VII. (D i Cjiovauui Odo ndi òalf'Otcfcgto, TTtedico eli ^Padova, e Dei uiouumeutv antichi da fui «animati a ctonia, e di afcuui »ceitti inediti def medesimo. rt A FILIPPO SCHIASSI CAHOMCO MILLA CHIESA MAGGIORE DI BOLOCRA, E PROFESSORE DI archeologia bella criverbitì. JL u non ignori certamente , o amatissimo Schiassi, cum io faccia di le gran cubitale per la somma erudi- zione archeologica che possedi , e per la forbitezza dello scrivere latino , nella quale con pochi vai distinto ; e co- me poi io non sia ad alcuno secondo nell'osservanza ed amore verso di te per le doti singolari dell'animo tuo. In verità io ho sempre desiderato mi fosse pòrta occa- sione di farti noto pubicamente questo mio volere ; ma quella mi fallì maisempre, o, a meglio dire, non ebbi mai ardimento di abbracciarla, parendomi da non do- versi indirizzare a te cose che non fossero parlo d'in- gegni maturi, fra' quali per fermo non è da riporsi il mio. Tuttavolta altre ragioni m'inducono ora a prendere contrario divisamento . Il perchè, in arra di rispetto e di Digìtized by Google — G benivoglienza, ho deliberalo di spedirti questa Lettera in- torno a Giovanni Dondi , e publicarla intitolata al tuo nome ; indotto anche da ciò , che in essa circa V obelisco vaticano , della cui traslazione tu di fresco con scienza e perizia ne hai scritto . ho io allegate alcune cose , dalle quali appare essere ora per la prima volta manifesto come il medesimo nel medio -evo sia stato atterrato , e non guari appresso di bel nuovo ristabilito, non altri- menti come sono di comune consentimento i più accre- ditati scrittori delle cose passale: de’ quali in ispezialità qual sia il giudizio da tenersi tu puoi decidere. Io in- tanto a te sottometto di tallo cuore e senza cerimonie la mia opinione , qualunque ella siasi: ritieni poi , che con animo a tc per intiero affezionatissimo mi dispongo a ciò fare. V enezia 5 Dicembre 1818. Digitized by Google ms v>die Francesco Petrarca abbia scritto di Giovanni Dondi suo amico non meno con verità die con ma- gnificenza, essere egli stalo d'ingegno sì sublime e po- tente, che ito sarebbe alle stelle, se rattenulo non lo aves- se lo studio della Medicina 0),Jo capiranno coloro spe- cialmente, i quali siano a giorno come il medesimo siasi reso distintamente celebre nelle scienze medi- che, filosofiche ed astronomiche ; c, di più, conosca- no come in altre discipline, a dir vero non comuni, fosse egli oltre l’ usato erudito. Fu peritissimo ancora in scienza morale, nella cognizione dei monumenti antichi, e nel linguaggio delle Muse italiane : le quali cose, come disse Celso in altra occasione, quantunque non costituiscano il Medico, tuttavolta lo rendono più atto alla Medicina (Lib. I.), e fanno sì che abbia a primeggiare fra i dotti del suo tempo. Ed in vero, che non si possa lare un pieno uso della Medicina nella maggior parte delle malatie del corpo, se quelle dell’animo del pari non si curino, è chiaro di già abbastanza per concorde dottrina degli antichi e recenti filosofi, suffragata dalla sperienza. Intorno a ciò sono manifesti i sentimenti di Aristote- le, d’ Ippocrate, di Galeno, e di altri ; come pur anco (1) Lib. XVI. Lettera III. a Francesco Sancse.data in luce a Venezia nel 1501. Digitized by Google — 8 — ne fanno chiara prova quelle cose che sopra lo slesso argomento ci hanno lasciato in appresso uomini sa- pientissimi. Che poi da un’accurata osservazione degli anti- chi monumenti, e dalla lettura delle iscrizioni ne ven- gano singolari ajuti onde conoscere più diffusamente l’ arte medica, ce lo dimostrano le Opere dei valenti in quella, cioè di Girolamo Mercuriale intorno alla ginnastica, il quale trattò anche del sito più salubre alla costruzione delle fabbriche e circa gli strumenti chirurgici ; di Giannantonio Sicco e di Andrea Baccio intorno ai bagni termali ; di Tomaso e Gasparo Bar- tolini sopra l’ antico puerperio : ai quali libri se ne potrebbero facilmente aggiungere altri di tal fetta, cioè di Pietro Bellonio, di Lorenzo Gioberti, di Mar- siglio Cagnato, di Tomaso Reinesio, di Giovanni Ro- dio, di Carlo Patino, di Carlo Sponio, di Daniele Gu- glielmo Trillerò, di Carlo Federico Ilundertmarki, di Antonio Cocchi, e di altri ; cosicché niuno deve maravigliarsi del progetto di Tomaso Bartolini nel comporre l’ Opera intitolata Antichità necessarie ad un Medico, del cui apparecchio, in appresso incenerito dalle fiamme , lo stesso autore ne diede breve com- pendio in una Dissertazione stampata in Hafnia l’ an- no 1670 sopra l’incendio della biblioteca. Le moltissime sue lodi, scritte in prosa ed in ver- so, ci fanno ampia testimonianza che lo studio della poesia giova a meraviglia per fecondare e ricreare l’ ingegno, per aggiungere fregio alla lingua ed allo stile, e per fare acquisto di altre doti richieste ad un uomo di lettere ; nè vi sarà al certo chi ignori che i Digitized by Google — 9 — Medici versati nella medesima n’ andrebbero stimati da più che gli altri, e si leggerebbero con più di di- letto le Opere loro. Noi conosciamo ancora che gli stessi scrittori dell’arte medica, distinti fra gli anti- chi, Ippocrate ed Areteo, succhiarono da Omero il loro bello ; il primo de’ quali fu detto da Eroziano uomo omerico quanto allo stile ( Glossar . Hippocr. Praef. pag. 7, edit. Lips. 1780); e Trillerò fa vedere che al secondo giovò d’ assai la lettura dello stesso autore ( Opuscula medico - philologica, Tom. 1. pag. xxi): il che chiaro apparisce parimente di Galeno e di altri. Ec- cellente si è la cura posta da Tomaso Bartolini nel trattare che fece di questo argomento nella Disserta- zione intorno ai Medici - poeti, publicata in Hafnia l’anno 1669; ed ora se ne potrebbe formare un sog- getto con assai più di splendore. Sono poi da tenersi in gran conto quelle cose che furono scritte da Giro- lamo Fracastoro, uomo grande nell’ una e nell’ altra facoltà, a Girolamo Amalteo, medico non meno che poeta celebre del suo tempo; cioè andare di gran lunga errati coloro i quali avessero per niente la poesia, e la stimassero cosa incompatibile colla Me- dicina: che anzi dichiara apertamente con Andrea Navagerio, essere inetti a toccare il fondo di ogni scienza, o a gustare appieno le bellezze di qualsiasi arte meccanica, coloro i quali andassero privi e man- canti di vena poetica (Fracast. Opera edita Corniti, an- no 1739, Tom. II. pag. 105-106). Dondi per colti- vare l’ animo in questi studj, indotto dall’ esempio ed intrinsichezza del Petrarca, il quale nei medesimi avea tocco l’ apogèo della gloria, consegnò allo scritto Digitized by Google 4 « — 10 — monumenti non dubj di questo studio, commettendoli ai posteri ; ma quelli inediti, ed appena conosciuti in un codice cartaceo di quella età, posseduto un tempo dallo stesso autore, toccò per avventura a me solo di vederli presso Roberto Papafava, figlio d’Albertino, fregiato della primaria nobiltà fra i Padovani e Patri- zio Veneto, il quale mi onorava di singolare cortesia; nel qual codice io stesso ho letti gli scritti inediti del Dondi senz’ altro giudizio od altro ordine, da quello in fuori con cui qui li riporto. Vi sono nel codice ‘28 Lettere intorno a diversi argomenti, scritte dal Dondi a varie persone ; cioè : 1. Al Petrarca. Si protesta tornargli a grande vantaggio 1’ amicizia di lui, per arricchirsi a perfe- zione della morale filosofia ; il che osserva essere as- sai conforme all’ insegnamento di Seneca nella Let- tera <08 a Lucilio intorno al conversare co’ filosofi. Nel dipartirmi da te (scrive egli) ne riporto ogni giorno frutti novelli , e alla tua presenza mi si ricrea V animo d' insolita gioja. 2. A Giovanni dall’Aquila fisico (Padova il di 1 9 Luglio 1374). Annunzia e mostra allo cordoglio per la morte del Petrarca, d’ improviso avvenuta la notte antecedente. « E morto un personaggio unico, a dir vero, ed » ammirabile tra i pochi di ogni età; ma a’ nostri » giorni il solo, a mio giudizio, che v’abbia su tutta » la terra, e da non potersi trovare in qualsivoglia » parte di essa: uomo da essere ricordalo e tenuto a » venerazione da tutti i secoli. Fatale disgrazia e la- » grimevolc a tutto il genere umano, ma assai più Digitized by Google — Il — » amara a buon diritto all’ Italia , della quale non » senza gran merito egli n’ era amante perduto, e in » ogni circostanza partigiano caldissimo ; sopra tulli » per altro a me e a te, ai quali era legato con nodo » strettissimo d’ amore e di singolare benevolenza. » Mancò un uomo senza dubio grande, ottimo, soavis- » simo, amantissimo di noi ; ma non per altro cessò » del tutto, poiché anzi diede principio a vita miglio- » re, richiamato dall’ esiglio alla patria : se vero è » che gli offici di questa vita mortale, la Religione di » continuo venerata e studiosamente coltivata, l’opera » assidua agli sludj unicamente onesti e lodati, dieno « fidanza di alcun premio nella vita a venire. » 3. Ad Antonio Leniaco, uomo di singolare ingegno. 4. Ad Argentino (Arsendino) da Forlì, e a Pa- ganino da Sala padovano, Dottori in legge. 5. A Guglielmo Ravenna, fisico. fi. 7. A Geminiano, fisico del Marchese Cesa. f*. A Gasparo (Broaspina) di Verona.... c Hai pòrto materia, nella quale mi ricordo di » essere stato titubante aneli’ io, mentre scorreva la »> Lettera a Lucilio di quell’ eccellente e tutto nerbo » Anneo, maestro mio e tuo, e di tutti i buoni amici » in generale. » A Gasparo, che lo dimandava di quelle cose che Seneca scrisse nella settima Lettera a Luci- lio sopra gli spettacoli dei Romani, gli dà spiegazio- ne abbastanza chiara, come portavano quei tempi sì riguardo alla materia, come pur anco alle parole; vi adoperò eziandio dell’arte critica a motivo delle scorrezioni del testo, per colpa in gran parte della Digìtized by Google 'z — 12 — ignoranza degli amanuensi, e dell*' audacia di coloro che vi posero mano alla emendazione. 9. A Bartolomeo Mazio di Verona, fisico egregio. 10. A Francesco Petrarca (Padova il dì 14 Ot- tobre 1370. Una lunga Lettera circa il metodo di vita da seguirsi dal Petrarca, la quale i precettori del Se- minario di Padova avendo ricevuta da me, che la trascrissi dal codice soprallegato, non dal Marciano, come porta l’edizione, aggiuntane un’altra del Pe- trarca al Dondi, fu da loro data alle stampe nel 1 808. 1 1 . A Lombardo Serico, cittadino padovano. 1 2. Al frate Guglielmo da Cremona, teologo. Fa vedere gl’ ingegni degli antichi di gran lunga supe- riori ai moderni sì in fatto di lettere, come ne fa chiara testimonianza il Petrarca, non meno che ri- guardo alle opere famose delle arti più belle, col- l’esempio alle mani di un insigne scultore soprafatto di ammirazione alla vista di monumenti antichi. 1 3. Ad Antonio Leniaco, cittadino veronese. 14. A Giovanni Cremona, maestro nelle arti li- berali. 15. Ad un suo intimo amico, uomo singolare ed egregio. 16. A Bernardo Caselle, cittadino padovano. 1 7. A Guglielmo Aromatario. 18. 1 9. A Paganino da Sala, Dottore in legge e uomo di milizia. Con queste si congratula della di- gnità di Cavallicre conferita di fresco a Paganino; così per altro, che ne fa di molto più stima dell’onore ottenuto dall’ alloro in Diritto civile, dal quale egli traeva di già vantaggio e lode. Digitized by Google — 13 — *20. A Nicolò Alessi, Protonotario e Vice-Can- celliere del Signore di Padova. 21. 22. Ad Andreolo Arisio Cremonese. Biasima e si fa beffe della scarsezza che v’ è nelle biblioteche di Francia dei libri specialmente di Filosofìa morale, di cui era tenuto a giorno per lettere di Arisio cola dimorante. 23. Al frate Guglielmo, Vescovo di Pavia. 24. Ad Albertino Salso, precettore di Fisica. 25. A Giacobino Angarano di Vicenza. Data in luce in uno all’ Opera del Pondi intorno alle Fonti calde nel Territorio padovano, al Maestro Giacomo Vicentino, fra i Trattati di vari autori circa i Bagni, stampati a Venezia Panno 1553, pag. 94. 2C. Ai Professori direttori di Medicina e delle Arti nello Studio di Padova. Fa loro avere un libro da lui composto, del quale dà contezza con queste parole: » Ricevete un Trattatello che vi darà per » ispiegato P ordine oscuro di Galeno nella distinzione » delle disposizioni dei corpi umani, il quale ei ri* » strinse con brevità nel libro di Microtegno, asse- n gnandovene le reali differenze fra quelle, tranne » poche che vollero accennare sin qua di volo altri » espositori, ma in molte colle relative differenze. » 27. Al maestro Guidoni (di Bagnolo) in Venezia, nomo egregio, fornito di molto sapere e virtù. Pado» va, 20 Dicembre 1360. 28. A Pasquino Cappelli, cittadino cremonese. Intorno a Pasquino, Cancelliere di Giovanni Ga- leazzo Visconti Principe di Milano, ne fece parola Pietro Lazerio nelle Miscellanee cavate dai libri ma- Digitized by Google — li — noscrilti nel Collegio Romano dei Gesuiti, Tom. I. pa- gina 1 03. Pasquino avea fatto richiesta delle Lettere scritte dal Dondi a diversi ; e Dondi si argomenta a tutt’ uomo per dissuaderlo che quelle Lettere non erano tali che meritassero a pezza le sue dimande. Poscia scrive molle cose circa i rotti costumi degli uomini del suo tempo, degne alla scorza di un va- lente filosofo. Queste Lettere sono piene a ribocco di sentenze morali, siccome quelle che furono composte da un au- tore che metteva ogni cura nel leggere le Opere di Seneca, e ne avea anche dilucidate le di lui Lettere a Lucilio, con annotazioni allegate circa alle medesime da Gasparino Barzizio nel suo Commentario, da me veduto scritto a mano. Di qual desiderio ardesse il Dondi di vedere mo- numenti antichi, ne fa aperta testimonianza il viaggio di lui a Roma, ad unico oggetto di venire in pieno conoscimento dell’antico e nuovo stato della città. Del qual viaggio non rimane alcuna traccia dalla publica autorità confermata ; tuttavolta ho letto io stesso nel codice manoscritto, di cui feci menzione di sopra, le annotazioni dello stesso Dondi intorno ai principali monumenti dell’ antichità nel viaggio e nella dimora che fece a Roma circa l’anno 1375, esaminati, credo io, da lui appassionatamente ; delle quali annotazioni ei fa fede così dal principio : « Ilo riportato queste » cose scritte in lettere quando fui reduce da Roma. « Non è prezzo dell’opera il rescrivere qui le anno- tazioni del Dondi, nelle quali v’hanno anche difetti di scritturazione, potendosi avere alla mano scrittori Digitized by Googte — 15 — famosi per molto sapere, i quali ci hanno chiarito dei medesimi monumenti con mollo più «li accuratezza e dovizia. Ci piace di riportare qui sotto la prima sol- tanto, la quale versa circa l’ obelisco valicano, poi- ché mollo è stimala per singolare novità, facendoci vedere un distico da nessuno, per quanto io sappia, riportato, c del quale importa se ne faccia ricerca. Quella poi suona così : In Roma La colonna Giulia a quattro lati, che si eleva di costa a S. Pietro, ha di grossezza presso l’ estremità di mezzo, lunghesso ciascun lato, otto piedi all’ in- circa ; di altezza poi, secondo un buon calcolo, ascen- de a 00 piedi, ossia a dieci pertiche. Ma un prete ac- casalo lì vicino affermò che un tale l’aveva misurata con uno strumento ad ombra , e la trovò di brac- cia 45. Martino (0 nella Cronaca dice che la sua lun- ghezza va a un dipresso a 120 piedi; ed Eutropio afferma la stessa cosa. Svetonio poi dice eh’ è di pie- tra di Numidia. E vi sono poi ne’ suoi due lati lettere incise di tal maniera: Divo Cnesari Divi Julii F Augusto Ti Cacsari Divi Augusti F Augusto Sacrimi. (1) Intorno alle antichità romane sogliono premettere alcune cose più memorabili di Martino Polacco, Cronicista dei Pontefici e degl’imperatori, specialmente nei codici ma- noscritti. Quelle poi che trovansi aggiunte come tratte da Eutropio e da Svetonio, falsamente vengono loro attribuite. Digìtized by Google — ir» — Al di sopra della mela di questa colonna Giulia vi sono scolpili questi due versi: Ingenio Buzeta tuo bis quinque puellae Appositi s manibus itane erexere columnam. Plinio {Hi storia Nat. Lib. XVI. Cap. XL., e Li- bro XXXVI. Cap. IX.), e Svetonio (nella Vita di Claudio, Cap. XX.) dimostrano apertamente che l’in- signe obelisco sia stalo trasportato dall’Egitto a Ro- ma per comando di Cajo Caligola ; e in séguito, mes- sa a fondo da Claudio nella costruzione del porto di Ostia la nave su cui era stato trasportato, la più me- ravigliosa di quante mai si fossero vedute solcar ma- ri, il medesimo sia stato collocalo nel circo di Ne- rone ; ned è da entrare in forse che il medesimo, fre- giato di quella cospicua iscrizione ne’ due lati, non sia quello stesso che sempre fu tenuto per l’obelisco vaticano. Di questo attestano tutti gli scrittori più accreditati, che non sia mai stato mosso da dove per la prima volta fu inalzato, nè in alcun tempo atter- rato, fino a tanto che, volendolo Sisto V. Pont. Massi- mo, l’anno 1586 fu trasportato dal luogo, dove pri- ma era posto, mediante un congegno di macchine ma- ravigliose di Domenico Fontana del contado di Campo Novocomese, nella piazza di S. Pietro, dove al giorno d’oggi si trova. Di tanto unanimemente ne stanno mallevadori in particolar modo Angelo Decembrio, Poggio Fiorentino, Mafeo Vegio, Francesco Alberiino, Pietro Angelio Bargeo, Onofrio Panvinio, Bartolomeo Marliano, Filippo Pigafelta , Andrea Palladio, Ber- nardo Gamuccio, Michele Mercato, Famiano Nardi- I Digìtized by Google — 17 — nio, Kirhero, Domenico Fontana , Giampietro Bello- rio, Carlo Fontana, Filippo Bonanno, Angelo Maria Bandinio, Francesco Milizia, Cancellieri©, Winckel- manno, Fea, Giorgio Zoega; l’ultimo dei quali, che ci diede un’ Opera perfettissima sopra gli obelischi, impressa a Roma l’anno 1797, come a nome di tutti gli altri scrisse di quello con facondia (pag. 612): « Questo dei romani obelischi il solo superstite alle » rovine della città, si tenne in piedi nel Circo vati- » cano fino a tanto che l’architetto Domenico Fonta- » na, per comando di Sisto V. Pontefice Massimo, lo » trasferì nella piazza di S. Pietro. » Quindi non è da prestarsi credenza a Ciampinio, a Molineto, a Vitlo- rellio, a Ficoronio, a Marangonio, a Guattanio, e a pochi altri, i quali affermarono che il medesimo era di già abbattuto e steso al suolo allorché si fece la sua traslocazione sotto il Pontefice Sisto V. nel 1 586. Tuttavia, giudice e testimonio il Dondi, ora ci si para innanzi all’ impensata il distico da tempo scol- pito sopra l’ obelisco, dal quale non fuori di propo- sito n’ è lecito far congettura eh’ esso avesse incon- trata cogli altri la stessa sorte, e poscia nel medesi- mo sito, dove dapprima era posto, sia stato di bel nuovo inalzato ; ovvero, se non fu ritrovato intiera- mente abbattuto e steso a terra, fosse almeno così piegato, che il suo inalzamcnto si avesse a tenere in conto non altrimenti che di fatto assai meraviglioso, e da tramandarsi con lode alla memoria dei posteri per mezzo d’ un monumento cospicuo cesellalo a Ro- ma ; al quale in séguito, come sarà a vedersi dalle cose che qui sotto si diranno, se ne aggiunse un altro Digitized by Google — 18 — di simile a Pisa. Per verità, tostochè lesesi questo distico, ci ricorre alla memoria quel tetrastico sopra quella grandissima mole di marmo, tradotta per mare ed inalzata il secolo XI. dalle mani di dieci fanciulle, per il sommo ingegno del chiarissimo architetto Bu- scheto; il quale tetrastico si vede scolpito nel medesi- mo tempo sopra il di lui sepolcro, che fronteggia il tempio maggiore di Pisa, e parla così : Quod vix mille boum possent juga junctn movere , Et < fuod, vix poluil per mare ferve ralis, Busketi iiisu, quod crat mirabile vini , Dena puellarum turba levabai onus. Del qual tetrastico, siccome è noto, furono fatte tante e così scipite interpretazioni, che il fatto delle dieci fanciulle si spacciò per una favola ; quasi che quelle parole non si potessero applicare all’ inalza- mene della gran mole, portato a termine per opera di Buscheto con tale perfezione, che dieci donzelle colle sole loro mani sarebbero state da tanto a quel- l’ impresa, e che a loro in certa guisa sembrasse do- versi attribuire la grande erezione. Pare che P opi- nione popolare abbia condotto in errore tutti coloro che di questo fatto hanno discorso per iscritto ; cioè che il contenuto in quei quattro versi accennasse alle macchine costrutte da Buscheto nella fabbrica del tempio pisano ; perchè il medesimo, ma in altri versi, vi si leggeva in lode di Buscheto sulla facciata di quel tempio, cominciato l’ anno 1 063, e condotto a fine nel volgere dello stesso secolo. Per quanto poi si sa, nessuno avrebbe sospettato se sia da intendersi lo stesso intorno al lavoro eseguito in Roma. Digitized by Google — 19 — Se non che quelli che giudicano imparzialmente de’ fatti, e sono di parere che P obelisco nel medio- evo sia stato atterralo, e poco dopo novamente inal- zato da Buschelo, sembra ciò possano fare senza tac- cia di errore, se specialmente considerino che tutti quegli aggiunti, rappresentati ab antico colle stesse parole intorno al trasporto dell’ obelisco sopra una nave d’ una meravigliosa grandezza, e la maniera stessa adoperata nel suo secondo inalzamento, acqui- stano insieme chiarezza e fede ; altrimenti non veggo quello che se ne possa dire di vex*o e di ragionevole su questo fatto. Che P obelisco sia stato fermo in pie- di almeno sino all’anno -1053 presso la Cappella della Basilica Vaticana, nel qual luogo sino dal principio era stato posto , è chiaro dalla Bolla di papa Leo- ne IX., per Li quale viene confermato il fondo ai Ca- nonici della Basilica medesima, nel cui terzo lato (dis- se) corre un'altra via dall'aguglia che si nomina Sepol- cro di Giulio Cesare ; colla qual denominazione sol- tanto apparisce sia stato in uso nel medio-evo d’ indi- carsi questo monumento ( Collezione delle Bolle della Basilica Vaticana di Roma, i 747, Tomo I. pag. 25). Dagli anni succedenti a quel medesimo secolo fino al 1084 tennero dietro quei lagrimevoli tempi, ne’ quali per la discordia di Enrico IV. e Gregorio VII., che tra loro si combattevano, toccò a Roma di patire moltissime calamità, nonché assedj, incendj, smantel- lamenti e distruzioni di fabbriche anche in quella parte che si chiamava Città Leonina, in cui stava l’obelisco: le quali cose tulle noi leggiamo testimo- niate publicanienle da scrittori di quell’età, c di già Digitized by Google — 20 — scritte da storici accurati d’ Italia di tempo posterio- re nei loro divulgati lavori, senza che mai ne accada per avventura di vedere da essi fatta alcuna menzione dell’ obelisco ; onde sorge qualche probabilità, che ad esso pure sia toccata in quel tempo la medesima disgrazia d’essere rovesciato. Questo certamente cade ora in taglio di osservare, che niuno di quelli de’quali abbiamo gli scritti circa le antichità di Roma, o di quelli de’ quali abbiamo le collezioni da gran tempo date in luce delle antiche iscrizioni, ha fatto mai cen- no del distico intorno a Buscheto; non pure eccet- tuato lo stesso Petrarca, che sappiamo aver egli stu- diosamente esaminato gli antichi monumenti, e del- l’ obelisco aver fatto parola soltanto secondo la voce del popolo ( Epislolae familiares , Lib. VI. Ep. XI. pa- gina 199, edit. Genev. 1601). Noi pertanto andiamo debitori al Dondi, siccome a quello che forse primo di tutti ci diede una giusta conoscenza del tetrastico pisano, e la notizia della mole insigne ultimamente alzata in Roma, la quale è di moltissimo vantaggio per far conoscere la storia delle arti meccaniche del medio- evo in Italia : soggetto di un voluminoso ed utilissimo scritto. Un silenzio così durevole ed universale non può essere di certo a molti senza ammirazione ; ma ove essi considerino che l’ obelisco di bel nuovo inalzato era stato a cielo scoperto bersaglio delle ingiurie dei tempi per il giro di quasi tre secoli avanti il Dondi, e che mostrava quel distico a lettere sfuggevoli, seb- bene ab antico scolpite, difficili alla lettura per la sconvenienza del sito, talché siasi preso Buzeta per Digitized by Googl — 21 — Buscheto ; e che finalmente nel secolo XV. le medesi- me erano del tutto scomparse, non avranno più luogo sì fatte meraviglie. Senza dubio Angelo Decembri o 11011’ Opera ripiena di scelta erudizione e poco cono- sciuta, scritta circa la metà di quel tempo, intitolata hibri selle di polizia letteraria , c data ai tipi in Augu- sta l’anno 1540 (pag. cui.) in foglio, ce lo rappre- senta tanto ridotto a mal termine, che non dee fare stupore sia esso sfuggito a’ curiosi indagatori degli an- tichi monumenti, ed abbia indotto Guarino Veronese a parlare in tal foggia: « Quel lato eh’ è posto a Mez- » zogiorno viene corroso ogni dì più dai continui va- » pori dell’ Austro e dalle procelle ; e i geometri e gM » architetti tutti del nostro tempo ne trovarono tanto » di logoro, che ritengono sia scemato da imo a som- » mo quasi duecento libre. » E il Cardinale Pietro Bembo nel Dialogo ad Ercole Strozio intorno la zan- zara di Virgilio e le favole di Terenzio, impresso la prima volta a Venezia l’ anno 1 530 con altre sue Ope- rette, mette in bocca a Barbaro Ermolao questi delti : « Appena si può descrivere a parole la grave colpa » che hanno i Romani per quell’ obelisco vaticano, » i quali, quasi invidiando che sopravivesse una qual- » che opera alla nostra età, cui lunghezza di anni o » durata di tempo non valesse a distruggere, adope- » rarono sì che fosse quasi tolto alla publica vista per » mezzo di ammonticchiati rottami e murate easu- » pole. » Ma che il Dondi si abbia procurato colle osserva- zioni sulle romane antichità cognizioni per dare a buon diritto lodi secondo le azioni, n’ è prova la Let- Digitized by Google — 22 — lera diciottesima a Paganino Sala, decoralo poco in- nanzi della dignità di Cavalliere : nella quale difende che la scienza delle leggi è da tenersi in maggiore estimazione che l’arte militare, scrivendo: « Che il » Senato e il popolo romano avessero operato secondo » questo parere di Cicerone, lo attestano alcune fac- » ciate, le quali sino al giorno d’ oggi si conservano » nella città scolpite in marmo, alcune delle quali, *) nè m’ inganna la mia memoria, ho lette io stesso, » dove vengono anteposti in ordine di scrittura gli » uomini famosi in pace per consiglio a quelli che » travagliarono nella guerra. A’ piedi della rupcTar- » péa si conserva uno splendido arco trionfale di » marmo, che tiene inscritti due grandi uomini, vale » a dire Lucio Settimio e Marco Aurelio, sopra cui « dopo una lunga serie si offrono a lettera alcune » cose in proposito, le quali, tienle a mente, sono » queste: Ob rem publicam restitulam itnperiuinque » populi romani propagatimi insignibus virlutibus eorum » domi forisque. Ecco preferirsi il publico interesse » consolidato per senno alla conquista dell’imperio, » e i grandi in pace a’ grandi in guerra, quantunque » senza dubio l’ una e l’ altra sia cosa gloriosa. Così » il titolo di Dottore avuto per scienza in Diritto ci- » vile, colla quale si amministrano bene in pace i » publici affari, si giudica doversi anteporre al titolo » di Condoiliere d'eserciti , colle armi de' quali si gover- ni nano le cose al di fuori. » Posciachè il Dondi ebbe osservate le rovine della romana antichità, nella Let- tera duodecima al frate Guglielmo da Cremona ne scriveva in tal modo : « Quantunque poche ne sieno Digitized by Google — 23 — » rimaste delle opere degli antichi ingegni, pure se » alcune qua e là se ne conservano, vengono ricerca- » te, esaminate, e tenute in gran pregio dagli appas- » sionati in tal genere; e se vorrai mettere a para- » gone queste dei giorni nostri con quelle, ti sarà » chiaro come gli autori di quelle sieno stati più av- » vantaggiati dalla natura e dall’ ingegno, e più dotti » nel magistero dell’arte. Parlo di edifizj antichi, di » statue, di sculture, e d’altre cose di simil fatta, » alcune delle quali, con diligenza osservate dagli ar- » telici di questa età, li fanno dare nelle meraviglie.» Nella qual Lettera stessa, dopo di avere trattato dif- fusamente sulla eccellenza degli antichi, aggiunse an- che le seguenti cose, spettanti allo studio degli anti- clii monumenti : « Io avrei credulo che tu ti avessi » occupato con piacere a leggere di quando in quan- » do scritti di tale specie, o almeno alcuni dei prin- » cipali tra essi, ed in quelli ne avessi considerato in >■ molte parti, non senza stupore, i costumi e le azio- » ni dei tempi andati : perchè se vorrai con giustizia » raffrontare quelli con questi che di presente cono- » sciamo, sarai costretto a confessare che la giustizia, » il valore, la temperanza e la prudenza hanno avuto » certamente un seggio luminoso nei loro animi, e » dall’ impulso di quelle virtù si hanno procacciato » alcun che di magnifico a gran lunga superiore alle » più larghe mercedi. Del resto, prova di ciò sono » quelle cose che, ordinate una volta per onorare » gloriose intraprese, durano ancora nella città di » Roma. Conciossiachè sebbene molle e delle più pre- » ziose ne abbia mandalo a male il tempo, e di alcune Digitized by Google — 24 — » sieno mostrate soltanto le rovine, che ci presen- ti tano alcune tracce di ciò che per lo innanzi erano; » tuttavia quelle poche e a meraviglia stupende che » ne restano, sono più che bastanti onde fare testi- » monianza che coloro i quali le decretarono, non » poteano essere che dotati di somma virtù, e che co- « loro a’ quali venivano dedicate ad eterna ed onore- » vole ricordanza doveano avere operato gesta ma- » gnanime e strepitose. Voglio dire statue che, fuse » in bronzo o scolpite in marmo, durarono fino al » giorno d’ oggi ; e mollissimi pezzi sflagellati a tor- li ra, ed archi trionfali di pietra di gran lavoro, e co- li lonne storiate di memorabili imprese, ed altre cose » moltissime di tal genere, messe alla vista di tutti » onde onorare personaggi illustri o per avere sta- li bilita la pace, o scampata la patria da sovrastante » pericolo, o disteso il dominio sulle vinte nazioni. » E siccome mi sovviene eli’ io vi leggeva con molto » mio compiacimento, così voglio sperare che tu pu- lì re, passandovi sopra qualche fiala, le avrai con- » siderale, e fatto sovr’ esse alcun segno di meravi- » glia, ed avrai detto per avventura teco stesso : Que- ll ste per fermo sono prova d’ uomini grandi. » Resta che a fornire l’ elogio del Dondi io lo di- mostri anche amante dello studio poetico, onde sia manifesto com’ egli abbia occupato un luogo cospicuo fra i Medici del suo tempo. Anche i meno esperti di tali cose sapranno che delle sue composizioni italiane una sola ne fu data alle stampe, indirizzata al Pe- trarca, la quale con altre dello stesso autore suolsi vedere congiunta, e ne fu fatta memoria nel Diziona- Digitized by Google — 25 — rio degli Academici Fiorentini della Crusca. Ma nel codice manoscritto, di cui sul principio ho fatta men- zione, se ne leggono quaranta del genere di quelle che con vulgare vocabolo è invalso chiamare Sonet- ti. Queste trattano di varj argomenti, e specialmen- te dell’ amore alla virtù, della malvagità dei costumi del suo tempo , della lode e del biasimo di alcuni Principi allora regnanti, di città vedute nel suo viag- gio per Roma, di risposte ad amici; e di amorose as- sai poche, ben diversamente da quello che portava il suo secolo. Le poesie volgari del Dondi furono scritte a mes- ser Francesco Petrarca, e a quelli amatori delle Mu- se che a lui erano legati in istrelta amicizia ; cioè a Gasparo Broaspitia veronese, a Francesco Vanozzi, a Melchiore e Benedetto parimente veronesi, a Bar- tolomeo Pace padovano, al frate Guglielmo da Cre- mona, a Giovanni di Venezia suo condiscepolo, a Bartolomeo Campo, e a Giacomo Castellione Aretino. Il Dondi visitando la tomba del Petrarca in Arquà scrisse forse il primo di tutti su tale argomento una composizione, imitato poscia da uomini dotti d’ogni nazione e d° ogni tempo ; cosicché coll’ andare degli anni io ho raccolto versi in gran copia sopra questo soggetto, i quali potrebbero uscire in luce con gene- rale approvazione. La poesia usata dal Dondi non è sempre sciolta e facile; tuttavia è fornita di gravità e di eleganza: gli piaque di framischiare sovente versi latini ai volgari, come sappiamo su IP esempio degli antichi poeti es- sersi usalo fare da alcuni moderai con vano sforzo. Digitized by Google — 26 — Nella sua giovinezza atlendeva con piacere a verseg- giare, come scrive a Guglielmo da Cremona: Già nella vaga elade de’ prim’anni Mi piaque udir e dir talvolta in rima, Benché con grosso stile e rude lima : Poi che l’alma vestir di miglior panni Mi piaque più, perch’io conobbi i danni Dei persi di, lasciai la via di prima. Prendendo quel che piu prezzo si stima Con maggior cura e studiosi affanni. I codici scritti a penna assai di rado ci offrono versi del Dondi, ed io ne ho veduti se non pochissimi in due soltanto: uno de’ quali trovasi nella Biblioteca del Seminario di Padova, un tempo posseduto dal Facciolati ; l’ altro squarcialo, e mal difeso dalle in- giurie dei tempi, fu da me rinvenuto poco fa nell’ul- tima stanza della Basilica di S. Marco in Venezia, e portato nella Biblioteca regia : il perchè non dee pa- rere fuori di ragione eli’ io ponga qui appiedi di que- sta Lettera, come per saggio, sei componimenti volgari di esso Dondi. Da tutto il fin qui detto risulta, che presso i giu- sti estimatori degl’ingegni il Dondi andò fornito di tanta e sì svariata dottrina, che v’ ha onde tenerlo del tutto eccellente fra i pochi periti in Medicina del suo secolo, e che perciò non ho gettato inutilmente il tem- po e la fatica nel farlo riconoscere per tale. Venezia, il ‘20 Novembre 1818. Digitized by Google SONETTI INEDITI DI MESSEK GIOVANNI DONDI I. Se’l veder torto del vostro Giovanni Mira la region terrestre ed ima. La gente ricercando in ogni clima, Ebrei, Latini, Greci ed Alemanni, Regni comuni, e sudditi a’ tiranni ; Al mal son pronti, e per quel si sublima, Spenta è virtù, e la fortuna opima Col vizio sta su gloriosi scanni. Ito è il tempo che fu col buon Augusto, Rari son quei che per virtù guadagna; Astuzia e frodo regna con bugia. A cui dunque direm del calle angusto, Per qual si va con la virtù compagna? Degno è del mal così lagnarsi pria. Digitized by Google ' > — 28 — II. Oli puzza abbominabil di costumi! Oli maledetti dì di nostra etade! Oli gente umana senza umanitade! Più che senza splendor oscuri fumi! Convien che ’l mondo in breve si consumi. Poiché giustizia ed innocenza cade; E sol quell’arte e studio par che aggrade. Per qual l’un l’altro offenda, inganni e schiumi. Qual’ cieli infortunati, qual’ figure. Qual’ mimiche stelle o gravi segni In ogni nostro ben or s’è disperso? Quanto beate fur più le nature Nell’imperio d’ Augusto, quando ingegni, Virtute e pace ebbe l’Universo! III. Cantra insolenliam Fenetorum inferentium guarani Amino Paduae. Se la gran Babilonia fu superba, Troja, Cartago, e la mirabil Roma, Che ancor si vede, e quell’ altre si noma. Ma dove sletler pria stan selve ed erba; Digitized by Google — 29 — E se altra possa fu mai tanto acerba A metter sopra altrui gravosa soma. Tutte san già quant’ogni orgoglio doma Al fin colei clic a sè vendetta serba. Però qualunque è maggior signoria Dovrebbe rifrenar con più misura Fraterna di giustizia sua potenza; Di aver con suoi minor consorte pia. Non arrogante, ingiuriosa e dura, E temer sopra sè dal Ciel sentenza. IV. Cum visitasset sejiulchrum Domini Fraudici PelrarcUae in A rquada. Ilei sommo cielo con eterna vita Gode P alma felice tua, Petrarca ; Quindi di sodo sasso in nobil’ arca La terrena caduca parte uscita. La fama del tuo nome già gradita Sonando va con gloriosa barca, Di vera lode e d’ogni pregio carca, Per l’Universo in ogni canto udita. Nelle scritte sentenze tue si vede La gentilezza dell’ingegno divo, E qual sii stato in cattolica fede. Digitized by Google — 30 — Forò chi anco t’ama non è privo Ancor di te; c chi morto li crede Erra, ch’or vivi e sempre sarai vivo. Y. Joannes ile Domiti socio et eoiuliscipulo tuo Joanni de Fenetiis studenti in Medicina, qui tcripseral eidem quondam tmlgares rhythmos. Le tue parole mi par belle tanto, E sì bene ordinate tutte quante. Qual se dette le avesse o Guido o Dante, Ovvero esaminate in ogni canto. Però quando fra me mi penso alquanto, Parmi che tu non sei molto distante Da color che tu imiti, buon rimante, E che han vestito di quell’arte il manto. Ond’io ti prego che scrivi talvolta, Sì che svegli il mio piccol ingegno, Per te sottratto dalla turba stolta. Onor ti renderò, che sei ben degno. Più che’l fanciul al maestro ch’ascolta. Guardando a te col balestriere <0 al segno. (t) Così il codice. Digitized by Google — 31 — ' • + VI. Dica contra chi vuol: il saper vale Più che il folle ardimento, cd ogni schiera Produrrà a torto quantunque sua fiera: Per ragion giusta, dee terminar male. E chi per van conforto d’altrui sale Oltra quel che convien a sua maniera. Degno è che non governi ben bandiera, Nè ben cavalchi alcun sotto sue ale. Adunque imprenda pria quei che non sanno, E non ardisca saltar di leggieri ; Contra s’alza a baldezza di vesciche. Chè chi è corrente ha più volle le fiche, E scaccomato in mezzo il tavolieri, Sì ch’ei riporta la vergogna e ’l danno. ^ . .tK*rCP Dìgitized by Google odiatene di »oti 3oo esemplati. • .. i -> Digitized by Google
Wednesday, April 6, 2022
Subscribe to:
Post Comments (Atom)
No comments:
Post a Comment