota di VISCONTI A., in Riv. it. med. leg., 4-5/2011, pp. 1243 ss.; cfr. Cass. pen., 26/06/2013, n. 34089. L’unico spazio di rilevanza per stati emotivi e passionali viene ammesso nel caso di fenomeni già radicati in un pregresso quadro di infermità, v. EAD., loc. ult. cit., p. 1246. In relazione alle circostanze dello stato d’ira e della suggestione della folla, secondo la giurisprudenza, nel primo caso lo stato emotivo deve corri- spondere a un impulso incontenibile, v. Cass. pen., sez. I, 13/04/1982, n. 10696; Cass. pen., sez. I, 26/04/1988; Cass. pen., sez. I, 12/11/1997, n. 11124; per le spora- diche applicazioni dell’attenuante della suggestione della folla v. Cass. pen., sez. VI, 27/02/2014, n. 11915; Cass. pen., sez. I, 13/07/2012, n. 42130.   14 Tra sentimenti ed eguale rispetto colpa e, più in generale, a tutta la materia dell’imputazione soggetti- va 31. 31 È oggetto di discussione se e in che misura la componente affettiva (emo- zioni e sentimenti) sia da prendere in considerazione quale fattore costitutivo dei coefficienti psichici che il diritto penale definisce ‘dolo’ e ‘colpa’, e, più in genera- le, si discute sul grado di rispondenza fenomenica della categoria della colpevo- lezza in rapporto allo stato soggettivo della persona; in relazione a tale aspetto il concetto di colpevolezza assume un ruolo che è stato definito ‘ambiguo’: «da un lato presidio del rilievo da attribuirsi allo stato soggettivo reale dell’imputato, on- de evitare una condanna che si fondi su mere istanze di esemplarità sanzionato- ria; ma nel contempo fattore che autorizza, quando la colpevolezza non viene esclusa, l’insignificanza di quel medesimo stato soggettivo (cioè della condizione vera in cui versi il soggetto agente) rispetto al contenuto della condanna», così EUSEBI, Le forme della verità nel sistema penale e i loro effetti. Giustizia e verità co- me «approssimazione», in AA.VV. a cura di Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del pre- cetto e della sanzione penale, cit., p. 173. L’impostazione dominante in dottrina tende a escludere una rilevanza degli stati affettivi sul piano normativo: «Estranei alla natura del dolo sono affetti, emozioni, motivi di qualsivoglia natura che stan- no ‘a monte’ della decisione di agire [...] In via di principio, elementi emozionali non servono a fondare il dolo, né valgono a escluderlo», così PULITANÒ, Diritto pe- nale, VII ed., Torino, 2017, p. 282. Cauta è l’apertura di FIANDACA, Appunti sul ‘pluralismo’ dei modelli e delle categorie del diritto penale contemporaneo, in La Cor- te d’Assise, 1/2011, p. 87 il quale osserva che «[o]ccorrerebbe evitare, invero già nell’individuare l’essenza generale o nucleo centrale del dolo nella coscienza e vo- lontà del fatto, di concepire tali requisiti psicologici in termini eccessivamente razionalistici e idealisticamente depurati da corrispondenti componenti emotive». Appare difficilmente contestabile che a livello naturalistico la componente affetti- va sia un fattore costitutivo degli stati psicologici che fondano dolo e colpa; gli spazi per una eventuale considerazione del ruolo degli stati affettivi nella fisio- nomia del dolo e della colpa penale potrebbero eventualmente ampliarsi o re- stringersi a seconda che si propenda per una concezione ‘normativizzante’ dei coefficienti psichici oppure per una concezione più ‘naturalistica’, tema in rela- zione al quale il dibattito nella dottrina penalistica italiana è amplissimo: si veda- no, ex plurimis, VENEZIANI, Motivi e colpevolezza, Torino, 2000, pp. 71 ss., 165 ss.; EUSEBI, Formula di Frank e dolo eventuale in Cass., S.U., 24 aprile 2014 (Thyssen- krupp), in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2015, pp. 623 ss., e più ampiamente ID., Il dolo come volontà, Brescia, 1993; DE VERO, Dolo eventuale, colpa cosciente e costruzione “separata” dei tipi criminosi, in AA.VV., a cura di Bertolino-Eusebi-Forti, Studi in onore di Mario Romano, vol. II, Napoli, 2011, pp. 883 ss.; DONINI, Il dolo eventuale, fatto-illecito e colpevolezza, in Diritto penale contemporaneo-Rivista trimestrale, 1/2014, pp. 83 ss.; 103 ss.; FIANDACA, Sul dolo eventuale nella giurisprudenza più recente, tra approccio oggettivizzante-probatorio e messaggio generalpreventivo, in Diritto penale contemporaneo-Rivista trimestrale, 1/2012, pp. 152 ss.; DEMURO, Il dolo. II. L’accertamento, Milano, 2010, pp. 3 ss.; PULITANÒ, I confini del dolo. Una riflessione sulla moralità del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/2013, pp. 22 ss. Per una riflessione sulla consistenza psicologica del dolo eventuale alla luce delle più recenti acquisizioni della psicologia e delle neuroscienze v. BERTOLINO, Prove neuro-psicologiche di responsabilità penale, in AA.VV., a cura di Forti-   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 15 Si tratta di norme problematiche il cui specifico approfondimento non sarà oggetto della presente indagine; nondimeno va dato conto della rilevanza di tali disposizioni nell’impianto della responsabilità penale. Nella parte speciale del codice la definizione di oggetti di tutela in termini di sentimento rappresenta un’evidenza palmare: si parla di ‘sentimento religioso’, di ‘pietà dei defunti’, di ‘sentimento per gli ani- mali’, di condotte atte a ‘deprimere lo spirito pubblico’ (art. 265 c.p.), a ‘distruggere o deprimere il sentimento nazionale’ (artt. 271 – dichia- rato illegittimo dalla Corte costituzionale32 – e 272 c.p.) e a istigare all’odio fra le classi sociali (art. 415 c.p.), di atti finalizzati a incutere ‘pubblico timore’ (art. 421 c.p.), di ‘comune sentimento del pudore’ (art. 529 c.p.), di ‘perdurante e grave stato di ansia o di paura e timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto’ (art. 612 bis c.p.), di ‘passioni di una persona minore’ (art. 649 c.p.). Allargando lo sguardo al di là del codice, la legislazione comple- mentare offre ulteriori esempi: la legge n. 47 del 1948, nota come ‘Legge sulla stampa’, parla di ‘sensibilità e impressionabilità’ di fan- ciulli e adolescenti e incrimina condotte idonee a offendere il loro ‘sentimento morale’ (art. 14); sempre nell’ambito del medesimo testo normativo, è considerata penalmente rilevante la pubblicazione di stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionan- ti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche sol- tanto immaginari, ‘in modo da poter turbare il comune sentimento della morale’ (art. 15). Estremamente significative sono infine le nor- me contro la discriminazione razziale (legge n. 654 del 1975), nelle quali la tipicità della condotta è fondata sulla nota caratterizzante di ciò che comunemente è definito come un sentimento, ossia l’odio. Abbiamo constatato che «nel linguaggio legislativo penale il rife- rimento a sentimenti è ben presente» 33 e che «sentimenti e stati emo- Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione penale, cit., pp. 144 ss.; DI GIOVINE O., Il dolo (eventuale) tra psicologia scientifica e psicologia del senso co- mune, cit.; per una sintesi del ruolo delle scienze extranormative in rapporto al problema dell’imputazione soggettiva, v. da ultimo FIANDACA, Prima lezione, cit., pp. 168 ss. Nondimeno, nelle motivazioni dei giudici il richiamo alla dimensione affettiva figura quale corollario argomentativo in relazione all’elemento soggetti- vo, all’ipotesi di concessione di attenuanti generiche e più in generale in ordine alla commisurazione della pena; per un quadro di sintesi v. AMATO, Diritto penale e fattore emotivo, cit., pp. 662 s. 32 C. cost., 12/07/2001, n. 243. 33 PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale del diritto penale, Torino, 2010, p. 41.   16 Tra sentimenti ed eguale rispetto tivi non sono certo realtà sconosciute al diritto penale»34: «i “senti- menti”, [...] ancorché di natura psichico-emozionale, sono [...] delle realtà personalistiche innegabili» 35. Le disposizioni della parte speciale (sentimento religioso, pudore, pietà dei defunti, sentimento per gli animali, sentimento nazionale) rappresentano la rispondenza più univoca e immediata di ciò che si suole definire ‘tutela di sentimenti’, con una formula tanto accatti- vante quanto ambigua e problematica nei contenuti, la quale soprat- tutto nell’attuale momento storico sta riscuotendo un inedito interes- se da parte della dottrina penalistica italiana 36. Le norme codicistiche forniscono una prima cornice, un panora- ma dalla capacità esplicativa simile a quella di una visione in contro- luce: sostanzialmente definiti appaiono i contorni, il tratteggio ester- no che inquadra il teatro dei fatti oggetto di interesse normativo; più nebuloso è il nucleo interno, legato al retroterra dei fenomeni e alle loro dimensioni di significato. Un primo ordine di problemi ha a che fare col profilo fattuale, le- gato all’inquadramento e alla decifrazione di ciò che i saperi sul mondo, e in particolare le scienze empirico-sociali, definiscono ‘sen- timenti’, soprattutto in rapporto ad altri fenomeni affettivi, come ad 34 FIANDACA, Sul bene giuridico. Un consuntivo critico, Torino, 2014, p. 81. 35 PALAZZO, Laicità del diritto penale e democrazia “sostanziale”, in Quaderni co- stituzionali, 2/2010, p. 441. 36 Menzioniamo gli scritti che si sono dedicati ex professo al tema, lasciando al momento da parte la cospicua produzione letteraria in cui l’argomento viene tocca- to in modo incidentale. Oltre al già menzionato saggio di FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti, cit., pp. 215 ss., si segnala del medesimo Autore un ulte- riore approfondimento in occasione dello studio sul bene giuridico: v. FIANDACA, Sul bene giuridico, cit., pp. 81 ss. Si vedano quindi DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti, cit., pp. 1546 ss.; GIUNTA, Verso un rinnovato romantici- smo penale? I reati in materia di religione e il problema della tutela dei sentimenti, in AA.VV., a cura di Bertolino-Eusebi-Forti, Studi in onore di Mario Romano, vol. III, Napoli, 2011, pp. 1539 ss.; CAPUTO, Eventi e sentimenti nel delitto di atti persecutori, in Studi in onore di Mario Romano, vol. III, cit., pp. 1373 ss.; NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica, cit., pp. 69 ss.; PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale del diritto penale, cit., pp. 41 ss.; volendo, BACCO, Sentimenti e tutela penale: alla ricerca di una dimensione liberale, in Riv. it. dir. proc pen., 3/2010, pp. 1165 ss. Fra i costitu- zionalisti v. GUELLA-PICIOCCHI, Libera manifestazione del pensiero tra fatti di senti- mento e fatti di conoscenza, in Quaderni costituzionali, 4/2013, pp. 851 ss. Per un’ana- lisi del sentimento quale elemento che concorre a fondare ragioni e struttura di di- sposizioni normative non solo penalistiche, v. ITALIA, I sentimenti nelle leggi, Milano, 2017. Per una sintesi delle più recenti posizioni della dottrina continentale, nel con- testo di un’analisi incentrata sull’ordinamento spagnolo, v. ALONSO ALAMO, Senti- mientos y derecho penal, in Cuadernos del polìtica criminal, I, 106/2012, pp. 36 ss.   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 17 esempio le emozioni. In termini complementari si pone un problema concettuale che riguarda le regole d’uso dei termini sia nell’ambito extragiuridico e, di riflesso, nella specifica dimensione giuridico-pe- nalistica: si tratta di prendere in considerazione le tassonomie scien- tifiche in rapporto alle esigenze di normatività, alla chiarezza defini- toria e alla funzionalità comunicativa del diritto. Un secondo ordine di problemi concerne gli spazi di legittimità di norme finalizzate a una tutela penale di interessi legati alla sfera af- fettiva degli individui: tema che proietta verso percorsi differenti a seconda del significato e del senso normativo attribuibile all’evoca- zione del peculiare sentimento o dell’emozione, in un discorso che chiama in gioco pregiudiziali di tipo filosofico, morale, politico. In questo senso la problematica si presta a essere sviluppata ad un pri- mo livello su un piano generale (la tutelabilità di sentimenti come problema di principio), e, successivamente, in una prospettiva più circoscritta concernente lo specifico problema di tutela che sia dato individuare dietro il richiamo alla dimensione affettiva della persona. Come detto, prendere le mosse dalle norme positive è volto a faci- litare l’inquadramento dei problemi; una volta fotografato l’esistente, il lessico dei legislatori è destinato a divenire oggetto di analisi criti- ca, nel tentativo di superarne la cortina di artificialità. 2.1. Oltre il lessico legislativo Un primo obiettivo è dissolvere l’alone di retorica e guardare ‘in trasparenza’, oltre le formule. La tendenza a costruire norme penali attraverso richiami alla di- mensione affettiva, pur manifestatasi in momenti storici differenti 37, rivela una sostanziale continuità 38, animata da variabili che si legano a fattori sociali e culturali i quali hanno concorso a dare stimolo a una sensibilità dei legislatori39. Si tratta di scelte culturalmente 37 Più remoti sono il codice penale e la c.d. ‘legge sulla stampa’, distanti anche culturalmente dall’attuale momento storico; più prossima cronologicamente è la c.d. ‘Legge Mancino’ (incriminazione di condotte d’odio razziale), mentre è relati- vamente recente la scelta di dare riconoscimento a esigenze di tutela di animali non umani attraverso la formula ‘Delitti contro il sentimento per gli animali’. 38 Una panoramica in MUSUMECI, Emozioni crimine, giustizia, cit., pp. 30 ss. 39 «I testi legislativi, che parlano di sentimenti, sono spia di un sentire dei legi- slatori che, ieri come oggi, hanno adottato quel lessico», così PULITANÒ, Introdu- zione alla parte speciale, cit., p. 41.   18 Tra sentimenti ed eguale rispetto orientate, nel contesto di una complessità di fondo 40 che è confluita in determinazioni di politica del diritto le quali, secondo un processo ricorsivo 41, si caratterizzano a loro volta per un elevato grado di pre- gnanza culturale e una forte valenza simbolica, nel senso che le nor- me giuridiche a loro volta contribuiscono a modellare atteggiamenti di pensiero ed emotivi. Seguendo le traiettorie del pensiero di Edgar Morin troviamo un efficace quadro riassuntivo della complessità di ciò che chiamiamo ‘cultura’: «La cultura, peculiarità della società umana, è organizzata/organiz- zatrice attraverso il veicolo cognitivo costituito dal linguaggio, a parti- re dal capitale cognitivo collettivo delle conoscenze acquisite, dei sa- per-fare appresi, delle esperienze vissute, della memoria storica, delle credenze mitiche di una società. Così si manifestano “rappresentazio- ni collettive”, “coscienza collettiva”, “immaginario collettivo”. E la cul- tura, sfruttando il suo capitale cognitivo, instaura le regole/norme che organizzano la società e governano i comportamenti individuali. Le regole/norme culturali generano processi sociali e rigenerano global- mente la complessità sociale acquisita dalla stessa cultura» 42. In che termini il giurista penale deve rapportarsi a tale complessità? «[S]olo se lo si considera da una prospettiva esterna, il diritto penale è un coacervo di norme: se si guarda con più attenzione, però, esso si ri- vela come una parte della cultura in cui viviamo», ricorda Winfried 40 Nel senso in cui il concetto è stato sviluppato da Edgar Morin: «Complexus significa ciò che è tessuto insieme; in effetti, si ha complessità quando sono inse- parabili i differenti elementi che costituiscono un tutto (come l’economico, il poli- tico, il sociologico, lo psicologico, l’affettivo, il mitologico) e quando vi è tessuto interdipendente, interattivo e inter-retroattivo tra l’oggetto di conoscenza e il suo contesto, le parti e il tutto, il tutto e le parti, le parti tra di loro. La complessità è, perciò, legame tra l’unità e la molteplicità. Gli sviluppi propri della nostra era planetaria ci mettono a confronto sempre più ineluttabilmente con le sfide della complessità», v. MORIN, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, tr. it., Mi- lano, 1999, p. 38; sempre Morin afferma che «Il problema della complessità è quello che pongono i fenomeni non riducibili agli schemi semplici dell’osser- vatore», v. ID., Scienza con coscienza, tr. it., Milano, 1987, p. 171; cfr. più diffusa- mente, ID., Introduzione al pensiero complesso, tr. it., Milano, 1993, pp. 56 ss. 41 «I prodotti e gli effetti generati da un processo ricorsivo sono contempora- neamente co-generatori e co-causanti di tale processo», MORIN, Le idee: habitat, vita, organizzazione usi e costumi, tr. it., Milano, 1993, p. 88.  42 MORIN, Le idee: habitat, vita, organizzazione usi e costumi, cit., p. 19.  Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 19 Hassemer43. L’osservazione dello studioso tedesco è un invito a riflet- tere sul diritto penale munendosi di ‘lenti’ che sappiano mettere a fuo- co non solo norme ma anche la cultura che fa loro da sfondo: gli uni- versi fattuali, valoriali, simbolici ed emotivi che la formano. Il giurista penale dovrebbe volgere il proprio sguardo verso i fe- nomeni al fine di costruire esplorazioni ‘a partire dal capitale cogni- tivo collettivo delle conoscenze acquisite’: delle conoscenze che han- no contribuito a dare un’impronta alla cultura, e dunque anche alla sensibilità dei legislatori; e del panorama di conoscenze del tempo presente, con l’annesso potenziale epistemico. Un approccio critico al lessico del diritto significa in questo senso presa di distanza da ‘ontologismi giuspositivistici’ o da ‘riduzionismi pangiuridici’ della realtà, e traduce l’esigenza di tenere ben presente la distanza tra il diritto, inteso come ideale regolativo, e i fatti della vita 44. L’‘inemendabilità’ di cui parla il filosofo Maurizio Ferraris, «il fatto che ciò che ci sta di fronte non può essere corretto o trasforma- to attraverso il mero ricorso a schemi concettuali»45, suona per il giurista come un monito aprendere sul serio la distinzione tra di- mensione ‘costruttivistica’ degli schemi del diritto e il piano ontologi- co dei fenomeni 46. 43 HASSEMER, Perché punire è necessario, tr. it., Bologna, 2012, p. 12. 44 «Non è vero e completo giurista colui che, pure conoscendo con scientifica precisione il diritto positivo di un determinato paese, non si rende conto della in- colmabile distanza tra il diritto e la vita, ossia della assoluta impossibilità di sod- disfare totalmente l’esigenza, presente in tutte le società, di razionalizzare le azioni degli uomini dando a esse un ordine stabile mediante regole». v. CESARINI SFORZA, Filosofia del diritto, Milano, 1958, p. 1. 45 FERRARIS, Manifesto del nuovo realismo, Roma-Bari, 2012, p. 48; si veda an- che la riflessione di un filosofo del diritto di matrice analitica SCARPELLI, Filosofia analitica, norme e valori, Milano, 1962, p. 52: «[l]e norme e le asserzioni svolgono nell’esperienza dell’uomo una differente funzione, ma le une e le altre possono svolgere la loro funzione solo se si riferiscono a stati ed eventi dentro l’esperienza e distinguibili dagli altri stati ed eventi dentro l’esperienza». 46 Non intendiamo prendere posizione sui rapporti tra ontologia ed epistemo- logia, addentrandoci nel ginepraio di problemi legati alla dialettica fra concezioni ‘realiste’ e ‘postmoderne’. Nella letteratura italiana, oltre al citato ‘manifesto’ di Maurizio Ferraris, si veda ID., Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce, Roma-Bari, 2009, pp. 62 ss.; per una cristallina sintesi del dibattito sul realismo vedi D’AGOSTINI, Realismo? Una questione non controversa, Torino, 2013, pp. 12 ss., 59 ss. In termini generali, segnaliamo come tale produzione letteraria sia da inquadrarsi quale risposta al trend postmoderno che nella seconda metà del No- vecento ha sottoposto i concetti di ‘verità’ e di ‘realtà’ a tentativi di destruttura- zione da parte di correnti filosofiche che possiamo approssimativamente definire   20 Tra sentimenti ed eguale rispetto Nella dottrina penalistica italiana si parla di ‘vincoli di realtà’ 47, e si potrebbero definire tali istanze anche attraverso il richiamo a con- cetti meno abituali ma oggi non più alieni al discorso penalistico, come quello di ‘verità’ 48. Lo specifico caso dei sentimenti come pro- blema di tutela porta a riflettere sulla «verità dei presupposti su cui si fonda il ragionamento funzionalistico all’origine dei precetti»49. Si tratta di un impegno anche sul piano metodologico: come approccio di studio che pone la conoscenza dei fenomeni a fondamento di ana- lisi volte a testare la qualità delle scelte e delle possibili risposte da parte del diritto, emancipandosi dalla prospettiva di patenti ‘ontolo- giche’ alle formule coniate dal legislatore 50. Il punto di osservazione dello studioso non dovrebbe pertanto col- locarsi in un’ottica del tutto interna al linguaggio e agli schemi con- cettuali del diritto posto, ma, come ogni punto di osservazione, ne- cessita di una collocazione anche esterna rispetto all’oggetto che si come relativistico-ermeneutiche. La bibliografia è sterminata; ci limitiamo a menzionare il testo forse più emblematico, e raffinato, del trend postmoderno, ossia RORTY, La filosofia e lo specchio della natura, tr. it., Milano, 2004. 47 «Come impresa ‘di ragione’, il diritto è vincolato al principio di realtà. Il le- gislatore deve fare i conti con la realtà che intende regolare, nella quale ha da ri- tagliare gli oggetti e cercare le condizioni di una regolazione possibile e razionale rispetto agli scopi. Nei concreti orizzonti storici, i vincoli di realtà (ontologici) si traducono in vincoli epistemologici di razionalità rispetto al sapere disponibile», v. PULITANÒ, Il diritto penale fra vincoli di realtà e sapere scientifico, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2006, pp. 798 ss. 48 Le questioni di fondo sono oggi compendiate nell’importante volume di AA.VV., a cura di Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione pena- le, cit.; si veda inoltre il denso scritto di DI GIOVINE O., A proposito di un recente dibattito su “Verità e diritto penale”, in Criminalia, 2014, pp. 539 ss., quale tentati- vo di superamento,  nella prospettiva giuridica, della radicalità insita nell’alter- nativa tra teorie corrispondentiste e pragmatiste. 49 PALAZZO, Verità come metodo di legiferazione. Fatti e valori nella formulazione del precetto penale, in AA.VV., a cura di Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione penale, cit., p. 101. 50 Umberto Vincenti afferma la necessità di «combattere ogni formalismo in- terpretativo che ha la pretesa, per malintese aspirazioni di autonomia della scien- za giuridica, di risolvere ogni questione – e gli stessi casi della pratica – ragionan- do esclusivamente all’interno del testo normativo, levigando e combinando le sua parole, per comporre un certo prodotto linguistico – una certa massima di deci- sione – da accollare all’esperienza: alla nuova esperienza da conoscere e, nei fatti, destinata a rimanere, non volendosi andare oltre le parole di un testo (o, anche, di molti testi), di necessità sconosciuta (o quasi) perché impenetrabile attraverso il solo strumento verbale», v. VINCENTI, voce Linguaggio normativo, in Enciclopedia del diritto, Annali, vol. VII, Milano, 2014, pp. 683 s.   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 21 vuole indagare: «a partire dall’insopprimibile “eccedenza” della vita rispetto a tutte le forme», e nella consapevolezza che il diritto, rispet- to ai fenomeni che ne costituiscono il campo applicativo, «costituisce ormai una “semantica influente” in cui “quello di cui si parla” è mol- to di più di “quello che si dice”» 51.  51 Le citazioni sono tratte da RESTA, Diritto vivente, Roma-Bari, 2008, p. X. Si veda anche RODOTÀ, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 2007, p. 17, p. 31, il quale sembra farsi sostenitore di istanze simili quando afferma che il ri- chiamo alla ‘verità’ dei presupposti implica che è in gioco qualcosa di più profon- do della precisione linguistica e dell’efficacia descrittiva di una norma: osserva Rodotà che «In realtà il diritto è più che una regola. Prima di tutto è un linguag- gio. Si può davvero dire tutto con le parole del diritto o è proprio la grammatica dei diritti a dimostrarsi povera di fronte alla complessità sociale e alla sua ric- chezza? [...] Il radicarsi del diritto nella realtà segue itinerari complessi, e meno lineari, di quello che misura l’effettività della norma unicamente da una sua diret- ta e immediata applicabilità in una situazione determinata. Già la sola trascrizio- ne nell’ordine giuridico di un valore o di un principio o di un fine pubblico porta con sé una variazione del contesto in cui collocare gli atti della vita, del discorso giuridico a cui fare riferimento, del sistema normativo con il quale misurarsi».   22 Tra sentimenti ed eguale rispetto SEZIONE II Percorsi concettuali e interdisciplinari SOMMARIO: 3. Spunti di riflessione attraverso le ‘Law and Emotion Theories’. – 4. Sentimenti ed emozioni: approcci di studio e questioni di linguaggio. – 4.1. Quale concezione di emozione per il giurista? – 4.2. Sull’uso del termine ‘emozione’. – 5. Sinossi. 3. Spunti di riflessione attraverso le ‘Law and Emotion Theories’ Un approccio orientato a problematizzare il profilo ontologico- fattuale dei fenomeni affettivi, e dunque a dialogare con ambiti disci- plinari diversi dalla scienza giuridica, trova un importante punto di riferimento dal punto di vista metodologico nel campo di studi di matrice statunitense denominato ‘Law and Emotion’ 52. Si tratta di un’area di discussione orientata a rimeditare i termini dell’interazione fra diritto e dimensione emotiva per ragioni che si le- gano non solo a un complessivo aggiornamento delle conoscenze ex- tragiuridiche sul tema, ma soprattutto per favorire una maggiore con- sapevolezza e un ‘uso’ più intelligente delle emozioni nel campo giuri- dico («intelligent and responsible engagement by law») 53. Secondo i teo- rici di ‘Law and Emotion’ i giuristi tendono a non prendere sufficien- temente in considerazione le acquisizioni delle scienze extragiuridiche sugli stati affettivi, rivelando un’autoreferenzialità frutto di mentalità chiusa e una riluttanza ad apprendere da altre discipline 54. 52 Per un inquadramento dei temi trattati e delle diverse impostazioni v. BANDES- BLUMENTHAL, Emotion and the Law, cit., passim; MARONEY, Law and Emotion: A Proposed Taxonomy of an Emerging Field, in 30 Law and Human Behavior, 2006, pp. 119 ss.; cfr. anche ABRAMS-KEREN, Who’s Afraid of Law and the Emotions?, cit., pp. 1997 ss. 53 ABRAMS-KEREN, Who’s Afraid of Law and the Emotions?, cit., p. 2000. 54 BANDES, Introduction, cit., p. 7.   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 23 Gli studi di ‘Law and Emotion’ mirano a mettere in luce l’influenza che la dimensione affettiva esplica sul modo di concepire ratio e struttura di istituti di diritto positivo e, più in generale, sulle ragioni addotte per legittimare l’essere e il dover essere del diritto 55, soprat- tutto del diritto penale. Si approfondisce la conoscenza dei fenomeni affettivi attraverso una base epistemica che non si limita alla dimen- sione bio-psicologica, ma che si apre alla sfera sociologico-umani- stico-letteraria, attraverso la filosofia, la letteratura, l’antropologia, la sociologia, in una prospettiva volta a dischiudere orizzonti di senso 56 e a guardare ai fenomeni affettivi attraverso un filtro interpretativo multidisciplinare 57. Ciò che sembra meglio riassumere l’istanza sottesa agli studi di ‘Law and Emotion’ è la ricerca di un dialogo finalizzato non solo a in- crementare consapevolezza e competenze dei giuristi sul tema delle emozioni, e dunque a favorire una maggiore attendibilità scientifica dei lavori dei giuristi, ma anche a promuovere un feedback virtuoso fra scienza giuridica e saperi empirico-sociali sugli stati affettivi 58. I contributi di ‘Law and Emotion’ non si identificano con una li- nea teorica univoca 59, ma si articolano in diverse correnti; una fra le 55 BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, cit., p. 162. 56 BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, cit., p. 162; MARONEY, Law and Emotion, cit., pp. 123 ss.; ABRAMS-KEREN, Who’s Afraid of Law and the Emotions?, cit., p. 2033. 57 Sotto tale profilo sembrano esservi sostanziali differenze rispetto ad altre branche di studi, affini ma distinte da ‘Law and Emotion’: in particolare ‘Law and Economics’ e ‘Law and Neuroscience’, le quali, peraltro, sembrano essere tenute in maggiore considerazione dai giuristi. Una possibile chiave di lettura di tale atteg- giamento è il fatto che ‘Law and Economics’ e ‘Law and Neuroscience’ sembrano basarsi su assunzioni che sono più vicine al modello di razionalità ‘classica’ con cui i giuristi hanno maggiore confidenza, v. ABRAMS-KEREN, Who’s Afraid of Law and the Emotions?, cit., p. 2018. 58 MARONEY, Law and Emotion, cit., p. 135: «We see as well a persistent divide between empiricists and theorists. The lack of dialogue across these dividing lines lessens opportunities for cross-fertilization. We therefore would do well to foster dynamic collaborations among social scientists, those trained in the life sciences, philosophers, lawyers, and legal scholars. The exercise of forging such collabora- tions would encourage creation of a common language, and resulting scholarship would be both more complex and more accessible to those across the range of implicated disciplines». 59 Quali caratteristiche deve avere uno studio per potersi inquadrare come contributo su ‘Law and emotion’? Questa la risposta di MARONEY, Law and Emo- tion, cit., p. 124: «The question as to at what point any given project is sufficiently about both “law” and “emotion” to productively be claimed for this particular en-   24 Tra sentimenti ed eguale rispetto più autorevoli studiose, la giurista Terry Maroney, individua ben sei tipologie di approccio60. Tale schematizzazione assume in primo luogo un valore descrittivo, individuando snodi concettuali che carat- terizzano le peculiarità dei singoli contributi nel contesto della pro- duzione scientifica sul tema; sotto un diverso profilo, la tassonomia degli approcci possiede anche la funzione di canone metodologico volto a evidenziare questioni fondamentali con cui il singolo studioso che intenda approfondire il tema delle interazioni fra diritto e dimen- sione affettiva si troverà a fare i conti 61. I percorsi individuati da Ter- ry Maroney fissano in questo senso delle coordinate che possono con- tribuire a suggerire al singolo studioso l’impostazione che meglio si attaglia al tipo di indagine che intende affrontare: la conoscenza dei nodi teorici fondamentali e, correlativamente, della possibilità di percorsi e di approcci alternativi, dovrebbe costituire un impegno ad acquisire consapevolezza riguardo l’impostazione adottata, anche al fine di renderne esplicita l’adesione 62. clave is worthy of greater exploration than is possible here. I offer, nonetheless, two premises, one pertaining to motivation and the other to method. First, con- temporary law and emotion scholarship is based on the beliefs that human emo- tion is amenable to being specifically and searchingly studied, that it is highly rel- evant to the theory and practice of law, and that its relevance is deserving of clos- er scrutiny than it historically has received. Second, such scholarship explicitly directs itself to both sides of the “and”; it takes on a question regarding law and brings to bear a perspective grounded in the study or theory of emotions». 60 MARONEY, Law and Emotion, cit., pp. 125 ss. Nel dettaglio, si parla di: 1) ‘emotion centered approach’, come approccio che si focalizza su una singola emo- zione e ne analizza le possibili interazioni con la dimensione giuridica; 2) ‘emo- tional phenomenon approach’, il quale muove dallo studio di processi mentali e comportamentali che non corrispondono propriamente a emozioni, ma che rap- presentano condizioni per l’elicitazione o la esternazione di stati emozionali 3) ‘emotion theory approach’, approccio porta a sviluppare riflessioni in linea con una o più teorie interpretative delle emozioni; 4) ‘legal doctrine approach’, il quale mira a far interagire il sapere su emozioni e stati affettivi con aree determinate del diritto o con particolari istituti; 5) ‘theory of law approach’, il quale studia i nessi tra emozioni e diritto a un livello puramente teoretico, facendo interagire teorie sulle emozioni con teorie generali sul diritto; 6) ‘legal actor approach’, il quale si occupa di analizzare come la dimensione emotiva influisce sull’attività dei soggetti che operano nell’ambito applicativo: giudici, avvocati, ecc. 61 MARONEY, Law and Emotion, cit., pp. 123 ss. 62 «[c]areful consideration of the analytical approaches potentially implicated in any given project will help identify blind spots or force unstated assumptions to the surface, and may further encourage scholars to justify why they make the choices they do. Thus, academic inquiry into the intersection of law and emotion should identify which emotion(s) it takes as its focus; carefully distinguish be- tween those emotions and any implicated emotion-driven mental processes or   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 25 4. Sentimenti ed emozioni: approcci di studio e questioni di linguaggio Gli studi su ‘Law and Emotion’ mettono in evidenza questioni teo- riche le quali riteniamo debbano essere prese in considerazione an- che nella presente indagine: in particolare, un importante step è rap- presentato dalla ricerca di punti di convergenza fra contributi di ma- trici scientifiche eterogenee, e dunque dall’esigenza di uno sguardo d’insieme alle acquisizioni elaborate dalle discipline che studiano gli stati affettivi. Sentimenti ed emozioni sono fenomeni relativi al sentire della persona: per comprenderne i profili di rilevanza nella dimensione del singolo e l’incidenza nelle dinamiche relazionali il giurista penale de- ve necessariamente rivolgersi a saperi esterni al diritto che potremmo definire lato sensu ‘psicologici’, ma che non si limitano alla sola psi- cologia 63. Nell’attuale momento storico le dinamiche interiori dell’in- dividuo sono poste sotto osservazione da una molteplicità di punti di vista: un’interazione fra discipline che dà luogo a complesse mappe epistemiche. Difficilmente potrà trovare appagamento la bramosia di defini- zioni che spesso anima le operazioni intellettuali dei giuristi quando si addentrano in campi di conoscenza diversi dal proprio. La lettera- tura sugli stati affettivi non è semplicemente una sovrapposizione di varianti tassonomiche e definitorie; differenti sono le discipline coin- volte, con angolazioni prospettiche e linguaggi che valorizzano profili differenti e complementari: non esiste un’unica ‘scienza dell’emozio- ne e dei sentimenti’. Come modello di approccio penalistico alle scienze extranormati- ve si è recentemente parlato di una prospettiva ‘separatista’ e di una ‘dialogante’64. La soluzione a nostro avviso preferibile è la seconda; nel presente caso, il dialogo si caratterizza per una particolare com- plessità, poiché le voci che il giurista si trova di fronte rappresentano una variegata polifonia da cui emergono prospettive di ricostruzione behaviors; explore relevant and competing theories of those emotions’ origin, purpose, or functioning; limit itself to a particular type of legal doctrine or legal determination; expose any underlying theories of law on which the analysis rests; and make clear which legal actors are implicated», v. MARONEY, Law and Emo- tion, cit., pp. 133 s. 63 Condividiamo in questo senso l’impostazione metodologica di NISCO, La tu- tela penale dell’integrità psichica, cit., p. 18.  64 FIANDACA, Prima lezione, cit., pp. 152 ss.  26 Tra sentimenti ed eguale rispetto e di classificazione alquanto diverse. Sarebbe segno di chiusura cul- turale se ci si accontentasse di identificare le rispondenze fenomeni- che del richiamo a sentimenti sulla base del senso comune, senza ap- profondire le articolate classificazioni proposte dai diversi saperi sul mondo 65; nondimeno, la non omogeneità del panorama di conoscen- ze grava il giurista di un compito severo. In primo luogo appare opportuno individuare le branche della co- noscenza che oggi tracciano le coordinate di riferimento. Al fine di delineare i presupposti di un’interazione fra scienza penale e saperi sugli stati affettivi, nella dottrina penalistica italiana è stata proposta una schematizzazione utile a mappare l’orizzonte conoscitivo. Tre le tipologie di approccio evidenziate: 1) approccio psicologico; 2) ap- proccio neurofisiologico e neuroscientifico; 3) approccio filosofico 66. La dimensione biologica e quella psicologica offrono un quadro in- centrato sulle dinamiche interne alla persona, ossia relativo a come gli stati affettivi si manifestano e a quale influenza possono avere sul- l’agire, sull’autodeterminazione individuale e dunque nella globale eco- nomia di vita di un soggetto. Prospettive come quella filosofica e so- ciologica forniscono chiavi di lettura differenti, facendo luce non solo sulla dimensione soggettivo-interiore e solipsistica dei fenomeni af- fettivi, ma proiettandoli nelle complesse dinamiche della vita di rela- zione e dunque nella sfera interpersonale. Nella prospettiva penalistica sono importanti entrambi i profili, sia quelli più legati al ruolo degli stati affettivi nella dimensione indi- viduale, sia quelli concernenti l’intersoggettività e la dimensione col- lettiva, i quali potranno assumere una maggiore o minore pertinenza a seconda dei problemi esaminati dal giurista. Rispetto ai temi oggetto della presente indagine, la parte definitoria è in larga pare debitrice di contributi di ambito psicologico; quanto al- lo sviluppo che riguarderà la specifica connessione della tutela di sen- timenti al tema del rispetto reciproco e dei limiti penali alla libertà di espressione, le traiettorie di pensiero a nostro avviso più feconde risul- tano intrecciate alla filosofia politica e a recenti sviluppi della filosofia fenomenologica. Non va infine dimenticata un’ulteriore branca del sa- pere che si focalizza su dinamiche di intersoggettività nella dimensione 65 Per una critica all’habitus culturale del penalista, talvolta poco propenso al confronto con il mondo dei fatti, e una conseguente esortazione a fare proprio uno spirito scientifico e una modalità di pensiero diversi dal mero senso comune, v. FORTI, L’immane concretezza, cit., pp. 44 ss. 66 FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti, cit., p. 219 ss.; cfr. NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica, cit., pp. 57 ss.   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 27 sociale: parliamo della sociologia delle emozioni67, un campo di studi relativamente giovane68 e alquanto promettente per le prospettive di interazione con la riflessione giuridica 69. Nel prosieguo cercheremo di compiere un excursus, necessaria- mente approssimativo, al fine di fare maggiore chiarezza sui tratti che distinguono in particolare il sentimento da un’altra manifesta- zione del sentire: l’emozione. Si tratta di un compito spinoso70. Eloquente è quanto affermato nella letteratura psicologica italiana negli anni ’60: «Nell’affrontare lo studio della vita emotiva si resta colpiti [...] dal disaccordo che vi è tra gli psicologi sull’uso e sul si- gnificato dei termini fondamentali, sulla classificazione e sui carat- teri differenziali degli stati affettivi, sul meccanismo della loro pro- duzione» 71. L’ambiguità e la vaghezza presenti nel linguaggio comune non do- vrebbero rinnovarsi nel linguaggio scientifico 72, e, soprattutto, quan- do si tratta di gestire l’interazione fra discipline differenti «le parole [non dovrebbero essere] introdotte in un sistema di linguaggio scien- tifico, serbando a tradimento il significato che loro viene dal modo in 67 Sul tema, amplius, v. AA.VV., a cura di Turnaturi, La sociologia delle emo- zioni, tr. it., Milano, 1995. 68 TURNATURI, Introduzione, in AA.VV., a cura di Turnaturi, La sociologia delle emozioni, cit., p. 7. 69 BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, cit., p. 174. 70 SCHERER, What are emotions? And how can they be measured?, in 44 Social Science Information, 2005, p. 696. 71 ZAVALLONI, La vita emotiva, in AA.VV., a cura di Ancona, Questioni di psico- logia. Principi e applicazioni per psicologi, medici, insegnanti ed educatori, Milano, 1962, p. 367. Problemi di natura terminologica sono posti in evidenza anche da ABBAGNANO, Storia filosofica delle emozioni, in GALATI, Prospettive sulle emozioni e teorie del soggetto, Milano, 2002, p. 36. 72 Oltre ai complessi rapporti tra definizioni scientifiche, l’inquadramento di profili di rilevanza giuridica di sentimenti ed emozioni richiede di non trascurare il vocabolario tramite cui gli attori sociali connotano gli stati affettivi, e dunque le sfumature del linguaggio che possono concorrere a illuminare dimensioni di sen- so dei fenomeni. In altri termini, la ricerca di una tendenziale coerenza tra cate- gorie giuridiche e concettualizzazioni scientificamente fondate dovrebbe essere veicolata anche attraverso un esame di usi linguistici che, pur caratterizzati da approssimazioni e da una logica comunicativa incline al ‘senso comune’ o alla c.d. ‘psicologia ingenua’, possono nondimeno contribuire ad additare problemi di fondo e a identificare l’area di significato dei termini. Sul ‘senso comune’ come categoria che definisce ciò che è ritenuto ovvio e condiviso all’interno di una cer- chia sociale, v., per tutti, JEDLOWSKY, “Quello che tutti sanno”. Per una discussione sul concetto di senso comune, in Rass. it. sociologia, 1994, pp. 49 ss.   28 Tra sentimenti ed eguale rispetto cui sono usate in un altro sistema, o nel linguaggio comune» 73. Tale monito, proveniente da un filosofo italiano del diritto, trova rispondenza in ambito anglo-americano proprio negli scritti legati a ‘Law and Emotion’ 74: il lessico degli stati affettivi muta a seconda dei contesti di studio, e l’opera di consultazione di saperi esterni da parte del giurista penale dovrebbe essere accompagnata da una rielabora- zione dei contenuti, poiché le ipotesi definitorie e classificatorie pro- poste in ambito extragiuridico possono non assumere una corrispon- dente rilevanza nella prospettiva della valutazione penalistica75. I concetti di emozione e di sentimento vanno conseguentemente mo- dulati sulla dimensione giuridica, tenendo ben presente la base epi- stemica alla quale si sta facendo riferimento, ma senza vincoli sul piano strettamente lessicale né concettuale. Il problema non è certo inedito, e può essere ricollegato agli inter- rogativi formulati, ormai qualche decennio fa, da autorevole dottrina, relativi a come rendere metodologicamente compatibili il punto di vista normativo e quello delle scienze empirico-sociali di fronte al- l’esigenza di definire la rilevanza giuridica di fenomeni psichici 76. 73 Uberto Scarpelli richiama l’attenzione sull’esigenza di ‘pulitura’, ed even- tualmente di ri-strutturazione, del lessico giuridico, con l’importante avvertenza di non limitarsi a importare terminologie ‘esterne’ in modo pedissequo e irrifles- sivo, senza procedere a un’adeguata concettualizzazione: v. SCARPELLI, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, ora in AA.VV., a cura di Scarpelli-Di Lucia, Il lin- guaggio del diritto, Milano, 1994, p. 89. 74 MARONEY, Law and Emotion, cit., pp. 124 ss.; BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, cit., p. 163. 75 FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti, cit., p. 226: «il giurista contemporaneo, se da un lato non può fare a meno di rivisitare i concetti di emo- zione e sentimento alla luce delle acquisizioni scientifiche e della riflessione filo- sofica più recenti, rimane per altro verso pur sempre vincolato all’esigenza di ri- pensare i concetti elaborati in altri ambiti disciplinari secondo la sua specifica ottica». Dello stesso avviso, BANDES, Introduction, cit., p. 8, secondo la quale «it is also true that law has its own set of purposes, demands and limitations. [...] The knowledge we gain about emotion is usable in a legal context only if it can be translated in light of law requities». 76 FIANDACA, I presupposti della responsabilità penale tra dogmatica e scienze so- ciali, in AA.VV., a cura di de Cataldo Neuburger, La giustizia penale e la fluidità del sapere: ragionamento sul metodo, Padova, 1988, pp. 29 ss. L’analisi di Fiandaca è in questo caso incentrata sui presupposti soggettivi della responsabilità penale, e pone in evidenza due distinti ordini di problemi: da un lato, il grado di affidabili- tà del sapere metagiuridico, che, specie con riferimento alle scienze psicologiche, offre contributi i cui esiti si prestano a letture non univoche. Dall’altro lato, evi- denzia come determinate acquisizioni in ambito psicologico siano tali da porre in dubbio la base fattuale di principi normativi come la colpevolezza, esponendone   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 29 Nello scenario contemporaneo, l’ampliamento dell’offerta epistemi- ca, ossia l’incremento delle branche della conoscenza che oggi si sof- fermano sullo studio dei fenomeni affettivi, rende ancora più com- plesso tale compito. A fronte di tali difficoltà, e nella consapevolezza che sia opportuno tenere distinte le finalità delle categorizzazioni dei saperi sul mondo dalla teleologia delle categorie penalistiche77, resta l’obiettivo di ridurre la distanza fra l’artificialità delle concettualizza- zioni giuridiche e la realtà dei fenomeni 78, sia al fine di individuare re- gole d’uso dei termini non ‘arbitrarie’, ossia fondate su connessioni fra le diverse proposte in ambito extragiuridico le quali siano adeguata- mente esplicative rispetto ai problemi in gioco; sia nella prospettiva di dare anche un impulso alla rivisitazione di categorie e di modelli con- cettuali presenti nel discorso giuridico 79 – non solo dei teorici ma an- che, soprattutto, degli applicatori – che risentono di schemi di pensiero legati al senso comune e alla cosiddetta psicologia ingenua 80. però a rischio anche il ruolo individual-garantistico; oppure, con riferimento a un possibile allineamento con quanto espresso da determinate teorie sociologiche, rimarca il rischio di una funzionalizzazione del diritto penale all’ascolto di istan- ze di mera difesa sociale. 77 Rileva tale problema, con riferimento al tema dell’imputabilità, BERTOLINO, L’imputabilità e il vizio di mente nel sistema penale, Milano, 1990, pp. 25 ss., 44 ss. Sul tema della costruzione di un modello di scienza penale integrale, non asservi- ta ai saperi empirici ma comunque attenta a limiti epistemologici, v. DONINI, La scienza penale integrale fra utopia e limiti garantistici, in AA.VV., a cura di Moccia- Cavaliere, Il modello integrato di scienza penale di fronte alle nuove questioni socia- li, Napoli, 2016, pp. 26 ss. 78 Anche aprendo la riflessione verso un’eventuale ‘rivisitazione’ di categorie che dovessero risultare mero riflesso di una psicologia cosiddetta ‘esoterica’: su tale definizione v. FIANDACA, Appunti sul ‘pluralismo’ dei modelli e delle categorie, cit., p. 83; cfr. VENEZIANI, Motivi e colpevolezza, cit., pp. 71 ss. 79 BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, cit., p. 165. 80 Si è osservato che «il diritto può venire considerato un caso particolarmente brillante di scienza “ingenua”. Esso infatti impiega massicciamente una propria concezione della psicologia ma senza dichiararne i teoremi ed i postulati», v. PE- RUSSIA, Criteri giuridici e criteri psicologici: note sullo scambio epistemologico fra psicologia e diritto, in AA.VV., a cura di de Cataldo Neuburger, La giustizia penale e la fluidità del sapere, cit., p. 89. Per un quadro generale sulla ‘psicologia inge- nua’, con cui si intende la capacità spontanea degli esseri umani «di interpretare i comportamenti di un agente attribuendogli stati mentali quali credenze, desideri, piacere, interesse», v. MEINI, Alle origini della psicologia ingenua: interpretare se stessi o interpretare gli altri?, in Sistemi intelligenti, 1/2001, p. 119; con riferimento alla dimensione giuridica, v. di recente FORZA-MENEGON-RUMIATI, Il giudice emoti- vo, cit., pp. 93 ss. Per una sintesi del ruolo della commonsense psychology nel di- ritto penale, in una prospettiva tesa a non demonizzarne il ruolo ma ad analiz-   30 Tra sentimenti ed eguale rispetto 4.1. Quale concezione di emozione per il giurista? Non si tratta dunque di effettuare un travaso lessicale che intro- duca nomenclature e classificazioni ab externo; le diverse ‘emotion theories’ si prestano a sviluppi fra loro profondamente differenti, e il giurista non può limitarsi a importazioni passive di saperi 81. zarne i risvolti positivi quale alternativa a prospettive ‘comportamentiste’ e ‘ridu- zioniste’, v. SIFFERD, In defense of the Use of Commonsense Psychology in the Cri- minal Law, in 25 Law and Philosophy, 2006, pp. 571 ss.; per un’opinione differen- te v. COMMONS-MILLER, Folk Psychology and Criminal Law: Why We Need to Repla- ce Folk Psychology with Behavioral Science, in 39 The Journal of Psychiatry and Law, 2011, pp. 493 ss. Quando si parla di psicologia folk ci si riferisce a un terri- torio che non corrisponde a un sistema armonico di concetti (peraltro si tende anche a distinguere folk psychology da commonsense psychology), ma che è un campo variegato, caratterizzato anche da incongruenze interne, nel quale i saperi scientifici costituiscono l’humus di concettualizzazioni che vanno ad assumere forme differenti in relazione ai momenti storici; è più corretto parlare al plurale di ‘folk conceptions’ piuttosto che di un’unica visione ‘folk’ dei fenomeni affettivi. La dimensione folk resta eminentemente esplicativa, ma non descrittiva: è condi- zionata da un sapere approssimativo sulla fisiologia degli stati affettivi, e accom- pagna tale gap epistemico con congetture che rivelano un approccio tendenzial- mente valutativo del fenomeno emotivo, il quale trova espressione in immagini significative che traspongono in termini metaforici i caratteri del fenomeno. In generale possiamo affermare che la vita di relazione è in larga parte regolata da deliberazioni interiori assunte sulla base di postulati di ‘folk psychology’, in parte come frutto di competenze innate, e in parte effetto di deduzioni influenzate della cultura. Si osserva che nella dimensione penalistica la ‘folk psychology’ può rap- presentare un formante in relazione a tre distinti profili: influisce sulla confor- mazione categorie generali del diritto penale; influenza le argomentazioni degli studiosi di diritto; si insinua concretamente nel sistema legale attraverso argo- mentazioni che gli operatori pratici adoperano nella loro professione (giudici, av- vocati, e, con riferimento al sistema americano, giurati), v. FINKEL-GERROD PAR- ROT, Emotions and culpability. How the Law is at Odds with Psychology, Jurors, and itself, Washington, 2006, p. 48. Sull’interazione fra senso comune e studio delle emozioni, in una prospettiva che ne rimarca le reciproche implicazioni, v. GALATI, Prospettive sulle emozioni, cit., pp. 93 ss. Si veda anche CALABI, Le varietà del sentimento, in Sistemi intelligenti, 2/1996, pp. 274 ss., la quale afferma che la psicologia del senso comune contribuisce a fornire una rappresentazione del fe- nomeno emotivo che ne comunica la complessità in modo più coerente e attendi- bile rispetto alle tendenze riduzioniste o eliminativiste. 81 Per il giurista, oltre alla necessità di riuscire a districarsi fra gli ‘overlap- ping fields’ sulle emozioni (secondo la definizione di BANDES, Introduction, cit., p. 8) si pone l’esigenza di non introdurre tali conoscenze in termini meramente strumentali alla costruzione delle proprie teorie, importandoli e magari ‘co- stringendoli’ all’interno di argomentazioni giuridiche senza renderne manifesto il margine di opinabilità e la possibilità di ricostruzioni alternative, e senza dunque osservare il dovuto rispetto per la complessità a cui si sta facendo ri-   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 31 Il richiamo a vincoli di realtà si potrebbe così articolare: un primo livello, relativo all’esplorazione del panorama di conoscenze disponi- bili, all’esame di nozioni, di tassonomie e di differenti prospettive di ricostruzione; un secondo livello, incentrato su una concezione di sentimento e di emozione che sia suscettibile di entrare in connes- sione con i fatti e con le dinamiche che interessano i problemi di re- golamentazione penale. Nel complesso, a una fase di ricognizione epi- stemica si aggiunge un processo interpretativo e al tempo stesso ‘crea- tivo’, nel senso che il giurista finisce per concepire una particolare idea di emozione e di sentimento. Una critica mossa ad alcuni fra i primi contributi sul tema di ‘Law and Emotion’ è stata quella di non aver adeguatamente problematiz- zato ed esplicitato un importante passaggio metodologico, ossia di- scutere apertamente quale sia la concezione di emozione assunta alla base delle riflessioni 82. Parallelamente a tale critica, riteniamo che si attaglino anche al giurista le osservazioni del sociologo Sergio Manghi, quando afferma che per lo studioso di scienze sociali non è possibile limitarsi a de- scrivere il modo in cui le emozioni vengono socialmente definite: allo stesso modo per il giurista non è possibile far interagire la dimensio- ne giuridica con le diverse prospettive attraverso cui emozioni e sen- timenti vengono socialmente e scientificamente definiti, senza pren- dere al contempo una posizione che traduca maggiore o minore pre- ferenza per una determinata impostazione. Va dunque inoculato an- che nella riflessività dello studioso di diritto l’interrogativo di natura epistemologica su quale sia la concezione di emozione alla base del proprio discorso: «attraverso quale idea di ‘emozione’ parlo di ‘emozioni’? Essere o me- no dotati di un’idea di ‘emozione’, o per dirla con una parola più im- pegnativa, di una teoria delle emozioni, non è questione di scelta, per nessun essere umano che ricorra alla parola ‘emozione’. A maggior ra- gione, non è una questione di scelta per uno scienziato sociale. Una teoria c’è comunque. Possiamo scegliere solo se mantenerla implicita, colludendo con il senso comune, o [...] possiamo cercare di esplicitar- mando: «Legal scholars, as well as lawyers, legislators, judges, need to guard against this temptation to pillage other fields without regard for their full com- plexity and to use the spoils selectively to make legal arguments», v. BANDES, Introduction, cit., p. 8. 82 LITTLE, Negotiating the Tangle of Law and Emotion, in 86 Cornell Law Re- view, 2001, p. 981.   32 Tra sentimenti ed eguale rispetto la: ben sapendo, beninteso, che l’esplicitazione non tocca che uno scam- polo del vasto sistema delle nostre premesse implicite. L’assunzione di un’idea da altri ambiti testuali rimane [...] comunque un gesto attivo, un atto linguistico generativo, del quale non possiamo non assumerci la responsabilità epistemologica» 83. Il problema non è solo definitorio ma implica una presa di posi- zione sul piano epistemologico, con conseguenze sul merito delle ri- flessioni84: tematizzare problemi concernenti i rapporti fra diritto e dimensione affettiva porta anche il giurista a prediligere e a identifi- carsi con una o più proposte ricostruttive. Formarsi un’idea di cosa siano l’emozione e il sentimento, e in quale accezione si intenda in- trodurre tali concetti nel discorso penalistico, rappresenta in primo luogo un’acquisizione importante dal punto di vista della qualità epi- stemica dell’indagine e delle proposte eventualmente avanzate, e co- stituisce un impegno sul piano metodologico. 4.2. Sull’uso del termine ‘emozione’ Esigenze di chiarezza e di coerenza con le fonti bibliografiche ri- chiedono una puntualizzazione sul piano lessicale, o più precisamen- te, meta-lessicale. Nella lingua italiana i termini che definiscono gli stati affettivi so- no diversi: ‘sentimento’ ed ‘emozione’ sono quelli probabilmente più noti, cui si affiancano anche vocaboli come ‘passione’, ‘sensazione’, ‘impressione’, ‘affezione’, ‘stato d’animo’. In lingua inglese il termine di uso più comune e dal significato più ampio è ‘emotion’, il quale, a seconda dei diversi contesti, sembra po- tersi tradurre in italiano sia con ‘emozione’, sia con ‘sentimento’. Più circoscritto appare l’uso del termine ‘feeling’, il quale si presta a esse- re tradotto letteralmente come ‘sentimento’, al pari dell’ancor più univoco, ma meno frequente, ‘sentiment’. Diffuso è inoltre l’uso del termine ‘passion’, il quale sembra connotare un particolare modo 83 MANGHI, Le emozioni come processi sociali. Considerazioni teorico-epistemo- logiche, in AA.VV., a cura di Cattarinussi, Emozioni e sentimenti nella vita sociale, Milano, 2000, p. 40. 84 LITTLE, Negotiating the Tangle of Law and Emotion, cit., p. 982: «The tax- onomy issue is not a battle just about what goes on the list; the issue also goes to the core of what constitutes an emotion and how emotions emerge and transform».   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 33 d’essere degli stati affettivi, ossia l’effetto condizionante nei confronti dell’agire umano 85. Se si cerca una corrispondenza in lingua inglese con la formula ‘tutela di sentimenti’ non si trova praticamente mai il vocabolo ‘fee- ling’: il discorso giuridico sugli stati affettivi è fondamentalmente in- centrato sul termine ‘emotion’. Quando si parla di ‘Law and Emotion’, tale ultimo vocabolo non si riferisce solo ai fenomeni psichici che possono ricondursi a emozioni in senso stretto, ma comprende anche gli stati che, come avremo modo di osservare, in lingua italiana corrisponderebbero a ‘sentimen- ti’. Le questioni che nel panorama di studi giuridici in lingua italiana richiamano espressamente ‘sentimenti’ trovano dunque nella dottrina nordamericana una rispondenza col termine, più generico e com- prensivo, ‘emotion’ 86. Tale ambivalenza, se da un lato appare foriera di ambiguità, da un altro lato mostra una compenetrazione fra i due fenomeni che sugge- risce, in fase di esposizione e di impostazione dei problemi, l’uso del termine ‘emozione’ quale traduzione di ‘emotion’ in tutta la sua porta- ta semantica87, e dunque in modo sostanzialmente intercambiabile col termine ‘sentimento’. 85 Una panoramica in DIXON, “Emotion”: The History of a Keyword in Crisis, in 4 Emotion Review, 2012, pp. 338 ss. Da notare l’interessante equivoco linguistico nella traduzione del titolo del celeberrimo romanzo di JANE AUSTEN, Sense and Sensibility, tradotto, come noto, in italiano come Ragione e sentimento. In realtà in inglese ‘sensibility’ indica la sensibilità come emotività; sarebbe stato preferibi- le, come segnalato da Hugh Griffith e Helen Davies, autori di un saggio sull’opera di Jane Austen citato in http://www.unteconjaneausten.com/senno-e-sensibilita- piu-che-ragione-e-sentimento/, intendere ‘sense’ come risposta ragionata o pratica a una situazione, mentre ‘sensibility’, come percezione emotiva di tale situazione. Debbo la segnalazione di tale interessante questione all’amico Alessandro Corda, che ringrazio. Sull’uso del termine ‘passione’ v. anche infra, cap. II, nota 1. 86 Un’eccezione da noi riscontrata è relativa a un saggio di FEINBERG, Senti- ment and Sentimentality in Practical Ethics, in 56 Proceedings and Addresses of the American Philosophical Association, 1982, pp. 21 ss., nel quale il termine ‘senti- ment’ è utilizzato per indicare stati affettivi non episodici, distinti dall’‘emotion’ sia per la durata, sia per la presenza di un oggetto cognitivo. In controluce a tale impostazione emerge un complementare uso del termine emotion volto a indicare stati psicologici privi un oggetto cognitivo definito, in controtendenza dunque all’opinione di autori come Kahan e Nussbaum (v. infra, cap. II, par. 2.2). 87 Osserva DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Milano, 2008, pp. 21 ss. che «nella lingua franca della filosofia contemporanea la parte del leone affettivo la fa oggi la parola “emozione”. È questo il termine che viene di pre- ferenza usato con la stessa generosità onnicomprensiva di “passioni” in Cartesio, anche se a volte l’uso italiano è stridente, come lo sono spesso, prima che l’abitu-   34 Tra sentimenti ed eguale rispetto Il problema di un uso più sorvegliato si porrà al momento di in- quadrare i profili naturalistici che caratterizzano il sentimento e l’emozione al fine di verificare, nella prospettiva giuridica, il senso di una distinzione fra una ‘tutela di sentimenti’ e una ‘tutela di emozio- ni’ (v. infra, cap. IV). 5. Sinossi Il significato e il ruolo del sentimento nel diritto penale costitui- scono un argomento poco esplorato, il quale può inquadrarsi all’in- terno di un macroambito riguardante i rapporti fra diritto penale e stati affettivi. L’insufficiente attenzione ad oggi riservata a tali temi si motiva anche come effetto di un più generale atteggiamento del pen- siero occidentale tendente a relegare la dimensione affettiva nella sfe- ra dell’indominabile e dell’irrazionale; una vulgata attualmente in fa- se remissiva alla quale sta subentrando una nuova considerazione di sentimenti ed emozioni come elementi dotati di una peculiare forza non necessariamente negativa, ma anche potenzialmente virtuosa, nelle dinamiche del pensiero e dell’agire umano. Fra i diversi problemi concernenti il ruolo degli stati affettivi nella genesi e nell’applicazione delle leggi penali, quello che ci sembra di più immediata evidenza, quantomeno se si ha riguardo al lessico dei legislatori, ha a che fare con la c.d. ‘tutela penale di sentimenti’, o, in termini meno retorici, con il ruolo del sentimento quale oggetto di tutela. Per tematizzare tale problema, e più in generale tutte le questioni concernenti i rapporti fra diritto e dimensione affettiva, si rendono necessarie delle riflessioni preliminari sul piano epistemologico e me- todologico, profili teorici su cui si è mostrata particolarmente sensi- bile la dottrina giuridica statunitense attraverso il filone di studi noto come ‘Law and Emotion’. Seguendo i percorsi tracciati dai contributi afferenti al suddetto ambito, riteniamo che la presente indagine debba prendere le mosse da un inquadramento dei fenomeni cui le norme fanno richiamo. Un impegno che non dovrebbe limitarsi a un’importazione passiva di sa- peri e definizioni, e che sollecita piuttosto il giurista a interrogarsi su quale sia la concezione di emozione e di sentimento più funzionale e dine spenga il disagio, gli anglicismi (sospettiamo infatti che il senso del termine inglese “emotions” sia più lato di quello del suo falso amico italiano [...])».   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 35 meglio esplicativa rispetto ai diversi problemi in gioco. Vedremo nel prossimo capitolo quali siano i principali criteri di differenziazione fra stati affettivi, e quali profili distintivi appaiano più funzionali al discorso sul problema del sentimento come oggetto di tutela.   36 Tra sentimenti ed eguale rispetto  CAPITOLO II SENTIMENTI ED EMOZIONI: CLASSIFICAZIONI E DISAMBIGUAZIONI «Capire tu non puoi Tu chiamale se vuoi Emozioni» BATTISTI L.-MOGOL, 1971 «Io penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio... una specie di cinghiale laureato in matematica pura» DE ANDRÈ F., intervista tratta dal documentario ‘Dentro Faber, l’anarchia’ SOMMARIO: 1. Definire gli stati affettivi: una sfida continua. – 2. Emozioni. Un quadro ricostruttivo: dalla matrice filosofica alle neuroscienze. – 2.1. Le emo- zioni come giudizi di valore: la concezione di Martha Nussbaum. – 2.2. Con- cezioni ‘meccanicistiche’ e concezioni valutative dell’emozione: profili di rile- vanza giuridica. – 2.3. La dimensione sociale delle emozioni. – 3. Sentimenti: componente di riflessività e dimensione morale. – 3.1. Il pensiero filosofico e i sentimenti morali. Un’interpretazione fenomenologica. – 4. Emozioni e sen- timenti: il senso della distinzione concettuale. – 5. Sinossi. 1. Definire gli stati affettivi: una sfida continua I termini ‘sentimento’ ed ‘emozione’ definiscono fenomeni appar- tenenti alla categoria dei cosiddetti ‘stati affettivi’, e additano in que- sto senso differenze fattuali il cui approfondimento richiede di attin- gere da saperi esterni al mondo del diritto, tenendo presente che ri- spondere alla domanda ‘che cosa sia un’emozione o un sentimento’ rappresenta ancora oggi una sfida continua 1, data la difficoltà di cri-  1 BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, cit., p. 163; cfr. SCHERER, What  38 Tra sentimenti ed eguale rispetto stallizzare nozioni univocamente condivise a livello interdisciplinare. Nella prospettiva giuridica è opportuno avere chiaro a quali fini si intenda evidenziarne le differenze2: non si tratta di perseguire una fedeltà al linguaggio dei legislatori ove adoperino una terminologia più o meno dettagliata, ma piuttosto di dotarsi di strumenti episte- mici per un’adeguata interpretazione delle situazioni descritte in eventuali norme e per una comprensione delle questioni di fondo, anche in una prospettiva de jure condendo 3. Il rinvio alle scienze psicologiche è funzionale a elaborare delle definizioni operative idonee a essere impiegate quale chiave di lettura di problemi penalistici. Ad esempio, in relazione a un interrogativo particolarmente rilevante nella presente indagine: per quale motivo si tende a parlare di tutela di ‘sentimenti’ e non di ‘emozioni’? Da un la- to vi è il riflesso condizionato dal lessico delle disposizioni, ma si tratta ovviamente di una spiegazione insufficiente ad accreditarne la coerenza. Appare invece necessario fare chiarezza sulla distinzione fattuale tra i suddetti stati affettivi e sulle conseguenti ripercussioni sul piano concettuale, al fine di chiedersi quali differenze possano di- scendere dall’orientare un’eventuale prospettiva di intervento sulle emozioni piuttosto che sui sentimenti. are emotions? And how can they be measured?, cit., p. 696. Non adoperemo il ter- mine ‘passione’, il quale è spesso utilizzato quale sinonimo di ‘emozione’ soprat- tutto in relazione agli aspetti di reattività e di passività, ma assume un significato più esteso, il quale non si limita al piano psicologico e fenomenico ma tende a includere una dimensione sociale e culturale, specie nel discorso che storicamen- te contrappone ‘passione’ e ‘ragione’. Come osserva BODEI, Geometria delle passio- ni, Milano, 2007, pp. 7 s.: «“Ragione” e “passioni” [fanno] parte di costellazioni di senso teoricamente e culturalmente condizionate [...] sono cioè termini pre-giu- dicati, che occorre abituarsi a considerare come nozioni correlate e non ovvie, che si definiscono a vicenda (per contrasto o per differenza) solo all’interno di de- terminati orizzonti concettuali e di specifici parametri valutativi»; cfr. CURI, Pas- sione, Milano, 2013, pp. 7 ss. Il termine ‘passione’ connota in definitiva una tipo- logia di stati affettivi caratterizzati dalla durata transitoria, fra cui rientrano an- che le emozioni, ma non, ad esempio, i sentimenti; per una ricostruzione in tal senso v. GOZZANO, Ipotesi sulla metafisica delle passioni, in AA.VV., a cura di Ma- gri, Filosofia ed emozioni, Milano, 1999, pp. 13 ss. Vedi anche infra, nota 71. 2 Nella dottrina penalistica si soffermano sulla distinzione fra sentimento ed emozione FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti, cit., pp. 215 ss.; NI- SCO, La tutela penale dell’integrità psichica, cit., pp. 54 ss.; volendo si veda anche BACCO, Sentimenti e tutela penale, cit., pp. 1186 ss. 3 Si veda l’indagine di NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica, cit., pp. 54 ss., il quale procede a una distinzione fra emozione e sentimento nell’ambito di una più ampia analisi volta a definire i tratti identificativi della ‘sofferenza’ come categoria esplicativa dell’offesa dei processi psichici.   Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 39 Non si possono sviluppare adeguatamente tali problemi affidan- dosi alla sola psicologia del senso comune, senza tener conto di come i saperi sugli stati affettivi configurano oggi il rapporto fra emozioni e sentimenti, e, più in generale, il ruolo della dimensione affettiva nella vita della persona. Cerchiamo pertanto di procedere a una di- sambiguazione che evidenzi i tratti distintivi fra i fenomeni definiti ‘emozione’ e ‘sentimento’. 2. Emozioni. Un quadro ricostruttivo: dalla matrice filosofica alle neuroscienze Prendiamo le mosse dalle emozioni; la definizione di altri stati af- fettivi viene formulata spesso in termini di comparazione e di differen- za con l’emozione, la quale mostra pertanto una rilevanza primaria. Ripercorreremo in estrema sintesi alcuni degli snodi fondamentali della storia delle emozioni, con particolare attenzione alle teorie del- l’età moderna e contemporanea, ossia quelle elaborate a partire da quando la psicologia ha assunto lo statuto di disciplina autonoma 4. Non va però dimenticato che l’interrogativo su cosa siano le emozioni ha interessato il pensiero umano fin dall’antichità, ed è a partire dai classici del pensiero filosofico che si aprono oggi buona parte delle trattazioni sulle emozioni 5. Osserva lo psicologo Dario Galati che lo studio delle emozioni na- sce come indagine filosofica; i fenomeni affettivi sono stati conside- rati da sempre una fondamentale chiave di lettura per lo studio della natura umana, e anche nell’attuale variegato panorama di branche della conoscenza la matrice filosofica mantiene una rilevanza pecu- liare: «[n]on si può fare psicologia delle emozioni senza avere un’opi- nione generale – e diciamo pure filosofica – su ciò che le emozioni sono, sul valore che hanno e sul ruolo che svolgono nell’esistenza quotidiana degli esseri umani» 6. 4 RIMÈ, La dimensione sociale delle emozioni, tr. it., Bologna, 2008, p. 29. 5 Un importante esempio è l’opera di GRIFFITHS, What Emotions Really Are. The Problem of Psychological Categories, Chicago, 1997; SOLOMON, The Philosophy of Emotions, in The Psychologists’ Point of View, in AA.VV., ed. by Lewis–Haviland- Jones, Handbook of Emotions, II ed., New York-London, 2004, pp. 3 ss. Per un’in- teressante prospettiva sulla ‘priorità’ delle emozioni da un punto di vista filosofico si veda VECA, Sulle emozioni, in Iride, 2000, pp. 529 ss.  6 GALATI, Prospettive sulle emozioni, cit., p. 29. Sulla stessa linea di pensiero v.  40 Tra sentimenti ed eguale rispetto In questa sede possiamo solo limitarci a rinviare alle belle pagine con cui il filosofo Nicola Abbagnano riassume la storia filosofica del- le emozioni, descrivendo la concezione platonica del Filebo («la pri- ma analisi delle emozioni che la filosofia occidentale ci ha dato») e la teorizzazione aristotelica della Retorica («una delle più interessanti analisi di cui la filosofia dispone»)7. Ai fini della presente indagine appare opportuno compiere un salto cronologico a epoche caratte- rizzate da una più definita differenziazione tra approcci di studio, e a prospettive che si estendono anche ai profili fisiologici e ‘corporali’ dei fenomeni affettivi. Arriviamo dunque all’Ottocento, cioè quando lo studio delle emo- zioni viene a focalizzarsi su un approccio empirico-sperimentale in relazione a movimenti corporei e pattern comportamentali. L’opera di Charles Darwin segna in questo senso uno spartiacque e la sua teoria evoluzionistica dell’emozione rappresenta il primo studio pro- priamente moderno 8. Ma è soprattutto un articolo di William James 9 a consolidare l’approccio empirico, con la celebre teoria secondo cui lo stato emotivo scaturisce dalla percezione dei cambiamenti biologi- ci e neurovegetativi innescati da uno stimolo emotigeno. Il carattere innovativo, ma anche l’aspetto più criticato di tale teoria, è l’inver- sione del rapporto tra elaborazione cognitiva e stimolo viscerale: l’espe- rienza emotiva come esito dalla percezione di mutamenti a livello corporeo, e non viceversa. Altrettanto importante, ma di opinione opposta, è la posizione di Walter Cannon, il quale, al contrario di James, riteneva che i centri di attivazione dei processi emotivi siano localizzati in regioni periferi- che del corpo (da cui la denominazione ‘teoria periferica’), propo- nendo un radicamento del processo di elaborazione emotiva nella re- gione talamica, in un’area che interessa principalmente le strutture dell’ipotalamo e dell’amigdala 10. Su tale ultima regione del sistema limbico si sono concentrati gli studi in epoca contemporanea; in particolare, secondo il neuroscien- FRIJDA, voce Emozioni e sentimenti, in Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, 1997, pp. 559 s. 7 Sono parole di ABBAGNANO, Storia filosofica delle emozioni, cit., pp. 42 ss. 8 DARWIN, L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, tr. it., Torino, 2012. 9 JAMES, What is an emotion, in 9 Mind, 1884, pp. 188 ss. 10 CANNON, The James-Lange Theory of Emotions: A Critical Examination and an Alternative Theory, in 39 The American Journal of Psychology, 1927, pp. 106 ss.   Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 41 ziato Joseph LeDoux, è l’amigdala ad assumere un ruolo primario nelle dinamiche dei fenomeni emozionali: non solo nella generazione delle emozioni, ma anche nella gestione della vita emozionale di un soggetto 11. Questi, in estrema sintesi, alcuni dei contributi più significativi che orientano verso una descrizione che pone in primo piano aspetti di attivazione a livello corporeo. Una prospettiva più genuinamente psicologica 12 si deve agli studi condotti da Stanley Schachter con la teoria c.d. ‘cognitivo-attivazio- nale’ 13. Lo psicologo statunitense riconduce l’emozione all’attivazione di una componente di tipo materiale-corporeo compresa fra due atti cognitivi: il primo è rappresentato dalla percezione e dalla valutazio- ne di uno stimolo elicitante; il secondo, successivo all’attivazione dell’arousal14, è costituito dalla riflessione sul legame causale fra lo stimolo esterno e l’attivazione emozionale interna, secondo un pro- cesso che viene letteralmente definito come ‘etichettamento’ (label- ling) e che corrisponde a un’elaborazione e a un’interpretazione del rapporto tra stimolo emotivo ed arousal. Si tratta di un significativo passo oltre la dimensione fisica delle emozioni, nel quale viene in considerazione l’esperienza cognitiva del soggetto: l’emozione assu- me una fisionomia complessa e multifattoriale rivelandosi come mo- mento dialettico fra mente e corpo, secondo un’interazione guidata da processi non meramente istintuali. Su tali premesse troveranno sviluppo teorie che assegnano impor- tanza centrale alle elaborazioni cognitive e alle valutazioni di cui si compone l’esperienza emotiva, meglio note come ‘teorie dell’appraisal’. Opera di riferimento è uno studio di Magda Arnold15, che definì 11 LE DOUX, Emotion circuits in the brain, in 23 Annual review of neuroscience, 2000, pp. 155 ss.; ID., Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, cit., pp. 49 ss. 12 Sulla definizione del punto di vista psicologico sulle emozioni v. FRIJDA, The Psychologists’ Point of View, in AA.VV., Handbook of Emotions, cit., p. 60. 13 SCHACHTER-SINGER, Cognitive, Social and Psychological Determinants of Emo- tional State, in 69 Psychological Review, 1962, pp. 379 ss. 14 L’arousal (significato letterale: eccitazione, risveglio) rappresenta il risvolto più propriamente fisico dell’emozione, ossia l’attivazione nervosa che viene per- cepita dal soggetto a seguito di uno stimolo emotigeno, la quale può avere diverse gradazioni di intensità e provocare differenti stati affettivi: ad esempio nell’emo- zione vi sarebbe un intenso arousal provocato da eventi edonicamente rilevanti che sollecitano una risposta comportamentale, v. voce Arousal, in Enciclopedia della scienza e della tecnica, Roma, versione online.  15 ARNOLD, Emotion and Personality, New York, 1960.  42 Tra sentimenti ed eguale rispetto l’emozione come una spinta tendente all’attrazione o all’allontana- mento da un determinato oggetto a seguito di una valutazione di es- so; tale fase, cosiddetto ‘appraisal’, è seguita da una valutazione se- condaria, detta ‘reappraisal’, la quale di fatto implica una riflessività sugli stati che il soggetto ha percepito. Nel solco tracciato delle teorie dell’appraisal si sviluppano le elabo- razioni di Nico Frijda, secondo il quale le emozioni costituiscono ri- sposte modulate sulla struttura di significato di una determinata situa- zione: ‘significato’ da intendersi come attribuzione di senso in termini di positività o negatività da parte di un individuo. Elemento centrale dell’esperienza emotiva è la soggettività: la dimensione individuale è chiave di lettura della complessità e della variabilità delle emozioni 16. Le considerazioni di Frijda, e più in generale le teorie dell’appraisal, conducono verso l’inquadramento delle emozioni come «mediatori complessi fra il mondo interno e quello esterno [che] variano secon- do alcune dimensioni continue, quali la valenza edonica (piacevolez- za o spiacevolezza), la novità (o meno) degli eventi elicitanti, il livello di attivazione, il grado di controllo dei medesimi, la compatibilità (o meno) con le norme sociali di riferimento» 17. La prospettiva intrapsichica si apre in questo modo all’inclusione di aspetti cognitivo-valutativi che sono esito del continuo processo di giudizio che il soggetto compie nel suo rapportarsi alla realtà: «l’indi- viduo è continuamente impegnato in operazioni di valutazione cogni- tiva, con le quali egli mette a confronto la sua percezione della situa- zione attuale con una sorta di visione prospettica, che gli deriva dalla conoscenza del mondo, dalle sue credenze di base, dalle norme a cui si conforma e dai diversi obiettivi temporanei e permanenti che per- segue» 18. Negli anni a noi più vicini il panorama di conoscenze e di approc- ci di studio è andato arricchendosi, anche a seguito dell’avvento delle neuroscienze cognitive, una disciplina che nasce all’inizio degli anni Ottanta del Novecento e che porta a una nuova auge la dimensione neurobiologica19, grazie a innovative tecniche che consentono di vi- 16 FRIJDA, voce Emozioni e sentimenti, cit., p. 568; più ampiamente v. ID., Emo- zioni, tr. it., Bologna, 1990. 17 ANOLLI-LEGRENZI, Psicologia generale, Bologna, 2009, p. 254. 18 RIMÈ, La dimensione sociale delle emozioni, cit., p. 44. 19 DAMASIO, Emotions and feelings: a neurobiological perspective, in AA.VV., ed. by Mansted-Frijda-Fischer, Feelings and Emotions. The Amsterdam Symposium, Cambridge, 2004, pp. 49 ss.   Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 43 sualizzare l’attività del sistema neurale delle emozioni 20. Si deve soprattutto all’opera scientifica e divulgativa del neuro- scienziato Antonio Damasio un importante tentativo di definire l’emo- zione e di studiarne le strette connessioni con il ragionamento e con l’agire che definiamo ‘razionale’. L’articolata proposta di Damasio per dare una fisionomia all’emozione è la seguente: «l’insieme dei cambiamenti dello stato corporeo che sono indotti in miriadi di organi dai terminali delle cellule nervose, sotto il controllo di un apposito sistema del cervello che risponde al contenuto dei pen- sieri relativi a una particolare entità, o evento. [...] Per concludere, l’emo- zione è frutto del combinarsi di un processo valutativo mentale, sem- plice o complesso, con le risposte disposizionali a tale processo, per lo più dirette verso il corpo, che hanno come risultato uno stato emotivo del corpo, ma anche verso il cervello stesso [...] che hanno come risul- tato altri cambiamenti mentali» 21. 20 Per un quadro generale v. DE PLATO, Il modello delle emozioni, in AA.VV., a cu- ra di De Plato, Psicologia e psicopatologia delle emozioni, Bologna, 2014, pp. 25 ss.; BELLODI-PERNA, Emozioni e neuroscienze, in AA.VV., a cura di Rossi, Psichiatria e neuroscienze, in Trattato italiano di psichiatria, Milano, 2006, pp. 35 ss. Fra gli studi sulle emozioni che si avvalgono di tecniche neuroscientifiche possiamo includere i già citati contributi di Antonio Damasio e di Le Doux (v. supra, nota 11); di quest’ul- timo ricordiamo inoltre LE DOUX, Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diven- tare quello che siamo, tr. it., Milano, 2002. L’oggetto di studio delle neuroscienze co- gnitive si estende anche al di là delle emozioni, e le acquisizioni delle neuroscienze sono sempre più frequentemente oggetto di interesse da parte dei giuristi penali: per una sintesi v. GRANDI, Neuroscienze e responsabilità penale. Nuove soluzioni per problemi antichi?, Torino, 2016; BERTOLINO, Il vizio di mente tra prospettive neuro- scientifiche e giudizi di responsabilità penale, in Rass. it. criminologia, 2/2015, pp. 84 ss.; EAD., Imputabilità: scienze, neuroscienze e diritto penale, in AA.VV., a cura di Pa- lazzani-Zannotti, Il diritto nelle neuroscienze. Non “siamo” i nostri cervelli, Torino, 2013, pp. 145 ss.; EAD., L’imputabilità penale fra cervello e mente, in Riv. it. med. leg., 2012, pp. 925 ss.; DI GIOVINE O., Chi ha paura delle neuroscienze, in Arch. pen., 3/2011, pp. 842 ss.; EAD., voce Neuroscienze (diritto penale), in Enciclopedia del dirit- to, Annali VII, 2014, pp. 711 ss. EUSEBI, Neuroscienze e diritto penale: un ruolo diver- so del riferimento alla libertà, in AA.VV., a cura di Palazzani-Zannotti, Il diritto nelle neuroscienze, cit., pp. 121 ss.; CORDA, Riflessioni sul rapporto tra neuroscienze e im- putabilità nel prisma della dimensione processuale, in Criminalia, 2013, pp. 497 ss.; ID., Neuroscienze forensi e giustizia penale tra diritto e prova (Disorientamenti giuri- sprudenziali e questioni aperte), in Arch. pen. (Rivista web), 3/2014, pp. 1 ss.; ID., La prova neuroscientifica. Possibilità e limiti di utilizzo in materia penale, in Ragion Pra- tica, 2/2016, pp. 355 ss.; FUSELLI, Le emozioni nell’esperienza giuridica: l’impatto delle neuroscienze, in AA.VV, a cura di Palazzani-Zannotti, Il diritto nelle neuroscienze, cit., pp. 53 ss.  21 DAMASIO, L’errore di Cartesio, cit., pp. 201 s.  44 Tra sentimenti ed eguale rispetto Com’è evidente anche da questa sintetica trattazione, la mole di approcci e di contributi è tale da rendere difficoltoso definire l’emo- zione: è possibile individuare dei punti di convergenza tali da poter indicare al giurista dei tratti caratterizzanti? Nella dottrina giuridica americana gli studiosi Bandes e Blumen- thal, dopo aver formulato il caveat metodologico di non avventurarsi alla ricerca di ‘definizioni universali’, propongono una sintesi di ciò che a loro avviso può ritenersi condiviso nei diversi ambiti disciplina- ri, inquadrando le emozioni come: «un insieme di processi valutativi e motivazionali, che coinvolgono completamente il cervello, i quali ci aiutano a valutare e a reagire agli stimoli, e che prendono forma, significato e vengono comunicati in un contesto sociale e culturale. Le emozioni influiscono sul modo in cui selezioniamo, classifichiamo e interpretiamo informazioni; influenza- no le nostre valutazioni sulle intenzioni e sulla credibilità degli altri; e ci aiutano a decidere cosa sia importante o abbia valore. Cosa forse più importante, ci guidano nel fare attenzione ai risultati del nostro agire e forniscono motivazioni per agire o per astenersi dall’agire nelle situazioni che valutiamo» 22. Riteniamo tale definizione una buona base per il prosieguo dell’in- dagine, in quanto l’ampiezza è tale da coinvolgere diversi profili del- l’esperienza affettiva: è presente la dimensione neurobiologica, si fa riferimento all’interazione col contesto sociale e culturale, viene evi- denziato che le emozioni contribuiscono a guidare sia il pensiero co- gnitivo sia, conseguentemente, l’azione umana. Approfondiamo alcuni dei suddetti aspetti, a partire dal chiari- mento di cosa si intenda per emozione come ‘giudizio di valore’23, analizzando di seguito due prospettive di approccio alle emozioni nel discorso giuridico, ossia la concezione meccanicistica e quella valuta- tiva. 22 BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, cit., pp. 163 s. (traduzione del- l’autore). 23 Ex plurimis, v. VECA, Dell’incertezza. Tre meditazioni filosofiche, Milano, 2006, pp. 301 ss.   Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 45 2.1. Le emozioni come giudizi di valore: la concezione di Martha Nussbaum Un’opera che a nostro avviso sintetizza emblematicamente la ri- scoperta della dimensione emozionale nella vita di relazione, e so- prattutto nella dimensione politica, è lo studio di Martha Nussbaum intitolato ‘Upheveals of Thought’24, autentico esempio di approccio interdisciplinare allo studio dei fenomeni emotivi: psicologia cogniti- va, neuroscienze, antropologia, etologia, filosofia morale vengono convogliate in un flusso epistemico nel quale non si avverte disomo- geneità ma sincretismo. Uno studio non collocabile in una corrente definita, il quale interseca differenti campi e prospettive al fine di in- terpretare il ruolo delle emozioni nelle scelte del singolo e nella di- mensione collettiva. Il titolo italiano si distacca dalla traduzione letterale (‘sommovi- menti del pensiero’25), e con enfasi retorica forse eccessiva recita ‘L’intelligenza delle emozioni’; il messaggio dell’opera è più comples- so, ma il tema di fondo può essere sostanzialmente identificato con una ricerca sull’intelligenza nelle emozioni: un dato non scontato ma da valutarsi con attenzione, intendendo con ‘intelligenza’ un giudizio sulla ‘bontà’ e sull’affidabilità dell’emozione. Secondo Martha Nussbaum l’emozione si fonda su un giudizio di valore: ha cioè un contenuto proposizionale di tipo valutativo e una componente intenzionale-cognitiva26 che la pone in relazione con un oggetto (c.d. ‘oggetto intenzionale’). Non è un evento prettamen- te fisico, ‘meccanico’ e viscerale, ma si articola in un giudizio sulla realtà esterna il quale è a sua volta modulato sulle credenze del sog- getto. Sono le credenze a influire in modo determinante sulla qualità dell’emozione, la quale non è giudicabile in sé come ‘vera’ o ‘falsa’ 27, bensì come più o meno appropriata. Credenze errate possono gene- 24 NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, cit. 25 Viene fatto notare come tale traduzione avrebbe consentito di salvare la ci- tazione di Proust, il quale definì le emozioni ‘soulèvements géologiques de la pen- sée’, v. FURST, Sommovimenti del pensiero: la teoria delle emozioni di Martha Nus- sbaum, in http://www.athenenoctua.it/sommovimenti-del-pensiero/. 26 NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, cit., p. 44. 27 Ciò che può essere valutato in termini di verità o falsità sono le credenze re- trostanti l’emozione; credenze false generano emozioni che possono essere valu- tate come più o meno appropriate, ma si tratta comunque di emozioni ‘vere’, v. NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, cit., pp. 68 ss.   46 Tra sentimenti ed eguale rispetto rare emozioni inappropriate a seconda dei contesti: le emozioni pos- sono essere dunque, a loro volta, valutate. Questo rapporto fra ‘nor- matività interna’ e ‘normatività esterna’ all’emozione risulta cruciale per l’evoluzione degli sviluppi del pensiero della studiosa americana: è infatti su tale presupposto che si fondano i successivi studi sull’affi- dabilità politica delle emozioni. A quali condizioni un determinato atteggiamento emotivo dei sin- goli e, soprattutto, della collettività – inteso come emozione social- mente diffusa – può essere assecondato dalle istituzioni e ‘riconosciu- to’ anche attraverso norme giuridiche? L’interrogativo rimanda al raffronto tra il giudizio di valore sulla base del quale l’emozione si genera, e l’orizzonte assiologico che si assuma a riferimento per gli assetti sociali e istituzionali. Martha Nussbaum ha il merito di aver messo a tema la dimensio- ne politica delle emozioni evidenziandone le profonde connessioni con l’etica pubblica, con i valori costitutivi di un ordinamento e dun- que con la genesi e le ricadute applicative di istituti giuridici, in un discorso che attraversa numerose discipline ma che cerca costante- mente nel diritto e nella teoria politica gli interlocutori privilegiati. La sua opera, dall’eloquente titolo ‘Emozioni politiche’, rappresenta in questo senso una proposta teorica ispirata ai canoni del liberali- smo, nella quale si esorta al buon uso delle emozioni in sede pubblica quale strumento di pedagogia civile (vedi infra, cap. VI) 28. Non vanno però dimenticati ulteriori contributi della studiosa americana, incentrati su profili più vicini alla dimensione giuridica 29, e in particolare sulla concezione di emozione che dovrebbe essere adottata dal giurista come punto di partenza nelle riflessioni perti- nenti Law and Emotion, alla luce dell’alternativa fra un modello bio- logico-meccanicistico e un modello cognitivo-valutativo30. Vediamo in dettaglio quanto osservato in tale studio. 28 NUSSBAUM, Emozioni politiche. Perché l’amore conta per la giustizia, tr. it., Bologna, 2014. 29 Anche in relazione alla figura del giudicante e alle sue emozioni, e con par- ticolare riguardo alla giusta compassione che dovrebbe accompagnarne le deci- sioni, v. NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, cit., pp. 525 ss.; NUSSBAUM, Giu- stizia poetica. Immaginazione letteraria e vita civile, tr. it., Milano, 2012, p. 40. 30 KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion in Criminal Law, in 96 Co- lumbia Law Review, 1996, pp. 269 ss.   Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 47 2.2. Concezioni ‘meccanicistiche’ e concezioni valutative del- l’emozione: profili di rilevanza giuridica Nella prospettiva giuridica è fondamentale interrogarsi sull’alter- nativa fra interpretazioni dell’emozione legate a paradigmi stretta- mente fisicalistici e concezioni incentrate sull’emozione come giudi- zio di valore. Dan Kahan e Martha Nussbaum riassumono tali ap- procci nella diade composta da ‘concezione meccanicistica’ e ‘conce- zione valutativa’ (‘mechanistic’ and ‘evalutative’ conception). Secondo la visione meccanicistica, le emozioni sono equiparabili a forze ‘non pensanti’ che spingono una persona all’azione31; per la ‘evalutative conception’ invece l’emozione scaturisce dalla relazione, definibile in base a un valore edonico (ossia di maggiore o minore piacere), con un oggetto cosiddetto ‘intenzionale’. Le emozioni sono ‘rivolte’ a un quid materiale, cognitivo o immaginativo: non sono energie naturali prive di oggetto ma «sono in relazione (about) a qualcosa [...] In secondo luogo l’oggetto è intenzionale: ovvero, esso appare nell’emozione nel modo in cui lo vede o lo interpreta la per- sona che prova l’emozione stessa» 32. L’approccio valutativo mostra una migliore rispondenza in rap- porto ai fenomeni e trova oggi un maggiore consenso rispetto all’al- ternativa meccanicistica. Ma quali conseguenze discendono dall’aval- lo di concezioni valutative piuttosto che meccanicistiche in relazione ai problemi penali? Ragionare in termini di approccio meccanicistico, e trattare le emozioni come meri impulsi senza considerarne la componente co- gnitiva, non offre strumenti per spiegare come le emozioni si possano differenziare ‘qualitativamente’ e dunque valutare. Come abbiamo precedentemente osservato, il nucleo della concezione valutativa po- 31 «without embodying ways of thinking about or perceiving objects or situa- tions in the world», v. KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion in Criminal Law, cit., p. 278. 32 «thought of a particular sort, namely appraisal or evaluation and, moreover, evaluation that ascribes a reasonably high importance to the object in question», v. KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion, cit., p. 286; il concetto è ripre- so in NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, cit., pp. 50 ss.; cfr. CALABI, Le varietà del sentimento, cit., pp. 276 ss., la quale ricostrusce il concetto di ‘razionalità’ del- l’emozione in base al rapporto tra fondamenti cognitivi e antecedenti cognitivi. Sulla definizione di ‘cattive emozioni’ intese come fallimentari dal punto di vista cognitivo, v. TAPPOLET, Le cattive emozioni, in AA.VV., a cura di Tappolet-Teroni- Konzelmann Ziv, Le ombre dell’anima. Pensare le emozioni negative, tr. it., Milano, 2013, pp. 16 ss.   48 Tra sentimenti ed eguale rispetto stula che l’emozione nasca da un giudizio che il soggetto elabora sul- la base di credenze; si può parlare in questo senso di una ‘razionalità’ dell’emozione in termini normativi, ossia modulata su pretese e aspettative che hanno a che fare con gli equilibri della convivenza 33. Secondo Kahan e Nussbaum il significato, e il disvalore, di una condotta non coincidono semplicemente con le conseguenze prodotte ma sono l’esito di una contestualizzazione che deve prendere in esame anche le motivazioni, e dunque, la matrice emozionale dell’agire 34. Un’implicita adesione alla concezione valutativa è alla base del modello di responsabilità che fa leva sul principio di colpevolezza 35 e sulla rieducazione36: è l’idea di emozione come giudizio di valore piuttosto che come moto irriflessivo a porsi come criterio per la valu- tazione della responsabilità penale e anche come chiave di lettura criminologica delle condotte 37. La concezione meccanicistica non riesce a dar conto dell’intreccio fra stati soggettivi e percezioni di valore, e configura una sensibilità meramente epidermica senza coloriture di senso, la quale non appare funzionale a tematizzare la problematica dell’attendibilità del giudi- zio sulla situazione che abbia cagionato un’emozione negativa 38. 33 Rileva Martha Nussbaum che il diritto definisce l’adeguatezza di una rea- zione emotiva adottando una prospettiva basata sull’immagine di ‘uomo ragione- vole’, v. NUSSBAUM, Nascondere l’umanità. Il disgusto, la vergogna, la legge, tr. it., Bari, 2007, p. 30. 34 KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion, cit., p. 352. 35 La concezione normativa della colpevolezza come ‘atteggiamento antidove- roso’ sottende la possibilità di un giudizio concernente ciò che è stato fatto in rapporto a ciò che si sarebbe dovuto fare. Le diverse articolazioni di questo giudi- zio, soprattutto il nesso psichico (dolo e colpa) e la verifica dell’imputabilità, non funzionerebbero se si attribuisse all’agente un’emotività priva di contenuti cogni- tivi apprezzabili sotto il profilo della normatività, ossia ‘giudicabili’ in base a cri- teri di ragionevolezza e adeguatezza alle situazioni; per una sintesi, v., ex pluri- mis, BARTOLI R., Colpevolezza, cit., pp. 47 ss., 70 ss. 36 L’approccio valutativo apre alla possibilità che le emozioni di un soggetto si prestino anche a percorsi (ri)educativi, v. KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion, cit., pp. 273 ss., 351 ss. 37 Per un’analisi criminologica dei rapporti tra emozioni, riflessività ed agire violento v. CERETTI-NATALI, Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali, Milano, 2009, pp. 326 ss. 38 È emblematico lo studio di FEINBERG, Sentiment and Sentimentality, cit., pp. 19 ss., avente ad oggetto problemi del tutto collimanti con la tutela di sentimenti del codice penale italiano, nel quale l’Autore dichiara espressamente che la nozione di ‘sentimento’ da lui adoperata si caratterizza per il fatto di avere un oggetto cogniti- vo, di essere ‘riguardo a qualcosa’: «there is an irreducible “aboutness” to it».   Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 49 Anche con riferimento al problema della tutela di sentimenti (e/o di emozioni), assumere come presupposto la concezione meccanici- stica non avrebbe semplicemente senso, poiché non consentirebbe di focalizzare l’attenzione sulla cause emotigene e sugli oggetti inten- zionali, e non sarebbe pertanto funzionale allo sviluppo di un discor- so sui criteri di rilevanza normativa (di adeguatezza e di meritevolez- za) di un determinato atteggiamento del sentire. 2.3. La dimensione sociale delle emozioni Analizzata l’emozione come giudizio di valore, è importante prenderne in considerazione la dimensione sociale: una prospettiva incentrata non sul versante solipsistico bensì sul piano interperso- nale e collettivo, e dunque sul ruolo cognitivo e comunicativo delle emozioni 39, considerate come oggetto di costruzione sociale il quale è in grado di influenzare, a sua volta, l’esperienza delle situazioni sociali 40. La principale disciplina che si occupa di questi temi è la sociolo- gia delle emozioni, la cui nascita viene convenzionalmente collocata a metà degli anni Settanta 41. Ciò non significa che i sociologi avesse- ro ignorato le emozioni, ma fino ad allora gli studi ad esse specifica- mente dedicati risultavano di pertinenza di altre discipline. Il muta- mento di paradigma coincide con una diversa considerazione del fe- nomeno emotivo, visto non più come espressione irrazionale e di- storsiva dell’organizzazione sociale, ma come fattore indispensabile per la comprensione dei fatti sociali. L’attore sociale si sveste dell’aura di pura razionalità per divenire anche attore emozionale, il quale non è in contrapposizione con l’attore razionale «ma ne è invece un’altra faccia, una sua parte costi- tutiva e ineliminabile e non va inteso come un soggetto spontaneo, 39 Per una panoramica di sintesi e per richiami bibliografici su approccio in- tra-personale e inter-personale, v. VELOTTI-ZAVATTINI-GAROFALO, Lo studio della regolazione delle emozioni: prospettive future, in Giornale italiano di psicologia, 2/2013, pp. 249 ss.; PULCINI, Per una sociologia delle emozioni, in Rassegna italiana di sociologia, 4/1997, p. 642. 40 RIMÈ, La dimensione sociale delle emozioni, cit., p. 44; WENTWORTH-RYAN, L’equilibrio fra corpo, mente e cultura: il posto dell’emozione nella vita sociale, in AA.VV., La sociologia delle emozioni, cit., pp. 208 ss. 41 CATTARINUSSI, Sentimenti ed emozioni nella riflessione sociologica, in AA.VV., a cura di Cattarinussi, Emozioni e sentimenti nella vita sociale, cit., p. 19.   50 Tra sentimenti ed eguale rispetto libero da vincoli e costrizioni»42. Da un lato le emozioni vengono considerate come un importante elemento per la comprensione del- l’agire sociale 43, e simmetricamente l’ambiente sociale si pone a sua volta come chiave di lettura di atteggiamenti emozionali dei singoli, in un rapporto di influenza reciproca 44. Questa prospettiva rappresenta un importante contributo non solo allo studio delle emozioni45, ma anche in relazione all’approfondi- mento dei temi di Law and Emotion, poiché gli approcci focalizzati sulla dimensione individuale rischiano di essere limitanti, in ragione del fatto che esistono emozioni la cui genesi e le cui dinamiche sono meglio definibili attraverso il riferimento all’ambiente sociale 46. Uno sguardo alla dimensione sociale e culturale dei fenomeni emotivi può favorire un più esaustivo approfondimento delle intera- zioni fra emozioni e diritto, aprendo la strada a molteplici traiettorie di ricerca, come sottolinea la dottrina statunitense 47. Basta uno sguar- do ad alcuni dei capisaldi teorici che la sociologa Gabriella Turnaturi inquadra come linee conduttrici dell’analisi sociologica delle emo- zioni48 per individuare questioni che possono intrecciarsi virtuosa- mente con la riflessione giuridica. Qualche cursorio esempio: ci sem- 42 TURNATURI, Introduzione, in La sociologia delle emozioni, cit., p. 14. 43 DOYLE MCCARTHY, Le emozioni sono oggetti sociali. Saggio sulla sociologia delle emozioni, in AA.VV., a cura di Turnaturi, La sociologia delle emozioni, cit., pp. 77 ss. 44 «Il termine sociale, molto semplicemente, vuole qui richiamare l’idea che la parola “emozioni” possa/debba evocare eventi e processi che hanno luogo entro contesti interattivi e comunicativi, piuttosto che eventi e processi che hanno luo- go entro i confini del singolo organismo e/o della singola psiche», v. MANGHI, Le emozioni come processi sociali, cit., p. 40. 45 La sociologa Arlie Hochschild identifica quale ostacolo a un serio studio sul- la natura delle emozioni la tendenza a considerarle esclusivamente come un fe- nomeno affettivo individuale, v. BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, cit., p. 172. Osserva KEMPNER, Social Models in the Explanation of Emotions, in AA.VV., Handbook of Emotions, cit., p. 45 che lo sviluppo di una larga parte di ciò che chiamiamo ‘personalità’ è un prodotto sociale. 46 Pensiamo ad esempio alla vergogna, e al radicamento che essa può raggiun- gere fino a connotare la fisionomia di una società; si parla di questo senso di ‘cul- ture della vergogna’ in alternativa alle cosiddette ‘culture della colpa’. Su tale di- stinzione, originariamente elaborata dall’antropologa statunitense Ruth Benedict, v., sintenticamente, CATTARINUSSI, Sentimenti ed emozioni, cit., p. 28. Per un’ana- lisi della dimensione pre-sociale della vergogna, v. NUSSBAUM, Nascondere l’uma- nità, cit., pp. 212 ss. 47 BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, cit., pp. 171 ss. 48 TURNATURI, Introduzione, in La sociologia delle emozioni, cit., p. 17.   Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 51 bra di particolare interesse l’osservazione secondo cui ogni società ha delle regole implicite concernenti le situazioni attivanti e le modalità espressive delle emozioni: le cosiddette feeling rules 49. Ebbene, il te- ma potrebbe assumere rilevanza anche in relazione al problema del sentimento quale oggetto di tutela: le regole, più o meno implicite, che definiscono quali emozioni siano giustificate, accettabili, dovero- se o immotivate rappresentano una coordinata importante, forse l’elemento più significativo, per la definizione di quello che il diritto penale ha spesso evocato sotto le forme del ‘sentire comune’ 50. Po- tremmo in questo senso parlare di feeling rules come elemento del contesto sociale che contribuisce a imprimere una fisionomia a ciò che i legislatori hanno definito ‘sentimenti’. Ma sono diversi, e non analizzabili in questa sede, gli ulteriori profili in rapporto ai quali l’analisi sociologica dell’emozione può fornire importanti chiavi di lettura di problemi afferenti al diritto pe- nale 51. Si tratta quindi di non limitare l’angolo visuale alla dimensio- ne soggettiva del fenomeno emotivo, soprattutto in relazione a temi in cui risulta fondamentale la riflessione sugli equilibri politico- deliberativi e sulla ‘normatività’ delle emozioni. 3. Sentimenti: componente di riflessività e dimensione morale Veniamo ora a esaminare il sentimento, e prendiamo le mosse dalla dimensione neurobiologica. Sono d’aiuto ancora una volta gli spunti di Antonio Damasio, il quale nel suo primo studio intitolato ‘L’errore di Cartesio’ ha definito l’emozione come processo valutativo mentale che induce cambiamenti a livello corporeo, e ha successiva- mente distinto i sentimenti in due categorie: ‘sentimenti delle emo- zioni’ e ‘sentimenti di fondo’. I primi, strettamente legati alle emozio- ni, sono costituiti dall’esperienza che il soggetto prova a seguito dei 49 Sulla genesi del concetto, v. HOCHSCHILD, Emotion Work, Feeling Rules, and Social Structure, in 85 American Journal of Sociology, 1979, pp. 551 ss. 50 In questo senso si potrebbero teorizzare connessioni anche con il tema pe- nalistico delle c.d. Kulturnormen; v., per tutti, CADOPPI, Il reato omissivo proprio, vol. I, Profili introduttivi e politico criminali, Padova, 1988, pp. 673 ss. 51 Si veda ad esempio NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica, cit., p. 66, quando afferma che «“strutturare” le emozioni, a partire dal tipo di situazione sociale in grado di generarle, può aiutare, nell’analisi delle norme penali, ad indi- viduare una soglia di rischio illecito all’interno della condotta tipica».   52 Tra sentimenti ed eguale rispetto cambiamenti indotti dalle emozioni: «l’essenza del sentire un’emo- zione è l’esperienza di tali cambiamenti in giustapposizione alle im- magini mentali che hanno dato avvio al ciclo» 52; mentre i ‘sentimenti di fondo’ appaiono come stati duraturi, radicati nel soggetto e non legati a emozioni contingenti 53. La distinzione viene affinata in uno studio successivo, ove si os- serva che nel sentimento vi è qualcosa di più che la percezione di un oggetto intenzionale; secondo Damasio ad essere oggetto di perce- zione è lo stato edonico che si manifesta a seguito del contatto con un determinato stimolo emotigeno: «un sentimento [è] la percezione di un certo stato del corpo, unita alla percezione di una particolare modalità di pensiero nonché di pensieri con particolari contenuti» 54. Le emozioni sono movimenti in larga misura pubblici, ossia percepi- bili e visibili; i sentimenti appaiono invece come moti di pensiero di tipo riflessivo, «invisibili a chiunque salvo che al loro legittimo pro- prietario [...] Le emozioni si esibiscono nel teatro del corpo; i senti- menti in quello della mente» 55. Al di là delle osservazioni sul piano neuroscientifico, ciò che in questa sede è bene sottolineare sono le implicazioni su un piano più propriamente antropologico-filosofico56, e in particolare sul ruolo che i sentimenti assumono nelle dinamiche comportamentali. L’ipo- tesi di Damasio è che il sentimento rappresenti una guida nei proces- si decisionali57, e risulta particolarmente interessante l’osservazione secondo cui tale fenomeno affettivo assume una funzione riflessiva in grado di fornire coordinate e criteri di demarcazione fra piacere e do- lore più complessi e stratificati rispetto a quelli che la mappe neurali trasmettono sulla base delle sole funzioni vitali a livello biologico: «I sentimenti coscienti sono eventi mentali cospicui che richiamano l’attenzione sulle emozioni che li hanno generati e sugli oggetti che, a loro volta, hanno indotto quelle emozioni. Negli individui che hanno anche un sé autobiografico – il senso di un passato personale e di un 52 DAMASIO, L’errore di Cartesio, cit., p. 210. 53 DAMASIO, L’errore di Cartesio, cit., p. 219. 54 DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza, cit., pp. 108, 115 ss. 55 DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza, cit., p. 40. 56 Per la verità tutt’altro che trascurate dallo stesso Damasio, il quale inquadra la propria opera come ideale prosecuzione del pensiero di Baruch Spinoza, v. DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza, cit., pp. 315 ss.  57 DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza, cit., p. 215.  Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 53 futuro anticipato, senso noto anche come coscienza estesa – lo stato del sentimento induce il cervello a porre in posizione saliente gli og- getti e le situazioni legate all’emozione. Se necessario, il processo di stima che porta dall’isolamento dell’oggetto al sorgere dell’emozione può essere rivisitato e analizzato. Poiché hanno luogo in uno scenario autobiografico, i sentimenti generano un interesse per l’individuo che li sperimenta. Il passato, il presente e il futuro anticipato ricevono la giusta attenzione e hanno maggiori possibilità di influenzare il ragio- namento e il processo decisionale» 58. La teorizzazione di Damasio descrive sentimenti ed emozioni co- me parti complementari di un processo, non come fenomeni dicoto- mizzati: richiamare l’emozione significa additare l’esteriorità e la di- namicità di uno stimolo, le contingenze dovute al contatto con un certo tipo di fattori emotigeni; richiamare il sentimento significa en- trare ‘in interiore homine’, confrontarsi con l’elaborazione che analiz- za lo stimolo emotivo e ne valuta il peso nella soggettività dell’indi- viduo: «un sentimento [è] la percezione di un certo stato del corpo, unita alla percezione di una particolare modalità di pensiero nonché di pensieri con particolari contenuti» 59. Il sentimento appare in definitiva come esito di una mediazione riflessiva che può avvenire non in tutti gli organismi, ma solo in quel- li che posseggono la capacità di rappresentarsi il proprio corpo all’in- terno di sé stesso 60. 3.1. Il pensiero filosofico e i sentimenti morali. Un’interpreta- zione fenomenologica Quanto osservato in ambito neuroscientifico sembra accreditare la portata del tutto peculiare che il sentimento assume nella dimen- sione affettiva dell’individuo come momento di incontro tra perce- zione e riflessione, ossia come «medio necessario tra il sentire sensi- tivo e l’intelligenza concettuale» 61. Passando ora a un approccio incentrato più sulla dimensione teo- retico-concettuale che sulla distinzione fenomenica, va specificato 58 DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza, cit., p. 216. 59 DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza, cit., p. 108. 60 DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza, cit., pp. 133 ss. 61 MASULLO, voce Sentimento, in AA.VV., Enciclopedia filosofica, Milano, 2010, p. 10500.   54 Tra sentimenti ed eguale rispetto che l’inquadramento di una specifica nozione di sentimento non fi- gura nei classici della filosofia, da Aristotele, a Cartesio e fino a Hu- me 62, ma comincia a delinearsi a partire dal XVIII secolo. Sottolinea Aldo Masullo che un simile affinamento è legato anche a sviluppi del- la teoria politica: «L’assunzione da parte del sentimento di una sua specificazione forte è promosso dalla diffusa tensione della cultura illuministica che, per la nuova esigenza storica di fondare un’etica cosmopolitica, è assillata dal bisogno di scoprire un principio coesivo razionalmente argomen- tabile e nient’affatto razionalmente relativistico, generalmente ricono- scibile ma non dommaticamente irrigidibile» 63. Sono soprattutto alcuni studi dei cosiddetti filosofi moralisti in- glesi a definire il sentimento ‘forma sintetica dell’universale’ e fon- damento dell’umana convivenza, ossia principio coesivo nei rapporti umani, come recita l’opera di Adam Smith sui sentimenti morali 64. Si tratta di un indirizzo filosofico che ha come esponente di spicco Da- vid Hume, e che affonda le proprie radici nel sentimentalismo inglese di Shaftesbury e Hutcheson 65. Idea portante è la riconducibilità della moralità dell’agire a una matrice affettiva (per Hume, il cosiddetto principio della simpatia) 66. 62 CURI, Passione, cit., p. 9. 63 MASULLO, voce Sentimento, cit., p. 10501 ss. 64 SMITH, Teoria dei sentimenti morali, tr. it., Milano, 1995; per una riflessione sulle interazioni fra le teorie smithiane, in particolare il concetto di ‘simpatia’, e il diritto penale, v. CADOPPI, Simpatia, antipatia e diritto penale, in AA.VV., a cura di Di Giovine O., Diritto penale e neuroetica, cit., pp. 241 ss. 65 MORRA-BONAN, voce Sentimentalismo, in AA.VV., Enciclopedia filosofica, vol. XVI, Milano, 2010, pp. 10497 ss. 66 Per una sintesi v. LECALDANO, Prima lezione di filosofia morale, Roma-Bari, 2010, p. 27. L’Autore osserva che «non bisogna confondere il piano della rico- struzione genealogica o genetica della nostra capacità di trarre distinzioni mo- rali, con la riflessione su quali siano i giudizi morali corretti». L’opzione per una teoria sentimentalistica ha una valenza in primo luogo metaetica; a livello di etica sostantiva si apre infatti il problema di «[affiancare] una concezione normativa sul contenuto da privilegiare come moralmente rilevante», v. ID., Prima lezione, cit., pp. 17; 79. Da ciò, la critica a concezioni che, sulla base degli studi di neuroscienze, si sono mosse nella direzione di offrire una ricostruzione in termini ‘realistico-emozionali’ del sentimentalismo morale: «queste ricerche [...] suscitano dubbi laddove accampano la pretesa di aver identificato una base fisiologica o biologica a cui l’etica può essere ridotta nella sua interezza [...] Il sentimento morale non va caratterizzato sostantivamente, anche per non con-   Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 55 Venendo a sviluppi più recenti, relativamente ai rapporti tra senti- re e dimensione morale appare a nostro avviso particolarmente inte- ressante per il giurista uno studio di matrice fenomenologica67 di Roberta De Monticelli, nel quale il tema del sentire diviene oggetto di un problema etico in relazione sia alla formazione del singolo indivi- duo (l’etica del sentire intesa come qualità etica – maggiore o minore ‘correttezza’ – delle disposizioni del sentire di un soggetto) sia ad aspetti relazionali (la ricerca del giusto spazio – e dunque di limiti eticamente tollerabili – alla ‘fioritura’ dell’individuo, intesa come rea- lizzazione della sua personalità, resa unica e peculiare dalle disposi- zioni del sentire). Secondo tale studio, l’esperienza affettiva è riconducibile a due di- mensioni essenziali: il sentire e il tendere. Il sentire implica un recepi- re, il tendere è invece un vettore d’azione: «se diciamo che una persona è sensibile non intendiamo affatto dire che è eccitabile, e neppure che manca di obiettività, al contrario intendiamo dire che è più di altri ca- pace di discriminazione, e quindi di verità nell’esercizio del sentire» 68. Negli individui non è infatti riscontrabile il medesimo livello di matu- razione affettiva: «una sensibilità si attiva per strati o segmenti – e in- tendiamo dire con questo che uno sentirà [...] più o meno realtà a se- conda che più o meno “strati” della sua sensibilità siano attivati» 69. Ta- le soglia può variare ed essere incrementata positivamente durante l’esistenza; nondimeno, la diversità insita nelle molteplici varianti di sviluppo del sentire fonda le diversità di ordini assiologici dei singoli, quella che è in definitiva la loro identità morale 70. fonderlo con qualche emozione immediata: è invece proprio del sentimento morale il punto di vista riflessivo su tutte le passioni che si presentano senza qualificazione valutativa nella mente di una persona», v. ID., Prima lezione, cit., pp. 42 s. Per una differente impostazione, non propriamente ‘riduzionista’ ma comunque orientata a ricercare dei fondamenti naturalistici della morale v., ex plurimis, CHANGEUX, Il bello, il buono, il vero. Un nuovo approccio neuronale, tr. it., Milano, 2013, pp. 75 ss., 101 ss. 67 La fenomenologia del sentire e l’approccio fenomenologico ai sentimenti sono debitori dell’opera di SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, tr. it., a cura di Guccinelli, Milano, 2013, il quale inquadra il sentimento come fattore costitutivo nell’ontologia della persona e come interfaccia tra sogget- tività e valori. Per una sintesi dei tratti caratterizzanti la fenomenologia come corrente filosofica v. GALLAGHER-ZAHAVI, La mente fenomenologica. Filosofia della mente e scienze cognitive, tr. it., Milano, 2009, pp. 9 ss. 68 DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 26. 69 DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 79. 70 «L’ethos di una persona è la sua identità morale, ma questa identità morale   56 Tra sentimenti ed eguale rispetto Così definito il fenomeno del sentire e delle sue manifestazioni, si pone il problema di inquadrare specificamente il sentimento: è uno stato momentaneo? un evento? un atto? Roberta De Monticelli af- ferma che esso è: «una disposizione reale – e non semplicemente virtuale – del sentire [...] È una disposizione del sentire che comporta un consentire più o meno profondo all’essere di ciò che la suscita, un più o meno profon- do dissentire da questo, e un atteggiamento caratteristico nei confron- ti di questo essere, capace di motivare altri sentimenti, emozioni, pas- sioni, scelte, decisioni, azioni, comportamenti» 71. Il sentimento è ciò che forma le risposte all’esperienza dei valori: in questo senso viene definito ‘matrice di risposte’. Le emozioni sono maggiormente legate all’attualità contingente, poiché costituiscono un’alterazione reattiva e presuppongono l’attivazione di uno strato minimo di sensibilità, anche di livello puramente sensoriale 72. I sen- timenti hanno un ruolo fondante nell’approccio dei singoli alla realtà, agli eventi, e, soprattutto, al rapporto con i propri simili: «[i] senti- menti costituiscono lo strato del sentire propriamente diretto sulla realtà personale. Se il sentire, in generale, è percezione di valore, i sentimenti sono, o perlomeno implicano, disposizioni a sentire gli al- tri sotto l’aspetto dei valori che la loro esistenza realizza o delle esi- genze che essa pone» 73. [...] si manifesta primariamente nella vita affettiva che queste scelte e comporta- menti motiva, e nella quale si esprime infine il modo di sentire che le è irrepeti- bilmente, inconfondibilmente proprio. Il modo di sentire è segnato da una storia individuale, “ancorato” agli incontri di una vita: è, come vedremo, il profilo stesso dell’individualità essenziale»: v. DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 81. 71 DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., pp. 113, 121. 72 DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., pp. 124 ss. In presenza di una sensi- bilità strutturata la quantità di reazioni affettive è maggiore, ed è anche possibile che da emozioni scaturiscano risposte strutturanti, ossia che le emozioni stesse inducano alla formazione di nuovi sentimenti. Diverso discorso per le passioni, le quali costituiscono una manifestazione del volere e del tendere, e presuppongono la strutturazione di sentimenti, v. DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., pp. 130 ss. La tradizionale contrapposizione delle passioni alla ragione non è intrinseca alle passioni stesse, ma risale a un livello precedente, ossia al sentimento di cui quelle passioni sono manifestazione: «“irrazionali” sono dunque le passioni nella misura in cui sono “disordini del cuore”, ovvero ordinamenti assiologici perversi o inadeguati – per quanto difficile sia stabilire in positivo lo standard rispetto a cui definire la deviazione»: v. DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 131.  73 DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 111.  Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 57 4. Emozioni e sentimenti: il senso della distinzione concettuale In questa sede non è nostro obiettivo individuare un’esaustiva on- tologia dei fenomeni, bensì intendiamo verificare se vi siano diffe- renze che possano assumere una rilevanza concettuale nella prospet- tiva giuridica. Sentimenti ed emozioni hanno la funzione di classificare, in base al binomio piacere-dolore, le esperienze del sentire individuale. Un punto di contatto utile al fine di ricercare coerenza nella complessità delle de- finizioni, è il fatto che entrambi i fenomeni – naturalisticamente distin- guibili in base a criteri basati sull’intensità e la durata – da un punto di vista adattivo-funzionale rappresentano ‘proiezioni del sé’, ossia marca- tori dell’originalità che rende unico ogni individuo: «le emozioni guar- dano al mondo dal punto di vista del soggetto, e [...] ordinano gli eventi in base alla cognizione della loro importanza o valore per il soggetto» 74. Relativamente alle differenze, una prima, fondamentale, distinzione tra sentimento ed emozione è relativa ad aspetti di tipo ‘fisico-quan- titativo’, legati alla durata e all’intensità dell’esperienza affettiva: più bre- ve e accentuata nell’emozione, più duratura, ma meno intensa, nel sen- timento75. Secondo una definizione offerta da uno studio di psicologia: «[s]entimento e umore si riferiscono a stati affettivi di bassa intensità, durevoli e pervasivi, senza una causa direttamente percepibile e con la capacità di influenzare eventi inizialmente neutri»76. Il sentimento, co- me stato affettivo ‘radicato’, non si esaurisce in stimoli momentanei. Un tratto caratterizzante l’emozione è la componente reattiva: «il termine emozione dovrebbe indicare, in accordo anche con il senso comune, stati affettivi intensi di breve durata, con una causa precisa, esterna o interna, un chiaro contenuto cognitivo e la funzione di rio- rientare l’attenzione» 77. Uno stato affettivo di durata limitata, diverso dunque da stati duraturi 78. 74 NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, cit., p. 53. Si veda anche OATLEY, Psicologia ed emozioni, cit., pp. 77 ss., il quale parla di ‘condizioni di elicitazione’ per indicare che le emozioni insorgono sulla base della valutazione soggettiva di un evento da parte dell’agente in relazione alla sua condizione e ai suoi scopi. 75 Cfr. OATLEY, Breve storia delle emozioni, tr. it., Bologna, 2015, p. 20. 76 D’URSO-TRENTIN, Introduzione alla psicologia delle emozioni, Roma-Bari, 1999 p. 9; cfr. CATTARINUSSI, Sentimenti ed emozioni, cit., p. 15. 77 PIETRINI, Dalle emozioni ai sentimenti: come il cervello anima la nostra vita, in AA.VV., a cura di Colombo-Lanzavecchia, La società infobiologica, Milano, 2003, pp. 322 ss.  78 Per un esempio di tassonomia degli stati affettivi e per una conseguente ap-  58 Tra sentimenti ed eguale rispetto Passando a un piano di lettura differente, non limitato alla ‘di- mensionalità’ (intensità, durata), richiamiamo quanto osservato in ambito neuroscientifico da Damasio, secondo il quale il sentimento costituisce il momento della rappresentazione cosciente dell’emo- zione: la percezione che il soggetto ha di sé stesso. Viene evidenziata in questo modo una dimensione riflessivo-speculativa che trova ri- scontro anche nell’analisi di un altro neuroscienziato, Joseph Le Doux, il quale osserva le emozioni sono funzioni biologiche che si sono evolute per permettere agli animali di sopravvivere in un am- biente ostile e di riprodursi; i sentimenti invece sono un prodotto del- la coscienza, «stati di consapevolezza legati all’esperienza interna dell’emozione»79. Emerge qui una differenziazione che attiene a un piano funzionale, e che vede il sentimento come fenomeno che ha più a che fare con la sfera cognitivo-riflessiva del soggetto 80. E veniamo infine a un terzo criterio distintivo, quello forse più importante ai fini della presente indagine. L’analisi fenomenologica di Roberta De Monticelli ha richiamato il carattere disposizionale del sentimento, l’essere una matrice che può generare e formare ulteriori stati affettivi. Introduciamo dunque l’importante distinzione tra fe- nomeni affettivi ‘in atto’ e ‘disposizioni’ del sentire: «un’emozione in atto è un episodio nel quale proviamo effettivamente collera, paura, gioia o altro. Una disposizione emotiva è la suscettibilità a provare emozioni in atto» 81. Cosa significa ‘disposizionale’? Il concetto è stato approfondito in particolare da Gilbert Ryle, secondo il quale le espressioni disposi- zionali contengono l’affermazione che un uomo o un animale o una plicazione a un tema penalistico-criminologico, v. CORNELLI, Paura e ordine nella modernità, Milano, 2008, p. 71. 79 LE DOUX, Feelings: What Are They & How does the Brain Make Them?, in 144 Daedalus, 2015, p. 97. 80 Si osserva che «[l]e concezioni speculative del sentimento, da Platone a Vi- co, sottolineandone l’ambiguità di regione “intermedia” tra il senso e l’intelletto, cioè il suo partecipare marginale tanto all’uno quanto all’altro, tematizzano il sen- timento come una delle categorie o generi sommi della vita umana. Questa infatti è tale – umana –, solo in quanto è “soggettività”, il modo di essere che consiste nel- l’avvertire stimoli dal mondo esterno (senso) e ordinare gli avvertimenti in rap- presentazioni generali e ben connesse (intelletto), avendo come necessaria condi- zione il riferimento dei primi e delle seconde a un chiaramente o oscuramente avvertito “sé”, ossia comportando un sentimento fondamentale», v. MASULLO, vo- ce Sentimento, cit., p. 10500. 81 ELSTER, Sensazioni forti, tr. it., Bologna, 2001, p. 32, il quale cita, quali esempi di disposizioni emotive, la misoginia e l’antisemitismo.   Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 59 cosa ha una certa capacità o una certa inclinazione, o è esposto ad una determinata tendenza 82. Le definizione ‘disposizionale’ può rap- presentare in questo senso un’antitesi rispetto a ‘episodico’, poiché «possedere una proprietà disposizionale non vuol dire trovarsi in un certo stato particolare o essere soggetto a un certo cangiamento» 83. Più in generale la distinzione fra stati ‘episodici’ e ‘disposizionali’ descrive una diversità funzionale nella complessiva esperienza affet- tiva della persona, e si presta a evidenziare il rapporto fra mera reat- tività soggettiva contingente e carattere fondativo e ‘personologico’ (vedi infra, cap. IV) degli stati affettivi, i quali appaiono in questo senso come strutture di base della soggettività. È questa a nostro avviso un’importante chiave di lettura per la presente indagine: ciò che appare decisivo nel problema della tutela di sentimenti non è capire se si debba far riferimento a emozioni in senso stretto o ad altri fenomeni affettivi, ma è invece importante de- cidere se il fulcro dei problemi debba riguardare la reattività emozio- nale, oppure se si debba assumere quale vettore di senso l’affettività come base di stati disposizionali non episodici, ossia come strutture portanti della identità morale degli individui. Un richiamo alla sfera affettiva intesa come ‘struttura disposizionale’ orienta l’attenzione sul sentire quale marcatore della personalità, e pone in questo modo sen- timenti ed emozioni al centro di questioni concernenti la diversità di preferenze e di ordini assiologici fra individui. Tale ultima opzione è quella a nostro avviso più funzionale a in- staurare connessioni con le accezioni del termine ‘sentimento’ che emergono nel discorso penalistico: l’uso dei legislatori e della dot- trina. Nel prosieguo dell’indagine approfondiremo entrambi gli aspetti. 5. Sinossi Il panorama di fenomeni che costituiscono il tessuto affettivo de- gli individui è oggetto di definizioni dall’uso non univoco e talvolta polisenso. Il rimando a saperi lato sensu psicologici, pur assumendo 82 RYLE, Il concetto di mente, tr. it., Roma-Bari, 2007, pp. 121 ss. 83 RYLE, Lo spirito come comportamento, tr. it., Roma-Bari, 1982, p. 34; cfr. ID., Il concetto di mente, cit., p. 27: «Le tendenze sono cosa diversa dalle capacità e dalle suscettibilità».   60 Tra sentimenti ed eguale rispetto una notevole complessità, sembra nondimeno costituire per il giuri- sta penale un indispensabile tassello. Lo studio di contributi prodotti in ambito neuroscientifico, psico- logico e filosofico evidenzia come, al di là di possibili aree di contat- to, sentimenti ed emozioni non siano fenomeni del tutto accomuna- bili. Vi è una connessione di fondo relativa al fatto che entrambi, pur in modo differente, sono funzionali a classificare in base al binomio piacere-dolore le esperienze e le inclinazioni del sentire individuale, e contribuiscono così a definire l’identità e la peculiare originalità di ogni individuo. Da un altro lato, emergono differenze relative sia al- l’intensità, sia alla consistenza e alla durata. La distinzione che sembra maggiormente funzionale alla riflessio- ne sul problema del sentimento come oggetto di tutela concerne la nozione di stati episodici e disposizionali: con la prima accezione si definiscono fenomeni che si esauriscono in una contingente reattività psichica, con la seconda si indicano stati duraturi a loro volta matrici di ulteriori reazioni, i quali si intrecciano con le trame costitutive del- la personalità. Alla luce di tale ultimo distinguo cercheremo di trovare connes- sioni con le categorizzazioni che emergono dal diritto positivo e dal discorso dottrinale.  CAPITOLO III DIMENSIONE CODICISTICA E FUNZIONE DISCORSIVA DELLA FORMULA ‘TUTELA PENALE DI SENTIMENTI’ SOMMARIO: 1. ‘Tutela di sentimenti’: usi e significati della formula. – 2. Le tipolo- gie di interessi dietro le norme codicistiche: ‘sentimenti-valori’ e disagio psi- chico. – 2.1. La tutela di ‘sentimenti-valori’. – 2.1.1. Il sentimento religioso. – 2.1.2. Il pudore. – 2.1.3. La pietà dei defunti. – 2.1.4. Il sentimento nazionale e la condotta di istigazione all’odio fra le classi sociali. – 2.1.5. Il sentimento per gli animali. – 2.1.6. Il comune sentimento della morale. – 2.2. Lessico delle norme e piano fenomenico: sentimenti o emozioni? – 2.3. Atti persecutori: sofferenza psichica e libertà di autodeterminazione. – 3. La definizione di ‘sentimento’ come connotazione simbolica negativa nel discorso penalistico. – 3.1. Una virtuosa prospettiva di interazione: ‘sentire comune’ e legittimazione delle norme penali. – 4. Sinossi. 1. ‘Tutela di sentimenti’: usi e significati della formula Volgiamo ora lo sguardo alla dimensione giuridica e cerchiamo di inquadrare le rispondenze della formula ‘tutela di sentimenti’. Sono a nostro avviso distinguibili due accezioni: la prima, di tipo descrittivo-classificatoria, è strettamente legata al diritto positivo, e si presta a sintetizzare le disposizioni in cui l’interesse protetto viene de- finito nei termini di un sentimento o di un’emozione: si pensi alle nor- me codicistiche che parlano di sentimento religioso, pudore, pietà dei defunti et similia. La seconda accezione, che definiamo connotativa, è funzionale a tematizzare norme e problemi di tutela in cui la matrice emozionale non traspare da definizioni normative, ma emerge nei discorsi della dottrina penalistica in sede di speculazione teorica o di interpreta- zione, tendenzialmente per richiamare beni dalla fisionomia protei- forme, suscettibili di ricostruzioni profondamente differenti in quan-  62 Tra sentimenti ed eguale rispetto to esposte al condizionamento emotivo: interessi parificati dunque a sentimenti per via di un’intrinseca inafferrabilità 1. L’accezione connotativa enfatizza in chiave critica l’associazione tra fenomeni affettivi e oggetti di tutela dai confini incerti, disancora- ti da una base oggettiva e tendenti a sfociare in ricostruzioni di ma- trice soggettivistica. Parlare di sentimenti attiva nel lettore e nell’in- terprete frames psicologici che risentono della nebulosità epistemica che caratterizza le condizioni di conoscenza dei fenomeni psichici, contribuendo in questo modo a comunicare una sostanziale diffiden- za: «[le] parole non sono semplicemente dei mezzi per individuare gli oggetti. Le parole intervengono nella nostra percezione degli oggetti, e infatti trasmettono interpretazioni e attribuiscono senso ai loro refe- renti» 2. Associare un oggetto di tutela penale a un sentimento equivale a sottolinearne il potenziale di criticità, come coacervo di interessi ‘su- blimati’ che non rispondano a requisiti di razionalità e coerenza ri- spetto a principi ‘di sistema’ 3. Menzioniamo, per ora a titolo esempli- ficativo, il richiamo alla dignità umana, e pensiamo anche alla cosid- detta ‘sicurezza pubblica’ la quale è stata in tempi recenti associata criticamente a uno stato di tranquillità soggettiva dei singoli; si può inoltre ascrivere a tale categoria anche il concetto di onore, ben noto ai penalisti e da sempre oggetto di faticosi sforzi ermeneutici. Si trat- ta di interessi che non a caso vengono additati come ‘problematici’ dalla dottrina4, i quali evidenziano tutti una forte connessione con matrici emotive, tale da indurre a definirli anche come ‘sentimenti’. Nel prosieguo approfondiremo gli ambiti e i problemi connessi sia all’accezione descrittiva, sia a quella connotativa, a partire da una panoramica sulle fattispecie dell’ordinamento italiano in cui il senti- 1 Con riferimento alla dottrina tedesca si veda la ricostruzione di NISCO, La tu- tela penale dell’integrità psichica, cit., p. 84, il quale sottolinea come anche in Germania l’espressione ‘Gefühlschutzdelikte’ sia intesa in chiave essenzialmente critica. 2 SARTORI, Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali, Bologna, 2011, p. 102. 3 Sulla specifica accezione del diritto penale come ‘sistema’ – definizione che attiene al piano del dover essere piuttosto che alla descrizione della realtà del- l’ordinamento – e sulle distinzioni tra principi di rilevanza normativa che entrano in gioco nel diritto penale, v. per tutti FIANDACA, Diritto penale, in FIANDACA-DI CHIARA, Un’introduzione al sistema penale. Per una lettura costituzionalmente orientata, Napoli, 2003, pp. 3 ss.  4 FIANDACA, Sul bene giuridico, cit., pp. 71 ss.  Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 63 mento figura testualmente come coordinata descrittiva dell’interesse protetto 5. 2. Le tipologie di interessi dietro le norme codicistiche: ‘senti- menti-valori’ e disagio psichico Nel codice penale il sentimento viene espressamente evocato dalle norme poste a tutela del sentimento religioso, del pudore, della pietà dei defunti, del sentimento nazionale; nella legislazione complemen- tare viene menzionato come oggetto di tutela il ‘comune sentimento della morale’ 6. Oltre a tali ipotesi, riteniamo, in accordo con autorevole dottrina, che la problematica del sentimento come oggetto di tutela investa, pur con i dovuti distinguo, anche una norma di più recente introdu- zione, ossia l’art. 612 bis c.p., la quale incrimina il delitto di atti per- secutori. Si tratta di una fattispecie la cui tipicità appare fortemente improntata in senso emotivistico: ‘perdurante e grave stato d’ansia e di paura’, ‘fondato timore’ sono eventi di tipo psichico, e precisamen- te sono assimilabili a emozioni negative. Anche il delitto di atti per- secutori appare orientato a tutelare un sentire, o, più propriamente, 5 Non analizzeremo in questa sede ulteriori fattispecie codicistiche il cui so- strato di offensività sembra rimandare a un retroterra di tipo emozionale. Al di là dell’onore, che è unanimemente riconosciuto come interesse della persona caratterizzato da un’evidente componente ‘di sentimento’ che la dottrina si è impegnata a razionalizzare mediante il richiamo, comunque problematico, alla ‘dignità sociale’, v. MUSCO, Bene giuridico e tutela dell’onore, Milano, 1974, pp. 147 ss., vi sono altre norme la cui afferenza al tema in esame appare meno uni- voca. Una recente ricostruzione include ad esempio il vilipendio alla bandiera (come forma di offesa al sentimento nazionale), la corruzione impropria susse- guente (offesa al sentimento di onestà che dovrebbe guidare i pubblici ufficiali), l’ingiuria semplice, l’incesto (offesa al sentimento della morale familiare), la pedopornografia (sentimenti moralistici inerenti la sessualità) e infine il nega- zionismo: si tratta di un panorama variegato ed eterogeneo, il quale meritereb- be una dettagliata analisi volta a verificare in che termini dietro i casi menzio- nati si possa davvero parlare di sentimenti, v. GIUNTA, Verso un rinnovato ro- manticismo penale?, cit., pp. 1556 ss. 6 Si pongono al di fuori dell’area concettuale della tutela di sentimenti le pro- blematiche concernenti gli stati emotivi e passionali e le circostanze attenuanti fondate su emozioni; il profilo che viene qui in gioco è il ruolo che i fenomeni af- fettivi possono assumere in relazione alla graduazione della responsabilità pena- le, attraverso gli istituti dell’imputabilità e delle circostanze del reato (vedi anche supra, cap. I, nota 30).   64 Tra sentimenti ed eguale rispetto presidia l’equilibrio emotivo di un soggetto in chiave strumentale ri- spetto alla libertà di autodeterminazione 7. È plausibile definire tale ultima fattispecie come una forma di tu- tela di sentimenti8 (fatte salve le criticità che possono derivare da un’interpretazione meramente emozionale e soggettivistica degli even- ti), ma è altrettanto evidente che rispetto alle ipotesi precedentemen- te menzionate in cui il legislatore parla espressamente di ‘sentimento’ vi sono delle differenze: nel caso della religione, del pudore, della pie- tà dei defunti et similia, la parola ‘sentimento’ viene associata a ulte- riori concetti che indicano valori e oggetti significativi per il singolo e per la collettività, dando vita a un’entità in parte psicologica e in par- te di consistenza prettamente socio-valoriale. Nel caso dello stalking lo stato psichico assume una rilevanza autonoma, senza alcuna cor- relazione con specifici oggetti del sentire, ed è proprio il turbamento emotivo a rivestire importanza centrale nell’economia della fattispe- cie, precisamente come evento tipico 9. Si tratta di due diverse declinazioni del sentimento come oggetto di tutela, le quali necessitano di una trattazione distinta. 2.1. La tutela di ‘sentimenti-valori’ Con riferimento ai delitti contro il sentimento religioso, contro il pudore e contro la pietà dei defunti, sia l’interpretazione oggi do- minante in dottrina sia la realtà applicativa depongono per una li- nea ‘depsicologizzante’, secondo la quale il disvalore del fatto non dipende dall’impatto della condotta tipica sullo stato psichico del soggetto passivo. Si è osservato che l’ordinamento penale non tutela sentimenti, 7 Sul tema, pur con diversità di accenti, v. MAUGERI, Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione mediatica, Torino, 2010, p. 104; NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica, cit., pp. 223 ss.; COCO, La tutela della libertà indivi- duale nel nuovo sistema ‘anti-stalking’, Napoli, 2012, pp. 116 s. 8 FIANDACA, Sul bene giuridico, cit., pp. 82 ss. 9 Uno tra gli aspetti più discussi della fattispecie di atti persecutori concerne l’alternativa fra reato di danno o di pericolo; per un’interessante prospettiva in- terpretativa MAUGERI, Lo stalking, cit., pp. 153 ss.; sulla stessa linea di pensiero, CADOPPI, Efficace la misura dell’ammonimento del questore, in Guida dir., 19/2009, p. 52. In giurisprudenza tende a prevalere la qualificazione come reato di danno; v., ex plurimis, Cass. pen., sez. V, 16/04/2012, n. 14391; Cass. pen., sez. V, 15/05/2015, n. 20363.   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 65 «anche se talora lo stesso codice penale si esprime in questi termini [...], ma [tutela] la loro obiettivazione in situazioni sociali, in interessi, in beni giuridici più definiti della percezione soggettiva: tanto che essi vengono tutelati a prescindere dalla prova di quella percezione in capo a un qualche individuo determinato» 10. Tale osservazione è ineccepibile, e trova riscontro nel panorama applicativo: la prova di un effettivo turbamento psichico soggettivo non è mai venuta seriamente in considerazione11. Le situazioni de- scritte nelle disposizioni codicistiche non richiedono la verifica di una concreta ‘elicitazione’ 12 della sensibilità di singoli individui: l’as- serita attitudine lesiva della sensibilità costituisce esito di un proces- so interpretativo di elementi di fatto e di condizioni di contesto esa- minati alla luce di criteri di adeguatezza e di tollerabilità modulati su parametri di tipo socio-culturale, in base a un’ipotizzata sensibilità media dei consociati. Come osserva Angelo Falzea, non è il mero fatto emozionale ad assumere ruolo decisivo, ma è piuttosto la sua traducibilità in valori e disvalori secondo un punto di vista sociale. Nel complesso, il senti- mento assume rilevanza sub specie iuris e non sub specie facti: «Non ogni volta che il diritto pone a base delle sue regole il sentimen- to si è in presenza di un fatto giuridico affettivo. Vi sono norme giuri- diche ispirate all’esigenza di tutelare un sentimento condiviso dalla 10 DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti, cit., p. 1578. 11 Si prendano a riferimento gli ambiti della tutela penale della religione e del pudore, nei quali si registra un congruo numero di pronunce. Per una panorami- ca sulla tutela del sentimento religioso in Italia fino agli anni Ottanta v. SIRACUSA- NO, I delitti in materia di religione. Beni giuridici e limiti dell’intervento penale, Mi- lano, 1983, pp. 96 ss.; per uno sguardo sugli sviluppi più recenti v. BASILE, art. 403 c.p., in AA.VV., Codice penale commentato, diretto da Dolcini-Gatta, vol. II, 4a ed., Milano, 2015, pp. 1461 ss.; PECORELLA, Delitti contro il sentimento religioso, in AA.VV., a cura di Pulitanò, Manuale di diritto penale. Parte speciale, vol. I, I reati contro la persona, II ed., Torino, 2014, pp. 382 ss.; per una panoramica della giurispruden- za in materia di offese al pudore v. PROTETTÌ-SODANO, Offesa al pudore e all’onore sessuale nella giurisprudenza, Padova, 1972, pp. 3 ss.; PULITANÒ, Il buon costume, in BIANCHI D’ESPINOSA-CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ, Valori socio- culturali della giurisprudenza, cit., pp. 172 ss.; FIANDACA, Problematica dell’osceno e tutela del buon costume, Padova, 1984, pp. 33 ss.; sugli sviluppi più recenti sia consentito il rinvio a BACCO, Tutela del pudore e della riservatezza sessuale, in AA.VV., a cura di Pulitanò, Manuale di diritto penale. Parte speciale, vol. I, I reati contro la persona, cit., pp. 300 ss. 12 In psicologia è d’uso il termine ‘elicitazione’ per indicare l’azione di stimolo volta a suscitare emozioni e/o a indurre comportamenti.   66 Tra sentimenti ed eguale rispetto comunità o di reprimere un sentimento che la comunità disapprova, ma nelle quali la considerazione del fenomeno emozionale resta al li- vello dell’interesse normativo e non si traduce in elemento della fatti- specie [...]: il sentimento tende allora a svincolarsi dalla necessità di una sua specifica manifestazione e a confondersi coi valori etici ogget- tivi» 13. Ciò che rileva è la ‘personalità affettiva comune’, ossia «l’insieme dei fatti biologici e psichici che influiscono sul comportamento emo- zionale affettivo e reattivo della persona» definito «in relazione al pa- trimonio sentimentale e alla sensibilità che sono propri in linea di principio dell’intero gruppo sociale» 14. Il sentimento viene in questo modo proiettato in una dimensione collettiva come modo di sentire diffuso che accomuna più individui (c.d. ‘atmosfera emozionale’). Alla luce di tale fisionomia dell’oggetto di tutela, il sentire indivi- duale viene filtrato «in funzione e sotto l’angolo visuale del sistema dei valori di un gruppo diverso e più comprensivo [...] la valutazione contenuta nel sentimento di certe persone o comunità diventa ogget- to di un’altra valutazione contenuta nel modo di sentire o comunque nel sistema dei valori di altre persone o comunità» 15. In definitiva, attraverso le «regole e [gli] istituti con cui il legislatore predispone una tutela penalistica a salvaguardia di sentimenti che nel- l’animo e nel costume dei consociati assumono un alto valore» 16, il di- ritto penale finisce per tutelare non un stato soggettivo della persona, bensì l’oggetto e il valore impersonale che fonda quel dato modo di 13 FALZEA, I fatti di sentimento, cit., p. 368. 14 FALZEA, I fatti di sentimento, cit., p. 380. 15 FALZEA, I fatti di sentimento, cit., p. 332. 16 FALZEA, I fatti di sentimento, cit., p. 356. L’Autore inoltre distingue fra ‘reati di sentimento’, ossia quelli in cui il diritto «punisce il disprezzo [...] verso valori ritenuti fondamentali», ossia le varie forme di vilipendio alle istituzioni (Repub- blica, nazione, bandiera), dai casi in cui il sentimento dell’agente è tale da influire sulla gravità della pena in funzione di circostanza (crudeltà, futilità dei motivi etc.). A ben vedere, una simile prospettazione potrebbe creare fraintendimenti: nella definizione del vilipendio quale reato di sentimento (la cui ragion d’essere trova dunque spiegazione nella mera censura di uno stato interiore considerato contrario a valori ‘oggettivi’) l’occhio del penalista non può fare a meno di riscon- trare una sottile caratterizzazione soggettivistica, secondo tecniche di incrimina- zione tipiche del Gesinnungsstrafrecht. Il suddetto schema non sembra inoltre funzionale ad una prospettiva di bilanciamento, poiché se l’aver provato disprez- zo diviene motivo di incriminazione tout court, relegando in secondo piano i pro- fili di turbamento del sentimento di altri, risulta assai più difficoltoso procedere sulla strada di un equilibrio tra posizioni.   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 67 sentire. Il lessico degli stati affettivi si rivela dunque un orpello retorico volto a porre sotto protezione penale gli oggetti del sentire, ossia valori e simboli ritenuti socialmente significativi nella comunità: «nell’apprestare tutela a determinati sentimenti, il codice non tende a proteggere stati affettivi duraturi in quanto tali: si tratta, piuttosto, di sentimenti – individuali e/o collettivi – concepiti altresì come atteg- giamenti intrisi di valore in una accezione culturale e normativa. Sic- ché si può dire, da questo punto di vista, che la legge penale mira a proteggere più che sentimenti in sé, sentimenti-valori, se non valori tout court» 17. Vediamo nel dettaglio quali sono i valori che, dietro le effigie del sentimento, sono entrati nel catalogo dei beni tutelati dal diritto pe- nale italiano. 2.1.1. Il sentimento religioso I delitti in tema di religione sono un elemento sintomatico del tas- so di secolarizzazione del sistema 18. Nelle legislazioni penali moder- ne, la religione è stata di rado identificata come bene di esclusiva per- tinenza del singolo, e più frequentemente come forma di adesione collettiva o come sentimento istituzionalizzato, ossia entità storica- mente e culturalmente determinata nella quale sono trasfusi valori e patrimoni propri di una o più confessioni. Il codice Rocco parla di ‘sentimento religioso’ 19, ma la legislazione del 1930, fedele nelle rubriche e nella sostanza alla sola religione di Stato, si identificava nel modello di tutela definito come ‘bene di ci- viltà’ 20: era la religione cattolica, affiancata dalla timida presenza dei culti ammessi, e non un qualsiasi sentimento religioso individual- 17 FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti, cit., p. 228. 18 FIANDACA, Laicità del diritto penale e secolarizzazione dei beni tutelati, in AA.VV., a cura di Pisani, Studi in memoria di Pietro Nuvolone, vol. I, Milano, 1991, pp. 180 ss.; SIRACUSANO, Pluralismo e secolarizzazione dei valori: la superstite tutela penale del fattore religioso nell’ordinamento italiano, in AA.VV., a cura di Ri- sicato-La Rosa, Laicità e multiculturalismo. Profili penali ed extrapenali, Torino, 2009, pp. 70 s. Per una panoramica, v. AA.VV., a cura di Brunelli, Diritto penale della libertà religiosa, Torino, 2010. 19 Cfr. MARCHEI, Sentimento religioso e bene giuridico. Tra giurisprudenza costi- tuzionale e novella legislativa, Milano, 2006, pp. 35 ss.; PACILLO, I delitti contro le confessioni religiose dopo la legge 24 febbraio 2006 n. 85, Milano, 2007, pp. 16 ss.  20 SIRACUSANO, I delitti in materia di religione, cit., Milano, 1983, pp. 10 s.  68 Tra sentimenti ed eguale rispetto mente avvertito, a godere di un privilegiato regime di tutela 21. L’impianto codicistico ha subito profonde modifiche ad opera del- la Corte costituzionale, la quale, nel corso degli anni, ha ‘rabbercia- to’ 22 il sistema dei reati riducendo le distonie con i principi codificati nella Carta costituzionale. Particolarmente significativa è la linea giu- risprudenziale inaugurata con la pronuncia n. 440/1995 (sulla con- travvenzione di bestemmia) 23 e seguita dalle pronunce n. 329/1997 (equi- parazione del trattamento sanzionatorio fra religione di Stato e culti ammessi, in relazione all’art. 403 c.p.) e soprattutto n. 508/2000 (ablazione della fattispecie di vilipendio della religione di Stato, art. 402 c.p.) 24: decisioni che attuano un cambio di rotta rispetto alla giu- risprudenza costituzionale che, fino a pochi decenni prima, ancora legittimava il trattamento privilegiato della religione cattolica sulla base di criteri quantitativi e sociologici 25. Argomentando sulla base del principio di laicità, la Corte ha iden- tificato nella dimensione religiosa individuale il corollario di una li- 21 In linea con l’afflato statocentrico che ispira l’intera codificazione, le fatti- specie in tema di religione sono espressione di autoritarismo etico da parte del governo fascista, congeniale al sodalizio politico con la Chiesa Romana formaliz- zato nei Patti Lateranensi: «La religione» dice Rocco «è [...] non tanto un feno- meno attinente alla coscienza individuale, quanto un fenomeno sociale della più alta importanza, anche per il raggiungimento dei fini etici dello Stato», v. Codice penale, illustrato con i lavori preparatori, a cura di Mangini-Gabrieli-Cosentino, Roma, 1930, pp. 331. Per una sintesi, v., ex plurimis, PACILLO, I delitti contro le confessioni religiose, cit., pp. 6 ss. 22 L’espressione è di FIANDACA, Altro passo avanti della Consulta nella rabbercia- tura dei reati contro la religione, in Foro it., 1998, I, pp. 26 ss. Per un’ampia e pun- tuale sintesi della giurisprudenza costituzionale vedi il saggio di VISCONTI C., La tutela penale della religione nell’età post-secolare e il ruolo della Corte costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2005, pp. 1041 ss. 23 Sul tema v., ex plurimis, PALAZZO, La tutela della religione tra eguaglianza e secolarizzazione (a proposito della dichiarazione di incostituzionalità della bestem- mia), in Cass. pen., 1/1996, pp. 47 ss.; DI GIOVINE O., La bestemmia al vaglio della Corte costituzionale: sui difficili rapporti tra Consulta e legge penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2-3/1996, pp. 824 ss. 24 Ex plurimis, VENAFRO, Il reato di vilipendio della religione non passa il vaglio della Corte Costituzionale, in Legislazione penale., 2001, pp. 1073 ss. 25 Cfr. FALCINELLI, Il valore penale del sentimento religioso, entro la nuova tipici- tà dei delitti contro le confessioni religiose, in AA.VV., a cura di Brunelli, Diritto penale della libertà religiosa, Torino, 2010, p. 33; MORMANDO, Religione, laicità, tol- leranza e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2005, pp. 657 ss.; MARCHEI, Sen- timento religioso e bene giuridico, cit., pp. 95 ss.   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 69 bertà costituzionale 26; parametro costituzionale decisivo che ha sup- portato le modifiche più rilevanti è stato il principio di uguaglianza 27. La riforma del 2006, nel dichiarato intento di superare l’anacro- nistico e illiberale modello del codice fascista, ha eliminato il riferi- mento alla religione introducendo il concetto di ‘confessione religio- sa’. In merito all’interesse protetto, la lettura critica offerta dalla pre- valente dottrina individua una sostanziale continuità con la vecchia normativa28, identificando l’oggetto di tutela in una prospettiva che oscilla tra il bene di civiltà ‘pluriconfessionalmente articolato’ e il sentimento collettivo della pluralità dei fedeli che si riconoscono in una determinata confessione religiosa29. Non mancano però letture alternative che cercano di armonizzare la duplice natura, individuale e collettiva, del bene protetto, sottolineando come «la nozione di sen- 26 Pur aderendo sostanzialmente al principio di laicità dello Stato, la giuri- sprudenza costituzionale presenta sensibili oscillazioni circa l’effettiva portata del concetto: cfr. VISCONTI C., Aspetti penalistici del discorso pubblico, Torino, 2008, pp. 45 ss.; ID., La tutela penale della religione, cit., p. 1050. Istanze personalistiche sono emerse quando si è parlato di «sentimento religioso, [il] quale vive nell’in- timo della coscienza individuale e si estende anche a gruppi più o meno numerosi di persone legate tra loro dal vincolo della professione di una fede comune», v. C. cost. n. 188/1975; cfr. MARCHEI, Sentimento religioso, cit., p. 143. 27 Così PULITANÒ, Laicità e diritto penale, in AA.VV., a cura di Ceretti-Garlati, Laicità e stato di diritto, Milano, 2007, p. 309; cfr. VISCONTI C., Aspetti penalistici, cit., p. 39. Sui rapporti tra uguaglianza e diritto penale, v. DODARO, Uguaglianza e diritto penale. Uno studio di giurisprudenza costituzionale, Milano, 2013; FIANDACA, Uguaglianza e diritto penale, in AA.VV, a cura di Cartabia-Vettor, Le ragioni del- l’uguaglianza, Milano, 2009, pp. 115 ss. 28 Si rileva che la Corte non ha assunto decisioni dirompenti, tali da condur- re all’abbattimento del sistema esistente, talvolta riducendo a un semplice pas- saggio ermeneutico, secondo alcuni Autori, lo stesso richiamo alla realtà reli- giosa individuale, nei fatti seguito dalla (ri)legittimazione del paradigma esi- stente: cfr. l’analisi di MARCHEI, Sentimento religioso, cit., pp. 143 ss. Osserva PIEMONTESE, Offese alla religione e pluralismo religioso, in AA.VV., Religione e re- ligioni: prospettive di tutela, tutela delle libertà, a cura di De Francesco-Piemon- tese-Venafro, Torino, 2007, p. 230, che «la libertà individuale parrebbe valoriz- zata, qui, solo in chiusura e ad abundantiam, all’interno di un iter argomentati- vo volto a preservare comunque l’originaria dimensione pubblica ed istituziona- le della tutela»; cfr. PADOVANI, Un intervento normativo scoordinato che investe anche i delitti contro lo Stato, in Guida dir., 14/2006, pp. 23 ss.; BASILE, art. 403 c.p., cit., pp. 1462 ss. 29 Nel primo senso SIRACUSANO, Pluralismo e secolarizzazione dei valori, cit., p. 83; per la seconda opzione v. BASILE, art. 403 c.p., cit., p. 1471. Cfr. anche VISCON- TI C., Aspetti penalistici, cit., p. 196. Ritiene che la riforma del 2006 abbia fatto assurgere il sentimento religioso individuale a bene protetto in via diretta e im- mediata, PACILLO, I delitti contro le confessioni religiose, cit., p. 26.   70 Tra sentimenti ed eguale rispetto timento è solamente un connotato – innegabile quanto imprescindi- bile – di un ben più articolato valore di libertà religiosa» 30. 2.1.2. Il pudore Il richiamo al sentimento è centrale nella definizione delle osceni- tà penalmente rilevanti: sono da considerarsi osceni gli atti e gli og- getti che ‘secondo il comune sentimento’ offendono il pudore (art. 529 c.p.). L’elemento normativo ‘comune sentimento del pudore’31 attinge da un fenomeno di reattività interiore dell’individuo: il pudo- re, genericamente definibile come disposizione soggettiva che induce al riserbo su quanto attiene alla vita sessuale, fonda la soglia sogget- tiva di eventuale disagio avvertibile di fronte a manifestazioni della sessualità 32. Inteso nella dimensione comunitaria il pudore si emancipa dal rapporto di implicazione emotiva individuale e dalla sua concreta sussistenza, scivolando verso un’identificazione con concezioni della morale sessuale: la valorizzazione normativa del pudore diviene in questo modo funzionale a introdurre soglie atte a delimitare manife- stazioni e rappresentazioni aventi contenuto sessuale 33. Il problema del buon costume e della pubblica moralità quali beni di categoria in ambito penalistico ha finito per tradursi nel richiamo a canoni di moralità sessuale 34, concetto quest’ultimo la cui delimita- 30 È la condivisibile notazione di FALCINELLI, Il valore penale del sentimento re- ligioso, cit., p. 48, la quale definisce l’interesse protetto dalle norme post riforma 2006 come sentimento religioso collettivo e al contempo individuale (pp. 39 ss.). 31 Sul tema degli elementi normativi, e in particolare sui rapporti fra il coeffi- ciente di certezza degli elementi normativi culturali e giuridici, v. lo studio di BO- NINI, L’elemento normativo nella fattispecie penale. Questioni sistematiche e costitu- zionali, Napoli, 2016, pp. 320 ss.; sul tema v. anche RISICATO, Gli elementi norma- tivi della fattispecie penale. Profili generali e problemi applicativi, Milano, 2004. 32 Per un’analisi in chiave psicanalitica v., ex plurimis, APPIANI, Tabù. Elogio del pudore, Milano, 2004, pp. 292 ss. 33 Fondamentale FIANDACA, Problematica dell’osceno, cit., pp. 4 ss. Sul proble- ma definitorio del pudore, nella letteratura penalistica più risalente v. ALLEGRA, Il “comune” sentimento del pudore, in Iustitia, 1950, pp. 78 ss.; LATAGLIATA, voce Atti osceni e atti contrari alla pubblica decenza, in Enciclopedia del diritto, vol. IV, Mi- lano, 1959, pp. 49 ss.; VENDITTI, La tutela penale del pudore e della pubblica decen- za, Milano, 1963; GALLISAI PILO, voce Oscenità e offese alla decenza, in Dig. disc. pen., vol. IX, Torino, 1995, pp. 204 ss.; FARINA, Il reato di atti osceni in luogo pub- blico: tensioni interpretative e prospettive personalistiche nella tutela del pudore, in Dir. pen. proc., 7/2005, pp. 867 ss.  34 Cfr. FIANDACA, Problematica dell’osceno, cit., pp. 78 ss.  Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 71 zione è però nondimeno ardua, al punto da costituire classicamente un luogo di forti tensioni tra il diritto punitivo e i principi liberali 35. Ad oggi gli sviluppi giurisprudenziali, incentivati e affinati da im- portanti contributi della dottrina 36, depongono per una riconversione dell’interesse di tutela, il quale è identificato nel diritto a essere pro- tetti da indebite violazioni del proprio riserbo sessuale: esempio tipi- co, l’assistere a manifestazioni di contenuto erotico senza avervi pre- ventivamente acconsentito. Ciò ha condotto a un modello di interven- to incentrato non più su una lesione astratta e potenziale del pudore collettivo, ma teso a reprimere solo le manifestazioni oscene che si impongano a determinati soggetti senza che questi abbiano prestato un preventivo consenso 37. È il carattere della pubblicità più o meno indesiderata dell’atto o della pubblicazione, inteso come capacità di diffusione e percepibilità da parte di soggetti non consenzienti, a fondare l’illiceità, e non la sua natura eventualmente oscena. Si tratta di un ragionevole distacco da modelli di intervento non 35 Sul punto rimarca FIANDACA, Problematica dell’osceno, cit., p. 99, che «[...] il principio della tolleranza ideologica e della tutela delle minoranze impediscono di trasformare il diritto penale di uno Stato democratico in tutore della virtù. [...] Ciò induce a dover giustificare sotto ogni aspetto l’assunto, secondo il quale la punizione dell’immoralità non può rientrare tra gli scopi del diritto penale con- temporaneo. Tanto più che l’esplicito riferimento, contenuto nella Costituzione, alla tutela del buon costume potrebbe essere da taluno interpretato – come di fat- to è avvenuto – appunto in chiave di “copertura” costituzionale all’incriminazione di fatti lesivi di semplici valori morali». Cfr. WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento per il mantenimento di orientamenti sociali di carattere assiologico? Pro- blemi di legittimazione da una prospettiva europea continentale e da una angloame- ricana, in AA.VV., a cura di Fiandaca-Francolini, Sulla legittimazione del diritto penale. Culture europeo-continentale e anglo-americana a confronto, Torino, 2008, pp. 125 ss. 36 Il riferimento è sempre a FIANDACA, Problematica dell’osceno, cit. 37 In giurisprudenza, sentenza capostipite è quella del Tribunale di Torino, 2/04/1982, in Foro it., 1981, II, cc. 529 ss. Nella giurisprudenza di legittimità, Cass. pen., sez. III, 21/01/1994, in Foro it., 1996, II, c. 21; v. anche Cass. pen., SS. UU., 24/03/1995, in Foro it., 1996, II, c. 17 ss. Da ultimo, v. Cass. pen., sez. III, 17/12/2004, n. 48532 e Cass. pen., sez. III, 6/07/2005, n. 34417, che conferma la per- cepibilità dell’osceno da parte del pubblico come elemento costitutivo della fattispe- cie il cui onere probatorio deve essere fornito dall’accusa. Per un avallo del suddetto orientamento da parte della Corte costituzionale, v. la sentenza n. 368/1992, secon- do cui «la misura di illiceità dell’osceno è data dalla capacità offensiva di questo verso gli altri, considerata in relazione alle modalità di espressione e alle circostan- ze in cui l’osceno è manifestato», v. C. cost., n. 368/1992; sia consentito il rinvio a BACCO, Tutela del pudore e della riservatezza sessuale, cit., pp. 303 ss.   72 Tra sentimenti ed eguale rispetto compatibili con uno Stato liberale e pluralista38. Ad oggi l’ordina- mento italiano non tutela un moralistico pudore collettivo 39, ma ap- presta gli strumenti affinché le persone non assistano a manifesta- zioni della sessualità per loro indesiderate: l’equilibrio si fonda su po- tenzialità nell’agire che trovano un limite nell’altrui pretesa di non subire contatti sgraditi. Vi è sì una depsicologizzazione dell’interesse protetto, presentato nelle fogge di una libertà negativa, ma va non- dimeno riconosciuto che il problema della tutela del pudore resta profondamente legato, nella sua matrice, anche a una sensibilità di tipo ‘epidermico’40, non semplicemente morale, ma saldamente in- trecciata alla reattività emotiva della persona. 2.1.3. La pietà dei defunti Pochi termini denotano un’appartenenza al lessico emozionale come la pietà: traduzione del latino pietas, essa, al di là dell’uso gene- rico che connota il sentimento di solidale comprensione nei confronti della sofferenza altrui, designa ancora oggi la dimensione psicologica che scaturisce dall’esperienza della morte dei propri simili, e fa la sua comparsa nel codice penale al capo II del titolo IV. 38 Esigenze di riforma sono state invocate evidenziando un ormai critico rap- porto tra il diritto vivente e la tipicità formale, sottolineando come lo stesso rein- quadramento in termini personalistici del bene giuridico disveli, in definitiva, un’irragionevole disparità sanzionatoria tra l’offesa al pudore (rectius, libertà da visioni indesiderate) e altre offese alla persona: v. FARINA, Il reato di atti osceni, cit., pp. 872 ss. 39 I sentimenti individuali rimangono sullo sfondo, preservati nella loro auto- nomia e senza dover render conto dei propri contenuti: le generalizzazioni e i giudizi su base quantitativa dovrebbero rimanere al di fuori della norma, poiché la libertà del singolo è anche libertà di usufruire e concedersi quello che per molti dei suoi simili potrebbe apparire indecoroso o ripugnante, ovviamente senza in- vadere le altrui sfere di libertà. Autorevoli esponenti del pensiero liberale hanno affermato in questo senso la necessità di una politica ‘anticollettivista’, nella quale cioè «gli interessi della maggioranza non possono mettere a tacere i diritti fon- damentali dell’individuo, se non in circostanze eccezionali, solitamente laddove siano ipotizzabili danni ad altre persone o qualche grave pericolo per l’intera na- zione», v. NUSSBAUM, Disgusto e umanità, tr. it., Milano, 2011, p. 68; cfr. HART, Diritto, morale e libertà, tr. it., a cura di Gavazzi, Acireale, 1968, p. 97. 40 È stato osservato come sia doveroso un approfondimento delle ragioni psi- cologiche alla base di atteggiamenti repulsivi dell’altro, al fine di disvelare (e ar- ginare) l’irrazionalità di fondo che, se trasfusa in dettami normativi, potrebbe condurre a esiti discriminatori: un tipico esempio sono istanze di tutela che tro- vino la propria motivazione in un mero ‘disgusto collettivo’, v. NUSSBAUM, Na- scondere l’umanità, cit., pp. 95 ss.   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 73 L’interpretazione consolidatasi in dottrina individua in tali norme un presidio a un sentimento universale, non una forma di difesa della salute pubblica 41. La tutela è incentrata su oggetti materiali e postula la rilevanza simbolica delle res: oggetti la cui violazione integra il pa- radigma delittuoso in quanto la materialità delle azioni assuma il si- gnificato di dileggio alla memoria 42. Al di là della topografia codicistica, pare opportuno rimarcare l’autonomia concettuale del sentimento di pietà per i defunti dalle eventuali caratterizzazioni religiose43: è sul presupposto di una di- mensione laica di tale sentimento 44, oltre il manto di ritualità cultua- li, che si pone la discussione sulla legittimità e opportunità di un pre- sidio sanzionatorio. Autorevole dottrina è critica nei confronti della scelta politico criminale del codice Rocco: «la previsione autonoma di delitti contro la pietà dei defunti non appare, nell’attuale momento storico, perfet- tamente congrua con la funzione propria di un diritto penale di uno Stato democratico e secolarizzato: il mero sentimento non sembra infatti poter assurgere al rango di bene giuridico, non intaccando la sua semplice violazione quelle condizioni minime della vita in comu- ne la cui salvaguardia legittima l’uso dello strumento penalistico» 45. L’osservazione ha il merito di evidenziare uno dei punti critici del rapporto tra sentimenti e tutela penale: libertà che rischiano di essere soggette alla coercizione di fronte a moti dell’animo umano, il cui turbamento, pur intenso, non dovrebbe essere destinatario di una priorità assoluta all’interno di un contesto pluralista. 41 FIANDACA, voce Pietà dei defunti (Delitti contro la), in Enc. giur., vol. XXIII, Roma, 1990, p. 1; per l’orientamento incline all’interpretazione della norma come tutela della salute pubblica, v. GABRIELI, Delitti contro il sentimento religioso e la pietà verso i defunti, Milano, 1961, p. 371. 42 ROSSI VANNINI, voce Pietà dei defunti (delitti contro), in Dig. disc. pen., vol. IX, Torino, 1995, p. 571. 43 Ex plurimis, cfr. FIANDACA, voce Pietà dei defunti, cit., p. 1; ROSSI VANNINI, vo- ce Pietà dei defunti, cit., p. 570. 44 Non potendo in questa sede offrire un quadro della sconfinata bibliografia, ci limitiamo a segnalare le intense riflessioni contenute nella pubblicazione di AA.VV., a cura di Monti, Che cosa vuol dire morire, Torino, 2010. Argomentazioni condivise da parte di autori di estrazione laica e autori cattolici emergono nei saggi di BODEI, L’epoca dell’antidestino, pp. 57 ss.; DE MONTICELLI, La libertà di divenire sé stessi, pp. 83 ss.; per i secondi, v. REALE, L’uomo non si accorge più di morire, pp. 25 ss.; MAN- CUSO, Se si ha paura della morte, si ha paura della vita, pp. 109 ss. 45 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, vol. I, IV ed., Bologna, 2007, pp. 450 s.   74 Tra sentimenti ed eguale rispetto Nell’attuale configurazione normativa, tuttavia, la tutela del de- funto evoca sentimenti, ma non ha ad oggetto stati psicologici di pa- renti o delle persone ad esso affettivamente legate. Si tratta di un ri- conoscimento dovuto all’essere umano in quanto tale, a prescindere da metafisiche ultraterrene, ma anzi ben ancorato a una concezione secolare dell’esistenza, secondo cui il soggetto può e deve meritare rispetto anche dopo il trapasso 46. È in quest’ottica che può eventual- mente valutarsi l’opportunità del mantenimento di un presidio e i suoi limiti: secondo logiche non pervasive ma ragionevolmente orien- tate alla salvaguardia di un nucleo minimo di rispetto verso chi ha abbandonato la dimensione fisica dell’esistenza. 2.1.4. Il sentimento nazionale e la condotta di istigazione all’odio fra le classi sociali Fra i delitti contro la personalità dello Stato troviamo menzionati lo ‘spirito pubblico’ e il ‘sentimento nazionale’. Si tratta di fattispecie cadute ormai nel dimenticatoio e sostanzialmente inapplicate: l’am- bito di operatività dell’art. 265 (disfattismo politico) è circoscritto, per espressa previsione legislativa, al tempo di guerra; gli artt. 271 e 272 (nella parte in cui faceva riferimento al ‘sentimento nazionale’) sono stati oggetto di dichiarazioni di incostituzionalità con le senten- ze n. 87/1966 e n. 243/2001 47. Al di là del valore di ‘archeologia giuridica’, fra gli elementi costi- tutivi delle suddette fattispecie troviamo il cosiddetto ‘spirito pubbli- co’ e il ‘sentimento nazionale’: concetti strettamente legati, i quali evocano una disposizione affettiva, ossia l’atteggiamento di fede e di attaccamento del cittadino alla nazione. 46 GIUNTA, Verso un rinnovato romanticismo penale?, cit., p. 1554.; cfr. DONINI, “Danno” e “ offesa”nella c.d. tutela penale dei sentimenti, cit., p. 1587, il quale sot- tolinea la possibilità che dall’assenza di tali presidi scaturiscano esiti negativi per la stessa pace sociale; ERONIA, La turbatio sacrorum tra legge e cultura: il caso del- la riesumazione della salma di S. Pio, in Cass. pen., 2/2009, p. 747. Nella relazione al progetto di riforma del codice penale elaborato dalla commissione Pagliaro era stato osservato che: «il bene personalistico della dignità della persona defunta appare costituire l’oggetto primario e costante della tutela contro gli atti irriguar- dosi delle spoglie umane e dei sepolcri, mentre il pur rilevante bene collettivo del suddetto sentimento si presenta come bene secondario ed eventuale», v. Relazione alla bozza di articolato per un progetto di riforma del Codice Penale, consultabile in http://www.ristretti.it/areestudio/giuridici/riforma/relazionepagliaro.htm. 47 L’art. 272 c.p. è stato poi integralmente abrogato dalla legge n. 85 del 2006. Sul tema, v. ALESIANI, I reati di opinione. Una rilettura in chiave costituzionale, Milano, 2006, pp. 275 ss.   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 75 Il concetto di spirito pubblico appare più generico e va delimitato a contesti in cui, a causa dello stato di guerra, viene richiesta al citta- dino fiducia nelle sorti del Paese. Non si tratta di una disposizione da accertarsi in capo a singoli soggetti, bensì di un atteggiamento di col- lettiva partecipazione al sostegno morale della nazione, il quale, se- condo il legislatore del 1930, poteva essere frustrato dalla diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose così da menomare la resisten- za della nazione di fronte al nemico. Il ‘sentimento nazionale’, secondo le parole della Corte costituzio- nale, è da intendersi come corrispondente «al modo di sentire della maggioranza della Nazione e contribuisce al senso di unità etnica e sociale dello Stato» 48. Anche in questo caso il pensiero giurispruden- ziale rifugge da interpretazioni emotivistiche e incentra la tutela pe- nale su un nucleo di valori asseritamente condivisi. La natura puramente ideologica di tale oggetto di tutela ne ha de- cretato l’incompatibilità con la libertà di manifestazione del pensiero. Va però evidenziato che, mentre nella prima parte della motivazione della sentenza n. 87/1966 la Corte descrive tale interesse in termini col- lettivistici, al momento di decretare l’illegittimità della norma incrimi- natrice la fisionomia dell’oggetto di tutela viene riproposta ponendo l’accento in chiave critica sulla componente soggettivo-emozionale: di- ce infatti la Corte che «è pur tuttavia soltanto un sentimento, che sor- gendo e sviluppandosi nell’intimo della coscienza di ciascuno, fa parte esclusivamente del mondo del pensiero e delle idealità». Facendo leva su tale carattere impalpabile 49 viene affermata l’ille- gittimità anche dell’art. 27250 nella parte in cui incrimina la propa- ganda per distruggere o deprimere il sentimento nazionale, salvando invece (fino alla formale abrogazione del 2006) l’incriminazione della propaganda per l’instaurazione violenta della dittatura, per la sop- pressione violenta di una classe sociale e per il sovvertimento violen- to degli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, rico- noscendo in tali norme una tutela del metodo democratico da forme di pensiero prodromiche ad azioni violente. Diversamente da altri ambiti in cui il richiamo a un sentire collet- 48 C. cost. n. 87/1966. 49 Lo sottolinea, ex plurimis, CAVALIERE, La discussione intorno alla punibilità del negazionismo, i principi di offensività e libera manifestazione del pensiero e la funzione della pena, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2016, p. 1009. 50 «Mero reato di opinione, sia pure in senso lato» secondo VASSALLI, Propa- ganda “sovversiva” e sentimento nazionale, in Giur. cost., 1966, II, p. 1100.   76 Tra sentimenti ed eguale rispetto tivo è stato riconvertito dagli interpreti in una prospettiva di tutela della persona, il sentimento nazionale non è riuscito a beneficiare di alcun maquillage ermeneutico, e, dissipatosi il manto della retorica di regime, è scomparso dai beni penalmente tutelati in quanto non in grado di sostenere il confronto con la libertà di espressione. Una vicenda similare ha caratterizzato la problematica disposi- zione dell’art. 415 c.p. (istigazione all’odio fra le classi sociali), che la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo «nella parte in cui non specifica che tale istigazione deve essere at- tuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità». L’eccezione sollevata con riferimento al contrasto con l’art. 21 Cost. viene accolta dalla Corte motivando che la norma, poiché non indica come oggetto dell’istigazione un fatto criminoso specifico o un’attività diretta con- tro l’ordine pubblico o verso la disobbedienza alle leggi, ma sempli- cemente l’ingenerare un sentimento senza nel contempo richiedere che le modalità con le quali ciò si attui siano tali da costituire perico- lo all’ordine pubblico e alla pubblica tranquillità, «non esclude che essa possa colpire la semplice manifestazione ed incitamento alla persuasione della verità di una dottrina ed ideologia politica o filoso- fica della necessità di un contrasto e di una lotta fra portatori di op- posti interessi economici e sociali» 51. Si tratta di una piana applicazione di principi già evidenziati nella sentenza n. 87/1966 (v. supra), che culmina in questo caso in una pronuncia additiva la quale di fatto espunge dall’ordinamento l’incri- minazione dell’istigazione all’odio fra le classi sociali, riconoscendo la preminenza del diritto di libertà alla manifestazione di «teorie del- la necessità del contrasto e della lotta tra le classi sociali [...] che sor- gendo e sviluppandosi nell’intimo della coscienza e delle concezioni e convinzioni politiche, sociali e filosofiche dell’individuo appartengo- no al mondo del pensiero e dell’ideologia» 52. 2.1.5. Il sentimento per gli animali Un ambito del tutto peculiare è costituito dalle norme codicistiche a tutela del cosiddetto ‘sentimento per gli animali’. Nel 2004 è stata introdotta nel codice penale la disciplina che sanziona, in forma di delitto, le condotte di uccisione e maltrattamento di animali; stando alle parole del legislatore, l’interesse tutelato sarebbe il sentimento 51 C. cost., n. 108/1974. 52 C. cost., n. 108/1974.   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 77 per gli animali, ossia l’umana compassione che scaturisce dal rappor- to con la sofferenza dell’animale. L’evidenza testuale suggerisce una connessione con i problemi og- getto della presente indagine, ma l’inquadramento dell’interesse pro- tetto in ossequio al verbo legislativo appare una lettura superficiale. Le tesi dottrinali nel panorama italiano sono espressione di diversi orientamenti53: il primo tendente a dare rilievo alla definizione del legislatore 54; il secondo proiettato all’affermazione di una soggettività giuridica dell’animale 55; un terzo orientamento ‘di compromesso’ 56, e infine una quarta soluzione che appare protesa al riconoscimento di una tutela diretta dell’essere non umano, senza scivolare in proble- matiche (soprattutto da un punto di vista filosofico) ‘soggettivizza- zioni’ dell’animale, ma rimarcando come la tutela diretta dell’animale non umano sia da contestualizzarsi all’interno di un quadro di inte- ressi e controinteressi umani 57. Non potendo approfondire nel corso della presente indagine l’amplissima questione, ci limitiamo ad alcune osservazioni finalizza- te a definire il senso e la peculiarità dell’impianto normativo della tu- tela del sentimento per gli animali in rapporto agli altri ‘sentimenti- valori’ presenti nel codice penale. In primo luogo la tipicità delle fattispecie di cui agli art. 544 bis e 53 Secondo la ricostruzione di FASANI, L’animale come bene giuridico, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2017, pp. 713 ss. 54 Così GATTA, Art. 544 bis c.p., in AA.VV., diretto da Dolcini-Gatta, Codice pe- nale commentato, cit., pp. 2630 ss.; PISTORELLI, Così il legislatore traduce i nuovi sentimenti e fa un passo avanti verso la tutela diretta, in Guida dir., 2004, n. 33, p. 19. Per una sintesi della problematica, v. VALASTRO, La tutela giuridica degli ani- mali, fra nuove sensibilità e vecchie insidie, in Annali online di Ferrara, 1/2007, pp. 119 ss. Va evidenziata la posizione di MANTOVANI F., Diritto penale, IX ed., Pado- va, 2015, p. 188, il quale individua la ratio della tutela penale degli animali in una prospettiva promozionale della stessa dignità umana, in quanto «la riduzione dell’immensa crudeltà verso gli animali [...] attenuando la crudeltà complessiva del mondo, se non rende l’animale più uomo, rende l’uomo meno animale e mi- gliore la Terra». 55 POCAR, Gli animali non umani. Per una sociologia dei diritti, Roma-Bari, 2003, pp. 9 ss.; RESCIGNO, I diritti degli animali. Da res a soggetti, Torino, 2005, pp. 9 ss. Testo di riferimento per l’introduzione alle teorie animaliste è SINGER, Libe- razione animale, tr. it., Milano, 2015. 56 MAZZUCATO, Bene giuridico e “questione sentimento” nella tutela penale della relazione uomo-animale. Ridisegnare i confini, ripensare le sanzioni, in AA.VV., a cura di Castignone-Lombardi Vallauri, Trattato di biodiritto-La questione animale, Milano, 2012, pp. 697 ss.  57 FASANI, L’animale come bene giuridico, cit., pp. 742 ss.  78 Tra sentimenti ed eguale rispetto ss.58 non lascia spazio a valutazioni in termini emozionali; al senti- mento umano di rispetto per gli animali può essere riconosciuto un ruolo propulsivo nei confronti della scelta politico-criminale, ma per ricondurre l’oggetto della tutela ad una sorta di pietas verso gli esseri non umani, dovrebbe essere necessario richiedere nelle condotte quantomeno un grado di pubblicità tale da riflettersi sul sentire col- lettivo. Ciò che fonda la tipicità degli artt. 544 bis e 544 ter è aver uc- ciso con crudeltà un animale o averlo maltrattato con carichi di lavo- ro insopportabili: azioni che possono senz’altro indurre sentimenti negativi nella gran parte degli esseri umani, ma che rilevano norma- tivamente per il semplice fatto di essere state realizzate, e dunque quale offesa ad animali non umani 59. 58 Per una panoramica v. VALASTRO, La tutela penale degli animali: problemi e prospettive, in AA.VV., a cura di Castignone-Lombardi Vallauri, Trattato di biodi- ritto – La questione animale, cit., pp. 649 ss. 59 Sul tema, prima della riforma del 2004, vedi i saggi contenuti in AA.VV., a cu- ra di Mannucci-Tallacchini, Per un codice degli animali, Milano, 2001. Sottolinea FIANDACA, Prospettive di maggiore tutela penale degli animali, in AA.VV., a cura di Mannucci-Tallacchini, Per un codice degli animali, cit., pp. 86 ss., che, al di là della possibile disputa circa un’ipotetica soggettività giuridica animale, per legittimare una tutela penalistica possa essere sufficiente «parlare di “interessi animali” degni di riconoscimento e tutela: interessi considerati in una dimensione oggettiva, a pre- scindere dal problema di una loro riferibilità all’animale come soggetto giuridico», ritenendo plausibile che «gli animali [siano] portatori di due interessi fondamentali: l’interesse alla sopravvivenza e l’interesse alla minore sofferenza possibile». Il di- stacco da un’ottica antropocentrica, con implicita emancipazione da una ratio di tutela incentrata sul sentimento umano per gli animali, appare peraltro ravvisabile anche nella giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, relativa all’art. 727, il quale, prima dell’introduzione del titolo IX bis, incriminava le condotte di maltrat- tamento di animali: v., in particolare, Cass. pen., sez. III, 14/03/1990, in Cass. pen., 1992, p. 951, la quale afferma che «in via di principio [...] l’art. 727, in considerazio- ne del tenore letterale della norma (maltrattamento) e del contenuto di essa (ove si parla non solo di sevizie ma anche di sofferenze e di affaticamento) tutela gli ani- mali in quanto autonomi esseri viventi, dotati di sensibilità psico-fisica e capaci di reagire agli stimoli del dolore, ove essi superino la soglia di normale tollerabilità. La tutela è, dunque, rivolta agli animali in considerazione della loro natura»; in senso conforme, v. Cass. pen., sez. III, 16/10/2003, n. 46291, in Dir. giust., 2003, pp. 46 ss.; Cass. pen., sez. III, 22/01/2002, n. 8547, in Nuovo dir., 2002, pp. 1071 ss., secondo cui «La “ratio” della disposizione di cui all’art. 727 c.p. è quella di voler perseguire condotte caratterizzate da un’apprezzabile componente di lesività dell’integrità fisi- ca e-o psichica dello animale». Più contraddittoria appare invece la giurisprudenza di legittimità dopo la novella del 2004: si veda, ad esempio, Cass. pen., sez. III, 24/10/2007, n. 44822, ove si afferma che «La norma è volta a proibire comporta- menti arrecanti sofferenze e tormenti agli animali, nel rispetto del principio di evi- tare all’animale, anche quando questo debba essere sacrificato per un ragionevole motivo, inutili crudeltà ed ingiustificate sofferenze», rimarcando tuttavia che «in   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 79 L’identificazione dell’oggetto di tutela in un (non meglio identifi- cato) sentire comune costituisce una lettura pregna di risvolti pro- blematici60, e sono in questo senso condivisibili interpretazioni più ragionevoli che suggeriscono di configurare l’interesse tutelato in termini di relazionalità e ‘interspecificità’: «andare oltre la dicotomia radicale e guardare nel mezzo [...] cioè nel rapporto tra l’uomo e l’animale; lì si rinviene il bene giuridico davvero tutelabile dal diritto penale, nel quadro delle garanzie costituzionali. [...] L’animale non riempie, non esaurisce, l’orizzonte di tutela (penale). L’uomo (che prova qualcosa davanti all’animale e che invoca per quest’ultimo un dignitoso trattamento) non scompare dalla scena» 61. Nel complesso, i problemi connessi alla tutela del sentimento per gli animali non sembrano propriamente accomunabili a quelli ri- scontrati in relazione agli altri ‘sentimenti’ tutelati dalle norme pena- li. Una differenza di fondo è che le disposizioni a tutela della religio- ne o del pudore chiamano in gioco un bilanciamento fra interessi in- terno al confronto fra esseri umani e basato su entità immateriali come i valori normativo-ideali; dall’altra parte, per quanto il ricono- scimento di una soggettività giuridica all’animale sia un problema aperto, in sede di ricostruzione dell’oggetto di tutela appare preferibi- le tenere conto della soggettività animale senza sublimarla né in un impalpabile sentire dell’uomo né in un mero contenuto ideale, ma piuttosto come problema che sollecita un approfondito studio delle condizioni di compatibilità fra esigenze umane e rispetto della vita di esseri non umani. Per tali ragioni, il tema del sentimento degli animali pone que- stioni non inquadrabili nella tutela dei cosiddetti ‘sentimenti-valori’, né appare accostabile al tema del disagio emotivo, rivelandosi piutto- sto la proiezione di un problema antico e ancora attuale, concernente gli equilibri di vita e sopravvivenza fra uomo ed ecosistema 62. tali disposizioni l’oggetto di tutela è il sentimento di pietà e di compassione che l’uo- mo prova verso gli animali e che viene offeso quando un animale subisce crudeltà e ingiustificate sofferenze. Scopo dell’incriminazione è quindi di impedire manifesta- zioni di violenza che possono divenire scuola di insensibilità delle altrui sofferenze». 60 Ben evidenziati da MAZZUCATO, Bene giuridico e “questione sentimento”, cit., pp. 697 ss. 61 MAZZUCATO, Bene giuridico e questione “sentimento”, cit., p. 703. 62 Un’interessante lettura sulla complessità del rapporto fra uomo e animali non umani è il libro di HERZOG, Amati, odiati, mangiati. Perché è così difficile agire bene con gli animali, tr. it., Torino, 2014. Per un inquadramento dell’impianto di tutela penale degli animali nel più ampio contesto dei reati contro l’ambiente e   80 Tra sentimenti ed eguale rispetto 2.1.6. Il comune sentimento della morale Passando all’ambito extracodicistico, le disposizioni normative in cui è più evidente ed univoco il richiamo al sentimento quale oggetto di tutela sono gli artt. 14 e 15 della legge n. 47 del 1948: l’art. 14 stabi- lisce la rilevanza penale, ai sensi dell’art. 528 c.p., di pubblicazioni destinate ai fanciulli e agli adolescenti quando, per la sensibilità e l’impressionabilità ad essi proprie, siano idonee a offendere il loro sentimento morale o a costituire per essi incitamento alla corruzione, al delitto, al suicidio; l’art. 15 si rivolge parallelamente alla tutela di soggetti adulti, vietando la pubblicazione di stampati i quali descri- vano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il ‘comune sentimento della morale’ 63. Punto centrale delle fattispecie, che ne determina (fortunatamente) anche le difficoltà applicative, è l’esigenza di accertare l’idoneità delle condotte alla causazione di eventi determinati («favorire il disfrenarsi di istinti di violenza, diffondersi di suicidi o delitti»). Al fianco di tali eventi si pone l’offesa o il turbamento al sentimento morale, formula tanto eloquente quanto indeterminata: «fondata sopra un presupposto empirico e nebuloso di morale corrente, essa reca con sé tutti i pericoli che le norme ispirate a concetti vaghi, a intuizioni, a sentimenti porta- no sempre nella loro applicazione concreta» 64. L’accostamento esplicito fra il sentire e la morale trova probabil- mente la sua ragione nell’intento di introdurre una disposizione il più possibile assonante con l’art. 529 c.p. (comune sentimento del pudo- re), rielaborando in termini più estensivi i divieti stabiliti in tema di buon costume sessuale65; una connessione che si motiva anche con l’obiettivo di trovare un aggancio costituzionale esplicito a un inte- resse che deve essere bilanciato con la libertà di espressione 66. l’ecosistema v. RUGA RIVA, Diritto penale dell’ambiente, II ed., Torino, 2016, pp. 293 ss. Per una prospettiva socio-criminologica sul rapporto uomo-ambiente v. NATA- LI, Green Criminology. Prospettive emergenti sui crimini ambientali, Milano, 2015 (in particolare v. pp. 252 ss.). 63 Sul tema, per tutti, NUVOLONE, Il diritto penale della stampa, Padova, 1971, pp. 232 ss.; ID., I limiti della libertà di stampa nell’art. 15 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, in Arch. pen., 1952, II, pp. 555 ss. 64 NUVOLONE, Il diritto penale della stampa, cit., p. 234. 65 Parla di ‘triplice oggetto del reato’ (sentimento della morale, ordine familia- re, ordine pubblico) NUVOLONE, I limiti della libertà di stampa, cit., p. 551. 66 La connessione fra sentire, morale e buon costume emerge anche in C. cost., n. 9/1965, la quale ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale sol-   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 81 Le sporadiche applicazioni confermano la centralità a livello teo- rico del nesso fra turbamento emotivo e offesa alla morale: appare significativa ad esempio una pronuncia della Corte di Appello di Ro- ma nella quale si nega la sussistenza della fattispecie in relazione alle immagini di una donna col cordone ombelicale attaccato, sulla base della motivazione che simili immagini non potrebbero provocare tur- bamento o orrore, e pertanto non offendono la morale 67. Il più eloquente contributo alla definizione dell’interesse protetto dall’art. 15 è la sentenza n. 293/2000, con la quale la Corte costituzio- nale ha ritenuto inammissibile l’eccezione di incostituzionalità della norma per contrasto con l’art. 21 Cost.: «L’art. 15 della legge sulla stampa del 1948, esteso anche al sistema ra- diotelevisivo pubblico e privato dall’art. 30, comma 2, della legge 6 ago- sto 1990, n. 223, non intende andare al di là del tenore letterale della formula quando vieta gli stampati idonei a “turbare il comune senti- mento della morale”. Vale a dire, non soltanto ciò che è comune alle di- verse morali del nostro tempo, ma anche alla pluralità delle concezioni etiche che convivono nella società contemporanea. Tale contenuto mi- nimo altro non è se non il rispetto della persona umana, valore che anima l’art. 2 della Costituzione, alla luce del quale va letta la previsione incriminatrice denunciata. [...] La descrizione dell’elemento materiale del fatto-reato, indubbiamente caratterizzato dal riferimento a concetti elastici, trova nella tutela della dignità umana il suo limite, sì che appa- re escluso il pericolo di arbitrarie dilatazioni della fattispecie, risultando quindi infondate le censure di genericità e indeterminatezza» 68. Come è stato osservato in dottrina, tale sentenza ha compiuto un’operazione di rivisitazione/trapianto, finendo per concepire come vasi comunicanti il ‘comune sentimento del pudore’ e il ‘comune sen- timento della morale’ attraverso il passepartout della dignità uma- levate in relazione all’art. 553 c.p. (incitamento a pratiche contro la procreazione), osservando in motivazione che «[n]on diversamente il buon costume risulta da un insieme di precetti che impongono un determinato comportamento nella vita sociale di relazione, la inosservanza dei quali comporta in particolare la violazione del pu- dore sessuale, sia fuori sia soprattutto nell’ambito della famiglia, della dignità perso- nale che con esso si congiunge, e del sentimento morale dei giovani, ed apre la via al contrario del buon costume, al mal costume e, come è stato anche detto, può com- portare la perversione dei costumi, il prevalere, cioè, di regole e di comportamenti contrari ed opposti». 67 App. Roma, 13 maggio 1958, in Arch. pen., 1959, III, p. 166. 68 C. cost., n. 293/2000. Tali conclusioni sono state confermate in una succes- siva ordinanza che ha dichiarato la manifesta infondatezza della medesima ecce- zione di costituzionalità, v. C. cost., n. 92/2002.   82 Tra sentimenti ed eguale rispetto na69. La chiosa della Corte, quando esclude censure di genericità e indeterminatezza, è alquanto frettolosa, per non dire superficiale, e fonda il discorso su un valore sì fondamentale, ma tutt’altro che defi- nito nei risvolti applicativi 70. Merita attenzione la triade concettuale ‘sentimento-morale-di- gnità’: l’evocazione del sentimento è disgiunta da profili di reattività psichica, e dunque dall’aggancio a una dimensione individuale, po- nendosi come sinonimo di minimum etico. Il delitto di cui all’art. 15 della legge sulla stampa, pur essendo so- stanzialmente inapplicato, riveste a nostro avviso importanza centrale, dal punto di vista teorico, nel ‘microsistema’ delle disposizioni a tutela di ‘sentimenti’; ne rivela i tratti più problematici, poiché attribuisce a stati affettivi come disgusto e orrore il ruolo di parametro etico per la valutazione di cosa possa considerarsi moralmente adeguato, ricono- scendo dunque a tali emozioni un ruolo cognitivo-valutativo che oggi sappiamo essere tutt’altro che attendibile (vedi infra, cap. IV). 2.2. Lessico delle norme e piano fenomenico: sentimenti o emo- zioni? Un passaggio concettualmente importante consiste nel decodifica- re il richiamo giuridico a emozioni e sentimenti in rapporto all’al- ternativa fra concezioni meccanicistiche e concezioni valutative (v. supra, cap. II). A nostro avviso la chiave di lettura più funzionale all’analisi delle norme che l’ordinamento italiano pone a tutela di ‘sentimenti’ è la concezione valutativa: gli interessi denominati dal legislatore ‘senti- menti’ acquistano rilevanza normativa in virtù di una peculiare tra- iettoria dell’intenzionalità dello stato affettivo 71. Si tratta di un modo di concepire il sentimento del tutto simile al significato che Joel Feinberg propone quando analizza il cosiddetto ‘appello ai sentimen- 69 VISCONTI C., Aspetti penalistici, cit., p. 14. 70 Cfr. TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, bilanciamento e propa- ganda razzista, Torino, 2013, pp. 14 s. 71 Intendiamo il concetto di intenzionalità secondo l’accezione proposta da John Searle, ossia «quella proprietà di molti stati ed eventi mentali tramite la quale essi sono direzionati verso, o sono relativi a oggetti e stati di cose del mon- do», SEARLE, Sull’intenzionalità. Un saggio di filosofia della conoscenza, tr. it., Mi- lano, 1985, p. 11. In termini generali, sul concetto di intenzionalità v. GALLAGHER- ZAHAVI, La mente fenomenologica, cit., pp. 166 ss.   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 83 ti’ nelle questioni etiche: il filosofo americano ritiene infatti che ciò a cui si fa riferimento non sia un mero stato emotivo, ma la peculiare risposta soggettiva che gli individui possono provare nel rapporto con determinati oggetti 72. È bene distinguere tra l’oggetto del sentire e la sindrome affettiva, quali elementi costitutivi delle entità psico-sociali che il diritto pren- de in considerazione. L’uso giuridico, in accordo col senso comune, adopera la categoria del sentimento in un modo che tende a fondere il profilo soggettivo dell’affettività con la sua proiezione esterna e dunque con l’oggetto del sentire 73. La distinzione fra sindrome affet- tiva e oggetto del sentire permette di tematizzare in modo separato i profili pertinenti da un lato alla selezione degli ‘oggetti emotigeni’, e dall’altra alla tipologia di stati affettivi che potrebbero eventualmente venire in gioco. L’oggetto del sentire è ciò che definisce il substrato materiale o ideologico dell’offesa: ad esempio si parla di sentimento religioso per dare rilevanza non a un astratto sentire ma quel genere di esperienza emotiva che ha a che fare con la fede religiosa. Stesso discorso per altri interessi definiti ‘sentimenti’: il sentimento del pudore come di- sposizione a provare un certo tipo di reazioni soggettive in rapporto a manifestazioni della sessualità; oppure il sentimento nazionale quale 72 FEINBERG, Sentiment and sentimentality, cit., pp. 21 ss.: «Unlike some emo- tions, sentiments are not mere objectless perturbations with subtle but neutral affective colorings. They too have an essential polarity to them (pleasant-unpleasant, friendly-unfriendly, postive-negative), though unlike attitudes, the positive or negative character of sentiments is not simply a “pro” or “con,” “for” or “against” posture [...] Some of the terms we apply to the objects of positive or negative sen- timents are themselves definable not in terms of the inherent properties of those objects but rather in terms of the sentiments they are thought naturally or properly to awaken». 73 È significativo quanto osservato in ambito psicologico: «[i]n genere, le per- sone dichiarano sentimenti patriottici più o meno intensi in momenti diversi del- la loro vita; come sono tali sentimenti? L’ovvia risposta a tale domanda è che que- sti sentimenti non hanno alcun senso di esistere, per lo meno non al di fuori della tendenza del singolo a provare altri tipi di sentimenti (orgoglio, dolore, vergo- gna), nei quali la sua vita affettiva appare in linea con sorti della nazione. In tal senso, da un patriota ci si aspetta che provi gioia e orgoglio quando la sua nazio- ne vince, dolore o compassione quando essa è in crisi, rabbia se è ingiustamente diffamata, e disperazione nella sconfitta umiliante. Pertanto, osservando atten- tamente la vita interiore e le abitudini di un patriota, non vi si troverà mai una traccia di quel sentimento particolare chiamato “patriottismo” al di fuori di quan- to scritto sopra», v. ROYZMAN-MCCAULEY-ROZIN, Da Platone a Putnam: quattro mo- di di pensare all’odio, in AA.VV., a cura di Sternberg, Psicologia dell’odio. Cono- scerlo per superarlo, tr. it., 2007, Gardolo, p. 11.   84 Tra sentimenti ed eguale rispetto forma di partecipazione affettiva, ‘patriottica’, alle vicende della pro- pria nazione. Veniamo ad analizzare il versante della sindrome affettiva: qual è il fenomeno che appare più aderente alle situazioni descritte nel con- testo codicistico? Una importante differenza fra emozione e sentimen- to è identificabile nella consistenza e nella durata: l’emozione, secon- do quanto abbiamo precedentemente osservato in accordo con le ela- borazioni delle diverse branche dei saperi lato sensu psicologici, rap- presenta una componente dinamica del sentire, ossia uno stato men- tale di breve durata, caratterizzato da una predominante componente reattiva; il sentimento è uno stato più durevole e radicato (vedi supra, cap. II). Parlare di una tutela di emozioni in senso stretto è improprio74; ma appare non del tutto corretta con anche un’eventuale associazio- ne degli oggetti tutelati dal codice a stati psichici più duraturi. L’accezione che in relazione ai ‘sentimenti-valori’ consente di in- staurare una connessione ‘non irrealistica’ con la dimensione feno- menica è rappresentata a nostro avviso dal concetto di ‘disposizione individuale del sentire’: non un accostamento a emozioni in senso stretto e neanche a stati duraturi in quanto tali, ma piuttosto ad at- teggiamenti che delineano l’orientamento affettivo e assiologico della persona in conseguenza della maggiore o minore partecipazione emotiva nel rapporto con determinati oggetti e situazioni. Entità co- me il sentimento religioso, il sentimento del pudore et similia, ap- paiono funzionali a richiamare disposizioni soggettive a provare emo- zioni 75. 2.3. Atti persecutori: sofferenza psichica e libertà di autodetermi- nazione Parlando di sentimenti come ‘disposizioni del sentire’ si potrebbe intendere il problema di tutela anche come protezione delle condi- zioni di formazione del sentire, e dunque come assenza di forme di coartazione psichica. In questo modo si finirebbe però per identifica- re nella libertà morale l’interesse di fondo, accomunando in modo improprio ambiti di intervento che restano ben distinti nel codice 74 Cfr. FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti, cit., p. 228. 75 Si veda anche l’impostazione di FEINBERG, Sentiment and Sentimentality, cit., pp. 21 ss.   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 85 penale e che la dottrina ha contribuito anche di recente a definire nelle rispettive sfere di autonomia 76. Ci sembra più adeguato tenere in evidenza la distinzione concet- tuale e collocare la problematica dei ‘sentimenti-valori’ e delle dispo- sizioni del sentire a uno stadio nel quale la libertà morale, intesa co- me «libertà di conservare la propria personalità psichica, [...] di ra- gionare con la propria testa, [...] di formarsi una propria fede religio- sa politica e di conservarla come di mutarla [...]»77, sia da conside- rarsi elemento acquisito, e dunque come precondizione delle situa- zioni in cui possono eventualmente crearsi conflitti relativi al piano dei ‘sentimenti-valori’. Il tema della tutela da forme di turbamento emotivo e di coarta- zione psichica viene in gioco in relazione a un’altra fattispecie del codice italiano, anch’essa formulata attraverso il richiamo a stati af- fettivi, ossia il delitto di ‘atti persecutori’. La condotta tipica consiste nel porre in essere azioni di minaccia o molestia tali da ingenerare un perdurante e grave stato d’ansia e di paura, ossia stati psichici caratterizzati da un tono edonico negativo e dunque in grado di alterare l’equilibrio emotivo dell’individuo e la sua tranquillità 78. Si può parlare di tutela di sentimenti in un senso che contribuisce a rimarcare che l’interesse protetto ha a che fare in primo luogo con la dimensione affettiva del singolo; in questo senso si è ben sottoli- neato che il delitto di atti persecutori rappresenta l’avvio di un trend politico criminale «attento a consolidare la finora striminzita tutela codicistica dei sentimenti di stampo individuale, in luogo della classi- ca e per certi aspetti controversa tutela dei sentimenti di tipo colletti- vo [...] virando verso una maggiore concretizzazione personologica del bene giuridico» 79. La rilevanza giuridica dello stato affettivo non è però qualificata dall’oggetto del sentire, ma piuttosto dall’impatto 76 NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica, cit., pp. 66, 70, 83 ss., 151 ss.; VITARELLI, Manipolazione psicologica e diritto penale, Roma, 2013, pp. 121 s. Quest’ul- tima si sofferma in particolare sulle interferenze fra tutela della libertà psichica e della libertà di manifestazione del pensiero osservando che il semplice utilizzo della parola, in assenza di violenza e inganno, resta comunque resistibile e dun- que non può considerarsi come forma di compressione della libertà morale. 77 È la cristallina definizione di VASSALLI, Il diritto alla libertà morale, in AA.VV., Studi giuridici in memoria di Filippo Vassalli, vol. II, Roma, 1960, p. 1675. 78 Ex plurimis, MAUGERI, Lo stalking, cit., pp. 104 ss.; COCO, La tutela della liber- tà individuale nel nuovo sistema ‘anti-stalking’, Napoli, 2012, pp. 119 ss.  79 CAPUTO, Eventi e sentimenti, cit., p. 1388 (nota 38).  86 Tra sentimenti ed eguale rispetto sull’equilibrio psico-fisico del soggetto. Non sono in gioco ‘sentimen- ti-valori’: nella fattispecie di atti persecutori il bene-sentimento as- sume una connotazione più psicologica che simbolico-valoriale. Il richiamo a stati affettivi nel delitto di stalking ha una funzione rilevante sul piano della tipicità: gli eventi emotivi descritti nella fat- tispecie devono essere oggetto di prova. L’alternativa di fondo è fra una concezione patologica, secondo la quale è necessario un accer- tamento medico-legale della sussistenza (quantomeno nel caso dello stato d’ansia) di disturbi diagnosticabili secondo un paradigma me- dico-psicologico80, e un orientamento differente secondo il quale è sufficiente un disagio accertabile in autonomia dal giudice 81. Appare comunque riduttivo appiattire il disvalore dello stalking sullo stimolo di sensazioni negative identificate attraverso standard cognitivi basati sul senso comune 82. La tipicità penale è imperniata su un’interazione di tipo psicologico e sulle conseguenti reazioni in- dotte nella vittima, e gli eventi psichici assumono rilevanza in un’ot- tica strumentale all’evento finale, sostanziandosi «in percorsi motiva- zionali diretti all’assunzione di una decisione da parte del soggetto passivo» 83. Nel delitto di atti persecutori il fatto emozionale assume rilievo quale causa potenzialmente condizionante il comportamento e la vita di un soggetto. Non dovrebbe essere sufficiente un mero stato edoni- co negativo, ma si dovrebbe, a nostro avviso, verificare la sussistenza di stimoli emotivi tali da produrre alterazioni della funzionalità di scopo nella complessiva economia di azione dell’individuo: forme di turbamento psicologico che la dottrina penalistica ha collocato nella 80 BRICCHETTI-PISTORELLI, Entra nel codice la molestia reiterata, in Guida dir., 10/2009, pp. 58 s.; cfr. BARBAZZA-GAZZETTA, Il nuovo reato di atti persecutori, in Al- talex, p. 3. 81 VALSECCHI, Il delitto di atti persecutori (il cd. stalking), in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2009, p. 1389. A favore di una concezione intermedia si pongono FIANDA- CA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, tomo I, IV ed., Bologna, 2013, p. 231; CAPUTO, Eventi e sentimenti, cit., p. 1406. In giurisprudenza è discusso se debba trattarsi di uno stato tale da integrare gli estremi di una malattia mentale; per ora sembra prevalere l’orientamento che non richiede l’accertamento di uno stato patologico, ritenendo sufficiente che gli atti ritenuti persecutori «abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima», così Cass. pen., sez. V, 10/01/2011, n. 16864; cfr. Cass. pen., sez. V, 01/12/2010, n. 8832; Cass. pen., sez. V, 11/11/2015, n. 45184. 82 In questo senso la condivisibile posizione di NISCO, La tutela penale dell’inte- grità psichica, cit., pp. 238 ss.  83 Così li definisce efficacemente CAPUTO, Eventi e sentimenti, cit., p. 1400.  Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 87 categoria della ‘sofferenza psichica’, corrispondenti a «un’alterazione della mente nella sua consistenza, né più né meno di quanto possa accadere ad una macchina danneggiabile; ed un’alterazione del fun- zionamento di questa ‘macchina’ come entità diretta ad uno scopo, secondo una prospettiva nella quale la sofferenza emerge come misu- ra eccessiva di frustrazione di tale scopo, a prescindere dal danneg- giamento della macchina» 84. 3. La definizione di ‘sentimento’ come connotazione simbolica negativa nel discorso penalistico Attraverso un excursus sulle norme di diritto positivo abbiamo cercato di dare una dimensione al versante descrittivo della formula ‘tutela penale di sentimenti’. Passiamo ora a considerare il profilo che abbiamo definito ‘connotativo’ e che attiene alla dimensione teoreti- co-speculativa. Nel discorso penalistico è oggi frequente l’uso della parola ‘senti- mento’ per definire in termini critici oggetti di tutela la cui fisiono- mia appare difficilmente determinabile, esposti al rischio di interpre- tazioni soggettivistiche e suscettibili di incentivare problematiche espansioni dell’intervento penale; il lessico dei sentimenti non emer- ge in questo caso da norme, ma dai discorsi dei giuristi. L’interrogativo concernente la tutelabilità di sentimenti per mezzo del diritto penale ha tradizionalmente suscitato la diffidenza della dot- trina penalistica, non solo nel panorama italiano ma anche nel conte- sto europeo-continentale85: più in generale, il pensiero penale che 84 NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica, cit., p. 68. 85 «Ampio consenso sussiste [...] circa il fatto che l’utilizzo di norme penali è il- legittimo quando si tratti di tutelare sentimenti o rappresentazioni morali o di valore», v. WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento per il mantenimento di orientamenti sociali di carattere assiologico?, cit., pp. 127 s. Nella dottrina tedesca, il richiamo a sentimenti è presente nello storico saggio di BIRNBAUM, Über das Erfoderniß einer Rechtsverletzung zum Begriffe des Verbrechens, mit besonderer Rücksicht auf den Begriff der Ehrenkränkung, in Archiv des Criminalrechts, Neue Folge, 1834, pp. 189 s. Vi è poi l’analisi di MISCH, Der Strafrechtliche Schutz der Gefühle, Frankfurt am Main-Tokyo, 1911 (ristampa del 1977), pp. 41 ss. Le opere successive mantengono il focus sul problema della configurabilità come bene giu- ridico (Rechtsgut) soffermandosi su un’analisi che privilegia l’aspetto dogmatico piuttosto che la dimensione di politica del diritto; cfr. VOLK, Gefühlte Rech- tsgüter?, in FS für Roxin zum 80. Geburstag, Band 1, Berlin-New York, 2011, pp. 215 ss.; SEELMAN, Verhaltensdelikte: Kulturschutz durch Recht?, in FS für H. Jung,   88 Tra sentimenti ed eguale rispetto identifichi la propria guida assiologica nei principi liberali ha da sem- pre un rapporto problematico con le norme a tutela di sentimenti 86. Le motivazioni non si limitano a questioni di tassatività e deter- minatezza delle fattispecie, ma hanno a che fare con ragioni di politi- ca del diritto: dietro gli oggetti di tutela definiti ‘sentimenti’ i legisla- tori hanno di fatto apprestato forme di presidio a valori, ossia a con- cezioni della vita buona, o della morale sessuale, o in generale a con- cezioni normativo-ideali. Le norme a tutela di sentimenti hanno dunque un altissimo coefficiente di pregnanza etica e riflettono at- teggiamenti valoriali di fondo la cui tutela per mezzo del diritto pena- le può rappresentare un fattore di alterazione degli equilibri fra mag- gioranze e minoranze in un contesto pluralista 87. Non deve dunque sorprendere il fatto che il problema della tu- tela di sentimenti rappresenti un capitolo importante nel discorso sulla legittimazione delle norme penali, per quanto spesso non venga richiamato attraverso la formula che qui stiamo analizzan- do, ma si trovi inserito all’interno di altri macrotemi; ad esempio nel discorso concernente i rapporti fra diritto penale e morale 88 o Baden-Baden, 2007, pp. 893 ss.; più diffusamente HÖRNLE, Grob anstößiges Verhalten. Strafrechtlicher Schutz von Moral, Gefühlen und Tabus, Frankfurt, 2005. Nella dottrina spagnola v. ALONSO ALAMO, Sentimientos y derecho penal, cit., pp. 64 ss.; GIMBERNAT ORDEIG, Presentaciòn, in AA.VV., a cargo de Alcàcer Guirao-Lorenzo- Ortiz de Urbina Gimeno, La teorìa del bien jurìdico. Fundamento de legitimaciòn del Derecho penal o juego de abalarios dogmàtico?, Madrid-Barcelona, 2007, pp. 11 ss. 86 Cfr. HÖRNLE, La protecciòn de sentimientos en el StGb, in AA.VV., a cargo de Alcàcer Guirao-Lorenzo-Ortiz de Urbina Gimeno, La teorìa del bien jurìdico. Funda- mento de legitimaciòn del Derecho penal o juego de abalarios dogmàtico?, cit., p. 383. 87 Cfr. TESAURO, La propaganda razzista tra tutela della dignità umana e danno ad altri, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2016, p. 972. 88 Il richiamo a sentimenti ed emozioni intrattiene un legame particolarmente stretto con i problemi relativi al rapporto tra diritto penale e morale; nella pro- spettiva liberale l’incriminazione di condotte ritenute contrarie a dettami morali o a tabù in assenza di veri e propri danni viene motivata, in termini critici, quale violazione di un sentire. Se da un lato le incriminazioni, o le ipotesi di incrimina- zione, di violazioni morali vengono definite criticamente come offese a sentimen- ti, non bisogna tuttavia inferire frettolosamente la veridicità dell’eventuale per- corso logico inverso, ossia che anche tutte le ipotesi di tutela di un particolare sentimento costituiscano delle proiezioni del più ampio problema della punizione della mera immoralità: sarebbe infatti una conclusione che pecca di genericità e non consentirebbe di riservare la dovuta attenzione ai diversi problemi di tutela, anche non meramente ‘moralistici’, che potrebbero ragionevolmente emergere dietro l’evocazione di un sentimento. Sul tema della punizione dell’immoralità, in una prospettiva che mette in dialogo i criteri di legittimazione di matrice euro- peo-continentale e anglo-americana, v. FIANDACA, Punire la semplice immoralità?   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 89 in relazione al problema del paternalismo penale 89. Nella dottrina italiana le perplessità di fronte a istanze di tutela caratterizzate da una componente emozionale sono inizialmente formulate in contesti di analisi incentrati su temi di diritto positivo o di teoria generale del reato, e mantengono un angolo visuale definibi- le come ‘endopenalistico’, se non proprio ‘endocodicistico’. Risulta particolarmente significativo il richiamo che viene fatto al sentimento in un autorevole studio sul bene giuridico 90: nell’esporre Un vecchio interrogativo che tende a riproporsi, in AA.VV., a cura di Cadoppi, Lai- cità, valori, e diritto penale. The Moral Limits of The Criminal Law. In ricordo di Joel Feinberg, Milano, 2010, pp. 207 ss.; DE MAGLIE, Punire le condotte immorali?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2016, pp. 938 ss. 89 CADOPPI, Paternalismo e diritto penale: cenni introduttivi, in Criminalia, 2011, pp. 223 ss.; ID., Liberalismo, paternalismo e diritto penale, in AA.VV., a cura di Fian- daca-Francolini, Sulla legittimazione del diritto penale, cit., pp. 83 ss.; CANESTRARI- FAENZA, Paternalismo penale e libertà individuale: incerti equilibri e nuove prospettive nella tutela della persona, in AA.VV., a cura di Cadoppi, Laicità, valori e diritto penale, cit., pp. 167 ss.; CORNACCHIA, Placing care. Spunti in tema di paternalismo penale, in Criminalia, 2011, pp. 239 ss.; PULITANÒ, Paternalismo penale, in AA.VV., a cura Forti- Bertolino-Eusebi, Studi in onore di Mario Romano, I, cit., pp. 489 ss.; ROMANO, Danno a sé stessi, paternalismo legale e limiti del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2008, pp. 984 ss.; SPENA, Esiste il paternalismo penale? Un contributo al dibat- tito sui principi di criminalizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2014, pp. 1209 ss. Con riferimento al tema del potenziamento cognitivo, v. ZANNOTTI, Potenziamento umano: le considerazioni di un penalista, in AA.VV., a cura di Palazzani, Verso la sa- lute perfetta. Enhancement tra bioetica e biodiritto, Roma, 2014, pp. 134 ss. 90 ANGIONI F., Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, Milano, 1983, pp. 130 ss. Sul tema è d’obbligo il riferimento a BRICOLA, Teoria generale del reato, in Noviss. dig. it., XIX, Torino, 1973, pp. 7 ss.; v. anche MAZZACUVA, Diritto penale e Costituzione, in AA.VV., a cura di Insolera-Mazzacuva-Pavarini-Zanotti, Intro- duzione al sistema penale, III ed., Torino, 2006, pp. 83 ss. Fra le opere che hanno avuto maggiore rilievo per l’elaborazione di un concetto di bene giuridico costitu- zionalmente orientato v. MUSCO, Bene giuridico e tutela dell’onore, cit.: anche in questo caso il problema nasce dalla problematica fisionomia dell’oggetto di tute- la, il quale secondo alcune correnti interpretative viene fatto coincidere con un sentimento soggettivo. Per una panoramica sui differenti sviluppi della teoria del bene giuridico nei rapporti con la Costituzione, v. FIANDACA, Il bene giuridico come problema teorico e come criterio di politica criminale, in AA.VV., a cura di Mari- nucci-Dolcini, Diritto penale in trasformazione, Milano, 1985, pp. 139 ss. (in parti- colare, pp. 161 ss.); DONINI, Teoria del reato. Un’introduzione, Padova, 1996, pp. 117 ss.; ID., Ragioni e limiti della fondazione del diritto penale sulla Carta costitu- zionale, in ID., Alla ricerca di un disegno. Scritti sulle riforme penali in Italia, Pado- va, 2003, pp. 37 ss.; per un raffronto con la giurisprudenza costituzionale, v. PULI- TANÒ, Bene giuridico e giustizia costituzionale, in AA.VV., a cura di Stile, Bene giu- ridico e riforma della parte speciale, Napoli, 1985, pp. 135 ss.; MANES, Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Torino, 2005, pp. 59 ss.   90 Tra sentimenti ed eguale rispetto la problematica relativa a fattispecie penali che sembrerebbero rivol- gersi esclusivamente alla tutela di principi etici, si osserva che «con la realizzazione di un fatto che contrasta con quelle norme etiche si ur- ta in pari tempo, o si può urtare, contro i sentimenti di quella parte della popolazione che in quei principi morali crede, o che addirittura attribuisce loro tale rilievo da averne, come forza politica o culturale organizzata, difesa la conservazione al rango di valori penali» 91. Of- fendere valori può significare offendere i sentimenti di chi crede in quei valori: questa, in sintesi, la motivazione che, secondo Angioni, sarebbe a fondamento di norme quali, ad esempio, quelle a tutela del pudore e del sentimento religioso. Il riferimento a sentimenti appare in questo caso finalizzato a in- centrare il fuoco del disvalore su un bene della persona, così da poter rinvenire una base di legittimità ancorata a una prospettiva persona- listica di danno, o comunque non meramente moralistica. Non si tratta però di una soluzione appagante, in quanto, rileva successiva- mente lo stesso Autore, resta aperto il problema della necessità e del- la meritevolezza di pena: la considerazione che l’offesa a un senti- mento sia un criterio di per sé sufficiente a fondare il ricorso allo strumento penale sembra «cozzare contro un naturale senso di pro- porzione e di misura» 92. L’argomentazione che Angioni espone tramite categorie endope- nalistiche (principio di proporzione) rimanda in ultima istanza a ra- gioni che hanno a che fare con valori di fondo della democrazia libe- rale e con i principi costituzionali: ritenere che l’offesa a meri senti- menti non sia sufficiente a fondare una criminalizzazione legittima è l’esito di un ragionamento che assume a presupposto un pacchetto di principi di ispirazione liberale, laicità ed uguaglianza in primis 93. Ciò mostra come il discorso sia tutt’altro che limitabile a un piano tecnico-giuridico, ma investa in pieno la dimensione politica del pro- blema penale, anche in forza dei profondi nessi che legano, in termini di interdipendenza, la presenza di oggetti di tutela ad alta pregnanza etica, come i ‘sentimenti’, in rapporto alla laicità dell’ordinamento. 91 ANGIONI F., Contenuto e funzioni, cit., pp. 130 ss. 92 ANGIONI F., Contenuto e funzioni, cit., p. 132. 93 È stato messo in evidenza come, soprattutto a partire dagli anni Settanta e Ottanta, la riflessione sul dover essere del diritto penale si sia fondata non tanto sull’affinamento di principi ‘endopenalistici’, compreso il c.d. ‘bene giuridico’, ma piuttosto sul principio di uguaglianza, il quale ha assunto un ruolo decisivo nel contribuire a delineare i cardini del costituzionalismo penale: v. DODARO, Ugua- glianza e diritto penale, cit., pp. 97 ss.   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 91 Sulla base di questa consapevolezza la dottrina penalistica si è impegnata in un’opera di reinterpretazione delle diverse disposizioni del codice Rocco, offrendo un importante contributo al consolida- mento di un ideale di democrazia penale laica e costituzionalmente orientata 94. Esempi emblematici sono gli studi sui delitti di religione e sui rea- ti a tutela del pudore, ad opera rispettivamente di Placido Siracusano e di Giovanni Fiandaca. Con riferimento ai delitti di religione, Siracusano sottopone a cri- tica il modello del cosiddetto ‘bene di civiltà’ e del sentimento religio- so collettivo: «al bene giuridico sentimento religioso individuale si addice, di regola, una protezione penale dalle caratteristiche fonda- mentalmente “liberali”; o perlomeno dai tratti più aperti e tolleranti possibile» 95, tale dunque da attribuirgli un respiro costituzionale che invece non è riconducibile al paradigma del cosiddetto ‘bene di civil- tà’. L’approdo finale è di segno abrogazionista, ossia a sostegno di un ordinamento penale che non contempli fattispecie poste specifica- mente a presidio del sentimento religioso. Siracusano lascia comun- que intravedere la possibilità che attraverso un riorientamento in senso personalistico si possa realizzare una intervento penale compa- tibile con i principi costituzionali, e precisamente come apertura ver- so qualsiasi ideale di trascendenza, in quanto manifestazione della coscienza ed espressione della personalità dell’individuo 96. Anche i reati contro la cosiddetta ‘moralità pubblica’ e il comune sentimento del pudore sono stati oggetto negli anni ’80 di un’analisi che, orientata a spezzare i legami con l’impostazione del codice, so- stiene una riconversione in termini personalistici dell’interesse pro- tetto: dalla moralità pubblica alla riservatezza sessuale di quanti non intendano fruire di un certo tipo di manifestazioni. Si deve a uno studio di Giovanni Fiandaca la critica decisiva al moralismo conservatore che impregnava l’universo applicativo delle fattispecie a tutela del cosiddetto ‘comune sentimento del pudore’, a sostegno di un cambio di direzione per il rispetto di diritti di libertà 94 Come autorevolmente osservato, «la laicità del diritto penale esprime in qualche modo addirittura la sintesi e in un certo senso il coronamento del costi- tuzionalismo penale [...] essa evoca lo “spirito” più profondo del costituzionali- smo penale», V. PALAZZO, Laicità del diritto penale e democrazia “sostanziale”, cit., p. 438. 95 SIRACUSANO, I delitti in materia di religione, cit., p. 277. 96 SIRACUSANO, I delitti in materia di religione, cit., p. 272.   92 Tra sentimenti ed eguale rispetto che trovano riconoscimento nella Carta costituzionale, e che risulta- vano compressi dai modelli di intervento del codice Rocco e da orien- tamenti illiberali della giurisprudenza. Presupposto di fondo è che in una società liberale e pluralista lo Stato non debba ergersi a tutore della virtù 97. Il legame col sentimen- to – schermo retorico che ammanta di una patina personalistica l’impianto di tutela – viene radicalmente confutato: «non sarebbe suf- ficiente asserire che il danno provocato dai comportamenti contrari al buon costume consiste nell’“offesa ai sentimenti” [...] nel passag- gio dal bene moralità al bene sentimento, il mutamento della dimen- sione qualitativa dell’oggetto della tutela è appena percepibile: quest’ul- timo finisce infatti col trasferirsi nel riflesso psicologico di una regola etica di condotta» 98. Sotto un profilo metodologico l’angolo visuale adottato nei sud- detti studi appare ancora definibile come ‘endopenalistico’, se non proprio ‘endocodicistico’: in altri termini, la tematizzazione del pro- blema resta incentrata su profili che attengono precipuamente le scelte di intervento del codice. In questo senso, l’approccio muove dalla so- luzione normativa, e tende a seguire un percorso d’analisi che man- tiene come referente primario gli schemi d’intervento descritti nelle fattispecie di reato. Fulcro dell’interesse è la risposta normativa; più circoscritto è lo spazio per l’analisi della dimensione extragiuridica del fenomeno. In tempi più recenti, a partire dagli anni Duemila, il tema dei sen- timenti è divenuto oggetto di un rinnovato interesse da parte della dottrina, caratterizzato da mutamenti nell’apparato concettuale e da una maggior propensione a estendere lo studio a profili extragiuridi- ci. Si tratta di un ammodernamento che porta a superare lo statico quesito sulla configurabilità o meno del sentimento come oggetto di tutela, andando a tematizzare in termini più complessi la questione dell’incidenza dei fattori emotivi sulle scelte di politica penale, ossia del rilievo della componente affettiva come elemento che concorre a integrare l’oggetto di tutela anche senza identificarsi espressamente con esso 99. In questo senso l’orizzonte di problemi additato dalla formula ‘tu- tela di sentimenti’ viene esteso al di là degli ambiti tradizionali, favo- rendo una riflessione critica sulla consistenza di interessi di tutela 97 FIANDACA, Problematica dell’osceno, cit., p. 99. 98 FIANDACA, Problematica dell’osceno, cit., p. 104. 99 Si veda, ad esempio, ALONSO ALAMO, Sentimientos y derecho penal, cit., pp. 39 ss.   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 93 che apparentemente non evidenziano una matrice affettiva, ma che ad uno sguardo attento rivelano una forte pregnanza emozionale. È emblematico un saggio di Giovanni Fiandaca dedicato ai rap- porti tra bioetica e diritto penale, nel quale, definendo criticamente delle innovazioni legislative come riflesso di un clima sociale e politi- co italiano tendente a una rieticizzazione del diritto 100, l’Autore rileva che ai sentimenti e ai fenomeni a essi correlati spetti un ruolo tut- t’altro che secondario nell’economia del dibattito pubblico e soprat- tutto nelle scelte di politica del diritto volte a disciplinare i cosiddetti ambiti ‘eticamente sensibili’. Il terreno della bioetica si trova infatti a essere soggetto a contrapposizioni fondate su «timori e reazioni emo- tive che hanno a che fare con la sfera più irrazionale ed oscura di cia- scuno»101, ossia reazioni di orrore, spavento, raccapriccio, disgusto, definite dall’Autore «sentimenti e sensazioni»; reazioni emotive che possono indurre un uso distorto della politica penale tramite divieti assimilabili a mero palliativo psicologico per i cittadini. La parificazione di istanze di tutela penale a meri sentimenti è una strategia di critica argomentativa che diverrà sempre più fre- quente. Prendiamo ad esempio il discorso sulla dignità umana 102. Si tratta di un valore caratterizzato da una spiccata componente emozionale che la rende strumento retorico particolarmente efficace, ma che la 100 FIANDACA, Considerazioni intorno a bioetica e diritto penale, tra laicità e “post-secolarismo”, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/2007, pp. 546; 549. 101 FIANDACA, Considerazioni intorno a bioetica e diritto penale, cit., p. 554. 102 Ad oggi nel panorama penalistico lo studio più approfondito è quello di TE- SAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., pp. 89 ss. Il tema della dignità umana come bene penalmente tutelabile è oggetto di riflessioni critiche in FIAN- DACA, Laicità, danno criminale e modelli di democrazia, in AA.VV., a cura di Risica- to-La Rosa, Laicità e multiculturalismo. Profili penali ed extrapenali, cit., p. 33; ID., Considerazioni intorno a bioetica e diritto penale, cit., pp. 553 ss.; VISCONTI C., Il reato di propaganda razzista tra dignità umana e libertà di espressione, in Jus 17@unibo.it, 1/2009, p. 195; pp. 202 ss.; più favorevole a un recupero (tramite un uso accorto e non inflazionistico) del concetto di dignità umana, PULITANÒ, Etica e politica del diritto penale ad 80 anni dal Codice Rocco, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2010, pp. 510 s. Nella dottrina tedesca si veda l’importante saggio di HASSEMER, Argomentazione con concetti fondamentali. L’esempio della dignità umana, in Ars interpretandi, 2007, pp. 125 ss.; profili critici del concetto di dignità in ambito pe- nalistico sono evidenziati anche in ZIPF, Politica criminale, tr. it., Milano, 1979, p. 89. Nel panorama statunitense, per una sintesi del dibattito v. MCCRUDDEN, Hu- man Dignity and Judicial Interpretation of Human Rights, in 19 The European Journal of International Law, pp. 655 ss.; per una panoramica di taglio più divul- gativo v. ROSEN, Dignità. Storia e significato, tr. it., Torino, 2012, pp. 65 ss.   94 Tra sentimenti ed eguale rispetto espone contemporaneamente al rischio di tramutarsi in un «bene- ricettacolo dei sentimenti di panico morale o delle reazioni emotive sgradite da cui veniamo sopraffatti di fronte a fatti (o eventi) insoliti o nuovi che contraddicono modelli morali consolidati [...] ovvero esu- lano da una radicata autocomprensione antropologica dell’identità dell’essere umano» 103. Definire la dignità umana è certo impresa ardua, ma è ragionevole ritenere che tale valore e il suo universo di significato non debbano es- sere intesi come mero riflesso di percezioni soggettive (vedi infra, cap. V). Si tratta di un rischio che trova esemplificazione in una incrimina- zione oggi fortemente discussa, ossia il divieto di propaganda razzista, definita «norma che si colloca a metà strada tra ‘tutela penale dei sen- timenti’ e ‘funzione (pedagogico-)promozionale del diritto penale’» 104. Altro interesse che rivela una problematica osmosi con la dimen- sione affettiva è la cosiddetta ‘sicurezza’, la cui fisionomia è alquanto nebulosa e rischia di essere intesa come «fonte di obblighi legislativi di penalizzazione in funzione ansiolitica»105. Anche dietro il problema che nel discorso penalistico è stato definito come ‘sicurezza pubblica’ si può scorgere una matrice emotiva: la paura della criminalità, intesa come emozione di risposta a una minaccia, reale o semplicemente percepita 106. Tale argomento è oggetto di studio soprattutto in ambito criminologico107, nel quale è stato osservato come la pervasività in ambito collettivo della paura non sia dovuta tanto alla percezione dei singoli cittadini, ma finisca per essere esito di un’insicurezza sovente manipolata108 attraverso stereotipi e modelli culturali che si incardi- 103 FIANDACA, Sul bene giuridico, cit., p. 78. 104 TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., p. 86. 105 FIANDACA, Sul bene giuridico, cit., p. 95. 106 Benché non vada dimenticato che dietro le istanze securitarie mobilitate dalla collettività vi possono essere, oltre a pretese meramente emotive, anche bi- sogni reali di tutela, v. PALIERO, Consenso sociale e diritto penale, cit., pp. 913 ss. Sul tema, in un’ottica critica riguardante le manifestazioni del trend securitario a partire dagli anni Duemila, v. CERETTI-CORNELLI, Oltre la paura. Cinque riflessioni su criminalità, società e politica, Milano, 2013, pp. 21 ss.; HASSEMER, Sicurezza mediante il diritto penale, tr. it., in Critica del diritto, 2008, pp. 15 ss.; DONINI, Sicu- rezza e diritto penale, in Cass. pen., 10/2008, pp. 3558 ss.; PULITANÒ, Sicurezza e di- ritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2009, pp. 547 ss.; per uno sguardo d’insie- me v. AA.VV., a cura di Donini-Pavarini Sicurezza e diritto penale, Bologna, 2011. 107 Per tutti, CORNELLI, Paura e ordine nella modernità, cit., pp. 75 ss. 108 DURANTE, Perché l’attuale discorso politico-pubblico fa leva sulla paura?, in Filosofia politica, 1/2010, pp. 49 ss.   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 95 nano nelle strutture istituzionali o che vengono diffuse attraverso i mass media 109, in un processo di circolarità dove l’insicurezza è al con- tempo motivo di crisi e motore di legittimazione per le istituzioni 110. Il problema della tutela di sentimenti ha portato la riflessione penali- stica a meditare anche sugli strumenti concettuali per lo sviluppo del di- scorso: da un lato la teoria del ‘bene giuridico’ di matrice continentale, dall’altra lo Harm e l’Offense Principle di matrice anglo-americana. È emblematico in questo senso un saggio di Massimo Donini il qua- le evidenzia come anche il ricorso alle categorie anglo-americane sem- bri deludere aspettative di oggettività delle scelte di criminalizzazione, in quanto tali categorie «sono spesso definite mediante un utilizzo ambiguo della categoria dei sentimenti. Troppi sentimenti sia nell’Of- fense (che si definisce proprio in quanto più sentimentale che dannosa, più irritante che dolorosa) e sia anche nello Harm, che si fonda pur sempre (specialmente in Feinberg) sul postulato che la lesione dell’in- teresse produca un dolore, una sofferenza nel suo titolare» 111. Sullo specifico punto concernente la tutela di sentimenti la con- clusione dell’Autore è netta: «la tutela specifica dei sentimenti [...] costituisce un esempio incon- gruo di diritto penale orientato all’irrazionalità delle funzioni [...] il di- ritto penale non tutela meri sentimenti anche se talora lo stesso codice penale si esprime in questi termini [...], ma [tutela] la loro obiettiva- zione in situazioni sociali, in interessi, in beni giuridici più definiti della percezione soggettiva: tanto che essi vengono tutelati a prescin- dere dalla prova di quella percezione in capo a un qualche individuo determinato. [...] La ragione per la quale non è possibile la tutela di- retta ed esclusiva come oggetto “giuridico”, dei sentimenti, neppure ovviamente dei sentimenti “morali”, è costituita dal fatto che essi non sono un oggetto giuridico, e non possono esserlo per carenza di tassa- tività. È infatti necessario che il sostrato umano fondamentale in cui si sostanziano le offese e che tocca direttamente la sfera emotiva e morale delle persone, si ancori a realtà socio normative più afferrabili e gestibili» 112. Così formulata tale osservazione sembrerebbe fondarsi prevalen- 109 CORNELLI, Paura e ordine nella modernità, cit., pp. 181 ss. 110 CORNELLI, Paura e ordine nella modernità, cit., pp. 253 ss. 111 DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti, cit., p. 1575. 112 DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti, cit., pp. 1577 ss.   96 Tra sentimenti ed eguale rispetto temente su ragioni epistemologiche: carenza di tassatività come ‘non afferrabilità’ e dunque sostanziale ‘non verificabilità’ secondo i prin- cipi che sovrintendono la responsabilità penale. Diverse le obiezioni avanzate in dottrina, le quali convergono so- stanzialmente nell’osservare che il pur ragionevole argomento della non-tassatività dei sentimenti non è decisivo, e rischia di anticipare troppo con interrogativi sul piano della tipicità che paiono non offri- re adeguato spazio alla problematica questione dei bilanciamenti che dovrebbero fondare la legittimazione dei precetti. Si rischia, insom- ma, di «chiudere la partita prima che cominci» 113. Il monito circa la carenza di tassatività coglie un aspetto rilevante ma che non pare sufficiente a escludere in via di principio la legitti- mità di interventi penali. La questione cruciale è «se e quale tutela [sentimenti ed emozioni] possano chiedere, a fronte di comporta- menti e manifestazioni espressive del sentimento di altri, nel contesto di una società aperta» 114. Tirando le fila del discorso, appare evidente come il mainstream penalistico mostri una sostanziale diffidenza nei confronti del tessuto emotivo. Si tratta di caveat condivisibili, ma che riteniamo non deb- bano essere letti, frettolosamente, come avallo di posizioni ‘veterora- zionalistiche’ che ancora concepiscano in termini dicotomici i rap- porti fra emozioni, sentimenti e diritto penale, o che intendano nega- re gli influssi della dimensione affettiva sull’impianto teorico e prati- co della criminalizzazione. La plausibilità di tali cautele trova una solida base in studi che hanno evidenziato la possibile inaffidabilità delle emozioni a causa di contenuti cognitivi falsi, abnormi o più semplicemente incompatibili con i valori di un ordinamento liberale 115. 113 Così TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., p. 90; cfr., FIANDA- CA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti, cit., p. 229. A ben vedere, va ricono- sciuto che l’argomentazione di Donini sembra andare oltre la questione della me- ra tassatività quando richiede «che il sostrato umano fondamentale in cui si so- stanziano le offese e che tocca direttamente la sfera emotiva e morale delle per- sone, si ancori a realtà socio-normative più afferrabili e gestibili: non solo da par- te della magistratura, ma prima ancora da parte del legislatore, onde evitare i ri- schi immanenti di un diritto penale irrazionale». Il richiamo a realtà socio-nor- mative, e non meramente empirico-fattuali, lascia intendere un disvalore leggibile non solo in termini di suscettibilità individuale, ma misurabile alla stregua di va- lori che lo facciano apparire ragionevole e non semplicemente riflesso di un so- lipsistico puntiglio. 114 PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale, cit., p. 42. 115 La studiosa che di recente si è impegnata a rivendicare l’‘intelligenza   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 97 Si tratta di prendere atto di una complessità di fondo, riflettendo su quali siano i contenuti di pensiero che possono rendere l’emozione e il sentimento interlocutori inaffidabili per il diritto penale, riser- vando però la dovuta attenzione anche a prospettive differenti, orien- tate a vagliare anche il potenziale di interazione virtuosa che potreb- be generarsi da un intelligente ‘ascolto’ delle emozioni e dei senti- menti. Tale ultima istanza trova oggi riscontro anche nel panorama pena- listico italiano, grazie a contributi che hanno messo a tema ipoteti- che, auspicabili interazioni fra diritto penale e dimensione affettiva quale coordinata per una più realistica e consapevole attenzione al profilo umano delle questioni oggetto di interesse penalistico. 3.1. Una virtuosa prospettiva di interazione: ‘sentire comune’ e legittimazione delle norme penali Vi sono opere, di taglio differente, che fanno espresso riferimento alla dimensione affettiva e al ruolo positivo dell’emozione e del sen- timento quali elementi di comunanza e quali possibili vettori di rico- noscimento reciproco fra essere umani; non si tratta si riflessioni propriamente incentrate sul sentimento come problema di tutela, ma di profili legati al rapporto fra emozioni, sentimenti, genesi e struttu- ra dei precetti penali 116. delle emozioni’, affermandone l’imprescindibile ruolo anche nelle strategie di politica penale, ha d’altro canto fornito una delle più approfondite e convin- centi analisi sul potenziale anche negativo che determinati atteggiamenti emotivi possono assumere in rapporto alla legiferazione e all’applicazione di norme penali, v. NUSSBAUM, Nascondere l’umanità, cit., pp. 37 ss. 116 Merita menzione, per quanto sui generis, la posizione espressa diversi de- cenni fa da Giuseppe Maggiore, la quale, pur derivando da un retroterra episte- mico ed ideologico profondamente differente dalle elaborazioni degli autori con- temporanei, costituisce nel panorama penalistico italiano una emblematica af- fermazione del ruolo positivo del sentimento. In una serrata critica al pensiero che vorrebbe ricondurre il diritto a mero sillogismo, a puro «congegno di giudizi logici», lo studioso siciliano rivendica l’importanza di una ‘vocazione affettiva’, di un quid che possa offrire un senso alla mera logica formale: «Ogni mediocre in- terprete sa bene che l’applicazione del diritto non si riduce a un accostamento meccanico tra la legge e il caso concreto: ma che occorre valutare, ossia sentire giuridicamente la fattispecie – in tutti i suoi lineamenti, in tutte le sue ombre e sfumature – per ridurla sotto l’impero della norma [...] un giudizio puramente e freddamente logico può essere iniquo: nel clima della nuda logica il jus può trali- gnare facilmente in injuria», v. MAGGIORE, Il sentimento nel diritto, in Giornale cri- tico della filosofia italiana, 1932, pp. 137, 135 ss., 138.   98 Tra sentimenti ed eguale rispetto Ad esempio, in relazione alle condizioni di osservanza della legge penale si è definita la forma idealtipica del diritto penale come «dirit- to del comune sentire (declinato rispettivamente in forma di principi e di regole/precetti) che dovrebbe trovare cioè nei consociati il più al- to grado di corrispondenza ideale, di consonanza soggettiva e dunque di adesione spontanea» 117. Muovendo da presupposti differenti, si è invece osservato, con ri- ferimento allo specifico ambito della regolamentazione normativa in materia bioetica, che la ricerca di risposte normative dovrebbe assu- mere a riferimento anche l’emozione che scaturisce nei soggetti di fronte a un fatto bioeticamente rilevante. In altri termini, viene ipo- tizzata una relazione tra la componente emotiva che caratterizza le scelte individuali e la possibilità che, valorizzando nelle statuizioni normative elementi fattuali suscettibili di attivare una comune reatti- vità emozionale, sia possibile addivenire a una maggiore condivisibi- lità dei precetti 118. In risposta all’opinione di chi non ritiene che il diritto penale pos- sa tutelare sentimenti viene obiettato che «non può escludersi [...] che, quanto meno in materia di bioetica, il diritto penale, se vuole trovare la sua legittimazione, ben possa, anzi debba, tutelare, in un certo senso, i sentimenti ed addirittura il sentimento del caso concre- to, senza per ciò trascendere in concezioni soggettivizzanti e sprovvi- ste di sostrato empirico, ma recuperando, al contrario, insieme alla concretezza, altresì la prospettiva di un giudizio, se non condiviso, quanto meno diffuso» 119. Nelle linee tracciate da tali Autori viene attribuita al sentimento la funzione di parametro per l’‘accreditamento etico’ delle norme penali 117 MAZZUCATO, Dal buio delle pene alla luce dei precetti: il lungo cammino del di- ritto penale incontro alla democrazia, in MAZZUCATO-MARCHETTI, La pena ‘in casti- go’. Un’analisi critica su regole e sanzioni, Milano, 2006, p. 89. 118 DI GIOVINE O., Un diritto penale empatico?, cit., pp. 145 ss. Si tratta di un programma teorico che propone «una rinuncia, pur con tutte le cautele del caso, a parte della rigidità e della predeterminazione del precetto, per consentire a quest’ultimo di plasmarsi sul fatto concreto, di valorizzarne le nuances» Un ango- lo visuale che assume il fenomeno del sentire in una accezione che potremmo de- finire ‘naturalistico-emozionale’. La funzionalità del precetto sembra infatti legar- si alla condizione che esso arrivi a contenere elementi fattuali ad ‘alta carica emo- tiva’: «si porrebbero così le condizioni perché giochi una empatia che, facendo un punto di forza della sua natura prosaicamente biologica ed umana, possa svolgere la [...] funzione di coordinata epistemologica nei suddetti ambiti del penale», v. EAD., Un diritto penale empatico?, cit., pp. 179, 181.  119 DI GIOVINE, Un diritto penale empatico?, cit., pp. 78 s.  Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 99 e più in generale per la legittimazione dell’intervento penale. Tra le due posizioni sussiste però una profonda differenza: nella prospettiva di Claudia Mazzucato il ‘comune sentire’ pare doversi intendere in termini normativi, ossia quale richiamo a valori condivisi modellati su «dati umani, stabili, trasversali, da sempre validi»120; la strada suggerita da Ombretta Di Giovine fa riferimento a un sentire ‘natura- listico’, ossia a un sostrato di reazioni emotive condivise che dovreb- bero costituire punto di riferimento per le scelte del legislatore nelle materie eticamente sensibili. A tali studi va affiancato un importante contributo dedicato al te- ma delle ragioni extrapenali della legittimazione della legge penale 121, il quale, sulla base di recenti acquisizioni della filosofia morale che evidenziano come le emozioni siano fra le condizioni della nostra ri- cettività alle considerazioni razionali e morali122, afferma che ogni concretizzazione del giudizio penale, dalla previsione edittale fino al- la applicazione della sanzione comminata, se non vuole limitarsi a pretendere la pura «obbedienza degli uomini-bambini», debba espri- mere una qualche coerenza rispetto a un tale ‘comune sentire’ 123. Ve- diamo come anche in questa teorizzazione le emozioni figurino in una veste emancipata da negatività e irrazionalità, e si propongano nel ruolo di coordinata epistemica per la ricerca di un terreno di in- contro tra la forza motivazionale del giudizio morale e le ragioni di un’osservanza dei precetti che sia ‘sentita’ e non solo imposta. Il rinnovato, e per certi versi inedito, interesse che i fenomeni del sentire assumono oggi in diverse branche del sapere – dalla psicolo- gia, alle neuroscienze, alla filosofia morale – sta avendo dunque ri- flessi anche nel pensiero penalistico: la prospettiva di analisi incen- trata sul sentimento come oggetto di tutela resta tema classico, ma i suddetti ulteriori spunti rappresentano un’importante base di rifles- sione che arricchisce, con promettenti intrecci con la dimensione morale, il discorso sulla legittimazione delle norme penali e sull’os- servanza dei precetti. 120 Così lo definisce MAZZUCATO, Dal buio delle pene alla luce dei precetti, cit., p. 90. 121 FORTI, Le ragioni extrapenali, cit., pp. 1108 ss. 122 BAGNOLI, Introduction, in AA.VV., ed. by Bagnoli, Morality and the Emo- tions, cit., p. 16.  123 FORTI, Le ragioni extrapenali, cit., p. 1120.  100 Tra sentimenti ed eguale rispetto 4. Sinossi Addentrandoci nel microcosmo giuridico, emergono due possibili accezioni nel significato della formula ‘tutela di sentimenti’: la prima, descrittiva, concerne il panorama delle disposizioni in cui il senti- mento è espressamente evocato quale oggetto di tutela; la seconda, connotativa, coincide con l’uso che della categoria del sentimento viene fatto nel discorso penalistico, ossia in una funzione prevalen- temente critica. L’accezione descrittiva ci conduce verso l’analisi delle fattispecie codicistiche ed extracodicistiche: un panorama variegato che con- templa due differenti declinazioni del sentimento. La prima, del tutto tendente alla ‘depsicologizzazione’, nella quale non entrano in gioco fenomeni psichici bensì ‘sentimenti-valori’; la seconda, più vicina alla dimensione naturalistica del sentire, si ricollega a fattispecie come gli ‘atti persecutori’, volte a tutelare la tranquillità psicologica come bene strumentale rispetto alla libertà di autodeterminazione. Relativamente all’accezione connotativa e ai discorsi dei giuristi penali, il tema della tutela di sentimenti ha rappresentato uno dei terreni in cui si è giocata la sfida culturale per il superamento dei modelli illiberali di incriminazione del codice Rocco, fungendo in questo senso da ‘trampolino teoretico’ per il consolidamento dell’in- terpretazione costituzionalmente orientata degli interessi di tutela penale. Attualmente i rischi di torsioni illiberali veicolate dall’appello a sentimenti ed emozioni si legano alla incerta fisionomia di beni e in- teressi caratterizzati da una marcata componente emozionale (digni- tà, sicurezza). A fronte di tali istanze di tutela il mainstream penali- stico tende a mantenere una forte diffidenza. Non vanno tuttavia trascurate anche le prospettive di interazione virtuosa fra dimensione affettiva e diritto penale, concernenti in par- ticolare il ruolo di sentimenti ed emozioni nelle dinamiche di adesio- ne e di osservanza del precetto.  PARTE II FRA DIRITTI ED EMOZIONI: ITINERARI E PROSPETTIVE   102 Tra sentimenti ed eguale rispetto   SEZIONE I Sensibilità individuali e libertà di espressione 103 CAPITOLO IV SENSIBILITÀ INDIVIDUALI E LIBERTÀ DI ESPRESSIONE Espressioni ed emozioni: prospettive di approccio «Troppo spesso ci capita di dover affrontare dilemmi postmoderni con un re- pertorio emozionale adatto alle esigenze del Pleistocene» GOLEMAN D., Intelligenza emotiva, p. 23 SOMMARIO: 1. Libertà di espressione e rispetto reciproco: l’esigenza di nuove pro- spettive di analisi. – 2. Approccio ‘naturalistico-emozionale’. – 2.1. La prospet- tiva dell’Offense secondo Joel Feinberg. – 3. Approccio ‘razionalistico-norma- tivo’: emozioni ragionevoli e irragionevoli secondo Martha Nussbaum. 1. Libertà di espressione e rispetto reciproco: l’esigenza di nuo- ve prospettive di analisi Le disposizioni del codice italiano nelle quali l’oggetto di tutela viene definito in termini di sentimento, pur presentando affinità sul piano del comune rimando a interessi legati alla sfera affettiva, pon- gono l’interprete di fronte a questioni eterogenee. I problemi relativi al sentimento religioso, al pudore, al sentimento nazionale, al comu- ne sentimento della morale, si collegano a un comune substrato in quanto basati su conflittualità di tipo espressivo-comunicativo e su forme di offesa ‘immateriali’; appare invece differente il sentimento per gli animali, a tutela del quale vengono incriminate aggressioni fisiche e maltrattamenti a esseri non umani. Riteniamo preferibile accantonare per il momento il tema del sen-  104 Tra sentimenti ed eguale rispetto timento per gli animali e focalizzare l’attenzione sul retroterra che accomuna i restanti ambiti. Filo conduttore è il coinvolgimento del piano comunicativo, in un senso non limitato a espressioni verbali, ma esteso a comportamenti in grado di veicolare significati1 e di esternare in termini simbolici prese di posizione che vanno a intera- gire con aspetti profondamente radicati, potremmo dire ‘costitutivi’, della personalità individuale e dell’identità morale di un soggetto. Tali profili rimandano, in ambito giuridico, al tema della libertà di espressione, ampiamente dissodato dalla dottrina non solo penalisti- ca 2. Nell’impianto del codice Rocco, limiti alla libertà di espressione sono posti in primo luogo a tutela di interessi dello Stato, mentre i risvolti personalistici dei conflitti limitati al piano comunicativo tro- vano formale riconoscimento esclusivamente nelle disposizioni sul- l’ingiuria (oggi abrogata) e sulla diffamazione: le uniche collocate nel titolo dei reati contro la persona. Al di là delle etichette legislative e della voluntas del legislatore, dietro reati come quelli contro il senti- 1 Sull’equiparazione fra condotte verbali ed espressioni fondate sul valore sim- bolico dei comportamenti, v. BERGER, Symbolic conduct and freedom of speech, in Russel (ed. by), Freedom, Rights and Pornography. A Collection of Papers by Fred R. Berger, Amsterdam, 1991, pp. 31 ss. Adotta tale impostazione nella recente let- teratura sulla libertà di espressione BROWN A., Hate Speech Law. A Philosophical Examination, New York, 2017, p. 5. Nel panorama italiano si sofferma su tale di- stinzione STRADELLA, La libertà di espressione politico-simbolica e i suoi limiti: tra teorie e “prassi”, Torino, 2008, pp. 21 ss., 59 ss. 2 Fra gli scritti più significativi di taglio generale, provenienti, relativamente al contesto italiano, dall’ambito costituzionalistico, v. ESPOSITO, La libertà di manife- stazione del pensiero nell’ordinamento italiano, Milano, 1958; BARILE, Libertà di mani- festazione del pensiero, Milano, 1975; DI GIOVINE A., I confini della libertà di manife- stazione del pensiero. Linee di riflessione teorica e profili di diritto comparato come premessa a uno studio sui reati d’opinione, Milano, 1980; PALADIN, Libertà di pensiero e libertà d’informazione: le problematiche attuali, in Quaderni costituzionali, 1/1987, pp. 5 ss.; PUGIOTTO, Le parole sono pietre? I discorsi di odio e la libertà di espressione nel diritto costituzionale, in www.penalecontemporaneo.it, 7/2013; CARUSO, La libertà di espressione in azione. Contributo a una teoria costituzionale del discorso pubblico, Bologna, 2013; fra i penalisti, v. BETTIOL, Sui limiti penalistici alla libertà di manife- stazione del pensiero, in AA.VV., Legge penale e libertà di pensiero, Padova, 1966, pp. 1 ss.; NUVOLONE, Il problema dei limiti della libertà di pensiero nella prospettiva logica dell’ordinamento, in AA.VV., Legge penale e libertà di pensiero, cit., pp. 349 ss.; FIORE, I reati d’opinione, Milano, 1972; PULITANÒ, Libertà di pensiero e pensieri cattivi, in Quale giustizia?, 1970, pp. 187 ss.; ALESIANI, I reati di opinione, cit.; SPENA, Libertà di espressione e reati di opinione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2-3/2007, pp. 689 ss.; VISCON- TI C., Aspetti penalistici, cit. Si vedano inoltre, quale contributo collettaneo più re- cente, gli Atti del IV Convegno dell’Associazione Professori di Diritto Penale dedica- to al tema ‘La criminalizzazione del dissenso: legittimazione e limiti’, pubblicati in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2016, pp. 859 ss.   Sensibilità individuali e libertà di espressione 105 mento religioso e contro la moralità pubblica sono in gioco fenomeni relativi all’universo interiore dell’individuo, alla sfera del sentire co- me nucleo da proteggere in positivo e in negativo, ossia favorendone la ‘fioritura’ e la libera espressione, e anche, eventualmente, preser- vandolo da forme di offesa. Ci sembra che il rispetto della reciproca sensibilità in rapporto a contenuti espressivi in grado di offenderla rappresenti il problema che con maggiore immediatezza logico-comunicativa può identificar- si anche come ‘tutela di sentimenti’. Le questioni che possono celarsi dietro il richiamo a stati affettivi sono molteplici, ma i rapporti tra forme di espressione e sensibilità soggettive sembrano costituire oggi una priorità nell’agenda penalistica. A suggerire un attento sguardo alle ‘guerre per la libertà di espres- sione’3 è soprattutto l’importanza nello scenario socio-politico con- temporaneo, il quale rivela un’inedita complessità derivante dalla consistenza pluralista della società occidentale, anche di quella ita- liana. È cresciuta la diversità sul piano quantitativo e parallelamente sono aumentate le sensibilità, incrementando la possibilità di attriti e portando a emersione, quale riflesso di difficoltà di integrazione in rapporto agli ingenti flussi migratori, una conflittualità fortemente radicalizzata in senso identitario4 e minacciata dal rischio del fon- damentalismo: «l’esperienza comune della diversità e tanto più la comparazione cul- turale specialistica mostrano che i modi stessi della sensazione e i ri- sultati della sensibilità sono variabili da cultura a cultura e all’interno stesso di società complesse, fino ai modi e ai risultati delle sensibilità individuali, così importanti nella cultura occidentale moderna» 5. Si è detto che è difficile trovare un argomento su cui si registri un accordo maggiore di quello relativo alla libertà di espressione, «[a]l- meno finché non ci mette mano la ricerca della saggezza»6. Nella 3 SULLIVAN, Free Speech Wars, in 48 SMU Law Review, 1995, pp. 203 ss. 4 Sul problema vedi MANCINA, Laicità e politica. Prove di ragione pubblica, in AA.VV., a cura di Risicato-La Rosa, Laicità e multiculturalismo, cit., pp. 5 ss. Per una critica alle tendenze identitarie e al concetto di identità, definita ‘parola avve- lenata’, v. REMOTTI, L’ossessione identitaria, Roma-Bari, 2010. 5 ANGIONI G., Fare, dire, sentire. L’identico e il diverso nelle culture, Nuoro, 2011, p. 224. 6 BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. Nel tempo del terrore: un’indagine su quanto le parole mettono in gioco, Milano, 2017, p. 17.   106 Tra sentimenti ed eguale rispetto prospettiva delineata dal filosofo Ermanno Bencivenga tale ricerca coincide con una paziente opera di analisi filosofica che allontani lo spettro dei luoghi comuni, nella consapevolezza di non poter risolve- re i problemi con ‘sentenze’ o ‘ricette’ 7. Per quanto il giurista senta l’onere di fornire una prestazione in- tellettuale che in qualche modo si identifichi in una ‘sentenza’ o in una ‘ricetta’, intese come proposte ‘risolutive’, riteniamo che in rela- zione ai problemi in esame tale ambizione debba essere accompagna- ta dalla consapevolezza del carattere contingente e parziale delle ri- sposte che potranno essere eventualmente avanzate8. Non vi sono rimedi taumaturgici e ‘indolori’: se un atteggiamento di tipo repressi- vo potrebbe portare a comprimere un diritto essenziale delle demo- crazie contemporanee, la prospettiva opposta di evitare una regola- mentazione lascia aperta la possibilità di ricadute comunque pro- blematiche. Condividiamo quanto osservato da attenta dottrina, ossia che per rapportarsi a tali problemi occorra mettere da parte l’ambizione di elaborare criteri di selezione del penalmente rilevante di tipo assio- matico-deduttivo, e vada pertanto considerato se «l’approccio tradi- zionale possa risultare decisivo nel circuito comunicativo delle de- mocrazie contemporanee; oppure se non vada piuttosto ricalibrato, rivisto, o quantomeno accompagnato da analisi e valutazioni che si facciano seriamente carico della complessità culturale, sociale e poli- tica dei contesti locali e globali in cui risultiamo oggi calati» 9. In altri termini, il tema dei conflitti in materia di libertà di espres- sione è un significativo banco di prova che impegna a rendersi fauto- ri di «una scienza non già autoreferenzialmente chiusa nel giuoco elegante di una dogmatica formalistica, bensì intenzionata a prende- re in qualche modo posizione sul merito contenutistico delle questio- ni spinose che il tempo presente prospetta» 10. 7 BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, cit., p. 11. 8 Parla di carattere ‘contestuale’ ROIG, Libertà di espressione, discorsi d’odio, soggetti vulnerabili: paradigmi e nuove frontiere, in Ars interpretandi, 1/2017, pp. 30, 45 ss. 9 VISCONTI C., Aspetti penalistici, cit., p. XIV. 10 FIANDACA, Aspetti problematici del rapporto tra diritto penale e democrazia, in Foro it., 2011, V, p. 10. Afferma la necessità di un’analisi calata nel contesto socio- politico BOGNETTI, La libertà di espressione nella giurisprudenza americana. Con- tributo allo studio dei processi dell’interpretazione giuridica, Milano, 1958, pp. 7 ss.; cfr. da ultimo ROIG, Libertà di espressione, discorsi d’odio, soggetti vulnerabi- li, cit., p. 29. Sia consentito il rinvio a BACCO, Dalla dignità all’eguale rispetto:   Sensibilità individuali e libertà di espressione 107 Riteniamo che occorra dunque provare a immaginare nuovi per- corsi, mettendo in conto l’irriducibile ‘politicità’ del tema, la quale mette a disagio il giurista che ancora oggi coltivi l’ambizione (illuso- ria?) di riuscire a concepire proposte e modelli di interpretazione as- seritamente ‘neutrali’ e avalutativi. È ricorrente in sede teorica prendere le mosse dall’interrogativo sul perché la libertà di espressione sia importante. Il livello di reattività emozionale, e purtroppo anche di violenza fi- sica, che hanno caratterizzato alcuni recenti episodi nel contesto eu- ropeo11, suggeriscono di affrontare il tema attraverso prospettive di analisi che non si limitino a una, pur problematica, riflessione su norme e principi 12. La complessità dei problemi esige un avvicinamento anche al sub- strato umano dei conflitti e dunque alle emozioni e ai sentimenti che si agitano sullo sfondo e che sono di fatto i vettori di senso che concor- rono a guidare le preferenze e le scelte degli individui, e dunque la loro posizionalità assiologica 13: un discorso che vale non solo per i destina- tari di espressioni avvertite come offensive, ma che è funzionale a in- quadrare e definire anche la posizione di chi esprime un pensiero14. libertà di espressione e limiti penalistici, in Quaderni costituzionali, 4/2013, pp. 823 ss. 11 Su tutti, i violenti disordini seguiti alla pubblicazione di vignette satiriche sulla religione musulmana in Danimarca, e il tragico attentato contro il settima- nale francese Charlie Hebdo, colpevole, agli occhi dei fondamentalisti, di aver pubblicato vignette blasfeme sull’Islam. 12 Il piano prettamente giuridico, ossia il riconoscimento di libertà nelle Carte costituzionali nazionali e in fonti sovranazionali, rappresenta una premessa del problema; né del resto sembra essere risolutivo l’appello a teorizzazioni classiche, come quella milliana, il cui pur apprezzabile ottimismo di fondo dalle coloriture utilitaristiche appare oggi forse troppo irenistico. Ci riferiamo all’obiezione di fondo con cui Mill critica la prospettiva di limiti alla libertà di espressione, ossia che la compressione della libertà limiterebbe la circolazione di eventuali verità che potrebbero arricchire il patrimonio intellettuale di un popolo, v. MILL, Sulla libertà, tr. it., a cura di Mollica, Milano, 2007, pp. 117 ss. 13 Traggo questo concetto dalla teorizzazione fenomenologica di Roberta De Monticelli: definito il sentimento come «disposizione del sentire che comporta un consentire più o meno profondo all’essere di ciò che la suscita», v. DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 121, è importante a nostro avviso legare tale concetto al tema della posizionalità, per evidenziare come l’atto del consentire e dell’espri- mere rappresenti una presa di posizione nella quale la persona è coinvolta in quanto soggetto, v. DE MONTICELLI, La novità di ognuno. Persona e libertà, Milano, 2009, pp. 187 ss. Si veda anche infra, nota 94. 14 Non può essere condiviso l’assunto secondo cui la caratterizzazione di un’espressione di critica in termini affettivo-emozionali la renderebbe per ciò solo   108 Tra sentimenti ed eguale rispetto Anche in tempi in cui la considerazione della dimensione emotiva non poteva avvalersi degli studi che oggi ne affermano la rilevanza nelle scelte decisionali, e che ne riabilitano in buona parte anche la salienza morale, nella dottrina penalistica italiana fu osservato che «è il senti- mento, l’atteggiamento di adesione o indifferenza per questo o quel va- lore, e non la ragione raziocinante che di per sé è uno strumento “neu- tro”, a indicare all’azione i suoi possibili scopi e modi, e in tal modo addirittura a caratterizzare diverse forme di civiltà» 15. L’atteggiamento dominante della dottrina penalistica esorta con- divisibilmente alla cautela quando si tratta di valutare input di politi- ca del diritto che rivelano una componente emotiva. Ciò non significa cadere nell’eccesso opposto, ossia immaginare o ipotizzare un diritto penale sordo e cieco rispetto a qualsivoglia istanza di matrice emoti- va: un ideale ben poco plausibile, poiché la risposta penalistica è ne- cessariamente anche una risposta a emozioni che si legano inevita- bilmente ai fatti di vita su cui il diritto interviene, e dovrebbe in que- sto senso cercare di acquisire una «capacità di rispettoso governo del- le emozioni e dei sentimenti, come tale autenticamente liberale, ossia costantemente sostenuta dalla consapevolezza di come lo stesso si- stema di regolazione debba rassegnarsi, ma anche trarre vantaggio, da questa sorta di “passività buona”» 16. Da ciò la rilevanza, in primo luogo per la riflessione teorica, delle risonanze emozionali che trapelano dai conflitti interrelazionali, fra cui anche quelli legati alla libertà di espressione. L’obiettivo non è assecondare ciecamente le pretese di una delle incompatibile con una ‘vera’ manifestazione del pensiero; tale posizione è esplici- tata in NUVOLONE, Reati di stampa, Milano, 1971, p. 19: «poiché critica significa dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento altrui, sarà estraneo all’at- tività critica ogni apprezzamento negativo immotivato o motivato da una mera animosità personale, e che trovi, pertanto, la sua base in un’avversione di caratte- re sentimentale e non in una contrapposizione di idee». Il problema divise la dot- trina penalistica: si vedano a sostegno di un’apertura liberale PULITANÒ, Libertà di pensiero e pensieri cattivi, cit., pp. 187 ss.; più recentemente, PELISSERO, Reato po- litico e flessibilità delle categorie dogmatiche, Napoli, 2000, pp. 212 ss.; per l’opi- nione opposta v. ZUCCALÀ, Personalità dello Stato, ordine pubblico e tutela della li- bertà di pensiero, in AA.VV., Legge penale e libertà di pensiero, Padova, 1966, pp. 81 ss. Tale distinzione si lega alla categorizzazione fra manifestazioni del pensiero ‘pure’ e forme di sollecitazione all’azione, utilizzata anche dalla Corte costituzio- nale ad esempio nella sentenza n. 87/1966; per una critica vedi CARUSO, La libertà di espressione in azione, cit., pp. 95 ss. 15 PULITANÒ, Spunti critici in tema di vilipendio della religione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1969, p. 225.  16 FORTI, Le ragioni extrapenali, cit., p. 1114.  Sensibilità individuali e libertà di espressione 109 parti, bensì riuscire ad avere una migliore visuale sulle sfumature as- siologiche che ogni singola vicenda lascia emergere. Come osservato da autorevole dottrina, vi è l’esigenza di «riuscire a gettare luce al di là del magma dei sentimenti, nel tentativo di trarre da essi ragioni argomentabili nella discussione pubblica e nel dibattito politico cri- minale» 17. Riteniamo che affrontare problemi concernenti la libertà di espres- sione anche attraverso una ragionevole attenzione alla dimensione affettiva, possa arricchire i contenuti del dibattito. In primo luogo, un attento sguardo alle dinamiche emozionali porta a non perdere di vista la dimensione socio-antropologica dei conflitti, a non perdersi nel ‘cielo dei concetti’ ma piuttosto a cercare di indagare le matrici umane del dissenso, le eventuali cause e i potenziali effetti di una conflittualità che oggi presenta tratti fortemente degenerati, con pre- occupanti echi che attingono da un inquietante repertorio di odio e di contrapposizioni. Sul piano della definizione dell’offesa, guardando i problemi at- traverso la prospettiva dello scontro fra sensibilità emerge un dato di fondo: non sono coinvolti beni primari quali la vita, l’integrità fisica o la libertà di autodeterminazione; si attinge un livello non esiziale ma comunque significativo, poiché dietro un’offesa a sentimenti si profi- la la possibilità di una sofferenza – in termini di emozione negativa 18 – nel venire a contatto, o anche semplicemente a conoscenza, di for- me di contrasto o di disapprovazione che hanno ad oggetto idealità, visioni del mondo, valori. Con le parole si possono toccare corde sen- sibili dell’animo, quando vengono criticati o irrisi simboli, dogmi nei quali un individuo si riconosce, anche a prescindere dal fatto che una data espressione sia rivolta a lui e quando colpisce in modo indistinto una molteplicità di soggetti accomunati da una credenza. Qual è l’elemento che può legittimare interventi normativi? È il disagio emozionale soggettivo che scaturisce di fronte a manifesta- zioni di pensiero che sostengono valori e visioni del mondo opposte a quella in cui ci si identifica? O l’attenzione va posta su ragioni ulte- 17 FIANDACA, Considerazioni intorno a bioetica e diritto penale, cit., p. 555. Giu- sto il contrario, dunque, di un uso populistico e meramente retorico dell’appello a sentimenti ed emozioni, il quale peraltro è assai frequente nel dibattito pubblico come osserva D’AGOSTINI, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Torino, 2010, pp. 122 ss. 18 Sul concetto di ‘polarità’ delle emozioni, o ‘valenza’, v., ex plurimis, TERONI, Più o meno: emozioni e valenza, in AA.VV., a cura di Tappolet-Teroni-Konzelmann Ziv, Le ombre dell’anima, cit., pp. 3 ss.   110 Tra sentimenti ed eguale rispetto riori che non hanno un’univoca corrispondenza con il contenuto co- gnitivo delle reazioni emotive suscitate? Le risposte a tali interrogativi possono condurre ad approcci pro- fondamente diversi, sintetizzabili a nostro avviso in forme paradig- matiche 19: da un lato un modello di intervento giuridico che potrem- mo definire ‘naturalistico-emozionale’, e dall’altra un modello ‘razio- nalistico-normativo’. Nel primo caso il sentire individuale è preso in considerazione nella dimensione fisico-naturalistica, come coefficiente di reattività psichica nelle interazioni relazionali e dunque come problema di so- glie di sensibilità soggettiva da verificarsi sul piano empirico, secon- do un’impostazione che individua il bene finale nella tranquillità emo- tiva della persona. L’approccio alternativo, ossia il modello ‘razionalistico-normati- vo’, cerca di identificare, attraverso le emozioni manifestate e i sen- timenti chiamati in gioco, istanze e rivendicazioni che possano essere tradotte in concetti razionalmente e normativamente filtrati, e valuta- te dunque in rapporto a cornici assiologiche di riferimento 20. In altri termini, l’approccio ‘razionalistico-normativo’ si propone di inqua- drare i problemi in una prospettiva nella quale la dimensione pret- tamente emozionale costituisce elemento da tradurre in un contesto 19 Utilizzo il concetto di ‘modello-paradigma’ nell’accezione di SARTORI, Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali, cit., pp. 98 ss. 20 Si tratta di modelli di approccio che evocano alla memoria del penalista soluzioni metodologiche e interpretative elaborate in relazione all’inquadra- mento dell’interesse protetto nella tutela penale dell’onore: le concezioni ‘fattua- le’ e ‘normativa’. La prima configura l’onore come sentimento individuale, o, in riferimento alle condotte di diffamazione, come elemento sociopsicologico su base collettiva; secondo la concezione normativa, cui possono affiancarsi le successive rielaborazioni in chiave di concezione ‘mista’, l’onore è da intendersi come riflesso del valore dell’individuo in quanto tale, ossia come proiezione del- la dignità umana. Nel discorso penalistico sull’onore emergono in nuce que- stioni di fondamentale importanza: il rapporto tra dimensione fattuale e proie- zione normativa dello stato psicologico associabile al concetto di onore non è altro che la ricaduta settoriale di un nodo problematico che ricorre di fronte a ogni tipo di sentimento evocato dal diritto come oggetto di tutela. Nella dottri- na italiana, ex plurimis, MUSCO, Bene giuridico e tutela dell’onore, cit., pp. 4 ss.; SIRACUSANO, Problemi e prospettive della tutela penale dell’onore, in AA.VV., Verso un nuovo codice penale. Itinerari, problemi, prospettive, Milano, 1993, pp. 337 ss.; GULLO, Diffamazione e legittimazione dell’intervento penale. Contributo a una riforma dei delitti contro l’onore, Roma, 2013, pp. 17 ss.; per un’originale riela- borazione del tema, v. TESAURO, La diffamazione come reato debole e incerto, To- rino, 2005, pp. 11 ss.   Sensibilità individuali e libertà di espressione 111 di diritti di libertà e doveri di rispetto, con tutte le complessità che ne discendono in termini di bilanciamento. Esporremo i tratti salienti di tali modelli sulla base del pensiero di due autorevoli studiosi che hanno a nostro avviso contribuito a mo- strarne le coordinate fondamentali. 2. Approccio ‘naturalistico-emozionale’ Intendiamo come ‘naturalistico-emozionale’ un modello di inter- vento che assuma a riferimento primario la dimensione naturalistica del sentire, identificata in manifestazioni di reattività emotiva cui il diritto attribuisca rilevanza tramite la costruzione di precetti fondati su eventi di tipo psichico. Una simile prospettiva, nel caso sia volta a preservare la sfera psi- cologica degli individui da turbamenti emotivi dovuti alla semplice cognizione o al contatto ravvicinato con esternazioni di opinioni, comunicazione di contenuti di pensiero o più in generale con atteg- giamenti che suscitino contrasto fra sostenitori di visioni del mondo diverse, appare un’opzione fortemente problematica, e con buona probabilità impraticabile. Obiettare la mancanza di un’offesa significativa dal punto di vista penalistico è però un argomento non decisivo se si apre la riflessione alle concettualizzazioni di matrice anglo-americana dei cosiddetti Harm Principle e Offense Principle 21: da questo punto di vista non è af- 21 Constatata la crisi del cosiddetto ‘bene giuridico’, anche nella dottrina italiana si è fatto sempre più concreto l’interesse per le categorie dello Harm e dell’Offense, ricostruite soprattutto sulla base del pensiero di Joel Feinberg. Nella letteratura ita- liana il pensiero di Feinberg è stato fra i temi privilegiati di recenti studi collettanei dedicati al tema della legittimazione del diritto penale: v. AA.VV., a cura di Fianda- ca-Francolini, Sulla legittimazione del diritto penale, cit.; AA.VV., a cura di Cadoppi, Laicità, valori e diritto penale, cit.; si veda lo studio monografico di FRANCOLINI, Ab- bandonare il bene giuridico? Una prospettiva procedurale per la legittimazione del di- ritto penale, Torino, 2014, pp. 78 ss.; fra gli articoli in cui si ‘dialoga’ con le categorie feinberghiane v. CADOPPI, Liberalismo, paternalismo e diritto penale, cit., pp. 83 ss.; ID., Presentazione. Principio del danno (Harm Principle) e limiti del diritto penale, in AA.VV., a cura di Cadoppi, Laicità, valori e diritto penale, cit., pp. VII ss.; FORTI, Principio del danno e legittimazione “personalistica” della tutela penale, in AA.VV., a cura di Fiandaca-Francolini, Sulla legittimazione del diritto penale, cit., pp. 56 ss.; FIANDACA, Laicità, danno criminale e modelli di democrazia, in AA.VV., a cura di Ri- sicato-La Rosa, Laicità e multiculturalismo. Profili penali ed extrapenali, cit., pp. 18 ss.; ID., Diritto penale, tipi di morale e tipi di democrazia, in AA.VV., a cura di Fianda-   112 Tra sentimenti ed eguale rispetto fatto scontato che una tutela di meri sentimenti, o, più propriamente, volta a evitare emozioni negative, sia estranea all’ambito della penaliz- zazione legittima, ma si tratta al contrario di un problema aperto. Le categorie del pensiero giuridico anglo-americano sono partico- larmente efficaci nell’illustrare la stratificazione di soglie di offesa che possono ipoteticamente essere addotte per legittimare interventi penali: il discorso è infatti aperto non solo al danno, lo Harm, ma anche a forme di interferenza con interessi della persona meno incisive, ossia l’Offense, traducibile come ‘molestia’ 22. In particolare, è l’Offense Prin- ciple la categoria che meglio si presta a riassumere il tipo di offese che si legano al contatto sgradito con determinati atteggiamenti e contenu- ti espressivi 23. ca-Francolini, Sulla legittimazione del diritto penale, cit., pp. 153 ss. DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti, cit., ROMANO, Danno a sé stessi, pa- ternalismo legale e limiti del diritto penale, cit.; PULITANÒ, Paternalismo penale, cit.; ID., voce Offensività del reato (principio di), in Enciclopedia del diritto, Annali VIII, Milano, 2015, pp. 683 ss.; DE MAGLIE, Punire le condotte immorali?, cit., pp. 938 ss. L’approccio feinberghiano ha suscitato interesse anche in Germania, per quanto, come espressamente affermato da Tatiana Hörnle, fino ai primi anni Duemila non sia stato oggetto di particolari approfondimenti, forse anche, secondo la Hörnle, per la mancata traduzione dei testi di Feinberg in tedesco, v. HÖRNLE, Offensive Beha- viour and German Penal Law, in 5 Buffalo Criminal Law Review, 2001, pp. 258 ss., anche per una sintetica analisi delle concettualizzazioni feinberghiane in rapporto al diritto penale tedesco. 22 Va specificato che l’atteggiamento di maggiore o minore apertura a principi di legittimazione diversi dallo Harm Principle discende da pregiudiziali politico- filosofiche: ad esempio, secondo una posizione di ‘liberalismo estremo’ solo il principio del danno (Harm) dovrebbe costituire criterio legittimo di incrimina- zione. In questo senso la posizione di Joel Feinberg si presenta più aperta, poiché non esclude che fra le ‘buone ragioni’ vi possano essere criteri complementari allo Harm: «[è] Feinberg, sostanzialmente, che amplia il discorso al c.d. “offense prin- ciple”», v. CADOPPI, Liberalismo, paternalismo, cit., p. 92; cfr. FIANDACA, Diritto pe- nale, tipi di morale, cit., p. 156. 23 Il concetto di Harm di matrice feinberghiana non corrisponde in toto a quel- lo che ha trovato successivamente applicazione nel sistema statunitense: lo Harm è stato oggetto di una dilatazione che ha portato ad allargarne lo spettro di rile- vanza, e molti dei problemi collocati da Feinberg nell’Offense sono ricollocati oggi in una versione più estesa dello Harm; per una sintesi v. DE MAGLIE, Punire le con- dotte immorali?, cit., pp. 947 ss. Si veda anche infra, nota 65. Sull’applicazione dello Harm a problemi concernenti la libertà di espressione v. COHEN, Psychologi- cal Harm and Free Speech on Campus, in 54 Society, 2017, pp. 321 ss. Harm e Of- fense non sono incompatibili fra loro, ma come principi di sistema possono inte- ragire in termini di complementarietà, ossia è possibile che alcune norme dell’or- dinamento penale si legittimino in nome dello Harm Principle e altre in norme dell’Offense Principle. Non va peraltro dimenticato che «I principi compendiano le ragioni morali che possono sostenere le proibizioni penali [...] servono a circo-   Sensibilità individuali e libertà di espressione 113 Illustriamo tali concetti attraverso un cursorio richiamo alla più importante elaborazione sul tema, ossia lo studio di Joel Feinberg dedicato ai limiti morali del diritto penale e in particolare al tema dell’Offense Principle 24. 2.1. La prospettiva dell’Offense secondo Joel Feinberg Cominciamo da un’importante distinzione: secondo Feinberg quando si parla di tutela della tranquillità psichica volta a evitare reazioni di disgusto, di rabbia e altre emozioni negative, bisogna di- stinguere fra molestie in cui vi è la compresenza di soggetto attivo e vittima, fondate su percezioni di tipo visivo, uditivo o olfattivo, e altre condotte tali da poter suscitare sensazioni sgradite pur senza un rap- porto di diretta percezione, ma semplicemente a seguito della presa di conoscenza. Nel primo caso si tratta della cosiddette ‘nuisance’, ossia offese ai sensi: nelle ‘mere offensive nuisance’ il torto (wrong) coincide ed è in- scindibile dall’esperienza di percezione visiva, uditiva, olfattiva o tat- tile 25. Nel secondo caso si tratta di forme di molestia, cosiddette ‘pro- found offenses’, le quali attingono una sensibilità di ordine più elevato e sono tali da indurre sofferenza e disagio anche quando non vi sia percezione sensoriale diretta. Le ‘profound offenses’ si differenziano dalle nuisances in quanto potrebbero continuare a provocare fastidio anche dopo l’iniziale presa di conoscenza 26: esempi addotti da Fein- berg sono il voyeurismo, la propaganda nazista e razzista in generale, le offese a simboli civili e religiosi, l’oltraggio a cadaveri; una dimen- scrivere l’ambito all’interno del quale la restrizione della libertà dei consociati è, secondo la concezione che li sostiene, moralmente legittima: ma non escludono le ulteriori valutazioni di utilità sociale e di effettiva opportunità che un determina- to legislatore positivo dovrà compiere prima di decidere se dovrà emanare o me- no una norma penale», v. FRANCOLINI, Abbandonare il bene giuridico, cit., p. 78. 24 FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others, New York-Oxford, 1985. Una versione in nuce dell’elaborazione feinberghiana sullo Harm e Offense Principle, precedente alla tetralogia sui limiti morali del di- ritto penale, è contenuta in FEINBERG, Filosofia sociale, tr. it., Milano, 1996 (or. 1973), pp. 55 ss. 25 «[I]t is experiencing the conduct, not merely knowing about it, that of- fends», FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others, cit., p. 58. 26 FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others, cit., p. 51.   114 Tra sentimenti ed eguale rispetto sione che potremmo definire di ‘sensibilità morale’ nella quale la le- sione si lega a qualcosa di esterno al soggetto e viene definita ‘pro- fonda’ a causa del suo impatto su una sensibilità non meramente ‘epidermica’, e che non dipende dall’effettivo coinvolgimento emotivo di individui determinati. Quanto all’eventuale rilevanza penale, per Feinberg le profund of- fenses che non siano contemporaneamente anche nuisances, ossia commesse in un luogo pubblico e percepite da soggetti terzi, non do- vrebbero rientrare nell’area di criminalizzazione legittima coperta dall’Offense Principle 27. Con un’importante conseguenza: se le offese a sensibilità di alto livello non vengono realizzate attraverso condotte in grado di colpire anche la sensibilità di soggetti presenti, potrebbe escludersi la loro incriminabilità secondo il criterio dell’Offense, e si dovrebbe far ricorso a principi di legittimazione differenti, e del tutto distonici rispetto alle prospettive liberali: il moralismo giuridico 28. In secondo luogo, anche se si interpretasse il pensiero feinber- ghiano ammettendo che le cosiddette ‘profund offenses’ possano teo- ricamente costituire oggetto di incriminazione in quanto riconducibi- li all’Offense Principle, resta il fatto che i criteri di bilanciamento che Feinberg enuncia come ‘massime di mediazione’ porrebbero un serio ostacolo all’incriminazione di offese a sensibilità di ‘alto livello’ 29. Fra 27 Per una sintesi v. FRANCOLINI, Abbandonare il bene giuridico?, cit., pp. 218 ss. 28 È l’opinione di FRANCOLINI, Abbandonare il bene giuridico, cit., p. 221. Sui rapporti tra Offense Principle e Harmless Wrongdoing v. FEINBERG, The Moral Li- mits of Criminal Law, vol. IV, Harmless Wrongdoing, New York-Oxford, 1988, pp. 15 s.; ID., Filosofia sociale, cit., pp. 67 ss. Per una sintesi v. FIANDACA, Punire la semplice immoralità?, cit., pp. 208 ss.; DE MAGLIE, Punire le condotte immorali?, cit., pp. 945 ss. 29 FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others, cit., p. 60. Nella teorizzazione feinberghiana il provare un’emozione negativa non è requisito che esaurisce gli elementi costituitivi dell’offense: condotte in grado di suscitare nei terzi sensazioni sgradevoli possono scaturire da attività che fanno parte dell’agire quotidiano di ogni individuo, attività comprese nella normale vita di relazione, e che tuttavia possono produrre quelli che sono dei cosiddetti ‘stati mentali sgraditi’. Per ovviare a possibili eccessi, Feinberg rimarca l’esigenza di elaborare dei criteri di bilanciamento che operino nel senso di restringere l’ambi- to di criminalizzazione della molestia. Secondo le ‘massime di mediazione’ da lui elaborate, va esaminato il limite della cosiddetta seriousness della molestia, e del- la reasonableness della condotta attiva: in sintesi, la serietà della molestia dipende dalla sua intensità, dalla durata; dall’estensione; dal grado di evitabilità (la diffi- coltà di sottrarsi senza inconvenienti alla situazione in cui si è assistito alla mole- stia è un parametro per la gravità della condotta attiva); dalla massima del con- senso, per cui l’assunzione volontaria del rischio di incorrere nelle condotte di   Sensibilità individuali e libertà di espressione 115 i parametri di selezione vi è infatti quello della ‘ragionevolezza’ del- l’offesa, valutabile attraverso i criteri dell’importanza che la condotta riveste per l’agente, e dell’eventuale utilità sociale della condotta stes- sa, con la conseguenza che azioni pur offensive, ma che siano al con- tempo forme di espressione dell’individuo, potrebbero essere consi- derate lecite in forza del valore individualistico (importanza per l’agen- te) e collettivistico (utilità sociale) della condotta 30. In relazione alla suscettibilità individuale, Feinberg è categorico nel porre un’obiezione alla tutela di soggetti caratterizzati da un’ab- norme emotività, definendoli ‘cavalli capricciosi’ (skittish horses): quan- to più un soggetto è emotivamente suscettibile, tanto meno potrà pre- tendere che il diritto penale assecondi le sue pretese 31. Fin qui la teorizzazione di Feinberg sembrerebbe sostanzialmente contraria all’incriminazione di condotte che offendano valori e sensi- bilità di ordine elevato. Se dovessimo proiettare le categorie feinberghiane nel diritto ita- liano potremmo associare tendenzialmente la c.d. tutela di ‘sentimen- ti-valori’ alle ‘profund offenses’, come offese ad aspetti concernenti il piano dei valori costitutivi dell’identità morale che attingono strati profondi 32 e relegano in posizione marginale, anche se forse non del tutto irrilevante, il profilo della nuisance 33. offense esclude la rilevanza penale di queste, v. ID., The Moral Limits of the Crimi- nal Law, vol. II, Offense to Others, cit., pp. 35 ss. 30 «no amount of offensiveness in an expressed opinion can counterbalance the vital social value of allowing unfettered personal expression», FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others, cit., p. 39. 31 FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others, cit., p. 34. Negli Stati Uniti si è recentemente sviluppato un dibattito avente ad oggetto la libertà di espressione nei campus e nei college, in relazione alla sensibi- lità degli studenti e alla possibilità che un’assoluta deregolamentazione della li- bertà di manifestare il proprio pensiero si riveli loro pregiudizievole: il tema è no- to come ‘Snowflakes’ (letteralmente ‘fiocchi di neve’, appellativo per gli studenti sensibili). L’orientamento maggioritario tende a ritenere illegittime eventuali re- strizioni alla libertà di espressione nei campus, adducendo il fatto che il plurali- smo delle idee, e il confronto anche aspro, è ciò che deve contribuire a formare e rafforzare la personalità degli studenti; per una sintesi di tale posizione v. COHEN, Psychological Harm and Free Speech, cit., pp. 320 ss. 32 Cfr. SPENA, Libertà di espressione e reati di opinione, cit., pp. 694 ss., il quale ri- chiama le sensibilità di alto livello quale chiave di lettura dei c.d. ‘reati d’opinione’. 33 Il profilo del turbamento da contatto visivo o comunque fisico assume una rilevanza, quantomeno sul piano della costruzione del tipo di reato, nel caso degli atti osceni; per quanto non si richieda la verifica di un disagio concretamente esperito da qualcuno, la fisionomia del fatto tipico resta basata su un’esperienza   116 Tra sentimenti ed eguale rispetto Inferire dalle teorie feinberghiane l’illegittimità tout court di in- criminazioni come ad esempio la propaganda razzista sarebbe però affrettato: va infatti rimarcato che Feinberg introduce una deroga espressa (ad hoc amendment) alla sua costruzione teorica al fine di dare un fondamento di legittimazione alla criminalizzazione di con- dotte di insulto rivolte a minoranze etniche, razziali, e religiose. Se infatti in linea di principio egli afferma che fra le massime di media- zione vada contemplato anche il cosiddetto ‘standard di universalità’, ossia la verifica che il comportamento offensivo sia ritenuto tale da una considerevole maggioranza di persone prese a campione dall’in- tera popolazione34, e dunque che l’offensività non debba essere de- dotta dal capriccio di pochi, nondimeno egli ritiene che vada fatta una deroga nel caso di offese indirizzate a certe minoranze, cui la mag- gioranza potrebbe restare indifferente ma che, agli occhi di Feinberg, dovrebbero meritare una rilevanza normativa. Se da un lato tale eccezione sembra introdurre una falla nella com- plessiva coerenza dell’impianto teorico feinberghiano35, dall’altro lato la deroga evidenzia come anche all’interno di posizioni fortemente li- berali sia avvertita l’esigenza di lasciare aperta la possibilità di limiti a determinate forme e contenuti espressivi: la motivazione non risiede nell’eventuale turbamento emotivo (diversamente ricadrebbe nel di- scorso delle nuisance), ma le ragioni sono più plausibilmente da ricer- carsi sul piano dei principi normativi e, in particolare, in relazione alle modalità tramite le quali una democrazia liberale dovrebbe tutelare le minoranze in una cornice di uguaglianza sostanziale. Appare evidente che la partita decisiva si gioca su valori; sia il principio dello Harm, sia il principio dell’Offense, non possono fare affidamento una base oggettiva e neutrale al punto da poter prescin- dere da una preliminare scelta assiologica su quali siano gli interessi la cui lesione deve essere considerata rilevante 36 e soprattutto su co- visiva, e che dunque richiede un contatto fra soggetti e non può limitarsi alla semplice presa di conoscenza. 34 FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others, cit., pp. 26 ss. 35 Per un’attenta critica v. MANIACI, Come interpretare il principio del danno, in Ragion pratica, 1/2017, pp. 160 ss. 36 FORTI, Per una discussione sui limiti morali del diritto penale, tra visioni “liberali” e paternalismi giuridici, in AA.VV., a cura di Dolcini-Paliero, Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. I, cit., pp. 315 ss.; sulla componente valoriale del concetto di danno cfr. FIANDACA, Punire la semplice immoralità? Un vecchio interrogativo che tende a ri- proporsi, in AA.VV., a cura di Cadoppi, Laicità, valori, diritto penale, cit., p. 225.   Sensibilità individuali e libertà di espressione 117 me debbano essere bilanciate le opposte pretese. Nell’impostazione feinberghiana, comunque incentrata su aspetti di sensibilità soggetti- va, tale ruolo è svolto, come detto, dalle c.d. ‘massime di mediazione’; va però osservato che dopo Feinberg l’evoluzione dell’Offense Princi- ple sarà caratterizzato da un processo di ‘depsicologizzazione’, il qua- le condurrà a definizioni normativamente più pregnanti, per quanto ancor problematiche, come ad esempio quella proposta da Andrew Von Hirsch 37. Tirando le fila del discorso, un approccio puramente ‘naturalisti- co-emozionale’ al problema della tutela di sentimenti appare difficil- mente praticabile poiché finirebbe per incrementare la conflittualità. Secondariamente, anche le declinazioni a nostro avviso più vicine all’approccio naturalistico rivelano l’ineludibilità di un filtro norma- tivo delle pretese, volto a distinguere fra atteggiamenti ragionevoli e irragionevoli secondo una prospettiva di tollerabilità sociale. Il pas- saggio al piano di una considerazione delle emozioni e dei sentimenti da un punto di vista normativo è dunque inevitabile, così come è ine- vitabile far confluire le diverse istanze in una prospettiva di bilan- ciamento. Tale esigenza viene approfondita in particolar modo dalla statuni- tense Martha Nussbaum, e proprio a partire dalle sue elaborazioni cercheremo di illustrare le coordinate di un approccio alternativo. 37 VON HIRSCH, The Offence Principle in Criminal Law: Affront to Sensibility or Wrongdoing?, in 11 King’s Law Journal, 2000, pp. 82 ss. Il correttivo adottato da Von Hirsch – il quale ritiene che, inteso come ‘affront to sensibility’, l’Offense Prin- ciple sia troppo espansivo – consiste nel valutare la condotta ritenuta offensiva sia secondo parametri di adeguatezza sociale, sia soprattutto includendo nel giudizio il principio morale del reciproco rispetto: «All three reasons invoke convention to give social meaning to the conduct, but entail a further reason of a moral kind, concerned with treating others with proper respect»; v anche ID., I concetti di “danno” e “molestia” come criteri politico-criminali nell’ambito della dottrina pena- listica angloamericana, in AA.VV., a cura di Fiandaca-Francolini, cit., pp. 35 ss. Nel complesso, l’Offense feinberghiana è stata sottoposta a un graduale processo di depsicologizzazione che ne ha ridotto in buona parte il divario con lo Harm; osserva icasticamente HÖRNLE, Offensive Behaviour and German Penal Law, cit., p. 268, che «If one does not view “offense to others” as a psychological phenome- non, as does Feinberg, but as a normative concept, the conceptual difference between harm and offense disappears».   118 Tra sentimenti ed eguale rispetto 3. Approccio ‘razionalistico-normativo’: emozioni ragionevoli e irragionevoli secondo Martha Nussbaum Definiamo ‘razionalistico-normativo’ un approccio teorico che su- bordini la rilevanza giuridica di atteggiamenti emotivi e di fatti di sentimento alla valutazione dei relativi contenuti cognitivi, e in parti- colare alla verifica dell’adeguatezza del giudizio di valore alla base dell’atteggiamento emozionale, intesa come consonanza o compatibi- lità rispetto a principi base della convivenza. Martha Nussbaum assume come presupposto l’innegabile rilevan- za del fattore emozionale nel diritto e nelle questioni di etica pubbli- ca, sostenendo la necessità di un ‘buon uso’ delle emozioni, non di un avallo acritico, alla luce di ragioni che si intrecciano con profili di psicologia sociale e con valori di fondo connessi ai sistemi politici e ai modelli di democrazia. Per ora ci limitiamo a sintetizzare il cuore della prospettiva politi- co-normativa della Nussbaum, al fine di evidenziare come, rispetto alla teorizzazione di Feinberg, la componente sensoriale-emotiva ri- sulti decisamente in secondo piano. L’obiettivo che emerge dalle ope- re della Nussbaum è l’educazione dei legislatori e dei giudici a un ascolto critico e consapevole delle emozioni individuali e collettive, finalizzato a gettare luce sul riconoscimento di diritti e a non asse- condare atteggiamenti fondati su generalizzazioni e stereotipi di- scriminatori che collidono con i valori di una democrazia liberale. Secondo la Nussbaum, l’emozione ha un ruolo rilevante nella for- mazione delle opinioni e dei giudizi dell’individuo, non è un moto cieco e irriflesso ma implica credenze che possono essere più o meno attendibili o ragionevoli (vedi supra, cap. II). È fondamentale inter- rogarsi sui contenuti di pensiero alla base delle emozioni per poter maturare un atteggiamento selettivo sul piano giuridico: «[i] giudizi sulle credenze valutative sono essenziali per il ruolo giocato dalle emozioni nel diritto»38. Conseguentemente, l’etica pubblica non do- vrebbe essere fondata su una matrice puramente emotiva: risulta es- senziale un filtro normativo, ossia un passaggio di confronto fra l’emozione in senso psicologico, i fondamenti cognitivi e un’assiolo- gia di riferimento. È emblematico il caso di un’emozione particolarmente radicata nelle società umane come il disgusto, il quale nella sua dimensione primaria ha la funzione di proteggere l’essere umano da fattori con-  38 NUSSBAUM, Nascondere l’umanità, cit., p. 53.  Sensibilità individuali e libertà di espressione 119 taminanti, rappresentando un fondamentale strumento di sopravvi- venza in rapporto a un’importante sfida adattiva 39: quella di evitare il contatto con sostanze pericolose o nocive per la salute, stando ad esempio lontano da corpi in decomposizione, non abbeverandosi o nutrendosi da fonti di potenziali malattie et similia. Il disgusto esiste per condurre l’essere umano a un approccio se- lettivo, la cui traiettoria era, in origine, rivolta a oggetti cosiddetti ‘pri- mari’ (sangue, feci, sperma, urina, muco, cadaveri), e che con l’evolu- zione dei contesti culturali e delle norme sociali ha subìto un riadat- tamento in termini di proiezione40. Si parla di disgusto ‘proiettivo’ per indicare il caso in cui tale emozione si rivolga a individui o a gruppi di individui in virtù di un’associazione immaginativa deter- minata da norme sociali o dallo stretto contatto del gruppo con og- getti ‘primari’ del disgusto 41. In questo modo esso rischia di farsi por- tatore di una carica discriminatoria poiché si lega a idee di contami- nazione e a un rifiuto dell’animalità (e dunque della limitatezza e del- la mortalità) umana che conduce all’emarginazione e alla stigmatiz- zazione di ciò che può essere percepito come anomalo o ‘diverso’42, fino all’avversione verso soggetti riconducibili a cosiddetti ‘gruppi impopolari’ (minoranze razziali, ebrei, omosessuali, ecc.). Le riflessioni di Martha Nussbaum rappresentano un’importante coordinata riguardo al problema della tutela di sentimenti, per quan- to vadano fatte alcune precisazioni: l’oggetto principale delle analisi della studiosa sono gli atteggiamenti emozionali collettivi e i loro ri- flessi sul piano delle scelte di politica del diritto e, in particolare, di politica penale. In che termini tali indicazioni possono essere utiliz- 39 HAIDT, Menti tribali, cit., p. 159. 40 Come osservano gli antropologi Dan Sperber e Lawrence Hirschfeld, citati da Jonathan Haidt, bisogna distinguere tra fattori di attivazione originari, ossia gli oggetti per i quali la funzione adattiva è stata progettata dall’evoluzione, e fat- tori scatenanti che possono accidentalmente attivare quella reazione, anche in assenza di pericoli reali, in forza di percezioni erronee dovute a distorsioni senso- riali o a condizionamenti socio-culturali. Osserva Haidt che «[l]e variazioni cultu- rali della morale si possono in parte spiegare con il fatto che le culture sono in grado di ridurre o moltiplicare il numero di fattori scatenanti attuali di un qual- siasi modulo», v. HAIDT, Menti tribali, cit. p. 158. 41 NUSSBAUM, Disgusto e umanità, cit., p. 86. 42 NUSSBAUM, Nascondere l’umanità, cit., pp. 98, 157. Per una diversa opinione, volta a sottolineare aspetti in relazione ai quali l’emozione del disgusto può risul- tare importante nel giudizio morale e, secondo gli esempi riportati dall’Autore, anche nelle dinamiche del giudizio penale, v. KAHAN, The Progressive Appropria- tion of Disgust, in AA.VV., ed. by Bandes, The Passions of Law, cit., pp. 63 ss.   120 Tra sentimenti ed eguale rispetto zate relativamente ai problemi concernenti la libertà di espressione e il rispetto dei sentimenti altrui? Il suggerimento traibile dalle riflessioni della Nussbaum concerne l’esigenza di verificare in quale misura eventuali richieste di tutela per un dato sentimento trovino la propria matrice in atteggiamenti che, ad un’attenta valutazione sul piano cognitivo-razionale, rivelano una tendenza al rifiuto dell’altro, e dunque una portata sostanzial- mente discriminatoria. Ci sembra un avvertimento quantomeno opportuno e ben spendi- bile in rapporto alle odierne politiche penali, in cui l’ascolto di emo- zioni collettive si è talvolta rivelato strumentale all’emanazione di provvedimenti volti a raccogliere consenso43, senza valutare, o me- glio omettendo talvolta volutamente di considerare, se e in che misu- ra certe emozioni siano il riflesso di atteggiamenti che una democra- zia basata su libertà e uguaglianza non dovrebbe assecondare. Il punto nodale per addivenire a un modello di intervento orienta- to in termini non puramente emozionali è la previa ‘interpretazione’ delle dimensioni di significato di determinante emozioni e sentimen- ti, da considerarsi dunque non nella loro ‘bruta’ naturalità, bensì soppesandone la rilevanza soggettiva e sociale, e bilanciandola con un sistema di diritti di libertà il quale è a sua volta il precipitato di scelte di valore. La questione dell’orizzonte assiologico cui fare riferimento è cen- trale sia per inquadrare la fisionomia del modello normativo sia per il successivo sviluppo del discorso concernente gli equilibri relativi ai rapporti fra sensibilità soggettive e libertà di espressione.  43 Il problema rimanda al tema del cosiddetto ‘populismo penale’: per una pa- noramica v. PULITANÒ, Populismi e penale. Sull’attuale situazione spirituale della giustizia penale, in Criminalia, 2013, pp. 125 ss.; FIANDACA, Populismo politico e populismo giudiziario, in Criminalia, 2013, pp. 102 ss.   Sensibilità individuali e libertà di espressione 121 SEZIONE II Coordinate assiologiche «Quando sento parlare di idee liberali mi meraviglio sempre di come gli uo- mini giochino volentieri con parole vuote: un’idea non può essere liberale! Deve essere vigorosa, efficace, in sé compiuta, in modo da adempiere alla sua divina missione di riuscire feconda. Ancor meno può essere liberale il concetto; infatti ha un compito completamente diverso» GOETHE J.W., Massime e riflessioni, p. 57 «Non possiamo mai né atteggiarci a difensori radicali del multiculturalismo o dell’individualismo, né essere semplicemente comunitaristi o liberali, modernisti o postmodernisti; dobbiamo essere, al contrario, ora una cosa ora l’altra, a secon- da delle circostanze legate alla ricerca dell’equilibrio» WALZER M., Sulla tolleranza, p. 154 «E non abbiamo ciascuno lo stesso sentimento?» PIRANDELLO L., Il fu Mattia Pascal SOMMARIO: 4. Orizzonte costituzionale e spazio della politica. – 4.1. Dialettica fra prospettive individualiste e collettiviste. – 4.2. Dai valori collettivi all’indivi- dualismo democratico. – 5. Sentimenti ed emozioni come richiamo ‘metoni- mico’ e personologico. – 6. Sinossi. 4. Orizzonte costituzionale e spazio della politica Il modello ‘razionalistico-normativo’ appare quello più funzionale allo sviluppo delle nostre riflessioni, e pone in primo piano la que- stione di quali debbano essere gli assunti valoriali e i principi-guida in rapporto ai quali valutare se determinati ‘sentimenti-valori’ possa- no ragionevolmente accreditarsi come meritevoli di una qualche pro- tezione. Tale problema si articola in diversi piani di analisi: a un primo li-  122 Tra sentimenti ed eguale rispetto vello l’inquadramento di una cornice assiologica è funzionale all’in- terpretazione delle fattispecie vigenti, e trova nella Carta costituzio- nale il referente primario. Come abbiamo avuto modo di osservare, l’impronta ideologica che connota la fisionomia dei reati a tutela di ‘sentimenti’ presenti nel codice penale mostra una distonia rispetto ai principi della Costi- tuzione italiana: nei casi più evidenti ciò ha condotto alla caduta di importanti disposizioni (si pensi all’art. 402 c.p.44), mentre in altri ambiti vi è stata una radicale reimpostazione, a livello giurispruden- ziale, della prospettiva di tutela (si pensi ai reati a tutela della pubbli- ca moralità e del buon costume 45). Negli esempi menzionati si è trattato di eliminare contrasti la cui evidenza ha reso sostanzialmente agevole all’interprete capire quale potesse essere la strada ‘giusta’, o, più cautamente, la soluzione meno in contrasto con la Carta fondamentale, facendo leva in particolare sul connubio fra uguaglianza e laicità: l’uguaglianza ha costituito il parametro costituzionale fondamentale46, mentre attraverso il prin- cipio supremo di laicità 47 la Corte ha delineato la cornice assiologica di base, riconoscendo espressamente il pluralismo come un valore, non solo come un dato di fatto 48. 44 V. supra, cap. III, nota 24. 45 V. supra, cap. III, nota 37 per i riferimenti alla giurisprudenza di legittimità e costituzionale. 46 Si basa sul principio di uguaglianza il nucleo motivazionale della sentenza C. cost., n. 508/2000; per una contestualizzazione di tale pronuncia nel quadro della giurisprudenza costituzionale in materia di uguaglianza, v. DODARO, Ugua- glianza e diritto penale, cit., pp. 152 ss. Relativamente al tema del buon costume, la giurisprudenza costituzionale non è mai arrivata a pronunce di illegittimità, ma solo perché «il principio di conservazione dei valori giuridici – tanto più in casi in cui la dichiarazione d’illegittimità costituzionale comporterebbe, quanto- meno per qualche tempo, l’impunità anche di comportamenti che il legislatore considera inequivocabilmente come illeciti penali – impone il mantenimento in vita di una norma di legge quando a questa possa essere riconosciuto almeno un significato conforme a Costituzione»: con queste parole la Corte, con la sentenza n. 368 del 1992, ha salvato la norma che incrimina le pubblicazioni oscene rimar- cando la necessità di un’interpretazione adeguatrice coerente con gli artt. 21, 27, 2, 3, 13 e 25 Cost. 47 Sulla laicità come principio supremo, o più precisamente come ‘meta- principio’, v., nel contesto penalistico, PALIERO, La laicità penale alla sfida del ‘se- colo delle paure’, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2016, pp. 1164 ss. 48 Questo il messaggio fondamentale che ci sembra leggibile nel richiamo al principio di laicità che «[caratterizza] in senso pluralistico la forma del nostro Stato, entro il quale hanno da convivere, in uguaglianza di libertà, fedi, culture e   Sensibilità individuali e libertà di espressione 123 Vi è poi un secondo livello in cui l’individuazione di coordinate assiologiche ‘vincolanti’ a livello costituzionale diviene più sfumato, e meno univoco: il problema emerge sia in relazione al quadro di in- criminazioni oggi vigenti in cui vengono in gioco bilanciamenti con la libertà di espressione – non solo l’ambito del sentimento religioso ma anche le discusse norme sulla propaganda razzista – e si proietta, con ulteriore complessità, nella riflessione de jure condendo. Il sospetto di una illegittima compressione di spazi di libertà sem- bra richiedere un onere argomentativo più gravoso poiché, pur te- nendo sempre ben presente la bussola assiologica della Costituzione, il giurista penale si trova a doverne constatare la limitata precettività, ossia la compatibilità con un ventaglio di prospettive di segno diverso le quali potrebbero risultare tutte ‘non illegittime’ 49. Proprio quando si fanno più stringenti le esigenze di individuare soluzioni che ambiscano a una legittimazione costituzionale ‘forte’, e specialmente quando le materie da regolare chiedano al diritto prese di posizione che implicano l’assunzione di un punto di vista ideologi- camente pregnante50, la speranza di trovare nel testo costituzionale tradizioni diverse», testualmente contenuto nella sentenza n. 508/2000 (ma si ve- da anche l’inciso finale della sentenza n. 440/1995 sulla parziale illegittimità costi- tuzionale dell’incriminazione della bestemmia). Per la distinzione tra pluralismo come fatto e come atteggiamento v. MARCONI, Per la verità. Relativismo e filosofia, Torino, 2007, pp. 89 ss.; BARBERIS, Etica per giuristi, Roma-Bari, 2006, pp. 105 ss., 157 ss. Per una sintesi della portata assiologica e costituzionale del principio di laicità v., ex plurimis, BARBERA, Il cammino della laicità, in AA.VV., a cura di Ca- nestrari-Stortoni, Valori e secolarizzazione nel diritto penale, Bologna, 2009, pp. 19 ss.; nell’ambito penalistico, con diversità di accenti, v. FIANDACA, Laicità del diritto penale, cit., pp. 167 ss.; PULITANÒ, Laicità e diritto penale, cit., pp. 283 ss.; PALAZZO, Laicità del diritto penale e democrazia “sostanziale”, cit., pp. 440 ss.; CANESTRARI, Laicità e diritto penale nelle democrazie costituzionali, in AA.VV., a cura di Dolcini- Paliero, Studi in onore di Giorgio Marinucci, cit., pp. 139 ss.; EUSEBI, Laicità e di- gnità umana nel diritto penale (pena, elementi del reato, biogiuridica), in AA.VV., a cura di Bertolino-Forti, Scritti per Federico Stella, Napoli, 2007, pp. 163 ss.; FORTI, Alla ricerca di un luogo per la laicità: il “potenziale di verità” nelle democrazie libera- li, in AA.VV., a cura di Canestrari-Stortoni, Valori e secolarizzazione nel diritto pe- nale, cit., pp. 349 ss.; ROMANO, Principio di laicità dello Stato, religioni, norme pe- nali, in AA.VV., a cura di Canestrari-Stortoni, Valori e secolarizzazione nel diritto penale, cit., pp. 209 ss. Sul tema della laicità del diritto penale e delle connessioni con l’etica cattolica, v., per tutti, STELLA, Laicità dello Stato: fede e diritto penale, in AA.VV., a cura di Marinucci-Dolcini, Diritto penale in trasformazione, cit., pp. 317 ss. 49 FIANDACA, Legalità penale e democrazia, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 2007, p. 1268. 50 FIANDACA, I temi eticamente sensibili tra ragione pubblica e ragione punitiva, in Riv. it. dir. proc. pen., 4/2011, pp. 1383 ss.   124 Tra sentimenti ed eguale rispetto una risposta definitiva deve fare i conti con una vocazione pluralisti- ca della Carta 51, la quale non addita soluzioni univoche ma è «suscet- tibile di subire più interpretazioni e più modalità di attuazione, entro uno spazio di discrezionalità politico-valutativa all’interno del quale nessuna interpretazione o modalità di attuazione può vantare titoli per imporsi come l’unica corretta o, al contrario, essere censurata perché scorretta» 52. Va dunque ridimensionata l’ambizione di usare il testo costituzio- nale come ‘strumento di precisione chirurgica’ per tratteggiare diret- tive univoche che consentano al giurista positivo di accreditare da un punto di vista intraordinamentale risposte concernenti conflitti fra libertà di espressione e sensibilità soggettive 53. Alla luce di tale panorama si è esortato a fare un uso ‘avveduto e parsimonioso’ della Costituzione 54. A nostro avviso, tale uso prudente potrebbe essere accompagnato, financo ‘compensato’, da una rifles- sione che esplori un ulteriore livello di normatività, trascendente sia il contesto codicistico sia l’orizzonte costituzionale 55, nella consape- 51 Sul pluralismo della Carta costituzionale italiana, in termini problematizzanti, v. ANGIOLINI, Il «pluralismo» nella Costituzione e la Costituzione per il «pluralismo», in AA.VV., a cura di Bin-Pinelli, I soggetti del pluralismo nella giurisprudenza costitu- zionale, Torino, 1996, pp. 14 ss. Fra i penalisti, con particolare riferimento al carat- tere non esaustivo dei principi costituzionali per la scelta degli oggetti di tutela, v. PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione, in AA.VV., a cura di Pisani, Studi in memoria di Pietro Nuvolone, vol. I, cit., pp. 377 ss.; MANES, Il principio di offensività nel diritto penale, cit., pp. 160 ss. 52 VISCONTI C., Aspetti penalistici, cit., p. 244; cfr. DONINI, “Danno” e “offesa” nel- la c.d. tutela penale dei sentimenti, cit., p. 1576: «la fondazione positiva [...] di ciò che può essere reato, esige una ricostruzione più complessa, che trova nella Costi- tuzione, per es., solo alcuni, pur rilevanti parametri che convergono insieme nel dare al reato anche un volto positivo di matrice costituzionalistica». 53 Sulla teorizzazione di diversi modelli di rapporto e di conflitto fra principi costituzionali (modello ‘minimalista’ e modello del bilanciamento, a sua volta su- scettibile di essere declinato come modello ‘irenistico’ e modello ‘particolaristi- co’), v. CELANO, Diritti, principi e valori nello Stato costituzionale di diritto: tre ipo- tesi di ricostruzione, in Diritto e questioni pubbliche, 4/2004, pp. 8 ss. 54 Sono parole di VISCONTI C., Aspetti penalistici, cit., p. 243. 55 Tale istanza metodologica viene tematizzata ad esempio in FIANDACA, I temi eticamente sensibili, cit., pp. 1389 ss., quando parla di ‘coordinate teoriche e assio- logiche’ del diritto penale contemporaneo facendo riferimento ai concetti di plu- ralismo, ‘ragione pubblica’, costituzionalismo e laicità. Con riferimento all’ambito costituzionalistico v. SILVESTRI, Dal potere ai princìpi. Libertà ed eguaglianza nel costituzionalismo contemporaneo, Roma-Bari, 2009, p. 36. Sul ricorso ad argo- mentazioni morali sostanziali nell’applicazione di disposizioni costituzionali, v. CELANO, Diritti, principi e valori, cit., pp. 2 s.   Sensibilità individuali e libertà di espressione 125 volezza che «l’interpretazione delle disposizioni costituzionali sui di- ritti non è questione di pura tecnica giuridica: è questione politica in senso pieno» 56. Tuttavia, anche una volta che ci si spinga al di là dello spazio normativo della Costituzione per far riferimento all’offerta teorica proveniente dall’ambito filosofico-politico i problemi non svaniscono. Nel discorso penalistico è d’uso il richiamo al liberalismo quale teoria politica di riferimento 57, ma anche tale soluzione non è suffi- ciente a definire prospettive univoche: si parla oggi di «pluralità di liberalismi» 58. Un generico richiamo al liberalismo rischia di dar luogo oggi a una ‘comfort zone’ teoretica la quale non favorisce il confronto fatico- so, e quasi traumatico, con teorie filosofico-politiche che esorbitano da una prospettiva dicotomica ‘liberale-illiberale’. La diversità di vedute concerne principalmente, ma non solo, gli equilibri di priorità fra ‘giusto’ e ‘bene’59, riflesso dell’alternativa fra un liberalismo propriamente politico e un liberalismo eticamente più ‘spesso’ 60. 56 PINTORE, I diritti della democrazia, Roma-Bari, 2003, p. 116. 57 Malgrado l’aspetto ossimorico dell’espressione ‘diritto penale liberale’, v. FORTI, Per una discussione sui limiti morali, cit., p. 331. 58 MAFFETTONE, Fondamenti filosofici del liberalismo, in DWORKIN-MAFFETTONE, I fondamenti del liberalismo, Roma-Bari, 2007, pp. 128 ss. L’osservazione si riferi- sce in primo luogo alla coesistenza di correnti diverse interne all’idea liberale, ma evidenzia come le distinzioni possano dipendere anche dal contesto e dall’ambito disciplinare in cui viene spesa la nozione di ‘liberalismo’: esiste, ad esempio, an- che un «liberalismo dei giuristi [...] più attento alle caratteristiche legali e istitu- zionali» (p. 129). 59 È il problema nel quale si inscrive la dialettica fra posizioni à la Rawls, so- prattutto il Rawls dell’opera ‘Liberalismo politico’, e posizioni comunitariste. Te- sti di riferimento sono da un lato RAWLS, Liberalismo politico, tr. it. a cura di Fer- rara, Roma, 2008, e per le posizioni comunitariste v. per tutti SANDEL, Il liberali- smo e i limiti della giustizia, tr. it., Milano, 1994. Per una panoramica, v. VECA, La filosofia politica, Roma-Bari, 2009, pp. 92 ss. 60 In estrema sintesi, si definisce come ‘liberalismo politico’ la teoria che ritie- ne che lo Stato debba assumere a proprio fondamento una concezione morale minimale su cui sia possibile trovare un punto di incontro e di intersezione fra le diverse teorie morali presenti nella società plurale. In questo senso lo Stato do- vrebbe tendere a una neutralità. Dalla parte opposta, si argomenta come la ricer- ca di una neutralità possa portare da un lato a una eccessiva ‘asetticità valoriale’ e finisca per riservare un’attenzione insufficiente al discorso sulle preferenze e sul benessere degli individui, concependo un idealtipo di essere umano eccessiva- mente ‘vuoto’ e poco realistico. Nell’ampio panorama si vedano le declinazioni del   126 Tra sentimenti ed eguale rispetto Nel prendere atto di tale realtà, il giurista penale è chiamato ad adottare uno sguardo più disincantato anche di fronte all’assioma co- stituito dal richiamo a valori liberali. Dire oggi ‘liberalismo’ equivale ad aprire un discorso gravido di implicazioni problematiche: «[l]’Oc- cidente considera oggi scontato il liberalismo»61, ma «[f]ra tutti i concetti etico-politici odierni, forse, non ve n’è uno che sia più di- scusso del concetto di liberalismo» 62. Il liberalismo rappresenta la cornice culturale, più meno consoli- data, nella quale il pensiero giuridico occidentale, e anche il pensiero penalistico italiano, contestualizzano le proprie riflessioni, ma «L’opzione per la democrazia liberale lascia aperti i problemi della po- litica, anche della politica del diritto. Non addita soluzioni obbligate di questioni eticamente sensibili, o anche solo politicamente sensibili. [...] Delinea (e non è poco) una cornice nella quale chiunque può con- frontarsi con ragioni presentate nel quadro di concezioni comprensive anche molto diverse, ma che possano avere qualcosa da dire su punti che interessano specificamente la politica del diritto» 63. È come dire che il rifugio sotto l’ampio ombrello della dizione ‘li- berale’ non è sufficiente a esaurire gli oneri argomentativi con cui il giurista contemporaneo dovrebbe sostenere una posizione di fronte a temi ad elevato tasso di pregnanza etica ed esposti a una marcata di- screzionalità politica 64. problema elaborate da DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza liberale, in DWOR- KIN-MAFFETTONE, I fondamenti del liberalismo, cit., pp. 14 ss. (strategia della ‘di- scontinuità’ e della ‘continuità’), e da MAFFETTONE, Fondamenti filosofici del libera- lismo, cit., pp. 133 ss. (liberalismo ‘critico’ e liberalismo ‘realista’). Sul tema si ve- dano inoltre, ex plurimis, NUSSBAUM, Perfectionist Liberalism and Political Libera- lism, in 39 Philosophy and Public Affairs, 2011, pp. 3 ss.; KYMLICKA, Liberal Indivi- dualism and Liberal Neutrality, in 99 Ethics, 1999, pp. 883 ss.; per una sintesi del dibattito a partire dalle critiche di Dworkin a Rawls v. VIOLA, Liberalismo e libera- lismi, in Per la filosofia, 1999, pp. 67 ss. Sul tema della neutralità, o maggiore in- clusività del liberalismo politico rawlsiano, v., ex plurimis, DEL BÒ, La neutralità politica in John Rawls, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 1/2009, pp. 241 ss. In ambito penalistico, per un’approfondita rielaborazione di tali pro- blemi v. FORTI, Per una discussione sui limiti morali, cit., pp. 312 ss. 61 DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza liberale, cit., p. 7. 62 BARBERIS, Etica per giuristi, cit., p. 88. 63 PULITANÒ, Diritto penale, V ed., Torino, 2015, p. 24. 64 Più diffusamente, FIANDACA, I temi eticamente sensibili, cit., pp. 1400 ss.; 1412 ss.; con approccio simile, sebbene con accenti differenti che lo pongono più vicino alle posizioni rawlsiane, PULITANÒ, Diritti umani e diritto penale, in Riv. it.   Sensibilità individuali e libertà di espressione 127 A ben vedere un mero richiamo al liberalismo assume oggi una funzione metaetica, ossia è un presupposto per avviare un discorso su problemi pertinenti la dimensione etica sostanziale: le questioni più spinose prendono corpo in un contesto che dà per acquisiti diritti di libertà, ma è sui contenuti e sulle modalità di esercizio di determi- nati diritti nei rapporti fra individui che si annidano le complessità 65. 4.1. Dialettica fra prospettive individualiste e collettiviste Alla luce del quadro descritto, è comprensibile che lo studioso di problemi penali sia chiamato in definitiva a elaborare proposte ‘poli- tiche’ nel senso nobile del termine, ossia a disegnare prospettive di politica del diritto e a emanciparsi da abiti mentali «che postulano una sorta di obbligo di prestazione scientifica consistente nel conce- pire modelli dogmatici di interpretazione del (presunto) sistema su- scettibili in quanto tali di fissare a priori, con nettezza e definitività, quel che è o non è legittimo trarre penalmente ai sensi della Costitu- zione» 66. L’individuazione di traiettorie assiologiche è l’esito di scelte che riflettono inevitabilmente le precomprensioni e la posizione valo- riale dell’interprete, in un contesto di non-neutralità. Cercheremo a questo punto di formulare ipotesi e proposte a par- tire da quella che ci sembra essere l’alternativa di fondo su cui si è imperniata fino ad oggi la discussione sul sentimento come problema di tutela nel contesto italiano, ossia se esso debba intendersi come richiamo ad atmosfere emozionali diffuse, e che si traducono in for- me di presidio a ideologie e concezioni valoriali proprie della mag- gioranza, oppure se nel richiamo al sentire umano sia rintracciabile dir proc. pen., 4/2013, pp. 1614 ss., 1633 ss., rimarca l’esigenza di tenere ben pre- sente a livello concettuale la distinzione fra valori politici e valori morali, pur ri- conoscendo l’impossibilità di posizioni neutrali. 65 Tale processo di complessificazione della prospettiva liberale si riflette an- che su categorie del pensiero giuridico. È importante notare come il principio del danno, lo Harm, abbia subito un graduale ampliamento dovuto non a una rifor- mulazione della struttura del concetto, bensì legato all’accentuarsi della proble- maticità delle premesse politico-filosofiche che ne guidano l’applicazione: è la ‘mappa del liberalismo’ a essere cambiata, osserva HARCOURT, The Collapse of the Harm Principle, in 90 The Journal of Criminal Law and Criminology, 1999, pp. 115 s., passando da un orizzonte basato sull’alternativa liberale-illiberale, a una pro- spettiva modulata su differenti modelli di liberalismo (Harcourt parla espressa- mente di ‘liberalismo progressista’ e ‘liberalismo conservatore’).  66 VISCONTI C., Aspetti penalistici, cit., p. 136.  128 Tra sentimenti ed eguale rispetto una istanza normativa differente, in grado di dare risalto alla dimen- sione del singolo e al connotato personalistico della Costituzione sen- za necessariamente confluire in un approccio ‘naturalistico-emozio- nale’ modulato su soggettivismi. Come osservato, nelle fattispecie dell’ordinamento italiano i ‘sen- timenti’ tutelati sono parte di una sfera emotiva sociale, ossia ‘atmo- sfere emozionali’ legate a valori assunti in un’ottica collettiva. Il sog- getto portatore degli interessi tutelati è un’entità plurale, una molti- tudine impersonale caratterizzata da valori asseritamente comuni 67. Nell’attuale momento storico la reificazione di entità definite come ‘valori collettivi’ non appare più legata a una retorica statocentrica, ma si presenta piuttosto come possibile reazione a un indebolimento del- l’omogeneità etica e culturale indotto dal pluralismo fattuale 68. 67 «[I]l principio di massima è che il sentimento, anche quando rileva come fatto di coscienza individuale, rileva nella misura in cui è collegato ad un fatto non individuale, appunto a un modo di sentire sociale, a un’atmosfera emoziona- le socialmente diffusa e divisa in più o meno larghi ambiti da un’intera comuni- tà», v. FALZEA, I fatti di sentimento, cit., p. 320. Si valuti ad esempio l’interesse de- nominato ‘sentimento religioso’: il codice Rocco si pone a tutela, nelle rubriche e nella sostanza, alla sola ‘religione di Stato’. È interessante notare come anche do- po l’entrata in vigore della Carta costituzionale, l’oggetto di tutela viene ricostrui- to in un’ottica prettamente collettivistica che privilegia il dato dell’adesione quan- titativa. Pensiamo agli argomenti che la giurisprudenza costituzionale italiana ha adoperato per motivare il differenziato regime di tutela penale del culto cattolico, sia precedentemente sia successivamente alla modifica del Concordato: la Corte nel 1957 parla di «antica ininterrotta tradizione del popolo italiano, la quasi tota- lità del quale ad essa sempre appartiene», e nel 1958 ne legittima la tutela penale in quanto «professata nello Stato italiano dalla quasi totalità dei suoi cittadini, e come tale è meritevole di particolare tutela penale, per la maggiore ampiezza e intensità delle reazioni sociali naturalmente suscitate dalle offese ad essa dirette [in quanto l’] universalità di tradizioni e di sentimenti cattolici nella vita del popo- lo italiano è rimasta, senza possibilità di dubbio, immutata con l’avvento della Costituzione», C. cost., n. 79/1958. Per una riflessione penalistica sul pluralismo delle fedi in Italia v. VISCONTI C., La tutela penale della religione, cit., pp. 1037 ss.; per una panoramica extragiuridica v. GARELLI, Il sentimento religioso in Italia, in Il Mulino, 5/2003, pp. 817 ss. 68 L’impatto della pluralità nella società contemporanea è parte di un processo «che vede la graduale erosione del fondamento tradizionalistico e religioso dei co- stumi e delle istituzioni a vantaggio della coscienza personale, vede crescere l’am- bito delle opzioni soggette al libero esame e all’adesione interiore, e assottigliarsi, per così dire, lo spessore di oggettività degli oggetti sociali [...] Questo processo di “umanizzazione” – di riconduzione ai suoi soggetti ultimi, le persone umane – della vita sociale corrisponde anche a una progressiva estensione dell’ambito delle opzio- ni soggette alla scelta e responsabilità degli individui, e alla giurisdizione della ra- gione», v. DE MONTICELLI, La questione morale, Milano, 2010, pp. 83 ss.   Sensibilità individuali e libertà di espressione 129 In ambito sociologico si riassume tale fenomeno affermando che la modernità pluralizza e deistituzionalizza69. La pluralizzazione na- sce dall’incontro di gruppi diversi, chiamati a condividere territori e spazi comuni in situazioni di mescolanza nelle quali diviene più dif- ficile, se non addirittura impossibile, addivenire a un consenso cogni- tivo e normativo, ossia a una visione del mondo omogenea e condivi- sa. L’allargamento del mercato delle idee moltiplica la possibilità di approcci alternativi alla realtà e contribuisce in questo senso a rende- re la costruzione della propria identità una questione di scelte e non l’esito scontato di programmi socialmente precostituiti 70. A seconda delle cadenze, l’appello a valori comuni giustificati sulla base di un sentire condiviso può rivelare sfumature di autoritarismo etico, soprattutto quando il ‘sentire comune’ sia addotto per sottoli- neare contrapposizioni sul piano valoriale: paradossalmente l’appello a un substrato di emozionalità condivisa può essere adoperato al fine di marcare differenze in termini di esclusione piuttosto che di inclu- sione. Fino a che punto ciò risulta compatibile con i valori di una demo- crazia liberale? Anche in questo caso l’appello al paradigma liberale non è suffi- ciente a definire risposte univoche, mantenendo aperti spazi di di- screzionalità politica, e in particolare rimandando alla discussione concernente l’alternativa fra un liberalismo di tipo ‘individualistico’ e un liberalismo di marca ‘comunitarista’. Le differenze fra le due cor- renti investono diversi profili della teoria politica; in estrema sintesi, secondo le teorie comunitariste «la comunità viene assunta ora come nucleo centrale di un paradigma normativo, a carattere etico o politi- co, ora come uno standard meta-etico, un parametro per la giustifi- cazione dei valori» 71; l’approccio individualista, più vicino al modello 69 BERGER-ZIJDERVELD, Elogio del dubbio. Come avere convinzioni senza diven- tare fanatici, tr. it., Bologna, 2011, pp. 14 ss. 70 Di fronte alle dinamiche di relativizzazione indotte dall’incremento di plura- lità nel tessuto sociale gli individui tendono a erigere delle ‘difese cognitive’, ossia ad affidarsi a esercizi mentali e strategie per mantenere alta la visione del mondo e l’approccio alla realtà a cui si dà credito. Nelle società contemporanee tale fe- nomeno può avere riflessi nelle determinazioni di politica del diritto: per placare l’ansia scaturita dall’irrompere della relativizzazione si erigono difese cognitive istituzionali, strumentalizzando il diritto quale veicolo promotore di valori identi- tari, v. BERGER-ZIJDERVELD, Elogio del dubbio, cit., pp. 18 ss. 71 PARIOTTI, voce Comunitarismo, in Enciclopedia filosofica, cit., vol. III, p. 2125.   130 Tra sentimenti ed eguale rispetto liberale classico, pone al centro dell’orizzonte etico e normativo l’in- dividuo, non la comunità 72. A partire da queste premesse, si riflette anche nella prospettiva giuridica l’alternativa fra una declinazione del problema di tutela del sentimento incentrato sul momento di condivisione collettiva, ancor- ché parziale e non universalistica, e una diversa prospettiva che met- ta al centro l’individuo e le sue libertà da bilanciarsi in un’ottica di reciprocità egualitaria con i propri simili. 4.2. Dai valori collettivi all’individualismo democratico Autorevoli esponenti del pensiero liberale hanno criticato a fondo l’evocazione di ‘valori collettivi’73: uno Stato che assegni rilevanza 72 Per un quadro ricostruttivo si vedano i saggi contenuti in AA.VV., a cura di Ferrara, Liberalismo e comunitarismo, Roma, 2000; FERRARA, Introduzione, in AA.VV., a cura di Ferrara, Liberalismo e comunitarismo, cit., pp. X ss.; per una definizione di ‘individualismo comprensivo’ e una ricostruzione critica v. LARMORE, Dare ra- gioni. Il soggetto, l’etica, la politica, Torino, 2008, pp. 119 ss. La distinzione fra li- beralismo di marca individualista e comunitario emerge anche nel discorso di Joel Feinberg. L’Autore specifica che la sua aderenza all’idea liberale va conte- stualizzata: Feinberg sembra prendere con cautela, financo negare, la propria aderenza all’idea liberale classica secondo la quale autonomia dell’individuo e comunità costituirebbero due antitesi; nel discorso sulla legittimazione del diritto penale il filosofo americano dichiara di adoperare una concezione di liberalismo ‘in a narrow sense’ che non si identifica con un liberalismo estremo inteso quale contrapposizione a un’idea di comunità, v. FEINBERG, Harmless Wrongdoing, cit., pp. 81 ss., 113 ss., 120 ss. 73 Ricordiamo le parole di Herbert Hart: “Sembra terribilmente facile pensare che la lealtà verso i principi democratici esiga che si accetti ciò che possiamo chiamare populismo morale: l’idea che la maggioranza abbia un diritto morale a stabilire come tutti devono vivere [...]. L’errore fondamentale consiste nel non di- stinguere il principio accettabile secondo il quale il potere politico è meglio affi- dato alla maggioranza, dalla pretesa inaccettabile che ciò che la maggioranza fa con quel potere, sia al di sopra di ogni critica e che non ci si possa mai opporre ad esso. Nessuno può dirsi democratico se non accetta il primo di questi principi, ma nessun democratico è tenuto ad accettare il secondo», v. HART, Diritto, morale e libertà, cit., pp. 95 s. Si tratta della ben nota risposta che il filosofo oxoniese die- de al giudice Patrick Devlin, e al suo ‘The Enforcement of Morals’, nel quale si ri- conduce la moralità all’atteggiamento etico dominante nella popolazione: «Every moral judgement, unless it claims a divine source, is simply a feeling that no right-minded man could behave in any other way without admitting that he was doing wrong. It is the power of a common sense and not the power of reason that is behind the judgements of society», v. DEVLIN, The Enforcement of Morals, New York-Toronto, 1965, p. 17.   Sensibilità individuali e libertà di espressione 131 normativa a un particolare modo di dar valore a oggetti e idee in quanto condiviso dalla maggioranza, sta di fatto considerando gli appartenenti alla maggioranza in una condizione privilegiata rispetto agli altri cittadini. In altri termini, è ben possibile che il principio di maggioranza 74 trasmodi in un principio di ‘tracotanza’ 75. Più recentemente, nell’ambito della filosofia analitica, si è affer- mato che il tema dei valori condivisi è una «questione relativa alle credenze o alle opinioni condivise, secondo le quali una o più cose pos- siedono un certo valore» 76. Quando si cerca di spiegare a quali condi- zioni un certo valore possa dirsi ‘condiviso’, la motivazione più sem- plice e più immediata è la cosiddetta ‘teoria sommativa’: si ha condi- visione quando la maggior parte dei membri di un dato contesto o di una comunità assegnano valore alla medesima cosa. La domanda a questo punto è se una spiegazione sommativa sia sufficiente per affermare che in una società vi è realmente condivi- sione di valori, e, di conseguenza, per ritenere che ciascun soggetto abbia lo status, ossia la legittimazione, per pretendere che il compor- tamento dei propri simili debba essere rispettoso e coerente con i va- lori condivisi dalla maggioranza. Si è osservato che «se due o più persone hanno una certa opinio- ne, esse possiedono, evidentemente, un certo grado di identità quali- tativa. In generale, tuttavia, tale identità fornisce agli individui umani soltanto una forma superficiale di unità [...] I valori condivisi in sen- so sommativo uniscono soltanto in un modo superficiale» 77. In altri termini, un riscontro storico-quantitativo della massiva adesione a un determinato valore in una società non dovrebbe esse- re considerato elemento sufficiente a fondare alcun tipo di pretesa nei confronti dei cittadini78, salvo il caso di un impegno espresso 74 Ex plurimis, VIOLA, Il principio di maggioranza e la verità in una democrazia, in Dialoghi, 3/2004, p. 1 ss. 75 HART, Diritto, morale e libertà, cit., pp. 86 ss. 76 GILBERT, Il noi collettivo. Impegno congiunto e mondo sociale, tr. it., Milano, 2015, p. 48. 77 GILBERT, Il noi collettivo, cit., pp. 56 s. 78 Una critica alla concezione ‘sommativa’ della democrazia è leggibile, a no- stro avviso, anche nelle parole di chi, nella dottrina penalistica, ha sottolineato che «[a]derire al metodo democratico non significa acconsentire alle idee dei più, bensì optare per una modalità collettiva, comunitaria, consensuale di creazione delle regole – valide poi per tutti – non fondate sul fattore-forza [...] La legalità democratica richiede ben oltre complesse tecniche di calcolo, l’adesione convinta a principi formulati in modo condiviso e perciò corresponsabilmente vincolanti»,   132 Tra sentimenti ed eguale rispetto che le parti accettino consapevolmente 79. Il sentire umano, nelle forme del sentimento e dell’emozione, è fattore di diversità, ma è anche, di base, il correlato fenomenico di un’uguaglianza di fondo fra individui resi al contempo uguali e diver- si dalle disposizioni del sentire: uguali in potenza, diversi in atto. La varietà di soglie di sensibilità, di assiologie personali e di repertori emotivi dei singoli sono parte di una dotazione universalmente con- divisa: tutti gli esseri umani (in assenza di condizioni patologiche) provano emozioni e sentimenti, e sulla base di tale potenzialità co- mune prende successivamente corpo la diversità. Per cercare di dare rilievo alla dimensione del sentire quale con- notato a vocazione universalistica, e non semplicemente quale base di frammentazione e di rivendica, ci sembra ragionevole prendere le distanze da strumentalizzazioni del sentimento in chiave identitaria, per riorientare la prospettiva a partire da diritti di libertà funzionali a consentire a ciascun cittadino di vivere la propria ‘assiologia voca- zionale’ 80. La sfida che sentimenti ed emozioni pongono oggi al diritto pena- le si focalizza sul riconoscimento di un’eguale dignità fra persone concretamente diverse, nella consapevolezza della varietà di preferen- v. MAZZUCATO, Dal buio delle pene alla luce dei precetti, cit., p. 85. Anche EUSEBI, Laicità e dignità umana nel diritto penale, cit., p. 172, sottolinea che il principio di laicità richiede che le regole giuridiche di uno Stato non siano configurate secon- do ciò che è comprensibile solo nell’ambito di una specifica concezione morale anche se maggioritaria. 79 L’elemento dirimente, e necessario, affinché si passi da una semplice condi- visione in senso sommativo a una condivisione tale da poter generare unità socia- le, è, secondo Margaret Gilbert, il cosiddetto ‘impegno congiunto’: «l’impegno congiunto è l’impegno a credere come un corpo unitario che una certa cosa C ab- bia un determinato valore V», v. GILBERT, Il noi collettivo, cit., p. 62. Gilbert, pur non discostandosi da un piano analitico-concettuale, non tralascia considerazioni su profili più propriamente politici: «[e]videntemente, il fatto che si abbia lo sta- tus per fare pressione sugli altri, se gli altri agiscono nell’inosservanza di un certo valore, non implica né che, in fin dei conti, si debba esercitare questa pressione, né che, in virtù di un impegno, si abbia ragione di farlo». Il caveat più significati- vo si rivolge, non a caso, all’ipotesi di adoperare il diritto penale quale strumento per la salvaguardia di valori collettivi. Anche in presenza di valori che possono dirsi ‘collettivi’ in virtù di presupposti assimilabili all’idea di ‘impegno congiunto’, e non solo di una mera spiegazione sommativa, la legittimità della pretesa di im- porre il rispetto di tali valori con strumenti normativi dipende da considerazioni sostanziali sul merito dei valori assunti a riferimento, sulla loro ‘correttezza’. ‘Va- lore collettivo’ non è di per sé sinonimo di un sentire ‘corretto’. 80 Traggo l’espressione e il concetto da DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., pp. 115 ss.   Sensibilità individuali e libertà di espressione 133 ze e dei molteplici, possibili stili e concezioni della vita buona. In questo senso appare importante evidenziare la matrice indivi- dualistica dei diritti di libertà: «significa che prima viene l’individuo, si badi, l’individuo singolo, che ha valore di per se stesso, e poi viene lo stato e non viceversa, che lo stato è fatto per l’individuo e non l’individuo per lo stato» 81. Col richiamo al momento individualistico non intendiamo adom- brare la vocazione solidaristica e la proiezione relazionale dei diritti di libertà, ben leggibile nelle trame della Carta costituzionale 82. Rite- niamo però che il problema della tutela di sentimenti debba essere oggetto di un deciso cambio di prospettiva che rompa con la tradi- zione del passato, nella quale il richiamo alla socialità era divenuto sinonimo di ‘statualità’, di dominio della collettività sul singolo, di assorbimento dell’individuo nel gruppo. Si rende in questo senso ne- cessario rinsaldare la connessione fra il sentimento e il principio per- sonalistico che pone «a base di tutto il sistema di rapporti fra stato e singoli l’esigenza di rispetto della persona, della ‘dignità’ corrispon- dente alla qualità dell’uomo come tale, quale che sia la posizione so- ciale rivestita» 83. Rispetto alla retorica comunitarista-identitaria, un’alternativa che emerge oggi nel pensiero politico e che a nostro avviso si candida come sintesi ragionevole tra individualismo e ottica solidaristica, è il cosid- detto ‘individualismo democratico’ elaborato da Nadia Urbinati 84: una 81 BOBBIO, L’età dei diritti, Torino, 1990, p. 59. Nel panorama penalistico si sof- ferma sul fondamento individualistico dei diritti PULITANÒ, Diritti umani e diritto penale, cit., pp. 1616 s. Il rapporto fra liberalismo e attenzione alle differenze è teorizzato in modo peculiare da Rosenfeld, il quale contrappone il liberalismo in senso classico, di marca individualistica, a una posizione politica che riconosce valore alla pluralità, da Rosenfeld definita ‘pluralism’, e che saremmo portati a tradurre con ‘liberalismo pluralista’. La distinzione di Rosenfeld non ci sembra però tesa a confutare la matrice individualistica dei diritti di libertà, ma a sottoli- neare come l’attenzione alla dimensione del singolo, tipica del liberalismo classi- co, risulti poco funzionale alla tematizzazione delle appartenenze e dell’identità: v. ROSENFELD, Equality and the Dialectic between Identity and Difference, in AA.VV., ed. by Payrow Shabani, Multiculturalism and Law: A Critical Debate, Uni- versity of Wales, 2006, paper n. 133, pp. 15 ss., 25 ss. 82 Ex plurimis, RIDOLA, Diritti fondamentali. Un’introduzione, Torino, 2006, pp. 97 ss. In ambito penalistico si è sottolineato l’intreccio e la reciproca interdipen- denza tra profilo personalistico e collettivistico di determinati interessi di tutela, v. DE FRANCESCO, Costituzione, persona, comunità: beni giuridici e programmi di tutela nella dinamiche della vicenda penale, in Dir. pen. proc., 5/2014, pp. 502 ss. 83 MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1975, pp. 155 s. 84 Si tratta di un concetto che sottende una ben definita visione antropologica:   134 Tra sentimenti ed eguale rispetto reinterpretazione del concetto di individualismo classico, volta a di- stinguerlo dal negativo accostamento all’idea di egoismo, di ‘anarchia soggettiva’, di motore disgregativo a livello sociale. Il concetto di ‘individualismo democratico’ implica rispetto reci- proco e non-omologazione; una visione che si pone in antitesi sia con un individualismo egoistico che traduca disinteresse per la cosa pub- blica, sia con forme di comunitarismo identitario che comprimereb- bero l’individualità attraverso politiche di assimilazionismo e di im- posizione di ideali della vita buona. Come osserva la Urbinati: «Il problema sta quindi nel modo di concepire la comunità, poiché è evidente che le comunità totalizzanti e ascrittive sono in conflitto con l’individualismo democratico come lo sono con l’eguale diritto alla di- gnità e all’eguaglianza della legge. [...] Rispetto alla reificazione dei le- gami identitari, il richiamo alla “divinità” di ciascun individuo e al di- ritto che ciascuno ha di contraddirsi per restare coerente a se stesso suona come un invito tutt’altro che anacronistico a situare la supre- mazia nella ragione e nel carattere, rovesciando i criteri di selezione dei valori, facendo cioè della persona stessa il fulcro senza il quale nessuna comunità potrebbe esistere» 85. In quest’ottica, il legame fra sentimenti e individualità può acqui- stare una valenza normativa come presupposto del riconoscimento dovuto agli uomini in quanto agenti morali 86. Vi sono diversità fat- tuali che derivano dalla eterogeneità nel sentire, le quali invocano un sostegno normativo come riconoscimento di libertà e uguaglianza in «[l]a democrazia non è solo una forma di governo ma anche e prima di tutto una ricca cultura dell’individualità. L’individuo democratico è simile ma non identico a quello liberale ed economico perché non pensato come un essere puramente razionale che sceglie fra opzioni diverse in una condizione ipotetica di perfetta informazione e libertà; e nemmeno come un individuo neutro, vuoto di specificità culturali, economiche o di genere. È invece una persona che ha un senso morale della propria indipendenza e dignità e agisce mossa da passioni ed emozioni al- trettanto forti delle ragioni e degli interessi; che non è soltanto concentrata sulle proprie realizzazioni, ma anche emotivamente disposta verso gli altri per le ra- gioni più diverse, come l’empatia, la curiosità, la volontà imitativa, il piacere di sperimentare» URBINATI, Liberi e uguali. Contro l’ideologia individualista, Roma- Bari, 2011, p. 16. 85 URBINATI, Liberi e uguali, cit., pp. 122, 124. 86 Sul tema è fondamentale l’approfondita analisi di un Autore tendenzialmen- te vicino alle posizioni comunitariste: TAYLOR, La politica del riconoscimento, in HABERMAS-TAYLOR, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, tr. it., Milano, 2008, p. 9.   Sensibilità individuali e libertà di espressione 135 dignità e diritti87. La tutela delle libertà è la dimensione prioritaria; nondimeno, in nome di esigenze legate al riconoscimento, e in parti- colare tese a evitare il disconoscimento, si può porre il problema di interventi normativi al fine di salvaguardare equilibri di rispetto 88. È su questo crinale che si impernia la questione che definiamo ‘tu- tela di sentimenti’ 89. 5. Sentimenti ed emozioni come richiamo ‘metonimico’ e per- sonologico Cercando di tirare le somme del discorso, date le suddette pre- messe filosofico-politiche, quale può essere la sostanza normativa da identificarsi con il ‘sentimento’? Esclusa l’ipostatizzazione di atteggiamenti emozionali su base maggioritaria, riteniamo che una visione alternativa dovrebbe incen- trare la prospettiva sul significato del sentimento come marcatore dell’originalità individuale che si interlaccia con le trame costitutive della personalità morale di un soggetto. Definiamo tale prospettiva come ‘personologica’ per evidenziarne la peculiarità rispetto a una più generica definizione come ‘personalistica’. Il termine ‘personologia’ in uso nelle discipline psicologiche e filoso- fiche, designa, nel suo significato minimale, il discorso sulle caratteristi- che dell’individuo inteso come soggetto non riducibile alle dimensioni mentale e corporea 90, ma come esito di un’interazione con gli altri e con la realtà, all’interno di un percorso biologico e biografico unico e irripe- tibile. Questa impresa conoscitiva trova sviluppo soprattutto in seno alla 87 Sul rapporto tra dati di natura e dimensione dei diritti, fondamentale HER- SCH, I diritti umani da un punto di vista filosofico, tr. it., a cura di De Vecchi, Mi- lano, 2008, pp. 62 ss. 88 «L’individuo delle democrazie si ciba [...] di ‘riconoscimento’ e per questa ragione ha bisogno di essere circondato da simili, da chi è parte di una comunità di significato e di riferimento e con cui è possibile condividere una lingua, dei se- gni convenzionali che consentano una comunicazione immediata, delle tradizioni che facciano sentire sicuri e protetti», v. URBINATI, Liberi e uguali, cit., p. 116. 89 Condivisibilmente, nella dottrina penalistica, v. PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale, cit., pp. 43 s. 90 Testo di riferimento è MARGOLIS, Persons and Minds. The Prospects of Nonre- ductive Materialism, Boston, 1978.   136 Tra sentimenti ed eguale rispetto psicologia e alla filosofia; non intendiamo però ricalcare le categoriz- zazioni elaborate in ambito filosofico sui rapporti fra personologia e personalismo 91. Nel discorso giuridico, e in particolare penalistico, si usa parlare di personalismo e di concezioni personalistiche per indi- care prospettive teoriche che mettono al centro dell’orizzonte assio- logico la persona umana92 e che si impegnano conseguentemente a riconoscere in essa il punto di riferimento ultimo di norme e di pro- blemi di tutela. Perché allora parlare anche di ‘personologico’? Dalla prospettiva filosofica riteniamo utile mutuare la definizione di personologia come ‘discorso su ciò che una persona è’93, in un quadro che non si riduce alle funzioni psichiche, concependo dunque sentimenti ed emozioni non solo come addentellato fenomenico che rimanda a stati contingenti e a moti interiori, ma come elementi co- stitutivi che concorrono a definire le disposizioni individuali e la complessiva ‘fisionomia morale’ della persona. È di secondaria importanza l’eventuale puntualizzazione se si stia in questo modo richiamando il sentimento in senso stretto ovvero l’emozione; è invece importante evidenziare che la rispondenza col mondo dei fenomeni affettivi deriva dalla connessione con ciò che abbiamo definito ‘stati disposizionali’: disposizioni del sentire, ossia coordinate costitutive della personalità morale dell’individuo, e non semplicemente reazioni episodiche. Nella prospettiva giuridico-penalistica, e con particolare riferi- mento ai rapporti fra libertà di espressione e reciproco rispetto, il ri- chiamo a sentimenti ed emozioni può ragionevolmente costituire una coordinata descrittiva dell’oggetto di tutela in senso simbolico, trasla- to, o meglio metonimico, come elementi che rimandano al substrato 91 In ambito filosofico si distingue tra personologia e personalismo: Roberta De Monticelli intende col primo termine «una teoria della realtà di ciò che noi siamo», mentre il personalismo «è una tendenza [...] più che una teoria» e i per- sonalismi del secolo scorso possono definirsi come «visioni del mondo cui “sta a cuore” una certa interpretazione della condizione umana», v. DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 30. La distinzione appare più sfumata nella definizione di MIANO, voce Personalismo, in Enciclopedia filosofica, cit., vol. XIII, p. 8527, se- condo il quale «[i]n senso lato è personalistica ogni filosofia che rivendichi la di- gnità ontologica, gnoseologica, morale, sociale della persona, contro le negazioni materialistiche o immanentistiche. In senso rigoroso si dice filosofia personalisti- ca o personalismo la dottrina che accentra nel concetto di persona il significato della realtà». 92 Per una sintesi, v. CANALE, Persona in AA.VV., a cura di Ricciardi-Rossetti- Velluzzi, Filosofia del diritto. Norme, concetti, argomenti, Roma, 2015, pp. 23 ss.  93 V. supra, nota 91.  Sensibilità individuali e libertà di espressione 137 più profondamente identificativo dell’essenza individuale: si menzio- na la parte (il sentimento o l’emozione), per additare il tutto (la per- sona) 94. Dire ‘tutela di sentimenti’ equivale a dire ‘tutela della persona e della sua libertà di vivere ed essere riconosciuto come soggetto di pari dignità nella propria personale ‘assiologia vocazionale’ 95. Non ci si deve dunque limitare alla presa in considerazione di fe- nomeni psichici ‘bruti’, ma si deve guardare ad essi come segno di individualità che chiedono di essere tutelate nelle libertà e che al con- tempo non possono ritenersi titolari di prerogative assolute: l’indi- viduo è uno, ma è al contempo anche ciascuno96, ossia vive in un contesto di relazioni che implicano diritti e doveri. 94 L’antropologia alla base del pensiero di Martha Nussbaum è basata sul fatto che «le emozioni sembrano essere eudaimonistiche, ovvero concernenti il prospera- re della persona», v. NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, cit., pp. 51 s. Il legame tra sentire e sviluppo della persona, inteso come realizzazione del sé, emerge anche in altri filosofi, quando si definiscono le emozioni come ‘atti di base’ che esprimono ‘posizionalità assiologica’, ossia il «realizzare la salienza, o valenza o valore negativo o positivo della data cosa o situazione», v. DE MONTICELLI, La novità di ognuno, cit., pp. 195 ss.; non dunque risposte automatiche bensì posizionali, le quali possono es- sere più o meno appropriate, ma comunque rappresentano una parte fondamentale di ciò che una persona è, della sua struttura morale, «che è insieme velata e svelata dall’espressività personale: la quale indica infine lo stato in cui la persona si trova rispetto alla fioritura nuova che solo lei poteva portare al mondo» EAD., La novità di ognuno, cit., p. 314. In particolare attraverso il concetto di ‘posizionalità’ si osserva che la persona umana si costituisce nella propria individualità essenziale attraverso ‘atti’: con tale termine si vuole porre una fondamentale distinzione fra ciò che la persona ‘compie’, rispetto agli ‘eventi’ in cui un soggetto è coinvolto; l’atto comporta sempre un presa di posizione relativamente a un dato oggetto, e «[m]ediante le pre- se di posizione, e dunque, mediante gli atti, noi rispondiamo alla realtà circostante. Una risposta si distingue da una reazione precisamente in virtù della presa di posi- zione in essa contenuta. In ogni presa di posizione, pulsa, per così dire, l’individuo personale che mediante le sue prese di posizione costantemente si costituisce e si definisce», v. EAD., La novità di ognuno, cit., p. 187. 95 Si è parlato di ‘costituzionalizzazione della coscienza delle persone’ per sot- tolineare la rilevanza di «tutto ciò che la persona considera in coscienza come strettamente richiesto per la propria realizzazione, riconoscendo diritti collegati alle richieste d’identità e di libertà di scelta», v. VIOLA, Multiculturalismo, valori comuni, diritto penale, in AA.VV., a cura di Risicato-La Rosa, Laicità e multicultu- ralismo, cit., p. 120. 96 Vi è un termine che ci sembra possa definire la portata accomunante e al contempo differenziante dei fenomeni affettivi: ciascunità. Lo prendiamo in pre- stito dal lessico psicanalitico, in particolare da HILLMAN, Il codice dell’anima, tr. it., Milano, 1967, pp. 167 ss. In questo caso ci atteniamo però a un senso più let- terale-etimologico che all’accezione specifica elaborata dallo psicologo statuni- tense: ‘ciascuno’ è pronome che indica la totalità in modo non indistinto e sper- sonalizzante, bensì richiamando l’attenzione sui singoli.   138 Tra sentimenti ed eguale rispetto In assenza di tale filtro normativo fondato sul valore dell’ugua- glianza, il richiamo a sentimenti ed emozioni può rappresentare una china scivolosa, poiché il debordare del discorso sul piano emozionale rischia di innescare un processo che altera la fisionomia delle questio- ni, relegandole a una dimensione di microconflittualità soggettiva 97. Si rischia in altri termini di alimentare ciò che la sociologa Isabel- la Turnaturi ha eloquentemente definito ‘rivendicazionismo psicolo- gico’: «un nuovo campo di battaglia in cui gli individui oppongono l’uno al- l’altro le proprie emozioni. Vissuti, percezioni, sensibilità si confrontano e si scontrano quotidianamente e conflitti sociali, di genere e culturali si spostano sul piano dei rapporti interpersonali. [...] L’uguaglianza dei di- ritti si sposta sul campo emozionale, ciascuno è sempre più attento alle proprie emozioni e pretende per queste rispetto, attenzione e libertà di espressione-esibizione. [...] La valorizzazione della sofferenza psicologi- ca e le narrazioni di sé affidate a un linguaggio esclusivamente psicolo- gico mentre pongono l’accento sull’individuo cercano l’origine di torti e offese subiti nell’appartenenza a un gruppo etnico, di genere, o nella condivisione di preferenze sessuali. [...] Se sono i sentimenti a riscrivere la storia tutto può essere ri-narrato e ri-costruito secondo i punti di vista di chi sente offesa oggi la propria sensibilità. [...] Tutto viene affogato in un confuso mare magnum sentimentale, in un apparente coinvolgimen- to emotivo che soffoca ogni forma di distanza al rispetto e riconosci- mento reciproco. Quel diritto di ciascuno alla propria narrazione, giu- stamente rivendicato, andrebbe forse declinato in un linguaggio meno psicologico e psicologistico, imposto nel discorso pubblico con la forza dell’argomentazione, ancorato a una cultura dei diritti liberata dalla co- lonizzazione emotiva [...]» 98. 97 Il discorso politico mostra una sempre più accentuata tendenza al linguag- gio psicologistico ed emotivo, e più in generale tutta la comunicazione pubblica è problematicamente invasa da «confessioni, narrazioni, biografie, programmi e proclami politici che mettono in primo piano emozioni e passioni. Al discorso pubblico e in pubblico, possibile solo se rispettoso della propria e altrui discre- zione e della distanza fra sé e l’altro, si è sostituito il discorso emozionale, il di- scorso marmellata dove tutto diviene appiccicoso e dolciastro, dove ogni distanza fra Io e Tu, fra me e l’altro viene annullata nel mare di un presunto coinvolgimen- to», v. TURNATURI, Emozioni: maneggiare con cura, prefazione a ILLOUZ, Intimità fredde. Le emozioni nella società dei consumi, tr. it., Milano, 2007, p. 15. Eloquente è l’espressione con cui ALONSO ALAMO, Sentimientos y derecho penal, cit., p. 64, sintetizza il problema di una soggettivizzazione incentrata su aspetti di rettività emotiva: «¿Un derecho penal de sujetos pasivos?».  98 TURNATURI, Emozioni: maneggiare con cura, cit., pp. 20, 22 ss.  Sensibilità individuali e libertà di espressione 139 L’approccio del diritto non può assecondare il rivendicazionismo psicologico ma deve essere declinato in termini ‘razionalistico-nor- mativi’ facendo riferimento a «norme o [...] principi che si difendono e argomentano in quanto dotati di universalità, cioè in linea di prin- cipio valevoli per tutti coloro che si trovano nella medesima situazio- ne esistenziale» 99. Identifichiamo dunque sentimenti ed emozioni come ‘matrici di diversità’ tali da sollecitare la prospettiva penalistica in relazione al- l’esigenza di gestire equilibri di rispetto reciproco nella società plura- le di fronte a condotte in cui si manifesta l’‘originalità’ degli individui in quanto caratterizzati da culture, concezioni di valore, stili di vita, che ne identificano la personalità: da una parte richieste di libertà per poter affermare le proprie visioni del mondo e per vivere confor- memente a ciò in cui si crede; dall’altra parte istanze simmetriche, fondate sui medesimi contenuti ma di segno opposto, che chiedono a loro volta riconoscimento e rispetto attraverso l’altrui astensione da un certo tipo di espressioni e di comportamenti. 6. Sinossi Delineate le coordinate teoriche per lo studio dei rapporti fra di- mensione emotiva e diritto penale e, in particolare, del sentimento quale problema di tutela, l’indagine si focalizza sui rapporti fra sen- sibilità soggettive e libertà di espressione. A suggerire l’approfondimento di tale specifica questione sono sia ragioni concernenti gli interessi emergenti dalle norme codicistiche, sia esigenze legate alla sempre viva, e per molti versi crescente, conflit- tualità che si registra nel discorso pubblico delle società occidentali. Il richiamo a sentimenti ed emozioni può costituire un’utile coor- dinata esplicativa, a patto di chiarire in che termini i problemi legati alla libertà di espressione possano essere intesi anche come ‘fatti di sentimento’. Gli approcci di fondo sono a nostro avviso fondamen- talmente due: il primo, che definiamo ‘naturalistico-emozionale’, è incentrato sul turbamento psicologico che può discendere dall’essere oggetto di determinate espressioni o dal contatto con determinate manifestazioni espressive; il secondo, che definiamo ‘razionalistico- normativo’, mette al centro l’analisi critica dell’emozione o del senti-  99 VIOLA, Multiculturalismo, valori comuni, diritto penale, cit., p. 121.  140 Tra sentimenti ed eguale rispetto mento addotti quale ragione di potenziali divieti, al fine di verificarne la razionalità e la consonanza in rapporto ai valori e ai principi as- sunti quale riferimento per la regolamentazione politica. La partita decisiva si gioca sul piano delle alternative filosofico- politiche che concorrono a definire i tratti dei differenti, possibili modelli di democrazia. Con riguardo alla tutela di sentimenti, la scel- ta di fondo – probabilmente quella logicamente prioritaria – è fra l’avallo di interpretazioni del problema in chiave collettivistico-co- munitarista oppure in chiave soggettivo-individualistica. Sulla base delle istanze evidenziate dalla teorica dell’individua- lismo democratico, come elaborato da Nadia Urbinati, riteniamo che si debba in primo luogo emancipare la tutela di sentimenti da forme di presidio al sentire della maggioranza, interpretando il richiamo a fenomeni affettivi come forma metonimica tesa a evocare simboli- camente la persona nella sua dimensione di soggetto morale, riassu- mendone contemporaneamente, quale duplice faccia nello stesso ele- mento, la dotazione universalmente condivisa in termini egualitari (il provare sentimenti ed emozioni di ciascun individuo) e gli esiti po- tenzialmente conflittuali (la diversità nel sentire). La pretesa normativa definita ‘tutela di sentimenti’ viene così a identificarsi con un progetto teso a garantire il reciproco rispetto a partire da una cornice assiologica di libertà e pari dignità.  SEZIONE I CAPITOLO V FISIONOMIA DELL’OFFESA Oltre i sentimenti: gli interessi in gioco SOMMARIO: 1. Temi ‘sensibili’ e discorso pubblico: esempi guida. – 1.1. Sensibilità religiosa. – 1.2. Sentimento del pudore e pari dignità sessuale. – 2. Apparte- nenza e gruppalità. – 3. Rispetto, riconoscimento, stima reciproca. – 3.1. Pari dignità ed eguale rispetto. – 4. Bilanciare le pretese. – 4.1. Dignità e capacità umane. – 4.2. Rispetto di sé e umiliazione: la concezione di Avishai Margalit. – 5. Ai confini fra critica e discriminazione. – 5.1. Offesa ai sentimenti e offesa alla dignità nello hate speech secondo Jeremy Waldron. – 5.2. Ermeneutica del fatto ed ermeneutica della norma. 1. Temi ‘sensibili’ e discorso pubblico: esempi guida Cerchiamo a questo punto di dare una fisionomia più definita ai conflitti legati alla sensibilità degli individui. In un importante studio di fine anni Novanta, il giurista Richard Abel parlava emblematicamente di ‘lotte per il rispetto’ per indicare il tipo di contesa dialettica che contraddistingueva il dibattito sulla pornografia, il contrasto al discorso razzista e le prese di posizione seguite alla pubblicazione di opere ritenute blasfeme in quanto criti- che o irridenti verso temi religiosi 1. Storie che hanno un nucleo co- mune, le definisce Abel, poiché «investono valori che ispirano emo-  1 ABEL, La parola e il rispetto, tr. it., Milano, 1996, pp. 7 ss.  142 Tra sentimenti ed eguale rispetto zioni profonde» 2. In relazione a temi di questo tipo eventuali espres- sioni di critica o di scherno sono in grado di attivare reazioni anche su scala collettiva, estendendo la dimensione dei problemi fino a coinvolgere l’ordine pubblico di singole realtà nazionali e anche del panorama globale. Lo scenario contemporaneo non si discosta più di tanto dal quadro tracciato qualche decennio fa da Abel: razza/etnia, fede religiosa/cre- denze, modi di concepire e vivere l’identità sessuale, sono ancora oggi ambiti tematici in grado di accendere conflittualità esorbitanti da un ordinario dissenso, dando luogo a «un tipo particolare di scontro fra soggetti che ha a che vedere con la concrezione di affetti, interessi, ra- gioni e pregiudizi contrastanti che si fronteggiano e che paiono o sono fortemente vitali per coloro che ne sono portatori o portati» 3. Una dialettica ad alto tasso emotivo, nella quale emergono veri e propri ‘campi minati’ che potremmo definire ‘argomenti-trigger’, i quali hanno contribuito a riportare oggi il tema della libertà di espressione al centro del dibattito pubblico prima ancora che scientifico. Per meglio contestualizzare i problemi esporremo in modo sinte- tico alcune vicende tratte dal panorama nazionale ed europeo. In questa fase dell’indagine non ci concentreremo sulla qualifica- zione giuridica dei fatti, ma riteniamo preferibile individuare una ca- sistica ‘tipologica’ che possa fungere da palestra concettuale per ri- flettere sulle istanze di tutela che vengono associate a offese a senti- menti. Riportiamo anche episodi di rilevanza non strettamente pena- listica, i quali evidenziano come l’appello a sentimenti non sia conno- tato esclusivo della penalità ma possa presentarsi anche quale giusti- ficazione, più o meno esplicita, di forme differenti di intervento nor- mativo. Attingeremo dal tema della critica/satira su temi religiosi e da epi- sodi concernenti le manifestazioni della sessualità. Riteniamo di non dover introdurre, per il momento, esempi legati al discorso razzista: in questa fase dell’indagine presentare il discorso razzista come pro- blema di sentimenti può essere fuorviante perché limitativo 4. Nel di- 2 ABEL, La parola e il rispetto, cit., p. 27. 3 CERETTI, Vita offesa, lotta per il riconoscimento e mediazione, in AA.VV., a cu- ra di Scaparro, Il coraggio di mediare. Contesti, teorie e pratiche di risoluzioni al- ternative delle controversie, Milano, 2001, p. 59, definisce tali conflitti ‘di seconda generazione’ per sottolinearne la diversità da quelli che toccano le sfere della ri- produzione materiale-economica e della sfera politica. 4 Per le medesime ragioni, in termini ancora più stringenti, non si presta a fungere da esempio prototipico il problema dell’incriminazione del c.d. negazio-   Fisionomia dell’offesa 143 battito sullo hate speech, categoria nella quale rientra la propaganda razzista, la lettura dell’incriminazione come forma di rassicurazione collettiva e come tutela della sensibilità del soggetto offeso assume una funzione sostanzialmente critica e confutativa rispetto a un mainstream che individua quale interesse di fondo la pari dignità, in- tesa come pericolo di discriminazioni e come offesa a valori sul piano simbolico5. A prescindere dalle diverse formulazioni mediante le quali lo hate speech assume rilevanza normativa nelle singole realtà nazionali, non si tratta a nostro avviso di un esempio prototipico di ambito normativo in cui il sentire, individuale o collettivo, possa concorrere a definire l’oggetto di tutela, per quanto le connessioni ri- spetto al tema in esame siano numerose e feconde, ma necessitino di essere contestualizzate a un livello successivo dell’analisi (vedi infra). nismo, il quale «non può essere inquadrato soltanto come una specie del “discor- so razzista”», v. CANESTRARI, Libertà di espressione e libertà religiosa: tensioni at- tuali e profili penali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2016, p. 922. Fra le diverse istanze addotte a sostegno dell’incriminazione è ravvisabile anche l’offesa a un sentire condiviso, come evidenziato anche da BRUNELLI, Attorno alla punizione del nega- zionismo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2016, pp. 983 ss., il quale sottolinea in questo senso la differenza fra ‘negazionismo-vilipendio’ e ‘negazionismo-istigazione’; cfr. GUELLA-PICIOCCHI, Libera manifestazione del pensiero, cit., pp. 865 ss. Si veda an- che FRONZA, Criminalizzazione del dissenso o tutela del consenso. Profili critici del negazionismo come reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2016, pp. 1024 ss., la quale mette in evidenza la natura del reato di negazionismo come ‘modello di crimina- lizzazione altamente consensuale’, rispondente ad aspettative e a emozioni della collettività. L’ampiezza e la pluralità di argomenti e controargomenti lascia però in secondo piano la lettura del problema come mera tutela della sensibilità; per una panoramica v. ex plurimis, FRONZA, Il negazionismo come reato, Milano, 2012; VISCONTI C., Aspetti penalistici, cit., pp. 217 ss.; PULITANÒ, Di fronte al negazioni- smo e al discorso d’odio, in www.penalecontemporaneo.it, 3/2015, pp. 1 ss. CAPUTO, La “Menzogna di Auschwitz”, le “verità” del diritto penale. La criminalizzazione del c.d. negazionismo tra ordine pubblico, dignità e senso di umanità, in AA.VV., a cura di Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione penale, cit., pp. 263 ss. 5 Per un’accurata sintesi delle strategie di legittimazione e degli interessi pro- tetti dall’incriminazione dello hate speech nel panorama internazionale, v. BROWN A., Hate Speech Law, cit., pp. 19 ss.; la questione del danno alla sensibilità sogget- tiva e alla tranquillità psichica è trattata alle pp. 49 ss. Si è osservato che nella trattazione della tematica delle restrizioni normative allo hate speech sarebbe be- ne evitare generalizzazioni, non solo in relazione alla fenomenologia delle con- dotte, ma anche con riferimento all’individuazione, nella realtà dei diversi ordi- namenti, del sistema di prodotti normativi che vanno a costituire ciò che gli stu- diosi definiscono ‘hate speech laws’; si tratta infatti di un insieme eterogeneo, non limitabile ai soli divieti penali, ma composto da statuizioni di diverso tipo che ne- cessitano di strategie di legittimazione differenti.   144 Tra sentimenti ed eguale rispetto 1.1. Sensibilità religiosa Le contingenze storico-politiche suggeriscono di prestare partico- lare attenzione alla questione dei rapporti fra libertà di espressione e rispetto della sensibilità religiosa. L’attuale momento storico si caratterizza per una peculiare aura di passionalità, e purtroppo anche di violenza, che accompagnano una conflittualità per molti versi inedita 6. Le fonti mediatiche ci mettono oggi in condizione di ascoltare la ‘voce’ delle emozioni e di formularne interpretazioni con immedia- tezza; come ha scritto il filosofo Ermanno Bencivenga, dopo i tragici fatti di Charlie Hebdo «[i]nsieme con le emozioni esplosero contenuti intellettuali di ogni genere: commenti e chiarimenti, diagnosi e previ- sioni, giudizi e proposte» 7. Da un lato le emozioni di chi, avvertendo una ferita al proprio sentire religioso, ha agito con brutale violenza; dall’altro un’onda emotiva che di rimando ha stimolato riflessioni e prese di posizione che si sono rivolte non solo contro la condotta omicida, ma talvolta, più radicalmente, anche contro la religione e l’etnia di appartenenza dei soggetti autori del massacro. Per quanto le due posizioni siano del tutto incomparabili, prendere sul serio le emozioni di entrambe le parti è utile per provare a decodificarne le pretese. Le violente reazioni che negli ultimi tempi sono scaturite dalla pubblicazione di vignette satiriche sulla religione musulmana rap- presentano uno fra i tanti casi in cui la causticità di determinate forme di satira ha urtato la sensibilità di credenti di varie fedi religio- se. Riportiamo di seguito una sintesi di alcuni episodi tratti dalle cronache. 6 Una panoramica storica in HARE, Blasphemy and Incitement to Religious Hatred: Free Speech Dogma and Doctrine, in AA.VV., ed. by Hare-Weinstein, Ex- treme Speech and Democracy, Oxford, 2009, pp. 289 ss.; nella letteratura italiana, v. AA.VV., a cura di Melloni-Cadeddu-Meloni, Blasfemia, diritti e libertà. Una di- scussione dopo le stragi di Parigi, Bologna, 2015; FLORIS, Libertà di religione e liber- tà di espressione artistica, in Quad. di diritto e politica ecclesiastica, 1/2008, pp. 175 ss.; OZZANO, Il fondamentalismo religioso: implicazioni politiche, in Nuova infor- mazione bibliografica, 1/2010, pp. 65 ss.  7 BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, cit., p. 11.  Fisionomia dell’offesa 145 Caso 1: da una vignetta rispunta l’accusa di deicidio al popolo ebraico Nell’aprile 2002 un gruppo di palestinesi si rifugia all’interno della Basilica della Natività di Betlemme per sfuggire a una rappresaglia dell’esercito israeliano. I militari israeliani minacciano di entrare nel- la chiesa; chiedono che vengano consegnati loro quattro palestinesi, accusati di aver assassinato Rehavam Zeevi, ministro del governo Sharon. Giorni dopo, nel quotidiano italiano ‘La Stampa’ compare una vi- gnetta di Giorgio Forattini dal titolo ‘Carri armati alla mangiatoia’: la vignetta raffigura un tank israeliano contrassegnato con la stella di David mentre punta il cannone verso una mangiatoia sulla quale un bambino impaurito, chiaramente identificabile con Gesù, esclama: ‘Non vorranno mica farmi fuori un’altra volta?!’. La vignetta provoca lo sdegno e le proteste dell’allora presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Amos Luzzatto. Queste in sinte- si le motivazioni, così riportate da fonte giornalistica: «[u]na vignetta [...] che non esito a definire orripilante. Ritorna così a galla, come da- to indiscutibile a monte della caricatura stessa, l’accusa di deicidio che pareva esser scomparsa dopo il Concilio Vaticano II. E questo proprio nel momento in cui l’Europa è scossa da una nuova ondata di attentati contro le nostre sinagoghe [...] alla valutazione politica si aggiunge la teologia, ovvero la peggiore delle soluzioni. Cresce in modo nascosto e strisciante l’avversità per gli ebrei... Si attribuisce a una fantomatica malvagità giudaica la responsabilità di quanto sta succedendo a Betlemme» 8. Caso 2: le vignette danesi e l’insurrezione del mondo islamico per la rappresentazione del Profeta Il 30 settembre 2005 il quotidiano danese Jyllands Posten pubblica nella versione on line dodici vignette satiriche su Maometto, in una delle quali il Profeta è raffigurato con una bomba al posto del turban- te. Le vignette vengono successivamente ripubblicate da diverse te- state giornalistiche europee, fra cui, nel febbraio 2006, il settimanale satirico francese Charlie Hebdo. Le proteste sono immediate sia nel continente europeo sia nei paesi di religione islamica 9: il direttore del giornale danese viene mi- 8 L’Unità, 4 aprile 2002, p. 2 9 In Danimarca viene avviato un procedimento penale, poi archiviato, per bla-   146 Tra sentimenti ed eguale rispetto nacciato di morte, e nelle settimane successive alla pubblicazione vengono organizzate manifestazioni di protesta da parte di cittadini islamici e anche da parte di esponenti governativi che chiedono al governo danese di formulare delle scuse ufficiali. Dure le prese di po- sizione dei governi di paesi arabi 10. Una significativa sintesi delle ragioni della protesta si trova nel co- siddetto dossier ‘Akkari-Laban’ pubblicato da due Imam immigrati in Danimarca. Queste le principali rivendicazioni avanzate dagli Imam: viene chiesto un contatto costruttivo con la stampa ed in particolare con soggetti delle istituzioni (relevant decision makers), non sbrigati- vo, ma condotto con meticolosità e lungimiranza (with a scientific methodology and a planned and long-term programme) per rimuovere i malintesi tra le due parti. Si afferma che i musulmani non vogliono apparire arretrati e limitati, e non vogliono neppure accusare i danesi di «ideological arrogance»; obiettivo è avere relazioni sicure e stabili, e una Danimarca prospera per tutti. Si lamenta che i fedeli musulmani soffrono la mancanza di un riconoscimento ufficiale della fede isla- mica, circostanza che ha fra le immediate conseguenze la mancanza del diritto di costruire moschee. Si afferma infine che i musulmani non abbiano bisogno di lezioni di democrazia, e si ritiene ‘dittatoria- le’ e inaccettabile l’attuale modo europeo di concepire e gestire la democrazia 11. Caso 3: una discussa opera teatrale e l’offesa alla religione cattolica Nel 2012 viene presentato in Italia, dopo una tournée densa di po- lemiche in Francia, lo spettacolo teatrale di Romeo Castellucci dal titolo ‘Sul concetto di volto del figlio di Dio’. L’opera rappresenta la storia di un figlio che accudisce il padre, non più autosufficiente. Sullo sfondo della scena, una rappresenta- zione del volto del Cristo (il famoso ritratto di Antonello da Messina), che a fine spettacolo viene lacerato e fatto oggetto del lancio di varie cose, fra cui del liquido nero da molti interpretato come feci. Malgrado i tentativi dell’autore di spiegare il significato della pro- sfemia e vilipendio di gruppi di persone. Anche in Francia viene aperto un proce- dimento contro Charlie Hebdo, poi concluso con un’assoluzione. Una sintesi delle vicenda processuali in BASILE, La pubblicazione delle dodici vignette satiriche sull’Islam costituisce reato (in Italia)?, in Notizie di Politeia, 2015, pp. 70 s. 10 La Repubblica, 30 gennaio 2006; La Repubblica, 5 febbraio 2006. 11 Informazioni tratte dalla voce Wikipedia ‘Akkari-Laban dossier’, nella cui pa- gina si trova il link alla versione originale del dossier in lingua araba.   Fisionomia dell’offesa 147 pria opera, lo spettacolo è bersaglio di forti polemiche: si registrano manifestazioni di protesta da parte di alcuni esponenti del mondo cattolico, e anche il Vaticano arriva a definirla «un’opera che offende Gesù e i cristiani» 12. Particolarmente significative le parole usate dal- la Curia milanese in un comunicato ufficiale per criticare la messa in scena al teatro Parenti: si richiama l’esigenza che sia «riconosciuta e rispettata la sensibilità di quanti cittadini milanesi vedono nel Volto di Cristo l’incarnazione di Dio, la pienezza dell’umano e la ragione della propria esistenza [...]», criticando in questo senso una scelta che «avrebbe potuto farsi carico più attentamente della “dimensione sociale” della libertà di espressione» 13. 1.2. Sentimento del pudore e pari dignità sessuale In relazione alle manifestazioni della sessualità emergono pro- blemi differenti rispetto al passato in cui Abel si soffermava sul tema della liceità della pornografia; oggi assumono maggior rilevanza que- stioni legate all’affermazione e al riconoscimento della pari dignità degli orientamenti sessuali sul piano del discorso pubblico e anche della regolamentazione normativa. Al centro dell’attenzione è il fenomeno della cosiddetta ‘omofobia’; nella Risoluzione sull’omofobia in Europa del gennaio del 2006 essa viene definita come «una paura e un’avversione irrazionale nei con- fronti dell’omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio e analoga al razzismo, alla xenofobia, all’antisemitismo e al sessismo». La rilevanza penale di espressioni omofobiche è legge in diversi Paesi europei, non ancora in Italia14. Il modello di incriminazione privilegiato fa confluire il discorso omofobico nello hate speech; per 12 Affermazioni di Peter Brian Wells, all’epoca assessore agli Affari generali della Segreteria di Stato vaticana, cui possono affiancarsi, per identità di contenuto, le opinioni di Padre Federico Lombardi, v. Corriere della Sera, 20 gennaio 2012. 13 Stralcio del comunicato della Curia milanese, così riportato in Avvenire, 14 gennaio 2012. 14 Una panoramica in GOISIS, Omofobia e diritto penale. Profili comparatistici, in www.penalecontemporaneo.it, 11/2012, pp. 7 ss.; DOLCINI, Omofobia e legge penale. Note a margine di alcune recenti proposte di legge, in Riv. it. dir proc. pen., 1/2011, pp. 24 ss.; ID., Omofobi: nuovi martiri della libertà di manifestazione del pensiero?, in Riv. it. dir proc. pen., 1/2014, pp. 7 ss.; RICCARDI, Omofobia e legge penale. Possibilità e li- miti dell’intervento penale, in www.penalecontemporaneo.it, 9/2013, pp. 1 ss.   148 Tra sentimenti ed eguale rispetto tali ragioni riteniamo che anche l’insulto omofobico non si presti a essere presentato in prima istanza come condotta offensiva di senti- menti: stati affettivi vengono certo in gioco nelle condotte omofobi- che, ma, come osservato per lo hate speech razzista, adottare come ipotesi di lettura primaria l’offesa a sentimenti rischia di incentrare la prospettiva sulla mera reattività emotiva. Con riferimento al tema della sessualità e della pari dignità degli orientamenti sessuali, si rivelano particolarmente problematiche le invocazioni dell’intervento penale che adducano offese al pudore mo- tivate non dal livello di particolare esplicitezza di condotte sessuali tenute in pubblico, ma in ragione dell’orientamento sessuale dei sog- getti 15. Detto in altri termini: può capitare, ed è capitato, che si invo- chino divieti per condotte sessuali dove il motivo dell’offesa è ricon- ducibile esclusivamente alla tipologia di relazione e dunque al- l’identità e alla dignità sessuale dei soggetti 16. Anche in Italia la stam- pa ha dato notizia di denunce per atti osceni a seguito di semplici ba- ci realizzati in pubblico nel contesto di un rapporto fra soggetti dello stesso sesso, benché nessuno dei procedimenti, per quanto ci è noto, sia giunto a una pronuncia di condanna 17. Caso 4: censura televisiva per un bacio gay Riteniamo particolarmente significativo, per quanto non sia inte- 15 Si veda il vasto, e grottesco, panorama di incriminazioni in vigore negli anni Ottanta in alcuni Stati americani. Definirle ‘leggi antisodomia’ appare improprio poiché i divieti attengono al tipo di atto piuttosto che al contesto della relazione. Ad esempio, in Arizona era penalmente rilevante la condotta di «un individuo che commetta volontariamente e senza costrizione, in qualunque modo innaturale, qualunque atto osceno libidinoso sul o con il corpo o qualunque parte o membro del corpo di un adulto di sesso maschile o femminile, con l’intento di eccitare, solleticare o gratificare la lussuria, la passione, o il desiderio sessuale di una qua- lunque delle persone coinvolte», v. NUSSBAUM, Disgusto e umanità, cit., pp. 116 ss. 16 Le radici storiche del problema riportano alle leggi antisodomia, diffuse so- prattutto in ambito angloamericano; su tale tema in Inghilterra si sviluppò il ce- lebre confronto dialettico tra il filosofo di Oxford Herbert Hart e il giudice Patrick Devlin. Hart si oppose alle tesi moralistiche di Devlin con un’opera divenuta un manifesto del liberalismo giuridico: v. HART, Diritto, morale e libertà, cit., 1968; per una sintesi, v. CADOPPI, Moralità e buon costume (delitti contro la) (diritto anglo americano), in Dig. disc. pen., VIII, 1994, pp. 187 ss. 17 Si tratta di episodi narrati da organi di stampa; a titolo esemplificativo si veda http://www.umbria24.it/cronaca/perugia-bacio-gay-tra-le-sentinelle-in-piedi- alfano-riferisce-in-aula-diretta-streaming; http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/- ContentItem-81e83656-04b5-4485-ac45-e4e5d912bc58.html.   Fisionomia dell’offesa 149 ressato il piano penalistico, un episodio di vera e propria censura nel- la televisione italiana di Stato, espressamente motivata da un ‘eccesso di sensibilità’, che ha portato al taglio e alla mancata messa in onda di una scena comprendente un bacio omosessuale. Nel luglio 2016 viene trasmesso sul canale nazionale italiano Rai 2 la serie tv statunitense ‘Le regole del delitto perfetto’. La puntata dell’8 luglio 2016 va in onda con dei tagli rispetto alla versione origi- nale: vengono infatti rimosse le sequenze ritraenti un bacio fra sog- getti di sesso maschile. A seguito delle polemiche levatesi contro una simile censura, la direttrice di Rai Due commenta «Non c’è stata nes- suna censura, semplicemente un eccesso di pudore dovuto alla sensi- bilità individuale di chi si occupa di confezionare l’edizione delle se- rie per il prime time» 18. 2. Appartenenza e gruppalità Negli argomenti addotti da coloro che lamentano un’offesa rico- nosciamo un’evidente componente emozionale, soprattutto con rife- rimento alla vignetta sulla religione ebraica e nell’opera teatrale con- testata da una parte del mondo cattolico. Nel primo caso lo si può desumere dal lessico (pensiamo alla parola ‘orripilante’ che evoca una sensazione di disgusto); nell’opera teatrale si è criticato soprat- tutto il gesto del lanciare materiali assimilati a feci contro l’immagine del Cristo, azione il cui significato iconoclasta sarebbe stato, forse, percepito in termini più attenuati senza il richiamo (peraltro non univoco) alle feci, e che invece ha indotto nei fedeli una sensazione di ‘disgusto morale’. Nel caso della censura televisiva, la giustificazione offerta in sede pubblica parla di ‘eccessiva sensibilità’ volta a evitare l’offesa al pudore, mentre appaiono più complesse le motivazioni ad- dotte in sede pubblica dai fedeli musulmani con riferimento alle vi- gnette danesi 19. Tutti i suddetti conflitti possono a nostro avviso inquadrarsi in 18 Corriere della Sera, 9 luglio 2016. 19 La reazione all’offesa religiosa si unisce ad argomenti inerenti la situazione politica e le condizioni di vita dei musulmani in Danimarca; al di là della cautela con cui è bene accogliere tali istanze, resta il fatto che la rappresentazione attra- verso le vignette si presta a essere interpretata anche come etichettamento dell’in- tera comunità musulmana nei termini di ‘terrorista’, in questo senso andando ol- tre la semplice irrisione sul piano religioso.   150 Tra sentimenti ed eguale rispetto contrapposizioni di carattere gruppale, nelle quali cioè le ragioni del- lo scontro si legano a profili che sono identificativi di un particolare gruppo o categoria di persone da cui si vuole prendere una ‘distanza’. Intendiamo il concetto di gruppo in un significato più esteso della sola appartenenza etnico-culturale, e che non è limitato a gruppi c.d. ‘minoritari’ o contrapposti alla cultura dominante20, ma che è fun- zionale a designare tensioni tra forme di appartenenza che attraver- sano i confini delle singole realtà geopolitiche 21. Un’appartenenza che si radica nel sentire dell’individuo, la cui de- finizione può a nostro avviso esser fatta coincidere con il termine ethos, il quale rimanda letteralmente ai concetti di abitudine e di usanza, intesi come elementi costitutivi della diversità fra popoli e fra individui, e che nella filosofia contemporanea è adoperato per desi- gnare «una complessiva, non necessariamente esplicita, concezione del be- ne, o uno stile di vita, che può anche avere una radice religiosa, e che in molti casi si identifica con la “cultura” di una qualche comunità di appartenenza, con il modo di sentire e giudicare, i costumi, le norme di questa comunità: in questo senso un ethos può definire l’identità culturale o religiosa, e lato sensu morale di una persona» 22. Un’ulteriore connessione può trovarsi nei concetti di ‘categorizza- zione’ e di ‘autocategorizzazione’. Secondo quanto osservato in psicologia sociale, il sistema cogniti- vo umano per far fronte alla complessità del mondo esterno sviluppa la tendenza a pensare gli oggetti raggruppandoli in insiemi, accomu- nandoli sulla base di informazioni e di dati estendibili alla totalità di 20 A questo livello non vi sono, a nostro avviso, esigenze penalistiche di delimi- tazione del concetto di appartenenza, le quali invece appaiono evidenti quando il richiamo al gruppo o alla cultura sia funzionale a introdurre eventuali fattori di attenuazione della responsabilità penale, come nel caso dei c.d. ‘reati cultural- mente motivati’. In tale ultimo caso la rilevanza sul piano penalistico è necessa- riamente subordinata a una specificità che deve consentirne l’accertamento in sede processuale: v., per tutti, DE MAGLIE, I reati culturalmente motivati. Ideologie e modelli penali, Pisa, 2010, pp. 25 ss.; EAD., voce Reati culturalmente condizionati, in Enciclopedia del diritto, Annali VII, Milano, 2014, pp. 872 ss.; in senso lato, il problema può riconnettersi alla categoria generale della c.d. ‘inesigibilità’, v., per tutti, FORNASARI, Il principio di inesigibilità nel diritto penale, Padova, 1990, pp. 319 ss. 21 Accenna a tale distinzione KYMLICKA, La cittadinanza multiculturale, tr. it., Bologna, 1999, p. 35.  22 DE MONTICELLI, La questione morale, cit., p. 143.  Fisionomia dell’offesa 151 essi. Tale processo classificatorio può avere a riferimento anche le persone, e si tratta di un momento essenziale del rapporto con l’altro: «Il mondo sociale, in altri termini, ci appare articolato in insiemi omogenei di persone unificate da un qualche tratto. Alcune di queste suddivisioni sono più importanti e cariche di significato, come l’ap- partenenza etnico culturale, la lingua, la religione, la famiglia, le ideo- logie, l’orientamento politico; ma anche il genere, l’età, l’orientamento sessuale, l’occupazione, la zona di residenza, e perfino aspetti molto più marginali come gli hobby, gli stili di consumo o la preferenza per una squadra di calcio, sono in grado di diventare potenti elementi di identificazione collettiva» 23. La tendenza alla gruppalità24 induce una propensione a ‘classifi- care’ gli altri individui, e si manifesta anche in senso riflessivo come percezione di sé basata sul sentirsi parte di una categoria, ossia come ‘autocategorizzazione’; più in particolare, l’autocategorizzazione si pone come fondamentale momento di costruzione dell’identità socia- le relativamente all’edificazione dell’immagine di sé e al modellamen- to delle sfere relazionali 25. Tale assunto ricorre anche in ambito antropologico: «l’esperienza della diversità di modi di vivere porta spesso a dare giudizi di valore, sulla base del sapere garante dell’identità del proprio gruppo, su di noi rispetto agli altri e sugli altri rispetto a noi» 26. Categorizzazione e autocategorizzazione rappresentano dunque concetti essenziali per la comprensione di dinamiche relazionali e comunicative in cui vengono in gioco ‘appartenenze significative’ del- l’individuo 27, tali da renderlo particolarmente sensibile a ciò che vie- 23 LEONE-MAZZARA-SARRICA, La psicologia sociale. Processi mentali, comunica- zione e cultura, Roma-Bari, 2013, p. 180. 24 HAIDT, Menti tribali, cit., pp. 237 ss. 25 Si vedano, ex plurimis, CRISP-TURNER, Psicologia sociale, tr. it., a cura di Mosso, Torino, 2013, pp. 59 ss.; BROWN R., Psicologia sociale del pregiudizio, tr. it., Bologna, 1997, pp. 51 ss.; CARNAGHI-ARCURI, Parole e categorie. La cognizione so- ciale nei contesti intergruppo, Milano, 2007; TAJFEL, Gruppi umani e categorie so- ciali, tr. it., Bologna, 1985, pp. 220 ss.; RAVENNA, Odiare. Quando si vuole il male di una persona o di un gruppo, Bologna, 2009, pp. 81 ss. 26 ANGIONI G., Fare, dire, sentire, cit., p. 268. 27 Ci riferiamo a caratteristiche costitutive dell’identità che siano particolar- mente totalizzanti o ‘dispotiche’, nel senso che, pur essendo oggetto di scelta, ten- dono ad assumere una portata fortemente invasiva della sfera personale, anche fino a generare situazioni di concorrenza e incompatibilità con altre appartenen-   152 Tra sentimenti ed eguale rispetto ne detto28 sia riguardo alla sua appartenenza a un gruppo, sia ri- guardo al gruppo in sé e a ciò che lo identifica 29, e anche riguardo a fatti di conoscenza che si pongono a confutazione o in contrasto con il patrimonio di conoscenze tramandato e acquisito dal gruppo 30. Secondo la ricostruzione dello psicologo sociale Jonathan Haidt, l’uomo ha una natura sia egoista sia gruppista, e possiede una mente ‘tribale’: l’aderenza al gruppo ‘unisce e acceca’, nel senso che crea i presupposti per la socialità e al contempo può intrappolare le perso- ne nelle matrici morali del gruppo di appartenenza, ingenerando conflittualità fra gruppi contrapposti 31. Un risvolto di tale relazione è l’accentuata emotività che si lega al- le questioni inerenti l’appartenenza: ma qual è la pretesa che acco- muna le parti in conflitto? cosa ‘chiedono’ le emozioni in termini di reciprocità? ze. L’esempio principale è l’identità religiosa; sul tema della costruzione dell’iden- tità e del particolare ruolo ‘dispotico’ dell’identità religiosa v. PINO, Identità perso- nale, identità religiosa e libertà individuali, in Quad. di diritto e politica ecclesiasti- ca, 1/2008, pp. 123, 137 ss. 28 «Il linguaggio [...] trasmette l’interazione con gli altri. Narra le categorizza- zioni sociali di cui ci serviamo. Reiterandoli consolida gli stereotipi. Partecipa alla costruzione e all’alimentazione dei pregiudizi. E così facendo influenza in modo rilevante la percezione sociale di un determinato gruppo», v. PUGIOTTO, Le parole sono pietre? I discorsi d’odio e la libertà di espressione nel diritto costituzio- nale, in www.penalecontemporaneo.it, 7/2013, p. 3. 29 Quali sono queste appartenenze e in base a quali criteri il diritto può attri- buire una rilevanza? L’interrogativo, nella sua estrema complessità, non può esse- re affrontato nel presente lavoro; nondimeno va tenuto conto che sia nelle scienze sociali, sia, di riflesso, nella prospettiva giuridica, si tratta di un problema aperto che può influire in modo determinante sull’approccio agli eventuali limiti alla li- bertà di espressione, v. BROWN A., Hate Speech Law, cit., p. 319. Il tipo di identità che sembra assumere una rilevanza peculiare sul piano politico è ciò che CA- STELLS, Il potere delle identità, tr. it., Milano, 1997, p. 7, definisce come ‘resisten- ziale’, ossia quella «generata dagli attori che sono in posizioni o condizioni svalu- tate e/o stigmatizzate da parte della logica del dominio». Nondimeno, il valore politico dell’identità può risultare condizionato anche dal grado di ‘dispoticità’ e della conseguentemente combattività nella sfera pubblica, v. supra, nota 27. 30 Si soffermano su tale ultima tipologia di conflitto, tra fatti di sentimento e fatti di conoscenza, GUELLA-PICIOCCHI, Libera manifestazione del pensiero, cit., pp. 855 ss., analizzando in particolare, in riferimento al contesto statunitense, il tema dell’opposizione all’insegnamento delle teorie evoluzionistiche negli istituti di istruzione di orientamento creazionista. 31 HAIDT, Menti tribali, cit., pp. 240 ss., 313 ss., 359 ss. Sul particolare profilo che Haidt definisce ‘principio di sacralità’, il quale porta a ritenere determinate cose (non semplicemente materiali ma anche teorie e ideologie) come identifica- tive della moralità del gruppo, v. pp. 184 ss.   Fisionomia dell’offesa 153 3. Rispetto, riconoscimento, stima reciproca Il concetto che meglio definisce l’atteggiamento relazionale che ciascuno esige dai propri simili è il rispetto. Ogni individuo si forma una propria intuitiva nozione di rispetto, la quale può fondarsi su istanze più o meno giustificate; non è però a una tale solipsistica concezione che il diritto può fare riferimento. La parola ‘rispetto’ ha assunto nel corso della storia significati dif- ferenti 32, ma ciò che ci interessa oggi è ricostruirne il contenuto dal punto di vista politico, non solo come atteggiamento individuale, ma soprattutto come principio per la convivenza nella diversità. Che cosa vuol dire rispettare le persone? Il pensiero filosofico ha riservato particolare attenzione a tale que- stione, e soprattutto nell’epoca attuale il tema ha assunto un’innovativa importanza: il rispetto per le persone e fra le persone rappresenta una aspetto costitutivo della qualità morale delle democrazie moderne. Si parla oggi non di un generico rispetto, ma di un rispetto democratico, non gerarchico, che assume come presupposto l’uguaglianza e la pari dignità: l’eguale rispetto, definito da un’autorevole interprete «ragione morale alla base dell’ordinamento democratico» 33. Sia chiaro: l’eguale rispetto rappresenta un’idea che riconosce im- portanza morale alla ricerca di ragioni comuni (nel senso di ‘meno comprensive’) 34 da porre a fondamento di scelte normative, ma non è una teorizzazione neutrale o dai caratteri meramente procedurali. È una concezione eticamente ‘spessa’ che sintetizza il cardine assiologi- co della democrazia: «un principio morale che richiede il riconosci- mento degli altri come pari in virtù della comune umanità» 35. Quando si parla di ‘eguale rispetto’ si intende un atteggiamento di necessario e aprioristico riguardo di cui ogni essere umano è con- temporaneamente titolare e debitore nei confronti degli altri indivi- 32 Per tutti v. MORDACCI, Rispetto, Milano, 2012, pp. 45 ss. 33 Si sottolinea che l’eguale rispetto rappresenta un principio comune alle principali strategie di giustificazione della legittimità democratica, v. GALEOTTI, La politica del rispetto. I fondamenti etici della democrazia, Roma-Bari, 2010, p. 31. 34 GALEOTTI, La politica del rispetto, cit., p. 35. Sulla definizione di ‘concezione comprensiva’, v. VECA, La filosofia politica, cit., p. 41: «[s]i usa dire che una teoria morale è comprensiva quando essa include e si estende sull’intero dominio di ciò che per noi vale».  35 GALEOTTI, La politica del rispetto, cit., p. 52.  154 Tra sentimenti ed eguale rispetto dui36, secondo una reciprocità fra pari37. Lo si definisce ‘rispetto- riconoscimento’ per distinguerlo dal cosiddetto ‘rispetto-stima’ «che consegue alla considerazione positiva del carattere, delle condotte, dei risultati conseguiti da una particolare persona» 38, e che è connes- so a una valutazione di meritevolezza che può mutare. La distinzione fra le due forme di rispetto esprime anche un’indi- cazione sul valore e sull’importanza che esse assumono in un oriz- zonte democratico: l’impegno prioritario è il rispetto-riconoscimen- to 39, mentre l’atteggiamento di stima è quello che più risente di emo- zioni contingenti e di inclinazioni individuali, e non è un obiettivo proponibile in un contesto pluralista e culturalmente disomogeneo, nel quale un dissenso intersoggettivo, anche aspro, tra opinioni e orientamenti etici, dovrebbe considerarsi fisiologico 40. Le oscillazioni del rispetto-stima rappresentano in definitiva un risvolto della libertà 36 Viene sottolineato che il rispetto come riconoscimento non può venir meno di fronte a nessuno, neppure di fronte al criminale più efferato o a chi si sia reso autore di azioni che travalicano ogni idea di umanità. Chi afferma che rispetto a determinati comportamenti esiste l’eventualità che un soggetto perda tale status, procede sulla base di un’ulteriore specificazione, la quale individua nel rispetto- riconoscimento due componenti distinte: il sentimento di riguardo e la dispo- sizione ad agire. La perdita del rispetto come riconoscimento può intaccare solo il sentimento di riguardo: «mentre possiamo sospendere l’atteggiamento di ri- spetto – smettendo di considerare quell’uomo degno del nostro riguardo – non possiamo ignorare i vincoli morali delle nostre azioni nei suoi confronti», v. GALEOTTI, La politica del rispetto, cit., p. 84. 37 È sulla reciprocità che si impernia la dimensione morale del rispetto: «[p]ensare moralmente, costruire un ragionamento morale, significa intrattenere con gli altri una relazione di mutuo riconoscimento, cioè dar loro pari dignità e [...] pretendere da loro il rispetto e il riconoscimento della nostra dignità», così BAGNOLI, L’autorità della morale, Milano, 2007, p. 24. 38 GALEOTTI, La politica del rispetto, cit., p. 77; DARWALL, Two Kinds of Respect, in 88 Ethics, 1977, pp. 36 ss. 39 Sottolinea come la nozione stessa di democrazia apra «a un concetto del rapporto secondo giustizia con l’altro fondato sul suo riconoscimento, e non sul giudizio inerente alle sue capacità o alle sue qualità» EUSEBI, Laicità e dignità umana nel diritto penale, cit., pp. 175 s. Sull’importanza del principio dell’eguale rispetto-riconoscimento nel diritto penale, v. PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale, cit., pp. 26 ss. 40 Si apre qui il problema, sconfinato, della tolleranza e degli eventuali limiti alla tolleranza: sul tema v., ex plurimis, GALEOTTI, La tolleranza. Una proposta plu- ralista, Napoli, 1994; WALZER, Sulla tolleranza, tr. it., Roma-Bari, 2003; sul tema dei limiti, v. BOBBIO, L’età dei diritti, cit., p. 111; POPPER, Tolleranza e responsabili- tà intellettuale, in AA.VV., a cura di Mendus-Edwards, Saggi sulla tolleranza, Mila- no, 1990, pp. 27 ss.   Fisionomia dell’offesa 155 di critica, diritto da considerarsi fondamentale in una democrazia ispirata al pluralismo assiologico. A nostro avviso le categorie della stima e del rispetto-riconosci- mento ripropongono con un diverso lessico l’esigenza di distinguere tra offese alla sensibilità soggettiva e forme di offesa che appaiano orientate a minare qualcosa di più radicale, ossia il rapporto di rico- noscimento reciproco fra persone: nel secondo caso emozioni e sen- timenti entrano in gioco non solo da un punto di vista esteriore/feno- menico, bensì quale tratto della personalità che si presta a strumen- talizzazioni in chiave discriminatoria. Ed è in questi termini che si è affermata l’assoluta rilevanza del ri- spetto-riconoscimento per una società: «Fare del riconoscimento il tema centrale di un ragionamento filosofi- co-politico significa quindi che le società devono impegnarsi a pro- muovere delle regole capaci di creare e costituire istituzioni tali da non discriminare alcun soggetto – persona, famiglia, gruppo inclusivo – considerandolo oggetto, o non umano» 41. Per approfondire tale ultima prospettiva di significato ci appog- giamo all’elaborazione di Axel Honneth, il quale definisce il ricono- scimento: «un processo nel quale il singolo può pervenire ad una identità pratica nella misura in cui abbia la possibilità di accertarsi del riconoscimento di se stesso attraverso una cerchia sempre più va- sta di partner della comunicazione»42. Al mancato riconoscimento può conseguire, secondo Honneth, un vulnus definibile come ‘spre- gio’ o ‘offesa’, il cui effetto è l’alterazione dell’immagine che una per- sona ha di sé 43. Secondo Honneth le forme di mancato riconoscimento possono avere differenti gradazioni: si può avere uno spregio che coinvolge la dimensione fisica, conculcando la libertà di autodeterminazione; e si 41 CERETTI, Vita offesa, lotta per il riconoscimento e mediazione, cit., p. 66; nell’elaborazione di Ceretti la centralità del concetto di riconoscimento si inqua- dra in una prospettiva di applicazione della mediazione ai conflitti legati all’ap- partenenza. Più diffusamente sul tema del riconoscimento nella mediazione e nel- la giustizia riparativa, v. ID., Mediazione. Una ricognizione filosofica, in AA.VV., a cura di Picotti, La mediazione nel sistema penale minorile, Padova, 1998, pp. 44 ss.; MANNOZZI-LODIGIANI, La Giustizia riparativa. Formanti, parole, metodi, Torino, 2017, pp. 145 ss. 42 HONNETH, Riconoscimento e disprezzo. Sui fondamenti di un’etica post- tradizionale, tr. it., Messina, 1993, p. 18.  43 Sul tema vedi anche TAYLOR, La politica del riconoscimento, cit., pp. 9 ss.; 21 ss.  156 Tra sentimenti ed eguale rispetto possono avere forme di umiliazione che influiscono sulla cosiddetta ‘autocomprensione normativa’ della persona, escludendola struttu- ralmente dal godimento di diritti, oppure – ed è questa la forma per la quale il termine ‘spregio’ viene più comunemente in uso – negan- dole valore sociale tramite lo svilimento di modi di vita individuali o collettivi 44. Riguardo a tale ultima dimensione di significato si è detto che la questione del riconoscimento è cruciale nella costituzione dell’iden- tità personale, la quale si forma attraverso una «negoziazione che av- viene via dialogo, in parte esterno e in parte interiore, con altre per- sone», con l’importante conseguenza che «sia sul piano intimo sia su quello sociale (quello della politica dell’uguale dignità) la nostra iden- tità si forma (o deforma) in relazione ai nostri incontri con “altri si- gnificativi”» 45. Ebbene, è fondamentale il passaggio dal piano intimo a quello so- ciale, in un percorso che deve tenere ben presenti e ben distinti en- trambi i profili: nella individuazione di un’offesa il piano intimo en- tra in gioco ma non può rappresentare un criterio assoluto; il richia- mo al piano sociale, e a una dimensione di normatività oggettivabile, risulta cruciale 46. 44 Honneth afferma che «ciò che lo spregio qui sottrae alla persona, in termini di riconoscimento, è l’approvazione sociale di una forma di autorealizzazione, alla quale essa stessa ha prima dovuto faticosamente pervenire attraverso l’inco- raggiamento della solidarietà di un gruppo», v. HONNETH, Riconoscimento e di- sprezzo, cit., p. 23. 45 CERETTI, Vita offesa, lotta per il riconoscimento e mediazione, cit., p. 61. 46 È in base a tale distinzione, tra piano intimo e piano sociale, che possono eventualmente essere tematizzate questioni relative a quali siano gli ideali, le cre- denze, le concezioni valoriali, e più in generale quali profili dell’identità morale della persona possano essere presi in considerazione dal diritto, v. HÖRNLE, Prote- zione penale di identità religiose?, in Ragion pratica, 2/2012, pp. 379 ss. La studiosa lascia volutamente in sospeso la questione della soglia al di là della quale uno Sta- to dovrebbe adoperarsi per promuovere il mutuo riconoscimento, pur non na- scondendo notevoli perplessità sull’eventuale ricorso al diritto penale, e si limita a rimarcare che il dare rilevanza a particolari profili dell’identità morale, come ad esempio la fede religiosa, crei problemi di disuguaglianza rispetto ad altre forme di propensione alla trascendenza, e pertanto, non potendosi ragionevolmente ga- rantire a tutte lo stesso regime di tutela, lo Stato dovrebbe mantenere un atteg- giamento di neutralità astenendosi dal tutelare l’identità religiosa.   Fisionomia dell’offesa 157 3.1. Pari dignità ed eguale rispetto Il disconoscimento è anche un’offesa al sentire, nella misura in cui tocca corde significative dell’animo; ma non è scontato che un’offesa al sentire possa anche considerarsi come negazione del riconosci- mento. Il rispetto-riconoscimento non è il riflesso univoco di reazioni emotive, ma «ha più a che fare, naturalmente, con quella dignità ul- tima che non si inchina, che pretende il rispetto in forza di un valore intrinseco della persona, un valore che ciascuno rivendica per sé stes- so come inviolabile»47: si tratta, in definitiva, della proiezione rela- zionale del valore della dignità umana. Parlare di violazione del rispetto-riconoscimento ricalca prima fa- cie le cadenze dell’offesa alla dignità: un accostamento tutt’altro che risolutivo, e anzi assai problematico poiché rimanda alle profonde criticità che sono state espresse con riferimento alla configurabilità della dignità umana come oggetto di tutela penale 48. L’indeterminatezza penalistica è la ricaduta di una più generale difficoltà di dare alla dignità un contenuto e una dimensione oggetti- vi. La forte pregnanza emotiva che innerva tale concetto lo rende par- ticolarmente esposto a ricostruzioni di parte, e dunque a un uso che sul piano della politica del diritto appare problematico in rapporto alle dinamiche di una società pluralista 49. Il rischio è che il contenuto del concetto di dignità umana si tra- muti nel mero riflesso di concezioni ‘comprensive’ 50, le quali, ove tra- sfuse nella dimensione giuridica, incrementerebbero dissensi e frammentazioni. In altri termini, la dignità umana è un concetto «fondamentale ma “manipolabile”» 51. Si tratta di obiezioni che hanno il merito di mettere a nudo da un lato la forza retorica, e dall’altro la fragilità contenutistica di un ri- chiamo alla dignità umana tout court, probabilmente anche fino al 47 MORDACCI, Rispetto, cit., p. 26. 48 V. supra, cap. III, nota 102. 49 Per una panoramica sul dibattito a livello internazionale v. ROSEN, Dignità. Storia e significato, cit., pp. 65 ss.; per un’approfondita critica dell’appello alla dignità v. GUY E. CARMI, Dignity – The Enemy from Within: A Theoretical and Com- parative Analysis of Human Dignity as a Free Speech Justification, in 9 Journal of Constitutional Law, 2007, pp. 958 ss. Per una sintesi v. VERONESI, La dignità uma- na tra teoria dell’interpretazione e topica costituzionale, in Quaderni costituzionali, 2/2014, pp. 329 ss. 50 RAWLS, Liberalismo politico, cit., pp. 12 ss.; v. anche supra, nota 34. 51 CANESTRARI, Libertà di espressione e libertà religiosa, cit., p. 934.   158 Tra sentimenti ed eguale rispetto punto di non passare il vaglio dei principi penalistici; ma sono ragio- ni sufficienti a espungere radicalmente il valore della dignità dal di- scorso sui problemi di tutela? Il richiamo alla dignità umana non sembra un postulato da cui prendere le mosse per l’elaborazione di argomenti di parte52, bensì dovrebbe essere considerato come la dimensione di senso di ogni di- scorso che abbia a che fare con problemi di convivenza fra uomini. Le difficoltà, financo l’impossibilità, di un utilizzo del concetto di dignità sul piano tecnico-giuridico non ci sembrano una ragione suf- ficiente a mettere da parte l’orizzonte simbolico e semantico che ruota intorno alla dignità. Anche le critiche più radicali ci sembrano rivolte all’uso piuttosto che al valore sostanziale e alla pertinenza rispetto alle questioni in gioco53: si sta maneggiando un ‘superconcetto’ che sarebbe necessario introdurre nel discorso con maggiore cautela, per ragioni di tipo epistemico ed etico 54. Pur partendo dal presupposto che il concetto di dignità «è intuiti- vo, nient’affatto chiaro di per sé», pare difficile poterne fare del tutto a meno: «[s]ebbene sia un’idea imprecisa, il cui contenuto va appro- fondito in rapporto a nozioni correlate, l’idea di dignità fa comunque la differenza» 55. Martha Nussbaum esorta a non abbandonare le co- 52 «[È] fuorviante contrapporre in modo meccanico e astratto la dignità uma- na ai diritti che la Costituzione riconosce», v. AMBROSI, Costituzione italiana e manifestazione di idee razziste o xenofobe, in AA.VV., a cura di Riondato, Discri- minazione razziale, xenofobia, odio religioso. Diritti fondamentali e tutela penale, Padova, 2006, p. 52. Condivisibilmente, VERONESI, La dignità umana, cit., pp. 336 ss., sostiene che la dignità non debba essere identificata né con un diritto, né con la piana conseguenza della violazione di un diritto, né come un principio auto- nomamente azionabile, evidenziando in questo senso ragionevoli obiezioni a un appiattimento della dignità sulla dimensione del diritto positivo. 53 La distinzione fra il concetto di dignità (concept) e le plurivoche concezioni che da esso derivano (conceptions) è evidenziato da MCCRUDDEN, Human Dignity, cit., p. 679, in un discorso che cerca di evidenziare il rapporto fra il ‘nucleo duro’ del significato (core value) e le diverse declinazioni che emergono dal discorso giuridico. 54 Per tutti, v. HASSEMER, Argomentazione con concetti fondamentali, cit., p. 129. Pretendere di dare una veste conchiusa e definita della dignità, identifican- dola univocamente in un interesse ‘a senso unico’, rischia di essere una mossa azzardata sul piano epistemico e anche una forzatura sul piano etico, ove si pre- tenda di identificare il contenuto della dignità con istanze fondate su concezioni comprensive. 55 NUSSBAUM, Creare capacità, tr. it., Bologna, 2011, p. 36. Nel panorama italia- no, si veda la difesa del valore e del ruolo della dignità proposta da FLICK, Elogio della dignità (se non ora, quando?), in Politica del diritto, 4/2014, pp. 515 ss.   Fisionomia dell’offesa 159 ordinate tracciate dal concetto di dignità, e a trovare delle nozioni correlate e specificative che possano aiutare a renderlo meno liquido e più aderente ai contesti. Un importante suggerimento è quello di focalizzare l’attenzione sul concetto di rispetto: «La dignità è un’idea difficile da definire con precisione, e probabil- mente non dovremmo cercare di farlo nell’ambito politico, poiché di- verse religioni e prospettive laiche la descrivono in modi differenti [...]. Probabilmente dovremmo evitare che la dignità abbia un conte- nuto specifico tutto suo: sembra essere un concetto che acquista for- ma attraverso i legami con altri concetti, come quello di rispetto [...], e una varietà di principi politici più specifici» 56. Riteniamo tale passaggio di fondamentale importanza poiché con- tribuisce a ridisegnare la fisionomia della dignità in termini relazio- nali e non come valore assoluto, scisso da un rapporto fra individui. Parlare di rispetto reciproco significa chiamare in gioco non un valo- re esterno alla relazione, ma focalizza l’attenzione su un bilancia- mento. Le dinamiche del rispetto-riconoscimento non esauriscono lo spa- zio etico della dignità ma evidenziano il rapporto di simmetrica reci- procità nel quale devono essere collocate le pretese avanzate dagli at- tori nella dialettica pluralista, le quali appaiono tendenzialmente in- terpretabili come riflesso di due esigenze di fondo: «il rifiuto dell’im- posizione, sia essa in nome della neutralità e della verità [e] il rifiuto di una considerazione diseguale [...] che deriverebbe dal trionfo della posizione politica avversa» 57. Una ridefinizione dell’orizzonte di tutela nei termini dell’eguale e reciproco rispetto può rappresentare a nostro avviso un’opzione epi- stemicamente più cauta di un’asserita ‘tutela della dignità’: a risultare decisiva non è una ricerca di fondamenti ontologici del superconcet- to ‘dignità’, ma l’elaborazione di criteri di bilanciamento fra opposte posizioni secondo una prospettiva di uguaglianza. 56 NUSSBAUM, La nuova intolleranza. Superare la paura dell’Islam e vivere in una società più libera, tr. it., Milano, 2012, pp. 71 s. 57 GALEOTTI, La politica del rispetto, cit., p. 35. A chiosa della posizione della Galeotti, si è osservato che «il rispetto-riconoscimento è dunque un atteggiamen- to verso una persona, prima ancora che nei confronti di un’identità gruppale, che reclama azioni non umilianti e non degradanti», così CERETTI-CORNELLI, Oltre la paura, cit., p. 210.   160 Tra sentimenti ed eguale rispetto 4. Bilanciare le pretese 4.1. Dignità e capacità umane In merito al problema dei limiti alla libertà di espressione, la digni- tà umana mal si presta ad assumere le vesti di argomento ‘a senso uni- co’, tale da offrire univoca giustificazione a una sola delle pretese che si confrontano, ma è potenzialmente in grado di valere su più fronti. Parlare di tutela della dignità assume in primo luogo il significato di un sostegno alle libertà, in quanto l’attenzione e la cura nei con- fronti della dignità costituiscono da un lato la condizione generativa «di un “pensiero critico, eterodosso, collidente con pensieri e senti- menti dominanti”» e dall’altro lato «la condizione nei soggetti istitu- zionali, della stessa capacità di resistere alla tentazione di soffocarne la manifestazione» 58. Secondariamente, va tenuto in considerazione che nella dialettica fra istanze di libertà e richieste di rispetto vi sono più dignità che en- trano in gioco: quella di colui che manifesta il proprio pensiero e quella che si considera offesa dalla manifestazione espressiva 59. An- che nel linguaggio può essere importante esplicitare la connessione fra dignità e uguaglianza richiamando non semplicemente la dignità di ognuno, ma la pari dignità come presupposto di una relazione di eguale rispetto 60. Resta aperto il problema di contestualizzare pari dignità ed eguale rispetto in relazione a esigenze concrete dell’essere umano, e dunque di limitare la distanza fra la metafisica di tali concetti e le situazioni da cui scaturiscono problemi di convivenza. 58 FORTI, Le tinte forti del dissenso nel tempo dell’ipercomunicazione pulviscola- re. Quale compito per il diritto penale?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2016, p. 1056. 59 Evidenzia tale ambiguità SCHAUER, Speaking of Dignity, in AA.VV., ed. by Meyer-Paren, The Constitution of rights. Human Dignity and American Values, Itha- ca and London, 1992, p. 179: «[t]he conflation of dignity and speech, as a general proposition, is mistaken, for although speaking is sometimes a manifestation of the dignity of the speaker, speech is also often the instrument through use which the dignity of others is deprived»; cfr. AMBROSI, Libertà di pensiero e manifesta- zione di opinioni razziste e xenofobe, in Quaderni costituzionali, 3/2008, p. 533. 60 Cfr. SCAFFARDI, Oltre i confini della libertà di espressione. L’istigazione all’odio razziale, Padova, 2009, pp. 232; 242. Si veda anche l’icastica osservazione di Nadia Urbinati, secondo la quale «eguale libertà è dunque il nome della difesa della dignità umana nel tempo della modernità», v. URBINATI, Ai confini della democra- zia. Opportunità e rischi dell’universalismo democratico, Roma, 2007, p. 10. Cfr., con diversità di accenti, CARUSO, La libertà di espressione in azione, cit., p. 112.   Fisionomia dell’offesa 161 Nel contesto penalistico italiano si è fatto di recente carico di tale onere Gabrio Forti, il quale, attingendo da una recente pubblicazione di Aaron Barak61, ha definito la dignità umana come «principio complesso che, necessariamente sganciato da visioni o concezioni fi- losofiche unilaterali, è suscettibile di scomposizione in entità valoria- li che devono essere rapportate tra loro» 62. Il richiamo alla distinzio- ne di Barak tra ‘dignità-madre’ e ‘diritti-figli’ è funzionale, per Forti, a evidenziare che la libertà d’espressione potrebbe incontrare limita- zioni volte alla tutela di altri ‘diritti-figli’ della stessa ‘dignità-madre’, a patto di uscire da un ragionamento meramente astratto e di proce- dere a una ‘lettura situazionale’ che sappia decifrare i contesti e gli specifici bisogni che possono emergere quale interesse da contrap- porre a eventuali manifestazioni espressive. Si tratta in altri termini di dare spessore e pregnanza personologi- ca all’interrogativo sul perché la libertà di espressione sia così impor- tante, al di là del riconoscimento che le è dato nelle carte costituzio- nali 63; e correlativamente, di chiedersi quale possa essere il peso delle parole nell’economia di vita sia di chi le esprime sia dei destinatari. Per abbozzare delle coordinate prendiamo le mosse dal pensiero di John Searle che individua la caratteristica fondamentale dell’essere umano nell’attitudine a porre in essere atti linguistici («we are speech act performing primates»), e fa conseguentemente derivare la piena dignità di un individuo dalla sua capacità di espressione 64. A nostro avviso non basta tuttavia configurare una semplice pro- pensione ad atti linguistici, ma sono necessarie ulteriori connessioni che ne mettano in luce la strumentalità rispetto a un quadro più va- riegato di capacità e di prospettive concernenti la realizzazione della persona. Nella riflessione filosofica contemporanea, il discorso sulle capaci- tà trova una fondamentale elaborazione nel ‘capability approach’ di 61 BARAK, Human Dignity. The Constitutional Value and the Constitutional Right, Cambridge, 2015. 62 FORTI, Le tinte forti del dissenso, cit., pp. 1054 ss. 63 Sulle istanze partecipative legate al discorso pubblico v. CARUSO, La libertà di espressione in azione, cit., pp. 156 ss. 64 SEARLE, Social Ontology and Free Speech, in 6 The Hedgehog Review, 2004, p. 62: «we attain our full dignity, our full stature as speech act peforming animals, when we exercise our capacities for expression [...] The need for dignity, self- esteem, and autonomy come with the genetic territory, and a healthy society has to recognize these needs and recognize that verbal self expression is an essential component in their satisfaction».   162 Tra sentimenti ed eguale rispetto Martha Nussbaum: si tratta di un’antropologia dei bisogni dell’uomo pensata come riferimento per le strategie politiche e di organizzazio- ne della società, basata sull’individuazione di un novero di capacità le quali integrano e danno sostanza umana all’idea di dignità 65. L’importanza di tale riflessione nella prospettiva penalistica è sta- ta messa in luce quale criterio di interpretazione dei bisogni e degli aspetti di vulnerabilità degli esseri umani al fine di tracciare le coor- dinate per un apporto del diritto penale alla difesa, al rispetto e an- che alla ‘costruzione’ della dignità umana 66. Nel condividere la suddetta impostazione, riteniamo che attraver- so il linguaggio delle capacità si possano meglio definire anche i con- torni delle istanze di libertà e delle richieste di rispetto che animano la dialettica sulla libertà di espressione. Ci sembra che un’immer- sione nelle note caratterizzanti la natura e la socialità umane possa contribuire a tradurre le pretese in una dimensione meno astratta, per verificare se e in che termini siano reciprocamente esigibili 67. Entrando nel dettaglio del catalogo della Nussbaum individuiamo un novero di capacità che definiscono una base di contenuti funzio- nale non solo alla ricognizione dei contorni di un’ipotetica dignità of- fesa, ma che si prestano a dare senso e sostanza alla posizione di chi chiede rispetto per la propria libertà di esprimere contenuti pur ‘di- scutibili’, fungendo in questo senso da connessione giustificativa an- che per la posizione di chi invoca il diritto alla libertà di espressione: 65 «Consideriamo la persona, proprio perché caratterizzata da attività, mete, progetti, in qualche modo capace di suscitare un rispetto che trascende l’azione meccanica della natura, eppure bisognosa di sostegno per portare a compimento molti progetti importanti», v. NUSSBAUM, Diventare persone, tr. it., Bologna, 2000, p. 90. 66 FORTI, «La nostra arte è un essere abbagliati dalla verità». L’apporto delle di- scipline penalistiche nella costruzione della dignità umana, in Jus, 2-3/2008, pp. 308 s. 67 L’approccio delle capacità può rappresentare un’importante coordinata de- scrittiva e una chiave di lettura delle istanze di tutela; in questo senso condivi- diamo e rilanciamo quale buon esempio la proposta di ‘lettura situazionale’ basa- ta sull’approccio delle capacità formulata da Matteo Caputo in tema di repressio- ne penale del negazionismo, v. CAPUTO, La “Menzogna di Auschwitz”, cit., pp. 309 s. A un livello successivo, relativo al problema della soglia di intervento normati- vo, TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., pp. 108 ss., evidenzia in termini critici come anche tale chiave di lettura non sarebbe però sufficiente a configurare un substrato di offensività verificabile in termini conformi allo stan- dard di bilanciamento che dovrebbe supportare eventuali norme basate sullo schema applicativo del pericolo concreto.   Fisionomia dell’offesa 163 «Sensi, immaginazione, pensiero. [...] Essere in grado di usare l’imma- ginazione e il pensiero in collegamento con l’esperienza e la produzio- ne di opere autoespressive, di eventi, scelti autonomamente, di natura religiosa, letteraria, musicale, e così via. Poter usare la propria mente in modi protetti dalla garanzia delle libertà di espressione rispetto sia al discorso politico, sia artistico, nonché della libertà di pratica reli- giosa [...]. Sentimenti. Poter provare attaccamento per cose e persone oltre che per noi stessi [...] Non vedere il proprio sviluppo emotivo distrutto da ansie o paure eccessive. Ragion pratica. Essere in grado di formarsi una concezione di ciò che è bene e impegnarsi in una riflessione critica su come programmare la propria vita. Appartenenza. [...] b) Avere le basi sociali per il rispetto di sé e per non essere umiliati; poter essere trattato come persona dignitosa il cui va- lore eguaglia quello altrui. Questo implica, al livello minimo, prote- zione contro la discriminazione in base a razza, sesso, tendenza ses- suale, religione, casta, etnia, origine nazionale. [...]» 68. Le suddette capacità appaiono connaturate a una società aperta, presupposto e obiettivo di una tutela delle libertà strumentale a met- tere ogni individuo nella condizione di formarsi una concezione di ciò che è bene potendo usare la propria mente in modi protetti dalla libertà di espressione. Emerge però anche un livello minimo di protezione il quale sem- bra richiamare l’esigenza di un fare attivo da parte della politica e del- l’ordinamento giuridico, fra le cui finalità viene messo in evidenza il contrasto alla discriminazione: significa che uno Stato dovrebbe im- pegnarsi per garantire «le basi sociali per il rispetto di sé e per non essere umiliati; poter essere trattato come una persona dignitosa il cui valore eguaglia quello altrui». Ritorna anche nel pensiero della Nussbaum l’esigenza di prestare attenzione al problema del mancato riconoscimento, qui richiamato attraverso i concetti del ‘rispetto di sé’ e dell’‘umiliazione’. In altri ter- mini, quando si creano le condizioni perché un soggetto venga umi- liato si potrebbero incrinare gli equilibri che costituiscono l’humus per le capacità umane fondamentali, e potrebbe rendersi necessario un intervento dello Stato per cercare di ripristinarle; libertà non può si- gnificare umiliazione dell’altro. Per quanto ispirato alla massima apertura liberale, anche il di-  68 NUSSBAUM, Diventare persone, cit., p. 96.  164 Tra sentimenti ed eguale rispetto scorso di Martha Nussbaum pone il problema di eventuali limiti e suggerisce un approfondimento del concetto di ‘umiliazione’. 4.2. Rispetto di sé e umiliazione: la concezione di Avishai Margalit Un tentativo di elaborare una nozione politicamente spendibile – non soggettivistica o emotivistica – dei concetti di ‘rispetto di sé’ 69 e ‘umiliazione’ si deve ad Avishai Margalit e alla sua teorizzazione sulla ‘società decente’, da intendersi come ‘società che non umilia’ 70. La nozione di umiliazione proposta da Margalit è, per stessa ammis- sione dell’Autore, di tipo normativo e non psicologico: «[u]miliazione è ogni comportamento o condizione che costituisce una valida ragione perché una persona consideri offeso il proprio rispetto di sé» 71. È di particolare importanza, ai fini della presente indagine, la di- stinzione fra insulto e umiliazione: pur essendo situati lungo un con- tinuum, rappresentano forme di offesa qualitativamente differenti, la prima delle quali si rivolge all’onore sociale, mentre la seconda lede il rispetto di sé inteso come percezione del valore intrinseco della per- sona 72. L’insulto è contraddistinto da contenuti che possono essere in un certo senso razionalizzati dal destinatario (ad esempio anche in relazione alla verità o falsità degli asserti), l’umiliazione è più gravo- sa: riprendendo la distinzione di Bernard Williams fra emozioni ‘bianche’ e ‘rosse’ 73, Margalit ritiene che l’umiliazione sia associabile a un’emozione bianca, la quale comporta che il soggetto umiliato si 69 Sul concetto di ‘rispetto di sé’, con un’impostazione differente, si veda anche BAGNOLI, L’autorità della morale, cit., pp. 25 ss., 143 ss.; DWORKIN, Giustizia per i ricci, tr. it., Milano, 2013, pp. 293 ss. 70 MARGALIT, La società decente, tr. it., Milano, 1998, passim. 71 MARGALIT, La società decente, cit., p. 57: «[q]uesto è un significato normativo piuttosto che psicologico dell’umiliazione. Il significato normativo non comporta per sé che la persona che abbia una buona ragione per sentirsi umiliata, di fatto si senta tale. D’altra parte, il significato psicologico dell’umiliazione non compor- ta che la persona che si sente umiliata abbia una buona motivazione per questo sentimento. La sottolineatura è sui motivi per provare umiliazione come risultato di un comportamento altrui». Nel panorama italiano, cfr. l’ampia analisi critica di TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., pp. 74 ss. 72 MARGALIT, La società decente, cit., p. 152. 73 WILLIAMS, Vergogna e necessità, tr. it., Bologna, 2007; un’emozione rossa è un’emozione in cui ci si vede attraverso gli occhi dell’altro, e perciò si arrossisce. Con un’emozione bianca una persona si vede attraverso l’‘occhio interno’ della propria coscienza, che può farla impallidire.   Fisionomia dell’offesa 165 guardi col proprio occhio interno ma applicando al contempo il pun- to di vista del soggetto umiliante, e dunque senza riuscire ad assume- re una distanza critica dall’addebito, poiché l’umiliazione attecchisce in contesti di squilibrio fra umiliatore e vittima, e assume l’effetto di una ‘minaccia esistenziale’ 74. L’umiliazione è più che un semplice insulto: «rifiutare un essere umano umiliandolo significa rifiutare il modo in cui egli esprime se stesso come umano»75, radicalizzando l’addebito su modi di essere costitutivi dell’individuo e negando l’umanità dell’altro a causa di un’ap- partenenza significativa 76 che concorre a definirne l’identità. Risulta perciò fondamentale distinguere quando un’espressione abbia il significato di forte critica e quando invece sottenda un’umi- liante esclusione e, di fatto, una discriminazione. 5. Ai confini fra critica e discriminazione Dal punto di vista concettuale la differenza fra critica e discrimi- nazione ricalca le due varianti del rispetto: rispetto-stima come at- teggiamento le cui oscillazioni in positivo o in negativo possono dar luogo a forme di critica legittima; rispetto-riconoscimento come va- lore che può essere negato attraverso manifestazioni espressive volte a umiliare e a marginalizzare. Si aggiunge in questo modo un ulteriore, importante, tassello al- l’itinerario concettuale che ha preso le mosse dall’esigenza di distin- guere offese ai meri sentimenti da condotte, e in particolare, da for- me di espressione, che, non limitandosi a offendere l’emotività sog- gettiva, si facciano veicolo di umiliazione e di negazione dell’eguale libertà e dignità delle persone. 74 MARGALIT, La società decente, cit., p. 154. 75 MARGALIT, La società decente, cit., p. 171. 76 MARGALIT, La società decente, cit., pp. 165 ss. Secondo l’Autore, ciò che rende più pregnante l’umiliazione è la connessione con il concetto di ‘gruppo inclusivo’: si intende con tale definizione «un gruppo [che] ha un comune carattere e una comune cultura, che include molti importanti e vari aspetti della vita [nel quale] le persone che crescono nel gruppo ne acquisiscono la cultura, e possiedono le sue particolari caratteristiche». Un tratto particolarmente significativo riguarda il fatto che l’appartenenza al gruppo è in parte materia di mutuo riconoscimento, nel senso che l’inclusione nel gruppo non è determinata da una scelta personale: «esse appartengono [al gruppo] a causa di quello che sono».   166 Tra sentimenti ed eguale rispetto È però assai problematico trovare le rispondenze di tali distinzioni all’atto pratico: «non è così netta, nella percezione viva, la differenza fra l’offesa alla stima e l’offesa al riconoscimento come semplice per- sona, perché le persone si identificano non solo con la propria umani- tà, ma soprattutto con le loro qualità, le loro storie individuali» 77. Sia la critica sia la discriminazione possono definirsi come forme di espressione ‘irrispettose’, e il sottile confine che le separa a livello fe- nomenico espone al rischio, nella prospettiva giuridica, di continue oscillazioni tra vuoti di tutela ed eccessi di intervento. Come osserva Michael Rosen, «[è] evidente che il diritto a comportarsi in maniera irrispettosa debba essere maneggiato con cura. Probabilmente vi sono dei limiti a ciò che dovrebbe essere permesso [...] ma dovremmo rifiu- tare l’idea che il linguaggio volto a irritare o insultare violi automati- camente l’essenza intrinseca di ciò che ha valore nelle persone con la conseguenza di “deprivarle della loro dignità di esseri umani”» 78. All’inizio del capitolo abbiamo riportato alcuni episodi tratti dalle cronache per identificare il tipo di conflitti in cui appare a nostro av- viso più evidente il coinvolgimento di sensibilità soggettive, esclu- dendo da tale apparato esemplificativo il tema del discorso d’odio (c.d. hate speech) e della propaganda razzista. Ora, alla luce dell’esi- genza di distinguere fra critica ed esclusione/discriminazione, il ri- chiamo al discorso d’odio diviene di importanza centrale poiché è proprio l’elaborazione teorica in materia di hate speech 79 a fornire in- teressanti spunti in tal senso. 77 MORDACCI, Rispetto, cit., p. 29. 78 In questi termini Michael Rosen rimarca l’esigenza di procedere con cautela nelle restrizioni a forme di espressione: ROSEN, Dignità, cit., pp. 76 s. 79 Il tema dello hate speech è indagato in modo particolarmente approfondito nel panorama anglo-americano, nel quale l’orientamento maggioritario è di con- trasto alle limitazioni alla libertà di espressione. In questo senso vi sono forti dif- ferenze rispetto al panorama europeo, le cui ragioni affondano nella storia geopo- litica dei due continenti. Quali esempi di contrarietà ai cosiddetti ‘hate speech bans’, pur con diversità di accenti, v. HEINZE, Hate Speech and Democratic Citizen- ship, Oxford, 2016, in particolare pp. 207 ss.; cfr. DWORKIN, Foreword, in AA.VV., ed. by Hare-Weinstein, Extreme Speech and Democracy, cit., pp. V ss.; POST, Hate Speech, in AA.VV., ed by Hare-Weinstein, Extreme Speech and Democracy, cit., pp. 132 ss. Nella vasta letteratura, v., fra le opere collettanee, AA.VV., ed. by Hare- Weinstein, Extreme Speech and Democracy, cit.; AA.VV., ed. by Herz-Molnar, The Content and the Context of Hate Speech: Rethinking Regulation and Responses, Cambridge, 2012. Per un quadro di sintesi sulle differenze emergenti fra la giu- risprudenza statunitense ed europea v. KISKA, Hate speech: a Comparison between the European Court of Human Rights and the United States Supreme Court Juris- prudence, in 25 Regent University Law Review, 2012, pp. 107 ss.   Fisionomia dell’offesa 167 La connessione della problematica della tutela di sentimenti al tema della discriminazione si lega a ragioni di maggiore selettività, mirate a differenziare offese alla sensibilità, le quali dovrebbero con- siderarsi come ricaduta di un fisiologico e pluralistico dissenso e co- me evento collaterale alla libertà di critica, da manifestazioni di ne- gazione della pari dignità e dunque del rispetto-riconoscimento. 5.1. Offesa ai sentimenti e offesa alla dignità nello hate speech secondo Jeremy Waldron Un importante contributo viene dal giurista Jeremy Waldron80 il quale argomenta sulla dannosità del discorso d’odio a partire da quel- la che considera una fuorviante commistione fra hate speech e tutela di sentimenti. Lo studioso sostiene che il disvalore dello hate speech non vada identificato nello stato psichico negativo concretamente o potenzial- mente indotto da manifestazioni espressive, e adotta in questo senso una posizione di contrasto a incriminazioni fondate sulla logica dell’offense di feinberghiana memoria; la protezione di sentimenti è un effetto solo indiretto, così come l’induzione di stati psichici nega- tivi è un elemento collaterale che non esaurisce il disvalore del di- scorso d’odio. L’orizzonte dello hate speech dovrebbe coincidere con offese alla dignità del singolo in quanto appartenente a determinati gruppi o credente in determinati ideali; le forme di critica anche aspre e irri- verenti che non rappresentino una stigmatizzazione dell’individuo in ragione di suoi specifici tratti, dovrebbero considerarsi al di fuori dell’area di interventi normativi 81. 80 Waldron si caratterizza per un approccio più disincantato nei confronti del- la libertà di espressione: l’Autore è aperto a prospettive di regolamentazione nor- mativa del discorso pubblico e in questo senso si distingue nel panorama statuni- tense in virtù di una posizione minoritaria, espressa in particolare negli studi rac- colti in WALDRON, The Harm in Hate Speech, Harvard, 2012. Per un quadro gene- rale e un excursus storico sulla libertà di espressione negli Stati Uniti, v. KALVEN, A Worthy Tradition: Freedom of Speech in America, New York, 1988; per una sinte- si del dibattito su pornografia e blasfemia v. POST, Cultural Heterogeneity and Law: Pornography, Blasphemy, and the First Amendment, in 76 California Law Re- view, 1988, pp. 297 ss. 81 Interessanti spunti sul tema sono offerti anche da Robert Post il quale inter- preta la distinzione tra espressioni tollerabili e intollerabili come riflesso di di- namiche di egemonia sociale delle classi dominanti: secondo Post il discorso   168 Tra sentimenti ed eguale rispetto Ricondurre la questione dello hate speech a un problema di offesa a sentimenti significherebbe sminuirne la portata 82, poiché una con- cezione emotivistica dell’interesse protetto non dà adeguatamente conto del radicamento del discorso d’odio e di come esso possa con- taminare l’ambiente sociale anche al di là del turbamento emotivo indotto su singoli individui 83. Lo hate speech non appare pertanto riducibile a un mero insulto dal forte impatto emotivo, ma piuttosto a un discorso che può intac- care la considerazione sociale dei destinatari dell’offesa, a detrimento di interessi come l’inclusività (inclusiveness) e la garanzia (assurance) di non essere discriminati 84. Il punto fondamentale, secondo Waldron, è distinguere fra espres- sioni che suscitano emozioni e dunque ‘offendono’ in un senso affine all’offense principle, ed espressioni che ‘aggrediscono’ la dignità del d’odio è ritenuto illegittimo poiché esorbita da standard che rinviano a norme so- ciali dettate dai gruppi dominanti: quando il diritto impone una determinata di- stinzione, come quella che richiede di non accomunare espressioni di fisiologico disaccordo a manifestazioni d’odio, sta in definitiva imponendo egemonicamente standard sociali di decorosità nei rapporti intersoggettivi: «This suggests that whenever law chooses to enforce cultural norms, as for example by enforcing norms that distinguish hate speech from normal disagreement, law hegemonical- ly imposes a particular vision of these norms. Hate speech regulation imagines itself as simply enforcing the given and natural norms of a decent society, á la Devlin; but from a sociological or anthropological point of view we know that law is always actually enforcing the mores of the dominant group that controls the content of law», v. POST, Hate Speech, cit., p. 130. Sembra fondarsi invece sulla ‘non astinenza epistemica’ che accompagna i divieti in materia di hate speech, e che sarebbe dunque incompatibile con una dimensione democratica del discorso pubblico, la critica di fondo di HEINZE, Hate Speech, cit., pp. 111 ss., 209. Nella letteratura italiana, con diversità di accenti, sul problema della (tendenzialmente impossibile) ‘astinenza epistemica’ del legislatore in materia di regolamentazione del discorso pubblico VISCONTI C., Aspetti penalistici, cit., pp. 247 s.; TESAURO, Ri- flessioni in tema di dignità umana, cit., pp. 128 ss. 82 La differenza risiede nella distinzione «between undermining a person’s dignity and causing offense to the same individual [...] to protect people from of- fense or from being offended is to protect them from a certain sort of effect on their feelings. And that is different from protecting their dignity and the assur- ance of their decent treatment in society», WALDRON, The Harm in Hate Speech, cit., pp. 105, 107. 83 WALDRON, The Harm in Hate speech, cit., p. 116; per un approfondimento critico sul rischio di interpretazioni soggettivistiche, e un riorientamento della categoria degli hate crimes in una prospettiva incentrata su dissenso politico e rispetto per le differenze v. PERRY, A Crime by Any Other Name: The Semantics of Hate, in 4 Journal of Hate Studies, 2005, pp. 123 ss.  84 WALDRON, The Harm in Hate speech, cit., pp. 4 ss.  Fisionomia dell’offesa 169 soggetto («offending people and assaulting their dignity»)85, intesa come «basic social standing, the basis of their recognition as social equals and as bearers of human rights and constitutional entitle- ments» 86. Il turbamento che un soggetto possa eventualmente avvertire, e dunque le emozioni negative che plausibilmente si accompagnano alle parole87, non sono del tutto irrilevanti (e testimoniano come l’offesa coinvolga qualcosa di importante per la persona), ma enfatiz- zarne il rilievo significherebbe, secondo Waldron, esporsi alla critica che lo hate speech tuteli meri sentimenti. L’offesa emotiva rappresen- ta una proiezione soggettiva, ‘metonimica’ nel senso che descrive solo una parte della dimensione del danno 88. Perché un’espressione di negazione del riconoscimento dovrebbe essere ritenuta più grave di una critica irridente che offende il sentire soggettivo? Fra le ragioni addotte a sostegno della diversa gravità di tali forme di offesa, anche Waldron richiama l’insondabilità delle emozioni soggettive e la mutevolezza delle soglie di suscettibilità individuale 89, 85 «[...] the basic distinction between an attack on the body of beliefs and an attack on the basic social standing and reputation of a group of people is clear. In every aspect of democratic society, we distinguish between the respect accorded to a citizen and the disagreement we might have concerning his or her social and political convictions [...] Defaming the group that comprises all Christians, as op- posed to defaming Christians as members of that group, means defaming the creeds, Christ, and the saints», v. WALDRON, The Harm in Hate speech, cit., p. 120. 86 WALDRON, The Harm in Hate speech, cit., p. 59. 87 Assumiamo come presupposto che le parole possano ferire, quantomeno in- ducendo emozioni negative; il fatto che tali conseguenze possano non essere con- siderate rilevanti in quanto non integrino la dimensione normativa del danno, è un problema successivo, ma che non dovrebbe portare a disconoscere una di- mensione di lesività a livello naturalistico. Sul punto risulta interessante la posi- zione di Schauer, il quale sostiene che definire aprioristicamente come ‘minore’ il danno provocato da parole, solo perché ‘non fisico’ o meno visibile, sia altamente opinabile. Riconoscere che un danno, inteso come sofferenza fisica, possa crearsi, non significa automaticamente inferirne la rilevanza sul piano giuridico in termi- ni di compressioni di libertà: «If there is a free speech principle, then a conse- quence will be that a range of distresses and negative outcomes produced by the relevant category of speech act will be considered not to have caused harms in the legally redressable sense, but that is very different from saying pretheoretically that it is a characteristic of the acts that they are as category less harmful», v. SCHAUER, The Phenomenology of Speech and Harm, in 103 Ethics, 1993, p. 652. 88 WALDRON, The Harm in Hate Speech, cit., p. 112. 89 WALDRON, The Harm in Hate Speech, cit., p. 113.   170 Tra sentimenti ed eguale rispetto ma non appaiono queste le ragioni decisive. L’offesa discriminatoria fa leva sulla diversità per comunicare esclusione da ogni prospettiva di dialogo: in questo senso realizza un’interazione con lo status socia- le e relazionale delle persone attraverso la negazione del patto etico su cui si fonda la convivenza, ossia la pari dignità dell’altro 90. L’intru- sione nella sfera di libertà altrui si realizza attraverso una potenziale compromissione delle trame sociali e relazionali, e più in generale dell’ambiente sociale in cui dispiegano la propria esistenza gli indivi- dui destinatari di determinate espressioni 91. Un’ulteriore importante precisazione avanzata da Jeremy Waldron concerne la distinzione a livello concettuale tra offese alla reputazio- ne del gruppo ed espressioni discriminatorie che si riflettono sul sin- golo individuo in quanto appartenente al gruppo. Troppo spesso, os- serva Waldron, la c.d. ‘diffamazione di gruppo’ (defamation group 92) 90 Si è osservato che l’incriminazione di tale tipologia di espressioni potrebbe essere l’unica eccezione al principio secondo cui in uno Stato liberale non si do- vrebbero incriminare concezioni di valore e modi di pensare: «[d]iversamente ac- cade, eccezionalmente, soltanto quando certi comportamenti manifestano e/o realizzano modi di pensare, convinzioni e concezioni di valore con i quali viene propagandato e/o trasformato un certo stile di vita che esclude in modo combat- tivo altre concezioni del bene, oppure addirittura nega a certi gruppi all’interno della società lo stato di membri aventi gli stessi diritti», v. WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento per il mantenimento di orientamenti sociali di carattere as- siologico?, cit., p. 147. Cfr. ABEL, La parola e il rispetto, cit., pp. 101 ss., il quale individua la c.d. ‘riproduzione della disuguaglianza di status’ come uno dei possi- bili danni realizzabili dalle parole. 91 D’obbligo il richiamo alla cosiddetta ‘Critical Race Theory’ quale esempio di teoria che ha esposto con dovizia argomentativa, per quanto non immune da obie- zioni, le ricadute dannose del discorso denigratorio basandosi sulle espressioni a sfondo razziale: in estrema sintesi si sostiene che la diffusione dell’odio, e in parti- colare l’odio razzista, produrrebbe a livello individuale fenomeni di ansia, disagio psichico e perdita di autostima tali da poter influire sulla vita relazionale degli indi- vidui, mentre a livello sociale porterebbe alla formazione di un clima culturale di ostilità fino a poter generare anche il c.d. ‘Silencing Effect’, ossia l’effetto silenziatore consistente nello screditare socialmente le minoranze offese fino a minare il loro status di partner a livello comunicativo in ambito sociale. Per un’ampia e dettagliata sintesi v. TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., pp. 67 ss.; cfr. PINO, Di- scorso razzista e libertà di manifestazione del pensiero, in Politica del diritto, 2/2008, pp. 287 ss.; si veda anche AA.VV., a cura di Thomas-Zanetti, Legge razza diritti. La Critical Race Theory negli Stati Uniti, Reggio Emilia, 2005. 92 Il lessico angloamericano distingue fra individual defamation e group defa- mation intendendo con il secondo termine l’area di problemi che viene comune- mente identificata come ‘hate speech’: «In many countries, a different term or set of terms is used by jurist: instead of “hate speech”, they talk about “group libel” or “group defamation”», v. WALDRON, The Harm in Hate Speech, cit., p. 39. Mal-   Fisionomia dell’offesa 171 viene intesa come offesa che, indirizzandosi ai valori che fondano l’identità del gruppo, coinvolgono il singolo solo in termini di disagio emotivo: non è questa la prospettiva con cui identificare lo hate speech. L’offesa che dovrebbe rilevare come discorso discriminatorio è quella che strumentalizza l’appartenenza al gruppo come fattore di degradazione e di inferiorità della persona 93. In altri termini, una prospettiva di intervento normativo non do- vrebbe avere ad oggetto principi o concezioni valoriali in sé, neppure nella forma mediata di carattere identificativo di un gruppo, e dunque nella loro dimensione sovraindividuale e impersonale. I cosiddetti ‘va- lori’, intesi come principi su cui un soggetto impronta la propria vita specie con riferimento alla sfera morale, possono assumere rilevanza in quanto elementi costitutivi del modo d’essere degli individui 94. Al termine di tale complessa disamina, un dato di fondo sembra difficilmente contestabile: distinguere fra espressioni di odio e di cri- tica, tra offese alla dignità del singolo in quanto aderente a un grup- po e offese alla reputazione del gruppo stesso, e più in generale stabi- lire la portata offensiva di un’espressione verbale o simbolica, è un’operazione ermeneutica che necessita di un’attenta lettura di con- testi e situazioni, e che non può essere imbrigliata in categorizzazioni di carattere ‘assoluto’. 5.2. Ermeneutica del fatto ed ermeneutica della norma Prima di verificare la rispondenza di tali distinzioni nelle eventua- li prassi applicative, si pone l’esigenza di una riflessione sul piano dei presupposti del ragionamento. L’individuazione di un confine fra critica e discriminazione si ri- grado la sostanziale identità sul piano lessicale, la defamation group non appare perfettamente sovrapponibile a ciò che nel contesto italiano viene definito ‘diffa- mazione di gruppo’ come variante plurisoggettiva del reato di diffamazione sem- plice, la quale è volta, quantomeno in via teorica, a reprimere le medesime offese che rileverebbero ex art. 595 c.p., ossia un novero più ampio rispetto a ciò che si potrebbe definire ‘discorso d’odio’ (v. infra, nota 120). 93 WALDRON, The Harm in Hate Speech, cit., p. 122. 94 Sul tema, v. DE MONTICELLI, La questione morale, cit., p. 140.; cfr. RAZ, I va- lori fra attaccamento e rispetto, tr. it., a cura di Belvisi, Reggio Emilia, 2003, pp. 13 ss. Osserva GALEOTTI, La politica del rispetto, cit., p. 137 che «culture e tradizioni possono avere un valore estetico, storico e archeologico, ma non intrinsecamente morale. Il loro valore morale deriva dal fatto che sono importanti e fonti d’ispi- razione per i loro membri e non in sé».   172 Tra sentimenti ed eguale rispetto flette sul raggio applicativo di norme giuridiche, sia vigenti sia in prospettiva de iure condendo, e dipende in primo luogo dall’interpre- tazione di dinamiche intersoggettive e di aspetti fattuali: non sempli- cemente conoscenza di fatti, bensì attribuzione di significato ad azioni ed espressioni. La distinzione fra questi profili non sembra adeguatamente ap- profondita in sede teorica95, ed è del tutto trascurata nel contesto giurisprudenziale, ove l’interpretazione del fatto finisce per essere as- sorbita, e data per scontata, rispetto alla sussunzione normativa, sen- za riconoscere che le peculiarità del fatto possono dar luogo a pro- blemi logicamente autonomi e complementari all’ermeneutica della norma giuridica: problemi «di interpretazione del fatto, e che si riflet- tono sulla applicazione del diritto» 96. In questa sede ci limitiamo a evidenziare come la distinzione fra ermeneutica del fatto ed ermeneutica della norma si ponga a livello concettuale quale richiamo, a nostro avviso necessario, per eviden- ziare fasi differenti nella gestione epistemica del ragionamento giu- diziale 97. La soglia di rilevanza penale di manifestazioni espressive costitui- sce un tema in relazione al quale i rapporti fra ermeneutica del fatto ed ermeneutica della norma appaiono fortemente compenetrati; co- me osservato da Richard Abel: «gli sforzi giuridici per regolare l’espressione sprofondano nell’inelimi- nabile ambiguità dei significati. Il senso e la valenza morale dei sim- 95 Un’opera dedicata ex professo al rapporto fra giudicante e interpretazione di elementi extragiuridici, e più in generale, al tema del ruolo dei valori culturali quale fattore di influenza nelle decisioni giudiziali, è lo studio di BIANCHI D’ESPINOSA- CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ, Valori socio-culturali della giuri- sprudenza, cit. 96 PULITANÒ, Nella fabbrica delle interpretazioni penalistiche, in AA.VV., a cura di Biscotti-Borsellino-Pocar-Pulitanò, La fabbrica delle interpretazioni, Milano, 2012, p. 203. 97 Problema differente è se la distinzione fra ermeneutica del fatto ed erme- neutica della norma sia meramente concettualistica, finendo per restare assorbita nella spirale ermeneutica e nell’intreccio tra fatto e diritto; sul tema, con diversità di accenti, v. FIANDACA, Ermeneutica e applicazione giudiziale del diritto penale, in ID., Il diritto penale tra legge e giudice, Padova, 2002, pp. 37 ss.; DI GIOVINE O., L’in- terpretazione nel diritto penale. Tra creatività e vincolo alla legge, Milano, 2006, pp. 231 ss.; DONINI, Disposizione e norma nell’ermeneutica penale, in AA.VV., La fab- brica delle interpretazioni, cit., pp. 96 ss.; PULITANÒ, Nella fabbrica delle interpreta- zioni penalistiche, cit., pp. 201 ss.; PALAZZO, Testo e contesto, cit., pp. 525 ss.   Fisionomia dell’offesa 173 boli variano radicalmente a seconda di chi parla e di chi ascolta e pos- sono capovolgersi rapidamente, perfino istantaneamente» 98. Quando si ha a che fare con forme di espressione non si pone tan- to un problema di conoscenza di fatti, quanto di selezione e valuta- zione di elementi di contesto chiamati a definirne la dimensione di significato: l’interpretazione di una manifestazione espressiva non si riduce a un esame della lessicalità o a un riscontro oggettivo di gesti simbolici senza tenere in considerazione la relazione intersoggettiva di base e il contesto di sfondo. Lo studioso, ed eventualmente il giudice, si trovano alle prese con una complessa ermeneutica finalizzata a «concretizzare il volto del fat- to punibile» 99, complementare rispetto all’ermeneutica della norma. Problemi simili sono emersi con riferimento anche ad altri ambiti, ad esempio nell’interpretazione del concetto di osceno in rapporto alla libertà di creazione artistica 100, in relazione all’accertamento del- l’appartenenza culturale di un soggetto quale eventuale causa di atte- nuazione della responsabilità101, e anche in relazione all’interpreta- zione del gesto del bacio come condotta sessualmente pregnante piuttosto che come approccio confidenziale e ‘innocente’ 102. Come è stato osservato in dottrina, la ricostruzione del fatto è probabilmente il momento più delicato del procedimento interpreta- tivo, avvinto in un intreccio col diritto che è stato definito ‘diaboli- co’ 103: l’interprete non è un semplice spettatore che importa passiva- 98 ABEL, La parola e il rispetto, cit., p. 98. 99 FIANDACA, Problematica dell’osceno, cit., p. 34. 100 FIANDACA, Problematica dell’osceno, cit., p. 153. Una caso emblematico è la vicenda giudiziaria relativa al film ‘Ultimo tango a Parigi’ del regista Bernardo Bertolucci, oggi riassunta nel volume di AA.VV., a cura di Massaro, Ultimo tango a Parigi quarant’anni dopo. Osceno e comune sentimento del pudore tra arte cine- matografica, diritto e processo penale, Roma, 2013; v. in particolare il saggio di MASSARO, Lo spettacolo cinematografico osceno tra elementi elastici e difetto di de- terminatezza, ivi, pp. 33 ss. 101 DE MAGLIE, I reati culturalmente motivati, cit., pp. 137 ss. 102 In relazione a tale ultima questione si è osservato come l’interpretazione del gesto non possa limitarsi a una statica rispondenza con pattern comportamentali, ma richieda piuttosto una prospettiva ermeneutica «incline a prendere in consi- derazione anche il “contesto” in cui il contatto fisico si realizza e dunque la com- plessa dinamica intersoggettiva che si sviluppa nell’ambito della situazioni coar- tanti», v. FIANDACA, Ermeneutica e applicazione giudiziale, cit., p. 56. 103 DI GIOVINE O., Considerazioni su interpretazione, retorica e deontologia in di- ritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/2009, p. 124.   174 Tra sentimenti ed eguale rispetto mente e acriticamente elementi della realtà all’interno del proprio procedimento cognitivo, ma opera una selezione determinata dalle peculiari modalità di apprendimento che caratterizzano in modo dif- ferente ogni singolo individuo, sulla base di fattori che comprendono il corredo neurobiologico, la dimensione delle esperienze personali, la matrice culturale 104 e, piaccia o non piaccia, l’ideologia 105. In altri termini, il giudicante non si limita a prendere atto di ele- menti di fatto, ma interpreta i significati del fatto selezionando gli aspetti rilevanti per la decisione 106. In fase applicativa tali questioni finiscono per restare assorbite, e non sufficientemente distinte, dal piano strettamente giuridico, e si espongono in questo senso a una gestione epistemica sulla quale in- combe il rischio di un uso non adeguatamente sorvegliato di nozioni e di concetti che attengono al piano socio-psicologico 107. In altri termini, sarebbe opportuno far sì che determinate interpre- tazioni dei significati del fatto divenissero oggetto di analisi ed even- tualmente di confutazione, «piuttosto che essere semplicemente fatte passare per conoscenza generale o per ciò che i giudici ritengono esse- re, non sempre correttamente, e non sempre indipendentemente dal 104 Per tutti, DI GIOVINE O., L’interpretazione nel diritto penale, cit., pp. 192 ss., 205 ss., 211 s. 105 Per un’approfondita riflessione, ancora attuale, sull’ideologia del giudice v. GRECO, Premessa, cit., pp. 36 ss. 106 Cfr. DE MAGLIE, I reati culturalmente motivati, cit., p. 142. 107 Nel panorama italiano il problema di una perizia relativa ai profili socio- culturali del fatto si è posto, soprattutto in passato, con riferimento ai rapporti fra valore artistico e oscenità, e ad oggi è discusso prevalentemente in relazione ai c.d. reati ‘culturalmente motivati’; in riferimento al tema della perizia artistica v. LUCIANI, La nozione penalistica di “opera d’arte” di cui all’art. 529 c.p. Considera- zioni di diritto sostanziale e processuale, in AA.VV., a cura di Massaro, Ultimo tan- go a Parigi quarant’anni dopo, cit., pp. 51 ss. In relazione alla perizia culturale, oltre al citato studio di Cristina de Maglie, va menzionato un ulteriore importante contributo proveniente dall’ambito costituzionalistico nel quale viene tematizzata la necessità di un avvaloramento epistemico del ragionamento giudiziale attra- verso l’elaborazione un percorso volto a rendere tendenzialmente più oggettivo l’accertamento di un conflitto culturale: v. RUGGIU, Il giudice antropologo. Costitu- zione e tecniche di composizione dei conflitti multiculturali, Milano, 2012. Sempre in tema di reati culturalmente motivati, con riferimento alla valutazione della motivazione culturale, è frequente riscontrare nella giurisprudenza di legittimità argomentazioni carenti e approssimative, sovente esito di posizioni ideologiche pur benintenzionate ma nondimeno fortemente discutibili: per un esempio v. Cass. pen., sez. I, 15/05/2017, n. 24084, con nota di FERLA, Il pugnale dei Sikh tra esigenze di sicurezza e divieti normativo-culturali, in Giur. it., 10/2017, pp. 2208 ss.   Fisionomia dell’offesa 175 loro retroterra culturale, la saggezza comune dell’umanità» 108. Per tali ragioni ben si comprende che la valutazione del margine di confine fra espressioni tollerabili ed espressioni non consentite, anche ove sia tenuta a distanza dalla sensibilità della vittima, finisca poi per essere esposta, e dipendere in larga misura, anche dalla sen- sibilità dell’interprete, sia esso studioso teorico o applicatore di even- tuali norme 109. Si tratta di un fattore problematico del quale va tenu- to conto sia come chiave di lettura delle oscillazioni riscontrabili nel- la casistica giurisprudenziale, sia quale elemento di riflessione in rapporto al ruolo che i giudici assumono, o potrebbero assumere, nel farsi arbitri della soglia di intervento penale 110. In relazione a un ulteriore profilo, sempre legato alla ricerca di 108 SCHAUER, Il ragionamento giuridico, tr. it., Bari, 2017, p. 278. Sottolinea con chiarezza TARUFFO, Senso comune, esperienza e scienza nel ragionamento del giudi- ce, in ID., Sui confini. Scritti sulla giustizia civile, Bologna, 2002, pp. 121 ss., che il ragionamento del giudice non è determinato da criteri o norme di carattere giuri- dico, bensì, quando supera i confini di ciò che convenzionalmente si intende per ‘diritto’, risulta impregnato anche del cosiddetto ‘senso comune’. Da ciò la neces- sità che il giudice sia «consapevole della frammentazione e della variabilità delle coordinate conoscitive e valutative che ormai sono i tratti dominanti della società attuale» (p. 154). In ambito penalistico, HASSEMER, Perché punire è necessario, cit., pp. 68 ss., osserva, con realismo, che il giudice fa ricorso a teorie del senso comu- ne sia per questioni inerenti al contenimento dei tempi del giudizio, ma anche perché il suo ruolo deve restare comunque centrale rispetto ai pareri della scien- za; nondimeno egli deve assumersi tale responsabilità epistemica: «[i]l giudice penale ha il diritto e il dovere di apportare il suo “sapere fattuale” e di assumer- sene la responsabilità [...]. Da questa responsabilità non può liberarlo alcun pare- re». Sul cosiddetto ‘senso comune’ v. supra, cap. I, nota 72. 109 Esempio emblematico di ermeneutica del fatto impregnata di discutibili principi di psicologia del senso comune, per lo più riflesso di precomprensioni del giudicante, sono le sentenze relative alla vicenda del film ‘Ultimo tango a Pa- rigi, v. AA.VV., Ultimo tango a Parigi quarant’anni dopo, cit., pp. 114 ss. Un’altra pronuncia, più recente, in cui risulta altamente opinabile l’ermeneutica del fatto è Trib. Latina, 24/10/2006, n. 1725, riportata in SIRACUSANO, Vilipendio religioso e satira: “nuove” incriminazioni e “nuove” soluzioni giurisprudenziali, in Stato, Chie- se e pluralismo confessionale, 7/2007, pp. 14 ss.; per una critica v. VISCONTI C., Aspetti penalistici, cit., pp. 186 ss. 110 «Il fenomeno è evidente soprattutto in quelle disposizioni che hanno un’importanza politica, che regolano cioè, in senso lato i rapporti fra lo Stato e i cittadini, e che – naturalmente – consentano più di un’interpretazione. [...] E, nel- la possibilità di una duplice interpretazione, l’una e l’altra certamente, per così dire, politica, può stabilirsi, attraverso l’esame di una decisione, l’indirizzo ideo- logico del giudice», v. BIANCHI D’ESPINOSA, Introduzione, in BIANCHI D’ESPINOSA- CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ, Valori socio-culturali della giurispru- denza, cit., p. 4.   176 Tra sentimenti ed eguale rispetto una soglia oggettiva di tollerabilità delle forme di espressione e, più in generale riferibile alle norme che richiamino, implicitamente o espressamente, fatti di sentimento, è stato condivisibilmente osserva- to in dottrina che quando vengono in gioco interessi di tutela assimi- labili in tutto o in parte a sentimenti la tipicità diviene prevalente- mente valutativa, rimettendo al giudice bilanciamenti che, teorica- mente, il diritto avrebbe dovuto cristallizzare in astratto 111. Un caso emblematico è l’onore personale, in relazione al quale si è osservato come esso non si presti a una predeterminazione esaustiva, ma sia in definitiva «co-determinat[o] dall’incidenza che i diritti co- stituzionalmente rilevanti [...] esercitano nel determinar[ne] i limiti di estensione» 112. Si è parlato di una ‘tipicità on balance’ «nel senso che la figura criminosa in questione, lungi dall’essere ricostruita una volta per tut- te in modo stabile e definitivo» assume una fisionomia variabile che dipende dalle caratteristiche del caso concreto 113. In altri termini, un intreccio simbiotico tra fatto e antigiuridicità, alla luce del quale non è appropriato parlare di un giudizio di tipicità del tutto indipendente dalla eventuale sussistenza di cause di giustificazione, con la conse- guenza che le operazioni di bilanciamento sottese al momento giusti- ficativo finiscono per avere una funzione indispensabile al fine di in- tegrare la tipicità stessa 114. Fattispecie così strutturate, prive cioè di una dimensione lesiva compiutamente apprezzabile in sede di tipicità, scaricano sul momen- to applicativo la definizione di requisiti strutturali, imponendo «in via surrogatoria al giudice di tracciare autonomamente i confini dell’illi- ceità attraverso tecniche di bilanciamento a vocazione “tipologica”» 115. 111 GIUNTA, Verso un rinnovato romanticismo penale?, cit., pp. 1559 s. 112 TESAURO, La diffamazione, cit., p. 24. 113 TESAURO, La diffamazione, cit., pp. 33 ss., 56 ss., 96 ss. 114 TESAURO, La diffamazione, cit., pp. 58 s. 115 TESAURO, La diffamazione, cit., p. 58. Oltre a tale profilo, e alle connesse implicazioni di teoria del reato, un simile intreccio fra tipicità e giustificazione rappresenta a nostro avviso la conferma che l’interpretazione dei conflitti in tema di libertà di espressione si sottrae a una logica binaria, tale per cui o vi è offesa o vi è esercizio di libertà; si tratta di un ambito dominato da situazioni in cui il con- fine tra lecito e lecito non solo non appare predeterminabile in chiave di tipicità astratta, ma è poroso, labile. Si è osservato che uno dei limiti della giurispruden- za italiana sul vilipendio alla religione è quello di adottare, con discutibili percor- si argomentativi, un’impostazione secondo la quale l’operatività della scriminante dell’esercizio di un diritto rappresenta un’alternativa che si pone in rapporti dico-   Fisionomia dell’offesa 177 L’incardinamento dei bilanciamenti sottesi alla giustificazione fra le trame di una tipicità ‘di matrice giudiziale’, se da un lato può ac- crescere il potenziale di discrezionalità degli applicatori, dall’altra parte produce l’effetto di concepire il fatto tipico come struttura in fieri, aperta alla presa in carico di problemi e di istanze sociali che trovano voce attraverso le cause di giustificazione 116, ricollocandone il raggio d’azione non semplicemente come elementi tali da neutra- lizzare una precedente offensività, ma come fattori che influiscono sul disvalore del fatto in concreto. In questo senso si potrebbe ipotizzare che l’intreccio fra tipicità e giustificazione finisca per assegnare alle scriminanti un ruolo di ‘re- spiro’ della fattispecie astratta simile a quello svolto dagli elementi normativi di matrice culturale. Le norme limitative della libertà di espressione appaiono in questo senso ‘a geometria variabile’117, ossia modellate su bilanciamenti che risentono dei mutamenti dei costumi e delle soglie di tollerabilità so- ciale, non fissabili aprioristicamente ma da determinarsi in relazione a un quadro di contingenze storiche e culturali. A conferma del fatto che non si possono affrontare tali questioni senza una chiara messa a fuo- co del contesto che fa da sfondo alle espressioni, ai mondi morali a confronto e alle contingenze storico-politiche: «[l]a apparentemente distaccata, analisi di diritto positivo su libertà di parola e repressione penale è [...] insidiata e talora travolta dal calore dell’urgenza della realtà così com’è, e quindi dal confronto politico tout court» 118. tomici con eventuali interessi concorrenti; in questo modo la ricognizione dei conflitti finisce per adagiarsi su una logica binaria, trascurando, o negando, che ciò che rende legittimo l’esercizio di una libertà o di una eventuale limitazione non è la radicale inconfigurabilità di un eventuale controinteresse, ma si tratta invece di un giudizio legato a contingenze del caso concreto e a criteri di oppor- tunità della sanzione; v. VISCONTI C., Aspetti penalistici, cit., p. 188. 116 Come osservato da Massimo Donini, «[i]l mondo dei diritti riflesso nelle cause di giustificazione riguarda [...] la continua evoluzione della società civile [...] una varietà ed evoluzione che sottostà all’apparente staticità delle incrimina- zioni e produce a volte nuove fattispecie di reato create in via legislativa, ma è capace di bilanciare tali diritti anche dentro e contro le vecchie incriminazioni, le quali non sanno darci un’immagine della società se non attraverso il mondo dei diritti, che cambiano il vero contenuto dei beni protetti dal codice penale, anche se questo può restare apparentemente invariato per decenni», v. DONINI, Critica dell’antigiuridicità e collaudo processuale delle categorie. I bilanciamenti d’interessi dentro e oltre la giustificazione del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2016, p. 705. 117 Traggo l’espressione da PULITANÒ, Diritto penale, VII ed., cit., p. 126, il quale la usa per definire gli elementi normativi di valutazione culturale.  118 VISCONTI C., Aspetti penalistici, cit., p. 137.   178 Tra sentimenti ed eguale rispetto SEZIONE II Alla prova dei fatti: blasfemia e propaganda razzista «Non ho niente contro Dio, è il suo fan club che mi spaventa» WOODY ALLEN SOMMARIO: 6. Illegittimità o tollerabilità delle restrizioni penalistiche al discorso pubblico? – 7. Il dibattito sui rapporti fra libertà di espressione e sensibilità religiosa. – 7.1. L’ambiguità dell’art. 403 c.p. – 7.2. Le vignette di Charlie Heb- do: ‘diritto di offendere’ o offesa tollerabile? – 8. Le norme sulla propaganda razzista in Italia: quale spazio a sentimenti? – 8.1. Il discorso razzista fra estremismo politico e insulto discriminatorio. – 9. Sinossi. 6. Illegittimità o tollerabilità delle restrizioni penalistiche al discorso pubblico? Il tema della potenziale dannosità a livello sociale di determinati contenuti espressivi chiama in causa l’orizzonte comunicativo del di- scorso pubblico, il quale per definizione caratterizza il livello di liber- tà e di apertura della democrazia in rapporto al pluralismo delle idee e ai margini di tolleranza e di repressione del dissenso 119. Si tratta dell’area in cui la legittimazione di eventuali restrizioni normative è più problematica: offese circoscrivibili alla dialettica fra persone fisiche possono essere ricomprese nella tutela dell’onore in- 119 «L’oggetto della libertà di espressione è il discorso. Non qualsiasi tipo di di- scorso, bensì il discorso pubblico. L’esercizio della libertà di espressione ha una vocazione di pubblicità, di trascendenza nella sfera pubblica. La libertà di espres- sione è, in questa misura, il requisito fondamentale della comunicazione politica in democrazia», v. ROIG., Libertà di espressione, cit., p. 36. Sull’etica del discorso pubblico come strumento volto alla realizzazione, e non solo all’affermazione, di valori, v. VIOLA, La via europea della ragione pubblica, in AA.VV., a cura di Trujillo- Viola, Identità, diritti, ragione pubblica in Europa, Bologna, 2007, pp. 420 ss.   Fisionomia dell’offesa 179 dividuale120, eventualmente come condotte qualificate da contenuti tali da aggravare la responsabilità, situandosi in un’area di crimina- lizzazione che, per quanto problematica 121, non è mai stata messa se- riamente in discussione dal punto di vista della legittimità costitu- zionale 122. Maggiori criticità si addensano su altre fattispecie tese a incrimi- nare manifestazioni del pensiero, in primo luogo la propaganda raz- zista di cui all’art. 3 comma 1, lett. a, della legge n. 654 del 1975 (in- trodotto dalla c.d. ‘Legge Mancino’, cronologicamente successiva): non atti di istigazione alla discriminazione o alla violenza 123, ma pa- 120 L’ambito applicativo della fattispecie di cui all’art. 595 c.p. (diffamazione semplice) non si estende, secondo giurisprudenza costante, a offese rivolte a col- lettività, anche se circoscritte, di persone. Per una panoramica della giurispru- denza della Corte Edu e della giurisprudenza italiana v. CUCCIA, Libertà di espres- sione e identità collettive, Torino, 2007, pp. 159 ss.; 198 ss. Nella giurisprudenza italiana, v. Cass. pen., sez. V, 04/04/2017, n. 16612; cfr. Cass. pen., sez. V, 09/12/2014, n. 51096; più datata è Cass. pen., sez. I, 24/02/1964, in Giur. it., 1964, II, p. 241, con nota di LARICCIA, Sulla tutela penale delle confessioni religiose acattoliche; in senso favorevole, v. Cass. pen, sez. V, 16/01/1986, in Dir. inf., 1986, p. 457. Per una sintesi del problema v. LA ROSA, Onore, sentimento religioso e libertà di ricerca scientifica, nota a Trib. Mondovì, 22 febbraio 2007, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 10/2007, pp. 20 ss. 121 Da ultimo, FIANDACA, Sul bene giuridico, cit., pp. 72 ss. 122 Si veda C. cost., n. 86/1974. Cfr. ROMANO, Legislazione penale e tutela della per- sona umana (Contributo alla revisione del Titolo XII del codice penale), in Riv. it. dir. proc. pen., 1/1989, p. 61; SIRACUSANO, Problemi e prospettive della tutela penale del- l’onore, in AA.VV., Verso un nuovo codice penale, Milano, 1993, p. 340; DONINI, Ana- tomia dogmatica del duello. L’onore dal gentiluomo al colletto bianco, in Indice pena- le, 2000, pp. 1080 ss.; per una sintesi, nel quadro di una posizione non radicalmente abolizionista ma tesa a limitare l’intervento penale a offese particolarmente gravi (attribuzione di fatti non corrispondenti a verità in contesti comunicativi estesi a più persone), v. GULLO, Diffamazione e legittimazione dell’intervento penale, cit., pp. 172 ss.; 202 ss. Fra i costituzionalisti v. PUGIOTTO, Le parole sono pietre?, cit., p. 15; MANETTI, Libertà di pensiero e tutela delle identità religiose. Introduzione ad un’analisi comparata, in Quad. di diritto e politica ecclesiastica, 1/2008, p. 46. La legittimità del- la tutela dell’onore individuale non è messa in discussione dalla Corte Edu, la quale si è limitata, fino ad oggi, a rilevare gli eccessi della risposta penale dell’ordina- mento italiano, in quanto, secondo la Corte Edu, non dovrebbe essere prevista, sal- vo casi eccezionali, la sottoposizione a pena detentiva; v. per tutte, Corte eur. dir. uomo, Sez. II, sent. 24/09/2913, Belpietro c. Italia, ric. n. 42612/10; per una sintesi del problema e per un’analisi della giurisprudenza italiana più recente sul tema del trattamento sanzionatorio della diffamazione v. GULLO, Diffamazione e pena detenti- va, in www.penalecontemporaneo.it, 3/2016, pp. 1 ss. 123 Incriminati ai sensi dell’art. 3 della legge n. 654/1975 lett. a) – seconda parte –, e lett. b).   180 Tra sentimenti ed eguale rispetto role e discorsi che possono costituirne un volano. Secondariamente, vengono in gioco le residue ipotesi di vilipendio alla religione, soprat- tutto l’art. 403 c.p., il quale si presenta nelle fogge di un’offesa al- l’onore personale ma sembra assumere nelle applicazioni giurispru- denziali un ruolo dai contorni più ampi. È soprattutto con riguardo a tali tipologie di incriminazione che oggi la dottrina penalistica fa ricorso al lessico dei sentimenti per sot- tolineare in chiave critica un’asserita impalpabilità del substrato dell’offesa: valga, come sintesi, il rilievo di Tesauro il quale si chiede se tramite l’incriminazione della propaganda razzista non si finisca per tutelare «emozioni collettive (di scandalo, imbarazzo, disgusto, inquietudine o paura), e se, dunque, non assomigli molto da vicino alla tutela penale di un sentimento a cavallo tra solidarietà e allarme sociale [...] Insom- ma, un impasto a metà strada fra sentimenti individuali di umiliazio- ne pubblica, reputazione di gruppo, uguaglianza formale senza distin- zioni di razza, ordine pubblico ideale, universalismo morale anti-di- scriminazione» 124. È plausibile ritenere che dietro tale norma vi siano anche, in buo- na parte, input che promanano da un disagio socialmente diffuso di fronte al fenomeno razzista, e che dunque la norma in un certo senso finisca per assumere anche la funzione di tutela di un ‘sentire demo- cratico’ 125. Tale rilievo, per quanto difficilmente confutabile, non sembra pe- rò sufficiente a chiudere il discorso sulla legittimazione. Al di là delle indiscutibili criticità, è lo stesso Tesauro a riconoscere che la que- stione non va declinata in termini meramente concettualistici ma è «irriducibilmente etico-politica e dagli esiti altamente controvertibili [...] [e] resta aperta a opposte soluzioni che convogliano giudizi di va- lore, preferenze culturali e scelte di politica criminale» 126. 124 TESAURO, La propaganda razzista, cit., pp. 962, 964; si veda anche SPENA, Li- bertà di espressione e reati di opinione, cit., pp. 714 ss. 125 L’analisi destrutturante di Tesauro evidenzia inoltre come il ricorso al cor- rettivo ermeneutico del pericolo concreto non appaia sufficiente a contenere l’am- bito di applicazione della disposizione entro una ragionevole area di oggettività, v. TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., pp. 114 ss., 122 ss. 126 TESAURO, La propaganda razzista, cit., pp. 972. Nella dottrina statunitense si è osservato criticamente che i discorsi a favore o contro il disvalore degli hate crimes sono affetti da un elevato grado di concettualismo, poiché, attraverso la ricerca di un danno ‘oggettivo’ riconducibile all’odio, cercano di rendere meno   Fisionomia dell’offesa 181 È una questione politicamente e costituzionalmente aperta, non archiviabile frettolosamente dietro l’invocazione, pur benintenziona- ta, dell’art. 21 Cost.: sono in gioco valori costitutivi della democrazia costituzionale, la cui protezione ha importanza rilevante anche (non solo) da un punto di vista simbolico 127. Il problema di un equilibrio con la libertà di espressione finisce per scaricarsi sul momento applicativo, alla ricerca di una ragionevolezza con ‘mitezza attenuata’, secondo una formula che è stata adoperata per indicare che il bilanciamento costituzionale fra valori confliggenti, e l’eventuale sacrificio di uno di essi (questo il senso della ‘non mitezza’), devono essere comunque accompagnati da ragionevolezza 128. Previsioni incriminatrici ‘non illegittime’ come quelle che l’ordina- mento italiano annovera nella legge Mancino necessitano di un regi- me di ‘sorveglianza speciale’: la loro tollerabilità è legata al grado di ragionevolezza applicativa. Un problema di qualità delle decisioni giudiziali, i cui esiti di giustizia non possono darsi per scontati: il ri- spetto del principio costituzionale della libertà di espressione richie- de che le interpretazioni e le applicazioni siano fortemente selettive, calibrate su criteri fra i quali deve a nostro avviso essere tenuta ben presente, quantomeno a livello concettuale, la necessità di distingue- re tra espressioni che offendono la mera sensibilità ed espressioni che veicolano contenuti di umiliazione. Tale delega alla ‘phronresis’ giudiziale è motivata dalla constata- zione, a nostro avviso, di una ‘non eliminabilità’ dall’ordinamento di fattispecie pur discutibili come quelle che incriminano la propaganda razzista: troppo forte la risonanza etica e la consustanzialità dei beni in gioco in rapporto ai valori che la democrazia riconosce come pro- prio fondamento. evidente il portato assiologico della scelta di politica del diritto al fine di restare coerenti con un liberalismo asseritamente neutrale: v. KAHAN, Two Liberal Falla- cies in the Hate Crimes Debate, in 20 Law and Philosophy, 2001, pp. 189 ss. 127 Si veda anche WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento per il mante- nimento di orientamenti sociali di carattere assiologico?, cit., p. 151, secondo il quale rappresentazioni di valore e convinzioni possono essere considerati come legittimi beni da proteggere nel caso in cui la loro lesione metta in discussione l’«intesa sociale-normativa dominante». 128 Traggo l’espressione da SALAZAR, I «destini incrociati» della libertà di espres- sione e della libertà di religione: conflitti e sinergie attraverso il prisma del principio di laicità, in Quad. di diritto e politica ecclesiastica, 1/2008, p. 79, la quale sottoli- nea che il bilanciamento fra valori costituzionali potrebbe portare al sacrificio di uno di essi, non ‘mite’ dunque, ma pur sempre (necessariamente) ragionevole; vi può essere ragionevolezza senza mitezza, ma non mitezza senza ragionevolezza.   182 Tra sentimenti ed eguale rispetto Non si tratta però di un assunto risolutivo, bensì di un fattore che rende ancora più complesso il gioco di equilibri e che, soprattutto, responsabilizza la figura del giudicante quale anello ultimo e decisivo di una ‘catena della ragionevolezza’129 necessaria per affrontare il problema di limiti alla libertà di espressione. A risultare determinanti saranno doti di sensibilità culturale e ca- pacità interpretativa dei fenomeni da parte del giudice, nel quadro di una sapienza non ‘algoritmica’ 130 bensì auspicabilmente vicina a una ‘saggezza pratica’. È tutt’altro che scontato, e sarebbe ingenuo pensare, che tali doti risiedano in misura sufficiente nella totalità dei giudici, ma sarebbe forse altrettanto frettoloso dare per scontato che non vi siano margini per una intelligente e ‘non intollerabile’ gestione dell’arsenale penali- stico in materia di libertà di espressione. Il problema è aperto, e sol- lecita l’intero mondo della cultura giuridica a meditare su percorsi di studio e di formazione funzionali a dare ai soggetti giudicanti gli strumenti per un’attenta lettura delle vicende e dei contesti fattuali, non semplicemente delle norme 131. Nel prosieguo compiremo una sintetica disamina di alcuni recenti sviluppi giurisprudenziali in relazione alla tutela del sentimento reli- gioso e alla normativa sulla discriminazione razziale. Il tema del discorso razzista rappresenta la palestra concettuale più significativa per verificare la tenuta della distinzione fra critica e discriminazione. 129 Sul tema della ragionevolezza nel diritto penale v. per tutti PULITANÒ, Ra- gionevolezza e diritto penale, Napoli, 2012, pp. 10 ss. 130 ZAGREBELSKY, Su tre aspetti della ragionevolezza, in Il principio di ragionevo- lezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Riferimenti comparatistici, in Atti del Seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, nei giorni 13 e 14 otto- bre 1992, Milano, 1994, pp. 179 ss. 131 Osserva FIANDACA, Il giudice tra giustizia e democrazia nella società comples- sa, in ID., Il diritto penale tra legge e giudice, cit., p. 31, che sarebbe necessario un affinamento culturale nella preparazione dei magistrati, attraverso uno studio specifico delle logiche del ragionamento giudiziale e di altri aspetti che regolano il giudizio di fatto oltre che il giudizio di diritto. Istanze che vengono rimarcate da VINCENTI, Diritto e menzogna. La questione della giustizia in Italia, Roma, 2013, p. 19, quando descrive criticamente il giudice contemporaneo come «funzionario o burocrate, vittorioso in un concorso a cui segue una progressione in carriera pressoché automatica, formatosi su di una letteratura accademica di stampo ma- nualistico, spesso obsoleta e comunque aliena dal ricercare il perché delle regole, abituato a ragionar per massime, naturalmente assai poco curioso di andare oltre le rappresentazioni istituzionali e poco propenso ad assumere il dubbio metodico quale cifra del proprio agire». Vedi anche la bibliografia citata supra, nota 107.   Fisionomia dell’offesa 183 Quanto alla residua fattispecie di vilipendio di cui all’art. 403 c.p., non si richiede che le espressioni siano discriminatorie; lo schema tipico rimane quello della condotta di insulto, del ‘tenere a vile’132. Nondimeno, si pone l’esigenza di distinguere tra offese al patrimonio ideale delle confessioni, plausibilmente foriere di affronti alla sensibi- lità dei credenti ma che oggi dovrebbero considerarsi penalmente ir- rilevanti, da offese all’onore della persona. Iniziamo dai rapporti fra religione e libertà di espressione con particolare riferimento alla satira133, per sondare alcuni recenti ap- prodi giurisprudenziali nel contesto italiano e per dedicare una ri- flessione al caso delle pubblicazioni del settimanale francese Charlie Hebdo, al centro dell’attenzione dopo i tragici episodi del gennaio 2015. 7. Il dibattito sui rapporti fra libertà di espressione e sensibili- tà religiosa In nome di sentimenti religiosi è stato di recente versato del san- gue; l’esercizio di una libertà che è cifra simbolica dell’occidente libe- rale ha attivato spirali di violenza e generato un clima di terrore al cospetto del quale la riflessione sui modi d’uso della libertà non può abbandonarsi a cliché morali, pur benintenzionati, o a ingenui ireni- smi. Su un piano fattuale non sembra esservi ragione più immediata e plausibile della suscettibilità emotiva per dar conto delle conflittuali- tà emerse; se pure nella prospettiva penalistica i sentimenti possono difettare di tassatività, dall’altro lato, essi sono però in grado di pro- durre conseguenze ben visibili, a conferma della loro rilevanza indi- viduale e sociale. 132 PROSDOCIMI, voce Vilipendio (reati di), in Enciclopedia del diritto, vol. XLVI, Milano, 1993, pp. 739 ss. Sul vilipendio religioso v. MORMANDO, I delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, diretto da Marinucci-Dolcini, vol. V, Padova, 2005, pp. 148 ss.; ID., «Lai- cità penale» e determinatezza. Contenuti e limiti del vilipendio, in AA.VV., a cura di Dolcini-Paliero, Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. III, Milano, 2006, pp. 2456 ss. 133 Per un’accurata e ben documentata silloge di episodi in cui sono emersi at- triti fra satira e religione v. RUOZZI, Piccolo manuale di blasfemia audiovisiva. Dal Mistero Buffo televisivo a Southpark, in AA.VV., a cura di Melloni-Cadeddu- Meloni, Blasfemia, diritti e libertà, cit., pp. 93 ss.   184 Tra sentimenti ed eguale rispetto Il traumatico ritorno in scena della sensibilità, o forse, più pro- priamente, della suscettibilità religiosa nel contesto occidentale costi- tuisce un attacco frontale alla libertà di espressione per mano di for- ze che hanno usato il linguaggio della violenza e dell’annientamento dell’altro. A prescindere da quello che sia il giudizio sul merito delle rappre- sentazioni satiriche danesi e di Charlie Hebdo, va detto in premessa che le reazioni suscitate «non possono essere assunte a parametro di un “sentimento religioso” rilevante per il nostro ordinamento. Proprio le caratteristiche che ne fondano il forte e preoccupante rilievo politico, sullo sfondo di un te- muto “scontro di civiltà”, e sollecitano adeguate valutazioni e risposte politiche, impongono di tenere ferma la valutazione di estraneità e per così dire irricevibilità giuridica. Il sentimento religioso, che può porre un problema di tutela, non può essere misurato sulle fatwe né su vio- lenze aizzate politicamente in altri paesi» 134. L’agire violento esclude ogni prospettiva di considerazione giuri- dica per le istanze avanzate; resta tuttavia in piedi l’interrogativo su come sia più ragionevole oggi configurare una tutela del sentimento religioso ‘a misura liberale’. Uno dei nodi di fondo si identifica nell’al- ternativa fra tutela della/e religioni e tutela delle persone che profes- sano una religione 135: se la prima ipotesi rappresenta un retaggio del passato incompatibile con i principi del pluralismo assiologico e di laicità136, la seconda è aperta a diverse declinazioni. Riorientare la tutela sulla persona del credente esclude la prospettiva del ‘bene di civiltà’ 137; meno scontato è l’approdo ultimo. Vediamo in che termini la distinzione fra tutela della confessione e della persona del credente entra oggi in gioco nel panorama appli- cativo dell’ordinamento italiano. 134 PULITANÒ, Laicità e diritto penale, cit., p. 314. 135 Cfr. FERRARI, La blasfemia in Europa, dalla tutela di Dio alla tutela dei cre- denti, in www.resetdoc.org, 14 febbraio 2014; CIANITTO, Libertà di espressione liber- tà di religione: un conflitto apparente?, in AA.VV., a cura di Melloni-Cadeddu- Meloni, Blasfemia, diritti e libertà, cit., pp. 206 ss. 136 Cfr. CANESTRARI, Libertà di espressione e libertà religiosa, cit., p. 928. 137 Ex plurimis, PALAZZO, La tutela della religione tra eguaglianza e secolarizza- zione, cit., p. 50.   Fisionomia dell’offesa 185 7.1. L’ambiguità dell’art. 403 c.p. La distinzione tra offesa alle credenze e offesa alla persona trova un punto di riferimento nell’art. 403 c.p. La fattispecie costituisce, in- sieme all’art. 404 c.p., un residuo delle ipotesi di vilipendio origina- riamente previste, fra le quali l’art. 402 c.p. (dichiarato costituzio- nalmente illegittimo con la sentenza n. 508/2000) costituiva la norma più emblematica e dai risvolti più critici 138. Davvero il vilipendio alla religione può dirsi decriminalizzato sul piano della sostanza? L’art. 403 c.p. e l’art. 404 c.p. ne recuperano in parte l’eredità residua 139, circoscrivendo le ipotesi di rilevanza penale a una casistica più definita (quantomeno formalmente) di azioni le quali dovrebbero avere a oggetto le persone che professano una reli- gione o cose destinate al culto 140. Dopo la caduta dell’art. 402 c.p., è l’offesa alla persona che potrebbe rendere legittima una restrizione alla libertà di manifestazione del pensiero, lasciando fuori dall’area di intervento le forme di critica al patrimonio ideale di una confes- sione. In realtà l’art. 403 c.p. appare caratterizzato da una formulazione non particolarmente felice, la quale persiste nella rubrica e nel te- 138 L’incriminazione del vilipendio della religione cattolica è caduta sotto la scure della Consulta non per contrasto con l’art. 21 Cost., bensì per violazione de- gli artt. 3 e 8 Cost., in linea con un trend interpretativo che non ha mai asseconda- to le pochissime richieste di illegittimità dei vilipendi alla religione per violazione dell’art. 21 Cost. Risulta solo un ordinanza, la n. 479/1989, nella quale è stata sol- levata questione di legittimità costituzionale dell’art. 403 c.p. per contrasto anche con l’art. 21. In quel caso la declaratoria della Corte è stata la manifesta inammis- sibilità per la non pertinenza della questione rispetto al giudizio in corso, senza alcuna riflessione sul merito dei rapporti tra l’art. 403 c.p. e l’art. 21 Cost. Per una panoramica della giurisprudenza costituzionale sull’art. 402 c.p., v. SALAZAR, I «destini incrociati» della libertà di espressione, cit., pp. 86 ss. 139 Sembra aderire a un recupero pressoché pieno della portata dell’art. 402 c.p. FALCINELLI, Il valore penale del sentimento religioso, cit., pp. 54 ss., la quale, adesiva- mente alla giurisprudenza, osserva che il vilipendio generico a una confessione reli- giosa, anche in assenza del riferimento a persone determinate, possa rientrare nell’art. 403 c.p., e che anche l’offesa a simboli, come ad esempio il crocifisso, possa assumere rilevanza penale ai sensi della medesima disposizione (v. p. 58). Di diverso avviso PULITANÒ, Laicità, multiculturalismo, diritto penale, in AA.VV., a cura di Risica- to-La Rosa, Laicità e multiculturalismo. Profili penali ed extrapenali, cit., pp. 245 s. 140 Le condotte descritte dalle fattispecie non sono del tutto simmetriche: nel caso dell’art. 403 c.p. il vilipendio esprime la modalità di lesione, mentre nell’art. 404 c.p. è l’offesa alla confessione religiosa a costituire l’evento strumentale alla realizzazione del vilipendio a cose che formino oggetto di culto.   186 Tra sentimenti ed eguale rispetto sto141 a riconoscere la centralità del vilipendio alla confessione reli- giosa 142, relegando in una posizione strumentale l’offesa a chi la pro- fessa: «l’offesa alla religione resta il criterio ermeneutico essenziale del settore» 143. Non sono mancate applicazioni in cui la Corte di Cassazione ha optato per un approccio repressivo, sostenendo che ai fini dell’inte- grazione dell’art. 403 c.p. sia sufficiente che le espressioni di vilipen- dio siano genericamente riferite alla indistinta generalità dei fedeli «tutelando la norma il sentimento religioso e non la persona (fisica o giuridica) offesa in quanto appartenente ad una determinata confes- sione religiosa» 144. Tale pronuncia si esprime con nettezza a favore di un’interpretazione impersonale del vilipendio; sentenze successive, pur senza la medesima univocità, ne hanno ricalcato gli itinerari lo- gico-argomentativi, rivelando nel complesso un’adesione (inconscia?) all’impostazione del defunto art. 402 c.p. In un caso un soggetto è stato condannato per aver esposto «nel centro di Milano un trittico da lui realizzato – tre fotocopie in bianco e nero, stampate su tela – raffigurante, rispettivamente, il Pontefice in carica, un pene con testicoli e il segretario personale del Pontefice, con la didascalia «Chi di voi non è culo scagli la prima pietra» 145. 141 E anche nel regime della perseguibilità, prevista d’ufficio, la quale enfatizza la dimensione istituzionale dell’interesse protetto. 142 Un problema ben noto alla dottrina penalistica già negli anni Settanta; per un’approfondita critica agli orientamenti giurisprudenziali che operavano una sostanziale commistione fra artt. 402 e 403 c.p., applicando quest’ultimo anche a casi di offesa impersonale a contenuti di fede v. PULITANÒ, Spunti critici, cit., pp. 198 ss., 205 ss. 143 MORMANDO, I delitti contro il sentimento religioso, cit., p. 24; sulla stessa li- nea di pensiero v. FLORIS, Libertà di religione, cit., p. 189; MANETTI, Libertà di pen- siero e tutela delle identità religiose, cit., p. 65; PACILLO, I delitti contro le confessioni religiose, cit., pp. 39 ss. Cfr. ROMANO, Principio di laicità dello Stato, cit., p. 214: «il fatto vietato e punito resta il vilipendio delle religioni». Viene fatto notare come il trattamento sanzionatorio più grave per il vilipendio del ministro di culto con- fermi l’orientamento della tutela verso l’assetto istituzionale delle confessioni re- ligiose, così SIRACUSANO, Pluralismo e secolarizzazione dei valori, cit., p. 82. La di- sposizione è dunque ambigua e si presta a usi discutibili; in dottrina si è rilevato che per salvarla sul piano della legittimità costituzionale occorrerebbe prendere sul serio la direzione personale del vilipendio e il legame da accertarsi in concreto, non in via presuntiva, del vilipendio alla confessione con l’offesa alla persona, v. PULITANÒ, Laicità e diritto penale, cit., p. 313; cfr. SERENI, Sulla tutela penale della libertà religiosa, cit., p. 12. 144 Cass. pen., sez. III, 11/12/2008, n. 10535. 145 Cass. pen., sez. III, 07/04/2015, n. 41044.   Fisionomia dell’offesa 187 In un secondo episodio vi è stata condanna per aver esposto un cartellone raffigurante sullo sfondo una sagoma costituita dall’im- magine del Pontefice in carica, e, in primo piano, un bersaglio costi- tuito da una serie di cerchi concentrici con l’indicazione di punteggi vari, riportante in calce la scritta: «1.000 punti, caramelle, preservati- vi, vino e ostie sconsacrate se centri quel buco di culo da cui quoti- dianamente vomita fiumi di merda» 146. La Corte di Cassazione sembra riproporre la teoria dei limiti logi- ci 147, quando afferma che «in materia religiosa la critica è lecita quando – sulla base di dati o di rilievi già in precedenza raccolti o enunciati – si traduca nella espres- sione motivata e consapevole di un apprezzamento diverso e talora antitetico, risultante da una indagine condotta, con serenità di meto- do, da persona fornita delle necessarie attitudini e di adeguata prepa- razione: mentre trasmoda in vilipendio quando – attraverso un giudi- zio sommario e gratuito – manifesti un atteggiamento di disprezzo verso la religione, disconoscendo alla istituzione e alle sue essenziali componenti (dogmi e riti) le ragioni di valore e di pregio ad essa rico- nosciute dalla comunità» 148. In entrambi i casi menzionati la rilevanza penale delle condotte non appare in discussione; si pone però la questione se l’offesa sia da considerarsi rivolta alla persona del Pontefice o piuttosto al ruolo istituzionale e dunque al legame con un certo tipo di opinioni espres- se dall’istituzione ecclesiastica in tema di etica sessuale; l’integra- zione della diffamazione appare pacifica, meno scontato è il vilipen- dio alla religione ex art. 403 c.p. Secondo la lettura proposta dalla Corte tale fattispecie non sem- brerebbe configurarsi come delitto contro l’onore e la dignità della persona, ma assumerebbe piuttosto le vesti di un mero surrogato del vecchio vilipendio ex art. 402 c.p., orientato alla tutela di un interesse affine al ‘bene di civiltà’ 149. In occasione della condanna per il trittico 146 Cass. pen., sez. III, 28/09/2016, n. 1952. 147 Per una ricostruzione del panorama giurisprudenziale sul punto v. SIRACU- SANO, I delitti in materia di religione, cit., pp. 136 ss.; PACILLO, I delitti contro le con- fessioni religiose, cit., pp. 111 ss.; in termini generali, sulla teoria dei ‘limiti logici’ v. CARUSO, Tecniche argomentative della Corte costituzionale e libertà di manifesta- zione del pensiero, in http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/- pdf/documenti_forum/paper/0360_caruso.pdf, 10/2012, pp. 3 ss. 148 Cass. pen., sez. III, 07/04/2015, n. 41044. 149 Cfr. SIRACUSANO, Vilipendio religioso e satira, cit., pp. 4 ss.   188 Tra sentimenti ed eguale rispetto raffigurante il Pontefice, la Cassazione ha osservato che: «ai fini della configurabilità del reato, non occorre che le espressioni offensive siano rivolte a fedeli ben determinati, ma è sufficiente che le stesse siano genericamente riferibili alla indistinta generalità degli aderenti alla confessione religiosa [...] Perciò il vilipendio di una reli- gione, tanto più se posto in essere attraverso il vilipendio di coloro che la professano o di un ministro del culto rispettivo, come nell’ipotesi dell’art. 403 cod. pen., che qui interessa, legittimamente può limitare l’ambito di operatività dell’art. 21» 150. Si tratta di un orientamento che inverte il rapporto tra offesa alla persona e offesa al credo: la religione non appare come elemento qualificante l’offesa alla persona ma è il bene ultimo di un’incrimi- nazione che concepisce l’offesa individuale in termini strumentali ed episodici. Appare in questo senso avvalorata la tesi di chi ha individuato l’interesse protetto dalle nuove norme, post riforma del 2006, in un bene «a carattere superindividuale, la cui “consistenza” si gioca pre- valentemente sul piano ideale, così come sul medesimo piano si pone la condotta espressiva ritenuta lesiva del bene protetto» 151. Possiamo in definitiva affermare che l’offesa alla persona del cre- dente resti ancora oggi marginale, pur in presenza di una disposizio- ne che, nel suo tenore formale, si presenta come un delitto contro l’onore qualificato dallo status della persona offesa, ma che di fatto 150 Cass. pen., sez. III, 7/4/2015, n. 41044. 151 VISCONTI C., Aspetti penalistici, cit., p. 197; cfr. PELISSERO, La parola perico- losa. Il confine incerto del controllo penale del dissenso, in Questione giustizia (on- line), 4/2015, par. 4. Nel complesso si rimane ancorati a un sistema che differen- zia tra forme di religiosità ‘classiche’ e forme di religiosità ‘diversa’ o c.d. ‘negati- va’. Il legislatore conferma un favor verso manifestazioni della spiritualità ancora- te a un’ottica tradizionale che si identifica nelle forme di organizzazione delle re- ligioni; sul punto gli orientamenti nella dottrina divergono: da un lato SIRACUSA- NO, Pluralismo e secolarizzazione dei valori, cit., p. 87 ss. rileva che «siamo ben lontani dall’unica possibile prospettiva di tutela nello Stato laico: quella che si fonda su una considerazione paritaria di tutte le opzioni individuali in materia di fede, quindi anche delle opzioni agnostiche ed atee»; diversa è l’opinione di RO- MANO, Principio di laicità dello Stato, cit., p. 214, il quale riconosce il completo si- lenzio serbato dal legislatore «su forme di agnosticismo o di ateismo attivo, prati- cato con personali accenti di doverosità morale», concludendo tuttavia che esso «non porterebbe ad alcuna “discriminazione ideologica [...] perché per eventuali offese arrecate a forme associative ispirate a pur radicate convinzioni areligiose o agnostiche non è parso seriamente evocabile, nella situazione del nostro Paese, un qualsiasi rischio per la tranquillità».   Fisionomia dell’offesa 189 guarda più alla matrice dello status che a colui che ne è il rappresen- tante: la tutela di un’asserita sensibilità collettiva, legata all’offesa del patrimonio ideale di una confessione, costituisce ancora oggi il punto di riferimento principale 152. La casistica esaminata appare tutto sommato non particolar- mente problematica, quantomeno sul piano della rilevanza penale: vi è il coinvolgimento di soggetti concretamente individuabili, e a fronte di espressioni ingiuriose resta tutt’al più aperto il problema se si tratti di vilipendio alla religione o di offese tali da integrare la diffamazione. Problemi più complessi sorgerebbero se le forme di espressione avessero ad oggetto non persone reali, ma simboli, icone, e in genera- le i dogmi di una confessione. Nel contesto italiano la caduta del vili- pendio ex art. 402 c.p. dovrebbe deporre per l’irrilevanza penale; il problema merita però di essere analizzato anche in un’ottica extraor- dinamentale, in riferimento a episodi dove l’irrisione satirica ha su- scitato reazioni violente, con un’evidente sovraesposizione del fattore emotivo. 7.2. Le vignette di Charlie Hebdo: ‘diritto di offendere’ o offesa tollerabile? Prendiamo in esame quello che è stato definito uno ‘stress test’ per i modelli di tutela 153, ossia il caso delle vignette pubblicate dal setti- manale francese Charlie Hebdo e, originariamente, dal settimanale danese Jyilland Posten. Anche la dottrina penalistica italiana si è po- sta l’interrogativo se tali manifestazioni espressive possano assumere rilevanza penale nell’ordinamento italiano; la risposta, condivisibil- mente argomentata, è stata di segno negativo 154: nell’attuale panora- ma normativo le vignette irridenti la religione islamica non sarebbero incriminabili poiché non rivolte a soggetti determinati ma orientate a ironizzare su dogmi e contenuti di fede 155. 152 Per un’approfondita disamina del problema della diffamazione delle reli- gioni in ambito internazionale v. ANGELETTI, La diffamazione delle religioni nella protezione ultranazionale dei diritti umani, in AA.VV., a cura di Brunelli, Diritto penale della libertà religiosa, cit., pp. 149 ss. 153 CIANITTO, Quando la parola ferisce. Blasfemia e incitamento all’odio religioso nella società contemporanea, Torino, 2016, pp. 70 ss. 154 BASILE, La pubblicazione delle dodici vignette, cit., pp. 74 ss. 155 BASILE, La pubblicazione delle dodici vignette, cit., p. 75.   190 Tra sentimenti ed eguale rispetto Al di là della riconducibilità a una norma incriminatrice, è oppor- tuno chiedersi se i contenuti delle vignette siano accostabili a un’of- fesa ai sentimenti o al venir meno del rispetto-riconoscimento. Le vignette danesi (oggi facilmente visualizzabili su internet) non sembrano operare una vera e propria critica o messa in discussione di asserti religiosi, ma adoperano uno stile comunicativo particolar- mente forte nelle rappresentazione di figure sacre, violando in primo luogo il divieto di rappresentazione del Profeta. Si può a nostro avviso parlare di blasfemia, nel senso di rappre- sentazioni empie per l’ottica di un fedele, e dunque plausibilmente offensive del sentimento religioso. Non sembra però potersi chiamare in causa una vera e propria discriminazione assimilabile a hate speech: solo nel caso di un’unica vignetta, raffigurante il Profeta con una bomba in testa, si è osservato, a nostro avviso in modo forse un po’ forzato, che potrebbe veicolare un messaggio discriminatorio in forza di un’assimilazione dell’Islam a una religione ‘di guerra’ e a una considerazione di tutti gli islamici come terroristi 156. Il discorso sulle vignette pubblicate nel corso degli anni dal setti- manale francese Charlie Hebdo necessiterebbe di essere sviluppato attraverso un’analisi dettagliata delle singole immagini: non essendo possibile in questa sede, ci limitiamo ad alcune considerazioni di li- vello generale sui rapporti fra libertà di satira ed eguale rispetto. Partiamo da un presupposto: l’interpretazione dei contesti, gli at- tori delle vicende e le contingenze storico-sociali sono fattori coes- senziali nella configurazione degli equilibri di rispetto. Conseguen- temente l’interrogativo sulla tollerabilità di un’espressione satirica appare destinato a ricevere risposte differenti a seconda dei soggetti coinvolti, dei contesti e delle epoche. L’umorismo e la satira possono essere gravemente irrispettosi a seconda delle cadenze adoperate e degli aspetti della persona che mettono in ridicolo. Si tratta di un buon punto di partenza per uscire dalla ingannatoria ricostruzione che vorrebbe distinguere tra ‘satira buona’ o vera satira, e ‘satira cattiva’: il fine della satira è toccare cor- de sensibili, e l’irrispettosità non è un aspetto patologico, bensì è connaturato al fenomeno satirico. È plausibile che la satira offenda dal punto di vista emotivo chi ne è oggetto, nel senso che a nessuno piace essere preso in giro e che l’essere irrisi induce tendenzialmente emozioni negative. 156 CIANITTO, Libertà di espressione e libertà di religione: un conflitto apparente?, cit., pp. 215 s.; amplius, v. EAD., Quando la parola ferisce, cit., pp. 73 ss.   Fisionomia dell’offesa 191 Pensiamo alla solidarietà che il nostro Paese ha giustamente tribu- tato al giornale francese Charlie Hebdo per l’inaccettabile e brutale aggressione subita: rimarchiamo che il gesto criminale non ha atte- nuanti, e l’affermazione della libertà di satira rappresenta un princi- pio fondamentale. Nondimeno, va considerato che l’appoggio solidale a Charlie è frutto di un’intrinseca parzialità, poiché concernente un fatto (le vignette sull’Islam) che non aveva un impatto emotivo pari a quello provato dai fedeli di religione musulmana. Basta cambiare esempio per accorgersi come anche nel nostro Paese l’atteggiamento nei confronti della satira muti radicalmente ove vi sia un diverso coinvolgimento. Si pensi alle vignette pubblicate sempre da Charlie Hebdo in occasione del terremoto avvenuto nel- l’Italia centrale ad agosto 2016: le risposte dell’opinione pubblica so- no state ben differenti, fino ad arrivare, da parte di soggetti delle isti- tuzioni, alla definizione di ‘schifo’ 157. Ben diverso era il clima emoti- vo che aveva indotto molti cittadini ad adottare come effige dei pro- pri profili telematici il logo ‘je suis Charlie’. Rispetto alle vignette sull’Islam cambia l’atteggiamento perché so- no diverse le emozioni suscitate nei destinatari, ma la sostanza dei fatti appare non dissimile: in entrambi i casi la satira ha colto nel se- gno, stimolando sensazioni forti, probabilmente offendendo emoti- vamente, e suscitando reazioni sdegnate da parte dei diretti destina- tari, ma sempre di satira si tratta. A partire da queste premesse, forse poco politically correct ma ade- renti alla realtà dei fenomeni, si pone il problema su come legittima- re l’esercizio della satira in quanto potenzialmente irrispettosa e in grado di dare fastidio 158. Nel contesto penalistico si è talvolta tracciato il confine fra espres- sioni tollerabili e non tollerabili attraverso una ricerca ‘ontologica’ di cosa sia satira e cosa invece si collochi al di là di essa, al fine di far derivare da tale ricostruzione effetti sul piano normativo, adottando 157 Così le ha definite il Presidente del Senato della Repubblica; la notizia è re- peribile su http://www.tgcom24.mediaset.it/politica/vignetta-charlie-su-sisma-gras- so-libero-di-dire-che-fa-schifo-_3029174-201602a.shtml. 158 Diritto di satira e libertà di religione godono entrambi di protezione a li- vello costituzionale, e sono pertanto «due beni, dunque, destinati ad una convi- venza mite, senza sopraffazioni dell’uno rispetto all’altro», così COLAIANNI, Dirit- to di satira e libertà di religione, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 5/2008, p. 3. Per una definizione e una panoramica ricostruttiva del genere espressivo della satira, v. RATANO, La satira italiana nel dopoguerra, Messina- Firenze, 1976.   192 Tra sentimenti ed eguale rispetto una concezione ‘deontologica’ della satira 159. Un simile modo di argomentare si caratterizza a nostro avviso per una fallacia che possiamo ricondurre alla violazione della Legge di Hume in senso inverso, ossia come ricostruzione fattuale a partire da un presupposto normativo: sarebbe satira ciò che non viola una certa soglia di continenza e che dunque non offende. Tale modo di proce- dere non consente di scindere adeguatamente i confini identificativi della satira da quelli che debbano essere, eventualmente, i limiti normativi. Come è stato efficacemente osservato: «Alla fine, sembra dunque non si possa fare a meno di accettare che la satira non abbia confini, benché in un senso diverso rispetto a quello che intendono quanti declinano questa tesi come tesi morale libertaria (“la satira non deve avere confini”); nel senso, invece, di una tesi con- cettuale che afferma che la libertà di satira non ha confini certi, poi- ché ci manca la possibilità di realizzare una precisa delimitazione teori- ca, attraverso la quale stabilire in maniera incontrovertibile quando ci si è mossi nell’alveo della libertà di satira e quando invece si è trasceso e si è entrati in un altro terreno, che, per quanto lo si possa continuare a considerare satirico, diventa sanzionabile dall’ordinamento» 160. Ciò non significa postulare una ‘amoralità’ della satira, ma al con- trario pone le condizioni per giudicare in modo distinto il fine dell’espressione satirica dalle modalità con le quali essa si manifesta: il fine positivo della satira non è incompatibile con un umorismo par- ticolarmente caustico tale da essere financo irrispettoso e desacraliz- zante. Quale argomento a sostegno della libertà di satira si è osservato che una politica di tolleranza, e dunque non restrittiva, rappresenti un mi- 159 Si veda ad esempio Trib. Latina, 24/10/2006, n. 1725, cit., quando osserva che «[l]a satira è, dunque, un punto di vista che si distingue dal dileggio, dal vili- pendio, dall’offesa, perché fornisce una lettura diversa della realtà e manifesta un giudizio di valore»; e ancor più netta è Cass. pen., sez. I, 24/02/2006 n. 9246: «La satira, notoriamente, è quella manifestazione del pensiero (talora di altissimo li- vello) che nei tempi si è addossata il compito di ‘castigare ridendo mores’; ovvero, di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene». Per una panoramica sulla giurisprudenza v. FLORIS, Libertà di religione, cit., pp. 183 ss.; INFANTE, Satira: diritto o delitto?, in Dir. inf., 1999, pp. 373 ss.; CAROBENE, Satira, tutela del sentimento religioso e libertà di espressione. Una sfida per le moderne democrazie, in Calumet, 3/2016, pp. 9 ss. 160 DEL BÒ, Col sorriso sulle labbra. La satira tra libertà di espressione e dovere di rispetto, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 7/2016, p. 9.   Fisionomia dell’offesa 193 gliore humus per l’attecchimento di principi fondamentali che hanno una base dialettica e che, ove venissero cristallizzati in una teca al ri- paro da aggressioni, rischierebbero di trasformarsi in dogmi 161. Un simile modo di argomentare è stato definito come ‘utilitarismo delle regole’: l’atteggiamento di chi ha risolto la ‘questione Charlie’ af- fermando sì la presenza di un’offesa, ma optando per il pieno risco- noscimento della libertà di espressione, sarebbe viziato dal fatto che «nel dirigere l’attenzione verso le regole, l’utilitarismo insinua il so- spetto che le conseguenze di un atto (o di una regola) non siano in fondo determinanti per i giudizi e i valori etici di una persona: che lo siano invece le regole in quanto tali, in quanto vengono considerate intrinsecamente giuste, quali che siano le conseguenze della loro appli- cazione» 162. Si può riassumere tale critica anche come un’obiezione di ‘disinte- resse alle conseguenze’: «la sicurezza con la quale [si] proclama [tale ] opinione è totalmente aliena dai calcoli pazienti e minuziosi che sa- rebbero richiesti per sostanziare quella giustificazione (e ne rivela la vanità)» 163. L’argomento definito come ‘utilitarismo delle regole’ è da tenere in seria considerazione anche nella prospettiva giuridica; tuttavia, ciò che agli occhi del filosofo appare come un disinteresse alle conseguenze può rappresentare nella prospettiva penalistica una scelta di prudenza in rapporto a eventi offensivi la cui prevedibilità non appaia supporta- ta da una base nomologica sufficiente a legittimare divieti penali 164. Tenderemmo quindi a ritenere preferibile come opzione ultima la non restrizione della libertà di satira 165, ma al di là dell’atteggiamento 161 DEL BÒ, Col sorriso sulle labbra, cit., p. 22. 162 BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, cit., p. 47. 163 BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, cit., pp. 45 ss. 164 Tutt’altro che risolutivo si rivela anche il ricorso a criteri di selezione delle condotte ben consolidati nel pensiero penalistico e avallati dalla Corte costituzio- nale: ci riferiamo allo schema del pericolo concreto, in merito al quale, come è stato efficacemente rilevato da Alessandro Tesauro, anche la selezione delle pro- prietà universalizzabili del caso concreto da utilizzare come criteri indiziari di una pericolosità effettiva della condotta, costituisce un’attività ‘normativamente compromessa’, nel senso che non porterà comunque a individuare criteri di corri- spondenza suscettibili di verifiche empiriche, ma il ruolo determinante sarà pur sempre giocato da scelte di valore dell’interprete, v. TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., pp. 122 ss. 165 «Ciò che allora deve spingerci a non censurare quelle espressioni satiriche che, pur non istigando alla violenza, mancano gravemente di rispetto ai gruppi deboli e svantaggiati non è una generica libertà di espressione (questo, in alcuni   194 Tra sentimenti ed eguale rispetto prudenziale, riteniamo che la soluzione liberale possa trovare legit- timazione anche attraverso un ragionamento che si richiami al crite- rio dell’eguale rispetto e al bilanciamento fra reciproche pretese. Quando si analizzano i disaccordi in materia di satira religiosa bi- sogna individuare dei presupposti valoriali per impostare la discus- sione, ossia dei compromessi sul cui equilibrio ciascuna delle parti possa avere voce in capitolo: anche «coloro che credono in una reli- gione presa di mira possono dover considerare che il diritto di ridere di qualunque religione può esso stesso essere considerato dagli altri come un articolo di fede» 166. La sostanza di tale argomento è condi- visibile, anche se il percorso concettuale, con una ‘moltiplicazione di articoli di fede’, rischia di tramutarsi in un pendio scivoloso. Eguale rispetto dovrebbe significare preservare la libertà di pro- fessare una religione da un lato, e la fede nella libertà di satira, dal- l’altra: un impegno a far sì che nessun pregiudizio venga arrecato alle due libertà. Ebbene, la pretesa di coloro che chiedono restrizioni alla libertà di satira appare in questo senso sproporzionata poiché mentre vignette ed espressioni anche ‘urticanti’ non arrecano un vero e pro- prio pregiudizio alla libertà del credente e alla sua ‘identità religio- sa’ 167, la pretesa di comprimere la libertà di espressione altrui risulte- rebbe un vulnus sproporzionato. Si potrebbe a questo punto prendere in esame un ulteriore argo- mento, basato sulla maggiore suscettibilità che determinati fedeli, come ad esempio quelli di religione islamica, adducono sostenendo che ogni offesa alla propria religione è anche, intrinsecamente, un’of- fesa alla dignità delle persone che la professano168. Ebbene, quale spazio di legittimità può essere riconosciuto a tale obiezione? Abbiamo introdotto il problema parlando della suscettibilità sog- casi, come abbiamo visto, è sbagliato) e nemmeno il fatto che quelle espressioni contribuiscano in qualche modo al raggiungimento della “verità” (in molti casi, questo è falso); piuttosto, a caldeggiare una politica di tolleranza nei loro con- fronti è il fatto che consentono ai principi che ci sono cari di difendersi sempre meglio e mantenersi vivi e tonici, e con essi il tipo di società nella quale aspiriamo a vivere», v. DEL BÒ, Col sorriso sulle labbra, cit., p. 23. 166 TELFER, Umorismo ed eguale rispetto, in AA.VV., a cura di Carter-Galeotti- Ottonelli, Eguale rispetto, Milano, 2008, p. 212. 167 Utilizzo tale concetto nell’accezione sviluppata da PINO, Sulla rilevanza giu- ridica e costituzionale dell’identità religiosa, in Ragion pratica, 2/2015, p. 370, ossia come «l’insieme delle credenze, dei valori, delle appartenenze che un individuo ha in materia specificamente religiosa», e dunque come aspetto specifico della sfera della coscienza.  168 WALDRON, The Harm in Hate Speech, cit., pp. 132 ss.  Fisionomia dell’offesa 195 gettiva nella trattazione di Joel Feinberg; in questo caso il discorso è però differente, poiché riguarda non la suscettibilità di un singolo soggetto, ma di un gruppo: l’interrogativo è se si tratti di una vulne- rabilità meramente emozionale o se, diversamente, sia anche ricon- ducibile a una particolare debolezza sociale del gruppo. Con riferimento a tale seconda ipotesi, esponiamo le tesi di due Autori già incontrati nel corso dell’indagine. Da un lato, Avishai Margalit osserva che «[u]n gruppo vulnerabile, con una storia di umiliazione e sospetto da parte di coloro che lo cir- condano, specialmente da parte della cultura dominante, è suscettibi- le di interpretare ogni critica come umiliazione» 169; Jeremy Waldron tematizza il problema senza richiamare l’eventuale debolezza di un gruppo, ma incentrando il discorso sulla totale identificazione fra soggetto e ideologie/credenze. Di fronte all’interrogativo sul peso che possa essere riconosciuto alla percezione soggettiva nel caso di gruppi vulnerabili, e dunque al- la rilevanza della vulnerabilità nell’interpretazione dell’offensività di un’espressione, le posizioni di Margalit e Waldron divergono: biogra- fia personale e matrici culturali sono fattori che probabilmente in- fluiscono su prese di posizione concernenti ‘scelte ultime’170, la cui argomentazione in termini razionali è particolarmente difficoltosa. Il filosofo israeliano propone i seguenti criteri di soluzione: 1) un primo criterio, basato sulla reciprocità secondo cui dovreb- be essere considerato critica qualunque cosa si desideri offrire ad al- tri e che si accetterebbe ove venisse offerta a noi stessi 171; 2) un secondo criterio, in favore dell’interpretazione del gruppo vulnerabile, si lega alla «necessità morale di far pendere la bilancia dell’errore nell’interpretazione verso la parte del debole», e va però bilanciato da un altro principio secondo cui «qualunque cosa fosse considerata critica piuttosto che umiliazione se avvenisse “in fami- glia”, cioè all’interno del gruppo, dovrebbe pure essere considerata tale se proveniente dall’esterno del gruppo» 172. Diversamente da Margalit, il quale dunque non esclude una carità interpretativa a favore dei gruppi vulnerabili, Waldron rimarca la ne- cessità di non assecondare normativamente pretese avanzate in forza di un’identificazione fra persona e ideali religiosi o politici: richieste 169 MARGALIT, La società decente, cit., p. 201. 170 Traggo questo concetto da BOBBIO, L’età dei diritti, Torino, 2011, p. 245. 171 MARGALIT, La società decente, cit., p. 201. 172 MARGALIT, La società decente, cit., pp. 202 s.   196 Tra sentimenti ed eguale rispetto di tutela di questo tipo sono da considerarsi esorbitanti in un conte- sto pluralista. Vi è l’esigenza di una limitazione delle pretese sogget- tive, pur tenendo conto che il legame identificativo fra individuo e ideali può essere così intenso da essere assimilabile a una ‘seconda pelle’; ma ciò non può giustificare sul piano politico provvedimenti normativi che limitino le libertà di tutti per preservare la serenità in- teriore di alcuni 173. Sintetizzando: sia Margalit sia Waldron concordano sulla necessi- tà di prendere atto che determinate espressioni meritino una partico- lare attenzione da parte del diritto poiché possono esorbitare dall’or- dinario range della critica e del mero insulto e divenire forme di umi- liazione e discriminazione della persona. Per Margalit il discrimine fra insulto e umiliazione può essere diverso a seconda del tipo di de- stinatari in quanto di fronte a un gruppo cosiddetto ‘vulnerabile’ l’interpretazione delle espressioni dovrebbe essere condotta tenendo conto anche, eventualmente, della peculiare sensibilità; secondo Wal- dron tale differenziazione non è mai normativamente giustificabile e si presterebbe a divenire un problematico moltiplicatore di divieti sulla base di pretese soggettivistiche. Concordiamo con Waldron che l’identificazione fra critica a fedi e valori e offesa alla persona, rappresenti un argomento knock-out che sbilancerebbe le posizioni in gioco. Il credente il quale esige che i propri principi non vengano mai irrisi, adducendo che ciò significhe- rebbe automaticamente offendere lui come persona, sta implicita- mente cercando di sottrarre le proprie posizioni assiologico-religiose dal dibattito, ponendosi in questo senso in una posizione di supre- mazia, limitando la libertà di espressione altrui secondo criteri che non sono confutabili poiché si sottraggono per definizione a ogni ti- po di confronto. La prova di tale incommensurabilità fra posizioni emerge in rela- zione a un ulteriore test secondo il quale dovrebbe essere ritenuta of- fensiva un’espressione che nessun membro del gruppo avrebbe rite- nuto divertente 174, anche se a pronunciarla fosse stato uno del grup- po stesso. Tale test trascura a nostro avviso un dato fondamentale, ossia che i conflitti fra sensibilità nascono proprio dal fatto che vi possono es- sere gruppi che non accettano un certo modo di fare ironia tout court; non è un problema di qualità della satira, ma semplicemente la 173 WALDRON, The Harm in Hate Speech, pp. 131 ss. 174 TELFER, Umorismo ed eguale rispetto, cit., pp. 210 ss.   Fisionomia dell’offesa 197 satira su certi temi potrebbe non essere ritenuta mai ammissibile. Un test di questo tipo non appare ad esempio risolutivo se applicato alle vignette sul Profeta Maometto poiché la religione islamica non sem- bra tollerare alcun tipo di ironia in questo senso. Bisogna dunque prendere atto che tali test sono poco funzionali quando pretendono di mettere a confronto pretese fra loro incompatibili poiché ricondu- cibili a gruppi che non si riconoscono nei medesimi valori. L’analisi filosofica di Ermanno Bencivenga è in questo senso spie- tata quando osserva che dal fedele di qualsivoglia religione non si può esigere un atteggiamento lassista e compromissorio sul rispetto della propria fede. Il carattere radicale del vincolo è tale per cui l’al- trui libertà di satira non potrebbe mai essere ritenuta tollerabile 175. In definitiva, il tema dell’identificazione fra soggetto e credenze spinge verso esiti illiberali: pretese modulate su una simile rigidità non possono essere accolte in un contesto pluralista, nel quale un in- teresse, pur di rango elevato, va comunque calato in una prospettiva di bilanciamento 176. Sintetizzando, la risposta all’interrogativo sulla libertà di satira, anche quando consista in vignette dissacranti come quelle pubblicate in Danimarca e come alcune di quelle pubblicate dal settimanale Charlie Hebdo, deve essere a nostro avviso positiva: nessuna rilevanza penale secondo l’attuale normativa italiana, ma anche nessuna futu- ribile prospettiva di censura. Attenzione però a non fare della satira un dogma 177: parlare di ‘li- bertà di deridere’ 178 è una formula schietta ma che rischia di prestar- si a distorsioni. Esprimersi a favore della libertà di satira non signifi- ca ritenerla insindacabile; da un lato il riconoscere l’irrispettosità del- la satira può non essere elemento sufficiente per inferirne l’opportu- nità di una criminalizzazione; dall’altro l’irrilevanza penale non im- plica la certificazione di un buon uso della libertà di espressione 179. 175 BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, cit., pp. 86 ss. 176 Cfr. PINO, Sulla rilevanza giuridica e costituzionale dell’identità religiosa, cit., pp. 372, 381. 177 Concordiamo in questo senso con CANESTRARI, Libertà di espressione e liber- tà religiosa, cit., p. 936. 178 TELFER, Umorismo ed eguale rispetto, cit., p. 212. 179 Problema che si riconnette al più ampio tema dei valori e di un’etica della convivenza le cui polarità non dovrebbero essere determinate dalle dicotomie del- la liceità e illecità penale: «un’etica non legale e non penalistica di comportamen- to», come condivisibilmente osservato da DONINI, Il diritto penale come etica pub- blica, Modena, 2014, p. 13.   198 Tra sentimenti ed eguale rispetto Non appare opportuno diffondere a livello comunicativo formule come ‘libertà di offesa’ o ‘diritto di offendere’, mentre è bene riflettere su come gestire da un punto di vista sociale e comunicativo quelle che possono essere definite ‘offese tollerabili’, o meglio offese che i cittadini devono (imparare a) tollerare. La liceità dell’irrispettosità umoristica lascia aperto il problema di una ricostituzione del rispetto reciproco, di luoghi simbolici in cui possa essere offerta una compensazione a offese che, come nel caso delle reli- gioni, toccano strati profondi della persona. Riconoscere che le vignette di Charlie Hebdo possano ferire e abbiano offeso credenti di religione islamica non significa avallare la bestialità omicida dei terroristi, né comporta quale immediata implicazione quella di invocare lo strumento penale quale saracinesca. È però un punto importante per avviare un riconoscimento a soggetti che abbiano avvertito soggettivamente un’umi- liazione per la derisione ai propri simboli, anche in virtù del fatto che si tratta di appartenenti a gruppi deboli o comunque a minoranze180, nei confronti dei quali l’irrisione satirica può comunque rappresentare una forma di amplificazione della disuguaglianza di status sociale. 8. Le norme sulla propaganda razzista in Italia: quale spazio a sentimenti? Sentimenti, pari dignità e discriminazione rappresentano concetti che concorrono a identificare il retroterra delle norme sulla propaganda razzista, ossia lo hate speech a sfondo razziale che in Italia è incriminato 180 Si è osservato che l’impatto sociale dell’irrispettosità satirica e la conse- guente tollerabilità della satira dovrebbe essere correlata alla categoria di soggetti sui quali la satira va a incidere: massima libertà ove l’irrisione si rivolga a soggetti che hanno una posizione di supremazia a livello sociale, mentre più problematico appare il caso in cui si faccia satira nei confronti di categorie deboli, specie fa- cendo leva su stereotipi e luoghi comuni. Questo criterio, definito come frutto di una «precomprensione egualitaria del discorso pubblico», v. CARUSO, La libertà di espressione in azione, cit., p. 283, appare in definitiva un bilanciamento tra il fine morale della satira e la sua ‘moralità interna’, vista attraverso l’egida assiologica del principio di uguaglianza. Per un interessante commento a una pronuncia del- la Corte Edu che, tramite l’art. 17 CEDU ha respinto il ricorso per violazione dell’art. 10 a seguito della condanna di un noto comico francese per uno spettaco- lo satirico sull’Olocausto, v. PUGLISI, La satira “negazionista” al vaglio dei giudici di Strasburgo: alcune considerazioni in «rime sparse» sulla negazione dell’Olocausto, in www.penalecontemporaneo.it, 2/2016, pp. 1 ss.   Fisionomia dell’offesa 199 ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), della legge n. 654 del 1975 181. Cominciamo a interrogarci su quale sia l’effettivo rilievo del sen- timento nel richiamo all’odio quale elemento di fattispecie dell’art. 3 della suddetta legge, il cui presupposto è la sussistenza di un’idea di- scriminatoria fondata sulla diversità determinata da una pretesa su- periorità razziale o da odio etnico 182. Ad una prima lettura emerge come nel corpo della disposizione normativa il sentimento non definisca l’oggetto di tutela, bensì rappre- senti la nota caratterizzante il tipo di espressioni che la legge intende vietare. La prospettiva appare invertita rispetto alle norme che abbia- mo precedentemente analizzato con riferimento agli altri ‘sentimenti- valori’ menzionati nel codice: piuttosto che parlare di tutela di senti- menti, l’assetto delle norme tratteggia una tutela da sentimenti, in rap- porto alla quale l’odio rappresenta lo stato affettivo da ‘disinnescare’ 183. 181 In un’ottica più ampia, sono pertinenti al discorso d’odio a sfondo razziale anche altre norme: l’apologia di genocidio di cui all’art. 8 della legge n. 962 del 1967 e le disposizioni della c.d. ‘Legge Scelba’ che aggravano la cornice sanziona- toria per l’apologia di fascismo nel caso in cui venga realizzata attraverso ‘idee e metodi razzisti’. Nella letteratura penalistica, v. AA.VV., a cura di Riondato, Di- scriminazione razziale, xenofobia, odio religioso. Diritti fondamentali e tutela pena- le, cit.; DE FRANCESCO, Commento a D.L. 26/4/1993 n. 122 conv. con modif. dalla l. 25/6/1993 n. 205 – Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica, religiosa, in Leg. pen., 1994, pp. 179 ss.; FRONZA, Osservazioni sull’attività di propa- ganda razzista, in Riv. int. dir. dell’uomo, 1997, pp. 32 ss.; VISCONTI C., Il reato di propaganda razzista, cit., pp. 191 ss. 182 Per una panoramica sulle applicazioni della normativa v. PAVICH-BONOMI, Reati in tema di discriminazione: il punto sull’evoluzione normativa recente, sui principi e va- lori in gioco, sulle prospettive legislative e sulla possibilità di interpretare in senso con- forme a Costituzione la normativa vigente, in www.penalecontemporaneo.it, 10/2014, pp. 1 ss.; FERLA, L’applicazione della finalità di discriminazione razziale in alcune recenti pronunce della Corte di Cassazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 4/2007, pp. 1455 ss. 183 Evidenzia la peculiarità delle incriminazioni contro la diffusione e l’incita- mento all’odio, rispetto al problema generale della cosiddetta ‘tutela penale di sen- timenti’, anche ALONSO ALAMO, Sentimientos y derecho penal, cit., pp. 59 ss. In realtà, secondo le indicazioni che emergono principalmente in ambito anglo-americano, va considerato che l’uso del termine odio, oltre a essere approssimativo, appare er- rato: «[w]hat has become clear is that the word ‘hate’ is really a misnomer. An of- fender need not actually hate his victim in order to have committed a ‘hate crime’; indeed he may feel no personal hatred towards that particular individual at all», v. WALTERS, Hate Crime and Restorative Justice, Oxford, 2014, p. 6; cfr. PAREKH, Is There a Case for Banning Hate Speech?, in AA.VV., ed. by Herz-Molnar, The Content and the Context of Hate Speech, cit., p. 40. Si veda anche PERRY, A Crime by Any Oth- er Name, cit., pp. 127 ss. Il concetto di ‘crimine d’odio’ sconta oltretutto un’indeter- minatezza di fondo: si tratta di una definizione cosiddetta ‘ostensiva’, ossia che pro- cede non attraverso un’esaustiva esplicazione del definiens (l’odio), ma attraverso   200 Tra sentimenti ed eguale rispetto Tale precisazione non risolve ma rilancia l’interrogativo se dietro le norme sulla propaganda razzista si ponga effettivamente un pro- blema di sentimenti negativi. Nelle pronunce della giurisprudenza italiana, la maggior parte del- le quali relative all’applicabilità della circostanza aggravante (art. 3, d.l. n. 122/1993), la risposta è negativa, in quanto è decisamente pre- valente l’orientamento che interpreta il requisito dell’odio non come tratto affettivo del soggetto attivo, bensì come sfondo valoriale dei contenuti espressivi e simbolici legati alle condotte 184. Come osservato dalla Corte di Cassazione: «non può considerarsi sufficiente che l’odio etnico, nazionale, razziale o religioso sia stato, più o meno riconoscibilmente, il sentimento che ha ispirato dall’interno l’azione delittuosa, occorrendo invece che que- sta, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto nel quale si colloca, si presenti come intenzionalmente diretta e almeno poten- zialmente idonea a rendere percepibile all’esterno ed a suscitare in al- tri il suddetto, riprovevole sentimento o comunque a dar luogo, in fu- turo o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discri- minatori per ragioni di razza, nazionalità, etnia o religione» 185. una individuazione del definiendum (l’esempio concreto) il quale viene successiva- mente ricollegato al definiens. Si tratta delle cosiddette definizioni mediante esempi, suscettibili di convogliare istanze normative e culturali che tendono a ricondurre all’odio azioni e condotte le più diverse: «[c]lassificare un gesto criminale come crimine d’odio è compatibile in quest’ottica con un’ampia gamma di stati psicologi- ci, dalla rabbia alla noia, alla paura; perché non parlare, allora, di “crimini di rab- bia”? [...] Nascosto dietro al concetto di crimine d’odio sembra dunque esserci un altro significato culturale dell’odio, ossia ciò che motiva gesti di violenza insensata (normativamente ingiustificati) [...] l’insistenza sul termine “odio” in una data si- tuazione, più che un fatto descrittivo, è il riflesso dell’impegno normativo a identifi- carsi con le sventure della vittima e a prendere le distanze dal punto di vista dell’aggressore», v. ROYZMAN-MCCAULEY-ROZIN, Da Platone a Putnam: quattro modi di pensare all’odio, cit., p. 16. 184 Cass. pen., sez. V, 17/11/2005, n. 44295; si vedano, ex plurimis, Cass. pen., sez. V, 12/06/2008, n. 38217; Cass. pen., sez. V, 23/09/2008, n. 38591. Un diverso orientamento si pone a sostegno di un’applicazione più ampia, e in particolare estesa a comprendere anche situazioni in cui vi sia solo la presenza di soggetto attivo e vittima: «Non è, dunque, richiesta la plateale ostentazione di tali motiva- zioni sì da ingenerare il rischio di reiterazione di analoghi comportamenti, essen- do sufficiente che l’azione rechi, in sé, le prescritte connotazioni, immediatamen- te percepibili nel contesto in cui è maturata, avuto riguardo al comune sentire ed alla comune accezione dell’espressione usata» v. Cass. pen., sez. V, 11/07/2006, n. 37609; ulteriori pronunce sono analizzate in PAVICH-BONOMI, Reati in tema di di- scriminazione, cit., pp. 24 ss.  185 Cass. pen., sez. V, 17/11/2005, n. 44295; cfr. Cass. pen., sez. I, 28/02/2001, n. 341.  Fisionomia dell’offesa 201 L’orientamento della giurisprudenza italiana sembra aderire alla concezione dello hate speech come fattore in grado di alterare in ne- gativo il clima sociale e di inoculare il germe della discriminazio- ne186. Non viene riservato spazio allo stato soggettivo dell’agente né alla verifica di un’effettiva diffusione del pensiero razzista e di un ‘contagio emotivo’, adottando un modello di intervento basato sul pe- ricolo astratto 187 e orientato alla tutela della dignità umana 188. Un’eloquente evocazione dei sentimenti la troviamo invece in una pronuncia ormai datata, relativa alla legge 9 ottobre 1967 n. 962 (at- tuazione della Convenzione internazionale per la prevenzione e la re- pressione del crimine di Genocidio), e in particolare all’art. 8 che in- crimina l’istigazione e l’apologia di genocidio 189. Ebbene, nel 1985 la Corte di Cassazione ebbe a definire la ratio di tutela del reato di pro- paganda come contrasto della «intollerabile disumanità [...] odioso culto dell’intolleranza razziale che esprime, [...] orrore che suscita nelle coscienze civili ferite dal ri- cordo degli stermini perpetrati dai nazisti e dai calvari tragicamente attuali di talune popolazioni africane e asiatiche. L’idoneità della con- dotta ad integrare gli estremi del reato non è già quella generale di un improbabile contagio di idee e di propositi genocidiari, ma quella più 186 SPENA, La parola(-)odio. Sovraesposizione, criminalizzazione, interpretazione dello hate speech, in Criminalia, 2016, pp. 592 ss.; sul tema, in termini generali, cfr. WALDRON, The Harm in Hate Speech, cit., pp. 4 ss. 187 L’assunto è presente in Cass. pen., sez. III, 23/06/2015, n. 36906. Un’interpre- tazione correttiva è proposta da FRONZA, Osservazioni sul reato di propaganda raz- zista, cit., pp. 60 ss.; cfr., per un differente percorso argomentativo volto a rico- noscere che la propaganda di idee razziste è già di per sé concretamente pericolosa per la dignità della persona, v. PICOTTI, Diffusione di idee razziste ed incitamento a commettere atti di discriminazione razziale, ss., nota a Tribunale Verona, 24/02/2005, n. 2203, in Giur. merito, 9/2006, 9, pp. 1969 ss.; contra, v. SCAFFARDI, Oltre i confini della libertà di espressione, cit., p. 221; più ampiamente, TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., pp. 64 ss. 188 Per tutti v. DE FRANCESCO, Commento a D.L. 26/4/1993 n. 122 conv. con mo- dif. dalla l. 25/6/1993 n. 205, cit., p. 179; cfr. AMBROSETTI, Beni giuridici tutelati e struttura delle fattispecie: aspetti problematici della normativa penale contro la di- scriminazione razziale, in AA.VV., a cura di Riondato, Discriminazione razziale, xenofobia, odio religioso, cit., p. 97; PICOTTI, Istigazione e propaganda della discri- minazione razziale fra offesa dei diritti fondamentali della persona e libertà di mani- festazione del pensiero, in AA.VV., a cura di Riondato, Discriminazione razziale, xenofobia, odio religioso, cit., pp. 134 ss. 189 Sul tema v. CANESTRARI, voce Genocidio, in Enciclopedia giuridica, Roma, 1985, vol. XV, pp. 3 ss.   202 Tra sentimenti ed eguale rispetto strutturalmente semplice di manifestare chiaramente l’incondizionato plauso per forme ben identificate di fatti di Genocidio» 190. Attraverso un lessico ad alto impatto emotivo, la Corte afferma la legittimità dell’incriminazione dell’apologia di genocidio quale argine all’‘orrore che suscita nelle coscienze’. Si tratta del caso più emblema- tico in cui una norma penale italiana finalizzata al contrasto al razzi- smo e alla discriminazione viene declinata alla stregua di una vera e propria tutela di sentimenti; un profilo che è stato puntualmente, an- corché sinteticamente, messo in evidenza nei commenti critici della dottrina dell’epoca, che ne ha rilevato altresì la profonda distonia con i principi enunciati dalla Corte costituzionale in tema di apologia ed istigazione, del tutto disattesi dalla pronuncia della Cassazione 191. Tale orientamento rimane un caso isolato nell’ambito della esigua giurisprudenza, e viene espressamente sconfessato dall’unica pronun- cia successiva, ad opera della Corte di Assise di Milano che ne confu- ta l’intero impianto motivazionale al fine di restringere l’operatività della norma alle sole ipotesi in cui l’apologia sia una «forma di istiga- zione indiretta, caratterizzata dalla nota interna che in essa l’induzio- ne alla commissione di un certo fatto si realizza attraverso l’esalta- zione di un fatto analogo» 192. 8.1. Il discorso razzista fra estremismo politico e insulto discri- minatorio Veniamo infine ad analizzare alcuni profili di ermeneutica del fat- to che ricorrono nell’analisi della casistica sul discorso razzista. La giurisprudenza specifica che affinché siano integrati gli estremi del- l’espressione discriminatoria deve trattarsi di «consapevole esterio- rizzazione di un sentimento di avversione o di discriminazione fon- data su di un pregiudizio» 193: ma cosa consente di distinguere a livel- lo ‘esteriore’ una critica da un pregiudizio? 190 Cass. pen., sez. I, 29/03/1985, n. 507, in Foro it., 1986, II, p. 22. La vicenda è relativa all’esposizione di striscioni inneggianti all’Olocausto durante una manife- stazione sportiva: ‘Mathausen reggia degli ebrei’, ‘Una cento mille Mathausen’, ‘Hitler l’ha insegnato, uccidere l’ebreo non è reato’. 191 FIANDACA, nota a Cass. pen., sez. I, 29/03/1985, n. 507, in Foro it., 1986, II, p. 21. 192 Corte di Assise di Milano, 14/11/2001, in Ius explorer. 193 Cass. pen., sez. V., 11/07/2006, n. 37609.   Fisionomia dell’offesa 203 Nelle applicazioni della norma sulla propaganda razzista la giuri- sprudenza ha più volte adoperato il criterio basato sulla distinzione fra considerazioni che fanno leva sulla diffusione di determinati com- portamenti presso determinate etnie, e l’offesa all’etnia tramite inde- bite generalizzazioni. Risultano particolarmente problematiche le vicende riguardanti contesti di dialettica politica, nei quali è frequente il ricorso a stereo- tipi che, a seconda delle circostanze, possono assumere le vesti di veri e propri pregiudizi discriminatori. Il processo ai leghisti di Verona rappresenta un significativo leading case: sinteticamente, il fatto ri- guarda l’iniziativa di alcuni consiglieri comunali finalizzata a manda- re via gli zingari dal comune scaligero attraverso un coinvolgimento della popolazione allertata da un volantino che recitava ‘No ai campi nomadi. Firma anche tu per mandare via gli zingari’ 194. Fra le diverse questioni affrontate dai giudici, è importante ai fini della presente indagine rilevare quanto osservato dalla Corte di Cas- sazione in occasione dell’ordinanza di annullamento con rinvio: «La discriminazione [...] si deve fondare sulla qualità del soggetto (zingaro, nero, ebreo, ecc.) e non sui comportamenti. La discrimina- zione per l’altrui diversità è cosa diversa dalla discriminazione per l’altrui criminosità. In definitiva un soggetto può anche essere legitti- mamente discriminato per il suo comportamento ma non per la sua qualità di essere diverso» 195. Tale trend interpretativo rimane costante nella giurisprudenza successiva avente ad oggetto le dichiarazioni di soggetti politici nel- l’ambito dell’attività istituzionale e della campagna elettorale 196. Emer- gono tuttavia notevoli criticità in una recente pronuncia della Corte di Cassazione riguardante una condanna della Corte di Appello di Trieste per un volantino di promozione elettorale stampato e diffuso in occasione delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, il quale secondo i giudici di merito 194 Un riassunto della vicenda in CARUSO, Dialettica della libertà di espressione: il “caso Tosi” e la propaganda di idee razziste, in AA.VV., a cura di Tega, Le discri- minazioni razziali ed etniche. Profili giuridici di tutela, Roma, 2011, pp. 133 ss.; si veda anche VISCONTI C., Il reato di propaganda razzista, cit., pp. 193 ss. 195 Cass. pen., sez. III, 28/03/2008, n. 13284. 196 Cass. pen., sez. I, 22/11/2012, n. 47894; Cass. pen., sez. III, 23/06/2015, n. 36906.   204 Tra sentimenti ed eguale rispetto «propagandava idee fondate sulla superiorità di una razza rispetto alle altre e sull’odio razziale, facendo ricorso, in particolare, allo slogan “basta usurai – basta stranieri” con sottinteso, ma evidente riferimen- to a persona di religione ebraica ed esplicito riferimento a persone di nazionalità non comunitaria e, sul retro del volantino, alla rappresen- tazione grafica esplicativa dello slogan di un’Italia assediata da sogget- ti di colore dediti allo spaccio di stupefacenti, da un Abramo Lincoln attorniato da dollari, da un cinese produttore di merce scadente, da una donna e un bambino Rom sporchi e pronti a depredare e da un soggetto musulmano con una cintura formata da candelotti di dinami- te pronti per un attentato terroristico» 197. La Corte di Cassazione dispone l’annullamento senza rinvio per- ché il fatto non sussiste, argomentando proprio sulla base dell’asse- rita differenza del caso trattato rispetto alla condanna dei leghisti ve- neti, nel quale, secondo la Corte, appariva invece palese la discrimi- nazione degli zingari per il solo fatto di essere tali, in quanto il do- cumento diffuso non indicava alcuna plausibile ragione a sostegno dell’allontanamento, mentre il diverso caso in esame, «ad avviso del Collegio, in maniera alquanto grossolana, vuole veicola- re un messaggio di avversione politica verso una serie di comporta- menti illeciti che, con una generalizzazione che appare una forzatura anche agli occhi del destinatario più sprovveduto, vengono attribuiti a soggetti appartenenti a determinate razze o etnie: il cinese che vende prodotti contraffatti, l’uomo di colore che spaccia stupefacenti, la rom che tenta di rapire il bambino, l’arabo che si fa esplodere in un atten- tato terroristico. E poi Abramo Lincoln, con i suoi dollari, a rappre- sentare la finanza e le banche, probabilmente da mettere in relazione alla scritta “basta usurai”». 197 Cass. pen., sez. III, 23/06/2015, n. 36906: secondo la descrizione riportata in sentenza, «su un lato compariva la propria foto sovrastata dalla scritta “Vota S.”, sotto la quale si leggeva, a grandi caratteri, la frase “BASTA USURAI, BASTA STRANIERI”. Sotto, il simbolo del partito di appartenenza (Destra Sociale – Fiamma Tricolore), con una mano che vi appone una croce e scrive di fianco “ S.”. Più in basso, l’URL del blog del candidato [...]; sull’altro lato, in alto la scritta: “Elezioni Europee 6-7 giugno 2009 DIFENDI L’ITALIA – VOTA S.”. Più sotto, sei caricature che raffigurano: a) un cittadino dai tratti somatici asiatici che vende prodotti “made in China”; b) un Abramo Lincoln con tanti dollari che gli svolaz- zano intorno; c) un uomo di colore che offre droga; d) un arabo con una cintura di candelotti di dinamite pronto a farsi esplodere; e) una donna italiana con un bambino in braccio e, di fianco, una mendicante rom che allunga le mani in dire- zione dello stesso.   Fisionomia dell’offesa 205 Non sono però solo considerazioni legate al merito delle afferma- zioni, definite ‘grossolane’, a far propendere la Corte verso un atteg- giamento di indulgenza, bensì risulta decisiva l’analisi del quadro contestuale e in particolare il particolare clima nel quale si svolgono le competizioni elettorali. Ora, la condivisibile apertura della Corte a una lettura dei fatti il più possibile aperta alla valutazione di tutti i fattori di contesto e alle prassi comunicative, anche quelle meno ortodosse, conferma in pri- mo luogo il carattere storicamente e socialmente condizionato delle soglie di liceità e di tollerabilità del discorso pubblico. Sul merito dell’interpretazione offerta dal Collegio, possiamo rite- nere avverato il vaticinio di Costantino Visconti riguardo l’elevata complessità di scindere, a livello di critica, la persona dal proprio comportamento: la nitidezza della distinzione è solo apparente, in quanto vi sono ambiti in cui il discorrere sulle differenze in rapporto a un contesto pluralistico e multiculturale può condurre a un punto in cui «il profilo della “diversità” in sé e quello dei “comportamenti” costituiscono un tutt’uno, e non è possibile, né verosimilmente avreb- be senso separarli» 198. In relazione a tale profilo, l’argomentazione dei giudici appare frettolosa e superficiale. Ciò che desta a nostro avviso perplessità non è tanto l’esito assolu- torio, il quale, pur opinabile, può trovare ragioni in un complessivo atteggiamento di favor libertatis; sorprende però che sia la stessa Cor- te ad riconoscere che «[s]iamo di fronte, evidentemente, ad un mes- saggio politico che risente di un pregiudizio per cui determinate atti- vità delittuose vengono poste in essere prevalentemente dai membri di determinate etnie». Ebbene, parlare di pregiudizio evoca una connessione immediata con la discriminazione199: come ammonisce Norberto Bobbio, «la conseguenza principale del pregiudizio di gruppo è la discriminazio- ne»200. In altri termini, quanto affermato dalla Corte depone per un 198 VISCONTI C., Aspetti penalistici, cit., pp. 151 ss. Abel osserva che «è impossibile distinguere le espressioni illegittime dall’opportunismo di routine dei politici quando vanno incontro ai pregiudizi popolari», v. ABEL, La parola e il rispetto, cit., p. 98. 199 Il legame tra pregiudizio e discriminazione non deve tuttavia portare a in- ferire automaticamente la sussistenza di un atteggiamento razzista: pregiudizio e razzismo, per quanto connessi, non sono sovrapponibili, ma si tratta di concetti distinti, v. RAVENNA, Odiare, cit., p. 87. 200 Per tutti, BOBBIO, Elogio della mitezza e altri scritti morali, Milano, 2010, pp. 111 ss.   206 Tra sentimenti ed eguale rispetto univoco accostamento delle opinioni del volantino al pensiero di- scriminatorio: sono frutto di pregiudizi razziali. Difficile a questo punto negarne il disvalore, quantomeno se si abbia a cuore un certo rigore concettuale. L’atteggiamento della Corte lascia perplessi, in quanto la circo- stanza legittimante l’esercizio della libertà di espressione è così espli- cata: «si tratta, peraltro, di un pregiudizio che da sempre viene agita- to nelle campagne elettorali al fine di recuperare consenso in situa- zioni locali in cui da parte dell’elettorato viene una richiesta di mag- giore sicurezza» 201. Un’indulgenza indotta dalla consuetudine: ma quale dovrebbe es- sere il ruolo del diritto penale in rapporto a prassi comunicative be- cere? La constatazione di una degradazione del linguaggio e di una brutalizzazione della dialettica in ambito politico è una buona ragio- ne per chiudere un occhio di fronte a casi come quello preso in e- same? La risposta travalica i confini della questione e riporta all’inter- rogativo se il diritto penale debba limitarsi a un’azione di conserva- zione dei valori o possa anche costituire uno strumento di ‘pedagogia sociale’. Resta il dubbio se in questo caso l’atteggiamento della Corte di Cassazione sia da avallare per essersi astenuta dal sindacare il me- rito di un discorso politico, o sia invece da criticare per non aver adeguatamente stigmatizzato la diffusione di pensieri offensivi che essa stessa ha implicitamente ammesso essere frutto di pregiudizi a base razziale. 9. Sinossi La connessione fra tutela di sentimenti e rispetto reciproco risulta particolarmente evidente nella dialettica avente ad oggetto argomenti ad alto tasso emotivo, dove vengono in gioco ‘appartenenze significa- tive’ dell’individuo. Nell’attuale scenario socio-politico del mondo oc- cidentale gran parte dei conflitti orbitano intorno al tema dell’appar- tenenza etnica, della fede religiosa, della identità e pari dignità ses- suale. Fra le ragioni dell’effetto emotigeno vi è il fatto che nel discorso 201 Tale principio viene esplicitato anche in Cass. pen., sez. III, 13/12/2007, n. 13234.   Fisionomia dell’offesa 207 concernente le appartenenze possono emergere problemi di mancato riconoscimento dell’altro e di categorizzazioni denigratorie. Ne deri- va l’esigenza di distinguere fra espressioni di mera critica o irrisione, pur emotivamente fastidiose ma comunque espressione della libertà del dissenso, da forme di diniego del riconoscimento: la priorità poli- tica è la dimensione del rispetto definita ‘rispetto-riconoscimento’, diversa dal ‘rispetto-stima’. L’eguale rispetto-riconoscimento costituisce la ricaduta relaziona- le più immediata del valore della dignità umana. Per quanto tale ri- chiamo possa risultare problematico agli occhi del penalista, esso rappresenta comunque una bussola assiologica se ci si impegni a modularne l’uso attraverso una lettura non metafisico-concettuali- stica ma volta a identificarne le proiezioni relazionali ed esistenziali, ad esempio attraverso la cosiddetta ‘teoria delle capacità’ elaborata da Martha Nussbaum. Il non facile obiettivo di bilanciare istanze di libertà e richieste di rispetto porta a identificare un livello minimo di protezione il quale sembra poter coincidere con l’esigenza di non essere umiliati e poter essere trattati come persona dignitosa il cui valore eguaglia quello al- trui. Nell’approfondimento del concetto di ‘umiliazione’, viene rimarca- ta l’esigenza di distinguere fra espressioni di insulto ed espressioni che umiliano. La distinzione, comunque afferrabile sul piano concet- tuale, appare sfumare nei suoi contorni essenziali al momento delle applicazioni in ambito giuridico: il processo interpretativo dipende in larga misura dall’ermeneutica del fatto, ossia dai diversi significati che determinate espressioni possono assumere a seconda dei contesti e dei soggetti coinvolti, e si espone a precomprensioni e a usi poco sorvegliati di inferenze logiche e valoriali. Un rapido riscontro relativo alle norme italiane a tutela del senti- mento religioso e della pari dignità mostra come il richiamo a senti- menti sia residuale nelle argomentazioni della giurisprudenza: pre- sente in minima parte nelle forme di vilipendio, comunque ancorate a un modello di tutela incentrato sulla religione piuttosto che sulla dignità del credente, e assente con riguardo alla normativa sul di- scorso razzista. Un ambito, quest’ultimo, nel quale meritano partico- lare attenzione, quale esempio di ermeneutica del fatto, le argomen- tazioni elaborate per tracciare la linea di confine fra discorso politico ‘estremo’ e discorso discriminatorio.   208 Tra sentimenti ed eguale rispetto  CAPITOLO VI DILEMMI SOMMARIO: 1. ‘Tutela di sentimenti’: una formula a più significati. – 1.1. Oltre la prospettiva penalistica: ‘cura dei sentimenti’ come sfida fondata sulle libertà. – 1.2. Tutela da sentimenti. – 2. ‘Idealtipi antropologici’ e realtà umana dei con- flitti. – 2.1. Dissensi ed estremismo. – 3. Quale ruolo per il diritto penale? – 3.1. Il ‘tormentato’ pensiero della dottrina penalistica. – 3.2. Precetti ‘pedago- gici’? – 4. Sinossi. 1. ‘Tutela di sentimenti’: una formula a più significati Cerchiamo di riannodare le fila di un discorso che ha preso le mosse dall’esigenza di riservare attenzione ai rapporti fra sentimenti, emozioni e diritto penale non solo come problema esegetico-inter- pretativo ma, più radicalmente, come coordinata per la riflessione sull’essere e sul dover essere del diritto penale. L’osservazione di Mar- tha Nussbaum posta in epigrafe al I capitolo ci ricorda che uno sguardo alla dimensione affettiva è fondamentale per non perdere di vista il substrato umano dei problemi e soprattutto gli aspetti di vul- nerabilità della persona che possono motivare il ricorso allo strumen- to giuridico. Parlare di tutela di sentimenti rimanda al problema del rispetto per le diversità coesistenti nella società pluralista: alla varietà di pre- ferenze e di assiologie personali. Il sentimento viene in gioco non semplicemente come stato psicologico, ma in termini normativi qua- le richiamo metonimico al ‘tutto della persona’ e al valore di cui sen- timenti ed emozioni rappresentano il correlato fenomenico, ossia la personalità e l’‘unicità’ del singolo. L’eventuale orizzonte di tutela dovrebbe in questo senso focaliz- zarsi non su risvolti contenutistici di stati affettivi o su oggetti (ideali, concezioni, fedi) caratterizzati da peculiari connotazioni valoriali, ma assumere a riferimento eventuali attacchi alla persona che adope-  210 Tra sentimenti ed eguale rispetto rino strumentalmente il sentimento (rectius, il modo d’essere e l’iden- tità dell’individuo) come fattore degradante per la negazione della pa- ri dignità 1. Abbiamo individuato nell’eguale e reciproco rispetto-riconosci- mento l’atteggiamento che meglio si presta a definire sia il dover es- sere dei rapporti fra singoli, sia la tendenziale equidistanza che do- vrebbe caratterizzare eventuali interventi normativi 2. Sarebbe corretto parlare di eguale rispetto come ‘bene giuridico’, per riportare il discorso sul piano dei concetti endopenalistici? Al di là della scarsa risolutività che una tale formula assumerebbe sul pia- no teoretico, la sostanza dei problemi appare diversa: in primo luogo il rispetto non definisce un oggetto di tutela a sé stante ma si pone piuttosto come parametro per valutare sia i rapporti tra singoli sia la qualità di eventuali risposte normative che abbiano come riferimento finalistico la tutela della persona. In secondo luogo, quando si analizzano le dimensioni sociologica, psicologica e filosofica del rispetto emerge una complessità che non appare comprimibile e ‘isolabile’ nell’involucro concettuale che si è soliti definire ‘bene giuridico’3. Possiamo sì parlare di ‘diritto al ri- 1 Cfr. PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale, cit., p. 44. 2 Nelle moderne democrazie liberali, le ricadute effettuali del valore del rispet- to-riconoscimento coinvolgono due differenti profili. In primo luogo l’atteggia- mento dello Stato verso i cittadini: il rispetto-riconoscimento è da intendersi co- me aspetto complementare del principio di eguaglianza, indicando l’approccio che la normazione statuale dovrebbe assumere nei rapporti con le diverse voci dello scenario pluralista e nelle dinamiche fra maggioranze minoranze: «l’eguale rispetto appare in questa luce come una generalizzazione della dignità e dell’ono- re [...] è come l’esito di un processo di costituzione di una comunità di pari, di una comunità di mutuo riconoscimento: la comunità dell’eguale status di cittadi- nanza» v. VECA, Dizionario minimo. Le parole della filosofia per una convivenza democratica, Milano, 2009, p. 123; per uno studio sul tema delle discriminazioni attuate verso individui o gruppi mediante lo strumento giuridico, v. SALARDI, Di- scriminazioni, linguaggio e diritto. Profili teorico-giuridici, Torino, 2015, pp. 105 ss.; per un quadro, e un’analisi critica, di interventi normativi nel contesto italia- no che sembrano potersi definire come ‘discriminatori’, v. BARTOLI C., Razzisti per legge. L’Italia che discrimina, Roma-Bari, 2012, pp. 61 ss.; per un approfondimen- to sull’atteggiamento della Corte costituzionale in rapporto a questioni in cui so- no venuti in gioco profili di discriminazione, v. DODARO, Uguaglianza e diritto pe- nale, cit., pp. 30 ss.; 382 ss. 3 Sono numerose le voci che nella dottrina italiana hanno constatato la crisi di tale costrutto teorico. In termini generali v., per tutti, FIANDACA, Sul bene giuridi- co, cit., pp. 145 ss.; in relazione a profili più specifici è stato acclarato il «ruolo di strumento metodologico di chiarificazione concettuale più che di base cogente- mente normativa delle scelte di criminalizzazione», così PALAZZO, Tendenze e pro-   Dilemmi 211 spetto’ per descrivere l’interesse della persona a non essere offesa, ma si tratta di una formula da prendere con cautela e che necessita di specificazioni. Il filosofo Stephen Darwall osserva che rispettare un individuo si- gnifica prendere sul serio le sue richieste e le sue aspettative sul pia- no morale in forza non di un dovere impersonale ed esterno alla rela- zione, bensì in virtù dell’autorità morale che è inerente alla persona stessa, alla quale si deve rispetto per ragioni di uguaglianza (c.d. ‘ri- spetto in seconda persona’). In altri termini, le richieste di rispetto traggono legittimazione morale dalla persona in sé, ed è la persona ad essere destinataria dell’atteggiamento di riguardo fondato sull’ugua- glianza di status nella relazione di reciprocità 4. Di fondamentale importanza è lo sviluppo che Anna Elisabetta Galeotti ha dato al pensiero di Darwall, contribuendo a illuminare la distinzione tra rispetto e diritti. Riportiamo per esteso un importante passaggio: «Quando si dice “tutti hanno diritto di essere rispettati dagli altri” non stiamo parlando di diritto in senso proprio, perché il diritto al rispetto non ha uno specifico contenuto. Certamente di fronte a una violazione di diritti, si dice che il trasgressore non ha rispettato il titolare di dirit- ti. Però non possiamo concludere che il rispetto sia una qualificazione dell’ottemperamento dei diritti tale che, ogni qualvolta una persona fa il proprio dovere verso qualcun altro, il rispetto si manifesta come una qualità intrinseca e inestricabile del dovere morale ottemperato. Non possiamo concludere in quel modo perché, tra le altre cose, non siamo contenti di essere rispettati per dovere. [...] Il fatto è che non solo non vogliamo essere rispettati per un dovere in terza persona, ma neanche spettive nella tutela penale della persona umana, in AA.VV., a cura di Fioravanti, La tutela penale della persona. Nuove frontiere, difficili equilibri, Milano, 2001, p. 405. Altri Autori hanno evidenziato la dissoluzione della funzione critica, sul presup- posto della negazione di una preesistenza dei beni oggetto di tutela alle scelte del legislatore, v. DI GIOVINE O., Un diritto penale empatico?, cit., pp. 75 ss., rimar- cando inoltre l’appannamento della capacità descrittiva del concetto, e suggeren- done una dismissione o un sostanzioso restyling, v. FORTI, Le tinte forti del dissen- so, cit., pp. 1057 ss. Si veda anche PALIERO, La laicità penale, cit., pp. 1184 ss., il quale rimarca il perdurante ruolo di orientamento del ‘bene giuridico’ in rapporto al formante legislativo e giurisprudenziale, pur confermando la crisi sostanziale del costrutto in relazione ai suoi confini. 4 DARWALL, Respect and the Second-Person Standpoint, in 78 Proceedings and Addresses of the American Philosophical Association, 2004, pp. 43 ss. Si è osservato che «il rispetto-riconoscimento è dunque un atteggiamento verso una persona, prima ancora che nei confronti di un’identità gruppale, che reclama azioni non umilianti e non degradanti», così CERETTI-CORNELLI, Oltre la paura, cit., p. 210.   212 Tra sentimenti ed eguale rispetto per uno in seconda persona. Non vogliamo essere rispettati per dovere, punto e basta. In effetti credo che la prospettiva diritti/doveri collassi sempre in qualche forma di morale impersonale che non soddisfa pro- priamente le nostre aspettative circa l’essere rispettati [...] La richiesta reciproca di rispetto pur se avanzata in termine di diritto non può mai essere soddisfatta per dovere, anche se ciascuno di noi ha l’obbligo di ri- spettare gli altri. [...] La mancanza di rispetto non si rimedia attraverso l’imposizione di rispettare gli altri, ma solo attraverso una comprensio- ne autentica di ciò che la richiesta reciproca implica. Solo allora chi ha mancato di rispetto può riparare il suo torto, non già facendo per dove- re qualche atto, ma riconoscendo la propria mancanza e riparando l’offesa con un atto individualizzante di riconoscimento» 5. La natura del rispetto ‘in seconda persona’ implica che il rapporto di reciproco riconoscimento debba avvenire tramite un atto ‘indivi- dualizzante’, la cui sostanza è quella di dare valore morale a un sog- getto considerandolo nella sua concretezza di persona umana, non dunque come mera proiezione di una comune appartenenza di gene- re che prescinde dalle particolarità che lo caratterizzano 6. Un realistico disincanto suggerisce a questo punto una constatazio- ne: il rispetto, inteso come disposizione comportamentale dell’individuo, non è coercibile: «[l]a prospettiva dei diritti e dei doveri è una prospettiva impersonale, che non soddisfa compiutamente le aspettative di ricono- scimento e rispetto morale»7. Non le soddisfa perché se il rispetto deve essere ‘in seconda persona’, un eventuale divieto rappresenta invece una fonte eteronoma di doveri. Un rispetto giuridicamente imposto può es- sere una componente importante negli equilibri della convivenza, ma non esaurisce lo spazio morale delle relazioni e soprattutto non è da considerarsi strumento prioritario da un punto di vista politico. Rispettare le persone, e rispettarsi fra persone è prima di tutto un atto ‘sentito’ che discende da disposizioni soggettive sulle quali influi- scono strumenti di controllo sociale fra i quali può rientrare anche, eventualmente, il diritto penale; ma se prendiamo sul serio la matrice affettiva dell’atteggiamento di rispetto8, e dunque la sua natura an- 5 GALEOTTI, La politica del rispetto, cit., pp. 92 s. 6 Questa diversa prospettiva dell’atteggiamento di rispetto viene approfondita in GALEOTTI, Rispetto come riconoscimento, in AA.VV., a cura di Carter-Galeotti- Ottonelli, Eguale rispetto, cit., pp. 26 ss. 7 PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale, cit., p. 43. 8 BAGNOLI, L’autorità della morale, cit., pp. 21 ss.; MORDACCI, Rispetto, cit., pp. 100 ss.   Dilemmi 213 che di sentimento, ne consegue che l’obiettivo del rispetto per le per- sone discende in primo luogo dalle possibilità di uno sviluppo sogget- tivo di tale sentire 9. Emerge un’importante indicazione per definire il progetto norma- tivo della ‘tutela di sentimenti’: la strategia dei divieti è del tutto resi- duale, certo non prioritaria. Il giurista penale è portato a pensare al concetto di tutela prevalentemente in chiave negativa o ‘difensiva’, come protezione di un dato oggetto da danni o da pericoli, ma si trat- ta di un’accezione che rispetto ai problemi in esame appare limitante, e che è preferibile scorporare in traiettorie differenti. Possiamo individuare una prima prospettiva che declina il concet- to di tutela come agire positivo, un ‘aver cura’ di sentimenti ed emo- zioni nella dimensione sociale, inteso come ‘coltivazione’10 di atteg- giamenti emotivi che favoriscano un clima favorevole al reciproco ri- spetto. 1.1. Oltre la prospettiva penalistica: ‘cura dei sentimenti’ come sfida fondata sulle libertà ‘Cura dei sentimenti’ è un concetto estraneo al tradizionale reper- torio di categorie non solo penalistiche, ma più in generale giuridi- che. Perché si dovrebbe aver cura dei sentimenti nella società con- temporanea? Una eloquente risposta è fornita da Martha Nussbaum in una cri- tica al pensiero liberale, reo di non aver adeguatamente tenuto in con- siderazione sentimenti ed emozioni, vedendoli come destabilizzanti e più confacenti a visioni politiche orientate in senso populista, ai fa- scismi e alle forme dittatoriali 11: «C’è chi pensa che soltanto le società fasciste o “aggressive” siano in- tensamente emotive e che solo tali società abbiano bisogno di coltiva- re emozioni. Sono convinzioni sbagliate e pericolose. [...] Cedere sul terreno delle emozioni, permettere che le forze illiberali vi trovino 9 «Non basta dare l’ordine di farlo perché la gente sia trattata effettivamente con rispetto. Il riconoscimento reciproco va negoziato, e questo vuol dire coinvol- gere in tutta la loro complessità il carattere degli individui tanto quanto la strut- tura sociale», v. SENNETT, Rispetto. La dignità umana in un mondo di diseguali, tr. it., a cura di Turnaturi, Bologna, 2009, pp. 254 s. 10 Traggo questo termine dal lessico di Martha Nussbaum. 11 NUSSBAUM, Emozioni politiche, cit., pp. 7 ss.   214 Tra sentimenti ed eguale rispetto spazio significa dare loro un grosso vantaggio nel cuore delle persone e rischiare che queste pensino ai valori liberali come a qualcosa di noioso e inefficace. Tutti i principi politici, buoni e cattivi, necessitano di supporto emotivo per consolidarsi nel tempo, e ogni società giusta deve guardarsi dalle divisioni e dalle gerarchie coltivando sentimenti appropriati di amore e simpatia» 12. La critica di fondo della studiosa statunitense si può articolare in due profili. Su un piano filosofico, l’ambizione a un liberalismo politico (il quale cioè cerchi di mantenere una tendenziale equidistanza senza promuovere una particolare concezione del bene) avrebbe prodotto teorizzazioni eccessivamente asettiche sul piano dei valori, o comun- que non adeguatamente esplicite nell’affermare il sostegno a un pac- chetto di principi 13. Conseguentemente, l’immagine di un liberalismo troppo preoccu- pato di presentarsi come neutrale14 ha disincentivato la riflessione sulle ragioni delle scelte valoriali degli individui 15, trascurando le emo- zioni e i sentimenti come fattori che influenzano gli atteggiamenti verso i valori. La seconda carenza di fondo è non aver adeguatamente riflettuto sulla ‘psicologia di una società dignitosa’16. Secondo la Nussbaum è fondamentale che una riflessione filosofico-politica prenda le mosse dalla psicologia umana, che cerchi chiavi di comprensione dei com- portamenti per evitare di elaborare teorie fondate su immagini ste- reotipate dell’essere umano. Lo studio delle emozioni e dei sentimen- 12 NUSSBAUM, Emozioni politiche, cit., p. 8 13 Secondo la Nussbaum, quando invece i liberali hanno tentato di addivenire a un liberalismo più ‘comprensivo’, si è arrivati a teorizzare una sorta di ‘religione civile’, ossia pacchetti di principi non adeguatamente inclusivi, bensì escludenti (come esempi vengono riportati la religione civile di Mill e Comte). 14 Nel panorama statunitense la critica al tentativo liberale di mostrarsi come asseritamente neutrale ha avuto ad oggetto anche il pensiero penalistico, visto come del tutto incentrato sul piano funzionalistico e consequenzialistico, e ten- dente non offrire il giusto risalto alla componente valoriale nella definizione del danno e della responsabilità, v. KAHAN, Two Liberal Fallacies, cit., pp. 190 ss. 15 Vedi supra, cap. IV, nota 60. 16 Da tale critica non sono esenti pensatori fra i più importanti della tradizione liberale, con la sola esclusione di John Rawls, al quale si deve, nello studio intito- lato ‘Giustizia come equità’, un fondamentale richiamo alla ‘psicologia morale ra- gionevole’, v. NUSSBAUM, Emozioni politiche, cit., p. 10; cfr. RAWLS, Giustizia come equità. Una riformulazione, tr. it., a cura di Veca, Milano, 2002, pp. 217 ss.   Dilemmi 215 ti si pone in questo senso come passo per identificare matrici di at- teggiamenti di pensiero e di comportamenti che possono rivelarsi problematici, e vieppiù dissonanti, in rapporto ai principi liberali. Il buon uso pubblico delle emozioni costituisce il nucleo di una strategia politica che riconosce al fattore affettivo una peculiare forza normativa e una salienza morale le quali dovrebbero contribuire a dare sostanza e a ‘vivificare’ i principi guida del paradigma liberale 17 attraverso un intelligente stimolo delle coscienze basato su virtuose interazioni con la sfera emotiva18. Si configura in questo senso un vero e proprio progetto culturale volto a ‘reinventare la religione civi- le’ 19, e a rendere la compagine sociale permeabile a emozioni positive al fine di dare al rispetto reciproco una dimensione più pregnante 20. Solo a uno sguardo superficiale la teorizzazione di Martha Nus- sbaum potrebbe risultare accomunabile a una sorta di moralismo au- toritario, come tentativo di porre le fondamenta di un ‘pensiero uni- co’. La studiosa, consapevolmente, ne prende le distanze: «[u]na cul- tura critica vigile è [...] fondamentale per la stabilità dei valori libera- li. Un’intensa cura delle emozioni può coesistere, anche se talvolta a fatica, con la presenza di uno spazio critico aperto» 21. Una simile prospettiva sembra di primo acchito esulare rispetto al campo del diritto penale. In verità essa contiene un messaggio impor- tante anche per la prospettiva penalistica: la ‘cura’ dei sentimenti de- 17 Da questo punto di vista, il percorso additato dalla Nussbaum pare potersi accostare a obiezioni critiche di altri Autori che hanno rimproverato al pensiero liberale un’eccessiva ‘asetticità’: in altri termini, un punto di vista troppo restritti- vo e ‘astensionistico’ dal punto di vista etico, a esclusivo vantaggio della prospet- tiva di giustizia e a detrimento di una riflessione sul bene, sia collettivo sia indivi- duale, v., per tutti, DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza liberale, cit., pp. 12 ss. 18 «Un progetto politico normativo si legittima se può essere stabile. Le emo- zioni sono interessanti perché giocano un ruolo in questa stabilità» NUSSBAUM, Emozioni politiche, cit., p. 24. Le strategie proposte da Martha Nussbaum si ba- sano su esempi tratti dalla storia recente: discorsi pubblici, sostegno alle arti, educazione alla lettura e alla frequentazione di testi letterari sono alcune delle parti di un vasto programma che la studiosa pone come base per favorire lo svi- luppo di un ‘sentire democratico’, predisponente all’ascolto reciproco e alla capa- cità di immedesimarsi nell’altro, per stimolare negli individui emozioni consone ai valori liberali e per tenere di conseguenza sotto controllo la tendenza «radicata in tutta la società e, in ultima analisi, in tutti noi, a proteggere un Sé fragile deni- grando e mettendo in secondo piano gli altri», v. NUSSBAUM, Emozioni politiche, cit., pp. 9, 311 ss., 384 ss., 431 ss. 19 NUSSBAUM, Emozioni politiche, cit., p. 453. 20 NUSSBAUM, Emozioni politiche, cit., p. 455. 21 NUSSBAUM, Emozioni politiche, cit., p. 155.   216 Tra sentimenti ed eguale rispetto finisce un progetto che dà priorità alle libertà, alla promozione di una dialettica pubblica aperta al confronto anche aspro fra le idee, volta a creare per i cittadini la possibilità di costruzione di un’identità dialogica. 1.2. Tutela da sentimenti Da un altro lato, si pone il problema di quale strategia politico- sociale debba adottarsi di fronte a spinte emotive negative: vi sono emozioni e sentimenti per i quali si può porre un problema di tutela non nel senso di ‘cura’, bensì in termini opposti, come presidio disin- centivante che definiamo ‘tutela da sentimenti’. Si tratta della pro- spettiva più suscettibile di creare tensioni con i diritti di libertà, e che riguarda in modo più diretto l’eventuale coinvolgimento dello stru- mento penale. È abbastanza immediato pensare all’odio come atteggiamento emotivo che contrasta con l’eguale rispetto; esso rappresenta già oggi, a prescindere dalla concreta rilevanza assunta in fase applicativa, l’elemento caratterizzante condotte che molti ordinamenti vietano sotto l’appellativo di hate speech e hate crimes. Si tratta di un nucleo di atteggiamenti che, per quanto non definiti esaustivamente dalle fonti normative, presentano quale minimo comune denominatore l’avversione verso gruppi e categorie di persone che patiscono una debolezza e una marginalizzazione socialmente significativa 22. La formula ‘tutela da sentimenti’ può assumere un significato più esteso dell’accezione descrittiva degli ambiti normativi di contrasto all’odio: la si potrebbe intendere come istanza focalizzata non su at- teggiamenti emozionali definiti, bensì funzionale alla messa a tema di profili inerenti, più in generale, la dimensione psico-sociale delle matrici e delle ragioni dei dissensi. In altri termini, un’istanza che riassume l’esortazione all’approfondimento della ‘psicologia di una società dignitosa’. Parlare di odio come tratto univocamente identificativo di manife- stazioni offensive è un’approssimazione che rischia di peccare per eccesso. Anche nella quotidianità emerge come l’odio venga usato per definire e per connotare atteggiamenti di dissenso radicale frequen- temente riscontrabili nel contesto mediatico: ad esempio, in riferi- mento all’ambiente dei social network, si parla frequentemente di  22 SPENA, La parola(-)odio, cit., pp. 598 ss.  Dilemmi 217 ‘haters’23, ossia ‘odiatori’, termine col quale si indicano soggetti che aggrediscono verbalmente gli altri internauti escludendo ogni possi- bile approccio di mediazione con l’interlocutore. L’atteggiamento emotivo che definiamo ‘odio’ appare particolar- mente sovraesposto; la tendenza a focalizzare l’attenzione su di esso può però indurre a trascurare il ruolo di ulteriori atteggiamenti emo- tivi, altrettanto meritevoli di attenzione come fattori di degradazione del discorso e della dialettica pubblica24. In altri termini, la realtà psico-sociale è probabilmente più complessa e stratificata e le con- trapposizioni anche estreme non dovrebbero essere ricondotte tout court all’odio, il quale è forse una componente che, se presa sul serio, potrebbe essere residuale in rapporto ad altri atteggiamenti antago- nisti dell’eguale rispetto, quali rabbia, paura, vergogna, invidia, di- sgusto 25: più diffusi, e difficili da riconoscere e da ammettere, anche nei confronti di sé stessi. A nostro avviso si pone l’esigenza di pensare alla tutela da senti- menti come istanza normativa che suggerisca di «coltivare una certa attenzione verso i fattori in grado di favorire la conoscenza [delle] li- bertà e le condizioni che permettono di farne concretamente uso», individuando come punto nodale della questione l’interrogativo sui «margini di flessibilità di cui dispongono, di fatto, e soprattutto di cui hanno reale coscienza, le persone nell’espressione di un “dissenso” rispetto al senso, o meglio, ai sensi che vengono trasmessi nei rispet- tivi contesti di vita 26». In altri termini, il giurista penale deve oggi considerare che per la 23 Una panoramica in ZICCARDI, L’odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete, Milano, 2016, pp. 15 ss. 24 Si tratta di ‘odiatori’ o semplicemente di ‘stupidi’? L’equiparazione fra intol- leranza, specie in ambito razziale, e stupidità, proposta in un breve saggio sul- l’analisi psicologica del razzismo ad opera di BLUM, Razzismo e stupidità, in AA.VV., a cura di Tappolet-Teroni-Konzelmann Ziv, Le ombre dell’anima, cit., pp. 87 ss., sembra da un lato suggerire il ridimensionamento della portata di un ri- chiamo all’odio quale matrice dell’intolleranza, e dall’altro lato sposta sul piano culturale e della decostruzione dialettica, soprattutto tramite lo strumento del- l’ironia, il contrasto al discorso razzista (pp. 90 ss.). 25 Rabbia e odio sono due emozioni autonome, per quanto non prive di forti connessioni. Osserva RAVENNA, Odiare, cit., pp. 20 ss., che la rabbia è sperimenta- ta più di frequente rispetto all’odio, e che quest’ultimo presenta delle caratteristi- che peculiari che lo rendono distinguibile sia a livello psicologico che psico- sociale. Sul ruolo politicamente negativo della vergogna, dell’invidia e del disgu- sto v., per tutti, NUSSBAUM, Emozioni politiche, cit., pp. 311 ss.  26 FORTI, Le tinte forti del dissenso, 1039 s.  218 Tra sentimenti ed eguale rispetto «comprensione dei percorsi attraverso cui il potere pubblico esprime le sue istanze repressive, occorra alzare e allargare lo sguardo al con- testo socio-culturale complessivo in cui i “sensi” e i relativi “dissensi” trovano il loro terreno di generazione» 27. Coerentemente con la suddetta esortazione, riteniamo che una ra- gionevole attenzione al versante affettivo, orientata a sondare la di- mensione umana dei conflitti e soprattutto lo sfondo antropologico, possa rappresentare un tassello importante per addivenire a un qua- dro fenomenicamente più realistico degli atteggiamenti degli indivi- dui e, conseguentemente, anche a una più dettagliata base di rifles- sione per la politica penale e per un razionale orientamento alle con- seguenze 28. Appare infatti poco sensato, in una riflessione sulle dinamiche del reciproco rispetto a livello espressivo-comunicativo, non prendere in considerazione le matrici dei dissensi, i canali di diffusione, e più in generale un’idea realistica di essere umano con cui il diritto si trova a interloquire, anche attraverso eventuali precetti. Più in generale, si tratta a nostro avviso di ricercare degli adden- tellati sul piano socio-fenomenico per sondare in modo non concet- tualistico margini di opportunità, oltre che di legittimità, circa la pro- spettiva di interventi normativi. 2. ‘Idealtipi antropologici’ e realtà umana dei conflitti Sia la ‘cura’ dei sentimenti, sia la tutela ‘da’ sentimenti presup- pongono che negli individui vi sia la capacità di recepire un certo ti- po di stimoli cognitivi ed emotivi. Viene da chiedersi quale sia il riscontro che una tale ambizione trova oggi nella compagine sociale: se si tratti di una prospettiva rea- listica o se invece presupponga un modello ideal-tipico di cittadino eccessivamente ottimistico. 27 FORTI, Le tinte forti del dissenso, loc. ult. cit. 28 Osserva PALAZZO, Tendenze e prospettive nella tutela penale della persona umana, cit., p. 404, che «nel configurare il sistema di tutela penale della persona, sarà del tutto legittimo prestare ascolto alle suggestioni anche di tipo antropolo- gico che possono provenire dalle convinzioni sociali sull’essere umano; ma, dal- l’altro, una razionale scelta politico criminale sulla tutela della persona e sui suoi limiti dovrà necessariamente essere ispirata ai princìpi di ultima ratio, di tolle- ranza e di laicità del diritto penale».   Dilemmi 219 La possibilità che la riflessione teorica finisca per fare affidamen- to su modelli non del tutto aderenti alla realtà sociale costituisce un avvertimento che la dottrina penalistica non ha mancato di eviden- ziare. Alberto Cadoppi in uno scritto sul paternalismo giuridico dall’im- pronta fortemente liberale, in tendenziale accordo con la posizione di Joel Feinberg propensa alla massima valorizzazione dell’autonomia di scelta e della volontà dell’individuo, evidenzia come il discorso sull’autonomia personale vada preso con molta attenzione e serietà, per non cadere nell’errore, attribuito anche a John Stuart Mill, di elaborare teorie assumendo quale prototipo di persona un soggetto apparentemente immune da inciampi cognitivi e da condizionamenti emotivi che potrebbero gettare un alone di problematicità sulla reale consapevolezza delle scelte adottate 29. Solleva problemi simili con riferimento al tema della libertà di espressione Costantino Visconti, quando si chiede se gli argomenti volti a ridimensionare l’impatto delle parole offensive, e a metterne in dubbio la dannosità, siano dettati anche (soprattutto?) da un irenisti- co, e tutt’altro che giustificato, affidamento su un modello di cittadi- no ‘ragionevole, colto e tollerante’, in grado di elaborare l’insulto e di non patirne gli effetti. Tale categoria personologica non appare del tutto rispondente alla realtà; ed è per tale motivo che Visconti osser- va, condivisibilmente, che «è [...] con riferimento alla tipologia di soggetti che non hanno la ca- pacità di controllare razionalmente e dialetticamente la potenziale pe- 29 CADOPPI, Liberalismo, paternalismo e diritto penale, cit., p. 124. L’osser- vazione di Cadoppi è volta a sottolineare in modo puntuale e condivisibile il ri- schio di una tendenza semplificante nella teorizzazione giuridica, e rilancia la problematizzazione dell’idea di essere umano, dei modelli di scelta razionale, de- gli interessi finali che dovrebbero idealmente rappresentarne il fine delle condot- te, tema pregno di ricadute sul piano politico. Ad esempio, si veda la questione relativa al benessere individuale, all’ideale normativo di ‘vita buona’, alla distin- zione fra interessi volizionali e interessi critici, presente in DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza liberale, cit., pp. 46 ss., e ripreso, con diversità di vedute, in FIAN- DACA, Diritto penale, tipi di morale, cit., pp. 155 ss., e FORTI, Per una discussione sui limiti morali, cit., pp. 320 ss. A un livello successivo, la problematizzazione del ruolo delle emozioni, della riflessività, della consapevolezza delle proprie scelte da parte dell’individuo, si pone in termini funzionali alla lettura e all’interpre- tazione delle condotte umane, nel tentativo, sempre fallibile, di trovare dei signi- ficati: per una tematizzazione di tale problema in ambito criminologico, e sul rapporto fra riflessività e opacità, v. CERETTI-NATALI, Cosmologie violente, cit., pp. 332 ss. e bibliografia ivi citata.   220 Tra sentimenti ed eguale rispetto ricolosità di certe forme di discorso pubblico, o che – peggio – ne stru- mentalizzerebbero intenzionalmente i possibili effetti sociali dannosi, che si prospetta di fatto il problema di una scelta politico-criminale tra l’intervento e l’astensione» 30. Emerge da tali notazioni una necessità di realismo, di problema- tizzazione del modello antropologico di individuo che il diritto pena- le assuma a punto di riferimento, nella consapevolezza di non poter e non dover dare per scontate caratteristiche che finiscono per condur- re ad astrazioni perfezionistiche 31. Ricollegandoci a quanto osservato da Visconti, il discorso sui limi- ti alla libertà di espressione sembra talvolta presupporre la presenza di determinate capacità dell’essere umano le quali appaiono oggi non condivise dalla totalità degli individui. Tale rilievo si pone in primo luogo per i destinatari di espressioni offensive, ma è bene allargare la riflessione anche al versante degli autori, e dunque alle particolari di- sposizioni emotive e di pensiero che li caratterizzano: il carico emoti- vo della vittima e la spinta emotiva che anima chi offende sono en- trambi esposti al rischio di atteggiamenti radicali. All’interno del macro tema del dissenso intersoggettivo riteniamo che le traiettorie di ricerca per il giurista debbano focalizzarsi su dif- ferenti aspetti, uno dei quali, concernente le matrici cognitive del dis- senso e la qualità del flusso epistemico che alimenta le opinioni, è stato sinteticamente messo in luce nel saggio di Gabrio Forti poc’anzi citato. L’Autore evidenzia come il contesto generativo del senso e del dissenso versi oggi in condizioni alquanto problematiche, che metto- no a dura prova le risorse cognitive dei singoli e alimentano un gri- giore epistemico 32 il quale si accompagna a uno sbiadimento globale dell’etica della comunicazione. L’avvento del web, oltre a indurre la percezione di una deresponsabilizzazione del discorso pubblico, ha portato a un «sovraccarico informativo che [...] espone ognuno al ri- schio di mobilitare non “risorse cognitive adeguate”, bensì una “ca- 30 VISCONTI C., Aspetti penalistici, cit., p. 250; cfr. FORTI, Le tinte forti del dissen- so, cit., p. 1055, il quale parla criticamente di «credo (neo)liberale, costruito a mi- sura di soggetti capaci di farsi robustamente valere nell’agone socio-culturale (ivi compresi storici e intellettuali in grado di rintuzzare con gli argomenti della loro scienza le farneticazioni negazioniste)». 31 Tematizza il problema di una tendenza a elaborare modelli ‘deontologici’ di persona umana poco rispondenti con la realtà sociale anche FIANDACA, Diritto pe- nale, tipi di morale, cit., p. 160.  32 D’AGOSTINI, Verità avvelenata, cit., p. 13.  Dilemmi 221 pacità attentiva deteriorata”, generando così risposte meccaniche, “comportamenti automatici che evitano la paralisi al prezzo della qualità decisionale”» 33. A costituire un rischio per il pensiero critico, e dunque per la qua- lità etica ed epistemica del discorso pubblico, sarebbe, secondo Forti: «il manifestarsi in tale contesto di voci che si distaccano — solo per- ché rumorose, violente, sorprendenti — dal magma confuso dell’over- crowding informativo, riuscendo così a incanalare tunnel visions di schiere di followers a conseguire quella che potremmo definire una ve- ste “istituzionalizzata mediaticamente” [...] L’aspettativa di poter trar- re da tali voci “salienti” rassicuranti semplificazioni del complesso e angosciante overcrowding informativo che ci stringe, sarà potenziata laddove esse si sostengano su una violenza espressiva che sembri ap- pagare altresì, sia pure con un sortilegio illusorio, quella nostalgia di fisicità e corporeità che l’immersione quotidiana nei mondi virtuali e artificiali non può che acutizzare» 34. Come emerge da tali considerazioni, le cause dell’alterazione della dialettica pubblica e la conseguente canalizzazione della violenza e dell’aggressività verbale sembrano doversi ricondurre a una stratifi- cazione di fattori, non a un univoco atteggiamento emotivo. 2.1. Dissensi ed estremismo A nostro avviso si può inquadrare un secondo ambito di problemi legati alle matrici generative dei dissensi, riguardante più da vicino i microcosmi soggettivi e concernente l’analisi dei fattori psico-sociali che possono portare un individuo ad aderire in modo più o meno marcato, se non addirittura ‘estremo’ a certe idee e a convinzioni fino a porsi in radicale conflittualità con opinioni concorrenti e con i sog- getti che vi aderiscono. Perché anche soggetti ragionevoli sono spesso protagonisti di con- trapposizioni radicali? A un primo livello, relativo a uno stadio che potremmo definire ‘fi- siologico’ del dissenso, una buona chiave di lettura ci sembra quella proposta di recente da Jonathan Haidt, il quale rimarca come l’ade- sione a ideologie e credenze sia frutto di scelte basate su matrici pret- 33 FORTI, Le tinte forti del dissenso, cit., p. 1041. 34 FORTI, Le tinte forti del dissenso, cit., pp. 1042 s.   222 Tra sentimenti ed eguale rispetto tamente emotive: gli individui decidono quali idee appoggiare sulla base di emozioni che sono modellate dall’appartenenza gruppale, e tendono a elaborare narrazioni e adattamenti per riuscire a trovarsi in sintonia, inconsciamente e intuitivamente, con le proprie idee, svi- luppando dunque una tendenza a ricercare conferme alle proprie opinioni la quale rischia di tramutarsi in una cieca ottusità verso ra- gioni concorrenti. La morale unisce e acceca: «[c]i unisce in schie- ramenti ideologici che si danno battaglia come se il destino del mon- do dipendesse dalla vittoria della nostra squadra. Ci acceca rispetto al fatto che ogni schieramento è composto da brave persone che hanno qualcosa di importante da dire» 35. Lo studio di Haidt si attesta su un piano prettamente descrittivo: esplica le ragioni per le quali le persone tendono a dividersi su argo- menti importanti come la politica e la religione, ma non fornisce proposte per limitare i dissidi, affermando, con disincanto, che la no- stra parte intuitiva è alquanto difficile da dominare 36. Il fatto che gli esseri umani siano portati ad allinearsi in schiera- menti che si identificano nei valori del gruppo di appartenenza, svi- luppando una conflittualità su base gruppale, contribuisce a fornire delle spiegazioni, corroborate da evidenze sperimentali, sul ruolo dominante giocato dalla componente emotiva piuttosto che da un’as- serita dimensione ‘razionale’. Se bene intendiamo la posizione di Haidt, riteniamo si possano instaurare virtuose connessioni con i percorsi di crescita emotiva che Martha Nussbaum individua quale impegno per uno Stato liberale: per quanto i disaccordi possano essere forti, Haidt invita a non radi- calizzare le alternative in senso manicheo ma a leggerle come ricadu- ta di un’emozionalità istintuale che può essere educata a un maggio- re rispetto delle ragioni altrui37, in una prospettiva dunque che sa- 35 HAIDT, Menti tribali, cit., p. 400. Si veda anche FROMM, Marx e Freud, tr. it., Milano, 1997, p. 128: «l’individuo deve chiudere gli occhi e non vedere quello che il suo gruppo dichiara inesistente, o deve accettare come vero ciò che la maggio- ranza considera tale, anche se gli occhi lo convincessero che ciò è falso. Il gruppo è di importanza così vitale per l’individuo che per lui le opinioni, le convinzioni e i sentimenti del gruppo costituiscono la realtà, una realtà più valida di quella che gli trasmettono i sensi e la ragione». 36 La metafora utilizzata da Haidt è quella dell’elefante e del suo portatore: sin- teticamente, l’elefante rappresenta la parte emotiva dell’uomo, il portatore il pen- siero riflessivo, v. HAIDT, Felicità: un’ipotesi, cit., pp. 6 ss.; ID., Menti tribali, cit., pp. 13 ss., 286 ss. 37 «Noi tutti siamo risucchiati in comunità morali tribali. Gravitiamo attorno a valori sacri e condividiamo argomentazioni post hoc sul perché noi abbiamo ra-   Dilemmi 223 remmo portati a ricollegare alla ‘cura dei sentimenti’. Eccoci però giunti a un ulteriore profilo problematico: il tipo di conflittualità che oggi desta maggiore preoccupazione si manifesta attraverso cadenze espressive, e anche attraverso condotte, che rive- lano un attaccamento a ideali e a credenze in forme tendenti al- l’esclusione di ogni tipo di confronto e all’annullamento della posi- zione contrapposta. Si tratta di un fenomeno definito come ‘pensiero estremo’, nel quale l’individuo moderno rischia di scivolare anche a causa di una destabilizzazione soggettivamente avvertita di fronte al pluralismo etico e informativo, e dalla quale cerca rifugio e rassicu- razione affidandosi a morali e visioni del mondo autoritarie. Prendiamo a riferimento uno studio del sociologo francese Gèrald Bronner38, il quale identifica quali caratteristiche di fondo del pen- siero estremo la debole trans-soggettività e l’attitudine sociopatica39 delle idee. Alla base della concezione di Bronner vi è la convinzione, ampia- mente argomentata nel corso dell’opera, che le derive estremiste del pensiero, spesso legate anche a tragici esiti sul piano delle condotte, non siano affatto da considerarsi come frutto di anomalie sul piano psichico, ma al contrario possiedano una solida, inquietante raziona- lità. Partendo dalla consapevolezza che nelle considerazioni e nelle azioni di un estremista vi è una logica, si possono indagare le matrici di determinate forme di pensiero. È importante notare come una fra le diverse modalità di adesione a forme di pensiero estremo sia strettamente legata al contesto de- mocratico: col concetto di adesione ‘per frustrazione’ si indica il rifu- giarsi di un soggetto in una convinzione fanatica volta a compensare l’insoddisfazione dovuta al non possedere o possedere meno di ciò che ritiene di meritare. Bronner afferma che la democrazia, a causa all’essenza competiti- gione e gli altri torto. Pensiamo che nell’altro schieramento siano tutti ciechi alla verità, alla ragione, alla scienza e al buonsenso, ma in effetti siamo tutti ciechi quando parliamo di ciò che è sacro. [...] E se davvero volete aprire la vostra men- te, prima di tutto aprite il vostro cuore», v. HAIDT, Menti tribali, cit., pp. 398 s. 38 BRONNER, Il pensiero estremo. Come si diventa fanatici, tr. it., Bologna, 2012, pp. 159 ss. 39 La trans-soggettività di un’idea sta a indicare la capacità di essere accolta da altre persone a parità di condizioni; la sociopatia viene definita come una carica agonistica intrinseca che implica l’impossibilità per alcuni individui di vivere in- sieme ad altri, e per un’idea, di poter coesistere con altre idee, v. BRONNER, Il pen- siero estremo, cit., pp. 94 ss.; 110 ss.   224 Tra sentimenti ed eguale rispetto va che stimola e delle aspettative che non può compiutamente soddi- sfare, possa in un certo senso favorire la proliferazione e l’adesione a ideologie estremiste le quali si proiettano in un rapporto di competi- zione ad excludendum con il restante mercato delle idee, stimolando forme di particolare aggressività e di disprezzo nei confronti degli in- terlocutori: «la frustrazione e il desiderio di affermazione costitui- scono un mix esplosivo [...] in un sistema in cui troppi si sentono eleggibili benché il numero degli eletti non aumenti, dobbiamo aspet- tarci di osservare le conseguenze negative che l’amarezza condivisa non mancherà di produrre» 40. Tirando le fila del discorso, questo breve excursus a metà fra psi- cologia sociale e sociologia vorrebbe provare a offrire un quadro me- no astratto e disincarnato del mondo umano con cui il diritto penale si trova a fare i conti, al fine di contestualizzare i conflitti legati ad appartenenze significative, e dunque ad alto grado di pregnanza emo- tiva, sia in relazione all’ambiente di diffusione delle idee, sia al sub- strato personologico dei dissidi 41. Sarebbe infatti ingenuo e irenistico costruire un discorso soltanto su principi, levando gli occhi al cielo senza cercare di assumere reali- sticamente consapevolezza dei mondi sociali42 che si pongono alla base dei fenomeni. Diversamente, si rischia di cadere nel rischio paventato da Benci- venga, quando afferma che «[i]n discussioni su temi del genere, è abba- stanza comune prendere posizioni nette, a incrollabile sostegno di de- terminate regole», mostrando dunque un’aderenza quasi dogmatica a principi, nella convinzione, o nella speranza, che portare avanti una battaglia in nome di valori giusti conduca a decisioni anch’esse giuste 43. L’esperienza storica mostra come tale aspettativa possa rivelarsi fallace, non a causa del travisamento etico di regole che riteniamo 40 BRONNER, Il pensiero estremo, cit., pp. 174 s. 41 Utilizziamo il termine ‘dissidio’ nell’accezione proposta da CERETTI-GARLATI, Presentazione, in AA.VV., a cura di Ceretti-Garlati, Laicità e stato di diritto, cit., pp. XX ss., i quali citano in senso adesivo la teorizzazione di Lyotard: dissidio come conflitto fra interessi contrastanti e orientati a sistemi di riferimento non condivi- si, in totale asimmetricità. 42 Col concetto di ‘mondo sociale’ vogliamo evidenziare ulteriormente come le dinamiche dei conflitti vadano interpretate prendendo in debita considerazione il concetto di gruppo e l’importanza che esso riveste nella sfera affettiva e decisio- nale del singolo; per una sintesi, v. STRAUSS, Il concetto di mondo sociale, tr. it., a cura di Toscano, Milano, 2016.  43 BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, cit., p. 77.  Dilemmi 225 abbiano autorità su di noi, bensì poiché l’esistenza di un conflitto fra regole entrambe ‘giuste’ porta comunque a violarne una, la quale avrebbe potuto (forse) indurre esiti differenti sul piano fattuale. Non potendo però sapere quale sia all’interno di un dilemma etico l’al- ternativa migliore, bisogna realisticamente accettare che qualsiasi scelta ci pone di fronte a responsabilità: «l’aderenza a un principio non ci assolve; la nostra anima dovrà portare il carico della scelta che abbiamo fatto» 44. In altri termini, quale esercizio di onestà intellettuale appare preferi- bile immergere i principi nel contatto con la realtà, non perché in questo modo si possa risolvere un dilemma, ma quantomeno perché così facen- do si può avere una migliore percezione delle contingenze, sostituendo l’ambizione a cristallizzare una scelta con un più umile discorso che as- suma a propria bussola le categorie della necessità e della opportunità: «[è] per le strade tortuose, e spesso fra i detriti e le macerie, della vita quotidiana che le leggi universali vanno applicate, con tutta l’incertezza che compete a tali applicazioni; e non dobbiamo dimenticarlo» 45. 3. Quale ruolo per il diritto penale? 3.1. Il ‘tormentato’ pensiero della dottrina penalistica Il monito responsabilizzante formulato da Ermanno Bencivenga induce una comprensibile prudenza, e la complessità del dilemma di fondo si manifesta in modo evidente anche nel discorso penalistico, dove le riflessioni recenti sul tema dei rapporti fra libertà di espres- sione e reciproco rispetto sono confluite in prese di posizione in bili- co fra il recondito ottimismo in uno spazio comunicativo senza limi- ti, e la sofferta apertura verso la possibilità di risposte penali. Un atteggiamento profondamente combattuto, potremmo dire ‘tor- mentato’, di fronte a scelte che comporterebbero in ogni caso il sacri- ficio di principi fondamentali; lo ha ben sottolineato Alessandro Te- sauro quando, in tema di limiti alla propaganda razzista, ha parlato di un ‘Io diviso’, in senso psicanalitico, tra impegno antirazzista e passione liberal per la libertà di espressione 46. 44 BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, cit., p. 77. 45 BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, cit., p. 78. 46 TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., p. 184.   226 Tra sentimenti ed eguale rispetto Nell’orizzonte penalistico prevale una linea di forte cautela, spesso con posizioni ‘ibride’: anche le opere che hanno approfondito con maggiore dovizia obiezioni demolitorie rispetto a eventuali incrimina- zioni, sembrano escludere un atteggiamento di completa chiusura 47. Nel complesso sembra essersi affievolita la tendenza a voler elabo- rare modelli interpretativi orientati alla ricerca di conclusioni assio- maticamente deducibili dal diritto positivo, sia con riferimento a norme ordinarie che al testo costituzionale. Rispetto al mainstream tradizionale, nel quale l’emancipazione dall’autoritarismo del codice fascista poteva ragionevolmente identificarsi come rinascita in senso liberale, l’approccio odierno si scontra con la complessità delle diver- se declinazioni del liberalismo contemporaneo, ragion per cui è av- vertita l’esigenza di non scivolare in un uso dei principi liberali emo- tivamente appagante ma proprio per questo ad alto contenuto retori- co. L’esito ‘scontatamente liberale’48 del dibattito, coincidente con l’assoluto diniego a ogni forma di responsabilità per l’uso della libertà di manifestazione del pensiero, è oggi una risposta che rischia di ar- chiviare troppo prematuramente le questioni. Al fine di ‘guardare in faccia’ i problemi, autorevoli voci della dot- trina penalistica hanno sollevato interrogativi in una chiave meno convenzionale: ad esempio riorientando l’attenzione sugli effetti ne- 47 Ci sembra interpretabile in questo senso lo studio di TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., e soprattutto il contributo di VISCONTI C., Aspetti pena- listici, cit. Anche il lavoro di SPENA, La parola (-) odio, cit., p. 605 riconosce che il diritto alla libertà di espressione nel caso del discorso d’odio è comunque più de- bole e più bilanciabile con interessi confliggenti; cfr. CANESTRARI, Libertà di espressione e libertà religiosa, cit., p. 936. Più netta la chiusura di Autori come CA- VALIERE, La discussione intorno alla punibilità del negazionismo, cit., pp. 1013 ss.; FRONZA, Criminalizzazione del dissenso, cit., p. 1033. Più univoche sono invece le aperture di PULITANÒ, Di fronte al negazionismo e al discorso d’odio, cit.; FORTI, Le tinte forti del dissenso, cit., p. 1059. Negli anni Settanta la dottrina penalistica manifestò con sostanziale univocità, anche se con diversità di accenti, la contra- rietà a restrizioni penalistiche alla libertà di espressione, quale reazione all’auto- ritarismo delle fattispecie del codice Rocco, v. la sintesi di VISCONTI C., Aspetti pe- nalistici, cit., pp. 51 ss. Nell’ambito costituzionalistico sembra prevalere una linea di contrarietà a regolamentazioni del discorso pubblico, sia con riferimento allo hate speech, sia al negazionismo, v. ex plurimis, CARUSO, La libertà di espressione in azione, cit., pp. 115 ss.; ID., L’hate speech a Strasburgo: il pluralismo militante del sistema convenzionale, in Quaderni costituzionali, 4/2017, pp. 975 ss.; PUGIOT- TO, Le parole sono pietre?, cit., pp. 6 ss.; PARISI, Il negazionismo dell’Olocausto e la sconfitta del diritto penale, in Quaderni costituzionali, 4/2013, pp. 890 ss.; in tema di hate speech una posizione di non chiusura ai divieti è quella di SCAFFARDI, Oltre i confini della libertà di espressione, cit., pp. 228 ss., 279 ss.  48 FORTI, Le tinte forti del dissenso, cit., p. 1037.  Dilemmi 227 gativi di un’assoluta deregolamentazione del discorso pubblico (par- lando di dilagante, confuso ‘overcrowding informativo’ 49), o facendo ricorso a distopie immaginative fondate sulla possibilità che deter- minati atteggiamenti di pensiero possano effettivamente acquisire consenso 50. Per quanto i profili di disvalore che si accompagnano alle condot- te comunicative possano apparire sfuggenti rispetto alle esigenze di concretezza e di verificabilità empirica richieste dal diritto penale, in sede di speculazione teorica il giurista ha il compito di dar conto di una complessità di fondo, anche prendendo laicamente atto che ci si trova di fronte a «grandezze valoriali difficilmente contenibili nei no- stri beni giuridici» 51. Coglie nel segno, a nostro avviso, chi ha definito la questione dei limiti penali alla libertà di espressione come ‘sfida o scommessa’ 52, evidenziando la prospettiva del tutto aleatoria che si lega sia alle concezioni libertarie sia a quelle regolazioniste. L’incertezza empi- rico-cognitiva sugli effetti pericolosi o dannosi di determinati con- tenuti espressivi53 si accompagna al fatto che non è dato sapere quali conseguenze possano scaturire nel breve e nel lungo periodo da un’assoluta deregolamentazione del discorso pubblico; e ove si voglia propendere per un intervento del diritto penale resta da chie- dersi quali possano essere i metodi e gli effetti di un’eventuale cri- minalizzazione, sia essa solo minacciata, tramite precetti, o anche applicata. La ragione dell’impasse nella quale ci si trova al cospetto delle suddette alternative si motiva in primo luogo con il fatto che il ri- chiamo al diritto penale è, plausibilmente, percepito come minaccia di sanzione e, in particolare, di una sanzione che si identifica con la pena detentiva. Ma proprio in merito a tale ultimo profilo, ossia alla prospettiva lato sensu ‘sanzionatoria’, la dottrina penalistica più ‘aperturista’ – che non esclude radicalmente l’eventualità di interventi penali in materia di libertà di espressione – si fa portatrice di un dif- ferente modo di intendere, in prospettiva futura, le dinamiche dello 49 FORTI, Le tinte forti del dissenso, cit., p. 1042. 50 PULITANÒ, Cura della verità e diritto penale, in AA.VV., a cura di Forti- Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione penale, cit., p. 93. 51 FORTI, Le tinte forti del dissenso, cit., p. 1051. 52 VISCONTI C., Aspetti penalistici, cit., p. 252. 53 Per tutti, TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., pp. 104 ss.   228 Tra sentimenti ed eguale rispetto strumento penale. Sono emerse riflessioni volte a non limitare lo sguardo all’angusto orizzonte della pena, proiettate verso nuovi itine- rari, financo eclettiche ed ‘eterodosse’ rispetto al tradizionale reperto- rio concettuale penalistico. Ci riferiamo in particolare a interessanti proposte formulate in re- lazione ad ambiti specifici (sentimento religioso, negazionismo), il cui filo conduttore, pur con i dovuti distinguo, appare potersi indivi- duare in una (ri)valutazione dell’efficacia ‘virtuosamente simbolica’ del precetto penale. 3.2. Precetti ‘pedagogici’? Con riferimento alla tutela del sentimento religioso si è avanzata la proposta di una protezione giuridico-penale «costruita prevalen- temente (se non esclusivamente [...]) attorno alla capacità di orien- tamento culturale svolta dai precetti, mettendo finalmente da parte la forza inutile ed espressiva delle pene in senso stretto» per addivenire a un sistema di tutela «più mite e ‘relativo’ in quanto radicato sugli spazi di confronto dischiusi dal precetto penale che sancisce, ma non punisce» 54. In altri termini, uno strumento normativo che agisca al di fuori dell’ottica retributiva e di deterrenza, seguendo le coordinate della prevenzione generale cosiddetta ‘positiva’, ossia quella funzione della pena tesa a rinsaldare e a confermare valori già acquisiti e (più o me- no) radicati nei processi di socializzazione dell’individuo 55, tema am- piamente dibattuto nella dottrina italiana e non affrontabile nell’eco- nomia del presente lavoro 56. Al precetto viene in questo senso assegnata una funzione centrale, sulla base del presupposto che la prevenzione di forme di offesa lega- te al sentire religioso debba consistere in un rispetto volontario e spontaneo. Dal piano dei semplici propositi si passa a una teorizza- 54 MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa e scelte di criminalizzazione. Riflessioni de iure condendo sulla percorribilità di una politica mite e democratica, in AA.VV., a cura di De Francesco-Piemontese-Venafro, Religione e religioni, cit., p. 119. 55 Per tutti, PULITANÒ, Diritto penale, VII ed., cit., pp. 52 ss.; PALAZZO, Corso di diritto penale, VI ed., Torino, 2016, pp. 18 s., 62; FORTI, L’immane concretezza, cit., pp. 137 ss. 56 Per una sintesi si rinvia a DE FRANCESCO, La prevenzione generale tra normativi- tà ed empiria, in AA.VV., Scritti in onore di Alfonso M. Stile, Napoli, 2013, pp. 29 ss.   Dilemmi 229 zione più dettagliata ipotizzando una norma che faccia coincidere la sanzione con una formale declaratoria del contenuto del precetto: il giudice sarebbe chiamato, ove l’agente si rifiuti di riparare le conse- guenze del reato attraverso percorsi di mediazione con la persona of- fesa, a «enunciare il disvalore del fatto colpevole nel dispositivo della sentenza, dandone conto nella motivazione», e ordinandone even- tualmente la pubblicazione nei casi più gravi 57. La prospettiva appena descritta sembra fondarsi su una connes- sione tra proposta dialogica e stigma penale58, finalizzata a una re- sponsabilizzazione dell’autore in assenza di rimedi prettamente coer- citivi, cercando di salvaguardare il pluralismo delle parti dalla violen- za di provvedimenti autoritativi, e delegando alla forza del precetto la funzione espressiva di un richiamo responsabilizzante 59. Si inscrive in una traiettoria similare uno studio dedicato al tema del negazionismo, il quale si distingue nel mainstream penalistico per una esplicita apertura alla criminalizzazione di condotte che neghino l’Olocausto. Rileviamo come anche in questo caso le conclusioni di non contrarietà a interventi penali siano correlate alla proposta di una tipologia di intervento che non si inquadra nella canonica diade ‘pena detentiva-pena pecuniaria’, ma che cerca di elaborare soluzioni che valorizzino il dato simbolico del precetto, veicolato dalla portata dichiarativa della vicenda processuale e dall’eventuale, conseguente, provvedimento del giudice. Con le parole dell’Autore: «Si tratterebbe, già nella comminatoria edittale, di pensare a qualcosa di diverso dalla classica “caditoia” verso la reclusione. Per quanto la proposta possa spiazzare, e determinare un ripensamento del catalogo delle pene principali, il calibro della reclusione andrebbe accompa- gnato con l’immediata conversione in una pena di sostanza espressiva e reputazionale. [...] Perché non approfondire, ad esempio, la soluzio- 57 MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa, cit., pp. 128 s. 58 Per una panoramica sul tema v. AA.VV., a cura di Mannozzi-Lodigiani, Giu- stizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, Bologna, 2015. L’ipotesi della mediazione come ‘risposta istituzionalizzata’, ossia elemento necessario di un percorso processuale di responsabilizzazione, è oggetto di dibattito in dottri- na; in merito a tale soluzione appare scettico PULITANÒ, Sulla pena. Fra teoria, principi e politica, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2016, p. 664; di opinione opposta DONINI, La situazione spirituale della ricerca giuridica penalistica. Profili di diritto sostanziale, in Cass. pen., 5/2016, p. 1856. 59 Di recente, VISCONTI A., Contenuti ‘informativi’ della sanzione penale e coe- renza del ‘sistema’, in AA.VV., a cura di Forti-Varraso-Caputo, Verità del precetto e della sanzione penale, cit., pp. 445 ss.   230 Tra sentimenti ed eguale rispetto ne della lettura in udienza di un dispositivo munito di una speciale narrativa, da cui traspaia – con formulazioni più estese ed efficaci del- l’ordinario – la disapprovazione dell’ordinamento all’indirizzo del- l’autore delle espressioni negazioniste, al quale ricollegare, ove possi- bile, una sanzione accessoria di natura inibitoria/interdittiva e la pub- blicazione della sentenza di condanna? Una pena/giudizio, dal caratte- re accentuatamente didascalico e “simbolico” per rispondere al “dia- bolico” del negare, volta a rendere il dispositivo una sorta di sanzione veritativa che renda giustizia, oltre all’esistenza delle camere a gas e dei forni crematori, all’esperienza della discriminazione e al senso di umanità. In tal modo, al contro-logos dell’annientamento, agito dai negazionisti, verrebbe opposto, con la solennità delle forme del pro- cesso penale, un potere di nominazione che, sancendo il limite, il con- fine tra libertà di espressione e abuso della possibilità di offendere, impedisce che l’ultima parola sia di menzogna» 60. Anche in questo caso sullo sfondo delle argomentazioni si pone un modo di pensare al potenziale simbolico del precetto come risorsa positiva 61 che può contribuire a una responsabilizzazione non trami- te il consueto binario repressivo, ma impegnandosi a contrastare de- terminate forme di discorso pubblico sul terreno comunicativo, senza cadere in eccessi punitivi che si esporrebbero a obiezioni sul piano della proporzionalità. Per quanto si tratti di posizioni che in definitiva avallano la pro- spettiva di interventi penali quale forma di contrasto alla diffusione di determinati contenuti di pensiero, collocarle sotto il segno di un trend repressivo sarebbe a nostro avviso un’approssimazione che non rende giustizia alla profondità delle opinioni espresse. La sanzione, 60 CAPUTO, La ‘Menzogna di Auschwitz’, cit., p. 325. Netta è la presa di distanza di DI MARTINO, Assassini della memoria: strategie argomentative in tema di rilevan- za (penale) del negazionismo, in AA.VV., a cura di Cocco, Per un manifesto del neoilluminismo penale, Padova, 2016, p. 211, il quale definisce «Meno convincen- te, anzi deleteria [...] la sanzione accessoria della pubblicazione della sentenza: essa finirebbe con l’offrire ancora l’arena che i negazionisti desiderano, trasmet- tere l’idea del martirio, risultare paradossalmente co-funzionale all’offesa: conse- guenze, queste, suscettibili di controbilanciare pesantemente il perseguito effetto di stigmatizzazione». 61 «Ben vengano, dunque, caveat e ammonimenti sui pericoli di strumentaliz- zazione dei singoli per bisogni di utilità sociale, purché non si finisca per disco- noscere, tra i caratteri della norma penale, il connotato di profonda stigmatizza- zione di un fatto, di affilato giudizio etico-sociale, e un’attitudine a sollecitare, più di ogni altra norma, l’attenzione diffusa per i valori tutelati e la conseguente di- sapprovazione sociale per l’offesa che li riguardi», v. CAPUTO, La ‘Menzogna di Au- schwitz’, cit., p. 296.   Dilemmi 231 pur restando contrassegno formale della norma penale, viene rivesti- ta con fogge che ne mutano la natura prettamente afflittiva per dare luogo a forme ‘narrativo-pedagogiche’ tese a potenziare la dimensio- ne contenutistica e comunicativa del precetto. Non si può a nostro avviso parlare di una vera e propria opzione a favore della soluzione penalistica dei conflitti, quantomeno ove si in- tenda il diritto penale nel senso tradizionalmente sanzionocentrico 62. In realtà, le suddette proposte ci sembrano da inscrivere all’in- terno di un più complesso movimento di pensiero, quale ricerca di percorsi che diano pratica attuazione a quella che per ora sembra ancora rimanere solo una massima elaborata dalla dottrina, ossia che la ragione del penale non è, solo, l’inflizione della pena: «sul piano delle norme, la ragione del penale è l’osservanza dei precetti» 63. Quale corollario alle riflessioni sul ruolo pedagogico dei precetti, riteniamo importante dar conto di uno studio che il giurista statuni- tense Fredrick Schauer ha dedicato al tema della forza del diritto, e in particolare al legame fra diritto e forza: si tratta di un indissolubile nesso di implicazione reciproca o è immaginabile un diritto senza coercizione? L’interrogativo porta in luce una questione fondamentale anche (soprattutto) per il giurista penale. Va detto anticipatamente che lo studio di Schauer non giunge a esiti ‘sconvolgenti’, in quanto la con- clusione non è nel segno di una superfluità del momento coercitivo; individua però importanti argomenti a confutazione del fatto che la coercizione e le sanzioni debbano essere al centro dell’idea di diritto. Bisogna distinguere due profili: il primo di tipo concettuale, il secon- do di tipo empirico. Dal punto di vista concettuale, Schauer sostiene che l’esistenza dell’obbligo giuridico sia logicamente distinta dalla sanzione, e l’in- teriorizzazione di un obbligo non accompagnato da sanzione sia pos- sibile64. Se però ci si sposta sul piano dei riscontri empirici e ci si chiede se la gente obbedisca, o sarebbe disposta a obbedire, a un di- 62 Per una critica all’atteggiamento sanzionocentrico, che cioè assume la pena come «principale e ineluttabile ‘dimensione di senso’ cui orientare la [...] attività di elaborazione concettuale», e la controproposta di prediligere una riflessione «guidat[a] dalla ‘precomprensione’ che la pena non è lo scontato punto di parten- za e di arrivo, ma è e non può non essere il problema (iniziale e finale) che pone le domande fondamentali», v. FIANDACA, Rocco: è plausibile una de-specializza- zione della scienza penalistica?, in Criminalia, 2010, pp. 202 ss. 63 PULITANÒ, Sulla pena. Fra teoria, principi e politica, cit., p. 656. 64 SCHAUER, La forza del diritto, tr. it., Milano-Udine, 2016, pp. 85 ss.   232 Tra sentimenti ed eguale rispetto ritto privo di sanzioni il problema diviene più articolato; vi sono studi di psicologia sociale che affermano che, in assenza di sanzioni, il li- vello di obbedienza alle leggi con cui le persone dissentono è alquan- to basso 65. Ora, se da un lato ciò conferma che un apparato coercitivo resta importante per assicurare effettività al diritto, Schauer invita però a considerare che una statuizione giuridica dispiega comunque effetti, anche quando il diritto si trovi a fare da ‘apripista’ culturale: «Sarebbe ingenuo credere, senza una prova evidente, che una sempli- ce modifica legislativa possa ottenere un alto livello di obbedienza senza il supporto della coercizione e di sanzioni di vario genere. Ma le dinamiche psicologiche e sociologiche sono complesse. La semplice approvazione di un divieto giuridico, solo perché enunciato dal dirit- to, può indurre sia un cambiamento di attitudine che di comporta- mento» 66. L’Autore prosegue osservando che tale cambiamento sarà più fa- cilmente verificabile in relazione ad argomenti su cui i cittadini non hanno un’opinione consolidata piuttosto che su temi oggetto di divi- sione; nondimeno, anche in assenza di vere e proprie sanzioni 67 il di- ritto può avere il potere di modificare comportamenti sociali 68. Senza addentrarci ulteriormente nel denso scritto di Schauer, ci sembra che tali osservazioni rappresentino un input sufficiente per guardare al diritto, e in particolare al diritto penale, anche come strumento che tramite i precetti, piuttosto che con le sanzioni, può contribuire a veicolare un messaggio di forte disapprovazione. Diritto penale ‘simbolico’? È innegabile che si avverta più di una remora ad avallare questa discussa formula; il termine ‘simbolico’ as- sociato al penale suscita una condivisibile diffidenza, ma non si può negare che «[l]’aspetto simbolico, che pure è terreno di pericolose (o inutili) deformazioni del sistema penale, è un aspetto non trascurabi- le per una efficace comunicazione politica, anche a livello legislati- vo» 69. 65 SCHAUER, La forza del diritto, cit., p. 123. 66 SCHAUER, La forza del diritto, cit., p. 185; sul tema, più diffusamente, v. MCA- DAMS, The Expressive Powers of Law. Theories and Limits, Harvard, 2015. 67 Per la precisazione del concetto v. SCHAUER, La forza del diritto, cit., p. 218. 68 SCHAUER, La forza del diritto, cit., p. 247. 69 PULITANÒ, La cultura giuridica e la fabbrica delle leggi, in www.penalecontem- poraneo.it, 10/2015, p. 10; in termini adesivi a tale posizione v. FORTI, Le tinte forti   Dilemmi 233 Ebbene, il disagio connesso all’opzione sanzionatorio-detentiva quale eventuale risposta penale in tema di libertà di espressione, in- duce a chiedersi se la dimensione simbolica possa assurgere anche al rango di ‘funzione primaria’, tramite norme costruite in modo da re- legare la restrizione di libertà a semplice minaccia disinnescabile in virtù di percorsi alternativi per il reo, o, in termini più radicali, tra- mite un aggiornamento del catalogo delle pene principali che intro- duca nuove forme di stigmatizzazione dotate di una specifica effica- cia sul piano comunicativo, come ipotizzato dai contributi preceden- temente menzionati. Si tratta, com’è evidente, di percorsi innovativi la cui complessità esigerebbe un’analisi distinta rispetto ai nuclei tematici del presente lavoro. Riteniamo però che non sia irrealistico pensare al giudizio pena- le anche quale luogo di confronto e rettifica in un contesto di dialet- tica ‘sorvegliata’, funzionale a far emergere e a dichiarare i profili di disvalore di determinate espressioni attraverso la sottolineatura in sede pubblica del carattere intrinsecamente fallace o della grossola- na offensività dell’eguale rispetto, magari avvalendosi del contribu- to di esperti che ne analizzino la portata sul piano sociologico e psi- cologico 70. Siamo al confine estremo della legittimità dell’intervento penale: problemi di eccezionale delimitazione di una libertà che in linea di principio è anche di libertà di ferire, e che per questo suo potere può tuttavia rendere opportuna una responsabilizzazione, la quale non do- vrebbe tracimare in censura autoritaria, bensì dovrebbe essere fina- lizzata a un’eventuale declaratoria di responsabilità concepita come del dissenso, cit., p. 1060. Sembra essersi affievolita l’ostilità della dottrina per la funzione simbolica, rivalutando in tal senso proprio quella ‘finalizzazione enun- ciativa’ che era stata fortemente stigmatizzata in sede di prima lettura della nor- mativa sulla repressione penale delle condotte di discriminazione, v. STORTONI, Le nuove norme contro l’intolleranza: legge o proclama?, in Critica del diritto, 1994, p. 14. Sul tema dell’uso simbolico del diritto penale, v. per tutti, nella letteratura ita- liana, v. BONINI, Quali spazi per una funzione simbolica del diritto penale?, in Indi- ce penale, 2003, pp. 491 ss. 70 Richard Abel ha parlato di ‘trattamento informale delle dispute’ per indicare il modo in cui la comunità dovrebbe reagire ai danni della parola, in un procedi- mento che sembra voler evitare il ricorso al potere coercitivo ma che appare non- dimeno fondato su una proceduta normativizzata: si parla di una ‘conversazione istituzionalizzata’ ma informale fra vittima e offensore, nel quale quest’ultimo deve «riconoscere la norma, ammetterne la violazione ed accettarne la responsa- bilità», nella convinzione che un simile scambio sociale di rispetto possa neutra- lizzare l’insulto, ABEL, La parola e il rispetto, cit., pp. 128 ss.   234 Tra sentimenti ed eguale rispetto confutazione delle espressioni proferite dal reo, cercando dunque di disinnescarne il potenziale offensivo sul piano dei contenuti 71. Di primo acchito tale prospettiva potrebbe apparire come una sor- ta di ‘tribunale delle opinioni’, esposto al rischio di torsioni illiberali; tale obiezione, è però ben applicabile anche all’attuale situazione or- dinamentale. Di fatto il sindacato su forme di espressione è presente anche oggi: un giudizio su opinioni il quale risulta prevalentemente affidato alla sensibilità culturale del giudicante, senza potersi sottrar- re alle relative precomprensioni. Si tratta di un procedimento molto delicato poiché, come osserva Judith Butler, l’uso che lo Stato, attra- verso il potere delle sentenza, fa del linguaggio offensivo e discrimi- natorio dà luogo a una ripetizione dello stesso, contribuendo, pur con finalità differenti, a una sua reiterazione 72. Nondimeno: 71 Prendiamo atto della critica formulata da DI MARTINO, Assassini della memo- ria, cit., p. 193: «l’idea della pena-giudizio in quanto tale è intrinsecamente pro- blematica. La paternale didascalica finisce con l’essere risibile di fronte ai delin- quenti per convinzione ed ai fanatici; ed è una ipocrita autoassoluzione dell’or- dinamento per le omissioni od i fallimenti delle sue agenzie educative, di fronte ai miserandi frustrati, reietti e falliti». La sfiducia verso una prospettiva ‘rieducativa’ può essere anche condivisa, ma, più radicalmente, va osservato che l’eventuale approntamento di sanzioni di tipo ‘espressivo-pedagogico’ non dovrebbe essere letto in una prospettiva di prevenzione speciale, bensì quale strumento di preven- zione generale positiva; la ‘risibilità’, che assumiamo come impossibilità fattuale di indurre un cambiamento di opinione, è un aspetto comunque secondario poi- ché l’obiettivo del diritto, nel rispetto della libertà morale della persona anche quando ‘delinquente per convinzione’ o ‘fanatico’, non è indurre un cambiamento di opinione coattivo nel reo. Non condividiamo però l’afflato rinunciatario il qua- le rischia di condurre a un vero e proprio vicolo cieco, e significherebbe consenti- re che davvero l’ultima parola sia di menzogna, o di insulto, o di umiliazione. Pur essendo sostenitori di uno spazio comunicativo libero e aperto, facciamo fatica a immaginare il diritto spettatore del tutto inerte di fronte al potere performativo delle parole, soprattutto in tempi in cui l’indominabilità delle capacità di diffu- sione dei messaggi dovrebbe rendere più accorti nel formulare prognosi di perico- losità. Un terreno comunque scivoloso e che necessita di attente riflessioni, senza nutrire eccessiva fiducia nello strumento normativo, ma anche senza restare av- vinti in un disincanto rinunciatario che amplificherebbe le asserite mancanze del- le agenzie educative primarie. 72 Si osserva provocatoriamente che «è la decisione dello Stato, l’enunciazione ratificata dallo Stato, che produce (produce ma non causa) l’atto dello hate speech», v. BUTLER, Parole che provocano. Per una politica del performativo, tr. it., Milano, 2010, p. 137. L’atto di ‘produzione’ a cui si riferisce la BUTLER riguarda il fatto che prima che una sentenza definisca come hate speech delle semplici paro- le, queste non erano hate speech; più che una vera e propria produzione sembra potersi intendere come effetto del potere di nominazione. La stessa BUTLER spe- cifica successivamente che le parole che lo Stato adopera per emettere una sen-   Dilemmi 235 «Nessuno ha mai elaborato un’ingiuria senza ripeterla: la sua reitera- zione rappresenta sia la continuazione del trauma sia ciò che segna una presa di distanza all’interno della struttura stessa del trauma, la sua possibilità costitutiva di essere qualcosa di diverso. Non c’è possi- bilità di non ripetere. La sola questione che rimane aperta è: come av- verrà quella ripetizione, in quale sede – giuridica o non giuridica – e con quale dolore e quali speranze?» 73. Una questione aperta e complessa, la quale carica di responsabilità il momento giudiziario e la produzione narrativa del giudice. Dovendo fare i conti con la reimmissione in circolo di parole offensive, ritenia- mo che sarebbe opportuno riflettere su forme di ritualità che possano dare un valido supporto epistemico all’autorità giudiziale, contribuen- do a dare la giusta rilevanza e il necessario approfondimento all’erme- neutica del fatto, con l’auspicio di trasformare il processo in un mo- mento anche educativo e di apprendimento. Da penalisti, e dunque da studiosi delle possibilità negative del- l’umano, ci sembra doveroso interrogarci sul ruolo che lo strumento penale potrebbe eventualmente assumere in una prospettiva di cura degli equilibri di rispetto, cercando di privilegiare non la dimensione interdittiva e censoria ma facendo leva sulle potenzialità di quello che, tra le diverse manifestazioni del giuridico, rappresenta, piaccia o non piaccia, il più formidabile, e terribile, ‘marcatore etico’. 4. Sinossi Rispettare le persone, e rispettarsi fra persone è prima di tutto un atto ‘sentito’ che discende da disposizioni soggettive. Il progetto normativo definito ‘tutela di sentimenti’ può essere scorporato in due distinte traiettorie. La prima, definibile come ‘cura dei sentimenti’, è da intendersi come promozione di atteggiamenti emotivi che favoriscano un clima favorevole al reciproco rispetto. La seconda, definibile ‘tutela da sentimenti’, può identificarsi co- tenza sullo hate speech non sono certo la stessa cosa del discorso pronunciato dai soggetti di cui si sta giudicando la posizione; nondimeno, le due cose appaiono «indissociabili in maniera specifica e consequenziale»; cfr. ABEL, La parola e il rispetto, cit., p. 99.  73 BUTLER, Parole che provocano, cit., p. 147.  236 Tra sentimenti ed eguale rispetto me strategia politica di contrasto a spinte emozionali negative, l’odio in primis, ma non solo. Più in generale, ciò che definiamo come ‘tute- la da sentimenti’ rappresenta un’istanza funzionale alla messa a tema di profili inerenti la dimensione psico-sociale delle matrici dei dis- sensi, e dunque all’approfondimento delle concezioni antropologiche che guidano la riflessione penalistica. Obiettivo di fondo è addivenire a una visione meno astratta e disincarnata del mondo umano con cui il diritto penale si trova a fare i conti. Tale atteggiamento di ‘realismo antropologico’ tende oggi a emergere anche nella dottrina penalistica. Riguardo il tema dei limiti penalistici alla libertà di espressione e ai problemi dell’eguale e reciproco rispetto, i penalisti mostrano un atteggiamento meno ‘concettualistico’ rispetto al passato; emergono posizioni di cauta apertura alla prospettiva di interventi normativi, modellati sul distacco da prospettive eminentemente sanzionatorie e fondati sulla valorizzazione del simbolismo positivo del precetto.  OSSERVAZIONI FINALI «[...] la mentalità sociale è in movimento, ciò che prima si diceva gratis oggi ha un costo etico, [...] ci sono nuove libertà e nuove dignità e ne conseguono nuo- vi problemi, di pensiero e di linguaggio. Siamo le parole che usiamo» SERRA M., Amaca, Repubblica 27 gennaio 2016 SOMMARIO: 1. Bilanci e prospettive. – 1.1. Cura dei sentimenti e attenzione alle differenze. – 1.2. Tra offesa alla sensibilità e discorso discriminatorio: profili problematici e spunti di riformulazione per la tutela della dignità del creden- te. – 2. La priorità delle libertà, l’importanza delle regole. 1. Bilanci e prospettive Recuperiamo l’interrogativo di fondo da cui è partita la presente indagine, ossia se il diritto penale di una moderna democrazia libera- le possa essere invocato a tutela di sentimenti. La tentazione di opporre un assoluto, per quanto benintenzionato diniego, appare destinata a scontrarsi con un maturo senso di realtà. Beninteso, non stiamo in questo modo cercando di assegnare fretto- lose patenti di legittimità a una delle più controverse modalità di esplicazione dell’intervento penale, ma riteniamo che nell’analisi del problema si debba cercare di andare oltre le etichette retoriche, senza farsi abbagliare né in positivo né in negativo dalla ambigua parola ‘sentimento’. Il percorso compiuto finora riteniamo abbia mostrato come un’asserzione netta, sia in termini affermativi sia in termini negativi, peccherebbe per approssimazione. Sarebbe dunque più opportuno partire da una più articolata formulazione dell’interrogativo: in rela- zione a quali fenomeni e in quali accezioni, al di là delle scelte dei le- gislatori storici, sentimenti ed emozioni possono essere ragionevol- mente evocati quali elementi costitutivi e/o integrativi nella descri- zione dell’oggetto di tutela penale?  238 Tra sentimenti ed eguale rispetto Le incrostazioni di matrice collettivistica, che nel contesto italiano hanno ammantato gli interessi definiti dai legislatori ‘sentimenti’, hanno contribuito ad acutizzare, in modo giustificato, la diffidenza della dottrina penalistica di stampo liberale. Il senso di un nuova tematizzazione del sentimento quale problema di tutela deve essere in primo luogo funzionale a svincolare dalle ‘col- lettivizzazioni normative’ un fenomeno legato all’interiorità dell’indivi- duo e che invece si è prestato, con evidente slittamento di significato, a divenire veicolo di incriminazioni di stampo moralistico-identitario. Riteniamo che debba essere presa in considerazione, quale ulte- riore sfaccettatura, una dimensione di significato che valorizzi la proiezione universalistica e, per certi versi egualitaria, dei fenomeni affettivi: sentimenti ed emozioni come ‘addentellato fenomenico’ di una dotazione universalmente condivisa dagli esseri umani. In base a quest’ultima prospettiva, declinare determinate questio- ni di interesse penalistico, come ad esempio i rapporti fra manifesta- zioni espressive e sensibilità, anche come problema di sentimenti acutizza i dilemmi, poiché il sentimento non può esser limitato all’eventuale, problematica, identificazione con l’interesse di una sola delle parti, col rischio di modulare eventuali, ipotetici, interventi normativi sulle cadenze di uno sterile rivendicazionismo psicologico soggettivo. Il risvolto di reciprocità egualitaria assume il significato di una pretesa ‘responsabilizzante’ nei confronti di tutti individui, quale do- verosa, e in primo luogo spontanea, autolimitazione: «Se ognuno ha diritto alla propria narrazione individuale, ugualmente non può, in nome dei propri sentimenti, dichiararla “intoccabile”, af- fermarla come pretesa di verità assoluta e non metterla in discussione e confrontarla con quella degli altri» 1. È nella distinzione tra ethos ed etica che si inquadra uno dei fon- damentali tratti costitutivi del pluralismo: ethos come ordine valoriale costitutivo del singolo, ed etica come limite che tutti i diversi ethe de- vono osservare, nel rispetto di «ciò che è dovuto da ciascuno a tutti [...] Lo stesso diritto a vivere e fiorire secondo il proprio ethos, che si chiede per sé» 2, secondo dinamiche di simmetrica reciprocità che uni- scono profili di diversità fattuale e accenti di doverosità normativa. 1 TURNATURI, Emozioni: maneggiare con cura, cit., p. 20. 2 DE MONTICELLI, La questione morale, cit., p. 153.   Osservazioni finali 239 La focalizzazione sul problema di un eguale e reciproco rispetto porta a emersione la duplice prospettiva di una tutela di sentimenti intesa come ‘cura’ del sentire individuale e collettivo, e come forma di contrasto a espressioni tese al disconoscimento dell’altro. Nell’atto di formulare delle osservazioni finali al presente lavoro emerge l’esigenza di distinguere fra linee di politica legislativa di va- lenza generale e spunti più dettagliati che richiedono di essere circo- scritti a singoli campi di materia. Il problema della tutela di senti- menti non può essere fatto confluire in un unico prospetto di model- lizzazione normativa, ma necessita di essere affrontato attraverso percorsi differenti: solo in rapporto al profilo della ‘cura’ si possono a nostro avviso proporre delle linee generali, mentre il tema, più stret- tamente penalistico, della tutela da sentimenti richiede di essere più attentamente contestualizzato. 1.1. Cura dei sentimenti e attenzione alle differenze Come abbiamo già specificato, il rapporto fra ‘cura’ e ‘tutela da’ è di complementarietà, per quanto sia la ‘cura’ a definire la declinazio- ne primaria del problema di tutela. La dimensione ‘ostativa’, ossia quella della ‘tutela da’, resta una parte residuale e strumentale al profilo della ‘cura’, finalizzata even- tualmente ed esclusivamente, al mantenimento di equilibri. Obiettivo di fondo, probabilmente non raggiungibile mediante il solo strumen- to giuridico, resta quello di un’adeguata formazione del sentire degli individui, intesa come capacità di rapportarsi all’altro nelle forme dell’ascolto, del confronto e anche della critica, da contestualizzarsi in un’arena polifonica aperta alla pluralità, poiché «di quanta più realtà una sensibilità diventa capace, tanto più esatto sarà, da un la- to, il sentimento delle differenze e delle priorità» 3. Il ruolo delle agenzie educative diviene in questo senso cruciale, a partire dalle istituzioni scolastiche 4: «l’arricchimento della giustizia da una condizione essenzialmente normativa a una condizione etica è [...] l’esito (un’aspirazione più che un traguardo certo) di un lavoro lungo e 3 DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 169. 4 Si veda ad esempio la pubblicazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, Abc: Teaching Human Rights – Practical Activities for Primary and Secondary Schools, pp. 19 ss., disponibile in http://www.ineesite.org/- en/resources/abc_teaching_human_rights_-_practical_activities_for_primary_and_se- condary.   240 Tra sentimenti ed eguale rispetto lento di educazione dei sentimenti, al quale partecipano le istituzioni politiche e quelle sociali, la vita pubblica e quella privata» 5. Qual è il messaggio di fondo che dovrebbe essere veicolato quale coordinata etica di una cura dei sentimenti? L’atteggiamento che ragionevolmente si pone a monte del recipro- co rispetto è la capacità di immedesimazione 6 e soprattutto di usare l’immedesimazione in modo da includere la differenza. In altri termini, «il rispetto basato sull’idea di dignità umana risulterà insufficiente a includere tutti i cittadini in termini di uguaglianza, a me- no che non sia nutrito da uno sforzo immaginativo nei confronti della vita degli altri e da una comprensione più intima della loro piena e co- mune umanità» 7. Ritorna anche in questo caso l’esigenza di non ridurre la dignità umana a un simulacro dispotico declinato in termini deonto- logici, bensì a modularne l’essenza su cadenze il più possibile inclusive. L’attenzione alle differenze può maturare attraverso percorsi di crescita emotiva finalizzati a migliorare la capacità di apertura al- l’altro 8, soprattutto ove si riesca a riconoscere e a dominare un’emo- zione che è tanto tremendamente umana quanto problematica nelle dinamiche di una società pluralista: la paura. La funzione primordia- le della paura è la difesa dell’essere umano da fonti di pericolo, ma la sua attuale variante sociale e adattiva (v. supra, cap. IV) corrisponde a un’emozione repulsiva e narcisistica, che si declina come una «pre- occupazione offuscante [e] un’intensa concentrazione su di sé che getta gli altri nell’ombra» 9. 5 URBINATI, Liberi e uguali, cit., p. 121. L’Autrice rimarca che tale passaggio è propriamente ciò che denota la cultura dell’individualismo democratico. 6 Richiamiamo il tema dell’empatia, soprattutto in relazione al suo valore etico per la vita di relazione: v., per tutti, BOELLA, Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, Milano, 2006, pp. 53 ss., 87 ss. 7 NUSSBAUM, Emozioni politiche, cit., p. 455. 8 Riteniamo sia da accogliere positivamente l’iniziativa del Governo italiano che il 27 ottobre 2017 ha presentato, per voce della Ministra dell’Istruzione, il ‘Piano nazionale per l’educazione al rispetto’, ossia un progetto teso a introdurre nella formazione scolastica momenti di apprendimento per «promuovere nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado un insieme di azioni educative e for- mative volte ad assicurare l’acquisizione e lo sviluppo di competenze trasversali, sociali e civiche, che rientrano nel più ampio concetto di educazione alla cittadi- nanza attiva e globale» e per «promuover[e] azioni specifiche per un uso consa- pevole del linguaggio e per la diffusione della cultura del rispetto, con l’obiettivo di arrivare a un reale superamento delle disuguaglianze e dei pregiudizi, coinvol- gendo le studentesse e gli studenti, le e i docenti, le famiglie».  9 NUSSBAUM, La nuova intolleranza, cit., p. 67.  Osservazioni finali 241 Si pone dunque l’esigenza di non cedere alle chiusure indotte dalla paura, al fine di «adottare uno sguardo diverso, che dia rilevanza a mentalità, valori, idee, convinzioni e sensibilità culturali capaci di conferire significati inediti alle nostre paure» 10. In uno studio dedicato all’intolleranza come effetto della paura dell’altro, Martha Nussbaum afferma che l’eguale e reciproco rispetto richiede lo sviluppo dei cosiddetti ‘occhi interni’, ossia dello sguardo immaginativo, non corporeo, che consente di vedere l’altro 11: è preci- samente ciò che manca nell’odio, dove il sentire è cieco12 davanti all’individualità altrui. La promozione di un orizzonte di rispetto si gioca in primo luogo a un livello che ha a che fare con lo sviluppo di tale profondità di sguardo e di immaginazione: per rispettare l’altro bisogna ‘sentirlo’ 13, attraverso capacità di apertura, di ascolto, di discernimento. 1.2. Tra offesa alla sensibilità e discorso discriminatorio: profili problematici e spunti di riformulazione per la tutela della di- gnità del credente Venendo al profilo più strettamente penalistico, un primo bilancio può essere stilato in relazione al panorama normativo italiano vigen- te. L’impressione è che nel complesso il lavoro di rielaborazione con- cettuale e di riassetto etico compiuto dalla giurisprudenza e dalla dottrina abbia condotto a norme il cui coefficiente di compatibilità con le libertà costituzionali è tutto sommato accettabile. Come già osservato, non appare possibile in questa sede procedere all’enucleazione di prospettive de jure condendo calibrate su ogni sin- golo ambito in cui il codice fa riferimento a ‘sentimenti’ come oggetto di tutela. Ci limitiamo a prendere in analisi il settore in cui, a nostro avviso, 10 CERETTI-CORNELLI, Oltre la paura, cit., p. 204. 11 NUSSBAUM, La nuova intolleranza, cit., p. 69. 12 DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 254. 13 In questo senso la dimensione della ‘cura’ si proietta verso un rispetto non meramente ‘passivo’, bensì guarda anche, soprattutto, a un rispetto ‘attivo’. Con la prima accezione si indica un atteggiamento di astensione dall’ostilità e dalla vio- lenza; il rispetto ‘attivo’ si traduce in qualcosa di più: «un’attenzione [...] per i bi- sogni, le esigenze, gli obiettivi e anche i progetti esistenziali delle persone, il rico- noscimento del fatto che esse attribuiscono valore a qualcosa che sta loro a cuore e che intendono realizzare», v. MORDACCI, Rispetto, cit., p. 34.   242 Tra sentimenti ed eguale rispetto emerge maggiormente l’esigenza di procedere a una disambiguazione tra forme di intervento a tutela della sensibilità e presidi contro di- scorsi discriminatori. In quest’ottica l’impianto dei reati a tutela del sentimento religioso presenta delle criticità che si addensano nella portata applicativa del- l’art. 403 c.p., ossia l’offesa a una confessione religiosa mediante vili- pendio di persone. Partiamo dal presupposto che sia ragionevole che lo stato laico tu- teli lo spazio umano-personale e sociale in cui si dispiega la dimen- sione religiosa dell’individuo 14: il problema è con quali modalità. Una delle più acute posizioni a difesa della tutela del sentimento religioso osserva che «discussione non è offesa. A maggior ragione quando il bene tutelato diventa [...] la dignità e la personalità dell’essere umano sotto lo specifico profilo della dimensione religiosa», e formula con- seguentemente la propria proposta normativa, a superamento delle attuali disposizioni, elaborando una fattispecie che incrimina «i com- portamenti o le espressioni oltraggiose tenuti in pubblico [...] che le- dono intenzionalmente la dignità delle persone a causa delle loro convinzioni sul significato ultimo dell’esistenza» 15. Ebbene, concordiamo con le ragioni di fondo di tale proposta, la quale ci sembra coerente con l’intenzione di circoscrivere l’impianto di tutela alla dignità della persona e non al prestigio e al patrimonio ideologico della confessione 16. Resta a nostro avviso il dubbio se sia opportuno mantenere una disposizione dedicata al fenomeno religioso, la quale potrebbe espor- si al rischio di assumere nuovamente le vesti di incriminazione sur- rogatoria del vilipendio17, come del resto oggi sembra capitare per l’art. 403 c.p., il quale tende a estendersi all’insulto alla confessione 14 MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa, cit., p. 111. 15 MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa, cit., pp. 117, 128. 16 La proposta di norma parla di ‘Offese alla libertà religiosa’, ma il richiamo alla dignità ‘a causa delle convinzioni sul significato ultimo dell’esistenza’ sem- brerebbe aprire anche alla tutela della dignità del non credente. Su tale ultima prospettiva si veda, anche per richiami comparatistici, PACILLO, I delitti contro le confessioni religiose, cit., pp. 126 ss. 17 Benché non compaia il termine ‘vilipendio’, anche il modello di norma ipo- tizzato dalla Mazzucato parla, con formula rischiosa, di «comportamenti o [...] espressioni oltraggiose tenuti in pubblico, anche rivolti a cose che formino ogget- to di culto o siano consacrate al culto». Ad un’attenta lettura, l’emancipazione dal modello del vilipendio della confessione emerge però dalla traiettoria dell’offesa, la quale deve «[ledere] intenzionalmente la dignità delle persone», v. MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa, cit., p. 128.   Osservazioni finali 243 piuttosto che limitarsi a sanzionare l’offesa alla persona 18. A nostro avviso, un riassetto e, soprattutto, una decisa disambigua- zione della linea di intervento penale potrebbe aversi attraverso un’abrogazione secca dell’art. 403 c.p., accompagnato da una parallela modifica dell’art. 3 della legge n. 654 del 1975 che estenda ai motivi re- ligiosi il tipo di discorso discriminatorio suscettibile di assumere rile- vanza penale, secondo una formula che incrimini «chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico o religioso» 19. Ciò non porterebbe, ci sembra, ad alcun vuoto di tutela: si tratte- 18 Vedi supra, cap. V, sezione II, paragrafo 7.1. Anche partendo dal presupposto che la libertà di espressione non sia assoluta, ma incontri limiti espressamente rico- nosciuti dall’ordinamento interno e anche da fonti sovranazionali, incriminare una manifestazione del pensiero consistente nel ‘tenere a vile’, e dunque nel formulare critiche anche sferzanti e in grado di ferire la sensibilità del credente, è esposta al rischio di tracimare in una forma di illegittima compressione della libertà di critica e di satira; come osserva SERENI, Sulla tutela penale della libertà religiosa, cit., p. 12, il vilipendio del credente è costantemente a rischio di trasformarsi in «vilipendio teolo- gale, più prossimo alla iper-sensibilità del credente rispetto al contenuto della verità di fede, al rigore della sua Autorità religiosa contro le critiche (anche satiriche) rivol- te a danno della Divinità, dei suoi simboli e dei suoi ministri di culto». Si è osservato criticamente che ipotetiche interpretazioni estensive della norma sul vilipendio ex art. 403 c.p., alla luce del dettato codicistico post riforma 2006, e dunque nel segno dell’uguaglianza fra confessioni religiose, sono da ritenersi applicabili anche alla tu- tela di religioni come l’Islam: un esito definito «non nello spirito dei tempi» da PULI- TANÒ, Laicità, multiculturalismo, diritto penale, cit., p. 246, plausibilmente per eviden- ziare come l’estensione della tutela, doverosa in quanto sancita dal principio di uguaglianza, rischi di introdurre uno strumento giuridico invasivo a disposizione di fedeli di religioni particolarmente suscettibili. Esprime contrarietà rispetto all’ipotesi di un presidio penale specifico del fenomeno religioso VISCONTI C., La tutela penale, cit., pp. 1066 s.; si pone a favore di una tutela incentrata sulle fattispecie comuni, senza necessità di norme ad hoc sulla religione, anche MANTOVANI M., L’oggetto tute- lato nelle fattispecie penali in materia di religione, in AA.VV., a cura di De Francesco- Piemontese-Venafro, Religione e religioni, cit., p. 253. Per una posizione favorevole al mantenimento del vilipendio, considerato «prototipo dell’insulto all’atteggiamento individuale verso il problema religioso», v. STELLA, Il nuovo Concordato fra l’Italia e la Santa Sede: riflessi di diritto penale, in Jus, 1989, p. 103. 19 Per un’analisi dei modelli di tutela imperniati sulla persona del credente e che si identificano nel paradigma dello hate speech, v. CIANITTO, Quando la parola ferisce, cit., pp. 28 ss., 65 ss. Si veda in particolare il caso della Gran Bretagna, Paese nel quale non esiste più l’incriminazione per la condotta di Blasphemy (abo- lita nel 2008), e che ha introdotto nel 2006 (Racial and Religious Hatred Act) una fattispecie di reato che incrimina le manifestazioni di incitamento all’odio religio- so, v. EAD., Quando la parola ferisce, cit., pp. 168 ss.; GIANFREDA, La blasphemy nell’ordinamento inglese di Common Law e la tutela penale della “religione”: pro- blemi aperti e nuove prospettive, in AA.VV., a cura di De Francesco-Piemontese- Venafro, Religione e religioni, cit., pp. 403 ss.   244 Tra sentimenti ed eguale rispetto rebbe di una più netta ridefinizione di confini tra fattispecie, senza intaccare la soglia ‘inferiore’ dell’intervento penale (il nucleo duro delle offese alla persona e alla sua dignità), lasciando univocamente al di fuori offese limitate al piano ideologico, e incentrando l’inter- vento su espressioni discriminatorie basate su motivi religiosi 20. Da un lato le offese al singolo potrebbero assumere rilevanza co- me delitti contro l’onore (oggi, dopo l’abrogazione dell’ingiuria, resi- duerebbe la sola diffamazione), eventualmente aggravati ai sensi del- l’art. 3 del d.l. n. 122/1993 (aggravante relativa alle finalità di discri- minazione); dall’altro lato, l’orizzonte del discorso pubblico in mate- ria di critica e satira religiosa si troverebbe affrancato dall’incom- bente censura del vilipendio, fermo restando il limite, comunque pro- blematico ma ben più selettivo, di non tracimare in propaganda di- scriminatoria 21. Un impianto di tutela così strutturato consentirebbe a nostro avvi- so di mantenere aperto uno spazio di illiceità per forme di espressio- ne volte a negare la pari dignità del credente, le quali chiamano in gioco un profilo altamente significativo della condizione esistenziale umana come l’identità religiosa 22. Al contempo, la necessità di valu- 20 Si veda in questo senso il parere rilasciato dalla Commissione Europea per la democrazia attraverso il diritto (c.d. ‘Commissione Venezia’, organo consultivo del Consiglio d’Europa), nel quale si suggerisce agli Stati membri l’abrogazione delle leggi sulla blasfemia e il mantenimento di presidi basati sulle generiche norme che incriminano ingiuria e diffamazione e, soprattutto, sulle norme che incriminano la diffusione di idee fondate sull’odio religioso, v. Compilazione di pareri e rapporti della Commissione di Venezia riguardante la libertà d’espressione e i media, 19 settembre 2016, pp. 26 ss. 21 La strada della tutela antidiscriminatoria è additata anche da DONINI, “Dan- no” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti, cit., p. 1586, il quale sembra però aprire alla prospettiva di un’applicazione dei delitti contro la discriminazio- ne solo nei casi di incitamento alla discriminazione o ad atti discriminazione nei confronti di persone, lasciando fuori dal raggio dell’intervento penale le offese collettive che potrebbero, a nostro avviso, essere invece vagliate come eventuali forme di propaganda razzista, previa opportuna modifica dell’art. 3 della legge n. 654 del 1975. Richiama la prospettiva di una tutela tramite le norme antidiscri- minazione proprio al fine di tutelare anche i gruppi, e non solo i singoli, MAZZOLA, Diritto penale e libertà religiosa dopo le sentenze della Corte costituzionale, in Quad. di diritto e politica ecclesiastica, 1/2005, p. 89; cfr. PACILLO, I delitti contro le con- fessioni religiose, cit., pp. 165 ss. 22 Nella dottrina penalistica italiana l’autorevole e cristallina posizione di ROMA- NO, Principio di laicità dello Stato, cit., p. 215 a sostegno di un presidio penale speci- fico per le religioni si basa su argomenti i quali possono, a nostro avviso, essere re- cuperati anche nella prospettiva da noi delineata. Secondo Romano, la non inop- portunità dell’intervento penale deriva dall’esigenza di mantenere all’interno del si-   Osservazioni finali 245 tare l’illiceità attraverso lo stretto filtro dell’incriminazione della pro- paganda discriminatoria potrebbe portare a un più cauto uso del di- ritto penale nei rapporti con la libertà di espressione e in particolare con la satira. Ci sembra questa una futuribile modifica che potrebbe contribuire a fissare in modo più definito spazi di libertà nella salvaguardia di un nucleo minimo di rispetto che tenga conto del diritto liberale di critica e della necessaria distinzione con l’orizzonte della discriminazione. 2. La priorità delle libertà, l’importanza delle regole Dietro il velo retorico dei sentimenti si pongono questioni di vitale importanza per la convivenza, non liquidabili dietro affrettate decla- ratorie di ‘irrazionalità’, e che richiedono un serio impegno in primo luogo nella prospettiva che abbiamo definito come ‘cura’. Resta aper- to, in via residuale, il problema di interventi limitativi delle libertà. Il giurista penale avverte il disagio di un’alternativa dilemmatica tra la fedeltà a principi di libertà e la ‘violazione’ che potrebbe scatu- rire dall’avallo di politiche di intervento; sì, perché di violazione si tratta in quanto un dilemma non ammette vie di fuga ma costringe, piaccia o non piaccia, ad accollarsi le conseguenze del cosiddetto ‘male minore’. Condividiamo l’atteggiamento combattuto che altre voci, ben più autorevoli, hanno confessato. Non lo diciamo semplicemente a no- stra discolpa, bensì a conferma della profondità del dilemma che ci attanaglia, nella convinzione che proclamare in questi casi un’asse- rita ‘soluzione’ rischi di sfociare in una hybris intellettuale, e che sia stema strumenti per marcare «l’essenziale differenza fra libertà di critica, anche in forme aspramente satiriche, e pura e semplice denigrazione o dileggio: differenza che deve modellarsi [...] su quanto comunemente accolto per le ingiurie rivolte ai singoli». Il richiamo all’offesa che caratterizza l’ingiuria contribuisce a connotare in termini personalistici l’interesse protetto, avvicinandolo univocamente alla, pur problematica, dimensione della dignità del credente. Fermo restando che le fatti- specie a tutela dell’onore restano comunque un presidio attivo per le offese ai singo- li, l’estensione dell'art. 3 della legge n. 654 del 1975 nella parte relativa alla propa- ganda si presterebbe, a nostro avviso, a perseguire l’auspicabile risultato teorizzato da Romano. Se intendiamo denigrazione o dileggio come forme di disconoscimento della pari dignità delle persone in quanto credenti in una determinata fede o visione del mondo, l’incriminazione della propaganda discriminatoria, debitamente estesa nella formulazione lessicale, può, a nostro avviso, assolvere in modo meno ambiguo dell’art. 403 c.p. ai predetti scopi di tutela.   246 Tra sentimenti ed eguale rispetto invece preferibile affrontare i problemi col dovuto rispetto per la complessità: «Un dilemma comporta un’oscillazione infinita; in quanto la nostra esperienza è teatro di continui dilemmi, la sua struttura è infinitamen- te provvisoria e le si fa torto ogniqualvolta si cerchi di rinchiuderla nello steccato di un arrogante e definitivo pronunciamento, nella su- perba convinzione di aver già sempre (prima che un qualsiasi proble- ma si ponga) visto giusto» 23. È comprensibile la tendenza a optare per la soluzione in grado di ‘lasciare in sospeso’ il più possibile le conseguenze di uno dei due ma- li, per evitare una violazione certa (delle libertà) nella speranza che il male alternativo non trovi realizzazione. Riteniamo che questa sia una possibile chiave di lettura, come ‘autorassicurazione psicologica’, di ciò che la filosofia ha definito ‘utilitarismo delle regole’, ossia l’at- teggiamento con cui si risponda all’incertezza di fronte a un conflitto cercando l’applicazione di una regola ritenuta giusta in quanto tale, quali che siano le conseguenze della sua applicazione 24, accettando il rischio di affidarsi a ragionamenti talvolta anche non adeguatamente orientati sul piano delle possibili conseguenze. Ed è altrettanto comprensibile che il cultore delle discipline pena- listiche, nella consapevolezza dei mali insiti nella coercizione, faccia il possibile per evitare di dare impulso e fornire ragioni allo strumen- to penale, cercando piuttosto di contenerne la pervasività. Vorremmo essere sicuri che la fede liberale ci porti nel giusto; ma un sano senso critico esorta a mettere in conto che potremmo anche aver torto. In linea di principio, sarebbero da evitare alcuni degli er- rori attribuiti a un pensiero irenisticamente liberale, che talvolta fini- sce per «esalta[re] la forma a discapito del contesto» 25, magari «eri- gendo steccati intellettualistici esibiti come fieri esercizi di democra- zia» 26. Quello che a nostro avviso va tenuto presente, e che parte della dottrina penalistica ha ben messo in luce, è il fatto che non vi sono risposte che possano considerarsi come esito indefettibile di un’ade- 23 BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, cit., p. 78. 24 BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, cit., p. 47. 25 ABEL, La parola e il rispetto, cit., p. 107. 26 Così, efficacemente, BRUNELLI, Attorno alla punizione del negazionismo, cit., p. 998.   Osservazioni finali 247 sione ai principi liberali (quale tipo di liberalismo?) o come soluzione ricavabile ‘a rime obbligate’ dal testo costituzionale, ma ogni eventua- le prospettiva resta legata a opzioni politiche che vanno attentamente commisurate sia a criteri di legittimità sia a criteri di opportunità. La posta in gioco è estremamente significativa. La difesa dell’eser- cizio di una libertà del pensiero critico, aperto anche a manifestazio- ni ‘disturbanti’ 27 è ciò che identifica e distingue il nostro mondo libe- rale, pur con tutti i suoi difetti, dalle oscurità del fondamentalismo: non dobbiamo dimenticarlo. La costruzione di una campana di vetro al fine di garantire ‘im- munità emotiva’ agli individui suscettibili non può far parte dello strumentario giuridico di una democrazia liberale, la quale può (de- ve?) esigere dai cittadini responsabilizzazione e capacità di elabora- zione della limitata efficacia pratica delle proprie convinzioni, o, più icasticamente, «una certa dose di robustezza» 28. Si tratta in altri ter- mini di favorire l’interiorizzazione di un onere di tolleranza consi- stente nella consapevolezza di poter realizzare il proprio ethos «solo nei limiti di ciò che compete parimenti a tutti» 29. Il richiamo alla ‘robustezza’ vale sia come monito a non cadere in uno sterile e polemogeno ‘sentimentalismo vittimocentrico’, acriti- camente proclive ad avallare doglianze di animi suscettibili, ma costi- tuisce a nostro avviso anche un monito a non dare per scontata tale condizione di tenuta etica nelle persone, dovendosi mantenere l’oc- chio vigile e l’orecchio proteso a captare segnali in grado di mostrare le crepe prima che si arrivi a un collasso. È di tutta evidenza come nell’attuale momento storico le dinamiche del reciproco rispetto stiano subendo una particolare curvatura, proba- bilmente una deformazione, sia sul piano dei contenuti, sia sul piano dei canali espressivi. Rispetto al passato, anche recente, siamo oggi por- tati a constatare quasi quotidianamente, grazie ai (o a causa dei) media, condotte che sono dettate da atteggiamenti di repulsione dell’altro. Se è vero che rinvenirne la dannosità immediata risulta operazio- ne assai complessa, la quale molto difficilmente riesce a soddisfare appieno i filtri dell’armamentario concettuale penalistico, non può essere però escluso che volgere gli occhi al cielo, confidando sul fatto che lo spirito critico e gli ideali di tolleranza riescano ad avere la me- glio, possa rivelarsi un atteggiamento «totalmente alien[o] dai calcoli 27 PULITANÒ, Laicità e diritto penale, cit., p. 315. 28 HÖRNLE, Protezione penale di identità religiose?, cit., p. 381. 29 HABERMAS, Tra scienza e fede, tr. it., Roma-Bari, 2006, pp. 160 s.   248 Tra sentimenti ed eguale rispetto pazienti e minuziosi che sarebbero richiesti per sostanziare quella giustificazione» 30. Tali riflessioni ci vengono suggerite dall’esigenza di non sottovalu- tare un repertorio ormai troppo consistente di fatti che rimandano a un passato non del tutto trascorso e con preoccupanti echi nel tempo presente. Le ragioni del diritto si intrecciano con un tessuto anche emozionale, il quale costantemente ci ricorda che il diritto è «priori- tariamente una risposta alla memoria del male, che esseri umani possono fare ad altri esseri umani» 31. Tenere ben ferma l’attenzione sui mondi umani e sulla realtà so- ciale è un impegno necessario per monitorare la qualità delle libertà in un contesto pluralista. Il diritto penale non rappresenta lo stru- mento più idoneo a svolgere una funzione promozionale 32, ma rite- niamo non debba essere aprioristicamente tacciato di vena illiberale il proposito di immaginare strumenti perché vi possa essere anche, eventualmente, un redde rationem sull’uso della libertà di espressione, non quale forma di soffocamento ma quale chiamata a dare spiega- zioni e ad assumersi la responsabilità di un certo uso del linguaggio, il quale è performativo non solo nei confronti della realtà esterna ma anche di sé stessi 33. Non intendiamo avallare forme di ‘democrazia protetta’34, bensì evitare di chiudere aprioristicamente il discorso su ciò che il diritto, e anche eventualmente il diritto penale, potrebbe fare nelle forme non 30 BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, cit., p. 47. 31 VECA, La priorità del male e l’offerta filosofica, Milano, 2005, p. 20. 32 FIANDACA, Laicità, danno criminale e modelli di democrazia, cit., p. 37. 33 Secondo quanto osservato da Michele Serra in esergo a questo capitolo, di fronte a nuove libertà e a nuove dignità conseguono nuovi problemi, di pensiero e di linguaggio, e le parole che usiamo definiscono gli altri ma al contempo ci defini- scono. 34 Concetto che peraltro rischia di prestarsi a usi retorici. Cosa vuol dire ‘de- mocrazia protetta’? Una democrazia liberale di tipo ‘aperto’ ha dei valori da di- fendere? Certamente non può dirsi che la democrazia sia una forma di governo relativistica; al contrario, essa «non ha fedi o valori assoluti da difendere a ecce- zione di quelli su cui essa stessa si basa. Nei confronti dei principi democratici, la pratica democratica non può essere relativistica», v. ZAGREBELSKY, Imparare de- mocrazia, Torino, 2007, p. 15. A partire da queste premesse, si può concordare con quanto osservato da SALAZAR, I destini incrociati della libertà di espressione, cit., p. 80, ossia che «non esistono “democrazie indifese”, cioè impossibilitate a difendersi se vogliono rimanere fedeli a se stesse, dovendo semmai distinguersi tra Costituzioni dotate di un sistema di protezione meno “appariscente” e quelle che, invece, ne esibiscono uno maggiormente strutturato».   Osservazioni finali 249 di una censura autoritaria, ma quale veicolo, tramite i precetti, di ri- chiamo simbolico a valori della convivenza liberale, nella convinzio- ne che lo strumento giuridico debba essere pensato non soltanto co- me un mezzo ‘di giustizia’, ma possa anche assumere le vesti di «un luogo di scoperta del giusto. È l’idea che l’istituzione del diritto nella sua essenza sia precisamente il mezzo che la nostra ragione ha indi- cato non solo per garantire il dovuto da ciascuno a tutti, ma anche per scoprire attraverso il confronto e non più lo scontro delle diverse concezioni del bene sempre nuovi aspetti di questo dovuto» 35.  35 DE MONTICELLI, La questione morale, cit., p. 156.

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